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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 26 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La XI e la XIII Commissione,
   premesso che:
    in tutta l'Unione europea la forza lavoro delle donne del settore della pesca si attesta in media sul 3 per cento della popolazione femminile; di questa percentuale, il 27 per cento di donne è occupato nell'acquacoltura, il 50 per cento nella trasformazione e il 39 per cento nel segmento gestione e amministrazione;
    nella pesca si possono trovare donne con qualifiche di «comandanti» e «direttori di macchina», quindi presenti a bordo ad esempio di imbarcazioni per la pesca a strascico, pesca con draga idraulica e con attrezzi di posta fissa; ma nella maggioranza dei casi le donne svolgono le principali attività a terra: dallo sbarco del prodotto al trasferimento verso i mercati ittici all'ingrosso, dalla vendita al dettaglio alla gestione amministrativa dell'impresa, dalla gestione dei rapporti con i fornitori e con i commercianti, alla gestione dei rapporti con le banche, ma anche con le istituzioni marittime per il disbrigo delle pratiche marittime per la gestione del natante da pesca. A queste si aggiungono le donne che operano nel campo dei servizi cooperativi, nella ricerca scientifica e nei servizi di supporto alle imprese, oltre ovviamente alle donne che operano in tutta la filiera come commercianti e ristoratrici;
    in questi contesti è presente una parte di donne che contribuisce ufficiosamente, ma in modo determinante, alla gestione delle imprese di pesca, soprattutto quelle a conduzione famigliare dove spesso sono compagne, mogli, figlie e parenti strette dei pescatori. Queste donne svolgono il loro lavoro a titolo volontario, senza retribuzione né forme di tutela;
    questa forza lavoro femminile è nella piccola pesca un elemento estremamente importante per la sostenibilità economica delle imprese, soprattutto se si considera che questo segmento di pesca costituisce quasi il 70 per cento dell'intera flotta nazionale. Purtroppo, attualmente in Italia il ruolo delle donne nelle imprese di pesca non è riconosciuto ed esse non hanno tutele in materia di pensione e malattie. Come loro in Europa, sono solo le cipriote, greche e olandesi;
    la direttiva 2010/41/UE prevede che in considerazione della loro partecipazione alle attività dell'impresa familiare, i coniugi o, se e nella misura in cui siano riconosciuti dal diritto nazionale, i conviventi dei lavoratori autonomi, che hanno accesso a un sistema di protezione sociale dovrebbero avere il diritto di beneficiare della protezione sociale. Gli Stati membri dovrebbero essere chiamati ad adottare i provvedimenti necessari per organizzare detta protezione sociale conformemente al diritto nazionale: a tal fine a parere della scrivente sono determinanti l'articolo 7 sulla protezione sociale e l'articolo 8 sulle prestazioni di maternità;
    la suddetta direttiva è stata oggetto della risoluzione 2013/2150 INI del Parlamento europeo, risoluzione incentrata sulle misure specifiche nell'ambito della politica comune della pesca per potenziare il ruolo della donna;
    mentre l'estensione dell'indennità di maternità alle «pescatrici» autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne è prevista dal decreto-legge n. 216 del 2012, riconoscendo loro un diritto finora spettante ad altre categorie, manca ancora la definizione e il riconoscimento del ruolo giuridico delle donne della pesca come «coadiuvanti dell'impresa ittica», come già accade per l'agricoltura, cosa che garantirebbe le opportune tutele sociali. In Italia vige già l'equiparazione dell'imprenditore ittico a quello agricolo e all'imprenditore agricolo è stata data, da anni, la possibilità di estendere il riconoscimento di coadiuvante a chi lo aiuta nel suo lavoro,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per attuare quanto previsto dalla direttiva 2010/41/UE, onde consentire alle donne che lavorano a tempo pieno o parziale nelle imprese familiari o affiancano i loro coniugi o partner nel settore della pesca, contribuendo così al proprio sostentamento economico e a quello della famiglia, come pure alle donne che svolgono tale attività per il proprio sostentamento e non appartengono a nuclei familiari, di ottenere il riconoscimento legale e prestazioni sociali equivalenti a quelle dei lavoratori autonomi;
   ad assumere iniziative per riconoscere giuridicamente l'operato delle donne che contribuiscono economicamente all'unità familiare e delle donne che lo fanno mediante il loro lavoro, seppure non retribuito;
   ad assumere iniziative per assicurare aiuti economici alle donne, concedendo loro sussidi di disoccupazione in caso di interruzione (temporanea o definitiva) del lavoro, il diritto a una pensione, la conciliazione tra la vita lavorativa e familiare, l'accesso al congedo di maternità (a prescindere dallo stato civile all'interno della coppia, sia essa sposata o legata da unione civile), alla previdenza sociale e a servizi sanitari gratuiti, nonché la protezione dai rischi cui sono esposte sul lavoro nel settore marittimo e della pesca.
(7-00932) «Benedetti, Ciprini, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Spadoni».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    le problematiche questioni relative al reclutamento del personale docente, al fabbisogno delle istituzioni scolastiche e alla formazione iniziale degli insegnanti italiani continuano a dover essere al centro del dibattito parlamentare sia per la drammatica assenza di risposte governative che per la pendenza delle deleghe in materia;
    la legge n. 107 del 13 luglio 2015, al comma 181, lettera b), dell'articolo 1, delega, infatti, al Governo l'esercizio della funzione legislativa in materia di «Riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria»;
    con riferimento al nuovo sistema di reclutamento e formazione iniziale, i decreti legislativi del Governo, in particolare, dovranno prevedere: l'introduzione di un sistema unitario e coordinato che comprenda sia la formazione iniziale dei docenti sia le procedure per l'accesso alla professione; l'avvio di un sistema regolare di concorsi nazionali per l'assunzione di docenti nella scuola secondaria statale, con contratto triennale di tirocinio, ivi compresa la disciplina relativa al trattamento economico. Il triennio dovrà prevedere: al primo anno, il conseguimento di un diploma di specializzazione e per i successivi due anni un percorso di tirocinio e la graduale assunzione della funzione di docente;
    è, inoltre, previsto che l'immissione in ruolo dei vincitori dei menzionati concorsi consegua alla positiva conclusione e valutazione del periodo di tirocinio e che nel periodo di tirocinio sia possibile sostituire i docenti assenti;
    il Governo è altresì delegato ad introdurre una disciplina transitoria in relazione ai vigenti percorsi formativi e abilitanti e al reclutamento dei docenti nonché in merito alla valutazione della competenza e della professionalità per coloro che hanno già conseguito l'abilitazione;
    com’è noto, il piano straordinario di assunzioni del Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto fallimentare, ha lasciato invariato il numero di supplenze annuali, non rispondendo affatto al fabbisogno delle istituzioni scolastiche né alle richieste dei tanti docenti abilitati selezionati negli anni proprio in base al fabbisogno del settore;
    successivamente al concorso a cattedra del 2016, i docenti abilitati all'insegnamento che non saranno stati immessi in ruolo saranno circa 120.000;
    il comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 stabilisce che, a decorrere dal 1o settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti vacanti e disponibili, non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per procedere, a partire dall'anno scolastico 2016/17, in aggiunta alla copertura del turn over e delle cattedre assegnate a supplenti con scadenza al 31 agosto, all'immissione in ruolo sui posti oltre a quelli assegnati fino al 31 agosto 2016, sprovvisti di titolare, assegnati con contratti di supplenza con scadenza al 30 giugno 2016;
   ad assumere iniziative per disciplinare la fase transitoria, garantendo procedure speciali per l'accesso ai ruoli agli abilitati;
   a valorizzare, nell'ambito della disciplina del nuovo sistema di reclutamento, le competenze professionali dei docenti che hanno maturato almeno 36 mesi di servizio;
   a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, necessarie a far coincidere l'entrata in vigore del divieto di cui al comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 con la prima immissione in ruolo avvenuta secondo il nuovo sistema di reclutamento;
   ad assumere iniziative per garantire che il contratto triennale di tirocinio sia adeguatamente retribuito e, in particolare che, in caso di sostituzione del docente assente, il tirocinante percepisca il trattamento retributivo stabilito per la supplenza.
(7-00933) «Luigi Gallo, Vacca, Chimienti, Marzana, Brescia, Di Benedetto, D'Uva, Simone Valente».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    le attività di spettacolo viaggiante sono esercitate da centinaia di imprese che impiegano migliaia di lavoratori nei luoghi di spettacolo che si svolgono in concomitanza con le fiere e le feste cittadine che ogni anno vengono organizzate nei comuni italiani;
    il parco veicolare delle predette imprese comprende i rimorchi allestiti come carovane-abitazione o per il trasporto di giostre e altre attrazioni, definiti «carri ordinari non considerati rimorchi» e a tali veicoli sono applicabili, se del caso, le disposizioni di cui all'articolo 10 del codice della strada (trasporti eccezionali);
    tali veicoli, nel 1986 sono stati sottoposti ad una procedura di regolarizzazione previa la presentazione di documentazione tecnica, visita e prova, e una punzonatura di un codice univoco da parte della motorizzazione civile e il rilascio di una targa provvisoria, come da apposita circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In base a tali disposizioni i vari uffici periferici della motorizzazione civile hanno provveduto a rinnovare le autorizzazioni a far trascinare da autoveicolo il veicolo non considerato rimorchio;
    recentemente la direzione generale della sicurezza stradale, in risposta ad un quesito formulato da un dirigente di un ramo autostradale, ha segnalato che l'articolo 175 del codice della strada dispone: «7. Sulle carreggiate, sulle rampe, sugli svincoli, sulle aree di servizio o di parcheggio e in ogni altra pertinenza autostradale è vietato: a) trainare veicoli che non siano rimorchi». Dopo decenni è stata rilevata una contraddizione tra l'articolo 10 e l'articolo 175 del codice della strada laddove il primo autorizza i carri ordinari non considerati rimorchi ad ottenere l'autorizzazione alla circolazione, mentre il secondo ne escluderebbe tuttavia l'utilizzo nelle autostrade italiane. A seguito di tale parere, centinaia di veicoli, anche di dimensioni eccezionali, sono stati costretti, a circolare sulle strade secondarie, sui valichi appenninici, sulla viabilità locale, all'interno di piccoli borghi e dei centri abitati. In sostanza l'intero settore dello spettacolo viaggiante, sul quale né ANAS, ne AISCAT, hanno rilevato pericolosità per la circolazione oggi si vede costretto a far transitare i propri mezzi su strade inadeguate, rispetto alla massa e alla sagoma dei veicoli, provocando, in particolare sulle regioni montuose come la Liguria, rilevanti disagi a centinaia di imprese;
    sono condivisibili le preoccupazioni delle imprese del settore che improvvisamente hanno dovuto prendere atto che di fatto migliaia di autorizzazioni lecite sono divenute illecite,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza con la massima urgenza al fine di rimuovere gli ostacoli interpretativi e consentire che i mezzi autorizzati possano continuare a circolare sulle autostrade.
(7-00931) «Tullo, Pagani, Mognato, Marchi, Mauri, Marantelli, Gribaudo, Ferro, Gandolfi, Ferrari, Carnevali, Fiorio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   MARCON, PIRAS e DURANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le linee Guida del Governo di un anno fa, sottolineavano la necessità di assicurare una leva di giovani per la «difesa della Patria» accanto al servizio militare, garantendo ai giovani che lo richiedono «di poter svolgere il servizio civile universale, fino ad un massimo di 100.000 giovani all'anno per il primo triennio dall'istituzione del Servizio»;
   come ha ben ricordato la CNESC (Conferenza Nazionale enti di Servizio civile produce importanti risultati economici: a) in termini di risparmio di impiego di risorse pubbliche (attraverso azioni di prevenzione); b) in termini di erogazione di servizi a minor costo; c) in termini di valorizzazione delle risorse pubbliche; d) in termini soprattutto di formazione, attraverso l'imparare facendo, di capitale umano e sociale a livello di massa. Le ricerche effettuate da soggetti indipendenti, oltre che i rapporti annuali di ASC, hanno indicato in un'oscillazione fra 3 e 4 euro il ritorno di ogni euro pubblico investito nel Servizio civile. Occorre quindi portare il discorso sulle risorse pubbliche per il servizio civile universale come investimento, non come costo e in tale ottica definiti gli importi;
   le risorse stanziate dall'ultima legge di stabilità 2015, alla luce degli stessi obiettivi del Governo, risultano inadeguate e non sufficienti a far partire i «100 mila giovani all'anno» come promesso dal Governo stesso;
   per il, servizio civile infatti, l'ultima legge di stabilità ha stanziato per il 2015 115,7 milioni di euro, e 113,4 milioni per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Si ricorda peraltro che questi importi sono stati ottenuti grazie al lavoro parlamentare. Il testo iniziale della legge di stabilità aveva infatti previsto per il 2015 solamente 65,7 milioni di euro, e 63,4 milioni per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
   va inoltre ricordato che le suddette linee guida del Governo prevedevano espressamente, nell'ambito della riforma del servizio civile, la «partecipazione degli stranieri al Servizio civile». Ma il disegno di legge delega, sul terzo settore non prevede questo ampliamento;
   si ricorda in proposito il recente parere del Consiglio di Stato (n.1091/2014), che ha definitivamente chiarito che la norma contenuta all'articolo 3 del decreto legislativo n. 77 del 2002 (sul servizio civile), relativamente ai requisiti di ammissione del servizio (solo i cittadini italiani), «vada disapplicata in quanto incompatibile con il divieto, sancito dalla normativa europea, per gli Stati membri di prevedere per i cittadini stranieri (siano essi comunitari, extracomunitari lungo soggiornanti o beneficiari di protezione internazionale) anche in ordine alla formazione professionale, un trattamento diverso rispetto a quello stabilito per i cittadini nazionali»;
   strettamente correlati alla revisione della normativa relativa al servizio civile universale, sono i «corpi civili di pace». La legge di stabilità per il 2014 ha introdotto un finanziamento triennale per promuovere in via sperimentale l'esperienza dei corpi civili di pace per 500 giovani in servizio civile. Sono giovani che vanno nelle zone di conflitto e fanno esperienze di interposizione tra le parti, di riconciliazione, di costruzione della pace;
   l'istituzione di un contingente di corpi civili di pace, riprende positivamente tante esperienze che si sono realizzate in questi anni: da quella storica delle peace brigades ai caschi bianchi, dalle iniziative di interposizione nelle aree di conflitto, al più recente tavolo per gli interventi civili di pace. Migliaia di giovani e volontari che si sono impegnati in prima persona nell'ex Jugoslavia, in Iraq, in Medio Oriente, in Afghanistan;
   l'istituzione di corpi civili di pace è quanto mai attuale, e dimostra come si possa intervenire nei conflitti con gli strumenti alternativi della nonviolenza, promuovendo azioni concrete come la interposizione e la riconciliazione tra le parti in conflitto;
   con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/02617-A/039 presentato in Assemblea il Governo si è impegnato a prevedere ulteriori risorse finanziarie volte a garantire e sostenere il servizio civile universale e consentire effettivamente l'obiettivo dei centomila giovani l'anno, e a estendere il servizio civile anche ai giovani stranieri residenti, così come promesso dalle stesse linee guida del Governo e a stabilizzare i corpi civili di pace istituiti dal comma 253, articolo 1, legge n. 147 del 2013;
   il comma 253 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha istituito in via sperimentale i corpi di civili di pace;
   con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/00045-A/010 presentato in Assemblea, il Governo si è impegnato a prevedere in un prossimo intervento normativo la disciplina dei corpi civili di pace –:
   se il Governo non intenda dare seguito urgentemente agli ordini del giorno approvati che riguardano la stabilizzazione dei corpi civili di pace, preso atto che comunque si è alla fine del periodo triennale di sperimentazione dei corpi civili di pace istituita con la legge di stabilità del 2014;
   quali iniziative normative urgenti intenda prendere il Governo per l'attuazione dell'ordine del giorno accolto nel quale si fa riferimento a un prossimo intervento normativo sulla disciplina dei corpi civili di pace. (3-02060)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni dal 4 al 7 febbraio 2015 eccezionali avversità/atmosferiche hanno colpito il territorio della regione Emilia-Romagna; il 12 marzo 2015, il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per la durata di 180 giorni, con ordinanza pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 70 del 25 marzo 2015; nel sito della protezione civile, lo stato di emergenza risulta rinnovato il 10 settembre 2015 con nuova scadenza il 6 marzo 2016;
   le piogge intense e persistenti, che hanno raggiunto i 144 millimetri in poche ore, alternate con raffiche di vento, hanno interessato le province centrorientali, le aree collinari e la pianura romagnola, e hanno causato lo straripamento di corsi d'acqua, fossi e fognature, provocando ingenti danni ai campi, alle infrastrutture, alle coste e all'intero territorio;
   all'alba del 6 febbraio 2015 le case di cinquanta famiglie del quartiere Carpinello, nel comune di Forlì, si sono ritrovate invase dall'acqua tracimata da fossi e tombini;
   le impressionanti immagini dell'alluvione sono state ricordate la mattina del 24 febbraio 2016 nella trasmissione «Mi manda Rai Tre», che ha portato in studio le vittime della calamità naturale;
   dalla trasmissione si è appreso che ad un anno di distanza dall'alluvione, le cinquanta famiglie di Carpinello non hanno ancora ricevuto un euro di risarcimento, mentre stanno ancora aspettando i lavori alle infrastrutture pubbliche per evitare il ripetersi dei disastri;
   da quanto emerge dai racconti dei cittadini, sembra che fosse mancata la normale manutenzione dei canali e degli scogli, mentre le più recenti tombinature, probabilmente inadeguate, avrebbero comportato la compromissione dell'intera rete;
   emerge uno scarico di responsabilità tra il Consorzio di bonifica, che lamenta la carenza di milioni di euro per l'attuazione di interventi strutturali di carattere straordinario sulla rete dei canali, ormai vecchia di cento anni, e l'amministrazione comunale di Forlì che assicura di avere inoltrato le pratiche di risarcimento che competono allo Stato;
   la regione Emilia Romagna ha effettuato interventi urgenti sul territorio regionale per un importo pari a 15.101.617,26 euro, ma tali interventi non hanno ricompreso il quartiere Carpinello di Forlì;
   il Consiglio dei ministri, a seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza, con successiva ordinanza n. 232 del 30 marzo 2015, ha quantificato in 13,8 milioni di euro le risorse per l'attuazione dei primi e necessari interventi, a valere sul Fondo per le emergenze nazionali;
   l'articolo 14 di tale ordinanza prevede la trasmissione trimestrale, da parte del commissario delegato al dipartimento della protezione civile, di una relazione inerente le attività espletate –:
   come siano stati impiegati i 13,8 milioni di euro di cui all'ordinanza n. 232 del 30 marzo 2015 e per quale motivo, ad un anno di distanza dalle avversità atmosferiche che hanno colpito il territorio della regione Emilia Romagna, le famiglie del quartiere Carpinello di Forlì non abbiano ancora ricevuto il risarcimento dei danni subiti. (4-12275)


   ZACCAGNINI, KRONBICHLER, PELLEGRINO, ZARATTI, CARLO GALLI, MELILLA, RICCIATTI, QUARANTA, NICCHI, PANNARALE, GREGORI, PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) è un trattato di libero scambio e investimento, che l'Unione europea e gli Stati Uniti stanno attualmente negoziando; si pone l'obiettivo di eliminare i dazi e le barriere non tariffarie tra i due paesi negoziatori e di semplificare la compravendita di beni e servizi fra le due aree;
