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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 7 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni V e VI,
   premesso che:
    la Commissione finanze ha svolto un'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati: per ciò che concerne l'uso di tali strumenti da parte del Tesoro, l'indagine si è necessariamente ampliata all'insieme delle strategie di gestione del debito pubblico italiano, e a come esse si siano modificate nel corso del tempo, anche in relazione all'evoluzione delle opportunità e dei rischi presenti nei mercati finanziari;
    l'indagine conoscitiva ha consentito di fare chiarezza su alcune questioni connesse all'utilizzo dei derivati: grazie alle risultanze dell'indagine si è ampliata la conoscenza dello strumento e delle condizioni in cui esso può essere adoperato e ciò consentirà di agevolare i decisori pubblici nelle scelte future. Inoltre, si è compiuto un avanzamento significativo della discussione pubblica in merito alla gestione del debito, su cui spesso si leggono commenti poco informati, superficiali o talvolta anche strumentali;
    nel corso di tale attività conoscitiva è stato compiuto un monitoraggio ad ampio raggio, sia con riferimento al comparto pubblico, sia con riferimento al comparto privato, su un settore dei mercati finanziari che appare particolarmente articolato e controverso, in ragione della complessità dei meccanismi contrattuali con cui sono costruiti gli strumenti derivati, del potenziale carattere speculativo caratterizzante di alcuni di questi, nonché delle dimensioni della leva finanziaria ad essi sottostante;
    in questo contesto è emerso come il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati, in particolare da parte dello Stato e degli enti locali, debba essere inquadrato anche all'interno del più ampio tema della complicata gestione della finanza pubblica: in breve occorre «guardare la foresta, non solo l'albero», ovvero il tema rappresentato dagli strumenti finanziari derivati è a maggior ragione preoccupante se si considera il «contesto» del debito pubblico italiano; il debito italiano è infatti il terzo debito pubblico del mondo, con oltre 2 mila miliardi di euro, ed è questa la «madre» di tutte le anomalie: appare dunque con chiarezza come la gestione di una simile massa debitoria abbia portato con sé tutta una serie di altre anomalie, tra cui appunto l'uso degli strumenti finanziari derivati, per valori e perdite ritenute «accettabili», ma con quantità molto rilevanti, non paragonabili a quelle utilizzate nella gestione dei debiti sovrani degli altri Paesi europei;
    è questo primo aspetto, nella metafora, la «foresta», il vero e proprio fallimento della politica italiana, che chiama in causa partiti e classe dirigente della Prima Repubblica per aver generato questa incredibile mole di debito pubblico, inseguendo il consenso di breve-medio termine ma scaricando sulle future generazioni (che non potevano votare, né scioperare, né protestare) un fardello immenso; anche la Seconda Repubblica, peraltro, ha le sue responsabilità: esaurita la fase di virtuosa stabilizzazione conseguente all'ingresso nell'euro, nel nuovo millennio si è limitata a gestire lo status quo, senza avere il coraggio e la forza di tentare operazioni per abbattere, o almeno ridurre significativamente, questo debito, nemmeno quando le condizioni politiche e macro-economiche erano più favorevoli, per esempio negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore dell'euro, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato toccarono i minimi storici grazie all'implicita garanzia europea;
    mentre l'indagine conoscitiva era in corso, il Ministero dell'economia e delle finanze e la direzione generale del tesoro hanno deciso di pubblicare il primo rapporto sul debito pubblico, edito nel novembre del 2015 con riferimento alla gestione del 2014; tale rapporto assumerà una cadenza annuale, e contiene un insieme molto ampio di informazioni sulle strategie di gestione del debito pubblico italiano; questo fatto va considerato in modo positivo, come una corretta risposta del Governo alle richieste di trasparenza informativa che da più parti, e non da ultimo dal Parlamento, venivano avanzate;
    per quanto riguarda i derivati, nel corso delle audizioni è emerso che con questo tipo di contratti le parti possono perseguire diverse finalità – di copertura, speculativa, di arbitraggio – alcune delle quali possono risultare indispensabili alla gestione di attività finanziarie o imprenditoriali; ad esempio, perseguendo una finalità di copertura, i derivati consentono a enti e imprese di finanziare perdite inattese oppure di garantire la realizzazione dei propri obiettivi, ivi compresi i piani di investimento programmati; ciò è particolarmente importante nei vasti segmenti produttivi del Paese che, posizionati all'interno delle catene globali del valore, gestiscono ampie operatività sia di import che di export: analogamente, le operazioni in valuta possono allargare lo spettro degli investitori e, conseguentemente, ridurre il costo del debito all'emissione; per altro verso, si è potuto constatare che i derivati – in particolare nel settore della finanza pubblica – sono stati utilizzati nel tempo anche per avere benefici «cosmetici» sui bilanci, con lo scopo di ottenere finanziamenti impliciti ovvero occulti, acquisendo così risorse finanziarie in alternativa alle fonti tradizionali; analogamente, essi sono stati utilizzati per postergare, ovvero occultare, perdite economiche esistenti su contratti non ancora scaduti o regolati;
    nell'insieme, si ritiene di poter concludere che i derivati manifestano i loro aspetti più critici quando non sono utilizzati con finalità di copertura; in tal caso si possono registrare nel tempo perdite di valore non bilanciate da contestuali guadagni;
    le audizioni hanno messo in evidenza come a seguito della crisi finanziaria iniziata nel 2008, le autorità nazionali e sovranazionali hanno provveduto a modificare il quadro normativo al fine di tutelare la stabilità finanziaria e l'integrità dei mercati finanziari e assicurare un appropriato grado di protezione dell'investitore; in tale ambito sono stati rafforzati i presidi patrimoniali e di liquidità delle banche e degli altri operatori finanziari a fronte dei contratti derivati, favorendo la standardizzazione dei contratti e lo scambio su mercati regolamentati e introducendo regole volte ad assicurare un'adeguata informativa sulle negoziazioni OTC per rafforzare la capacità di gestione dei rischi di questi strumenti e proteggere gli investitori più deboli; è stata migliorata la trasparenza contabile, soprattutto per le imprese soggette ai princìpi contabili internazionali, ma anche per quelle soggette ai princìpi contabili domestici, nonostante queste ultime operino in un quadro di procedure e oneri meno stringenti, variabili di Paese in Paese;
    in linea con le finalità dei predetti interventi, nel corso dell'indagine si è evidenziato un ampio consenso su alcuni ulteriori possibili aggiustamenti – di carattere normativo e a livello organizzativo – volti a bilanciare le criticità tipiche di tale strumento finanziario, vale a dire la complessità e la conseguente – possibile – opacità; alcuni auditi hanno infatti rilevato come, a seguito dei predetti interventi regolatori, l'opacità di detti strumenti si sia ridotta, ma permanga comunque alta, in mancanza di adeguati incentivi politici alla trasparenza;
    in tale prospettiva si ritiene in primo luogo essenziale introdurre una maggiore trasparenza nella gestione dei derivati: al riguardo, è opportuno che il gap di trasparenza sia colmato in relazione a ciascuno dei diversi passaggi relativi alla gestione di tali contratti, dunque sia al momento della loro sottoscrizione, sia in rapporto all'andamento dei contratti in essere;
    in particolare, per quanto riguarda il settore pubblico, alla luce dell'attuale contesto economico-finanziario e stante l'annunciata strategia del Governo, che sembra andare nella direzione di ridurre l'uso di questo strumento, occorrerebbe monitorare con maggiore attenzione e rendere comprensibile al Parlamento – e, di conseguenza, all'opinione pubblica – le modalità con cui detta strategia intende essere attuata, soprattutto in considerazione del fatto che tale questione in Italia assume una rilevanza ancora più significativa che in altri Paesi, visto l'alto livello del debito sia in termini assoluti che in rapporto al Prodotto interno lordo; il rapporto sul debito pubblico è una prima efficace risposta a tale esigenza, comunque migliorabile;
    occorre quindi inquadrare l'utilizzo dei derivati da parte del Tesoro nel più ampio ambito della gestione del debito pubblico, tenendo conto della complementarietà con l'attività di emissione e perseguendo l'obiettivo strategico di un bilanciamento ottimale tra riduzione del costo del finanziamento nel medio e lungo termine e contenimento dei rischi di mercato, con particolare riferimento al rischio di rifinanziamento, al rischio di tasso e al rischio di cambio: per gli ultimi due rischi – di tasso e di cambio – l'uso di contratti derivati rappresenta uno strumento complementare alla politica di emissione;
    complessivamente, si condivide la strategia – basata su principi di derivazione internazionale – che ha ispirato le politiche di gestione del debito pubblico adottate dal Ministero dell'economia e delle finanze nel corso del tempo e che considera obiettivo primario di tale gestione, universalmente condiviso dalla comunità finanziaria, assicurare che l'obbligazione di pagamento che uno Stato ha contratto indebitandosi sia onorata al più basso costo compatibile con il contenimento del rischio in un orizzonte di lungo termine, che è proprio quello del debito pubblico; come unanimemente riconosciuto nel corso delle audizioni, si deve infatti evidenziare come un debito pubblico non possa essere gestito in un'ottica di minimizzazione dei costi di breve periodo, né tantomeno in un'ottica speculativa;
    ciò nonostante, dal confronto tra l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea nell'uso degli strumenti finanziari derivati emerge un'anomalia che non può che destare forti preoccupazioni, in quanto nessun Paese è esposto ai derivati come lo è l'Italia; i dati acquisiti dalla Commissione nel corso della predetta indagine conoscitiva sono in questo senso eloquenti: l'Italia è il primo Paese in Europa per perdite potenziali da derivati, con un valore di mercato negativo per circa 42 miliardi di euro; anche in rapporto al prodotto interno lordo il valore di mercato dei derivati italiani è tra i peggiori (peggio di noi solo la Grecia); è vero che rispetto al debito pubblico le distanze si riducono, che le dimensioni del debito italiano spiegano almeno in parte il massiccio ricorso ai derivati, e che bisogna tener conto dei benefici ricevuti dall'assicurazione sui movimenti sfavorevoli dei tassi di interesse, ma tutto ciò non rende meno preoccupante la situazione;
    desta altresì forte preoccupazione la presenza in alcuni contratti derivati attualmente in essere, o chiusi nel recente passato, di clausole particolarmente onerose e di possibilità di recesso anticipato per le controparti;
    occorre peraltro rilevare che il valore del debito sovrano è quello nominale, e che il riferimento al valore mark-to-market può essere fuorviante: i contratti di copertura contro il rischio di rialzo dei tassi perdono valore, ovviamente, quando i tassi si abbassano, ma sarebbe paradossale sperare in un aumento dei tassi per ridurre le perdite nozionali mark-to-market della sola componente derivati, dimenticando che su tutto il resto del debito si andrebbe invece incontro a costi aggiuntivi;
    occorre altresì considerare come la gestione del debito italiano sia stata caratterizzata da due aspetti: una durata del debito lunga e una copertura dal rischio di interesse più estesa rispetto ad altri Paesi. Ciò è stato determinato principalmente dalla dimensione – molto ampia – del debito; si è trattato quindi, in entrambi i casi, di una scelta di gestione prudente, anche se più costosa; tale scelta può essere ricondotta anche al fatto che in passato il nostro Paese è andato ripetutamente incontro a crisi di fiducia sul suo debito; è opinione condivisa che, grazie alle politiche di gestione citate, si è sempre riusciti a collocare il debito pubblico italiano e l'Italia non ha mai perso l'accesso al mercato;
    alcune problematiche sui derivati pregressi sono quindi il frutto di tale strategia, basata sull'obiettivo di coprirsi da uno scenario di interessi crescenti. La crisi del 2008, invece, tra le sue conseguenze, ha provocato il rovesciamento di tale scenario, determinando una forte contrazione dei tassi, per cui oggi si sta sopportando il costo di questa copertura assicurativa senza che si sia concretizzato lo scenario da cui ci si voleva proteggere, ma anzi con un'evoluzione dei tassi di mercato di segno opposto e mai sperimentata prima in quanto a durata e intensità. Oggi i tassi di interesse sono anormalmente bassi e non è possibile estendere questo livello di tassi alle emissioni di debito pubblico oltre un certo limite, in quanto la capacità di assorbimento del mercato è limitata;
    inoltre, gli investitori istituzionali (fondi d'investimento, assicurazioni, fondi pensioni e altro) sono oggi spinti ad allungare l'orizzonte temporale dei loro investimenti per trovare rendimenti sufficienti a soddisfare gli impegni assunti con la propria clientela, per cui si è determinato un contesto più favorevole a mitigare il rischio di tasso direttamente sul fronte delle emissioni, offrendo una maggior quantità di titoli a lungo termine; ed è ciò che è stato fatto durante il 2015, con il lancio e la riproposizione di Btp a 15 e 30 anni e con l'allungamento delle durate tipiche di altri strumenti;
    queste condizioni rendono dunque meno conveniente nella fase attuale e in quella prospettica ricorrere al mercato dei derivati; si prende pertanto atto di quanto comunicato dal Tesoro, e cioè che nel futuro l'attività in derivati si limiterà alla copertura assicurativa per i nuovi titoli in valuta e, per quanto riguarda i derivati di tasso, a una gestione del portafoglio esistente, necessariamente delimitata per le ragioni dette; peraltro, tale politica è in continuità con quanto ha caratterizzato l'attività recente, poiché già da alcuni anni si opera in questo senso;
    altrettanto condivisibile è apparsa la scelta – effettuata con il regolamento del 24 febbraio del 1994 a seguito della grave crisi monetaria e finanziaria del 1992 e delle pesanti ripercussioni sul bilancio dello Stato – di introdurre la figura dello specialista in titoli di Stato, intermediario di elevata affidabilità selezionato tra i migliori operatori principali, cosiddetti primary dealers del mercato telematico dei titoli di Stato, che, oltre a impegnarsi continuativamente a quotare i titoli di Stato su una piattaforma regolamentata di negoziazione, si assume anche obblighi di sottoscrizione dei titoli in asta;
    si condividono anche le motivazioni addotte nel corso dell'indagine a sostegno del mantenimento di una parziale riservatezza sulla gestione dei contratti derivati da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, volta a scongiurare – tra l'altro – una perdita di potere contrattuale e una maggiorazione del prezzo dei contratti: tali considerazioni sono del resto armoniche con le linee-guida del Fondo monetario e della Banca mondiale, che raccomandano la comunicazione delle ragioni di fondo dell'utilizzo dei derivati assieme a statistiche aggregate oppure indicatori sintetici;
    ciò nonostante, si reputa necessario operare una parziale disclosure su questa tipologia di operazioni finanziarie, che consenta di rendere disponibili maggiori informazioni rispetto a quelle attualmente rese note, attraverso un flusso informativo organico e regolare, che dia conto delle interazioni tra le diverse funzioni e attività gestionali;
    discende dal predetto profilo anche un ulteriore motivo di riflessione, riguardante la capacità di governance di tali strumenti, che concretamente si manifesta nell'introduzione di financial risk policies, ovvero procedure formalizzate volte a rendere manifesti le motivazioni, le modalità e i tempi di utilizzo dei prodotti derivati nello specifico contesto;
    si rileva quindi l'esigenza che gli operatori pubblici si dotino di regole predeterminate nella gestione dei derivati, corrispondenti alle reali necessità degli enti che li sottoscrivono;
    in particolare, con riferimento alla fase della sottoscrizione dei derivati, si ritiene necessario che la politica dei rischi (risk policy) adottata dal Governo sia delineata – e resa pubblica – in via preventiva; particolare importanza riveste quindi la cornice normativa ed organizzativa entro la quale gli uffici incaricati della gestione del debito sono chiamati a operare (risk framework); in tal senso, occorrerebbe definire criteri oggettivi, connessi anche alle esigenze degli equilibri di finanza pubblica, volti a tutelare l’accountability nei riguardi del Parlamento e dell'opinione pubblica;
    in merito, è stata accolta con favore l'indicazione, nelle linee guida della gestione del debito pubblico 2016, pubblicate sul sito web del Tesoro, dei principi per l'operatività in derivati da parte dello Stato. In particolare, nelle predette linee guida si chiarisce che le nuove transazioni in derivati saranno disposte solo con riferimento alle operazioni di copertura del tasso di cambio, fatte salva la possibilità di intervenire, in misura marginale, con una gestione attiva del portafoglio in essere per migliorarne la performance;
    tuttavia, accanto ai criteri di individuazione del livello ottimale di coperture dal rischio di variazione dei tassi o dei cambi, a fronte di posizioni debitorie a tasso variabile o espresse in valuta estera, le linee guida dovrebbero anche definire se, e a quali condizioni, sia corretto l'utilizzo dei derivati per finalità di modulazione della duration del debito, nonché se, e in quali circostanze, sia ammissibile la vendita di swaption;
    con specifico riguardo all'utilizzo di derivati per finalità di carattere assicurativo, cioè di copertura dal rischio di rialzo dei tassi di interesse, nel corso dell'indagine è stato inoltre verificato che la componente del debito pubblico finanziata con titoli a tasso variabile è oggi molto bassa rispetto al passato (14 per cento contro circa il 50 per cento nel 1995); conseguentemente, i benefici della copertura assicurativa andrebbero valutati a fronte dei costi potenziali associati al ricorso ai derivati;
    inoltre, stante l'immutato quadro normativo e, in particolare, il permanere dei criteri definiti dal «decreto cornice» – che consentono di operare in derivati nel più ampio ambito delle operazioni di ristrutturazione del debito – risulta opportuno provvedere ad un migliore coordinamento di detti criteri con le linee guida;
    in tale contesto, la pubblicazione del Rapporto sul debito pubblico 2014 ha costituito un primo importante passo avanti, fornendo una serie di informazioni sui derivati del Tesoro con particolare riferimento alle operazioni effettuate nel predetto anno, l'indicazione delle finalità perseguite mediante l'utilizzo dei derivati e l'illustrazione della misura in cui esse sono state raggiunte;
    al riguardo, è da accogliere con favore l'impegno – assunto dal Governo in sede di audizione – ad innovare la reportistica e a rendere disponibile un set di informazioni più ampio e dettagliato, non solo a consuntivo, ma anche in fase di assunzione della decisione, cioè in occasione della discussione del documento di finanza pubblica (DEF); tale impegno può senz'altro essere considerato un risultato positivo di questa discussione pubblica, e specificamente degli spunti e delle sollecitazioni emerse grazie all'indagine conoscitiva svolta dalla commissione finanze, anche in considerazione del fatto che una maggiore trasparenza consente al Tesoro italiano di accedere più facilmente ai mercati e di aumentare la credibilità come emittente;
    occorrerebbe dunque introdurre modalità di informazione e di reporting con scadenze predeterminate, possibilmente coincidenti con le principali tappe della programmazione annuale di bilancio: a tale proposito si esprime apprezzamento per l'impegno assunto dal Ministero dell'economia e delle finanze nel corso dell'indagine, volto a rendere periodica la pubblicazione delle informazioni sui derivati; ciò avrebbe, tra l'altro, il fine di consentire la verifica che la politica dei rischi perseguita dal Tesoro sia rispondente alle linee guida in precedenza prefissate; un reporting in tal senso consentirebbe inoltre al Parlamento un monitoraggio sull'andamento della gestione del debito pubblico, che potrebbe costituire – tra l'altro – un valido supporto tecnico ai fini della valutazione delle principali misure legislative economico-finanziarie che il Parlamento stesso è chiamato ad adottare;
    va richiamata in questo contesto la nuova regola di contabilità pubblica, che renderà esplicita nel bilancio dello Stato la distinzione fra oneri per interessi e oneri dei contratti derivati;
    la reportistica necessaria dovrebbe consentire di valutare l'evoluzione del profilo di rischio dei derivati, riguardo sia ai flussi di pagamento attesi, sia alle poste di diretta imputazione sul debito: più in particolare, potrebbero essere forniti i seguenti elementi:
     una sintesi delle principali informazioni sui contratti in essere, suddivise per tipologia di derivato e anno di scadenza (valori nozionali e di mercato), controparti e relativo merito di credito, presenza di clausole di chiusura anticipata e costo che avrebbero qualora tali clausole venissero esercitate;
     per ciascuna tipologia di contratto, l'entità dei pagamenti netti impliciti a esso sottostanti e le associate probabilità, per ciascuno dei semestri successivi alla data di valutazione e fino alla data corrispondente alla scadenza del contratto con maggiore vita residua;
    con riferimento a ciascuna swaption, la data di esercizio dell'opzione e il relativo valore di mercato;
    si condivide inoltre la necessità di fornire informazioni sugli effetti complessivi dei derivati, sia a consuntivo sia per l'intero arco previsionale; anche tale informazione potrebbe essere eventualmente fornita nell'ambito dei documenti di programmazione economico-finanziaria;
    occorrerebbe altresì conoscere l'effetto atteso dal flusso di cassa generato dai derivati, con l'indicazione della componente derivante da clausole di estinzione anticipata di cui si preveda l'esercizio. Sarebbe poi opportuno conoscere l'effetto sul debito atteso dal previsto esercizio di altre clausole contrattuali (swaption) o da operazioni di rinegoziazione;
    tali elementi di trasparenza costituirebbero una base per il monitoraggio parlamentare dell'uso dei derivati e, di conseguenza, anche per una disclosure in favore dell'opinione pubblica;
    in aggiunta a tali proposte e tenuto conto – secondo quanto riferito nel corso delle audizioni – che il Tesoro già dispone di risorse eccellenti e riconosciute delle banche controparti, si ritiene utile rafforzare ulteriormente i requisiti di selezione degli operatori deputati all'acquisto e al successivo utilizzo dei derivati; tali soggetti, infatti, devono esser in grado di individuare la tipologia di derivati più confacente alle esigenze dell'ente acquirente, valutare i rischi connessi all'utilizzo di questo strumento, nonché definire un prezzo congruo dell'operazione finanziaria che si intende realizzare; nel corso dell'indagine è emerso con chiarezza che tutto ciò richiede adeguate infrastrutture tecnologiche e la disponibilità di personale esperto;
    si rileva quindi l'esigenza di assicurare una formazione adeguata delle strutture pubbliche aventi il compito di negoziare in derivati e si suggerisce un rafforzamento delle tecnostrutture deputate a questa linea di attività nell'ambito della gestione del debito pubblico, per di più in un contesto normativo regolamentare e finanziario sempre più complesso: in tale ambito, si ritiene inoltre utile sviluppare sistemi di controllo interno ed esterno (Corte dei Conti);
    sul punto, si segnala inoltre l'opportunità di prevedere adeguate disposizioni in materia di incompatibilità nell'esercizio delle funzioni amministrative connesse alla negoziazione in strumenti derivati, anche al fine di prevenire eventuali conflitti di interesse: in tal senso, alcuni auditi hanno suggerito di introdurre il divieto temporaneo, per i dirigenti coinvolti nelle predette negoziazioni, di assumere incarichi presso le controparti private al termine del proprio servizio nelle amministrazioni pubbliche;
    per motivazioni del tutto analoghe, è essenziale che anche gli operatori e gli intermediari finanziari privati adoperino la massima correttezza e trasparenza nei confronti della clientela; l'inadeguatezza di conoscenze e strumenti per la gestione delle relative esposizioni può infatti rendere inconsapevole l'assunzione di rischi, anche di notevole entità, mentre la prospettiva del raggiungimento di profitti di breve periodo può essere ingannevole e non consentire una corretta valutazione di eventuali impatti negativi che potrebbero materializzarsi in una prospettiva di lungo periodo. Inoltre, gli intermediari che vendono prodotti opachi in modo non appropriato, mettono in pericolo la propria reputazione e corrono rischi legali;
    non si può ignorare che permane un quadro di estrema incertezza riguardo all'andamento sia della nostra economia, sia dei tassi di interesse sui nostri titoli di Stato: in tale contesto, ci si deve chiedere se basteranno le decisioni assunte dalla Banca centrale europea a mantenere bassi i tassi, anche di fronte a dati di crescita deludenti, oppure se essi torneranno ad alzarsi, e in tale caso di quanto;
    non ci si può permettere di sottovalutare l'eventualità che l'eurozona precipiti in una nuova crisi finanziaria: al riguardo l'andamento dei credit default swap (CDS) sul debito italiano – in un momento, come oggi, di relativa calma – dimostra che l'Italia continua ad essere considerata come potenziale «anello debole» in caso di crisi; accorre dunque chiedersi cosa accadrà alla scadenza del Quantitative Easing (QE), quando i mercati dovranno tornare a giudicare la sostenibilità del nostro debito pubblico in relazione alla salute e alle potenzialità della nostra economia, al netto delle condizioni favorevoli del QE;
    di fronte a questo quadro però, non sarebbe né utile, né responsabile abbandonarsi a un approccio scandalistico: al contrario, seguendo l'appropriato approccio già adottato dalla commissione in occasione della richiamata indagine conoscitiva, occorre innanzitutto realizzare una seria analisi e una fotografia accurata e nitida della situazione e, in secondo luogo, individuare possibili piste di lavoro per uscire dall'emergenza;
    è innanzitutto inaccettabile l'idea che il Parlamento sia stato per tanti anni tenuto all'oscuro della gestione di strumenti finanziari così delicati come i derivati, in quanto la loro complessità e le comprensibili ragioni di cautela non possono far sì che il Parlamento sia l'ultimo a sapere quando in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici, il denaro dei contribuenti e il livello di benessere e servizi pubblici che lasceremo in eredità alle future generazioni. Sono da salutare come un positivo passo avanti le nuove regole di contabilità e il nuovo, annuale, Rapporto sul debito pubblico;
    se, da un lato, non possiamo dimenticare le competenze maturate in materia dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella gestione sia del debito pubblico in generale sia in particolare di strumenti così complessi come i derivati, dall'altro non ci si può nemmeno cullare nell'illusione che tutto vada sempre per il meglio e che non possano, al contrario, verificarsi degli shock finanziari; ad esempio, è impari il confronto tra i «desk» delle maggiori banche (capaci di condurre analisi mark to market minuto per minuto) e un ufficio pubblico, per quanto preparato ed esperto; inoltre appaiono molto meno trasparenti le modalità, e ancor più elevate le criticità, nella gestione degli strumenti finanziari derivati da parte delle autonomie locali, che non per caso la più recente legislazione ha vietato,

impegnano il Governo:

   a presentare in Parlamento proposte normative finalizzate ad un reale e sostenibile abbattimento del debito pubblico;
   a garantire piena accountability, nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica, circa le modalità di gestione del debito sovrano italiano, in particolare per ciò che riguarda le operazioni in derivati, assicurando la massima trasparenza e la più ampia conoscibilità, almeno in merito alle operazioni già concluse, nonché un quadro informativo completo, fatto di rapporti periodici, con l'obiettivo di offrire una valutazione d'insieme del profilo di rischio di tali operazioni, tenuto conto, al riguardo, che il rapporto annuale sulla gestione del debito è un importante passo avanti in questa direzione, che risulta opportuno consolidare;
   ad avanzare in Parlamento una proposta di linee-guida dettagliate per la gestione dei derivati, che inoltre operi una netta distinzione tra operazioni finanziarie consentite (quelle di carattere essenzialmente «assicurativo» e di tutela), e tipologie di strumenti che non dovranno essere più essere sottoscritte dai soggetti pubblici (quelle a carattere «speculativo» o eccessivamente rischiose), anche al fine di rendere più efficace la risk policy sui derivati adottata dal Governo, attraverso la definizione di criteri oggettivi connessi alle esigenze degli equilibri di finanza pubblica;
   ad avanzare, in Parlamento una proposta di normativa-quadro relativa alla definizione di adeguate e fattibili procedure di valutazione e controllo su tali operazioni finanziarie, sia interno alle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze sia esterno, da parte della Corte dei Conti;
   a presentare in Parlamento una proposta normativa per prevedere che le figure impegnate presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella gestione degli strumenti finanziari derivati, e nella complessiva gestione del debito pubblico nazionale, non possano, per un adeguato numero di anni successivo al cessare di questo loro impegno pubblico, trasferirsi presso le banche o le altre istituzioni private che siano state fino a quel momento loro controparti.
(7-01047) «Causi, Pelillo, Marchi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2016, fu presentata dal firmatario del presente atto un'interrogazione al Governo in relazione a Banca Etruria ChiantiBanca, e al dottor Bini Smaghi, e alla vicenda che li vede attori e in relazione alla quale si chiedeva, fra l'altro, se non si ravvisasse la necessità di interventi normativi in tema di sistema di vigilanza bancaria, atteso quanto descritto nella ridetta interrogazione. In essa si rappresentava che i crediti in sofferenza furono acquistati, cinque giorni prima del decreto del Governo inerente alle quattro banche ora in risoluzione, a 14,7 per cento del valore, da società collegata al dottor Bini Smaghi (e ad altri). Valutazione esigua che comportò che la successiva valutazione generale, operata secondo gli usuali parametri, determinati dall'ultima e dalla penultima vendita di crediti in sofferenza, determinasse la riduzione del montante da esborsare di 800 milioni di euro, cifra corrispondente a quanto poi mancante per il soddisfo di tutti i sottoscrittori di obbligazioni subordinate, creando così, com'era ampiamente prevedibile, il clima di totale sfiducia intorno al sistema, ma ancor di più intorno a Banca Etruria;
   si rappresentava poi che altra società di cui è presidente sempre il dottor Bini Smaghi era stata nominata advisor della cessione di Banca Etruria, cioè aveva avuto l'incarico di seguire le fasi del negozio, selezionando modalità, acquirente, posizionamento e quant'altro avrebbe disegnato il futuro destino del cedendo istituto, «non ravvisando motivi di conflitto di interessi»;
   si rappresentava infine che la società nominata advisor di Banca Etruria e di cui il dottor Bini Smaghi è presidente, era socia di Chianti Banca, istituto sottrattosi all'operazione di variazione delle banche cooperative, e che trasformato in società per azioni era il naturale concorrente, per territorio, servizi, tipologia di clientela, di Banca Etruria;
   si rappresentava infine che il dottor Bini Smaghi era stato nominato presidente della ChiantiBanca, concorrente di Banca Etruria;
   mentre si è in attesa di una risposta ancora non pervenuta, il dottor Bini Smaghi ha rilasciato intervista al Corriere Fiorentino, inserto toscano del Corriere della Sera del 4 luglio 2016;
   in essa si leggono le opinioni del dottor Bini Smaghi sullo sviluppo della banca di cui è presidente. In particolare, egli esprime la volontà di ChiantiBanca di diventare leader nella regione (Toscana), di divenire redditizia e di «crescere», puntando alle quote di mercato lasciate libere da MPS e Banca Etruria, divenendo vera banca di territorio della Toscana, «vicina alle aziende, alle famiglie, agli artigiani, ai propri soci»;
   nella sostanza sembra all'interrogante di essere in presenza ad un progetto preordinato nel quale colui che presiede l'istituto che ha come mission anche l'occupazione del mercato di Banca Etruria, «newco», per le sue strategie espansive, è anche colui che non solo, volente o nolente, a giudizio dell'interrogante ha determinato lo screditamento di Banca Etruria, mediante l'abile operazione di acquisizione di crediti in sofferenza al 14,7 per cento ma è anche colui che sceglierà acquirente, modi, condizioni, prezzo di vendita di Banca Etruria, come presidente della società advisor;
   infine, va segnalato che la società advisor presieduta dal dottor Bini Smaghi è anche socia importante di Chianti Banca. Infine, non si può sottacere come il territorio sia di pertinenza e di influenza di importantissimi membri del Governo, quali il Presidente del Consiglio, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con delega alle pari opportunità, di un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e di numerosi altri membri del PD e del Governo;
   le autorità di controllo non ha ravvisato conflitto di interesse, né il dottor Bini Smaghi ha rilevato problematiche anche etiche di sorta –:
   se non si ritenga di dover assumere iniziative volte a rivedere le normative che regolano le autorità di controllo, considerata la grave situazione ingenerata;
   se il Governo non abbia in animo qualche tipo di iniziativa, per quanto di competenza, per impedire che questa abnorme grave situazione approdi a conseguenze anche drammatiche. (3-02373)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva dell'Unione europea 2006/123/CE, conosciuta come direttiva Bolkestein, è una direttiva dell'Unione europea relativa ai servizi nel mercato europeo comune, presentata dalla Commissione europea nel febbraio 2004, e approvata ed emanata nel 2006;
   la direttiva è stata definitivamente approvata da Parlamento e Consiglio il 12 dicembre 2006 e gli Stati membri avrebbero dovuto recepirla nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il 28 dicembre 2009;
   la direttiva Bolkestein ha come obiettivo quello di facilitare la circolazione di servizi all'interno dell'Unione europea, perché i servizi rappresentano il 70 per cento dell'occupazione in Europa, e la loro liberalizzazione nell'intento di chi l'ha voluta, aumenterebbe l'occupazione ed il prodotto interno lordo dell'Unione europea;
   la direttiva non intende disciplinare nello specifico l'ampio settore dei servizi: si propone come direttiva-quadro, che pone poche regole molto generali e lascia agli Stati membri la decisione su come meglio applicare i princìpi da essa enunciati;
   l'Italia ha dato attuazione alla direttiva mediante il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010; con tale provvedimento il Governo italiano ha deciso di applicare tale direttiva anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche. Il Parlamento europeo, con risoluzione n. (2010/2109 (INI)), ha preso atto della forte preoccupazione espressa dai venditori ambulanti nei confronti della possibilità che la direttiva 2006/123/CE possa essere applicata negli Stati Membri estendendo il concetto di «risorsa naturale» anche al suolo pubblico, producendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche che sarebbero gravemente dannose per l'occupazione, la libertà di scelta dei consumatori e l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali;
   l'Italia, dopo l'attuazione della direttiva, è diventata l'unico paese nell'Unione, insieme alla Spagna, ad aver applicato la direttiva Bolkestein al commercio ambulante; il recepimento della direttiva Bolkestein nell'ambito dei mercati ambulanti comporta, fra le altre cose, l'apertura del settore a nuove imprese straniere e multinazionali – comprese società di capitali –, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi con divieto di favorire il prestatore uscente, come previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
   il 5 luglio 2012 la conferenza unificata ha raggiunto un accordo, in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2010, che prevede una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze, della durata compresa fra i nove e i dodici anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la loro attività in tali mercati;
   le misure previste dal decreto legislativo n. 59 del 2010, malgrado il regime transitorio approvato dalla conferenza unificata, non tengono conto delle peculiarità di queste attività, quasi sempre imprese individuali o a dimensione familiare, che difficilmente potrebbero competere in un mercato così aperto. Inoltre il decreto legislativo menzionato fa venire meno quei requisiti di stabilità necessari per programmare investimenti in strutture e personale, nonché per recuperare gli investimenti già realizzati e indispensabili per garantire un'offerta migliore;
   alcune associazioni che rappresentano gli interessi dei commercianti ambulanti hanno richiesto che venga rivista la decisione di applicare la direttiva Bolkestein al commercio ambulante, o che quantomeno si preveda l'estensione della durata del regime transitorio delle concessioni per un tempo abbastanza ampio da permettere l'ammortamento degli investimenti realizzati, così come fatto in Spagna, dove è stato fissato a 75 anni la durata di un simile regime transitorio a tutela delle imprese già presenti;
   come già illustrato, i mercati tradizionali sono parte dell'offerta commerciale e dell'immagine turistica di moltissime città italiane, rappresentano un tessuto economico che fa parte integrante del nostro territorio e che rischia di essere travolto o finire distrutto dal momento che, unica in Europa insieme alla Spagna, l'Italia ha deciso di recepire la direttiva Bolkestein anche per il commercio ambulante, motivo per il quale le licenze per i commercianti in questione saranno rimesse a gara nel 2017, e alle gare potranno partecipare anche le multinazionali e le grandi imprese anche straniere col serio rischio che i mercati italiani siano invasi dalle solite multinazionali con i soliti marchi da centro commerciale, mentre gli attuali ambulanti in regola, vedano vanificati i sacrifici di una vita –:
   alla luce delle considerazioni fatte in premessa, cosa intenda fare il Governo in merito alla situazione attuale, assunto il fatto che attualmente solo l'Italia e la Spagna hanno recepito la direttiva con riferimento alla materia del commercio ambulante su aree pubbliche, seppure con modalità evidentemente differenti rispetto alla durata delle concessioni;
   se il Governo non ritenga, almeno allo stato attuale, di assumere iniziative per porre fine al sistema delle concessioni, per favorire un maggiore approfondimento del quadro giuridico in materia. (5-09103)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dal sito istituzionale dell'autorità portuale di Trieste «il referente normativo primario del regime giuridico del Porto Franco di Trieste è l'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi del 1947», mentre negli articoli dall'1 al 20 del Memorandum di Londra del 1954 «sono contenuti i principi fondamentali della disciplina del Porto Franco, i parametri generali di riferimento per lo Stato italiano, competente a darvi attuazione con propri atti»;
   la legge 28 gennaio 1994, n. 84, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», all'articolo 6, comma 12, fa salva la disciplina vigente per i punti franchi del porto di Trieste, demandando al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l'autorità portuale competente, il compito di stabilirne con un proprio decreto l'organizzazione amministrativa;
   a 22 anni di distanza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha ancora emanato nessun decreto in materia, causando incertezza sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata ai punti franchi triestini e limitandone fortemente lo sviluppo;
   in conseguenza dell'articolo 1, commi 618 e 619, della legge 22 dicembre 2014 n. 190, in data 26 gennaio 2016, il commissario di Governo della regione Friuli Venezia Giulia ha decretato (Prot. n. 19/8-5/2016) il trasferimento del regime giuridico internazionale di Punto Franco dal Porto Vecchio a 5 nuove aree individuate come da proposta formulata dall'autorità portuale di Trieste;
   in data 1o luglio 2016, il sito online della regione Friuli Venezia Giulia, in un comunicato stampa dal titolo «Fiscalità: Serracchiani a Renzi, Porto Franco Ts diventi “no tax area” » informa di una missiva inviata dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi e per conoscenza anche al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e al Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, per delineare le opportunità offerte in particolare dal Porto di Trieste nella prospettiva che possa concretizzarsi l'ipotesi di istituire alcune «no tax area» a seguito della cosiddetta «Brexit» (il 23 giugno 2016, a seguito del referendum indetto sulla «Brexit», il 51,9 per cento dei cittadini elettori britannici, ha votato per l'uscita dall'Unione europea);
   la nota stampa riporta quanto scritto dalla presidente ossia che: «l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea impegnerà gli Stati membri in un processo di straordinaria complessità, ulteriormente complicata da probabili riflessi sistemici sulle economie, al momento difficilmente misurabili. In questo scenario, desta particolare interesse la proposta (...) di istituire nel nostro Paese alcune “no tax area”, finalizzate ad attrarre investimenti». È in tale prospettiva, e con particolare riguardo all'individuazione geografica di tali aree, che Serracchiani, nello scambio epistolare con il Governo, individua un'opportunità nella regione del Friuli Venezia Giulia e in particolare a Trieste in quanto sede di un porto franco che «rappresenta un autentico unicum nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario»;
   secondo Serracchiani «si tratta, in concreto, di uno strumento caratterizzato, essenzialmente, da due regimi: la massima libertà di accesso e transito e l'extradoganalità (o «extraterritorialità doganale») dove i vantaggi/benefici possono essere raggruppati in un gruppo di norme che assicurano la libertà di transito e la libera circolazione all'interno del porto franco. Con queste norme, ad esempio, i TIR provenienti dalla Turchia non sono sottoposti alle quote bilaterali tra Stati per cui il transito da e per il Porto di Trieste (Autostrada del Mare Trieste-Turchia) è libero»;
   per quanto concerne, invece, il corredo giuridico dell'extradoganalità, implicante tutta una serie di effetti favorevoli, Serracchiani ha ricordato nella lettera, a titolo di esempio, che «le merci provenienti dai Paesi non comunitari possono essere sbarcate e depositate (senza limiti di tempo) immuni da dazio o altra tassa, fino a quando non varcheranno i confini del punto franco, per essere importate all'interno del territorio doganale italiano/comunitario. Degno di nota – ha aggiunto – è che, per le merci in regime di deposito illimitato non è necessaria la prestazione di alcuna garanzia. Inoltre, poiché le merci unionali lasciano territorio dell'Unione non appena fatto il loro ingresso nel porto franco, l'esportazione non è soggetta ad IVA»;
   la presidente ha poi evidenziato che «un'altra peculiarità del regime in parola, è che attività quali la manipolazione (imballaggio, etichettatura eccetera) e la trasformazione anche di carattere industriale delle merci avvengono in completa libertà da ogni vincolo doganale». E ancora, «con l'applicazione dell'istituto del cosiddetto “credito doganale”, le merci importate nel mercato comunitario attraverso i punti franchi godono di una dilazione del pagamento dei relativi dazi e imposte doganali fino a sei mesi dalla data dello sdoganamento, ad un tasso di interesse annuo particolarmente contenuto»;
   la presidente del Friuli Venezia Giulia ha fatto, infine, notare come «l'Autorità Portuale di Trieste, grazie ai provvedimenti di spostamento delle aree del punto franco di Porto Vecchio, conseguenti alle recenti norme nazionali sulla sdemanializzazione, abbia esteso i benefici del punto franco triestino ad alcune aree retro portuali: aree nelle quali potranno dunque essere collocate, con procedure semplificate, attività industriali e logistiche passibili di beneficiare dei vantaggi sopra descritti, in un habitat fiscale e doganale assolutamente unico nel panorama europeo»;
   in data 2 luglio 2016, il quotidiano Il Piccolo di Trieste, nell'articolo dal titolo «Soluzione strategica per i nostri Punti Franchi» riporta le dichiarazioni del commissario dell'autorità portuale, Zeno D'Agostino che ha affermato come la No tax area: «aprirebbe la possibilità di insediamento a Trieste non soltanto di aziende di logistica o manifatturiere, ma anche di aziende del terziario, fornitrici di servizi e dell'ambito della finanza –:
   come, e se il Governo intenda dare seguito agli impegni richiesti dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia nella missiva richiamata in premessa.
(4-13721)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'indicatore composito anticipatore dell'economia italiana, secondo quanto previsto dall'Istat, nel breve e medio termine, ha evidenziato un'ulteriore decelerazione, in considerazione dei possibili e prevedibili effetti dell'esito del referendum del Regno Unito, avvenuto nel mese di giugno 2016, confermando pertanto una tendenza negativa in atto, che prosegue dall'inizio dell'anno;
   al riguardo, l'articolo pubblicato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore, il 6 luglio, rileva che, a pesare verso un rischio al ribasso delle stime di crescita dell'economia italiana, è innanzitutto l'evoluzione del clima di fiducia delle famiglie, che è peggiorato nel secondo semestre dell'anno, a cui si aggiunge anche il dato negativo dei consumi, da parte delle imprese dei servizi;
   la fase di debolezza, che sta interessando anche le aziende dei servizi di mercato e del commercio, è confermata anche dalla recente nota mensile sull'andamento dell'economia italiana, diffusa dall'Istat, che ribadisce segnali altalenanti sul fronte delle imprese, anche a seguito della conclusione legata agli effetti determinati dal job act per le nuove assunzioni;
    dal documento dell'Istituto nazionale di statistica, non si ricavano correzioni rispetto al + 0,3 per cento del prodotto interno lordo registrato nel primo trimestre, ed inoltre il trend non favorevole in atto sembra accentuarsi in particolare sul fronte dei consumi;
   il rallentamento dell'economia, a giudizio dell'interrogante, secondo quanto emerge dal quadro a tinte fosche fornito dall'Istat, è determinato, in primo luogo da fattori interni negativi che persistono nel Paese come, ad esempio, la pressione fiscale ancora troppo elevata e la stretta creditizia da parte del sistema bancario, che insiste a parere dell'interrogante, inspiegabilmente, se si valuta che nella sostanza il rischio di perdita sui crediti degli istituti bancari sia estremamente modesto, considerato che il denaro è acquistato a costo zero dalla Bce; a ciò si aggiungono le difficoltà burocratiche ancora complesse che rallentano la crescita dell'economia interna;
   l'introduzione di misure urgenti e radicali, in grado di tagliare la spesa pubblica improduttiva che persiste nel bilancio nazionale, riducendo i margini d'intervento per gli investimenti pubblici ed il rilancio dei consumi, risulta a giudizio dell'interrogante, indifferibile, considerata la necessità di finanziare interventi per favorire la crescita e la competitività del sistema-Paese, nell'attuale fase di stagnazione economica –:
   quali orientamenti il Governo, intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di politica economica e fiscale il Governo, intenda intraprendere, nel breve termine, al fine di rilanciare la domanda interna, posto che i consumi stentano a ripartire, anche a causa della fiducia degli italiani, che risulta essere estremamente bassa, come si evince dal bollettino economico dell'Istat pubblicato di recente;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per rivedere l'aliquota sulle imposte sul reddito delle società – IRES, attualmente pari al 27,50 per cento, che a decorrere dal 2017 si ridurrà al 24 per cento, come previsto dalla legge di stabilità del 2016, al fine di diminuire tale imposta e rilanciare gli investimenti, sostenendo il sistema delle imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione, tuttora afflitte da una crisi economica e finanziaria tutt'altro che superata. (4-13723)


   D'AGOSTINO e DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 117, della legge n. 190 del 2014 dispone che: «In deroga a quanto disposto dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applicano ai fini del conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso dell'anno 2015, senza la corresponsione di ratei arretrati, sulla base della normativa vigente prima dell'entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, anche agli ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione e bonifica, che hanno cessato il loro rapporto di lavoro per effetto della chiusura, dismissione o fallimento dell'impresa presso cui erano occupati e il cui sito è interessato da piano di bonifica da parte dell'ente territoriale, che non hanno maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente, che risultano ammalati con patologia asbesto-correlata accertata e riconosciuta ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni»;
   l'articolo 1, comma 276, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, fa espressamente riferimento all'istituzione di un fondo «finalizzato all'accompagnamento alla quiescenza, entro l'anno 2018, dei lavoratori di cui all'articolo 1, comma 117, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che non maturino i requisiti previsti da tale disposizione; le risorse del fondo sono ripartite tra i lavoratori di cui al presente comma sulla base di criteri e modalità stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
   le norme contenute nelle due ultime leggi di stabilità erano finalizzate a risolvere il problema dei lavoratori che hanno contratto patologie legate all'inalazione di fibre di amianto che diversamente non avrebbero maturato i requisiti nemmeno con la norma «pre Fornero»;
   il contenuto del decreto ministeriale, invece, nei fatti esclude tutti quelli che non maturano i requisiti nei prossimi tre anni e quelli che svolgono attività lavorativa. Di fatto, si esclude anche la possibilità dei tre anni di contribuzione figurativa per gli esclusi, solo per il fatto di non perfezionare i requisiti nel 2016, 2017, 2018;
   si ripresenta esattamente la circostanza verificatasi con la legge stabilità 2014 grazie alla quale solo pochi lavoratori poterono usufruire dei relativi benefici;
   proprio per tale circostanza, il legislatore ha ritenuto di creare il fondo di cui all'articolo 1, comma 276, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
   il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, del 29 aprile 2016, «Benefici previdenziali riconosciuti a ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione e bonifica, affetti da patologia asbesto-correlata, derivante da esposizione all'amianto, ai sensi dell'articolo 1, comma 276, legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016)», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – serie generale n. 134 del 10 giugno 2016, reca il regolamento del citato Fondo, individuando all'articolo 2 come «destinatari» dei benefici i soggetti che: – non svolgono alcuna attività lavorativa alla data di presentazione della domanda di cui all'articolo 4; – perfezionano i requisiti pensionistici utili a comportare la decorrenza della pensione di anzianità di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto, negli anni 2016, 2017 e 2018;
   ad avviso degli interroganti la previsione di un fondo con una sua dotazione finanziaria non può essere evasa dalla previsione del decreto ministeriale che nei «considerato» esplicita la finalità, stabilendo che «è necessario provvedere a stabilire i criteri e le modalità di ripartizione del suddetto fondo tra i lavoratori di cui al medesimo comma» –:
   come si concili il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 29 aprile 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale – serie generale 134 del 10 giugno 2016 con il dettato legislativo che prevede l'istituzione di un fondo e non già la regolazione di «benefici previdenziali»;
   sulla base di quali presupposti i soggetti con i requisiti previsti dalla norma del 2014 (articolo 1, comma 117, legge n. 190 del 2014) e richiamata dalla normativa del 2015 (articolo 1, comma 2776, della legge n. 208 del 2015), siano stati esclusi dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (articolo 2 «destinatari») perché non perfezionano i requisiti per essere posti in quiescenza negli anni 2016-2017-2018 (articolo 2, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali);
   come si giustifichi l'impossibilità di presentazione della domanda di accesso al fondo per i soggetti che svolgono attività lavorativa alla luce della normativa approvata. (4-13725)


