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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 dicembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il rischio idrogeologico è divenuto una perdurante emergenza nazionale, corroborata da dati statistici, analisi scientifiche e dal verificarsi di gravi eventi destinati a ripetersi con allarmante ricorrenza;
    è sufficiente esaminare le aree che circondano gli alvei fluviali per rendersi conto della crescente occupazione delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche;
    la progressiva urbanizzazione e l'impermeabilizzazione di tutte quelle aree dove un fiume in caso di piena può espandersi liberamente hanno presentato e rappresentano una delle principali cause del dissesto idrogeologico italiano;
    purtroppo, frequentemente gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi; soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire;
    in Lombardia, nella giornata del 12 novembre 2014, il fiume Seveso è nuovamente esondato creando panico tra gli abitanti delle aree attraversate dal fiume, causando danni a immobili, negozi, uffici, scantinati e trascinando le proprie acque inquinate nelle aree abitate fino ad una stazione ferroviaria; per fronteggiare tale emergenza sono stati programmati degli interventi di sicurezza idraulica che prevedono la realizzazione di grandi opere idrauliche fortemente impattanti sul territorio, quali per esempio le vasche di laminazione presso il comune di Senago o presso il parco nord Milano, anziché interventi contenuti e diffusi per la regimentazione ed il disinquinamento del fiume;
    la vasca di laminazione è un'opera idraulica volta alla realizzazione di un ampio bacino scavato in profondità per permettere il contenimento delle acque che, in caso di piena, il fiume non è in grado di contenere nel suo alveo;
    in Campania, nell'ambito degli interventi del Governo ricompresi nel grande progetto per il completamento della riqualificazione e recupero del fiume Sarno, è stata prevista la realizzazione di vasche di laminazione, con il rischio che la miscela di acqua, detriti e sostanze inquinanti trascinata fuori dal letto del fiume venga trattenuta nelle vasche di laminazione e lasciata a ristagnare nelle vasche in prossimità di aree coltivate;
    ai considerevoli impatti ambientali di realizzazione dell'opera si sommano le elevate criticità strutturali e di gestione di tali impianti che si traducono in ulteriori esternalità negative di rilevante impatto per l'ambiente, la tutela della biodiversità e della salute dei cittadini (ulteriore consumo di suolo in zone a destinazione agricola, ristagno e accumulazione di inquinanti nella vasche di laminazione, per lo più situate a ridosso di aree coltivate, potenziale alterazione di habitat ed ecosistemi, interferenze con le acque di falda e altro);
    sotto il profilo funzionale si tratta di interventi volti ad arginare situazioni emergenziali di piena che, pur richiedendo consistenti e costosi interventi di manutenzione, sono estranei ad una prospettiva di gestione programmata e monitorata dei fenomeni alluvionali che dovrebbe, invece, essere perseguita attraverso interventi strutturali alternativi più efficaci — che riguardino il sistema fognario, la rete degli impianti di depurazione delle acque, la manutenzione ordinaria e straordinaria del reticolo idrografico esistente, la prevenzione degli scarichi abusivi attraverso il capillare esercizio dei poteri di vigilanza e sanzione — tali da consentire un graduale processo di rinaturalizzazione dei torrenti, nel rispetto del principio di invarianza idraulica;
    le vasche di laminazione sono opere consistenti che richiedono elevati costi di realizzazione e di manutenzione, per appalti che diventano facile appannaggio di grandi aziende, spesso in forma di associazioni temporanee di imprese, rischiando di ledere i principi della concorrenza e della correttezza nelle procedure di affidamento dei lavori,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile, anche normativa, affinché nelle aree ad alto rischio di dissesto idrogeologico, prima di ricorrere allo strumento delle vasche o bacini di laminazione siano posti in essere piani di manutenzione ordinaria degli alvei fluviali, provvedendo ad una corretta applicazione del principio di invarianza idraulica nel territorio circostante e valutando prioritariamente tutte le possibili soluzioni alternative alle suddette vasche di laminazione;
   ad avviare una concreta ed efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, garantendo l'assoluta esclusione di ogni ipotesi di condono, nonché adeguate risorse alle amministrazioni locali per l'abbattimento e acquisizione degli immobili realizzati abusivamente, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e relativamente alle proprie competenze;
   a promuovere, per quanto di competenza, iniziative di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, sponde e manufatti per la protezione dei corsi d'acqua;
   a promuovere in via subordinata, qualora si debba optare per la residuale soluzione delle vasche di laminazione, delle linee guida con le quali, in ogni caso, prevedere:
    a) il divieto di costruzione delle vasche in aree protette e aree verdi non impermeabilizzate;
    b) la localizzazione delle opere in via prioritaria su terreni da bonificare o già impermeabilizzati;
    c) la previsione che le vasche di laminazione siano realizzate esclusivamente in collegamento con corsi fluviali che rispettano la normativa europea sulla qualità delle acque fluviali;
    d) la previsione che, a seguito di contaminazione delle falde acquifere a causa del malfunzionamento delle vasche, i costi di bonifica siano posti a carico delle aziende aggiudicatrici degli appalti;
    e) la previsione che siano stipulate dalle aziende polizze fideiussorie, per questi interventi, tali da coprire il possibile rischio ambientale derivante dal malfunzionamento delle opere stesse per almeno 15 anni;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che gli interventi di mitigazione del rischio idraulico, alternativi alla realizzazione di grandi opere quali le vasche di laminazione, anche se previsti in un unico strumento di pianificazione del territorio, possano essere utilmente ripartiti in più interventi, consentendo la partecipazione di piccole-medie imprese che altrimenti sarebbero escluse in caso di appalto per una unica grande opera, anche al fine di prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata.
(7-00546) «De Rosa, Busto, Daga, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Vignaroli, Pesco, Carinelli, Manlio Di Stefano, Tripiedi, Caso, Alberti, Cominardi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 1998, adottato in attuazione della legge n. 481 del 1995, recante norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità, ha individuato nella città di Napoli la sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   l'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, è intervenuto in materia di razionalizzazione dell'attività delle autorità indipendenti, prevedendo tra l'altro, nel testo iniziale, che entro il 30 settembre 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze individuasse uno o più edifici contigui da adibire a sede comune di diverse autorità indipendenti, tra le quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   la disposizione, prefigurando una sede comune per diverse autorità indipendenti aveva suscitato numerose preoccupazioni in ordine alle conseguenze che ciò avrebbe comportato sull'operatività delle Autorità che hanno sede in città diverse da Roma, quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e l'Autorità di regolazione dei trasporti;
   nel corso della conversione del decreto la citata disposizione è stata, perciò, riformulata nel senso di prevedere che le autorità indipendenti, ivi compresa l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, gestiscano i propri servizi logistici nel rispetto di una serie di criteri volti ad una loro razionalizzazione;
   in particolare, risulta, allo stato, richiesto che le autorità indipendenti individuino la loro sede in un edificio di proprietà pubblica o in uso gratuito ovvero in locazione a condizioni più favorevoli rispetto a quelle degli edifici demaniali concentrino gli uffici nella sede principale, salvo che per oggettive esigenze di diversa collocazione; abbiano una spesa complessiva per sedi secondarie, rappresentanza, trasferte e missioni non superiore al 20 per cento della spesa complessiva; garantiscano, infine, una presenza effettiva del personale nella sede principale non inferiore al 70 per cento del totale su base annuale;
   nel citato articolo 22 è stato, inoltre inserito un comma aggiuntive con cui si prevede che le diverse autorità garantiscano il rispetto dei criteri entro un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione e quindi entro l'11 agosto 2015;
   appare chiaro che l'intenzione del legislatore, nel modificare, in sede di conversione, il testo dell'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, è stata quella di mantenere la sede delle Autorità indipendenti nelle città in cui tale sede è stata individuata e di richiedere, per condivisibili esigenze di razionalizzazione, il potenziamento della sede principale, contestualmente alla riduzione delle dimensioni delle sedi secondarie e al contenimento delle relative spese;
   per quanto riguarda in modo specifico l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è invece assistito ad un progressivo ampliamento della sede secondaria di Roma, sia per quanto concerne il numero del personale in essa operante, sia per quanto riguarda la rilevanza delle attività in essa svolte, a discapito della sede principale di Napoli, il che contrasta, oltre che con la normativa da ultima intervenuta (decreto-legge n. 90 del 2014), nel testo risultante dalla conversione in legge, ma anche con le previsioni contenute nella legge n. 481 del 1995, recante la disciplina generale sulle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, e nella legge n. 249 del 1997, istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, soprattutto laddove trovasse conferma l'ipotesi di iniziative in corso volte al trasferimento a Roma della sede principale dell'Autorità –:
   quale sia lo stato di attuazione delle disposizioni del comma 9 dell'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, con specifico riferimento alla sede principale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella prospettiva di garantire un potenziamento di tale sede, sia per quanto concerne il numero del personale ivi operante, sia per quanto riguarda la rilevanza delle attività in essa svolte, in conformità con i criteri dettati dalle citate disposizioni;
   quali informazioni abbia in ordine a eventuali iniziative dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni finalizzate a trasferire a Roma la sede principale dell'Autorità stessa e, in tal caso, quali comportamenti intenda adottare per assicurare il mantenimento della sede principale dell'Autorità nella città di Napoli.
(2-00786) «Valeria Valente, Carloni, Cinzia Maria Fontana».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   a Saluzzo località in provincia di Cuneo, lavoratori migranti, sono arrivati alla cerca di lavoro nella raccolta della frutta, molti di essi hanno lavorato «a chiamata» per poche settimane, spesso in maniera irregolare e con paghe inferiori al minimo sindacale. La situazione che si è generata è quella di una comunità accampata, costretta a dormire in una tendopoli improvvisata, in condizioni disumane di salute e degrado. Molti di loro provengono da zone di guerra come la Libia ed altre zone del bacino del Mediterraneo, si sono pertanto avvalsi dello status di «protezione sussidiaria», che al pari di quello di rifugiato, viene riconosciuto dalla Commissione territoriale competente in seguito alla presentazione di domanda di protezione internazionale, che recita «Cittadino di un paese terzo o apolide, che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondanti motivi per ritenere che, se tornasse nel suo Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno» (decreto legislativo n. 251 del 2007): molti di loro quando è finito il progetto di accoglienza si sono ritrovati senza nessun tipo di garanzia;
   in data 30 ottobre 2014 il Coordinamento bacciantile saluzzese, insieme ad altre associazioni solidali, ha inoltrato una richiesta al vescovo di Saluzzo, per verificare la possibilità di destinare una struttura vuota ed inutilizzata a lavoratori e disoccupati migranti e rifugiati che in questo momento vivono in strada. In particolare, la richiesta era relativa all'immobile «Ex-IAL», Agenzia di formazione professionale, di proprietà di enti ecclesiastici, inutilizzato dal 2010, sito a Saluzzo e facente parte del complesso dell'ex seminario vescovile. Il Vescovo ha verificato l'effettivo inutilizzo di tale immobile e si è dimostrato attento alle durissime condizioni vissute dai lavoratori migranti ultra-precari, costretti a spostarsi perpetuamente da una campagna all'altra d'Italia come manodopera a basso costo e dequalificata, ed alloggiati in tendopoli o accampamenti emergenziali che non offrono alcuna prospettiva di stabilità, ma attraverso cui si istituzionalizza una «zona di indistinzione», per cui l'accesso ai diritti non è garantito, ma sottoposto a costante discrezionalità da parte di soggetti sia pubblici sia privati;
   in seguito, in data 6 novembre 2014 il Coordinamento bracciantile saluzzese, insieme all'Assemblea braccianti e disoccupati accampati al Foro Boario, ha indirizzato una lettera al sindaco di Saluzzo, ai sindaci dei comuni limitrofi e alla diocesi: «Richiesta di intervento in merito al disagio abitativo e sanitario vissuto da lavoratori e disoccupati senza tetto presenti sul territorio, titolari di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, motivi umanitari, asilo politico, lavoro subordinato»; nel testo si legge: «Alla luce dell'inagibilità del campo Solidale di Saluzzo dovuta alle difficili condizioni climatiche e alla luce della avvenuta o imminente chiusura di tutte le strutture adibite all'ospitalità dei lavoratori stagionali presenti sul territorio intendiamo rivolgere ai Sigg. sindaci e ai Sigg. Consiglieri Comunali [...] le seguenti osservazioni: – alcuni lavoratori mantengono attualmente un contratto di lavoro in essere ed altri sono in attesa di percepire le ultime retribuzioni, – alcuni utenti dello sportello legale, vittime di incidenti stradali nel corso dell'estate, hanno procedure legali in corso e pertanto l'esigenza di essere reperibili sul territorio al fine di non pregiudicarne l'esito, – la maggior parte dei lavoratori è titolare di permesso per protezione sussidiaria, protezione umanitaria ed asilo politico, si tratta di persone arrivate nelle campagne del saluzzese in quanto espulse da percorsi di accoglienza lacunosi nell'ambito di un sistema nazionale strutturalmente inadeguato rispetto alle reali necessità, – molti lavoratori e disoccupati sono affetti da patologie legate al freddo. In particolare, un censimento effettuato in data 5 novembre 2014 ha permesso di verificare che nel solo Campo Solidale di Saluzzo vi sono ad oggi oltre 100 lavoratori e disoccupati accampati, in maggioranza titolari di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, motivi umanitari ed asilo politico. Parte di queste persone non ha oggettivamente né una residenza né un domicilio effettivo a cui tornare e si trova privo di reddito, oltre che di qualsiasi tutela e sostegno, sia materiale che giuridico, – situazioni molto simili interessano tutti coloro che si trovano in accampamenti molto simili molti dei quali già sgomberati»;
   la prassi del lavoro nero è considerata reato regolato dal decreto-legge n. 76 del 2013, recante alcuni interventi urgenti per favorire l'occupazione e, in primo luogo, quella giovanile, che introduce anche alcune misure volte a semplificare i procedimenti relativi all'accesso al lavoro degli stranieri non comunitari. Tali misure intervengono al fine di snellire i procedimenti volti all'emersione del lavoro nero, recando alcune integrazioni all'articolo 5 del decreto legislativo n. 109 del 2012, che disciplina sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (articolo 9, comma 10), e prevedere che la dichiarazione che il datore di lavoro rende alla questura relativa all'alloggio del lavoratore straniero non comunitario è assolta con la dichiarazione di instaurazione di un rapporto di lavoro (sia con un lavoratore straniero, sia italiano) che il datore di lavoro è tenuto a presentare presso il servizio del lavoro competente per territorio (articolo 9, commi 10-bis e 10-ter);
   quanto accade nel caso dell'emergenza dei braccianti agricoli di Saluzzo viola, ad avviso degli interpellanti, gli articoli 1, 14, 31, 35 e 47, ai capi «Dignità», «Libertà», «Solidarietà» e «Giustizia», della «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea» che garantiscono il diritto alla dignità umana, all'istruzione, a condizioni di lavoro giuste ed eque, alla protezione della salute e a un ricorso effettivo a un giudice imparziale;
   ciò appare in contrasto anche con il decreto legislativo n. 251 del 2007 inerente la «Protezione sussidiaria» anche alla luce delle considerazioni del vescovo di Saluzzo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni intenda intraprendere;
   se non reputino di adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga contrastata la prassi del lavoro nero così come previsto dal decreto-legge n. 76 del 2013;
   se i Ministri non reputino di dover intraprendere, in vista dell'Expo 2015 dedicato al cibo e alla sua economia e del Semestre di presidenza italiano dell'Unione europea, azioni atte a tutelare l'immagine dell'Italia nel dibattito europeo e quindi di adoperarsi perché vengano prese misure utili a combattere il fenomeno del caporalato, sempre più in crescita nel nostro territorio, soprattutto per quel che riguarda i braccianti agricoli stagionali.
(2-00784) «Zaccagnini, Kronbichler, Franco Bordo, Melilla».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2014 si svolgeva l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-03978;
   l'interrogazione concerneva i fondi stanziati dal decreto-legge n. 39 del 2009 e il centro antiviolenza de L'Aquila, di cui venivano riportate tutte le vicende in premessa;
   nella risposta all'interrogazione presentata, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici, rispondeva che il Governo avrebbe dedicato un ulteriore momento istruttorio per capire a livello istituzionale di quale ente sia la competenza nell'erogazione del Fondo, al fine di risolvere definitivamente la questione con l'elargizione delle risorse del fondo al centro antiviolenza –:
   quale sia la tempistica per allocare questi fondi che già erano stati stanziati come «urgenti», anche in vista del fatto che cittadini e cittadine de L'Aquila vivono ancora in una situazione di estremo disagio;
   come e quando si intenda procedere per dare una definizione chiara a «centri di accoglienza, ascolto e aiuto per donne e madri in difficoltà», specificando che si tratta dell'unico centro antiviolenza che ha operato e opera sul territorio e che ha garantito, nonostante la mancata allocazione di fondi, numerosi servizi. (5-04298)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è nota la vicenda che vede coinvolti i due marò italiani, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che in servizio sulla nave mercantile italiana Enrica Lexie il 15 febbraio 2012, nella loro funzione di militari addetti alla sicurezza del traffico mercantile, in presenza di un rischio di attacco di pirateria affrontarono i presunti assalitori. Secondo le indicazioni del Governo indiano, in quella occasione persero la vita due pescatori locali. A carico dei due fucilieri venne adottato un provvedimento di fermo nello Stato indiano del Kerala;
   si apprende dalla stampa che i due marò hanno recentemente presentato istanze alla Corte Suprema indiana riguardanti le condizioni della loro libertà provvisoria;
   Girone chiede il rientro in Italia in vista del Natale, sottolineando il fatto di non aver potuto più rivedere in Italia i suoi figli dal marzo dello scorso anno, quando usufruì di un permesso in occasione delle elezioni legislative. Pertanto, fa istanza di un temporaneo rientro per un periodo di tre mesi, includendo le festività natalizie;
   Latorre, in Italia dal 13 settembre 2014 dopo essere stato colpito da un ictus a New Delhi, chiede un prolungamento del percorso terapeutico in Italia per un periodo di quattro mesi per continuare il suo percorso terapeutico e sottoporsi anche ad un altro intervento;
   per esaminate le predette richieste la Corte Suprema ha fissato un'udienza da tenersi in data 16 dicembre 2014;
   si mette in evidenza, inoltre, che intanto il processo aperto dopo l'incidente in cui morirono in mare due pescatori indiani è da tempo sospeso in attesa di accertare quale polizia possa presentare il rapporto sull'accaduto;
   è assurdo e grave che il Governo italiano non sia ancora riuscito, anche attraverso gli organismi internazionali, ad ottenere il rientro definitivo dei due marò in Italia –:
   quali siano gli orientamenti e le eventuali iniziative adottate rispetto ai fatti esposti in premessa, in particolare, sulle recenti richieste avanzate dai due marò italiani;
   se e quali iniziative intendano adottare per ottenere l'immediato rientro dei due fucilieri, considerando che, rispetto ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012, la giurisdizione esclusiva è italiana;
   se e quali iniziative siano state adottate per assicurare ogni necessaria assistenza anche alle famiglie dei due marò. (4-07284)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   uno dei tristi effetti della crisi economica in atto sembra essere una diffusione del fenomeno dell'usura a ritmi vertiginosi anche in settori della popolazione che un tempo ne erano del tutto estranei: non solo piccoli imprenditori impegnati nei settori dei trasporti, ristorazione ed edilizia che hanno bisogno di prestiti a causa di fidi bancari esauriti, crediti non riscossi, nessuna prospettiva di finanziamento e necessità di pagare fornitori e dipendenti, ma anche semplici impiegati e pensionati che si stanno ritrovando sempre più intrappolati nella rete degli strozzini;
   il ceto medio sarebbe dunque sotto usura con impiegati, liberi professionisti, ma anche pensionati strangolati dalla crisi: negli ultimi cinque anni il 52 per cento dei soggetti che si sono rivolti agli ambulatori della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura (Fai) dislocati sul territorio nazionale sono persone con un reddito fisso;
   il fenomeno sarebbe in crescita soprattutto al Nord, terra di conquista delle mafie e dove, ancora oggi, non c’è assistenza adeguata visto che su 33 associazioni iscritte negli elenchi del Ministero dell'economia e delle finanze e deputate a gestire i fondi di prevenzione, solo sei agiscono dalla Toscana in su;
   secondo i dati più recenti del Viminale, relativi al 2013, i numeri di questo fenomeno sarebbero impressionanti: in Emilia Romagna i reati di usura sono aumentati del 219 per cento (schizzando dai 21 del 2011 ai 67 nel 2013, con 31 denunce e 43 vittime accertate); stessa cosa in Lombardia, dove imperversa la criminalità organizzata e il numero delle denunce è cresciuto del 54 per cento (da 48 nel 2011 a 74 nel 2013); forte allarme anche nel Lazio: lì gli arresti nell'ultimo anno sono incrementati di oltre il 20 per cento rispetto al biennio precedente;
   in Italia, il fenomeno si è espanso e i reati riscontrati dalle forze dell'ordine sono cresciuti del 30 per cento (da 352 del 2011 ai 450 del 2013), e bisogna sempre considerare che, purtroppo, sono numeri fortemente sottostimati visto che solo una minoranza tra le vittime trova il coraggio di denunciare i propri carnefici;
   sembra che siano sempre di più le donne a rischiare di cadere in mano agli strozzini: nel Lazio il numero è addirittura superiore a quello degli uomini: 617 contro 598 nel 2013;
   il numero dei sovraindebitati è cresciuto in maniera talmente massiccia da generare anche una nuova tipologia di criminali, se cambia la tipologia di coloro che si trovano costretti a richiedere prestiti, sta cambiando, infatti, anche la fisionomia degli strozzini stessi: anche questi ultimi sarebbero sempre più semplici impiegati, magari colleghi dei malcapitati «strozzati» dai debiti, come è successo per il caso di due caposala degli ospedali di Napoli che si sono improvvisati strozzini, «prestando» i soldi ai colleghi in difficoltà economica a causa delle finanziarie, applicando tassi di interesse almeno del 10 per cento mensile;
   tra le maggiori cause dell'ingigantirsi del fenomeno «La più preoccupante – secondo il presidente della Fai Tano Grasso – è legata all'indebitamento tramite finanziarie. Si rivolgono ai nostri sportelli centinaia di impiegati in giacca e cravatta e con buoni stipendi, costretti a vivere con 200 euro al mese. Il meccanismo è il seguente: molti stipulano due o più contratti di finanziamento per cifre esigue ma con tassi di interesse anche oltre il 10 per cento. Ogni società al momento della firma non controlla se il soggetto abbia già altri finanziamenti in essere, perché in caso di insolvenza potrà avvalersi sul Tfr»;
   i pochi che hanno la forza di denunciare trovano la strada sbarrata dalle norme bancarie: chi è segnalato come cattivo pagatore, un fenomeno che negli ultimi cinque anni è cresciuto del 100 per cento, si vede negata la possibilità di aprire un conto corrente utile per riprendere a lavorare (senza carte né altre forme di credito) dopo essere uscito dall'incubo degli usurai, anche se ha denunciato e fatto arrestare gli strozzini;
   secondo Confcommercio, nel settore le imprese, storicamente i soggetti più esposti al rischio usura, dal 2008 al 2013 il fenomeno è cresciuto del 30 per cento e le estorsioni del 22 per cento. L'8 per cento delle imprese è minacciata da gruppi criminali e il 35 per cento di queste ha subito danni alle proprie attività;
   la crisi sta facendo esplodere anche il debito delle famiglie, arrivato, secondo un'indagine del Condacons, a sfiorare i 50 miliardi di euro di mancati pagamenti, con un aumento che, solo negli ultimi due anni è stato del 16 per cento: come se ogni italiano avesse pagamenti arretrati per 833 euro, relativi a mancati pagamenti di rate di prestiti, di mutui, di acquisto di beni di largo consumo, leasing, scoperti di conti bancari, ma anche di semplici bollette per le utenze domestiche non saldate;
   per quanto riguarda l'erogazione di credito da parte delle banche, il credit crunch sta mettendo in ginocchio il tessuto delle imprese italiane: dall'agosto del 2011 all'agosto del 2014, i prestiti bancari alle imprese italiane sono diminuiti di 89 miliardi di euro (- 8,9 per cento) e «Nella storia recente del nostro Paese – ha dichiarato di recente Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – non si era mai verificata una contrazione del credito alle imprese così vigorosa» –:
   quali siano le iniziative anche economiche che il Governo intenda assumere al fine di mettere in atto le doverose attività di prevenzione del fenomeno dell'usura, e per contrastarne la recente preoccupante crescita e, soprattutto, come intenda sostenere le imprese locali, piccole e grandi, i commercianti, i cittadini, a non avere paura, impedendo che la crisi economica o i vantaggi illegali li portino a rinunciare alla legalità;
   se il Governo non intenda assumere idonee iniziative affinché le banche e le società finanziarie possano ricominciare ad erogare crediti ai piccoli imprenditori, alle famiglie, alle imprese, e a giovani, con condizioni accettabili e sostenibili al fine di evitare il ricorso all'usura anche nelle molte nuove forme in cui viene esercitata. (4-07293)