   per esigenze di riservatezza fino a questo momento è stata resa pubblica solo una parte dei contenuti del trattato, le informazioni veicolate sono state quelle riportate dalla stampa o da affermazioni dei negoziatori. Questa segretezza, rende difficoltoso per i cittadini italiani ed europei comprendere appieno le specificità e i rischi di un accordo di portata storica, la de-secretazione, infatti, sarebbe funzionale al fine di indirizzare i negoziatori verso un risultato il più possibile condiviso e massimamente benefico per il maggior numero possibile di cittadini;
   in data 10 dicembre, 2015, il quotidiano online « Euopae» ha pubblicato un articolo a firma di Luca Feltrin dal titolo: «Accordo PE-Commissione su trasparenza TTIP» nel quale si descriveva come: «Tutti i membri del Parlamento Europeo avranno pieno accesso a tutte le categorie di documenti considerati “confidenziali”, relativi ai negoziati in corso tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti sulla realizzazione del Trattato di Partenariato Transatlantico. Con queste parole si apre il comunicato dell'Ufficio Stampa del PE emesso lo scorso 3 Dicembre, in cui si annuncia il raggiungimento di uno storico accordo tra quest'ultimo e la Commissione Europea sulla trasparenza dei documenti collegati al TTIP[...]L'Onorevole Bernd Lange, Presidente del Comitato Parlamentare sul Commercio Internazionale e Membro dei Social-Democratici Europei, si è così espresso a proposito: “Undici mesi di negoziazioni con la Commissione hanno finalmente dato i loro frutti. Il risultato è una grossa vittoria per il Parlamento in quanto tutti i suoi Membri avranno ora la possibilità di esercitare effettivamente ed efficacemente i loro doveri di ‘scrutinio democratico’ sulle negoziazioni riguardanti il TTIP”. Lange ha inoltre aggiunto che “le condizioni di accesso ai documenti del Partenariato ottenute accresceranno notevolmente la trasparenza all'interno dei negoziati stessi. Il risultato conseguito costituirà un precedente fondamentale per la trasparenza delle negoziazioni commerciali che l'Unione Europea vorrà intraprendere in futuro”. Quindi, cosa hanno effettivamente guadagnato i parlamentari europei da questo accordo ? Da questo momento i rappresentanti eletti dai cittadini dei 28 Stati membri avranno la possibilità di prendere visione e di analizzare i cosiddetti “testi consolidati”, ossia quelli che riflettono le posizioni della controparte americana nei negoziati, in un'apposita “reading room” messa a loro disposizione all'interno delle mura del Parlamento. Inoltre, potranno prendere appunti sul contenuto dei suddetti documenti ed utilizzare le informazioni così estrapolate come base per le loro future azioni politiche. L'accordo inter-istituzionale è, inoltre, costituito in modo tale da assicurare anche che non venga in alcun modo compromessa la natura confidenziale dei documenti messi a disposizione dei parlamentari, al fine di proteggere gli interessi dell'Unione ed evitare un indebolimento delle sue posizioni nei confronti di Washington. A tal proposito, l'accesso completo sarà soggetto a severe ed inderogabili norme di sicurezza. [...]Tale conquista è stata salutata con grande entusiasmo dal panorama politico, in quanto rappresenta un ulteriore passo avanti verso la tanto agognata democraticizzazione dell'attività negoziale della Commissione Europea. Quest'ultima è attuata attraverso un'imponente opera di trasparenza, che ha trovato il suo punto focale nel recente lancio della strategia denominata “Trade for All” da parte della Commissaria al Commercio Cecilia Malmström»;
   in data 23 febbraio 2015 la presidente della Camera, Laura Boldrini, dirama una dichiarazione ripresa dalla agenzia stampa Radiocor, dal titolo «Commercio: Boldrini, Governo informi Parlamento su Ttip con "reading room" nella quale si descriveva come: "Ok confronto pubblico a Montecitorio con le associazioni "[...]A novembre scorso, si ricorda in una nota, era stata la commissaria Ue per il Commercio internazionale, Cecilia Malmström, ad assicurare alle commissioni competenti di Camera e Senato, che entro breve tempo anche i parlamenti nazionali avrebbero avuto accesso ai testi consolidati in apposite reading room allestite presso i Governi di ciascun Stato membro. Successivamente, scrive Boldrini, sono state definite a livello europeo le regole per l'accesso ai documenti riservati relativi al Ttip e al funzionamento delle “reading room”. In numerosi Paesi partner (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia e Lussemburgo) sono quindi state attivate o risultano in via di attivazione le “sale di lettura”. I negoziati sul Ttip e la trasparenza dei suoi contenuti, conclude il comunicato, sono stati la settimana scorsa anche al centro di un incontro tra Boldrini e la coalizione “Stop Ttip Italia”. La presidente si è detta disponibile con le organizzazioni che sostengono la campagna a partecipare ad un momento pubblico di confronto da organizzare, a Montecitorio tra associazioni, esperti, rappresentanti del Governo e del Parlamento» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative intenda intraprendere;
   se non si ritenga che sia necessario procedere anche in Italia all'allestimento delle «sale lettura»;
   in che tempi si preveda di allestire le sale lettura così come previsto per gli altri paesi membri della Unione europea;
   se e in che maniera il Governo divulgherà una corretta informazione circa la fase negoziale giunta al dodicesimo round negoziale. (4-12280)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   FUSILLI e D'INCECCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 dicembre 2015, la direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, emanava apposita determina, protocollo 488/2015, a firma del direttore generale dottor Renato Grimaldi, avente ad oggetto il progetto «Nuovo Elettrodotto a 380KV in Doppia Terna Villanova-Gissi ed Opere Connesse»;
   nell'atto procedimentale è espressamente richiamato, in premessa, il decreto di compatibilità ambientale DVA-DEC 2011-510 del 13 settembre 2011, dall'esito positivo con prescrizioni, relativo al medesimo progetto;
   nella determina sono, nel contempo, evidenziate le prescrizioni A1, A9, A19, A20, A24, A26, A27, A28, A31, A33, di cui allo stesso decreto VIA n. 510, la cui verifica di ottemperanza è demandata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, insieme alla regione Abruzzo per la prescrizione A1, e alla regione Abruzzo e all'ISPRA per la prescrizione A9;
   nel medesimo atto si precisa, come peraltro comunicato da Terna Rete Italia s.p.a., che la data di inizio dei lavori è, senza dubbio, il 5 maggio 2014;
   il proponente avrebbe dovuto attendere, per l'inizio dei lavori, la conclusione positiva dell’iter di verifica delle ottemperanze;
   questo non è avvenuto, tanto è che la determina sancisce l'ottemperanza tardiva delle prescrizioni sopra indicate e, nel medesimo atto, la direzione generale si riserva di valutare con l'ausilio degli enti territoriali, la necessità di avviare l'accertamento di eventuali danni ambientali derivanti dalla anticipata esecuzione dell'opera –:
   con quali modalità e tempi si intenda procedere alla doverosa attività di accertamento degli eventuali danni ambientali derivanti dalla anticipata esecuzione dell'opera. (4-12269)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 (cosiddetta riforma Franceschini) prevede una nuova organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La riforma, secondo quanto dichiarato dal Ministro interrogato, avrebbe dovuto essere ispirata ai principi di economicità, appropriatezza e risparmio delle risorse pubbliche (spending review) e pensata per integrare i comparti cultura e turismo, semplificare l'amministrazione periferica, ammodernare la struttura centrale, rilanciare le politiche di innovazione e formazione, valorizzare le arti e l'architettura contemporanee e dare maggiore autonomia ai musei statali italiani, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha radicalmente modificato il sistema della tutela in Italia. Dopo una prima fase che ha visto la netta e innaturale separazione tra tutela e valorizzazione mediante la creazione di poli e musei autonomi e distinti dall'attività sul territorio, il Ministero sembra procedere verso la costituzione di soprintendenze uniche miste che confluiranno in uffici territoriali governativi;
   è indubbio che la riforma ha inciso particolarmente sul settore archeologia, snodo nevralgico quanto fondamentale per la tutela e la valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale del Paese. Dopo 110 anni di esistenza vengono smantellate le soprintendenze archeologiche adottando un nuovo modello organizzativo del sistema di tutela del patrimonio culturale italiano che non prevede più l'esistenza, nelle diverse regioni, di soprintendenze specificamente dedicate all'archeologia, bensì unificate di «archeologia, belle arti e paesaggio», distribuite sul territorio su base inter-provinciale;
   con questa riforma si assiste al ritorno a una concezione antiquaria del museo, derivante dalla separazione del museo dal contesto territoriale di riferimento che privilegia un approccio estetico del bene, piuttosto che la complessità dei contenuti storico-culturali di cui esso è documento;
   la riforma ha carattere centralistico che, di contro all'annunciata presenza più capillare sul territorio con la nascita di nuove sedi, accentra competenze come quelle nell'ambito di ricerca e scavi archeologici presso l'istituto centrale dell'archeologia;
   la riforma induce alla perdita della specificità tecnico-scientifica della tutela, con l'accorpamento degli uffici sotto un dirigente non specialista chiamato a svolgere una funzione di coordinamento amministrativo;
   le procedure di tutela da decenni si sono sviluppate separatamente nei diversi settori di competenza tecnica (archeologia, architettura e arti) esaltandone le peculiarità. Demandare le decisioni strategiche in questa materia a dirigenti – anche se coadiuvati da funzionari specialisti – che non abbiano una specifica padronanza della disciplina archeologica può comportare il rischio di una sottovalutazione delle problematiche di conservazione, con conseguente impatto sui tempi e sui costi degli interventi di archeologia preventiva;
   la frammentazione delle funzioni di tutela tra più uffici territoriali di dimensioni ridotte, rischia di privilegiare un atteggiamento che non consente una visione di carattere generale delle problematiche storiche;
   in contrapposizione al principio ispiratore di economicità e appropriatezza della riforma, la creazione delle nuove soprintendenze uniche comporterà la previsione di nuovi costi, dovendosi individuare in molti casi nuove sedi, oppure adeguare quelle esistenti e trasferire strutture, depositi, archivi e personale;
   questi nuovi orientamenti organizzativi svalutano il carattere tecnico-specialistico delle soprintendenze e ne riducono la portata territoriale alla dimensione provinciale e non più regionale;
   il territorio è il vero museo e le opere nei musei italiani raccontano la storia dei territori da cui provengono. Separare i musei dal territorio vuol dire non tenere conto della straordinaria specificità del nostro Paese e applicare un modello che concentra nei musei collezioni che in genere non hanno un rapporto con il territorio;
   il materiale archeologico (in maggioranza, proveniente da scavi non completamente studiati né ancora catalogati) non inventariato, non necessariamente è conservato solo nei musei e non sempre è distribuito per province; quindi, a seguito di questa riforma, alcuni uffici si troveranno a detenere materiale proveniente da altri territori, con tutte le responsabilità e le spese connesse per la gestione degli stessi;
   lo spostamento del personale dalla sede di attuale appartenenza costituirà un problema cruciale e richiederà probabilmente tempi lunghi; il rischio è che nelle regioni di maggiore estensione alcuni ruoli (specie archeologi e restauratori specializzati, ma anche quadri intermedi, ormai in grave insufficienza ovunque) rimangano carenti in alcune sedi e sovrabbondanti in altre;
   il dibattito accesosi nel nostro Paese su questa riforma dimostra che è necessario un suo ripensamento –:
   se intenda assumere iniziative per riconsiderare la possibilità di un «opzione regionale», rispetto alla dimensione inter-provinciale degli enti, peraltro in corso di ridimensionamento a livello amministrativo generale;
   quale sia la tempistica per il completamento del passaggio dei musei e aree archeologiche ai poli museali e quali iniziative si intendano mettere in atto per quelle situazioni territoriali per le quali sono già state evidenziate criticità, visto che la situazione di provvisorietà rischia di avere pesanti ripercussioni sulla tutela e sul funzionamento;
   come intenda salvaguardare in maniera adeguata, nel nuovo progetto organizzativo posto in essere dal Ministero, l'interesse alla tutela del patrimonio archeologico e del paesaggio culturale e la continuità dell'azione amministrativa, onde evitare che nel lasso di tempo necessario per organizzare la nuova articolazione, il territorio, già fragile e sottoposto a numerosi interventi, abbia a risentire in modo irrecuperabile della trasformazione delle articolazioni territoriali del Ministero;
   se si intenda assicurare ad ogni soprintendenza la dotazione organica necessaria per far fronte ai numerosi compiti derivanti dal nuovo assetto organizzativo, integrando gli organici anche con personale competente nel settore informatico, visti i nuovi obblighi imposti dall'amministrazione digitale del patrimonio culturale e paesaggistico del Paese;
   se non intenda, in alternativa, assumere iniziative per prevedere una moratoria nell'attuazione della riforma in tutte le sue fasi, al fine di attivare, anche in tempi brevi, un tavolo tecnico di coordinamento, tra il Ministero e gli operatori del settore e i loro organismi rappresentativi – figure coinvolte dalla riforma – che porti ad un'approfondita riflessione sull'intera materia e sulle ricadute, sulle problematiche generali e specifiche che si sono profilate e sulle opportune misure di rilancio e potenziamento delle strutture preposte alla tutela. (4-12279)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, PAOLO BERNINI, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 febbraio 2016 sette velivoli Eurofighter dell'Aeronautica militare sono decollati dalla base aerea di Grosseto alla volta della Nellis Air Force Base, negli Stati Uniti, per partecipare all'esercitazione multinazionale Red Flag 16-2;
   i sette caccia erano accompagnati da 2 velivoli per rifornimento in volo KC-767 del 14o Stormo di Pratica di Mare e tre aerei da trasporto C-130J della 46a Brigata aerea di Pisa per il supporto logistico;
   dopo un rifornimento in volo, uno degli aerorifornitori non ha potuto riavvolgere il tubo e il cestello di rifornimento di destra, come è documentato da un video pubblicato sul portale YouTube ed è stato costretto ad un rischioso atterraggio di emergenza sulla base aerea di Pease nel New Hampshire con il tubo di rifornimento completamente esteso con gravi rischi per il personale e il velivolo in questione;
   il KC-767, in servizio nell'Aeronautica militare in quattro esemplari, è noto per il ritardo di quasi dieci anni rispetto alle previsioni iniziali con il quale è stato consegnato all'Aeronautica a causa di gravi problemi di sviluppo riferiti soprattutto al sistema di rifornimento in volo, problemi che evidentemente non sembrano essere stati completamente risolti –:
   se sia a conoscenza dell'incidente occorso a uno dei KC-767 in volo verso la base di Nellis per la partecipazione all'esercitazione Red Flag 16-2;
   se il personale a bordo o il velivolo abbiano riportato danni e di che entità;
   se l'incidente abbia comportato conseguenze per la partecipazione italiana all'esercitazione e quali siano stati i costi per il ripristino del velivolo. (4-12271)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 2016 in Puglia e Basilicata – Poste Italiane spa ha sospeso il servizio di erogazione di denaro dai postamat, a seguito di plurimi reati consumati a danno di uffici postali, consistenti nell'asporto con distruzione di «apparecchiature postamat»;
   sono tanti i casi eclatanti apparsi agli onori delle cronache, sulla carta stampata locale e nazionale, nonché, recentemente, in un servizio televisivo delle Iene quali Rocchetta Sant'Antonio, Matera e S. Maria al Bagno, frazione di Nardò; per quest'ultima, popolata anche di inverno, dopo l'effrazione subita e in seguito alla sospensione del servizio, stante la mancanza di sportelli bancari, non è possibile per i cittadini entrare nella disponibilità di contante;
   si palesa una discriminazione gravissima a danno degli utenti di territori (addirittura regionali) che, in relazione a carenze afferenti alla sicurezza e al controllo del territorio, si vedono privare di un servizio essenziale e connaturato alla esistenza stessa degli uffici postali;
   non è dato conoscere, per un verso, se e quando la società Poste Italiane spa intenda revocare la misura adottata e, per altro verso, se verranno intraprese, da parte del Ministero dell'interno, iniziative atte a prevenire e/o a contenere il ripetersi di atti criminosi predatori, che rappresentano un vulnus alle condizioni di sicurezza di cittadini ed utenti degli uffici postali;
   la rilevanza sociale del servizio revocato da parte di Poste Italiane spa impatta prevalentemente su categorie di persone: anziani e giovani, che specie nelle regioni interessate dalla misura qui contestata versano, nella generalità dei casi, in condizioni di difficoltà sociali ed economiche, che vengono ulteriormente acuite dalla disfunzione contestata –:
   se il Governo intenda assumere con estrema urgenza iniziative, per quanto di competenza, per rimuovere le ragioni dei disservizi prima elencati, al fine di impedire il procrastinarsi di una misura ingiusta, poiché, palesemente, discriminatoria e, pertanto, contraria ai ben noti principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione e libertà dell'iniziativa economica. (4-12268)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, COLLETTI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcuni dati riportati dal Sappe, dal 1o gennaio al 30 giugno 2015 nelle 198 carceri italiane si sono registrati 19 suicidi di detenuti, 2 di poliziotti penitenziari, 34 decessi per cause naturali, 465 tentati suicidi sventati in tempo dagli agenti penitenziari e 3.163 atti di autolesionismo posti in essere da detenuti. Moltissimi poi sono stati i casi di episodi di violenza (2.095 colluttazioni e 449 ferimenti) contro gli agenti;
   tale situazione, estremamente drammatica, evidenzia le difficoltà quotidiane in cui si trovano ad operare il personale delle strutture penitenziarie e gli agenti di polizia, che svolgono con zelo ed impegno il proprio lavoro, anche mettendo a rischio la propria incolumità;
   nei giorni scorsi, la notizia di un nuovo caso di suicidio in carcere di un detenuto, registrato a Verona, che rappresenta il quinto dall'inizio dell'anno, riporta all'attenzione dell'opinione pubblica la drammaticità in cui versano gli istituti penitenziari nel nostro Paese, le cui cause sono legate principalmente alla scarsità delle risorse economico-finanziarie, dalla carenza di organico, da condizioni igienico-sanitarie precarie dovute a strutture spesso fatiscenti e sovraffollate;
   rispetto allo scorso anno la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità: ovvero si è passati a 52.475 detenuti rispetto ai 53.889 dell'anno precedente;
   anche le linee guida sulla cosiddetta «vigilanza dinamica», in conformità alle direttive della Corte di giustizia di Strasburgo, che consente al detenuto di trascorrere almeno otto ore fuori dalla propria cella, tra aria (almeno 4 ore al giorno) e salette ricreative, risultano essere applicate soltanto presso alcune carceri italiane e, in diversi casi, si sono verificati episodi di violenza proprio in occasione dei periodi previsti dalla «vigilanza dinamica» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda intraprendere per garantire adeguati livelli di sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria nell'ambito delle strutture detentive, riconsiderando altresì le modalità di vigilanza dinamica e delle celle aperte, e se intenda assumere iniziative dirette a ridurre il sovraffollamento nelle carceri, anche al fine di garantire condizioni di vita più dignitose ai detenuti. (5-07934)

Interrogazione a risposta scritta:


   MURER, ROBERTA AGOSTINI e CENNI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il 70 per cento dei medici e degli infermieri sono obiettori di coscienza, ma ci sono regioni dove l'obiezione è ancora più alta. I picchi sono al Centro sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80 per cento: in Molise (93,3 per cento), nella provincia autonoma di Bolzano (92,9 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento); in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Per il personale non medico i valori impennano in Molise (89,9 per cento) e in Sicilia (85,2 per cento);
   la relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978), presentata in Parlamento il 26 ottobre 2015, afferma che per la prima volta in Italia il numero annuale di interruzioni volontarie di gravidanza è inferiore a 100.000. Nel 2014, si legge nel rapporto, sono state notificate dalle regioni 97.535 interruzioni volontarie di gravidanza, con un decremento del 5,1 per cento rispetto al dato definitivo del 2013 (102.760 casi), e un dimezzamento rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto di interruzioni volontarie di gravidanza nel nostro Paese;
   questi dati vanno tenuti insieme alla quantificazione degli aborti clandestini. L'Istituto superiore di sanità ne ha fatto una stima inclusa tra i 12.000 e i 15.000 casi per il 2012, riscontrando una sostanziale stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni. Si tratta di cifre comunque sempre molto alte se si considera che tra le cause potrebbe esserci proprio la difficoltà nell'accesso ai servizi;
   le donne che ricorrono più spesso all'interruzione volontaria di gravidanza hanno un'età compresa tra i 20 e i 29 anni. Inoltre, negli ultimi dieci anni, è aumentato il peso delle cittadine straniere (il 34 per cento nel 2013, nel 1995 era il 7 per cento);
   praticare l'interruzione di gravidanza è diventato per le donne in Italia un percorso ad ostacoli e contro il tempo, con l'eventualità di percorrere anche 800 chilometri per trovare una struttura pubblica dove abortire. Per questo motivo l'Italia è già stata condannata da tempo dalla Corte europea dei diritti umani per la mancata piena attuazione della legge n. 194;
   nel marzo del 2015 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione dedicata alla parità tra donne e uomini all'interno dell'Unione europea e redatta dall'eurodeputato belga Marc Tarabella, del Gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici. In particolare, il testo insiste sul fatto che «le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare»;
   la legge n. 194, all'articolo 19, stabilisce che chi pratica l'aborto clandestino, ovvero un'interruzione di gravidanza che non risponde alle modalità indicate negli articoli 5 e 8 della medesima legge, sia punito con la reclusione fino a tre anni, mentre per la donna che vi si sottopone prevede, sempre all'articolo 19, comma 2, una multa fino a 51 euro. Una multa simbolica, che consente alle donne sottoposte a pratiche clandestine, di recarsi in ospedale a chiedere aiuto prontamente, e magari anche denunciare chiunque avesse praticato l'aborto in clandestinità;
   con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 del decreto legislativo n. 8 approvato il 15 gennaio dal Consiglio dei ministri, in materia di depenalizzazioni, si prevede all'articolo 1, comma 1, che «Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda». Tra queste fattispecie rientra l'aborto clandestino e, quindi, alla donna che si sottopone ad una interruzione di gravidanza che non rientra negli articoli 5 e 8 della legge n. 194, verrà ingiunta una sanzione dai 5.000 ai 10.000 euro, così come previsto dal comma 5 dell'articolo 1 del medesimo decreto legislativo –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per modificare in tempi rapidi questa norma e consentire così alle donne di poter continuare a ricorrere alle cure ospedaliere in caso di complicanze e salvarsi la vita anche in seguito a un aborto clandestino;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per promuovere campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, rendere più accessibile l'aborto farmacologico in regime di day hospital o consentirlo nei consultori familiari e nei poliambulatori, poiché la pillola RU486 viene utilizzata solo nel 10 per cento negli ospedali, in quanto i costi di tre giorni di ricovero, previsti solo nel nostro paese, sono altissimi. (4-12267)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO, MATARRESE, VARGIU, FITZGERALD NISSOLI, SBERNA, BARADELLO, QUINTARELLI, PRATAVIERA, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, BOMBASSEI, VECCHIO, CATALANO, MOLEA, CATANIA, LOCATELLI, CARUSO, OLIARO e GIGLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Mistral Air è una compagnia aerea con sede a Roma, oggi di proprietà di Poste Italiane, il cui socio di maggioranza è il Ministero dell'economia e delle finanze. La compagnia svolge principalmente attività cargo e charter;
   la compagnia, che svolge principalmente attività cargo e charter, è stata fondata nel 1981 dall'attore Bud Spencer ed è diventata operativa nel 1984. Fino al 2002 la proprietà è stata dell'azienda olandese TNT, per cui svolgeva operazioni di trasporto merci, poi il 75 per cento delle azioni è stato venduto a Poste italiane che, dal 2005, è diventato azionista unico;
   la flotta Mistral Air attualmente è composta da un ATR-72 all cargo, quattro ATR72 passeggeri, due Boeing 737-300 QC con cabina convertibile da passeggeri a cargo e un Boeing 737-400;
   fino ad oggi Mistral Air è stato uno dei maggiori operatori charter a medio raggio presenti sul mercato. Ha operato voli per i principali tour operator con destinazioni quali mar Rosso, Canarie, Isole Greche, Baleari, Russia, Tunisia, Spagna, Francia, Marocco, Terra Santa, Lourdes, Medjugorjie (Mostar) e le principali città europee;
   a causa della crisi economica globale e degli attacchi terroristici che hanno visto coinvolte, oltre alle località del Medio Oriente e del Nord Africa, anche diverse grandi città europee, l'attività charter della Mistral Air è passata al vettore estero Go To Sky che la effettua dall'aeroporto di Bergamo;
   per quanto riguarda i voli di linea, per tutto il 2015 Mistral Air ha operato dagli aeroporti di Bari, Napoli e Roma per Medjugorje e dall'aeroporto di Bari per Mostar, Mosca, Sofia, Tel Aviv, Corfù e Zante. Tale attività, al momento, è terminata;
   la Mistral Air ha, inoltre, in atto un contratto con il Governo italiano per lo spostamento dei clandestini tra le varie destinazioni italiane e/o per il rimpatrio degli stessi. Tuttavia, ad oggi, anche questa attività viene effettuata, per conto della compagnia, dal vettore estero Go To Sky;
   la compagnia Mistral Air effettua, per conto della capogruppo Poste Italiane, il trasporto postale notturno, utilizzando i propri aeromobili Boeing 737 (dagli aeroporti di Roma e Napoli) e ATR 72 (dall'aeroporto di Cagliari), durante tutte le settimane dell'anno, da lunedì a giovedì, operando voli notturni per l’hub postale di Brescia Montichiari;
   in precedenza la Mistral Air eseguiva direttamente il servizio postale notturno anche dagli aeroporti di Bari e Catania. Oggi tale attività è stata ceduta ai vettori esteri Bulgarian Air (da Bari) e Jet Time (da Catania) con conseguente dismissione di due velivoli Boeing 737-300 QC presenti precedentemente nella flotta Mistral, passata, pertanto, da dieci aeromobili agli attuali otto;
   Mistral Air opera anche nel settore del trasporto delle merci mediante un'unità organizzativa dedicata al cargo: nel 2013 ha trasportato oltre 16 mila tonnellate di merce. La compagnia allestisce, inoltre, voli charter cargo on demand, ossia su richiesta, anche se tali attività sono al momento svolte solo sporadicamente;
   da giugno 2014 Mistral Air ha altresì operato per conto di Alitalia con aeromobili ATR 72 sulle seguenti rotte nazionali: Roma – Ancona; Trieste – Linate; Trieste – Napoli; Trieste – Catania; continuità territoriale per le isole di Pantelleria e Lampedusa da Palermo, Trapani e Catania. Dal 2015 si sono aggiunte le rotte Torino – Napoli/Reggio Calabria/Lamezia Terme, sempre operate per conto di Alitalia, con aeromobili Boeing 737;
   l'utilizzo della flotta di Mistral Air su collegamenti di Alitalia è conseguente all'accordo di cooperazione industriale e di sviluppo delle sinergie fra Alitalia CAI e Poste Italiane. L'accordo fa seguito all'investimento di Poste italiane nel capitale azionario, attraverso la creazione di una mid-company (MidCo), durante il transito da CAI (Compagnia Aerea Italiana) a SAI (Società Aerea Italiana), di cui fanno parte gli ex azionisti di CAI ed Etihad Airways al 49 per cento, e che quindi si configura nella nuova Alitalia-Etihad;
   il progressivo smantellamento delle attività svolte da Mistral Air a favore del vettore estero Go To Sky e la dismissione di due Boeing 737-300 QC hanno iniziato a preoccupare il personale della compagnia e i sindacati che hanno chiesto un incontro alla proprietà per avere chiarimenti sul destino degli altri otto velivoli (cinque ATR e tre Boing 737) e sul relativo personale impiegato;
   il 21 gennaio 2016 l'azienda ha incontrato i sindacati Uiltrasporti e Anpav annunciando la richiesta di rientro in Alitalia al 31 gennaio 2016 (anziché al 31 marzo 2016 come inizialmente previsto) di tutta l'attività attualmente svolta dalla flotta Boeing 737 e ATR della Mistral Air;
   come illustrato dai sindacati, nello stesso incontro l'amministratore delegato della Mistral Air, Rosario Fava , ha confermato che non è stato formalizzato alcun piano industriale aziendale sulla compagnia. «Considerando che la programmazione dell'attività charter e linea per la stagione primavera-estate viene normalmente formalizzata con largo anticipo – spiegano i sindacati – mediante contatti con agenzie e tour operator, se ne deduce che nulla è stato fatto a riguardo e di conseguenza che i timori circa il futuro occupazionale dei dipendenti di Mistral Air sono più che fondati»;
   a seguito di tale incontro, i sindacati hanno aperto la vertenza e avviato la procedura di raffreddamento (prima in sede aziendale e, di seguito, in sede ministeriale) per arrivare alla proclamazione di un «pacchetto» di ventiquattro ore di sciopero a sostegno della vertenza: le prime quattro ore di astensione dal lavoro sono fissate per il giorno 18 marzo dalle 14 alle 18;
   oggi la Mistral Air annovera complessivamente circa 200 dipendenti, ripartiti tra personale di volo (piloti e assistenti di volo) e personale di terra (amministrativo e tecnico), sia a tempo indeterminato che determinato –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione della Mistral Air, compagnia aerea del gruppo Poste Italiane, dunque a partecipazione pubblica, e della ragione per cui, pur disponendo di una flotta adeguata, l'azienda abbia affidato molti dei propri voli a vettori esteri;
   quali iniziative si intendano adottare per salvaguardare il futuro occupazione dei 200 lavoratori impiegati nella compagnia, anche alla luce dell'investimento consistente che Poste Italiane ha effettuato nel capitale societario di Alitalia. (3-02058)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO, FASSINA e AIRAUDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane, il tribunale del lavoro di Roma, ha emesso 5 ordinanze di reintegra di 5 lavoratori di Alitalia-Cai, licenziati a fine 2014 nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo, avviata per alleggerire la compagnia italiana ormai privatizzata e per renderla appetibile al nuovo partner degli Emirati Arabi;
   nelle more dell'ordinanza di reintegra il tribunale ha ribadito la fraudolenza dei licenziamenti nel passaggio delle attività dall'Alitalia dei «capitani coraggiosi» (Cai) a quella ove Etihad è entrata al 49 per cento (Sai). Un accordo che ha permesso di licenziare oltre 1600 dipendenti;
   una intesa, recita l'ordinanza del tribunale di Roma, contraria a quelle norme europee che, in tema di cessione delle attività, garantiscono sempre e comunque la tutela occupazionale dei lavoratori coinvolti, soprattutto quando la società cedente, come nel caso di specie, non è fallita;
   quelle del tribunale di Roma non sono le uniche sentenze che evidenziano tali anomalie nella vicenda del passaggio di Alitalia da Cai a Sai. Anche il tribunale del lavoro di Milano si è pronunciato in maniera analoga, di fatto sentenziando contro l'intera operazione citata, incardinata su migliaia di licenziamenti;
   gran parte dei licenziamenti effettuati da Cai sono giudicati illegittimi da tutti i tribunali che si occupano dei vari casi. Tentando di minimizzare e celare i pronunciamenti dei tribunali del lavoro, pur di sottolineare la «bontà» dell'operazione di licenziamento e di passaggio in Sai, l'attuale Alitalia ha enfatizzato l'assunzione di oltre 600 lavoratori;
   gli articoli pubblicati su vari quotidiani in merito alle vicende giudiziarie hanno provocato una reazione stizzita della Compagnia di Montezemolo Hogan che ha emanato un comunicato stampa in cui afferma che a metà gennaio 2016 erano soltanto 83 i ricorsi giunti ad un pronunciamento, di cui solo 16 hanno determinato la reintegra in Sai;
   nella nota stampa, Alitalia ha omesso di riferire che, oltre al 20 per cento di reintegre in Sai, sta emergendo dai tribunali una sostanziale illegittimità dei licenziamenti: altro che crisi aziendale, si è fatto di tutto per metter fuori i lavoratori a più alto costo per poi sostituirli con personale dal costo minore;
   con tale affermazione, la società italo-araba evidenzia come il perimetro dei licenziamenti e le espulsioni di masse effettuate a fine 2014 da Cai prima della cessione delle attività, non fossero affatto necessarie: le assunzioni di 600 dipendenti, infatti, non sono giustificate da un aumento del volume delle attività nel 2015, visto che i promessi sviluppi, enfatizzati da Governo ed azienda, devono ancora concretizzarsi;
   ciò che viene a galla è che il mero obiettivo perseguito dalla Cai per favorire il passaggio a Sai era quello dell'ulteriore abbattimento del costo del lavoro, già ridotto in occasione della privatizzazione della compagnia e ormai ben al di sotto dei valori delle altre compagnie europee tradizionali (Air France, Lufthansa, British e altro);
   dunque, anche nella vicenda in esame si dimostra come il ricorso agli ammortizzatori sociali sia diventato un business per le aziende che espellono personale a più alto costo e lo sostituiscono con quello a minor prezzo e a condizioni peggiori. Ammortizzatori sociali (mobilità cassa integrazione guadagni straordinaria e solidarietà): un «bancomat» per finanziare la ristrutturazione del costo del lavoro delle imprese private. In altre parole gli ammortizzatori sociali, secondo gli interroganti, sono stati utilizzati da Alitalia-Cai, come peraltro accade per la maggioranza delle aziende del comparto aereo-aeroportuale-indotto che registra da oltre 10 anni una grandissima espansione, come un vero erogatore con cui finanziare le ristrutturazioni delle imprese private;
   una riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario avrebbe evitato, a prezzi vantaggiosi per le casse pubbliche, i licenziamenti e l'impoverimento dei territori. Da un approfondimento in materia effettuato dalla Confederazione unitaria di base se l'intero montante di spesa pubblica/collettiva utilizzato per gestire le espulsioni dei lavoratori (indennità di mobilità, integrazione da parte del fondo speciale del trasporto aereo e investimento per l'avvio sperimentale da parte della regione Lazio dei contratti di ricollocazione per i licenziati Alitalia 2014), fosse stato utilizzato per una riduzione momentanea dell'orario di lavoro del personale di terra si sarebbero potuti evitare i licenziamenti, rimandando eventuali considerazioni dopo il rilancio e l'arrivo degli aeromobili del piano Etihad;
   tale soluzione avrebbe consentito un saldo positivo per le casse dello Stato, se non altro per l'aumento del gettito Irpef dei lavoratori occupati;
   in alcuni casi, a quanto risulta agli interroganti, Alitalia-Sai ha anche beneficiato degli sgravi contributivi anche per riassumere i licenziati, in particolare per far rientrare in servizio quelli che erano stati espulsi all'inizio della procedura di licenziamento collettivo, subito dopo la sua chiusura a settembre/ottobre 2014;
   inoltre, sempre a quanto risulta agli interroganti, in alcuni casi le riassunzioni in Sai sono state effettuate previa disponibilità del lavoratore a restituire ad Alitalia l'eventuale somma versatagli da Cai sia per aver manifestato la propria non opposizione (volontarietà) ai licenziamenti di fine 2014, sia per aver ottenuto dal tribunale del lavoro, a seguito dell'impugnativa del proprio licenziamento, il riconoscimento ad una indennità risarcitoria;
   è importante rappresentare un altro delicato aspetto della vicenda del passaggio da Cai a Sai: il licenziamento di un consistente numero di lavoratori appartenenti alle categorie protette, pur essendo la compagnia in «scopertura» rispetto alle quote obbligatorie previste dalla legge n. 68 del 1999, all'atto dell'avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
   alla fine del 2014 come nel 2008, sono stati licenziati molti lavoratori appartenenti alle categorie protette. Con la differenza che Alitalia-Cai, dopo aver beneficiato per gran parte del periodo di esercizio (2009-2014) di una sospensiva dall'obbligo dell'assunzione dei disabili (7 per cento) e delle altre categorie equiparabili (1 per cento), ha colto l'occasione per licenziarne altri, contravvenendo a quanto previsto espressamente dalla legge n. 68 del 1999 in tema di divieto a coinvolgere lavoratori «protetti» nei licenziamenti collettivi in aziende già in «scopertura» rispetto alle quote obbligatorie;
   Alitalia-Sai non sta reintegrando in servizio neppure i lavoratori delle categorie protette, evitando di far rientrare al lavoro anche coloro per i quali il lavoro è un importante strumento di integrazione sociale, difficilmente raggiungibile nelle condizioni date dalla società italiana, ove quotidianamente si assiste al ridimensionamento ed al taglio dei servizi sociali predisposti alla cura ed al sostegno delle persone più disagiate;
   su temi affini altrettanto gravi gli interroganti hanno già richiamato l'attenzione del Governo in merito la sospensione delle erogazioni riguardanti il Fondo speciale per il trasporto aereo –:
   quali iniziative urgenti, anche a carattere normativo, i Ministri interrogati intendano predisporre al fine di promuovere un maggior controllo delle aziende, con particolare riferimento alla vertenza che coinvolge il personale licenziato da Alitalia-Cai, appartenenti all'intero comparto aereo e aeroportuale e degli enti e soggetti pubblici competenti per settore, per rispettare i criteri di legge inerenti alla reintegra nel posto di lavoro e l'assolvimento delle disposizioni riguardanti l'assunzione delle categorie protette;
   quali siano i motivi dei ritardi legati alla trasformazione del Fondo speciale del trasporto aereo in Fondo di solidarietà, ritardi che rischiano di vere conseguenze drammatiche per centinaia di lavoratori. (5-07935)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il settore turistico nazionale poggia parte importante delle proprie attività in relazione alla presenza e buona gestione di stabilimenti e aziende balneari, anche di piccola e micro dimensione, che integrano e valorizzano l'offerta turistico-ricettiva italiana, e in particolare quella del Mezzogiorno e delle isole, Sardegna e Sicilia soprattutto, qualificandola come tra le più competitive;
   risultano, ad oggi, circa 28.000 concessioni per finalità turistico-ricreative che di norma utilizzano strutture «amovibili» e circa 1.000 con strutture «inamovibili» di proprietà dello Stato;
   l'Italia, con i suoi 7.458 chilometri di costa, di cui 3.500 circa tra Sicilia e Sardegna (comprese le relative isole minori);
   nel nostro Paese il demanio marittimo in regime di concessione rappresenta una rilevantissima risorsa economica, e una necessaria base di attività d'impresa ecosostenibile e di lavoro ai fini di buona occupazione;
   sembra che in sede comunitaria si stiano assumendo iniziative per la soppressione delle norme in materia di proroga delle concessioni demaniali, che prevedono la scadenza al prossimo 2020, su iniziativa dell'Avvocato generale della Corte di giustizia europea, in quanto contraria al diritto dell'Unione europea –:
   se il Governo consti quanto sopra affermato, in particolare per quel che riguarda la eventuale decisione comunitaria e, in caso di risposta positiva, se il Governo intenda intervenire con immediatezza perché sia scongiurata ogni modifica riduttiva dei periodi di concessione demaniale marittima previsti fino al dicembre del 2020, data sulla quale sono stati, in via generale, anche calcolati i periodi minimi necessari per l'ammortamento dei costi di investimento, effettuati per stabilimenti e aziende, dai titolari di concessione;