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il programma operativo regionale – POR Sardegna 2000-2006 – indirizzò tra l'altro i propri contributi verso il progetto integrato urbano – PIT Cagliari «Parco della musica – Riqualificazione e sviluppo di funzioni rare nell'area urbana di Piazza Giovanni XXIII». Tale ambizioso progetto – dal valore complessivo di circa 24 milioni di euro – era finalizzato alla riqualificazione urbanistico-edilizia di una vasta area comunale attraverso la creazione di un polo culturale qualificato e ad elevato richiamo turistico, nell'ambito del quale era prevista un'azione trainante per l'attività della fondazione del teatro lirico di Cagliari, articolata anche attraverso il lavoro di teatri, laboratori teatrali e servizi connessi, nonché attraverso l'investimento privato, condizione essenziale per il buon fine del progetto POR;
   nell'ambito del suddetto POR 2000-2006, l'area denominata «Parco della musica» beneficiò di un contributo europeo complessivo di 16 milioni di euro, la metà dei quali erogati dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale – FESR 2000-2006;
   per la realizzazione del «Parco della musica», il 19 febbraio 2003 venne siglato un protocollo d'intesa tra: il comune di Cagliari (soggetto attuatore); la Camera di commercio di Cagliari, l'Ente provinciale per il turismo di Cagliari, il teatro lirico di Cagliari – Fondazione; la Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano (soggetti istituzionali), l'Associazione degli industriali della Sardegna; l'Associazione delle piccole e medie industrie; la Confartigianato imprese Sardegna; MI.NO.TER s.p.a, gruppo Cualbu (parti sociali e soggetti privati), nonché le organizzazioni sindacali. Nel contesto di tale protocollo, la MI.NO.TER si impegnava a realizzare il recupero di una struttura abbandonata e in precarie condizioni, precedentemente appartenuta alla società di Stato Telecom Italia;
   promotrice, nonché responsabile unico del PIT nei confronti della regione autonoma della Sardegna e di tutti gli altri firmatari dell'accordo (inclusa la parte privata), era l'amministrazione comunale di Cagliari; quest'ultima si impegnava infatti a rappresentare in modo unitario i molteplici interessi di tutti le parti contraenti, a indire il bando attuativo del progetto, a gestirne in modo efficiente tutti gli adempimenti, a cofinanziare gli interventi di propria competenza, nonché a rispettare e far rispettare i tempi di completamento di tutti gli interventi. Il termine per la realizzazione dei contenuti del protocollo venne fissato per il 2006; tale termine avrebbe dovuto avere cogenza sia per la parte pubblica, che per la società MI.NO.TER, gruppo Cualbu, la quale ultima rispettò l'impegno, anticipando anzi di un anno la parte di propria competenza, per un valore economico doppio (circa 50 milioni di euro) rispetto a quello pubblico;
   l'amministrazione comunale in carica in quegli anni ebbe difficoltà nel completare tutte le procedure per l'avvio dei lavori, che subirono poi ulteriori ritardi a seguito di varianti in corso d'opera;
   finalmente, nel settembre 2010, il sindaco di Cagliari inaugurò la grande piazza prevista dal protocollo. All'atto dell'inaugurazione risultava ultimata l'arena all'aperto, e risultavano pressoché completati i parcheggi (mancavano soltanto alcune opere minori e un collaudo dei vigili del fuoco) e i locali ad uso bar-caffetteria, pronti per essere assegnati attraverso un bando pubblico per la gestione. Anche i laboratori e il deposito scene apparivano sostanzialmente pronti per il collaudo da parte dei vigili del fuoco, unitamente ai locali destinati a servizi per il teatro e alla business factory della cultura. Il piccolo auditorium era pressoché completo: mancava soltanto il collaudo statico della cosiddetta graticcia (sostegno delle luci e parte fonica del palcoscenico) e del tavolato del palcoscenico e risultavano necessari solo modesti lavori di completamento degli impianti elettrici. Il fotovoltaico sul lastrico solare, presente in tutti i servizi del parco, era pronto per la connessione all'Enel e in grado di generare un ricavo capace di compensare interamente i costi energetici del parco. L'avvio completo e a pieno regime dell'intero compendio culturale sembrava davvero imminente al punto che, nell'estate 2011, fu possibile ospitare la 33a edizione di «Jazz in Sardegna», che ebbe un eccezionale successo di pubblico, registrando sempre il «tutto esaurito» dei 2200 posti dell'arena all'aperto. Tale evento, allestito da «Jazz in Sardegna» e dalla fondazione del teatro lirico venne ripreso con grande enfasi dai media che lo giudicarono un test ottimale per misurarne le grandi potenzialità culturali dell'intero compendio;
   l'amministrazione comunale cagliaritana che operò dal 2006 al 2011, conclusa la propria azione nel Parco della musica, lasciò comunque una disponibilità di bilancio di ulteriori 400.000 euro finalizzata al completamento delle azioni concordate nell'ambito del POR 2000-2006 (e comunque sufficienti per il completamento degli interventi necessari per la piena funzionalità delle opere) e a metterlo in esercizio nell'arco di pochi mesi. Si trattava di interventi complessivamente di modesto valore ed entità, conseguenti alla volontà di concludere il progetto, rispettando, seppur tardivamente, l'accordo pubblico-privato. In tal modo, il comune di Cagliari avrebbe finalmente ottemperato al proprio ruolo di garante, mantenendo il proprio impegno formale e sostanziale di rispondere della buona, corretta e diligente esecuzione dell'accordo, al fine di assicurare alla città un complesso e straordinario intervento di riqualificazione urbana, ricomprendente anche la piazza Giovanni XXIII, che avrebbe dovuto così contribuire allo sviluppo culturale, sociale, turistico ed economico di Cagliari;
   l'insediamento della nuova amministrazione comunale per il quinquennio 2011-2016, nel maggio 2011, ha invece coinciso con la sospensione de facto degli interventi mancanti per il buon funzionamento del complesso «Parco della musica» POR 2000-2006, interrompendo sostanzialmente anche le attività di allestimento della « Smart business factory» della cultura;
   tale intervento, avrebbe dovuto fruire del cofinanziamento del comune e del FESR 2007-2013, a seguito della delibera n. 48/43 dell'11 dicembre 2012 con oggetto: «L.R. n. 5/2009 articolo 5 “Programma di interventi di infrastrutturazione e servizi correlati allo sviluppo delle attività produttive”. Accordo di programma quadro “Smart business factory” – Centro di supporto alle start up innovative: Teatro Lirico di Cagliari centro di eccellenza per la produzione culturale e l'innovazione tecnologica»;
   dal maggio 2011, l'azione amministrativa del comune di Cagliari appare all'interrogante gravata da lungaggini assolutamente inspiegabili, con ritardi ingiustificati nel rilascio delle certificazioni e nell'affidamento degli incarichi di collaudo tecnico. L'intera azione dell'amministrazione comunale sembrerebbe sempre più omissiva e confusa, tale da impedire la conclusione del lavoro delle precedenti amministrazioni e del privato, impedendo il rispetto dei termini dell'accordo del 19 febbraio 2003. Sino ai primi mesi del 2016, tutto si è dunque «impantanato» in una lenta e farraginosa sequela di atti burocratici del comune che hanno inevitabilmente condotto al mancato completamento dell'opera, in stridente contrasto con quanto sarebbe stato invece certificato dalla regione (centro di programmazione) e dal comune di Cagliari. Ulteriore conseguenza di tale inadeguatezza dell'azione municipale è stata la perdita delle nuove risorse FESR 2007-2013, che pure vennero messe a disposizione con la delibera di giunta regionale n. 48/43 dell'11 dicembre 2012;
   nel dettaglio, gli errori procedurali commessi avrebbero in particolare comportato l'inutilizzabilità del piccolo teatro (il palcoscenico e la graticcia una volta realizzati, con un ritardo di cinque anni, non sono mai stati collaudati e consegnati al teatro), dei laboratori teatrali, dell'arena all'aperto, di oltre il 50 per cento dei parcheggi, del locale bar-caffetteria e dell'intero impianto fotovoltaico. La mancata predisposizione di misure e presidi di sicurezza (servizio di vigilanza, impianti di videosorveglianza e sistemi antifurto) degli spazi adibiti a parcheggi ha favorito gli atti vandalici e persino il furto di cavi elettrici, nonché lo stato di degrado in cui versano oggi. Infine, il sostanziale stato di abbandono del parco e delle sue grandi vasche, sia sotto il profilo della sicurezza igienica dei bacini, che sotto quello della manutenzione degli invasi (quasi mai sottoposti ai necessari trattamenti chimici e alla filtrazione/circolazione delle acque) ha determinato ricadute sanitarie negative, correlate al proliferare di focolai di larve, zanzare e insetti e ai venefici miasmi che esalano dalle acque putride e stagnanti;
   la situazione di incuria e di potenziale pericolo sopra descritta – più volte denunciata dai cittadini alle Asl e alle autorità competenti – fa da compendio alla totale assenza di informazioni ufficiali circa il completamento e il destino futuro del «parco della musica». Tale stato di cose parrebbe all'interrogante configurare una inaccettabile negligenza da parte dell'amministrazione comunale di Cagliari e del suo sindaco (che è anche l'ex presidente della Fondazione Teatro Lirico) nella loro qualità di soggetti garanti dell'accordo, firmato nel 2003 dalla Regione autonoma della Sardegna, dall'Unione europea e dai privati e dal quale è disceso il complessivo finanziamento dell'opera;
   l'ambizioso progetto – che prevedeva anche l'allestimento dello spazio per gli spettacoli in piazza Nazzari – avrebbe messo «a sistema» una estesa area comprensiva di: conservatorio, teatro lirico, piccolo teatro, arena per gli spettacoli all'aperto, parco urbano con servizi, laboratori e « Smart business factory» della cultura, contribuendo in modo sostanziale a qualificare il capoluogo sardo come una delle «capitali europee della musica», sul modello del parco della musica di Roma;
   le scelte attuate dall'amministrazione municipale di Cagliari, che ha disatteso i termini dell'accordo del 2003 e ha preferito tenere chiuso per cinque anni il Piccolo Teatro piuttosto che spendere somme risibili per completarlo, risultano all'interrogante inspiegabili se si considera che i progetti «parco della musica» e successivamente « Smart business factory CRP71» avrebbero rappresentato una rara opportunità di riqualificazione urbana ed architettonica della città di Cagliari, di sviluppo culturale, turistico ed occupazionale, di attrattiva unica per un territorio asfittico e desertificato da otto anni di grave recessione. Tali scelte appaiono ancor più incomprensibili alla luce della circostanza che il (FESR) 2007-2013 relativo al programma per la Regione autonoma della Sardegna è scaduto nel dicembre 2015, per cui è concreto il rischio di perdita di qualsiasi relativo finanziamento, secondo il disposto dell'articolo 93 del regolamento (UE) n. 1083/2006 che prevede il disimpegno automatico delle somme non utilizzate;
   sulla vicenda afferente al mancato completamento del progetto «Parco della musica» POR 2000-2006 sono state presentate due interrogazioni: in sede di consiglio regionale della Sardegna (n. 465 del 28 luglio 2015) e in ambito comunitario (E-013188-15 del 28 settembre 2015);
   dalla risposta del Commissario europeo per lo sviluppo regionale è emersa una controversa interpretazione circa le competenze e le responsabilità delle parti coinvolte, oltre che una descrizione dei fatti che non apparirebbe aderente alla realtà. Infatti, dalla lettura della risposta all'interrogazione, tutti gli interventi cofinanziati nel periodo 2000-2006 risulterebbero formalmente completati e attualmente operativi, circostanza che non parrebbe all'interrogante assolutamente corrispondere al reale stato delle cose;
   appare del tutto evidente come una delle rare iniziative virtuose avviate negli ultimi anni in Sardegna in grado di creare reddito e lavoro attraverso quelli che per il Governo rappresentano i punti di forza del nostro Paese, ovvero cultura, musica, bellezza, creatività e fantasia, rischia purtroppo di naufragare in un sostanziale fallimento, con dispendio di risorse intellettuali ed economiche;
   sembra manifesto che il primo danneggiato da questa incresciosa situazione di stallo sia l'ente fondazione teatro lirico di Cagliari che, per effetto del mancato completamento delle opere che sarebbero dovute servire al lancio complessivo del «sistema Teatro Lirico di Cagliari», vede messa in discussione non soltanto la capacità di trasformare il progetto in un volano dello sviluppo economico della città, ma addirittura la sua stessa sopravvivenza;
   le difficoltà e le sofferenze della fondazione teatro lirico di Cagliari si riverberano sulla qualità dell'attività svolta dall'ente, sulla solidità dei suoi programmi, delle sue iniziative e dei suoi bilanci, sulla capacità di soddisfare la domanda del settore con un'adeguata offerta e sulla sua traballante autosufficienza, che rischia di tradursi in nuove esigenze di finanziamento nei confronti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   di quali elementi di conoscenza disponga il Governo in relazione al complesso quadro descritto in premessa;
   qualora fosse accertata la situazione di grave inadempienza sopra esposta, se il Governo non ritenga opportuno, in relazione all'attività di finanziamento e di sorveglianza delle fondazioni liriche, intraprendere ogni idonea iniziativa di competenza per verificare se la situazione prodottasi per effetto di quelli che appaiono all'interrogante comportamenti omissivi, ovvero di dubbia legittimità indicati nelle premesse non abbia determinato un danno reale per l'attività della fondazione del teatro lirico di Cagliari, attività che sarebbe tra l'altro in grado di contribuire significativamente all'attuale situazione di grave arretramento qualitativo e di preoccupante squilibrio economico della fondazione stessa. (4-13732)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 del «Regolamento per la definizione delle attribuzioni e delle modalità di organizzazione dell'Albo nazionale dei gestori ambientali, dei requisiti tecnici e finanziari delle imprese e dei responsabili tecnici; dei termini e delle modalità di iscrizione e dei relativi diritti annuali» emanato con decreto del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare 3 giugno 2014, n. 120, recita: «Attività di gestione dei rifiuti per le quali è richiesta l'iscrizione all'Albo – 1. L'iscrizione all'Albo è richiesta per le seguenti categorie di attività: a) categoria 1: raccolta e trasporto di rifiuti urbani; b) categoria 2-bis: produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno di cui all'articolo 212, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; il comma 8 dell'articolo 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede una procedura d'iscrizione all'Albo gestori ambientali «semplificata» per le imprese e per gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi (o pericolosi purché non eccedenti 30 kg/l giorno) «a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti»;
   sul significato di questa condizione manca chiarezza fra gli operatori sia fra quelli di controllo sia fra i privati che producono rifiuti, in particolare sul fatto se essa comprenda anche i rifiuti non derivati direttamente dal «ciclo produttivo (operazioni di lavorazione) come quelli che un'impresa commerciale o di servizi produce, seppur non in maniera continuativa, comunque esito dell'esercizio della propria attività; è, a titolo esemplificativo il caso dei rifiuti di carta da ufficio che tutte le imprese producono e selezionano in maniera differenziata per, poi destinare o ad impianti di recupero privati, al fine di ottenere lo sconto sulla TARI o alle isole ecologiche nel caso in cui l'azienda abbia deciso di servirsi del circuito della raccolta degli urbani e assimilati;
   la citata disposizione del decreto legislativo n. 152 del 2006 non specifica per altro se l'impresa debba essere industriale o commerciare o di servizi;
   il trasporto effettuato in proprio di tali rifiuti, prodotti con frequenza abituale ed indiscutibilmente derivanti dallo svolgimenti della propria attività economica in senso ampio, sembra costituire parte integrante ed accessoria dell'attività principale;
   la presidenza nazionale dell'albo gestori rifiuti, con Circolare prot. n. 437/ALBO/PRES del 29 maggio 2015, ha chiarito la necessità di iscrizione alla categoria 2-bis dell'Albo per l'impresa che intende trasportare ai centri di raccolta i rifiuti speciali assimilati agli urbani derivanti dalla propria attività, rifiuti che per derivazione sono classificati con CER 20, ma nulla ha chiarito in merito al conferimento ad impianti di recupero;
   se non si ritenesse ammissibile l'iscrizione alla categoria 2-bis di tali produttori/trasportatori per la supposta mancanza della condizione richiesta e cioè quella che la produzione di quei rifiuti non è ritenuta parte integrante ed accessorie dell'organizzazione dell'impresa, si aprirebbe un vuoto applicativo della norma in relazione alla necessità di individuare a quale altra/e categoria/e dell'albo debbano essere iscritte tali imprese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del problema e quali iniziative intenda adottare per fare chiarezza sulla corretta interpretazione ed applicazione della normativa. (4-13717)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nucleo di polizia ambientale della capitaneria di porto di Torre del Greco, con la collaborazione del comando di polizia municipale e la partecipazione di un team specializzato dell'Arpa Campania, ha sequestrato negli scorsi giorni un insediamento industriale abusivo di oltre 1000 metri quadrati sito nei pressi di uno dei maggiori alvei cittadini di Torre del Greco, in provincia di Napoli;
   tale plesso industriale esercitava la propria attività in spregio alle norme in materia ambientale, urbanistico/edilizie e paesaggistico/ambientale, recapitando tra l'altro direttamente ed in assenza di alcun tipo di trattamento scarti e rifiuti liquidi industriali di varia natura in pubblica fognatura e, dunque, in mare;
   i titolari dell'azienda in questione sono stati deferiti alla competente autorità giudiziaria per l'attività di gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi, lo sversamento diretto e non autorizzato nel sottosuolo e nelle acque sotterranee di reflui industriali costituenti grave pericolo e potenziale fonte di compromissione anche dell’habitat urbano circostante, la violazione di vincoli paesaggistici, urbanistici ed edilizi con riferimento a varie unità immobiliari abusivamente realizzate all'interno della stessa area, l'omesso trattamento depurativo dei reflui di natura industriale prodotto dal ciclo lavorazione, lo spandimento al suolo di sostanze altamente nocive e l'assenza dei registri di carico/scarico di rifiuti e di altra prescritta documentazione di tracciabilità e gestione dei rifiuti industriali;
   nel corso degli accertamenti investigativi è stata rilevata anche l'assenza di copertura previdenziale, assicurativa e lavorativa dei sette dipendenti che al momento del controllo risultavano svolgere la propria attività nell'azienda;
   le attività investigative sinora poste in essere lungo l'intera fascia costiera ricompresa tra i comuni di Ercolano, Portici e Torre del Greco, ha o già portato alla rilevazione di oltre 210 scarichi illeciti di natura civile ed industriale ed al sequestro di decine di insediamenti industriali;
   se a ciò si sommano i divieti di balneazione emessi riguardo alle aree costiere di Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, diventano evidenti le dimensioni del problema ambientale che sta venendosi a creare, in quella fascia della costa campana –:
   se non ritengano doveroso ed urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per implementare i controlli al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute pubblica nell'area costiera campana. (4-13722)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è di poche settimane fa la notizia del sequestro dei depuratori nei comuni di Amalfi, Praiano, Maiori, Ravello, Atrani e Cetara;
   secondo quanto riferito dalla procura, i depuratori della Costiera amalfitana non effettuerebbero una vera e propria forma di depurazione, bensì sverserebbero in mare i reflui urbani, immettendo così nelle acque sostanze tossiche superiori a quanto consentito;
   tutti gli impianti di depurazione sottoposti a sequestro sarebbero risultati, infatti, privi di autorizzazione per lo scarico in mare e le analisi successive effettuate su ordine della procura avrebbero evidenziato l'inefficienza della depurazione;
   secondo quanto verificato nel corso delle indagini, ad esempio, i reflui prodotti dal comune di Atrani avrebbero comportato il deturpamento del vicino torrente Dragone e gli specchi d'acqua antistanti il litorale di Atrani, così come analoga situazione per i sistemi di Ravello e Cetara;
   in particolare, è emerso dalle indagini che, nel caso dei tre impianti di Ravello, la presenza di fanghi e residui solidi vari, confluendo essi nel torrente Sambuco che poi confluisce con il Regina Minor, avrebbe causato problemi al litorale di Minori;
   a far scattare le indagini, in tutti i casi, sono state le relazioni dell'Arpac che hanno notato la presenza negli scarichi a mare di chiazze marroni, residui schiumosi, solidi e la presenza di batteri pericolosi per la salute umana: di qui le indagini delegate prima ai carabinieri del nucleo ecologico e poi alla guardia costiera e l'individuazione delle singole responsabilità;
   a carico degli indagati, tra cui compaiono gli amministratori e i tecnici della Ausino, società affidataria della gestione degli impianti, le accuse sono di danneggiamento di beni pubblici, getto pericoloso, deturpamento di bellezze naturali, nonché, con riferimento all'impianto di Ravello, il deposito incontrollato dei rifiuti;
   tra gli indagati ci sono anche sindaci e dirigenti pubblici, a carico dei quali è stato contestato il reato di omissione di atti di ufficio, per avere violato gli obblighi normativi e funzionali connessi alle loro cariche; mentre i gestori degli impianti dovranno rispondere di frode in pubbliche forniture per avere omesso di assicurare i lavori di manutenzione alle reti idriche e fognarie;
   il lavoro portato avanti dalle forze dell'ordine e dalla magistratura accende inevitabilmente i riflettori sulla necessità di controlli sull'intero territorio provinciale, a partire dal capoluogo, e, in particolare, sull'opportunità di far luce sulle spese effettuate dai comuni in tema di depurazione;
   cinque anni fa, la provincia di Salerno, grazie anche all'allora assessore regionale all'ambiente, Giovanni Romano, era riuscita ad ottenere 89 milioni di euro di fondi del CIPE per la depurazione di tutto il territorio –:
   se i Ministri siano a conoscenza di fatti esposti in premessa e, quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, ritengano opportuno adottare per verificare come siano stati spesi fondi statali ottenuti, dal momento che le acque del territorio campano risultano ancora inquinate;
   se si intenda promuovere un monitoraggio della situazione ambientale e dell'inquinamento complessivo dalle coste e del mare in Campania, anche ai fini dell'individuazione delle cause che stanno alla base delle inefficienze amministrative descritte in premessa. (4-13731)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 marzo 2001, n. 73 «Interventi a favore della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo, all'articolo 1, comma 2, illustra che: «lo stanziamento a favore della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia, di cui al comma 2 dell'articolo 14 della legge 9 gennaio 1991, n. 19, sarà utilizzato mediante convenzione da stipulare tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, l'Unione italiana e l'Università popolare di Trieste, sentito il parere, da esprimere entro quarantacinque giorni dalla richiesta del Ministero degli Affari Esteri, della Federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, o comunque delle singole associazioni. Detto stanziamento è finalizzato alla realizzazione di interventi ed attività, indicati dall'Unione in collaborazione con la regione Friuli – Venezia Giulia, da attuare nel campo scolastico, culturale, dell'informazione nonché, fino ad un massimo del 20 per cento dello stanziamento annuo previsto, nel campo socio – economico»;
   il 2 luglio 2015 Il sito online del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nella nota stampa dal titolo «Slovenia e Croazia: Firmata Convenzione a favore della minoranza italiana autoctona per il 2015» riporta la notizia della firma, a Roma, della Convenzione per il 2015 tra Ministero degli affari esteri, l'università popolare di Trieste e l'Unione italiana. Il trattato è stato firmato dal direttore generale per l'Unione europea Giuseppe Buccino Grimaldi, per l'università popolare di Trieste dal presidente Fabrizio Somma, e per l'Unione italiana dal presidente della giunta esecutiva, Maurizio Tremul;
   il comunicato spiega, inoltre, come: «Il valore della Convenzione 2015 è pari a 3.132.217 Euro dedicati agli interventi previsti nel corso dell'anno corrente, in favore della Comunità italiana autoctona nelle Repubbliche di Slovenia e Croazia, come precedentemente approvati dal Comitato di Coordinamento, presieduto dal Ministero degli Affari Esteri. Del Comitato fanno parte anche le rappresentanze diplomatico-consolari italiane in Slovenia e Croazia, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, l'Università Popolare di Trieste, l'Unione Italiana e Federesuli, quest'ultima con stato consultivo. (...) Una parte importante del finanziamento, pari a 1.050.194 andrà a beneficio delle scuole e degli asili con lingua d'insegnamento italiana in Slovenia e Croazia – che hanno complessivamente circa 4000 alunni – per consentire interventi per finanziare le attività didattiche e di supporto, nonché per la fornitura di arredi e mezzi didattici»;
   «Per quanto riguarda infine la realizzazione di attività culturali, socio-economiche, sportive e artistiche, a favore di Istituzioni, Enti e Istituti che operano nell'ambito della Comunità Nazionale Italiana – concludono i rappresentanti dell'U.I. e dell'UPT nella nota stampa – sono stati stanziati 2.032.072 Euro che serviranno a finanziare un ampio programma di attività, assistito anche da autofinanziamento. In tale ambito vi saranno in particolare iniziative nel settore universitario, del sostegno allo start-up di imprenditoria giovanile, alla trasmissione in Croazia dei Programmi italiani di TV Capodistria sul digitale terrestre ed ad un importante raduno dei giovani connazionali che si terrà a Pola il prossimo settembre»;
   in data 15 dicembre 2015 il Piccolo di Trieste, nell'articolo «Legge di Stabilità, 5,8 milioni di euro per le minoranze italiane», riporta come: «la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato lo stanziamento nella Legge di stabilità di 5,8 milioni di euro all'anno a favore delle tradizioni storiche, culturali e linguistiche delle comunità giuliano dalmate e a sostegno delle minoranze italiane in Slovenia e Croazia. (...) I fondi andranno al finanziamento di due leggi: quella a favore delle tradizioni storiche, culturali e linguistiche delle comunità giuliano dalmate [(in riferimento è alla legge n. 72 del 2001 è autorizzata la spesa di 2,3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018) e quella a sostegno delle minoranze italiane in Slovenia e Croazia [in riferimento alla legge n. 73 del 2001 è autorizzata la spesa di 3,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018]»;
   il quotidiano Il Piccolo di Trieste in un articolo del 3 luglio 2016, dal titolo «Non arrivano i fondi, l'Unione Italiana ora rischia la paralisi», illustra le difficoltà della Comunità nazionale italiana e riporta la dichiarazione del Presidente della Giunta Esecutiva dell'Unione Italiana, Maurizio Tremul, che in apertura dei lavori dell'esecutivo presso la Comunità di Levade-Gradigne, nell'Istria centrale, ha affermato: «Purtroppo i regolari fondi da Roma e dal Friuli Venezia Giulia non arrivano e non ricordo una situazione precedente come questa, neanche negli anni più difficili per gli Italiani». La nota stampa spiega che: «Tremul ha ricordato che le relative convenzioni non sono state ancora firmate e che finora il Comitato di coordinamento per le attività in favore della Comunità nazionale italiana in Slovenia e Croazia non si è ancora espresso sulla programmazione relativa al 2016»;
   il presidente ha, inoltre, dichiarato come: «(..) l'Assemblea dell'Unione Italiana ha accolto nel febbraio scorso il Programma di lavoro e il Piano finanziario redatto già nel dicembre scorso e successivamente in parte modificato in seguito a una soluzione di compromesso raggiunta con l'Università Popolare di Trieste». «In questo momento – ha evidenziato Tremul – le Comunità degli Italiani e le altre nostre istituzioni sono venute a trovarsi con l'acqua alla gola e praticamente non dispongono più di risorse per portare avanti l'attività ordinaria e per la copertura delle spese di gestione». Alla fine sconfortato ha dichiarato: «Non ho una spiegazione, non capisco il motivo e non vedo una ragione per questa situazione» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se intendano spiegare le cause del ritardo nell'erogazione dei fondi in favore della comunità italiana autoctona nelle Repubbliche di Slovenia e Croazia, il cui utilizzo deve essere definito mediante apposite convenzioni e fornire i dovuti chiarimenti sulle tempistiche previste per la loro erogazione. (5-09114)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come viene segnalato all'interrogante dall'Osservatorio nazionale sull'amianto, continuano a essere diagnosticati nuovi casi di patologie asbesto correlate e continua ad aumentare il numero dei decessi tra i dipendenti civili e militari delle forze armate e degli altri corpo deputati alla sicurezza dello Stato;
   il Ministro interrogato, rispondendo il 10 agosto 2015 all'interrogazione a risposta scritta presentata dal firmatario del presente atto n. 4-08875, ha dichiarato che risultano 405 casi di «malattia asbesto correlati» con 211 decessi nello stesso periodo, in particolare 45 decesso in Aeronautica, 50 nei Carabinieri, 39 nell'Esercito e 77 nella Marina militare, mentre nel V rapporto mesoteliomi del ReNaM che l'INAIL ha pubblicato nel dicembre 2015 risultano 621 casi di mesotelioma nel solo settore della difesa;
   in realtà, il mesotelioma costituisce la punta dell’iceberg rispetto a tutte le altre patologie asbesto correlate;
   risulta che ancora a tutt'oggi i militari della Marina militare sono imbarcati su navi che non sono state ancora bonificate o quantomeno non del tutto bonificate rispetto all'amianto utilizzato, che si trova nelle tubature, nei macchinari e persino nelle cabine, con conseguente inevitabile esposizione di tutto il personale a bordo, e anche nelle basi a terra: un dramma del passato, una tragedia per il presente e per il futuro;
   è attualmente pendente presso il tribunale penale di Padova un processo penale a carico di 14 alti ufficiali (tra cui 6 ammiragli) della Marina militare italiana, imputati di «omicidio colposo e cooperazione nel delitto colposo», in ragione della morte sospetta di decine e decine di militari; tra questi vi è anche il caso del Capitano di Vascello Francesco Paolo Sorgente, già parte offesa nel citato procedimento penale, che nel frattempo è deceduto (sono ora costituiti parte civile tutti i familiari);
   la difesa dei familiari del capitano Sorgente, dopo aver formalizzato la costituzione di parte civile nel procedimento penale e agito anche contro il Ministero della difesa per il risarcimento dei danni, ottenendone la citazione come responsabile civile, ha agito presso il tribunale di Cagliari per ottenere la condanna del Ministero della difesa ad erogare in favore dei familiari della vittima i benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, a norma del comma 565 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
   il tribunale di Cagliari, in funzione di magistratura del lavoro, con sentenza n. 917 del 22 giugno 2016, ha condannato il Ministero della difesa al pagamento in favore di ciascuno dei famigliari dell'assegno previsto dall'articolo 2 della legge n. 407 del 1998 per l'importo di euro 500,00, per tutti gli effetti equiparando il capitano Sorgente alle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, dopo che lo stesso Ministero lo aveva riconosciuto come vittima del dovere;
   infatti, il tribunale di Cagliari afferma che «l'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006 (...), estendendo l'elargizione dei benefici riconosciuti alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata anche alle vittime del dovere, ha assimilato le posizioni soggettive delle due categorie, con un intervento perequativo che è poi proseguito nelle successive modifiche intervenute nella normativa di settore»;
   al contrario, il Ministero della difesa, a quanto risulta all'interrogante, continua a disapplicare e/o violare le leggi dello Stato, in danno dei lavoratori che si sono ammalati e/o sono deceduti, negando a loro e/o ai famigliari le prestazioni previdenziali e assistenziali che sarebbero dovute per effetto dell'assimilazione alle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo;
   l'Osservatorio nazionale sull'amianto ha da tempo sollecitato i vertici delle Forze armate affinché il personale civile e militare ottenga, con il riconoscimento della qualità di vittima del dovere di coloro che si sono ammalati e di vedove e orfani di vittime del dovere per i loro famigliari, anche la liquidazione delle prestazioni assistenziali e previdenziali riservate alle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo;
   a tutt'oggi, invece, nonostante il chiaro dettato normativo avvalorato anche dal tribunale di Cagliari nella già citata sentenza, le vittime dell'amianto e/o del dovere, in seguito ad esposizione ad amianto, non ottengono quanto loro dovuto e quindi hanno dovuto iniziare decine e decine di azioni giudiziarie, quindi con maggiori costi per spese legali dell'Avvocatura dello Stato e di amministrazione della giustizia;
   inoltre, la mancata applicazione della legge dello Stato, oltre ad arrecare un pregiudizio economico alle vittime e ai loro familiari, costituisce una ulteriore ingiusta lesione della loro dignità già duramente provata dall'esposizione ad amianto e dall'insorgenza delle conseguenti patologie ed ulteriori eventi traumatici;
   le vittime dell'amianto si sentono doppiamente vittime, perché anche dopo il loro riconoscimento si vedono negati i loro diritti;
   il dover intraprendere azioni giudiziarie contro lo stesso Ministero e il fatto che siano imputati alti ufficiali per il reato di omicidio colposo e lesione costituisce una ulteriore lesione morale dovuta al senso di abbandono dello Stato nei confronti delle vittime, tali per aver svolto attività di servizio nel rispetto degli ordini loro impartiti, seppur in assenza delle necessarie garanzie per la tutela della loro salute –:
   quali iniziativa di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che alle vittime del dovere per esposizione ad amianto, già riconosciute come tali, vengano negati i diritti previdenziali loro dovuti per effetto dell'equiparazione alle vittime della criminalità organizzata e del terrorismo, tenendo conto del fatto che le vittime del dovere per ottenere il riconoscimento dei loro diritti al risarcimento dei danni hanno dovuto formalizzare la costituzione di parte civile nel processo penale pendente presso il tribunale di Padova a carico di alti ufficiali della Marina militare e in altri procedimenti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che le vittime del dovere, per ottenere le ulteriori prestazioni previdenziali e assistenziali loro dovute, siano costrette a intraprendere azione giudiziaria presso la competente magistratura del lavoro;
   se il Ministro interrogato non ritenga che le azioni giudiziarie intraprese dalle vittime dell'amianto tra i dipendenti civili e militari comporteranno un maggiore esborso in termini di spese legali dell'Avvocatura dello Stato e di amministrazione della giustizia, oltre che trasformarsi in un ulteriore calvario per le vittime e i loro familiari. (4-13727)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dell'ennesima denuncia di incarico illegittimo disposto presso l'Agenzia delle entrate, che mette in luce, ancora una volta, ad avviso dell'interrogante, come negli uffici della pubblica amministrazione, e in particolare presso le agenzie fiscali, governi il «caos» più totale e accade, dunque, che persone con meno competenze di altre si vedano riconosciuti incarichi ai quali non potrebbero accedere per legge;
   la Dirstat denuncia quanto avvenuto nella direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate di Taranto, attualmente sede dirigenziale, dove è stata distaccata temporaneamente una funzionaria terza area F/3 proveniente da Bari e conferita alla stessa, con delibera per l'attribuzione delle deleghe di firma per l'anno 2016, prot. 115/RDI del 12 maggio 2016, una delega di firma superiore a quella del proprio «Capo Team», quest'ultimo titolare di posizione organizzativa prevista dai contratti collettivi nazionali, con delega di funzioni e di firma sino a 50.000,00 euro per gli atti di propria competenza. In pratica – ed è questo l'aspetto che si ritiene surreale e sintomo di un incarico riconosciuto in violazione della legge – la funzionaria in questione, mentre per le ferie e per le altre incombenze dipende dal «Capo Team», sul piano «operativo» ha una delega di firma fino a 100.000,00 euro per tutti gli atti, senza però nessuna delega di funzioni, potendo in teoria bloccare i provvedimenti firmati dal suo superiore, e ciò non si comprende a che titolo. Al riguardo, tra l'altro, come dichiara il vicesegretario generale Dirstat, Pietro Paolo Boiano, è assurdo distaccare provvisoriamente un funzionario a 150 chilometri dalla sua sede naturale, quando nel medesimo ufficio ci sono funzionari appartenenti alla stessa area che possono svolgere identiche funzioni –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa;
   se i Ministri intendano adottare iniziative affinché venga riportata la legalità nell'affidamento degli incarichi nelle agenzie fiscali, area della pubblica amministrazione in cui i casi di violazione di legge nell'attribuzione degli incarichi dirigenziali si ripetono da anni in mancanza di idonei interventi del Governo, come denuncia da tempo l'interrogante e come dimostrano le copiose sentenze della giustizia amministrativa nonché della Corte Costituzionale. (5-09107)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono oltre 15 mila le adesioni finora raccolte per una petizione popolare finalizzata allo scorporo dal circondario del tribunale di Napoli nord dei comuni di Afragola, Arzano, Casavatore e Casoria e la ricollocazione dei medesimi nell'ambito territoriale del circondario del Tribunale di Napoli;
   i cittadini sottoscrittori contestano la riforma della geografia giudiziaria, attuata con i decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012 che, disponendo la soppressione delle sezioni distaccate di tribunale presenti sui territori di Afragola e Casoria, ha contemporaneamente accorpato i relativi ambiti territoriali nel costituendo tribunale di Napoli nord, situato nel comune di Aversa, in provincia di Caserta;
   la suddetta revisione, oltre a essere causa di effetti devastanti per gli operatori che quotidianamente esercitano la loro professione nel settore giustizia, ne ostacola l'accesso per i cittadini dei comuni di Afragola, Arzano, Casavatore e Casoria, ed in particolare per i cittadini meno abbienti, ad avviso degli interroganti in totale contrasto con i diritti costituzionalmente garantiti;
   molteplici e diverse appaiono le cause che delegittimano l'assegnazione dei citati comuni all'ambito territoriale del tribunale di Napoli nord (Aversa provincia di Caserta):
    a) la perdita di un presidio di legalità su territori notoriamente interessati da significativi fenomeni di malavita organizzata, comprime ulteriormente il controllo dello Stato, non essendo sicuramente agevolato dalla considerevole distanza dal tribunale di Napoli nord;
    b) la distanza territoriale tra i predetti comuni e la sede del tribunale di Napoli nord è resa ancor più grave dalla totale assenza di un collegamento diretto tra il territorio di Afragola, Arzano e Casavatore a quello di Aversa, ad oggi, ancora non previsto da un servizio di trasporto pubblico, ed oggetto di ulteriori rimodulazioni e ridimensionamenti a seguito del piano di trasporto pubblico previsto dalla regione Campania. Questo disagio, nei casi di cittadini meno abbienti e di famiglie con componenti con disabilità, costretti a ricorrere di continuo al giudice tutelare, si traduce in violazione del diritto di difesa;
    c) l'imponente varietà di rapporti economici, sociali e culturali che uniscono il territorio napoletano con quello dei comuni posti a nord di Napoli (Afragola, Arzano, Casavatore e Casoria) ne fanno un unicum inscindibile, tanto da far rientrare questi ultimi a pieno titolo nella costituita città metropolitana di Napoli;
    d) da ultimo non può non segnalarsi lo scandaloso aumento dei costi, gravanti sulla nostra comunità locale già segnata dall'imperante crisi economica, dovuti all'assegnazione ad un ufficio giudiziario distante decine di chilometri, che compromette il corretto esercizio giudiziario richiesto da un'intera comunità che sempre più necessita invece del suo supporto;
   è evidente che la riforma della cosiddetta geografia giudiziaria, così come è stata concepita, risulta irrazionale:
    non ha rispettato alcun criterio geografico territoriale, considerato che la distanza dei detti comuni con Napoli varia da un minimo di quattrocento metri a un massimo di cinque chilometri, mentre il Tribunale di Napoli nord è posto a oltre 30 chilometri da tali località;
    ha comportato ripercussioni dannose all'unitarietà culturale, economica e sociale delle comunità locali, obbligate ad un inutile e controproducente dispendio di risorse pubbliche e private –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se in risposta ai cittadini dei comuni interessati che sollecitano l'intervento immediato delle istituzioni al fine di apportare modifiche e correttivi ai decreti legislativi n. 155 n. 156, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per scorporare i comuni summenzionati dal circondario del tribunale di Napoli Nord (Aversa, provincia di Caserta), con la contemporanea assegnazione degli stessi all'ambito territoriale del Tribunale di Napoli. (5-09104)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 31 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (cosiddetto «decreto Liberalizzazioni»), convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha previsto la progressiva de-materializzazione dei contrassegni relativi ai contratti di assicurazione R.C.A., e la loro sostituzione con sistemi elettronici o telematici, al fine di contrastare la contraffazione di tali contrassegni;
   a decorrere dal 18 ottobre 2015, è quindi cessato l'obbligo di esporre sul veicolo il contrassegno di assicurazione, recante il numero della targa e l'indicazione dell'anno, mese e giorno di scadenza, che l'impresa di assicurazione consegnava all'assicurato unitamente al certificato di assicurazione, certificato che invece i conducenti dei veicoli devono continuare a portare con sé, per esibirli in sede di controllo;
   con successivo decreto interministeriale, sono state definite le modalità di tale processo di de-materializzazione, fissandone la conclusione nel termine massimo di due anni dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso, adottato con decreto 9 agosto 2013 e pubblicato nella, Gazzetta Ufficiale n. 232 del 3 ottobre 2013;
   in particolare, il regolamento ha previsto che, entro i termini dettati dal successivo articolo 4, comma 1, lettera e), la corrispondenza dei dati relativi al veicolo con l'esistenza e la validità della copertura assicurativa obbligatoria, fossero verificati anche mediante il ricorso all'utilizzo dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo e rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del codice della strada approvati od omologati ai sensi dell'articolo 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;
   dalla lettura del combinato disposto dell'articolo 1, comma 597, della legge di stabilità n. 208 del 2015 – che ha aggiunto all'elenco delle violazioni che possono essere accertate con apparecchiature di rilevamento omologate o approvate anche la revisione obbligatoria dei veicoli, la violazione dell'obbligo dell'assicurazione dei veicoli e le violazioni della massa complessiva dei veicoli e dei rimorchi – e dell'articolo 201, comma 1, quater del codice della strada, si evince come la legittimità dell'utilizzo dei dispositivi automatici per le violazioni sopra richiamate sia condizionato all'esito positivo della procedura di omologazione o di approvazione da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in conformità con il richiamato articolo 45, comma 6, del codice della strada;
   il processo di de-materializzazione avrebbe dovuto articolarsi secondo alcune fasi che prevedevano, in particolare, la definizione e l'operabilità della struttura informatica del database costituente la banca dati, il trasferimento massivo alla banca dati, da parte direzione generale per la motorizzazione, delle informazioni contenute negli archivi istituiti presso l'associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), la definizione e l'operabilità delle connessioni informatiche, nonché dei sistemi di accesso e trasmissione via web delle informazioni necessarie all'aggiornamento del database, da parte delle imprese di assicurazione;
   inoltre, nel termine di diciotto mesi dalla entrata in vigore del regolamento in oggetto, la direzione generale per la motorizzazione doveva definire e rendere operativa la predisposizione della banca dati per garantire la possibilità di collegamento con i dispositivi, le apparecchiature ed i mezzi tecnici per il controllo del traffico e per il rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del codice della strada previsti dalle vigenti disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 285 del 1992, fatta salva l'eventuale adozione di un decreto interministeriale di definizione delle caratteristiche dei predetti sistemi di rilevamento a distanza;
   stando a quanto previsto dal regolamento recante norme per la progressiva de-materializzazione dei contrassegni di assicurazione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero dello sviluppo economico avrebbero altresì dovuto rendere noto, attraverso comunicazione fornita sui rispettivi siti web, lo stato di realizzazione del processo di de-materializzazione, e delle relative fasi di sperimentazione;
   l'accertamento della violazione degli obblighi assicurativi delle polizze di responsabilità civile (RC) auto avviene attualmente attraverso il ricorso a un sistema di rilevazione denominato «Targa System» che effettua un controllo incrociato tra i database delle forze dell'ordine, dei Ministeri e dell'Agenzia delle entrate; tale sistema risulta però attualmente operativo solo su consultazione dei pubblici ufficiali, ad esempio nel corso di un posto di blocco, mentre non è ancora possibile il controllo automatico della copertura assicurativa delle vetture in circolazione, attraverso l'utilizzo delle telecamere già in uso per i dispositivi di autovelox, Tutor, Telepass e telecamere Ztl, in assenza della norma atta a omologare detti dispositivi anche per il controllo della RC auto;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha di recente emanato un parere (prot. 3311 del 3 giugno 2016) a firma del direttore generale ingegnere Dondolini dal quale si evince chiaramente che i controlli automatici, svolti delle forze di polizia stradale, per rilevare l'omessa revisione periodica del veicolo la mancata copertura assicurativa non sono attualmente omologati per dette rilevazioni in automatico, nonostante le previsioni di legge contenute nel decreto-legge liberalizzazioni;
   il codice della strada prevede infatti la necessaria omologazione di dispositivi o apparecchiature per l'accertamento delle violazioni in assenza degli organi di polizia stradale, ovvero la loro approvazione per il funzionamento in modo completamente automatico;
   per quanto di conoscenza degli interroganti, allo stato attuale non risulta approvato, ovvero omologato, alcun dispositivo funzionate in modalità automatica per l'accertamento della omessa revisione del veicolo circolante;
   si rileva inoltre una presunta contraddizione in termini tra le diverse procedure di omologazione o approvazione dei dispositivi automatici in questione, previste dall'articolo 45, comma 6, del codice della strada – che rimanda al regolamento di esecuzione – e la disposizione normativa di cui all'articolo 31, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2012 convertito dalla legge n. 27 del 2012, che prevede una diversa procedura rispetto alla disciplina della materia a carattere generale dettata dal codice della strada;
   inoltre, come conseguenza logica, non appare neppure regolare l'adozione della procedura adottata ai sensi dell'articolo 180 del codice della strada, che al comma 8 prevede: «Chiunque senza giustificato motivo non ottempera all'invito dell'autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni amministrative previste dal presente codice, e dall'articolo 32 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 422,00 a euro 1.695,00. Alla violazione di cui al presente comma consegue l'applicazione, da parte dell'ufficio dal quale dipende l'organo accertatore, della sanzione prevista per la mancanza del documento da presentare, con decorrenza dei termini per la notificazione dal giorno successivo a quello stabilito per la presentazione dei documenti», in quanto, proprio per l'assenza di dispositivi automatici approvati come sopra accennato è possibile accertare la violazione di cui all'articolo 80 comma 14, solo ed esclusivamente attuando la procedura di accertamento con contestazione immediata, procedura questa necessaria per poi, a seconda delle situazioni, applicare l’iter dell'articolo 180, comma 8, sopracitato –:
   se, alla luce dei rilievi esposti in premessa, i Ministri interrogati possano rendere noti i motivi dell'attuale mancata omologazione ed approvazione di qualsiasi dispositivo funzionante in modalità automatica per l'accertamento della omessa revisione dei veicoli circolanti e altresì chiarire quale sia la corretta procedura di omologazione e approvazione dei dispositivi automatici da utilizzarsi per il rilevamento delle violazioni di cui all'articolo 193 del codice della strada;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare alla luce delle osservazioni formulate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel parere prot. 3311 del 3 giugno 2016 per sanare la presunta irregolarità della procedura adottata ai sensi dell'articolo 180, comma 8, del codice della strada, relativamente all'accertamento con contestazione immediata. (5-09106)


