XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 13 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):


   La Camera,
   premesso che:
    la gestione della problematica inerente i cosiddetti lavoratori «esodati» da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con affermazioni sconcertanti, a parere dei firmatari del presente atto merita disapprovazione e biasimo;
    in più occasioni il Ministro Fornero, all'indomani del varo della manovra economica cosiddetta «Salva Italia», ha ribadito che nessuno dei lavoratori in mobilità alla data del 31 dicembre 2011 sarebbe rimasto senza copertura reddituale perché le risorse indicate erano sufficienti per garantire tutti i lavoratori che a tale data si fossero trovati in mobilità;
    al convegno de Il sole 24 ore del 19 marzo 2012, il Ministro Fornero ha indirettamente accusato il Parlamento di avere ampliato la platea dei beneficiari, sostenendo che pertanto le risorse risultavano essere insufficienti;
    ad aprile 2012, all'indomani della manifestazione unitaria dei sindacati a Roma, il Ministro Fornero, parlando sempre della questione esodati, ha affermato che: «li creano le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico della collettività», offendendo di fatto tutte quelle imprese costrette dalla crisi a ridurre il personale;
    tali esternazioni, peraltro, presuppongono un intento del Ministro di non assumersi alcuna responsabilità per aver cambiato le regole «in corsa» e per voler limitare la salvaguardia dalle nuove regole pensionistiche solo ad alcuni soggetti;
    il continuo balletto di cifre, negli ultimi mesi, sul numero esatto dei lavoratori che avevano concordato un percorso verso la pensione sulla base di una normativa previgente e che, all'improvviso, si sono ritrovati senza più lavoro e senza possibilità di accedere alla pensione per via dell'allungamento dell'età pensionabile, ha creato una forte tensione sociale ed incrinato il rapporto di fiducia nei riguardi di chi decide della vita lavorativa e del futuro pensionistici o degli italiani;
    ancor più deplorevole è la reazione del Ministro dinanzi alla diffusione delle cifre (390.200) contenute nella Relazione inviata dall'Inps al suo Dicastero prima della firma del decreto che fissa a 65 mila la quota dei salvaguardati;
    il Ministro Fornero ha, infatti, convocato immediatamente i vertici dell'Inps (presidente e direttore generale), per poi emettere un comunicato nel quale disapprova la diffusione del documento e «ribadisce la correttezza di quanto contenuto nel decreto, già firmato dai Ministri del lavoro e dell'economia, che, sulla base delle risorse già stanziate, definisce il loro numero in 65 mila persone»;
    grave è il comportamento del Ministro per aver taciuto il contenuto di quel documento ed errato è – a parere dei sottoscrittori del presente atto – il percorso che ostinatamente ha inteso perseguire, ovvero quello di partire dalle risorse per definire i numeri, invece che stabilire prima il numero esatto dei lavoratori coinvolti e poi reperire le risorse necessarie;
    nel comunicato stampa congiunto lavoro-economia del 1o giugno 2012, si dichiara inoltre che «Il Governo è consapevole che il provvedimento non esaurisce la platea di persone interessate alla salvaguardia come, in particolare, i lavoratori per i quali sono stati conclusi accordi collettivi di uscita dal mondo del lavoro e che avrebbero avuto accesso al pensionamento in base ai previgenti requisiti, a seguito di periodi di fruizione di ammortizzatori sociali»;
    tenuto conto, altresì, che a parere dei firmatari del presente atto non meno ambigua è stata la condotta del Ministro Fornero in merito al disegno di legge di riforma del mercato del lavoro;
    il 9 maggio 2012 il Ministro ha dichiarato che la riforma potrebbe incrementare il sommerso, ma è un rischio che bisogna correre,

per tali motivi:

   visto l'articolo 94 della Costituzione;
   visto l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
   esprime la propria sfiducia al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, e la impegna a rassegnare le proprie dimissioni.
(1-01074) «Dozzo, Donadi, Maroni, Dal Lago, Fedriga, Volpi, Rivolta, Polledri, Munerato, Follegot, Comaroli, Crosio, Forcolin, Desiderati, Torazzi, Isidori, Vanalli, Bragantini, Maggioni, Bonino, Nicola Molteni, Gidoni, Negro, Paolini, Giancarlo Giorgetti, Buonanno, Fugatti, Stucchi, Chiappori, Pastore, Togni, Martini, Reguzzoni, Simonetti, Lanzarin, Alessandri, Dussin, D'Amico, Goisis, Laura Molteni, Di Vizia, Fabi, Callegari, Bitonci, Allasia, Cavallotto, Caparini, Rondini, Fogliato, Rainieri, Consiglio, Grimoldi, Fava, Pini, Montagnoli, Molgora, Lussana, Meroni, Stefani, Di Pietro, Evangelisti, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Palomba, Porcino, Monai, Messina, Rota, Cimadoro, Zazzera, Di Stanislao, Borghesi, Piffari, Paladini, Palagiano, Miserotti, Mussolini».

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    con decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992 sono state approvate le tabelle indicative delle percentuali di invalidità civile, tuttora vigenti;
   nel provvedimento in questione, alla luce delle conoscenze scientifiche dell'epoca e in mancanza di dati statistici probatori sulla futura evoluzione del fenomeno, risultano presenti, per le patologie oncologiche, solo 3 valutazioni tabellari, definite secondo un criterio prognostico-funzionale come appresso specificato, più altre voci residuati poste in altri-capitoli, ma prive della necessaria declinazione prognostico-funzionale e seguendo una obsoleta classificazione scientifica come nel caso dei linfomi linfoblastici non Hodgkin: codice: 9322; tipologia patologica: neoplasie a prognosi favorevole, con modesta compromissione funzionale; percentuale invalidità civile: 11; codice: 9323; tipologia patologica: neoplasie a prognosi favorevole, con grave compromissione funzionale; percentuale invalidità civile: 70; codice: 9325; tipologia patologica: neoplasie a prognosi infausta o probabilmente sfavorevole, nonostante asportazione chirurgica; percentuale invalidità civile: 100; codice: 9333; tipologia patologica: immunodeficienza conclamata secondaria, con evidenza di infezioni opportunistiche e tumori correlati; percentuale invalidità civile: 91-100; codice: 9319; tipologia patologica: linfomi linfoblastici non Hodgkin; percentuale invalidità civile: 60; codice: 6478; tipologia patologica: tumore di Willms; percentuale invalidità civile: 60; come autorevolmente segnalato dalla massima autorità medico-legale dell'INPS nel rapporto 2012 dell'osservatorio permanente sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato ufficialmente in occasione della 7a giornata nazionale del malato oncologico – «le suddette vigenti tabelle lasciano senza alcuna indicazione la grande maggioranza dei casi neoplastici a prognosi incerta o tendenti alla cronicizzazione, consegnandoli di fatto alla soggettività interpretativa e creando di fatto i presupposti di una sostanziale difformità valutativa che, nonostante il continuo intervento normalizzatore, della Commissione medica superiore dell'INPS, contraddistingue la situazione reale», con gli effetti del declassamento al livello minimale dell'11 per cento di molte situazioni con esiti invalidanti ben più gravi, laddove prevalgono ragioni di contenimento delle spese, ed al contrario, dell'attribuzione del 100 per cento di invalidità civile a situazioni di minore rilievo, laddove prevalgono ragioni di «malinteso buonismo» o forme deprecabili di collateralità nel compimento di abusi;
   dalle associazioni di volontariato oncologico, in ragione della diuturna vicinanza coi malati, dei quali percepiscono acutamente i disagi e le richieste di aiuto, si sono frequentemente levate lamentele e rimostranze per l'inadeguata articolazione delle suddette tabelle; reiterati appelli si sono sollevati dalle associazioni dei malati per una modifica delle vigenti tabelle di invalidità civile che seguitano a penalizzare quanti convivono con gli esiti invalidanti di patologie oncologiche;
   in accoglimento delle richieste in questione e a fronte delle nuove conoscenze scientifiche sui tumori e di ragguagli più consolidati sulle dimensioni crescenti del fenomeno, con l'articolo 20, comma 8, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, è stato deliberato di dare vita ad una Commissione, con la presenza di rappresentanti dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dell'economia e delle finanze e di medici dell'INPS, con il compito di rivedere la materia, anche al fine di adeguare gli strumenti di valutazione della disabilità alle evidenze scientifiche più attuali;
   nel rapporto 2012 dell'osservatorio promosso dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), che la Commissione succitata ha proposto «la suddivisione delle patologie neoplasiche in tre capitoli (neoplasie solide, neoplasie ematologiche, sindromi mieloproliferative e displastiche pre-leucemiche). Per ciascuna neoplasia, inoltre, sono state individuate – sulla base dello stadio di malattia, di altri parametri scientificamente validati e della menomazione comunemente derivante dagli esiti della terapia chirurgica e medica correlata – distinte classi di definizione (fino a 5) di crescente gravità invalidante. Infine, per ogni patologia neoplastica, è stata attribuita a ciascuna classe funzionale una fascia valutativa, compresa tra un valore minimo e un valore massimo, tale da risultare adeguata all'apprezzamento della inevitabile variabilità tra caso e caso». Il rapporto conclude osservando che le fasce valutative proposte dalla Commissione sono state articolate in maniera tale da non residuare «vuoti valutativi» (come accade, invece, con la tabella vigente, che salta dall'11 per cento di invalidità al 70 per cento, e poi al 100 per cento, senza alcuna possibilità di graduazione intermedia);
   le ragioni della richiesta sono rafforzate dalla dimostrazione, anch'essa contenuta nel rapporto 2012 dell'osservatorio, che le famiglie dei malati oncologici sostengono in proprio, ogni anno, oneri diretti e indiretti per l'assistenza ai propri congiunti affetti da tumore, per un ammontare di oltre 36 miliardi di euro, cifra che il professor De Rita, presidente del Censis (l'istituto di ricerca che ha condotto insieme a FAVO la documentata indagine, riportata nel rapporto 2012) ha equiparato a quella di due finanziarie del Governo – per cui appare quanto mai inopportuno differire ulteriormente un provvedimento che può, sia pure in parte, alleviare tale difformità assistenziale che penalizza i malati oncologici;
   ai sensi del citato articolo 20, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, lo schema di decreto che apporta le modifiche alle tabelle di invalidità civile deve essere trasmesso alle Camere per il parere delle commissioni competenti, e, stante la gravità della patologia, emerge l'inopportunità di mantenere in vita un sistema valutativo inadeguato e non rispondente alle indicazioni degli organismi internazionali, anche in considerazione dell'effetto concomitante della prospettata ampiezza degli oneri sociali, che gravano in via diretta e indiretta sulle famiglie dei malati oncologici,

impegna il Governo

a definire con la massima sollecitudine, per ragioni di equità sociale e di uniformità di trattamento, e a sottoporre tempestivamente alle Commissioni competenti, come previsto dalla legge, lo schema di decreto contenente le nuove tabelle di invalidità, al fine di adeguarle alle nuove conoscenze scientifiche in materia e alle conseguenti prescrizioni degli organi internazionali.
(1-01073) «Mario Pepe (Misto-R-A), Cambursano, Papa, Lehner, Di Virgilio, Angeli, Polidori, Pelino, Razzi, Palumbo, Marmo, Rosso».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    i costi delle polizze assicurative per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada ha raggiunto livelli elevatissimi, determinando, nelle aree più deboli del Paese, la sostanziale impossibilità, per molti cittadini, a stipulare una polizza a costi ragionevoli;
    in tale contesto si è sviluppato, in termini sempre più preoccupanti, soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, il fenomeno delle frodi assicurative nel settore, che viene addotto dalle compagnie assicurative come giustificazione, non sempre fondata, dell'incremento dei costi delle polizze;
    i comportamenti fraudolenti, che si esplicitano sia nella forma di vere e proprie truffe volte ad ottenere indebiti risarcimenti per danni alle cose o alle persone, ovvero per aggravare l'ammontare dei predetti danni, sia attraverso l'elusione dell'obbligo di assicurazione, oltre ad essere inaccettabili sotto lo stretto profilo di repressione della criminalità, risultano tanto più negativi in quanto determinano un elemento di costo a carico del sistema assicurativo, che viene normalmente scaricato dalle compagnie sui consumatori, attraverso il meccanismo dei prezzi delle polizze assicurative, oppure su tutti i contribuenti, che finanziano attraverso la fiscalità generale i meccanismi di risarcimento previsti per i sinistri causati da veicoli non assicurati;
    tale problematica, che non ha paralleli in alcun altro Stato dell'Unione europea, costituisce dunque un elemento di grave inefficienza del mercato assicurativo e di distorsione della concorrenza, nonché un fattore di forte aggravio dei costi per i consumatori ed una causa di sperequazione nella qualità dei servizi tra i cittadini ubicati nelle varie aree del Paese;
    è condivisa da parte di tutte le forze politiche l'esigenza di fornire risposte incisive alla questione;
    in tale contesto la Commissione finanze, all'esito di un'ampia attività istruttoria che ha consentito di approfondire tutti gli aspetti della questione e di ascoltare tutte le componenti di tale settore assicurativo, con i contributi delle compagnie assicurative, del Governo, dell'ISVAP e delle forze dell'ordine, ha definito, grazie agli sforzi comuni di tutti i gruppi politici, un articolato intervento normativo, approvando, in sede legislativa, il testo unificato delle proposte di legge C. 2699-ter, approvata dal Senato, C. 1964, C. 3544 e C. 3589, recante istituzione di un sistema di prevenzione delle frodi nel settore dell'assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore;
    il Governo ha ritenuto di avvalersi del lavoro parlamentare e di inserire le norme elaborate dalla Commissione nell'ambito del decreto-legge n. 1 del 2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, integrandole con ulteriori misure finalizzate al medesimo obiettivo di contrastare i fenomeni fraudolenti e di favorire una riduzione dei costi delle polizze;
    in particolare, l'articolo 29 ha disposto, nell'ambito del sistema di risarcimento diretto previsto per le assicurazioni responsabilità civile auto, che i valori dei costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le compensazioni tra compagnie siano calcolati annualmente secondo un criterio che incentivi l'efficienza produttiva delle compagnie ed in particolare il controllo dei costi dei rimborsi e l'individuazione delle frodi, affidando all'ISVAP il compito di definire tale criterio e di stabilire annualmente il limite alle compensazioni dovute;
    l'articolo 30 ha inoltre introdotto l'obbligo, per le imprese operanti nel ramo responsabilità civile auto, di trasmettere all'ISVAP una relazione annuale, predisposta secondo un modello dallo stesso ISVAP, contenente informazioni sul numero dei sinistri per i quali la compagnia ha ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio di frodi, il numero delle querele o denunce presentate all'autorità giudiziaria, l'esito dei conseguenti procedimenti penali, nonché le misure organizzative interne adottate per contrastare i fenomeni fraudolenti;
    in tale ambito le imprese di assicurazione sono inoltre tenute a indicare in bilancio e a pubblicare sui propri siti internet una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri conseguente all'attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta;
    l'articolo 31, al fine di affrontare il problema della contraffazione dei contrassegni relativi ai contratti di assicurazione responsabilità civile auto ha previsto la progressiva dematerializzazione, nel termine di due anni, dei contrassegni e la loro sostituzione con sistemi elettronici o telematici, demandando al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito l'ISVAP, la predisposizione di un regolamento, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 1, che fissi i requisiti dei predetti sistemi;
    sempre in merito a tale tematica si è inoltre posto a carico del Ministero dei trasporti il compito di formare un elenco dei veicoli a motore che non risultano coperti dall'assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, con esclusione dei veicoli per i quali, con regolari contratti, sono stati disposti periodi di sospensiva dell'assicurazione, prevedendo che il Ministero comunichi l'inserimento dei veicoli nel citato elenco ai proprietari, i quali avranno 15 giorni di tempo per regolarizzare la loro posizione;
    si è altresì consentito di rilevare la violazione dell'obbligo di assicurazione responsabilità civile auto anche attraverso i dispositivi, le apparecchiature e i mezzi tecnici per il controllo del traffico e per il rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di circolazione, attraverso i dispositivi e le apparecchiature per il controllo a distanza dell'accesso nelle zone a traffico limitato, nonché attraverso altri sistemi per la registrazione del transito dei veicoli sulle autostrade o sulle strade sottoposte a pedaggio, demandando anche in questo caso ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la definizione delle caratteristiche dei predetti sistemi di rilevamento a distanza, nonché le modalità di attuazione, prevedendo a tal fine anche protocolli d'intesa con i comuni;
    l'articolo 32 ha introdotto la possibilità, per le imprese assicurative, di richiedere l'ispezione volontaria del veicolo prima di stipulare il contratto di assicurazione obbligatoria responsabilità civile per i veicoli a motore, prevedendo in tal caso una riduzione delle tariffe, nonché la possibilità di installare, con il consenso dell'assicurato, meccanismi elettronici che registrano l'attività del veicolo e ne consentano il monitoraggio (cosiddette «scatole nere» o analoghi meccanismi), demandando ad un regolamento dell'ISVAP, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e l'autorità garante per la protezione dei dati personali, la definizione delle modalità di raccolta, gestione ed utilizzo dei dati raccolti dalle «scatole nere», nonché le modalità per assicurarne l'interoperabilità in caso di cambio dell'assicurazione, ed affidando ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione dello standard tecnologico comune per la raccolta, la gestione e l'utilizzo dei dati raccolti dalle «scatole nere», al quale le imprese di assicurazione dovranno adeguarsi entro due anni dalla sua emanazione;
    lo stesso articolo 32 ha inoltre introdotto alcune modifiche in materia di attestazione dello stato del rischio consegnata dall'impresa all'assicurato, sia per quanto riguarda la specificazione della tipologia dei danni eventualmente liquidati, sia per quanto riguarda l'obbligatoria trasmissione delle informazioni riportate sull'attestato di rischio alle banche dati finalizzate al controllo sull'assunzione dei contratti di assicurazione obbligatoria responsabilità civile auto;
    ulteriori modifiche hanno altresì riguardato la disciplina del risarcimento del danno, sia per quanto concerne l'ispezione del veicolo danneggiato e la sua eventuale riparazione, sia stabilendo che il danneggiato non possa rifiutare gli accertamenti necessari alla valutazione del danno, sia rendendo obbligatoria la consultazione della banca dati sinistri di cui all'articolo 135 del Codice delle assicurazioni da parte dell'impresa di assicurazione, a fini di prevenzione e contrasto dei fenomeni fraudolenti, prevedendo una procedura volta a consentire all'impresa di assicurazioni di non presentare offerta di risarcimento, e di compiere ulteriori approfondimenti, ove dalla consultazione della banca dati sinistri si riscontrino almeno due «parametri di significatività», nonché vincolando l'impresa di assicurazione che, all'esito degli approfondimenti compiuti, non ritenga di formulare una proposta di risarcimento, a presentare querela per il reato di frode assicurativa;
    in tale contesto si sono introdotte, accanto alla banca dati sinistri, due nuove banche dati: la banca dati «anagrafe testimoni» e la banca dati «anagrafe danneggiati», demandando ad un regolamento dell'ISVAP la definizione delle procedure di organizzazione e di funzionamento, delle modalità e condizioni di accesso alle banche dati, nonché degli obblighi di consultazione delle banche dati stesse da parte delle imprese di assicurazione in fase di liquidazione dei sinistri;
    si è altresì ristretta la risarcibilità del danno biologico per le lesioni di lieve entità, prevedendo che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente e che il danno alla persona per lesioni di lieve entità possa essere risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione;
    l'articolo 33 ha quindi inasprito la normativa sanzionatoria per gli esercenti una professione sanitaria che attestano falsamente uno stato di invalidità derivante da un incidente stradale da cui derivi il risarcimento del danno connesso a carico della società assicuratrice;
    l'articolo 34 ha introdotto l'obbligo, per gli intermediari assicurativi, prima della sottoscrizione del contratto, di informare il cliente, in modo corretto, trasparente ed esaustivo, sulla tariffe e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti a medesimi gruppi, demandando all'ISVAP il compito di predisporre uno standard di modalità operative per l'applicazione di tali disposizioni, nonché di predisporre, con cadenza semestrale, una relazione sull'efficacia delle medesime disposizioni;
    l'articolo 34-bis ha rivisto la disciplina del meccanismo del cosiddetto bonus-malus previsto nei contratti delle assicurazioni responsabilità civile auto, stabilendo che la variazione in diminuzione del premio si applichi automaticamente, fatte salve le migliori condizioni, nella misura preventivamente quantificata in rapporto alla classe di appartenenza attribuita alla polizza ed esplicitamente indicata nel contratto;
    l'articolo 34-ter ha introdotto l'obbligo, per le compagnie di assicurazione, di risarcire il danno derivante da furto o incendio di autoveicolo, indipendentemente dalla richiesta del rilascio del certificato di chiusa inchiesta, prevedendo che tale predetto certificato sia invece richiesto per il risarcimento del danno derivante da furto o incendio di autoveicolo per i procedimenti giudiziari nei quali si procede per il reato di cui all'articolo 642 del codice penale (fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona);
    si tratta di un insieme assai complesso di interventi di manutenzione normativi o di riforma, anche di dettaglio, che potranno sortire effetti positivi apprezzabili solo se attuati nel loro complesso;
    come emerge con chiarezza dal contenuto delle previsioni appena sintetizzate, risulta molto ampio il numero di provvedimenti attuativi o esecutivi di natura secondaria, la cui emanazione risulta indispensabile per consentire di avviare tale processo di riforma;
    risulta quindi necessario che il Parlamento sia informato tempestivamente in ordine allo stato di avanzamento nell'attuazione della predetta disciplina, anche al fine di verificarne l'effettivo impatto sui consumatori e sulle pratiche operative delle compagnie assicurative e per individuare gli eventuali ulteriori interventi correttivi ed integrativi da adottare in merito,

impegna il Governo

a dare quanto prima attuazione alle previsioni legislative richiamate in premessa, nonché a fornire al Parlamento, entro il 30 giugno 2012, compiute e dettagliate informazioni circa lo stato di attuazione delle nuove norme, segnatamente per quanto riguarda la tempistica relativa all'emanazione degli atti normativi secondari previsti in tale ambito, nonché circa gli effetti di tali misure, al fine di diminuire il costo dei premi per la copertura assicurativa per i rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, contenendo le frodi nel settore.
(7-00904) «D'Antoni».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    con atto di citazione depositato il 3 settembre 1998 la procura della Corte dei conti chiedeva la condanna di Unalat per danno erariale relativamente al prelievo supplementare imputato agli allevatori per le annate dal 1989/1990 al 1992/1993, in quanto, in base ai dati di allora, l'Italia avrebbe dovuto pagare all'Europa una cifra decisamente inferiore a quella effettivamente versata, in quanto la produzione italiana era inferiore a quella dichiarata all'Unione europea; la procura della Corte dei conti, inoltre, aveva addossato l'intero prelievo supplementare imputato all'Italia alla stessa Unalat, rea di non aver applicato correttamente il regime delle cosiddette «quote latte»; la somma quindi di 3.366 miliardi di lire, pur non essendo stata richiesta ai produttori, è stata versata all'Unione dallo Stato italiano;
    con sentenza della Corte di giustizia europea del 2001 (sentenza UE Francia C.277/98) era stato stabilito che almeno fino a tutto il 31 marzo 2003 (ossia fino a quando è rimasto in vigore il regolamento (CEE) n. 3950 del 1992) l'Unione europea avrebbe dovuto pretendere dagli Stati membri solo il prelievo supplementare non coperto da sospensive giurisdizionali; quindi non avrebbe potuto effettuare correzioni negative sulle somme coperte da sospensioni giurisdizionali;
    lo Stato italiano ha riconosciuto espressamente come dovuto dallo Stato il debito risultante dai prelievi supplementari imputati dai periodi dal 1995/1996 al 2001/2002 trattando con la Commissione europea la possibilità di farsi pagare da produttori, a rate e senza interessi, le relative somme, previa rinuncia dei giudizi pendenti, così come risulta chiaramente dalla decisione del Consiglio europeo del 16 luglio 2003 n. 2003/530/CE. In questo modo lo Stato italiano si è assunto la responsabilità del pagamento della somma del debito pari a euro 1.386.475.250,00;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con il decreto n. 6501 del 25 giugno 2009, visto l'articolo 8-bis, comma 5, della legge n. 33 del 2009, ha istituito una «Commissione di indagine amministrativa» con il compito di accertare la correttezza del metodo di calcolo adottato dall'Amministrazione, verificandone la eventuale incidenza sul livello di sforamento della quota di produzione italiana. Nella relazione finale della Commissione, depositata presso il competente Ministero il 26 gennaio 2010, viene messa in evidenza l'inattendibilità dei dati, posti da AGEA alla base della quantificazione sia del superamento delle produzioni nazionali con il quantitativo globale garantito assegnato allo Stato italiano, sia dei prelievi supplementari imputati ai singoli allevatori;
    a seguito di detta relazione, il comando carabinieri politiche agricole e alimentari, su incarico del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, «allo scopo di approfondire alcuni aspetti relativi l'attendibilità dei dati dichiarati in L1 ed utilizzati da AGEA per il conteggio, ...anche alla luce delle risultanze di cui alla relazione conclusiva del 26 gennaio 2010 della Commissione di indagine amministrativa istituita con Decreto ministeriale del 25 giugno 2009 n. 6501...», ha proceduto ad acquisire i dati ufficiali provenienti dagli archivi informatici degli enti pubblici dello Stato che esercitano indirizzo e controllo nello specifico settore (ossia il Ministero della salute - direzione generale della sanità animale, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura e l'Associazione italiana allevatori);
    nella relazione finale del 15 aprile 2010, il comando carabinieri politiche agricole e alimentari, alla luce dei riscontri effettuati, ha ritenuto doveroso segnalare che «non vi è piena coerenza tra le banche dati ufficiali acquisite né possibilità di completo raffronto dei dati di ciascuna di esse» e che «raffrontando il numero capi nelle diverse banche dati con la media produttiva provinciale AIA pur aumentata del 10 per cento in via prudenziale, risulta una differenza produttiva media, rispetto alla produzione totale italiana dichiarata in L1, talmente significativa da mettere in discussione lo stesso splafonamento dello Stato italiano e quindi il prelievo supplementare imputato ai produttori a partire dal 1995/1996 fino al 2008/2009»;
    al riguardo, il citato comando carabinieri politiche agricole e alimentari ha depositato circostanziate informative di reato presso le procure della Repubblica competenti (oltre sessanta) e, di queste, oltre la metà, hanno delegato lo svolgimento delle conseguenti attività di polizia giudiziaria allo stesso comando carabinieri; tra queste procure vi è anche la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma. Le indagini dei carabinieri hanno confermato le conclusioni della relazione del 15 aprile 2010 in quanto, analizzando la consistenza del patrimonio bovino italiano, è stato accertato che questo non è sicuramente in grado di giustificare i livelli produttivi di latte così come vengono indicati dall'AGEA. I carabinieri avrebbero altresì rilevato una serie di atteggiamenti finalizzati ad alterare i dati contenuti nelle banche dati degli enti preposti, questo al fine di giustificare la produzione italiana così come indicata all'Unione europea. Il giudice per le indagini preliminari ha fissato l'udienza preliminare per il giorno 10 ottobre 2012;
    in Commissione agricoltura a fine gennaio 2012 sono già state presentate diverse risoluzioni riguardanti le quote latte e anche in quel contesto l'Italia dei valori, aveva chiesto, prima di procedere alla riscossione, di acquisire in maniera esaustiva dall'AGEA i dati produttivi e dell'anagrafe zootecnica alla base delle compensazioni e dei super prelievi computati a tutti i produttori dall'annata 1995 all'annata 2009 (così come già richiesto dall'Ageacontrol spa con il progetto start up del 4 novembre 2011);
    alla luce di quanto descritto, il gruppo Italia dei Valori, da tempo sta cercando di fare chiarezza sui dati produttivi e sulla reale consistenza delle multe quote latte presentando diversi documenti di sindacato ispettivo,

impegna il Governo

a prendere atto delle risultanze della commissione di indagine amministrativa ex decreto ministeriale n. 6501 del 2009 e della successiva relazione di approfondimento del 15 aprile 2010, nonché dell'indagine amministrativa già svolta dai carabinieri e, conseguentemente, alla luce di quanto descritto, ad adottare tutte le opportune iniziative, anche nominando una commissione esterna autorevole ed indipendente dalle amministrazioni interessate, composta, altresì, da membri delle forze dell'ordine, atte a chiarire definitivamente tale situazione.
(7-00905) «Di Giuseppe, Rota, Messina».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è prevista la realizzazione di una centrale a carbone da 1.320 megawatt tra Saline joniche e Montebello jonico da parte della società italo-svizzera Sei, costituita da due linee gemelle da 660 megawatt ciascuna e relative opere connesse (opere portuali, sistema di trasporto per il carbone, sottoprodotti di processo ed altri materiali solidi, presa acqua mare, scarico acque di raffreddamento, elettrodotto) presso l'area industrializzata ex-Liquichimica di Saline Joniche nel comune di Montebello Jonico (RC), per un costo di oltre un miliardo di euro cui si aggiungerebbero 500 milioni di euro di investimento per le infrastrutture, più 1,7 milioni di euro all'anno per i costi di esercizio, il tutto per un impiego di personale all'interno della centrale stimato essere pari a circa 140 unità lavorative;
    il 21 ottobre 2010, la commissione via (valutazione di impatto ambientale) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato parere positivo al progetto SEI per questa nuova centrale a carbone a Saline Joniche (Reggio Calabria) che verrebbe a collocarsi in un territorio tra i più belli e pregiati della costa reggina calabrese, in linea di continuità con i tentativi falliti di industrializzazione del passato, compromettendo la vocazione turistica di quest'area grecanica dove vivono piccole comunità rurali di minoranza linguistica dei greci di Calabria, l'intera filiera del bergamotto e le altre attività produttive dell'area, con conseguente perdita di posti di lavoro esistenti e delle fonti di reddito alternative. In particolare, il prelievo abnorme di acqua marina comporterà uno sconvolgimento dell'ecosistema marino con gravi ripercussioni sulla marineria locale e sulle attività collegate, sull'agricoltura e sullo sfruttamento a fini turistici delle attività già insediate o da insediare (si rinvia alle valutazioni effettuate nel prosieguo del parere);
   il suddetto parere è stato espresso nonostante:
    a) il Ministero per i beni e le attività culturali con nota dell'8 giugno 2010 (prot. DVA-2010-0015065 dell'11 giugno 2010, CTVA-2010-0001942 del 17 giugno 2010) avesse espresso parere contrario alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale presentata dal proponente e relativa al progetto della centrale e dell'elettrodotto che in questo modo ha recepito e concordato con i pareri contrari espressi dalla Soprintendenza per beni archeologici della Calabria (nota prot.7797 del 17 maggio 2010), dalla Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia (nota prot. 649 del 16 aprile 2010) e dalla direzione generale per le antichità (nota prot. 4685 del 21 maggio 2010);
    b) la regione Calabria, pur non avendo formalmente espresso il proprio parere nella presente procedura, abbia espresso il proprio orientamento negativo in una serie di occasioni;
   l'argomentazione che si legge nel parere positivo di VIA per cui «sebbene non si ritenga probabile che la realizzazione della Centrale in progetto possa diventare un motore di sviluppo turistico, le possibilità di riconversione dell'area a tale vocazione sono oggi fortemente compromesse dallo stato di degrado del sito e non sono al momento noti progetti alternativi di recupero ambientale finalizzati allo sviluppo del turismo» è, a giudizio degli interroganti, inaccettabilmente appiattita sulle posizioni del proponente e su forme di industrializzazione che proprio in quest'area hanno lasciato profonde ferite che occorrerebbe curare invece di aggravare;
   è ingiustificabile, ad avviso degli interroganti, il passaggio in cui la posizione espressa da Mibac, per il quale la parte dell'area della centrale ricade in area sottoposta a vincolo archeologico diretto, poiché interessata da emergenze di età romana, e anche l'area limitrofa a quella vincolata (lato ovest) potrebbe essere interessata dalla presenza di livelli antropici antichi, viene letteralmente cestinata con l'argomentazione addotta dal proponente che afferma invece che il vincolo non sussiste in quanto non è stato validamente apposto (è stato disposto con atto della Soprintendenza invece che del Ministero, come richiesto dalla legge n. 1089 del 1939 e dalla attuale normativa) e che in ogni caso da apposito studio di rischio archeologico dallo stesso prodotto, che ha previsto anche l'esecuzione di indagini tramite Georadar, è stata esclusa la presenza di emergenze archeologiche all'interno dell'area di ubicazione della centrale;
   senza contare poi che in relazione alla maggiore emissione di CO2 connessa alla combustione del carbone, nonostante si dica che le due linee da 660 megawatt e sono state progettate con modalità «CO2capture ready», per ammissione dello stesso proponente si afferma che: «l'implementazione dei sistemi di cattura della CO2 dipenderà dal quadro più generale di sostegno nella fase dimostrativa di una tecnologia sperimentata dal punto di vista tecnologico, ma non ancora commercialmente matura» e che per questo motivo allo stato attuale non è stato approntato uno stadio di dettaglio sull'implementazione del sistema di cattura e stoccaggio della CO2 relativamente all'impianto; nonostante poi si affermi che «allo stato attuale della progettazione inoltre non sono disponibili dati specifici relativi ai quantitativi di ammoniaca, ossigeno, acetilene, benzine ed eventuali altri gas o liquidi infiammabili ordinariamente presenti all'interno del sito di progetto» con quello che agli interroganti appare un volo pindarico si arriva ad affermare che «Secondo le valutazioni preliminari, si tratterà comunque degli stessi quantitativi normalmente presenti in impianti assimilabili a quello oggetto dello studio, e dunque tali da non rientrare nel campo di applicazione della direttiva Seveso, ma soggetti alla normativa in materia di Sicurezza e Prevenzione Incendi»;
   il tutto in un'area il cui rischio sismico viene considerato, seppur prudenzialmente, comunque medio-alto;
   in data 12 novembre 2011, è stato trasmesso uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri alla Presidenza del Consiglio dei ministri e con nota acquisita in data 7 marzo 2012 (prot. DVA-2012-0005809) la Presidenza del Consiglio dei ministri ha invitato a dare seguito al procedimento secondo le ordinarie procedure –:
   se non ritenga urgente il Governo rivedere una politica di sviluppo tutta ancora incentrata su modelli vecchi di industrializzazione e quindi ritirare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in premessa;
   se si intenda confermare il parere contrario espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali in relazione alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale e come il Governo intenda adeguarsi. (5-07074)