   CAPELLI e LO MONTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana dedica gli articoli 29, 30 e 31, alla definizione di una serie di disposizioni relative alla natura e rilevanza giuridica della famiglia, specificando altresì all'articolo 31, comma primo, che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»;
   nonostante questa scelta fondamentale dei padri costituenti di inserire la famiglia nella Carta costituzionale, riconoscendone il portato quale cellula fondamentale della società, nonché luogo di crescita e formazione dell'individuo, come pure la necessità di un sostegno da parte delle istituzioni, le politiche di supporto e valorizzazione della famiglia vivono da anni un periodo di empasse;
   se la capacità di crescita di un Paese passa anche attraverso politiche attente alla promozione del benessere delle famiglie, riuscire ad invertire il trend negativo delle nascite significa alimentare fiducia nelle persone e, aspetto non secondario, contribuire a rimettere in moto la nostra economia;
   si è ancora lontani da una politica che agisca in modo sostanziale a tutela della famiglia;
   la mancanza di risposte concrete da parte degli ultimi esecutivi e scelte politiche che hanno marginalizzano il ruolo che la famiglia ricopre nella società quale attore formidabile di sussidiarietà, hanno determinato un senso di impotenza e di sfiducia generalizzata, aggravando le difficoltà che sono legate alla crisi; 
   leggendo ultimo rapporto Istat 2014, l'Istituto segnala che, nel 2013, si è raggiunto il record negativo della natalità: 515 mila bimbi, 11 mila in meno del precedente record negativo in assoluto che era stato toccato nel 1995. Peraltro, in Italia si vive sempre più a lungo: ma se da un lato questa è la dimostrazione della longevità di una popolazione, dall'altro lato vuol dire che l'Italia è un Paese sempre più vecchio, soprattutto visto nel rapporto con i giovani: ci sono 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani sotto i 15 anni;
   a questo dato se ne devono aggiungere altri due particolarmente allarmanti che vengono sempre forniti dal rapporto Istat; in Italia sono 6,3 milioni le persone che non hanno lavoro, di queste il 42,4 per cento sono giovani con età compresa tra i 15 e i 24 anni, ed il tasso di povertà, specialmente nelle famiglie numerose, è in costante crescita: il 43,7 per cento delle famiglie con tre o più figli è a rischio povertà con un incremento del 4 per cento rispetto al 2012 (Reddito e condizioni di vita – Istat 2014);
   oggi più che mai si rendono pertanto necessari interventi dei natura strutturale inseriti in un quadro organico che sappia promuovere politiche di medio e lungo periodo finalizzate alla tutela e al supporto del «fattore famiglia» e che sappia tenere in debita considerazione il ruolo che essa svolge nella nostra società, nonché le sue esigenze specifiche, soprattutto in relazione alla presenza di figli a carico, su versanti quali l'equità fiscale ed economica, le politiche abitative, il sostegno alle situazioni di disabilità e via dicendo –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per prevedere una serie di misure in grado di collocare la famiglia al centro di una concreta azione di Governo anche dando attuazione al «piano nazionale per la famiglia», approvato dal Governo nel corso della XVI legislatura, il quale conteneva positive indicazioni strategiche circa le modalità con cui sostenere e promuovere la famiglia nel welfare, nel lavoro, nella scuola, nell'integrazione interculturale. (4-07298)


   NESCI, SARTI e FERRARESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2005 intorno alle 22,30, a Siderno (Reggio Calabria) è stato ucciso un commerciante Gianluca Congiusta, 32 anni, incensurato, del luogo, titolare di alcuni negozi commerciali di telefonia. La vittima è stata freddata a panettoni all'interno della sua auto Bmw da un killer accompagnato forse da un complice. Secondo le risultanze investigative di allora il sicario avrebbe affiancato l'auto sulla quale viaggiava la vittima ed ha improvvisamente fatto fuoco da distanza ravvicinata senza lasciare scampo al giovane incensurato;
   secondo le cronache di quei giorni, il delitto suscitò tanta indignazione a Siderno al punto da indurre il sindaco a indire un consiglio comunale urgente per esprimere costernazione e dichiarare il lutto cittadino. Durante i funerali, ancora, i commercianti della cittadina hanno abbassato le serrande esponendo sulle stesse un cartello con su scritto «Chiuso perché qualcuno ha rubato la vita a Gianluca»;
   secondo le indagini portate avanti dalla direzione distrettuale antimafia da reggina, il boss sidernese Tommaso Costa decise di uccidere Congiusta perché questi aveva saputo di un tentativo di estorsione perpetrato dallo stesso Costa a danno di Antonio Scarfò, suocero di Gianluca. Il boss, che a breve sarebbe uscito dal carcere, stava infatti tentando di riaffermare il ruolo del suo clan a Siderno, cercando però di agire sottotraccia, per non scatenare l'eventuale reazione della famiglia rivale dei Commisso. Come scrive «Il Corriere della Calabria», però, «nella cittadina della Locride, invece, presto si venne a sapere di una lettera dal contenuto estorsivo inviata proprio agli Scarfò, e per questo andava fermata la determinazione di Gianluca a rivelare il contenuto della lettera: i Commisso non potevano e non dovevano capire cosa Costa stesse architettando»;
   a distanza di cinque anni dal delitto, nel dicembre del 2010, Tommaso Costa è stato condannato alla pena dell'ergastolo, accusato di essere stato il mandante e l'esecutore dell'omicidio. «Gianluca Congiusta – era scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado – sapeva tutto quello che succedeva alla famiglia Scarfò, la sua intermediazione nell'atto estorsivo perpetrato da Tommaso Costa e Giuseppe Curciarello lo ha portato alla morte»;
   dopo ulteriori tre anni (aprile 2013) è arrivata anche la sentenza d'appello che ha confermato la condanna all'ergastolo inflitta a Tommaso Costa: «La Corte d'Assise d'appello di Reggio Calabria – si legge su «Il Quotidiano della Calabria» del 10 aprile 2013 – presidente Bruno Finocchiaro e Gabriella Cappello a latere, dopo oltre 7 ore di camera di consiglio, ha confermato la pena dell'ergastolo inflitta in primo grado a Costa. La Corte ha assolto Costa dai reati di tentata danneggiamento aggravato. Pena rideterminata in 15 anni, dai 25 inflitti in primo grado, per Giuseppe Curciarello, assolto dalla Corte dai reati di tentata estorsione e in materia di armi»;
   il 6 marzo 2014 arriva, infine, la sentenza della Corte di Cassazione che, inaspettatamente, ha annullato con rinvio la condanna a carico di Tommaso Costa per il delitto di Gianluca Congiusta. I giudici della Suprema Corte hanno disposto che ,gli atti relativi all'omicidio venissero nuovamente discussi davanti alla corte d'appello di Reggio Calabria;
   il motivo di tale decisione deriva dal fatto che, secondo l'impianto dell'articolo 266-bis del codice di procedura penale, può essere controllata ogni forma comunicazione utilizzata dai detenuti, ma ciò che eventualmente risulta dalla corrispondenza scritta non può essere usato come prova in un processo;
   ci sarebbe, peraltro, anche un precedente: con Sentenza del 19 aprile 2012, depositata il 18 luglio 2012, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito l'illegittimità dell'intercettazione della corrispondenza di un detenuto effettuata, nel corso delle indagini preliminari, mediante fotocopiatura della stessa che veniva poi regolarmente inoltrata. La Suprema Corte, ricordando che l'articolo 15 della Costituzione tutela la libertà e segretezza della corrispondenza che può essere limitata solo con atto motivato dell'autorità giudiziaria «con le garanzie stabilite dalla legge», ha rilevato che non può applicarsi analogicamente, in questo caso, la disciplina dettata per le intercettazioni telefoniche (appunto l'articolo 266-bis del codice di procedura penale);
   la lettera che, in riferimento al processo Congiusta, per la Cassazione sarebbe inutilizzabile contiene, secondo le tesi dell'accusa — che hanno retto nei primi due gradi di giudizio — proprio i riferimenti al possibile movente del delitto Congiusta;
   secondo quanto si legge su «Il Corriere della Calabria» del 30 novembre 2014, tale circostanza, forse, «si sarebbe potuta evitare se non fosse rimasto inascoltato un allarme lanciato, nel lontano 2007, da Gerardo Dominijanni, all'epoca sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia catanzarese». Il magistrato, oggi in servizio alla procura ordinaria del capoluogo, allora si rivolse al procuratore nazionale antimafia e alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali con un documento nel quale, al di là delle considerazioni di carattere tecnico-giuridico, rilevava «l'illogicità dell'attuale sistema processuale delle intercettazioni delle comunicazioni predisposto dal legislatore, il quale, da un verso [...] consente di monitorare le forme orali quanto quelle scritte, dall'altro nega l'utilizzo di siffatta procedura relativamente alle comunicazioni contenute nella corrispondenza epistolare»;
   in altre parole, continua il summenzionato articolo, «può essere controllata ogni forma di comunicazione utilizzata dai detenuti, ma ciò che eventualmente risulta dalla corrispondenza scritta non può essere usato come prova in un Tribunale. Alla luce di ciò Dominijanni, che all'epoca coordinava un'indagine che non riguardava il delitto Congiusta ma che portò proprio al sequestro della corrispondenza di Costa, invita i suoi interlocutori istituzionali ad apportare una «indispensabile» modifica alla legislazione corrente che consentisse di portare avanti le indagini in maniera adeguata»;
   tale incredibile vuoto normativo ha portato il padre di Gianluca Congiusta, Mario, a inviare una lettera indirizzata al Ministro della giustizia, il 4 novembre 2014, e a restituire la tessera elettorale. Nella missiva si legge: «Il mio estremo gesto vuole essere una civile protesta, per la scarsa considerazione che la politica e le istituzioni hanno nei confronti dei cittadini che chiedono che vengano colmati vuoti legislativi di particolare importanza per la giustizia e per l'incolumità delle persone»;
   con espresso riferimento alla possibilità di intercettare la corrispondenza epistolare senza interromperne la spedizione, la suprema Corte rilevava, ancora, che nella XV legislatura un disegno di legge governativo (C. 163-8) estendeva a tale materia la disciplina dell'articolo 266-ter del codice di procedura penale con l'introduzione dell'articolo 266-ter secondo cui si prevedeva, appunto, che «le norme del presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche alle intercettazioni di corrispondenza postale che non interrompono il corso della spedizione». Tale testo, pur approvato dalla Camera dei deputati il 17 aprile 2007, non è mai divenuto in legge;
   è facilmente comprensibile che, se il vuoto normativo non dovesse essere tempestivamente eliminato, il crimine organizzato continuerà ad avere a sua disposizione un mezzo di comunicazione, semplice ma efficace e, soprattutto, assolutamente inviolabile dagli organi inquirenti, che consentirà, ad esempio, anche ai «boss» detenuti, di continuare ad impartire ordini e direttive agli affiliati –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   se non intendano promuovere con urgenza modifiche normative in modo che si possa utilizzare anche la corrispondenza epistolare come documento probatorio in seduta processuale. (4-07301)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata:


   AMENDOLA, NICOLETTI, MANCIULLI, QUARTAPELLE PROCOPIO, BRAY, CARBONE, CARROZZA, CASSANO, CHAOUKI, CIMBRO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, MONACO, PORTA, RACITI, RIGONI, ZAMPA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Libia, un Paese prossimo all'Italia e con il quale il nostro Paese condivide importanti interessi strategici, si trova ormai da alcuni mesi devastato da una guerra civile in cui si fronteggiano due Governi che non riconoscono la reciproca legittimità, uno riconosciuto dalla comunità internazionale a Tobruk in Cirenaica, privo di reale controllo del territorio, e l'altro a Tripoli;
   questa apparente bipartizione del Paese in due nasconde una realtà ancora più complessa in cui operano diversi altri soggetti, tra cui il gruppo denominato Ansar al Sharia, il quale controlla la città di Derna ed è presente a Bengasi ed è in rapporti strettissimi con i jihadisti ricollegati al sedicente Stato islamico;
   autorevoli analisti paventano la possibilità che la Libia orientale e il Fezzan possano a trasformarsi in un immenso campo di addestramento per miliziani e terroristi;
   la recente visita a Roma del Capo dello Stato egiziano Al Sisi, che ha scelto l'Italia come prima tappa di un viaggio tra le capitali europee, ha evidenziato il riconoscimento dell'Egitto come partner strategico per la stabilizzazione della regione nordafricana;
   l'Italia non ha solo interessi strategici, ma un particolare e delicato ruolo storico in Libia, riconosciuto dalla popolazione, provato dal fatto che è rimasto l'unico Paese occidentale ad aver mantenuto attiva e operativa l'ambasciata di Tripoli, imprescindibile supporto logistico alle iniziative di mediazione da parte dell'Onu;
   il nostro Paese è riuscito a mantenere un'interlocuzione viva e credibile con quasi tutti gli interlocutori politici e militari ed è tra i principali sostenitori dell'importante azione diplomatica dell'inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, che ha avuto un recente colloquio con il Ministro interrogato, lavora in strettissimo contatto con i diplomatici italiani presenti sul campo e di cui gli interroganti condividono l'idea di equilibrare il principio di legittimità con quello di inclusività dei principali attori politici;
   la discesa del prezzo del petrolio del 40 per cento, con la conseguente riduzione delle entrate per le finanze libiche, rende ancora più precaria e turbolenta la situazione socioeconomica in un Paese in cui l'85 per cento degli stipendi è erogato dal bilancio pubblico e, quindi, è fortemente dipendente dalle entrate petrolifere;
   dei 165 mila migranti che hanno raggiunto le coste italiane il 90 per cento lo ha fatto passando per la Libia e la situazione di insicurezza sociale, unita alla perdurante condizione di guerra civile, non può che far aumentare la pressione, già insostenibile, dell'immigrazione lungo le coste italiane;
   la stessa comunità internazionale si aspetta dall'Italia un ruolo decisivo e proattivo nella soluzione della crisi libica, che è componente essenziale della più ampia instabilità regionale –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, autonomamente e/o di concerto con gli altri partner europei, per favorire la fine della guerra civile, un percorso di riconciliazione nazionale e il ristabilimento di istituzioni funzionanti e assicurare, con la stabilizzazione del Paese, anche la sua unità politica. (3-01229)


   RAMPELLI, CIRIELLI, GIORGIA MELONI e LA RUSSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2014 è stato reso noto il diniego da parte della Corte suprema indiana alle istanze presentate dai due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone;
   Latorre chiedeva un'estensione di quattro mesi della sua permanenza in Italia, accordatagli dopo l'ictus che lo aveva colpito a settembre 2014, per terminare il suo percorso terapeutico, mentre Girone aveva chiesto di poter rientrare in Italia per un periodo di tre mesi per trascorrere del tempo, tra cui le festività natalizie, con la propria famiglia;
   stando a quanto riportato dagli organi di stampa, il presidente della Corte suprema indiana avrebbe sostenuto che la richiesta non poteva essere accettata perché l'inchiesta della morte dei due pescatori «non è finita», che «i capi di accusa non sono stati ancora presentati» e che «anche le vittime hanno i loro diritti»;
   il 12 febbraio 2015 saranno tre anni che i due militari italiani sono illegittimamente trattenuti in India, posto che, come confermato più volte dalle stesse autorità civili e militari italiane, la localizzazione dell'incidente a 32 miglia dalla costa indiana, e quindi in acque internazionali, avrebbe dovuto sin dal principio fare venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana; i militari sono bloccati in attesa di un processo che subisce continui rinvii;
   in tale vicenda ad avviso degli interroganti le autorità italiane hanno mostrato sin dall'inizio di non avere adeguata consapevolezza del caso diplomatico aperto con il Governo di Nuova Delhi e la mancanza di sostegno e solidarietà da parte degli alleati americani, europei e della Nato ha reso drammaticamente evidente lo scarso peso del nostro Paese nello scacchiere internazionale;
   nonostante ciò, l'Italia continua a mandare militari sulle navi private per difendere il traffico marittimo nell'Oceano indiano dalla pirateria, come le operazioni «Ocean shield» o «Atalanta», e a partecipare a missioni internazionali, a tutto beneficio anche dell'India;
   la necessaria internazionalizzazione del caso dei due marò, che ora sembra essere affidata alla richiesta della procedura di arbitrato, dovrebbe, invece, passare attraverso il coinvolgimento dell'Onu, in base all'articolo 33 del suo statuto, che prevede che il Consiglio di sicurezza possa, nel caso di una controversia la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, agire sulle parti per sollecitare una conclusione pacifica della controversia –:
   se sia stata formalmente attivata e a che punto sia la procedura di arbitrato internazionale sulla vicenda di cui in premessa e se siano allo studio altre procedure internazionali che consentano un esito più spedito della controversia, a tutela dei due militari italiani. (3-01230)