   LUIGI GALLO, BRESCIA, VACCA, CHIMIENTI, LUPO, VALLASCAS e GALLINELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è venuto a conoscenza dei fatti e delle circostanze di cui ai capoversi successivi;
   in data 30 settembre 2015 il signor D.S. ha fatto richiesta di rinnovo del certificato IMO STCW ‘95 modello n. 0251 da Comandante su navi superiori a 3000 GT alla Capitaneria di porto di Genova;
   in data 7 ottobre 2015, con nota n. 38428, la Capitaneria di porto di Genova ha notificato al signor S. il preavviso di rigetto dell'istanza, dichiarando che dopo valutazione delle condizioni di ammissibilità e dei requisiti di legittimazione rilevanti per la conclusione dell'istruttoria, «è emerso che non sussistono i presupposti per un integrale accoglimento della domanda», giacché il certificato di competenza del quale si richiede il rinnovo, seppur il marittimo in questione fosse in regola con i requisiti previsti dal decreto legislativo del 7 luglio 2011, n. 136, può essere convalidato non oltre il primo gennaio 2017, come previsto dall'articolo 28 del decreto legislativo del 12 maggio 2015, n. 71;
   successivamente, la Capitaneria di porto, esaminate le osservazioni del comandante, ha provveduto, con foglio n. 27.06/41047, in data 27 ottobre 2015, ad emettere un provvedimento di rigetto della istanza precisando che «nel rispetto di quanto indicato dall'articolo 28, comma 2, del succitato decreto legislativo, il rinnovo del certificato avrebbe efficacia solo sino alla data del 1o gennaio 2017», e non per cinque anni come da decreto legislativo del 7 luglio 2011, n. 136;
   in risposta a tali vicissitudini, il signor S. ha presentato istanza di ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio per chiedere l'annullamento del suddetto provvedimento del 27 ottobre 2015 di rigetto dell'istanza di rinnovo di abilitazione IMO STCW ‘95 e della circolare del Comando generale del corpo delle capitanerie del 27 dicembre 2011 nella parte in cui prevede che la data di validità dei certificati IMO non potrà andare oltre il 1o gennaio 2017 e per l'accertamento del diritto di ottenere il rinnovo della menzionata abilitazione IMO per 5 anni e, dunque, sino al 23 novembre 2020;
   il TAR del Lazio, sulla base di violazione e falsa applicazione dall'articolo 28 del decreto legislativo del 12 maggio 2015, n. 71, con sentenza n. 06619/2016 sul ricorso n. 13931/2015, ha annullato sia il provvedimento del 27 ottobre 2015 di rigetto dell'istanza di rinnovo di abilitazione IMO STCW/95 su navi pari o superiori a 3.000 gt, sia la circolare del Comando generale del corpo delle capitanerie di porto in oggetto, nella parte riguardante la data di validità, condannando il Ministero delle infrastrutture e di trasporti al pagamento delle spese di lite in euro 2.000,00;
   infatti, il succitato articolo 28 stabilisce, tra le altre cose, che «Fino al 1o gennaio 2017, le autorità competenti possono continuare a rinnovare e prorogare certificati di competenza e convalide conformemente ai requisiti previsti dal decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136», intendendo riferirsi, secondo quanto riportato nella sentenza del TAR, ai requisiti previsti dal decreto legislativo n. 136 del 2011 nonché all'articolo 7, comma 8, dello stesso decreto, in base al quale i certificati conformi ai requisiti «abilitanti alle funzioni di comandante, direttore di macchina, ufficiali di coperta e di macchina ed il relativo rinnovo hanno validità di sessanta mesi o fino a quando gli stessi sono revocati, sospesi od annullati»;
   è utile inoltre ricordare che il comma 5 del medesimo articolo 28 stabilisce che «fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 13, comma 5, continuano ad applicarsi le disposizioni dell'allegato IV al decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136» che prevede che il rinnovo venga disposto per un periodo quinquennale;
   nonostante ciò, in data 10 giugno 2016 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emesso un'altra circolare a firma del direttore generale dottor Enrico Maria Pujia diretta alle direzioni marittime, alle Capitanerie di porto, all'Ufficio circondariale marittimo di Porto Santo Stefano e, per conoscenza, al Comando generale del corpo delle capitanerie di porto, con la quale affermava che nelle more della notifica formale della sentenza, al fine di consentire l'eventuale impugnazione della stessa, a suo avviso il decreto ministeriale del 1o marzo 2016, n. 51, avesse superato il problema alla base del ricorso;
   in effetti, tale decreto ministeriale stabilisce, all'articolo 11, che fino alla emanazione dei provvedimenti attuativi della convenzione di Manila, i certificati e la prova documentale di cui al decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, hanno validità fino al 1o gennaio 2017;
   tuttavia, è doveroso sottolineare come la data di emissione di tale decreto sia antecedente alla data in cui è stata emessa la sentenza del TAR che, de facto, ha preso una tale decisione nonostante fosse a conoscenza del decreto impugnato dai Ministero delle infrastrutture e di trasporti;
   oltre a ciò, non è possibile non considerare che in base a quanto stabilito dall'articolo 10, libro III del codice del processo amministrativo, le sentenze del TAR sono esecutive finché il Consiglio di Stato non decida l'eventuale sospensione dell'esecuzione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga appropriato assumere iniziative volte a svolgere una revisione della posizione del signor S.D. alla luce della sentenza di cui in premessa, e per garantire la tutela del lavoro marittimo e l'applicazione del codice STCW così come internazionalmente sottoscritto;
   quali iniziative anche di carattere normativo, intenda assumere il Ministro interrogato alla luce delle argomentazioni tracciate nel caso descritto in premessa, affinché siano chiarificate e rese univoche per tutti, senza interpretazioni e adattamenti di sorta, le procedure per il rinnovo del certificato IMO STCW95. (5-09109)


   NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DE LORENZIS, SPESSOTTO, DELL'ORCO e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 luglio 2016 Confartigianato Trasporti Sardegna, come si legge in una nota, ha inviato una lettera al Ministro interrogato, per denunciare il «collasso del sistema delle motorizzazioni» dell'isola e «l'insostenibile condizione in cui si trovano a operare imprese di trasporto e autoscuole» e per chiedere «un immediato, improrogabile e inderogabile intervento a tutela del sistema dei trasporti delle merci e delle persone e di tutta la popolazione della Sardegna»;
   i disagi per gli imprenditori di tutto il comparto e per i cittadini sono innumerevoli: secondo quanto riportato da Confartigianato Trasporti, infatti, occorre attendere più di sei mesi per le immatricolazioni «conto terzi», almeno 13 mesi per le revisioni e sei mesi per gli esami delle patenti di guida;
   le motorizzazioni di Sassari, Cagliari, Nuoro e Oristano stanno operando con personale ridotto e pertanto sta diventando pressoché impossibile riuscire a garantire con tempi adeguati e certi lo svolgimento di attività quali revisioni, collaudi, immatricolazioni, variazioni ed esami per il conseguimento delle patenti di guida. In particolare, a quanto si apprende, non è raro vedere esposto presso gli uffici della motorizzazione di Sassari cartelli con la scritta «sportello immatricolazioni chiuso per mancanza di personale»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 gennaio 2015 ha disposto il trasferimento di funzioni in materia di tenuta degli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in attuazione dell'articolo 1, comma 94, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014);
   secondo l'articolo 1 di tale decreto, infatti, «sono attribuite agli uffici periferici della Motorizzazione civile, nell'ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, le funzioni già trasferite alle amministrazioni provinciali ai sensi dell'articolo 105, comma 3, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia di tenuta degli Albi provinciali, quali articolazioni dell'Albo nazionale degli autotrasportatori, ivi compresa la verifica della sussistenza dei requisiti per l'esercizio della professione di autotrasportatore relativi all'onorabilità, alla capacità professionale, alla capacità finanziaria e allo stabilimento, come definiti dal Regolamento CE 1071/2009»;
   le criticità emerse in seguito al passaggio di competenze suddetto sono state già evidenziate dal primo firmatario della presente interrogazione nella risoluzione in Commissione 7-00760, presentata in data 4 agosto 2015 e approvata con il parere favorevole del Governo in data 2 febbraio 2016;
   la risoluzione in parola impegnava il Governo ad adottare urgentemente iniziative volte alla soluzione in tempi rapidi delle problematiche sorte in seguito al passaggio di competenze suddetto, in relazione, in particolare, alla difficoltà di iscrizione nell'albo degli autotrasportatori e ai lunghi tempi di attesa per sottoporre i veicoli alla revisione prevista dalla normativa vigente;
   nel corso della discussione in Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della risoluzione citata, inoltre, il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti, Umberto Del Basso De Caro, nell'esprimere parere favorevole sulla proposta di risoluzione, sottolineava che «il passaggio delle competenze in materia di tenuta degli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province agli uffici periferici della Motorizzazione ha contribuito ad aumentare le difficoltà operative degli uffici stessi», osservando che «la riduzione progressiva del personale in servizio, più che dimezzato negli ultimi quindici anni, ha comportato su tutto il territorio nazionale, e in particolare per gli uffici della Sardegna, l'emergere di alcune criticità». Il sottosegretario sempre in quell'occasione rilevava, – inoltre, che «tale procedura ha di fatto dematerializzato l'invio della richiesta consentendo di svolgere la fase istruttoria più rapidamente e anche in diverse sedi»;
   a distanza di circa un anno dalla presentazione dell'atto suddetto e di alcuni mesi dalla sua approvazione, nonostante l'impegno assunto dal Governo, la situazione, che, soltanto in un primo tempo sembrava in via di miglioramento, appare oggi molto grave;
   come riportato da Confartigianato Trasporti Sardegna nella medesima missiva citata, infatti, dal momento della prenotazione le imprese di autotrasporto rischiano di dover aspettare anche un anno per lo svolgimento da parte della motorizzazione delle operazioni richieste. Le lunghe attese comportano inevitabilmente ingenti danni per gli imprenditori del settore che, perdendo importanti commesse, si espongono di conseguenza a un alto rischio di fallimento;
   a fronte di un consistente introito complessivo annuo, che si aggira attorno ai 12,4 milioni di euro, proveniente dalle quattro motorizzazioni sarde il servizio offerto appare, ad avviso degli interroganti, inadeguato: secondo i dati pubblicati dal quotidiano locale La Nuova Sardegna in data 6 luglio 2016 circa un milione di euro arriva dalle revisioni dei mezzi pesanti, 1,2 milioni dagli esami per il rilascio delle patenti di guida, 6 milioni da immatricolazioni, reimmatricolazioni e duplicati di carte di circolazione e 4,2 milioni dalle revisioni delle auto nelle officine autorizzate che le svolgono sotto il controllo delle stesse motorizzazioni –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, rispettando l'impegno assunto, per far fronte in tempi rapidi e certi alle criticità esposte in premessa al fine del superamento delle problematiche emerse in seguito al passaggio di funzioni in materia di tenuta degli albi provinciali degli autotrasportatori dalle province agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, affinché gli imprenditori del settore non siano ostacolati nello svolgimento del proprio lavoro e i cittadini non debbano subire ulteriori disagi. (5-09111)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 90 delle Puglie assicura il collegamento tra Campania e Puglia;
   il percorso si snoda tra le province di Avellino e Foggia;
   la strada inizia nel comune di Venticano all'altezza della strada statale 7 per concludersi a pochi chilometri da Foggia confluendo nella strada statale 673;
   nel tratto stradale che va da Grottaminarda fino al bivio per Benevento si verificano incidenti automobilistici con una certa frequenza e spesso sono mortali;
   il tratto in questione è molto trafficato e, pertanto, il manto di asfalto è particolarmente soggetto a logoramento;
   ciononostante da tempo non si è provveduto al rifacimento del manto stradale che presenta fossi e avvallamenti, esponendo gli automobilisti a rischi altissimi;
   il sindaco del comune di Mirabella Eclano, in provincia di Avellino, lungo il quale passa la statale delle Puglie, ha reso noto recentemente di aver sollecitato l'Anas a più riprese affinché provveda a mettere in sicurezza l'arteria;
   dal gestore della rete stradale non sono seguiti interventi significativi e risolutivi come, ad esempio, il rifacimento del manto stradale –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative affinché l'Anas inserisca la statale delle Puglie tra le arterie italiane che necessitano di interventi prioritari per prevenire altri incidenti e tutelare così i tantissimi automobilisti che quotidianamente la percorrono;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché l'Anas provveda tempestivamente al rifacimento del manto stradale della strada statale 90 delle Puglie, in particolare nel tratto che va da Grottaminarda (AV) al bivio per Benevento. (4-13712)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diverse note e circolari, nonché il comunicato stampa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 12 ottobre 2015, hanno esplicitato che ai fini dell'accertamento della copertura, l'attestazione rilasciata dall'impresa di assicurazione dell'avvenuta stipula o del pagamento «prevale in ogni caso rispetto a quanto accertato o contestato a seguito di consultazione della banca dati. Resta in ogni caso fermo l'obbligo, previsto dall'articolo 180 del Codice della strada, di tenere a bordo del veicolo il certificato di assicurazione»;
   per quanto attiene al rilascio della documentazione assicurativa l'IVASS, con provvedimento n. 41 del 22 dicembre 2015, in considerazione della circostanza che la documentazione assicurativa che consegna l'impresa all'atto della stipula del contratto non prevede più particolari regole di stampa, peraltro precedentemente previste solo per il contrassegno ora non più soggetto a consegna, ha disposto la digitalizzazione del certificato assicurativo;
   nel caso di stipula di contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la trasmissione del certificato di assicurazione può avvenire anche tramite posta elettronica e l'assicurato deve procedere in proprio alla stampa del certificato che deve essere conservato nel veicolo;
   la documentazione così detenuta possiede i requisiti di legittimità, per gli effetti di cui all'articolo 180, comma 1, lettera d), del codice della strada, in quanto comunque emanata e trasmessa dall'impresa di assicurazione;
   il controllo del certificato di assicurazione costituisce il punto di partenza dei controlli diretti ad accertare l'esistenza di una valida copertura assicurativa, seguito dalla verifica della presenza della copertura nel portale dell'automobilista e, in caso di assenza, di tutta la documentazione contrattuale che dovrà essere esibita dai soggetti destinatari dei controlli;
   nonostante il quadro normativo sin qui delineato, numerosi automobilisti continuano a subire il sequestro del veicolo sulla base delle mere risultanze del portale dell'automobilista, qualora quest'ultimo restituisca una informazione attestante l'assenza di copertura assicurativa;
   in considerazione del generale principio di prevalenza delle risultanze cartacee rispetto a quelle della banca dati, la verifica della documentazione continua a costituire il momento centrale dell'accertamento, anche al fine di evitare l'inutile aggravio del carico di lavoro per l'annullamento dei verbali di sequestro nei casi in cui si dimostra sussistere la copertura assicurativa –:
   quali iniziative ritengano di assumere al fine di addivenire a comportamenti omogenei da parte delle autorità pubbliche preposte ed evitare inutili contenziosi con gli automobilisti. (4-13714)


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il lotto funzionale TAV Treviglio (BS) – Verona è progettato a livello definitivo con conferenza di servizi già definita;
   al termine di questo percorso dovrebbero essere avviate le varie fasi operative (espropri, appalti, e altro);
   le risorse per la realizzazione della Tav Brescia-Verona sono state stanziate nella legge di stabilità 2014 e in quella 2015, per un importo pari a 2,3 miliardi di euro;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in diverse occasioni ha dichiarato che «è urgente far partire i lavori della Tav tra Brescia e Verona e io dico che possiamo farcela entro il 2016»;
   nel corso dell'assemblea dei soci di Transpadana, il comitato promotore della tratta tra Trieste e Torino, è emerso il possibile slittamento dell'inizio dei lavori (un tempo previsti per il giugno 2015) almeno fino alla fine del 2017, se non al 2018;
   infatti, il progetto originario prevedeva che la nuova linea, arrivando da Milano, proseguisse verso Verona attraverso il cosiddetto « shunt» – una deviazione – che aggirasse il centro di Brescia e passasse tangente all'aeroporto di Montichiari (peraltro di proprietà della società veronese gestore dell'aeroporto V. Catullo);
   su proposta del comune di Brescia, è stata esplorata un'alternativa che prevede di abbandonare lo « shunt» e di raddoppiare i binari nella parte di attraversamento di Brescia;
   un portavoce di Rete ferroviaria italiana ha specificato che «la valutazione della fattibilità del quadruplicamento della linea, in uscita da Brescia risponde alle esigenze emerse durante l'approvazione del progetto e che, quindi, serve un'analisi approfondita per valutare la migliore soluzione di attraversamento del territorio di Brescia»;
   di questa nuova analisi non sono prevedibili né i tempi né gli esiti;
   se questo quadro fosse confermato non sarebbero indifferenti le ripercussioni sul territorio veronese. In primis, sul difficile e delicato passaggio a Peschiera del Garda, in secondo luogo sul destino dello scalo aeroportuale di Montichiari, di proprietà veronese ed infine, sull'effettività dell'entrata in esercizio della TAV da ovest verso Verona e la linea del Brennero;
   nel rispetto delle legittime aspettative e prerogative di Brescia, Verona risulta giocoforza coinvolta –:
   se le notizie riportate corrispondano alla realtà ed, in caso affermativo, quali siano i tempi previsti per l'approfondimento in questione;
   se non sia meglio assumere iniziative per dirottare le risorse disponibili dal tratto «rallentato» Treviglio-Verona al tratto Verona-Brennero che per la città di Verona è ancora più strategico visto che porta con sé la risoluzione del nodo di attraversamento della città e il collegamento con il quadrante Europa. (4-13720)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del comune di Massa negli ultimi anni è falcidiato da continui furti negli appartamenti, da molteplici atti di microcriminalità e nella cittadinanza il senso di insicurezza aumenta giorno dopo giorno;
   nelle ultime settimane sono sempre di più le case depredate dai ladri, in centro città, a Marina di Massa e in ogni altro quartiere e che durante il periodo estivo si deve considerare il raddoppiarsi della popolazione con l'arrivo di migliaia di turisti, ma a fronte di questo dato non risulta nessun aumento di personale delle forze dell'ordine;
   appare insufficiente l'organico delle forze dell'ordine sul territorio di Massa e gravissima la mancanza di un numero congruo di carabinieri e poliziotti per il controllo del territorio e l'intervento in caso di necessità;
   negli ultimi anni sono stati chiusi presidi di sicurezza (commissariati e quant'altro) che servivano da deterrente e pronto intervento su questo territorio, sempre più abbandonato a se stesso –:
   se per il territorio del comune di Massa siano previsti, come l'interrogante auspica e ritiene urgente, l'invio di rinforzi alle forze dell'ordine in una zona turistica come questa, e l'implementazione di mezzi per adesso insufficienti;
   se non sia opportuno che vengano organizzate strutture mobili nelle zone più densamente abitate e frequentate come tutte quelle che compongono Marina di Massa (Partaccia, Ricortola, Marina centro, Ronchi, Poveromo, e altro) e il centro città, senza dimenticare i centri più periferici, che versano nel degrado tutto l'anno e per, i quali andrebbe impostato e dedicato un apposito piano per la sicurezza. (4-13718)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo del codice antimafia, decreto legislativo n. 159 approvato nel 2011, per intimidire e limitare la libertà di azione di attivisti e militanti politici e sociali, a giudizio dell'interrogante sta diventando ormai una prassi consolidata che si va diffondendo nelle questure della Penisola;
   quello che l'interrogante giudica un autentico abuso delle misure di prevenzione non sembra finalizzato alla diminuzione dei reati quanto invece al controllo ed al soffocamento delle azioni di protesta;
   in data 1o luglio 2016, il questore di Roma ha emesso un provvedimento di «avviso orale», ai sensi dell'articolo 3 del codice antimafia, nei confronti del signor Guido Lutrario, sindacalista componente dell'Esecutivo Nazionale Confederale dell'Unione Sindacale di Base – Usb e Coordinatore regionale dell'Usb Lazio;
   i soggetti destinatari del suddetto decreto legislativo, secondo l'articolo 1, sono i seguenti:
    a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
    b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
    c) coloro che per il loro comportamento debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica;
   l'avviso orale sarebbe stato emesso sulla base delle identificazioni di Lutrario avvenute ad opera delle forze dell'ordine in occasione di iniziative di carattere sindacale svoltesi a Roma negli ultimi due anni;
   dette iniziative, ad avviso dell'interrogante, nulla hanno a che vedere con a «sicurezza del Paese», ma sono state tutte realizzate in occasione di scioperi, mobilitazioni contro la chiusura di uffici e stabilimenti, a sostegno dei lavoratori migranti in opposizione agli episodi di razzismo e xenofobia e in occasione di gravi provvedimenti lesivi dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori (vertenza Meridiana, vertenza LSU/LPU, e altri);
   questo provvedimento di solito è emesso al fine di prevenire la reiterazione di reati che hanno a che vedere con la criminalità organizzata e mafiosa e al fine di procedere successivamente all'irrogazione di misure restrittive della libertà personale, quali il ritiro del passaporto, l'obbligo di firma e altro;
   il signor Guido Lutrario opera come sindacalista per difendere interessi esattamente e diametralmente opposti a quelli propri della criminalità organizzata e della mafia;
   mettere a repentaglio la libertà di azione sindacale è il segnale di un ulteriore deterioramento degli spazi di libertà e di democrazia, un nuovo attacco anche ai principi sanciti nella Costituzione, già a repentaglio a seguito della recente «controriforma» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'utilizzo distorto che, a giudizio dell'interrogante, numerose questure fanno del codice antimafia, posto che l'uso di tali strumenti amministrativi appare all'interrogante gravemente intimidatorio e volto alla repressione delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici che con USB si organizzano a tutela dei propri diritti;
   quali iniziative intenda assumere affinché questo utilizzo improprio di misure di polizia, pensate dal legislatore per fattispecie completamente diverse da quelle legate al dissenso politico ed al conflitto sociale, non diventi uno strumento casuale per reprimere il dissenso, indipendentemente dall'effettivo riscontro giudiziario dei reati ipotizzati e dalla celebrazione dei corrispettivi processi. (4-13729)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con precedente atto di sindacato ispettivo n. 4-10960 l'interrogante richiamava l'attenzione del Ministro interrogato sul caso di un libro di testo utilizzato, nonostante le proteste dei genitori degli alunni, in una classe seconda di una scuola elementare di Aviano ed in una classe quinta di una scuola elementare di Trieste contenente espliciti riferimenti alla teoria cosiddetta «Gender»;
   in particolare, si poneva l'accento sull'assurdità di lasciare alla volontà degli insegnanti la funzione educativa su tematiche così importanti, come la sessualità e l'identità di genere, ponendo i bambini dinanzi a modelli sociali spesso discutibili e non condivisi dai genitori e sottraendo alla famiglia il proprio ruolo di educatrice morale e sessuale;
   con tale atto, quindi, l'interrogante chiedeva al Ministro se fosse a conoscenza di progetti organizzati da Arcigay e finanziati dalla regione Friuli Venezia Giulia e se non ritenesse di assumere le opportune iniziative normative volte a rendere effettivo l'esercizio del diritto all'educazione dei figli, costituzionalmente garantito ma sempre più disatteso dall'ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli; 
   con risposta del 15 giugno 2016 il Governo richiamando la nota ministeriale del 15 settembre 2015, n.1972, precisa che alle famiglie «spetta il diritto e il dovere di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Piano dell'offerta formativa (...)» e, con riguardo al caso sollevato dall'interrogante, «che, a norma dell'articolo 151 del decreto legislativo n. 297/1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione), l'adozione dei libri di testo spetta al collegio dei docenti di ciascuna istituzione scolastica, assicurando in ogni caso che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale dei docenti»;
   l'interrogante si ritiene totalmente insoddisfatto di tale risposta, elusiva della questione da lui posta;
   peraltro, la citata risposta conferma le preoccupazioni dell'interrogante e di molti genitori, posto che il piano dell'offerta formativa può prevedere percorsi educativi contro ogni forma di discriminazione – e dunque condivisibili dai genitori al momento dell'iscrizione dei propri figli – ed i libri di testo – scelti in totale autonomia dagli insegnanti possono essere poco obiettivi sull'argomento, espressione di idee non condivisibili dai genitori e strumento per influenzare i bambini/ragazzi –:
   se il Ministro interrogato intenda rispondere in maniera esaustiva alle questioni sollevate, al fine di rassicurare, tutti quei genitori, allarmati da una ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli e da un insegnamento scolastico che, a giudizio dell'interrogante, in nome dell'autonomia, travalica l'ambito di formazione, esautorando i genitori della potestà educativa.
   (4-13711)


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge no 186 del 2003 ha apportato rilevanti cambiamenti nella condizione giuridica degli insegnanti di religione cattolica. In particolare, la stessa legge ha previsto l'indizione triennale del concorso per i suddetti docenti. Tra l'altro, non si è dato seguito alla trasformazione del concorso del 2004 in graduatoria ad esaurimento come avvenuto per tutti gli altri insegnamenti;
   si ritiene che il valore della religione cattolica e del suo insegnamento nelle scuole sia fondamentale anche se opzionale;
   l'articolo 309 del testo unico sulla scuola prevede, tra l'altro, che: «i docenti incaricati dell'insegnamento della religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti». In ogni caso, è da rilevare come gli stessi siano esclusi da tutti i bonus previsti dalla legge cosiddetta sulla «Buona scuola», determinando una grave differenziazione tra docenti di ruolo e docenti con contratto a tempo determinato (nonostante per gli insegnanti di religione il vigente contratto preveda la sostanziale automatica conferma della nomina di anno in anno);
   per le questioni giuridico-amministrative relative all'insegnamento della religione cattolica, all'inserimento dei docenti di religione nell'organico funzionale, al precariato, al nuovo concorso per gli insegnanti di religione cattolica, alle intese tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Conferenza episcopale italiana, la legge sulla buona scuola non ha dato risposte definitive ed esaurienti trascurando, di fatto, le problematiche relative ai docenti di religione cattolica che da anni sono presenti nel nostro ordinamento e non vengono risolte;
   è opportuno, quindi, per l'interrogante che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca offra delle soluzioni adeguate anche per i docenti che insegnano religione nelle scuole, prevedendo l'inclusione degli stessi docenti all'interno dell'autonomia scolastica ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del successivo regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275;
   allo stesso modo, appare utile bandire entro il 2017 un nuovo concorso per l'immissione in ruolo degli insegnati di religione precari e ripristinare la possibilità, per i docenti di religione, di svolgere l'incarico di vicario;
   è, inoltre, opportuno dare la possibilità ai docenti precari di religione di usufruire della «Carta del docente» per l'aggiornamento professionale;
   così come risulta importante prevedere una classe di concorso per gli insegnanti di religione cattolica ed una valutazione numerica degli stessi secondo le modalità previste per gli altri insegnamenti;
   è importante, inoltre, dare risposte adeguate agli insegnanti di religione cattolica che hanno svolto la propria attività come docenti precari, superando contrattualmente la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi. In particolare, è utile ricordare come la normativa europea preveda l'obbligo di stabilizzazione per i suddetti docenti e come numerose sentenze emesse dal giudice italiano abbiano dato ragione ai ricorrenti –:
   se non si ritenga necessario intervenire per dare risposte idonee ed adeguate, secondo quanto espresso in premessa, ai docenti di religione cattolica per la loro importante funzione pedagogica e culturale e per la fondamentale finalità educativa nel quadro dell'azione scolastica. (4-13719)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2016, il rappresentante legale dell’«Unione Sindacale di Base del Pubblico Impiego» (U.S.B./P.I.) Daniela Mencarelli ha inoltrato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Avellino, al comando provinciale dei carabinieri di Avellino e alla direzione generale attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali un esposto riguardante la direzione territoriale del lavoro (D.T.L.) di Avellino;
   i fatti si riferiscono in particolare all'attività svolta dall'architetto Valeria Santurelli, in qualità di funzionario ispettore tecnico nonché ufficiale di polizia giudiziaria presso la direzione territoriale del lavoro di Avellino alla cui direzione il 22 gennaio 2015 è stato assegnato l'ingegnere Renato Pingue;
   si evidenziano, in modo circostanziato e documentato, le continue ingerenze del direttore Renato Pingue nell'attività istituzionale dell'architetto Valeria Santurelli per singoli contravventori nei diversi cantieri interessati dall'attività ispettiva provinciale, attività sottoposta al solo controllo dell'autorità giudiziaria, reiterando tale illegittimo comportamento a fronte della resistenza dell'architetto fino a produrre quello che risulterebbe un palese illegittimo provvedimento disciplinare il 28 gennaio 2016;
   quest'azione di interdizione da parte del direttore e del suo ufficio sarebbe continuata perpetuando indebite pressioni di condizionamento circa l'autonomia ispettiva dell'architetto Santurelli fino a procurare inopinate azioni di offesa;
   l'autorità giudiziaria di Avellino e il comando provinciale dei carabinieri di Avellino non hanno rilevato eccezione alcuna in ordine all'operato e agli atti prodotti dall'architetto Valeria Santurelli;
   trattasi di cantieri che interessano per lo più la delicata filiera delle opere pubbliche e della logistica, tanto che uno di essi risulterebbe attenzionato dalla direzione distrettuale antimafia (D.D.A.);
   peraltro, analogo comportamento del direttore ingegnere Renato Pingue ha avuto purtroppo diverse conseguenze su altri ispettori condizionati da quanto accadeva all'architetto Santurelli; una delle aziende interessate dall'azione ispettiva, risultata gravemente inadempiente rispetto alla tutela dei diritti dei suoi numerosi dipendenti, si è resa protagonista nel mese di gennaio 2016 di un'assunzione postuma per chiamata diretta del figlio del direttore della direzione territoriale del lavoro di Avellino ingegnere Renato Pingue in contiguità delle attività ispettive;
   nel febbraio 2016 l'USB ha denunciato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la grave situazione che vige nella direzione territoriale del lavoro di Avellino a seguito degli eventi verificatisi e facenti seguito alle attività poste in essere dal direttore ingegnere Renato Pingue –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere affinché venga fatta piena luce sulla oggettiva insostenibile situazione all'interno della direzione territoriale del lavoro di Avellino;
   se vi siano state effettive ingerenze e azioni di condizionamento da parte del dirigente dottor Renato Pingue nei confronti di funzionari tecnici con mansioni di polizia giudiziaria che abbiano leso l'autonomia e la genuinità del loro operato;
   se non si intenda, considerati i palesi e documentati gravi fatti i anzi esposti, valutare l'opportunità, anche alla luce degli accadimenti di ordine personale addebitati al direttore Pingue a giudizio dell'interrogante in evidente conflitto d'interesse maturato a seguito dell'assunzione del proprio figlio presso una delle aziende sottoposte a controllo ispettivo da parte della direzione territoriale del lavoro di Avellino, di provvedere a un rapido avvicendamento ai vertici del suddetto ufficio provinciale. (4-13724)


   FOLINO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane le fasi di costruzione degli impianti e delle installazioni necessarie al fine di mettere in produzione il centro Oli di Corleto Perticara (PZ), denominato Tempa Rossa e in concessione a Total E&P Italia hanno interessato l'assunzione di nuovi contratti;
   secondo le affermazioni dei sindacati i nuovi contratti di lavoro non sono incrementi o nuove assunzioni ma delle sostituzioni;
   i giornali locali e nazionali riportano informazioni e segnalazioni di decine di contratti giunti al termine non rinnovati e di lavoratori italiani rimpiazzati con lavoratori stranieri (circa 200 secondo la Cgil) la maggior parte dei quali proveniente dalla Polonia;
   i nuovi lavoratori giunti dall'estero hanno le stesse mansioni dei lavoratori cui non è stato rinnovato il contratto, quindi nessuna professionalità specifica sembra giustificare tale scelta;
   pur in presenza di esperienze lavorative pluriennali e figure formate nel settore, queste non sono state ritenute utili per rinnovo del contratto;
   la Total sembra non voler rilasciare informazioni, agli organi di stampa, circa le condizioni contrattuali dei nuovi assunti e le eventuali differenze con i precedenti lavoratori sostituiti né rendere nota la ripartizione dei lavoratori per nazionalità;
   le condizioni esistenti, sui luoghi di lavoro, non rientrerebbero nei canoni di una società civile, infatti secondo i sindacati la situazione igienico-sanitaria sarebbe approssimativa, visto che per gli oltre mille operai ci sarebbe disponibilità solo di bagni chimici, peraltro puliti soltanto alcuni giorni della settimana, a cui si aggiungerebbe l'assenza di acqua corrente;
   visto le alte percentuali di disoccupazione esistenti nella zona e la presenza di manodopera già esistente e quindi formata c’è il rischio di contrapposizione fra lavoratori, locali e stranieri, quindi di una guerra fra poveri;
   sembra all'interrogate che la Total, abbia creato una zona franca, con difficoltà di informazione e di contatto e relaziono con gli operai che ci lavorano –:
   se sia conoscenza della decisione dell'impresa di non rinnovare i contratti esistenti e di sostituire i lavoratori con figure provenienti dall'est Europa;
   se abbia intenzione di convocare l'azienda per conoscere, per quanto di competenza, le misure adottate in relazione ai lavoratori;
   se siano stati attivati controlli, per quanto di competenza, da parte degli organi preposti;
   quali iniziative intenda assumere per salvaguardare i livelli occupazionali di una comunità già troppo umiliata in cui la disoccupazione raggiunga uno dei più alti tassi d'Italia, e la dignità sociale dei lavoratori interessati. (4-13728)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi una coltivazione di mais «geneticamente modificato» è stata scoperta, nella cintura agricola di Rovigo, dagli uomini del Corpo forestale dello Stato;
   l'appezzamento rodigino è stato posto sotto sequestro su ordine della locale procura e, nel frattempo, sono stati disposti gli accertamenti in laboratorio;
   sono state diverse le reazioni alla notizia. Nella giornata del 6 luglio 2016, la Coldiretti polesana ha dichiarato alla stampa locale: «con la contaminazione si mettono seriamente a rischio la biodiversità e le produzioni tipiche locali (...) La grande preoccupazione per la contaminazione deriva dal fatto che la propagazione di transgeni attraverso il polline è ingovernabile ed irreversibile – ha sottolineato il presidente Giuriolo – Alla conferma della scoperta si apriranno le indagini per l'attribuzione delle responsabilità, che Coldiretti auspica riguarderanno non solo l'impiego ma anche la provenienza del seme transgenico»;
   sembrerebbe opportuno, anche sulla base di un principio di precauzione, adoperarsi per evitare un effetto «contagio» che, nei giorni della fioritura del mais, rischierebbe di estendersi pure alla vicina Emilia-Romagna –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tali sviluppi e se e come intenda promuovere interventi atti ad una corretta e tempestiva gestione del fenomeno, fondata in primo luogo sulla tutela del territorio, della agricoltura nazionale e della biodiversità.
   (3-02372)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si registra forte preoccupazione da parte delle organizzazioni sindacali di categoria in merito al futuro lavorativo e professionale dei tecnici delle Apa (Associazioni provinciali allevatori);
   particolarmente complessa risulta essere la situazione in Lombardia in cui alle oggettive questioni che attengono alle dinamiche di settore si aggiunge un conflitto istituzionale con la regione in merito all'attivazione delle procedure per l'accesso ai finanziamenti legati al PSR;
   ad essere a rischio in Lombardia sono 400 posti di lavoro;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha provveduto ad emanare la circolare per attivare le procedure dei bandi per il finanziamento dell'assistenza tecnica alle aziende;
   si tratta di 6 milioni di euro disponibili che permetterebbero di avere una boccata d'ossigeno importante per il settore e interrompere le procedure di licenziamento –:
   quali ulteriori iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere affinché siano tempestivamente attivate le procedure dei bandi di cui in premessa per scongiurare il licenziamento di 400 persone e supportare un segmento professionale imprescindibile per il settore agricolo territoriale. (5-09115)

Interrogazione a risposta scritta:


   LO MONTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il commissario prefettizio al comune di Brescello (provincia di Reggio Emilia), nei giorni scorsi, ha posto sotto sequestro — confisca circa 300 animali tra pecore e capre appartenenti a componenti i clan della criminalità organizzata che si sono installati nel reggiano;
   all'operazione hanno preso parte oltre al Corpo forestale dello Stato, ai vigili del fuoco e al Corpo unico di polizia municipale anche il servizio veterinario dell'ASL, in quanto gli animali erano senza autorizzazione sanitaria;
   ora, però, si pone un problema logistico: dove custodire un gregge così numeroso, composto anche di agnelli e far fronte all’«emergenza caldo». Una parte degli animali è stata trasferita in un allevamento di Forlì esattamente in una azienda agricola nel territorio del comune di Civitella di Romagna e, per il mantenimento, si dovranno impegnare risorse pubbliche;
   come però sottolineato in un articolo pubblicato sul sito 4live, questi animali potrebbero essere soppressi visti gli ingenti costi di mantenimento;
   se non si interverrà saranno mandati al macello animali gravidi, pecore e capre che hanno appena partorito animali di pochissimi giorni e, con tutta probabilità, gli animali uccisi saranno poi distrutti, in quanto esistono problemi di tracciabilità dell'origine e di autorizzazioni sanitarie previste dalla legge;
   nell'articolo apparso sul web si avanza l'ipotesi che le pecore e le capre confiscate vengano immediatamente affidate a una delle tante cooperative sociali presenti sul territorio in modo che possano occuparsene senza che ciò comporti una assurda e gratuita carneficina e soprattutto senza inutili costi e anzi con sicuri benefici economici –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, abbiano intenzione di adottare affinché, con le opportune cautele, possano essere individuate e agevolate delle misure atte ad evitare la soppressione degli animali in questione. (4-13716)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AMATO e BORGHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si definisce infarto miocardico la necrosi di un segmento della parete del cuore causata dall'interruzione del flusso di sangue attraverso l'arteria coronarica che irrora quel distretto. Il tessuto muscolare necrotico non si può rigenerare e viene sostituito, mediante un processo irreversibile, da tessuto fibroso, esitando poi in una cicatrice priva delle caratteristiche di contrattilità proprie del miocardio sano. La funzione di pompa del cuore viene alterata in maniera irreversibile e con una entità che varia a seconda della dimensione dell'infarto con esiti sulla qualità di vita;
   i depositi energetici delle cellule muscolari cardiache sono sufficienti a mantenere la funzione contrattile solamente per pochi secondi e le cellule cominciano a morire dopo circa 30 minuti dall'interruzione del flusso di sangue con interessamento prima degli strati più interni della parete cardiaca e poi progressivamente, in circa 3 ore, gli strati più esterni, per interessare infine, entro circa 6 ore, tutto il territorio originariamente perfuso dalla coronaria occlusa;
   quanto prima si ripristina il flusso di sangue al muscolo cardiaco tanto maggiore è la quantità di cellule che possono essere risparmiate, con contenimento delle complicanze e degli esiti invalidanti;
   nel documento di posizione SICI-GISE sugli standard e linee guida per laboratori di diagnostica e interventistica cardiovascolare si legge che «Negli ultimi anni sono stati pubblicati autorevoli lavori scientifici che hanno dimostrato il rispetto di criteri di sicurezza e di efficacia delle PCI elettive e in emergenza eseguite in centri in cui non sia presente Cardiochirurgia on-site. A giudizio del panel un programma di PCI in elezione/emergenza può essere intrapreso anche in strutture dove non sia presente la Cardiochirurgia. Si raccomanda che tale attività avvenga in centri con ampi volumi di procedure interventistiche, laddove esista un'equipe (minimo 3 emodinamisti) guidata da un operatore esperto (responsabile del laboratorio) che abbia maturato ampia, documentata ed adeguata esperienza con l'esecuzione di non meno di 1000 procedure di PCI come primo operatore in un centro di terzo livello. È obbligatorio che esistano e siano formalizzati protocolli condivisi con il/i reparto/i di Cardiochirurgia più vicini, atti a garantire l'accesso tempestivo alla sala operatoria entro 90 minuti dal manifestarsi dell'esigenza clinica. Il responsabile, che individuerà tempi, necessità ed indicazioni, provvederà ad attivare tutti gli aspetti operativi ed organizzativi previsti dal protocollo di collaborazione con il centro cardiochirurgico di riferimento»;
   la distribuzione geografica dei laboratori di emodinamica in particolare rispetto alle aree eccessivamente distanti, a quelle interne e di montagna e quelle che più risentono del dissesto stradale e dei limiti del servizio di elisoccorso, non sempre consente l'accessibilità alle cure nei tempi utili alla tempestiva rivascolarizzazione coronarica;
   il fattore tempo rappresenta un elevato fattore di rischio per la vita e per gli esiti e nei casi di eccessiva distanza non c’è alcun vantaggio per il paziente di essere sottoposto alla procedura in un centro hub, piuttosto che in un centro periferico, perché si arriva con tessuto cardiaco già in necrosi;
   il diritto alla salute non può essere condizionato al luogo di residenza, in particolare quando diventa un diritto per la vita –:
   se il Ministro sia al corrente di disagi derivanti dalla distanza eccessiva dei presidi della «rete cuore» nelle diverse regioni e in particolare nell'area sud dell'Abruzzo;
   se, alla luce dei principi espressi dal documento di posizione SICI-GISE sugli standard e sulle linee guida per i laboratori di diagnostica e interventistica cardiovascolare, ritenga possibile assumere iniziative per la revisione degli standard autorizzatori per i laboratori di emodinamica, finalizzati ad una copertura omogenea del territorio nazionale tempo dipendente, con accessi nel minore tempo possibile ed in ogni caso non superiore ai 60 minuti. (5-09105)


   CANCELLERI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, COLONNESE, DI VITA e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   innumerevoli persone utilizzano laboratori di analisi, sia in strutture sanitarie che convenzionate, per esami di routine periodici;
   sono in commercio e ben funzionanti, però, anche apparecchi elettromedicali che permettono di rilevare valori clinici autonomamente, senza l'ausilio di operatori, quali ad esempio il misuratore tascabile del lattato, del colesterolo, dei trigliceridi e del glucosio o il misuratore dell'INR necessario per la terapia anticoagulante orale;
   tramite l'autodiagnosi, il paziente ha un notevole risparmio di tempo e i laboratori di analisi ridurrebbero le file di attesa;
   l'esame in autodiagnosi è di gran lunga meno invasivo dell'esame tradizionale;
   il costo dei consumabili monouso si avvicina mediamente al costo della prestazione da laboratorio –:
   se si intendano assumere iniziative volte ad inserire nella lista dei farmaci convenzionati anche i consumabili monouso per autodiagnosi in modo da alternare l'esame di laboratorio con l'autodiagnosi;
   se si intenda valutare l'opportunità di applicare un maggior vantaggio di detrazione per l'acquisto di apparecchi elettromedicali. (5-09108)