   BOBBA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comma 7 dell'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità» recita: «Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14»;
   la regione Piemonte con nota prot. n. 12274 del 20 settembre 2006, prevede che le province provvedano al rilascio dell'autorizzazione unica ex articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili agli impianti stessi;
   le biomasse, per il loro utilizzo dovrebbero essere strategiche per compensare parte della discontinuità intrinseca dell'energia solare ed eolica, piuttosto che per produrre energia di base;
   se l'utilizzo di biomasse ai fini di produzione energetica è neutro dal punto di vista della produzione di CO2 e, quindi, si ascrive a pieno nei dettati del protocollo di Kyoto, può produrre tuttavia un inquinamento più subdolo che si concretizza anche nell'emissione di polveri sottili;
   dal dettato legislativo si evince chiaramente che le biomasse devono essere prodotte in un raggio di azione che sia compatibile con il beneficio che se ne ottiene dal loro utilizzo, beneficio che deve essere assunto anche considerando l'impatto ambientale, industriale, occupazionale;
   è in corso un proliferare di richieste di autorizzazione di impianti a biomasse di piccola, ma anche di media e grande taglia in tutto il territorio piemontese. Molte richieste riguardano impianti a distanza di pochi chilometri o anche di poche centinaia di metri l'uno dall'altro, compromettendo qualunque possibile rifornimento da filiera locale di biomassa, sia agricola che forestale, primaria o secondaria, e creando notevole preoccupazione per il rischio di emissioni inquinanti;
   la mancata programmazione nei singoli territori provinciali del numero degli impianti, della loro ottimale dislocazione e di una soglia totale dell'energia prodotta, sta generando un pericoloso asservimento dei terreni agricoli per finalità squisitamente industriali, subordinando altresì la scelta e la rotazione delle culture a finalità estranee alla produzione agricola in quanto tale;
   più volte negli ultimi anni da parte delle associazioni ambientali, proprio in riferimento alla regione Piemonte, è stato fatto presente che la combustione del legno crea sostanze nocive (ossidi di azoto, polveri sottili, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici, nichel, diossina, acido cloridrico, eccetera) in quantità maggiore di altri combustibili ed è un fattore di cui tener conto, ma il danno ambientale connesso all'utilizzo del legname per produrre energia è primariamente in rapporto all'alterazione e distruzione degli ecosistemi forestali. I turni dei trattamenti forestali, ossia i periodi trascorsi i quali si può tagliare, non consentono agli alberi di esplicare che marginalmente le loro funzioni ecologiche;
   i certificati verdi, che ancora oggi non hanno una tracciabilità, vengono rilasciati per alimentare e sostenere la produzione di energie rinnovabili e rendono molto appetibile l'attuazione di queste centrali, senza che venga sempre adeguatamente valutato l'impatto ambientale, che ne consegue;
   spesso le numerose richieste di realizzazione di impianti vengono poste in essere dai medesimi soggetti, a scapito dei piccoli proprietari terrieri e delle popolazioni locali;
   è evidente il negativo impatto legato alla sostituzione di culture ad uso alimentare con culture ad uso energetico, con conseguente incremento dei prezzi dei terreni agricoli sia per l'acquisto che per l'affitto;
   la distorsione del mercato causata dai certificati verdi genera costi a carico di tutti i cittadini che da un lato pagano gli investimenti per le centrali con le loro bollette elettriche e dall'altro subiscono gli aumenti del valore dei terreni agricoli e dei prodotti che vi si coltivano;
   nel vercellese sussiste una proliferazione di impianti che nulla hanno a che fare con la valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali né tantomeno con la tutela della biodiversità;
   il progetto di realizzazione della centrale a biogas di Cigliano, in provincia di Vercelli, dopo tre sedute della conferenza dei servizi, è oggetto di valutazione del servizio per la concertazione amministrativa e il monitoraggio in materia di territorio, dipartimento per il coordinamento amministrativo, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   nell'ultima seduta della conferenza dei servizi, del 3 aprile 2012, come da verbale, la ASL di Vercelli, dipartimento igiene pubblica, ha esposto posizione non favorevole in quanto dagli atti presentati non vi è certezza della sicurezza della salute pubblica, soprattutto per ciò che concerne la diffusione di ossidi di azoto;
   lo stesso comune di Cigliano, facendo propria la volontà dei cittadini, in tutte e tre le sedi della conferenza dei servizi ha ugualmente espresso parere contrario, come da motivazioni geofisiche e di salute pubblica, riportate nei verbali;
   nel mese di aprile di quest'anno, gli esponenti del comitato «Tutela del territorio di Cigliano» contrari alla realizzazione della centrale hanno consegnato al presidente della provincia di Vercelli, Carlo Riva Vercellotti, un documento di dissenso al progetto firmata da 1300 cittadini;
   Fiper, Anci, Cia, Coldiretti, Aiel, Itabia, Legambiente e Uncem hanno sottoscritto un breve documento programmatico che intende favorire lo sviluppo delle bioenergie agricole proprio nell'ambito del piano di azione nazionale;
   tale documento chiede al Governo italiano di definire, insieme agli obiettivi quantitativi, un quadro coerente di criteri di priorità e di incentivi per le biomasse «che da una parte dia certezze agli operatori e agli agricoltori sugli investimenti da qui al 2020 e che dall'altra premi realmente la produzione agricola e l'efficienza energetica delle filiere»;
   a tale scopo, le organizzazioni firmatarie del documento hanno chiesto che i criteri di calcolo della quota di produzione di energia da biomasse che ogni regione dovrà garantire per il rispetto degli obiettivi nazionali (cosiddetta burden sharing) siano basati sulle potenzialità effettive e le vocazioni agricole dei diversi territori, sia in termini di colture dedicate che di residui agroindustriali, zootecnici e forestali –:
   se non si ritenga urgente e doveroso porre in essere le dovute iniziative per modificare e interpretare le citate norme al fine di adottare il principio di precauzione per la salute pubblica, evitare che diatribe come quella in premessa congestionino il servizio per la concertazione amministrativa e, soprattutto, rispettare la volontà dei cittadini, espressa in maniera palese. (5-07077)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANGELA NAPOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria è la regione che registra il più alto tasso di disoccupazione, purtroppo in aumento grazie alla situazione di crisi che attraversa il nostro Paese, ma che è maggiormente presente in quella parte del territorio nazionale dove lo sviluppo economico è stato sempre frenato, vuoi dalla presenza della ’ndrangheta vuoi dal dominante sistema di malaffare e corruzione;
   per i circa 700 lavoratori del porto di Gioia Tauro, già in cassa integrazione dal luglio dello scorso anno, non appare definita la situazione che per gli stessi si profilerà alla scadenza del periodo di Cassa integrazione guadagni straordinaria;
   purtroppo appaiono ormai realtà le indiscrezioni che da giorni paventavano la chiusura dello stabilimento Italcementi di Vibo Marina che dal 1939 rappresentava il baricentro economico della zona, con la conseguente mobilità di 82 lavoratori;
   nella comunicazione che la Italcementi ha diramato si legge, tra l'altro: «A Vibo Marina, in particolare, il difficile contesto in cui si è trovata a operare la cementeria ha precluso soluzioni logistiche e normative che avrebbero consentito di mantenere un adeguato livello di competitività industriale»;
   si presuppone che le difficoltà evidenziate dalla Italcementi facciano riferimento al trasporto su gomma, al materiale, non di altissima qualità, estratto dalle cave, al calcare acquistato da terzi e alla mancanza di combustibili alternativi;
   la chiusura della Italcementi di Vibo Marina rappresenta davvero un colpo mortale per il già fragilissimo livello occupazionale dell'intero territorio calabrese;
   la situazione di grave crisi occupazionale che sta invadendo la Calabria, ad avviso dell'interrogante, consente alla criminalità organizzata di inserirsi ulteriormente nel già fragile tessuto economico della regione Calabria –:
   se non ritengano necessario ed urgente avviare un adeguato tavolo delle trattative a livello nazionale per valutare gli interventi utili a garantire il manteni- mento dell'occupazione ai lavoratori, la cui instabilità rischia di minare l'ordine pubblico del territorio. (4-16548)


   MICCICHÈ, MISITI, FALLICA, PITTELLI, GRIMALDI, TERRANOVA, BUONFIGLIO, RONCHI, SCALIA, URSO, IAPICCA, PUGLIESE, SOGLIA e STAGNO d'ALCONTRES. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la decisione unilaterale di Italcementi di chiudere i due stabilimenti di Porto Empedocle e Vibo Valentia determinerà la cessazione della produzione nonché la mobilità di 176 lavoratori, inoltre, considerando anche l'indotto si calcolano diverse centinaia di lavoratori a rischio;
   il provvedimento assunto da Italcementi andrebbe a infierire su due realtà particolarmente difficili dell'Italia meridionale, territori già duramente colpiti dalla crisi economica e con livelli di disoccupazione e di povertà molto alti;
   nonostante il calo della domanda di cemento, non è secondo gli interroganti giustificabile la scelta del gruppo di chiudere i due impianti storici da sempre punte avanzate delle attività produttive e industriali, mettendo in ginocchio l'economia delle due province e sacrificando operai che hanno sempre dimostrato alta professionalità e attaccamento all'azienda;
   occorre valorizzare le competenze esistenti, salvaguardando i posti di lavoro e individuando una strategia capace di fronteggiare e risolvere la difficile crisi del settore –:
   se il Governo intenda intervenire urgentemente affinché sia bloccata la chiusura degli stabilimenti Italcementi di Porto Empedocle e Vibo Valentia;
   se il Governo ritenga di organizzare un incontro immediato presso la Presidenza del Consiglio, con la convocazione delle parti interessate, affinché Italcementi ritorni sui suoi passi ristrutturando l'azienda e conservando l'occupazione in Calabria e Sicilia, due regioni già gravemente colpite dalla crisi economica e con livelli di disoccupazione e di povertà molto alti. (4-16553)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Sole 24 Ore nella sua edizione del 10 giugno 2012 ha pubblicato un articolo del professor Gilberto Corbellini, «OGM, seminare buon senso»;
   detto articolo contiene un drammatico grido d'allarme: «...Negli ultimi due decenni un settore della ricerca e dell'innovazione, quello agroalimentare, che fino agli inizi degli anni Novanta vedeva l'Italia internazionalmente competitiva, è stato raso al suolo da una serie di ministri incompetenti e mossi da furori ideologici, tecnobofi e antiscientifici. Vogliamo, però, continuare a farci del male ? Anche con un governo cosiddetto “tecnico” ? Davvero si vuole tagliare fuori l'Italia da settori della ricerca agroalimentare, come l'uso delle tecnologie genomiche ed epigenomiche per il miglioramento delle piante e della nutrizione, che alla luce dei problemi alimentari che la popolazione mondiale dovrà affrontare nei prossimi decenni sarebbero strategici anche sul piano economico ? ...Sarebbe un segnale gravissimo, e un atto irresponsabile, dimettere anche quelle poche capacità e potenzialità per generare le idee e l'innovazione tecnologica di cui questo paese ha bisogno per tornare a crescere»;
   nel citato articolo, il professor Corbellini osserva che «un governo di economisti, di tecnici, dovrebbe capire al volo i danni causati da una politica totalitaria e protezionistica applicata all'agricoltura. Paradossalmente, il totalitarismo e l'autarchia mussoliniani, su questi fronti, erano più moderni e attenti all'interesse generale. Infatti, la ricerca agronomica italiana, scalò i vertici mondiali, attraverso le ricerche di Nazareno Strimpelli, che stabilirono i metodi da cui poi sarebbe venuta la rivoluzione verde realizzata negli anni Cinquanta e Sessanta dall'agronomo e premio Nobel per la pace Norman Borloug;
   che la politica economica in campo agricolo «è tornata a principi autarchici, come dimostra con numeri e argomenti ineccepibili viene dimostrato dal professor Antonio Pascale nel suo libro “Pane e Pace”. Il cibo, il progresso, il sapere nostalgico»;
   oltre agli enormi danni economici che detta «politica economica» ha provocato, si diffonde «l'insana consuetudine all'ipocrisia e alla falsità, come quando si definiscono alcuni prodotti del nostro sistema agroalimentare “tipici”, mentre per ottenerli si importano derrate da altri paesi che in alcuni casi sono derivate da ogm (...)»;
    grazie a queste miopi politiche si assiste al paradosso che vengono acquistati mangimi derivati da soia o mais transgenico all'estero, per alimentare suini e bovini da cui produrre salumi e formaggi, vietando di coltivarli in Italia... «e questo è solo una delle decine di domande a cui dovrebbe rispondere chi ha la responsabilità di decidere la politica agricola in Italia» –:
   se quanto sopra esposto e affermato dal professor Corbellini corrisponda a verità;
   in caso di risposta affermativa, come si intenda corrispondere ai legittimi e fondati interrogativi e questioni poste dal professor Corbellini. (4-16556)


   PES, SCHIRRU, SORO, ARTURO MARIO LUIGI PARISI e MELIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, avente per oggetto «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000» l'Italia ha assunto precisi impegni internazionali per l'attuazione di politiche di tutela dei beni paesaggistici insistenti sul proprio territorio;
   con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modifiche ed integrazioni, denominato «Codice dei beni culturali e del paesaggio» si è voluta applicare su tutto il territorio nazionale una disciplina uniforme ed innovativa in materia di tutela del paesaggio così come previsto dall'articolo 9 della Costituzione;
   in data 7 settembre 2006 con decreto presidente giunta regionale n. 82, la regione Sardegna, in attuazione delle disposizioni contenute nelle norme di cui sopra, ha approvato il piano paesaggistico regionale attraverso le procedure previste dalla legge regionale 25 novembre 2004, n. 8;
   come espressamente previsto dal codice «Urbani», la regione Sardegna ha sottoscritto specifica intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali attestante la piena conformità del piano approvato con la disciplina di cui all'articolo 143 del citato codice dei beni culturali e paesaggistici;
   sulla base dell'accordo Stato-regioni del 1° aprile 2009 in materia di piano casa la regione Sardegna ha approvato in data 16 ottobre 2009 un provvedimento denominato «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo»;
   con atto di indirizzo n. 1-00256, l'interrogante, insieme con altri colleghi, sottolineava la dubbia legittimità della soppressione delle norme di salvaguardia del piano paesaggistico in vigore indicando un processo di «de-pianificazione» in deroga che prevedeva aumenti volumetrici generalizzati fino al 40 per cento dei volumi esistenti anche in aree sottoposte a regime di tutela integrale e differenziata in base all'articolo 142 del Codice (aree tutelate per legge) nonché in aree sottoposte a vincolo dal piano per l'assetto idrogeologico;
   lo stesso atto di indirizzo era finalizzato a impegnare il Governo «a verificare la sussistenza dei presupposti per l'impugnazione, per le evidenti violazioni delle norme statali, costituzionali e comunitarie, della legge della Regione Sardegna recante “Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo”» (l'assemblea ha tuttavia respinto tale atto di indirizzo);
   in data 8 novembre 2011 la regione Sardegna ha approvato la legge «Modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984, ed altre norme di carattere urbanistico» pubblicata sul bollettino ufficiale della regione autonoma della Sardegna del 29 novembre 2011, n. 35;
   la pianificazione paesaggistica è materia delegata dal codice dei beni culturali e del paesaggio dallo Stato alle regioni e lo Stato si riserva di vigilare sull'attività delle regioni ai sensi dell'articolo 155 del codice;
   le previsioni dei piani paesaggistici, in virtù della tutela costituzionale che realizzano, «sono cogenti» ed «immediatamente prevalenti» su qualunque disposizione difforme anche di carattere settoriale, e ciò rende urgente ed indispensabile verificare la legittimità e la coerenza della legge regionale della Sardegna, anche al fine di prevenire un danno ambientale e paesaggistico irreversibile e gravi ripercussioni sociali ed economiche;
   le ragioni del paesaggio e della sua difesa prevalgono su qualsiasi interesse di natura economica di sviluppo;
   con sentenza sezione IV, 10 settembre 2009, n. 5459, il Consiglio di Stato ha bocciato una lottizzazione a Cala Junco, lungo la costa di Villasimius in Sardegna, motivandola con il principio che le ragioni di tutela del paesaggio prevalgono sempre su quelle delle attività imprenditoriali e private, soprattutto quando sostenute da un piano paesaggistico regionale come quello approvato dalla regione sarda nel settembre del 2006 –:
   se il Governo non ritenga necessario verificare la sussistenza dei presupposti per l'impugnazione, per eventuali violazioni delle norme statali, costituzionali e comunitarie, della legge della regione Sardegna n. 21 del 2011 recante modifiche e integrazioni alla legge regionale n. 4 del 2009, alla legge regionale n. 19 del 2011, alla legge regionale n. 28 del 1998 e alla legge regionale n. 22 del 1984 e altre norme di carattere urbanistico. (4-16571)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'8 giugno 2012 l'associazione culturale «Futuragra», nata nel 2004 e composta da imprenditori agricoli e supportata da numerosi e prestigiosi consulenti scientifici con lo scopo di confrontarsi con le tematiche inerenti all'innovazione tecnologica, alla cultura dell'impresa, alla difesa della proprietà privata e del libero mercato nel settore agricolo, denunciava che «il ministro dell'Ambiente Corrado Clini e il ministro dell'Agricoltura Mario Catania, hanno disposto la distruzione dei campi sperimentali di piante transgeniche dell'Università della Tuscia»;
   detto provvedimento viene qualificato dal presidente di «Futuragra», dottor Duilio Campagnolo, come «un duro colpo per chi crede nella ricerca e nell'innovazione. Il progetto della Tuscia era uno dei fiori all'occhiello della sperimentazione sugli OGM in Italia, in pratica l'ultimo rimasto attivo»;
   ove questo provvedimento risultasse confermato, costituirebbe la parola fine a uno degli ultimi studi sulle biotecnologie vegetali in Italia, dove veniva portato avanti anche un importante progetto per salvare le piantagioni di kiwi, al momento in difficoltà;
   da diverso tempo «Futuragra» denuncia, sia a livello nazionale che europeo, il drammatico stato in cui versa la ricerca nel nostro Paese: dieci anni fa erano 250 i progetti portati avanti, mentre oggi la sperimentazione risulta pressoché azzerata, una situazione paradossale che costringe di fatto il nostro Paese a restare «al palo», isolato dal resto del mondo, dove esistono centri sperimentali in cui vengono studiate piante che rappresentano e costituiscono il futuro dell'agricoltura, dell'agro-industria e della medicina, fondamentali quindi anche per assicurare una qualità dell'ambiente e dell'alimentazione degne di questo nome;
   la vicenda prenderebbe le mosse da un'iniziativa assunta dalla Fondazione diritti genetici presieduta dal dottor Mario Capanna, che avrebbe segnalato ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole, alimentari e forestali e al presidente della regione Lazio la presenza «di piante sperimentali di olivo, ciliegio e kiwi transgenici all'interno dell'Azienda didattico-sperimentale dell'Università della Tuscia», chiedendo lo smantellamento del campo; e in seguito alla segnalazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe intimato di spiantare al più presto le piante incriminate;
   la sperimentazione su specie arboree geneticamente modificate per ottenere una riduzione della mole e una resistenza ad attacchi di funghi avviata dal professor Eddo Rugini dell'università della Tuscia risalirebbe all'ormai lontano 1982, e studi su olivi, ciliegi e actinidia (kiwi) transgenici risulterebbero essere stati autorizzati per il decennio 1999-2008; essendo dieci anni un tempo troppo limitato per ottenere risultati concreti, lo stesso professor Rugini avrebbe chiesto al Ministero di riconsiderare la questione del mancato rinnovo, e sarebbe stato adottato un provvedimento ad hoc per permettere il proseguimento della ricerca e la raccolta di dati scientifici affidabili; richieste peraltro che finora sarebbero cadute nel nulla –:
   se quanto sopra esposto ed evidenziato corrisponda a verità;
   in caso affermativo, in base a quali ragioni si sia ritenuto necessario adottare un simile provvedimento;
   se sia decisione adottata su singola iniziativa dei Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, o se sia da ritenere espressione di decisione e volontà collegiale del Governo;
   per quali ragioni, ove ciò trovi riscontro, si sia ritenuto di dover accogliere la segnalazione e la denuncia della Fondazione diritti genetici, e come questa denuncia e segnalazione siano state motivate, e su quali fondamenti scientifici esse poggino;
   per quali ragioni si sia ritenuto di non dare alcuna risposta al quesito e alla richiesta formulate dal professor Rugini;
   se sia vero, come sostiene il professor Rugini, che, oltre a bloccare un importante studio per acquisire conoscenze fondamentali per poter modificare geneticamente le piante da frutto senza rischi, l'interruzione di questa ricerca non abbia ragioni scientifiche a sostegno;
   se si sia a conoscenza del fatto che la comunità scientifica ha reagito negativamente ed energicamente a questo ennesimo tentativo di affossare la ricerca biotecnologia, e che la rivista americana «Biofortified» ha lanciato una sottoscrizione a sostegno della ricerca del professor Rugini, lanciando al tempo stesso un appello che chiede alle autorità competenti di evitare la distruzione, insieme agli alberi del campo sperimentale, di trent'anni di ricerca pubblica e lo spreco di denaro finora speso in questo studio; come e quali risposte si intendano dare alla comunità scientifica che ha sollevato la questione.
(4-16572)


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende dell'esistenza di un agente dei servizi segreti italiani, unità di collocamento per lo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi, tra lo Stato e le organizzazioni criminali;
   questo agente, secondo il pentito Fonti, gli era stato presentato alla fine degli anni Settanta da un altro membro dell’intelligence italiana, Guido Giannettini, alias agente Zeta, collaboratore dell'agenzia di stampa Oltremare, che celava – secondo l'articolo – un'unità del SIFAR (Servizio Informazioni forze armate) divenuto poi SID (Servizio Informazioni Difesa);
   ad avviso degli interroganti, per individuare l'enigmatico agente occorre tenere in considerazione le carriere all'interno dei servizi segreti dei collaboratori dell'agenzia Oltremare ed, in particolare svolgere accertamenti sui collaboratori dell'agenzia Oltremare e gli 81 giornalisti arruolati dal Servizio Informazioni Difesa tra il 1966 e il 1968 –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda. (4-16575)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   le Nazioni Unite nel giugno 2011 hanno espresso preoccupazione per un'ondata senza precedenti di violazioni dei diritti umani in Bielorussia, e hanno chiesto al commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani di monitorare la situazione;
   con il Paese ancora in bilico sull'orlo di una crisi dei diritti umani, il Consiglio esaminerà nella seduta di partenza il 18 giugno 2012 nuove azioni da intraprendere;
   il Governo bielorusso ha preso di mira difensori dei diritti umani, giornalisti e avvocati. Attivisti dell'opposizione sono regolarmente sottoposti ad arresti arbitrari e condannati alla detenzione per «teppismo» e altri reati minori, spesso come misura preventiva per impedire loro di partecipare a proteste o svolgere le loro attività. Gli avvocati difensori esitano ad assumere «casi politici» per paura di essere radiati o di perdere la loro licenza. Quasi tutte le organizzazioni non governative che sono critiche verso il Governo operano sotto la minaccia costante di essere smantellate o che i loro membri siano arrestati;
   più di una dozzina di stranieri attivisti dei diritti umani sono stati espulsi o è stato impedito loro l'ingresso nel Paese nel corso dell'ultimo anno;
   a un certo numero di bielorussi – prevalentemente attivisti dell'opposizione – così come difensori dei diritti umani e giornalisti è stato impedito di lasciare la Bielorussia nel corso degli ultimi due mesi, le autorità non hanno nemmeno tentato di offrire ragioni credibili per questi divieti di viaggio;
   eppure i partner internazionali possono e devono cercare di fare pressione sui Governi repressivi per cambiare i loro modi, attraverso meccanismi internazionali progettati per tali scopi. Un'altra delibera del Consiglio dei diritti umani, questa volta chiedendo un meccanismo di controllo più forte come un Paese specifico relatore speciale, potrebbe essere utile nel monitoraggio e per limitare alcune delle violazioni che si verificano in Bielorussia su base giornaliera;
   l'esistenza stessa di un relatore speciale potrebbe contribuire a responsabilizzare la società civile in Bielorussia e rendere le persone meno vulnerabili alla persecuzione statale;
   dopo più di un anno di forte e coerente critica internazionale e sanzioni mirate imposte dalla Unione europea e dagli Stati Uniti, la Bielorussia rimane uno dei Paesi più repressivi d'Europa;
   i partner internazionali dovrebbero rimanere fedeli ai loro impegni sui diritti umani e agli attivisti locali della società civile in Bielorussia. La Bielorussia è una sfida difficile ma che la comunità internazionale dovrebbe continuare ad affrontare, anche attraverso strumenti di base a livello mondiale per i diritti umani, come il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite;
   il 26 gennaio 2011, inoltre, la Camera dei deputati ha approvato la mozione 1-00535 che impegna il Governo: a sostenere con forza l'azione europea circa l'introduzione di sanzioni personali, come la sospensione dei visti verso l'Unione europea, nei confronti degli esponenti del Governo e dell'apparato di sicurezza bielorusso che si sono resi responsabili delle gravissime violazioni delle norme democratiche e dei diritti umani in occasione delle ultime elezioni presidenziali, quanto meno fintantoché tutti i prigionieri e i detenuti politici non saranno stati liberati e scagionati da ogni accusa; a chiedere nelle sedi opportune e attraverso i canali diplomatici il rilascio immediato e incondizionato di tutte le persone arrestate durante la giornata elettorale e all'indomani della stessa, nonché dei prigionieri di coscienza riconosciuti da Amnesty international; a chiedere alle autorità bielorusse di fornire ai detenuti accesso senza restrizioni ai propri familiari, all'assistenza legale e alle cure mediche; a condannare fermamente le azioni delle autorità bielorusse a danno delle minoranze e a ribadire il proprio appello alla Bielorussia affinché rispetti i diritti umani e i diritti di tutti i suoi cittadini; a chiedere con forza che vengano garantite la libertà dei media, la libertà di associazione e di riunione, la libertà di religione per le chiese diverse dalla Chiesa ortodossa bielorussa e gli altri diritti e libertà politiche –:
   se e come il Governo si stia adoperando per rispettare gli impegni assunti in relazione alle vicende della Bielorussia e se non ritenga di intervenire ulteriormente, in sede internazionale, per arginare l'attuale situazione, sempre più allarmante, che caratterizza il Paese e il suo popolo. (4-16566)