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è stato arrestato in Estonia, Stato dell'Unione europea in cui dovrebbero essere garantiti i diritti civili e politici, il giornalista e già parlamentare europeo Giulietto Chiesa;
   Giulietto Chiesa è un giornalista per tanti anni corrispondente a Mosca de L'Unità, La Stampa, Rai TG3, successivamente è stato un apprezzato parlamentare europeo, e da anni svolge una attività culturale e politica nei paesi dell'Europa Orientale, e anche nelle Repubbliche baltiche testimoniando la palese violazione dei diritti civili, sociali e politici delle minoranze russe;
   la polizia speciale estone, meglio conosciuta con l'acronimo inquietante di Kapo, ha arrestato senza fornire spiegazioni, Giulietto Chiesa;
   questo comportamento è inqualificabile in un Paese componente dell'Unione europea e richiede una ferma posizione dell'Italia e dell'Unione europea da anni purtroppo complice nei Paesi baltici nel sostenere posizioni di aperta discriminazione delle minoranze russe –:
   quali iniziative intenda assumere per condannare questa azione liberticida e richiamare l'Estonia al rispetto delle norme europee ed internazionali in materia di diritti civili e politici. (3-01224)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il Consiglio degli Stati della Confederazione elvetica ha adottato la mozione proposta dall'onorevole Roberta Pantani, finalizza a alla chiusura notturna dei valichi minori presenti sulla frontiera tra Italia e Svizzera ed insistenti nelle regioni Piemonte e Lombardia;
   tale decisione è stata giustificata adducendo una esigenza di difesa, da parte delle autorità elvetiche, nei confronti di quella che viene definita «criminalità transfrontaliera», ovvero un denunciato ingresso in libertà in Svizzera di rapinatori, ladri e scippatori provenienti dall'Italia;
   la scelta di chiudere i valichi determina un consistente incremento delle problematiche per oltre 50.000 lavoratori italiani che quotidianamente dalle regioni Piemonte e Lombardia si recano in Canton Ticino per lavoro;
   tale decisione appare da un lato non supportata e giustificata da circostanze e dati oggettivi, quanto da ragioni di natura politica connesse con l'attuale campagna elettorale per il rinnovo degli organismi politici del Canton Ticino, e dall'altro si ripercuote negativamente sulla libertà di circolazione dei cittadini italiani, sancita dagli accordi di Schengen cui la Svizzera ha aderito per le frontiere di terra il 12 dicembre 2008, senza peraltro svolgere un reale effetto di deterrenza nei confronti della malavita organizzata che non si lascerebbe certamente spaventare dall'esistenza di cancelli doganali notturni chiusi per condurre le proprie inaccettabili e censurabili azioni;
   risulterebbe dagli accordi internazionali intercorrenti tra Italia e Svizzera che un valico di confine può essere chiuso solo ed esclusivamente se nel raggio di 2,5 chilometri sussiste la presenza di un altro ed ulteriore valico di confine aperto –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di scongiurare l'adozione di tali provvedimenti, che andrebbero esclusivamente a scapito dell'economia dei territori italiani confinanti con la Svizzera, alcuni dei quali (significativamente le province interamente montane del Verbano Cusio Ossola e di Sondrio) già provati da oggettive situazioni di crisi economica strutturale che verrebbero inevitabilmente acuite dalle conseguenze di tali provvedimenti. (4-07281)


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la legge finanziaria per il 2007 si è disposta la destinazione di 2,8 milioni di euro per la creazione del Museo dell'emigrazione italiana, da istituire con decreto del Ministro degli affari esteri;
   a seguito di convenzione tra il Ministro degli affari esteri e il Ministero per i beni culturali si è istituito il Museo nazionale dell'emigrazione italiana, con sede in Roma, nei locali del Vittoriano;
   l'Italia, pur essendo il Paese, dopo la Cina, che ha avuto la più alta diaspora di suoi cittadini all'estero, è stato tra gli ultimi a dotarsi di un museo nazionale dell'emigrazione, nonostante le continue e insistenti richieste delle comunità di origine disseminate in ogni parte del mondo, alcune delle quali hanno promosso autonomamente centri di ricerca e istituzioni museali sulla propria storia e sulla loro evoluzione sociale e culturale;
   negli ultimi vent'anni, inoltre, ha avuto un incremento notevole il numero dei musei dedicati a specifiche aree territoriali e di centri ricerca aventi l'analoga finalità di recuperare, conservare e trasmettere la vicenda storica di uno dei processi di mutamento sociale più importanti che l'Italia abbia vissuto: l'emigrazione italiana nelle sue diverse fasi;
   sia nei Paesi di significativa tradizione immigratoria che in quelli di tradizione emigratoria questo tipo di istituzione da tempo svolge un'importante funzione di conservazione e di trasmissione della memoria sociale, di contributo alla definizione del profilo identitario, di promozione di una cultura dell'integrazione e di sostegno allo sviluppo di relazioni interculturali, oltre che di forte richiamo turistico in ambito nazionale e internazionale;
   in Italia ormai da un ventennio è in atto una transizione a seguito della quale essa si sta trasformando da Paese di storica emigrazione in Paese anche di immigrazione. In assenza di un'adeguata risposta formativa e culturale c’è il rischio che da un lato si disperda la memoria del nostro passato di migranti, dall'altro si diffondano tensioni e fenomeni di carattere xenofobo che incidono negativamente sulla coesione nazionale, proprio in un momento di acuta sofferenza sociale determinata dalla crisi;
   il Museo nazionale dell'emigrazione italiana solo in parte ha raccolto l'iniziale ispirazione di una istituzione formativa dedicata alle migrazioni, in entrata e in uscita, come elemento strutturale e permanente della contemporaneità e ha sofferto finora della provvisorietà della sua costituzione e della residuale attenzione che gli è stata dedicata dal Governo e dal Parlamento;
   l'afflusso di molte centinaia di migliaia di presenze dimostra che, nonostante limiti e difficoltà, il museo per un Paese come l'Italia può corrispondere ad una domanda di notevoli proporzioni e può concorrere non poco al sostegno del turismo di ritorno proveniente dal vasto retroterra emigratorio;
   i materiali raccolti nel museo, riferiti quasi esclusivamente agli aspetti dell'emigrazione, sono il frutto di prestiti di altere istituzioni culturali, che ritornerebbero ai legittimi proprietari in caso di interruzione e inadeguatezza dei finanziamenti, con la prevedibile disgregazione dell'intero impianto museale;
   nell'ultimo anno, il museo è sopravvissuto solo in virtù di un modesto finanziamento di 200.000 euro proveniente dal bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, non si prevedono ad oggi risorse destinate alla prosecuzione della sua attività –:
   quali decisioni il Governo intenda assumere per reperire le risorse indispensabili alla tenuta in vita del Museo per il prossimo triennio e garantirne una decorosa attività;
   se non si ritenga di avviare un più diretto confronto tra Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca finalizzato al rilancio dell'iniziale progetto di un Museo nazionale delle migrazioni con gli specialisti del ramo, assicuri un'offerta culturale e formativa capace di inglobare la dimensione immigratoria, di rappresentare in modo più compiuto le «nuove migrazioni», di mettere in rete i musei locali esistenti sul territorio italiano e implementare lo scambio di dati e materiali con i musei esteri nei quali la presenza degli emigrati italiani è efficacemente documentata e rappresentata. (4-07282)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nel comune di Statte, nelle immediate vicinanze di Taranto, è situato il deposito di rifiuti radioattivi CEMERAD. L'attività di tale deposito, destinato ai rifiuti di origine ospedaliera e industriale, è iniziata nel 1984 e si è conclusa nel 2000, a seguito di vicende giudiziarie dell'esercente, legate alla gestione del deposito stesso. Da allora il deposito è chiuso e posto in custodia giudiziaria, affidata al comune. In particolare, è attualmente custode l'assessore all'ecologia della giunta comunale in carica;
   il deposito è costituito da un unico capannone dove sono immagazzinati circa 3.000 fusti di rifiuti radioattivi appartenenti alle diverse categorie, comprese la seconda e la terza, cioè rifiuti radioattivi a inedia e ad alta attività. Vi sono inoltre contenuti circa 12.000 fusti di rifiuti di natura diversa;
   queste informazioni sono riportate nella documentazione presente nel deposito, la cui attendibilità potrebbe non essere totale, e lo stesso numero complessivo dei fusti non è facilmente verificabile a causa della loro fitta, collocazione su numerosi strati, che rende di fatto impossibili le ispezioni visive;
   già nel corso della passata legislatura, la situazione del deposito CEMERAD era stata esaminata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti allora istituita. L'esame era stato condotto attraverso l'acquisizione di dati e di informazioni dall'ISPRA, l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, a cui sono attribuiti gli specifici compiti di controllo sulle attività a rischio radiologico, nonché mediante l'audizione del sindaco di Statte. Secondo quanto comunicato allora dall'ISPRA, il deposito si trovava in uno stato di sostanziale abbandono ed esposto a ogni possibile evento, infatti, sia il capannone che i fusti presentavano segni di notevole degrado. Mentre, il sindaco aveva provveduto a comunicare che nel giugno 2012 il comune di Statte, utilizzando un finanziamento della provincia, che ammontava complessivamente a 1,5 milioni di euro, aveva bandito una gara per l'affidamento di lavori di caratterizzazione chimica e fisica dei rifiuti presenti nel deposito. Tenendo anche conto degli esatti termini della gara, come risultanti dalla relativa documentazione ricevuta, la Commissione di inchiesta aveva espresso, nella propria relazione conclusiva, una netta riserva sul percorso scelto dal comune, giudicato non economico e di nessun beneficio immediato, che avrebbe impegnato una cifra non trascurabile per la sola e per di più parziale caratterizzazione dei rifiuti in deposito, rinviando a un futuro indeterminato ogni operazione concretamente efficace per la riduzione rischio. Gara successivamente annullata per il giudizio negativo espresso dal Comando provinciale dei vigili del fuoco, in merito alle modalità con le quali le operazioni di caratterizzazione sarebbero state condotte;
   la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, istituita nella legislatura corrente, ritenendo necessario aggiornare e approfondire la conoscenza dell'argomento nell'ambito di una recente missione nella regione Puglia, svolta da una sua ampia sua delegazione, il 11 dicembre scorso ha compiuto un sopralluogo sul deposito in questione unitamente alle audizioni del prefetto di Taranto e dello stesso sindaco di Statte;
   la situazione rilevata suscita viva preoccupazione, non solo per le condizioni oggettive del deposito, che è apparso inadeguato nelle strutture e privo di efficaci difese, sia contro eventi meteorologici avversi sia contro eventuali malintenzionati, ma soprattutto per l'inevitabile disparità, tra le risorse finanziarie e di competenza specialistica disponibili in sede locale e quelle invece necessarie per individuare le opportune modalità tecniche di intervento e per condurre le susseguenti azioni, nei tempi brevi che lo stato delle cose impone;
   nella legislazione vigente le situazioni quali quella qui, prospettata sono disciplinate dall'articolo 126-bis del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modifiche. La norma richiamata stabilisce che, nelle situazioni che comportino un'esposizione prolungata dovuta, tra le altre cause, a un impiego di sorgenti radioattive non più in atto (nella definizione data dal decreto legislativo costituisce impiego anche la sola detenzione di tali sorgenti), le autorità competenti per gli interventi ai sensi della legge 25 febbraio 1992, n. 225, adottano i provvedimenti opportuni, che includono l'attuazione di interventi adeguati, tenuto conto delle caratteristiche reali della situazione –:
   se sia conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché siano rimossi immediatamente i fusti contenuti nel capannone Cemerad e si proceda al più presto alla bonifica del sito CEMERAD.
(2-00789) «Bratti, Carrescia, Rostan, Palma, Cominelli, Pelillo, Grassi, Realacci, Terrosi, Folino, Bergonzi, Mariani, De Lorenzis, Berlinghieri, Amoddio, Castricone, Cinzia Maria Fontana, Taricco, Mariano, Arlotti, Zardini, Garavini, Braga, Borghi, Mariastella Bianchi, Fregolent, Tino Iannuzzi, Valiante, Cenni, Nardi, Morani, Camani, Baruffi, Garofani, Maestri, Melilli».

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI, PELLEGRINO, ZARATTI, AIRAUDO e NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014, il settimanale «L'Espresso» pubblicava il seguente articolo a firma di Stefania Maurizi, dal titolo: «Ambiente, l'altro dramma di Terni» nel quale si descriveva come: «[...] In queste settimane la città umbra vede drammaticamente calare le prospettive per il suo futuro. E più voci intrecciano la terribile emergenza occupazionale con un'altra situazione, non meno preoccupante: la situazione ambientale, legata agli impianti della Thyssen. [...] Cinque anni fa, «l'Espresso» aveva condotto un'inchiesta sulla situazione ecologica a Terni dopo la strage di operai nel laminatoio di Torino: l'acciaieria umbra era già nel mirino delle inchieste per i problemi ambientali. Oggi, proprio mentre lo scontro tra la Thyssen e i lavoratori è ai massimi livelli, l'azienda è indagata dal sostituto procuratore Elisabetta Massini per le infiltrazioni di acqua contaminata da metalli pesanti della discarica di Villa Valle, un'infrastruttura cruciale per le operazioni della multinazionale in Italia. Una delle ragioni che tiene l'azienda tedesca a Terni – città che a differenza di Taranto o Genova è lontana dal mare – è proprio la possibilità di avere questa discarica a pochissima distanza dallo stabilimento: questo permette alla multinazionale di abbattere i costi dello smaltimento degli scarti della lavorazione. [...] Qualche giorno fa la sezione locale di «Italia Nostra» e il Wwf hanno chiesto l'intervento delle istituzioni per affrontare contemporaneamente entrambi i problemi: «La Thyssen va commissariata», ha dichiarato Andrea Liberati di «Italia Nostra», denunciando «l'avvelenamento delle acque di falda, dei suoli e dell'aria». Le scorie prodotte dalla sola fabbrica sono «circa mezzo milione di tonnellate all'anno, cioè praticamente i rifiuti pericolosi prodotti dall'acciaieria di Terni sono più di tutti i rifiuti solidi urbani prodotti dagli abitanti della regione Umbria», spiega a «l'Espresso» il direttore del dipartimento di Terni dell'Arpa, Adriano Rossi. Il caso Villa Valle è esploso in tutta la sua gravità quando Anas ha cominciato i lavori per la realizzazione della galleria Tescino della nuova strada Terni-Rieti, con il tunnel che si è inspiegabilmente diretto sotto la collina dei veleni. Con gli scavi è cominciata a sgorgare acqua contaminata dal micidiale cromo esavalente»;
   Terni è uno dei 44 centri oggetto dello studio SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento), poiché presenta un SIN (Sito d'interesse nazionale per le bonifiche) che è l'ex discarica di Papigno. Dal sito «ternioggi.it» si apprende che lo studio dell'Iss non è comunque il solo a mettere in evidenza come i cittadini della Conca paghino con la propria salute l'inconsapevole convivenza con tanti veleni. Ci sono dossier dell'Arpa, appelli di associazioni, pareri di medici e professori espressi di recente e nel corso degli anni passati. Le loro voci si sono spesso levate alte occupando qualche pagina di giornale per poi sistematicamente cadere nel dimenticatoio, chiuse nell'armadietto della cattiva coscienza. E mentre l'eco delle denunce sulle gravi conseguenze per la salute si spegnevano, intanto Terni accendeva un inceneritore dietro l'altro, continuava ad essere inondata di polveri degli stabilimenti delle acciaierie e progettava una viabilità sostanzialmente priva di piste ciclabili. Una combinazione di fattori che non poteva che dar luogo ad «un'orgia» di polveri sottili permanentemente presenti nell'aria. Una presenza talmente radicata da essere ormai diventata parte integrante dell'ambiente: come spiega una relazione dell'Arpa pubblicata nel maggio 2012, alti valori di nichel e cromo sono ormai entrati a far parte anche della composizione dei suoli dell'area ternana;
   in data 24 novembre 2014 sul sito Tuttoggi.info si legge un articolo a firma di Sara Cipriani dal titolo «Analisi diossina e pcb nelle uova a Terni: Wwf e Italia Nostra chiedono i risultati» nel quale si descrive come: «C’è diossina nelle uova di Terni ? E negli ortaggi ? E nella carne ? Questa sono le domande che WWF Umbria e Italia Nostra Terni, a voce dei rispettivi presidenti Rinaldi e Liberati, rivolgono alla ASL 2 Umbria e a tutti i soggetti a vario titolo responsabili del monitoraggio e delle analisi dell'area SIN Terni-Papigno e Borgo Rivo. Cos’è un'area SIN – S.I.N. acronimo di Siti di Interesse Nazionale, sono delle aree (circa quaranta in tutto il Paese) che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo o delle acque superficiali e sotterranee per evitate danni ambientali e sanitari [...] L'Umbria ha Terni – Nel cuore verde d'Italia esiste un solo SIN, a Terni, localizzato nello specifico nell'area di Papigno e Borgo Rivo, le aree a ridosso delle Acciaierie, in posizione di caduta, che possono essere soggette ad eventuali contaminazioni da metalli pesanti, diossina e PCB: tutti elementi altamente cancerogeni. Le uova contaminate – In queste aree, monitorate dalla competente Asl2, le ultime analisi effettuale su matrici alimentari avrebbero dato esito positivo alla presenza di diossina e policloro bifenili. Le uova analizzate, avrebbero reso risultati di livelli più alti del limite consentito per il consumo umano, per le due componenti chimiche. Nello specifico: Borgorivo (2 casi), San Liberatore (1 caso) e voc. Valle (1 caso);
   rispetto al tema delle acciaierie e dell'inquinamento da esse prodotto è degno di nota l'esempio di Acciaierie di Calvisano, che con un progetto nell'aprile 2008 dal titolo «I risultati di una gestione sostenibile. Migliorie Tecniche e Buone Pratiche» ha presentato dei, nuovi investimenti impiantisti realizzati all'interno dall'azienda collegata al gruppo Feralpi, in virtù del protocollo d'intesa sottoscritto tra l'amministrazione di Calvisano e l'acciaieria, che prevedeva una serie d'interventi di adeguamento degli impianti e la modifica della zonizzazione acustica. Su iniziativa volontaria, l'azienda si è impegnata affinché, grazie all'applicazione di svariate migliorie tecnologiche ed impiantistiche, potessero essere raggiunti tali risultati. Così è stato: molti degli adeguamenti e delle modernizzazioni apportate hanno già ottemperato ai dettami previsti anche dall'autorizzazione integrata ambientale. Inoltre, gli investimenti ambientali stanziati dalla società per circa 2 milioni di euro sono andati ben oltre agli accordi sottoscritti. L'azienda, grazie all'applicazione delle migliori tecniche disponibili, ha inoltre utilizzato un numero significativamente inferiore di quote di Co2 rispetto all'allocazione per la quale era stata autorizzata in virtù del protocollo di Kyoto. Il percorso intrapreso verso una logica condivisa di sostenibilità ambientale è un esempio di buona prassi nel settore delle acciaierie che ha prodotto anche dei risultati economici degni di nota –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere;
   se non reputino opportuno informare, per iscritto, la popolazione residente nel citato S.I.N. in merito ai relativi pericoli dell'area, anche alla luce degli esiti prodotti dai relativi Studi sentieri 1 e 2 (Ministero della salute);
   se i Ministri abbiano mai perimetrato le cosiddette zone di pericolo anche alimentare e se intendano farlo; 
   se i Ministri interrogati abbiano mai ritenuto di assumere iniziative, per quanto di competenza, per inibire l'allevamento e la coltivazione nelle intere zone suddette e in eventuali altre contigue, anche considerando gli altissimi tassi di concentrazione di nichel, cromo e altri metalli pesanti nei suoli (fonte: Arpa Umbria), tipici marker dell'inquinamento originato dalla produzione delle acciaierie, nonché alla luce della presenza di discariche industriali Thyssen Krupp, scorie siderurgiche e altro materiale, oltre a Rifiuti solidi urbani fino al 1998, solo limitatamente messe in sicurezza e impermeabilizzate, collocate oltretutto in posizione geograficamente dominante rispetto alla sottostante città, oggetto di ulteriore estensione proprio in questi giorni;
   se i Ministri non reputino opportuno promuovere delle linee guida, nell'ambito della produzione industriale, seguendo esempi virtuosi come quello di cui in premessa delle Acciaierie di Calvisano.
(4-07279)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata dell'8 dicembre 2014 in prima pagina del Corriere della Sera veniva pubblicato un articolo, a firma di Paolo Mereghetti, dal titolo inequivocabile «Quei fondi contro Venezia»;
   nell'articolo viene riportata la notizia di un incontro previsto il prossimo 10 dicembre tra il sottosegretario allo sviluppo economico Carlo Calenda, direttore generale cinema del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Nicola Borrelli e una serie di operatori del cinema romano;
   la riunione avrebbe per oggetto, come riportato nell'articolo di stampa, un investimento nell'ordine di due/tre milioni di euro a sostegno del Festival del Cinema di Roma;
   con questo investimento, ove confermato, si rischierebbe di infliggere un colpo durissimo alla mostra del Cinema di Venezia che per storia, tradizione, e capacità è riuscita comunque nel corso degli anni a conservare il proprio prestigio e la capacità comunque di fare mercato;
   è evidente che tale iniziativa, in assenza di una organica azione a sostegno della internazionalizzazione del nostro cinema, avrebbe come effetto, esclusivamente, quello di penalizzare una kermesse di straordinaria importanza come quella di Venezia –:
   se le notizie di stampa, in merito a quanto riportato in premessa, corrispondano al vero, e se confermate, se non intenda chiarire le ragioni di tale iniziativa e se il Governo abbia predisposto un piano nazionale di sostegno al sistema dei festival italiani, a partire dalla mostra del cinema di Venezia, e quali strumenti e risorse abbia intenzione di attivare per dare nuovo impulso ad un settore strategico per la cultura italiana nonché per le sue ricadute in termini di investimenti e occupazione. (5-04287)