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2011 le Società scientifiche italiane che operano nel campo della contraccezione, ovvero la Società Italiana della contraccezione (SIC) e la Società medica italiana per la contraccezione (SMIC), hanno redatto un documento comune, «Position paper sulla contraccezione d'emergenza per via orale», che parte dalla definizione di contraccezione d'emergenza fornita dall'Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui la contraccezione d'emergenza è una «metodica contraccettiva», poiché «può solo prevenire e non interrompere una gravidanza». Come tale la legislazione nazionale non prevede l'obiezione di coscienza di medici, farmacisti e personale sanitario;
   l'11 maggio 2015 HRA Pharma Italia ha annunciato la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'8 maggio 2015 della determina con cui l'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) ha dato la possibilità di ottenere direttamente in farmacia la pillola per la contraccezione d'emergenza ellaOne, senza più la necessità di prescrizione. Inoltre, è stata abolita l'obbligatorietà del test di gravidanza che era prevista precedentemente;
   sulla base del riconoscimento da parte del Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP), il quale ha dichiarato il contraccettivo d'emergenza ellaOne più efficace rispetto alla «pillola del giorno dopo», se usato durante le prime 24 ore, e sicuro anche senza prescrizione, la delibera dell'AIFA ha recepito la decisione della Commissione europea di consentire l'accesso a ellaOne direttamente in farmacia in tutti gli Stati membri dell'Unione europea;
   con la determina dell'AIFA n. 219 del 1o febbraio 2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2016, è stato soppresso l'obbligo di prescrizione per il farmaco Norlevo per le donne maggiorenni, mentre per quanto riguarda le ragazze minorenni è ancora necessaria la prescrizione e si applica l'articolo 2 della legge n. 194 del 1978;
   il regio decreto n. 1706 del 1938, tuttora vigente, all'articolo 38 sancisce che: «i farmacisti non possono rifiutarsi di vendere le specialità medicinali di cui siano provvisti e di spedire ricette firmate da un medico per medicinali esistenti nella farmacia. I farmacisti richiesti di specialità medicinali nazionali, di cui non siano provvisti, sono tenuti a procurarle nel più breve tempo possibile, purché il richiedente anticipi l'ammontare delle spese di porto»;
   il 25 febbraio 2011 il Comitato nazionale per la bioetica rilasciava un parere non vincolante dal titolo «Nota in merito alla obiezione di coscienza del farmacista alla vendita di contraccettivi d'emergenza» che, al punto 3, «diritto all'ottenimento del farmaco», scrive: «A fronte dell'ipotesi che il legislatore riconosca il diritto all'obiezione di coscienza del farmacista e degli ausiliari di farmacia, i componenti del CNB si sono trovati d'accordo che nel rispetto dei principi costituzionali, già richiamati in premessa, si debbano considerare e garantire gli interessi di tutti soggetti coinvolti. L'obiezione di coscienza deve essere esercitata in modo responsabile in maniera tale da non interrompere l’iter che conduce alla libera risoluzione del paziente, alle sue successive opzioni di assumere un farmaco, sotto la responsabilità morale e giuridica del medico. Presupposto necessario e indispensabile per l'eventuale riconoscimento legale dell'obiezione di coscienza è, dunque, l'affermazione del diritto di ognuno ad ottenere le prestazioni dovute per legge: solo se tale presupposto viene stabilito in via prioritaria e con le indicazioni delle misure idonee affinché non venga di fatto vanificato, si creano le condizioni per evitare un conflitto di coscienza che potrebbe essere dannoso per l'ordinato svolgimento della vita sociale»;
   in conclusione il CNB dichiara che «la donna debba avere in ogni caso la possibilità di ottenere comunque il farmaco prescritto e che spetti al legislatore prevedere i sistemi più adeguati nell'esplicitazione degli strumenti necessari e delle figure responsabili per l'attuazione di questo diritto. Il CNB raccomanda che le Istituzioni e le Autorità competenti, sentiti gli organi professionali coinvolti, anche ai sensi dell'articolo 117, lettera m) della nostra Carta costituzionale, a fronte di uno specifico intervento normativo che preveda il diritto all'obiezione di coscienza per i farmacisti e gli ausiliari, adottino le necessarie disposizioni per fornire una corretta e completa informazione agli utenti e garantiscano, a tutela dei cittadini, la dispensa dei farmaci prescritti da ricetta medica in tempi utili in relazione alla loro efficacia»;
   in Parlamento è stata depositata da poco una proposta di legge (A.C. 3805) assegnata alla Commissione affari sociali della Camera dei deputati che chiede il riconoscimento della facoltà di obiettare per i farmacisti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso per garantire l'accesso ai farmaci in tutte le farmacie nel territorio nazionale;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative, anche attraverso circolari ministeriali, per chiarire, ribadire e rafforzare il diritto dei richiedenti all'accesso ai farmaci. (5-09110)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi mesi fa la notizia che l'Ospedale di Nocera Inferiore è al collasso, con il rischio di chiudere se non si troverà una soluzione tempestiva;
   in particolare, secondo quanto dichiarato da Gennaro D'Andretta, infermiere del pronto soccorso dell'ospedale Umberto I e responsabile dell'area nord della Cgil funzione pubblica, «mentre aspettiamo lo sblocco del turn over e i bandi per le assunzioni gli ospedali chiuderanno»;
   il problema sarebbe il personale sanitario insufficiente, una penuria di professionisti causata dal blocco delle assunzioni e dall'entrata in vigore di normative europee che regolano turni di lavoro e riposo, oltre al tetto dell'orario straordinario;
   medici e infermieri, ma anche operatori socio sanitari, sarebbero diventati merce rara in particolare all'Umberto I e all'Andrea Tortora di Pagani, plessi ospedalieri riuniti nel dipartimento di emergenza di terzo livello;
   gli ospedali, dopo aver condiviso i reparti per evitare doppioni, oggi spartiscono una crisi di cui non si conoscono gli esiti, ma che sta provocando disagi tra gli ammalati e gli stessi operatori sanitari: le sale operatorie, ad esempio, non riescono a lavorare a tempo pieno con le liste di attesa che si allungano;
   secondo quanto si apprende dai giornali, le unità dove il rischio è più evidente sono quelle legate proprio all'emergenza, come il pronto soccorso e la rianimazione, e stessa preoccupante situazione riguarda anche la terapia intensiva neonatale, una delle divisioni di eccellenza dell'ospedale, che se ora può contare su otto medici, ne necessiterebbe di almeno undici;
   secondo D'Andretta la soluzione al problema sarebbe stata trovata dalla regione Basilicata «Nel novembre scorso, all'indomani del recepimento dell'Italia della direttiva europea sui turni di lavoro, la 161, il presidente Marcello Pittella ha fatto approvare un disegno di legge che rinvia l'entrata in vigore delle legge al prossimo 31 dicembre. Si potrebbe fare la stessa cosa e, nel frattempo, accelerare sulle assunzioni»;
   la carenza di personale rischia di abbassare la qualità assistenziale fino a livelli inaccettabili e la chiusura dell'ospedale Umberto I di Nocera determinerà gravissime ripercussioni sull'assistenza sanitaria in questo territorio, contravvenendo alla elementare regola di buon senso secondo cui i servizi, soprattutto quelli essenziali, come l'assistenza sanitaria, vanno assicurati là dove ce n’è più bisogno –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative si intendano adottare, anche per tramite del commissario ad acta, per risolvere la gravissima situazione in cui versa l'ospedale Umberto I di Nocera Inferiore ed impedire il collasso del presidio a tutela del fondamentale e non comprimibile diritto alla salute dei cittadini.
   (4-13710)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Santa Lucia — Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico — si trova in una situazione estremamente delicata. Da anni se ne discute e il tema torna di volta in volta a occupare anche i mezzi d'informazione, ma il tempo è scaduto ed è assolutamente necessario lavorare per una soluzione;
   tre scioperi sindacali negli ultimi due mesi e fornitori sempre più preoccupati di rientrare dai crediti danno la misura dei rischi di tenuta interna ed esterna dell'organizzazione, che da anni mette in campo tutte le proprie energie per continuare ad assicurare qualità delle cure e livelli di occupazione;
   nella situazione che perdura ormai da anni, sia la regione Lazio che il Governo sembrano agli interroganti sostanzialmente perseguire l'obiettivo di depotenziare i livelli di assistenza garantiti dalla Fondazione Santa Lucia nella rete sanitaria regionale, senza considerare come la Fondazione sia punto di riferimento anche nazionale nell'ambito della neuro-riabilitazione;
   non procede meglio l'attività di ricerca, che insieme all'attività sanitaria costituisce il secondo ambito istituzionale di attività della Fondazione in qualità di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Nel periodo 2008-2015 i finanziamenti della «Ricerca Corrente» sono scesi del 28,6 percento, nonostante la produttività scientifica della Fondazione sia salita nel medesimo periodo del 77,63 percento, secondo il calcolo dell’impact factor, standard di valutazione internazionale, utilizzato anche dal Ministero della salute;
   le molte richieste di ricovero che pervengono dimostrano che i cittadini, con i loro bisogni di salute, riconoscono alla Fondazione Santa Lucia qualità di eccellenza. I dati nazionali sull'attività di ricerca, che collocano la Fondazione nel gruppo delle tredici istituzioni che da sole realizzano il 50 per cento dell'intera produzione scientifica degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (otto di questi concentrati a Milano e in Lombardia), confermano che la Fondazione è una risorsa della capitale e della regione, che non può andare persa –:
   quali urgenti iniziative di competenza, anche normative, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di assicurare i livelli di assistenza sanitaria e le cure, nonché i profili occupazionali e di ricerca scientifica della Fondazione Santa Lucia. (4-13715)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIPRINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps è tra i più grandi e complessi enti previdenziali d'Europa, gestisce la quasi totalità della previdenza italiana ed ha un bilancio che per entità è il secondo dopo quello dello Stato. Sono assicurati all'Inps la maggior parte dei lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato e dei lavoratori autonomi;
   in occasione di un'audizione presso la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale tenutasi il 25 febbraio 2016, il presidente dell'Inps Tito Boeri ha fatto il punto sulla riorganizzazione ed evoluzione dell'istituto: «Il personale si è ridotto del 10% in tre anni, ormai è sotto il livello dell'Inps prima della fusione con Inpdap ed Enpals. Le nostre sedi territoriali fanno fatica a reggere una domanda crescente dato anche l'incremento del numero di prestazioni che eroghiamo e la dura prova della crisi»;
   se la riduzione del 10 per cento è un valore medio, in alcune sedi si è registrato un calo del 15 per cento dei dipendenti in un solo anno, con la conseguenza che i tempi di attesa sono peggiorati dal 20 al 30 per cento (Il Sole 24 Ore del 26 febbraio 2016, n. 56);
   secondo quanto pubblicato da Il Sole 24 Ore del 26 febbraio 2016 n. 56 che riporta uno stralcio della audizione, il professor Boeri, auspicando maggiore flessibilità sul blocco del turn over che comporta lo stop delle assunzioni nel 2016 e la sostituzione di una persona ogni quattro uscite dal 2017, ha affermato che «Un Paese con un debito pubblico molto elevato tende abbastanza sistematicamente a lasciare deperire la macchina dello Stato perché il modo più semplice di contenere il disavanzo è congelare le assunzioni nella pubblica amministrazione, ma in questo modo la si priva di quella linfa vitale che è data dall'ingresso di nuove competenze. Il blocco del turn over nella pubblica amministrazione continua da 15 anni ed inevitabilmente riduce la qualità delle istituzioni»;
   eppure ai commi 227, 228 e 229 dell'articolo 1 dell'ultima legge di stabilità per l'anno 2016 (legge n. 20 del 2015), il Governo ha previsto un innalzamento dei limiti al turn over per le pubbliche amministrazioni per il triennio 2016-2018, decretando di fatto un blocco delle assunzioni e del ricambio generazionale;
   persino gli obiettivi dell'intervento normativo del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 (cosiddetto decreto D'Alia) – che avrebbe dovuto aumentare il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni tramite l'assunzione di vincitori ed idonei collocati nelle graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007 – rischiano di rimanere solo sulla carta, così – da una parte – frustrando le legittime aspettative di migliaia di giovani che hanno partecipato ad un pubblico concorso e – dall'altra – impedendo l'ingresso di nuove professionalità nella pubblica amministrazione utili per l'erogazione di servizi ai cittadini, alle imprese e ai lavoratori;
   l'Inps ha bisogno di nuovo personale e le attuali criticità derivano anche dal fatto che la fusione tra Inps, Inpdap ed Enpals finora è rimasta sulla carta, perché, ha affermato Boeri, le procedure non sono state automatizzate –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione descritta in cui versa l'Inps;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per superare o allentare il blocco del turn over nella pubblica amministrazione e consentire agli enti pubblici ed, in particolare, all'Inps di procedere all'assunzione di nuovo personale con le professionalità specifiche richieste – nel rispetto del decreto legge n. 101 del 2013 – al fine di far fronte alla domanda crescente del numero di prestazioni richieste dai cittadini, imprese e lavoratori. (4-13726)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI, ZACCAGNINI e MARTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a conclusione dell'incontro tenutosi il giorno 9 giugno 2016 ad Ancona fra il presidente dell'Unioncamere Marche, dottor Graziano di Battista, affiancato dal segretario generale dottor Michele De Vita e dai segretari regionali di FP CGIL, FP CISL, FPL UIL Pertoldi, Talevi, Santini, sul tema della riforma del sistema delle camere di commercio viene emanato un comunicato congiunto nel quale si afferma essere fondamentale che qualsiasi tipo di intervento volto alla modifica degli assetti attuali delle camere di commercio debba avere come ragione principale la risposta ai bisogni e alle esigenze del sistema imprenditoriale marchigiano;
   inoltre, nel comunicato congiunto, viene ribadito che invece di immaginare il potenziamento di uno dei settori più innovativi del sistema delle pubbliche amministrazioni, il sistema camerale è stato visto come uno dei rami dei servizi pubblici da tagliare e da ridimensionare;
   la riduzione del 50 per cento del diritto annuale a partire dal 2017 comporterebbe un risparmio medio annuo di circa 63 euro ad impresa (5,2 euro al mese), mentre per le ditte individuali un «alleggerimento» di 2,6 euro al mese;
   a questo punto è indispensabile un intervento di riforma del sistema camerale, ripartendo dal ruolo delle camere di commercio nel territorio. La ridefinizione del ruolo delle CCIAA con l'attribuzione diretta di funzioni esclusive e/o per delega, consentirebbe una semplificazione burocratica e l'eliminazione delle duplicazioni di funzioni e competenze;
   è necessario rafforzare le attuali funzioni di sostegno al sistema imprenditoriale marchigiano, innovando il sistema di servizi anche con nuove attività che possano facilitare la vita delle imprese della regione;
   nel comunicato congiunto si auspica che le funzioni debbano essere assicurate territorialmente dal sistema camerale ed a tal fine si reputa fondamentale che la permanenza della attuale strutturazione funzionale nel territorio dei presidi delle camere di commercio non escludendo la possibilità dell'esercizio in forma associata, nonché una riduzione delle istituzioni che mantenga i presidi. Scelte che comunque dovranno essere assunte, dalle camere di commercio, la cui autonomia non può essere espropriata da altri soggetti istituzionali;
   nell'ambito della riorganizzazione è necessario un investimento sulle unioni regionali, valorizzandone la funzione pubblica di coordinamento assolutamente essenziale nel processo di riorganizzazione e di rilancio del ruolo del sistema, invece di prevederne lo smantellamento;
   le aziende speciali e le società controllate dovrebbero avere carattere fortemente specialistico ed essere organizzate anch'esse su base sovra-provinciale, senza che questo abbia delle ripercussioni sugli organici in termini di esuberi;
   i processi di riorganizzazione devono essere il frutto di scelte funzionali all'efficacia di determinati servizi e ciò è possibile se su tutti i versanti del sistema, sia direttamente nelle camere, sia nelle aziende speciali e nelle società controllate, si ribadisca l'importanza del confronto finalizzato alla valorizzazione del lavoro, alla riqualificazione del personale, scongiurando qualsiasi ipotesi di licenziamento o di esubero;
   tema imprescindibile di questo processo è la valorizzazione dei lavoratori del settore con un forte coinvolgimento del sindacato nel processo di riorganizzazione dei servizi in funzione della valorizzazione migliore delle professionalità che il personale esprime –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno tenere informata UnionCamere nazionale circa gli aggiornamenti rispetto alla riforma;
   se il Ministro interrogato non intenda prendere atto delle preoccupazioni che vengono espresse non solo da UnionCamere Marche ma anche dalle altre realtà regionali e quali iniziative urgenti intenda di conseguenza adottare. (5-09112)


   PELUFFO, SANGA, TARANTO e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'emanazione del decreto legislativo n. 59 del 2010 si è proceduto all'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno;
   nell'ambito del citato decreto legislativo, si è disciplinato anche il settore delle aree pubbliche individuando – attraverso il combinato disposto dell'articolo 16 e dell'articolo 70, comma 5 – nuovi criteri per la selezione dei candidati al rilascio di concessioni di posteggio su aree pubbliche;
   il richiamato articolo 70, comma 5, stabiliva, in particolare, che, con intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, sarebbero stati individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell'impresa, criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all'applicazione delle disposizioni transitorie;
   la suddetta intesa è stata raggiunta in sede di Conferenza unificata del 5 luglio 2012 e ad essa ha fatto seguito, il 24 gennaio 2013, l'approvazione da parte delle regioni e delle province autonome di un conseguente documento di attuazione volto a rendere omogenei criteri e modalità concernenti durata delle concessioni, criteri di selezione, fiere, assegnazione di posteggi nei mercati o nelle fiere di nuova istituzione, partecipazione alle procedure di selezione di prestatori provenienti da Stati membri dell'Unione europea, spunta, numero massimo di posteggi assegnabili ad un medesimo soggetto giuridico nella stessa area mercatale, disposizioni transitorie;
   con nota del 10 marzo 2015 indirizzata al sindaco pro tempore di Torino e presidente dell'ANCI – Piero Fassino – e, per conoscenza, al Ministero dello sviluppo economico, le associazioni di categoria «ANVA-Confesercenti» e «FIVA-Confcommercio» – pur confermando l'interesse alla modifica del «quadro normativo europeo» – hanno sinteticamente giudicato l'intesa in argomento come «un modello conforme ai principi europei, ben adattato alla effettiva realtà italiana e allo stesso tempo uno strumento equilibrato fra le rispettive competenze regionali e locali, del tutto idoneo a salvaguardare le esigenze delle imprese», richiamando ancora l'attenzione – posto che fin dal 1o gennaio 2017 i comuni si dovranno attivare in vista delle selezioni attuative del nuovo ordinamento – sul problema organizzativo costituito dalla gestione della messa a bando, a partire dal maggio 2017, della concessione di una media di 5.000 posteggi/giorno per regione;
   con la risoluzione in X commissione 7-00822 presentata dall'onorevole Luigi Taranto e da altri deputati 21 ottobre 2015, seduta n. 507, il Governo veniva impegnato a promuovere l'attivazione di un tavolo di – lavoro che veda la partecipazione di tutti i livelli istituzionali ed amministrativi interessati, nonché, delle associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche maggiormente rappresentative – finalizzato all'individuazione di ogni iniziativa utile alla soluzione dei problemi organizzativi connessi alla piena operatività dell'intesa del 5 luglio 2012 sui criteri da applicare nelle procedure di selezione per l'assegnazione di posteggi su aree pubbliche, in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa;
   se il Governo sia intenzionato ad attivare il tavolo di lavoro interistituzionale e quali siano le tempistiche previste per tale attivazione. (5-09113)


   GASPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono numerosi gli enti locali che hanno stipulato all'esito di una procedura ad evidenza pubblica un contratto di concessione del servizio di distribuzione del gas, venuto a scadere in data successiva all'entrata in vigore dell'articolo 24, comma 4, del decreto legislativo n. 93 del 2011 il quale ha previsto che «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all'articolo 46-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159 convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222»;
   peraltro, tale previsione – che la giurisprudenza anche amministrativa ha dichiarato avere valenza di norma imperativa – risultava già contenuta, a decorrere dal 1o aprile 2011, nell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 19 gennaio 2011, recante «Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale»; il sopravvenuto decreto legislativo ha costituito solo un rinforzo della fonte normativa ad opera del legislatore, al fine di fugare dubbi sulla possibile inidoneità della fonte regolamentare a determinare i disposti effetti transitori;
   il divieto imposto dalle norme sopra indicate di bandire gare autonomamente è passato anche al vaglio della Corte Costituzionale la quale ha giudicato, con sentenza 7 giugno 2014, n. 134, la legittimità della disposizione introdotta dal legislatore;
   successivamente all'entrata in vigore di dette disposizioni, dunque, gli enti locali – in attesa del perfezionamento delle procedure di aggiudicazione a mezzo autorità d'ambito – si sono visti, da un lato, negare la possibilità di procedere a selezionare, a mezzo procedura ad evidenza pubblica, un nuovo operatore cui affidare il servizio di distribuzione, dall'altro, al fine di garantire la continuità di un servizio pubblico economico prioritario, hanno dovuto continuare il rapporto con il gestore uscente;
   tale ultima conseguenza discende direttamente dal disposto dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 164 del 2000 («Il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento»);
   la predetta disposizione (approvata già dal 2000) è stata richiamata anche dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 19 gennaio 2011 il quale prevede che «il gestore uscente ai sensi dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 264, resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento»;
   tuttavia, poiché le citati disposizioni non esplicitano il fatto che il rapporto con il gestore debba continuare ad essere regolato dal contratto di concessione scaduto, i concessionari, pur continuando a gestire il servizio di distribuzione del gas, non hanno più versato dal 2012 alcunché ai comuni;
   sostengono, infatti, i concessionari che la gestione ope legis in regime di ordinaria amministrazione costituisce soltanto un obbligo per il concessionario (come del resto recita testualmente il disposto normativo sopra richiamato), a cui non corrisponderebbe alcun apprezzabile interesse reddituale/lucrativo, stante il nesso tra investimenti (non previsti nel regime post scadenza) e utili;
   è vero che il legislatore nel prevedere che il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento, tuttavia non è stato precisato se tale rapporto debba proseguire alle stesse condizioni del contratto scaduto;
   secondo gli enti locali interessati, la logica conseguenza della prosecuzione ope legis del rapporto concessorio è l'applicazione delle stesse condizioni del contratto di concessione scaduto;
   se dovesse per ipotesi essere accolta la tesi dei concessionari (finalizzata ad affermare l'insussistenza di una obbligazione pecuniaria in punto di canone concessorio) la contraddittorietà e la illegittimità di una simile decisione sarebbero, secondo l'interrogante, evidenti dal momento che se, da un lato, il concessionario continua a non pagare l'ente locale proprietario della rete di distribuzione del gas, dall'altro, tuttavia, continua a sfruttare economicamente a propri esclusivi fini la rete di distribuzione gas di proprietà degli enti locali senza nulla riconoscere al legittimo proprietario;
   tale conseguenza sarebbe contraria anche alle disposizioni emanate per le nuove gare d'ambito che dettagliatamente prevedono gli oneri a carico del concessionario e a favore dell'ente locale;
   che nel rapporto gestorio in regime di prorogatio il concessionario debba versare un canone di concessione al comune concedente è implicitamente riconosciuto dallo stesso legislatore;
   l'articolo 46-bis del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, al comma 4, ha infatti previsto che: «A decorrere dal 1o gennaio 2008, i comuni interessati dalle nuove gare di cui al comma 3 possono incrementare il canone delle concessioni di distribuzione, solo ove minore e fino al nuovo affidamento, fino al 10 per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione di cui alla delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 237 del 28 dicembre 2000, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2001, e successive modificazioni, destinando prioritariamente le risorse aggiuntive all'attivazione di meccanismi di tutela relativi ai costi dei consumi di gas da parte delle fasce deboli di utenti»;
   nel momento in cui il legislatore riconosce ai comuni interessati dalle nuove gare d'ambito la facoltà di «incrementare» il canone delle concessioni di distribuzione fino al 10 per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione espressamente sancisce che in tali rapporti:
    a) sussiste l'obbligo del concessionario di versare il canone di concessione di distribuzione ai comuni;
    b) sussiste la facoltà dei comuni concedenti di aumentare detto canone fino al 10 per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione di cui alla delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 237 del 28 dicembre 2000;
    c) tale facoltà non è evidentemente riconosciuta in quei rapporti in cui il canone di concessione previsto dal contratto di concessione scaduto sia già di per sé superiore a detto limite;
   quanto sopra è stato recepito dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico che, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato sul sito dell'Autorità in data 1o maggio 2016 il «Comunicato», recante «Chiarimenti in relazione alla sussistenza dell'obbligo di pagamento del canone per il servizio di distribuzione dei gas naturale da parte del concessionario del comizio nel periodo di prosecuzione dei servizio ai sensi dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164»;
   in particolare, tale chiarimento ha affermato che «Peraltro, il silenzio normativo in punto di canone per l'affidamento non pare di per sé sufficiente a escludere l'obbligo di pagamento dello stesso canone. Sembra, piuttosto, che – in assenza di previsioni specifiche o contrarie – la gestione del servizio debba continuare a essere disciplinata come in precedenza e quindi secondo le previsioni della concessione scaduta, rispettando l'equilibrio giuridico-economico ivi stabilito»;
   ad oggi e nonostante il chiarimento pubblicato, i concessionari si rifiutano di versare alcun tipo di indennità/onere/canone agli enti locali proprietari della rete di distribuzione del gas e persistono nel coltivare le azioni giudiziarie avviate e da avviare nei confronti degli enti locali medesimi, al fine di sentire accertare dal tribunale ordinario l'inesistenza di un obbligo normativo al pagamento del canone di concessione preteso dai comuni;
   i tribunali non danno una linea univoca, né si dimostrano a un primo impatto disponibili a chiudere le cause in forza soltanto del comunicato dell'Autorità di cui sopra;
   i previsti mancati introiti determinano pesanti conseguenze a livello finanziario per gli enti locali che si trovano in questa situazione con il rischio di disavanzo di bilancio, con tutte le ripercussioni nel normale svolgimento degli altri servizi normalmente garantiti dagli enti locali –:
   se non ritenga necessario ed urgente assumere iniziative ove ne ricorrano i presupposti mediante circolare interpretativa, per chiarire la portata dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 164 del 2000 secondo il quale «il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento», precisando, così come ha evidenziato l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, che la proroga non può che «essere alle stesse condizioni del contratto prorogato». (5-09116)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   già con l'interrogazione n. 5-03043, ancora priva di risposta, si erano chieste al Governo notizie in merito alle assunzioni di parenti di politici e sindacalisti in seno all'azienda Poste Italiane Spa;
   fra le situazioni indicate, si era evidenziata quella del signor Alessandro Alfano, fratello del Ministro Angelino Alfano, assunto con provvedimento dell'allora amministratore Delegato Massimo Sarmi, e destinato alla società Postecom;
   con nota di servizio RUOS/02/16, dell'8 giugno 2016, tale Alessandro Antonio Alfano è stato nominato in posizione apicale dell'Area Immobiliare Sud 2 della società;
   da recenti notizie di stampa, pubblicate sul Fatto Quotidiano del 05 luglio 2016, si apprende che le Fiamme Gialle, nel corso di una vasta operazione di indagine coordinata dalla procura di Roma e relativa a supposti reati di frode fiscale, corruzione, riciclaggio, truffa ai danni dello Stato e all'appropriazione indebita, avrebbero intercettato una conversazione tra Giuseppe Pizza e Davide Tedesco, collaboratore del Ministro Alfano, nella quale che si sarebbe parlato dell'incarico fatto avere al fratello del leader del Nuovo Centrodestra;
   in particolare, la Guardia di finanza avrebbe annotato, nelle carte dell'indagine, che «Pizza sostiene di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l'ex amministratore Massimo Sarmi, l'assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo Poste» –:
   di quali notizie disponga il Governo circa i fatti di cui in premessa;
   se Alessandro Antonio Alfano, di cui alla nota RUOS/02/16, corrisponda alla persona del fratello del Ministro;
   quali specifici criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi siano stati adottati dalla società, non, solo ma anche in applicazione dell'articolo 18 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, al fine di garantire il rispetto dei principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità e imparzialità;
   se la procedura di assunzione e conferimento degli incarichi al signor Alessandro Alfano si sia conformata a tali criteri, modalità e principi. (5-09117)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 giugno 2016, con una lettera indirizzata a Unindustria, la Società Sistemi Informativi s.r.l. ha comunicato la propria decisione di «dar seguito a una riduzione di personale con conseguente collocazione in mobilità di nei confronti di 156 dipendenti», ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991;
   l'esubero sarebbe determinato «dal calo dei volumi di fatturato e dalla decrescita del portafoglio ordini e la conseguente necessità di riallineare gli organici alle esigenze correnti di mercato»;
   stando a quanto riportato dalla società nella citata lettera «il calo del portafoglio ordini è dovuto principalmente al settore della Pubblica amministrazione» dovuto in parte dall'andamento negativo del mercato e, per altra parte, alle «differenti modalità di gestione dei contratti e la variazione di alcune normative»;
   in particolare, molti clienti della pubblica amministrazione negli ultimi anni avrebbero preferito formalizzare appalti suddivisi in più lotti, riducendo fortemente la possibilità di un singolo fornitore di massimizzare il valore dei propri servizi nei confronti di uno stesso cliente;
   inoltre, il decreto attuativo del codice degli appalti avrebbe introdotto una ulteriore limitazione rispetto alle percentuali di erogazione dei servizi all'interno di un raggruppamento temporaneo d'impresa;
   i previsti licenziamenti appaiono di particolare gravità per tutte le famiglie coinvolte, soprattutto in considerazione della pesante crisi che sta vivendo da anni il mercato lavorativo e che non offre facili soluzioni di reimpiego –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare i lavoratori della società di cui in premessa, se del caso istituendo un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico;
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza al fine di correggere quelle disposizioni normative e regolamentari attualmente vigenti suscettibili di mettere in difficoltà le aziende in un momento già difficile per il sistema produttivo nazionale. (4-13713)


   PASTORINO e CIVATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 giugno 2016 Ericsson Telecomunicazioni ha presentato un nuovo piano industriale, nel quale sono stati annunciati quasi 400 esuberi su 4000 dipendenti di cui 137 nello stabilimento di Genova, esuberi che si aggiungono a quelli già effettuati da parte dell'azienda negli ultimi dieci anni;
   l'azienda fino ad oggi ha negato un confronto con i lavoratori e il Governo. Ma nonostante questo, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, con i Ministri Poletti, Calenda, Franceschini, hanno partecipato alla convention annuale Ericsson «Giovani, Innovazione, Crescita», in programma a Palazzo Madama. Insieme agli esponenti del Governo c'erano l'amministratore delegato di Ericsson Italia Nunzio Mirtillo e l'amministratore delegato Hans Vestberg;
   l'episodio di oggi appare agli interroganti non solo beffardo ma anche decisamente inopportuno visto che, mentre a palazzo Madama si parla di questi temi «così alti», i vertici della stessa azienda che ha promosso l'evento «Giovani, Innovazione, Crescita», si rifiutano di partecipare al tavolo del Ministro dello sviluppo economico per discutere, come detto, dei circa 400 esuberi, di cui 147 a Genova, annunciati dall'azienda in Italia. Ci si chiede di quale crescita e sviluppo parlino, mentre si umiliano i lavoratori dell'azienda svedese;
   in ogni caso, l'atteggiamento del Governo che, allarga le braccia di fronte al rifiuto da parte di Ericsson a partecipare al tavolo del Ministro dello sviluppo economico e, contemporaneamente, offre a questa stessa azienda spazi e presenze istituzionali, risulta ad avviso degli interroganti assolutamente irrispettoso delle istanze dei lavoratori, delle loro aspettative e delle aspettative della città di Genova e di una intera regione –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere operativo il tavolo di crisi ministeriale con la partecipazione dell'azienda e, nel contempo, assumere insieme a tutto il Governo, una posizione forte e contraria nei confronti di Ericsson, il cui modello ideale di sviluppo, propagandato attraverso un convegno intitolato «Giovani, Innovazione e Crescita», non ha la minima corrispondenza nelle realtà in cui opera in Italia, considerato che l'innovazione e la crescita non si garantiscono licenziando la gente. (4-13730)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Tullo e altri n. 7-01042, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rizzetto n. 4-13685 del 5 luglio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09107.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi del comparto agricolo in Sicilia ha raggiunto livelli che superano di gran lunga il livello di allarme tanto da poter parlare di una vera e propria emergenza che sta facendo contrarre l'economia della regione mettendo in ginocchio migliaia di lavoratori e le loro famiglie;
   le analisi di mercato riportano ad esempio come il pomodoro ciliegino sia svenduto nei mercati a 70 centesimi e le arance marciscano sugli alberi visto che i ricavi delle vendite non coprirebbero i costi della raccolta;
   in merito al settore oleario si assiste alla crisi dei mercati dell'agrigentino e di Vittoria, ormai in ginocchio, viste le stringenti regole europee che l'Italia e la Sicilia sono costrette a rispettare;
   mentre si subisce impotenti la distruzione del comparto oleario siciliano, l'Unione europea, in questi giorni, ha accordato un aumento temporaneo di import di olio tunisino per aiutare l'economia di quel Paese;
   la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo ha, infatti, approvato il «via libera», a ulteriori 35 mila litri nel 2016 e altrettanti nel 2017 di olio tunisino esportabili nell'Unione europea a dazio zero;
   da quanto si apprende, le associazioni di categoria, hanno inviato una lettera all'Alto rappresentate dell'Unione europea per gli affari esteri, Federica Mogherini, ai commissari europei del commercio e dell'agricoltura e agli eurodeputati italiani, per chiedere di riscrivere l'accordo sul libero scambio con il Marocco che frutta al Paese nordafricano 30 milioni di euro l'anno;
   solo durante il primo semestre 2015, l'Europa ha ricevuto 428.396 tonnellate di ortaggi dal Marocco, di cui 228 mila tonnellate di pomodoro, pari all'81 per cento dell’import dei Paesi dell'Unione europea;
   il pomodoro ciliegino nei nostri mercati viene svenduto a 70 centesimi, cioè meno del costo di produzione per la concorrenza sleale del prodotto marocchino di minor costo, cui si aggiunge il dubbio che possa essere spacciato per prodotto siciliano –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per dare con urgenza completa attuazione agli accordi sottoscritti che prevedevano sia misure compensative per gli agricoltori sia la sospensione dei flussi di merce dal nord Africa durante le campagne di raccolta;
   se intenda attivarsi al fine di intensificare i controlli alle dogane affinché sulla tavola degli italiani arrivi un prodotto di cui è certificata la provenienza ed è garantita la certezza della filiera.
(4-11919)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame faccio presente che, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo dell'importazione senza dazi di 35 mila tonnellate l'anno in più di olio d'oliva tunisino per il 2016 in tutta Europa, e altrettante per il 2017 (in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione Unione europea-Tunisia), sono fermamente contrario a qualsiasi aumento permanente del contingente di olio tunisino.
  Peraltro, già a margine del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea del 15 febbraio 2016, avevo chiesto che questa scelta, nata come misura straordinaria, non si trasformasse in azione strutturale.
  In tale contesto, è stato altresì evidenziato come eventuali accordi di cooperazione, focalizzati sulla promozione di soluzioni innovative per sostenere le produzioni agricole e alimentari nei Paesi del Mediterraneo, risulterebbero più efficaci delle proposte di aumento dell'importazione di olio nordafricano.
  In tale direzione, pur tenendo presente la particolare situazione politica in cui versa la Tunisia, abbiamo già rappresentato, nelle sedi competenti, la necessità che i negoziati di politica economica e commerciale non penalizzino l'agricoltura e che le eventuali concessioni dell'Unione europea, nei confronti dei diversi partner commerciali, vengano governate dal principio di un approccio equilibrato e proporzionale tra i vari settori dell'economia europea.
  Anche in sede di comitati di gestione di settore, il Ministero delle politiche agricole aveva espresso parere contrario alla proposta di regolamento della Commissione finalizzata ad abolire i massimali mensili per i quantitativi di olio d'oliva, ai fini del rilascio dei titoli di importazione nell'ambito del volume complessivo del contingente che ha origine dalla Tunisia.
  In ogni caso, reputo necessario che le politiche internazionali tengano in debito conto i fabbisogni e le esigenze del settore agricolo e non danneggino i prodotti agricoli europei; in tal senso, a difesa dell'agricoltura nazionale, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali monitora regolarmente il contesto.
  Chiarito quanto sopra, faccio presente che recentemente sono stati emanati il Regolamento n. 580 del 2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della repubblica tunisina, nonché il regolamento di esecuzione n. 605 del 19 aprile 2016 della commissione, recante apertura e gestione di un contingente tariffario temporaneo di olio di oliva originario della Tunisia e che modifica il regolamento (CE) n. 1918 del 2006.
  Per cui il quantitativo aggiuntivo sarà attivo solo per due annate e le 35.000 tonnellate sono disponibili per gli operatori dell'intera unione. Infatti, il quantitativo di olio tunisino importato, in regime di contingente tariffario a dazio zero, rappresenta il 5,5 per cento circa (dati Istat) del quantitativo totale di olio importato, necessario per soddisfare sia il consumo interno che l'export.
  Abbiamo rappresentato ai competenti dicasteri la necessità di richiedere una congrua riduzione dei quantitativi da concedere unitamente ad una rimodulazione dei quantitativi medesimi, al fine di evitare possibili penalizzazioni ai produttori olivicoli italiani nel pieno della campagna olivicola.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che il citato regolamento del Parlamento europeo ha inoltre recepito, tra i considerando, quanto richiesto dall'Italia in materia di tracciabilità prevedendo, per evitare le frodi, che le misure commerciali autonome siano subordinate al rispetto delle norme vigenti in Unione europea per quanto concerne l'origine dei prodotti e le procedure correlate.
  Grazie all'azione della delegazione italiana, è stato introdotto l'obbligo di un accurato monitoraggio, da compiersi a fine 2016, per valutare le eventuali ripercussioni negative sui mercati interni e procedere, se del caso, ad eventuali misure correttive.
  Peraltro occorre tener presente che, a livello nazionale, gli operatori che movimentano gli oli, indipendentemente se di origine estera o nazionale, compresi i semplici commercianti di olio sfuso privi di stabilimento o deposito, sono obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico ai fini della commercializzazione degli oli stessi.
  In tal senso, in Italia è attivo il registro telematico degli oli che consente un puntuale monitoraggio dei flussi di prodotto movimentati dai singoli operatori.
  Tale registro che, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli Organismi di controllo, è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), costituisce un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva» in quanto consente di controllare le singole movimentazioni di ogni stabilimento e conoscere i soggetti, nazionali o esteri, coinvolti nella movimentazione stessa.
  Grazie a questo strumento di controllo, sono state realizzate le azioni più importanti di contrasto alle frodi, svolte in questi ultimi anni nel settore oleario dall'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF) in collaborazione con la guardia di finanza.
  Ad ulteriore tutela del nostro prodotto rilevo poi che, per l'olio d'oliva, gli investigatori del corpo forestale dello Stato si avvalgono dell'innovativa tecnica del riconoscimento del DNA delle cultivar di olivo presenti nell'olio (analisi molecolare).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CARNEVALI, CASATI, BRAGA, RAMPI, GASPARINI, FERRARI, CIMBRO, PELUFFO, COMINELLI, MALPEZZI, GADDA, GIUSEPPE GUERINI, BERLINGHIERI, FRAGOMELI, TENTORI, GIAMPAOLO GALLI, POLLASTRINI e MISIANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fine traumatica della IX legislatura regionale lombarda – dovuta alle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri – ebbe la sua causa principale negli scandali che colpirono il sistema sanitario regionale (San Raffaele e Maugeri);
   le elezioni della primavera del 2013 per il presidente della regione e per la nuova assemblea regionale furono condotte dall'attuale maggioranza su promesse di un profondo rinnovamento del sistema politico regionale e di una forte discontinuità nella gestione della sanità;
   il candidato della coalizione di centro-destra Roberto Maroni promise un'esaustiva azione di pulizia nel sistema pubblico a partire appunto dalla riforma del sistema sanitario, garantendo un profondo rinnovamento dei comportamenti amministrativi, improntati alla trasparenza, efficacia ed efficienza e capaci di riportare la completa legalità in tutti i livelli dell'amministrazione regionale, con l'obiettivo di rinsaldare così il rapporto di fiducia con l'opinione pubblica;
   nel giugno del 2015 si sono concluse con la richiesta di rinvio a giudizio le indagini, avviate nel 2014, che vedono il coinvolgimento dello stesso presidente della giunta Roberto Maroni, del suo staff e dell'ex segretario generale, in provvedimenti giudiziari per «mala gestione» e il procedimento arriverà nelle aule di giustizia in questi giorni;
   il 13 ottobre 2015, la procura della Repubblica di Milano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare per il vicepresidente della giunta regionale della Lombardia e assessore alla salute, Mario Mantovani, per i reati di concussione, corruzione aggravata e turbativa della libertà degli incanti;
   il 16 febbraio 2016, il pm della procura della Repubblica del tribunale di Monza ha fatto eseguire l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 27 gennaio 2016, con la quale dispone la misura cautelare della custodia in carcere del consigliere regionale e presidente della commissione sanità e politiche sociali Fabio Rizzi e di diverse altre persone, prevedendo la misura obbligatoria di dimora presso il comune di residenza per ulteriori 5 indagati;
   questa richiesta è originata dalla segnalazione di irregolarità nelle procedure di gara dal revisore dell'azienda Ospedaliera di Desio e di Vimercate, Giovanna Ceribelli e che fa emergere una vasta rete di collaborazione tra imprese, funzionari pubblici, sponsor politici con il cosiddetto «sistema Canegrati»;
   i protagonisti hanno fatto della corruzione il principale se non esclusivo strumento per garantirsi quelli che sono stati definiti l'aggiudicazione delle gare presso le strutture pubbliche usando il grimaldello di politici a «remunerato servizio» e l'attività pubblica diventa occasione per ottenere, se non esigere, pagamenti la cui consistenza e la cui programmata entità sono tali da richiedere la costruzione di società estere ove fare convogliare il denaro;
   altro fatto non irrilevante per il fenomeno corruttivo, sul quale si stanno svolgendo le indagini e dal quale sono scaturiti i provvedimenti restrittivi a carico delle persone e delle società coinvolte, hanno come fenomeno strutturale il fatto di aver consentito agli ospedali pubblici di chiudere i propri servizi odontoiatrici per sostituirli con servizi appaltati a «service» privati esterni da ospitare negli ospedali pubblici;
   il ruolo svolto dal consigliere Fabio Rizzi, su mandato del presidente Maroni, e stato quello di estensore della riforma della governance della sanità regionale; la sua funzione istituzionale e politica ne faceva uno dei principali interlocutori della sanità regionale;
   modello della riforma della governance della sanità regionale non trova corrispondenza nell'assetto organizzativo del servizio sanitario nazionale, come delineato dalla normativa statale, il quale, come noto, si articola nei due modelli distinti, delle ASL (aziende sanitarie locali) con funzioni affidate al distretto ed eventuali funzioni ospedaliere che, ove previste, sono riservate ai presidi ospedalieri a gestione diretta, e delle AO (aziende ospedaliere) ovvero gli ospedali che, possedendo determinati requisiti, acquistano personalità giuridica autonoma rispetto alle ASL, in tal modo, facendo confluire le funzioni distrettuali delle ASL nelle ASST;
   il legislatore regionale crea un tertium genus non previsto dalla normativa statale, costituendo comunque un notevole disallineamento rispetto all'articolazione organizzativa del servizio sanitario nazionale disciplinata dalla normativa statale; il Ministero della salute ha ammesso questo modello di governance solo a condizione di recepire i rilievi esplicitati dallo stesso Ministero inviati con una nota di parere e subordinandolo alla condizione di sperimentazione soggetta a verifica dei risultati e valutazione degli esiti;
   la regione, in collaborazione con il Ministero della salute, effettua una prima verifica in corso di sperimentazione al termine del primo triennio, al fine di individuare eventuali interventi correttivi;
   la legge regionale lombarda n. 23 del 2015 è entrata in vigore l'11 agosto 2015 con molte criticità sia per il percorso di applicazione sia per evidenti difficoltà a prevenire atti corruttivi;
   il Comitato regionale per la trasparenza degli appalti e sicurezza dei cantieri, nominato il 13 maggio 2013, e presieduto dall'ex generale della Guardia di Finanza, Mario Forchetti, ha evidenziato che il consistente ricorso alla proroga dei contratti da parte delle aziende del SSR, dovrebbe essere riservato a «casi limitati ed eccezionali perché contraddice il diritto alla libera concorrenza», vista altresì la incidenza di proroghe ed affidamenti diretti da parte di aziende sanitarie, per somme superiori al limite consentito dalle normative attuali –:
   se siano stati avviati contatti tra il Ministero della salute e la regione Lombardia in vista della procedura di valutazione della sperimentazione di cui in premessa e quali iniziative di affiancamento siano previste al riguardo; se, in generale, si intendano assumere iniziative di competenza, anche normative, per prevenire situazioni corruttive analoghe a quelle esplicitate in premessa, con particolare attenzione al collocamento di «service» privati all'interno di strutture pubbliche. (4-12689)

  Risposta. — In data 4 aprile 2016 è stato stipulato un protocollo d'intesa tra il Ministero della salute e la regione Lombardia, relativo al monitoraggio dell'attuazione della legge regionale 11 agosto 2015, n. 23, di riforma del Servizio socio-sanitario lombardo.
  In conformità a quanto stabilito dall'articolo 2 della legge regionale n. 41 del 2015, che ha aggiunto l'articolo 1-bis alla citata legge regionale n. 23 del 2015, l'intesa prevede che, al termine della sperimentazione, di durata quinquennale, la regione e il Ministero della salute valuteranno i risultati e verificheranno, sulla base delle relazioni semestrali prodotte dalla regione stessa, se l'efficienza della nuova organizzazione sia idonea o meno a garantire i Livelli essenziali di assistenza (L.E.A.) e l'adeguatezza delle cure ai cittadini residenti nel territorio lombardo.
  In caso di esito positivo, si riterrà definitivamente validata l'organizzazione del servizio socio-sanitario regionale integrato della regione Lombardia, così come disciplinato dalla legge regionale n. 23 del 2015.
  L'intesa stabilisce che una prima verifica sarà effettuata al termine del primo triennio, allo scopo di individuare eventuali interventi correttivi.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   COMINARDI, ALBERTI, BASILIO, SORIAL e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 9 ottobre 2015 si è tenuta a Brescia la riunione della conferenza dei sindaci, organismo avente potere di voto obbligatorio e vincolante, nel quale è stata approvata la proposta ufficializzata dall'A.T.O, il 29 settembre 2015, volta a determinare le modalità per provvedere alla scelta del soggetto gestore unico provinciale del servizio idrico integrato, come stabilito nella seduta del consiglio di amministrazione dell'ente tenutasi in data 17 settembre 2015. Tale proposta si concreta nell'affidamento diretto trentennale del servizio idrico integrato ad una società interamente pubblica creata mediante la fusione degli operatori pubblici attualmente esistenti e nella cui compagine, successivamente (entro il 31 dicembre 2018), accederà un socio privato individuato tramite gara ad evidenza pubblica, al quale sarà ceduta una quota non inferiore al 40 per cento della società di gestione;
   la risoluzione del Parlamento europeo dell'11 marzo 2004 sulla strategia per il mercato interno afferma che «essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno». Tale pensiero viene ripreso e ribadito nella risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006 «IV Forum mondiale dell'Acqua» dove si afferma il seguente principio: «la gestione delle risorse idriche si basi su un'impostazione partecipativa e integrata, che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico»;
   ed ancora a sostegno del predetto concetto interviene la direttiva europea n. 2000/60/CE (direttiva-quadro per l'azione comunitaria in materia di acque), la quale riconosce che «l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale»;
   a giudizio degli interroganti sul tema non si può dimenticare il risultato di due dei quattro referendum abrogativi del 12 e 13 giugno 2011 in Italia, quelli in particolare riferiti alla gestione del servizio idrico. Il primo quesito referendario ha visto prevalere il «si» all'abrogazione di una norma che nel giro di pochi mesi avrebbe obbligato gli enti locali a prevedere delle gare aperte a soggetti pubblici, privati o misti, per decidere a chi affidare in concessione i servizi idrici. La normativa abrogata (articolo 23-bis – servizi pubblici locali di rilevanza economica – del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112) stabiliva che la gestione del servizio idrico venisse affidata a soggetti privati attraverso gara o l'affidamento a società a capitale misto pubblico o privato, all'interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40 per cento. Il secondo quesito ha abrogato l'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (norme in materia d'ambiente) limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito. La parte di normativa che si è abrogata è quella che avrebbe consentito al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7 per cento a remunerazione del capitale investito;
   il numero dei «Si» al primo quesito è stato di 25.935.372 pari al 95,35 per cento dei votanti, mentre il numero dei «Si» al secondo quesito è stato di 26.130.637 pari al 95,80 per cento dei votanti;
   la decisione adottata dalla conferenza dei sindaci appare agli interroganti non coerente con i risultati referendari ed altresì con le risoluzioni e le direttive europee in materia;
   gli interroganti ritengono prematuro e vincolante istituire fin d'ora l'obbligo ad individuare un soggetto privato al quale cedere una quota non inferiore al 40 per cento della società di gestione del servizio idrico integrato –:
   se il Governo sia conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative normative per esplicitare la percentuale massima delle quote private nella gestione del servizio idrico integrato, nonché l'impossibilità di incamerare profitti da questa gestione;
   come il Governo intenda dare attuazione agli esiti referendari, in particolare per quanto riguarda la concessione dei servizi idrici a privati e l'impossibilità di ottenere una remunerazione dei profitti dalla gestione degli stessi;
   come il Governo intenda agire, per quanto di competenza, al fine di difendere e proteggere l'acqua pubblica, bene naturale indispensabile che, in quanto tale appartiene all'umanità, da eventuali abusi nella gestione e/o da speculazioni private.
(4-11459)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Attualmente è in corso un processo di riorganizzazione del servizio idrico integrato avviato con l'emanazione del decreto legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 che mira ad assicurare una governance del servizio idrico in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Al fine di accelerare e portate a compimento la riorganizzazione del servizio idrico integrato è previsto il rafforzamento del dovere di provvedere tempestivamente, con l'introduzione della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile per l'autore del comportamento omissivo e con l'attribuzione del potere sostitutivo al Governo o alle regioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione competente.
  Lo «Sblocca Italia», infatti, prevede la gestione unica del servizio e l'esercizio dei poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà:
   dello Stato nei confronti delle regioni che non avessero provveduto alla data del 31 dicembre 2014 ad identificare i nuovi enti di governo d'ambito (articolo 7, comma 1, lettera b) che ha modificato l'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006). L'istruttoria per l'esercizio dei poteri sostitutivi è in corso ed è stata avviata con determine della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2015 nei confronti delle Regioni Calabria, Sicilia, Campania e Molise. Le regioni stanno provvedendo ad adeguarsi alle nuove disposizioni normative;
   delle regioni nei confronti degli enti locali che noti aderiscano all'ente di governo d'ambito o non provvedano al trasferimento delle infrastrutture al gestore unico. Laddove la regione non provveda, dovrà essere l'autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), a segnalare l'inadempienza al Governo affinché questi possa esercitare i poteri sostitutivi.