AFFARI EUROPEI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per gli affari europei, il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, per sapere – premesso che:
   è evidente la centralità che riveste il turismo balneare per il nostro Paese e ciò si verifica, in primo luogo, dal lato dell'offerta turistica, sia quantitativa (per i suoi 7375,3 chilometri di costa) che qualitativa per la presenza di bellezze di assoluta eccellenza;
   un confronto sul piano europeo evidenzia che l'Italia è il Paese con il maggior numero di spiagge pari al 35,81 per cento della costa balneabile dell'intero continente europeo contro il 14,59 per cento della Francia e il 13,90 per cento della Spagna;
   le imprese balneari sono un'importante realtà socio-economica tipica del settore turistico italiano che nel corso ormai centenario della loro attività hanno garantito un elevato livello di accoglienza e di servizi a favore dei cittadini e della clientela;
   il modello normativo italiano per questo tipo di imprese è stato costituito da una concessione di durata assali limitata la cui precarietà temporale era però eliminata dal riconoscimento del diritto di preferenza, poi insistenza e quindi rinnovo automatico riconosciuto al precedente concessionario e ciò all'esclusivo fine di incentivarlo all'attività e agli investimenti nel settore;
   con provvedimento n. 4908/2008 la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, a cui ha contestato un atteggiamento discriminatorio ed ha chiesto di adeguare il procedimento di rilascio/rinnovo di concessioni demaniali ad uso turistico al principio di libertà di stabilimento. Tale richiesta è stata in parte soddisfatta con l'articolo 1 della legge n. 25 del 2010 che prevede per le concessioni in atto una proroga fino al 31 dicembre 2015 e, definitivamente, con l'articolo 11 legge n. 217 del 15 dicembre 2011 che ne ha consentito l'archiviazione da parte dell'Unione europea;
   l'ordine del giorno approvato all'unanimità dal Senato della Repubblica il 5 maggio 2011 chiedeva al Governo di impegnarsi ad agire presso la Commissione europea per rappresentare la peculiarità italiana delle imprese turistico-balneari e per individuare soluzioni differenti rispetto a quelle previste dalla direttiva –:
   se intendano agire in sede comunitaria facendo valere le peculiarità che caratterizzano le imprese del settore turistico-balneare in Italia;
   se si intenda assumere iniziative per escludere dall'applicazione delle procedure di evidenza pubblica le imprese turistico-ricreative;
   a convocare al più presto il tavolo tecnico di confronto con lo Stato, le regioni e le organizzazioni delle imprese finalizzato alla ricerca di una legge quadro volta a restituire certezze e futuro agli imprenditori del settore;
   se intenda fornire elementi sull'esito degli incontri avuti in sede di Unione europea dal Ministro per gli affari europei.
(2-01546) «Scandroglio, Cassinelli».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 aprile 2012 la società S.E.V.A. s.r.l, con sede a Gresson, ha presentato un'istanza al compartimento marittimo di Porto Torres relativa ad una concessione demaniale cinquantennale per la realizzazione di una centrale eolica off shore nel golfo dell'Asinara;
   tale centrale risulta composta da 28 torri eoliche (generatori Siemens) alte 90 metri sopra il pelo dell'acqua (oltre all'altezza non conosciuta sotto il pelo dell'acqua, rapportata alle profondità marine);
   le torri sono sistemate in quattro file parallele orientate nord ovest-sud est (distanza 600 metri fra loro), con una potenza massima di 100,8 megawatt (3,6 megawatt per torre eolica), tre cavi di collegamento tra gli aerogeneratori e la cabina di trasformazione elettrica a terra, un cavo interrato verso il sistema di trasmissione aerea dell'energia elettrica, rete elettrica interrata di collegamento con la cabina di trasformazione primaria Terna spa per la rete di distribuzione nazionale;
   l'area interessata occupa 2.845.908 metri quadrati nel mare davanti al litorale compreso tra i comuni di Porto Torres e Sassari;
   l'impianto si trova davanti a siti di importanza comunitaria (Asinara, Pilo e Casaraccio) e zone di protezione speciale (Asinara);
   il luogo interessato è a forte vocazione turistica e la realizzazione dell'impianto avrebbe delle ricadute pesanti sull'economia locale;
   in Sardegna attualmente vi sono 27 centrali eoliche (453 megawatt di potenza);
   34 sono in attesa di autorizzazione;
   se queste ultime fossero realizzate, si giungerebbe a 61 parchi eolici con 1.264 megawatt di potenza;
   ad oggi l'Isola è del tutto autonoma rispetto alla rete nazionale, può contare infatti sulla potenza installata di circa 2.200 megawatt pur impiegando ogni giorno di solito 1.730 (la notte 1.300);
   con il potenziamento via cavo (SAPEI e SACOI) fra la Sardegna e la penisola non potranno essere esportati più di 1.000 megawatt;
   in data 1o giugno le associazioni ecologiste Gruppo d'intervento giuridico, Amici della terra e Lega per l'abolizione della caccia hanno presentato al direttore del compartimento marittimo di Porto Torres un atto di opposizione al rilascio della concessione demaniale marittima per la realizzazione della centrale eolica off shore;
   l'atto di opposizione è stato inviato per conoscenza, anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'assessorato regionale della difesa dell'ambiente, al servizio regionale valutazione impatti, ai comuni di Porto Torres, Sassari e Stintino, all'ente parco nazionale dell'Asinara –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se non si ritenga opportuno intervenire per garantire la tutela paesaggistica di zone di particolare pregio, quale è il golfo dell'Asinara. (5-07064)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un video circolato su youtube il 9 giugno 2012 si vedono delle enormi chiazze e scie di sostanze molto sospette immesse in mare dagli scarichi delle acque di raffreddamento dell'acciaieria ILVA di Taranto;
   la persona che con un catino raccoglie queste sostanze ne evidenzia la oleosità;
   è noto ed accertato che quei fondali sono già ricoperti da fanghi con concentrazioni di metalli pesanti ed idrocarburi policiclici molto nocivi per la salute come ad esempio «benzo(a)pirene» e «crisene» –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto riportato nel video e se e quali iniziative si intendano assumere in vista di una riconversione dello stabilimento ILVA di Taranto e a tutela della salute e dell'ambiente.
(4-16552)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio di Ardauli, in provincia di Oristano, si trovano numerose tombe ipogee a domus de janas, letteralmente le «case delle fate», d'età neolitica e calcolitica (età del rame), scavate nella roccia, spesso articolate in molti ambienti intercomunicanti;
   in Sardegna si contano centosette domus de janas dipinte, ricadenti per la maggior parte in provincia di Oristano;
   a volte le domus de janas sono arricchite da motivi architettonici e simbolici dipinti o scolpiti (teste bovine, corna, spirali, elementi del tetto e delle pareti e altro);
   tra le domus de janas, meglio conosciute ad Ardauli come sos musuleos, si trova la tomba di Mandras, dal nome della località non lontana dal centro principale del comune;
   tale complesso è di straordinario interesse, non solo per la particolarità dei motivi architettonici-decorativi riprodotti sui soffitti e sulle pareti degli ambienti principali, ma anche per il fatto che tali motivi sono resi simbolicamente tramite pittura rossa (probabilmente ocra);
   l'ipogeo di Mandras, pluricellulare e dalla planimetria articolata, si apre alla base di un affioramento di tufo trachitico;
   al suo interno coesistono, oltre a quelle che richiamano semipilastri e finte nicchie, le rappresentazioni dipinte di due tipologie di soffitti: ellittica nell'anticella, a uno o a due spioventi con lati brevi arrotondati nella cella principale;
   il soffitto dell'anticella è segnato da sei travetti dipinti di rosso, tre per lato, che convergono verso una banda circolare appena visibile e che potrebbe rappresentare il sistema di legatura dei travetti stessi;
   nel soffitto della cella principale, invece, è rappresentato il tetto a uno o a due spioventi con lati brevi arrotondati, reso da fasce di colore rosso;
   nella parte dell'ingresso e in parte sulle pareti laterali della cella principale si trova un motivo dipinto «a reticolo», ottenuto con fasce orizzontali e verticali di colore rosso;
   allo stato attuale delle ricerche, il motivo «a reticolo» costituisce un unicum, per le dimensioni eccezionali e soprattutto per il fatto di essere reso tramite pittura;
   il motivo riprodurrebbe l'intelaiatura delle pareti delle capanne preistoriche, costituita da pali sistemati sia in senso verticale che orizzontale;
   non è escluso che, all'interno della domus de janas in questione, possano essere presenti altri elementi simbolici non più visibili ad occhio nudo;
   la tomba di Mandras sopradescritta si trova in uno stato di totale abbandono;
   il monumento, aggredito dalla vegetazione, è attraversato da profonde fenditure, per cui la tomba è soggetta a costanti allagamenti;
   a causa dell'eccessiva umidità, le pareti dei diversi ambienti risultano deteriorate da muffe e concrezioni;
   il comune di Ardauli si è impegnato a mettere a disposizione i mezzi finanziari per le fasi iniziali del progetto;
   secondo il parere dell'archeologo della Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari e Oristano, Alessandro Usai, i lavoro dovranno riguardare innanzitutto microinterventi di pulizia esterna e il consolidamento delle diffuse fessurazioni, in modo da bloccare l'azione delle acque meteoriche;
   successivamente si dovranno restaurare le pitture, con un intervento delicato e impegnativo;
   il comune da solo non può sostenere le spese per il restauro –:
   se sia a conoscenza dello stato in cui si trova la tomba di Mandras e se non ritenga doveroso intervenire, con i mezzi a sua disposizione, per permettere il restauro di questa straordinaria testimonianza dell'arte funeraria prenuragica.
(5-07063)


   GRIMOLDI. —Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-09973 presentata in data 14 dicembre 2010, nella seduta n. 408, l'interrogante ha già rappresentato la necessità di interventi urgenti per la tutela della basilica romanica dei Santi Pietro e Paolo sita nel comune di Carate Brianza;
   la predetta «basilica» è uno degli esempi più significativi di architettura romanica in Brianza: edificata nel IX secolo, presenta una bella facciata in ciottoli di fiume, con un bel portale sovrastato da due monofore con la figura del Cristo nella lunetta, e due porte laterali: l'interno è a tre navate, con archi e colonne in pietra di riuso risalenti al IV-V secolo con scritte sui capitelli;
   originariamente la pieve, così come l'attiguo battistero, doveva essere ricoperta da affreschi del XI-XV secolo, mentre ora sopravvivono solo minime porzioni di intonaco affrescato sulle due ultime arcate della navata di sinistra e nella volta a botte; il battistero, a cui si accede dalle absidi laterali, è uno dei pochi esempi di battistero a sette lati con piccola nicchia absidale, probabilmente coevo e uguale alla basilica nella tecnica costruttiva, al cui interno, si conservano affreschi altomedievali, trecenteschi e quattrocenteschi: interessanti sono inoltre la cripta, realizzata nel XII secolo, e la settecentesca sacrestia; verso la fine dell'800, il complesso religioso di Agliate subì massicci lavori di restauro coordinati dall'architetto Luca Beltrami; della stessa epoca è anche il campanile di forma quadrata;
   il sopra citato atto di sindacato ispettivo ha posto all'attenzione del Ministro interrogato il pericolo derivante dalle copiose infiltrazioni d'acqua e forti vibrazioni all'interno della Basilica, causate dal passaggio di tir lungo la strada limitrofa alla Basilica stessa;
   per far fronte a tale fenomeno già nel 2008 la soprintendenza per i beni architettonici di Milano ha eseguito un sopralluogo con i tecnici della parrocchia di Agliate, (proprietaria del monumento), il parroco stesso e il presidente del parco della valle del Lambro, al fine di vagliare lo stato delle infiltrazioni e delle vibrazioni all'interno della Basilica;
   nel 2011 la parrocchia di Agliate avrebbe incaricato due tecnici per redigere un progetto di restauro della copertura della Basilica e, attraverso l'uso di un cestello aereo, sarebbe stata eseguita una prima ispezione sulla copertura al fine di verificarne lo stato di conservazione;
   a tutti è noto il dramma che le popolazioni dell'Emilia Romagna, ma anche di parte del Veneto e della Lombardia, stanno vivendo in questi giorni, a seguito degli eventi sismici che si susseguono a partire dal 20 maggio 2012 con impressionante regolarità e delle conseguenze nefaste subite da beni facenti parte del patrimonio storico, artistico e culturale di queste regioni –:
   se il progetto di restauro della copertura della Basilica dei Santi Pietro e Paolo in parola abbia messo in sicurezza l'edificio dalle infiltrazioni d'acqua;
   se, in considerazione dei danni provocati alla stabilità della basilica dal traffico veicolare pesante dalla strada provinciale 155, non ritenga opportuno intervenire per sollecitare un ispezione urgente da parte della competente soprintendenza, in modo tale da valutare le eventuali e ulteriori gravi ripercussioni causate dalle citate scosse sismiche sulla struttura dell'edificio medesimo. (5-07078)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la villa di Camerata al Salviatino (Firenze) ospita dal 1955 l'ostello per la gioventù «Europa», gestito dall'Associazione italiana alberghi per gioventù (AIG);
   la proprietà della Villa è passata dall'azienda autonoma di turismo alla regione Toscana, alla provincia di Firenze e oggi al demanio statale;
   l'Associazione in tutti questi anni ha correttamente ottemperato agli obblighi di affittuario; il contratto di locazione è scaduto il 30 giugno 2011 e da maggio 2011 si aspetta una risposta alla richiesta di rinnovo del rapporto di locazione;
   dopo un sopralluogo effettuato senza preavviso da rappresentanti dell'Arma dei carabinieri si è venuti a conoscenza di un interessamento dell'arma per Villa Camerata per il trasferimento della scuola cinofila che consta di quaranta uomini e qualche decina di cani;
   Villa Camerata risale al 1600 e fa parte del patrimonio artistico storico e culturale della città di Firenze e del nostro Paese e oggi ospita – fra Ostello e annesso campeggio – oltre cinquecento giovani dando lavoro a più di venti persone;
   presso l'ostello l'Associazione italiana alberghi per gioventù collabora su diverse iniziative rivolte ai giovani con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca e il Dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio;
   il Ministro per i beni e le attività culturali non intenda valorizzare questa parte di patrimonio artistico culturale preservandone la fruibilità e la conoscenza pubbliche e salvaguardando un centro di attività educativa oltre che punto di riferimento del turismo giovane fiorentino –:
   se il Ministro della difesa non intenda considerare eventuali soluzioni alternative dal momento che il demanio militare dispone di svariate strutture ad oggi non utilizzate anche nella stessa Firenze.
(4-16554)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella dichiarazione della federazione provinciale della UIL/M-SP «facta non verba!!!» del 9 agosto 1995, (successivamente pubblicata l'8 novembre 1997, in «L'Umanità e la Sicurezza» con a fronte un commento tecnico-politico curato dal generale Patrizio Flavio Quinzio) veniva criticata la ridondanza degli enti suddivisi per competenze tecniche legate alle singole Forze armate e, comunque, dipendenti direttamente, tutti, dalla direzione nazionale degli armamenti e veniva richiesta la riorganizzazione e la razionalizzazione dei vari uffici tecnici presenti allora sul territorio ligure;
   è importante sottolineare come tale esigenza fosse stata già ampiamente evidenziata nell'atto costitutivo del comitato imprese per la promozione settore difesa (C.I.S.DI.) – sindacato patronale delle piccole e medie imprese operanti nel comparto industriale della difesa – del 19 dicembre 1992, in particolare ai punti 4.7, 4.10 e 4.11;
   per ottenere, in qualche modo, il recepimento di tali istanze da parte di Segredifesa, il 9 luglio 1993, in occasione di un seminario organizzato a La Spezia dal C.I.S.DI. sul «Ruolo delle piccole e medie imprese della difesa alla luce delle mutate esigenze della sicurezza nazionale ed europea» s'impegnò il rappresentante dello Stato maggiore della marina, l'allora C.V. Giampaolo Di Paola;
   in ambito sindacale, tale vasta problematica, connessa, in particolare, al ruolo che l'industria della difesa svolge non solo nel territorio nazionale ma nel contesto europeo, è stata successivamente evidenziata dalla UILM-La Spezia sia autonomamente, in un documento del 29 settembre 2005, che in ambito unitario e congiunto con CGIL e CISL, in un documento del 24 ottobre 2005;
   della vitale importanza di tale questione, il 27 gennaio, 2007, si fece unanimemente portavoce anche il consiglio comunale di Genova attraverso un ordine del giorno, che recepiva, in parte, le osservazioni di cui sopra;
   nella riunione del Consiglio dei ministri del 15 aprile 2005, su proposta del Ministro della difesa ed in attuazione alla legge n. 186 del 2004, è stato presentato uno schema di decreto legislativo per la riorganizzazione dell'area centrale del Ministero della difesa, per adeguarne le strutture ai mutamenti dello scenario geopolitico creatosi dopo l'11 settembre 2001 ed anche per rispondere coerentemente alle richieste sociali causate dal mutato concetto di difesa ed alle necessità di una risposta di massima efficienza da parte delle strutture tecnico-amministrative del settore;
   nell'attuale dibattito, anche per soddisfare le esigenze di coordinamento delle piccole e medie imprese operanti nel comparto industriale per la difesa che richiedono, in particolare, un'adeguata gestione delle problematiche (frequentemente connesse) relative al coordinamento del marketing e delle compensazioni industriali (per le quali manca, a differenza d'altri paesi – come la Grecia – un'apposita legge), una delle proposte avanzate è quella nota col nome di delegazione regionale equipaggiamenti e industria per la difesa (DREID), volta a razionalizzare su tutto il territorio la presenza della struttura dell'area centrale del Ministero della difesa che è pur sempre la direzione nazionale degli armamenti (DNA) –:
   se la direzione nazionale degli armamenti, nell'esplicazione dei suoi compiti istituzionali di supporto e di controllo del comparto industriale per la difesa, abbia, nell'ambito di un approfondimento complessivo sulla riorganizzazione dell'area centrale del Ministero della difesa, presentato delle proposte di razionalizzazione delle strutture;
   se, alla luce anche delle criticità evidenziate in premessa, siano state eventualmente previste delle strutture modellate sul tipo della citata DREID che permettano di tutelare, su tutto il territorio nazionale, gli interessi – che non sono solo delle Forze armate ma di un'intera nazione – connessi ad un settore delicato e vitale per lo sviluppo dell'innovazione tecnologica italiana. (4-16559)


   DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo il Sipri Yearbook 2012, pubblicato il 4 giugno nel 2011 la spesa militate mondiale è arrivata a 1.740 miliardi di dollari: rappresenta la cifra più alta dalla caduta del muro di Berlino con un incremento dello 0,3 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente. Questa spesa continua a trainare il commercio internazionale di armamenti convenzionali che, con quasi 30 miliardi di dollari, nel 2011 è tornato ai livelli degli anni novanta;
   il Sipri Yearbook segnala la sostanziale stabilità della spesa militare mondiale che oggi rappresenta il 2,5 per cento del prodotto interno lordo globale con un costo medio di 249 dollari per ogni abitante del pianeta. Gli Stati Uniti rimangono in testa alla classifica (711 miliardi di dollari, pari al 41 per cento del totale mondiale), seguiti da Cina (143 miliardi), Russia (71,9 miliardi), Regno Unito  (62,7 miliardi), Francia (62,5 miliardi), Giappone (59,3 miliardi), India (48,9 miliardi) e Arabia Saudita (48,5 miliardi);
   riguardo all'Italia, il Sipri stima una spesa militare nel 2011 di circa 34,5 miliardi di dollari affermando che «la spesa militare dell'Italia è meno che trasparente, nel senso che è distribuita tra i budget di diverse amministrazioni statali». Inoltre, nel rapporto si legge che «le per le missioni militari all'estero sono approvate dal Parlamento italiano in un bilancio separato da quello del Ministero della Difesa. Oltre 1 miliardo di euro di forniture militari addizionali e per ricerca e sviluppo sono ogni anno finanziate dal Ministero dello Sviluppo Economico. Come per la Grecia, le cifre della NATO riguardo all'Italia per il 2011 non erano disponibili al momento della stesura del rapporto»;
   anche il recente rapporto «Economia a mano armata» pubblicato nei giorni scorsi dalla campagna «Sbilancimoci !» analizza dai vari punti di vista le spese militari nazionali sotto molteplici aspetti. La questione centrale è l'esportazione degli armamenti in zone di guerra e ad alto rischio di rivolte;
   secondo l'Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo di Roma, nel mondo ci sono in circolazione circa 875 milioni di cosiddette «armi leggere» e il commercio di queste armi vede l'Italia come uno dei principali produttori e protagonisti. Solo nel biennio 2009-2010 l'Italia ha esportato oltre un miliardo di euro di «armi leggere ad uso civile» con un rilevante aumento soprattutto verso l'Asia, ma anche il Medio Oriente e l'intero continente africano. Ma vanno segnalate anche le esportazioni di queste armi verso Paesi sottoposti a embarghi internazionali (Cina, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Armenia e Azerbaijan), verso Paesi in cui sono in atto conflitti e in cui si riscontrano gravi violazioni del diritti umani (la Federazione Russa, la Thailandia, le Filippine, il Pakistan, l'India, l'Afghanistan, la Colombia, Israele, Congo, Kenia, Filippine, e altro);
   l'OPAL, l'Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia ha dichiarato che nel corso del 2011, cioè nel pieno delle rivolte delle popolazioni della cosiddetta primavera araba – sono state esportate dalle ditte della provincia di Brescia armi e munizioni per un valore complessivo di 6,8 milioni di euro ai Paesi del Nord Africa e di oltre 11 milioni di euro ai Paesi del Medio Oriente, oltre 1 milione di euro di queste armi esportate sempre dalle aziende bresciane in Bielorussia tra aprile e giugno 2011, poco prima che l'Unione europea la sanzionasse per gravi violazioni dei diritti umani –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative al fine di evitare che l'Italia continui a primeggiare in un settore, quello relativo agli armamenti, che nulla a che fare con una politica estera di pace, sicurezza e di cooperazione allo sviluppo;
   se e come il Governo intenda intervenire al fine di giungere ad una maggiore trasparenza è maggiori informazioni circa la spesa militare italiana con particolare attenzione all’export militare al quale l'Italia contribuisce in maniera fin troppo incisiva con probabili conseguenze drammatiche nei Paesi ad alto rischio bellico. (4-16567)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   FLUVI e BUCCHINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato in via sperimentale l'applicazione dell'imposta municipale propria (IMU) agli immobili situati nei comuni di tutto il territorio nazionale;
   in particolare, l'articolo 13, comma 12, del citato decreto-legge n. 201 stabilisce che il versamento dell'imposta è effettuato – in deroga alle disposizioni del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, ai sensi del quale il comune delibera i propri regolamenti in materia tributaria – secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, successivamente pubblicato nel sito internet dell'Agenzia in data 12 aprile 2012;
   solo a decorrere dal 1° dicembre 2012, il citato comma 12, come modificato dall'articolo 4, comma 5, lettera h), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, stabilisce che il versamento dell'IMU potrà essere effettuato tramite apposito bollettino postale che dovrà essere approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
   ai sensi dell'articolo 1 del citato provvedimento dell'Agenzia delle entrate, i versamenti dell'imposta municipale propria, nonché dei relativi interessi e sanzioni, sono eseguiti esclusivamente con le modalità di cui al capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, utilizzando il modello F24; inoltre, ai sensi dell'articolo 37, comma 49, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, i soggetti titolari di partita IVA sono tenuti ad effettuare i versamenti esclusivamente con modalità telematiche;
   la relazione illustrativa allegata al decreto-legge n. 201 del 2011 specifica che l'uso del modello F24 è reso necessario in ragione dalla riserva della quota di gettito in favore dello Stato prevista dal comma 11 del citato articolo 13 che disciplina il riparto del gettito dell'IMU, tra i diversi livelli di governo (Stato e comuni);
   fino al 31 dicembre 2011 era data la possibilità di effettuare i pagamenti dell'ICI in varie modalità che prevedevano, in relazione alle procedure attivate dai comuni, il versamento al concessionario della riscossione o alla tesoreria comunale tramite un bollettino postale, ovvero presso lo sportello del concessionario, o ancora, tramite il pagamento on-line sul sito del comune o del concessionario della riscossione, ed in alternativa era previsto il pagamento attraverso il modello unificato F24, in sede di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi;
   la limitazione delle modalità di pagamento al solo utilizzo del modello F24 ha ristretto le possibilità per i contribuenti di scelta del mezzo più vantaggioso di pagamento comportando un maggior onere in termini di burocrazia;
   in particolare, la limitazione delle modalità di pagamento risulta essere più gravosa per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, in quanto, secondo i chiarimenti riportati nella circolare n. 3/DF del Ministero dell'economia e delle finanze del 18 maggio 2012, non sono più applicabili le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 4-bis, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, in base al quale era prevista per questi contribuenti la possibilità di versare l'ICI in unica soluzione entro la scadenza del mese di dicembre, con applicazione degli interessi nella misura del 3 per cento, e pertanto detti soggetti dovranno versare l'IMU seguendo le disposizioni generali illustrate nella medesima circolare, ferme restando le modalità di versamento già utilizzate per l'ICI, vale a dire il vaglia postale internazionale ordinario, il vaglia postale internazionale di versamento in c/c e il bonifico bancario;
   inoltre, in un recente comunicato stampa del 31 maggio, il dipartimento delle finanze ha indicato le nuove modalità di versamento dell'IMU da parte dei soggetti non residenti, che risultano essere molto complicate nei casi in cui non sia possibile utilizzare il modello F24 per effettuare i versamenti dall'estero;
   è prevista, in particolare, la suddivisione del versamento dell'IMU nella quota spettante al comune con il quale è necessario prendere contatti per ricevere le istruzioni di versamento sul codice iban della tesoreria e nella quota spettante allo Stato da versare direttamente alla Banca d'Italia; ed inoltre è previsto l'invio della copia di entrambe le operazioni al comune per i successivi controlli;
   si tratta di procedure molto complesse che richiedono, da parte dei nostri emigrati, il tempo e la capacità di contattare gli uffici competenti del comune per ottenere le istruzioni necessarie e calcolare gli importi distinti che vanno versati al comune e allo Stato –:
   quali iniziative il Ministero intenda adottare, a pochi giorni dal termine di pagamento della prima rata, al fine di agevolare i pagamenti dell'IMU da parte dei residenti all'estero che non sono stati messi nelle condizioni, per ovvi motivi dovuti soprattutto alle distanze e alla difficoltà di interlocuzione, di ottenere a breve termine le informazioni necessarie per poter attuare le complesse procedure di pagamento, anche emanando a tal fine una circolare che proroghi le scadenze di pagamento dell'IMU di alcuni mesi per questa categoria di contribuenti. (5-07069)


   FUGATTI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il prossimo 18 giugno scade il termine per il versamento della prima rata dell'IMU, che il Governo Monti ha voluto anticipare al 2012, andando a colpire anche gli immobili adibiti ad abitazione principale, con una pesante rivalutazione della base imponibile rispetto alla normativa ICI; di fatto i proprietari di immobili adibiti ad abitazione principale si troveranno a pagare un'imposta che da quattro anni non pagavano più;
   le modifiche in tema di IMU sono state tante ed importanti: la norma di riferimento è sì del mese di dicembre 2011, ma le ultime indicazioni operative da parte del Ministero dell'economia e delle finanze sono giunte solo il 18 maggio scorso; tutti i comuni hanno dovuto approntare un servizio ad hoc, con orari ampliati e notevoli sforzi in termini organizzativi ed economici, per far fronte alle lunghe code di cittadini che chiedevano e chiedono informazioni sulle modalità di calcolo e di versamento della nuova imposta; quando mancano solo due giorni feriali alla scadenza del 18 giugno, sono ancora molti i dubbi ed i quesiti che i contribuenti rivolgono agli sportelli IMU;
   il 18 giugno scadeva anche il termine per il versamento da parte delle persone fisiche e delle società di persone del saldo IRPEF e/o IRAP 2011 e dell'acconto, se dovuto, IRPEF e/o IRAP 2012; solo il 6 giugno, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il Governo ne ha stabilito la proroga al 9 luglio, senza alcuna maggiorazione;
   viste le grosse differenze della normativa IMU rispetto alla normativa ICI e il ritardo con cui il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato gli ultimi chiarimenti, si rende opportuno un rinvio del termine per il pagamento dell'acconto –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per prorogare, dopo quanto stabilito per il versamento IRPEF/IRAP, il termine per il versamento della prima rata dell'IMU, portando l'attuale scadenza del 18 giugno al 9 luglio 2012, senza maggiorazioni a carico dei contribuenti. (5-07070)


   BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è ormai prossimo il termine del 18 giugno 2012 entro il quale i cittadini italiani dovranno versare la prima rata dell'IMU 2012;
   risultano tuttavia innumerevoli casi di esenzione dal pagamento dell'IMU 2012, i quali rappresentano in molti ipotesi un vero e proprio privilegio in favore dei proprietari di diverse categorie di abitazioni, come risulta dal servizio «IMU in fumo» trasmesso nella puntata del 12 giugno 2012 della trasmissione Ballarò su Rai 3, nonché da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano del 3 giugno 2012 dal titolo «Più valgono, meno pagano: esentati 50 mila palazzi (Ruspoli, Torlonia). Nessuna tassa sugli edifici storici affittati a peso d'oro a Bulgari o Vuitton».
   in particolare, i proprietari di palazzi storici, pur incassando cifre stratosferiche per gli affitti di negozi locati ad importanti marchi o utilizzati direttamente nelle zone di pregio di Roma, ad esempio tra piazza di Spagna e dintorni, come pure in altri comuni, godono di un trattamento speciale e di privilegio;
   infatti, tali soggetti, dopo aver beneficiato per oltre venti anni della norma di cui all'articolo 11, comma 2, della legge n. 413 del 1991, finalmente abrogata dall'articolo 4, comma 5-quater, del decreto-legge n. 16 del 2012, ai sensi della quale, ai fini delle imposte sui redditi «il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo 3 della legge 1o giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l'applicazione della minore delle tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato», nonché dopo aver beneficiato della sostanziale esenzione dell'ICI, in forza dell'articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 1993, ora abrogato dall'articolo 4, comma 5-ter, del decreto-legge n. 16, secondo il quale la base imponibile ICI era determinata applicando «la tariffe d'estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato», godono tuttora di un trattamento privilegiato ai fini IMU, in quanto, in forza dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011, come recentemente modificato dall'articolo 4, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 16 del 2012, la base imponibile ai fini di tale imposta è ridotta del 50 per cento per tali fabbricati;
   per effetto del perpetuarsi di tale vera e propria sperequazione, i proprietari delle case più belle, importanti, preziose e storiche di Roma, Venezia, Milano, Firenze, pagano le stesse tasse dei cittadini proprietari di case di valore infimo; a causa di tale trattamento privilegiato, dopo l'introduzione dell'IMU, lo Stato continuerà a rinunciare, con insopportabile ingiustizia, ad un importante gettito fiscale, quantificabile in diverse centinaia di milioni, atteso che il patrimonio di immobili vincolati si aggirerebbe intorno alle 50.000 unità;
   con l'interrogazione a risposta immediata n. 5-06800, a firma del presentatore della presente interrogazione, svolta in Commissione finanze il 9 maggio 2012, era stato inoltre sollevato il caso degli immobili del fondo immobili pubblici (FIP), gestito da una società di gestione del risparmio collegata a banche, assicurazioni, finanziarie ed altri investitori nazionali ed esteri, che, pur intascando un fitto dallo Stato di circa 250 milioni di euro annui, ha goduto della totale esenzione dell'ICI, e sarà a sua volta esentata dal pagamento dell'IMU per tali immobili;
   analogamente, le 88 fondazioni bancarie italiane, pur vantando un patrimonio di circa 50 miliardi di euro, sono esonerate dall'IMU, perché, secondo il Governo, sono istituzioni no-profit, malgrado la Corte di Cassazione abbia stabilito il contrario nel 2009: pertanto, anche tali enti non pagheranno 1 euro di IMU, malgrado il loro patrimonio sia impiegato solo nella misura del 2 per cento per attività benefiche no-profit;
   a ciò si aggiunge che, in forza del dettato dell'articolo 91-bis, comma 2, del decreto-legge n. 1 del 2012, l'eliminazione dell'esenzione, già prevista per l'ICI in favore degli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici aventi finalità non esclusivamente commerciali, esplicherà i suoi effetti solo a partire dal 1o gennaio 2013, consentendo in tal modo a tali enti di non pagare l'IMU per il 2012;
   nell'attuale, gravissima fase di crisi, nella quale il Governo sta chiedendo pesantissimi sacrifici ai contribuenti onesti, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione, che già sono poste in una situazione di profonda difficoltà dalla negativa congiuntura economica, tali privilegi, già di per sé inaccettabili, risultano ancor più insopportabili;
   è dunque urgente che il Governo proceda ad una profonda revisione dei regimi di esenzione attualmente vigenti in materia –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di procedere, in tempi brevissimi, ad una complessiva rivisitazione del regime dell'IMU, che ha già mostrato notevoli elementi di criticità e di sperequazione, in primo luogo eliminando, già a partire dal 2012, le scandalose esenzioni richiamate in premessa, nonché al fine di disporre una proroga del termine attualmente fissato al 18 giugno 2012, per il versamento della prima rata dell'IMU. (5-07071)


   LO MONTE, ZELLER e BRUGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 5-quater, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento», convertito con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha disposto l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo cui il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico era determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale era situato l'immobile, a prescindere dall'eventuale locazione dello stesso;
   ai sensi del comma 5-sexies del medesimo articolo, a partire dal 2012, per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in modifica al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, la riduzione del reddito imponibile derivante dalla locazione degli stessi, ai fini IRPEF e IRES, è elevata eccezionalmente al 35 per cento, in deroga alla regola generale che prevede, per le altre tipologie di immobili, una riduzione del 15 per cento;
   nella disciplina in vigore fino al 2011, gli immobili storico-artistici godevano di importanti agevolazioni sia ai fini IRPEF, sia ai fini ICI, in quanto si applicava la normativa di favore connessa alla loro particolare natura e agli onerosi adempimenti per effetto dei vincoli previsti per i fabbricati dello stesso tipo destinati ad usi culturali, di cui all'articolo 5-bis del decreto del Presidente della Repubblica, n. 601 del 1973, mentre, a partire dal 1o gennaio 2012, essi sono stati retroattivamente assoggettati ad un regime d'imposta che poco si differenzia dal trattamento cui sono sottoposti immobili non aventi la medesima natura;
   l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», prevede che, in alternativa (facoltativa) rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate ad uso abitativo possa optare per il regime della cedolare secca;
   il comma 2 del medesimo articolo, in esplicazione del regime applicabile, prevede che, a decorrere dall'anno 2011, il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta, operata nella forma della cedolare secca, in ragione di un'aliquota del 21 per cento, sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali, delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione, nonché delle imposte di registro e di bollo sulla risoluzione e sulle proroghe del contratto di locazione;
   con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate del 7 aprile 2011, con riferimento alle modalità di esercizio dell'opzione per l'applicazione del regime della cedolare secca, veniva chiarito che essa poteva applicarsi, in regime transitorio e per il periodo d'imposta 2011, ai contratti in corso nell'anno 2011, anche con scadenza anteriore al 7 aprile, data di entrata in vigore del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ovvero oggetto di risoluzione volontaria prima della predetta data;
   da ultimo, con la circolare n. 20/E del 4 giugno 2012, l'Agenzia delle entrate, considerato il regime transitorio previsto dal provvedimento del 7 aprile 2011 di cui sopra, e con riguardo ai casi in cui il locatore può avvalersi della cedolare secca per l'annualità decorrente dal 2011 direttamente in sede di dichiarazione dei redditi da presentare nel 2012, ha ammesso, per i contratti di locazione in corso alla data del 7 aprile 2011 e aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione, la possibilità di una sanatoria dei comportamenti «irregolari» alla luce della disciplina vigente in materia –:
   se, per l'anno 2012, con riferimento alla tipologia di immobili classificati di interesse storico-artistico, sia possibile avvalersi, anche in caso di avvenuta registrazione del contratto di locazione, dell'opzione della cedolare secca, similmente a quanto disposto dal regime transitorio per il 2011 richiamato in precedenza o, in caso contrario, se il Governo intenda assumere iniziative per modificare la normativa in vigore al fine di consentire l'esercizio dell'opzione in questione, eliminando così una palese disparità di trattamento. (5-07072)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BITONCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione del decreto-legge n. 201 del 2011, è stato anticipata al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), prevista dal decreto legislativo n. 23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale» e che rivede numerosi aspetti dell'imposta medesima, a partire dal fatto che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale viene destinato allo Stato riconoscendo la possibilità per il comune di modificare, in aumento o in diminuzione ed entro un determinato intervallo, le aliquote base fissate dal decreto, sia per quanto riguarda la prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione, dal momento che viene previsto che vengano ridotte in misura proporzionale le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio (Fsr) e destinate al singolo ente, qualora quest'ultimo incassi dall'applicazione dell'IMU un gettito maggiore rispetto a quanto introitato dall'ICI del 2010;
   a seguito delle recenti modifiche apportate all'imposta e contenute all'interno del decreto-legge n. 16 del 2012, oggi i comuni, in fase di predisposizione dei bilanci previsionali per l'esercizio 2012, da approvarsi entro il 30 giugno, iscrivono a bilancio il gettito derivante dall'applicazione dell'IMU ad aliquote ordinarie sulla base dei valori stimati dal Ministero dell'interno;
   in numerosissimi casi, la differenza tra il gettito atteso dallo Stato e quello stimato dai comuni che avevano già predisposto le proprie proiezioni, è estremamente elevato da apparire ingiustificato anche in considerazione del fatto che le previsioni di entrata imputabili all'IMU e stimate dalle amministrazioni comunali sono molto affidabili e concrete, così che sarebbe necessario conoscere con quali criteri e parametri il Ministero abbia elaborato i dati relativi all'IMU sui quali gli enti locali dovrebbero basare le proprie entrate a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio (Fsr);
   il portale web dell'IFEL, Istituto per la finanza e l'economia locale, ha pubblicato i primi dati sull'ammontare del Fsr che nel complesso ammonterà a 6,8 miliardi di euro, con una riduzione di 4,2 miliardi di euro rispetto all'ammontare del fondo nel 2011 a causa della compensazione dell'IMU definita dall'articolo 13, comma 17, del medesimo decreto-legge n. 201 del 2011;
   la pubblicazione dei dati evidenzia come in numerosi casi le risorse del Fsr destinate a ciascun ente risultano significativamente ridotte rispetto all'anno precedente e tale diminuzione sarebbe dovuta principalmente proprio alla variazione compensativa dell'IMU e derivante dal gettito atteso dal Ministero dell'economia e delle finanze dall'applicazione dell'imposta municipale propria;
   il rischio è pertanto che, di fronte di un taglio così incisivo al Fsr da parte dello Stato, i comuni non siano in grado di recuperare il gettito IMU previsto dal Ministero, con evidenti problemi di liquidità per gli enti locali e con la sola facoltà, al fine di garantire una maggiore attendibilità delle previsioni di bilancio ed ottenute sulla base del gettito effettivo di giugno, di rivedere le aliquote e le detrazioni dell'imposta entro il 30 settembre 2012;
   gli stessi enti, proprio in ragione del fatto che il gettito IMU è incerto, non sono nelle condizioni di predisporre i bilanci preventivi 2012, anche a causa delle continue modifiche normative che mutano un quadro già complesso, e il fatto che la normativa vigente consenta agli enti locali di intervenire anche successivamente al 30 giugno per modificare le aliquote dell'imposta sulla base del gettito derivante dalla prima rata della medesima imposta, certifica chiaramente come anche il Governo dubiti delle proprie stime relative al gettito dell'IMU;
   alla parte II del testo unico degli enti locali, all'articolo 162, viene previsto che gli enti locali deliberino annualmente il bilancio di previsione finanziario, osservando i principi di veridicità ed attendibilità, intendendo con il primo la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, mentre viene definito attendibile un dato contabile scevro da errori o distorsioni, così che le previsioni di bilancio devono essere sostenute da accurate analisi storiche o da idonei parametri di riferimento –:
   quali siano, alla luce del fatto che in numerosi casi le stime di gettito IMU del Ministero appaiono all'interrogante eccessive e quindi quasi certamente errate, le responsabilità per il sindaco e i consiglieri comunali che approvano un bilancio previsionale le cui voci dell'IMU sono palesemente non attendibili e non veritiere. (4-16564)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la scelta politica di alienare gli immobili degli enti previdenziali è stata compiuta dal legislatore con il decreto legislativo 16 febbraio 1996, n. 104, essenzialmente per motivi di risanamelo della finanza pubblica, anche in considerazione della scarsa redditività degli immobili degli enti, affittati ad equo canone e gravati da ingenti costi di manutenzione;
   il decreto legislativo n. 104 del 16 febbraio 1996 e il decreto-legge n. 351 del 25 settembre 2001, convertito nella legge n. 410 del 23 novembre 2001, hanno modificato il destino del patrimonio immobiliare dell'Inpdap, così come è avvenuto per gli altri enti previdenziali. I profondi cambiamenti sono stati legati all'avvio delle procedure di dismissione con la cosiddetta «cartolarizzazione» dei proventi derivanti dalla vendita degli immobili in questione;
   a partire dalla fine del 2001, ai sensi del decreto-legge n. 351 del 25 settembre 2001, convertito con modificazioni nella legge 23 novembre 2001, n. 410, tramite le operazioni SCIP 1 e SCIP 2 sono state cedute, dagli enti previdenziali e dallo Stato, oltre 90.000 unità immobiliari, di cui circa l'85 per cento ad uso residenziale e circa il 15 per cento ad uso commerciale;
   l'articolo 43-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante «Interventi nelle operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici» convertito con legge 27 febbraio 2009, n. 14, ha disposto, a decorrere dal 1o marzo 2009, il trasferimento della titolarità degli immobili cartolarizzati agli enti previdenziali originariamente proprietari ed il contestuale subentro in tutti i rapporti, anche processuali, attinenti alle procedure di vendita relative agli immobili trasferiti;
   con la suddetta disposizione legislativa sono state confermate le tutele e le garanzie vigenti per i conduttori, in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge 410 del 2001;
   il decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, ha però altresì stabilito ai sensi dell'articolo 43-bis, comma 4, che la determinazione del valore degli immobili è effettuata dall'Agenzia del territorio, entro il 20 marzo 2009, sulla base delle liste contenenti gli elementi identificativi degli immobili in possesso della SCIP, secondo quanto previsto dal comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410;
   da un comunicato stampa congiunto tra l'Agenzia del territorio e l'Inpdap in data 10 giugno 2010, si desume che è stata firmata una convenzione triennale per l'avvio di attività congiunte, finalizzate alla dismissione del patrimonio immobiliare dell'INPDAP, su tutto il territorio nazionale. In funzione di questo accordo di collaborazione, l'INPDAP si avvarrà degli archivi informatizzati catastali per la ricognizione dell'intero patrimonio immobiliare, fornendo all'Agenzia del territorio tutte le informazioni utili per le stime che dovranno essere effettuate sugli immobili oggetto di vendita o di locazione;
   a circa due anni della suddetta reimmissione in possesso, il processo di alienazione non è ripreso, determinando una situazione di grave inquietudine e disagio tra i conduttori degli alloggi medesimi, l'INPDAP non può procedere alla vendita degli immobili in quanto non risulta ad avviso dell'interrogante essere mai stato rivalutato il prezzo degli stessi da parte dell'Agenzia del territorio, cosa che ha bloccato la possibilità da parte degli inquilini SCIP di acquistare la propria abitazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei risultati raggiunti a seguito della convenzione triennale citata in premessa in merito alla procedura di rivalutazione degli immobili;
   se il Governo non intenda intervenire presso gli enti previdenziali pubblici, nell'ambito delle proprie competenze, affinché il processo di alienazione a favore dei conduttori riprenda tempestivamente, mantenendo inalterate le tutele e le garanzie previste dalla legge, in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 2001, confermate dall'articolo 43-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207. (4-16565)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Guardia di finanza si è distinta in questi ultimi anni per straordinarie capacità investigative nei più moderni contesti in cui gli strumenti tecnologici sono il mezzo con cui compiere un reato o il contesto in cui le condotte criminali hanno luogo e trovano terreno fertile;
   il merito è da attribuire alla progressiva affermazione del gruppo anticrimine tecnologico (GAT) divenuto poi nucleo speciale frodi telematiche, reparto resosi protagonista di successi operativi considerati vere e proprie pietre miliari nel contrasto ai reati informatici (tra questi risultati spicca la condanna in via definitiva degli hacker entrati abusivamente nei sistemi informatici del Pentagono, della NASA, di Governi stranieri, del Senato e di dicasteri ed enti italiani);
   tra i più importanti traguardi raggiunti ci sono: l'Operazione «Macchianera», su delega della procura della Repubblica di Castrovillari, che ha portato già nel 2005 alla scoperta di centinaia di false posizioni previdenziali create attraverso l'uso fraudolento del sistema informatico dell'INPS (matrice investigativa complessa diventata uno standard riutilizzato in altre indagini anche recentemente); l'Operazione «Stamina RX», che ha coinvolto 10, procure della Repubblica sull'intero territorio, nel 2006 ha sgominato un'organizzazione che commercializzava via internet farmaci pericolosi per la salute; l'operazione «Pentathlon», su delega della procura di Napoli, che ha portato all'arresto del primo «ladro seriale» di identità, reo di aver rubato ed utilizzato illegalmente i dati di migliaia di avvocati; l'operazione «Carta da pacchi», su delega della procura di Roma, che ha smascherato una banda che offriva l'opportunità di pagare bollette e cartelle esattoriali con sconti significativi, provvedendo in realtà a migliaia di operazioni con carte di credito rubate o clonate; l'operazione «SIM è Napule», su delega della Procura della Repubblica (DDA) di Napoli, con decine di arresti, che ha consentito di individuare le dinamiche di attivazione di decine di migliaia di SIM telefoniche a nome di soggetti inesistenti o inconsapevoli (con vantaggi commerciali per gli operatori del settore), nonché di delineare lo spiccato interesse e di scoprire le pericolose infiltrazioni del crimine organizzato nel comparto delle telecomunicazioni; l'indagine (tutt'ora in corso per conto della procura della Repubblica di Roma) sulle procedure informatiche utilizzate dal comune di Roma per il trattamento delle pratiche di condono edilizio, accertando gravissime irregolarità da parte dell'ente pubblico e delle società incaricate in outsourcing con enorme pregiudizio erariale; l'indagine svolta su delega della Procura della Corte dei conti del Lazio e durata circa 3 anni, che ha portato all'individuazione di incredibili irregolarità nel contesto del cosiddetto «gioco legale» delle slot-machine installate negli esercizi pubblici di tutta Italia; all'originario addebito di diverse decine di miliardi di euro di penali contrattuali non applicate dai Monopoli di Stato; alla revisione normativa e ad altri interventi irrituali per la riduzione dell'importo dovuto dai responsabili (Monopoli e società concessionarie); alla condanna al pagamento di 2 miliardi e 500 milioni di euro, somma immediatamente messa a bilancio dello Stato; la scoperta di falle nel sistema telematico della borsa Italiana, l'individuazione del primo caso mondiale di furto di identità compiuto con tanto di firma digitale, l'identificazione dei responsabili di minacce ed estorsioni via internet a decine di personaggi politici o pubblici, e numerosi altri servizi che hanno meritato l'attenzione della carta stampata e dei mezzi di informazione radiotelevisiva;
   l'ideazione, la progettazione, la creazione, la gestione, la crescita e l'attuale eccellenza del nucleo speciale è opera del colonnello Umberto Rapetto, ufficiale particolarmente versatile che ha consentito il soddisfacente percorso evolutivo offrendo con grande generosità e spirito di sacrificio la massima competenza e il più trascinante entusiasmo;
   il colonnello Rapetto, negli anni, per la sua professionalità: si è guadagnato una posizione di spicco a livello internazionale come esperto di lotta al cyber crime e di sicurezza informatica, tematiche di estrema attualità ma soprattutto settori in cui le più importanti nazioni stanno investendo nella consapevolezza dei rischi correlati; è ritenuto interlocutore ideale di moltissime procure della Repubblica, che riconoscono in lui la persona cui affidare gli incarichi più delicati o con cui confrontarsi per le più difficili questioni metodologiche di investigazione (come recentemente dimostrato dalla assegnazione delle operazioni tecniche per l'esame della scatola nera e dei computer bordo della nave Costa Concordia);
   in ragione degli ordinari criteri di rotazione del personale, e quindi senza tenere assolutamente conto della particolarità della situazione, il colonnello Rapetto – su cui poggia il brillante funzionamento del nucleo speciale – è stato trasferito (con decorrenza ancora da definirsi ma presumibile nel settembre 2012) alla frequenza di un corso di formazione al Centro alti studi difesa (realtà dove paradossalmente Rapetto da oltre 15 anni è invitato a tenere attività di docenza);
   la sostituzione del colonnello Rapetto ha immediatamente reso necessaria l'assegnazione di ben 6 ufficiali, tra cui un colonnello, due tenenti colonnelli, due capitani prossimi ad indossare il nuovo grado di maggiore, un sottotenente, con evidenti oneri di trasferimento (spese di trasloco, licenze e conseguente mancato impiego per 20 giorni per ciascun ufficiale proveniente da fuori Roma, indennità biennale per il raggiungimento della nuova sede);
   quattro dei sei nuovi ufficiali sono privi di specifica competenza professionale nel settore e la circostanza non può non riflettersi negativamente in un contesto di altissima specializzazione in cui gli stessi saranno chiamati a dare ordini ed impartire disposizioni anche dinanzi a fattispecie di estremo tecnicismo;
   il colonnello Rapetto ha chiesto – nel rispetto delle disposizioni vigenti – di conferire con il comandante generale per motivi di servizio e la sua istanza è stata respinta dalla linea gerarchica intermedia in palese violazione dell'articolo 39 del regolamento di disciplina militare (di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1986, n. 545) che al comma 3 prevede che la richiesta sia «trasmessa con la massima sollecitudine» e al comma 4 precisa in maniera inequivoca che «Il superiore che la inoltra, nel caso si tratti di questioni di servizio, deve esprimere il proprio motivato parere in merito all'oggetto della richiesta» –:
   se i Ministri siano conoscenza dei fatti sopra riportati;
   quali risultino essere i motivi per cui il colonnello Rapetto sia stato destinato ad un incarico diverso senza prevedere la formazione di un altro ufficiale cui far acquisire competenze ed esperienze per la guida di un così delicato nucleo speciale;
   se si sia tenuto conto che uno dei neo-assegnati capitani, che già ha lavorato al nucleo speciale, manca da tale reparto da sei anni, durante i quali si è occupato di logistica e non di indagini informatiche, arco di tempo in cui lo scenario tecnologico e il suo corrispondente investigativo sono stati caratterizzati da un'evoluzione che polverizza il know how di chi non ha continuato a lavorare nello specifico ambito;
   se sia noto che uno dei due tenenti colonnello appena assegnato, ha passato un solo anno al nucleo speciale e non risulti abbia mai avuto né acquisito competenze tecnologiche adeguate;
   per quali ragioni risulti che non sia stata presa in considerazione la proposta di promozione per meriti eccezionali di servizio formulata dal procuratore della Corte dei conti, dottor Ribaudo, che avrebbe premiato Rapetto e i suoi collaboratori per lo straordinario esito delle indagini svolte sulle slot machine;
   per quale motivo l'ufficiale in questione sia definitivamente congedato nel grado di colonnello e continui ad esser valutato, in sede di avanzamento al grado superiore, in possesso di «buone» qualità intellettuali mentre lo stesso è unanimemente considerato un brillante comunicatore, un valido collaboratore di quotidiani e periodici, un apprezzato autore di decine di libri e manuali, un efficace docente e conferenziere. (4-16574)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   MEREU, COMPAGNON e LUSETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, a causa della mancanza di fondi per il 2013 sarebbero a rischio i collegamenti regionali;
   per quanto riguarda il servizio regionale, Ferrovie dello Stato ha comunicato che i ricavi per passeggero/chilometro ammontano in Italia a 10,8 centesimi (contro i 17,2 del trasporto su gomma) mentre in Germania e Francia ammonterebbero rispettivamente a 20 e 22 centesimi;
   si tratta di un problema che riguarda tutta l'Italia ma che riveste un problema particolare per la Sardegna che, per conformazione geografica, possiede molte zone interne isolate;
   inoltre, se i tagli fossero confermati si porrebbe anche il problema occupazionale, con circa 700 persone (tra Trenitalia e Rfi) che si troverebbero senza lavoro;
   ad aggravare la situazione in Sardegna, si registra anche l'assenza di un contratto di servizio che possa consentire alla regione di sanzionare le mancanze di Trenitalia –:
   quali iniziative per quanto di competenza intenda adottare al fine di scongiurare il rischio del blocco dei collegamenti ferroviari nel Paese in generale ed in Sardegna in particolare, atteso che il servizio di trasporto svolge una funzione sociale e si configura come un servizio essenziale e che pertanto non può essere gestito unicamente in funzione del parametro «ricavi per passeggero/chilometro» e se non ritenga altresì inopportune le dichiarazioni dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato sul taglio dei collegamenti in un momento di grave incertezza e difficoltà economica per i cittadini, quale quello che si sta vivendo. (5-07066)


   LOVELLI e META. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa riportano le dichiarazioni dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, rilasciate nel corso di un convegno dedicato al trasporto pubblico locale, svoltosi lo scorso 11 giugno presso l'università Bocconi di Milano;
   secondo quanto dichiarato da Mauro Moretti, a partire dal 2013, le regioni italiane rischierebbero di subire un ulteriore taglio al trasporto pubblico su rotaia a causa della mancanza di fondi. Moretti nel corso del suo intervento ha, infatti, ammonito: «Se non verranno aumentate le tariffe o i contributi statali sarà difficile dal 2013 per Ferrovie dello Stato garantire il servizio» ... «Se non ci sono i soldi noi non possiamo ricapitalizzare, possiamo solo interrompere il servizio, cosa che comporta una denuncia penale. Ci denuncino pure e poi vediamo cosa succede»;
   il decreto-legge n. 78 del 2010, ha ridotto drasticamente i trasferimenti alle regioni per il trasporto pubblico locale, per complessivi 1.625 milioni, di cui 1.181 milioni destinati al servizio ferroviario svolto da Trenitalia, 148 milioni per l'Iva sui contratti di servizio ferroviari, 42 milioni del fondo manutenzione ferrovie regionali, 94 milioni relativi all'annualità 2011 del fondo materiale rotabile, e 160 milioni destinati al fondo sostituzione bus;
   a seguito dell'accordo Governo-regioni del dicembre 2010, a ristoro ed integrazione dei citati tagli sono stati assegnati 1272 milioni di euro a Trenitalia per il solo anno 2011;
   i fondi destinati al contratto di servizio con Trenitalia sarebbero stati, pertanto, ripristinati per l'intero ammontare, più un ulteriore integrazione di 91 milioni di euro per il solo anno 2011;
   il trasporto pubblico locale – per i fondi assegnati alle regioni – avrebbe invece subito un netto taglio non inferiore al 22 per cento;
   i fondi per il trasporto pubblico locale risultano però ripartiti ed erogati alle regioni solo in minima parte – 372 milioni ad ottobre 2011 – e, successivamente, 400 milioni a fine ottobre; in attesa di dare piena applicazione al citato accordo, alcune regioni, per garantire il servizio, hanno anticipato a Trenitalia risorse proprie, anche in considerazione che delle annualità 2009-2011 risultano erogate solo una delle tre previste;
   nel marzo 2012, sulla base dell'accordo del 16 dicembre 2010, la Conferenza delle regioni ha chiesto e ottenuto dal Governo lo sblocco dei 425 milioni delle risorse 2011 per Trenitalia, da ripartire tra le medesime regioni secondo criteri di premialità;
   ad oggi, il contributo statale per il trasporto pubblico locale risulta essere di 1,2 miliardi di euro rispetto agli 1,6 miliardi previsti per il 2012. Per il pregresso mancherebbero quindi 400 milioni;
   il trasporto ferroviario ha registrato un grave taglio dell'offerta dei servizi a fronte di un rincaro delle tariffe – in alcune regioni anche con aumenti straordinari del 20-25 per cento – e di una drastica riduzione degli addetti;
   il ridimensionamento del servizio di trasporto ferroviario regionale o l'ulteriore incremento delle tariffe, prefigurati dall'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, rappresentano una grave minaccia al diritto universale dei cittadini alla mobilità con ricadute drammatiche sulla tenuta del tessuto economico e sociale italiano. Inoltre, un simile scenario potrebbe avere gravi conseguenze occupazionali, correlate all'esubero di migliaia di dipendenti del comparto, oltre che ricadute preoccupanti legate alla sicurezza dei passeggeri, per la riduzione della manutenzione e degli investimenti sul materiale rotabile –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla gravi dichiarazioni dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti – esposte in premessa –, che prospettano l'interruzione del servizio di trasporto locale a partire dal 2013, e se non ritenga di assumere iniziative urgenti per assicurare che i collegamenti ferroviari regionali continuino ad essere regolarmente prestati, con continuità, qualità e a prezzi accessibili per l'intera cittadinanza. (5-07067)