Interrogazione a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 febbraio 2014, n. 9, recante «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015» prevede all'articolo 13 «Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo», comma 24, che «Anche in vista dell'EXPO 2015, al fine di promuovere il coordinamento dell'accoglienza turistica, tramite la valorizzazione di aree territoriali di tutto il territorio nazionale, di beni culturali e ambientali, nonché il miglioramento dei servizi per l'informazione e l'accoglienza dei turisti, sono finanziati progetti che individuino uno o più interventi di valorizzazione e di accoglienza tra loro coordinati. I progetti possono essere presentati da comuni, da più comuni in collaborazione tra loro o da Unioni di comuni con popolazione tra 5.000 e 150.000 abitanti». Come da comma 26 della stessa legge «all'intervento di cui al comma 24, sono destinati finanziamenti complessivi sino a un massimo di 500 milioni di euro»;
   la legge 29 luglio 2014, n. 106, «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo» è intervenuta successivamente con l'articolo 7 «Piano strategico Grandi Progetti Beni culturali e altre misure urgenti per il patrimonio e le attività culturali» modificando il comma 25 del succitato articolo 13 della legge 9 del 2014, che ora recita: «Entro il 31 dicembre 2014, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sono disciplinati i criteri per l'utilizzo delle risorse per gli interventi di cui al comma 24 e sono previste le modalità di attuazione dei relativi interventi anche attraverso apposita convenzione con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI)»;
   sempre in base ai due citati provvedimenti legislativi, «ogni comune o raggruppamento di comuni potrà presentare un solo progetto articolato in uno o più interventi fra loro coordinati, con una richiesta di finanziamento che non potrà essere inferiore a 1 milione di euro e superiore a 5 milioni di euro e purché in ordine agli interventi previsti sia assumibile l'impegno finanziario entro il 31 marzo 2015 e ne sia possibile la conclusione entro venti mesi da quest'ultima data»;
   il previsto decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, non è ad oggi ancora stato emanato, né si hanno notizie sull’iter del provvedimento;
   vista la rilevanza di Expo 2015 e la necessità per gli enti locali di accedere ai previsti finanziamenti per avere risorse certe al fine di realizzare importanti progetti di valorizzazione territoriale e accoglienza, è evidentemente urgente accelerare il percorso di emanazione del decreto attuativo nei termini previsti;
   essendo Expo 2015 dedicata al tema del cibo, nel decreto attuativo è opportuno dare priorità e premiare quei progetti che oltre alla valorizzazione dei giacimenti culturali presenti sul territorio, promuovano i temi della storia, del folklore, dell'enogastronomia locale e la valorizzazione delle eccellenze locali, con l'obiettivo di cogliere questa grande opportunità per integrare l'offerta e la promozione del territorio, dei luoghi, dei paesaggi, del sistema ricettivo ed enogastronomico –:
   quali iniziative il Ministero intenda assumere affinché venga rispettato il termine del 31 dicembre 2014 per l'emanazione del decreto che disciplina i criteri per l'utilizzo delle risorse per gli interventi di cui al comma 24 dell'articolo 13 della legge 21 febbraio 2014, n. 9 e che preveda le modalità di attuazione dei relativi interventi anche attraverso apposita convenzione con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI);
   se non ritenga opportuno finanziare i progetti dando priorità a quelli promossi da aggregazioni e unioni dei comuni.
(4-07296)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI e SCOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, dicembre 2014, a distanza di ben quattro mesi dall'inizio delle lezioni dell'anno scolastico 2014/2015, migliaia di supplenti temporanei della scuola, sia docenti che personale ATA, sono ancora senza stipendio benché abbiano sottoscritto regolari contratti di lavoro e prestato il servizio e le funzioni assegnate loro, in questo modo, garantendo il regolare funzionamento e il diritto allo studio degli studenti delle scuole del Paese;
   le scuole e i dirigenti scolastici, che hanno sottoscritto i contratti di lavoro, si trovano nell'impossibilità di onorare gli impegni presi a causa del mancato finanziamento delle risorse necessarie da parte del Ministero dell'economia e delle finanze/Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la situazione si ripete ad ogni fine anno;
   ancor più paradossale è la situazione relativa al pagamento dei contratti di lavoro sottoscritti dal personale supplente e conferiti dai dirigenti scolastici fino alla copertura del posto degli aventi diritto che, a dire del Ministero dell'economia e delle finanze, non avendo la data di termine, non sono contabilmente programmabili: è il caso dei ritardi e della mancata e pressoché generalizzata pubblicazione delle graduatorie definitive di istituto, per cui le scuole sono state obbligate a ricorrere alle graduatorie precedenti ed a reiterare i conferimenti delle supplenze alla effettiva disponibilità delle nuove graduatorie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del problema e quali iniziative intendano adottare al fine di sbloccare la situazione, a dir poco incresciosa, garantire il pagamento delle retribuzioni dovute ai precari della scuola, nonché di impedire per il futuro il ripetersi di tali incredibili e disonorevoli episodi. (4-07288)


   GADDA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   al fine di potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, anche in attuazione dei principi di collaborazione amministrativa, il legislatore già con il decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, ha previsto una compartecipazione dei comuni alle maggiori entrate relative a tributi statali, derivanti dall'attività di accertamento nella quale l'intervento dell'amministrazione locale si è rilevato utile a tal fine;
   questa compartecipazione dei comuni alle maggiori entrate è stata inizialmente fissata al 33 per cento, quindi innalzata in via ordinaria al 50 per cento, e sperimentalmente portata al 100 per cento per le annualità 2012, 2013 e 2014, e si applica per le somme riscosse sulle imposte sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), sul reddito delle società (IRES), sul valore aggiunto (IVA), di registro, ipotecarie e catastali, comprensive di interessi e sanzioni, al netto delle spettanze dell'Unione europea;
   questa compartecipazione dei comuni, oltre a dotare le amministrazioni locali di uno strumento ulteriore nella ricerca di nuove risorse, le ha rese anche maggiormente responsabili in un quadro di intensificazione della lotta all'evasione fiscale;
   questa gestione collegata permette di utilizzare in rete e al meglio tutte le conoscenze di fatti potenzialmente evasivi, e si è già dimostrata utile ad individuare casi di mancata contribuzione che altrimenti sarebbero rimasti ignoti all'Agenzia delle entrate;
   è bene ricordare che la collaborazione non si esaurisce con la sola condivisione di informazioni ma si realizza anche attraverso il coordinamento delle diverse attività di monitoraggio, controllo e vigilanza, e pertanto molte amministrazioni hanno anche proceduto a stipulare con l'Agenzia delle entrate specifiche convenzioni che riguardassero la trasmissione di informazioni ulteriori rispetto alle segnalazioni qualificate;
   la misura ha, quindi, riscosso un importante successo tra le amministrazioni locali, che si sono dimostrate fin da subito interessate a collaborare con l'Agenzia delle entrate: un'attività ulteriore per gli uffici comunali, che viene, però, remunerata dall'incasso della quota che spetta all'amministrazione: nel quadriennio 2009-2012 sono stati riscossi, grazie alla partecipazione dei comuni, quasi 20 milioni di euro;
   il 22 ottobre 2014, il Ministero dell'interno ha reso pubblico il prospetto di riepilogo delle somme erogate ai comuni per l'anno 2013 e per il saldo 2012, dal quale emergono le somme spettanti alle singole amministrazioni comunali. Le differenze che si registrano tra un comune ed un altro, comunque, non necessariamente sono frutto di una maggiore o minore virtuosità dell'ente, ma possono discendere anche da diversi fattori non dipendenti dalla volontà del comune: un minor tasso di evasione fiscale, una maggiore celerità negli accertamenti fiscali disposti dall'Agenzia delle entrate a prescindere dalle segnalazioni delle amministrazioni locali, o una diversa valutazione, da parte dell'agenzia, del contributo che l'amministrazione comunale ha apportato nell'ambito degli accertamenti;
   si vuole richiamare in questa sede, a titolo dimostrativo, il caso del comune di Varese che in questo prospetto ha visto attribuirsi 1.101,15 euro, una somma risibile se confrontata con quelle spettanti a comuni paragonabili per popolazione (La Spezia ha incassato più di 44.000 euro, Novara ne ha visti attribuiti più di 12.000) o se confrontata con comuni con una popolazione minore (il comune di Canzo, a puro titolo esemplificativo, ne ha visti conferire 1.002);
   in risposta ad una interrogazione consigliare del novembre 2014 al comune di Varese, l'assessore al bilancio ha evidenziato una disparità nei diversi criteri valutativi circa la proficuità delle segnalazioni e, pertanto, nella scelta delle segnalazioni cui dare seguito. Scelte discrezionali e legittime, che tuttavia variano in funzione della direzione provinciale a cui compete prendere in carico le segnalazioni stesse;
   a tal riguardo, da un rapido raffronto tra le attribuzioni di alcune realtà importanti della provincia di Varese, come Busto Arsizio (389,86 euro) e Gallarate (100,00 euro), con quelle comparabili in altre province, emerge effettivamente un divario non indifferente che potrebbe avvalorare la tesi suesposta;
   all'interrogante non risulta, infatti, che l'Agenzia delle entrate o il Ministero abbiano indirizzato alle sedi delle direzioni provinciali alcuna nota circolare di interpretazione sui criteri da adottare in merito alla presa in carico delle segnalazioni dei comuni –:
   se i Ministri siano a conoscenza delle disparità di attenzione riservata alle segnalazioni qualificate e della conseguente attribuzione delle risorse ai comuni, ai sensi della normativa sulla partecipazione delle amministrazioni comunali al contrasto all'evasione fiscale;
   se tale disparità di attribuzione sia effettivamente derivante da una diversa valutazione della proficuità delle segnalazioni dei comuni all'Agenzia delle entrate;
   se sia intenzione dei Ministri attivarsi per rendere più omogenea nel territorio nazionale l'interpretazione dei criteri di valutazione adottati ai fini della partecipazione dei comuni al contrasto all'evasione fiscale;
    quale sia l'orientamento complessivo del Governo su questa misura di partecipazione dei comuni alle attività di contrasto all'evasione fiscale e se intenda riproporre tale misura per l'anno 2015 e con quali modalità. (4-07289)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   sono sempre più numerosi i casi citati dalle cronache che vedono coinvolti minori indifesi in vicende familiari che spesso terminano con episodi tragici;
   non ultimo il caso di Giulia I., vittima di una vicenda che si apre con l'avvio da parte della madre Barbara C. delle pratiche di separazione dal marito, proprio in conseguenza di comportamenti, ed in seguito racconti, che lasciavano supporre il coinvolgimento della bambina in una serie di giochi erotici con persone adulte a lei vicine;
   da quel giorno la storia di Giulia I., è stata una storia di perizie mediche, consulenze tecniche, colloqui ed ancora esami fino all'epilogo disposto dal tribunale dei minori di Roma, procedimento 4616/2012VG, che ha sottratto il minore alla madre, cui sarebbe stato impedito anche di poterla vedere;
   questo procedimento minorile è tuttora in corso, ma sono già lampanti i danni, forse irreparabili, subiti dalla bambina per la sua inopinata collocazione in comunità, senza poter vedere la madre;
   le cronache, come detto, sono da anni piene di questi errori, spesso drammatici, e sempre con conseguenze gravi: perché riguardano la parte più indifesa della popolazione, i bambini;
   i tribunali dei minori sono l'oggetto di un libro recentemente pubblicato da un avvocato matrimonialista di Rimini dal titolo, «Come ai tempi di Erode»;
   l'autore parla di come in Italia il tribunale dei minori possa intervenire in qualsiasi momento sulla vita delle persone, senza che i diretti interessati sappiano con precisione le ragioni e i presupposti di quel che sta loro capitando e dato che quasi tutti i provvedimenti assunti da quel tribunale sono «provvisori», non è possibile nemmeno ricorrere in appello;
   il caso, citato dall'autore, molto simile a quello di Giulia I., dimostra gli abusi che l'attuale giurisdizione minorile ha provocato e sta procurando. Nel caso di Giulia I. o in quelli citati in altri atti di sindacato ispettivo, i minori vengono sottratti per ordine di un giudice e «internati» in centri di affido con tempistiche e motivazioni spesso inusuali e non sorrette da evidenze e prove inconfutabili;
   spesso nei procedimenti minorili viene data una valenza scientifica a diagnosi di malattie inesistenti come la PAS o altre diagnosi simili sulle quali poi vengono basate le decisioni giudiziarie che strappano i bambini alle famiglie;
   purtroppo e di sovente nelle ordinanze dei tribunali non vengono acquisite direttamente e in maniera indipendente le informazioni sullo stato di salute e psicologico dei minori, sui loro bisogni, sui traumi causati dalle drammatiche modalità di allontanamento e sull'isolamento dalla figura materna né vengono valutati i rischi che i minori corrono nella permanenza presso le case famiglia –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto sopra esposto e se intenda promuovere un monitoraggio per rilevare se vi sono casi analoghi e quale sia l'entità del fenomeno;
   se non ritenga di adottare iniziative di rango normativo volte ad eliminare le criticità esposte in premessa.
(2-00788) «Binetti, Dellai».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con nota del 16 novembre 2012, il Ministero della giustizia ha delegato il Consiglio nazionale forense a svolgere attività di indagine, tesa ad approfondire i fatti e le circostanze oggetto della segnalazione di alcuni avvocati iscritti all'ordine di Roma, relativa a presunte irregolarità nella gestione del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma;
   gli esiti di tale attività sono stati trasmessi dal Consiglio nazionale forense al Ministero della giustizia con nota, in data 19 luglio 2013, per quanto di competenza del Ministero stesso;
   con nota del 19 dicembre 2013, il Ministero della giustizia ha invece disposto che per il prosieguo del procedimento fosse il Consiglio nazionale forense ad esprimere preventivamente il suo parere/proposta;
   in data 28 marzo 2014, il Consiglio nazionale forense ha chiesto al Ministero della giustizia di disporre lo scioglimento del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma, ai sensi dell'articolo 33, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
   con diffida in data 10 aprile 2014, notificata l'8 maggio 2014, il Ministero della giustizia intimava al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma di produrre entro 10 giorni una serie di documenti, ai fini del provvedimenti di cui all'articolo 33;
   la proposta di scioglimento del Consiglio nazionale forense si basa su fatti che, se confermati, sarebbero molto gravi: la conclusione di un contratto per la cura dell'immagine e comunicazione del Consiglio con un soggetto che è poi risultato socio del presidente del Consiglio dell'ordine in altra società di comunicazione (avente sede presso l'abitazione del presidente stesso) e la stipula di numerosi contratti a tempo determinato con modalità non corrette, cinque dei quali a favore di parenti di dipendenti del Consiglio dell'ordine (a seguito dell'annullamento d'ufficio, per gravi irregolarità, del concorso per assunzioni a tempo indeterminato precedentemente indetto dal Consiglio);
   da notizie di stampa risultano in corso una serie di procedimenti penali relativi alla gestione del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma, che includono anche i fatti oggetto dell'indagine del Consiglio nazionale forense;
   ai sensi dell'articolo 33 della legge 31 dicembre 2014, n. 247, il consiglio è sciolto se non è in grado di funzionare regolarmente, se non adempie agli obblighi prescritti dalla legge o se ricorrono altri gravi motivi di rilevante interesse pubblico;
   lo scioglimento e la nomina del commissario sono disposti con decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, previa diffida;
   sono decorsi otto mesi dalla proposta di scioglimento del Consiglio nazionale forense e sette mesi dalla scadenza del termine per consegna di documenti, contenuto nella diffida ministeriale notificata l'8 maggio 2014; nonostante il tempo trascorso, il Ministro interrogato non ha ancora provveduto;
   recentemente, il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma, destinatario della suddetta proposta di scioglimento del Consiglio nazionale forense, ha indetto le elezioni per il prossimo Consiglio dell'ordine per il 14, 15, 16 e 17 gennaio 2015, provocando ulteriori polemiche per la data anticipata rispetto alla prassi degli anni precedenti;
   è evidente l'urgenza di fare chiarezza, in quanto non è pensabile che le elezioni possano essere gestite da un Consiglio dell'ordine sul quale pende una richiesta di scioglimento per gravi violazioni ed irregolarità;
   pare, quindi, essenziale che il Ministero della giustizia provveda entro pochi giorni, esprimendosi in un senso o nell'altro sulla proposta di scioglimento del Consiglio nazionale forense, non essendo possibile che tale situazione di incertezza continui anche nel mese precedente le elezioni, perché gravissimi sarebbero i danni per la credibilità dell'istituzione forense –:
   se intenda provvedere sulla richiesta del Consiglio nazionale forense e se il relativo provvedimento sarà emesso entro il 20 dicembre 2014, in modo da consentire che la situazione sia definita con congruo anticipo rispetto alla data delle elezioni. (3-01227)


   BINETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sulla rivista dell'Associazione degli psicologi americani è stato pubblicato recentemente un articolo scientifico che contiene una revisione metanalitica dei più autorevoli studi mondiali sul tema dell'affido condiviso di bambini sotto i 4 anni. Hildegunde Suenderhauf ha selezionato gli unici 50 studi sulle modalità di affido dei minori pubblicati tra il 1977 e il 2014 su riviste internazionali scientificamente riconosciute. Nella sua metanalisi l'autrice ha analizzato in modo rigoroso le conclusioni dei singoli studi e le loro interazioni, traendone una valutazione complessiva, le cui considerazioni finali appaiono inequivocabili;
   due studi (4 per cento) hanno dato risultati negativi rispetto all'affido materialmente condiviso; in undici studi sono stati segnalati effetti negativi neutralizzati da altri effetti positivi; mentre trentasette degli articoli presi in considerazione (74 per cento), hanno prodotto inequivocabili risultati positivi per l'affido materialmente condiviso. L'articolo conclude testualmente: «In generale i risultati degli studi rivisitati in questo documento sono favorevoli ai piani genitoriali che bilanciano il tempo dei bambini piccoli tra le due case in modo il più uguale possibile. Il pernottamento dei bambini nella casa del papà non crea problemi, ma favorisce nei bambini la consapevolezza che l'accudimento è compito di entrambi i genitori e non di uno solo di loro (Warshak, 2014)»;
   la distribuzione dei tempi di coabitazione in uso presso i tribunali italiani non segue, però, queste linee scientifiche e, come si può vedere anche dalle bozze di separazione consensuale pubblicate sui siti di alcuni tribunali, essa non si discosta da distribuzioni standard molto asimmetriche: circa l'83-85 per cento del tempo con un genitore, quasi sempre la madre, e circa il 17-15 per cento con l'altro genitore, quasi sempre il padre. Ciò comporta facilmente la perdita di una figura genitoriale con danni di natura psicologica e sociale, che appaiono già nei primi anni, ma spesso si accentuano nell'età della adolescenza: dispersione scolastica, gravidanze indesiderate, povertà, tabagismo, tossicodipendenza, microcriminalità e altro. Con questo orientamento l'Italia si colloca agli ultimi posti in Europa in quanto a difesa del diritto alla bigenitorialità;
   uno studio su 164.580 ragazzi svedesi di 12 e 15 anni, figli di genitori separati, ha evidenziato che i parametri migliori relativamente al benessere fisico, psicologico e sociale alla soddisfazione sulle relazioni coi propri genitori separati sono quelli dei minori che spendono tempi sostanzialmente eguali presso i due genitori (Bergström et al. 2013), confermando i risultati di una precedente ricerca di Jablonska e Lindbergh su 15.428 minori che aveva evidenziato, con significatività statistica, livelli di stress mentale più alto nelle famiglie monogenitoriali;
   un'altra ricerca pubblicata su Children&society nel 2012 e condotta da ricercatori indipendenti delle Università di Bethesda, della Groenlandia, di Stoccolma, di Yvaskula (Finlandia), di Copenaghen, di Akureyri (Islanda), di Goteborg, su 184.496 minori in 36 società occidentali (Italia inclusa) (Bjarnason et al.2012), ha osservato che i bambini che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto (suddivisione approssimativamente paritaria dei tempi) riportano un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata, solo un quarto di rango (-0,26) più basso dei bambini nelle famiglie unite –:
   se non ritenga di adottare iniziative conseguenti di fronte a questa evidente contraddizione tra risultanze scientifiche e prassi giuridiche per tutelare le generazioni future che sempre più spesso si trovano a dovere fronteggiare la separazione della propria coppia genitoriale (circa 80-90.000 minori ogni anno).
(3-01228)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo il decreto del Presidente della Repubblica del 21 febbraio 2014 la misura del rimborso delle spese per il palazzo di giustizia di Pescara viene effettuata ogni anno con apposito decreto che fissa la misura del rimborso;
   l'ultimo decreto, secondo quanto riferito dal comune di Pescara, è stato emesso ad aprile 2014 e riguarda le spese rendicontate per l'anno 2011;
   in assenza di apposito decreto che fissa la misura del rimborso, non si può promuovere una ingiunzione di pagamento in relazione al credito per gli anni 2012 e 2013 in quanto non si conosce la misura certa del rimborso –:
   se il Ministro della giustizia sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Ministro della giustizia confermi che non sono stati emanati i decreti che fissano la misura del rimborso per gli anni 2012 e 2013 e, in caso affermativo, in quali tempi intenda procedere. (5-04286)