  Per quanto riguarda la materia degli affidamenti, anche a seguito degli esiti referendari, per meglio comprendere il nuovo assetto regolatorio definito dal legislatore nazionale con il decreto «Sblocca Italia», si ritiene necessario formulare alcune brevi precisazioni.
  In premessa, è opportuno ricordare come, secondo la sent. n. 325 del 2010, della Corte costituzionale, un servizio va considerato di rilevanza economica a condizione «che l'immissione del servizio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che, per l'applicazione dell'articolo 23-bis, è condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità», e che «l'esercizio dell'attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)».
  Nelle sentenze n. 246 del 2009 e n. 325 del 2010 la Corte Costituzionale precisa, in particolare, che la competenza legislativa dello Stato sul servizio idrico, in quanto riconducibile alla tutela della concorrenza, prevale su quella regionale, e in particolare, su quella relativa ai servizi pubblici locali. Per quel che qui interessa, con la sentenza 325 del 2010 relativamente al servizio idrico integrato, la Corte afferma che « il legislatore statale, in coerenza con la menzionata (...) comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione». La rilevanza economica del servizio ne implica l'assoggettabilità alle regole della concorrenza nel rispetto degli articoli 14 e 106 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea, nonché ai precetti individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

  Al riguardo occorre altresì considerare gli esiti della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011.
  Il Referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 riguardava 2 quesiti.
  Il primo quesito aveva ad oggetto l'abrogazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, che nell'eliminare l'alternatività tra le diverse forme di gestione, di cui all'ex articolo 113 del decreto legislativo 267 del 2000 (che lo stesso 23-bis aveva sostituito), prevedeva che l'affidamento diretto (ovvero in house providing) costituisse una deroga possibile solo quando le particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, e geomorfologiche del contesto territoriale non consentivano un efficace ricorso alle procedure ordinarie ad evidenza pubblica.
  Il secondo quesito referendario, invece, chiedeva l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore.
  All'esito di tali consultazioni referendarie si è giunti innanzi tutto all'abrogazione dell'intero articolo 23-bis. Il legislatore ha tuttavia introdotto successivamente l'articolo 4 del decreto-legge 138 del 2011, che ha ripreso in larga parte la disciplina abrogata per via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla successiva declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012.
  L'esito positivo della seconda consultazione referendaria ha invece prodotto l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore. Tale abrogazione non ha fatto comunque venire meno il principio europeo del full recovery cost, in base al quale la tariffa del servizio idrico deve tendere una copertura dei costi. Gli stessi giudici costituzionali, nella sentenza in cui hanno dichiarato ammissibile il quesito referendario (sentenza n. 24 del 2010) hanno riconosciuto il carattere coessenziale della copertura dei costi, d'altronde enunciato chiaramente dalla stessa lettera del comma 1 dell'articolo 154, così come risultante dagli esiti referendari, ove si parla di «copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi».
  In tema è poi intervenuto il decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia). Con l'articolo 7, comma 1, lettera
d), di tale atto normativo si è provveduto ad introdurre l'articolo 149-bis nel decreto legislativo 152 del 2006 che, nel disciplinare l'affidamento del servizio nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 152 del 2006 e del principio di unicità della gestione, rimanda all'ordinamento europeo relativamente alla forma di gestione, ovvero all'affidamento in house providing al ricorrere dei rigorosi presupposti imposti dalla disciplina comunitaria e consolidati dalla nutrita giurisprudenza europea sul punto («controllo analogo», «prevalenza dell'attività» e «partecipazione pubblica»).
  La disposizione conferma (codificandola in una norma di diritto positivo) l'impostazione della giurisprudenza costituzionale, identificando le forme di gestione del SII in quelle stabilite dall'Unione europea. Il riferimento all’«ordinamento europeo» implica che le forme di gestione del SII siano da individuare:
   a) nell'affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato di funzionamento dell'Unione Europea;
   b) nell'affidamento del servizio a società mista il cui socio privato sia scelto mediante procedura ad evidenza pubblica;
   c) nell'affidamento del servizio a soggetto interamente pubblico in house, purché l'affidatario disponga dei requisiti individuati dalla giurisprudenza dell'Unione europea.

  Pertanto, alla luce di quanto evidenziato, sarà l'ente di governo d'ambito, a cui partecipano obbligatoriamente tutti i comuni ricadenti nell'ambito territoriale ottimale ai sensi dell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 3-bis, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, a scegliere quale sia la forma di gestione più idonea ed economicamente vantaggiosa ad erogare un servizio di qualità, efficiente, efficace ed economico.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  In relazione alla esigenza di difendere e proteggere l'acqua pubblica da eventuali abusi nella gestione e da possibili speculazioni private, si evidenzia che a tutela della concorrenza e dei consumatori, la regolazione ed il controllo del settore è in capo alla sopra citata Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico (Aeegsi) a cui spetta, ai sensi dell'articolo 1 della legge istitutiva 481 del 1995, la funzione di «garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori».
  In particolare, l'Aeegsi ha il compito di disciplinare una metodologia tariffaria omogenea a livello nazionale e di verificare la corretta redazione del Piano d'ambito; di approvare le tariffe proposte dal soggetto competente sulla base del Piano d'ambito; di adottare direttive per la trasparenza della contabilità e per la separazione contabile e amministrativa dei gestori del S.I.I., nonché la rendicontazione periodica dei dati gestionali, al fine di individuare i più efficaci strumenti regolatori che possano consentire di allineare il sistema infrastrutturale nazionale agli standard definiti in ambito europeo e agli obiettivi di qualità ambientale e della risorsa previsti sul territorio.

  L'innovativo approccio alla regolazione consentirà di esplicitare la relazione tra gli obiettivi identificati, la selezione degli interventi necessari al loro raggiungimento e che saranno coperti dalla tariffa e i risultati attesi del miglioramento di efficienza degli operatori. Contestualmente, l'Aeegsi prefigura la possibilità di prevedere schemi regolatori adottabili, anche a livello territoriale, da parte degli enti d'ambito, o dagli altri soggetti competenti alla predisposizione tariffaria, in funzione degli obiettivi specifici dai medesimi prefissati.
  Inoltre si segnala che nella legge 28 dicembre 2015, n. 221 (cosiddetto «Collegato ambientale») questo Ministero ha provveduto ad inserire una disposizione (articolo 60) che «assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso, a condizioni agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali». L'attuazione della norma è rimessa all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), sentiti gli enti di governo d'ambito nelle loro forme rappresentative, sulla base dei principi e dei criteri individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze.
  Pur nelle more dell'attuazione della citata norma, l'Aeegsi, nell'ambito delle funzioni ad essa attribuite dalla legge, ha adottato una serie di iniziative regolamentari che garantiscono la fruibilità del servizio, proprio alle utenze con documentato disagio economico e alle utenze cosiddette non disalimentabili.
  In particolare, l'Aeegsi con la deliberazione 87/2013/R/IDR del 28 febbraio 2013 ha dato «avvio al procedimento per la definizione delle condizioni contrattuali obbligatorie inerenti la regolazione della morosità degli utenti finali del servizio idrico integrato e disposizioni urgenti in materia di utenze non disalimentabili». Quest'ultime sono definite, nella medesima delibera 87/2013/R/IDR citata, come quelle utenze che svolgono attività di servizio pubblico, tra cui ospedali, case di cura e di riposo, carceri e scuole, centri operativi in cui sono presenti degenti, alle quali deve essere garantito un minimo vitale di risorsa.
  Inoltre, l'Aeegsi con la deliberazione 8/2015/R/IDR del 15 gennaio 2015 di «avvio di procedimento per la definizione dei criteri di articolazione tariffaria agli utenti dei servizi idrici», ha dato avvio al procedimento per la messa a punto della disciplina di tutela delle fasce economiche disagiate.
  Oltre a ciò, come riscontrabile nel documento per la consultazione «Sistemi di perequazione nel servizio idrico integrato – Inquadramento generali e linee di intervento» n. 230/2015/R/IDR del 14 maggio 2015, «l'Autorità è orientata a prevedere che, tramite le misure programmate di perequazione e previa motivata istanza dei soggetti interessati, nelle more della definizione di idonee frontiere di efficienza operativa per la determinazione dei costi riconosciuti prospettata nel procedimento avviato con deliberazione 374/2014/R/IDR, possano essere perseguite le seguenti finalità:
   tutelare gli utenti, con particolare attenzione alle fasce più deboli. A tale scopo, potrebbe, a titolo esemplificativo essere richiesto un sostegno per:
    introdurre una fascia di consumi (la cui soglia massima sia almeno pari a quella che l'Autorità stabilirà a livello nazionale nell'ambito del procedimento 8/2015/R/IDR, avviato per la definizione dei criteri di articolazione tariffaria) alla quale applicare un corrispettivo agevolato;
    assicurare la fornitura alle utenze non disalimentabili – definite, ai sensi della deliberazione 87/2013/R/IDR, come quelle che svolgono attività di servizio pubblico, tra cui ospedali case di cura e di riposo, carceri e scuole, centri operativi in cui sono presenti degenti – alle quali deve essere garantito un minimo vitale di risorsa;».

  In merito ai sistemi di perequazione, come desumibile dal citato documento n. 230/2015/R/IDR dell'Aeegsi, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'esercizio della propria funzione di coordinamento e indirizzo, ha trasmesso un proprio atto di indirizzo, nel quale ha in primo luogo evidenziato l'opportunità, «ferma restando la piena autonomia di giudizio e valutazione» dell'autorità, di «realizzare sistemi solidaristici di perequazione e anticipazione di importi a valere sulle tariffe del servizio idrico integrato anche su scala nazionale» ritenendo che la misura in discorso «sia da destinare all'introduzione di una perequazione solidaristica tra i diversi ambiti territoriali ottimali presenti nelle diverse Regioni, al fine ultimo di tutelare gli utenti, con particolare attenzione alle fasce più deboli, consentire la realizzazione degli investimenti di cui il comparto ha assoluto bisogno e far fronte alle urgenti criticità finanziarie e di garanzia dell'equilibrio economico finanziario digestioni in forte difficoltà, specialmente se esposte al rischio del fallimento, evenienza quest'ultima che finirebbe per generare ulteriori e maggiori costi a carico delle finanze pubbliche», formulando, altresì, all'Autorità l'indirizzo di «individuare le soluzioni tecniche più idonee».
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AGOSTINO e FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come rappresentato dall'Anci (Associazione nazionale comuni italiani) sulla base derivano da un approfondito studio in materia i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392 recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei Comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale; tale previsione normativa che mette a carico dei Comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della nostra Carta costituzionale che per ora assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei Comuni – pari a 315 milioni di euro annuo, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e che gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano ad emergere nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei Tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni e dati disponga in materia nonché quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali ed in particolare;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Ministero della giustizia e il Governo stanno intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai Comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per l'anno 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari abolendo la legge 24 aprile 1941 n. 392 e ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02524)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, gli interroganti sottolineano – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21-
quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolte periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i procuratori generali presso le Corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero della giustizia nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio scorso – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI, AGOSTINELLI, ALBERTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, CECCONI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DADONE, DAGA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRACCARO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NESCI, NUTI, PARENTELA, PESCO, PETRAROLI, PISANO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RUOCCO, SARTI, SORIAL, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI, VILLAROSA e ZOLEZZI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la dirigente indigena Berta Caceres, storica leader del Consejo Cívjco de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Copinh), è stata uccisa in Honduras il 2 marzo 2016 nella città di Esperanza, dipartimento occidentale di Intibucà, dove viveva. Due uomini armati le hanno sparato nella notte, eludendo la sorveglianza di una guardia armata, ora sotto inchiesta, mentre suo fratello è rimasto ferito;
   la polizia honduregna parla di una rapina finita male, ma la storia di Berta Caceres non fa escludere la pista dell'omicidio premeditato;
   Berta Caceres era sottoposta a misure cautelari dopo l'ennesimo processo subito per la sua attività in difesa delle risorse naturali. La Commissione interamericana dei diritti umani aveva ordinato al Governo neoliberista di Juan Orlando Hernandez di garantire la sua sicurezza;
   un anno fa, dopo aver ricevuto il premio Goldman, il massimo riconoscimento mondiale per un'ambientalista (una sorta di Nobel «verde») lei stessa denunciava: «Mi seguono, minacciano di uccidermi, di sequestrarmi. Minacciano la mia famiglia. A questo dobbiamo far fronte»;
   l'ultima lotta a cui ha partecipato Berta è stata quella contro l'attività di un'impresa idroelettrica in una comunità indigena del Rio Blanco, a Santa Barbara. La settimana scorsa, aveva denunciato in una conferenza stampa che quattro dirigenti della sua comunità erano stati assassinati e altri minacciati. E nelle ultime settimane la repressione si era intensificata. Il 20 febbraio 2016, nel Rio Blanco, i nativi si sono scontrati con l'impresa honduregna Desa, che gode di grandi finanziamenti internazionali e che ha preso di mira il fiume Gualcarque;
   la resistenza organizzata delle popolazioni indigene contro le grandi imprese idroelettriche e minerarie che devastano il territorio e obbligano gli indigeni ad andarsene, ha però realizzato anche vittorie importanti, seppur pagate a caro prezzo. Caceres, il Copinh e le comunità indigene in lotta per la difesa dei propri territori ancestrali, sono riusciti a fermare la multinazionale Sinohydro la quale ha deciso di ritirare la partecipazione nella costruzione del Rio Gualcarque a cui era interessata anche la Corporazione finanziaria internazionale, istituzione della Banca mondiale. Un progetto che, oltre a privatizzare il fiume, avrebbe distrutto le attività agricole intorno per vari chilometri;
   l'Honduras è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per gli ambientalisti. Secondo la Ong Global Witness, tra il 2002 e il 2014 ne sono stati ammazzati 111 e solo nel 2014 in America Latina sono stati uccisi 88 ecologisti, il 40 per cento dei quali indigeni. Una cifra che equivale ai 3/4 degli omicidi commessi contro ambientalisti in qualunque parte del mondo;
   le figlie, il figlio e la madre di Berta, mediante un comunicato diffuso dopo l'omicidio, affermano chiaramente che i responsabili della morte di Berta sono «gruppi di affari in combutta con il governo nazionale, i governi municipali e le istituzioni repressive dello Stato, che stanno dietro ai progetti estrattivi sviluppati nella regione» e individuano «i finanziatori di questi progetti estrattivi di morte» come «responsabili per la morte della nostra Berta e di tante persone che lottano contro lo sfruttamento dei territori, dal momento che i loro soldi rendono possibile l'imposizione di interessi economici sopra i diritti ancestrali dei popoli»;
   i firmatari del comunicato esigono che si istituisca una commissione internazionale imparziale per l'investigazione di questo crimine, cui possano partecipare la Commissione interamericana per i diritti umani, organizzazioni internazionali per i diritti umani e gli organi governativi competenti, data la dimostrata mancanza di obiettività sulle indagini che sono state avviate nel Paese –:
   quali iniziative efficaci di competenza intenda adottare affinché venga istituita la commissione internazionale per l'investigazione del crimine evidenziato in premessa. (4-12469)

  Risposta. — All'indomani dell'omicidio dell'attivista ecologista honduregna Berta Caceres, avvenuto il 2 marzo 2016, l'Italia si è sin da subito associata al comunicato ufficiale rilasciato dalla delegazione dell'Unione europea a Tegucigalpa, nel quale si esprime ferma condanna per l'accaduto e si sollecita la magistratura honduregna a fare rapidamente luce sul caso, confermando altresì il forte impegno della Ue a sostegno dei diritti umani in Honduras.
  L'Ambasciatore d'Italia accreditato in Honduras (residente in Guatemala) ha da parte sua immediatamente manifestato il proprio cordoglio ai familiari della vittima, auspicando che i colpevoli possano essere presto identificati e perseguiti. In occasione di una serie di incontri avuti il 17-18 marzo 2016 con alte cariche politiche locali – tra cui il Ministro della giustizia e dei diritti umani, Leonel Ayala, l'Ambasciatore ha inoltre rappresentato su istruzione della Farnesina la forte preoccupazione del Governo italiano per l'accaduto e manifestato l'aspettativa di un esito positivo delle indagini. I nostri interlocutori hanno confermato l'impegno con cui la magistratura honduregna sta operando, con il pieno appoggio del Governo, che ha peraltro richiesto formalmente l'assistenza nel processo investigativo in corso da parte dell'Ufficio dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, già operativo in loco grazie all'invio di un primo gruppo di funzionari da Ginevra.
  Assicurazioni circa l'efficace svolgimento delle indagini e la volontà di far piena luce sull'accaduto sono altresì pervenute dal Presidente della Repubblica dell'Honduras Hernàndez, che ha avviato alla fine del 2015 il programma sistema integrale Honduregno di lotta alla impunità e alla corruzione, con il sostegno dell'organizzazione degli Stati americani (Osa) e, per il suo tramite, dell'Italia. Il nostro Paese ritiene infatti prioritario appoggiare tale programma, frutto di un importante ed innovativo dialogo avviato con le organizzazioni politiche e sociali honduregne, per rafforzare lo Stato di diritto e l'azione della magistratura, anche nell'ottica di una effettiva promozione e protezione dei diritti umani.
  Il Governo italiano continuerà pertanto a seguire attentamente gli sviluppi del caso dell'omicidio di Berta Caceres, in stretto raccordo con la delegazione Ue a Tegucigalpa e con le ambasciate degli altri Stati membri accreditate nel Paese, sollecitando le autorità locali a portare avanti in modo accurato e trasparente le indagini in corso al fine di assicurare i colpevoli alla giustizia. Al contempo, ritiene essenziale che il Governo honduregno prosegua i propri sforzi per garantire adeguatamente la sicurezza degli attivisti per i diritti umani nel Paese, al fine di evitare che episodi come quello che ha coinvolto Berta Caceres possano in futuro ripetersi.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dai media locali si apprende del caso di un libro di testo utilizzato in una classe seconda di una scuola elementare di Aviano e anche in una quinta classe di una elementare di Trieste che, nonostante le proteste dei genitori e le rassicurazioni degli insegnanti, è stato mantenuto malgrado al suo interno vi si trovi un esplicito riferimento alla teoria cosiddetta «Gender», ossia l'approccio multidisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell'identità di genere;
   sembra inoltre che nelle scuole ci siano già in essere progetti per la lotta al bullismo omofobico, organizzati dall'Arcigay;
   è inaccettabile che la funzione educativa su tematiche così importanti sia totalmente sottratta alla famiglia e che il valore della famiglia tradizionale sia ormai calpestato, mostrando così ai bambini modelli sociali spesso discutibili e non condivisi dai genitori;
   anche nella scelta dei libri di testo, qualora si vogliano approfondire tematiche così delicate e che coinvolgono la responsabilità genitoriale, sarebbe necessario richiedere il consenso alle famiglie stesse;
   oggi più che mai, ad avviso dell'interrogante, è fondamentale per i genitori impegnarsi in modo attivo nell'esperienza scolastica dei figli, tenendo alta l'attenzione nei confronti di programmi e testi, perché episodi come quelli di Aviano e Trieste non si verifichino più;
   appare di dubbia legittimità all'interrogante che dei docenti adottino testi scolastici divulgativi dell'ideologia gender senza chiedere espresso consenso ai genitori, primi responsabili dell'educazione dei propri figli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di progetti per le scuole organizzati dall'Arcigay e finanziati dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative normative volte a rendere effettivo l'esercizio del diritto all'educazione dei figli, costituzionalmente garantito, ma sempre più disatteso, a giudizio dell'interrogante, dall'ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli. (4-10960)

  Risposta. — Occorre preliminarmente premettere che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, esercitando il proprio ruolo di vigilanza sul sistema educativo, sostiene i processi di inclusione e integrazione posti in essere dalle istituzioni scolastiche nell'esercizio della loro autonomia. Ciò in linea con la propria missione istituzionale e con le indicazioni nazionali ed europee.
  In tale quadro, con nota n. 4321 del 6 luglio 2015 e, soprattutto, con la successiva nota del n. 1972 del 15 settembre 2015 questo Ministero ha chiarito la portata dell'articolo 1, comma 16, della legge n. 107 del 2015 che non è quella di promuovere ideologie di qualsivoglia natura, bensì di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza dei diritti e dei doveri della persona costituzionalmente garantiti, anche per raggiungere e maturare le competenze chiave di Cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro cui rientrano la promozione all'autodeterminazione consapevole e il rispetto della persona, contro ogni forma di discriminazione.
  In particolare, la nota del 15 settembre richiama il ruolo svolto dalle famiglie alle quali spetta il diritto e il dovere di conoscere prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del piano dell'offerta formativa e, per la scuola secondaria, di sottoscrivere formalmente il patto educativo di corresponsabilità, valutando così il POF che i docenti affronteranno durante l'anno che dovrà, comunque, risultare coerente con le indicazioni per il curricolo, gli obiettivi e le finalità previste dall'attuale ordinamento scolastico e con le linee di indirizzo emanate dal Ministero.
  Ciò posto, per il caso rappresentato dall'interrogante con l'interrogazione in esame, si precisa anzitutto che, a norma dell'articolo 151 del decreto legislativo n. 297 del 1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione), l'adozione dei libri di testo spetta al collegio dei docenti di ciascuna istituzione scolastica, assicurando in ogni caso che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia professionale dei docenti.
  La questione specifica riguarda il progetto «A scuola per conoscerci», al quale partecipano vari enti ed organismi, tra i quali anche la regione Friuli-Venezia Giulia e l'università degli studi di Trieste. Detto progetto, che ha concorso a bandi indetti dalla regione Friuli-Venezia Giulia per il potenziamento dell'offerta formativa come progetto speciale, è stato ammesso al relativo finanziamento e, nell'ambito dello stesso, sono state svolte le attività previste nelle 19 scuole collegate in rete.
  L'ufficio scolastico regionale, sentito al riguardo, ha precisato che ai genitori degli alunni sono state adeguatamente illustrate le finalità del progetto e le attività programmate.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   FRUSONE, TOFALO, RIZZO, BASILIO, CORDA e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i giubbotti antiproiettile in uso al personale delle forze armate e di polizia, impiegati in particolari condizioni operative o per attività di contrasto alla criminalità sono generalmente realizzati in Kevlar, una fibra aramidica dotata di una incredibile resistenza meccanica e buona resistenza agli agenti chimici;
   le fibre aramidiche, come ad esempio il Kevlar, sono inclini ad idrolisi e quindi a perdere le loro caratteristiche organolettiche, meccaniche e chimiche. Per questa ragione, i materiali prodotti con dette fibre riportano una data di scadenza che ne consente un impiego, in condizioni normali, per un periodo massimo di 5 anni dalla data di produzione, proprio in ragione del lento degrado cui il predetto materiale è sottoposto a causa degli agenti chimici, fisici ed atmosferici –:
   quanti e di quale modello siano i giubbotti antiproiettile in dotazione al personale delle Forze armate e delle forze di polizia a ordinamento militare e civile, quanti quelli scaduti nel 2014 e quelli che scadranno negli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019, quali siano le relative previsioni di spesa per la sostituzione o per eventuali nuove acquisizioni e quali siano i costi sostenuti per il corretto smaltimento dei giubbetti scaduti;
   quali siano le disposizioni impartite da ogni singola amministrazione per garantire una immediata sostituzione dei giubbotti scaduti o deteriorati. (4-11385)

  Risposta. — I dati relativi alla quantità, ai modelli in dotazione e alle scadenze dei giubbotti anti proiettile, (da qui in poi indicati con l'acronimo «GAP»), sono riassunti nel prospetto analitico allegato (disponibile presso il Servizio Assemblea).
  Nel merito si sottolinea che i GAP hanno una prima scadenza a 5 anni dalla data di fabbricazione, superati i quali si provvede, con cadenza biennale, a verificarne l'eventuale ulteriore impiegabilità in relazione al mantenimento dei requisiti di protezione balistica originali; sicché, statisticamente, la loro vita operativa varia dai 7 ai 9 anni dalla data di produzione.
  Con riferimento invece al quesito riguardante le previsioni di spesa per la sostituzione degli equipaggiamenti in argomento, si rappresenta agli interroganti che trattasi di dati allo stato attuate non preventivabili perché condizionati dal superamento delle citate prove periodiche di efficienza, balistica.
  Per quanto riguarda le nuove acquisizioni sono state individuate soluzioni diverse nelle diverse forze armate, in ragione delle peculiari esigenze di ciascuna (vestibilità/tipologia di materiale/esigenze di impiego).
  L'esercito ha posto in essere un programma di acquisizione che prevede la graduale introduzione in servizio fina al 2019 di n. 22.780 GAP; la Marina ha avanzato richiesta allo Stato maggiore della difesa per l'acquisizione di 350 GAP (spesa presunta di 670mila euro) ed è inoltre prevista la consegna, entro il primo semestre 2016, di circa 1.300 GAP (spesa presunta di 2,1 milioni di euro); i carabinieri hanno avviato l’
iter per l'acquisizione nel corso del 2016 di n. 2.000 GAP, (costo stimato di 2,5 milioni di euro), con i quali procedere al ripianamento di quelli che potrebbero non superare la verifica periodica ed essere quindi dichiarati fuori uso ed acquisirne ulteriori che, prodotti mediante l'utilizzo di nuove tecnologie, assicurino maggiore vestibilità e protezione balistica.
  L'aeronautica è l'unica forza armata i cui Gap non scadranno prima della fine del 2016 e le esigenze relative a nuove acquisizioni saranno valutate alla luce dei risultati dei controlli balistici che nel corso dell'anno verranno effettuati.
  Identica tra le forze armate è, invece, la gestione dei Gap dichiarati fuori uso: il loro smaltimento avviene mediante il ricorso all'istituto della permuta, senza alcun onere aggiuntivo per l'erario.
  Ai fini della risposta all'atto di sindacato ispettivo in discussione, fornirò ora un riscontro ai medesimi quesiti, con riferimento ai Gap della polizia di Stato, sulla base dei dati forniti dal Ministero dell'interno.
  I Gap in dotazione al personale della polizia di Stato sono muniti di garanzie commerciali, certificate dalle aziende produttrici, di 7 e di 10 anni, terminati i quali, in attesa dell'arrivo dei nuovi, già nel mese antecedente alla scadenza si provvede ad effettuare prove a fuoco presso il banco di prova di Gardone Val Trompia (BS), su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  Nel merito delle richieste degli onorevoli interroganti, sono attualmente in dotazione alla polizia di Stato 19.731 giubbetti di tipo morbido, acquistati con tre distinti contratti dalla ditta Rabintex negli anni 2004 e 2005.
  Nel 2014 è iniziato il programma di sostituzione dei Gap per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice. In particolare, per la sostituzione di quelli con garanzia terminata nel 2014 e 2015, sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti. Nell'arco del 2016 è poi prevista la sostituzione di ulteriori 13.000 Gap, con una spesa per l'adeguamento della dotazione dei giubbotti antiproiettile della polizia di Stato di 10 milioni di euro.
  In tale contesta, si precisa che nel periodo compreso tra gli anni 2004-2005 e l'anno 2014 non sono stati effettuati ulteriori acquisti di Gap di tipo cosiddetto «morbido» e che, pertanto, terminate le ultime sostituzioni, le dotazioni della polizia di Stato non scadranno prima dell'anno 2024.
  Infine, a partire dall'anno 2008, sono stati approvvigionati Gap del tipo «sottocamicia», secondo le modalità ed i tempi sotto specificati:
   1.700 nell'anno 2008 dalla ditta Mehler con scadenza della garanzia nell'anno 2015;
   850 nell'anno 2009 dalla ditta Seyntex con scadenza della garanzia nell'anno 2019;
   500 nell'anno 2015 (già distribuiti) più altri 800 (in fase di collaudo), dalla ditta Seyntex con scadenza della garanzia nell'anno 2025.

  Quest'ultima tipologia di giubbetti sarà gestita con la medesima procedura di verifica e di sostituzione adottata per quella ad uso esterno.
  Per completezza d'informazione si rende noto che lo smaltimento dei Gap sostituiti viene effettuato a cura del centro raccolta interregionale della polizia di Stato – stabilimento di Senigallia presso ditte specializzate che, a prezzi variabili ma comunque relativamente contenuti, si occupano sia della rottamazione che del definitivo smaltimento.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   GREGORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008 il comune di Fiano Romano rilasciava alla società Pegaso ’90 spa un permesso di costruire per la realizzazione di un edificio ad uso residenziale. Tale permesso di costruire veniva ben presto sottoposto al vaglio del giudice amministrativo, atteso che autorizzava formalmente l'intervento edilizio all'interno del vincolo paesaggistico «Valle del Tevere»;
   con apposita ordinanza, il tribunale locale competente ordinava al comune di Fiano di effettuare le opportune verifiche istruttorie al fine di accertare la conformità del suddetto permesso alle vigenti prescrizioni urbanistiche. All'esito delle verifiche, l'allora responsabile dell'ufficio tecnico settore urbanistica accertava la corrispondenza di tale permesso alla normativa vincolistica, dichiarando l'area in questione, esterna al perimetro del piano paesaggistico;
   successivamente, la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Roma, Rieti e Viterbo, richiedeva all'amministrazione comunale di compiere una nuova verifica circa l'assoggettabilità dell'area di costruzione dell'edificio a uso residenziale al vincolo «Valle del Tevere», invitando quindi il Comune a controllare la distanza del fabbricato dalla via Tiberina (dovendo risultare superiore a 500 mt) e ordinando altresì allo stesso Comune di emettere, in caso di positivo riscontro, ordine di sospensione dei lavori. A fronte di quanto emerso dalla verifica compiuta sull'area di costruzione della palazzina e tenuto conto di quanto imposto dalla sovrintendenza, il nuovo responsabile dell'ufficio tecnico comunale, frattanto subentrato nelle funzioni, adottava il provvedimento di immediata sospensione dei lavori della palazzina, in ragione della sussistenza del vincolo paesaggistico;
   anche la regione Lazio, in riscontro alla richiesta del comune di Fiano Romano, accertava che il terreno di cui è causa, riportato in catasto, del comune di Fiano Romano era ricompreso nel perimetro dell'area di vincolo della Valle del Tevere. In ragione di ciò, l'amministrazione comunale di Fiano Romano, non poteva che conformarsi a quanto rilevato dalla Regione e quindi, con successivo atto, concludeva il procedimento di riesame disponendo l'annullamento d'ufficio dell'originario permesso di costruire, ordinando l'immediata sospensione dei lavori e la demolizione dei lavori nel frattempo realizzati;
   finanche il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che il provvedimento emesso dal comune di Fiano Romano il 15 giugno 2009 concernente l'annullamento dell'originario permesso di costruire n. 36 del 2008 «risulta pienamente legittimo, in quanto giustificato dal fatto che il permesso è stato emesso in assenza del previo rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica»;
   nonostante la richiesta della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di procedere all'abbattimento dell'edificio non risulta allo Stato che ciò sia avvenuto –:
   se il Ministro interrogato intenda acquisire elementi in merito alla vicenda descritta in premessa e al rispetto dei vincoli paesaggistici. (4-09403)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante, premesso che nel 2008 il comune di Fiano Romano rilasciava alla società Pegaso ’90 spa un permesso di costruire ad uso residenziale all'interno del vincolo paesaggistico «Valle del Tevere», chiede di sapere se il Ministero abbia elementi in merito alla vicenda e al rispetto dei vincoli paesaggistici.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue, sulla base degli elementi acquisiti dalle sedi periferiche competenti per territorio.

  In data 15 giugno 2009 il Comune di Fiano Romano, nella persona dell'allora responsabile dell'area tecnica, emanava, a conclusione del procedimento avviato nell'aprile 2009, il provvedimento relativo all'annullamento del Permesso di Costruire n. 36/2006, riguardante l'intervento edilizio oggetto dell'atto parlamentare.
  Nella stessa data il comune di Fiano Romano, nella persona dell'allora responsabile dell'area tecnica, emetteva la conseguente ordinanza n. 77, con la quale si disponeva la sospensione dei lavori e la demolizione delle opere di cui al Permesso di Costruire 36/2006, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi entro il termine di 90 (novanta) giorni dalla notifica dell'ordinanza stessa.
  Il Consiglio di Stato (Sezione VI) con sentenza n. 6372/2012 sanciva definitivamente la legittimità del provvedimento di annullamento del Permesso di Costruire n. 36/2008, in ragione dell'accertata presenza del vincolo paesaggistico ex articolo 136 del decreto legislativo 42 del 2004 e del mancato previo rilascio della prescritta Autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'articolo 146 dello stesso decreto legislativo 42/2004.
  Nel 2013, il comune di Fiano Romano comunicava ai destinatari dell'ordinanza 77/2009, ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, l'avvio del procedimento amministrativo volto ad accertare l'ottemperanza all'ordinanza n. 77 del 2009, per ciò che concerne la demolizione del fabbricato per civile abitazione di cui all'annullato permesso di costruire n. 36 del 2008, e al conseguente ripristino dello stato dei luoghi.
  Nel luglio 2013 il responsabile del servizio urbanistica emanava il conseguente atto di accertamento dell'inottemperanza all'ordinanza n. 77 del 2009, inviato anche all'allora direzione regionale beni culturali e paesaggistici del Lazio.
  Verificati gli atti d'ufficio, preso atto che l'istanza di rimessione in pristino era datata 4 marzo 2013, la direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio riscontrava la nota ai sensi del comma 3 dell'articolo 167 del decreto legislativo 42 del 2004 in data 12 agosto 2013, diffidando il suddetto comune di Fiano, autorità competente alla tutela paesaggistica, a provvedere alla demolizione nei successivi trenta giorni, tenendone informata la direzione regionale stessa.
  Nel settembre del 2013 perveniva un'ulteriore nota del comune di Fiano Romano, in cui si dichiarava che stante le difficoltà di bilancio, il comune avrebbe rapidamente provveduto all'acquisizione al patrimonio del fabbricato in oggetto, ma avrebbe potuto demolirlo solo previa variazione di bilancio e ricorso al fondo regionale di rotazione di cui all'articolo 29 della legge regionale n. 57 del 2008, ovvero in tempi non brevissimi.
  La Direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio, previa consultazione con la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, della Provincia di Roma, Rieti, Viterbo, Latina e Frosinone, avvertiva il comune di Fiano Romano, ai sensi dell'articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, della propria determinazione a provvedere alla demolizione tramite procedure previste dall'articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380, ovvero chiedendo al prefetto di Roma di voler includere l'edificio in argomento nell'elenco delle opere non sanabili per le quali il responsabile dell'abuso non ha provveduto nel termine previsto alla demolizione e alla messa in pristino dello stato dei luoghi.
  Nel dicembre 2013 perveniva alla Direzione Regionale una nota del comune di Fiano Romano con cui si stabiliva la data dell'8 gennaio 2014 per le operazioni di redazione dello stato di consistenza e l'immissione in possesso dell'immobile oggetto dell'ordinanza n. 77 del 2009 e successiva trascrizione nei registri immobiliari dell'acquisizione al patrimonio del comune di Fiano Romano.
  Conseguentemente la società Pegaso 90 spa faceva ricorso al Tar del Lazio avverso detto avviso di immissione in possesso, chiedendone l'annullamento, ricorso dichiarato inammissibile dal Tar nel giugno 2014.
  Nel giugno 2015 perveniva al segretariato regionale del Lazio una nota del servizio urbanistica e sviluppo del territorio del comune di Fiano Romano inerente la comunicazione, ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 241 del 1990, di avvio del procedimento conseguente l'annullamento del permesso di costruire n. 36 del 2008 in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI) n. 2137/2015.

  Nell'ottobre 2015 perveniva per conoscenza alla Soprintendenza paesaggistica competente per materia, l'ordinanza del comune di Fiano Romano n. 95 del 1o ottobre 2015 inerente alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi da parte della società Pegaso 90 spa.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono in corso i lavori per la predisposizione del bando di gara per l'affidamento della nuova concessione del sistema SISTRI;
   CONSIP, nell'ambito delle attività di centrale di committenza, come incaricata dal Ministero, ha illustrato i principi su cui andrà a fondarsi il nuovo sistema SISTRI nel corso dell'incontro del 15 marzo 2015 del tavolo di concertazione e monitoraggio;
   CONSIP ha evidenziato, tra l'altro, che gli obiettivi posti per la revisione del vetusto SISTRI prevedono la pubblicazione del bando di gara entro il prossimo 30 giugno 2015 e l'aggiudicazione della concessione al nuovo soggetto entro il 31 dicembre 2015;
   tuttavia, ad oggi, le imprese e i soggetti obbligati hanno impegni e compiti precisi ai fini dell'adesione al vecchio sistema SISTRI, nonostante il Ministero ha in corso la modifica del sistema di tracciabilità dei rifiuti;
   in particolare, le norme vigenti prevedono il pagamento dell'iscrizione per i soggetti obbligati entro il 30 aprile 2015, disponendo sanzioni pesanti per la mancata iscrizione, veramente sproporzionate per i piccoli produttori;
   inoltre, dal 1° gennaio 2016 è prevista l'entrata in vigore di tutte le sanzioni previste dal sistema SISTRI;
   nonostante la conferma da parte del Ministero che l'attuale SISTRI non ha nulla di valido si chiede pertanto alle imprese di accettare di pagare ogni anno una quota di iscrizione e, fatto ancora più grave, si prevedono sanzioni per chi a causa di un sistema vetusto ed obsoleto si troverebbe in difficoltà dell'utilizzo;
   le imprese chiedono la sospensione di tutte le sanzioni relative al SISTRI fino all'entrata in funzione del nuovo sistema, in quanto non è possibile obbligarle ad iscriversi e pagare per un sistema non funzionante che lo stesso Ministero vuole modificare radicalmente attraverso un progetto di pubblica evidenza, proprio perché non utilizzabile;
   soprattutto le imprese trovano scorretta l'applicazione, dal 1° gennaio 2016, delle sanzioni fino ad oggi sospese, proprio in quanto il sistema non funziona ancora correttamente –:
   se il Ministro non intenda assumere un'immediata iniziativa normativa che sospenda in toto le sanzioni relative all'attuale SISTRI, posticipando l'entrata in vigore delle medesime sanzioni fino alla data in cui entrerà in funzione in via definitiva il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti completamente riprogettato.
(4-09021)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sistema di tracciabilità dei rifiuti — Sistri, si rappresenta quanto segue.
  Occorre innanzitutto evidenziare che secondo quanto previsto dal comma 9-bis del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi della società Consip, ha avviato nel mese di giugno 2015 le procedure per l'affidamento della concessione del servizio Sistri nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie vigenti in materia di appalti pubblici nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico.
  La fase di pre-qualifica si è conclusa in data 16 ottobre 2015 con l'ammissione di tutti i richiedenti. Il termine previsto per la presentazione delle offerte, inizialmente fissato al 21 dicembre 2015, è stato successivamente prorogato, su richiesta delle imprese partecipanti in ragione della complessità della gara, alla fine del mese di marzo 2016. Sono in corso di valutazione le offerte pervenute dai partecipanti alla gara. Il termine per la conclusione della procedura e l'aggiudicazione della gara scadrà nel mese di settembre 2016, dopo di che vi sarà un naturale periodo di affiancamento all'attuale gestore, con successiva entrata in esercizio del nuovo sistema ragionevolmente nei primi mesi del 2017.
  Circa la quota annuale di iscrizione al Sistri, si rappresenta che il contributo è dovuto a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio e deve essere versato al momento dell'iscrizione. In tal senso, infatti, si è espressa con diverse pronunce la Commissione tributaria di Roma e, da ultima, la Corte di Cassazione a sezioni unite con sentenza n. 23834 del 23 novembre 2015. Tale decisione ha infatti precisato che « il contributo annuale di iscrizione al Sistri è un vero e proprio tributo» dovuto a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio. Il contributo versato, dunque, non può essere considerato il corrispettivo di un servizio di cui chiedere il successivo rimborso in mancanza del servizio medesimo. Si tratta di oneri per i soggetti obbligati imposti per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute.
  Si fa presente, inoltre, che relativamente al regime sanzionarono, l'entrata in vigore dell'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015 (cosiddetto «milleproroghe 2014»), ha previsto l'applicabilità, a partire dal 1o aprile 2015, delle sole sanzioni relative all'omessa iscrizione ed omesso versamento del contributo annuale Sistri, ex articolo 260-bis, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Ha previsto, altresì, la vigenza fino al 31 dicembre 2015, dell'applicazione degli adempimenti di tracciabilità cartacei, al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti, previsti dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo, n. 205 del 3 dicembre 2010, nonché le relative sanzioni oltre all'applicazione delle altre semplificazioni.
  Con l'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015 (cosiddetto «milleproroghe 2015»), il legislatore ha peraltro prorogato al 31 dicembre 2016 il cosiddetto «regime del doppio binario», mantenendo in vita gli adempimenti cartacei e il relativo impianto sanzionatorio. Conseguentemente, i soggetti obbligati al Sistri devono soltanto iscriversi al sistema e versare il relativo contributo annuale. In assenza di tali adempimenti, naturalmente, sono passibili di sanzione. Resta comunque ferma la possibilità per i medesimi soggetti, di utilizzare il Sistri per i propri adempimenti in materia di gestione dei rifiuti speciali pericolosi. Peraltro, in sede di conversione del citato «milleproroghe 2015», in data 4 febbraio 2016, è stato approvato dalle commissioni riunite I e V della Camera dei deputati un emendamento all'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015, il quale stabilisce che fino al 31 dicembre 2016 e comunque non oltre il collaudo con esito positivo della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, bandite dalla Consip S.p.a. il 26 giugno 2015, le sanzioni di cui all'articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, sono ridotte del 50 per cento.
  Si segnala, inoltre, che il Ministero dell'ambiente, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha voluto disciplinare attraverso uno specifico regolamento ulteriori misure di semplificazione allo scopo di ottimizzare il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui all'articolo 188 bis del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006.
  A riguardo, per completezza di informazione, si fa presente che il relativo decreto è stato inviato il 4 aprile 2016 al Ministero della giustizia per il visto del Guardasigilli ed il successivo inoltro alla Corte dei conti, adempimenti prodromici rispetto alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scenario geopolitico creatosi negli ultimi venti anni ha aperto nuovi scenari e continui conflitti locali, sempre più caratterizzati da confronti e sfide asimmetriche, ben diverse rispetto alla tradizionale contrapposizione tra blocchi, tipica dell'immediato dopoguerra;
   le recenti e drammatiche crisi esplose in Libia, Siria, Iraq e Ucraina, solo per citare alcuni dei conflitti che in questi giorni preoccupano la comunità internazionale, dimostrano tutti i limiti di un sistema in cui la stessa comunità non riesce a costruire una sintesi tra i diversi e contrastanti interessi degli attori in campo nei vari teatri di crisi;
   tale incapacità della comunità internazionale di ricercare un modello inclusivo tra USA, Europa, Paesi Arabi, Russia, Cina, che potesse affrontare e gestire le crisi umanitarie e contrastare la minaccia senza confini dello Stato islamico, ha ulteriormente lacerato i rapporti bilaterali tra l'Occidente (Europa e USA) e la Russia;
   negli ultimi tempi, la cosiddetta «questione Ucraina», ha fatto sì che l'Unione europea e gli USA applicassero pesanti sanzioni alla Russia nell'ambito dei propri rapporti commerciali;
   prima che le tensioni geopolitiche alzassero la «barriera dell'embargo e delle sanzioni», la Russia era tra i primi tre mercati di sbocco commerciale per il sistema manifatturiero delle Marche, insieme a Stati Uniti e Francia;
   a seguito di tale provvedimento, il valore delle esportazioni dell'industria manifatturiera marchigiana, nel 2014 è sceso a poco più di 600 milioni di Euro contro i quasi 750 del 2012;
   tale trend negativo comunque non si ferma, dato che nei primi tre mesi del corrente anno le aziende marchigiane hanno perso oltre 70 milioni di euro, un valore che si somma ai 123,5 milioni di euro sfumati nel corso del 2014, con una diminuzione del fatturato pari al 42,3 per cento (dati forniti nel corso del Forum Italia-Russia, promosso, l'estate scorsa, dalla Camera di Commercio di Pesaro-Urbino);
   ai danni derivanti dalle sanzioni si aggiunge un'altra conseguenza, forse ancora più pericolosa nel tempo, che è rappresentata dalla perdita di quote di mercato delle aziende marchigiane a favore di prodotti provenienti da altri mercati. Secondo le analisi di Federalimentare, da quando la Russia ha risposto alle sanzioni occidentali, bandendo i prodotti agro-alimentari, sarebbero cresciuti a dismisura le importazioni in Russia di prodotti provenienti da Brasile, Argentina, Israele, Turchia e Cile. L'agroalimentare marchigiano sta dunque soffrendo non solo per il calo dell'interscambio, ma anche perché altri Paesi stanno cercando di inserirsi nel mercato russo, e in molti casi lo stanno anche facendo con prodotti contraffatti che imitano quelli italiani;
   analoghe grosse difficoltà stanno incontrando i settori del mobile, del calzaturiero e dell'abbigliamento. In particolare, quello del mobile ha visto svanire il 12,5 per cento dei ricavi, percentuale che si somma a quel 21,4 per cento di flessione che ha eroso sensibilmente i fatturati nel 2014, portandoli da oltre 84 milioni uro, a poco più di 56,6 milioni;
   le imprese marchigiane ed umbre non possono più sostenere questa grave situazione, in quanto tali perdite si vanno a sommare ad una condizione di crisi ancora latente, e al momento, non possono essere recuperate né attraverso una crescita dei fatturati sul mercato italiano, né su nuovi, altri, mercati significativi;
   oltre al danno diretto dell’export, sono a rischio anche gli investimenti russi in Italia, che si sono notevolmente ridotti, confermando le ipotesi che dette sanzioni danneggiano più l'Italia che la Russia –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per superare lo strumento sanzionatorio nel confronti della Federazione russa, sollecitando altresì un maggiore impegno dell'Euro a nel facilitare le relazioni tra Stati Uniti e Russia, condizione tra l'altro imprescindibile per la stabilità dello stesso Occidente;
   se intenda chiedere, alla Commissione europea di assumere iniziative per l'istituzione di un fondo comune straordinario, tra gli Stati membri, al fine di contenere parzialmente o totalmente, le ingenti perdite riscontrate, tra l'altro dalle imprese marchigiane colpite dalle contromisure russe alle sanzioni. (4-11930)