   MONAI, PIFFARI e CIMADORO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la convenzione firmata in data 2 novembre 1999 (ratificate rispettivamente il 21 novembre 2000 e il 17 maggio 2001) il dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni della Confederazione svizzera e il Ministero dei trasporti e della navigazione della Repubblica italiana, si impegnavano rispettivamente a garantire la capacità delle principali linee che collegano la ferrovia transalpina svizzera (NFTA) alla rete italiana ad alta capacità (RAC);
   in esecuzione della Convenzione sovracitata, nell'anno 2003 veniva elaborato il progetto infrastrutturale di trasporto, condiviso dal Canton Ticino, dalla regione Lombardia, dalla società Rete ferroviaria italiana e dalle Ferrovie federali svizzere destinato ad implementare la capacità ferroviaria sulla linea tra Varese e la città svizzera di Mendrisio;
   la ferrovia Mendrisio-Varese in costruzione fra Stabio, in Svizzera, ed Arcisate, sulla ferrovia Porto Ceresio-Varese. È nota anche col nome delle due città più vicine in quanto il progetto intende rafforzarne il collegamento. Stando ai progetti preliminari la linea sarà destinata al traffico passeggeri, con due tipi di servizio:
    quello regionale, espletato tra le stazioni di Varese, Mendrisio (S50) e Como (S40);
    quello diretto fra Lugano e l'aeroporto di Milano-Malpensa;
   oltre al tronco in costruzione è previsto il raddoppio della tratta ferroviaria già esistente fra Stabio e Mendrisio, attualmente adibita al solo trasporto di merci, e di quella fra Induno Olona e Arcisate, facente parte della Porto Ceresio-Varese, il valico di confine sarà posto presso il Gaggiolo, nel comune di Cantello;
   Italia e Svizzera hanno firmato a Briga (Svizzera) nell'anno 2007 un importante accordo per la realizzazione della nuova Ferroviaria Mendrisio-Varese. La linea di 17,7 chilometri, di cui 6,5 in territorio svizzero, secondo le stime doveva essere ultimata entro il 2013. Il tratto di 11,2 chilometri tra Varese e la frontiera con la Svizzera rimaneva in capo alla Repubblica Italiana;
   con il decreto-legge n. 159 del 2007 con a capo del Ministero delle infrastrutture pro tempore è dato copertura del fabbisogno finanziario all'opera e precisamente con euro 217.980.000 così come confermato dalla delibera CIPE n. 7 del 2008;
   con la legge n. 69 del 30 aprile 2010, avveniva la ratifica ed esecuzione dell'accordo tra il Governo dello Repubblica italiana e il Consiglio federale svizzero per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Mendrisio-Varese, fatto a Roma il 20 ottobre 2008. (10G0092) (Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2010);
   a norma dell'articolo 4 della sovracitata legge: «Obblighi dei Gestori dell'infrastruttura»: «I Gestori dell'infrastruttura ferroviaria italiano e svizzero concordano in apposite convenzioni le attività necessarie alla realizzazione del collegamento, l'applicazione delle condizioni di esercizio e la prestazione di servizi che possono essere forniti reciprocamente in sinergia e trasmettono per conoscenza i relativi accordi ai rispettivi Governi, In queste convenzioni sono altresì definite le attività relative all'esercizio ferroviario (gestione e pianificazione), alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell'infrastruttura ferroviaria, alla fornitura di energia elettrica ed ai certificati di sicurezza, tutte finalizzate a consentire uno gestione efficace ed in qualità della linea, sviluppando ogni sinergia possibile fra i Gestori dell'infrastruttura stessi anche per quanto riguarda le attività di progettazione delle opere e degli impianti in ottica di interoperabilità. Per le opere impiantistiche transfrontaliere, i Gestori dell'infrastruttura riferiranno al Gruppo di Lavoro Misto la quantificazione economica delle soluzioni tecniche condivise, ai fine dì consentire la definizione della ripartizione degli oneri di realizzazione. I Gestori dell'infrastruttura ferroviaria italiano e svizzero informano periodicamente il Gruppo di Lavoro Misto di cui all'articolo 3 circa lo stato di avanzamento dei lavori per raggiungere gli obiettivi dei presente Accordo»;
   si è appreso da un articolo pubblicato sul sito internet insubria.com in data 9 aprile 2012 che sussistono gravi dissapori fra il committente Ferrovie italiane e impresa costruttrice consorzio Ics, e che questi contrasti si erano già manifestati l'autunno scorso determinando l'interruzione dei lavori. Del contenuto dell'articolo si apprende altresì del rischio di rottura del contratto. Un'ipotesi, che se dovesse concretizzarsi, costringerebbe RFI (la rete ferroviaria italiana) a interrompere i lavori e indire un nuovo bando di concorso;
   si è appreso da un articolo pubblicato sul sito internet Virgilionews.it del 10 aprile 2004 che sussiste un serio ritardo nell'avanzamento dei lavori. Secondo quanto dichiarato dal titolare del dipartimento cantonale territorio Marco Borradori, pare ormai certo un deciso slittamento nelle tempistiche di realizzazione del raccordo Arcisate-Stabio, pensato per collegare la linea Varese-P.to Ceresio con il tronco ferroviario Stabio-Mendrisio. Un problema non da poco per il Governo elvetico, che aveva individuato proprio in quest'opera lo strumento attraverso il quale inserire il Canton Ticino «nella partita» dell'Expo. Sempre da quanto si apprende dall'articolo sovracitato, a ritardare il cronoprogramma è una questione che interessa il settore italiano: la causa in corso sul versante varesino tra Ferrovie Italiane e consorzio Ics (Ingegner Carlo Salini), la stessa azienda che sul lato svizzero sta portando avanti i lavori in ordine al programma;
   si è altresì appreso da un breve articolo pubblicato sul sito web del Corriere del ticino (.cdt.ch) in data 28 maggio 2012 che: «Mentre sull'altro lato del confine Raffaele Cattaneo, assessore della Regione Lombardia alle infrastrutture e alla mobilità, nonostante controversie e imprevisti continua a garantire che la parte italiana della ferrovia Mendrisio-Varese (FMV) sarà completata nella prima metà del 2014 e che entra la fine del medesimo anno la stessa sarà pronta per la messa in esercizio, sul versante ticinese i lavori, come dimostrano gli otto cantieri attualmente aperti, proseguono a ritmo serrato senza grandi proclami. Come hanno potuto verificare coi loro occhi numerosi visitatori accorsi, il 25 e il 26 maggio, alla due giorni di porte aperte al cantiere Ligornetto-Zona Valera, le ferrovie federali svizzere hanno fondati motivi per segnalare la prima metà del 2014 quale periodo di consegna dell'opera in territorio elvetico. In Italia, stando alla documentazione più recente fornita alle FFS, la fine dei lavori è indicata diversi mesi dopo, all'inizio del 2015. Ciò che fa prevedere per il marzo del 2015 la messa in esercizio tecnica del tracciato ferroviario, mentre il via ai collegamenti per il traffico passeggeri non può ancora essere fissato» –:
   quali azioni intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, affinché venga fornita adeguata garanzia sul completamento dei lavori nei termini del cronoprogramma aggiornato dalle autorità competenti.
(5-07068)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAVINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 7 giugno 2012, a Conversano in provincia di Bari, sono crollate due palazzine provocando la morte di tre persone, tra cui un bimbo di 18 mesi;
   il crollo sembra che sia stato preceduto da una forte deflagrazione all'interno di un'abitazione di una delle due palazzine e che sia stato provocato da una fuga di gas, più precisamente, dell'esplosione di una bombola di gpl;
   le tre persone decedute (italo-olandesi), erano giunte a Conversano da due giorni per trascorrere le vacanze: il padre, Bernardo Vitto, 32 anni, originario di Conversano, la madre olandese Welmoed Schotanus e il figlioletto di 18 mesi, Giannangelo;
   nella zona interessata sono state subito avviate verifiche statiche delle strutture degli edifici limitrofi e, nella notte seguente il crollo, 22 persone, per motivi di sicurezza, hanno dormito fuori casa ospitati da familiari o in strutture alberghiere;
   il sindaco di Conversano la mattina seguente la tragedia ha convocato una riunione al palazzo di città nel corso della quale si è discusso dell'eventualità di abbattere gli immobili limitrofi alle palazzine crollate che sono stati gravemente danneggiati e della possibilità di riattivare in alcune zone del centro storico la rete di gas cittadino;
   sembrerebbero essere un centinaio le abitazioni, compresi tre bed and breakfast pieni di turisti, un pub e un albergo, rimaste senza gas metano. Le strutture ricettive, per garantire l'acqua calda ai propri ospiti in vacanza hanno dovuto installare provvisoriamente degli scaldabagni elettrici;
   alcune notizie di stampa (la Gazzetta del mezzogiorno – 10 giugno 2012) riportano che la squadra dei tecnici della G6 Suez rete gas, società che gestisce la rete cittadina, coordinata dal responsabile tecnico starebbe progettando un intervento (tecnicamente definito «bypass») che consenta l'isolamento del contatore coinvolto nel crollo e ubicato sotto le macerie (il punto esatto è in cala Signorella, davanti l'abitazione inagibile e a rischio crollo);
   l'esito dei sopralluoghi e delle verifiche statiche hanno confermato che le abitazioni inagibili sono sette mentre quelle sotto osservazione sono undici; gli edifici a rischio crollo sembrerebbero essere due e dunque non è azzardato ipotizzare la loro demolizione;
   a giudizio dell'interrogante, occorre, in considerazione di quanto suesposto, prevedere l'avvio di una seria e profonda riflessione sulle cause di questi tragici eventi, sia in termini di interventi di prevenzione, che della messa in sicurezza e manutenzione degli edifici e degli impianti –:
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative urgenti e necessarie intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di accrescere e migliorare i livelli di sicurezza nell'ambito dell'edilizia abitativa residenziale del nostro Paese ed evitare il ripetersi di tragedie come quella avvenuta nella città di Conversano. (4-16557)


   GNECCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base alle norme dello statuto di autonomia, i servizi pubblici, ivi compresa Trenitalia, in Trentino-Alto Adige garantiscono un servizio bilingue sul territorio che, purtroppo, per le riorganizzazioni aziendali rischia di essere messo in discussione per la riduzione dei servizi affidati al personale assunto in provincia con i requisiti particolari e specifici legati al territorio della provincia autonoma di Bolzano;
   il personale addetto al trasporto ferroviario della divisione passeggeri nazionale/internazionale di Trenitalia, relativo al presidio di Bolzano, sta vivendo un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro con grandi incertezze riguardo al proprio futuro lavorativo;
   in particolare, il personale addetto a tale servizio, di macchina e di bordo, operante in Alto Adige, fino a poco tempo fa dedito ad un'attività lavorativa intensa, si è visto sottrarre un'importante parte di lavoro in quanto, in relazione, ad esempio, ai treni euro-city, nonché ai treni d'agenzia «auto-zug», la gestione della divisione passeggeri è stata affidata ad altre imprese ferroviarie;
   tali imprese tendenzialmente non impiegano personale del territorio altoatesino;
   a tale situazione ha fatto inoltre seguito la soppressione di numerose relazioni soprattutto verso il Meridione che, oltre a rappresentare l'ennesimo caso di sottrazione di lavoro ai danni dei lavoratori del servizio, ha anche determinato rilevanti disagi per i cittadini del territorio che, come riportato recentemente dalla stampa locale, sono stati privati di un servizio importante per la collettività;
   attualmente, quindi, al personale altoatesino vengono assegnati pochissimi servizi; tale situazione rende l'impianto di Bolzano improduttivo e a rischio chiusura, nonostante il personale ivi operante sia altamente professionalizzato ed abbia sempre svolto in maniera egregia il proprio lavoro;
   peraltro, i treni appartenenti al servizio Frecciargento, sostenuti economicamente dalla provincia di Bolzano, sono serviti da personale di altri impianti, quali ad esempio quello di Roma o Bologna, e non da personale locale, assolutamente in grado di operare nel servizio, in quanto, oltre ad essere bilingue, è anche già in possesso di specifica abilitazione (ETR 460 -ETR 480-ETR 600);
   il personale di bordo e di macchina è in possesso delle necessarie abilitazioni per operare anche in servizi della divisione relativa al trasporto regionale e ben potrebbe quindi essere impiegato in tale divisione, sopperendo ad eventuali carenze –:
   di quali informazioni disponga il Ministro sui fatti di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare, e in quali tempi, per risolvere la grave situazione illustrata e, in particolare, per restituire dignità e certezze ai lavoratori altoatesini, di fatto estromessi dalla propria attività lavorativa. (4-16562)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICIERNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si evince da una video-inchiesta del quotidiano La Repubblica pubblicata l'11 giugno 2012 al Centro di identificazione ed espulsione di Milo, Trapani, sarebbero stati perpetrati gravissimi atti di violenza e minacce ai danni degli ospiti della struttura;
   da un video girato dagli stessi immigrati ospiti nel Centro di identificazione ed espulsione di Trapani, sfuggito alla censura degli operatori che danneggerebbero scientemente le fotocamere dei telefoni cellulari al fine di impedire le riprese di quanto accade all'interno della struttura, si vedono chiaramente operatori del centro sedare una rivolta mediante l'utilizzo improprio di idranti;
   la persona che ha girato il filmato, utilizzato da La Repubblica per documentare quanto accade nel Centro di identificazione ed espulsione di Milo, non più ospite del centro, ha voluto denunciare che la rivolta sarebbe stata conseguenza diretta del ferimento di un ragazzo ad un occhio con un colpo di manganello, fatto ampiamente documentato nel video;
   sebbene quello di Milo sia un Centro di identificazione ed espulsione moderno, aperto nel luglio 2011, e che avrebbe dovuto essere una struttura modello, esso non è nuovo ad episodi del genere. Difatti, i giornalisti de La Repubblica riferiscono di essere entrati più volte nel centro e di aver riscontrato le stesse condizioni, con rivolte sempre più frequenti;
   vi sarebbero persone percosse con manganelli, minacciate e colpite da forti getti di idrante: queste sembrerebbero essere le condizioni quotidiane cui sono sottoposti i cosiddetti «ospiti» del Centro di identificazione ed espulsione, costretti a dormire su materassi adagiati sul pavimento delle camerate, dove sono continue le perquisizioni, e a mangiare per terra, in quanto le mense non verrebbero aperte per il possibile rischio di rivolte. Intanto nel Centro di identificazione ed espulsione di Trapani sarebbero in crescita i casi di autolesionismo, arrivati a circa 15 al mese;
   le dinamiche che si innescano in queste strutture sono una spirale di violenza, rivolte, tentativi di fuga e autolesionismo, frutto anche del modo stesso in cui sono concepiti questi centri: i Centri di identificazione ed espulsione ad avviso dell'interrogante sono di fatto «prigioni amministrative», in cui gli «ospiti» sono detenuti fino a diciotto mesi, non per aver commesso un reato ma, semmai, per un illecito amministrativo, in quanto non in possesso di un regolare permesso di soggiorno sul territorio italiano. La maggior parte degli immigrati ospiti della struttura esce dal Centro di identificazione ed espulsione senza essere espulso per scadenza dei termini con un semplice foglio di via;
   nel Centro di identificazione ed espulsione di Milo a Trapani ci sarebbero persone, anche anziane, che vivono stabilmente in Italia da anni, che non hanno più un paese d'origine, e alcune addirittura sposate con cittadini europei –:
   quali iniziative intenda assumere per far piena luce sui fatti di cui in premessa, e se ritenga opportuno avviare, per quanto di sua competenza, le opportune procedure di verifica e di ispezione nei centri di identificazione ed espulsione presenti su tutto il territorio nazionale al fine di verificare le condizioni di fatto cui sono sottoposti gli ospiti di tali strutture. (5-07073)


   MURER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sisma che sta interessando da settimane l'Emilia Romagna semina paura, dolore, disagi tra la popolazione, le attività produttive, i lavoratori, sovvertendo l'intero impianto della vita civile ed economica della comunità;
   il prezzo pagato da imprese e lavoratori sembra, in questi giorni, quello più alto; molte delle vittime erano operai al lavoro nei capannoni industriali; tra questi, anche alcuni immigrati, che, come gli imprenditori e gli operai, hanno perso la vita per paura di perdere attività, mercato e lavoro in un momento di dura crisi internazionale;
   se la crisi economica, insieme agli ingenti danni da terremoto, per gli italiani si traducono in un oggettivo disastro, per i lavoratori migranti, al danno rischia di aggiungersi la beffa, dal momento che il sisma, con i danni conseguenti, mette a rischio non solo la loro casa e il loro lavoro, ma anche la loro permanenza sul territorio italiano;
   la normativa che regola la presenza in Italia dell'immigrato, infatti, collega in molti casi il permesso di soggiorno ad un lavoro e a condizioni stringenti rispetto a reddito e abitazione;
   con il sisma e i danni conseguenti, molte attività economiche sono in ginocchio, molti posti di lavoro sono a rischio; i lavoratori migranti rischiano, perdendo con il lavoro anche il titolo di permanenza, di scivolare nella clandestinità, in un'area senza diritti, tutele, strumenti di integrazione, con le loro famiglie, con i loro figli, spesso nati qui, perfettamente inseriti nelle comunità;
   è partito da una fitta rete di associazioni no profit un appello, che ha ricevuto migliaia di adesioni, anche tra i cittadini delle zone terremotate, affinché si vari una moratoria urgente sui permessi di soggiorno nelle zone terremotate, per garantire il rinnovo dello stesso, e della carta di soggiorno, per i lavoratori migranti, anche se nei prossimi due anni non saranno in grado di soddisfare i criteri normativi di lavoro, reddito e abitazioni previsti dal testo unico sull'immigrazione;
   il contenuto di tale appello appare condivisibile perché le condizioni che si sono create a causa del disastro in Emilia sono straordinarie e oggettivamente penalizzanti per i lavoratori migranti, e hanno tutte le caratteristiche per sostenere una moratoria –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se non ritenga di assumere iniziative, se del caso normative, per una moratoria di permessi e carte di soggiorno per i lavoratori migranti delle zone terremotate, così come descritto in premessa evitando che i residenti e i lavoratori immigrati dell'Emilia rischino di pagare doppiamente il prezzo della catastrofe. (5-07083)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLLEDRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 giugno 2012, presso il dipartimento della pubblica sicurezza al Ministero dell'interno, si è tenuta una riunione durante la quale l'amministrazione ha illustrato le linee di intervento alla base del piano di razionalizzazione delle spese in funzione della cosiddetta «spending review», ossia della revisione della spesa;
   tale opera di razionalizzazione delle risorse prevede l'attuazione di meccanismi i quali, attraverso una serie di tagli e accorpamenti di uffici, dovrebbero determinare un risparmio di circa 65 milioni di euro;
   secondo un comunicato congiunto emanato dalle organizzazioni sindacali contrarie al piano proposto dall'amministrazione, detto risparmio deriverebbe dalle mancate assunzioni di nuovo personale, dalla chiusura di tutte le articolazioni periferiche della polizia postale e delle telecomunicazioni (ben 97 uffici), dalla chiusura di 27 squadre nautiche, dalla chiusura delle sezioni sommozzatori, cinofili e tiratori scelti, oltreché dalla gravissima chiusura di 17 questure;
   sempre sulla base del comunicato delle organizzazioni sindacali e da quanto emerge dalle notizie di stampa, risulta poco chiaro il motivo per il quale l'amministrazione abbia fissato a 65 milioni di euro l'obiettivo di risparmio, non avendo, il Ministro, fornito alcuna indicazione circa l'entità del risparmio stesso;
   alcuni tagli, come quello che subirebbero gli uffici periferici della polizia postale, avrebbero un peso specifico, in termini di risparmio, pressoché nullo;
   i tagli su esposti avrebbero inevitabili effetti negativi sui livelli di efficienza per la sicurezza dei cittadini in quanto le forze di polizia non disporrebbero più degli adeguati mezzi per far fronte alle organizzazioni criminali, sia in termini di prevenzione che di contrasto diretto;
   alcuni ambiti strategici, come quello della sicurezza, non possono essere soggetti a tagli indiscriminati –:
   quali iniziative il Governo intenda attuare affinché si affronti seriamente la questione della razionalizzazione delle risorse ma si tenga conto della necessità di salvaguardare ed implementare un sistema di sicurezza efficiente. (4-16549)


   DI PIETRO e PALOMBA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Sennori, paese di 7500 abitanti della provincia di Sassari, sorge una stazione dei carabinieri con un organico di nove militari compreso il comandante;
   la stazione nel 2011 ha condotto indagini che hanno permesso di individuare i responsabili di ben 300 reati, ha recuperato somme – dall'elevazioni di verbali – per un ammontare di 40.000 euro e ha posto in essere attività di controllo del territorio attraverso 610 pattugliamenti;
   risulta all'interrogante che siano state avviate le procedure per la realizzazione della tenenza a Sorso (Sassari) che dista meno di un chilometro da Sennori con il conseguente assorbimento della stazione oggetto di questo atto di sindacato ispettivo;
   Sennori è il paese con la più alta densità di popolazione (281 abitanti per chilometri quadrati) e il settimo su sessantasei per numero di abitanti con un tasso di criminalità in aumento –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga opportuno, sulla base di quanto indicato nelle premesse, lasciare la stazione a Sennori. (4-16555)


   ANGELA NAPOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taurianova (Reggio Calabria), di circa 16.000 abitanti, insiste nella zona centrale della piana di Gioia Tauro;
   la città ha vissuto «anni bui» grazie all'esplosione della faida tra le cosche della ’ndrangheta locale;
   nel 1991 è stato il primo comune d'Italia ad aver subito lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa; analogo provvedimento amministrativo è stato ripetuto nell'aprile del 2009;
   proprio nel 1991, a causa dei barbari omicidi susseguitisi nella città e delle collusioni tra ’ndrangheta e politica che hanno imposto lo scioglimento del consiglio comunale, è stato istituito il commissariato della polizia di Stato;
   come già evidenziato in precedenti atti di sindacato ispettivo dall'interrogante, nell'ultimo anno la città di Taurianova sta registrando una nuova emergenza criminale che investe politici locali ma anche comuni cittadini, il che ha portato ad un preoccupante clima di tensione;
   a quanto sopra si aggiungono ripetute notizie dalle quali, nell'ambito del ridimensionamento delle strutture pubbliche, si paventerebbe l'accorpamento dei tre commissariati di P.S. di Taurianova, Polistena e Cittanova in sede diversa dalla città centro della piana di Gioia Tauro;
   sarebbe davvero grave sottrarre alla città un presidio di sicurezza quale quello della polizia di Stato in un momento di pesante presenza criminale e per la stessa peculiarità di quella comunità che ha subìto ben due scioglimenti del civico consesso per infiltrazione mafiosa –:
   se non ritenga necessario ed urgente, alla luce di quanto sopra esposto, fare un'attenta valutazione affinché non venga soppresso il commissariato della polizia di Stato di Taurianova e, conseguentemente, la città non venga ulteriormente abbandonata nella garanzia di controllo e sicurezza. (4-16561)


   RIVOLTA e NICOLA MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Magreglio (Como), la signora Giovanna Arrigoni, risulta indagata dalla procura della Repubblica di Como in quanto, in qualità di pubblico ufficiale, ovvero quale dipendente del comune di Barni (Como) con responsabilità del servizio finanziario, è accusata di aver sottratto in maniera indebita dalle casse comunali tra il 1999 e il 2011, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, varie somme, per un ammontare complessivo di euro 323.186,79, delle quali aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio, mediante mandati di pagamento emessi arbitrariamente a proprio favore, illecite distrazioni/destinazioni dalle casse comunali, rinnovi di contratti di concessione cimiteriale, annullamento di reversali d'incasso precedentemente emesse e consegnate ad ignari utenti, a fronte del pagamento di utenze di forniture di acqua potabile, diritti di segreteria Tosap, e altro;
   tali condotte, oltre a configurare un'ipotesi di reato, hanno altresì costretto il sindaco del comune di Barni a dichiarare il dissesto finanziario dell'ente impossibilitato a far fronte al pagamento di fatture e prestazioni;
   la signora Arrigoni, inizialmente sospesa dal servizio, si è poi dimessa dal suo posto di lavoro alle dipendenze del comune di Barni ma non dall'incarico di primo cittadino del comune di Magreglio (Como), dove ricopre altresì le deleghe di rappresentanza, affari generali, personale, bilancio, patrimonio e demanio, urbanistica, edilizia privata, lavori pubblici, vigilanza e sicurezza;
   la vicenda sta turbando l'opinione pubblica locale e creando altresì grave allarme sociale, e per la gravità degli episodi descritti, e perché, nonostante l'oggettivo venir meno della credibilità e affidabilità nei confronti della signora Giovanna Arrigoni in qualità di dipendente della pubblica amministrazione, la medesima continua ad operare nell'ambito della pubblica amministrazione in qualità di sindaco del comune di Magreglio, ovvero come legale rappresentante dell'amministrazione di tale ente;
   consiglieri comunali di minoranza di Magreglio hanno più volte, tramite mozioni comunali ed interrogazioni al prefetto della provincia di Como, evidenziato la necessità di appurare se non si ritenesse necessario verificare la situazione che sta continuando a creare grande imbarazzo all'interno della comunità di Magreglio, anche in ragione del fatto che è all'ordine del giorno del prossimo consiglio comunale previsto per il giorno 14 giugno 2012 l'analisi del nuovo piano di governo del territorio e che, proprio in virtù dell'importanza di tale documento, appare quantomeno inopportuno che tale atto venga analizzato in una situazione amministrativa così delineata;
   la situazione sopra descritta non può essere rimessa esclusivamente alla sanzione del giudice penale, ma merita invece un'attenta valutazione da parte delle competenti autorità istituzionali, al fine di salvaguardare il decoro e il corretto funzionamento degli enti locali e la trasparenza nella gestione della pubblica amministrazione –:
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere al fine di prevenire il ripetersi di situazioni come quelle descritte in premesse. (4-16573)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARIO PEPE (Misto-R-A). — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale direttore dell'Accademia nazionale di danza (AND) è in carica dal 3 ottobre 1996, data in cui è stato nominato tramite decreto del Ministro dell'istruzione Berlinguer, ai sensi dell'articolo 228 del decreto legislativo 297 del 1994 (Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado);
   ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003 n. 132 (criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche), la durata dell'incarico di direttore, di presidente e di membro del consiglio di amministrazione è triennale e può essere confermato una sola volta; di conseguenza l'attuale CdA dell'Accademia nazionale di danza sta operando in un regime di prorogatio solo grazie alla norma transitoria prevista dall'articolo 16 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003;
   all'anomalo protrarsi della gestione dell'attuale direzione devono probabilmente collegarsi le criticità emerse in materia di gestione economica, finanziaria, didattica e di qualificazione accademica dell'Accademia nazionale di danza (AND) e della collegata Fondazione accademia (FAND); criticità che devono riconnettersi ad una gestione personalistica ed esclusiva della carica e che sono state evidenziate in numerosi atti di sindacato ispettivo presentati a partire dal 1996;
   si tratta degli atti 4-04071 Napoli e 4-33608 Aracu XIII legislatura; 4-01700 Valditara XIV legislatura, ormai di mero valore documentativo, e degli atti Bornacin 2-00218; Pepe 4-07527, 4-08937, 2-01150, 4-13380; Zamparutti 4-08308; Marinello 4-11457, XVI legislatura, di competenza del Ministro interrogato; solo ad uno di essi è stata data risposta nel 1997;
   in questi anni la situazione dell'Accademia nazionale di danza è peggiorata progressivamente in parallelo alla crescita del debito finanziario, all'assottigliarsi delle risorse, al malcontento degli studenti, diminuzione degli iscritti;
   per riferire i soli fatti più recenti:
    la verifica sull'Accademia nazionale di danza conclusa il 3 marzo 2011 dal Collegio ispettivo nominato con decreto M.i.u.r.-A.f.a.m. n. 182 del 25 ottobre 2010, avrebbe accertato una pluralità di irregolarità e carenze;
    la verifica sulla gestione della Fondazione accademia degli attuali direttrice e presidente dell'Accademia nazionale di danza, Margherita Parrilla e Bruno Borghi, conclusa il 17 febbraio 2011 dal collegio ispettivo nominato con provvedimento del 26 ottobre 2010 del prefetto di Roma, ha accertato reiterate violazioni di legge e gravi irregolarità gestionali;
    il 15 febbraio 2012 il pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Roma, nell'ambito del procedimento per il reato di cui agli articoli 110, 646, 61 n. 7, n. 11 codice penale, a carico degli attuali direttrice e presidente dell'Accademia nazionale di danza ha disposto il sequestro presso l'Accademia nazionale di danza della documentazione contabile e amministrativa riguardante la Fondazione accademia;
    il 12 marzo 2012 ad Avellino, alla presenza del sindaco della città e del presidente della provincia, è stato annunciato l'avvio di un corso di laurea triennale «in discipline coreutiche, tecniche compositive e scuola di coreografia» presso il teatro Carlo Gesualdo, in partnership con l'Accademia nazionale di danza; erano presenti il presidente ed il direttore dell'Accademia nazionale di danza; tuttavia va rilevato che e quanto consta all'interrogante il CdA dall'Accademia nazionale di danza, ha approvato un progetto che non è stato mai deliberato dal Consiglio accademico, unico organo istituzionale delegato a farlo, né è stato pubblicato un bando pubblico per la selezione del responsabile artistico, ruolo invece affidato ad un docente ospite; peraltro non si ha notizia di come saranno strutturati i corsi e con quali oneri a carico dell'Accademia nazionale di danza;
    il 29 marzo 2012 un gruppo di docenti dell'Accademia nazionale di danza, considerato il perdurare di situazioni di illegittimità, di disagio e di sperpero del denaro pubblico, ha chiesto al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di procedere alla sospensione della direttrice dell'accademia stessa, Parrilla, e del presidente Borghi; a tutt'oggi, nessun provvedimento è stato adottato dal direttore generale M.i.u.r.-A.f.a.m. anche con riferimento agli esiti delle verifiche ispettive sopra indicate;
    con ordinanze n. 1565 e n. 1567 del 20 aprile 2012, il Consiglio di Stato, sezione terza, ha posto nel nulla il tentativo dell'attuale vertice dell'Accademia nazionale di danza di annullare la nomina del gruppo dirigente in carica della Fondazione accademia, sia, più in generale, l'attività della fondazione;
    l'Accademia nazionale di danza è l'unica istituzione di livello universitario in materia di danza esistente in Italia, in relazione alla quale lo Stato ha dettato specifiche norme di tutela e di finanziamento; riduzione dei finanziamenti, cattiva gestione e finanche ipotesi dì interessi privati ne stanno minando il prestigio in campo nazionale ed internazionale –:
   quali provvedimenti intenda adottare in merito alla descritta situazione dell'Accademia nazionale di danza ed alle connesse responsabilità;
   se non ritenga opportuno valutare la sussistanza dei presupposti per sciogliere il consiglio di amministrazione dell'Accademia nazionale di danza, ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003 n. 132 che espressamente parla di «cessazione del rapporto per effetto del verificarsi di cause previste dalla normativa vigente». (5-07079)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANIELLO FORMISANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sono dell'ultimo periodo le notizie di stampa che si riferiscono ad un ulteriore disservizio nell'ambito della scuola nella Regione Campania;
   risulta, infatti, da articoli su La Repubblica e Il Mattino che vi siano numerosissimi studenti, che hanno sostenuto e superato l'esame di Stato per la licenza di scuola superiore nell'anno scolastico 2010/2011, che non hanno ancora potuto ritirare le relative pergamene;
   sembrerebbe che dopo mesi di attese, telefonate, lettere e fax alcuni genitori abbiano ricevuto risposte informali dalle scuole che facevano riferimento al mancato rilascio dei diplomi dovuto a mancanza di soldi per comprare le pergamene su cui vengono stampati;
   la situazione è ulteriormente aggravata da alcune dichiarazioni di alcuni genitori, i cui figli si sono regolarmente iscritti all'università, che denunciano una situazione di stallo anche per la trascrizione degli esami ivi sostenuti, infatti le varie università, senza diploma originale, non possono rilasciare il libretto per gli esami e i risultati degli esami sono stati solo verbalizzati in attesa di trascrizione nel libretto e la preoccupazione è che si perdano le trascrizioni e i ragazzi debbano rifare gli esami;
   risulterebbe, inoltre, che i vari istituti si siano dichiarati indisponibili a rilasciare una dichiarazione in cui, oltre ad attestare che il diploma era stato conseguito, fossero dichiarate ufficialmente le motivazioni alla base del mancato rilascio dell'originale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze nei rapporti con gli uffici scolastici regionali, per risolvere la situazione. (4-16547)


   DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 15 marzo 2010, all'articolo 3, si prevede la riorganizzazione dei percorsi ad indirizzo sportivo;
   con schema di decreto del Presidente della Repubblica «regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo nel sistema dei licei, a norma dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89», trasmesso, tra gli altri destinatari, anche al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri – conferenza unificata, in data 12 ottobre 2011, è stato previsto l'inserimento della sezione ad indirizzo sportivo nel percorso del liceo scientifico;
   nella stesura della prima bozza del decreto del Presidente della Repubblica era prevista l'attivazione di una sezione ad indirizzo sportivo in qualsiasi istituto scolastico a patto che esso disponesse di impianti, laboratori e attrezzature adeguate;
   in relazione allo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo nel sistema dei licei, a norma dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89», in ambito scolastico molti hanno accolto con viva soddisfazione la nascita di un «liceo sportivo» che permette il conseguimento di uno specifico titolo di studio. Ma ad una lettura più attenta dell'articolato è sopraggiunto il disappunto e la delusione, segnalato da più parti tra i docenti e le professionalità della scuola, per le scelte operate nel delineare le caratteristiche delle «sezioni ad indirizzo sportivo»;
   un «liceo sportivo» è il risultato di vari fattori, quali una cultura diffusa nel territorio e nell'istituzione scolastica, la presenza di strutture e professionalità qualificate e sarebbe stato auspicabile che le numerose esperienze, diffuse in tutto il territorio nazionale, fossero considerate, alla luce dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, delle vere e proprie sperimentazioni che in ogni caso hanno fatto da apripista all'attuale normativa;
   l'attribuzione esclusiva della «sezione ad indirizzo sportivo» al corso di studi del liceo scientifico, oltre a penalizzare le predette esperienze nello specifico settore, non è pienamente rispondente agli standard di apprendimento definiti nelle indicazioni nazionali testé approvate. Ci sono aspetti dello sport, come quelli sociologici, psicologici, giuridici ed economici, che hanno una loro naturale collocazione in un indirizzo liceale come per esempio l'opzione economico-sociale del liceo delle scienze umane;
   questo percorso di studio, adeguatamente finalizzato, avrebbe avuto la stessa dignità culturale di quello recentemente approvato poiché le discipline presenti nel curricolo della «sezione ad indirizzo sportivo» sono le stesse presenti nell'opzione economico-sociale del liceo delle scienze umane e non sarebbe stato necessario, come invece si è dovuto fare, introdurre nel liceo scientifico una nuova disciplina come «diritto ed economia» non presente nell'indirizzo;
   è stato modificato in modo significativo, al limite delle finalità proprie dell'indirizzo il piano di studi del liceo scientifico, tanto che nel quinquennio si è operata una diminuzione di quindici ore di latino, dieci ore di disegno e storia dell'arte e tre ore di filosofia;
   non prevedere la possibilità di pianificare un «liceo sportivo», che abbia le stesse finalità indicate nell'attuale normativa, anche in altri indirizzi liceali potrebbe precludere ai futuri fruitori del percorso citato la possibilità di assecondare le proprie inclinazioni personali;
   essendo lo sport un fenomeno interculturale, trasversale e altamente significativo di questa società, non è possibile ridurre il suo ambito culturale all'acquisizione di conoscenze in ambito matematico, fisico e delle scienze naturali presenti all'interno del liceo scientifico e non considerare invece che nell'opzione economico sociale esiste già la disciplina diritto ed economia e la cultura sportiva risulta pienamente integrata da discipline quali psicologia, sociologia, antropologia, metodologia della ricerca;
   alla luce dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, persistendo la possibilità di continuare a livello progettuale il percorso già iniziato in tale ambito da diverse scuole, con una offerta formativa adeguata al profilo in uscita, la previsione del riconoscimento di un titolo di studio così rigidamente pianificato e cioè esclusivamente nell'ambito del liceo scientifico, avrà come risultato una contraddizione in termini: le esperienze frutto di autonomia, adeguatamente qualificate non avranno il riconoscimento giuridico conforme alla normativa, a differenza di quello strutturato sul liceo scientifico;
   tra le esperienze documentate relative al liceo sportivo, degna di nota è quella sviluppata dal liceo «G. Vico» di Sulmona che ha attivato un progetto sportivo da circa un decennio ancorandolo all'inizio sul percorso del liceo delle scienze sociali e con la riforma dei licei sul percorso del liceo economico sociale; tale esperienza ha trovato ampio consenso da parte degli utenti, confermando un trend di iscrizioni tali da garantire circa 400 alunni diplomati in dieci anni; il liceo «G. Vico» ha dimostrato la sostenibilità del progetto in piena autonomia, attingendo principalmente alle risorse professionali e progettuali interne e ad una pianificazione che ha permesso di mettere in moto le risorse tecniche, culturali e strutturali del territorio; il progetto avviato, negli anni è diventato un modello di valore sul piano organizzativo, didattico ed economico, rappresentando un esempio di buone pratiche; tale progettualità e la formazione offerta hanno consentito di attrarre utenti provenienti da territori e bacini diversi e avviare di conseguenza un ciclo virtuoso sul piano di maggiori opportunità lavorative per la stessa istituzione scolastica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga porre in essere tutte le necessarie azioni che possano portare alla modifica e al miglioramento dell'attuale regolamento nella direzione di favorire le propensioni individuali alla scelta di un percorso di formazione e istruzione, con la certezza che l'intento della presente normativa sia quello di qualificare l'offerta formativa nel campo motorio e sportivo;
   se non si ritenga, inoltre, necessario istituire un tavolo tecnico di approfondimento sulle tematiche esposte in premessa. (4-16550)


   GIOACCHINO ALFANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 6 maggio 2012 in una intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale il Ministro in indirizzo, sulla questione relativa ai tirocini formativi attivi (TFA), ovvero i corsi abilitanti all'insegnamento disciplinati dal decreto ministeriale n. 249 del 2010, ha annunciato un diverso criterio d'accesso per i docenti con 36 mesi di servizio nella scuola, i quali non avrebbero dovuto sostenere i test preselettivi per l'ammissione al Tfa;
   il giorno successivo in una nota a margine del Tfa il Miur ha precisato che: «(...) il primo corso di Tfa (...) sarà attivato con la preselezione nazionale nelle date già fissate», «(...) indipendentemente dal diverso percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il possesso della prescritta abilitazione»; «(...) la procedura per i docenti con 36 mesi di servizio sarà costituita da un percorso formativo e da un esame da sostenere e superare per conseguire l'abilitazione», aggiungendo però che questi docenti saranno abilitati con modalità a parte, che il Ministero deve ancora predisporre;
   a pochi giorni dalla scadenza per l'iscrizione sussistevano ancora molte incertezze e perplessità su procedure e strumenti riguardanti il Tfa, per cui nel dubbio molte persone in possesso dei requisiti per accedere al Tfa speciale preannunciato si sono iscritti al Tfa ordinario per non rimanere poi escluse;
   il 29 maggio 2012 una ulteriore nota del Miur specificava che: «L'avvio dei moduli aggiuntivi ai corsi di Tfa, riservati ai docenti non abilitati, con servizio, richiede una modifica del decreto ministeriale n. 249 del 2010 con un altro provvedimento regolamentare di pari rango. L’iter di approvazione, già avviato, non potrà concludersi in tempi brevi per la necessaria e prescritta acquisizione di tutti i pareri degli Organi Consultivi previsti. L'approvazione del regolamento consentirà nella programmazione 2012-13 l'istituzione di un doppio percorso di Tfa, l'uno che prevede la selezione, la formazione in aula, il Tirocinio e l'esame finale, l'altro che permette ai docenti con tre anni di servizio di accedere direttamente alla formazione in aula e all'esame finale. Si precisa dunque che le uniche procedure di abilitazione attualmente in corso sono quelle di cui al decreto ministeriale 14 marzo 2012 i cui termini di iscrizione sono scaduti, come è noto il 4 giugno»;
   inoltre, la settima delle «Note a margine sul Tfa» pubblicate dal Miur il 7 maggio scorso recita: «(...) l'abilitazione che si consegue a seguito della frequenza del Tfa o dei corsi di laurea in Scienze della formazione primaria rappresenta solo la conclusione del percorso di formazione iniziale dell'insegnante e costituisce il presupposto per la partecipazione alle procedure concorsuali. Abilitarsi, dunque, non significa diritto al posto e quindi non significa neppure aggravio della spesa pubblica» –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare, al fine di prevedere l'attivazione del Tfa speciale annunciato e quali siano i tempi di realizzazione;
   se non ritenga urgente attivare il suddetto percorso parallelo, mediante l'attivazione del Tfa speciale per gli insegnanti con tre anni di servizio effettuati, anche al fine di contrastare l'aggravamento del precariato e della presenza di docenti non abilitati. (4-16551)


   GIANNI FARINA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base alle disposizioni vigenti le scuole pubbliche e paritarie dal 2 gennaio dovevano inserire sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tutte le informazioni necessarie per scegliere la scuola presso la quale iscriversi;
   dovevano fornire informazioni aventi ad oggetto la scuola, gli alunni, gli esiti scolastici, il personale scolastico e altro ancora;
   si dovrà sapere se in una scuola si boccia troppo o se la selezione è inesistente, si dovranno fornire dati sulle eventuali materie aggiuntive, sul tempo, pieno o prolungato, sull'attività pomeridiana; si dovrà indicare se l'istituto è dotato di bar o se gli studenti dovranno uscire da scuola all'ora della ricreazione, se vi è un'infermeria, se è dotato di una mensa, se pagelle o certificati si possono ottenere on line, se con un sms la scuola comunica le assenze degli studenti, quanti plessi ha la scuola, e quanti laboratori di informatica, multimediali e linguistici siano presenti, se l'istituto è dotato di palestra, di campo di basket o calcetto, se le classi sono risicate o spaziose, quali e quanti siano i finanziamenti;
   l'interrogante ha presentato ben quattro interrogazioni sull'istituto Diomede Carafa di Ariano Irpino (Avellino) nelle quali ha avanzato pesanti interrogativi sulla qualità culturale e sulla correttezza amministrativa di tale istituto;
   qualche tempo fa l'interrogante è andato sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (www.istruzione.it) per verificare se poteva avere alcune risposte alle domande che aveva posto sul Diomede Carafa al Ministro pro tempore, e dal quale non ha mai ottenuto una risposta;
   senza alcuna sorpresa è apparsa la copertina del Diomede Carafa, ma all'interno non vi era nulla: nessuna informazione. Infatti, come scritto sul sito del Ministero, risulta che non sono stati resi disponibili dalla scuola:
    numero alunni e classi per anni di corso (A.S. 2011/2012);
    numero classi del primo anno per indirizzo di studio/tempo scuola (A.S. 2011/12);
    alunni iscritti negli ultimi due anni scolastici (A.S. 2009/10 e 2010/11);
    studenti ripetenti (% sugli iscritti) (A.S. 2010/11);
    trasferimenti studenti in ingresso ed in uscita in corso d'anno (% sugli iscritti) (A.S. 2010/11);
    studenti che hanno abbandonato gli studi in corso d'anno (% sugli iscritti) (A.S. 2010/11);
    esiti scrutini finali-giugno (A.S. 2010/11);
    esito complessivo scrutini finali (giugno e settembre) (A.S. 2010/11);
    alunni ammessi alla classe successiva/esami di Stato-giugno (A.S. 2010/11);
    alunni con almeno una sospensione di giudizio (A.S. 2010/11);
   alunni diplomati sugli esaminati (A.S. 2010/11);
    distribuzione delle votazioni d'esame (A.S. 2010/11);
    diplomati nell'a.s. 2010/2011 che si sono immatricolati all'università nell'a.a. 2011/2012;
    diplomati nell'a.s. 2010/2011 che si sono immatricolati all'università nell'a.a. 2011/2012, per area didattica;
   l'interrogante nelle precedenti interrogazioni aveva sollevato pesanti dubbi sul numero di studenti frequentanti e su quanti invece si presentavano agli esami, sul numero delle classi, sul numero degli insegnanti e sul loro pagamento, e via elencando, e pertanto non è affatto sorpreso che la scuola non abbia fornito alcun dato al Ministero se non la copertina –:
   se intenda inviare gli ispettori scolastici per controllare l'istituto Diomede Ca-rafa e ove riscontri irregolarità quali sanzioni intenda applicare nei confronti dell'istituto. (4-16558)


   PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è venuta a conoscenza che diversi docenti di scuola primaria, con diploma di laurea in pedagogia e in scienza dell'educazione dell'università di Lecce hanno partecipato ai corsi di cui al decreto ministeriale 85 per le classi di concorso A036-A037 e A043-A050 con riserva in quanto docenti a tempo indeterminato;
   hanno superato con esito positivo gli esami finali;
   la situazione restrittiva, riguardo alla partecipazione al predetto corso per soli docenti con contratto a tempo indeterminato è stata superata dall'articolo 1, comma 4-septies della legge n. 167 del 2009 che riconosce: «l'abilitazione all'insegnamento conseguita dai docenti con contratto a tempo indeterminato, in servizio presso la scuola pubblica, ammessi con riserva ai corsi indetti con i decreti del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca [...] no 85 del 18 novembre 2005[...]»;
   l'Ufficio scolastico provinciale di Taranto ha successivamente contestato il titolo di studio in quanto valido, come da decreto ministeriale n. 39 del 1998, fino all'anno scolastico 2000/2001 per la classe A043-A050;
   al riguardo, si precisa che il piano di studio, tra l'altro equiparato, è in regola con gli esami richiesti dal predetto decreto ministeriale e che, se tali docenti fossero stati a conoscenza del difetto del proprio titolo, anche solo pochi mesi prima della discussione della tesi, avrebbero provveduto ad inoltrare richiesta di cambio di corso di laurea in «scienze dell'educazione» con il riconoscimento di tutti gli esami;
   la differenza, infatti, consisteva soltanto in un cambio di denominazione ma non di percorso per l'accesso all'insegnamento alla classe di concorso A37 (filosofia e storia);
   l'Ufficio scolastico provinciale ha proceduto alla revoca del passaggio pur avendo, le docenti in questione, superato l'anno di prova –:
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza perché venga riconosciuto ai docenti di cui sopra il titolo di studio di abilitazione per poter partecipare alle operazioni di mobilità.
(4-16560)


   COSCIA e DE PASQUALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apprese dalla stampa risulta che cinque bambini iscritti alla prima elementare dell'Istituto comprensivo «Giulio Tifoni» di Pontremoli in provincia di Massa sono stati bocciati per «non aver raggiunto gli obiettivi minimi del programma ministeriale»;
   tra i cinque bambini ci sono anche un disabile e tre stranieri;
   la scuola Giulio Tifoni era stata oggetto di una sentenza del Tar di Firenze che aveva imposto lo sdoppiamento delle classi definite «pollaio»;
   il Comitato dei genitori delle scuole di Pontremoli assistito dall'avvocato Giuseppe Romeo del Codacons era ricorso al Tar per chiedere una classe in più rispetto alle due prime composte rispettivamente da 29 e 30 bambini;
   tuttavia, i bambini bocciati erano iscritti a classi che superavano il limite predisposto dalla legge vigente –:
   se non ritenga opportuno affrontare il problema del sovraffollamento delle classi e avviare un'ispezione immediata per conoscere le ragioni che hanno spinto gli insegnanti, contro ogni principio pedagogico di ragionevolezza e buon senso, alla bocciatura di cinque bambini di sei anni iscritti alla prima elementare che si prevede debba, in primo luogo, garantire uguali opportunità di apprendimento e di successo scolastico a tutti i bambini di quell'età. (4-16568)


   BARANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti giornalistiche cinque bambini di sei anni che hanno frequentato fino a qualche giorno fa la prima elementare in due classi dell'istituto «Giulio Tifoni» di Pontremoli sono diventati, loro malgrado, un caso per la loro prematura bocciatura a scuola;
   lo scrutinio del dissenso ha decretato niente di meno che la bocciatura di cinque bambini, tre stranieri e due italiani, uno dei quali disabile;
   sono state immediate le reazioni dei genitori che hanno annunciato ricorso per chiedere l'annullamento dei provvedimenti, oltre che pensare ad una sorta di class action per chiedere i danni al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e ai dirigenti scolastici;
   altro punto su cui i genitori ribattono è che, con un provvedimento così severo, la scuola non favorisce l'integrazione di bimbi stranieri e disabili;
   i bambini bocciati erano allievi di due classi di 29-30 bambini: «classi-pollaio» dicono i genitori che già erano stati protagonisti di un ricorso, poi vinto, al Tar della Toscana contro le aule troppo affollate e nelle quali diventa difficile seguire i piccoli;
   la vicenda ha un precedente proprio nella sentenza del Tar del 30 maggio 2012, che ha dato pieno titolo e diritto a una classe in più dato che nelle due sezioni c'erano 29 e 30 alunni;
   una «falsa» vittoria, dal momento che di fatto a pagare il sovraffollamento delle classi saranno i cinque bambini;
   nell'ultima verifica del 17 maggio, infatti, il 65 per cento degli alunni della sezione con 29 studenti, quella frequentata dai bimbi bocciati, e il 41 per cento dell'altra ha ricevuto una valutazione insufficiente con elaborati ritenuti incompleti o incomprensibili;
   i genitori non si lamentano della professionalità dei maestri quanto del sovraffollamento delle classi;
   per le mamme e i papà risulta impossibile seguire con attenzione 30 bambini contemporaneamente, ognuno con la propria capacità di apprendimento. Inoltre, il provvedimento, ritenuto troppo severo, non favorisce l'integrazione degli alunni stranieri;
   il dirigente scolastico Angelo Ferdani ha dichiarato che «Per il loro bene e seguendo una normativa ministeriale che lo prevede, le insegnanti hanno scelto all'unanimità di far ripetere loro l'anno, può succedere che per immaturità gli alunni abbiano bisogno di più tempo per apprendere. Siamo stati molto combattuti e ci dispiace ma io stesso ho fatto visita alla classe e seguito i bambini in alcune prove. Non sono capaci di scrivere una frase minima sotto dettatura» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro dell'istruzione, nell'ambito delle proprie competenze, anche promuovendo l'invio di ispettori, per verificare che non sia stata pienamente rispettata la normativa vigente. (4-16569)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   TASSONE, OCCHIUTO e D'IPPOLITO VITALE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dello stabilimento industriale della Italcementi di Vibo Marina che vivono da mesi una situazione molto preoccupante, nei giorni scorsi hanno dato vita ad un lungo corteo per ribadire con forza e determinazione il loro no alla messa in mobilità ed al futuro licenziamento collettivo;
   la fabbrica, infatti, chiuderà al termine del secondo trimestre di quest'anno, secondo quanto deciso dal gruppo Italcementi di Bergamo. La chiusura dello stabilimento è stata certificata di recente in una lettera consegnata ai dipendenti dell'impianto vibonese;
   l'iniziativa è stata promossa e organizzata dalle rappresentanze sindacali unitarie della stessa cementeria e dalle organizzazioni sindacali del Vibonese. I lavoratori del cementificio di Vibo Marina protestano e non intendono smettere, dunque, continueranno ad occupare lo stabilimento fino a quando l'azienda non farà un passo indietro;
   la vertenza occupazionale che ha colpito il vibonese ha ripercussioni profonde sull'intera economia locale che rischia di trascinare dietro di sé diversi settori. Ci sono state reazioni di ferma e dura condanna per la decisione dell'azienda, leader in Italia nella produzione del cemento e del calcestruzzo, di procedere in autunno allo smantellamento dell'impianto industriale di Vibo Marina;
   è un duro colpo per l'intera comunità vibonese anche perché l'Italcementi nasce nel 1944, anche se l'inizio dei lavori di costruzione dell'azienda è databile al 1939, quando la società italiana per la produzione di calce e cementi di Segni, costituita nel 1921 su iniziativa dell'ingegner Leopoldo Parodi Delfino, inizia la costruzione dello stabilimento con il dichiarato intento di «promuovere l'industrializzazione delle aree meridionali»;
   dopo 73 anni Vibo Marina rischia di ritrovarsi al punto di partenza, con possibili conseguenze anche sugli altri comparti produttivi del «piccolo» polo industriale che si sviluppa intorno agli anni Sessanta, all'ombra della cementeria e che rappresenta l'ossatura della classe operaia vibonese;
   questa struttura ha rappresentato un polo, un tessuto importante nell'industrializzazione dell'area vibonese, ed è stata un forte richiamo per l'economia e per una realtà che era stata ed è continuamente avvilita, mortificata e umiliata nelle sue aspirazioni più vere e più profonde di sviluppo economico;
   si tratta di circa 82 dipendenti dello stabilimento che perderanno il posto di lavoro, ma anche di circa 400 lavoratori impiegati nell'indotto che saranno a breve accomunati dal drammatico destino che ha colpito i colleghi siciliani dello stabilimento di Porto Empedocle –:
   se non ritengano opportuno avviare un tavolo tecnico con le istituzioni nazionali e locali interessate, finalizzato ad attivare la produzione attraverso investimenti futuri e a garantire i posti di lavoro oggi in essere nell'azienda vibonese.
(3-02331)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e LARATTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la Italcementi Group, con sede legale a Bergamo, uno dei colossi dell'industria del cemento che impiegava fino a qualche settimana 2.474 unità su tutto il territorio nazionale, ha annunciato negli scorsi giorni che per la grave crisi economica che sta attraversando l'intero settore edilizio, non è più in grado di supportare alcuni costi e perciò si dice «costretta a razionalizzare le spese prioritariamente negli impianti caratterizzati da andamento dei costi per materie prime o energetiche che non li rendono competitivi rispetto ad altri e che li collocano fra quelli che generano passività non ulteriormente sopportabile»;
   ad essere colpiti da tale decisione sono gli stabilimenti di Vibo Marina in provincia di Vibo Valentia e Porto Empedocle in provincia di Agrigento, per i cui dipendenti, 176 operai in totale, l'azienda ha annunciato il loro licenziamento entro il terzo trimestre dell'anno, precisando che «visto il trend di negatività progressiva che si protrae da più di quattro anni negli stabilimenti suddetti non è più sufficiente fronteggiare la grave emergenza con misure temporali e parziali»;
   la notizia della chiusura dello stabilimento della cementeria di Vibo Marina, che negli anni si è distinta per la professionalità e produttività dei loro operatori, ha sollevato le immediate proteste dei sindacati di categoria, degli amministratori locali interessati da tale provvedimento, del Presidente della provincia di Vibo Valentia, della regione Calabria e di tutta la politica calabrese oltre naturalmente agli stessi 82 lavoratori che hanno organizzato un sit-in davanti la fabbrica per chiedere a gran voce di rivedere tale decisione, visto che questa attività, che hanno svolto per anni con grandi sacrifici, costituisce per loro l'unica fonte di reddito e di sostegno per le famiglie;
   la vertenza Italcementi di Vibo, purtroppo, è solo l'ultima fotografia, in ordine cronologico, di una drammatica realtà che affligge la Calabria;
   la situazione occupazionale in questa regione ha assunto ormai livelli impressionanti, che evidenziano una crisi profonda. È necessario, indispensabile ed urgente, invertire la rotta subito. Ogni giorno si è costretti a registrare chiusure di aziende, con conseguente perdita di posti di lavoro e quindi nuove famiglie a rischio povertà. Un quadro allarmante, davanti al quale il Governo, la politica e le forze economiche e sociali devono trovare insieme la forza di reagire –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intendano repentinamente adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, ai fini di scongiurare la possibile chiusura dello stabilimento Italcementi di Vibo Marina con grave nocumento per l'intera economia e la coesione sociale del territorio vibonese che non può più permettersi di perdere ulteriori posti di lavoro;
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente convocare al più presto un tavolo di concertazione che coinvolga assieme ai rappresentanti dell'Italcementi Group le forze sociali e produttive, gli enti locali, la provincia di Vibo Valentia, la regione Calabria oltre alle rappresentanze dei lavatori, al fine di scongiurare in un momento di particolare crisi economica, un ulteriore colpo alla già debole economia calabrese e in particolare a quella del vibonese salvaguardando così i già deboli livelli occupazionali e l'intero indotto generato dallo stabilimento, calcolato in oltre 400 unità dalle RSU aziendali. (5-07061)


   PES e MADIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 150 del 2009, in attuazione della legge delega n. 15 del 2009, ha innovato l'organizzazione del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione;
   in particolare, con l'introduzione del ciclo di gestione della performance, ogni amministrazione deve misurare e valutare sia la performance organizzativa in relazione alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola, sia la performance dei singoli dipendenti;
   l'articolo 2 del decreto n. 150 del 2009 fissa come principio generale che «Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare ed a valutare la performance con riferimento all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti, secondo modalità conformi alle direttive impartite dalla Commissione di cui all'articolo 13»;
   l'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, pone in correlazione l'erogazione dei trattamenti economici accessori alla performance individuale ed organizzativa attribuendo una specifica responsabilità al personale dirigenziale. La «valutazione dell'apporto individuale» è peraltro una componente essenziale del rapporto di lavoro dei dipendenti, come previsto dal CCNL Ministeri;
   gli articoli 23 e 24 del decreto legislativo n. 150 del 2009 stabiliscono le progressioni economica e di carriera per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche;
   per il raggiungimento di queste finalità sono previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009 una serie di adempimenti e degli indicatori da prendere in considerazione per ottenere una valutazione finale per la formazione di una graduatoria;
   tale graduatoria consente di individuare il primo 25 per cento dei migliori risultati in questa performance, il 50 per cento degli intermedi e l'ultimo 25 per cento dei cosiddetti «fannulloni»;
   nell'eventualità di tagli nella pubblica amministrazione si attinge dall'ultimo 25 per cento;
   la valutazione è composta dal 75 per cento per il raggiungimento degli obiettivi dell'unità organizzativa (non obiettivi individuali), che viene ridotto in base al coefficiente di presenza;
   il 25 per cento viene assegnato dal dirigente su una valutazione personale con indicatori che risultano essere a giudizio degli interroganti molto discutibili;
   le principali cause di assenza e la loro relativa imputazione per il calcolo del coefficiente di presenza riguardano: malattia, congedo retribuito per malattia figlio (legge di tutela della maternità n. 151 del 2001), congedo parentale non retribuito, congedo non retribuito per malattia figlio dai tre agli otto anni, congedo per gravi motivi ai sensi della legge n. 153 del 2000, congedo parentale con decurtazione del 70 per cento, congedo parentale non retribuito, permesso per studio, permesso retribuito per concorsi ed esami, permesso retribuito per handicap personale e familiare (legge n. 104 del 1992);
   quindi, se per esempio, un lavoratore si assenta per malattia o per malattia del figlio o per un motivo qualsiasi di quelli riportati in precedenza, si ritrova con un punteggio notevolmente decurtato;
   risulta che non tutte le amministrazioni fanno la valutazione, quindi i dipendenti pubblici pur essendo di pari livello ricevono trattamenti differenti;
   si ravvede una grave mancanza nel riconoscimento di principi più generali, quali, per esempio, il diritto di pari opportunità per la donna lavoratrice, riconosciuti dalla Costituzione, che all'articolo 37 stabilisce che «... le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione» –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere le voci che imputano il calcolo del coefficiente di presenza per la valutazione della progressione economica e di carriera;
   se non si ritenga discriminante, soprattutto nei confronti delle donne, l'applicazione dei criteri di cui sopra per il calcolo del coefficiente di presenza.
(5-07062)


   GNECCHI, RAMPI, DUILIO, BOCCUZZI e GATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 18 dell'articolo 24 della legge n. 214 del 2011 ha stabilito che, a partire dal 1o gennaio 2012, vengono estesi i nuovi requisiti minimi per il conseguimento della pensione di vecchiaia (66 anni per uomini e 62 per donne, con aumento graduale a regime per queste ultime) anche ai lavoratori iscritti al fondo speciale delle Ferrovie dello Stato, istituito presso l'INPS ai sensi dell'articolo 43 della legge n. 488 del 1999, come se la suddetta tipologia di lavoratori non dovesse rientrare nel decreto di armonizzazione previsto;
   in risposta agli atti di sindacato ispettivo 5-06696 Paladini e 5-06825 Damiano inerenti alle modifiche introdotte dalla norma richiamata, il Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali Michel Martone, si limitava a rispondere in Commissione: «In definitiva il superamento delle situazioni evidenziate dagli onorevoli interroganti richiederebbe una modifica della normativa primaria recata dal decreto “Salva Italia”. Occorre tuttavia rilevare che – qualora la prestazione di lavoro venga eseguita in orario notturno – tali lavoratori possono comunque usufruire dei benefìci ai fini pensionistici previsti dal decreto legislativo n. 67 del 2011, per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti. In siffatto contesto normativo, un accoglimento delle istanze sottese ai presenti atti parlamentari – volte ad estendere la normativa in materia di lavoro usurante anche al personale macchinista e viaggiante delle Ferrovie dello Stato – non può prescindere da un mirato intervento normativo – di rango primario – che comporterebbe l'allocazione di ingenti risorse finanziarie, la cui possibilità di reperimento deve essere valutata alla luce dell'attuale difficile quadro congiunturale»;
   forse prima di modificare la normativa specifica di questo settore, si sarebbe dovuto tenere presente, come fatto rilevare, con lettera del 17 aprile 2012 ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico dal comitato amministratore del fondo speciale per il personale dipendente dalle Ferrovie dello Stato, che: «le attività che avevano determinato la necessità di prevedere requisiti agevolati di accesso alla pensione per i lavoratori che le svolgono, sono quelle attinenti alla condotta dei mezzi di trazione ferroviari (macchinisti e addetti alla condotta di mezzi di manovra), alle attività di scorta, di sicurezza e assistenza alla clientela a bordo treno (capi treno/capi servizio treno ed operatori specializzati di bordo), al personale addetto alla manovra nelle stazioni e negli scali ferroviari (aggancio e sgancio locomotive, composizione e scomposizione convogli ferroviari), al personale con status di marittimo, adibito alle attività di navigazione sulle navi traghetto delle Ferrovie dello Stato, che collegano le isole Sicilia e Sardegna con il continente, tutte attività caratterizzate dalla gravosità delle mansioni espletate (a bordo di treni con orari in turni non cadenzati ed articolati nelle 24 ore e nell'intero arco dell'anno, con esposizione a tutte le condizioni atmosferiche ed anche ad orario notturno)»; si sarebbe dovuto tenere presente la particolarità di questa tipologia di lavoratori, che peraltro non è più solo presente nelle Ferrovie dello Stato, ma anche in altre società ferroviarie, che operano sulla rete ferroviaria a seguito della liberalizzazione intervenuta in questo settore;
   va ricordato che alla fine degli anni ’70, l'ex azienda Ferrovie dello Stato diffuse i dati sulla mortalità dei ferrovieri che era di 72 anni in media, mentre per i macchinisti emerse il dato preoccupante di 64 anni;
   non si sono trovati dati aggiornati sull'aspettativa di vita media di un macchinista ma gli interroganti ritendono che non possa essere cambiata di molto, rispetto al dato emerso alla fine degli anni ’70;
   con i nuovi requisiti per l'accesso alla pensione di vecchiaia (66 anni più l'aumento per aspettativa di vita a regime), si rischierebbe in teoria, in modo particolare per i macchinisti, che nessuno di loro arrivi più vivo alla pensione (pagando inutilmente contributi per una vita);
   il precedente limite di 58 anni è stato fissato a suo tempo seguendo la logica delle visite mediche periodiche, cui ognuno di loro viene sottoposto (con una frequenza quinquennale in gioventù, che diventa annuale dopo i 50 anni) ed è noto che sono ben pochi quelli che risultano ancora «idonei» a svolgere la mansione all'età di 58 anni. Lo stesso dicasi per i manovratori addetti alla composizione e scomposizione dei convogli ferroviari negli scali;
   il lavoro dei ferrovieri era ritenuto fino a pochi mesi fa così dannoso da non esser compreso neppure nella categoria dei lavori usuranti. A conferma di ciò si evidenzia che essi fanno turni notturni e orari altamente irregolari, stanno a lungo in galleria, sono sottoposti a campi magnetici potenti (fino a 30 microtesla sulle linee Tav, anche se «discontinui», quando il limite di legge è 0,2), trasportano passeggeri e merci pericolose;
   dopo 15-20 anni presentano in genere problemi alla vista e all'udito; dopo 20-25, intorno all'80 per cento presenta problemi alla colonna vertebrale, soffrono di disfunzioni della pressione, colesterolo, e altro, e se dichiarati inidonei, sono di difficile ricollocazione in altre attività o mansioni ferroviarie;
   è quanto meno opportuno esperire le verifiche necessarie sui lavoratori che operano in questo specifico settore per valutare quale sia l'aspettativa di vita e anche l'età media in cui, a causa delle condizioni di salute, possono essere dichiarati inidonei all'esercizio ferroviario –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, di esperire le verifiche di cui sopra e di assumere iniziative per modificare la norma richiamata in premessa o per prevedere, in alternativa che per il settore delle attività ferroviarie vi siano gli stessi requisiti di accesso alla pensione previsti per i lavoratori addetti a mansioni particolarmente faticose, usuranti e pesanti. (5-07075)


   GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, recante «Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi», in vigore dal 3 marzo 2006, è stata disciplinata la facoltà di richiedere la totalizzazione dei periodi assicurativi. Il decreto legislativo detta una nuova disciplina dell'istituto della totalizzazione dei periodi assicurativi, in sostituzione delle disposizioni di cui all'articolo 71 della legge n. 388 del 2000 e del relativo regolamento di attuazione di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 57 del 2003;
   va rilevato però che la disciplina introdotta con decreto legislativo n. 42 del 2006 ha fortemente penalizzato chi aveva già maturato in più fondi un'anzianità contributiva di diciotto anni al 31 dicembre 1995 che si ritrova, a differenza di altri lavoratori in possesso di identici requisiti ma iscritti in un unico fondo, a vedersi calcolata la propria pensione con il solo sistema contributivo, con un calcolo particolarmente penalizzante;
   il comma 5 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 42 del 2006 si è discostato, ad avviso dell'interrogante, dal principio di delega di cui all'articolo 1, comma 2, lettera o), della legge n. 243 del 2004, che espressamente prevede che «ogni ente presso cui sono stati versati i contributi sarà tenuto pro quota al pagamento del trattamento pensionistico, secondo le proprie regole di calcolo». L'articolo in esame prevede l'applicazione del metodo contributivo, a prescindere dal metodo di calcolo previsto dalla singola gestione per la generalità degli iscritti, sia per la quota a carico degli enti previdenziali pubblici sia per la quota a carico degli enti previdenziali privatizzati;
   si ricorda che il combinato disposto dell'articolo 71, comma 2, della legge n. 388 del 2000 e dell'articolo 6 del decreto ministeriale n. 57 del 2003 dispone il principio per cui le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota secondo le regole del proprio ordinamento, vigente al momento della presentazione della domanda. Per le pensioni o quote da liquidare con il sistema retributivo ciascuna gestione determina la quota di propria pertinenza, stabilisce l'importo teorico della pensione cui l'iscritto avrebbe diritto se i periodi di assicurazione totalizzati per effetto del cumulo fossero compiuti in base al proprio ordinamento, quindi applica a tale importo teorico il coefficiente dato dal rapporto tra l'anzianità di propria competenza e quella risultante in base al cumulo;
   per le considerazioni di cui sopra, risulta evidente che l'istituto della totalizzazione è oltremodo penalizzante e vengono posti requisiti ed effetti che nei fatti hanno reso poco utilizzata questa possibilità; si legge, però, in continuazione, che autorevoli fonti ministeriali sostengono che la totalizzazione, anche con l'attuale normativa, è utilizzabile da tutti per avere un'unica pensione;
   in Commissione lavoro si stanno discutendo proposte di legge che migliorerebbero questa possibilità di ottenere una pensione con la totalizzazione dei contributi; quindi i dati rispetto all'applicazione del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, recante «Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi», in vigore dal 3 marzo 2006, possono essere particolarmente utili –:
   quante siano state le domande di pensione con la totalizzazione presentate annualmente a partire dall'anno 2006, suddivise per lavoratori dipendenti, autonomi, lavoratori iscritti alla gestione separata e professionisti delle casse private, e quali siano stati gli importi medi di pensione liquidati. (5-07076)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   DELFINO e NARO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il prezzo pagato agli agricoltori per il vero olio di oliva è crollato del 30 per cento anche per effetto degli inganni e delle frodi che danneggiano il settore e colpiscono produttori e consumatori;
   i Nas hanno recentemente scoperto un traffico di circa 500.000 litri di olio extra vergine di oliva contraffatto da parte di un'organizzazione che reperiva anche in ambito internazionale (Spagna e Maghreb), le materie prime per la sofisticazione degli olii (clorofilla e betacarotene) per poi cederle ad oleifici compiacenti;
   i prezzi pagati ai produttori agricoli crollano per effetto della concorrenza sleale provocata dagli inganni e contraffazioni nonostante il fatto che i consumi di extravergine delle famiglie sono aumentati del 4,2 per cento nel 2012 e la produzione nazionale si è ridotta addirittura del 6 per cento nell'ultima raccolta;
   l'arrivo di olio di oliva straniero in Italia ha raggiunto il massimo storico di 584 mila tonnellate e ha superato la produzione nazionale, in calo nel 2011 a 483 mila tonnellate e il risultato del sorpasso è il fatto che oggi la maggioranza delle bottiglie di olio proviene da olive straniere senza che questo sia sempre chiaro ai consumatori ma si assiste anche ad una forte riduzione della qualità dell'olio in vendita, oltre che a una pericolosa proliferazione di truffe e inganni;
   nel 2011 si è verificato un aumento del 3 per cento nelle importazioni di olio di oliva dall'estero che sono quasi triplicate negli ultimi 20 anni (+163 per cento), sommergendo di fatto la produzione nazionale, che sarebbe peraltro quasi sufficiente a coprire i consumi nazionali;
   gli oli di oliva importati in Italia vengono infatti mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all'estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri dove sono state esportate 364 mila tonnellate nel 2011;
   secondo una recente indagine occorre registrare la mancanza di trasparenza, infatti, quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia contengono miscele di diversa origine, per le quali è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, questo nonostante sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta dal primo luglio 2009, in base al regolamento comunitario n. 182 del 6 marzo 2009;
   sulle bottiglie di extravergine ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari» obbligatorie per legge nelle etichette dell'olio di oliva. La scritta è riportata in caratteri molto piccoli, poste dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione sull'etichetta che la rende difficilmente visibile;
   senza contare il danno al patrimonio ambientale con oltre 250 milioni di piante sul territorio nazionale che garantiscono un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative all'anno e un fatturato di 2 miliardi di euro –:
   se non ritenga opportuno prendere misure incisive e veloci al fine di reprimere tutti i fenomeni di sofisticazione e truffa che provocano enormi danni d'immagine ed economici ai veri produttori di olio extravergine. (3-02329)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 «attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un loro patrimonio, ai sensi dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42» stabilisce che siano individuati i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a comuni, province, città metropolitane e regioni, secondo i parametri e le procedure indicate nel decreto medesimo;
   l'articolo 3, comma 3, del suddetto decreto legislativo prevede che i beni sono individuati, ai fini dell'attribuzione ad uno o più enti appartenenti ad uno o più livelli di governo territoriale, mediante l'inserimento in appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso;
   l'articolo 7 del medesimo decreto precisa, inoltre, che a decorrere dal 1o gennaio del secondo anno successivo alla data della sua entrata in vigore, su richiesta degli enti locali possono essere attribuiti ulteriori beni eventualmente resisi disponibili e, al comma 2, specifica che gli enti territoriali interessati possono individuare e richiedere ulteriori beni non inseriti in precedenti decreti né in precedenti provvedimenti del direttore dell'Agenzia del demanio;
   evidenziato che, ad oggi, non sono stati pubblicati i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 85 del 2010 e che, pertanto, non sono individuati gli immobili di possibile attribuzione agli enti interessati;
   il comune di Firenze utilizza, per le proprie finalità istituzionali, alcuni immobili di proprietà dell'Agenzia del demanio e, più precisamente:
    a) immobile posto in Firenze, Piazza della Calza 2 per le esigenze della direzione corpo di polizia municipale;
    b) porzione di immobile posto in Firenze, via Senese 208, per le attività della direzione servizi sociali e per attività di quartiere;
    c) porzione di terreno posto in via dei Vespucci (campo sportivo Peretola) per le attività gestite dal servizio sport;
    d) immobile posto in Firenze, via di Brozzi 334 per le esigenze del quartiere;
    e) immobile posto in Firenze, via Bolognese – scuola dell'infanzia e scuola primaria Salviati-Vespucci;
    f) immobile posto in Firenze, via Accursio 19 per le attività della direzione servizi sociali;
    g) porzione di terreno posto in Firenze, via Accursio 19 per le attività gestite dal servizio sport;
   il comune di Firenze ha interesse all'acquisizione anche di due ulteriori terreni, ubicati in Firenze, via del Sansovino 33 e via Pio Fedi, sui quali sono state costruite, dal comune di Firenze, due scuole materne;
   con contratto sottoscritto il 30 novembre 2009 tra l'Agenzia del demanio, la regione Toscana, la provincia di Firenze ed il comune di Firenze è stata disposta la permuta tra i suddetti enti di alcuni immobili, tra cui il complesso immobiliare posto in Firenze, piazzale delle Cascine, di proprietà del comune ceduto all'Agenzia del demanio;
   nel suddetto contratto è previsto che il complesso delle Cascine debba essere consegnato libero all'Agenzia del demanio entro il 31 dicembre 2016;
   detto complesso immobiliare è attualmente utilizzato per la gran parte dalla facoltà di agraria dell'università degli studi di Firenze, oltre che da uffici comunali e dal Corpo forestale dello Stato;
   l'università degli studi, in recenti incontri tenutisi con l'amministrazione comunale, ha evidenziato l'interesse alla permanenza nell'attuale sede di piazzale delle Cascine;
   il comune di Firenze è inoltre interessato a vedersi attribuiti, a titolo gratuito, gli immobili sopra indicati, attualmente utilizzati dall'amministrazione comunale o che, comunque, rivestono interesse per la stessa, secondo le procedure di cui al decreto legislativo n. 85 del 2010 –:
   quando il Governo intenda adempiere agli obblighi legislativi derivanti dal decreto legislativo in questione e pubblicare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con l'elenco dei beni individuati. (5-07058)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la procura ha aperto un'inchiesta sui decessi per omicidio e lesioni colposi per i 3 operai delle Ferrovie dello Stato, di uno stabilimento romano, morti per un tumore tra il 2009 ed il 2011 e che fino alla metà degli anni ’90 si sono occupati della manutenzione delle carrozze merci e viaggiatori, una mansione che prevedeva la pulizia dell'impianto dei freni dei vagoni;
   l'ipotesi degli inquirenti è che le persone, scomparse in tarda età, siano morte per aver respirato l'amianto, un killer micidiale le cui conseguenze si pesano e si contano nell'arco di decenni. Gli inquirenti sostengono che, con molta probabilità, presto dovranno occuparsi di decine di casi identici tra gli ex manutentori e meccanici dell'impianto;
   poco tempo dopo essere andati in pensione i tre uomini hanno cominciato ad avvertire i sintomi tipici di chi aveva lavorato gomito a gomito con il «killer» silenzioso;
   il problema è stato sollevato e motivato dalle relazioni dei medici di tre asl della Capitale, obbligate a segnalare alla magistratura le morti che potrebbero essere ricondotte all'inalazione dell'amianto. Secondo i sanitari, i tre pazienti sarebbero deceduti per tumori provocati dalle fibre di questo minerale;
   nel mondo ci calcolano circa 120 mila decessi per amianto ogni anno, mentre in Italia sono circa 3 mila le vittime annue. Con un tempo di latenza che può essere anche superiore ai 20 anni, gli esperti prevedono che il «picco» di casi si avrà all'incirca nel 2020. Le fibre di amianto si disperdono nell'ambiente e si introducono nell'organismo con la respirazione, oppure attraverso l'acqua contaminata e non si sono registrati casi solamente fra gli operai o le persone che sono venute a contatto con le fibre per lavoro;
   l'aumento del rischio di ammalarsi dipende da quanto si è stati esposti alla sostanza, ma è indicativo che molti dei casi attuali o recenti si verifichino in persone che con le aziende imputate non hanno mai avuto a che fare –:
   se non ritenga urgente, al fine di scongiurare il pericolo per la salute dei cittadini che vivono in zone a grave rischio ambientale di contaminazione da polveri di amianto, assumere ogni iniziativa di competenza per definire misure ad hoc volte a tutelare l'ambiente e di conseguenza i cittadini e quali urgenti iniziative intenda assumere atte a vigilare sull'effettiva applicazione di tutte le misure di prevenzione, attraverso, se necessario, lo stanziamento di ulteriori risorse. (3-02332)


   BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DE POLI e CALGARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la radioterapia intraoperatoria (IORT) è una tecnica sostitutiva e/o integrativa della radioterapia esterna convenzionale e consiste nel somministrare, durante l'intervento chirurgico, un'unica dose di RT direttamente sul tumore o sul letto operatorio dopo l'asportazione del tumore stesso, per sterilizzare eventuali focolai neoplastici non aggredibili macroscopicamente o ad alto rischio di infiltrazione microscopica;
   l'ipofrazionamento estremo con singola seduta intraoperatoria induce indubbi vantaggi in termini di intensificazione di dose e possibile aumento del controllo locale di malattia. Essa comporta una significativa riduzione del numero delle sedute di trattamento, delle liste di attesa in relazione alla minore durata della radioterapia esterna ed un significativo abbattimento dei costi della stessa;
   l'obiettivo terapeutico della IORT è raggiungibile tramite:
    a) la visualizzazione diretta dell'area da irradiare con accurata e precisa identificazione del volume bersaglio;
    b) l'esclusione totale o parziale e la rimozione o protezione, tramite mobilizzazione e/o schermatura dei tessuti circostanti sani radiosensibili ed eventualmente dose-limitanti;
    c) l'eventuale schermatura di tessuti sani sottostanti;
    d) l'ulteriore possibilità di risparmiare i tessuti sani sottostanti il bersaglio con l'utilizzo degli elettroni accelerati (IOERT-Intraoperative Electro Radiotherapy);
    e) la possibilità di scegliere l'energia che permette una irradiazione ottimale del bersaglio;
   la possibilità di utilizzare un acceleratore lineare mobile direttamente in sala operatoria riduce le difficoltà tecniche legate al trasporto del paziente mediante:
    a) accorciamento del tempo aggiuntivo di anestesia;
    b) eliminazione dei rischi infettivi connessi al trasporto del paziente dalla sala operatoria al bunker radioterapia;
    c) aumento delle indicazioni al trattamento con IORT, a causa della facilità della metodica; la necessità di una stretta collaborazione tra chirurgo e radioterapista sensibilizza ulteriormente l’equipe chirurgica alle possibili indicazioni della IORT e comporta una maggiore integrazione multidisciplinare e la possibilità di avvio di protocolli specifici;
   nelle procedure della radioterapia intraoperatoria sono strettamente coinvolte numerose figure professionali, il radioterapista, il chirurgo, l'anestesista, il tecnico di radioterapia. Il personale infermieristico della sala operatoria, rendendo la metodica, per definizione, fortemente multidisciplinare;
   l'utilizzo della IORT per il carcinoma della mammella sembra promettente ai fini del miglioramento del controllo locale di malattia. Negli ultimi 12 anni in Italia sono state trattate con la IORT sulla mammella circa 10000 pazienti, di cui almeno metà all'istituto europeo di oncologia e le altre nei centri dotati della tecnologia mobile o con la modalità del trasporto del paziente dalla sala operatoria al bunker. Ad oggi i centri in Italia che sono in grado di applicare questa tecnica o nei quali essa è in via di implementazione sono 50, corrispondenti a circa un terzo di tutti i centri di radioterapia;
   l'ACO San Filippo Neri, dotata di un acceleratore mobile dedicato alla sala operatoria (Novac7) dal 1998, ha iniziato, primo in Italia, il trattamento con radioterapia intraoperatoria nelle neoplasie mammarie, prima come boost, nell'ambito di uno studio pilota randomizzato della durata di 5 anni, con risultati ad oggi consolidati sul controllo locale di malattia, e tuttora continua a proporre il trattamento con IORT mammaria anche come dose unica nell'ambito di un protocollo randomizzato multicentrico italiano che prevede gli stessi criteri di arruolamento proposti dallo studio del professor Veronesi i cui risultati sembrano promettenti. A Roma e nel Lazio, l'ACO San Filippo Neri rappresenta in questo ambito, un polo di eccellenza e molte pazienti accedono alla chirurgia senologica di questo nosocomio proprio attratte dalla possibilità di ridurre o, addirittura annullare, i tempi della radioterapia esterna post-operatoria;
   l'accorciamento o la eliminazione completa della radioterapia esterna ottenuta con l'impiego della IORT comporta inoltre un miglior controllo locale di malattia in virtù dell'alta efficacia biologica della dose unica di radiazione e, fondamentale in questo momento storico della nostra economia, una ricaduta sui budget delle aziende che applicano la procedura IORT, a causa di una minore occupazione delle apparecchiature radioterapiche con riduzione delle liste di attesa. Si assiste inoltre ad un abbattimento dei costi del trattamento radiante esterno e ad un notevole miglioramento della qualità di vita delle pazienti con neoplasia mammaria che vedono ridursi l'impegno legato alle terapie con un rapido ritorno alla normale vita lavorativa e familiare e riduzione dei costi sociali;
   ancora oggi, a causa del mancato adeguamento di molte voci del tariffario della radioterapia oncologica, specialità ad elevata tecnologia e di notevole impatto economico nei budget delle aziende sanitarie, non viene riconosciuto alla IORT alcun tipo di codifica normativa o economica (DRG): la tecnica viene semplicemente registrata sulla scheda di dimissione ospedaliera come prestazione effettuata, ma non in carico ai servizi chirurgici né a quelli della Radioterapia. Questa anomalia crea disorientamento negli operatori sanitari che lavorano in questo ambito altamente specialistico e può comportare conseguenze potenzialmente dannose ai pazienti, sottoposti ad un trattamento per il quale va creandosi un consenso via via maggiore, ma che non ha un riconoscimento formale. Ad oggi solo la Lombardia ha proposto un DRG per la IORT come dose singola nel carcinoma mammario in età post-menopausale e, successivamente, come sovradosaggio, nell'ambito di un trattamento multimodale che prevede la chirurgia conservativa nelle neoplasie mammarie in donne giovani. Il progetto della regione Lombardia è finalizzato all'attività congiunta dell'Istituto europeo di oncologia e degli ospedali riuniti di Bergamo, dove il progetto IORT esiste ormai da oltre 10 anni. Il professor Veronesi si è fatto portavoce di questa proposta e sono in avanzata elaborazione i dati di un importante studio randomizzato condotto dal suo gruppo per identificare le pazienti affette da carcinoma mammario che si possono senz'altro giovare della metodica IORT –:
   quali interventi di competenza il Ministro intenda adottare al fine di diffondere l'uso della radioterapia intraoperatoria, incentivando la ricerca finalizzata ad identificare le tecniche e le dosi più appropriate in relazione ai casi specifici e se intenda procedere ad assumere ogni iniziativa da competenza per l'adeguamento del tariffario della radioterapia oncologica, specialità ad elevata tecnologia, anche per il notevole impatto economico che presenta nei budget delle aziende sanitarie. (3-02333)


   ANNA TERESA FORMISANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che, dall'anno 2011, ad alcuni invalidi civili di guerra (ex ONIG) della provincia di Frosinone, siano state rifiutate le loro richieste di erogazione del risarcimento (contributo) per le prestazioni relative alle cure climatiche e soggiorni terapeutici, regolarmente attestate dal relativo medico competente dalla ASL locale di riferimento;
   tali dinieghi, disposti dalla competente responsabile della asl di Frosinone, sarebbero stati motivati, non esplicitamente, sulla base dei contenuti di una nota del 23 maggio 2011, protocollo n. 98604, 08/13 della direzione regionale assetto istituzionale, prevenzione e assistenza territoriale della regione Lazio, che avrebbe interpretato ostativamente la concessione del beneficio economico in favore dei richiedenti in quanto non prevista dalla DGR n. 554/2010, allegato 1;
   pur tuttavia si deve evidenziare che in passato tali prestazioni sono sempre state assentite. In effetti, fino alla delibera di giunta regionale Lazio relativa alla «erogazione contributi per cure climatiche e soggiorni terapeutici agli invalidi di guerra e assimilati, ai sensi dell'articolo 57, 3° comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, – anno 2009 – definizione criteri per l'anno 2010» (in questa come in tutte quelle precedenti) si riteneva che fosse necessario adottare, e pertanto si adottavano, i criteri di cui al regolamento ex ONIG n. 30 del 12 dicembre 1975, confermati dalla circolare n. 63 del 1997 e riportati negli allegati alle corrispondenti delibere, che formavano parte integrante delle stesse, al fine di risolvere dubbi e disomogeneità di interpretazione da parte delle aziende usl regionali in merito all'individuazione degli assistiti aventi diritto ai contributi di che trattasi;
   purtroppo, a decorrere dal 2011, a partire dalla delibera di giunta della regione Lazio 4 dicembre 2010 n. 554, relativa alla «erogazione contributi per cure climatiche e soggiorni terapeutici agli invalidi di guerra e assimilati, ai sensi dell'articolo 57, 3°comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 83, – anno 2010 – definizione criteri per l'anno 2011», sono stati espunti dai testi delle predette delibere i riferimenti alle precedenti determinazioni, quali in particolare quelli relativi alla circolare n. 63 del 22 dicembre 1997 dell'assessorato salvaguardia e cura della salute in cui venivano riportati i criteri per l'individuazione degli assistiti destinatari dei contributi di che trattasi, già specificati nel regolamento ex ONIG n. 30 del 12 dicembre 1975;
   con tale soppressione, di fatto, si sono disattese, ad avviso dell'interrogante, le pertinenti disposizioni di rango legislativo nazionale che, mentre hanno riconosciuto che nei confronti degli invalidi di guerra e per servizio, in particolare dei grandi invalidi, le prestazioni di assistenza medico-preventiva e riabilitativa, di cure climatoterapiche e di assistenza protesica, hanno natura risarcitoria delle mutilazioni e delle invalidità, hanno altresì confermato che secondo il disposto dell'articolo 57 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, gli invalidi di guerra e per servizio hanno diritto di ricevere dal servizio sanitario nazionale le medesime prestazioni sanitarie specifiche assicurate dagli enti assistenziali di categoria, in base alle leggi ed ai regolamenti vigenti a quella data;
   pertanto, ai sensi dell'allegato I, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, recante «definizione dei livelli essenziali di assistenza», si è riconfermato che le prestazioni sanitarie già previste dai relativi ordinamenti prima della legge n. 833 del 1978, in particolare quelle di cui al relativo articolo 57, sono mantenute a carico del servizio sanitario nazionale (tale disposizione stabilisce che gli invalidi di guerra e per servizio hanno diritto a particolari prestazioni protesiche, cure climatiche e soggiorni terapeutici e a due cicli di cure termali, elencate nel regolamento ex ONIG);
   al riguardo, il 13 febbraio 2003, il Ministro pro tempore Sirchia, in risposta ad una interrogazione parlamentare vertente sulla stessa materia, ha riferito che: «Secondo il disposto dell'articolo 57 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, gli invalidi di guerra e per servizio hanno diritto di ricevere dal Servizio sanitario nazionale le medesime prestazioni sanitarie specifiche assicurate dagli Enti assistenziali di categoria, in base alle leggi ed ai regolamenti vigenti a quella data. Il regolamento dell’ex ONIG (Opera nazionale per la protezione ed assistenza degli invalidi di guerra) individua nei dettagli le prestazioni sanitarie da garantire a tali categorie e rappresenta un riferimento univoco sull'intero territorio nazionale. Alcune regioni, tuttavia, hanno disciplinato il settore con proprie leggi, ampliando in taluni casi il livello di tutela, facendo fronte con proprie risorse ai relativi oneri»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 di definizione dei livelli essenziali di assistenza (Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002) ha confermato la previsione dell'articolo 57 sopracitato, includendo nei predetti LEA (allegato 1 assistenza a categorie particolari), le prestazioni previste dal regolamento ex ONIG;
   sulla base di quanto riportato, andrebbe verificato il motivo per cui la regione Lazio, dal 2011, non riconosca più le particolari prestazioni relativa alle cure climatiche ed ai soggiorni terapeutici nonché i due cicli di cure termali, elencate nel regolamento ex ONIG in favore degli invalidi civili di guerra, come nello specifico è accaduto in danno degli invalidi civili di guerra della provincia di Frosinone –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa ed in particolare dell'avvenuta esclusione a decorrere dal 2011, degli invalidi civili di guerra della provincia di Frosinone dalle prestazioni risarcitorie, in particolare dai soggiorni terapeutici e dalle cure termali, di cui al regolamento ex ONIG n. 30 del 12 dicembre 1975;
   se tale decisione sia connessa alle esigenze di razionalizzazione delle spesa imposte dai piani di rientro dai disavanzi sanitari regionali e quali iniziative di competenza, anche per il tramite del Commissario ad acta del Governo per l'attuazione dei citati piani di rientro, intenda assumere al riguardo. (3-02334)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 1o giugno 2012 l'agenzia «ANSA» lanciava l'allarme su possibili rischi e truffe che si nasconderebbero dietro le cosiddette «farmacie on line»;
   in particolare, si riferisce di «Viagra fabbricato mescolando gli ingredienti all'interno delle impastatrici usate dai muratori, antidolorifici senza alcun principio attivo e quindi senza effetto, farmaci trasportati violando le norme igienico-sanitarie... sono solo alcuni degli “effetti collaterali” in cui possono incappare gli acquirenti di medicinali on line»;
   i medicinali più venduti su internet risultano essere quelli legati alle disfunzioni sessuali, seguiti da anoressizzanti, antidolorifici e antidepressivi;
   detta situazione è stata denunciata nel corso del convegno nazionale organizzato da Federfarma Genova, dal titolo «Farmaci on line, opportunità o rischi ?»;
   come denunciato dal vice-presidente nazionale di Federfarma dottor Gioacchino Nicolosi, «comprare medicinali in rete può causare problemi di salute perché non c’è alcun controllo lungo tutta la filiera. Si rischia così di ingerire un medicinale scadente, con molecole contaminate»;
   su 40 mila farmacie virtuali censite, solo sei su mille sarebbero risultate legali, in regola con le normative sul commercio –:
   se quanto sopra esposto corrisponda a verità;
   in caso affermativo quali urgenti provvedimenti e iniziative si intendano adottare, sollecitare, promuovere in relazione a tale allarmante situazione.
(5-07059)


   FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo a carico di ignoti, in relazione alla vicenda delle protesi al seno di marca PIP, prodotte in Francia e importante anche in Italia, ritirate dal mercato, e al centro di uno scandalo a causa della loro potenziale pericolosità;
   dette protesi sono state impiantate su molti pazienti in strutture pubbliche e private;
   risultano essere circa 4.500 le italiane con protesi PIP a rischio;
   ogni operazione di rimozione costa circa 3.500 euro, e dunque per il servizio pubblico il costo sarà di circa 15 milioni di euro, cifra sovrastimata, dal momento che non tutte le donne dovranno essere rioperate;
   il protocollo prevede che ogni paziente venga visitata e sottoposta se necessario ad accertamenti diagnostici come ecografia e risonanza; se successivamente il medico valuterà che le protesi hanno un problema, proporrà l'intervento per la sostituzione –:
   se sia stato approntato un registro delle circa 4.500 donne con problema della protesi PIP;
   se tutte le donne con detto problema siano state avvertite e sia stata loro data comunicazione del problema che, almeno a livello potenziale, le riguarda;
   se siano stati individuati i centri di riferimento dove invitare le donne interessate e quali iniziative di competenza si intendano assumere per fronteggiare al meglio la questione. (5-07060)


   BOSSA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 7 giugno 2012, un internato nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, nel Casertano, è stato ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale San Sebastiano con gravi ustioni su tutto il corpo;
   l'uomo è internato nel reparto otto-bis dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e, per motivi in corso di accertamento, è stato aggredito dai compagni di stanza che, dopo averlo picchiato, gli avrebbero dato fuoco usando una bomboletta di gas;
   le sue condizioni sarebbero gravi e riaprono con forza una discussione sulle condizioni di queste strutture che dovrebbero essere di cura ma sono state trasformate in luoghi di terribile reclusione;
   nei giorni scorsi, presso l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, si è recato in visita un consigliere regionale della Campania, unitamente ad una troupe televisiva; è stato documentato uno stato di totale degrado e di abbandono;
   il «Filippo Saporito» di Aversa è tra le strutture più grandi d'Europa; vi sono internate poco meno di 200 persone in sette padiglioni; per loro, solo reclusione e quasi nessuna cura, in condizioni di grave rischio igienico, di promiscuità, di mancanza di spazi, e di tutele sanitarie;
   la maggior parte delle persone che si trovano nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa hanno commesso piccoli reati: maltrattamenti violenti, estorsioni in famiglia, violenza a pubblico ufficiale; i reclusi arrivano con una misura temporanea di sicurezza che ha una durata minima di sei mesi, ma che in teoria può anche non finire mai, visto che mancano programmi di sostegno alle famiglie e piani di cura presso i dipartimenti di salute mentale;
   la mancanza di personale, l'assenza di piani di cura personalizzati, le condizioni di degrado hanno trasformato di fatto l'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa in una struttura di pura reclusione, senza alcun aspetto sanitario, di brutale internamento che non dà speranze, progetti, prospettive, e si traduce in una riedizione moderna dei vecchi manicomi;
   l'articolo 3-ter del decreto-legge n. 211 del 2011 fissa al 1o febbraio 2013 il termine per il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) in applicazione delle norme già esistenti; entro tale data, le regioni devono organizzare e disciplinare il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, attraverso le aziende sanitarie, con la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale dei soggetti attualmente presenti negli ospedali psichiatrici giudiziari;
   le regioni appaiono fortemente impreparate rispetto a queste scadenze; esiste una forte preoccupazione: la creazione di nuove strutture, che prefigurino la riproduzione, in miniatura, dei manicomi giudiziari, avallando l'equazione tra sofferenza mentale e pericolosità, che da oltre trent'anni la legge n. 180 tenta radicalmente di rovesciare –:
   se il Ministro sia a conoscenza della drammatica situazione dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa (Caserta) e cosa il Governo intenda fare, per quanto di competenza, perché sia rispettato lo spirito della norma che ha voluto creare, negli ospedali psichiatrici giudiziari, luoghi di cura e non solo di reclusione; quali iniziative si stiano assumendo per verificare che si realizzi, senza indugio, la riforma che chiude gli ospedali psichiatrici giudiziari per garantire una presa in carico dei malati da parte dei dipartimenti di salute mentale, in modo da assicurare quel diritto alla cura e al reinserimento sociale, fissato dalla Costituzione e dalla normativa vigente. (5-07081)