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al momento attuale l'istituzione carceraria assolve due funzioni: quella di deterrenza e quella di neutralizzazione;
   secondo il dettato costituzionale sul concetto di pena essa dovrebbe altresì assolvere una funzione rieducativa, ma questa è pura utopia, perché pensare di rieducare una persona isolandola per 22 ore al giorno e privandola di tutto, è inconcepibile;
   la privazione contiene in sé la sospensione dei rapporti umani e delle relazioni personali. Eppure da sempre il legislatore non ha interrotto del tutto le vicende umane tra le strutture penali e il contesto socio-affettivo esterno. L'individuo che viene assoggettato alla reclusione non sparisce dal mondo senza lasciare traccia di sé, ha diritto a colloqui con i familiari, quindi implicitamente si riconosce la imprescindibile esigenza di avvicinamento del recluso al mondo esterno, in particolare a quello dei suoi affetti;
   permettere ai detenuti di vivere i propri affetti e aprire le carceri alla sessualità è un tentativo concreto di umanizzare la detenzione ed è un segnale importante di prospettiva per i detenuti e per i familiari, perché negare, impedire ad un detenuto la sessualità comporta sul piano sostanziale privare anche la moglie o la fidanzata o la compagna che, in definitiva, non hanno alcuna colpa da espiare;
   si sente imponente il bisogno di amare e di essere amato. Però intorno o vicino non c’è nulla a cui dedicare i propri sentimenti;
   ci sono paesi dove i detenuti possono passare alcune ore con il partner senza il controllo visivo per lasciare al detenuto la libertà di vivere un normale rapporto affettivo/sessuale col partner;
   ad esempio, in Olanda, Norvegia, Danimarca e alcuni lander della Germania ci sono piccoli appartamenti dove i detenuti condannati a lunghe pene possono incontrare i propri cari. Francia e Belgio sperimentano abitazioni dove stare insieme alla famiglia 48 ore, Croazia e Albania ammettono colloqui non controllati di 4 ore. Usa e Canada prevedono incontri in prefabbricati all'interno degli istituti;
   il Consiglio del ministri europei (con la raccomandazione R(98)7 regola n. 68) consente ai detenuti di incontrare il proprio partner senza sorveglianza visiva. L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha raccomandato la necessità di mettere a disposizione dei detenuti un luogo per gli incontri –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti in questione;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adeguare le carceri e la normativa a tale necessità e se non intenda, di conseguenza assumere iniziative per prevedere tale modifica nell'ambito del piano carceri. (5-04290)


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 42 dell'ordinamento penitenziario, nel disciplinare i trasferimenti dei detenuti, prevede che gli stessi possano essere disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari e che nel disporre i trasferimenti, deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie;
   la lontananza, infatti, ha sempre suscitato problematiche per i detenuti e per i loro familiari, oltre a rendere impossibile un reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza, in violazione del principio di territorialità della pena;
   spesso un trasferimento sgradito incide negativamente sulla condotta del detenuto e determina reazione inconsulte per rabbia più o meno repressa, per umiliazione, frustrazione. In tal modo, si possono determinare netti regressi, con un generale peggioramento della condotta del soggetto in rapporto non solo con gli operatori, ma anche con i compagni di detenzione e gli stessi familiari. Ugualmente, non ottenere un trasferimento cui il detenuto aspira, può provocare le stesse negative conseguenze;
   la circolare n. 3654/6104, emessa dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria il 20 febbraio 2014, definisce in maniera organica la materia dei trasferimenti dei detenuti, la quale non aveva mai visto una così compiuta disciplina;
   appaiono decisivi alcuni passaggi delle indicazioni generali, in premessa alla circolare in commento. Si eleva, infatti, il principio di territorialità della pena ad esigenza prevalente da coniugare con l'incolumità personale, la salute e la sicurezza. Tale principio prioritario, poiché assume rilevanza fondamentale ai fini del trattamento, deve essere garantito dall'amministrazione penitenziaria;
   al fine, quindi, di dare massima espansione al principio di territorialità della pena, deve essere assicurato, nella misura più ampia possibile, l'accoglimento delle istanze di trasferimento dei detenuti;
   il trasferimento viene quindi disciplinato come un diritto del detenuto, a prescindere dalla meritevolezza, in armonia col principio della rieducazione della pena ma nonostante tale riconoscimento ancora oggi si assiste ad un continuo flusso di trasferimenti, improvvisi e immotivati, di detenuti che vengono catapultati da un momento all'altro, e senza possibilità di avvisare un familiare, oppure un legale, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dai loro cari;
   per rendere più umana la vita in carcere in tempi di disumano sovraffollamento si potrebbe, a costo zero, attuare una diversa gestione dei trasferimenti dei detenuti –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sulla situazione su esposta;
   se il Ministro interrogato non intenda, alla luce di quanto esposto in premessa, agire per quanto di competenza, al fine di ridurre al minimo i trasferimenti dei detenuti e se non intenda effettuare un maggior controllo sulle motivazioni addotte dagli istituti che intendono effettuare tali trasferimenti;
   se non intenda rivedere l'attuale sistemazione dei detenuti e la riorganizzazione degli stessi, al fine di avvicinare il detenuto alla residenza dei suoi cari.
(5-04292)


   FERRARESI, SARTI, SPADONI, DALL'OSSO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito dalla legge 117 del 2014; che ha modificato l'articolo 24 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, prevedendo l'esecuzione di provvedimenti limitativi della libertà personale secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni anche nei confronti di coloro che, nel corso dell'esecuzione, abbiano compiuto il diciottesimo anno di età ma non il venticinquesimo, sta creando forti criticità all'interno delle carceri minorili;
   questa modifica legislativa, come allo stato strutturata, comporterà il passaggio di coloro che non hanno ancora compiuto i 25 anni, magari già transitati nelle carceri degli adulti, agli istituti penali minorili;
   questa scelta legislativa avrà una ricaduta negativa sulla vivibilità e l'organizzazione stessa delle attività degli istituti, risultando del tutto evidente che un ragazzo alle soglie dei 25 anni ha esigenze anche trattamentali del tutto diverse dai minorenni, come è chiaro che la convivenza all'interno della stessa struttura di minorenni con persone che hanno magari già anni di percorso criminale alle spalle possa comportare una contaminazione dei vissuti che contrastano con gli obiettivi della carcerazione, in particolare minorile;
   la stessa garante regionale dell'Emilia Romagna delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale, Desi Bruno, dopo la sua ultima visita all'Istituto penale minorile regionale in via del Pratello (Bologna), del mese di ottobre 2014, ha affermato che la legge che consente la convivenza di minori con maggiorenni sta producendo «effetti perversi»;
   così, nei fatti, è avvenuto con il passaggio agli istituti penali minorili di coloro che non hanno ancora compiuto i 25 anni e che hanno commesso il reato da minorenni, senza escludere che siano già transitati nelle carceri degli adulti;
   immediata è stata la ricaduta negativa sull'aumento dei reclusi, sulla vivibilità e sull'organizzazione stessa delle attività del carcere minorile «Il Pratello», che ancora soffre delle note croniche carenze strutturali che non consentono di operare una differenziazione per gruppi d'età, per pericolosità sociale, né tantomeno di dedicare ambienti per il diritto all'affettività del minore, così come richiede la circolare del dipartimento giustizia minorile n. 33502 del 30 settembre 2014;
   al 23 luglio 2014, risultavano 16 ragazzi ristretti, con date di nascita comprese fra il 1994 ed il 1999 (di cui 4 di recente assegnazione, trasferiti da altri istituti per motivi disciplinari); con riferimento alla posizione giuridica, 7 sono definitivi, 6 imputati, 3 con posizione mista; è del tutto residuale la presenza di ragazzi con cittadinanza italiana, diversi i cittadini stranieri di seconda generazione, solo 2 i ragazzi stranieri irregolari sul territorio 4 i ragazzi presenti nel Centro di prima accoglienza, 7 i ragazzi presso la comunità ministeriale;
   alla data del 22 ottobre 2014, i reclusi diventano 24, solo 11 sono i minorenni;
   nel carcere minorile i detenuti sono costretti a vivere in quattro per ogni cella, questo a causa dell'inagibilità del secondo piano, dovuta alle grosse nevicate del 2011 e al terremoto del 2012, con i lavori di sistemazione finanziati e mai partiti;
   i ragazzi, raccontano i garanti, sono costretti a giocare a calcetto all'interno di una gabbia di rete di ferro, simile ad una voliera;
   la maggior parte di loro sono in cella senza alcuna attività, in celle spesso in disordine, con i muri sporchi; l'unica nota positiva riguarda il laboratorio teatrale curato dal regista Paolo Billi, che però occupa solo 5 ragazzi e lamenta scarsi finanziamenti dagli enti locali;
   manca un'area verde e il sistema di videosorveglianza non è funzionante, anche gli edifici contigui sono in condizioni precarie, con il rischio di caduta delle tegole dal tetto;
   secondo i dati forniti dalla direzione, da inizio 2014 vi sono stati 70 atti di polizia giudiziaria per eventi di vario tipo (tra queste interrogatori e richieste di informazioni a consolati nel caso di istanze di autorizzazione, telefonate con i familiari); circa 15 le segnalazioni legate a episodi violenti (fra i ragazzi e il personale e fra i ragazzi stessi); 5 i casi di aggressioni a personale della polizia penitenziaria; negli ultimi due anni sono stati 80 i casi in cui è stato convocato il consiglio di disciplina, non solo per questioni che attengono a profili disciplinari, ma anche premiali in favore dei minori;
   ai primi di ottobre 2014, un detenuto di origini albanesi ha tentato di accoltellare un altro detenuto di origini romene con un punteruolo artigianale; dopo questo ennesimo episodio di violenza tra le mura carcerarie, la Cgil funzione pubblica è intervenuta chiedendo: «interventi urgenti per ovviare alla stranota carenza di personale per un potenziamento degli organici» –:
   se sia prevista per questa tipologia di detenuti (coloro che non hanno ancora compiuto i 25 anni, interessati dalla modifica all'articolo 24 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272) l'istituzione di appositi e dedicati istituti a custodia attenuata, anche alla luce dell'esiguo numero degli interessati, per i quali potrebbe non essere particolarmente arduo recuperare spazi detentivi nell'ambito del circuito penale minorile, dove esistono varie strutture con un numero minimo di detenuti presenti;
   se non intenda disporre la copertura dei posti in organico nel carcere minorile «Il Pratello» di Bologna, al fine di evitare il ripetersi di fatti che minano l'incolumità dei detenuti e quella stessa degli agenti di polizia penitenziaria;
   se non intenda intervenire affinché i lavori di sistemazione strutturale degli edifici interessati siano eseguiti nel più breve tempo possibile;
   se non ritenga di assumere iniziative per rivedere totalmente la modifica introdotta con l'articolo 5 del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito dalla legge 117 del 2014, che ha modificato l'articolo 24 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, come richiesto tra l'altro dallo stesso garante dei detenuti per l'Emilia Romagna. (5-04295)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il Registro Italiano Navale (RINA) ha una storia di oltre 150 anni, occupa quasi 4.000 persone, di cui oltre 1000 solo su Genova, e impiega una percentuale di laureati, di età media inferiore ai 40 anni, del 75 per cento;
   il 12 ottobre 2014 la trasmissione televisiva Report ha reso pubbliche alcune intercettazioni – già apparse nel 2012 – che metterebbero in dubbio l'operato del RINA nell'ambito dei rapporti con Fincantieri, in relazione all'attività di certificazione delle navi;
   a seguito di tale servizio giornalistico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 14 ottobre 2014, ha istituito una apposita commissione ministeriale per verificare se vi siano state irregolarità in merito alle procedure seguite dal RINA per il rilascio delle attestazioni e certificazioni per la sicurezza del naviglio nazionale;
   il 23 e 24 ottobre 2014 è avvenuta l'ispezione da parte della Commissione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti presso gli uffici del RINA nella sede di Genova;
   nel mese di novembre 2014 alcune testate giornalistiche di settore hanno riportato la notizia che gli ispettori avrebbero verificato l'attività del RINA, confermando la regolarità delle procedure adottate dalla società per certificare la sicurezza delle navi rispetto ai fatti contestati;
   l'amministratore delegato del RINA, Ugo Salerno, si è detto a conoscenza della questione sollevata poiché era di dominio pubblico da almeno due anni: la telefonata trasmessa da Report, in particolare, era stata acquisita e ritenuta non importante dai magistrati nell'ambito del «processo Concordia» –:
   se il Governo non ritenga doveroso rendere pubblici gli esiti di detta ispezione, i cui risultati sono al momento trapelati solo da indiscrezioni giornalistiche;
   quali siano le risultanze riportate dalla commissione deputata ai controlli e se dalla medesima siano emersi elementi di conferma delle presunte irregolarità o se, al contrario, sia stata confermata la correttezza dell'operato del registro italiano navale rispetto ai fatti contestati.
(2-00787) «Biasotti, Palese».