   se consti al Governo che in altri Paesi membri dell'Unione siano in vigore normative estensive dei periodi di proroga delle concessioni esistenti e di riserva della possibilità di concorrere molto più vantaggiose per concessionari e imprese turistico-ricreative nazionali, come ad esempio sembrerebbe accada in Spagna dove la cosiddetta «Ley del Costas» concederebbe 75 anni di proroga. (4-12276)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono ripetuti e angoscianti gli episodi di maltrattamenti di cui la stampa dà conto, ogni giorno, perpetrati a danno di minori, anziani e disabili: soggetti che necessitano di una tutela maggiore da parte delle istituzioni, perché versano in una situazione di particolare svantaggio, non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze e alla propria auto-difesa;
   sono tanti i soprusi che si compiono all'interno delle strutture, pubbliche e private come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali (dove le persone vengono obbligate a mangiare cibi avariati e assumere medicinali scaduti, in ambienti senza le più elementari condizioni igieniche);
   l'installazione di un sistema di videosorveglianza a circuito interno nelle strutture pubbliche e private costituirebbe senza dubbio un elemento di maggiore garanzia per le famiglie che devono affidare i propri figli, genitori e parenti a tali strutture e, avrebbe funzione di deterrente, per evitare ogni eventuale tipo di abuso da parte di coloro che vi operano o, addirittura, da parte di soggetti esterni;
   il sistema di videosorveglianza con telecamere a circuito interno non è un sistema di web cam, censurato nell'anno 2013 dal Garante per la protezione dei dati personali; il circuito chiuso offre le necessarie tutele di riservatezza, e le riprese immagazzinate possono essere visionate dagli interessati, solo qualora vi sia la necessità in caso di sospetti o di segnalazioni pervenute agli organi di polizia preposti, di utilizzarle per indagini e controlli;
   proprio grazie alle segnalazioni di parenti o di genitori e all'installazione di telecamere a circuito chiuso, le forze dell'ordine hanno avuto la possibilità di individuare e perseguire i reati commessi negli asili nido, nelle scuole materne e nei centri residenziali che ospitano disabili e anziani: luoghi che dovrebbero essere deputati all'educazione e al benessere dei bambini, dei disabili e degli anziani –:
   se non ritengano opportuno adottare in tempi rapidi iniziative normative che vadano a disciplinare, come già previsto dalla legge 20 maggio, 1970, n. 300 (per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) un sistema di videosorveglianza a circuito chiuso in ogni struttura pubblica o privata adibita ad asilo nido, scuola dell'infanzia e pensionato per anziani o che accudisca i disabili, ciò al fine di tutelare la sicurezza e l'incolumità fisica e mentale dei soggetti ospitati e assicurare la tranquillità delle loro famiglie, proprio per impedire che questi episodi si ripetano. (3-02056)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SARTI, LOMBARDI, FERRARESI, NESCI e SPADONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tra il 1994 e il 1995 è stato approvato il nuovo piano regolatore del comune di Rimini e, a dicembre del 1995, l'amministrazione comunale pubblicava un bando per le proposte sui «Programmi integrati di Intervento ex articolo 16 della legge n. 179 del 1992 ed ex articolo 20 e 21 legge regionale n. 6 del 1995» (pianificazione territoriale e modifiche e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia). La società Da.Ma. di Gian Franco Damerini proponeva un programma integrato in cui era prevista la realizzazione della nuova sede della questura e della polizia stradale. Con delibera del 5 agosto 1998 veniva approvato l'atto di impegno per la stipula di una convenzione che regolasse tali lavori da parte della Da.Ma. e, l'11 marzo 1999, la relativa variante urbanistica necessaria a far partire quanto previsto nel piano integrato. I lavori sono iniziati nel 1999 e, a metà del 2000, si cominciava a vedere la nuova questura: una struttura enorme, con anche un poligono sotterraneo. I lavori sono terminati nel 2005 e tra il proprietario dei terreni Gianfranco Damerini, titolare della società Da.Ma., e il comune di Rimini, è cominciata una causa legale che ha impedito alle forze di polizia di poter entrare nella nuova sede nonostante fosse ormai pronta. A causa del contenzioso ancora oggi inconcluso, dal 2005 immobile in via Ugo Bassi è rimaste, abbandonato e attualmente versa in un grave stato di degrado e deterioramento. Ciò che più preoccupa dunque è che, in questi ultimi undici anni, non si è arrivati a nessuna soluzione anzi, l'immobile di via Ugo Bassi è una vera e propria «cattedrale nel deserto», oramai diventata un rudere; contemporaneamente, la città di Rimini continua a non avere una questura e i poliziotti sono costretti ad operare in cinque sedi diverse;
   proprio per tali ragioni, il comune di Rimini, come riportato da notizie del quotidiano locale LaVoce, in data 22 ottobre 2015, ha erogato una somma pari a 15.920 euro per ottemperare ad obblighi di risanamento che il proprietario Gianfranco Damerini non ha mai adempiuto. Nello specifico, 8.220 euro sono stati versati per il prosciugamento dei ristagni di acqua e la bonifica – interna e 7.700 per lo sfalcio dell'erba. Tali dati sono stati resi noti dall'assessore alla sicurezza Jamil Sadegholvaad, in risposta ad un'interrogazione del consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, Marco Fonti. L'assessore, oltre a ricordare le cifre degli interventi di cui il comune si è fatto carico la scorsa estate, ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna comunicazione sulla disponibilità della proprietà a riattivare le pompe in seguito alla rinnovazione del contratto con l'Enel da parte dell'amministrazione comunale;
   ad oggi la situazione non è migliorata, lo testimonia un articolo del quotidiano online « Rimini 2.0» che in data 20 febbraio 2016 dichiara: «Uno stagno che rappresenta l'habitat ideale per alcune coppie di germani reali, un campo di guerriglia urbano dove si esercitano i "Guerrieri per gioco", associazione dedita al soft air. Ecco a cosa è ridotta oggi la "nuova questura" di Rimini, una struttura di oltre 23.000 metri quadri, costata oltre 30 milioni di euro e che ne vale circa 50 con il terreno. Una struttura in abbandono e disfacimento, alle mercé dei vandali»;
   alla luce di tale situazione, le forze di polizia non hanno mancato di dialogare con le istituzioni, infatti ci sono stati numerosi incontri con il vice capo della polizia, prefetto Matteo Piantedosi e la direzione centrale dei servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale, prefetto Renato Franceschelli, unitamente agli interventi dei questori e prefetti di Rimini che si sono succeduti in questi anni. Si era garantito che, entro la fine del 2015, sarebbe stato acquisito e adattato alle esigenze della polizia di Rimini lo stabile ex Inpdap che si trova nei pressi del tribunale, con la conseguente dismissione dell'attuale plesso denominato «Caserma Mosca» ed anche il complesso di via Bonsi (sede degli uffici amministrativi e immigrazione). Veniva aggiunto che nel frattempo sarebbero state esplorate altre opzioni possibili per fare in modo, quanto prima, di poter unificare in un unico stabile anche la sede di Corso D'Augusto;
   al momento, l'ipotesi prospettata è quella relativa all'immobile sito in Piazzale Bornaccini che, unitamente allo stabile ex Inpdap, sarebbe in grado di ospitare tutti gli Uffici della Questura;
   il prefetto Franceschelli ha comunque tenuto a precisare che, qualora in futuro dovesse pervenire al Ministero un'offerta concreta e percorribile per poter dislocare tutta la polizia di Rimini nello stabile di via Ugo Bassi sarà comunque presa in considerazione anche quella soluzione essendo stato quello stabile costruito con le caratteristiche per ospitare uffici di polizia. Ha rilevato però, che questa possibilità non inficerà comunque l'azione di ricerca di soluzioni alternative e concretamente percorribili;
   l'immobile sito in piazzale Bornaccini ospita attualmente alcuni uffici della provincia che il sindaco a breve dovrebbe provvedere a spostare;
   la mensa e alcuni alloggi della polizia, sono ubicati presso la «Caserma Mosca», sita in via Toscanelli 98/100 a Rivabella, frazione di Rimini. L'immobile risulterebbe essere di proprietà della società Hotel Vasco s.r.l., composta dai membri della famiglia Paesani: Luciano Paesani è proprietario al 37,41 per cento, la moglie Laura Raboni al 32,59 per cento, i figli Fabio Paesani, Claudio Paesani e Lucio Paesani detengono ciascuno il 10 per cento. La società Hotel Vasco s.r.l. è altresì proprietaria del noto locale notturno riminese Coconuts, oltre ad altre società incorporate quali «Immobiliare del Colle s.n.c.» e «Adriapalace s.r.l.»; Laura Raboni risulta inoltre essere amministratore unico della società TintoriCinque s.r.l.;
   il Coconuts è una storica discoteca romagnola che, a giugno 2015, è stata chiusa in seguito ad un blitz antidroga nell'ambito della cosiddetta «Operazione Titano» della questura di Rimini, nella quale sono stati sequestrati un chilo di cocaina e ventitremila euro di banconote false, ventinove le misure cautelari emesse e quaranta gli indagati. Nell'indagine è coinvolto il Coconuts, poiché considerato luogo privilegiato per attività di spaccio. Fra gli indagati figurano i gestori Lucio Paesani e il fratello Fabio, che è già agli arresti domiciliari per agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti (Claudio, fratello maggiore di Lucio e Fabio, invece, è titolare del ristorante «Chi Burdlaz», indagato anche lui nel 2011 per aver favorito lo spaccio di droga nel suo ristorante. Nel 2014 è stato prosciolto);
   il locale Coconuts, dunque, a giugno 2015 era stato posto sotto sequestro con provvedimento emesso dal questore di Rimini Maurizio Improta per la durata di 1 mese e consequenzialmente era stata emessa ordinanza di chiusura. Le motivazioni dell'ordinanza del questore descrivevano il Coconuts, come risultava dalle informative della polizia di Stato, il luogo di ritrovo abituale di pregiudicati e persone dedite a traffici illeciti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il tutto, come rilevato dal Gip, con la connivenza dei titolari, i quali tolleravano e favorivano la presenza di tali persone consapevoli che il locale veniva usato come un luogo sicuro per le transazioni e l'assunzione di stupefacenti. Il tribunale amministrativo regionale di Bologna, poi, ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati del Coconuts Paolo Righi e Franco Fiorenza, dichiarando illegittimo il decreto per la parte in cui diffidava la proprietà all'utilizzo del marchio Coconuts per altri eventi al di fuori del locale. Tale provvedimento ha suscitato diverso scalpore, poiché riformulava anche la durata della chiusura del locale in giorni quindici;
   tra i gestori del Coconuts e il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, c’è un rapporto amicale tale per cui fu Gnassi a scrivere la prefazione del libro pubblicato in occasione del quindicesimo compleanno della discoteca. Nonostante gli evidenti e continuativi problemi legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, è proprio il sindaco a promuovere ogni anno iniziative che coinvolgono direttamente i gestori del locale, come la Notte rosa e la Molo Street Parade –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti con riferimento alla sede della questura e se possa indicare un termine certo entro cui si procederà all'adozione di una delle soluzioni prospettate;
   se si ritenga opportuno che alloggi e mense della polizia siano situate in un immobile, la caserma Mosca, di proprietà di Lucio Paesani, indagato e Fabio Paesani, attualmente agli arresti domiciliari, per i motivi sopra esposti;
   se intenda fornire informazioni riguardo al fatto che le forze di polizia di Rimini per l'utilizzo della caserma Mosca, corrispondano ai proprietari, due dei quali indagati per i gravi reati sopra esposti, un canone di locazione mensile. (5-07938)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di novembre 2015, il prefetto Giovanna Vilasi, territorialmente competente per la Brianza, ha reso nota l'intenzione del Governo di inviare 35 immigrati irregolari richiedenti asilo nel comune di Camparada, determinando tensioni nella popolazione locale;
   Camparada ha 2.000 abitanti, tra i quali è forte il timore che i 35 profughi in arrivo siano soltanto l'avanguardia di un più rilevante contingente di migranti;
   poco dopo l'annuncio del prefetto Vilasi, una cooperativa attiva nel campo della gestione dell'accoglienza ai migranti irregolari, il Consorzio Comunità Brianza, ha in effetti raggiunto un accordo con la Congregazione delle Suore di Carità Capitanio e Gerosa, dette di Maria Bambina, per l'affitto di una parte di una loro struttura situata nel centro di Camparada, un ex convento chiuso tre anni fa;
   nell'ex convento delle Suore di Maria Bambina, in effetti, vi sarebbe un numero di posti letto disponibili ben maggiore di quello necessario ad ospitare i 35 migranti irregolari che il Governo avrebbe apparentemente deciso di inviare a Camparada, non inferiore alle cento unità;
   è in procinto di partire una raccolta firme tra gli abitanti, con l'obiettivo di chiedere all'amministrazione comunale di Camparada di acquisire la struttura delle religiose, di valore stimato pari ad 1,5 milioni di euro, e adibirla a centro anziani –:
   quanti profughi richiedenti asilo il Governo intenda complessivamente destinare al comune brianzolo di Camparada;
   per quali motivi non abbiano ritenuto di soprassedere, considerate le resistenze manifestate dall'opinione pubblica locale;
   se il Governo sia o meno disponibile a riconsiderare i propri propositi qualora la popolazione locale di Camparada riesca ad ottenere la convocazione di un referendum sull'acquisto della struttura religiosa già identificata per ospitarvi i profughi e tale consultazione si risolva in favore dei promotori. (4-12266)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella ex scuola «Socrate», in località Via del Casale di San Nicola nel 2015 è stato aperto un centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA);
   tale apertura, conseguente all'aggiudicazione da parte della cooperativa sociale Isola Verde di due bandi della prefettura, uno per il 2015 ed uno per il 2016, è stata ed è oggetto di contestazioni da parte di alcuni cittadini residenti e da esponenti politici della destra;
   le autorità preposte alla verifica della regolarità amministrativa, ambientale ed urbanistica dell'intera struttura, procura della Repubblica di Roma, UOT XIV municipio, polizia locale di Roma, sono state investite delle problematiche sollevate da chi, da subito, si è opposto all'apertura del centro;
   nel mese di luglio 2015, in occasione dell'arrivo dei primi richiedenti asilo da ospitare nella struttura, si sono verificati gravi fatti di turbativa dell'ordine pubblico tra le forze dell'ordine e quanti si opponevano, anche con violenza, all'apertura del centro;
   a seguito di tali fatti, per tutelare l'integrità degli stranieri ospitati e di quanti lavorano nella struttura, su sollecitazione di alcuni dei cittadini residenti, la questura di Roma ha istituito un presidio fisso di polizia in prossimità del centro stesso;
   il prefetto di Roma dottor Gabrielli, con un atto del 12 febbraio 2016, evidenziando che «...si è preso atto nel corso del 2015, delle proteste messe in atto dai cittadini residenti nella zona, che hanno dato luogo all'adozione di misure di vigilanza da parte della Questura. Non si ritiene più possibile la prosecuzione di tali misure, né può considerarsi ammissibile un dispiegamento continuativo di Forze dell'Ordine, al fine di garantire il pacifico espletamento del servizio di accoglienza. Ne consegue la valutazione di inidoneità della struttura per motivi logistici e ambientali», ha formulato richiesta all'ente gestore della struttura «...di voler proporre entro trenta giorni dalla presente comunicazione l'utilizzo di ulteriori stabili...»;
   tale determinazione pone le sue basi sulla dichiarata impossibilità, e inammissibilità, di «garantire il pacifico espletamento del servizio di accoglienza»;
   il servizio di accoglienza è un servizio pubblico finanziato con fondi europei e statali volto al soddisfacimento di esigenze primarie di accoglienza e solidarietà con persone che, fuggendo da zone di guerra o dove vengono negati i più elementari diritti civili, in caso di rimpatrio andrebbero incontro al rischio di perdere la propria vita;
   lo Stato italiano deve garantire il pieno controllo del territorio ed il pacifico espletamento dei servizi pubblici, siano questi presidi delle forze dell'ordine, palazzi di giustizia, ospedali o centri di Accoglienza;
   il Sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione, nella risposta alla interrogazione parlamentare n. 4-09914, dell'onorevole Saltamartini, il 24 settembre affermava che «...l'individuazione della struttura ricettiva era avvenuta d'intesa con il Presidente del XIV Municipio» e che «il Prefetto di Roma, nella sistemazione logistica dei richiedenti asilo, sta operando secondo una logica di decongestionamento delle zone a maggiore concentrazione di migranti, utilizzando piccole strutture – spesso ubicate nei centri minori della provincia di Roma – dove possono risultare anche più agevoli le attività di integrazione» e specificava, inoltre, che «...Si tratta di un'attività capillare che ha visto il Prefetto recarsi di persona in diversi municipi della Capitale, dove ha manifestato un'ampia e apprezzata disponibilità al dialogo e al confronto con le autorità locali.»;
   non risulta agli interroganti che vi siano state, dopo quelle già citate del luglio 2015, ulteriori manifestazioni di intolleranza da parte dei residenti tali da turbare l'ordine pubblico, e soprattutto non risulta che si siano verificati episodi violenti o anche solo fastidiosi ad opera dei richiedenti asilo –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle ulteriori motivazioni che hanno indotto il prefetto di Roma ad una inversione così repentina di posizione sulla idoneità della struttura;
   se, qualora i timori di non riuscire a «garantire il pacifico espletamento del servizio di accoglienza» si dimostrassero infondati, non ritenga opportuno assumere iniziative affinché il prefetto rivaluti la richiesta fatta all'ente gestore di indicare una struttura alternativa. (4-12270)


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Napoli – Ingegner Gaetano Vallefuoco – attraverso un ordine del giorno del 16 febbraio 2016, ha disposto che, per il primo quadrimestre del 2016, sia consentito un solo lavaggio al mese dei capi di abbigliamento in dotazione al Corpo nazionale dei vigili del fuoco quali magliette, pantaloni e giubbini. Ha inoltre disposto che il lavaggio del Nomex (l'apposita divisa protettiva antifiamma in uso al Corpo) sia invece consentito una volta ogni due mesi;
   tale disposizione, si legge nell'ordine del giorno emanato dal comandante provinciale, si è resa necessaria a causa del limitato budget assegnato da parte della direzione regionale in relazione al servizio di lavanderia;
   immediata è stata la reazione da parte del sindacato autonomo dei vigili del fuoco – Conapo – il quale, attraverso il suo segretario Michele Coppola, ha affermato che un simile modus operandi costituisce un vero e proprio attacco alla salute dei lavoratori e a quella dei cittadini;
   queste le testuali parole del segretario: «Siamo quotidianamente impegnati nell'opera di soccorso nei molteplici scenari dove il rischio contaminazione è quasi onnipresente: dall'incidente d'auto con feriti e sangue, all'incendio Capannone industriale con prodotti chimi e veleni, fino all'apertura porta per portare soccorso al malcapitato di turno. Siamo a contatto con ogni genere di sostanza nociva e contaminante e i nostri indumenti vanno necessariamente puliti e sanificati ogni qualvolta è necessario. Risparmiare su questo è da irresponsabili». E ancora: «In una provincia dove i roghi di rifiuti sono all'ordine del giorno e in un territorio diventato tristemente famoso per le vicende legate alla Terra dei Fuochi con i relativi rischi biologici mutageni e chimici, questa disposizione del comandante Gaetano Vallefuoco appare non solo insensata ma è un vero insulto alla dignità dei vigili del fuoco napoletani»;
   numerosi organi di stampa hanno riportato la notizia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione in cui si trovano attualmente gli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco della provincia di Napoli e quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare la salute dei lavoratori;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per dotare il comando provinciale di Napoli di un fondo ad hoc per far fronte alla necessità sopramenzionata;