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi quindici anni, il servizio sanitario nazionale ha garantito in maniera diffusa una importante indagine di prevenzione sui neonati, in grado di anticipare l'insorgenza di patologie dell'udito;
   si tratta di un esame uditivo in neonatologia che accertava, in tempo utile, problemi o dubbi sullo stato di salute dell'udito del bambino; in molti casi i piccoli venivano richiamati per accertamenti di secondo livello;
   tale esame ha consentito in alcune circostanze la scoperta precoce di problemi e l'avvio tempestivo di interventi di riabilitazione o di impiantistica;
   da questo mese, tale procedura risulta sospesa, per cause finanziarie, in molte strutture sanitarie di vari territori; in particolare, giungono segnalazioni in questo senso dal reparto di otorino e pediatria dell'ospedale di Mestre, Venezia, nella regione Veneto;
   con la soppressione di questo esame preventivo, si tornerà a scoprire la sordità a 3/4 anni di vita del bambino, quando i primi segnali reattivi possono mettere in allarme, in un momento, però, che potrebbe risultare già in ritardo per interventi tempestivi;
   la soppressione di questo esame preventivo rischia di mettere in discussione l'impianto stesso del servizio sanitario nazionale che fissa, come linea fondamentale, quella delle prevenzione, soprattutto per la neonatologia e per una patologia come quella uditiva, su cui tanti dibattiti si sono aperti, e tutti segnalando la necessità di interventi preventivi e tempestivi –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se risulti che questa e altre indagini preventive siano state soppresse per cause finanziarie;
   se non ritenga di avviare a tale riduzione degli strumenti di prevenzione per patologie dove l'intervento tempestivo può essere decisivo;
   se il Governo intenda, nell'ambito delle sue competenze e nel rispetto di quelle regionali, intervenire per garantire sul territorio nazionale la prevenzione come strumento centrale del servizio sanitario. (5-07082)

Interrogazione a risposta scritta:


   MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la nota prot. 58069/11 del 26 agosto 2011 il direttore generale della Croce rossa italiana, dottoressa Patrizia Ravaioli, ha chiesto agli uffici dipendenti di «far conoscere l'ammontare delle quote dell'avanzo vincolato di amministrazione relativamente agli arretrati del personale appartenente al Corpo Militare CRI, nonché delle spettanze riguardanti gli avanzamenti di grado»;
   con la nota del 6 settembre 2011, n. prot. 0059751/2011 il dirigente dell'ufficio bilancio del comitato centrale della croce rossa italiana, dottoressa Patrizia De Luca, ha comunicato che «Al conto consuntivo esercizio 2008 ci sono euro 4.000.000,00 riguardante l'accantonamento per il riconoscimento degli arretrati di grado ed euro 1.567.351,67 riguardante l'accantonamento arretrati per l'aggiornamento del trattamento economico tabellare. Al riguardo si comunica che nel consuntivo esercizio 2010, verrà vincolato l'importo di 1.552,500,00 in qualità di arretrati di contratto per l'anno 2010, previsto dall'O.C. 202/09 e 205/09, come risulta nel Bilancio di previsione per l'esercizio medesimo»;
   il 4o consiglio di base della rappresentanza militare del Corpo militare della Croce rossa italiana, con le note prott. numero 118/4o Co.Ba.R. del 15 novembre 2011 e 129/4o Co.Ba.R. dell'11 maggio 2012, ha evidenziato che «Il CoCeR ha assunto l'impegno di effettuare approfondimenti al fine di verificare se le seguenti somme», quelle citate nella nota dell'ufficio bilancio, «siano ancora nella disponibilità del Corpo per il pagamento di quanto dovuto e, soprattutto, al fine di poter fornire l'adeguato riscontro, quando si prevede di perfezionare le procedure di erogazione. Ciò al fine di predisporre gli atti preparatori ad un contenzioso con l'Amministrazione»;
   con l'ordinanza commissariale 0258-10 del 26 maggio 2010 il commissario straordinario della Croce rossa italiana ha disposto «3. stante quanto disposto al precedente punto 2, solo nell'ipotesi in cui si creassero nell'arco dell'anno in corso le necessarie disponibilità di bilancio, si provvederà ad erogare anche le competenze arretrate, relative agli adeguamenti economici di cui trattasi, con riferimento all'anno 2009. Diversamente, sarà cura del direttore generale cui è demandata la predisposizione del bilancio di previsione, di valutare lo stanziamento delle predette necessità finanziare, nel bilancio di previsione 2011;» nonché «4. di procedere, contestualmente al pagamento di quanto spettante in applicazione della normativa di cui al punto 1, nei limiti di quanto indicato al punto 2, alla ripetizione delle somme erroneamente corrisposte al personale, mediante compensazione di quanto spettante a titolo di arretrati relativi al periodo dal 1o gennaio 2010 al 30 aprile 2010»;
   le citate somme risultano iscritte nei rendiconti generali consolidati per gli esercizi relativi agli anni 2008, 2009, 2010 e nel bilancio di previsione del comitato centrale per l'anno 2012;
   consta agli interroganti che alcuni dipendenti del Corpo militare della croce rossa italiana abbiano instaurato dei ricorsi giurisdizionali presso il tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) del Lazio, contro l'amministrazione datoriale per reclamare la mancata erogazione degli arretrati di grado e degli arretrati dei contratti di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri estesi con la citata ordinanza commissariale 0258-10 (n. R.G. 6718/2011 «mancato adeguamento stipendiale» e n. r.g. 3252/2012 «corresponsione somme a titolo di adeguamento annuale della retribuzione del personale dirigente nella misura percentuale pari a quella fissata nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 13 aprile 2005, 2 ottobre 2006, 27 aprile 2007, 7 maggio 2008, 29 aprile 2009») –:
   se l'ammontare delle quote dell'avanzo vincolato di amministrazione relativamente agli arretrati del personale appartenente al Corpo militare CRI, nonché delle spettanze riguardanti gli avanzamenti di grado siano state effettivamente corrisposte agli aventi titolo e, in caso contrario, quali siano i motivi che fino ad oggi hanno impedito alla Croce rossa italiana di effettuare i dovuti pagamenti, se dette somme siano realmente disponibili e quali immediate azioni intenda intraprendere per onorare i crediti vantati dai militari del Corpo. (4-16570)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   GALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la provincia del Verbania-Cusio-Ossola con i suoi 76 comuni situati in zone montuose è una tra le province d'Italia con più presenza di cittadini di età superiore ai 65 anni e con solo 13 comuni con popolazione superiori a 200 abitanti per chilometro quadrato;
   a seguito del passaggio nel 1998 di Poste italiane da ente pubblico economico a società per azioni nel Verbania-Cusio-Ossola c’è stato un forte processo di razionalizzazione che ha portato alla perdita di circa 250 posti di lavoro (corrispondenti a circa il 30 per cento in meno);
   il 18/19 aprile è stato presentato alle organizzazioni sindacali un progetto, denominato «interventi servizi postali», necessario, secondo poste, a causa della diminuzione della corrispondenza, che prevede per il Piemonte un taglio di 431 portalettere, 17 capisquadra e il dimezzamento del centro di meccanizzazione postale di Novara riducendone l'attuale forza lavoro da 184 unità a 85 unità, 99 risorse in meno;
   nel Verbania-Cusio-Ossola si è già pagato con la riorganizzazione del 2007 che, con la chiusura del centro postale operativo di Domodossola, ha eliminato 40 posti di lavoro. A seguire nel 2010, anno in cui, con la riduzione del servizio di distribuzione della corrispondenza da 6 a 5 giorni settimanali e l'aumento di un'ora e dieci minuti di prestazione giornaliera del portalettere, si sono tagliati altri 5 portalettere a Intra, 2 a Omegna e 10 a Domodossola e 1 addetto alle lavorazioni interne a Intra e 2 a Domodossola per un totale di 19 zone di recapito e 24 posti di lavoro comprese scorte;
   delle zone rimaste nel Verbania-Cusio-Ossola (46 a Intra + 4 gestite da privati, – 19+3 a Omegna – 50 a Domodossola) gli «interventi servizi postali 2012», prevedono di togliere dalle 115 zone di recapito 19 zone +1 caposquadra per un totale di 29 eccedenze (altri 29 posti di lavoro cancellati);
   nel nuovo progetto preoccupa assieme alla diminuzione degli organici, l'assenza di concrete azioni ed idee di sviluppo: questo è un finto progetto elaborato unicamente per giustificare un ulteriore ridimensionamento di personale e aumento di guadagno a discapito del servizio;
   l'estensione territoriale nel recapito è rimasta uguale mentre con l'ultima riorganizzazione del modello del recapito si è passati da sei giorni di consegna a cinque (dal lunedì al venerdì) con una notevole riduzione dei costi aziendali. Nonostante ciò continua a servire la popolazione con meno portalettere di quelli concordati con le organizzazioni sindacali per l'organico scaturente dall'accordo del luglio 2007 abusando del regime di straordinario all'interno dell'orario di lavoro (flessibilità) con gli ovvi disagi di corrispondenza non recapitata e mancato rispetto della carta della qualità;
   mentre Poste italiane è una società per azioni, con il Governo come socio unico, con fiorenti bilanci di cui per l'anno 2011 l'utile netto a quota 846 milioni che la conferma come leadership mondiale tra gli operatori postali per redditività;
   nessuno in azienda sembra porsi più il problema se la posta venga recapitata o meno ma pensa solo ad operare tagli sempre più consistenti coi soli obiettivi di riduzione dei costi provocando una contrazione del servizio e di tagli al personale: non recapitando la posta con varie scuse che hanno un unico filo conduttore la mancanza di personale per risparmiare gli stipendi di chi offre veramente il servizio dell'ultimo miglio;
   il personale addetto alla sportelleria ha subito un calo ancora più rilevante del recapito dovuto sia al mancato turn over concordato nel 2009 con le organizzazioni sindacali sia allo spostamento del personale addetto al servizio al pubblico al settore commerciale sempre più in sviluppo;
   l'offerta alla clientela degli uffici postali è stata drasticamente ridotta con chiusure di uffici postali nei comuni con più sportelli postali presenti e riduzione di aperture in altri;
   l'ufficio postale di Suna (frazione di Verbania) è stato chiuso, contro le vive proteste anche di un comitato popolare, per aprire al suo posto l'ufficio impresa nonostante nel progetto originario fosse chiaro che l'ufficio postale impresa doveva essere un ufficio postale in aggiunta a quelli operanti nel Verbania-Cusio-Ossola;
   costantemente diminuiscono gli uffici postali aperti sul territorio causa chiusure preordinate di un giorno al mese o soppressione del turno pomeridiano per vari giorni a tavolino con varie scuse dovute di volta in volta a «carenza di organico, malfunzionamento attrezzature, formazione, e altro»;
   ad esempio dal giorno 30 aprile 2012 nel Verbania-Cusio-Ossola sono chiusi tutti i turni pomeridiani degli uffici a doppio turno, l'ufficio poste impresa di Suna e 8 uffici monoperatore a turno unico (Baceno-Bee-Montecrestese-Omegna Succursale 1-Seppiana-Toceno-Trarego Viggiona-Trontano) per abbattere le giornate di ferie a costo zero creando, con l'interruzione del servizio dal sabato al mercoledì, forte disagio alla cittadinanza;
   il nuovo sistema informatico di poste italiane, costato oltre 30 milioni di euro, che doveva velocizzare le operazioni ed agevolare la contabilità interna in realtà, a quasi un anno dalla sua introduzione, si è rivelato un sistema che penalizza e fa infuriare i cittadini, lasciando gli impiegati ed i direttori nello sconforto ad affrontare la clientela inferocita dalle lunghe attese;
   essendo il turismo l'azienda che offre più occupazione rimasta sul territorio, sia nel periodo estivo sia in quello invernale, servirebbe potenziare i servizi al cittadino ed al turista invece di chiudere gli uffici postali;
   al disagio sopra descritto, sia nel recapito sia nella sportelleria, che stanno vivendo i cittadini residenti sul suolo provinciale corrisponde lo stress a cui sono sottoposti i lavoratori sulle cui spalle pesa la mole di lavoro esorbitante scaturita dalle carenze di personale e dalle attività straordinarie che gli vengono richieste;
   ai lavoratori postali è stato decurtato il premio di risultato del 2010 e del 2011 mentre vedono chi li dirige prendere lauti premi in aggiunta alla disparità stipendiale inspiegabile di chi spalla a spalla ha lo stesso ruolo e stesso livello;
   non si capisce, vista l'iniziativa del Governo relativamente alla pubblicità dei redditi dei Ministri, perché non vengono resi pubblici sul sito di Poste i compensi e i premi del management e fatta luce sui trattamenti ad personam;
   tutto ciò scaturisce dal modus operandi dell'azienda Poste italiane che, in questo territorio, prende decisioni prive di lungimiranza e senza il coinvolgimento delle parti direttamente interessate, i lavoratori ed i cittadini –:
   quali azioni e quali provvedimenti i Ministri interrogati per quanto di competenza, intendano intraprendere per risolvere la citata situazione nel Verbania-Cusio-Ossola di grave inefficienza di un servizio di interesse generale ed essenziale di cui il socio azionista unico è il Governo e se non ritengano opportuno intervenire con urgenza affrontando quanto prima questi problemi che mettono in seria difficoltà gli utenti e il territorio nella sua complessità anche promuovendo per quanto di competenza come azionista unico, una revisione del piano di riorganizzazione futura attuato nella provincia del Verbania-Cusio-Ossola sia nel Recapito sia nella Sportelleria che così com’è stato presentato non prevede garanzia di qualità del servizio ma solo ed esclusivamente ripercussioni negative per i servizi alla cittadinanza e sul piano occupazionale.
   (3-02330)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, DAMIANO, CODURELLI, GATTI, MADIA, RAMPI, BOCCUZZI, BOBBA e VELO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stato sottoscritto nel 2011, quale parte integrante del CCNL del settore, un protocollo di intesa, con le organizzazioni sindacali di categoria, sulla disciplina dei rapporti della società Poste Italiane con le aziende appaltatrici e che prevede la vigilanza della società committente Poste, sui comportamenti delle ditte appaltatrici soprattutto in esito al rispetto del contratto di lavoro e delle norme sulla sicurezza sul lavoro;
   nella realtà che viene invece rappresentata, molte ditte appaltatrici, pagano con molto ritardo le retribuzioni e riducono il numero delle ore e si verificano molti casi di lavoratrici dipendenti, che vengono passate in modo unilaterale da 15 a 8 ore settimanali di contratto;
   risulterebbe anche che le Poste Italiane stiano assegnando i nuovi appalti di servizi di pulizia degli uffici postali, non solo tagliando drasticamente il numero delle ore, ma anche con ribassi di offerta significativi rispetto alla base prevista dai bandi;
   nello specifico, in alcune situazioni, si starebbe passando da 3 passaggi di 45 minuti degli addetti alla pulizia a settimana in ogni ufficio postale, a 20 minuti una volta a settimana;
   questo drastico taglio di servizi di pulizia messi in appalto dalle Poste ricade pesantemente sui lavoratori, che in questo settore sono particolarmente donne;
   le Poste Italiane sono a totale partecipazione pubblica e dovrebbero ancora di più, oltre agli obblighi di legge, adottare comportamenti ispirati alla responsabilità sociale –:
   se non ritenga il Governo di assumere le iniziative di competenza nei confronti dell'azienda affinché rispetti il succitato protocollo, soprattutto per le modalità di assegnazione degli appalti, e le garanzie contrattuali per i lavoratori e le lavoratrici. (5-07065)


   BENAMATI e DUILIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Parmalat spa è un'azienda italiana specializzata nel latte, yogurt, panna e nel settore alimentare;
   è uno dei principali attori internazionali e le sue attività, sparse in tutto il mondo, includono 68 stabilimenti produttivi, offre i suoi prodotti a 17 milioni di famiglie italiane e a 200 milioni nel mondo;
   in Italia, si rifornisce di latte da circa 800 stalle e costituisce uno dei maggiori aggregati del nostro sistema agroalimentare;
   a seguito della gravissima crisi finanziaria che l'ha coinvolta nel 2003 ha dichiarato bancarotta ed è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto-legge n. 347 del 2003, con commissario straordinario il dottor Enrico Bondi;
   da quella data è iniziato un pesante e severo percorso di risanamento e rinascita aziendale che ha visto una ristrutturazione industriale ed operativa del gruppo;
   in questo quadro, fra le altre cose, nel dicembre 2005 la Parmalat ha ceduto la propria «divisione forno» all'azienda veronese Vicenzi e con essa i marchi Grisbi, Mr Day e ProntoForno;
   nel maggio 2007 ha ceduto i marchi Pomì, Pomito e Pais alla Boschi Luigi & Figli spa e nel luglio 2009 la controllata australiana, Parmalat Food Products Pty Ltd, ha completato l'acquisizione di alcune attività di National Foods nel settore del latte fresco localizzate in Nuovo Galles del Sud e in Australia meridionale;
   i notevoli sacrifici fatti nel risanamento aziendale sono riassumibili nelle indicazioni dell'allora commissario straordinario Enrico Bondi che indicava, in pubbliche dichiarazioni, come il totale dello stato passivo nel 2003 era di 14,5 miliardi di euro e il debito ristrutturato, ovvero l'ammontare dei crediti che hanno votato il concordato, era di 19,3 miliardi di euro;
   nel 2011 la liquidità in cassa ammontava a poco meno di 1,5 miliardi di euro e questo dà la dimensione del grande lavoro di risanamento svolto;
   nel marzo 2011 la multinazionale francese Lactalis, che in Italia già possiede i marchi Galbani, Invernizzi, Locatelli e Cademartori, ha iniziato ad acquisire azioni Parmalat ed al 23 marzo Lactalis raggiunge il 29 per cento del capitale di Parmalat, appena sotto il limite del 30 per cento che comporta l'obbligo di offerta pubblica di acquisto (OPA);
   il 26 aprile 2011 Lactalis annuncia il lancio di un'offerta pubblica di acquisto totalitaria sul capitale di Parmalat, al prezzo di 2,60 euro per azione, che si conclude con successo l'8 luglio 2011 e, ad oggi, la società è controllata per l'83,30 per cento dalla Lactalis;
   nel prospetto di legge collegato all'offerta pubblica di acquisto appariva chiara l'intenzione di trasformare Parmalat nel gigante europeo del latte con uno sviluppo strategico di settore;
   sempre secondo le indicazioni del prospetto dell'offerta pubblica di acquisto del maggio 2011 Lactalis risultava essersi esposta per 3,4 miliardi di euro, situazione che avrebbe portato l'indebitamento complessivo del gruppo francese a circa 6 miliardi di euro;
   all'epoca dell'acquisizione sorsero quindi perplessità, anche di recente richiamate dalla stampa, sulla reale stabilità ed indebitamento del gruppo francese e sulla sostenibilità dell'operazione con il timore, da più parti evocato, che la disponibilità di cassa Parmalat potesse essere usata per ripagare i debiti della scalata;
   su questo si ricorda, inoltre, che una norma precisa dello statuto della nuova Parmalat, sembrerebbe imporre che fino al 2020 non sia possibile distribuire utili agli azionisti in misura maggiore del 50 per cento e vincolando il resto allo sviluppo dell'azienda;
   ad oggi, però, sono intervenute operazioni infragruppo mediante le quali Parmalat ha acquisito la società Lactalis Usa per un valore dell'operazione stimato attorno ai 904 milioni di dollari;
   su questa operazione che è naturalmente valutata positivamente dagli amministratori, secondo notizie stampa, grava invece il giudizio negativo dei soci di minoranza come il gruppo Amber, il quale indica come «l'operazione infragruppo non appare corretta né sul piano formale né sostanziale»;
   alcune rappresentanze sindacali hanno di recente espresso preoccupazione per il futuro di un patrimonio produttivo e occupazionale che va salvaguardato principalmente nel perimetro industriale italiano, indicando come il gruppo Lactalis avrebbe disatteso gli impegni per uno sviluppo di Parmalat attraverso la crescita delle sue aree di attività –:
   se quanto in premessa corrisponda al vero e quale sia il reale stato della situazione e, ove necessario, cosa abbia in programma il Ministero dello sviluppo economico per garantire, nell'ambito delle sue competenze, il corretto sviluppo di un grande patrimonio industriale e tecnologico italiano garantendo il mantenimento di adeguati livelli occupazionali. (5-07080)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI e CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, recante «Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse» ha attribuito all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni competenze in materia di disciplina della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi, di individuazione periodica delle piattaforme emergenti per la disciplina della commercializzazione dei diritti audiovisivi e di vigilanza sul corretto esercizio del diritto di cronaca;
   in attuazione del dettato normativo primario, il 17 luglio 2009 l'autorità ha adottato le delibere 405/09/CONS e 406/09/CONS, che disciplinano le modalità e i limiti temporali dell'esercizio del diritto di cronaca audiovisiva e radiofonica per ciascun evento delle competizioni nazionali professionistiche a squadre, quindi attualmente calcio e pallacanestro;
   il suddetto decreto n. 9 del 2008 non ha previsto esplicitamente un presidio sanzionatorio autonomo in caso di violazione delle proprie disposizioni, ma esclusivamente per le violazioni dei regolamenti dell'autorità, e dette sanzioni oscillano da un minimo edittale di 10.000 euro a un massimo di 258.000 euro, senza che sia fatta alcuna distinzione tra l'ambito locale o nazionale di esercizio dell'attività radiotelevisiva da parte del soggetto che ha commesso la violazione;
   l'articolo 51 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 – Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, dispone che «L'Autorità applica, secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi, ed in particolare quelli previsti: (omissis)» e che «In attesa che il Governo emani uno o più regolamenti nei confronti degli esercenti della radiodiffusione sonora e televisiva in ambito locale, le sanzioni per essi previste dai commi 1 e 2 sono ridotte ad un decimo (omissis)»;
   i contenuti relativi alla cronaca sportiva, se pur non espressamente citati all'articolo 51 del testo unico dei media, (anche perché la materia è stata individuata posteriormente al testo unico) sono, per propria natura editoriale, riconducibili ai «contenuti radiotelevisivi» ricompresi all'articolo 51;
   tuttavia l'autorità, in sede di adozione di provvedimenti di ordinanza-ingiunzione nei confronti di talune emittenti locali, si è ritrovata costretta ad irrogare le sanzioni nella misura intera, in quanto il decreto oltre ad essere norma temporalmente successiva, si pone in un rapporto di specialità rispetto al testo unico, fissando una disciplina ad hoc per il diritto di cronaca sportiva;
   si ritiene che ragioni di coerenza dell'azione dell'Autorità debbano far rientrare esplicitamente la cronaca sportiva audiovisiva e radiofonica nel novero degli ambiti in cui alle emittenti locali spetta il beneficio della riduzione a un decimo della sanzione amministrativa irrogata dall'Autorità, di cui al citato comma 5 dell'articolo 51 del Testo unico dei media, per evitare la palese situazione discriminatoria rispetto a violazioni analoghe oggetto di difforme disciplina;
   il Governo, il 3 marzo 2012, ha accolto l'ordine del giorno Comaroli n. 9/4940-A/60, che ha impegnato il Governo medesimo a valutare l'opportunità di ridurre il trattamento sanzionatorio nei confronti dell'emittenza locale, al fine di ripristinare la condizione di parità di trattamento tra le sanzioni applicabili nei confronti delle emittenti radiotelevisive operanti in ambito locale e quelle nazionali –:
   quali iniziative anche di carattere normativo, intenda mettere in atto per ridurre, in materia di diritti audiovisivi sportivi e dell'informazione sportiva, il trattamento sanzionatorio nei confronti dell'emittenza locale, in linea con l'impegno assunto a marzo 2012 con l'accoglimento dell'ordine del giorno della Lega Nord, al fine di ripristinare la condizione di parità di trattamento tra le sanzioni applicabili nei confronti delle emittenti radiotelevisive operanti in ambito locale e quelle nazionali e consentendo così all'Autorità l'espletamento della propria attività sanzionatoria in forma il più possibile trasparente, certa, efficace e proporzionata, nell'ambito dei poteri che il legislatore ha volato attribuirle. (4-16563)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Vico e altri n. 1-01031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tullo.

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Crosio n. 7-00903, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Caparini, Fava.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Morassut e altri n. 2-01519, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tocci.

  L'interpellanza urgente Garavini e altri n. 2-01523, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Albonetti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bellanova e Tocci n. 5-06966, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Siragusa.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci e altri n. 4-16369, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Samperi.

  L'interrogazione a risposta scritta Dal Lago n. 4-16536, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-16546, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fedriga, Vanalli, Comaroli, Consiglio.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Montagnoli n. 1-00896, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 594 del 28 febbraio 2012.

   La Camera,
   premesso che:
    il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
    è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti di Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre 2011 del 5,8 per cento, a novembre 2011 del 4,9 per cento, mentre a dicembre 2011 del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre 2011 lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre 2011, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro; anche per il primo quadrimestre 2012 la situazione è drammatica: da un sondaggio su 130.000 imprese associate ad Unimpresa, risulta che i finanziamenti degli istituti di credito alle aziende sia diminuito del 50 per cento rispetto al 2011; la stretta è diffusa in tutti i settori industriali, con alcuni picchi in quello dell'edilizia e del commercio; nonostante l'immissione di liquidità nel sistema bancario e il fatto che la Banca d'Italia affermi che l'afflusso di finanziamenti sia cresciuto nel 2012, le piccole imprese continuano a soffrire di mancanza di credito;
    purtroppo, il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in un seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
    dall'autunno 2011 la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria, e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull’euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura, le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può, quindi, raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
    la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
    la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
    il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare, però, è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario internazionale avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del prodotto interno lordo pari allo 0,04 per cento;
    successivamente agli accordi di «Basilea 3» l’Eba-European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando, in particolare, le piccole e medie imprese;
    per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
    la revisione dei requisiti patrimoniali di «Basilea 3» ed Eba sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutti le posizioni attive bancarie e, quindi, anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe, perciò, opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed Eba a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di «Basilea 3» sulle piccole e medie imprese;
    in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di «Basilea 3» è necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che, però, a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
    in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
    non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario con quelle dell'imprenditore;
    l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti alle imprese è stata affrontata nel Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012, nel quale sono stati adottati quattro decreti che consentirebbero di sbloccare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare, due decreti interessano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti di amministrazioni statali, enti locali, regioni ed enti del Servizio sanitario nazionale; un terzo riguarda la compensazione dei crediti con i debiti verso il fisco iscritti a ruolo alla data del 30 aprile 2012; l'ultimo decreto agisce sul fondo centrale di garanzia per agevolare le imprese che intendono cedere i propri crediti presso intermediari finanziari riconosciuti;
    a completamento delle citate misure, si aggiunge la firma di un accordo tra l'Associazione bancaria italiana e le associazioni imprenditoriali, che istituisce un plafond del valore iniziale di 10 miliardi di euro, riservato allo smobilizzo dei crediti verso lo Stato;
    sono circa centocinquantamila le aziende italiane che lavorano con il settore pubblico per un debito totale, da parte di quest'ultimo, che ammonta a circa 70 miliardi di euro e, sulla base di quanto si apprende dalla stampa, già dalla fine del 2012 dovrebbero essere sbloccati debiti per una cifra compresa tra i 20 e i 30 miliardi di euro, attraverso un meccanismo che, tramite certificazione da parte della pubblica amministrazione, consentirà alle imprese di recarsi in banca per farsi anticipare o cedere i crediti scaduti ed ottenere così la liquidità necessaria per il prosieguo dell'attività;
    circa due terzi del debito nei confronti delle imprese appartiene agli enti pubblici ed è per tale ragione che uno dei due decreti sulla certificazione dei crediti necessita del parere della Conferenza Stato-regioni, la quale non si è ancora espressa. Attualmente, nessuno dei quattro decreti adottati dal Governo è in vigore e quello che rappresenta un provvedimento necessario ed urgente per la crescita delle imprese rischia di rimanere soltanto l'ennesimo annuncio mediatico di questo Governo;
    è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del sistema bancario italiano che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti o, addirittura, incentivi fiscali per le banche che sappiano mettere a disposizione delle piccole e medie imprese in tempi certi e rapidi linee di credito agevolato,

impegna il Governo:

   ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse;
   ad intervenire a livello europeo per rendere omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
   ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche, attivandosi anche a livello europeo per allentare i vincoli del patto di stabilità, posto che gli attuali tempi, dettati dai vincoli di bilancio europei, non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e, soprattutto, per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e che è necessario favorire linee di credito a basso costo per le imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione, garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree, ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse, permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
   ad assumere iniziative normative per prevedere degli sgravi fiscali per quegli istituti di credito che si impegnino a garantire linee di credito agevolato alle imprese di piccole dimensioni in tempi rapidi;
   ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
   ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, e a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico;
   ad adottare le opportune iniziative affinché vengano resi immediatamente operativi i decreti ministeriali per la disciplina dei rapporti di credito e debito tra pubblica amministrazione ed imprese fornitrici, garantendo a queste ultime la liquidità necessaria da poter investire nella crescita e nello sviluppo.
(1-00896)
(Nuova formulazione) «Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Pes e altri n. 5-05827 del 16 dicembre 2011 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16571.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Ciccanti e altri n. 1-00970 (nuova formulazione) pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 648 del 12 giugno 2012. Alla pagina 31751, prima colonna, dalla riga tredicesima alla riga quattordicesima deve leggersi: «su questo tema sono stati recentemente adottati appositi decreti attuativi da» e non «su questo tema sono stati emanati recentemente appositi decreti attuativi da», come stampato.