Interrogazione a risposta orale:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini titolari di patente di guida rilasciata da uno Stato extracomunitario, se non sono residenti in Italia da più di un anno, possono guidare veicoli per i quali è valida la loro patente allegando alla stessa una traduzione integrale ed ufficiale; acquisita la residenza, tali cittadini possono richiedere la conversione, che consiste nel rilascio di una nuova patente italiana corrispondente a quella estera, del documento di guida rilasciato da uno Stato extracomunitario con cui sussistono rapporti di reciprocità;
   la conversione è possibile, quindi, solo per le patenti rilasciate dagli Stati non aderenti all'Unione europea con i quali l'Italia ha stabilito rapporti di reciprocità;
   gli Stati con i quali ad oggi vigono convenzioni in materia di conversione delle patenti di guida sono Albania, Algeria, Argentina, Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, El Salvador, Ecuador, Estonia, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Israele, Islanda, Lettonia, Libano, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Marocco, Moldova, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Principato di Monaco, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Romania, Repubblica di San Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Svizzera, Taiwan, Tunisia, Turchia, Ungheria, Uruguay;
   le patenti attualmente utilizzate in Brasile non corrispondono al modello stabilito dalle Convenzione di Ginevra del 1949 e del modello fissato dalla Convenzione di Vienna del 1968 entrambe ratificate e recepite dall'ordinamento giuridico italiano;
   non esiste, al momento, un accordo bilaterale in vigore tra la Repubblica federativa del Brasile e la Repubblica Italiana, sulla conversione della «Carteira de Habilitação Brasileira» in Italia, pertanto, i brasiliani con residenza in territorio italiano (iscritti all'anagrafe), devono obbligatoriamente sostenere tutti gli esami teorici e pratici, richiesti dal Governo, per l'emissione della patente italiana poiché la guida di veicolo a motore senza la necessaria autorizzazione può far incorrere in contravvenzione e ritiro del veicolo per un periodo di tre mesi –:
   se siano in corso iniziative e trattative fra il Governo italiano e la Repubblica federativa del Brasile al fine di concludere un accordo per la conversione delle patenti di guida tra i due Paesi e quali siano i tempi previsti per l'entrata in vigore dell'accordo stesso. (3-01223)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, nell'ottica dello sviluppo della rete trans europea dei trasporti TEN-T, presentata il 19 ottobre 2011, «prospetta la creazione di una rete articolata in due livelli: una rete centrale (core network) a livello di Unione europea, da realizzare entro il 2030, basata su un approccio per corridoi ed una rete globale (Comprehensive), da realizzare entro il 2050, che comprenderà infrastrutture a livello nazionale e regionale»;
   nell'ambito della proposta di bilancio pluriennale dell'Unione europea 2014-2020, il 19 ottobre, la Commissione europea ha presentato un piano di investimenti pari a 50 miliardi di euro per migliorare le reti europee di trasporto, energia e digitali: «Meccanismo per collegare l'Europa» (Connecting Europe Facility – CEF);
   l'obiettivo generale del CEF, che stabilisce i metodi e le procedure per il finanziamento dei progetti TEN-T, «è quello di contribuire alla realizzazione di reti interconnesse eco-sostenibili e ad alta prestazione, favorendo la crescita economica e la coesione sociale e territoriale all'interno dell'Unione europea»;
   l'aeroporto di Pisa non rientra al momento nei progetti «core» in Italia;
   il 30 aprile 2013 l'allora Commissario europeo ai trasporti Siim Kallas sottolineava che «sulla base della metodologia di pianificazione della rete TEN-T, non è possibile includere l'aeroporto di Pisa nella rete centrale TEN-T in quanto non soddisfa i criteri corrispondenti: Pisa non è un aeroporto di un nodo urbano centrale; inoltre, con i suoi 4,5 milioni di passeggeri all'anno, l'aeroporto di Pisa non raggiunge la soglia di volume di circa 7,8 milioni di passeggeri. Anche il volume del traffico merci dell'aeroporto si attesta al di sotto della soglia richiesta»;
   sempre l'allora commissario europeo Siim Kallas, rispondendo ad un'interrogazione del parlamentare europeo Claudio Morganti, ha ribadito che «né Pisa né Firenze rappresentano un nodo urbano centrale. Non solo, ma sia l'aeroporto di Pisa (dove c’è una stima di passeggeri di circa 4-5 milioni all'anno) sia quello di Firenze (dove transiterebbero circa 1 milione di passeggeri) sono lontane dalla soglia di volume di circa 7-8 milioni di passeggeri. L'aeroporto di Firenze, quindi, con l'ampliamento non raggiungerebbe comunque i numeri per entrare nei core network aeroportuali»;
   le istituzioni regionali hanno dato il via libera nei mesi scorsi all'integrazione dei due aeroporti con la vendita di quote pubbliche delle società AdF spa e Sat spa, passate sotto il controllo di Corporacion America che, come concessionaria di terminal aeroportuali e di carico, è presente in cinquantatre aeroporti in Sudamerica ed Europa;
   il Presidente di Corporacion America ing. Naldi, in audizione presso le Commissioni VI e VII della regione Toscana, verbale 146c attestava che Pisa stessa ha diritto ad accedere a finanziamenti pubblici, probabilmente in quota diversa rispetto a Firenze che essendo un aeroporto sotto i 7 milioni di passeggeri, ha diritto di presentare domande e accedere ai Fondi dell'Unione europea fino a un 50 per cento. Pisa avrebbe diritto di accedere a finanziamenti fino al 25 per cento, essendo sotto i 5 milioni di passeggeri;
   il precedente Piano nazionale degli aeroporti, presentato dall'allora Ministro Passera, non prevedeva Pisa e Firenze quali aeroporto strategici; alla luce di tale artificiosa ed impropria aggregazione finanziaria viene attribuito lo status di aeroporto strategico che secondo l'interrogante sarebbe in contrasto con i criteri di valutazione EU;
   in base a quanto asserito pubblicamente dal viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Nencini in data 20 novembre 2014 secondo il quale «la carenza di spazi presso tale aeroporto di Pisa, nonché le limitazioni operative, non consentono di prevederne un potenziamento adeguato alla prevista crescita di traffico civile commerciale». Di qui – prosegue Nencini – l'esigenza di intervenire «sullo scalo di Firenze» per superare le attuali criticità, secondo l'interrogante non considerando adeguatamente le valutazioni tecniche e le limitazioni degli scali (Firenze dovrebbe operare solo in regime monodirezionale per evitare il sorvolo della città) di fatto viene confermata una operazione che l'interrogante giudica concorrenza sleale non solo in riferimento alle procedure europee ma addirittura all'interno del territorio nazionale;
   le linee guida del Ministero del 2 ottobre 2014 inerenti «le incentivazioni per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori ai sensi dell'articolo 13, commi 14 e 15, del decreto-legge n. 145 del 23 dicembre 2013», chiarisce gli orientamenti invitando gli Stati al rispetto dei principi fondamentali alla base del finanziamento pubblico, facendo riferimento all'articolato delle varie direttive europee in materia, rafforzate poi dal dispositivo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea delle comunicazione C 99/3 mentre non faceva riferimento alla parte relativa agli aeroporti di cui ai punti 12 e 86 della citata comunicazione che attesta la «Delimitazione Geografica di Mercato» e le modalità di eventuali finanziamenti, proprio per prevenire effetti distorsivi con concorrenza sleale fra aeroporti –:
   se alla luce della nuova integrazione degli aeroporti di Pisa e Firenze ritenga possibile ottenere i finanziamenti Ten-T, inserendo i due scali nella rete centrale (core network) prevista dalla Unione europea;
   se sia stata presentata o se intenda presentare richiesta formale per accedere ai finanziamenti dell'Unione europea per gli interventi sugli aeroporti di Pisa e Firenze;
   con quali modalità il Governo, con i finanziamenti pubblici previsti per la realizzazione del nuovo aeroporto di Firenze, intenda rispettare le direttive dell'Unione europea, in materia di aiuti di Stato, considerata anche la non strategicità degli scali toscani, sancita dall'Unione europea;
   se reputi davvero opportuno stanziare per l'aeroporto di Firenze un finanziamento di 50 milioni di euro probabilmente altri 100 milioni di euro come richiesto dal Masterplan presentato da ADF. (5-04294)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto S. Anna di Crotone, principale infrastruttura della Calabria ionica centro-settentrionale, insiste su un'area con un bacino di utenza primario che si estende oltre i limiti della provincia crotonese e che comprende l'altopiano silano, la fascia Ionica della provincia di Cosenza sino ai confini con la Basilicata, i comuni a Nord-Est della provincia di Catanzaro, per una popolazione residente complessiva di circa 450.000 abitanti pari a circa il 25 per cento dell'intera popolazione calabrese;
   la Società Aeroporto S. Anna spa è il gestore parziale dell'aeroporto di Crotone, così come previsto dal decreto D/DG43/01 del 17 aprile 2001 con cui la società è stata autorizzata all'occupazione e all'uso dei beni demaniali aeroportuali, ai sensi dell'articolo 17 del decreto-legge n. 67 del 1997, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 1997;
   l'aeroporto serve una regione periferica e in via di sviluppo e in quanto tale beneficia degli oneri di riservizio pubblico (come gli aeroporti di Pantelleria e Lampedusa) per garantire i servizi aerei di linea necessari a soddisfare i bisogni primari per lo sviluppo economico del territorio interessato, la cui crescita non può prescindere dall'ammodernamento e potenziamento dello scalo aeroportuale, considerate anche le gravi carenze infrastrutturali relative alle modalità di trasporto su gomma e su ferro che limitano di fatto l'accessibilità del territorio in tempi ragionevoli e competitivi;
   come anche valutato dalla Commissione europea, determinati aeroporti, come l'aeroporto di Crotone, rivestono un importante ruolo da svolgere in termini di connettività regionale di regioni dell'UE che sono isolate, remote e periferiche;
   considerato che l'aeroporto di Crotone è in regime di gestione precaria ai sensi dell'articolo 17 del decreto-legge n. 67 del 1997, non può attuare strategie di carattere commerciale come, ad esempio, «la fissazione di diritti aeroportuali» che si ricorda sono i più bassi d'Italia, dovendo mantenere, nel contempo, tutte le certificazioni aeroportuali, al pari di aeroporti che sono in gestione totale e che attuano il contratto di programma, che disciplina il profilo tariffario, la realizzazione del piano degli investimenti e il rispetto degli obiettivi di qualità e di tutela ambientale;
   l'articolo 106 del Trattato sul finanziamento dell'Unione europee, nel disciplinare il principio della garanzia della qualità dei servizi di interesse generale, pone tali servizi come strumento di rafforzamento della coesione sociale, nell'ambito della quale agli Stati membri è consentito provvedere alla compensazione degli oneri sostenuti dalle imprese per effettuare quelle prestazioni che esse sono obbligate ad erogare per adempiere i loro obblighi di servizio pubblico (criterio della compensazione);
   è indubbio che il funzionamento dell'aeroporto di Crotone rappresenta per la regione Calabria e per le popolazioni interregionali del Sud, lo strumento di erogazione di un servizio di trasporto rientrante tra gli obblighi del servizio pubblico a carattere economico, indispensabile per la continuità territoriale del paese per la coesione territoriale delle relative aree sottoutilizzate;
   il carattere di servizio d'interesse economico generale del trasporto aereo dell'aeroporto di Crotone è pienamente conforme alla comunicazione della Commissione del 12 maggio 2004, secondo cui i servizi di interesse generale sono considerati come uno dei pilastri del modello europeo di società e come uno strumento essenziale di garanzia della coesione sociale e territoriale e della competitività. Inoltre, si è riconosciuto che l'erogazione di servizi di interesse generale di alta qualità, accessibili e a prezzi abbordabili – alla quale gli Stati possono provvedere mediante imprese pubbliche o private o in collaborazione con il settore privato – è compatibile con la realizzazione di un mercato aperto e competitivo, in particolare ove ciò si traduca nell'esigenza di garantire condizioni di parità a tutti i prestatori di servizi e nell'ottimizzazione dell'impiego del denaro pubblico;
   di recente la regione Calabria ha sottolineato come ai fini dell'ottenimento degli oneri di servizi da parte della Società che gestisce l'aeroporto di Crotone, risulti fondamentale il riconoscimento da parte del Governo, della natura di Servizio di interesse economico generale (SIEG) per i trasporti che tale scalo aereo è in grado di assicurare. Non a caso la regione Calabria sta promuovendo e sostenendo il progetto «SIEG» per l'aeroporto di Crotone, oltre che in maniera istituzionale, anche tramite lo stanziamento di importanti risorse economiche. Nel bilancio 2013 ha assegnato al progetto 400.000 euro e nel bilancio 2014 ne ha accantonato ulteriori 500.000 euro, ma l'effettivo buon esito di tali azioni e la spendibilità delle risorse dipendono principalmente dal conseguimento del predetto SIEG il quale garantirebbe stabilità alle economie aeroportuali consentendo alla regione di ricapitalizzarle;
   dal punto di vista nazionale, l'Italia ha inserito il Cielo unico europeo 11 + tra i temi prioritari per il proprio semestre di presidenza, oltre che per concorrere ad un concreto sviluppo del Paese, anche per fare in modo che l'Europa abbia un sistema del trasporto aereo dinamico, competitivo ed in grado di affrontare le sfide che derivano dalla crescente domanda di traffico prevista nei prossimi anni. In tal senso il potenziamento dell'aeroporto di Crotone e l'avocazione a se stessi da parte dello Stato e della regione Calabria di parte dei costi di gestione dell'aeroporto altrimenti non recuperabili tramite le entrate commerciali, sarebbero misure commisurate agli obiettivi del Governo ed alle legittime aspettative del tessuto economico e sociale della regione Calabria;
   come si rileva dal Consiglio internazionale degli aeroporti (ACI) in una recente analisi, 1'80 per cento dei costi di un aeroporto sono costi fissi, indipendenti dal traffico passeggeri, imputabili tanto alle infrastrutture quanto ai costi di funzionamento in larga parte derivanti da obblighi di sicurezza: ciò rende il costo per passeggero di un piccolo aeroporto di molto superiore a quello di un grande aeroporto che può, invece, spalmare i costi fissi su un grande volume di passeggeri, aumentandone notevolmente le difficoltà a raggiungere il punto di pareggio economico;
   le condizioni che i piccoli aeroporti devono affrontare per sviluppare i propri servizi e per attirare finanziamenti privati per i propri investimenti infrastrutturali, sono spesso meno favorevoli rispetto a quelle che vengono offerte ai principali aeroporti;
   è un fatto ormai generalmente riconosciuto che gli aeroporti possono avere un certo impatto sul successo delle economie locali e sul mantenimento di servizi come la scuola, la sanità e il turismo; essi svolgono anche un ruolo di primaria importanza nell'integrazione economica delle regioni europee più periferiche;
   d'altra parte, però, un aeroporto regionale deve spesso cercare di colmare evidenti «deficit di immagine» per poter attrarre concretamente le società del trasporto aereo e per questo deve investire risorse per sopperire alla scarsa notorietà riconducibile ad esempio al suo isolamento in regioni ultraperiferiche della Comunità (il territorio crotonose non è servito né dalla ferrovia né dall'autostrada), oppure alla sua ubicazione in regioni colpite dalla crisi economica;
   Crotone è la provincia più povera d'Italia: considerate le gravi carenze infrastrutturali relative alle modalità di trasporto su gomma e su ferro che limitano di fatto l'accessibilità del territorio in tempi ragionevoli e competitivi (ferrovia a binario unico non elettrificato, accesso autostradale a circa 200 km), appare evidente come l'unico mezzo di trasporto per lo sviluppo, sostanzialmente turistico (Crotone è la seconda destinazione turistica di tutta la Calabria), sia l'aeroporto;
   l'aeroporto di Crotone ha sottoscritto, nella seduta del Consiglio d'amministrazione del 9 aprile 2013, il contratto handling con la Compagnia Ryanair per la durata di cinque anni;
   la compagnia Ryanair ha subordinato l'inizio dell'attività aerea all'attivazione del servizio di traffico aereo (ATC) che, al momento, dovrebbe essere a totale carico della Società di gestione aeroportuale che, come detto in precedenza, non svolge ancora un ruolo di carattere commerciale;
   l'Enav eroga sullo scalo di Crotone il servizio informazioni volo aeroportuale (AFIS) e non il servizio ATC, con evidenti restrizioni e penalizzazioni dello scalo stesso in termini operativi e commerciali, che di fatto escludono o possano escludere lo scalo aeroportuale dal mercato aereo. Non vi è però alcuno ostacolo a livello infrastrutturale per l'attivazione del servizio ATC, in considerazione del fatto che sullo scalo è presente un nuovo blocco tecnico TWR (controllo di aeroporto), inaugurato da pochi anni;
   è indubbio che l'erogazione del servizio ATC in favore di altri aeroporti aventi caratteristiche analoghe a quello di Crotone, ha permesso ai relativi scali di svilupparsi anche attraverso il traffico low cost, mentre l'erogazione del servizio AFIS ha di fatto penalizzato scali come Crotone (il suo territorio e la sua economia) che, non beneficiando del servizio ATC, hanno subito un drastico calo dei collegamenti, non potendo chiudere accordi commerciali con quei vettori che considerano il servizio ATC condizione necessaria per potere operare;
   la società Aeroporto S. Anna, insieme alla istituzioni locali, sono determinate a non perdere la grande occasione dell'attivazione dei voli Ryanair, essenziali per far uscire definitivamente il loro territorio dall'isolamento che ormai caratterizza il tessuto economico e sociale di Crotone. Anche per questo la stessa Società S. Anna ha sottoscritto un contratto di natura privatistica e oneroso con l'Enav, con la certezza che tale sforzo potesse sfociare, come richiesto più volte ai Ministeri competenti, nella copertura dei servizi Enav a carico del contratto di programma come è peraltro per tutti gli altri aeroporti del piano nazionale;
   ad ogni modo, dall'apertura dei voli Ryanair in un solo mese si sono registrati 20.000 passeggeri, con questi dati si può ipotizzare che l'aeroporto di Crotone potrebbe superare la soglia dei 300.000 passeggeri in un solo anno;
   lo sviluppo dell'aeroporto di Crotone può concorrere concretamente alla crescita economica e culturale locale, alla mobilità dei cittadini, alla competitività della regione oltre che alla integrazione politica e sociale della relativa area interregionale con il resto dell'Europa –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per consentire la risoluzione delle criticità che ostacolano la piena e sostenibile funzionalità dell'aeroporto di Crotone;
   entro quale termine sia previsto il riconoscimento della natura di servizio di interesse economico generale per il trasporto aereo svolto dalla società di gestione dell'aeroporto di Crotone e ad ogni modo se non intenda provvedere affinché esso sia conseguito;
   quali provvedimenti intenda adottare per fare in modo che presso l'aeroporto di Crotone sia assicurato il servizio di traffico aereo (ATC). (5-04296)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI, PETRAROLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 ottobre 2014, la Commissione europea ha notificato all'Italia un parere motivato, secondo passo della procedura preliminare di infrazione, chiedendo al nostro Paese di rispettare le norme comunitarie sugli appalti pubblici, in merito alla proroga di 18 anni concessa nel 2008 alla società concessionaria della gestione dell'autostrada A12 Livorno-Civitavecchia;
   in base alla normativa europea sugli appalti pubblici, la proroga di una concessione equivale a una nuova concessione e, pertanto, può essere aggiudicata solo a seguito di una procedura competitiva di offerte;
   l'attuale Governo, incurante delle censure comunitarie, non ha modificato il modus operandi dei suoi predecessori: l'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia), nella sua prima versione, consentiva ai concessionari di tratte autostradali nazionali di avviare una procedura di modifica del rapporto concessorio attraverso una proposta di modifica e la predisposizione di un nuovo piano economico finanziario per la stipula di un atto aggiuntivo o di un'apposita convenzione unitaria; solo in sede di conversione, la facoltà concessa ai concessionari è stata mitigata dalla necessità di approvazione di tali modifiche da parte dell'Unione europea;
   secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, tali misure delineano un meccanismo di proroga implicita delle concessioni, eliminando un fattore concorrenziale del settore;
   la proroga delle concessioni fa il paio con l'aumento indiscriminato dei pedaggi autostradali, favorito da una normativa complessa e poco chiara;
   al riguardo, valgano le considerazioni espresse dall'Autorità di regolazione dei trasporti nel recente primo rapporto annuale al Parlamento: «In pochi anni si è assistito a una successione di numerose disposizioni che hanno rivisto, in tutto o in parte, il metodo tariffario del settore. In sostanza, ad oggi troviamo in vigore ben sei metodi tariffari distinti: uno definito nella Delibera del 1996, uno in quella del 2004, due in quella del 2007 e due definiti nella legge numero 2/2009. Questa molteplicità di regimi tariffari definisce un quadro regolatorio molto critico»;
   l'effetto complessivo di queste numerose revisioni tariffarie è comunque quello di un aumento continuativo della tariffa media pagata dal consumatore italiano. Gli aumenti sono stati superiori all'inflazione e solamente negli ultimi dieci anni hanno registrato un aumento di quasi due volte la variazione dell'indice dei prezzi al consumo;
   le società concessionarie autostradali, nell'ultimo ventennio, hanno goduto di un aumento dei ricavi pari al 270 per cento passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a 6,5 miliardi nel 2012, con picchi di crescita superiori al 7 per cento nel 2003 e 2010-2011;
   il settore è caratterizzato da una elevata e stabile redditività operativa con margini operativi che nel 2012 non sono mai risultati inferiori al 20 per cento per tutti i concessionari, e in alcuni casi prossimi al 60 per cento, e un utile operativo anch'esso mediamente pari al 20 per cento, con concessionari che presentano una redditività assai elevata (superiore al 40 per cento);
   le formule tariffarie hanno in comune la presenza di parametri legati al tasso d'inflazione (programmato/reale), a un coefficiente di produttività e ad un parametro di remunerazione degli investimenti, oltre ad un parametro che misura la qualità del servizio;
   da quanto sopra riportato, è evidente la necessità di procedere ad un riordino del sistema volto ad uniformare i regimi tariffari, riconducendo le formule applicate da un unico regime;
   l'opportunità di riordinare il sistema senza ulteriori interventi normativi scaturirebbe proprio dalle concessioni in scadenza, alle quali, ad esito di un nuovo bando di gara, applicare un modello unico di convenzione;
   alternativa ancora migliore sarebbe quella, alla scadenza delle concessioni, di riportare la gestione delle autostrade allo Stato, riducendo in tal modo l'importo dei pedaggi, che andrebbero a coprire solo i costi di gestione corrente delle autostrade;
   le poche e semplici attività gestionali (esazione, pulizia, manutenzione) potrebbero essere messe separatamente e periodicamente a gara e assegnate alle imprese private più efficienti e il gettito dei pedaggi affluirebbe invece direttamente allo Stato;
   è utile ricordare che le concessioni autostradali sono nate per sostenere, senza investire fondi pubblici, i costi di costruzione delle autostrade, da ripagare con i pedaggi autostradali; una volta ammortizzati tali costi nel corso del periodo di concessione, non c’è più alcun motivo di ricompensare così lautamente i concessionari autostradali –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di evitare che la procedura preliminare di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia conduca ad un procedimento formale di infrazione innanzi alla Corte di giustizia europea;
   quali iniziative intenda adottare al fine di porre fine all'incertezza regolatoria del regime di concessioni autostradali, denunciata dall'Autorità di regolazione dei trasporti;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per porre fine al rincaro annuale dei pedaggi autostradali, valutando in tale ottica se non sia opportuno riaffidare la gestione delle autostrade allo Stato alla scadenza delle concessioni. (4-07280)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 agosto 2014 la società Atlantica di Navigazione spa (società del Gruppo Grimaldi Compagnia di navigazione spa) ha presentato un'istanza ai sensi dell'articolo 18 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione;
   attraverso tale istanza la società Atlantica di navigazione spa ha richiesto il rilascio, ai sensi della legge n. 84 del 1994, della concessione demaniale marittima della zona portuale ubicata nel porto medio di Brindisi, unitamente al terminal passeggeri ivi esistente ed ai relativi fabbricati accessori, per una estensione di aree coperte pertinenziali pari a metri quadrati 2.074,50 per l'esercizio, in conto proprio ed in conto terzi, delle operazioni portuali di cui all'articolo 16 della legge n. 84 del 1994, e segnatamente quelle operazioni portuali connesse con il traffico traghetti da passeggeri (ivi incluse le attività di assistenza) e ro-ro, per la durata di anni venti;
   la società richiedente ha specificato che la richiesta è subordinata al riconoscimento dell'esonero, per tutta la durata della concessione richiesta, dall'obbligo del versamento dei cosiddetti diritti portuali, di cui ai provvedimenti emanati dall'autorità portuale di Brindisi;
   da comunicati stampa di associazioni costituite da tecnici e imprenditori del settore, e da testate giornalistiche locali, si evince che considerata la situazione in cui si trova attualmente il porto di Brindisi, tale concessione a Grimaldi non può essere data perché a Brindisi, diversamente dagli altri porti in cui Grimaldi è già terminalista, non vi sono altre banchine disponibili per l'ormeggio di altri armatori concorrenti oltre a quelle già concesse alla stessa società;
   la situazione attuale del porto di Brindisi è completamente diversa, in quanto non è tale da assicurare la necessaria libera concorrenza in caso di concessione ad un armatore delle uniche banchine adeguatamente infrastrutturate per il traffico ro-ro al momento disponibili e tale condizioni di monopolio di fatto che verrebbero a determinarsi, non consentirebbero nelle condizioni date, in un'ottica di auspicata di prossima ripresa dei traffici internazionali, di ospitare nel porto di Brindisi nuove compagnie di navi traghetto;
   tale condizione di precarietà del porto di Brindisi è aggravata dalla perdita di finanziamento, per cinquanta milioni di euro a causa di quella che gli interroganti giudicano la cattiva gestione da parte dell'autorità portuale di Brindisi, relativa al progetto dei cinque nuovi accosti per navi traghetto da realizzare nell'area portuale denominata S. Apollinare, e che avrebbe consentito di offrire altre banchine per la stessa tipologia di traffico esercitato da Grimaldi;
   da quanto esposto si evince che la richiesta di concessione avanzata dal gruppo Grimaldi non è compatibile con le prescrizioni della legge 84 del 1994 che impongono che la presenza di terminalisti non sia estesa a tutte le aree ed infrastrutture portuali, al fine di consentire le attività anche degli altri operatori, e che, di conseguenza, se l'autorità portuale di Brindisi dovesse concedere gli spazi richiesti lo farebbe in violazione della citata legge;
   l'esito del rilascio della concessione, infatti, sarebbe che nel porto di Brindisi il traffico traghetti passeggeri e merci dipenderebbe, per i prossimi vent'anni, da un unico operatore, posto che l'area portuale non offre banchine alternative in grado di soddisfare, a pari condizioni, le esigenze di armatori concorrenti;
   il Gruppo Grimaldi, inoltre, contestualmente al rilascio della concessione ventennale dell'intera area di Punta delle Terrare e delle strutture esistenti (rampe, banchine e prefabbricato), ha chiesto anche l'autorizzazione di terminalista (articolo 18 della legge n. 84 del 1994), e quella di impresa portuale (articolo 16 della medesima legge);
   l'autorità portuale di Brindisi non è attualmente in grado di garantire pari opportunità a tutti gli operatori che chiedono di utilizzare le banchine del porto per i traffici ro-ro e passeggeri, e sta, inoltre, perdendo finanziamenti cospicui necessari allo sviluppo del porto;
   la concessione delle aree richieste determinerebbe una situazione di monopolio di fatto che danneggerebbe il porto di Brindisi sia limitandone la possibilità di acquisizione di nuovi traffici, sia impedendo allo stesso di conservare il suo attuale ruolo strategico di porto roro delle autostrade del mare del Mediterraneo che gli consentirebbe di occupare posizioni primarie anche nel nuovo assetto organizzativo derivante dal Piano dei porti e della logistica in elaborazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda porre in essere con riferimento all'operato dell'autorità portuale di Brindisi affinché siano rispettate le prescrizioni in termini di concorrenza imposte dalla legge 84 del 1994, e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire lo sviluppo del porto di Brindisi. (4-07291)