   se il Ministro interrogato intenda convocare ad horas un tavolo negoziale, per risolvere la problematica di cui sopra. (4-12272)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione nazionale coordinamenti vigili del fuoco ha evidenziato che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a seguito dell'approvazione delle norme recanti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), non avrebbe ottenuto alcun potenziamento degli organici e non avrebbe ottenuto nemmeno stanziamenti destinati ad assumere nuove unità, ma si sarebbe provveduto a finanziare assunzioni extra turn over rimodulando il capitolato di spesa destinato al personale volontario utilizzando un fondo già in seno all'amministrazione stessa;
   attualmente, secondo la Federazione, l'unica certezza è data dalle 600 unità con fondi già disponibili stabiliti dall'ultima tranche derivante dall'assunzione di 1000 unità vigili del fuoco ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e dall'anticipo del turn over 2014 e 2015 in vista del Giubileo straordinario della misericordia di 355 unità derivante dal decreto-legge 78 del 2015 (decreto enti locali), i cui rispettivi corsi di formazione sono partiti il 7 settembre di 600 unità, 9 dicembre di 250 unità e 21 dicembre 2015 con 105 unità;
   la Federazione segnala, inoltre, che, considerando la massiccia ondata di pensionamenti, prevista del prossimo triennio e l'anticipo delle 355 unità, di cui 250 da assumere come era previsto nel 2016, si possa verificare un vuoto di assunzioni, come già avvenuto nel 2012, quando il Corpo nazionale dei vigili del fuoco fu quasi al collasso;
   ad oggi esisterebbe, dai dati forniti, la possibilità di utilizzare circa 4000 unità tra gli idonei al concorso pubblico, per 814 posti, e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario approvata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valida fino al 31 dicembre 2016;
   sembrerebbe opportuno, a parere della Federazione, provvedere ad un «potenziamento preventivo» nel breve periodo, che, in termini di assunzioni, permetterebbe di non gravare ulteriormente sulla cronica carenza in organico nella figura di vigile permanente, che sta causando a numerose sedi di servizio ed al relativo personale, enormi problemi nell'allestire un'adeguata attività di soccorso tecnico urgente;
   inoltre, è parere dell'interrogante che si possa prevedere una proroga che permetta alle attuali graduatorie di continuare lo scorrimento anche nell'anno 2017, dando una risposta soddisfacente al personale discontinuo e civile collocato al proprio interno, pensando anche ad uno «scorrimento parallelo», con la nuova procedura concorsuale in itinere, autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, il cui iter concorsuale durerà diversi mesi –:
   a che punto sia l’iter di trasformazione delle unità derivanti dal concorso a vice ispettore antincendio in vigile del fuoco per un complessivo di 300 unità extra, che la Federazione sostiene sia stato decretato agli inizi del 2015;
   se non ritenga necessario, per far fronte alle carenze di organico del Corpo, assumere iniziative per prorogare al 2017 lo scorrimento delle attuali graduatorie degli idonei al concorso pubblico, per 814 posti, e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario approvata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valida fino al 31 dicembre 2016. (4-12278)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARUFFI, DAMIANO, ARLOTTI, BOCCUZZI, D'OTTAVIO, INCERTI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la casa automobilistica Maserati, ora appartenente al gruppo FCA, rappresenta da oltre 100 anni un'esperienza di successo nella produzione dell'auto sportiva e di lusso, un marchio sinonimo di qualità ed eccellenza nel mondo, con profonde radici nella città di Modena;
   se negli ultimi anni sono stati prodotti nello stabilimento modenese, in media, oltre 5.000 esemplari a marchio Maserati, nel 2015 questi volumi si sono ridotti a 2.800 unità, pur a fronte di 3.500 vetture a marchio Alfa prodotte nello stabilimento stesso: se il volume complessivo della produzione non è dunque cambiato, si registra un problema di graduale ridimensionamento del numero di vetture Maserati;
   per produrre un'automobile Alfa si impiega circa un terzo del tempo rispetto a una Maserati: si pone quindi non solo un problema di qualità e di valore aggiunto per unità di prodotto, ma di concreta saturazione delle linee di produzione;
   per il 2016 si prevede un ulteriore calo di produzione a marchio Maserati, essendo diminuita la cadenza con cui le linee dedicate producono le autovetture al giorno – da 13 a 10 unità – nei primi mesi dell'anno, ed essendo in diminuzione il numero di giornate lavorative rispetto al 2015, in considerazione sia della cassa integrazione guadagni ordinaria già autorizzata, sia di quella già programmata: è quindi ragionevolmente stimabile che i volumi di produzione si attesteranno quest'anno a circa 2.000 esemplari, certificando in soli due anni un sostanziale dimezzamento della produzione stessa a marchio Maserati nello stabilimento di Modena;
   non si tratta di un problema unicamente legato allo stabilimento modenese: le autovetture a marchio Maserati prodotte tra Modena e Grugliasco sono passate infatti, complessivamente, da 41.000 a 32.000 nel 2015;
   genera una crescente preoccupazione l'incertezza sulla strategia aziendale, con particolare riguardo ai modelli in produzione: i due ora in produzione – Gran Cabrio e Gran Turismo – risultano infatti piuttosto datati (sono sul mercato da più di 7/8 anni) e nel 2014 Maserati aveva programmato la loro uscita di produzione, rispettivamente nel 2016 e l'altro nel 2018;
   ad oggi non è dato conoscere se tali previsioni di turn over siano confermate e quali altri modelli potranno sostituire quelli presenti;
   i dipendenti Maserati a Modena sono complessivamente 1.020, di cui circa 300 operai;
   se nel mese di febbraio 2016 l'azienda ha fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni ordinaria per 4 giorni, per 304 addetti, ha annunciato in questi giorni di voler aprire un'ulteriore procedura di cassa integrazione guadagni ordinaria, ancora più impattante, di 9 giornate dal 21 marzo al 3 aprile 2016 per lo stesso numero di lavoratori (250 in produzione, il restanti tra gli impiegati) –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda promuovere nei confronti della casa automobilistica Maserati e del gruppo FCA per assicurare una piena continuità produttiva nello stabilimento di Modena;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare l'intenzione da parte della proprietà, della piena valorizzazione di una produzione ad alto valore aggiunto e di un brand di successo che qualifica l'industria automobilistica italiana nel mondo. (5-07930)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 marzo 2016 sarà trascorso un anno dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015;
   è noto che il contratto a tutele crescenti, lungi dall'innalzare le tutele del dipendente, ha abrogato l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 (cosiddetto Statuto dei lavoratori), eliminando il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato dal datore di lavoro di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e ancorando la tutela contro il licenziamento ad un mero indennizzo economico;
   le disposizioni sui licenziamenti facevano supporre e prospettavano un robusto intervento di politiche attive del lavoro, per realizzare quel circolo virtuoso di cosiddetta flexsecurity che avrebbe consentito alla persona che perde il lavoro di essere coperta economicamente da un forte e moderno ammortizzatore sociale, nel mentre veniva presa in carico da un efficace sistema di politiche attive che la traghettasse verso un'altra occupazione;
   ad una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro (ovvero licenziamenti più facili) avrebbe dovuto, nelle intenzioni della riforma, corrispondere la creazione di strumenti efficienti e rapidi a tutela del dipendente espulso dal mondo del lavoro affinché gli fosse consentito il reperimento di una nuova occupazione;
   il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, in tema di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, è entrato in vigore il 24 settembre 2015 e ha previsto l'istituzione di una Rete Nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, coordinata dalla nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal); nella suddetta rete nazionale confluiranno le strutture regionali per le politiche attive del lavoro, l'Inps, l'Inail, le agenzie per il lavoro (insieme gli altri soggetti autorizzati all'attività di intermediazione, gli enti di formazione, Italia Lavoro, l'Isfol, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli altri istituti di scuola secondaria di secondo grado);
   l'Anpal gestirà l'albo nazionale dei soggetti accreditati a svolgere funzioni in materia di politiche attive del lavoro, un Sistema informativo delle politiche del lavoro e il fascicolo elettronico del lavoratore, in cui vengono iscritte le agenzie per il lavoro e le agenzie che intendono operare nel territorio delle regioni che non abbiano istituito un proprio regime di accreditamento;
   anche il post lavoro viene trattato dal decreto, e, per i lavoratori che debbono inserirsi o reinserirsi nel mercato del lavoro, il decreto prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali stipuli con ogni regione e con le province autonome una convenzione per la gestione dei servizi, prevedendo, in via transitoria, che i compiti, le funzioni e gli obblighi in materia di politiche attive del lavoro siano attribuiti a soggetti pubblici o privati accreditati, anche al fine di svolgere, nei confronti dei disoccupati e dei soggetti a rischio di disoccupazione, attività di orientamento, ausilio, avviamento alla formazione e accompagnamento al lavoro;
   i lavoratori a rischio di disoccupazione verranno assegnati ad una classe di profilazione (ovvero saranno definiti all'interno di un target specifico), allo scopo di valutarne il livello di occupabilità e saranno convocati dai centri per l'impiego per la stipula del «Patto di servizio personalizzato» che in questo caso, dovrà inoltre riportare la disponibilità del richiedente a partecipare a iniziative di carattere formativo, di riqualificazione o di politica attiva e ad accettare congrue offerte di lavoro; la novità è la nascita dell’«assegno di ricollocazione», a favore dei soggetti disoccupati, percettori della nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpi), la cui disoccupazione ecceda i quattro mesi. La somma, graduata in funzione del profilo di occupabilità, sarà spendibile presso i centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati a svolgere funzioni e compiti in materia di politiche attive del lavoro;
   tuttavia, molte norme del suddetto decreto in materia di politiche attive del lavoro sono, a tutt'oggi, rimaste ancora sulla carta nonostante l'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti e cioè licenziamenti più facili già dal 7 marzo 2015;
   la realtà dei fatti è altra: come rivela Francesco Nespoli (bollettino Adapt del 14 gennaio 2016) il Jobs act «nella sua foga riformista mette il carro della flessibilità davanti ai buoi della sicurezza, creando il rischio che la prima si manifesti molto prima che la seconda possa contenerne gli effetti negativi»;
   il ritardo nella creazione di idonee misure di politica attiva del lavoro e del tanto conclamato ricollocamento assistito, anche tramite i centri per l'impiego, sta creando un vuoto che porta ad un sostanziale abbandono del disoccupato o del dipendente espulso dal mondo del lavoro che non trova nessuna delle misure previste;
   eppure il Presidente del Consiglio durante la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, annunciando l'avvento della rivoluzione copernicana dei contratti e la fine della precarietà, affermava: «Nessuno sarà più lasciato solo»;
   in un articolo apparso su IlSole24Ore del 6 dicembre 2015 si chiede: «Siete entrati oggi in un Centro pubblico per l'impiego ? Chi, purtroppo, ha perso il lavoro e lo ha fatto non ha ancora trovato le novità annunciate dal Job act, e cioè meno file agli sportelli e un moderno sistema di accompagnamento attivo alla ricerca di un'altra occupazione, anche grazie al contributo di imprese e agenzie private per il lavoro. Fatta eccezione per pochissime realtà territoriali che da anni sperimentano politiche attive all'avanguardia, come per esempio regione Lombardia con la Dote unica lavoro, da Nord e a Sud Italia le misure contenute nel dlgs 150, in vigore dallo scorso 24 settembre, sono finora rimaste sulla carta (mentre sono partite sia le tutele crescenti sia il riordino degli ammortizzatori e dei sussidi)»;
   inadeguate appaiono, a parere degli interroganti, sia le misure organizzative che le risorse messe a disposizione dei servizi pubblici per l'impiego: il decreto n. 150 del 2015 riconosce a tali servizi un peso specifico rilevante, visto che è attraverso i centri per l'impiego che si avvia la procedura di politica attiva;
   nel 2014, stando ai dati Inps, hanno usufruito delle misure pubbliche che aiutano a trovare un'occupazione 936.640 persone: il 5,2 per cento in meno rispetto al 2013 e il 21 per cento in meno rispetto al 2010;
   come riportato da IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015 e rilevato da Giovanni Alleva, presidente Istat, in audizione al Senato: «Nel 2013, l'Italia ha speso lo 0,03% del Pil in servizi per il lavoro rispetto allo 0,36% della Germania, allo 0,25% della Francia (dato al 2012) e allo 0,08% della Spagna (dato al 2012). In termini di spesa per disoccupato e forze lavoro potenziali, si va dai circa 2.800 euro pro-capite spesi dalla Germania, ai 1.500 della Francia, ai 122 della Spagna e gli 84 dell'Italia (dati 2012)»;
   il rapporto tra disoccupati e operatori è in Italia di un addetto ai front office per ogni 254 utenti: in Germania di 1 a 26; in Gran Bretagna il rapporto tra operatori e utenti, è di uno ogni 20 disoccupati; in Francia di 1 a 65 (Commissione europea: PES Performance measurement system e PES fiches 2014);
   ma il problema del personale addetto ai servizi pubblici per l'impiego (tra l'altro interessato anche dalla «riforma Delrio») non è solo quantitativo; va infatti considerato anche il problema del grado di istruzione dei dipendenti, davvero modesto: dal Rapporto di monitoraggio del dicembre 2013 emerge che delle persone che dovrebbero prendersi in carico i disoccupati e portarli, con competenza e professionalità, a trovare un nuovo lavoro, solo una su quattro ha la laurea. La stragrande maggioranza (57,1 per cento) si ferma al diploma, e un numero impressionante (15,8 per cento) ha solamente la licenza media. Dal punto di vista dell'inquadramento contrattuale l'88,2 per cento dei dipendenti dei centri per l'impiego, è inserito con un contratto a tempo indeterminato; un dato però molto variegato da regione a regione: si va dalla Sicilia, dove il 99,6 per cento degli impiegati ha il posto fisso, al Molise dove questa tipologia contrattuale riguarda appena il 61,7 per cento del personale;
   inoltre il recente disegno di legge presentato dal Governo al Senato, recante misure per la tutela del lavoro autonomo, ha previsto la creazione di uno sportello anche per i lavoratori autonomi, così ampliando la platea degli utenti che si rivolgeranno ai centri per l'impiego;
   a ciò si aggiunga l'incertezza normativa e contrattuale che sta vivendo il personale destinato ai servizi pubblici interessati dalla cosiddetta «riforma Delrio»: recentemente ad esempio i dipendenti dei servizi per l'impiego della provincia di Perugia, convocati in assemblea dalla Rsu hanno posto in evidenza il disagio riscontrato nelle attività quotidiane rivolte a centinaia di dipendenti;
   critica è per gli interroganti anche la sostenibilità economica di tali operazioni: il 30 luglio 2015 è stato siglato tra Governo e regioni un accordo quadro sulla gestione della fase transitoria connessa all'attuazione del decreto legislativo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive del lavoro: l'accordo, oltre a sancire la ripartizione delle competenze in materia di politiche attive del lavoro tra Governo, regioni e istituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), allo scopo di garantire la continuità di funzionamento dei centri per l'impiego, stabilisce che Governo e regioni si impegnano a reperire le risorse necessarie per coprire i costi del personale a tempo indeterminato nel, periodo 2015-2016, nella proporzione di 2/3 a carico del Governo e di 1/3 a carico delle regioni, prevedendo una verifica alla data del 30 giugno 2016 sullo stato di attuazione dell'accordo;
   secondo Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale all'Università Cattolica di Milano, coordinatore dell'indagine Rapporto giovani, «L'asse portante delle politiche attive sono i servizi per l'impiego. Ma il problema è che in Italia sono caratterizzati da bassa copertura del territorio, bassa qualità e scarsi investimenti» (IlFattoQuotidiano del 30 novembre 2015);
   nel Regno Unito i dipendenti dei centri per l'impiego sono 70 mila e si spendono per questi servizi più di 5 miliardi di euro all'anno;
   è evidente, a parere degli interroganti, il gap tra le risorse umane, funzionali, organizzative e finanziarie stanziate per i servizi e i centri per l'impiego e gli obiettivi prefissi della riforma che, a tutt'oggi, non assicura adeguate politiche attive per il disoccupato o il lavoratore espulso dal mercato del lavoro e pone l'urgenza di intervenire;
   la neoistituita Anpal andrebbe a sostituire molteplici funzioni e adempimenti fino ad oggi svolti dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro e numerosi enti con l'effetto di indebolire, a giudizio degli interroganti, le strutture pubbliche deputate ai servizi per l'impiego a tutto vantaggio delle agenzie private per il lavoro –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, in tempi celeri e certi, per realizzare efficaci servizi pubblici per il lavoro e favorirne la gestione, e per promuovere politiche attive in materia in presenza di stanziamenti, risorse finanziarie ed investimenti – anche di natura tecnologica – assai risicati e incerti e di personale deputato ai servizi per l'impiego che ad oggi, si rivela per gli interroganti insufficiente e scarsamente formato ai nuovi compiti di ricollocazione di lavoratori disoccupati o espulsi dal mondo del lavoro, e che sarà impiegato nella neoistituita Anpal. (5-07936)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, BUSTO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   agli interroganti, sono giunte segnalazioni di lavoratori dell'istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), riguardo a disservizi dell'ente;
   tali cattivi funzionamenti sarebbero riconducibili a guasti e malfunzionamenti del settore informatico, acuitisi soprattutto negli ultimi mesi del 2015, che porterebbero i lavoratori dell'ente a trovarsi con l'improvviso blocco dei programmi e di procedure non funzionanti durante l'orario di sportello. Ciò comporta, per gli sportellisti, un fattore di stress correlato dovuto alla continua esposizione ad insulti ed urla da parte degli utenti costretti ad interminabili code per ottenere informazioni e servizi che non possono, causa appunto disservizi informatici, essere loro offerti;
   oltre al problema appena esposto, i lavoratori dell'ente denunciano di essere, sempre negli ultimi tempi, investiti da un'infinità di comunicazioni ed ordini di servizio, circolari interne emesse dalle varie Direzioni centrali di Roma o del direttore generale dell'ente, che aggiungono confusione, stress e preoccupazioni, soprattutto riguardo all'attuabilità di tali disposizioni. Inoltre, ai lavoratori giungono dai loro superiori indicazioni contraddittore, o ancora lavorazioni di procedure telematiche sempre più numerose, malfunzionanti e complesse che vengono implementate quasi quotidianamente o aggiornate in remoto che si sovrappongono e portano al blocco dei programmi informatici utilizzati;
   tali disservizi sarebbero imputabili alla oramai ben insediata struttura KPMG a cui, nel 2008, l'allora presidente e commissario unico dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, con un contratto da 17 milioni di euro ha affidato iniziative sulla riorganizzazione dell'istituto;
   Kpmg è un network di servizi professionali alle imprese, specializzato nella revisione e organizzazione contabile, nella consulenza manageriale, nei servizi fiscali, legali, amministrativi ed informatici. La multinazionale Kpmg, è attiva in 152 paesi del mondo con oltre 145 mila professionisti. Kpmg fa parte delle cosiddette «Big Four», ovvero le quattro società di revisione che a livello mondiale si spartiscono la grande parte del mercato;
   nell'interrogazione n. 3-02703 presentata in data 6 marzo 2012 dal senatore Elio Lannutti, si evidenziava il grande potere che ha assunto all'Inps la Kpmg, penetrata, nel tempo, all'interno delle attività nevralgiche dell'ente, assumendo un ruolo di primo piano non solo nell'informatica ma anche nella formazione, nella vigilanza e negli altri settori strategici. In particolare sembrerebbe che il coordinamento generale statistico attuariale, abbia messo a disposizione di Kpmg non solo i dati statistici, che pure dovrebbero rimanere saldamente in mano pubblica, ma addirittura strumenti e formule per costruire i dati di bilancio con relativa sottrazione di funzioni all'ente per affidarle ai privati;