  Risposta. — Il Governo italiano segue con attenzione costante le evoluzioni della crisi ucraina e le prospettive di una sua soluzione, sostenendo gli sforzi negoziali condotti sia dal «quartetto» di Normandia che nel quadro del gruppo trilaterale moderato dall'Osce.
  Parallelamente, a livello bilaterale, l'Italia ha colto ogni utile occasione di confronto con la Russia e l'ucraina per incoraggiare un approccio costruttivo volto a favorire la piena e tempestiva attuazione degli accordi di Minsk, che rappresentano al momento l'unica piattaforma di compromesso possibile. Solo attraverso l'adempimento di tutti gli impegni contenuti nelle intese di Minsk si potrebbe infatti porre fine alle ostilità, assicurando da un lato l'integrità territoriale, l'indipendenza e la piena autonomia dell'Ucraina e, dall'altro, venendo incontro alle legittime aspirazioni delle minoranze di quel Paese. Gli sforzi negoziali condotti dal Gruppo di Normandia, che l'Italia sostiene senza riserve, sono pertanto volti alla creazione delle condizioni necessarie per favorire l'attuazione degli Accordi, superando quelle divergenze interpretative che ne rallentano la realizzazione e, soprattutto, definendo tappe e percorsi precisi per i singoli obiettivi da conseguire. In questa fase delicata, riteniamo sia oltremodo necessario continuare ad esercitare pressioni coerenti e mirate sulle parti affinché procedano lungo il cammino delineato nell'ambito del gruppo di Normandia, senza alibi o ritardi.
  Accanto alle iniziative volte a facilitare una soluzione della crisi in Ucraina, il Governo ha assicurato una graduale e progressiva ripresa del dialogo con la Federazione Russa, anche alla luce del rinnovato impegno di Mosca sui principali dossier internazionali, a partire da quelli mediterranei e mediorientali. Una volta superate le criticità attuali, da parte italiana si auspica altresì che l'Unione europea possa valutare l'ipotesi, qualora vi fossero le condizioni politiche, di avviare forme di dialogo ed interazione con l'Unione economica eurasiatica (UEEA), con l'obiettivo di favorire più ampi processi di integrazione economica.
  Per quanto concerne le misure restrittive imposte dalla Unione europea alla Federazione Russa, si ribadisce che tale regime sanzionatorio è collegato all'attuazione delle intese di Minsk e si fonda sui principi di gradualità, proporzionalità e reversibilità, al fine di poter essere modulato in ragione degli sviluppi sul terreno. Al riguardo, si segnala che in occasione del Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015 da parte italiana si è incoraggiata una discussione politica sulle sanzioni, di cui resta immutato ed indiscusso il valore politico, affinché non fossero prorogate senza alcun tipo di confronto. In tale prospettiva, l'Italia ritiene necessario approfondire, in vista della prossima scadenza, non soltanto l'utilità delle misure restrittive rispetto al loro obiettivo – ovvero indurre Mosca a tornare ad essere un partner e non uno spoiler – ma anche gli effetti della loro applicazione sull'economia della Russia e degli Stati membri.
  Appare opportuno segnalare, sulla base delle stime fornite dall'ICE, che sulla flessione dell'interscambio commerciale fra Italia e Federazione Russa (pari al 24,4 per cento nei mesi gennaio-novembre 2015 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente) hanno fortemente influito, in particolar modo negli ultimi 24 mesi, non soltanto le sanzioni, ma anche il generale rallentamento dell'economia russa, il radicale crollo del prezzo del petrolio (elemento costitutivo e fondamentale del sistema economico locale) e la svalutazione del rublo. Per quanto concerne i settori merceologici interessati, si è registrata in particolare una riduzione delle importazioni italiane di greggio russo e minori esportazioni dell'Italia verso la Federazione Russa nei seguenti settori: mezzi di trasporto; agroalimentare; arredamento ed edilizia; semilavorati; meccanica; moda ed accessori. Occorre pertanto tenere distinti i settori che non sono colpiti dall'embargo (come l'arredo, le calzature e l'abbigliamento) ma che risentono della persistente fase di stagnazione dell'economia russa, da quei settori (come alcuni comparti dell'agroalimentare) che concretamente hanno subito delle ripercussioni negative, dirette e indirette, dal regime sanzionatorio e dalle contromisure attuate da Mosca.
  Va rilevato, peraltro, che la contrazione del 25,1 per cento delle esportazioni russe verso l'Italia registrata nel periodo gennaio-novembre 2015 (rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente) e la diminuzione complessiva dell'interscambio pari al 24,4 per cento (sempre riferita allo stesso periodo) ha comunque determinato una riduzione del deficit commerciale strutturale con la Russia, passato da poco più di 17 miliardi di euro nel 2014 a circa 12 miliardi nel periodo gennaio-novembre 2015 (-30,3 per cento).
  Con riferimento alle azioni volte a contrastare gli effetti dell'embargo russo sui prodotti agroalimentari europei, il Governo ha sempre sostenuto le iniziative assunte a livello europeo per venire incontro alle esigenze degli operatori di settore.
  A partire dal mese di agosto 2014, dopo il consiglio Agrifish straordinario convocato dalla Presidenza italiana, la Commissione europea ha deciso di predisporre un piano di emergenza della politica agricola comune per ridurre l'offerta di una serie di prodotti deperibili sul mercato europeo. In tale ambito, sono state adottate specifiche misure di sostegno per i settori più penalizzati dall'embargo russo, in particolare nel comparto ortofrutticolo e lattiero-caseario. A seguito della decisione assunta dalla Federazione Russa nel giugno 2015 di prorogare l'embargo fino ad agosto 2016, su impulso del Consiglio – a cui l'Italia ha fortemente contribuito – la commissione Unione Europea ha deciso, a sua volta, di prorogare di un anno il ritiro dal mercato di ulteriori 75.000 tonnellate di taluni prodotti ortofrutticoli abitualmente esportati in Russia.
  Infine, a settembre dello scorso anno, sempre su impulso dell'Italia e degli altri Stati membri, la Commissione ha deciso un nuovo pacchetto di misure, del valore complessivo di 500 milioni di euro, per contrastare la difficile situazione del mercato agricolo dell'unione, e in particolare dei comparti lattiero-caseario e delle carni, derivanti in parte anche dal protrarsi della difficile situazione commerciale con la Federazione Russa. Tali nuove misure sono al momento in corso di applicazione.
  Anche avvalendosi del supporto dell'agenzia ICE in loco, sono state inoltre promosse specifiche attività promozionali anche su mercati terzi per supportare i settori colpiti dall'embargo, in modo tale da consentire una «compensazione» delle mancate esportazioni verso la Russia. Si è al contempo intensificata la vigilanza per prevenire su quel mercato fenomeni di «italian sounding» e di contraffazione, a tutela delle nostre produzioni e per evitare il potenziale incremento dell'effetto-sostituzione da parte dei consumatori locali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   LOREFICE, GRILLO, DI VITA, MARZANA, CANCELLERI, RIZZO e DI BENEDETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 aprile 1941 n. 392 e il decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998 n. 187 statuiscono che i comuni ricevono un contributo dal Ministero della giustizia per le spese sostenute relative ai locali destinati ad uffici giudiziari;
   tale contributo viene erogato in una prima rata in acconto e in una seconda a saldo;
   il comune di Ragusa per gli anni 2011 e 2012 ha sostenuto per gli uffici giudiziari una spesa pari rispettivamente ad euro 1.676.042,00 e ad euro 1.710.393,00;
   lo stesso comune relativamente all'anno 2011 ha ricevuto come acconto solo una rata di euro 677.956,00, in spregio alla normativa che prevede l'erogazione di un acconto all'inizio di ogni esercizio finanziario pari al 70 per cento del contributo erogato nell'anno precedente –:
   quale sia il motivo per il quale il comune di Ragusa non abbia ancora ricevuto il saldo relativo all'anno 2011 e l'intero contributo dell'anno 2012 e quanto tempo sia ancora necessario affinché il Ministero della giustizia eroghi tali somme. (4-01301)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, gli interroganti sottolineano – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.

  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con 1'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21-quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolti periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed i procuratori generali presso le corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai Comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.

  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della Giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai Comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni Comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della Giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo Dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MANNINO, LOREFICE, DE ROSA, BECHIS, CRISTIAN IANNUZZI, NUTI, LUPO, DE LORENZIS, BUSINAROLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, è stata data attuazione alla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa che ha abrogato, a partire dall'11 giugno 2010, le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE;
   con il citato decreto legislativo n. 155 del 2010 sono state abrogate le norme con le quali l'Italia aveva recepito e dato attuazione alle citate direttive europee – in special modo i decreti legislativi n. 351 del 1999, n. 183 del 2004 e n. 152 del 2007 – stabilendo, all'articolo 19, apposite norme transitorie e prevedendo l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di provvedere al riesame e all'aggiornamento degli atti adottati in base alla normativa previgente;
   con interrogazione a risposta scritta n. 4/02066, depositata il 3 ottobre 2013 è stato interrogato il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare per conoscere le informazioni che lo stesso Ministero dispone in ordine all'attuazione, da parte della regione Siciliana, del decreto legislativo n. 155 del 2010 recante norme di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa;
   i contenuti dell'interrogazione a risposta scritta n. 4/02066, ad oggi ancora senza riscontro, sono qui da intendersi integralmente richiamati;
   dalla risposta all'interrogazione del deputato Claudia La Rocca (atto assemblea regionale Siciliana n. 51), indirizzata all'assessore per il territorio e per l'ambiente della regione siciliana, si apprende che con determinazione assessoriale del 25 giugno 2012, la regione siciliana ha provveduto ad approvare la zonizzazione e classificazione del territorio regionale, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 155 del 2010, e che «il progetto di Razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia e relativo Programma di Valutazione, elaborato da ARPA Sicilia, è in attesa della valutazione del MATTM ai sensi dell'articolo 5, comma 6, dello stesso decreto legislativo 155/2010» –:
   se il progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale, approvato con determinazione assessoriale del 25 giugno 2012, in base all'articolo 3 del decreto legislativo n. 155 del 2010, sia stato trasmesso al Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e sia stato giudicato conforme alle disposizioni dello stesso decreto legislativo ed agli indirizzi espressi dal coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria ambiente e dunque sia stato adottato;
   se e quali variazioni e integrazioni rispetto al progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale, il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, ai sensi all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 155 del 2010, abbia trasmesso alla regione siciliana;
   se il progetto di razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia, elaborato dall'ARPA Sicilia, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 155 del 2010, sia stato istruito e giudicato conforme alle disposizioni dello stesso decreto legislativo ed agli indirizzi espressi dal coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria ambiente;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia indicato, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 155 del 2010, le variazioni e le integrazioni da effettuare ai fini dell'attuazione del progetto di razionalizzazione del monitoraggio trasmesso dalla regione siciliana. (4-02311)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la regione Siciliana per gli adempimenti connessi al decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010 di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli enti territoriali interessati, si rappresenta quanto segue.
  La regione Siciliana, ai sensi dell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 155 del 2010, ha trasmesso formalmente il progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale al Ministero dell'ambiente.
  In data 5 agosto 2011 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla regione alcune integrazioni al progetto presentato, riscontrate dalla regione Siciliana.
  In data 6 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha formulato ulteriori osservazioni al progetto di zonizzazione, alle quali la regione Siciliana ha risposto con nota n. 18985 del 26 marzo 2012.
  In data 13 aprile 2012, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato alla regione Siciliana la conformità del progetto di zonizzazione alle disposizioni del citato decreto legislativo n. 155 del 2010 relativamente alla protezione della salute umana.
  Infine, la regione Siciliana con decreto assessoriale n. 97 del 25 giugno 2012 ha approvato la nuova zonizzazione e classificazione del territorio regionale.
  Relativamente alla rete di monitoraggio della qualità dell'aria, la regione Siciliana, ai sensi dell'articolo 5, comma 6 del citato decreto legislativo n. 155 del 2010, ha trasmesso formalmente il progetto di adeguamento della rete di misura al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Il Ministero ha avviato un'approfondita istruttoria tecnica della documentazione trasmessa, avvalendosi del supporto tecnico dell'Ispra e dell'Enea ai fini della valutazione del progetto inoltrato dalla regione Siciliana.
  A seguito dell'invio di alcune osservazioni circa il progetto di rete da parte degli enti sopra menzionati, il Ministero ha evidenziato una serie di aspetti meritevoli di approfondimento, in assenza del quale non è stato possibile esprimere una condivisione del progetto; la regione ha risposto con la nota prot. 34769 del 12 agosto 2013, trasmettendo il progetto aggiornato alla luce delle osservazioni formulate.
  In data 23 dicembre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha formulato ulteriori osservazioni al progetto di adeguamento della rete, a cui la regione ha risposto con la nota del 24 marzo 2014, integrata con successiva nota del 16 aprile 2014.
  Infine, con nota del 2 maggio 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato alla regione Siciliana l'assenza di rilievi in merito al progetto di rete relativamente alla protezione della salute umana.
  La regione Siciliana, con decreto del dirigente generale del dipartimento dell'ambiente n. 449 del 10 giugno 2014, ha approvato il progetto definitivo di razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia ed il relativo programma di valutazione.
  Infine, il 21 dicembre 2015 con decreto del dirigente generale del dipartimento dell'ambiente n. 1299 è stato approvato il progetto «Sistema di Rilevamento Regionale della Qualità dell'Aria della Regione Sicilia» e il relativo cronoprogramma delle attività fisiche e finanziarie.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia deve rimborsare il comune di Pescara per le spese sostenute per l'ordinaria manutenzione del palazzo di giustizia nel 2010 e nel 2011, mentre per il 2012 è in corso di definizione la rendicontazione delle spese;
   il credito del comune di Pescara nei confronti dello Stato è di 1.975.000 euro per il 2010 e di 3.985.000 euro per il 2011; si tratta di una cifra vitale per il comune di Pescara anche in considerazione della grave condizione della finanza locale con ripercussioni pesanti sui servizi erogati ai cittadini –:
   se il Ministro intenda procedere con urgenza al pagamento dei rimborsi anticipati dal comune di Pescara nel 2010-2011 per la manutenzione ordinaria del palazzo di giustizia di Pescara. (4-00072)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21-
quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolti periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed i procuratori generali presso le corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo Dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 giugno 2011 il signor Marco Luigi Di Varano, un cittadino italiano residente a Montesilvano (Pescara) ha perso la vita in seguito ad un incidente stradale avvenuto sull'autostrada A3 vicino a Zagabria;
   il signor Di Varano era stato per alcuni giorni a Banja Luka, in Bosnia, dove la moglie, la professoressa Stevka Smitran, aveva tenuto una conferenza nella locale università;
   la sera del 18 giugno 2011, intorno alle ore 4 del mattino, i signori Di Varano tornavano in Italia percorrendo la succitata autostrada A3 e, vicino a Zagabria, venivano tamponati violentemente da un'autovettura che procedeva alla velocità di quasi 180 km/h alla guida della quale si trovava un individuo che risultava, dai controlli effettuati, con un tasso alcolemico di 1,27 g/kg e di 1,78 g/kg nell'urina;
   il signor Di Varano cessava di vivere tre giorni dopo l'incidente, senza aver mai ripreso conoscenza;
   dal verbale redatto dalla polizia locale, a quanto risulta all'interrogante, risulta chiara e netta la colpevolezza del guidatore ubriaco che ha causato l'incidente;
   dalla società di assicurazione italiana Aviva, la signora Smitran Di Varano ha ricevuto un risarcimento «esclusivamente a titolo del danno biologico personale», ma davanti tribunale di Zagabria pende una causa civile promossa dalla vedova e dal figlio Igor nei confronti della compagnia Euroherc, tesa ad ottenere esclusivamente a titolo di risarcimento il danno subito quali eredi;
   infatti, dalla compagnia Euroherc è stato risarcito solo ed esclusivamente il danno materiale (oggetti distrutti all'interno del veicolo, peraltro, venduto all'asta all'insaputa degli eredi), ma essa non intende risarcire alla vedova e al figlio il cosiddetto «danno da lutto»;
   la signora Smitran Di Varano e suo figlio si battono da anni per veder riconosciuto il loro diritto, a fronte di una perdita comunque non quantificabile economicamente, e hanno potuto contare sul costante supporto e la vicinanza dell'ambasciatore Alessandro Pignatti e del suo gruppo, che hanno consigliato loro anche un avvocato croato che è tuttora il legale di fiducia della famiglia Di Varano –:
   se non ritenga, dopo cinque anni dal tragico fatto, per quanto è in suo potere, di assumere ogni iniziativa di competenza per una positiva soluzione della vicenda che, oltre al risarcimento di un danno sul piano materiale, porrebbe fine ad una situazione che protrae nel tempo la sofferenza dei familiari del signor Di Varano. (4-13022)

  Risposta. — In merito alla vicenda del risarcimento dei danni da parte della compagnia assicurativa croata Euroherc nei confronti dei familiari del signor Marco Luigi Di Varano – cittadino italiano deceduto nel 2011 a causa di un incidente stradale avvenuto sull'autostrada A3 nei pressi di Zagabria – preme sottolineare che la moglie del connazionale, Stevka Smitran, è stata costantemente e puntualmente assistita dall'Ambasciata d'Italia a Zagabria per tutte le pratiche relative al sinistro, come peraltro rilevato dall'interrogante.
  La nostra rappresentanza diplomatica mantiene inoltre costanti contatti con il legale della famiglia Di Varano, il quale fornisce puntuali aggiornamenti in merito all’
iter processuale in corso. A questo proposito, l'avvocato ha confermato che le tempistiche del procedimento sono assolutamente in linea con gli standard croati e che, a seguito della prima perizia che ha dato ragione alla moglie del connazionale per quanto concerne la dinamica dell'incidente, solo due mesi fa ne è stata richiesta un'altra per verificare se i problemi di salute della signora Smitran siano correlati all'incidente subito il 21 giugno 2011 con il marito. Qualora venisse riconosciuto il nesso di causalità, sarebbe possibile richiedere un ulteriore indennizzo all'assicurazione croata Euroherc.
  È opportuno ricordare, tuttavia, che la signora Smitran, pur lamentando di aver ricevuto dalla summenzionata compagnia croata un risarcimento del valore inferiore al danno che ritiene di aver subito, ha altresì percepito dalla società assicurativa italiana Aviva un ulteriore indennizzo (pari ad una cifra compresa fra 5 e 10 volte i massimali previsti dalle leggi croate che regolano il settore delle assicurazioni). Secondo quanto sostenuto dal legale della famiglia, in Croazia non sarebbe permesso ricevere due risarcimenti da compagnie assicurative diverse per lo stesso sinistro.
  L'ambasciata a Zagabria continuerà comunque a seguire attentamente il procedimento civile in corso, fornendo tutta l'assistenza del caso ai familiari del signor Di Varano.
  Si segnala, infine, che il processo penale a carico del conducente dell'altro veicolo coinvolto nell'incidente, signor Goran Gavrić, il quale in stato di ebbrezza aveva tamponato la vettura del connazionale, si è nel frattempo estinto per la morte dello stesso Gavrić in un altro incidente stradale.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MARGUERETTAZ, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392, recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei Comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale;
   tale previsione normativa che mette a carico dei comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della Carta costituzionale che, assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei comuni – pari a 315 milioni di euro annui, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano a fioccare nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai Comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni e dati disponga in materia e quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se sono state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per gli anni 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari assumendo iniziative per abrogare la legge 24 aprile 1941, n. 392, e ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02501)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.

  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto- legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21 quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolti periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed i procuratori generali presso le corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la Collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai Dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.

  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, di fatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della Commissione di Manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso Decreto Interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo Dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la testimonianza raccolta dal sito web « www.iacchite.com» e ripreso poi da diversi organi di stampa locale, il giorno 15 dicembre 2015 al pronto soccorso, dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza una paziente è stata lasciata per ore nuda e abbandonata su un lettino;
   racconta la succitata testimone: «Arrivata presso la struttura vengo “catalogata” come codice rosso e immediatamente portata nella stanza al fine di praticare le prime cure. Dopo circa mezz'ora chiedo di poter andare in bagno all'infermiera che in quel momento si trovava in stanza con me, ma mi viene negato con giustificazioni a parere di chi scrive assurde. Ovviamente, dopo aver ricevuto il diniego, la sottoscritta insisteva sul proprio diritto anche perché non avevo necessità alcuna di essere accompagnata né dall'infermiera stessa né dagli operatori socio sanitari in quanto insieme a me era presente la persona che mi aveva accompagnata presso il pronto soccorso e che si era resa immediatamente disponibile ad accompagnarmi in carrozzina»;
   stando al racconto della paziente, alle continue pressioni l'infermiera cui lei si era rivolta, rispondeva testualmente «fattela addosso», tanto che la povera testimone è «costretta a seguire le indicazioni dell'infermiera visto che non vi era altra possibilità. Successivamente all'accaduto — racconta ancora la paziente — sono stata ovviamente denudata e senza essere in alcun modo pulita, sono stata avvolta in un pannetto e coperta con un lenzuolo»;
   stando ancora alla testimonianza riportata su « www.iacchite.com», «la stanza in cui sono stata posizionata era dotata di aria condizionata centralizzata ovviamente non funzionante. Infatti, piuttosto che emanare aria calda emanava aria fredda. Poiché ero stata precedentemente denudata, chiedevo quantomeno una coperta ma anche qui la risposta è stata negativa. Difatti, il pronto soccorso non era munito di coperte poiché la ditta che si occupa del lavaggio non aveva provveduto ancora a restituire i panni puliti»;
   a parere dell'interrogante, i fatti testé esposti sono di una gravità assoluta e necessitano di essere chiariti, risalendo ai comportamenti tenuti dal personale ospedaliero e dal pronto soccorso dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza –:
   se non intenda assumere iniziative per verificare i livelli essenziali di assistenza, nel rispetto anche di quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute come fondamentale, e l'efficienza del pronto soccorso dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza, anche per il tramite del commissario per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura. (4-11559)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base degli elementi acquisiti presso l'azienda ospedaliera di Cosenza, tramite la regione Calabria – dipartimento Tutela della Salute, a cura del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  In merito alle vicende segnalate nell'atto parlamentare, l'azienda comunica di aver svolto una indagine interna, i cui risultati si riportano di seguito.
  La paziente, giunta al pronto soccorso dell'ospedale «Annunziata» di Cosenza il 15 dicembre 2015, non è stata catalogata con il «codice rosso» (emergenza con pericolo di vita), bensì con il «codice verde» (urgenza minore differibile), in quanto affetta da «colica addominale», ed è stata dimessa il 16 dicembre 2015, sempre con lo stesso codice verde, con diagnosi di: gastroenterite in paziente con calcolosi renale.
  La paziente, dopo la valutazione effettuata al «triage», veniva portata ad accomodarsi in sala d'attesa, poiché negli ambulatori erano presenti numerosi pazienti in codice rosso e giallo e, quindi, maggiormente bisognevoli di cure mediche. Nonostante ciò, dopo poco tempo, le venivano comunque praticate le prime cure per alleviare temporaneamente la sintomatologia dolorosa.
  Per quanto concerne l'episodio del bagno, il direttore generale dell'azienda ha rilevato che la paziente, prima di accedere all'ambulatorio per la visita, si era recata in bagno, nonostante l'infermiera di turno l'avesse sconsigliata dal farlo in considerazione della distanza tra i due ambienti. Non vedendola tornare, l'infermiera si recava nel bagno per accertarsi delle condizioni della paziente e cercare di convincerla ad adagiarsi sulla barella, allo scopo di praticare i primi accertamenti e le eventuali terapie.
  A questo punto, la paziente, che l'azienda ha riferito essere «in evidente stato di agitazione», rifiutava di sdraiarsi sulla barella; nel frattempo sopraggiungeva una nuova colica, accompagnata da un episodio diarroico, a seguito del quale gli indumenti indossati dalla paziente risultavano imbrattati e non più utilizzabili.
  In attesa di ricevere biancheria ed abiti puliti da parte dei familiari, l'azienda riferisce che la paziente veniva coperta ed avvolta con lenzuola pulite e lasciata in ambulatorio, separata dagli altri pazienti mediante un paravento, con la porta chiusa e, indi, sottoposta ad indagini e terapia medica.
  Durante la notte, sopraggiungeva un nuovo episodio diarroico; di nuovo, la paziente veniva lavata e pulita dall'infermiere di turno.
  Migliorata la sintomatologia dolorosa, la paziente riposava tutta la notte, vestita con un pigiama portato dai familiari.
  In considerazione della mancanza di posti letto, era lasciata in ambulatorio, in condizioni riferite di «tutta tranquillità». Il locale dell'ambulatorio in cui è stata sistemata la paziente è lo stesso in cui, quotidianamente, operano medici e infermieri.
  Secondo quanto riferisce l'azienda ospedaliera, l'affermazione riportata nell'interrogazione, per la quale alla paziente sarebbe stata negata la coperta perché la ditta incaricata non avrebbe restituito i panni puliti, è risultata assolutamente infondata. Infatti, quella sera, nel pronto soccorso, erano presenti oltre 40 persone, per lo più anziane, bisognose di cure e classificate con codice rosso o giallo e, quindi, meritevoli di ricevere prima e di chiunque altro le coperte a disposizione.
  L'Azienda, infine, sottolinea il fatto che i turni di lavoro dei medici e degli infermieri di alcune delle unità operative della struttura ospedaliera siano indubitabilmente assai gravosi, ma che questo non ha mai avuto alcuna ricaduta negativa sui pazienti, nei cui confronti vi è sempre stato un trattamento di rispetto e umanità.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PAGLIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il signor Wilhelm Kusterer è un ex sergente delle SS (primo aiutante del maggiore Walter Reder) che, in Italia, è stato condannato in via definitiva a due ergastoli per le stragi naziste di San Terenzo Monti, Vinca e Marzabotto-Monte Sole;
   le stragi summenzionate, in totale, sono costate la vita a circa 1.150 persone;
   Kusterer risulta essere, in particolare, uno degli autori del massacro della collina di Monte Sole, sull'Appennino bolognese, dove fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 ci fu una retata e l'assassinio sistematico di 770 tra bambini, donne e uomini;
   da notizie di stampa si apprende dell'attribuzione di una medaglia d'onore a Kusterer da parte della municipalità tedesca di Engelsbrand, borgo di 4300 abitanti nel Land del Baden-Württemberg, per le sue qualità di «cittadino attivo e onorevole» e per aver reso «grandi servigi al suo luogo di origine»;
   risulta inconcepibile e profondamente insultante per l'Emilia Romagna e per l'Italia tutta che un'onorificenza del genere sia assegnata a un criminale nazista, condannato dalla giustizia del nostro Paese e che per giunta non ha mai scontato un solo giorno di carcere;
   notizie del genere non fanno che indignare l'opinione pubblica delle comunità laddove il ricordo delle efferatezze nazi-fasciste è più vivo che mai e ostacolano quei progetti di memoria e sensibilizzazione per le giovani generazioni su un periodo tanto funesto per il nostro Paese;
   sarebbe auspicabile che il Governo faccia proprio lo sdegno espresso dal Comitato onoranze ai caduti di Marzabotto e dall'Associazione familiari delle vittime degli eccidi nazifascisti di Grizzana-Marzabotto-Monzuno 1943-1944; si evidenzia che il comitato, opportunamente, invierà al Borgomastro di Engelsbrand copia della sentenza della condanna d'ergastolo per Kusterer emessa nel 2008 dalla Corte d'Appello militare di Roma per la strage di Monte Sole –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per pretendere formali scuse dalla Municipalità di Engelsbrand e attivarsi affinché il Governo federale tedesco disponga la revoca immediata dell'onorificenza;
   se il Governo non intenda fornire elementi rispetto allo stato di esecuzione della pena per Kusterer e gli altri condannati in Germania;
   se il Governo non intenda richiedere alle autorità tedesche il motivo per cui non si sia dato seguito alla richiesta di mandato d'arresto europeo per tutti i condannati per la Strage di Monte Sole: Josef Baumann, Hubert Bichler, Max Roithmeier, Adolf Schneider, Max Schneider, Heinz Fritz Träger, Helmut Wulf, Wilhelm Kusterer, che nella strage di Monte Sole ha ricoperto, come ufficiale, l'incarico di comandante di squadra nella 3° compagnia del Reparto esplorante della divisione Reichsführer SS e al comando di 10 uomini nei giorni 29 e 30 del settembre 1944 ha attraversato le località di San Giovanni di Sotto, Casaglia, Caprara, Colulla di Sopra, Colulla di Sotto e Abelle. (4-12396)

  Risposta. — Come ho già avuto modo di chiarire in occasione del Question Time in commissione affari esteri della Camera del 16 marzo 2016, la decisione del comune tedesco di Engelsbrand di conferire la medaglia d'onore all'ex SS Wilhelm Kusterer, già condannato in contumacia all'ergastolo in Italia per l'eccidio di Marzabotto e per altri crimini di guerra, ha destato profondo sconcerto e sorpresa.
  A seguito della notizia, il Ministero degli affari esteri e della Cooperazione Internazionale, su istruzione del Ministro Gentiloni, si è immediatamente attivato, compiendo dei passi sia a livello centrale, in un incontro del 7 marzo 2016 con l'ambasciata di Germania a Roma, che tramite l'ambasciatore d'Italia a Berlino, che ha indirizzato una lettera al segretario di Stato agli affari esteri tedesco, Markus Ederer. In queste occasioni, nel chiedere chiarimenti sulla vicenda, è stato espresso il vivo sconcerto e l'indignazione del Governo italiano per la decisione assunta dal comune di Engelsbrand ed è stato richiesto al Governo federale di intervenire sul comune tedesco per revocare la medaglia conferita al criminale nazista.
  Vorrei cogliere l'occasione per ringraziare ancora una volta per il sostegno fornito dal Parlamento all'azione di Governo su tale questione. Ricordo infatti la lettera con la quale gli Onorevoli Garavini e Lars Castellucci, presidenti del gruppo di amicizia interparlamentare italo-tedesco rispettivamente presso il Parlamento italiano e presso il Bundestag, hanno chiesto con fermezza al sindaco la revoca dell'onorificenza.
  A seguito di tali passi, il Comune di Engelsbrand ha deciso il 15 marzo 2016 di revocare ufficialmente l'onorificenza concessa a Wilhelm Kusterer, preannunciando il ritiro effettivo della medaglia. Nell'esprimere il suo rammarico per l'accaduto e per l'offesa arrecata alla memoria delle vittime, il sindaco di Englesbrand, Bastian Rosenau, ha precisato che il comune e la cittadinanza erano all'oscuro del passato criminale di Kusterer, ringraziando per le segnalazioni e gli interventi che hanno portato alla luce tale questione.
  La decisione del comune di Engelsbrand di revocare l'onorificenza si pone perfettamente in linea con il solenne impegno, assunto da Italia e Germania a partire dal 2012, ad intraprendere un percorso comune volto alla costruzione di una memoria condivisa del passato di guerra italo-tedesco. Un impegno che è stato inoltre suggellato al più alto livello politico in occasione della visita del Presidente della Repubblica e del Presidente tedesco Gauck a Sant'Anna di Stazzema nel marzo 2013 e che è stato riaffermato, più recentemente, con la visita congiunta del Ministro Gentiloni e del Ministro degli affari esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, a Ponte Buggianese il 9 novembre 2015.
  In tale contesto, si ricorda che la Farnesina e il Ministero degli affari esteri tedesco hanno impostato un programma di lavoro per la realizzazione di progetti concreti, fatti pervenire dalle Associazioni rappresentative di ex-internati e di familiari delle vittime del nazismo e dai sindaci delle località che furono teatro di stragi naziste. Ciò nella consapevolezza che la memoria e la conoscenza delle tragedie del passato sono essenziali ai fini della salvaguardia degli ideali di libertà, democrazia e solidarietà che sono alla base della costruzione europea.
  Per quanto concerne, infine, l'esecuzione della pena inflitta dalle competenti autorità italiane a Kusterer, si segnala – sulla base delle informazioni acquisite presso il Ministero della giustizia – che non risulta eseguito alcun mandato di arresto europeo nei suoi confronti e che, secondo la legislazione tedesca, l'estradizione di un cittadino tedesco ai fini dell'esecuzione penale è ammissibile solo nel caso in cui la persona richiesta vi acconsenta. La corte di appello di Karlsruhe (Baden Württemberg), con decreto del 12 agosto 2013, ha peraltro dichiarato inammissibile l'esecuzione in Germania della pena all'ergastolo inflitta a Kusterer dalla Corte di Appello di Roma con sentenza del 7 maggio 2008. Quanto all'ulteriore sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal tribunale militare di Roma il 26 giugno 2009, nell'ambito del procedimento relativo alla strage di San Terenzo, al momento non sono ancora noti gli esiti della procedura relativa alla richiesta di estradizione o di esecuzione della pena in Germania trasmessa dalle autorità italiane nel giugno 2013 alla procura Generale di Karlsruhe.
  Quanto agli altri esponenti delle SS condannati in Italia per la strage di Monte Sole, si informa che Josef Baumann, Hubert Bichler, Max Roithmeier, Max Schneider, Adolf Schneider e Heinz Fritz Träger sono deceduti tra il 2009 e il 2014 e che sono state pertanto dichiarate estinte le pene comminate a loro carico. In merito ad Helmut Wulf, le autorità federali tedesche hanno reso noto nel novembre 2013 che, a seguito di perizia medica specialistica, è risultato affetto da patologie che ne impedivano la carcerazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   PASTORELLI, DI LELLO, DI GIOIA e LOCATELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 ottobre 2014 il sottoscritto presentava presso l'VIII Commissione una interrogazione a risposta immediata avente a oggetto la richiesta di chiarimenti circa l'incendio di vaste proporzioni sviluppatosi presso la Raffineria Mediterranea di Milazzo il 26 e 27 settembre 2014;
   in particolare, si chiedevano informazioni circa i danni ambientali prodotti dal suddetto incendio, nonché se non si ritenesse opportuno intraprendere azioni di rilevamento dei livelli d'inquinamento ambientale a Milazzo e nelle aree limitrofe al fine di approntare strumenti idonei a prevenire l'eventuale esposizione della popolazione residente a emissioni e a inquinanti atmosferici derivanti dai cicli produttivi della raffineria, procedendo eventualmente a un riesame radicale delle autorizzazioni integrate ambientali, finora rilasciate alla medesima azienda;
   in risposta a tale interrogazione, il Sottosegretario Silvia Velo, tra le altre cose, annunciava che nelle more dell'avvio del procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale della raffineria in questione — il quale dovrà attendere la pubblicazione da parte della Commissione dell'Unione europea delle «Conclusioni sulle BAT» — il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «per maggior cautela» aveva comunque disposto un sopralluogo straordinario del sito da parte dell'ISPRA al fine di verificare il rispetto delle condizioni autorizzative potenzialmente connesse all'evento incidentale, e le conclusioni di tale sopralluogo fossero in corso di elaborazione –:
   se l'ISPRA, alla luce del sopralluogo straordinario effettuato nella raffineria di Milazzo, abbia terminato di elaborare le proprie conclusioni circa il rispetto delle condizioni autorizzative richieste dalla normativa vigente e se sia emersa dalle medesime la necessità di adottare le misure correttive di cui all'articolo 29-decies, comma 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006. (4-07585)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi il 27 settembre 2014 all'interno della raffineria Mediterranea di Milazzo (Messina), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  A seguito dell'evento incidentale la notte del 27 settembre 2014 presso la raffineria Mediterranea di Milazzo, ed essendo la stessa classificata come industria a rischio di incidente rilevante ai sensi del decreto legislativo n. 334 del 1999, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha immediatamente inviato una notifica preliminare dell'evento alla Commissione europea tramite il sistema informativo europeo sugli incidenti «Seveso» denominato «e-MARS». Al riguardo, si fa presente che fin dalla prima segnalazione la situazione è apparsa sotto controllo, essendosi trattata di un'emergenza interna alla raffineria, contrastata con tempestive operazioni di spegnimento e contenimento. In particolare, risulta che l'incidente sia stato originato dalla inclinazione del tetto galleggiante di un serbatoio destinato allo stoccaggio di idrocarburi liquidi, con conseguente rilascio di vapori infiammabili e loro innesco, presumibilmente a causa di scintille provocate dall'attrito tra parti metalliche. L'incendio si è concretizzato in un incendio di vaste proporzioni che ha interessato unicamente il medesimo serbatoio senza determinare sversamenti sul suolo o in mare di idrocarburi né di acque o schiumogeno antincendio utilizzati negli interventi.
  Il Ministero ha, tuttavia, provveduto a richiedere alle autorità competenti e agli organi tecnici locali (in particolare, prefettura di Messina, direzione regionale Sicilia e Comando provinciale di Messina del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, ARPA Sicilia) dettagliate informazioni sulle circostanze e sulle conseguenze dell'incidente. Ciò al fine di avviare la procedura prevista, in caso di incidente rilevante, dall'articolo 24 del predetto decreto legislativo n. 334 del 1999.
  Tale procedura, in particolare, prevede la istituzione di una commissione composta da esperti appartenenti agli organi tecnici nazionali, incaricata di effettuare un sopralluogo per la raccolta delle informazioni sulle circostanze, le cause e le conseguenze dell'evento, da trasmettere successivamente alla Commissione europea, così come previsto dalla normativa europea e nazionale sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.
  Per quanto attiene alle iniziative adottate per verificare le eventuali esternalità negative conseguenti all'incidente occorso, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Sicilia si è subito adoperata per verificare i dati ambientali forniti dai sistemi di monitoraggio di cui essa stessa è dotata nel territorio, e, precisamente, quelle posizionate a Milazzo e a Pace di Mela, nonché i dati risultanti dalle centraline di proprietà Edipower e facenti parte della rete di monitoraggio, posizionate a San Filippo del Mela, Pace del Mela, San Pier Niceto, Milazzo – Croce di Mare e Valdina.
  Sin dal giorno successivo si è inoltre reso operante un laboratorio mobile, anch'esso dedicato alla analisi della qualità dell'aria, posizionato sul lungomare di Milazzo.
  È stato riferito che i dati forniti dai sistemi di rilevamento, non hanno mostrato concentrazioni anomale degli inquinanti monitorati, né il superamento dei limiti di legge.
  L'ARPA ha immediatamente organizzato, altresì, un piano di attività che, interessando tutti i comuni dell'area, comprendeva il monitoraggio al suolo delle ricadute dei fumi in termini di analisi di microinquinanti organici persistenti, quali diossine e IPA, e di contaminanti inorganici, quali i metalli pesanti.
  Nello stesso tempo, si è proceduto al prelievo dei campioni di acqua, compresa quella di mare, vegetazione e aria. Per quest'ultima, in particolare, sono stati posizionati in zone dove è più visibile la ricaduta, tenendo conto delle segnalazioni dei cittadini e della direzione del vento, due campionatori ad alto volume per il prelievo di volumi noti di aria su appositi supporti per la raccolta delle polveri sottili ricadenti in diversi archi temporali, per la determinazione delle diossine.
  L'impianto rientra, poi, tra quelli autorizzati dal Ministero dell'ambiente con autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), e il 15 aprile 2016 è stato avviato il procedimento ad oggetto il complessivo riesame di tale autorizzazione.
  Nell'ambito del procedimento di riesame potranno essere quindi utilmente prese in considerazione, tra l'altro, le problematiche inerenti la sicurezza dell'esercizio dell'impianto, alla luce dell'evento accaduto, e potrà essere condotto un riscontro, da parte degli enti territoriali, competenti, tra l'altro, in materia di informazione ai cittadini, circa la compatibilità di tale esercizio con la garanzia di adeguati livelli di qualità dell'ambiente e sanitari, anche in un'ottica di possibile delocalizzazione di impianti di tal genere in aree lontane dai centri abitati.
  Nelle more, il Ministero dell'ambiente ha disposto un sopralluogo straordinario da parte dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) al fine di verificare il rispetto delle condizioni autorizzative potenzialmente connesse all'evento incidentale. In esito a tale sopralluogo, in considerazione dell'accertata violazione delle prescrizioni relative all'attività di ispezione manutenzione del parco serbatoi riportata al paragrafo 8.5 (Gestione serbatoi e pipe-way) del decreto A.I.A., l'ISPRA ha comunicato le conclusioni della visita ispettiva straordinaria alla competente prefettura per l'adozione, da parte della stessa, delle misure correttive previste dall'articolo 29-decies, comma 9 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a svolgere le attività di competenza, nonché a tenersi informato anche attraverso gli enti territoriali e gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la figura della guida turistica sta attraversando una fase di grande cambiamento; attualmente una guida turistica può operare su tutto il territorio nazionale in base alle ultime normative;
   chi esercita questa professione può, quindi, circolare liberamente nelle diverse regioni italiane, previo esame di abilitazione presso la regione nella quale si svolgerà il lavoro;
   sono stati individuati in tutta Italia, per essere conformi alla normativa europea, dei «siti di specializzazione» che riguardano siti di particolare interesse storico (musei, pinacoteche e altro) nei quali potranno lavorare solo guide in possesso di laurea triennale e dopo aver superato un esame specifico;
   la Sardegna in merito a questo ha bloccato i concorsi per poter conseguire la qualifica di guida turistica; la legge regionale attuale prevede (come in tutte le regioni italiane) dei requisiti per il conseguimento di questa consentendo l'accesso anche ai diplomati in possesso di un anno di tirocinio e con l'esperienza di 10 guide obbligatorie;
   tuttavia si sta accettando solo l'iscrizione ai concorsi da parte dei laureati, nonostante tale specializzazione sia richiesta solo per poter lavorare in determinati siti, che tra l'altro in Sardegna non sono nemmeno la maggioranza, dato che la Sardegna è di fatto un museo a cielo aperto;
   non tutte le guide vogliono esercitare come guide specializzate, infatti, tante di loro preferiscono proprio accompagnare i turisti su territori meno conosciuti e ricchissimi di bellissime testimonianze del passato;
   le guide in possesso di un diploma che aspettavano l'uscita del bando regionale si ritrovano ad essere escluse, pur avendo fatto numerosi sacrifici e avendo pagato non poco a proprie spese corsi di lingua e archeologia e il tirocinio gratuito presso cooperative per lo stage;
   la legge nazionale fa riferimento solo ai siti di specializzazione e di conseguenza alle necessità per questi di guide specializzate, ma non impedisce di conseguire il titolo di guida turistica generica;
   alcune regioni fanno riferimento alle loro normative in materia, invece, la Sardegna, a quanto risulta all'interrogante, sosterrebbe di aver bloccato tali bandi su iniziativa ministeriale –:
   se risulti vero che il Ministro interrogato abbia assunto iniziative finalizzate al «blocco» di questi bandi; e in caso affermato, per quale motivo;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per fornire un'interpretazione chiarificatrice che consenta di dare il via libera a tali bandi. (4-13056)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame l'interrogante chiede notizie in merito alle procedure per l'ottenimento dell'abilitazione alla professione di guida turistica, richiamando in particolare la situazione prodottasi in Sardegna.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  L'articolo 3, comma 3, della legge n. 97 del 2013 prevede una speciale disciplina per l'esercizio della professione di guida turistica in determinati siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico. L'individuazione di tali siti è avvenuta con il decreto ministeriale 7 aprile 2015, che li ha puntualmente elencati.
  La disciplina relativa all'abilitazione all'esercizio della professione di guida turistica nei luoghi individuati dal decreto ministeriale del 7 aprile 2015 è stata regolata nel decreto ministeriale 11 dicembre 2015 recante «Individuazione dei criteri necessari per l'abilitazione allo svolgimento della professione di guida turistica e procedimento di rilascio dell'abilitazione».
  Al riguardo, si segnala che il decreto di dicembre è stato lungamente concertato con gli enti territoriali: circostanza questa testimoniata dall'acquisizione dell'intesa sul provvedimento conseguita in sede di conferenza unificata il 26 novembre 2015, così come previsto dall'articolo 3, comma 3, della legge n. 97 del 2013.
  Vi è quindi, al riguardo, un pieno coordinamento tra Governo e regioni.
  Secondo il decreto succitato, la specifica abilitazione ivi disciplinata riguarda lo svolgimento della professione nei determinati siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico, individuati nell'apposito decreto ministeriale del 7 aprile 2015. Rimangono pertanto ferme, così come organizzate nelle diverse regioni, le modalità di ottenimento dell'abilitazione alla professione di guida turistica, che permette – ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 97 del 2013 – lo svolgimento della professione nel territorio nazionale, al di fuori dei siti di cui al decreto ministeriale 7 aprile 2015.
  Si precisa inoltre che, in merito al bando della Regione Sardegna per il conseguimento del titolo di guida turistica generica richiamato dall'interrogante, da opportuni chiarimenti richiesti alla competente direzione generale del Turismo, non risulta alcuna iniziativa di questo Ministero volta a ostacolare le procedure per l'ottenimento della abilitazione alla professione di guida turistica.
  Si assicura in ogni caso l'impegno del Ministero a porre in essere tutte le iniziative utili volte a superare quanto segnalato nell'interrogazione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   GIUDITTA PINI, PATRIZIA MAESTRI, GIULIANI, BARUFFI, RAMPI, ROSTAN, ZAN, VERINI, MARZANO, IORI, D'ARIENZO, MUCCI, TULLO, MALPEZZI, ARGENTIN, DE MARIA, MARANTELLI, LENZI, CAUSI, LACQUANITI, BONACCORSI, COCCIA, LAVAGNO, RACITI, PIAZZONI, GUERRA, MICCOLI, CARLONI, NACCARATO, MURA, QUARTAPELLE PROCOPIO, COMINELLI, BOCCUZZI, BARGERO, MISIANI, ORFINI, BRUNO BOSSIO, LAFORGIA e FABBRI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa «in alcuni casi, considerata l'urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (diverse da quelle pubbliche) in Italia o all'estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall'accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78»;
   secondo il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa questo tipo di situazioni può «comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute»; aggiunge il comitato che le strutture sanitarie «non hanno ancora adottato le misure necessarie per rimediare alle carenze nel servizio causate dal personale che invoca il diritto all'obiezione di coscienza, o hanno adottato misure inadeguate»;
   il legislatore nazionale ha appena cambiato le disposizioni in materia di sanzioni per l'aborto clandestino (decreto legislativo n. 8 del 2016 in materia di depenalizzazioni) prevedendo, all'articolo 1 del decreto legislativo che, tra i comportamenti per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda, rientri quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 19 della legge n. 194 del 1978 sull'aborto clandestino entro i primi 90 giorni della gravidanza;
   tale disposizione ha inasprito in maniera nettissima l'eventuale multa da pagare portandola da 51 euro ad una cifra compresa tra 5000 e 10000 euro;
   il decreto legislativo n. 8 del 2016 ad avviso degli interpellanti ignora le ragioni per cui la pena prevista per la donna all'epoca dell'approvazione della 194 del 1978 era di sole 100.000 lire (poi diventati 51 euro con l'entrata in circolazione della nuova valuta);
   in base alle nuove disposizioni diventa ancora più urgente garantire la piena applicazione della legge 194 del 1978 sulla facoltà di abortire legalmente proprio in ragione del notevolissimo aumento della sanzione amministrativa prevista dal decreto legislativo 8 del 2016, poiché tali disposizioni potrebbero rivelarsi discriminatorie anche rispetto alla condizione sociale della donna che volesse praticare l'interruzione di gravidanza;
   i dati sull'obiezione di coscienza in Italia sono coerenti con i rischi denunciati dal Consiglio d'Europa, data la media nazionale di obiettori attorno al 70 per cento del personale, con alcune situazioni specie nel Meridione dove la percentuale del personale obiettore è pari quasi al 100 per cento del personale –:
   quali iniziative di competenza amministrative e/o normative il Ministro interpellato abbia intenzione di assumere per garantire in tutte le strutture sanitarie – nel rispetto delle competenze regionali in materia di sanità – la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza, specificamente riguardo la presenza adeguata di personale non obiettore;
   come intenda garantire, il Ministro interpellato – considerate le novelle alla legge 194 del 1978 del decreto legislativo 8 del 2016 e le competenze regionali in materia di sanità – la lotta agli aborti clandestini, la reale accessibilità alla metodica farmacologica, il rafforzamento delle politiche di educazione alla contraccezione, l'accesso alla contraccezione sicura, l'ampliamento ed il miglioramento ed una comunicazione più efficace della rete dei consultori sul territorio nazionale. (4-13161)

  Risposta. — In data 26 ottobre 2015 è stata trasmessa al Parlamento l'ultima relazione sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, nella quale vengono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014.
  Uno dei dati più rilevanti che emerge dalla citata relazione al Parlamento è che il fenomeno del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza è in netta diminuzione: rispetto al 2014 si registra un decremento del 5,1 per cento rispetto all'anno precedente.
  Per quanto riguarda l'obiezione di coscienza è importante sottolineare che il solo dato relativo al numero assoluto degli obiettori, o alla relativa percentuale degli obiettori rispetto a chi non obietta, non è indicativo della situazione dei servizi erogati, se non si paragona alle Ivg effettuate.
  Al riguardo, gli aborti in Italia dai primi anni ’80 ad oggi sono più che dimezzati (233.976 le Ivg nel 1983, 102.760 nel 2013, e 97.535 nel 2014, primo anno in cui sono scese sotto la soglia delle 100.000), mentre il numero dei ginecologi non obiettori, in valore assoluto, è rimasto sostanzialmente costante (1607 nel 1983, e 1490 nel 2013): il risultato è che il numero di Ivg a carico di ciascun ginecologo non obiettore, per settimana, è sceso da 3.3 (nel 1983) a 1.6 (nel 2013), come media nazionale, considerando 44 settimane lavorative in un anno.
  Scendendo al dato disaggregato, e passando alle medie regionali e (per la prima volta) per singole Asl, si può constatare che, anche nel caso più critico, cioè quanto i valori locali si discostano maggiormente dalla media nazionale, abbiamo due Asl, una in Sicilia e una nel Lazio, in cui le Ivg per ciascun ginecologo non obiettore sono rispettivamente 9,6 e 9,4: in altre parole, nel peggiore dei casi, abbiamo meno di dieci Ivg a settimana per ciascun ginecologo non obiettore; un carico di lavoro che non dovrebbe impedire al personale sanitario di svolgere altre attività, durante la settimana lavorativa.
  Le eventuali criticità locali sono quindi riconducibili non alla numerosità del personale obiettore, ma ad una inadeguata organizzazione locale del servizio.
  A tale proposito, l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 prevede espressamente che la regione possa garantire il servizio Ivg «anche attraverso la mobilità del personale».
  Una disposizione coerente con l'organizzazione dei servizi sanitari, che fa capo alle regioni.