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Compagnia aerea New Livingston spa è una compagnia aerea di Cardano al Campo (VA), specializzata nel settore dei voli charter e che opera con voli nazionali e internazionali, che ha rilevato il nome, i diritti di atterraggio e tutti gli asset dalla procedura di liquidazione della Compagnia aerea Livingston Energy Flight, già Lauda Air Italia;
   dopo il fallimento della vecchia compagnia, di proprietà di Massimo Ferrero, il Comitato di sorveglianza per l'amministrazione straordinaria, in data 13 ottobre 2011, esprime parere favorevole alla cessione degli asset della compagnia aerea alla RT srl di Riccardo Toto. Il 12 novembre 2011 il Ministero dello sviluppo economico dà il via libera all'operazione permettendo la creazione della New Livingston spa;
   la New Livingston, peraltro, aveva presentato al tribunale di Busto Arsizio la richiesta di ammissione al concordato preventivo con riserva, richiesta accolta dal Tribunale in data 27 giugno che aveva altresì fissato la data del 15 ottobre 2014 per la presentazione del piano concordatario, con monitoraggio mensile. Il 7 ottobre la New Livingston spa chiude le operazioni di volo per problemi finanziari;
   per la Livingston il sogno di volare è terminato il primo dicembre, 2014. Da quanto si apprende dal quotidiano La Prealpina del 6 dicembre 2014, è arrivato da parte della commissione regionale della Lombardia, l'inserimento nelle liste di mobilità per le 147 donne e 87 uomini che erano impiegati come assistenti di volo, piloti e personale a terra. Dopo 4 anni di cassa integrazione potranno godere dell'ultimo paracadute, la mobilità, poi ci sarà la disperazione. Non meglio stanno gli altri 171 colleghi che percepiscono la cassa integrazione, per loro la speranza non è ancora finita;
   l'area attorno all'aeroporto di Malpensa presenta una crisi profonda, migliaia sono le persone che hanno perso il lavoro. Il sogno di Malpensa si è, di fatto, tramutato in un incubo –:
   cosa intendano fare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per rilanciare il lavoro e l'economia nell'area attorno all'aeroporto di Milano – Malpensa;
   quali iniziative intendano avviare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per tutelare i 405 lavoratori della Livingston.  (4-07292)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in Umbria e a Perugia è allarme ’ndrangheta: l'Umbria, considerata da sempre non a rischio rispetto al fenomeno mafioso, sta diventando terreno molto fertile per la proliferazione di questa forma di criminalità organizzata che sembra stia generando un vero e proprio inquinamento dell'economia locale, avvantaggiandosi della crisi economica e della ricaduta che questa ha sulle piccole e medie imprese;
   il 10 dicembre 2014 è partita una importante operazione di polizia che ha interessato l'Umbria: «Estorsioni, minacce, intimidazioni e violenze nei confronti degli imprenditori locali, soprattutto del settore edile. Agivano così i 61 arrestati appartenenti a una vera e propria “holding criminale” collegata alla ’ndrangheta umbra che opera a Perugia da 6 anni e “interessata al mercato della green economy”, come ha spiegato il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Le cellule operavano prevalentemente nella zona del perugino, ma allungavano i loro tentacoli anche ad alcune province toscane, laziali, marchigiane, emiliane e lombarde, fino a sconfinare in Germania, ed erano legate alla cosca Farao-Marincola di Cirò Marina (Crotone), radicata anche nel Varesotto. I clan locali, però, tenevano contatti anche con la mafia albanese, soprattutto per quanto riguarda il traffico di droga e lo sfruttamento della prostituzione. Le forze dell'ordine, dopo aver arrestato i 61 membri dell'organizzazione, stanno procedendo con il sequestro di beni mobili e immobili che, si pensa, siano il frutto dell'attività malavitosa del clan, per un valore stimato che supera i 30 milioni di euro, le misure cautelari, emesse su richiesta della procura distrettuale antimafia di Perugia, considerano i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l'aggravante delle finalità mafiose, fino all'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Un'organizzazione che si era “infiltrata nel tessuto economico locale”, come si legge in una nota dei Carabinieri del Ros che hanno condotto l'operazione «Quarto Passo», mostrando quanto la malavita calabrese stia conquistando il territorio nazionale, dopo essersi ormai da anni stabilita anche nel nord Italia» (www.ilfattoquotidiano.it del 10 dicembre 2014);
   la coincidenza ha voluto che l'operazione di polizia cadesse proprio a seguito della Conferenza tenutasi a Perugia il 28 novembre 2014 su «Mafia e droga, allarme Umbria. Espansione del fenomeno delle infiltrazioni nel territorio e collegamenti con le organizzazioni del narcotraffico» cui ha partecipato anche il Presidente della Commissione nazionale antimafia Rosy Bindi;
   il fenomeno, dunque, non è dunque nuovo: già nella relazione annuale della direzione nazionale antimafia (Dna) per il periodo 1o luglio 2011-30 giugno 2012, si legge quanto segue: «è [...] evidente l'elevata appetibilità che le aree del centro nord d'Italia, caratterizzate da contesti ricchi e sedi di importanti crocevia per lo spaccio delle sostanze stupefacenti (emblematico è, a tale proposito, il caso di Perugia)»;
   in effetti, pur se non paragonabile alle grandi città (Roma, Milano, Torino), il capoluogo perugino, con il suo relativo benessere e un'ampia popolazione universitaria, come emerge dal dossier «La droga in Umbria» del 2014 dell'Associazione Libera, è una piazza interessante per le organizzazioni criminali che trovano nella città un mercato «ricco» per la cessione degli stupefacenti ma anche per «avviare» altre attività illecite;
   come è evidenziato nella relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 «emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segni di infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell'economia legale e si ricollega pienamente a quanto è affermato nell'ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (DIA) (febbraio 2012), laddove si sottolinea che la nuova strategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è la espansione delle attività al di fuori del contesto territoriale del mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di dominio, del territorio ma nella ricerca di impieghi ed attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani»;
   la criminalità organizzata, secondo la Commissione d'inchiesta, agisce in Umbria, non con le forme note dell'organizzazione mafiosa volta al controllo del territorio, quanto piuttosto «nel contesto di una finanziarizzazione dell'economia»;
   la relazione della Commissione precisa che: «L'Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l'abitudine a tenere alta la guardia dell'attenzione e del sospetto. Perciò l'Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività mafiose condotte in altre parti (audizione n. 1). Emerge dalle audizioni che l'assenza di comprovati fenomeni di radicamento ingenera nell'opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno in espansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l'idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all'infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un'esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione»;
   proprio nel 2011 si sono verificati numerosi eventi «sentinella» comprovanti infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto perugino: è nota l’«Operazione Apogeo» del 14 settembre 2011 condotta nelle province di Perugia, Caserta, Ancona, Firenze, Padova e Pesaro nel corso della quale i carabinieri del ROS e i militari del GICO della Guardia di finanza di Perugia e Firenze hanno concluso un importante intervento nei confronti di un'organizzazione criminale dedita alla truffa aggravata, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta, all'emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l'aggravante del metodo mafioso;
   l'organizzazione, che si presume collegata al clan dei Casalesi, anche in quel caso, aveva sede a Perugia. Risulta confermata la presenza della ’ndrangheta in provincia di Perugia e, dopo i fatti dell'indagine Apogeo, anche la presenza della camorra, con alcune evidenze anche nella provincia di Terni;
   dal rapporto Ecomafie 2014 emerge un quadro poco rassicurante sulla penetrazione delle associazioni criminali nel tessuto economico e sociale umbro;
   anche il problema della diffusione delle sostanze stupefacenti è strettamente collegato alla criminalità organizzata: la Commissione regionale ha precisato che «La situazione umbra, specie nella zona urbana perugina, desta forte preoccupazione. Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un'area molto più vasta della regione. La provenienza dei morti per overdose, in numero eccezionalmente elevato, indica che la dimensione del fenomeno abbraccia anche le regioni vicine. Questa caratteristica attira in Umbria, soprattutto a Perugia, organizzazioni criminali di varia provenienza, che si dividono il mercato. Nella relazione della Procura nazionale antimafia l'Umbria è segnalata per una presenza particolarmente numerosa di quelle che la DIA chiama mafie «alloctone»: albanesi, nigeriane, magrebine. È facile ipotizzare legami con le organizzazioni criminali che in Italia detengono tale mercato»;
   nei primi sei mesi del 2014 il bilancio dell'attività della Guardia di finanza del comando provinciale di Perugia è stato di otto chili tra hashish e marijuana, otto etti di cocaina e 661 grammi di eroina; finora sono state 14 le persone finite in manette per spaccio e 51 i denunciati;
   e infine, secondo l'ordinanza di custodia cautelare — in riferimento alla recente operazione di polizia del 10 dicembre —, «il Gip di Perugia scrive che sarebbe riduttivo definire l'associazione come «un'articolazione periferica della struttura criminale calabrese» ma si tratterebbe di «un'autonoma associazione composta da soggetti residenti in Umbria da oltre un decennio» che «operano autonomamente ed in via esclusiva in Umbria, conservando sempre un “basso profilo” criminale, al fine di non attirare sull'organizzazione l'attenzione delle forze dell'ordine in un territorio, quale quello umbro, a torto ancora ritenuto da taluni “isola felice” ed invece in via di progressiva “mafizzazione”». Gli imprenditori, secondo quanto raccolto dalle indagini, erano spesso costretti a emettere false fatture per coprire pagamenti illeciti o addirittura cedere le proprie imprese agli indagati o a loro prestanome che, dopo aver «spolpato» l'azienda, ne provocavano la bancarotta fraudolenta. Vittime di truffa anche i fornitori di materiali edili i cui prodotti venivano poi rivenduti a ricettatori calabresi proprietari di imprese, che li reimpiegavano per costruire edifici in Umbria, Toscana e Calabria. Una parte dell'organizzazione, che faceva capo a Francesco Pellegrino, rubava materiale edile e macchine operatrici nelle Marche, per rivenderle sul mercato legale o a ditte calabresi. I proventi delle attività illegali, si legge nella nota del Ros, «sono stati reimpiegati per acquistare beni immobili ed attività commerciali nel settore dell'intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome», per «dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca». Beni che i militari dell'Arma hanno quantificato in 30 milioni di euro.» (www.ilfattoquotidiano.it);
   il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, dopo essersi complimentato con i Carabinieri, spiega come «questa operazione conferma gli interessi della criminalità organizzata verso la green economy»;
   ed infatti la direzione nazionale antimafia nel proprio rapporto annuale rappresentava l'Umbria come crocevia della droga, terra di «integrazione criminale», campo di gioco per più etnie che intessono rapporti con «soggetti italiani residenti nella regione» per trattare affari illegali, e «covo freddo» di camorra e ’ndrangheta, che reinvestono i capitali provento delle attività criminali, lavando in Umbria il denaro sporco;
   nell'agosto del 2013 l'interrogante denunciò con un intervento alla Camera le infiltrazioni nella «felice Umbria» delle organizzazioni malavitose e del narcotraffico;
   le recenti vicende di cronaca giudiziaria hanno dato ragione all'interrogante facendo emergere, ad avviso dell'interrogante, una sostanziale sottovalutazione — anche da parte della politica nazionale nonché una insufficiente attenzione — da parte delle istituzioni competenti — e conoscenza del fenomeno e del suo impatto sulla società e nell'economia del territorio umbro che per le sue caratteristiche appare fortemente «appetibile» alle organizzazioni criminali –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti e delle conclusioni della relazione della Commissione d'inchiesta della regione Umbria su «Infiltrazioni mafiose in Umbria, metodologie di controllo, prevenzione e lotta alla criminalità organizzata» del 27 settembre 2012 e della relazione annuale 2014 della direzione nazionale antimafia che evidenziano importanti elementi di fragilità e di esposizione al rischio infiltrazioni in Umbria e se intenda promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, azioni informative non solo di controllo e repressione del fenomeno, ma anche di prevenzione;
   quali iniziative, alla luce delle recenti vicende giudiziarie che coinvolgono sempre più spesso l'Umbria e la città di Perugia, il Ministro interpellato intenda adottare con urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, per contribuire alla prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata in Umbria e per rafforzare l'azione di contrasto, anche con ulteriori strumenti di controllo e il coinvolgimento delle istituzioni locali, alla penetrazione e al radicamento delle associazioni criminali sul territorio della regione Umbria, in particolare nei settori degli investimenti immobiliari e commerciali, delle operazioni finanziarie e dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti, scongiurando il rischio di inquinamento dell'economia locale e dell'illecito arricchimento delle organizzazioni malavitose e di una «mafizzazione» del territorio.
(2-00785) «Ciprini, Gallinella, Tripiedi, D'Uva, Dadone, Di Battista, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Bechis, Cominardi, Chimienti, Baldassarre, Colletti, D'Ambrosio, Businarolo, Ferraresi, Villarosa».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   COZZOLINO, LOREFICE, CANCELLERI, RIZZO, D'UVA, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, FRACCARO, LOMBARDI, NUTI, TONINELLI, BARONI, DI VITA, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il CARA di Mineo, che si estende nella piana di Catania, nasce sulle ceneri del Residence degli Aranci; il CARA è acronimo di centro di accoglienza per richiedenti asilo, ufficializzato anche come centro di accoglierla con decreto del 30 marzo 2011 del Ministro dell'interno Maroni del Governo Berlusconi; il 28 giugno 2011 venne nominato l'allora presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, in qualità di soggetto attuatore, a gestire l'emergenza nel centro CARA di Mineo;
   nei mesi successivi sono avvenuti tutta una serie di proroghe dalla dubbia opportunità per la gestione del CARA fino al nuovo bando di gara per la gestione dello stesso del 24 aprile 2014; il 30 giugno 2014 viene provvisoriamente aggiudicata la gara ad un consorzio dove sono presenti le cooperative Sociali Casa della solidarietà-Senis Hospes, Sol Calatino, Sisifo, Cascina Global service, Pizzarotti, CRI; la proroga sembra essere stata prolungata fino al 30 settembre 2014;
   il Fatto quotidiano del 13 dicembre 2014 dettagliatamente così descrive la situazione: «Un rapporto iniziato poco dopo la nascita del Cara, nel 2011, quando dopo lo scoppio dell'emergenza sbarchi, il governo Berlusconi dichiara lo stato di emergenza: le 403 villette del Residence degli Aranci, costruite quattordici anni prima dalla Pizzarotti srl di Parma e lasciate sfitte dai militari statunitensi, vengono dunque trasformate nel più grande centro richiedenti asilo d'Europa. Il consorzio dei comuni Calatino Terra di Accoglienza diventa, quindi, ente attuatore del centro richiedenti asilo etneo, che con quattromila ospiti può contare su circa cinquanta milioni di euro di fondi all'anno. A presiedere il consorzio è Castiglione, all'epoca presidente della provincia etnea, poi nominato sottosegretario nel governo guidato da Enrico Letta, incarico conservato con Matteo Renzi. Ed è proprio l'esponente del Nuovo Centro Destra ad indicare come esperto del consorzio Odevaine: un incarico pagato con 8.217 euro fino al dicembre 2013. Poi arriva la proroga e quindi la riconferma fino al 31 dicembre 2016, al costo di 11.712 euro. A nominarlo, questa volta, è il sindaco di Mineo Anna Aloisi, anche lei esponente del partito di Alfano che ha preso il posto di Castiglione alla guida dei consorzio Calatino Terra di Accoglienza: sarà la stessa Aloisi a sospendere Odevaine dall'incarico pochi giorni fa, solo dopo che l’ex vicecapo di gabinetto di Veltroni finirà in manette. Nel frattempo, il 20 giugno del 2014, Odevaine era stato nominato anche collaboratore a tempo determinato della direzione generale del Consorzio al costo di 12.872 euro. «Senza ambiguità, proprio in forza di quel ruolo che artatamente era riuscito a custodire, confidava la sua capacità di orientare i flussi dei migranti transitanti per Mineo, verso centri di accoglienza vettori di suoi privati interessi» scrivono i pm romani. E lo stesso Odevaine, intercettato, non fa mistero della sua influenza nel settore dei centri d'accoglienza, dato che oltre all'incarico di esperto del Cara di Mineo era anche membro del Tavolo di coordinamento nazionale sull'immigrazione, ovvero l'ente che valuta gli appalti per l'affidamento della gestione dei Cara.(...) Il ruolo di Odevaine al Cara di Mineo non si fermava soltanto ad una consulenza. L’ex vicecapo di gabinetto di Veltroni sedeva, infatti, anche nella commissione incaricata di scegliere i nuovi gestori del centro richiedenti asilo. Il 25 giugno scorso viene infatti bandita la nuova gara d'appalto da quasi cento milioni di euro per tre anni: a vincerla la stessa associazione temporanea d'imprese che ha gestito il Cara negli ultimi tre anni. Cambia solo il capogruppo: prima c'era la SiSifo, ora c’è il Consorzio Casa della Solidarietà. Per il resto i gestori del Cara di Mineo rimangono una cordata a larghe intese: c’è la Cascina Global Service, vicina a Comunione e Liberazione, che a sentire alcune intercettazioni agli atti dell'inchiesta romana, girava ad Odevaine somme di denaro. «Loro mi davano su Mineo 10 mila euro al mese come, diciamo così, contributo» dice il diretto interessato, mentre le cimici del Ros registrano le sue parole;
   pertanto al di là della verifica e degli atti giudiziari delle imputazioni a carico dell'Odevaine rimane incomprensibilmente di tutta evidenza il ruolo dello stesso come controllore e controllato nei medesimi, iter burocratici, sia ai livelli nazionali che ai livelli locali, che sottendevano cifre di denaro pubblico molto consistenti; nessun organo sembra essersi avveduto dei ruoli in trilocazione dell'Odevaine;
   pertanto al di là della verifica e degli atti giudiziari dell'inchiesta «Mondo di mezzo» rimane il fatto che la coop Sisifo, della Lega delle Cooperative, era la stessa che causò disdoro alla Repubblica italiana con l'episodio famigerato delle docce antiscabbia; inoltre nel consiglio di amministrazione, della coop Sisifo siedono il consigliere CONO GALIPÒ che è stato rinviato a giudizio dalla procura di Patti nel 2011 per truffa aggravata continuata nella gestione della struttura in provincia di Messina; il consigliere ROBERTO ROCCO condannato dal Tribunale di Modica a tre mesi di reclusione per turbata libertà d'incanti; il consigliere Avv. ANOTONINO NOVELLO nel 2011 processato per truffa e turbativa d'asta, ma il reato si è prescritto; non pare che nessun organo di controllo abbia avuto nulla a che dire sulla presenza di Sisifo nel consorzio per il Cara;
   ad abundantiam sul Blog SUD il giorno 14 dicembre 2014 compare un lungo reportage. «Si tratta del deputato al Parlamento Europeo Giovanni La Via e del Sottosegretario di Stato al Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali del governo Giuseppe Castiglione già Presidente della Provincia di Catania e «Soggetto Attuatore» del Cara di Mineo..... I due politici, assieme in politica da sempre, sono da poco approdati nel Nuovo Centro Destra di Mano, uno come Capo delegazione del NCD all'interno del Partito Popolare Europeo all'Europarlamento e l'altro come coordinatore regionale. (...) Il post del nostro lettore OXI ci ha allertato su quella che sarebbe stata una incredibile coincidenza: il consorzio che gestisce il CARA di Mineo per decine di milioni di euro e per di più in regime di proroga da oltre un anno avrebbe trovato come propria sede per gli uffici catanesi un lussuoso appartamento di proprietà dell'eurodeputato Giovanni La Via appartenente alla corrente politica di quel Giuseppe Castiglione che del CARA di Mineo è stato a lungo «Soggetto Attuatore» per conto della presidenza del Consiglio Berlusconi. L'onorevole La Via spiega che in realtà lui ha affidato l'appartamento di sua proprietà tramite un'agenzia immobiliare e che proprio l'agenzia ha provveduto ad affidare al consorzio SiSifo l'appartamento con regolare contratto. Del tutto a sua insaputa, anzi, l'onorevole – la cooperativa SISIFO non sapeva neanche cosa fosse, non ne aveva mai sentito parlare....» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei profili di conflitti di interesse e di inopportunità dei ruoli di alcune persone apicali nella vicenda CARA e quali provvedimenti, compresi gli eventuali invii di ispettori ministeriali, intenda intraprendere.
(5-04299)