   nella stessa interrogazione, veniva riportato un articolo pubblicato sul quotidiano « Il Manifesto» in data 8 aprile 2011, dove veniva trattato il tema della chiusura degli sportelli dell'Inps e delle problematiche che ha portato tale decisione. Anche questa riorganizzazione è stata affidata alla Kpmg. I disservizi sono da subito stati evidenti, a causa anche del metodo a cui hanno dovuto adeguarsi gli utenti dell'Inps, ricorrendo on line alle richieste di disoccupazione, mobilità, gestione separata, lavoratori domestici, Isee, assegni familiari, ricostituzioni di carriera e altro. Tale metodo ha creato, per i numerosi utenti, incapaci o impossibilitati all'utilizzo del computer, come ad esempio i pensionati che necessitavano del servizio di assistenza fiscale, a dover chiedere aiuto ai Caf e ai commercialisti, pagando per i servizi e creando un giro d'affari eccezionale;
   nello stesso articolo del 2011, il piano dell'Inps non si limitò alla riduzione del personale. I servizi «strategici» dell'Inps, infatti, furono quasi Completamente esternalizzati. L'informatica, ovvero la gestione delle banche dati di tutti gli utenti con dati «sensibilissimi» dal punto di vista della privacy, fu affidata, come già accennato, all'azienda privata Kpmg; la riscossione dei contributi ad Equitalia; la spedizione dei documenti a Postel; la gestione della cassa integrazione in deroga, agli «enti bilaterali» di aziende e sindacati, con l'Inps ridotta al ruolo di semplice ufficiale pagatore;
   in un articolo di Russell Mokhiber e Robert Weissman pubblicato in data 21 luglio 2006 sul sito « multinationalmonitor.org», dal titolo «The 10 Worst Corporations of 2005» (Le dieci peggiori multinazionali del 2005) veniva indicato che Kpmg, nell'agosto del 2006 è stata accusata di cospirazione, Kpmg ha ammesso il suo coinvolgimento in quella che è stata definita la più grande frode fiscale di tutti i tempi. La cosa che risulta essere paradossale è che di fatto non c’è stata nessuna condanna e nemmeno un patteggiamento. Tale atteggiamento risulta essere frequente quando «le grandi multinazionali statunitensi, o le grandi aziende come la Kpmg, commettono un crimine», ottenendo tranquillamente procedimenti giudiziari differiti. Questo perché, a detta dei redattori dell'articolo, «se accusi la Kpmg, rischi seriamente di essere estromesso dagli affari, come nel caso Arthur Andersen. Ma non importa, puoi anche decidere di accusare la compagnia di qualche crimine. Poi il Procuratore Generale apparirà alla televisione nazionale e dirà che la Kpmg ha ammesso le sue colpe. Il Procuratore Distrettuale di New York avrebbe voluto aprire un procedimento giudiziario, ma è stato scavalcato dai suoi superiori al Dipartimento di Giustizia. Non ci sono dubbi che la Kpmg sia stata coinvolta in attività criminose. Lo ha ammesso anche il procuratore generale Alberto Gonzales, ma a causa di possibili «conseguenze collaterali», non c’è stata alcuna condanna.»;
   Kpmg ha ammesso di aver partecipato ad una frode che ha generato almeno 11 miliardi di dollari di falsi disavanzi fiscali, che secondo i calcoli del tribunale sono costati agli Stati Uniti circa 2,5 miliardi di dollari in tasse evase nel più importante caso di evasione fiscale mai registrato. Mark Everson, commissario dell'Irs, l'agenzia esattoriale del Governo federale degli Stati Uniti d'America, ha dichiarato che «l'unico scopo di questo comportamento oltraggioso è quello di arricchire ulteriormente chi è già ricco, e di riempire le tasche dei soci della Kpmg»;
   nella frode di 11 miliardi di dollari di falsi disavanzi fiscali, sono stati arrestati otto soci della Kpmg e un avvocato fiscalista esterno. La ditta ha ottenuto il procedimento differito per le sue attività criminali e ha pagato 456 milioni di dollari, ma non c’è stata alcuna limitazione nella sua libertà d'azione. L'azienda ha dovuto assumere un controllore, un ex membro della Commissione di Vigilanza della Borsa Americana, Richard Breeden, pagato dalla Kpmg;
   al termine della sopraindicata vicenda di frode, Timothy P. Flynn, presidente e amministratore delegato della Kpmg, ha dichiarato, come se nulla fosse accaduto, che «la conclusione di questa vicenda consente alla Kpmg di affrontare con serenità il futuro, e di fornire revisioni contabili e consulenze finanziarie e fiscali di alta qualità alle multinazionali e ai governi che sono i nostri clienti.»;
   in Italia, Kpmg ha subito una condanna per la certificazione di bilancio di una fiduciaria, come riportato in un articolo del 6 ottobre 1993, pubblicato sul « Corriere della Sera». Kpmg è stata condannata a pagare un'ammenda provvisionale da 8,8 miliardi di lire, presentando poi ricorso, per aver rilasciato la certificazione al bilancio della società fiduciaria Ifc, posta in liquidazione coatta amministrativa nel luglio del 1988 Kpmg era stata citata in giudizio dal liquidatore della fiduciaria Ifc per le certificazioni dei bilanci dal 1985 al 1987. Fra le accuse quella di non aver segnalato ai clienti creditori della fiduciaria diverse anomalie, fra le quali gravi irregolarità commesse dagli amministratori;
   in data 9 dicembre 2015, dai rappresentanti della Cgil di Bolzano/Alto Adige – Südtirol, veniva diramato un comunicato sindacale rivolto a tutti i lavoratori dell'Inps dell'Alto Adige/Südtirol, dove venivano denunciati i diversi disservizi dell'ente. Tra questi, anche il conosciuto problema delle complesse erogazioni della Naspi, dovuta principalmente alla totale incertezza normativa e senza un'adeguata formazione del personale e, contemporaneamente, ad un'estrema deregolamentazione delle norme collegate a lavoro e welfare che consentono ai datori di lavoro o consulenti del lavoro di «avventurarsi nel variegato mondo dell'abuso nei confronti dell'istituto e in barba all'ispettorato del lavoro in demolizione e alla non ancora nata agenzia unica per le ispezioni». Sempre riguardo alla Naspi, veniva citato un recente caso di probabile erogazione non dovuta di prestazioni nel settore alberghiero del territorio dell'Alto Adige/Südtirol, per assenza di coordinamento da parte dell'ispettorato provinciale che probabilmente ha omesso dei controlli, non comunicando con l'ente. In tal senso, i rappresentanti della Cgil hanno ritenuto insensato attribuire responsabilità al collaboratore dell'ente che ha erogato la prestazione;
   oltre al mancato coordinamento con l'ispettorato provinciale che porta a generare errori e confusione, sempre i rappresentanti della Cgil ritengono che non si tenga conto dei carichi di lavoro con le quasi 2000 pratiche al mese divise su pochi operatori. Tale modus operandi crea le condizioni tecniche, normative e strutturali per commettere errori che altrimenti sarebbero evitabili;
   il comunicato sindacale continuava denunciando i gravi disguidi dell'apparato informatico dell'INPS gestito da Kpmg. Una linea zoppicante, molto spesso intasata e inefficiente in cui risulta che gli interventi di aggiornamento e manutenzione vengano eseguiti anche durante l'orario di servizio e di sportello degli operatori. Nel disinteresse generale, Kpmg a quanto consta agli interroganti non sarebbe mai stata chiamata a rispondere di tali disservizi. L'organizzazione sindacale ha ripetutamente portato all'attenzione dell'amministrazione l'ingiustificabile quantità di blocchi e malfunzionamenti delle piattaforme informatiche. La risposta ricevuta è che la questione è nota da tempo ma, nonostante ciò, il vertice dell'istituto non ha ritenuto di dover manifestare la problematica, nonostante il grave danno che ciò portava alla qualità ed alla quantità dei prodotti erogati e trattati dalla sede e al conseguente stress subito da operatori ed utenti dell'istituto;
   in data 27 novembre 2011, la direzione centrale organizzazione e la direzione centrale sistemi informativi e tecnologici dell'Inps, hanno diramato una comunicazione al personale nella quale avvertiva che le violazioni anche accidentali al sistema informatico possono avere conseguenze per i lavoratori. Gli stessi hanno definito «intimidatori, inaccettabili e squalificanti» tali metodi dell'ente, in considerazione del fatto che hardware e software risultano avere un pessimo funzionamento non certo per cause dovute agli operatori dell'ente. In tal senso, i rappresentanti della Cgil, nel comunicato da loro redatto, hanno aggiunto che così facendo si crea un clima di lavoro malsano anche sotto il profilo della salute e della sicurezza che spesso porta a malattie professionali evitabili, derivanti da carichi di lavoro eccessivi, frustrazione e costante pressione psicologica, rispetto alle quali, già da ora, l'istituto è chiamato a dare risposte. I rappresentanti del sindacato hanno poi chiesto alla dirigenza di «voler immediatamente rassicurare ed informare il personale rispetto alle procedure con ordini di servizio chiari e circostanziati, contestualizzando e rendendo operative le direttive della struttura nazionale e, per quanto riguarda la piattaforma informatica, avviare tutto ciò che è necessario per rendere il sistema efficace anche interessando i responsabili del settore» –:
   se corrisponda al vero che la Kpmg, chiamata nel 2008 al processo di riorganizzazione dell'Inps, sia penetrata all'interno delle attività nevralgiche dell'ente, assumendo un ruolo di primo piano non solo nell'informatica ma anche nella formazione, nella vigilanza e negli altri settori strategici;
   se corrispondano al vero che Kpmg sia in possesso dei dati statistici, che pure dovrebbero rimanere saldamente in mano pubblica, e di strumenti e formule per costruire i dati di bilancio, nell'ambito di un progetto di sottrarre funzioni vitali all'ente per affidarle ai privati, con possibili dati forniti all'esterno come quelli elaborati da Kpmg o quelli della direzione centrale bilancio, poco o scarsamente affidabili;
   se corrispondano al vero i disservizi di gestione che risulterebbero creati dalla Kpmg, denunciati dai lavoratori e quali iniziative, per quanto di competenza il Ministro interrogato, intenda adottare per migliorare la situazione ad avviso degli interroganti controproducente e dannosa per i lavoratori e gli utenti dell'Inps;
   se corrisponda al vero che le complesse erogazioni della «Naspi» siano dovute principalmente alla totale incertezza normativa, alla mancanza di un'adeguata formazione del personale e ad un'estrema deregolamentazione delle norme collegate a lavoro e welfare e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato, intenda adottare per migliorare tali gravi ritardi dell'erogazione di un ammortizzatore sociale di enorme importanza per i richiedenti;
   se corrisponda al vero che Kpmg non sia mai stata chiamata a rispondere dei disservizi dell'apparato informatico dell'Inps, denunciati più volte da organizzazioni sindacali all'amministrazione e che quest'ultima abbia ammesso che la questione è a loro nota da tempo ma che, nonostante ciò, il vertice dell'ente non ha ritenuto di dover manifestare la problematica, e se ciò fosse confermato, quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per eliminare tali gravi disguidi;
   se corrisponda al vero, che la direzione centrale organizzazione e la direzione centrale sistemi informativi e tecnologici dell'Inps, abbiano diramato una comunicazione al personale nella quale avvertivano che violazioni anche accidentali al sistema informatico possono avere conseguenze per i lavoratori e se non intenda, per quanto di competenza, intervenire per ristabilire un corretto rapporto tra la direzione centrale e i lavoratori dell'istituto in questione. (5-07937)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO, GALLINELLA, CIPRINI, FITZGERALD NISSOLI, SBERNA, BARADELLO, QUINTARELLI, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, BOMBASSEI, VECCHIO, CATALANO, MOLEA, CATANIA, OLIARO, PIEPOLI e GIGLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una recente indagine Eurispes che ha misurato l'indice di organizzazione criminale (IOC) nell'ambito del quarto rapporto agromafie afferma che Perugia e Terni, con un indice di organizzazione criminale di 55,9 e 30, fanno posizionare l'Umbria nella prima metà della classifica delle regioni d'Italia a più forte penetrazione mafiosa;
   l'intensità dell'associazionismo criminale è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell'Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile e particolarmente elevata in Abruzzo ed in Umbria;
   le Agromafie hanno realizzato un business che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015;
   per l'aggiungere l'obiettivo, dice il rapporto, «i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare»;
   dalla riunione della Commissione parlamentare antimafia riunitasi di recente a Perugia è risultato che, se l'Umbria non è un territorio mafioso, non si possono sottovalutare i fenomeni di infiltrazione che si sono verificati negli anni;
   la provincia di Perugia e l'Umbria si confermano territori in cui non si può parlare certamente di insediamento mafioso come invece succede per la Lombardia o altre regioni del nord. Ma non bisogna sottovalutare il fenomeno che esiste, è importante tenere alta l'attenzione, perché anche qui sono presenti organizzazioni italiane e internazionali e ci sono evidenti segnali della loro presenza: sia in rapporto alla questione Gesenu che ai traffici di stupefacenti;
   proprio il «modello Gesenu» necessita di un approfondimento della questione; si ritiene infatti necessario andare avanti per capire se questo modello di infiltrazione delle partecipate sia stato utilizzato anche in altre regioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza in merito ritengano utili intraprendere al fine di monitorare e contrastare il fenomeno mafioso in Umbria. (3-02059)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FAENZI e PARISI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quarto rapporto presentato la scorsa settimana, sui crimini agroalimentari curato dall'Eurispes, dalla Coldiretti e dall'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, evidenzia la necessità di introdurre, nel mercato, regole specifiche, efficaci ed immediate, in grado di contrastare il fenomeno fraudolento della contraffazione e dell'illegalità nelle sue articolate forme i cui effetti, penalizzano fortemente la libera concorrenza ed il mercato legale, compromettendo, in modo gravissimo, la qualità e la sicurezza dei prodotti ed il valore del made in Italy;
   da tale rapporto si evince l'intensità delle infiltrazioni criminali nel mercato agroalimentare, che ha raggiunto un volume d'affari di 16 miliardi di euro nel 2015; dal documento emerge, inoltre, che sull'intero territorio nazionale, si riscontra un numero rilevantissimo di terreni (circa 26.200), in possesso di soggetti condannati in via definitiva, (per reati che riguardano tra l'altro l'associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione), a causa della lungaggine dei processi di sequestro, che si presentano lunghi e confusi, talvolta anche confiscati definitivamente, che rimangano di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi;
   la mappa geografica dell'illegalità nei settore, secondo quanto rileva l'Indice di organizzazione criminale (Ioc), rivela che la stessa è diffusa principalmente nel Mezzogiorno; tuttavia, emerge con chiarezza come nel Centro Italia, il grado di penetrazione delle organizzazioni criminali, che operano nel settore agricolo e agroalimentare, sia particolarmente elevato anche in Toscana;
   al riguardo, in alcune aree territoriali della predetta regione, il rapporto sulle agro-mafie, rileva come Pistoia e Grosseto, siano i comuni con il più alto indice di criminalità organizzata e si collocano rispettivamente al 39o e al 50o posto in cima alla classifica dei territori in cui l'intensità dell'associazionismo criminale risulta più elevata;
   secondo l'Eurispes e la Coldiretti infatti, sono 170 gli immobili confiscati al 30 settembre 2015 e 28 le aziende sequestrate dalle autorità giudiziarie in Toscana e, al riguardo, il presidente della Coldiretti della medesima regione, rileva che la criminalità che opera nelle campagne, incide più a fondo nei beni e nella libertà delle persone, in quanto a differenza della criminalità urbana, essa può contare su un tessuto sociale e su condizioni di isolamento degli operatori e di mancanza di presidi di polizia immediatamente raggiungibili ed attivabili;
   la stessa Coldiretti Toscana evidenzia, a tal fine, l'esigenza di lavorare per il superamento della situazione di solitudine, invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio, incentivando, al contempo, il ruolo delle associazioni di rappresentanza, attraverso il confronto e la concertazione con la pubblica amministrazione, in quanto la mancanza di dialogo e di azioni comuni, costituiscono un indubbio fattore critico nell'azione di repressione della criminalità;
   a giudizio degli interroganti, il rapporto sui crimini agroalimentari evidenzia la necessità d'introdurre ulteriori misure, oltre a quelle già approvate di recente, sia orientate ad innalzare ulteriormente i livelli attenzione e di controllo sulla qualità e la sicurezza dei prodotti, che volte ad assicurare un maggiore rigore nell'applicazione di norme penali, al fine di ristabilire l'ordine e garantire il libero svolgimento delle attività lecite nel mercato agroalimentare –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto nella premessa;
   se i Ministri interrogati siano in possesso di ulteriori dati numerici e statistici oltre a quelli evidenziati in premessa sulla presenza e l'operatività della criminalità organizzata nel tessuto economico del comparto agroalimentare in Toscana e, in caso affermativo, se non ritengano di fornire chiarimenti in merito;
   se non ritengano che, alla luce del quadro generale che emerge dalla relazione presentata dall'Eurispes, dalla Coldiretti e dall'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, che risulta a parere degli interroganti indubbiamente allarmante, sia necessario intervenire, assumendo le opportune iniziative di competenza in ambito comunitario, al fine di elevare i livelli di attenzione per i controlli, considerato il fatto che numerosi marchi italiani siano a rischio, nonostante il sistema di vigilanza in Italia sia d'avanguardia;
   se visti i rilievi emersi dalla commissione di studio per l'elaborazione di proposte di intervento sulle riforme dei reati in materia agroalimentare e considerate le notevoli difficoltà riscontrate dalle autorità giudiziarie e dalle forze dell'ordine in tale ambito, non ritengano opportuno, nei limiti delle rispettive competenze, di assumere iniziative normative per introdurre nuove figure di reato come quella di disastro sanitario, al fine di contribuire alla necessaria riforma penale in grado di contrastare in maniera più efficace fenomeni di ampia illegalità esistenti nel mercato agricolo e agroalimentare. (5-07932)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, GAGNARLI, BUSTO, GRILLO, SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, LOMBARDI e FRUSONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio 2016 si è appreso da fonti ANSA che in diversi marchi di birre tedesche sottoposte a un test specifico dall'Istituto per l'ambiente di Monaco sono state rintracciate quantità elevate di glifosato, un diserbante classificato dallo IARC come probabile cancerogeno per l'uomo;
   il test avrebbe coinvolto 14 marche fra le più note in Germania: Beck's, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, Konig Pilsener e Jever e sarebbero stati registrati valori oscillanti tra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi, che è il limite consentito dalla legge per l'acqua potabile –:
   se in Italia siano previsti controlli di questo tipo sulle birre di produzione italiana e, in caso negativo, se non ritengano di dover avviare, per quanto di competenza, dei controlli specifici anche nel nostro territorio;
   se e quali controlli vengano eseguiti sul malto d'orzo importato per la produzione delle birre italiane e in modo specifico circa la presenza di residui di prodotti chimici quali i diserbanti e, in caso negativo, se non ritengano di dover avviare, per quanto di competenza, dei controlli specifici;
   se in Italia siano previsti dei valori limite per la presenza di diserbanti e altre sostanze chimiche provenienti dall'attività agricola per i prodotti lavorati quali la birra e, in caso negativo, se non ritengano di dover assumere iniziative normative per prevedere dei valori limiti specifici pari a quelli già indicati per l'acqua;
   se, in osservanza del principio di precauzione, in attesa di nuovi controlli, intendano valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative anche per il ritiro dei prodotti dal commercio.