  Le Ivg vengono effettuate nel 60 per cento delle strutture disponibili.
  Il numero dei punti Ivg paragonato a quello dei punti nascita, mostra che mentre le Ivg sono circa il 20 per cento delle nascite, il numero dei punti Ivg è il 74 per cento del numero dei punti nascita, superiore cioè a quello che sarebbe rispettando le proporzioni fra Ivg e nascite.
  Riguardo la mobilità regionale, il 90,8 per cento delle Ivg viene effettuata nelle regioni di residenza, di cui l'87,1 per cento nella provincia di residenza.
  Sono poi in diminuzione i tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento: è aumentata al 62,3 per cento la percentuale di Ivg effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento ed è diminuita al 14,6 per cento quella delle donne che aspettano oltre tre settimane.
  I tempi ricomprendono la settimana prevista per legge.
  Si precisa che i dati citati sono rilevati dal sistema di sorveglianza Ivg dell'Istituto superiore di sanità, che li riceve dalle regioni, e sono verificati con i dati dei modelli D12 dell'Istat e del flusso delle schede di dimissione ospedaliera.
  Inoltre, è stato istituito presso questo Ministero un «Tavolo Tecnico per il monitoraggio della piena applicazione della legge n. 194 del 1978» a cui sono stati invitati a partecipare tutti gli assessori regionali, allo scopo di avviare un monitoraggio sulle attività di Ivg e per effettuare una ricognizione sulla presenza degli obiettori di coscienza a livello di singola struttura di ricovero e nei consultori familiari.

  Tale monitoraggio, prima iniziativa capillare in questo senso mai realizzata dall'approvazione della legge n. 194 del 1978 nel nostro Paese, ha permesso una valutazione dell'accesso ai servizi in rapporto all'obiezione di coscienza, ed è elaborato non solo a livello di dettaglio regionale ma anche sub-regionale, per ogni singola Asl.
  Questa analisi di dettaglio, condotta in stretta collaborazione con le regioni, è rivolta proprio a verificare le segnalazioni di mancata applicazione della legge in questione, spesso effettuate a mezzo stampa, e comunque mai comunicate direttamente al Ministero della salute.
  Dall'indagine è emerso che, nei consultori, la percentuale di obiettori di coscienza è consistentemente più bassa rispetto a quella delle strutture ospedaliere (22 per cento rispetto al 70 per cento).
  Inoltre, dai dati sui colloqui pre-Ivg e dai documenti rilasciati per poter prenotare le Ivg si vede che i colloqui sono sempre in numero maggiore delle certificazioni, e ciò significa che, in generale, la legge è applicata anche nella sua parte preventiva.
  Il monitoraggio sui consultori ha consentito, per la prima volta dalla loro istituzione, di poterli individuare nelle diverse articolazioni territoriali, a livello centrale, in tutto il Paese, avviando un confronto in merito con i rappresentanti regionali presenti al tavolo di lavoro ministeriale.
  L'organizzazione della rete consultoriale dipende esclusivamente dalle regioni, che in questi anni hanno sviluppato modelli anche molto differenti tra loro, soprattutto per quanto riguarda l'integrazione ospedale-territorio.
  Riguardo all'aborto medico, si fa presente che l'accessibilità a tale procedura è libera da parte delle regioni e degli operatori, nel rispetto della normativa vigente, e che la scelta di un metodo dovrebbe dipendere esclusivamente dal rapporto medico-donna, in base a criteri di appropriatezza medica.

  A questo proposito, il Ministero della salute ha emanato linee di indirizzo (24 giugno 2010) a seguito di tre precedenti pareri del Consiglio superiore di sanità (marzo 2004, dicembre 2005, marzo 2010), tutti consultabili nel sito del Ministero.
  Si tratta di linee di indirizzo non vincolanti, e le regioni si sono comportate in autonomia.
  Riguardo alla contraccezione, tale tematica va affrontata in un'ottica più globale di procreazione responsabile e di tutela della salute sessuale e riproduttiva delle donne, ed in tale ambito occorre affrontarne tutti gli aspetti, tenendo conto di una visione complessiva del benessere e della salute della donna, in tutte le fasi della sua vita.
  Al tavolo della fertilità è stata affrontata anche questa tematica, approfondita, peraltro, nell'ambito della giornata dedicata alla salute della donna del 22 aprile 2016.
  È necessario conseguire la piena tutela della salute della donna attraverso la prevenzione dell'Ivg anche implementando le strategie per la procreazione cosciente e responsabile, attraverso programmi di educazione alla salute nelle scuole, nei luoghi di aggregazione giovanile, nella popolazione generale, e con l'integrazione della rete dei servizi.
  Nell'ambito scolastico, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, il Ministero della salute sta lavorando per definire un piano di promozione ed educazione alla salute, che prevede anche iniziative per una corretta informazione ai giovani sia sulla fisiologia riproduttiva sia sui rischi connessi a comportamenti a rischio.
  Finalità comune al Ministero della salute e alle regioni è la piena sintonia di intenti rivolti ad aiutare la donna a superare le cause che potrebbero indurla all'interruzione di gravidanza, anche attraverso interventi di natura sociale e socio-sanitaria integrata o, nel caso in cui questo non fosse possibile, seguendo adeguatamente la donna nell'intero percorso, sia da un punto di vista medico che psicologico.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RABINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio architetto Federica Galloni ha emanato alcuni decreti in particolare il decreto del 17 settembre 2013 con il quale è stato individuato un complesso urbano denominato «Tridente del Centro Storico» nel quale ricadono Via del Corso, Via Ripetta, Via del Babuino, via di S. Giacomo, via della Croce, via dei Condotti, via Tomacelli su Largo San Rocco, via Frattina con Piazza S. Lorenzo in Lucina, Piazza di Spagna e Piazza Mignanelli;
   nel detto decreto è scritto «in applicazione della Direttiva del 10 ottobre 2012»;
   nel decreto viene anche dichiarato che la planimetria catastale e la relazione storico-artistica costituiscono parte integrante del presente decreto che sarà notificato ai destinatari individuati nelle relate di notifica ed al comune di Roma;
   Roma Capitale Municipio Roma I Centro per dare esecuzione al detto decreto ha emanato una serie di determinazioni dirigenziali con le quali ha revocato le concessioni demaniali permanenti di occupazione a mezzo tavoli, sedie, ombrelloni a tutti i locali ricadenti nel suddetto Tridente con invito a rimuovere i suddetti arredi entro il settimo giorno dalla data di notifica del provvedimento; 
   il decreto della Soprintendenza è secondo l'interrogante in aperto contrasto con le disposizioni di legge nonché con le disposizioni che l'allora Ministro Ornaghi per i beni e le attività culturali ha impartito agli uffici in particolare al segretario generale, alle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e alle Soprintendenze con la Direttiva del 10 ottobre 2012;
   il Soprintendente ha individuato le aree aventi le caratteristiche di particolare valore storico, artistico e paesaggistico che è invece compito esclusivo delle amministrazioni locali, sentite le Soprintendenze, come disposto dall'articolo 52 del codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che pertanto è stato violato;
   il Soprintendente con i detti decreti ha dettato una regolamentazione del commercio che è invece di competenza delle amministrazioni locali prescrivendo per tutte le vie ricadenti nel cosiddetto «Tridente del Centro Storico» «l'esclusione di tutte le forme d'uso del suolo pubblico a fini commerciali con il posizionamento di strutture stabili e/o precarie di varia natura e/o tipologia» affermando che «l'interesse primario inerente alla tutela del patrimonio culturale assume carattere preminente rispetto agli interessi privati»;
   tale divieto assoluto è secondo l'interrogante in aperto contrasto con i «fondamentali principi di ragionevolezza e di proporzionalità» che vanno osservati in sede di apprezzamenti tecnico-discrezionali come stabilito nella direttiva del Ministro;
   il Soprintendente, ad avviso dell'interrogante, non ha rispettato le disposizioni di legge dettate a garanzia dei cittadini destinatari dei suoi provvedimenti; in particolare ha violato l'articolo 14 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che così recita: «Il Soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale (omissis) dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto»;
   tale norma è stata disattesa in quanto l'avvio del procedimento non risulta all'interrogante essere stato comunicato ai proprietari e/o titolari degli esercizi commerciali né è stata inviata la planimetria catastale e la relazione storico-artistica costituenti parte integrante dei decreti emessi, come dichiarato nei decreti;
   il Municipio Roma I Centro per ottemperare al detto decreto del Soprintendente ha dovuto emanare per tutti i locali ricadenti nel cosiddetto Tridente, nonché per altri interessati da singoli decreti del Soprintendente, una serie di determinazioni dirigenziali di revoca delle concessioni demaniali permanenti di suolo pubblico con invito a rimuovere tavolini, ombrelloni ed arredi vari entro sette giorni dalla notifica dei provvedimenti;
   i suddetti provvedimenti sono causa di danni notevoli per Roma Capitale sia per la perdita delle entrate per le occupazioni di suolo pubblico sia ancor più per gli indennizzi che l'amministrazione sarà chiamata a versare ai titolari degli esercizi in base al combinato disposto di cui all'articolo 52, comma 1-ter, con l'articolo 21-quinquies della legge n. 241 del 1990;
   il decreto del Soprintendente e le determinazioni del Municipio I vanno a colpire più di duemila persone tra titolari degli esercizi e loro famiglie, dipendenti e relative famiglie la maggioranza dei quali perderà il posto di lavoro, in quanto i numerosi locali con limitate superfici interne perderanno la maggior parte della clientela;
   la suesposta situazione ha creato un gravissimo allarme sociale nei destinatari dei detti provvedimenti;
   i suddetti provvedimenti, ove non revocati, saranno causa di gravi disagi anche per i turisti che, grazie anche all'imminente Giubileo, visiteranno le dette strade del centro storico, ma non potranno trovare locali adeguati ove sostare;
   conseguentemente, si accamperanno sulla Scalinata di Trinità dei Monti nonché intorno alla «Barcaccia» dove saranno assaliti dai venditori ambulanti abusivi con la conseguenza che i detti luoghi saranno invasi da bottiglie, lattine e cose varie ivi abbandonate –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della denunciata grave situazione e quali iniziative intendano adottare ed in particolare se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda adottare iniziative nei confronti del Soprintendente Galloni che, a giudizio dell'interrogante, ha disatteso le disposizioni impartite con la direttiva ministeriale del 10 ottobre 2012. (4-11843)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale, l'interrogante, premesso che il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio ha emanato un decreto, il 17 settembre 2013, relativo alle concessioni di occupazione di suolo pubblico nel «Tridente» del centro storico; che ad avviso dell'interrogante tale procedimento è illegittimo, nonché causa di notevoli danni per Roma Capitale e colpisce gravemente più di duemila persone, oltre a suscitare gravissimo allarme sociale, chiede quali iniziative il Ministro intenda adottare, in particolare nei confronti dell'allora responsabile del provvedimento.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  Il vincolo cui si riferisce l'interrogante, apposto sulla parte del centro storico di Roma caratterizzata dalla particolare struttura urbanistica definita dalle tre strade (via del Corso, via di Ripetta, via del Babuino) che si dipartono – con configurazione, per l'appunto, a «tridente» – dalla piazza del Popolo, è stato apposto con decreto del 17 settembre 2013 emanato dalla allora competente direzione regionale del Mibact.
  Tale provvedimento, nel riconoscere ai sensi dell'articolo 10, comma 4, lettera g) del decreto legislativo n. 42 del 2004, «Codice dei beni culturali e del paesaggio», l'alto interesse storico-artistico di detto settore urbano – capolavoro come noto dell'urbanistica rinascimentale e barocca oltre che compagine densa di complessi monumentali e stratificazioni storiche dall'epoca antica a quella contemporanea – ha dettato, in ottemperanza alla direttiva di questo Ministero del 10 ottobre 2012 (cosiddetta «direttiva Ornaghi») emanata ai fini della corretta ed efficace applicazione dell'articolo 52 del Codice appena citato (articolo peraltro di recente integrato dal cosiddetto «decreto cultura»), prescrizioni finalizzate a disciplinare, nel settore in questione, l'esercizio delle attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio.
  Contrariamente a quanto sostenuto dall'interrogante, non trattasi di «vincolo assoluto», atteso che la prescrizione di esclusione di «tutte le forme d'uso del suolo pubblico a fini commerciali con il posizionamento di strutture stabili e/o precarie di varia natura e/o tipologia» non riguarda l'intero comparto urbano in questione, ma alcune significative strade che in esso ricadono: oltre a via del Corso, via del Babuino e via Ripetta – «assi generatori» del tridente – via di San Giacomo, via della Croce, via dei Condotti, via Frattina, via delle Carrozze (aggiunta con successivo decreto delegato regionale 8 maggio 2014).
  Dette strade sono state individuate in considerazione degli effetti prospettici e dei canocchiali ottici che le rispettive quinte edilizie determinano in relazione a «fulcri» visivi o «fondali» di particolare pregio: basti pensare, tra i casi più celebri e celebrati, all'obelisco di Piazza del Popolo, traguardabile sul fondo tanto di via del Corso che di via di Ripetta e via del Babuino, e alla chiesa della Trinità dei Monti, al colmo della scalinata di piazza di Spagna, sulla quale converge il cono ottico della via dei Condotti.

  Per le altre strade oggetto dell'interdizione in questione sono stati considerati: nel caso di via di San Giacomo, il fondale costituito dall'ospedale di San Giacomo degli incurabili e dalla stessa chiesa di San Giacomo; per via della Croce, largo dei Lombardi ad un estremo, e piazza di Spagna all'altro; per via Frattina, piazza di Spagna e piazza Mignanelli da un lato e piazza di San Lorenzo in Lucina dall'altro.
  Per tutte le restanti strade e piazze incluse nel cosiddette «tridente» le occupazioni di suolo pubblico per le attività in questione non sono interdette ma, come per tutto il resto del centro storico, regolate mediante «Piani di massima occupabilità» e assoggettate alla preventiva autorizzazione degli organi competenti tra i quali ovviamente, stante la vigenza del vincolo in questione, la competente soprintendenza statale.
  Non si tratta dunque, lo si ribadisce, di un vincolo «assoluto» o di un divieto indiscriminato, ma di un provvedimento teso a disciplinare complessivamente le attività commerciali su suolo pubblico in un'area vasta ed estremamente pregiata del centro storico in modo da assicurare la compatibilità delle stesse con il decoro ed il pubblico godimento di spazi urbani e complessi monumentali di alta rilevanza e indiscusso valore storico-architettonico, interessati da flussi turistici rilevanti.
  Va precisato, ancora, che la locale soprintendenza non ha «revocato» le autorizzazioni in essere ma ha chiarito con propria nota all'amministrazione comunale, al momento dell'emanazione del provvedimento di tutela in questione, che tutti gli esercizi commerciali su suolo pubblico attivati mediante determine concessorie avrebbero dovuto, alla scadenza, essere valutati nel rispetto della nuova situazione vincolistica.
  Appare fin troppo ovvio sottolineare come attività su suolo pubblico oculatamente posizionate e decorosamente condotte non solo possano non essere in contrasto con gli spazi urbani monumentali nei quali si situano, ma anche contribuire a dar loro vita; e come l'assenza di regole ed il disordine nelle attività su strada possano, al contrario, indurre situazioni di degrado e confliggere anche gravemente con la godibilità ed il decoro degli stessi, a detrimento peraltro dello stessa attrattività dei luoghi sotto il profilo turistico, con danni dunque anche potenzialmente coinvolgenti la sfera economica.
  Il centro storico di Roma non è certo esente da tali problematiche, e tanto meno lo è l'area del «Tridente».
  Questo Ministero va operando da tempo tenendo in considerazione quanto si è appena espresso, ed esiste invero una consolidata procedura collaborativa con l'amministrazione di Roma Capitale a proposito della gestione del commercio su aree pubbliche che ha consentito di pervenire alla definizione di un numero notevole di «Piani di massima occupabilità» – P.m.o. (completi di apposite planimetrie individuative delle aree destinabili al posizionamento di arredi a servizio delle attività di somministrazione), ed anche alla definizione di un catalogo degli arredi esemplati sulle tipologie tradizionali e adatti agli spazi della città storica (ombrelloni, sedie e tavoli in legno o metallo, dehors, e altro).
  Appare il caso di ricordare, in merito agli esiti di detta collaborazione, come già nel 2006, con la delibera della giunta comunale n. 139, l'amministrazione di Roma Capitale abbia approvato i Piani di massima occupabilità, predisposti e redatti dalla commissione appositamente istituita (nella quale sedevano vari uffici del comune e le soprintendenze statali), per le circa cinquantaquatto piazze allora sottoposte a vincolo di tutela monumentale con il decreto ministeriale 3 giugno 1986 di questo Ministero (Piani poi oggetto di revisione da parte di una commissione, sempre comprensiva dei rappresentanti Mibact, istituita con decreto delega n. 681 del 7 ottobre 2009 – unità organizzativa città storica, i cui lavori si sono conclusi alla fine del 2011).
  E come per il I municipio (coincidente con la città perimetrata dalla cinta muraria, a cui oggi si sono aggiunti il rione Borgo ed una parte del rione Prati), siano state quindi individuate, con delibera di consiglio municipale n. 2 del 31 gennaio 2011, 147 aree assoggettabili a P.m.o., anche in questo caso con la costituzione di una commissione tecnica formata da rappresentanti della Soprintendenza belle arti e per il paesaggio per il comune di Roma, da rappresentanti della sovrintendenza capitolina e da rappresentanti degli Uffici competenti della struttura municipale (ad oggi, per le aree di cui sopra, risultano redatti 137 piani, di cui 106 approvati e 31 da approvare; e, a seguito dell'ulteriore incremento delle aree assoggettate a P.m.o., sono da redigere ulteriori 61 piani; per quanto riguarda invece l'ex XVII Municipio – comprendente i rioni Borgo e Prati – è stato predisposto ed approvato il P.m.o. per piazza Cola di Rienzo).
  Si ritiene dunque che la definizione condivisa con le amministrazioni comunali di regole certe, trasparenti e rigorose sia la strada maestra per assicurare una adeguata gestione degli spazi monumentali delle nostre città d'arte: fermo restando che, in tale quadro, la tutela dell'interesse costituzionalmente primario inerente la tutela del patrimonio culturale non può che assumere carattere preminente, pur nella attenta e oculata considerazione degli altri interessi da ponderare, ivi incluso quello avente ad oggetto l'esercizio di attività economiche private (non potendosi escludere, dunque, che in taluni casi venga prevista una «occupabilità zero»); e che, se è doveroso, nell'esercizio dell'attività di regolamentazione del commercio su aree pubbliche, considerare l'interesse di cui sono portatori i titolari di concessioni d'uso, l'esistenza di detti titoli, anche molto datati, non può costituire ex se causa impeditiva all'adozione di nuove determinazioni al riguardo da parte delle amministrazioni competenti.
  Tale linea operativa è del resto ampiamente supportata dagli orientamenti della giurisprudenza, anche costituzionale; basti richiamare la sentenza n. 247 del 2010 della Corte costituzionale, nella quale non solo è affermata la legittimità dell'imposizione di divieti che limitano la possibilità di esercizio di attività commerciali nelle aree pubbliche allo scopo della valorizzazione dei centri storici delle città d'arte a forte vocazione turistica; ma anche vengono posti in stretta relazione con tale finalità sia l'articolo 52 che l'articolo 10, comma 4, lettera g) del codice, già richiamati.
  Con riguardo al «Tridente», si informa infine della circostanza che questo Ministero ha aderito alla proposta avanzata dall'amministrazione capitolina, tramite nota a firma del Commissario straordinario del 29 marzo 2016 inoltrata sia al Ministro che al competente soprintendente, di attivazione di un tavolo di confronto tra le diverse istituzioni interessate, finalizzato ad un esame complessivo delle problematiche di tutela e valorizzazione del settore urbano in questione in relazione ai molteplici interessi connessi all'uso del bene pubblico.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la soprintendenza di Stato ha posto un vincolo assoluto sulla parte del centro storico di Roma denominata «Tridente», vietando qualunque forma di occupazione di suolo pubblico e revocando le autorizzazioni già rilasciate a tali fini;
   tale determinazione danneggia gravemente decine di operatori che da decenni posizionano parte delle proprie strutture ricettive all'esterno e che ora non solo subiranno pesanti contraccolpi in termini economici ma perderanno anche una parte della loro tradizione;
   sino ad oggi la presenza di parti di suolo pubblico occupate in forza di regolare concessione non ha mai dato luogo a pregiudizio dell'interesse di tutela del patrimonio culturale, pur invocato dalla Soprintendenza nella lettera con la quale rende nota la revoca delle autorizzazioni in essere –:
   se non ritenga di avviare un percorso di revisione della determinazioni adottate al fine di trovare un diverso bilanciamento tra le esigenze di tutela del patrimonio culturale e le legittime istanze degli operatori commerciali. (4-09559)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale l'interrogante, premesso che «la soprintendenza di Stato ha posto un vincolo assoluto sulla parte del centro storico di Roma denominata Tridente, vietando qualunque forma di occupazione di suolo pubblico e revocando le autorizzazioni già rilasciate a tali fini», e che – a giudizio dell'Interrogante – «tale determinazione danneggia gravemente decine di operatori che da decenni posizionano parte delle proprie strutture ricettive all'esterno», si chiede se il Ministero non ritenga di avviare un percorso di revisione delle determinazioni adottate al fine di trovare un diverso bilanciamento tra le esigenze di tutela del patrimonio culturale e le legittime istanze degli operatori commerciali.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  Il vincolo cui si riferisce l'interrogante, apposto sulla parte del centro storico di Roma caratterizzata dalla particolare struttura urbanistica definita dalle tre strade (via del Corso, via di Ripetta, via del Babuino) che si dipartono – con configurazione, per l'appunto, a «tridente» – dalla Piazza del Popolo, è stato apposto con decreto del 17 settembre 2013 emanato dalla allora competente direzione regionale del Mibact.
  Tale provvedimento, nel riconoscere ai sensi dell'articolo 10, comma 4 lettera g) del decreto legislativo n. 42 del 2004, «Codice dei beni culturali e del paesaggio», l'alto interesse storico-artistico di detto settore urbano – capolavoro come noto dell'urbanistica rinascimentale e barocca oltre che compagine densa di complessi monumentali e stratificazioni storiche dall'epoca antica a quella contemporanea – ha dettato, in ottemperanza alla direttiva di questo Ministero del 10 ottobre 2012 (cosiddetta «direttiva Ornaghi») emanata ai fini della corretta ed efficace applicazione dell'articolo 52 del Codice appena citato (articolo peraltro di recente integrato dal cosiddetto «decreto cultura»), prescrizioni finalizzate a disciplinare, nel settore in questione, l'esercizio delle attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio.
  Contrariamente a quanto sostenuto dall'interrogante, non trattasi di «vincolo assoluto», atteso che la prescrizione di esclusione di «tutte le forme d'uso del suolo pubblico a fini commerciali con il posizionamento di strutture stabili e/o precarie di varia natura e/o tipologia» non riguarda l'intero comparto urbano in questione, ma alcune significative strade che in esso ricadono: oltre a via del Corso, via del Babuino e via Ripetta – «assi generatori» del tridente – via di San Giacomo, via della Croce, via dei Condotti, via Frattina, via delle Carrozze (aggiunta con successivo decreto delega regionale 8 maggio 2014).
  Dette strade sono state individuate in considerazione degli effetti prospettici e dei canocchiali ottici che le rispettive quinte edilizie determinano in relazione a «fulcri» visivi o «fondali» di particolare pregio: basti pensare, tra i casi più celebri e celebrati, all'obelisco di Piazza del Popolo, traguardabile sul fondo tanto di via del Corso che di via di Ripetta e via del Babuino, e alla chiesa della Trinità dei Monti, al colmo della scalinata di piazza di Spagna, sulla quale converge il cono ottico della via dei Condotti.
  Per le altre strade oggetto dell'interdizione in questione sono stati considerati: nel caso di via di San Giacomo, il fondale costituito dall'ospedale di San Giacomo degli Incurabili e dalla stessa Chiesa di San Giacomo; per via della Croce, Largo dei Lombardi ad un estremo, e piazza di Spagna all'altro; per via Frattina, piazza di Spagna e piazza Mignanelli da un lato e piazza di San Lorenzo in Lucina dall'altro.
  Per tutte le restanti strade e piazze incluse nel cosiddetto «tridente» le occupazioni di suolo pubblico per le attività in questione non sono interdette ma, come per tutto il resto del centro storico, regolate mediante «Piani di massima occupabilità» e assoggettate alla preventiva autorizzazione degli organi competenti tra i quali ovviamente, stante la vigenza del vincolo in questione, la competente Soprintendenza statale.
  Non si tratta dunque, lo si ribadisce, di un vincolo «assoluto» o di un divieto indiscriminato, ma di un provvedimento teso a disciplinare complessivamente le attività commerciali su suolo pubblico in un'area vasta ed estremamente pregiata del centro storico in modo da assicurare la compatibilità delle stesse con il decoro ed il pubblico godimento di spazi urbani e complessi monumentali di alta rilevanza e indiscusso valore storico-architettonico, interessati da flussi turistici rilevanti.
  Va precisato, ancora, che la locale soprintendenza non ha «revocato» le autorizzazioni in essere ma ha chiarito con propria nota all'amministrazione comunale, al momento dell'emanazione del provvedimento di tutela in questione, che tutti gli esercizi commerciali su suolo pubblico attivati mediante determine concessorie avrebbero dovuto, alla scadenza, essere valutati nel rispetto della nuova situazione vincolistica.
  Appare fin troppo ovvio sottolineare come attività su suolo pubblico oculatamente posizionate e decorosamente condotte non solo possano non essere in contrasto con gli spazi urbani monumentali nei quali si situano, ma anche contribuire a dar loro vita; e come l'assenza di regole ed il disordine nelle attività su strada possano, al contrario, indurre situazioni di degrado e confliggere anche gravemente con la godibilità ed il decoro degli stessi, a detrimento peraltro dello stessa attrattività dei luoghi sotto il profilo turistico, con danni dunque anche potenzialmente coinvolgenti la sfera economica.
  Il centro storico di Roma non è certo esente da tali problematiche, e tanto meno lo è l'area del «Tridente».
  Questo Ministero va operando da tempo tenendo in considerazione quanto si è appena espresso, ed esiste invero una consolidata procedura collaborativa con 1'Amministrazione di Roma Capitale a proposito della gestione del commercio su aree pubbliche che ha consentito di pervenire alla definizione di un numero notevole di «Piani di massima occupabilità» – P.M.O. (completi di apposite planimetrie individuative delle aree destinabili al posizionamento di arredi a servizio delle attività di somministrazione), ed anche alla definizione di un catalogo degli arredi esemplati sulle tipologie tradizionali e adatti agli spazi della città storica (ombrelloni, sedie e tavoli in legno o metallo, dehors, e altro).
  Appare il caso di ricordare, in merito agli esiti di detta collaborazione, come già nel 2006, con la delibera della giunta comunale n. 139, l'amministrazione di Roma Capitale abbia approvato i piani di massima occupabilità, predisposti e redatti dalla commissione appositamente istituita (nella quale sedevano vari uffici del comune e le soprintendenze statali), per le circa cinquantaquatto piazze allora sottoposte a vincolo di tutela monumentale con il decreto ministeriale 3 giugno 1986 di questo Ministero (piani poi oggetto di revisione da parte di una Commissione, sempre comprensiva dei rappresentanti Mibact, istituita con decreto delega n. 681 del 7 ottobre 2009 – unità organizzativa città storica, i cui lavori si sono conclusi alla fine del 2011).
  E come per il I municipio (coincidente con la città perimetrata dalla cinta muraria, a cui oggi si sono aggiunti il rione Borgo ed una parte del rione Prati), siano state quindi individuate, con delibera di consiglio municipale n. 2 del 31 gennaio 2011, 147 aree assoggettabili a P.M.O., anche in questo caso con la costituzione di una Commissione tecnica formata da rappresentanti della soprintendenza belle arti e per il paesaggio per il comune di Roma, da rappresentanti della sovrintendenza capitolina e da rappresentanti degli uffici competenti della struttura municipale (ad oggi, per le aree di cui sopra, risultano redatti 137 piani, di cui 106 approvati e 31 da approvare; e, a seguito dell'ulteriore incremento delle aree assoggettate a PMO, sono da redigere ulteriori 61 piani; per quanto riguarda invece l'ex XVII Municipio – comprendente i rioni Borgo e Prati – è stato predisposto ed approvato il P.m.o. per piazza Cola di Rienzo).
  Si ritiene dunque che la definizione condivisa con le amministrazioni comunali di regole certe, trasparenti e rigorose sia la strada maestra per assicurare una adeguata gestione degli spazi monumentali delle nostre città d'arte: fermo restando che, in tale quadro, la tutela dell'interesse costituzionalmente primario inerente la tutela del patrimonio culturale non può che assumere carattere preminente, pur nella attenta e oculata considerazione degli altri interessi da ponderare, ivi incluso quello avente ad oggetto l'esercizio di attività economiche private (non potendosi escludere, dunque, che in taluni casi venga prevista una «occupabilità zero»); e che, se è doveroso, nell'esercizio dell'attività di regolamentazione del commercio su aree pubbliche, considerare l'interesse di cui sono portatori i titolari di concessioni d'uso, l'esistenza di detti titoli, anche molto datati, non può costituire ex se causa impeditiva all'adozione di nuove determinazioni al riguardo da parte delle amministrazioni competenti.
  Tale linea operativa è del resto ampiamente supportata dagli orientamenti della giurisprudenza, anche costituzionale; basti, richiamare la sentenza n. 247 del 2010 della Corte Costituzionale, nella quale non solo è affermata la legittimità dell'imposizione di divieti che limitano la possibilità di esercizio di attività commerciali nelle aree pubbliche allo scopo della valorizzazione dei centri storici delle città d'arte a forte vocazione turistica; ma anche vengono posti in stretta relazione con tale finalità sia l'articolo 52 che l'articolo 10, comma 4, lettera g) del codice, già richiamati.
  Con riguardo al «Tridente», si informa infine della circostanza che questo Ministero ha aderito alla proposta avanzata dall'amministrazione capitolina, tramite nota a firma del commissario straordinario del 29 marzo 2016 inoltrata sia al Ministro che al competente soprintendente, di attivazione di un tavolo di confronto tra le diverse istituzioni interessate, finalizzato ad un esame complessivo: delle problematiche di tutela e valorizzazione del settore urbano in questione in relazione ai molteplici interessi connessi all'uso del bene pubblico.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RICCIATTI, NICCHI e GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal maggio 2015 sono stati riscontrati 17 casi umani di «listeriosi» (di cui 5 nel 2016) nelle province di Pesaro Urbino, Ancona e Macerata, contro un numero di 8 rilevati nell'anno 2014;
   due anziani di 77 e 78 anni affetti da patologie croniche sono deceduti, nel mese di agosto nelle province di Ancona e Macerata, dopo aver contratto un'infezione da Listeria monocytogenes;
   il 2 febbraio 2016, sono state esperite da parte dei servizi dei dipartimenti di prevenzione dell'ASUR Marche indagini epidemiologiche e attività di campionamento di alimenti, che hanno consentito di identificare lo stesso ceppo di Listeria monocytogenes in un campione di alimento a base di carne suina (coppa di testa) prodotto da un piccolo stabilimento della provincia di Ancona, il salumificio Monsano srl;
   sulla questione una nota del Ministero della salute ha dato conto della precauzionale sospensione delle attività produttive dello stabilimento e della vendita di tutte le tipologie alimentari da questo prodotte, da parte delle competenti autorità della regione Marche, avvisando i consumatori di astenersi dal consumo dei prodotti della ditta Salumificio Monsano srl di Monsano;
   successivamente la regione Marche ha diffuso una nota con la quale sottolineava che i due decessi registrati nei mesi agosto 2015, in provincia di Macerata e Ancona, «non sono direttamente collegati al consumo dell'alimento contaminato che è stato identificato dalle autorità sanitarie nel gennaio 2016» (Il Corriere Adriatico, 5 febbraio 2016);
   l'incremento di casi di listeriosi osservato a partire dal 2015 è da imputare — secondo una nota diffusa dalla regione Marche il 28 febbraio 2016 — prevalentemente ad un unico ceppo di Listeria, identificato con metodiche molecolari come «pulsotipo cluster»;
   nella nota stampa della regione Marche, ultima citata, viene inoltre comunicato che «In data 24 febbraio 2016 il Laboratorio Nazionale di Referenza per Listeria monocytogenes (l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise) ha concluso la prima parte delle analisi sui campioni ambientali e prodotti alimentari prelevati il 3 febbraio 2016 presso lo stabilimento “Salumificio Monsano srl”, confermando la presenza del ceppo di Listeria monocytogenes, caratterizzato da un medesimo profilo genetico (tramite metodica PGFE e sequenziamento totale del genoma batterico) di quello responsabile di alcuni casi umani». Mentre le analisi sui campioni di alimenti e quelle ambientali relative ad altri stabilimenti sono tutt'ora in corso. La nota ha avvertito inoltre che «a causa dei lunghi tempi di incubazione della forma sistemica di malattia e della complessità nella completa identificazione dell'origine delle contaminazioni ambientali ed alimentari è possibile che, nonostante le misure già disposte, si verifichino altri casi» –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare ulteriori iniziative di carattere preventivo e/o informativo, al fine di contenere la diffusione del batterio Listeria monocytogenes nelle Marche;
   quali informazioni il Ministro interrogato intenda fornire, anche al fine di fare dettagliatamente chiarezza sullo stato della diffusione delle infezioni da listeria e della efficienza dei meccanismi di monitoraggio. (4-12681)

  Risposta. — Nel nostro Paese è attivo il Sistema nazionale di notifica delle malattie infettive del Ministero della salute, regolamentato dal decreto ministeriale, 15 dicembre 1990. I casi confermati di listeriosi devono essere segnalati dalle autorità sanitarie competenti, presenti sul territorio, con le modalità di notifica previste per le malattie della classe II, che comprende le malattie rilevanti passibili di interventi di controllo.
  Dal 2003 al 2015 (per il 2015 i dati sono provvisori) sono stati notificati 1.296 casi di listeriosi. Il numero di casi è aumentato progressivamente negli anni, passando da un minimo di 32 casi nel 2004 a 159 casi notificati nel 2010, anno in cui è stato osservato il maggior numero di casi. Dopo il 2010 si osserva un ulteriore picco nel 2013 e una diminuzione del numero di segnalazioni negli anni successivi, sebbene i casi del 2015 siano ancora provvisori. Il tasso d'incidenza aumenta progressivamente da 0,55 per milione di abitanti nel 2004 a 2,64 per milione nel 2010, con 2,48 nel 2013.
  I dati sopra descritti sono ulteriormente confermati dall'andamento delle segnalazioni di listeriosi (sepsi e meningiti) provenienti dal sistema di sorveglianza delle malattie batteriche invasive dell'Istituto superiore di sanità, che evidenzia un incremento generale delle segnalazioni dal 2003 fino al 2010.
  Dal 2003 al 2014, la regione Marche ha notificato al Ministero della salute 29 casi di listeriosi umana; nel corso del 2015 la regione Marche ha registrato un incremento di notifiche di casi di listeriosi umana rispetto agli anni precedenti.
  Dal 1o gennaio 2015 al 9 marzo 2016, nella regione Marche, si sono manifestati 34 casi di listeriosi umana; in particolare, in 20 di essi sono stati isolati ceppi di listeria appartenenti allo stesso pulsotipo (in base alla tipizzazione molecolare attraverso elettroforesi in campo pulsato (Pfge) dei ceppi di Listeria monocytogenes sierotipo 1/2a isolati dai pazienti) responsabile del cluster epidemico, correlato al consumo del prodotto denominato «Coppa di Testa» della ditta Salumificio Monsano s.r.l..
  Tra i casi appartenenti al «cluster», la maggior parte ha presentato manifestazioni cliniche di sepsi e meningite, e si è verificato un caso di sepsi neonatale. I 4 decessi hanno riguardato soggetti anziani e con patologie concomitanti gravi. L'ultimo caso è stato segnalato in data 27 febbraio 2016 e la curva epidemica mostra l'andamento caratteristico della listeriosi con picchi estivi ed invernali e delle epidemie da fonte continua.
  Le indagini di tipizzazione condotte dal Laboratorio nazionale di riferimento per listeria monocytogenes dell'Istituto zooprofilattico di Abruzzo e Molise, e confermate dal punto di contatto del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) per la listeriosi presso l'Istituto superiore di Sanità, hanno consentito di evidenziare il possibile legame anche con un altro caso (deceduto) di listeriosi verificatosi nella regione Umbria.
  La listeriosi è un'infezione acuta causata da listeria monocytogenes; nei casi in cui si sviluppa la malattia invasiva, l'incubazione media è di 3 settimane (ma può prolungarsi fino a 70 giorni).
  Il batterio è ubiquitario nell'ambiente e può essere causa di contaminazione a qualunque livello della catena di produzione e consumo degli alimenti. La strategia di lotta alla listeriosi si esplica attraverso la prevenzione ovvero applicando le generali norme di igiene e attenzione previste per tutte le altre tossinfezioni alimentari.
  A tal riguardo, alcuni opuscoli informativi sono disponibili nel sito del Ministero della salute e correlati alla pagina relativa all'avviso di sicurezza per i consumatori, pubblicato in data 5 febbraio 2016, a cura della Direzione generale per la sicurezza degli alimenti e la nutrizione di questo Ministero.
  Gli uffici competenti del Ministero della salute stanno effettuando la sorveglianza dei casi, in collaborazione con gli esperti dell'Istituto superiore di sanità del Centro di referenza nazionale per la listeriosi, l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo, nonché con gli assessorati alla sanità della regione Marche e della regione Umbria e le Aziende sanitarie locali competenti per territorio.
  Nonostante non sia stato evidenziato un incremento delle segnalazioni ai diversi sistemi di sorveglianza disponibili nel 2015, l'evidenza della circolazione di un pulsotipo di listeria monocytogenes mai isolato prima negli alimenti in Italia, e responsabile di un cluster nella regione Marche, suggerisce la necessità di un rafforzamento della sorveglianza della listeriosi nel territorio nazionale, con la finalità di identificare sia l'esistenza di possibili casi appartenenti allo stesso pulsotipo che, eventualmente, il legame alla potenziale fonte.
  Il Ministero della salute sta predisponendo una nota circolare al fine di rafforzare le misure di sorveglianza e prevenzione della listeriosi sul territorio nazionale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la meningite meningococcica è una malattia molto grave causata da un'infezione batterica ad opera del batterio Neisseria meningitidis, detto anche meningococco. Esistono 5 sierogruppi, A, B, C, Y e W135, che sono in grado di generare la malattia nell'uomo;
   il meningococco può essere trasmesso attraverso contatto stretto con una persona infetta, attraverso le secrezioni respiratorie e la saliva. La malattia meningococcica ha un tempo di incubazione di 1-10 giorni e si presenta come meningite in più del 50 per cento dei casi;
   il meningococco è presente ovunque nel mondo. La più alta incidenza di malattia si ha nella cosiddetta «cintura (o fascia) della meningite» dell'Africa sub sahariana: secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, i tassi più alti di Neisseria meningitidis nel mondo si registrano nella cosiddetta meningitis belt (fascia della meningite), area che comprende i Paesi dal Senegal all'Etiopia. In questa zona, dove vivono circa 300 milioni di persone, la malattia è iperendemica e la stagione secca favorisce la diffusione della malattia e vi sono epidemie stagionali durante la stagione secca (dicembre-giugno) che possono raggiungere anche i 1000 casi per 100.000 abitanti (stime WHO);
   nella meningitis belt il ceppo di meningococco A e responsabile di circa l'80-85 per cento di tutti i casi di malattia, con intervalli di 7-14 anni tra un'epidemia e un'altra. Nel 2009, 14 Paesi africani hanno riportato il più alto numero di casi dall'epidemia del 1996: 88.199 casi sospetti di cui 5352 letali. Nel 1996, infatti, in questa zona si è verificata la più grave epidemia di meningite mai registrata, con circa 250.000 casi e 25.000 morti in Niger, Nigeria, Burkina Faso, Ciad, Mali e altri. Paesi limitrofi. La carenza di vaccini e di sistemi sanitari e di cura hanno sicuramente inciso sulle proporzioni dell'epidemia. Nei Paesi ad alto reddito e a clima temperato il numero di casi di meningite è piuttosto sporadico (aumentano in inverno e primavera);
   i numeri relativi agli sbarchi nel 2016 specificano che sino all'inizio di aprile sono sbarcati 3.415 cittadini della Nigeria, 2.270 del Gambia, 1.661 del Senegal, 1.594 della Guinea, 1.541 della Costa d'Avorio, 1.505 della Somalia e 615 dell'Eritrea;
   i dati riportano come al contrario, negli USA, Europa, Australia e Sud America l'incidenza varia tra 0.3 e 3 casi ogni 100 abitanti per anno. Il sierogruppo A predomina nella fascia della meningite. Al di fuori della fascia della meningite, i bambini sono più a rischio;
   le cronache degli ultimi mesi riportano un aumento di casi di cittadini, in Toscana, nel lodigiano, a Roma ed a Napoli gli ultimi casi nelle nostre città, che hanno contratto meningite, soprattutto quella relativa al sierogruppo C –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e abbia predisposto, per quanto di competenza, le opportune iniziative per garantire la salute dei cittadini in vista della nuova prevedibile stagione di sbarchi provenienti dalle coste libiche. (4-12806)

  Risposta. — La gestione dei flussi migratori, sotto l'aspetto sanitario, in particolar modo con riferimento al periodo di prima accoglienza dei migranti e per tutta la durata della loro permanenza nei centri e nelle strutture dedicati, richiede un approccio coordinato da parte di tutte le amministrazioni ed i soggetti a vario titolo coinvolti, per la migliore tutela possibile della salute pubblica, dei cittadini e di quella dei migranti stessi.
  Va anche considerata la possibile complessità degli scenari epidemiologici internazionali, con l'emergenza e la ri-emergenza di malattie infettive che possono essere alla base della reintroduzione di infezioni in Paesi indenni.
  D'altra parte, non si può trascurare il possibile impatto sulla salute che la permanenza nei centri per migranti potrebbe avere su persone già di per sé vulnerabili.
  L'arrivo di un elevato numero di migranti nel territorio nazionale, in tempi relativamente brevi, richiede, quindi, da parte delle autorità sanitarie interessate, uno sforzo notevole per identificare e gestire tempestivamente gli eventi che riguardano lo stato di salute di questi soggetti, e che possono avere conseguenze sia a livello individuale che a livello della comunità ospitante.
  Allo stesso tempo, è necessario che alle persone che arrivano e soggiornano nel nostro paese sia assicurata un'assistenza sanitaria in linea con le loro necessità e nel rispetto dei principi costituzionali.
  L'accordo Stato-regioni del 20 dicembre 2012 sul documento recante «Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome», è stato sottoscritto proprio allo scopo di formalizzare le indicazioni fornite e riguardanti la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera, comprendendo, con tale termine, sia i migranti regolari e i soggetti temporaneamente presenti per motivi vari sul territorio nazionale sia i migranti irregolari, che rappresentano il gruppo più vulnerabile, a cui devono essere garantite cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti e, in un'ottica di tutela della collettività, anche prestazioni di medicina preventiva, quali le vaccinazioni, la tutela della gravidanza e della maternità, la salute dei bambini.
  Di recente, inoltre, è stato emanato il decreto del Ministero dell'interno 20 ottobre 2014 «Regolamento recante criteri per l'organizzazione dei centri di identificazione ed espulsione», che affronta in dettaglio anche i punti relativi all'accertamento delle condizioni di salute del migrante e di erogazione dell'assistenza medica necessaria.
  È opportuno rilevare come tanto il sistema ordinario, quanto i sistemi aggiuntivi di sorveglianza delle malattie infettive – come il sistema di sorveglianza sindromica, messo in atto con la circolare del Ministero della salute del 7 aprile 2011, a seguito dell'afflusso di migranti dai Paesi dell'Africa settentrionale – non hanno messo in evidenza situazioni di allarme per la popolazione residente e per quella migrante, anche se è innegabile, ed inevitabile, che in situazioni di promiscuità e di disagio, quali quelle affrontate dai migranti irregolari durante il viaggio, si possano manifestare infezioni ed infestazioni, a cominciare dalla scabbia, come del resto altre patologie di natura non infettiva.
  Non solo i sistemi di sorveglianza delle malattie infettive ma anche le attività di controllo sanitario, messe in atto direttamente a bordo delle navi della Marina militare, come i controlli effettuati ordinariamente al momento dello sbarco da parte degli uffici di sanità Marittima aerea e di frontiera (USMAF) del Ministero della salute, non hanno evidenziato situazioni che potessero costituire una emergenza sanitaria, ma hanno consentito di gestire immediatamente, ed in modo appropriato, casi sospetti di malattie infettive di interesse del regolamento sanitario internazionale, nonché altre situazioni sanitarie richiedenti immediata attenzione, sia che si trattasse di malattie infettive (morbillo, scarlattina, varicella, affezioni respiratorie, sindromi febbrili non accompagnate da altri sintomi, congiuntiviti oltre a casi di scabbia c pediculosi), legate alle disagiate condizioni di vita prima e durante gli imbarchi, sia che si trattasse di condizioni patologiche, quali ustioni, traumatismi, cardiopatie, diabete, esiti di poliomielite o altre affezioni neurologiche, o di condizioni fisiologiche (stato di gravidanza), con indirizzamento dei casi verso adeguati luoghi di cura.
  Relativamente alla malattia meningococcica, si precisa che si tratta di una malattia molto grave ma anche piuttosto rara, tanto che in Italia si verificano meno di 200 casi l'anno, concentrati prevalentemente nella fascia di età del bambino e del giovane adulto.
  Si sottolinea che non tutti i soggetti che entrano in contatto con il meningococco contraggono la malattia; infatti, nella popolazione sana, il meningococco è presente in circa il 5-10 per cento degli adulti (portatori, ovvero soggetti che ospitano il batterio nel naso-faringe in assenza di infezione e malattia).