(3-02057)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLONNESE, GRILLO, BARONI, SILVIA GIORDANO, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'indagine sui centri STEN (servizio di trasporto d'emergenza neonatale) promossa dai gruppo di studio sul trasporto neonatale della Società italiana di neonatologia (SIN), in Italia vi sono 44 centri che effettuano questo servizio. Questi centri assicurano una copertura totale in 11 regioni e parziale in 3 (Emilia Romagna, Puglia, Sicilia). Il Servizio è completamente assente in 5 regioni (Valle d'Aosta, Umbria, Abruzzo, Calabria, Sardegna);
   nel 2014 sono stati trasferiti complessivamente 6.298 neonati di cui 522 altamente prematuri, ossia con età gestazionale (EG) inferiore alle 28 settimane. La media del tempo di trasferimento è pari a 112 minuti. Solo 21 centri (47,7 per cento) trasportano lattanti: sono definiti tali, i bambini con età maggiore di 28 giorni, se nati a termine e con 44 settimane corrette di età gestazionale, se nati pretermine;
   può trattarsi di bambini fino ai 10 chilogrammi di peso corporeo e fino ad un anno di età. Solo una parte dei centri che trasportano il lattante lo fanno per qualsiasi patologia: respiratoria, cardiologica, chirurgica o malformativa; un solo centro trasporta anche i lattanti traumatizzati. Due di questi centri trasportano solo quelli affetti da patologia respiratoria;
   il trasporto dei lattanti richiede apparecchiature e strumentazioni adeguate al peso e all'età generalmente, ma non sempre, presenti sulle ambulanze dedicate ai neonati;
   per il Servizio di trasporto neonatale è necessario utilizzare un'ambulanza specifica, un mezzo di soccorso avanzato dedicato. Raramente si rende necessario il trasporto in eliambulanza, esclusivo in 1 solo centro italiano, anche se 18 team lo possono attivare in particolari condizioni. Dall'indagine della SIN emerge che le patologie più frequentemente riscontrate nei lattanti trasferiti con il servizio STEN sono quelle respiratorie (76,2 per cento), seguono i problemi cardiologici (9,5 per cento), quelli chirurgici (9,5 per cento) e infine le malformazioni (4,8 per cento);
   solo in 8 regioni (Basilicata, Campania, Friuli VG, Lazio, Liguria, Molise, Veneto, Trentino) è presente un centro regionale di coordinamento, che recepisce tutte le richieste di trasferimento dai singoli ospedali. Il personale del team di trasporto è formato esclusivamente da medici specialisti in neonatologia e da infermieri della TIN;
   in seguito al decesso della piccola Nicole Di Pietro avvenuto in Sicilia nel febbraio 2015, probabilmente a causa dell'assenza di un servizio dedicato e organizzato e in attesa che si trovasse un posto letto e vi si provvedesse al tempestivo trasferimento, la regione siciliana, con decreto 30 aprile 2015 «Procedura operativa rete dei servizi di trasporto emergenza neonatale (STEN) e assistito materno (STAM)» pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia» del 29 maggio 2015 ha approvato la procedura operativa del servizio di trasporto in emergenza neonatale (STEN). Dall'indagine sui centri STEN promossa dai gruppo di studio sul trasporto neonatale della Società italiana di neonatologia (SIN) dati 2015, questo servizio ha solo una copertura parziale sul territorio siciliano;
   il 22 febbraio 2016 una neonata di quattro mesi Elisabetta Vismara Giordano è arrivata esanime all'ospedale di Bergamo proveniente dal pronto soccorso dell'ospedale di Carate Brianza. La bambina aveva problemi legati a malanni di stagione, con tosse e catarro;
   dopo il ricovero nel reparto di pediatria, erano iniziate le terapie antibiotiche e il giorno successivo i medici dell'ospedale di provenienza avevano anche prescritto l'ossigenoterapia, per aiutarla a respirare. I medici dell'ospedale caratese decidono poi per il trasferimento della bambina all'ospedale Papa Giovanni, perché lì curata in precedenza e in possesso della sua cartella medica al momento della nascita. Viene sospesa la terapia con l'ossigeno e il trasporto da Carate a Bergamo viene effettuato con una ambulanza della Croce Bianca. Ma la bimba è arrivata priva di vita al pronto soccorso dell'Ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Secondo il legale a cui si sono rivolti i familiari della bambina, sarebbe stata usata un'ambulanza non dotata di un centro mobile di rianimazione neonatale;
   emerge dunque un sistema di trasporto incompleto e disomogeneo sul territorio nazionale, con carenze o addirittura assenza in alcune regioni e spesso le ambulanze utilizzate non sono dedicate al servizio e quindi dotate di attrezzature idonee ai neonati;
   il piano sanitario nazionale è il principale strumento di programmazione sanitaria mediante il quale, in un dato arco temporale, vengono definiti gli obiettivi da raggiungere, attraverso l'individuazione di azioni e di strategie strumentali alla realizzazione delle prestazioni istituzionali del Servizio sanitario nazionale. Esso rappresenta quindi il primo punto di riferimento per ogni riforma e iniziativa riguardante il sistema sanitario, sia a livello centrale sia a livello locale;
   è attraverso il piano sanitario nazionale che lo Stato stabilisce le linee generali di indirizzo del servizio sanitario nazionale, nell'osservanza degli obiettivi e dei vincoli posti dalla programmazione economico-finanziaria nazionale, in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché di assistenza sanitaria da applicare conformemente e secondo criteri di uniformità su tutto il territorio nazionale;
   il piano sanitario nazionale 2006-2008, tuttora vigente, è stato approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006 e la programmazione sanitaria nazionale si è fermata a tale data –:
   se intenda assumere iniziative normative volte a implementare questo importantissimo servizio che garantisce la dovuta assistenza al neonato durante il trasporto in emergenza;
   se ritenga opportuno promuovere in sede di Conferenza Stato-regioni misure normative volte a rendere omogeneo il servizio su tutto il territorio nazionale e attivarlo laddove fosse completamente assente;
   se non ritenga che la mancanza di un piano sanitario nazionale aggiornato, che costituisce l'unico strumento di coordinamento delle politiche sanitarie, tale da garantirne l'uniformità di applicazione sul territorio nazionale anche con riferimento ai Livelli essenziali di assistenza, contribuisca a svilire i protocolli diagnostico terapeutici ed i percorsi di cura, che rappresentano l'elaborazione sistematica di indicazioni basate su standard raccomandati con l'obiettivo di assistere i clinici ed i pazienti nel prendere decisioni, migliorare la qualità delle cure sanitarie e ridurre la variabilità nella pratica clinica e negli outcome. (5-07931)


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2043 del codice civile recita testualmente: «Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno»; vale a dire che il costo del danno può essere chiesto direttamente a colui che lo abbia causato e, nel caso di incidenti stradali, è possibile chiamare in garanzia la compagnia di assicurazione. Per la circolazione degli autoveicoli c’è una norma ad hoc contenuta nell'articolo 2045 del codice civile che dice: «Il conducente di un autoveicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo»;
   di conseguenza, tutti di costi relativi al soccorso, alle cure e alle terapie somministrate dagli Ospedali pubblici e privati ai soggetti vittime di incidenti stradali sono da attribuirsi alle compagnie di assicurazione con cui i proprietari dei mezzi, responsabili degli incidenti, abbiano contratto l'assicurazione responsabilità civile auto;
   da un'indagine effettuata presso i maggiori ospedali nazionali da Nord a Sud, sembra non risultare da parte delle direzioni sanitarie pubbliche nessuna richiesta di rivalsa nei confronti delle compagnie assicurative che avrebbero anch'esse confermato il dato. Pertanto, tutti i costi sono attribuiti al servizio sanitario nazionale;
   infatti, gli ospedali non chiederebbero le somme spettanti alle assicurazioni, in quanto applicherebbero il disposto novellato dall'articolo 32 della Costituzione che sancisce il diritto alla salute a prescindere da come e chi abbia causato l'incidente e quindi il danno;
   considerando che in Italia avvengono in media in un anno 180 mila incidenti con 250 mila feriti e facendo un calcolo sulle spese, circa 280 euro in media a persona per il trasporto in ospedale, più le cure mediche, esami ed interventi in ospedale con un costo medio a persona di 6500 euro, si raggiunge la somma di oltre un miliardo e seicento milioni di euro di spese affrontate dal servizio sanitario nazionale, che potrebbero essere risparmiati ed utilizzati dal servizio sanitario per migliorare le strutture e le prestazioni sanitarie;
   inoltre, si evidenzia che i proprietari di autovetture pagando la responsabilità civile auto versano una parte della quota per coprire le spese del servizio sanitario nazionale di circa il 10,5 per cento dell'importo totale; quanto a tale contributo le assicurazioni non siano più obbligate a pagare le spese mediche a seguito di incidenti stradali;
   facendo un rapido calcolo, a fronte di circa 49 milioni di autoveicoli immatricolati e con una media di 70 euro per polizza, si raggiungono 3 miliardi di euro annui destinati al servizio sanitario nazionale e versato dai titolari degli autoveicoli;
   se ne deduce, quindi, che il contribuente si trova a pagare le spese per il servizio sanitario nazionale due volte; la prima attraverso i versamenti fiscali (tasse) la seconda con la responsabilità civile auto;
   appare chiaro che si è di fronte ad una normativa di dubbia costituzionalità in quanto lo Stato assume un contributo senza avere la contezza del costo: ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione lo Stato non può assumersi rischi finanziari in quanto per ogni nuova spesa deve trovare i mezzi per farvi fronte –:
   se siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali altri elementi abbiano in loro possesso;
   se non ritengano di fare chiarezza in ordine al motivo per cui gli ospedali non facciano richiesta di risarcimento alle assicurazioni per le spese sostenute per i pazienti a seguito di incidenti stradali;
   quali iniziative, anche normative, intendano adottare per il recupero delle somme dovute dalle assicurazioni ed in che modo;
   come intendano risolvere il problema del doppio pagamento del contributo per le spese sanitarie versato dai contribuenti sia con la tassazione che con la responsabilità civile auto. (5-07939)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA, D'UVA, GRILLO, DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale n. 362 del 17 dicembre 2014 veniva approvato il «Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera della Regione Siciliana»;
   in data 23 gennaio 2015 sul supplemento ordinario della G.U.R.S. n. 4/2015 è stato pubblicato il decreto dell'assessorato regionale della salute «Riqualificazione e Rifunzionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale della Regione Siciliana» che prevedeva per il presidio «Cutroni Zodda» di Barcellona un'unità semplice dipartimentale di cardiologia con 6 posti letto, un'unità semplice di chirurgia con 8 posti letto, un'unità complessa di psichiatria con 10 posti letto;
   con il decreto dell'assessorato alla salute n.199 del 14 maggio 2015 venivano approvati i «Primi criteri applicativi della rimodulazione della rete ospedaliera»;
   un articolo del 21 luglio 2015, sul giornale online Oggi Milazzo il sindaco di Milazzo affermava: «L'obiettivo è quello di rilanciare gli ospedali riuniti di Barcellona e Milazzo con una vera sinergia che non penalizzi nessuna delle due strutture, ma che anzi le porti a crescere insieme nella capacità di dare risposte all'utenza del territorio. È stato ribadito che l'area medica sarà concentrata a Barcellona, mentre nella nostra struttura ci sarà l'area chirurgica. Questa sinergia determinerà anche una riorganizzazione dei reparti che sarà affrontata successivamente in tutti i casi abbiamo ribadito che quando si parla di salute è necessario fare riferimento innanzitutto a standard di sicurezza e qualità di elevato spessore, e non è quindi possibile immaginare, tra città limitrofe, due ospedali con le stesse identiche caratteristiche, che vuol dire doppioni di reparti, di personale e di prestazioni. Oggi, alla luce anche delle direttive del Ministero della Sanità occorre rilanciare entrambi i nosocomi e ritengo che il progetto "ospedali riuniti" sia determinante per aumentare l'efficienza complessiva dei presidi, con una distribuzione migliore del personale, un ottimizzazione delle risorse economiche ed un'offerta specialistica di elevato valore qualitativo. È evidente che nella programmazione occorrerà tener conto della specificità del territorio, e nel nostro caso della radicata esistenza di un polo industriale»;
   a seguito dell'incontro con i sindaci dei distretto sociosanitario D28 del 25 novembre 2015, veniva illustrato al Ministero, rappresentato dal Capo di Gabinetto del Ministro della salute, Giuseppe Chinè, il piano «ospedali Riuniti Barcellona-Milazzo-Lipari» in cui veniva prevista un'area medica per il presidio di Barcellona P.G. ed un'area chirurgica per quello di Milazzo;
   in un articolo apparso sul giornale online «24 Live» il sindaco di Barcellona P.G. afferma: «L'incontro ed il protocollo siglato a Palermo – afferma Materia – ha raggiunto l'obiettivo di sancire dopo 10 anni la costituzione degli ospedali riuniti. In quella sede è stato stabilito che dopo la pubblicazione degli atti aziendale sulla Gazzetta Ufficiale regionale, ci sarebbe stato un incontro tra i due sindaci di Barcellona e Milazzo ed il direttore dell'Asp Gaetano Sirna, per stilare il cronoprogramma dei trasferimenti tra i due presidi. Si è detto inoltre che sarebbe state apportate le necessarie modifiche all'interno degli ospedali riuniti per garantire la caratterizzazione di polo medico a Barcellona e di polo chirurgico a Milazzo. Se questo passaggio non dovesse trovare un riscontro nei fatti, solo in quel momento saremo pronti a fare le barricate ed a chiedere il rispetto di un protocollo siglato davanti all'assessore regionale»;
   con un articolo del 9 febbraio 2016 dal titolo «Chirurgia e Urologia addio, al Cutroni Riabilitazione» si legge che verranno trasferiti dal presidio «Cutroni Zodda» di Barcellona al presidio «Fogliani» di Milazzo i reparti di chirurgia ed urologia per, al posto di essi, la creazione di unità operative di riabilitazione;
   con un articolo del 12 febbraio 2016 dal titolo «Mancano gli autisti massiccio ricorso ad ambulanze private», si legge che «a causa dei continui trasferimenti di pazienti da una struttura all'altra, si registrano un costante e oneroso ricorso alle ambulanze private al posto di quelle di proprietà dell'Asp che spesso restano inutilizzate per carenza di autisti», l'articolo continua sostenendo che «una delle cause principali che costringe a ricorrere alle ambulanze private, sarebbe l'eccessiva frequenza dei trasferimenti di pazienti da un ospedale all'altro sia per carenza di posti letto sia per mancanza di strutture»;
   in un articolo del 21 febbraio 2016 dal titolo «A Marzo trasferimenti dei reparti» si può leggere che «Tuttavia l'ospedale di Milazzo, che dovrebbe diventare Polo Chirurgico, non perderà la Medicina. Infatti per non creare malcontenti nel presidio mamertino sarà creata una unità operativa semplice con sei posti letto per le urgenze. Diverso invece appare il destino che toccherà all'ospedale "Cutroni Zodda", che a marzo subirà un trattamento che di certo non compenserà le perdite. Intanto non si fa nessun accenno all'accorpamento, con il trasferimento a Barcellona, di Pneumologia e Nefrologia che restano ancorate a Milazzo. Altro destino avranno poi le unità operative di Chirurgia ed Urologia che da Barcellona saranno trasferite a Milazzo. La compensazione prevista a "parole" prevede che a Barcellona al posto della Chirurgia vi sia un ambulatorio aperto dalle 8 alle 20, dal lunedì al sabato, con un solo medico per consulenze interne e di pronto soccorso, senza alcuna possibilità di ricovero o di intervento. Nei giorni festivi e nelle ore notturna ovviamente non sarà presente alcuna figura chirurgica in quanto non è prevista nessuna forma di reperibilità. Se ciò rispondesse al vero, quanto si prospetta aprirà la strada alla soppressione del Pronto Soccorso»;
   a parere dell'interrogante non è concepibile la chiusura o un ulteriore sottodimensionamento del presidio di Barcellona in quanto il solo presidio di Milazzo non può contenere il maggiore afflusso di pazienti per un comprensorio da 150.000 abitanti. Prova ne sono le numerose proteste dei pazienti in attesa al pronto soccorso del presidio milazzese –:
   se nei piani, di cui il Ministro sia a conoscenza, vi sia la reale soppressione dell'unità di pronto soccorso nel presidio ospedaliero di Barcellona pozzo di Gotto;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative intenda assumere, nei limiti delle proprie competenze, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione, al fine di verificare se il progetto della regione siciliana «Ospedali riuniti Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Lipari» sia compatibile con quanto definito in sede di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e possa garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-12273)


   STELLA BIANCHI, GRIBAUDO, VERINI, CULOTTA, CIMBRO, GALPERTI, REALACCI, CARLONI, CARRA, FRAGOMELI, AMODDIO, PATRIZIA MAESTRI, CRIMÌ, CENNI, SCHIRÒ, FOSSATI, SALVATORE PICCOLO, COSCIA, COMINELLI, GIUDITTA PINI, COCCIA, LENZI, BOSSA, MARCHI, ROBERTA AGOSTINI, PIAZZONI, MANZI, GHIZZONI, DI SALVO, ZAMPA, MORETTO, GADDA, SCUVERA e SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la violenza di genere sulle donne è un fenomeno tragicamente presente nella nostra società. Ogni anno in Italia si registrano casi drammaticamente numerosi di maltrattamenti, violenza fisica o psicologica o sessuale nei confronti delle donne che si verificano spesso in ambito familiare. Atti brutali che spesso culminano in omicidi. I numeri del femminicidio e della violenza contro le donne sono impressionanti. Secondo dati Eures, nel 2012 nel nostro Paese le donne uccise, prevalentemente dal marito o dal compagno, sono state 157, nel 2013 le vittime sono state 179, nel 2014 invece 152. Secondo i dati del Ministero dell'interno, nel 2015 le donne uccise sono state 128: una ogni tre giorni. Nel 2015 in Italia si sono consumati 6.945 atti persecutori a danno delle donne, 3.086 casi di violenza sessuale e ben 6.154 casi di percosse;
   le vittime spesso riportano conseguenze permanenti sul loro stato di salute psichica e fisica; è quanto è successo a Chiara Insidioso, una giovane donna di 19 anni picchiata selvaggiamente e ridotta in fin di vita dal compagno nella loro abitazione a Casal Bernocchi nei pressi di Ostia nel comune di Roma il 3 febbraio del 2014. Scampata miracolosamente alla morte, la giovane donna viene ricoverata all'ospedale San Camillo di Roma in stato comatoso e lì sottoposta a numerosi interventi chirurgici al cervello per evacuare l'ematoma causato dalle violentissime percosse subite e per la ricostruzione della teca cranica;
   dopo una lunga degenza durata 10 mesi, Chiara riesce a superare la fase critica di prognosi riservata per la vita ed esce dal coma passando a uno stato di «minima coscienza». I progressi clinici registrati in questi mesi consentono il passaggio alla fase della neuroriabilitazione presso l'unità di risveglio della clinica Santa Lucia dove viene trasferita. In questa fase i progressi della giovane donna sono lenti ma incoraggianti tanto che riesce a recuperare la capacità di mangiare per bocca, di comunicare, di relazionarsi con l'ambiente esterno;
   a quanto si apprende Chiara Insidioso sarà dimessa tra pochi giorni dall'istituto di riabilitazione Santa Lucia per essere messa in una casa di cura per anziani con malattie terminali e questo nonostante il fatto che i medici dell'istituto Santa Lucia ritengono che Chiara abbia concrete possibilità di riabilitazione in un percorso che può far avanzare la sua autonomia, possibilità di riabilitazione che potrebbero sfumare se viene meno l'assistenza specializzata di cui ha bisogno –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza in collaborazione con le regioni, volta a garantire nel caso di Chiara Insidioso, come negli altri analoghi che riguardano le vittime di violenza, adeguate forme di assistenza sanitaria e di riabilitazione, anche mediante interventi a sostegno delle famiglie. (4-12277)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi si è svolta la vicenda che ha visto protagonista l'emittente Romauno, una delle più apprezzate sul territorio romano e laziale;
   il 18 settembre 2016, infatti, il 100 per cento delle quote della TV locale venivano vendute all'imprenditore pontino Fabrizio Cascione per la somma di 1,00 euro a fronte dell'accollo da parte della nuova società di circa 4 milioni di euro di debiti (tra cui debiti previdenziali e retributivi);
   veniva costituita, così, la nuova Romauno s.r.l che, a sua volta, costituiva un nuovo ramo d'azienda (la società Romauno Communication) a cui venivano affittati, per la somma 15.000,00 euro mensili, le risorse trasmissive quali canali assegnati dal Ministero e beni strumentali relativi;
   il 19 novembre, veniva avviata la procedura di licenziamento collettivo per i 30 dipendenti dell'emittente, nonostante gli interventi del prefetto e il tavolo istituito presso l'assessorato regionale del lavoro;
   nel frattempo, veniva avviata richiesta ufficiale al, Ministero dello sviluppo economico per la voltura dell'autorizzazione a trasmettere da Romauno s.r.1 a Romauno Communication, e il Ministero in data 22 dicembre 2015 avviava le procedure di revoca del segnale a Romauno TV s.r.l.;
   il 29 gennaio 2016, infine, il tribunale di Roma rigettava la proposta di concordato con i creditori presentato dalla nuova Romauno e decretava così il suo fallimento;
   attualmente il curatore fallimentare sta lavorando in vista della prossima udienza con i creditori che si terrà il 14 aprile 2016, e tra le possibili soluzioni sta paventando l'idea di affittare temporaneamente l'emittente al fine di limitare il più possibile i danni economici del fallimento e, soprattutto, di salvaguardare il più possibile i lavoratori dell'emittente stessa;
   si tratta di una vicenda che, a parere dell'interrogante, necessità di essere attenzionata dalle istituzioni in quanto, in primo luogo, riguarda la sorte professionale di trenta lavoratori, e in secondo luogo riguarda un'importante mezzo di informazione locale che di fatto ha sempre permesso ai cittadini romani e laziali di avere una finestra aperta sulla vita della città di Roma e sulle sue vicende –:
   se vi siano, e in caso affermativo quali, iniziative che possano essere adottate, nel pieno rispetto dell’iter giudiziario in corso, al fine di trovare una soluzione, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di confronto, che consenta di salvaguardare, l'esistenza dell'emittente e, di conseguenza, i diritti dei lavoratori interessati. (5-07933)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA, VACCA, MARZANA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, D'UVA, DE LORENZIS e SIBILIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2015, Mondadori e Rcs hanno sottoscritto, dopo lunghe trattative, l'accordo di compravendita di Rcs Libri per una somma pari a 127,5 milioni di euro;
   con un comunicato stampa pubblicato in data 21 gennaio 2016 sul proprio sito istituzionale, l'Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato) ha annunciato di aver avviato un'istruttoria sulla concentrazione Mondadori – Rcs Libri nel mercato editoriale, con lo scopo di verificare se l'acquisizione del 99,99 per cento del capitale sociale di Rcs Libri implichi per Mondadori la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante nel mercato editoriale in Italia;
   come illustrato chiaramente nel testo del provvedimento dell’Antitrust, tale acquisizione permetterebbe a Mondadori di ottenere il controllo esclusivo sia di Rcs Libri, che delle sue controllate, in particolare di Librerie Rizzoli e Marsilio, di detenere il 50 per cento del capitale sociale di Venezia Accademia e del Consorzio scuola digitale, nonché di subentrare a Rcs Libri nel controllo congiunto di Edigita, nel cui capitale sociale non è attualmente presente;
   secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, qualora l'operazione di acquisizione di Rcs Libri andasse in porto, il mercato editoriale italiano sarebbe privato dell'unico operatore dotato di caratteristiche analoghe a quelle di Mondadori e quindi in grado di concorrere con esso;
   difatti, sia Mondadori che Rcs Libri si classificano insieme a Gems, Feltrinelli e Giunti tra i primi cinque operatori che rappresentano circa il 60 per cento del mercato editoriale di «varia» in Italia. Inoltre, entrambi i gruppi editoriali occupano un ruolo predominante nei mercati di narrativa e saggistica, degli e-book e dell'editoria scolastica e appartengono a gruppi integrati nel mercato dei media: Mondadori si inserisce anche nell'editoria di periodici e appartiene al gruppo Fininvest, presente nei settori televisivo, radiofonico e cinematografico; Rcs Libri, invece, è parte del gruppo Rcs, operatore di primaria importanza nel settore dell'editoria di quotidiani e periodici e nel settore radiofonico fino al 2014. Tale caratteristica costituisce un vantaggio concorrenziale unico per Mondadori e Rcs, preferiti dagli autori rispetto ad altri gruppi editoriali, proprio perché in grado di offrire una più ampia promozione dei libri attraverso quotidiani e periodici o attraverso il settore televisivo e radiofonico;
   inoltre, Mondadori vanta una notevole catena di librerie in costante ampliamento che garantisce al gruppo editoriale una maggiore visibilità dei propri prodotti editoriali rispetto a quelli di editori terzi. È ovvio che, nelle librerie appartenenti alla catena, la vendita di libri Mondadori superi di oltre il 40 per cento la quota di vendite registrata sul mercato. Pertanto, l'acquisizione di Rcs Libri determinerebbe un aumento dei marchi appartenenti a Mondadori, limitando ulteriormente la visibilità degli editori concorrenti nelle librerie appartenenti alla sua catena;
   gli effetti anticoncorrenziali non si limitano soltanto a quanto esposto finora. Dai dati più importanti riportati nel provvedimento, alla base dell'istruttoria dell’Antitrust ed evinti sulla base di un confronto delle quote di mercato in volume e valore degli scorsi anni e a seguito dell'acquisizione dei principali gruppi editoriali italiani, si evince che:
    a) nei mercati dell'acquisizione di diritti d'autore italiani e stranieri relativi a libri di narrativa e saggistica, Mondadori Rcs detengono rispettivamente il 40-45 per cento e il 20-25 per cento delle quote di mercato. L'acquisizione in oggetto andrebbe a determinare un aumento di concentrazione in un mercato già concentrato, poiché Mondadori disporrebbe di una quota di mercato del 60-65 per cento circa, di un potere di mercato con cui i restanti gruppi editoriali difficilmente potrebbero concorrere e che di certo limiterebbe gli autori nella scelta del gruppo editoriale con cui pubblicare le proprie opere;
    b) nel mercato dell'editoria di e-book l'acquisizione di Rcs Libri porterebbe alla costituzione di una posizione dominante di Mondadori che incrementerebbe la propria percentuale di vendite di circa il 10-15 per cento arrivando ad una quota pari al 45-50 per cento circa. Questo potrebbe causare un peggioramento delle condizioni contrattuali e commerciali praticate alle piattaforme se non addirittura un rifiuto a contrarre con alcune di esse;
    c) acquisendo il controllo di Edigita, Mondadori gestirebbe una quota pari a circa l'80-85 per cento del mercato della distribuzione di e-book, diventando perciò una controparte praticamente imprescindibile per tutte le piattaforme di vendita;
    d) nel mercato della vendita di libri di «varia» ai clienti finali, i prodotti editoriali riferibili al gruppo Mondadori andrebbero a occupare la quasi totalità degli spazi espositivi, mentre i libri dei concorrenti sarebbero relegati in spazi ridotti, con evidenti ripercussioni sulla pluralità dell'offerta editoriale proposta al consumatore finale;
   alla luce di quanto riportato nel provvedimento dell’Antitrust è chiaro che l'acquisizione di Rcs Libri comporterebbe la creazione di una posizione dominante del gruppo editoriale Mondadori nei mercati « (I) dell'acquisizione di diritti d'autore di libri italiani di narrativa e saggistica, (II) dell'acquisizione di diritti d'autore di libri stranieri di narrativa e saggistica, (III) dell'editoria di libri di narrativa e saggistica, (IV) dell'editoria di libri per ragazzi, (V) dell'editoria di fumetti, (VI) dell'editoria di e-book e (VII) mercato della distribuzione e-book, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza sui medesimi mercati nonché nei mercati a valle (a) della distribuzione di libri di «varia» alla GDO [Grande Distribuzione Organizzata], (b), della vendita al dettaglio di libri di «varia» (c), della vendita al dettaglio online di prodotti editoriali»;
   il potere di mercato che Mondadori acquisirebbe rappresenta per gli interroganti un ostacolo quasi insormontabile per una concorrenza effettiva nell'ambito del mercato editoriale italiano; per tale motivo è stata avviata un'istruttoria nei confronti delle società Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Rcs Libri S.p.A., Consorzio scuola digitale, Venezia Accademia Soc. per i servizi museali S.c.a.r.l. ed Edigita S.r.l. da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   in attesa della conclusione dell'istruttoria, secondo alcune indiscrezioni diffuse da L'Espresso in un articolo pubblicato online in data 19 febbraio 2016, Mondadori acconsentirebbe alla cessione di Bompiani e Marsilio – case editrici facenti capo a Rcs Libri – in modo da entrare in possesso di una quota totale di mercato inferiore rispetto a quella preventivata dal provvedimento dell’Antitrust e quindi ottenere il nulla osta dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'acquisizione di Rcs Libri –:
   di quali elementi disponga circa i fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere le iniziative di competenza al fine di garantire piena concorrenza nel mercato editoriale italiano, tutelando le imprese editoriali di medie e piccole dimensione che con la loro presenza nelle librerie di tutta Italia, garantiscono il pluralismo culturale dell'offerta;
   quali iniziative di competenza intenda assumere in merito ai fatti esposti in premessa al fine di tutelare sia gli autori, sia gli acquirenti, lettori di libri ai quali va garantito il diritto alla pluralità culturale del mercato editoriale. (4-12274)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Scagliusi n. 7-00927, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 576 del 24 febbraio 2016.

   Le Commissioni II e III,
   premesso che:
    nel nostro Paese aumenta il numero di casi di sottrazione del figlio minore a opera di un genitore, il quale decide, illegittimamente, di allontanarsi e di portare via con sé il figlio, in un luogo sconosciuto o all'estero, al fine di impedirgli qualsiasi rapporto con l'altro genitore;
    le sottrazioni dei figli minori avvengono in situazioni e con modalità diverse. Sono poste in essere immediatamente prima di richiedere la separazione o di interrompere la convivenza, oppure dopo il provvedimento giudiziale di affidamento dei figli, a opera del genitore affidatario che intende recidere definitivamente il legame del figlio con l'altro genitore o del non affidatario che non riconosce il provvedimento;
    benché assumano sempre più rilevanza i casi in cui il genitore sottraente ha una diversa nazionalità di origine e, comunque, decide di portare con sé il figlio all'estero, appaiono altrettanto preoccupanti i casi in cui il genitore, di origine italiana, sottrae il figlio e, pur permanendo nel territorio dello Stato, riesce a far perdere qualsiasi traccia all'altro genitore;
    la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata dall'Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori ha come fine di assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente e di garantire che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti;
    con l'espressione «sottrazione internazionale di minori» si indica la situazione in cui un minore viene illecitamente condotto all'estero da chi non esercita la potestà esclusiva, senza alcuna autorizzazione, oppure non viene ricondotto nel Paese di residenza abituale a seguito di un soggiorno all'estero;
    la sottrazione internazionale di minori viene comunemente definita «attiva» quando il minore viene illecitamente condotto dall'Italia all'estero o non è ricondotto in Italia – quale Paese di residenza abituale – a seguito di un soggiorno all'estero e «passiva» quando un minore viene illecitamente condotto dall'estero in Italia, o è qui trattenuto;
    alla sezione statistiche sul sito del Ministero della giustizia, si legge che i casi pervenuti relativi alla citata Convenzione (sottrazione internazionale di minori – rimpatrio e diritto di visita – relativi al 2014) sono 240, comprensivi di casi «attivi» e casi «passivi»;
    la sottrazione e il trattenimento all'estero di minore costituisce ipotesi di reato in base all'articolo 574-bis del codice penale, ove non si ravvisi altro, più grave reato (come prevede, ad esempio, l'articolo 605 del codice penale); tuttavia, il sequestro di minore, come figura autonoma di reato, dovrebbe prevedere, invece, una pena elevata e più congrua che si differenzi dalle attuali sanzioni irrisorie previste per i reati ai quali tale condotta è ascritta;
    in data 2 febbraio 2005 alla Camera dei deputati fu depositata la mozione n. 1-00421, modificata il successivo 9 febbraio e approvata nella stessa data con la quale si impegnava il Governo:
     a promuovere iniziative e soluzioni normative che riconoscano il minore quale vittima della sottrazione e consentano di attivare tutti gli strumenti sia investigativi che coercitivi al fine di rintracciare e tutelare tempestivamente il minore indebitamente sottratto ad un genitore;
     a verificare i percorsi normativi per giungere alla costituzione di un fondo per il gratuito patrocinio per le vittime di sottrazione;
     a promuovere trattati bilaterali con gli Stati non aderenti alla Convenzione dell'Aja in materia di sottrazione internazionale del minore;
     ad adottare iniziative perché siano unificate le competenze istituzionali in un unico organo o ad affidargli funzione di coordinamento;
     a verificare con le ambasciate italiane modalità per rafforzare le iniziative da intraprendere in caso di sottrazione di un minore italiano e al fine di garantire il diritto di visita del genitore italiano;
     a rafforzare il sistema dei controlli per il caso di espatrio di minori attraverso frontiere e aeroporti italiani»,
    in attesa che il Parlamento legiferi in un settore così delicato, è opportuno che il Governo assuma iniziative di competenza per contrastare il fenomeno in questione,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative normative per prevedere l'istituzione di una sezione dedicata all'intero delle Procure, specializzata nelle sottrazioni internazionali di minori, dotata di personale di maggiore esperienza, senza oneri aggiuntivi, ovvero senza assumere nuovo personale;
   ad assumere iniziative per definire nuovi trattati bilaterali con gli Stati aderenti e non aderenti alla Convenzione de L'Aja, soprattutto in ragione del fatto che la snellezza degli accordi tra due soli Paesi contraenti comporta un criterio di reciprocità a tutto vantaggio della rapida soluzione dei singoli casi, e nell'interesse primario del minore a tutela della garanzia dell'esercizio del diritto di visita da parte del genitore italiano all'estero;
   a promuovere l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un Comitato diretto da un commissario straordinario, per la sottrazione internazionale dei minori, nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 400 del 1998, che riunisca tutte le competenze di autorità centrale dello Stato, così come definita dalla Convenzione de L'Aja, elaborando e diramando a tutte le ambasciate italiane nel mondo un protocollo di intesa sulle iniziative da intraprendere nel caso di sottrazione di un minore italiano;
   ad agire in ambito europeo e internazionale affinché siano previste sanzioni verso i Paesi inadempienti agli obblighi derivanti dalle convenzioni, e siano studiate e messe in atto iniziative diplomatiche e politiche adeguate in modo che tali Stati abbiano un atteggiamento più collaborativo nell'esclusivo interesse dei bambini coinvolti, e a tutela di una vera garanzia dell'esercizio del diritto di visita da parte del genitore italiano all'estero;
   ad adottare iniziative che permettano l'immediata individuazione, la segnalazione e il divieto di espatrio del minore sottratto già ai terminal di porti e aeroporti, facilitando così l'applicazione dell'articolo 97 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985.
(7-00927) «Scagliusi, Bonafede».