  La circolazione di questo patogeno è minore all'interno di una popolazione ben vaccinata, in cui si raggiungono coperture vaccinali tali da ridurre la circolazione del batterio nella popolazione stessa (coperture elevate sono presenti in molte regioni italiane) e varia con l'età.
  In caso di positività per meningococco di una persona sana (stato di portatore), non è prevista alcuna misura restrittiva o terapeutica: ne consegue che uno «screening» dei soggetti provenienti da aree anche ad alta incidenza non viene considerato utile.
  Le misure di controllo sono costituite dalla vaccinazione, come previsto dai piani regionali di prevenzione vaccinale e, in presenza di un caso clinico, dalla ricerca dei contatti da sottoporre alla relativa chemioprofilassi e a cui proporre la vaccinazione.
  Pertanto, alla luce di quanto segnalato, non sussistono azioni ulteriori che questo Ministero possa o debba intraprendere nei confronti dei migranti, relativamente al rischio di meningite da meningococco.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RUSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tre anni i trasferimenti delle risorse statali ai comuni sono diminuiti di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro a causa di varie manovre finanziarie che hanno reso insostenibile la situazione per tali enti;
   appare all'interrogante anacronistico in questo quadro il persistere delle disposizioni della legge 24 aprile 1941, n. 392, recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari», che pongono a carico dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari, successivamente rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale; tale normativa, d'altro canto, è sorta in una fase antecedente alla nascita della Repubblica e all'approvazione della Carta costituzionale che assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali e degli uffici giudiziari – anticipata dai comuni – pari a 315 milioni di euro, negli ultimi tre anni i trasferimenti statali a titolo di rimborso sono stati compresi tra il 60 e l'80 per cento delle spese effettivamente sostenute; gli acconti e i saldi, inoltre, sono stati spesso erogati con gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   è emblematico che nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro;
   a seguito della riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale, le spese si sono concentrate maggiormente nei comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012,  n. 155; nei comuni interessati dall'accorpamento delle sedi soppresse, si profilano nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali, per traslochi, realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza delle nuove sedi, nuove utenze, nuovi servizi di vigilanza e gestione ordinata degli immobili; la richiesta da parte dei tribunali di risorse aggiuntive è compresa tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto a quella dell'anno precedente;
   le spese sostenute dai comuni sono finalizzate a garantire un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti intenda assumere per garantire il rimborso delle spese e la rapida e positiva soluzione di una situazione critica che pesa sui bilanci comunali;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se abbiano subito decurtazioni e a quanto ammontino tali diminuzioni rispetto all'anno precedente;
   quali iniziative, anche urgenti, il Governo abbia assunto o intenda assumere al fine di assicurare la copertura delle spese dei comuni per il servizio giustizia con riferimento sia a quelle già sostenute nel 2012 sia a quelle relative agli anni 2013 e 2014;
   se non sia opportuno promuovere una revisione della normativa vigente al fine di superare il sistema attuale di copertura dei costi degli uffici giudiziari, assumendo iniziative per abrogare la legge 24 aprile 1941, n. 392, e porre a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia.
(4-02612)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto- legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21-quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolte periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed i procuratori generali presso le corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica del 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.

  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo Dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SCOTTO, FASSINA e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2013, Renata Polverini, allora presidente della regione Lazio, firma la delibera per l'adozione del programma integrato di intervento e riqualificazione urbanistica della località «Divino Amore», in variante al piano regolatore del comune di Marino, proposto dalla società Eco Village srl, e già adottato dalla stessa amministrazione comunale pochi mesi prima;
   l'urbanizzazione dell'area «Divino Amore» viene decisa dal comune di Marino nel 2011: cinquanta ettari confinanti con il parco dell'Appia Antica per un giro di affari di oltre un miliardo di euro;
   il comune di Marino non è nuovo a iniziative di cementificazione selvaggia. Già per l'area di Santa Maria delle Mole, in assenza delle «misure di salvaguardia» al piano regolatore, a partire dagli anni 2000, vengono rilasciate concessioni edilizie innalzando al massimo gli indici di fabbricabilità fondiaria. Quando finalmente il comune decide di annullare le concessioni edilizie, diversi costruttori presentano ricorso al Tribunale amministrativo regionale e lo vincono;
   nell'aprile del 2011 il presidente della regione Lazio, Renata Polverini, e il sindaco di Marino, Adriano Palozzi, firmano un protocollo d'intesa in cui si prende atto della situazione di «congestione» edilizia di Santa Maria delle Mole e della necessità di una sua riqualificazione. Come diretta conseguenza del protocollo d'intesa, nel 2011, il Comune approva provvedimenti per l'urbanizzazione di aree limitrofe a Santa Maria delle Mole, tra i quali il citato «Programma integrato» relativo all'area del «Divino Amore»;
   la società promotrice del programma di sviluppo integrato e urbanizzazione del «Divino Amore» risulta essere la Eco Village Srl, che fa capo, tra gli altri, alla Parsitalia del costruttore romano Luca Parnasi. La società, al momento della firma della delibera regionale (febbraio 2013), non risultava essere proprietaria dei terreni da urbanizzare nell'area in oggetto, con conseguente situazione di assoluto rischio di insolvenza;
   la EcoVillage srl si è presentata alla firma della convenzione presso il comune di Marino, registrata all'Agenzia delle entrate il 31 luglio del 2013, con un'altra società: la Eco Village Tre. Per entrambe, l'amministratore risultava essere lo stesso. Si rileva che la EcoVillage Tre non è mai stata legittimata a sottoscrivere atti negoziali di natura edilizia o urbanistica in quanto estranea alle iniziative che hanno determinato l'adozione da parte della regione Lazio del «Programma per lo sviluppo integrato»;
   anche della Eco Village Tre, nel tempo, si sono perse le tracce. Oggi nell'operazione è coinvolta la società Idea Fimit, partecipata al 29 per cento dall'INPS-Istituto nazionale di previdenza sociale, che avrebbe acquistato l'intera area;
   da articoli di stampa risalenti a dicembre 2013 si apprende che il coinvolgimento dell'INPS nell'operazione «Eco Village» era stato caldeggiato, già nel 2013, dall'allora presidente dell'ente Antonio Mastrapasqua, attraverso la permuta di un palazzo di proprietà dell'INPS in via Pinciani a Roma, con una quota del progetto EcoVillage. Perplessità sull'affare furono manifestate da altri vertici dell'Istituto che parlarono di «elevati profili di rischio» dell'intera operazione;
   oggi, il coinvolgimento dell'INPS attraverso Idea Fimit nell'affare di urbanizzazione del «Divino Amore» risulta praticamente certo (vedi sito ufficiale della società). È IdeaFimit, infatti, che ha dato inizio ai lavori di bonifica dei terreni nel marzo 2016. La ditta appaltatrice è, a quanto risulta agli interroganti, la Parsitalia Generale Contractor srl;
   al momento pendono davanti al tribunale amministrativo del Lazio diversi ricorsi per la sospensione in via cautelare di ogni attività urbanistica ed edilizia nell'area «Divino Amore». Ai ricorsi dei comitati dei cittadini – Argine Divino Amore – e di alcune associazioni ambientaliste, si è aggiunto quello della Città metropolitana di Roma Capitale;
   tale operazione immobiliare interessa un'area di alto pregio e interesse paesaggistico confinante con il parco dell'Appia Antica e meriterebbe altresì l'attenzione e la vigilanza delle strutture del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   per quale motivo l'INPS partecipi a questa discutibile operazione immobiliare, non risultando tale partecipazione tra i compiti istituzionali dell'ente previdenziale, e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere il Ministro interrogato al riguardo. (4-13222)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame inerente alla operazione di sviluppo immobiliare denominata «Eco Village», avviata nel comune di Marino, in prossimità della località «Divino Amore», si rappresenta quanto segue.
  IDeA Fimit Sgr costituisce la maggiore società italiana di gestione del risparmio immobiliare. Alla data del 31 dicembre 2015, la società gestisce 37 fondi di cui 5 destinati a investitori
retail e 32 riservati a investitori qualificati.
  La partecipazione dell'Inps nell'azionariato di IDeA Fimit Sgr, pari al 29,7 per cento, è riconducibile alle partecipazioni originariamente detenute nella società medesima da Inpdap ed Enpals.
  A seguito dell'emanazione del decreto- legge n. 201 del 2011, che ha disposto la soppressione di Inpdap ed Enpals, anche le partecipazioni di tali enti nel capitale di IDeA Fimit Sgr sono confluite nell'Inps.
  La partecipazione dell'Inps in IDeA Fimit Sgr non consente comunque il coinvolgimento dell'istituto nelle operazioni promosse da quei fondi immobiliari nei quali l'Inps non detiene alcuna quota.
  Al riguardo, occorre precisare che l'Inps detiene quote di due fondi immobiliari gestiti da IDeA Fimit Sgr (fondo alpha e fondo beta) costituiti mediante apporto di immobili Inpdap; l'Istituto detiene altresì quote di altri due fondi immobiliari gestiti da IDeA FIMIT SGR, originariamente sottoscritte da Enpals (fondo gamma) ed Inpdap (fondo senior).
  Tanto premesso, si rappresenta che, in un primo momento, IDeA Fimit Sgr ha valutato la possibilità di una sua partecipazione alla operazione «Eco Village» per il tramite del Fondo Senior.
  In particolare, l'operazione «Eco Village» è stata prospettata all'Inps da IDeA Fimit Sgr nell'ambito di una proposta di modifica del regolamento del Fondo Senior.
  Tale operazione, tuttavia, oltre che a destare perplessità sotto il profilo economico-finanziario, non è stata ritenuta conforme alle finalità del fondo medesimo.

  Conseguentemente, con lettera inviata a IDeA Fimit Sgr il 17 febbraio 2014. L'INPS ha comunicato l'intenzione di non aderire all'operazione «Eco Village».
  IDeA Fimit Sgr ha ritenuto, pertanto, di promuovere la realizzazione dell'operazione attraverso un fondo immobiliare in cui l'Inps non deteneva alcuna quota.

  Può, pertanto, concludersi che l'operazione di sviluppo immobiliare «Eco Village» non prevede in alcun modo l'impiego, in via diretta o indiretta, di risorse finanziarie dell'INPS e che tale operazione non ha alcuna ricaduta sui bilanci dell'istituto. Ciò in quanto i risultati di tale operazione sono interamente riconducibili ai quotisti del fondo immobiliare interessato tra cui, come evidenziato, non rientra l'Inps.
  Da ultimo, con riferimento all'immobile di via Pinciani, non più di proprietà Inpdap a decorrere dal suo conferimento al Fondo Senior (15 aprile 2010), l'Inps ha precisato che nel business plan di tale fondo ne era già prevista la dismissione a prescindere dalla realizzazione dell'iniziativa «Eco Village».
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione. Per questo motivo, i progetti più interessanti affiancano oggi la geotermia alle altri fonti rinnovabili, per le quali verrebbe a costituire un importante sostegno nei momenti di scarsa produzione. La geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la «green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche «low carbon»;
   lo sviluppo corretto della geotermia porta con sé inoltre non solo benefici ambientali, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma offre anche importanti occasioni per la creazione di nuovi posti di lavoro;
   l'Italia, per le sue caratteristiche geologiche, ha risorse geotermiche importanti e poco sfruttate: secondo i dati forniti dall'unione geotermica italiana, le risorse geotermiche del territorio italiano potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 chilometri sono dell'ordine di 21 exajoule (21x1018 joule, corrispondenti a circa 500 mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). I campi geotermici ad alta entalpia, per il cui sfruttamento si dispone di una tecnologia matura, e il cui utilizzo per la produzione di energia geotermoelettrica è oggi possibile a costi competitivi con le altre fonti energetiche, si trovano nella fascia preappenninica – tra Toscana, Lazio e Campania – in Sicilia e Sardegna così come nelle isole vulcaniche del Tirreno;
   in data 15 aprile 2015 le Commissioni parlamentari VIII e X hanno approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00103 «Produzione di energia da impianti geotermici» (testo scaturito dalle risoluzioni nn. 7-00486 Braga, 7-00519 Abrignani, 7-00529 Pellegrino, 7-00530 Segoni, 7-00648 Vallascas) con la quale il Governo è stato impegnato ad emanare entro sei mesi dall'approvazione della risoluzione (termine scaduto il 15 ottobre 2015), delle «linee guida a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino (...) i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di microsismicità»;
   recentemente il dibattito in tema di buone pratiche per la geotermia si è sviluppato spontaneamente in seno alla cosiddetta società civile, coinvolgendo associazioni, amministratori locali, comitati, tecnici del settore, accademici e stakeholders;
   in occasione dell'evento organizzato il 15 luglio 2015 a Firenze presso il consiglio regionale della Toscana dal GIGA (gruppo informale geotermia e ambiente), e in occasione della sessione «La buona geotermia» dell'EcoFuturo-Festival delle ecologie e dell'autocostruzione svoltosi la prima settimana di settembre 2015 è stata presentata «la Carta di Abbadia San Salvatore – regole per la buona geotermia», un documento che si pone l'obiettivo di definire ed indicare delle «linee guida» per permettere l'affermazione di una filiera geotermica sostenibile e pienamente compatibile con le peculiarità socio-economiche ed ambientali del territorio;
   la Rete nazionale NOGESI (NO alla geotermia elettrica, speculativa e inquinante) in data 15 ottobre 2015 ha inoltrato a tutti gli organi di governo competenti e ai parlamentari delle due Commissioni di riferimento una lettera ed un allegato di 30 pagine – prot. geo.800a (def.) contenente prescrizioni e disposizioni significativi in merito alla redazione delle «linee guida e zonizzazione» in merito all'attività geotermica –:
   quali siano le cause del ritardo;
   se i Ministri interrogati siano in grado di definire delle tempistiche entro le quali portare a termine l'impegno assunto in sede di risoluzione;
   se nel processo di redazione delle linee guida siano previste delle forme di coinvolgimento dei vari portatori d'interesse e se siano state o verranno prese in considerazione le proposte elaborate dagli stessi. (4-10925)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle linee guida sulla produzione di energia da impianti geotermici previste dalla risoluzione 8-00103, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dal Ministero dello sviluppo economico (MISE), si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la geotermia è un'importante risorsa energetica rinnovabile del nostro Paese. Essa rappresenta una risorsa strategica di interesse nazionale e la promozione del suo sviluppo rientra negli obiettivi stabiliti anche per rispettare il cosiddetto vincolo «20-20-20» imposto dall'unione europea ai Paesi membri (Direttiva 2009/28/CE).
  Con riferimento alla questione relativa alla redazione delle linee guida finalizzate allo sfruttamento in sicurezza della risorsa geotermica, si evidenzia che è stato attivato uno specifico gruppo di lavoro, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico, a cui partecipa, il Ministero dell'ambiente. Il gruppo di lavoro ha coinvolto gli stakeholder istituzionali per il necessario supporto tecnico ed ha elaborato una bozza consolidata di linee guida.
  Le linee guida sviluppano, in relazione a tutte le fasi progettuali, i requisiti tecnici necessari di progetto per garantire la tutela dell'ambiente con particolare riferimento alla tutela del suolo e della risorsa idrica, alla qualità dell'aria, nonché al monitoraggio e al controllo del campo geotermico, della microsismicità, della subsidenza e delle pressioni di poro.
  Il ritardo nell'emanazione delle linee guida rispetto al termine dei 15 ottobre 2015, previsto nella citata risoluzione 8-00103 approvata dalle Commissioni parlamentari VIII e X, è dovuto alla scelta di coinvolgere tutti gli operatori ed esperti di settore nella definizione dei migliori indirizzi possibili per la valorizzazione della risorsa geotermica e del suo potenziale elettrico rinnovabile senza emissioni in atmosfera, uniformando i documenti progettuali da richiedere all'impresa proponente, stabilendo tutte le analisi, gli studi e le modellizzazioni necessarie a scongiurare ogni implicazione di inquinamento delle acque e dell'aria da parte degli impianti ed ogni innesco o induzione di microsismicità.
  Il gruppo di lavoro competente ad emettere le linee guida sulla geotermia ha affinato nel tempo la bozza di testo al fine di migliorarne l'applicabilità e per il giorno 25 maggio 2016 è fissata una riunione plenaria al Ministero dello sviluppo economico per l'esame della citata bozza consolidata. Solo in quella sede sarà possibile stabilire un termine per l'emanazione delle linee guida, anche in virtù di un parere da richiedere agli uffici competenti della Commissione europea con l'obiettivo di assicurare la compatibilità del documento con le normative comunitarie in materia.
  Si precisa inoltre che ogni proposta dei portatori di interesse è stata discussa ed armonizzata con le altre ed è stato possibile accogliere ogni richiesta coerente con le attuali tesi scientifiche pubblicate sulla geotermia e sul relativo sfruttamento elettrico nonché sulle esperienze mondiali di impianti geotermoelettrici.
  Ad ogni modo, fermi restando i necessari tempi tecnici, le citate linee guida saranno poste al più presto all'approvazione dei Ministeri competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SIBILIA, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, SPADONI e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sull’Espresso del 7 aprile 2016 è stato pubblicato un articolo intitolato «Eldorado Las Vegas» firmato da Fabrizio Gatti, in cui si legge che il console onorario a Las Vegas, l'avvocato Dominic Gentile, «oltre a rappresentare noi, la Repubblica e il nostro Governo nello Stato del Nevada, è il difensore di famosi assassini e criminali» e ha «incassato come parcella da due suoi clienti il più movimentato locale di spogliarelli della città: gli ex titolari Luis Hidalgo Jr. e suo figlio Luis Hidalgo III, condannati per aver fatto uccidere un dipendente, gli hanno pagato l'onorario in natura, con tutto il suo contenuto di alcol, ballerine e strip-tease»;
   nel citato articolo il giornalista racconta una serie di vicende che riguardano «alcuni nostri connazionali: nomi con qualche apparizione sulle pagine di cronaca che, nonostante risultino ufficialmente nullatenenti o quasi al fisco, hanno comprato società e ristoranti grazie a una girandola di conti correnti aperti negli Stati Uniti»;
   Gatti cita, tra gli altri, Giovanni Lomaestro «imprenditore campano che ha fatto una fortuna con le varie emergenze rifiuti, e Paolo Marcoccia, l'ex biscazziere sotto l'ombrello di Michele Senese, uno dei quattro boss di Mafia capitale», Pier Francesco Mazzini «intermediario d'affari di Roma e Patrizio Parrini, l'ex tennista professionista e ora procacciatore di giocatori per i casinò» e Sebastiano Sciuto «67 anni, un pensionato della pubblica amministrazione che nei casinò si presenta come il Dottor Sciuto, presunto ex funzionario di polizia»;
   nell'articolo si legge ancora: «secondo una segnalazione alla Guardia di Finanza e all'Fbi, il Dottor Sciuto è indicato come consigliere giuridico e per la sicurezza della rete di Parrini, in grado di conoscere in anticipo l'eventuale apertura di indagini o verifiche fiscali. E i contatti con gli ambienti ministeriali italiani non sembrano mancargli»;
   il giornalista conclude l'articolo chiedendosi «se il console italiano Dominic Gentile darà mai notizia di questa giostra di affari, prestanome e giocatori sul giornale «La voce» di cui è editore. Tra i collaboratori, scrive per lui anche l'amico Joe Lombardo, lo sceriffo di Las Vegas. Ma la sua «Metropolitan police», nonostante le segnalazioni raccolte dagli agenti, sembra piuttosto disinteressata» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere per fare piena luce sulla posizione del console onorario a Las Vegas, Dominic Gentile, al fine di preservare l'immagine dello Stato italiano all'estero. (4-12788)

  Risposta. — Si precisa innanzitutto che il signor Gentile non è più titolare dell'ufficio consolare onorario di Las Vegas. Il 25 marzo 2016 egli ha infatti cessato l'incarico per il raggiungimento dei limiti anagrafici previsti dalla legge.
  La candidatura del signor Gentile all'incarico onorario era stata a suo tempo motivata non solo sulla base del suo qualificato curriculum vitae – è considerato uno dei più competenti ed apprezzati avvocati a Las Vegas – ma anche in virtù della stima e della reputazione di cui egli gode presso le autorità locali e, soprattutto, la collettività italiana.
  La sua nomina è avvenuta secondo la più rigorosa osservanza delle regole procedurali stabilite dal nostro ordinamento, il conferimento dell'incarico è stato preceduto dalle prescritte verifiche di sicurezza ed affidabilità sul possesso dei requisiti necessari all'esercizio del servizio consolare onorario. Parimenti anche le autorità statunitensi hanno condotto i dovuti accertamenti sul conto dell'avvocato Gentile e solo a seguito delle favorevoli risultanze il Dipartimento di Stato di Washington ha comunicato alla nostra ambasciata il nulla osta all'esercizio delle funzioni onorarie (nulla osta che, nel sistema statunitense, si sostanzia nel rilascio della cosiddetta «Consular ID Card»).
  In merito alle specifiche accuse mosse da organi di stampa verso il signor Gentile, il consolato generale in Los Angeles – preposto alla sorveglianza delle attività del consolato onorario in Las Vegas – ha fatto stato che il servizio del signor Gentile è sempre stato pienamente corretto e che non è mai stato oggetto di segnalazioni tali da comportare da parte della sede consolare, per quanto di sua competenza, un interessamento della magistratura italiana. Non risulta inoltre che le autorità statunitensi abbiamo mai trasmesso al consolato generale di Los Angeles comunicazioni su eventuali attività illecite commesse dall'avvocato Gentile. Quest'ultimo, per contro, ha svolto, nel corso del suo mandato di console onorario, un assiduo e proficuo lavoro a favore dei connazionali, contraddistinto da «prontezza di azione ed efficacia».
  Nelle more dell'individuazione e della nomina di un sostituto alla titolarità dell'ufficio onorario, il consolato generale di Los Angeles ha nominato l'avvocato Gentile corrispondente consolare. Si tratta di una consolidata prassi per evitare brusche interruzioni nelle attività di assistenza ai connazionali nelle circoscrizione di riferimento. L'incarico di corrispondente consolare ha peraltro una portata nettamente più limitata rispetto alla titolarità dell'ufficio consolare onorario, trattandosi di un istituto non direttamente previsto dal diritto internazionale e privo quindi di qualsiasi rilevanza sul piano esterno. Il corrispondente consolare, infatti, non può rilasciare atti consolari di alcun tipo, non avendo poteri di firma. Svolge più che altro una funzione di collaborazione e «antenna» verso l'ufficio consolare da cui dipende, eseguendo i compiti di volta in volta affidatigli.
  Sulla base di quanto sopra, non si ritiene di dover assumere iniziative in merito alle funzioni svolte dall'avvocato Dominic Gentile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante davanti alla sede nazionale del Partito Democratico in via Sant'Andrea delle Fratte, a Roma, stazionerebbe una camionetta dei carabinieri;
   la criminalità dilaga a Roma, agendo quasi indisturbata soprattutto nei quartieri più periferici della Capitale, ma non solo, ridisegnando una realtà urbana che vive drammaticamente questa situazione di pericolo e disagio, come succede a Corviale, ma anche al Tuscolano, alla Magliana o nel Pigneto dove i residenti sono ormai esasperati e risale solo a pochi giorni fa l'ultimo fatto violento, l'aggressione, avvenuta in pieno giorno, di un ragazzo di 26 anni, accoltellato all'addome e a un braccio –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intenda chiarire per quali ragioni di ordine o sicurezza pubblica e con quali esatte modalità sia disposto in tal senso l'utilizzo di detto personale dell'Arma, e se, altresì, non consideri opportuno che si disponga di tali preziose risorse in zone più problematiche della città come quelle periferiche, dove la sicurezza pubblica, come è noto, è esposta a maggiori pericoli. (4-05442)

  Risposta. — L'episodio cui fa riferimento l'interrogante, verificatosi il 24 giugno 2014 nel quartiere Pigneto di Roma, relativo all'aggressione subita da un cittadino tedesco che ha riportato ferite da arma da taglio refertate dai sanitari con 7 giorni di prognosi, si è concluso in breve tempo grazie alle indagini condotte dall'Arma dei carabinieri che, nell'immediatezza dell'episodio, ha tratto in arresto l'aggressore.
  Ciò premesso, in generale, si rappresenta che la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nella Capitale è seguita con la massima attenzione dalle forze dell'ordine e ancor di più sono vigilate quelle zone, come il quartiere Pigneto, particolarmente interessate dalla cosiddetta «movida notturna».
  A partire dal mese di febbraio 2014, il commissariato di pubblica sicurezza «Porta Maggiore» assicura mirati servizi di identificazione e controllo dell'area interessata. Si è proceduto, inoltre, a ripetuti servizi straordinari di ordine pubblico e controllo del territorio, finalizzati alla prevenzione e al contrasto delle illegalità in genere e, in particolare, dei reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e all'immigrazione irregolare. A tali servizi hanno partecipato anche altri reparti inquadrati ed unità cinofile.
  Le descritte attività hanno consentito di effettuare numerosi arresti ed accompagnamenti presso l'Ufficio Immigrazione di tutti i soggetti non in regola con le norme sul soggiorno.
  Inoltre dalla fine del mese di giugno 2014 nel quartiere Pigneto, è stato istituito un presidio fisso di polizia all'interno dell'isola pedonale, con specifici compiti di prevenzione e repressione degli illeciti.
  In relazione al servizio di vigilanza presso la sede del Partito Democratico, si rappresenta che la misura è in atto da tempo, in ragione della particolare vulnerabilità della struttura, testimoniata dai tentativi di occupazione e di aggressione consumati verso la medesima e coloro che la frequentano. Attualmente, il servizio si sostanzia in un presidio fisso di vigilanza, attivo lungo l'intero arco delle 24 ore, assicurato dai contingente militare dell'operazione «Strade sicure». Di norma, tale dispositivo viene integrato, nelle ore diurne da ulteriori unità del reparto mobile della Polizia di Stato, al fine di fronteggiare possibili azioni dimostrative di carattere estemporaneo.
  Per quanto riguarda, più in generale, la questione della sicurezza nelle periferie romane, si informa che la Prefettura di Roma sta sviluppando, ormai dall'aprile del 2015, una serie di articolate iniziative volte ad incidere sui fenomeni di degrado e illegalità diffusa che affliggono in particolare le zone della cintura urbana esterna.
  La strategia messa in campo fa perno – oltreché sul funzionamento di tavoli tematici dedicati all'esame di specifiche problematiche che condizionano il livello complessivo dell'ordine e della sicurezza urbana di Roma – anche sull'attivazione presso i singoli municipi di appositi «tavoli di osservazione» delle realtà locali.
  A questi ultimi è affidato, in particolare, il compito di coordinare gli interventi su scala locale e di assolvere al ruolo di trait d'union tra le realtà municipali e le sedi decisionali di più alto livello, per lo sviluppo di iniziative di dimensioni «sovra-municipali».
  I problemi evocati dall'interrogante richiedono non solo interventi destinati a contrastare le manifestazioni di degrado e illegalità più evidenti, ma anche misure di carattere «strutturale», capaci di rafforzare la presenza delle Forze di polizia sul territorio. La questione si riallaccia a quella dello sviluppo urbanistico e demografico conosciuto da Roma negli ultimi decenni, che si è estesa ben oltre il grande raccordo anulare.
  Nel contesto prodotto da questo processo di espansione, non è, dunque, secondario il tema della riorganizzazione della distribuzione territoriale della rete del 147 presidi delle forze di polizia presenti nella Capitale (103 tra comandi e stazioni dell'Arma dei carabinieri, 37 commissariati di pubblica sicurezza, 7 reparti della Guardia di finanza), la gran parte dei quali gravita nelle zone centrali della città.
  Su questo versante si colloca un'importante iniziativa, sviluppata anche in partenariato con Roma Capitale, che ha consentito di individuare sette nuovi immobili (cinque di proprietà capitolina, una caserma in via di dismissione, un immobile confiscato alla criminalità organizzata) da adibire a sedi per gli uffici e comandi delle forze di polizia.
  Il progetto, che sarà perfezionato nei prossimi mesi con un risparmio pari a 2,2 milioni di euro sulle spese per i canoni di locazione passiva, permetterà tra l'altro, di ridislocare quattro presidi dell'Arma dei carabinieri in quei municipi che gestiscono alcune delle più importanti periferie romane. Verrà inoltre aperta una nuova stazione nel quartiere periferico del Trullo.
  Questa iniziativa rappresenta il primo step di una revisione di più ampio respiro per la quale la Prefettura di Roma ha già mosso i primi significativi passi, attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc sulla base del concorde parere espresso il 16 febbraio 2016 dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Il gruppo, composto da rappresentanti della questura e dei comandi provinciali dei carabinieri e della Guardia di finanza, avrà il compito di elaborare uno studio recante le proposte per un aggiornamento della distribuzione territoriale dei presidi di polizia nell'area di Roma, offrendo ai competenti organi di questa Amministrazione una ragionata base valutativa per le scelte che saranno ritenute praticabili.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TERZONI, GALLINELLA, CECCONI, AGOSTINELLI e CIPRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 5 febbraio 2016 si è appreso dalla stampa che, a partire da maggio 2015, i sistemi di sorveglianza delle malattie infettive hanno registrato, nella regione Marche, almeno 13 casi di infezione listeria, di cui almeno due mortali;
   l'agenzia regionale sanitaria, i dipartimenti di prevenzione dell'Asur e gli istituti zooprofilattici Sperimentali Umbria-Marche e Abruzzo-Molise stanno ricercando le cause delle infezioni;
   le indagini hanno permesso di evidenziare che l'aumento dei casi è stato causato da uno specifico ceppo di listeria isolato, sino a oggi, in 13 pazienti, che hanno un'età media di 72 anni, 12 dei quali erano affetti da patologie o condizioni debilitanti o erano in terapia con farmaci che riducono la risposta immunitaria. Tra questi pazienti già debilitati si sono registrati, nei mesi scorsi, due decessi;
   il Ministero della salute ha pubblicato questo avviso sul suo sito istituzionale: «In relazione a casi di Listeriosi umana avvenuti nelle Regioni Marche e Umbria, causati dallo stesso ceppo di Listeria Monocytogenes, riscontrata su un successivo campione di alimento sospetto, si avvisano i consumatori che il prodotto denominato Coppa di Testa, lotto n. 51209 con scadenza 09 gennaio 2016, della ditta Salumificio Monsano srl sito in via Toscana n. 27, Monsano (Ancona) (CE IT 1523 L) è risultato contaminato. Le Autorità competenti della Regione Marche, dopo un sopralluogo effettuato presso la ditta Salumificio Monsano srl, hanno sospeso l'attività produttiva dello stabilimento e la vendita di tutte le tipologie di alimenti, in quanto Listeria monocytogenes è un germe che contamina l'ambiente e, pertanto, anche gli altri prodotti dello stesso stabilimento potrebbero essere a rischio. A scopo precauzionale, si avvisano i consumatori di non consumare tutte le tipologie di prodotti della ditta Salumificio Monsano srl di Monsano (Ancona) (CE IT 1523 L), via Toscana n. 27 eventualmente in loro possesso»;
   di fronte a due decessi provocati dalla listeria, ci sono voluti sei mesi per fare un collegamento tra il ceppo che ha provocato la morte delle due persone avvenuta nel mese di agosto 2015 e quello individuato nella coppa di testa del salumificio Monsano. Per gli altri casi di contagio la corrispondenza deve ancora essere accertata;
   i casi di listeriosi nell'Unione europea sono stati 2161 nel 2014, registrando un +16 per cento rispetto all'anno precedente. Anche se la cifra è relativamente bassa, l'aumento dei casi riferiti di listeriosi è preoccupante, poiché la sorveglianza riguarda le forme gravi, con tassi di mortalità più elevati rispetto ad altre tossinfezioni alimentari (Fonte a Infezioni da Campylobacter e Listeria ancora in aumento nell'Unione europea, Efsa ed Ecdc) –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire in maniera dettagliata la situazione delle infezioni da listeria nelle regioni Marche e Umbria, in modo particolare in merito al numero dei contagi, all'andamento rispetto gli anni precedenti e all'efficacia dei sistemi di monitoraggio e di individuazione delle fonti di contaminazione;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza, avviare una verifica per individuare le cause del ritardo con il quale è stata individuata la fonte di contagio, anche alla luce del fatto che per gli altri casi di infezione la corrispondenza non è stata ancora certificata;
   come il Ministro interrogato intenda continuare a seguire l'evolversi della situazione riportata in premessa. (4-12017)

  Risposta. — Alla fine del mese di gennaio 2016 sono stati segnalati a questo Ministero dal laboratorio di riferimento per listeria monocytogenes, l'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) dell'Abruzzo e del Molise, 25 casi di listeria monocytogenes isolati da pazienti ricoverati nel 2015 in strutture ospedaliere della regione Marche (24 casi con 7 decessi) e della regione Umbria (un caso con decesso).
  Tredici casi (con 4 decessi) sono risultati appartenere allo stesso cluster di casi umani verificatosi nel periodo da maggio a dicembre 2015.
  Le indagini svolte inizialmente a livello territoriale hanno evidenziato che non è stata trovata corrispondenza tra il profilo molecolare del ceppo implicato nel cluster e i ceppi di listeria monocytogenes isolati in alimenti dal 2013 al 2015.
  Solo in data 3 febbraio 2016, il laboratorio di riferimento per listeria monocytogenes dell'Izs dell'Abruzzo e del Molise ha comunicato l'avvenuto riscontro dell'agente patogeno su campione di coppa di testa prodotta dal salumificio Monsano (di Monsano, Ancona) e corrispondente al ceppo isolato su uno dei pazienti, nonché al cluster di altri tredici pazienti nelle Marche.
  Non sembrano sussistere dubbi, quindi, che almeno il caso della paziente deceduta in Umbria sia correlato al consumo della coppa di testa, sebbene il lotto di coppa di testa riscontrato positivo sia successivo alla comparsa della malattia della paziente che presumibilmente ha consumato un lotto precedente, dello stesso stabilimento.
  In data 17 febbraio 2016 l'Izs dell'Abruzzo e del Molise ha trasmesso un primo rapporto sui risultati aggiornati delle analisi microbiologiche e molecolari svolte dal laboratorio. La ricerca ha permesso di isolare 38 ceppi di listeria monocytogenes di origine umana, 37 provenienti dalla regione Marche e 1 ceppo dalla regione Umbria. Il cluster epidemico, attualmente correlato a 17, isolati da soggetti umani, dei 38 ceppi inviati al laboratorio, è risultato correlato al 100 per cento con il ceppo isolato nel campione di coppa di testa risultato positivo e con altri ceppi identificati in Olanda, Canada e USA in salmone.
  Questo Ministero già il 4 febbraio 2016 ha diramato sul proprio portale web un avviso di sicurezza rivolto ai consumatori, informandoli che il prodotto denominato «Coppa di Testa» del salumificio Monsano è risultato contaminato.
  Le autorità competenti della regione Marche, dopo un sopralluogo effettuato presso il salumificio Monsano, hanno sospeso l'attività produttiva dello stabilimento e la vendita di tutte le tipologie di alimenti, in quanto listeria monocytogenes è un germe che contamina l'ambiente e, pertanto, anche gli altri prodotti dello stesso stabilimento sono a rischio. Per tale motivo, a scopo precauzionale, si sono avvisati i consumatori di non consumare tutte le tipologie di prodotti della ditta salumificio Monsano, eventualmente in loro possesso.
  Infatti, la listeriosi è una tossinfezione alimentare particolarmente pericolosa per le persone immunodepresse, malati di cancro, diabete, aids, persone anziane, neonati e donne in gravidanza.
  Relativamente alle successive indagini, si precisa che le autorità competenti locali hanno effettuato i controlli ufficiali presso la medesima ditta, con campionamenti sia ambientali che su altri lotti di coppa di testa presenti nello stabilimento.
  Al momento, l'Izs di Teramo ha comunicato che circa il 30 per cento dei campioni ambientali risulta positivo e sta procedendo alla tipizzazione dei ceppi. Lo stabilimento risulta pertanto fortemente contaminato. Per quanto concerne i campioni di coppa di testa, sono tutti risultati positivi.
  Contemporaneamente, sono state attivate le indagini a valle e a monte della filiera e di tracciabilità dei prodotti della ditta salumificio Monsano, ai fini delle possibili correlazioni degli stessi con i casi umani del cluster e con le materie prime.
  Tuttavia, trattandosi di un prodotto cotto, le materie prime non dovrebbero essere all'origine della contaminazione del prodotto. L'indagine sulle materie prime è finalizzata fondamentalmente all'individuazione dell'eventuale fonte primaria della contaminazione nello stabilimento da Listeria monocytogenes.
  Questo Ministero continuerà a seguire attentamente l'evolversi della situazione, interfacciandosi attraverso riunioni tecniche con gli esperti dell'istituto superiore di sanità, del Centro di referenza nazionale per la listeria monocytogenes dell'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo, nonché con gli assessorati alla sanità delle regioni Marche ed Umbria e le Aa.ss.ll. territorialmente competenti.
  In data 18 febbraio 2016 si è svolta una prima riunione, nella quale si è stabilito di procedere al campionamento e all'analisi delle altre tipologie di prodotto dello stabilimento e alla verifica della tracciabilità di tutti i prodotti, a partire dal 1o gennaio 2015, al fine di individuare correlazioni con gli altri casi umani del cluster.
  Da ultimo, in merito all'andamento dei casi di listeriosi rispetto agli anni precedenti e all'efficacia dei sistemi di monitoraggio, nella riunione sopra menzionata è stato rilevato che i casi di malattia sono al di sopra della media degli anni passati, in particolare in ragione del cluster collegato al ceppo riscontrato nella coppa di testa, ma anche in ragione dell'aumentata attenzione ai casi di malattia; il cluster, inoltre, si è ampliato dai 13 casi precedentemente indicati a 17, ed è ipotizzabile, tenuto conto della lunga incubazione della malattia, che nuovi casi correlati al cluster potrebbero essere ancora segnalati almeno fino a maggio 2016.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, della graduatoria stilata e approvata nel 2010 (dopo un lungo iter), composta da oltre 7.500 giovani aspiranti vigili del fuoco, fanno parte 814 idonei;
   a questa graduatoria si è attinto per meno di un terzo a causa della spending review e del blocco del turnover, mentre per un 50 per cento delle già poche assunzioni, si è attinto da altra graduatoria, quella della stabilizzazione, contravvenendo al principio che si assume per concorso;
   il Consiglio di Stato ha evidenziato che si sarebbe dovuto arrivare per regola all'esaurimento delle graduatorie prima dell'indizione di una nuova procedura concorsuale a meno del ravvisarsi di una «eccezione» ampiamente e approfonditamente motivata che tenesse conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico;
   il TAR del Lazio si è espresso sulla medesima linea, estendendo le determinazioni anche all'ambito militare facendo espresso riferimento alla cosiddetta legge D'Alia (decreto-legge n. 101 del 2013);
   il ricorso di alcuni marescialli della Marina militare ha trovato accoglimento (sentenza 6077 del 27 aprile 2015) invocando, appunto, il decreto-legge «D'Alia»;
   il decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, D'Alia, menziona l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alle graduatorie vigenti e lo amplia nel nuovo comma 3 dell'articolo 4 dove prevede che le amministrazioni possono essere autorizzate a bandire nuovi concorsi solo se siano stati immessi in servizio tutti i vincitori per assunzioni a tempo indeterminato «per qualsiasi qualifica» e che la stessa autorizzazione (per nuovo concorso) possa intervenire solo se nella medesima amministrazione non ci siano idonei in graduatorie di concorso approvate successivamente al 1° gennaio 2007, relativamente a professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza –:
   se non ritenga opportuno bandire nuovi concorsi, solo in caso di assunzione di tutti i vincitori di concorso (con riferimento a tutti i profili professionali e a tutte le graduatorie vigenti successivamente al 30 settembre 2003), nonché degli idonei delle proprie graduatorie, ma solo se successivamente al 1° gennaio 2007 e solo per profili ritenuti equivalenti con la procedura concorsuale da attivare;
   se non intenda assumere iniziative per procrastinare la chiusura della graduatoria di almeno altri due anni (prevista oggi al 31 dicembre 2016) per non danneggiare i circa 4.000 giovani ancora in graduatoria e non gravare l'amministrazione dei costi della nuova procedura concorsuale. (4-11675)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante è stata, nel corso degli anni, più volte affrontata da questa Amministrazione sempre nel rispetto della normativa vigente.
  Come è noto, la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, considerandolo uno strumento idoneo a soddisfare i principi di efficienza e buon andamento delle amministrazioni pubbliche.
  Tuttavia, al fine di valorizzare una risorsa preziosa come i vigili del fuoco volontari e in considerazione della generalizzata carenza degli organici del personale permanente, nell'agosto del 2007 è stata indetta, sulla base dell'autorizzazione contenuta nella legge finanziaria 2007, una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Quindi, per l'accesso nei ruoli dei vigili del fuoco si è fatto ricorso, negli ultimi anni, allo scorrimento, in parti uguali, sia della graduatoria relativa alla procedura di stabilizzazione del personale volontario, sia della graduatoria relativa al concorso pubblico, per titoli e esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco.
  Successivamente, le misure di razionalizzazione della pubblica amministrazione, adottate per far fronte alla sfavorevole contingenza economica, hanno comportato la scelta di mantenere la validità delle due graduatorie citate ben oltre la vigenza dei tre anni prevista dalla normativa vigente.
  Grazie a una serie di proroghe, le graduatorie sono a tutt'oggi aperte e tali rimarranno fino al 31 dicembre prossimo, consentendo fino a quella data ulteriori immissioni di vigili del fuoco. In tal senso, si segnala che questa Amministrazione ha avviato un percorso legislativo volto ad ottenere un ulteriore potenziamento, a livello nazionale, di 400 unità di personale operativo da attingere – appunto – alle due graduatorie vigenti.
  Considerata ora la scadenza dell'ultima proroga, fissata come detto al 31 dicembre 2016, questa Amministrazione è stata autorizzata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire una nuova procedura selettiva per l'assunzione di 250 vigili del fuoco. Tale misura consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare, per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  Con l'occasione, si intende sottolineare il forte impegno che il Governo sta profondendo per garantire il potenziamento dell'organico del Corpo nazionale.
  Solo nel corso di questa legislatura la dotazione organica del Corpo nazionale è stata incrementata di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014. Inoltre, dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni. Tali misure, unitamente alle iniziative complementari già intraprese al fine di ottimizzare le risorse esistenti e razionalizzare il funzionamento delle strutture, hanno contribuito e contribuiranno all'efficientamento del complessivo servizio di soccorso attivo su tutto il territorio nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.