   COSTANTINO, QUARANTA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) «Sant'Anna» è situato a Isola Capo Rizzuto in provincia di Crotone all'interno di un’ex base dell'aeronautica militare; secondo la Misericordia, ente che attualmente gestisce il Centro, sono presenti 1169 persone richiedenti asilo provenienti, in prevalenza, da Pakistan, Gambia, Afghanistan e Mali;
   in data 22 novembre 2014, insieme a due attiviste dell'Associazione «La Kasbah» di Cosenza, è stata organizzata una visita nel CARA;
   all'entrata nel CARA, alle ore 11:30, le due attiviste sono state invitate ad attendere l'autorizzazione da parte del prefetto per più di un'ora, autorizzazione poi concessa solo in seguito alle ripetute sollecitazioni effettuate presso la prefettura di Crotone;
   la struttura, attiva dal 2003, si apre con un gabbiotto della polizia e si sviluppa su un'area estesa all'interno della quale si trova una struttura in muratura, campo, composta da piccoli edifici destinati ad ospitare donne e famiglie; altri due campi, il B e il C, anch'essi in muratura, il campo D che, essendo in fase di ristrutturazione, era chiuso, e l'area switch composta da container, composta di 100 alloggi da 4 posti suddivisi in 27 zone e infine il campo A, anch'esso adibito a zona container sin dalla nascita del CARA;
   la visita ha riguardato gli alloggi all'interno dei container, i bagni, l'infermeria e i padiglioni in cui i richiedenti asilo vengono trattenuti prima di essere sottoposti ad identificazione (sale di accoglienza A e B). In attesa dell'autorizzazione, sono stati visitati gli alloggi situati all'interno del campo B e una «sezione femminile»;
   dalla visita è emersa immediatamente la gravità riguardante la situazione relativa agli alloggi. I container del campo A erano allestiti con 10 materassi sudici, senza lenzuola e privi di fonti di riscaldamento, assolutamente lesivi della dignità delle persone. All'interno di alcuni container si trovavano delle pietre adibite a fornelli sui quali venivano riscaldati i pasti poi consumati, in alternativa freddi, per terra o sui letti;
   nei container, le cui dimensioni potrebbero, ad opinione degli interroganti, ospitare non più di due o tre persone, si dorme, si mangia, si trascorrono i giorni, le settimane e i mesi, in attesa dell'audizione in commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato;
   privi dei più elementari requisiti igienici risultano essere i bagni e le docce, situati all'esterno dei container: fatiscenti, sporchi, privi di carta igienica e di sapone. Dai rubinetti, molti dei quali rotti, scorreva un filo di acqua gelata mentre sui pavimenti ristagnavano enormi chiazze di acqua sporca. Alcuni bagni situati all'interno del campo B risultavano essere privi del tubo di scarico;
   all'esterno dei container situati nel campo A da un tubo esterno rotto si registrava la fuoriuscita di liquame a pochi centimetri da alcuni cavi elettrici. Tale situazione perdura, secondo quanto riferito da un operatore della «Misericordia», da diversi mesi;
   dai colloqui intrattenuti con un giovane medico presente all'interno dell'infermeria gli interroganti hanno appurato che i rifugiati non vengono sottoposti a controlli sanitari approfonditi. Le analisi del sangue vengono effettuate in maniera sporadica mentre per le emergenze si procede all'invio dei rifugiati presso l'azienda ospedaliera di Crotone. Coloro che risultano essere affetti da scabbia vengono sottoposti al trattamento topico e isolati all'interno di una piccola stanza per 12 ore. In seguito vengono rimandati nei loro container e sono costretti a dormire sugli stessi materassi dove il parassita della scabbia continua a riprodursi e a contagiare gli ospiti della struttura;
   ad opinione degli interroganti è estremamente grave il fatto che persone che hanno affrontato un viaggio lungo e difficile per arrivare in Italia, non possano usufruire di visite sanitarie specifiche volte ad accertarne il loro stato di salute. Gli esami relativi alla tubercolosi vengono effettuati solo su alcune persone ed esclusivamente quando i sintomi sono conclamati. Appare difficile comprendere il motivo per cui non venga effettuato un esame dell'espettorato, raggi al torace o l'esame di reazione Mantoux per quanto riguarda la diagnosi di tubercolosi o un semplice esame del sangue ai richiedenti asilo, anche in virtù del fatto che lo Stato eroga un finanziamento volto a garantire un'assistenza sanitaria adeguata e non di carattere emergenziale;
   l'area destinata all'accoglienza dei richiedenti asilo in attesa di identificazione, effettuata nell'ufficio di polizia scientifica adiacente, si compone di un padiglione suddiviso in due stanzoni comunicanti attraverso una porta blindata interna. Le stanze (sale di accoglienza A e B) risultavano essere prive di riscaldamenti e, verosimilmente, adibite a contenere centinaia di persone, data la presenza di una grande quantità di materassini accatastati contro il muro. All'interno delle strutture si trovavano diverse dozzine di panche che, secondo quanto riferito dagli accompagnatori della «Misericordia», vengono utilizzate nel caso di un massiccio afflusso di rifugiati, i quali rimangono nella struttura anche per 48 ore consecutive. Nella struttura si notava la presenza di due soli piccoli bagni;
   al termine dell'ispezione all'interno dei padiglioni A e B veniva chiesto di poter visitare il centro di identificazione ed espulsione, attualmente dismesso e, pare, in fase di ristrutturazione. Tuttavia la visita non è stata possibile data l'impossibilità di reperire le chiavi per accedere alla struttura –:
   quali iniziative, di competenza, il Ministro interrogato, abbia intrapreso e quali intenda adottare per far fronte alle carenze della struttura di accoglienza per richiedenti asilo «Sant'Anna» a Isola Capo Rizzuto e per migliorare le condizioni di vita di persone che fuggono da contesti di miseria e guerra e che sono beneficiari di protezione e che spesso vengono trattenuti contro la propria volontà e in condizioni disumane e, in particolare, se non ritenga opportuno, alla luce delle gravi condizioni di vivibilità esposte in premessa, che gli interroganti ritengono inumane e degradanti, avviare le procedure per la chiusura del centro di accoglienza, contrario, tra le altre cose, alle convenzioni internazionali sui diritti umani sottoscritte anche dal nostro Paese. (5-04300)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da articoli di stampa e dalle agenzie, si starebbe verificando una situazione di grave difficoltà e disagio presso il Centro di identificazione ed espulsione di Via Brunelleschi a Torino, a seguito di un importante guasto all'impianto di riscaldamento;
   in conseguenza del guasto, infatti, i 25 immigrati trattenuti nel centro e gli operatori sarebbero infatti da più di una settimana senza riscaldamento e senza acqua calda, in una condizione di gravissimo disagio e degrado a causa delle rigide temperature invernali;
   la prefettura di Torino, nei giorni scorsi, avrebbe garantito di aver trovato una soluzione temporanea per assicurare il riscaldamento agli immigrati presenti nel Centro di identificazione ed espulsione e agli operatori, in attesa comunque di una sistemazione definitiva del guasto;
   se i fatti fossero confermati, si tratterebbe di una situazione di estrema gravità a danno delle persone straniere presenti nel centro –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per chiarire le responsabilità della grave situazione descritta in premessa e quali azioni intenda assumere per trovare un'adeguata soluzione strutturale alla situazione del Centro di identificazione ed espulsione di Torino. (5-04291)


   CHAOUKI, ORFINI, BONACCORSI, CAMPANA, CARELLA, CAUSI, COCCIA, GIULIANI, MELILLI, MICCOLI, MINNUCCI, PIAZZONI e TIDEI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che l'assessore al commercio del centro storico di Roma, e vicepresidente del I municipio, Jacopo Emiliani Pescetelli, avrebbe ricevuto alcune minacce da parte di commercianti del centro storico, a causa della decisione assunta dal Campidoglio di diminuire in modo deciso il numero delle postazioni destinate agli ambulanti nella zona di Piazza Navona, portandole da 103 a 60;
   Emiliani Pescetelli è, infatti, responsabile del bando che quest'anno ha tagliato il 40 per cento delle bancarelle, e in quanto tale avrebbe ricevuto le minacce più pesanti, in particolare con l'invito a «Non farti vedere a piazza Navona, infame»;
   la decisione del Campidoglio, fa seguito alle pronunce della soprintendenza che ha chiaramente ribadito che i banchi non possono occupare l'intera superficie della piazza, mentre da notizie a mezzo stampa l'assessore al commercio del comune di Roma, Marta Leonori, avrebbe ribadito che «un mercatino di Natale non può ridursi a porchetta e Peppa Pig, come invece ormai accadeva da tempo snaturando lo spirito della fiera»;
   i fatti riportati hanno destato particolare preoccupazione a fronte del fatto che gli atti dell'amministrazione comunale e municipale si collocano nel chiaro tentativo di ripristino delle regole e del loro rispetto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e se e quali provvedimenti intenda adottare al fine di scongiurare il possibile rischio che le minacce ai danni del consigliere municipale Jacopo Emiliani Pescetelli, e di tutti coloro che si adoperano per ristabilire la legalità e il rispetto delle regole, possano tradursi in atti concreti. (5-04297)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PINNA, LABRIOLA, BARBANTI, CHAOUKI, TURCO, PRODANI, ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, DAGA, ARTINI, CRISTIAN IANNUZZI, TERZONI e CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la direttiva 2004/38/CE, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, l'Unione europea ha adottato una disciplina organica del regime di libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari, a loro volta cittadini di un Paese dell'Unione, ovvero cittadini di un Paese terzo;
   tale direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, modificato ed integrato dal decreto legislativo 28 febbraio 2008, n. 32. Il suddetto decreto abroga tutte le disposizioni precedenti, e disciplina pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini comunitari residenti sul territorio italiano e dei loro familiari, anche se cittadini non Comunitari;
   l'articolo 16 della direttiva 2004/38/CE prevede che il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale acquisisce il diritto di soggiorno permanente;
   sul punto si rileva la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea – Grande Sezione del 21 dicembre 2011 (cause C-424/10 e 425/10), la quale ha chiarito quanto segue: «L'articolo 16, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati Membri (...), deve essere interpretato nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell'Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente in conformità a tale disposizione se, durante tale soggiorno, egli non soddisfaceva le condizioni di cui all'articolo 7, n. 1, della stessa direttiva»;
   la disciplina del diritto di soggiorno permanente in Italia è disciplinata dagli articoli 14, 15, 16, 18 del decreto legislativo n. 30 del 2007. Con tali articoli, come esplicato con la circolare n. 19 del 6 aprile 2007 redatta dal dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, si prevede che il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente e in via continuativa, per cinque anni, nel territorio nazionale acquisisce un diritto di soggiorno permanente. Tale titolo esonera l'interessato dalla conservazione dei requisiti previsti dal decreto legislativo per il riconoscimento del diritto di soggiorno. L'assenza dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi comporta la perdita del diritto. Per i cittadini dell'Unione la relativa attestazione è rilasciata dal comune di residenza entro 30 giorni dalla richiesta dell'interessato;
   il decreto legislativo, inoltre, prevede che la richiesta debba essere corredata della documentazione atta a dimostrare la sussistenza delle condizioni previste per la maturazione del diritto. Si ritiene che la condizione relativa alla continuità del soggiorno possa essere accertata mediante l'iscrizione anagrafica dell'interessato, mentre la condizione che questi abbia soggiornato legalmente deve intendersi nel senso che nel corso dei cinque anni di soggiorno l'interessato abbia risieduto nel territorio alle condizioni previste nel decreto legislativo e senza essere stato oggetto di misure di allontanamento;
   tuttavia, nella pratica si rileva la mancanza di un coordinamento da parte dei comuni italiani per quanto concerne l'accertamento dei requisiti e, dunque, la richiesta della documentazione necessaria per il rilascio del titolo –:
   se ritenga opportuno, in virtù del principio della certezza del diritto e sulla base dei comportamenti variegati assunti dagli ufficiali di anagrafe italiani, emanare un ulteriore documento in cui si specifichino le linee guida richiedendo ai comuni di conformarsi alle stesse, al fine di assicurare un eguale trattamento ai cittadini dell'Unione europea richiedenti il permesso di soggiorno permanente. (4-07283)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcune dichiarazioni del prefetto di Udine, riportate dagli organi d'informazione locale, risulterebbe che la città di Tarvisio sarà prossimamente, sede di un centro d'accoglienza per immigrati richiedenti asilo, che provengono dall'operazione «Mare Nostrum», la cui struttura individuata per ospitare i profughi è la dismessa caserma «Lamarmora»;
   il prefetto in particolare ha dichiarato che la durata dell'accoglienza non sembra essere definita, aggiungendo inoltre che la proprietà della struttura militare, è stata trasferita dal Ministero della difesa a quello dell'interno, precisando altresì, che le imminenti procedure di appalto per gli interventi di ristrutturazione (impianto di riscaldamento e collegamenti elettrici e idro-sanitari), renderanno abitabile per gli immigrati soltanto una parte della stessa caserma;
   l'interrogante a tal fine evidenzia, ove fossero confermate le intenzioni del rappresentante del Governo, che Tarvisio non rappresenta la città adatta per ospitare le persone trasferite, sia per motivi geografici, essendo il comune zona di confine, che subisce già il flusso di immigrati via terra che provengono da Austria e Slovenia, che per ragioni economiche, in quanto la comunità locale è sottoposta da danni a una crisi socioeconomica, conseguente al Trattato di Schengen, che ha già determinato la perdita di un numero rilevante di occupati connessa all'economia di confine;
   l'interrogante rileva, altresì, le difficoltà che tuttora interessano la cittadina friulana, che, con notevole fatica, sta tentando di uscire dalla crisi economica e finanziaria, investendo sull'economia turistica bi-stagionale, attraverso il potenziamento di strutture ricettive legate agli sport invernali; pertanto, la destinazione d'uso relativa all'utilizzo della caserma per dare alloggio agli immigrati, trovandosi nelle vicinanze delle medesime strutture sportive, rischia di determinare gravi ripercussioni per l'economia turistica locale –:
   se trovino conferma le informazioni riportate nella premessa, secondo le quali la città di Tarvisio sarà prossima ad ospitare un numero non precisato di profughi, che hanno chiesto asilo al nostro Paese;
   in caso affermativo, se non convenga che le criticità in precedenza riportate, connesse all'inadeguatezza della comunità locale di Tarvisio, quale centro idoneo per accogliere gli immigrati provenienti dall'operazione «Mare Nostrum», siano condivisibili;
   se non ritenga opportuno valutare in senso favorevole la proposta che il prefetto di Gorizia sta già attuando, che consiste nel suddividere in modeste quantità e sulla base abitativa di tutti i comuni della sua provincia la destinazione degli immigrati;
   quale iniziative intenda intraprendere, nel caso si decidesse di ospitare gli immigrati all'interno dell'ex caserma militare, al fine di evitare ripercussioni socioeconomiche per l'intera comunità locale di Tarvisio, che rischierebbero di alimentare tensioni sociali, all'interno di una crisi economica nazionale tutt'altro che superata. (4-07285)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio di quest'anno ad oggi il numero degli immigrati ospitati nei centri di accoglienza è aumentato in maniera esponenziale: da 17.221 a gennaio 2014 a 65.462, ultimo dato registrato a novembre di quest'anno;
   a fronte di tale situazione, conseguente all'avvio dell'operazione Mare Nostrum, dall'ottobre dello scorso anno sono stati investiti centinaia di milioni di fondi statali per aumentare la ricettività del sistema di accoglienza, di cui 2 milioni e 148 mila euro solo per il solo triennio 2014-2017 per il centro di Prestino a Como;
   si tratta dunque di un sistema complesso e gli investimenti di denaro pubblico per la gestione di tali centri sono aumentati in tal misura da rendere necessario anche un aumento dei controlli sia nella fase dell'affidamento della gestione che in quello successivo della gestione stessa;
   da diversi giorni appaiono sui quotidiani articoli relativi ad una inchiesta della procura di Roma, tuttora in corso, che ha già portato a 37 arresti e ad un centinaio di indagati, su un intricato e illecito giro di affari che riguarda proprio gli appalti e la gestione dei centri di accoglienza da parte di diverse società cooperative, consorzi ed enti;
   sempre da tali articoli si apprende che nell'ambito dell'inchiesta sui centri di accoglienza è comparso anche il nome della cooperativa Domus Caritatis che appartiene alla rete coop dell'Arcinconfraternita del Santissimo Sacramento e di San Tifone;
   la cooperativa Domus Caritatis è la stessa che da poco a Como ha assunto la gestione della struttura di accoglienza di via Sacco e di via Vanzetti, in zona Prestino;
   pare già alcuni mesi fa che sia stata presentata in comune a Como una prima interrogazione dal consigliere comunale Marco Butti che aveva chiesto chiarimenti sull'appalto della gestione del centro di Prestino, chiedendo anche gli atti relativi alla gara d'appalto;
   più recentemente, ed in merito alla gestione del centro di accoglienza a Badia Prataglia, è stata presentata una interrogazione dal gruppo parlamentare della Lega Nord per chiedere chiarimenti sulla stessa cooperativa Domus Caritatis, in quanto oltre ad essersi aggiudicata il bando di gara indetto dalla Prefettura per individuare strutture nell'Aretino nell'ambito del progetto di smistamento disposto dal Ministero dell'interno, risultava ente gestore di altre varie strutture in Italia all'uopo adibite –:
   se il Ministro interrogato, alla luce anche dell'inchiesta in corso da parte della procura di Roma ed in attesa che venga fatta piena luce sui fatti oggetto dell'inchiesta, non ritenga opportuno, anche in via cautelativa, disporre la sospensione della convenzione con la cooperativa Domus Caritatis per la gestione del centro di accoglienza di Como e degli altri centri attualmente amministrati dalla stessa cooperativa, nonché quali verifiche ed accertamenti in merito al coinvolgimento della, cooperativa Domus Caritatis nell'inchiesta in corso siano stati ad oggi disposti dal Ministero dell'interno. (4-07299)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento del 15 luglio 2011 è stato bandito il concorso per l'assunzione di 2.386 dirigenti scolastici nella regione Campania;
   nel mese di ottobre 2011 è stata espletata la prova preselettiva;
   alcuni concorrenti, non avendo superato tale prova, hanno proposto ricorso, per il tramite di vari sindacati, al TAR Lazio, che lo ha rigettato;
   senza richiamare tale precedente, è stato riproposto ricorso al TAR Campania che, con decreti del 13 e 14 dicembre 2011, ha disposto l'ammissione con riserva alla prova scritta dei candidati ricorrenti, ma, successivamente, all'esito della relativa camera di consiglio fissata per 1'11 dicembre 2012, il TAR ha dichiarato la propria incompetenza per territorio a decidere la controversia, dichiarando quella del TAR Lazio;
   alcuni candidati hanno riassunto il giudizio innanzi al TAR Lazio, altri non lo hanno fatto direttamente, ma hanno spiegato intervento nel giudizio promosso dai loro colleghi;
   nelle more, l'amministrazione ha richiesto ai candidati ammessi con riserva a sostenere la prova scritta e che l'avevano superata di inoltrare tutta la documentazione e, successivamente, ha pubblicato il calendario per sostenere la prova orale, sostenuta e superata da circa sessanta candidati ammessi con riserva;
   a metà luglio 2014 è stato notificato a tali candidati, senza alcuna preventiva comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, la nota di esclusione degli stessi dal concorso, per non essere in possesso di tutti i requisiti richiesti dal bando, ossia per non avere superato la prova preselettiva;
   a fronte di un nuovo ricorso presentato al TAR Lazio, in data 11 novembre 2014 la sezione terza bis, in merito al ricorso n. 12364/2014 ha accolto l'istanza cautelare con la motivazione che «la prova preselettiva non concorre alla formazione del voto finale, con la conseguenza che essendo la ricorrente stata ammessa in via giurisdizionale al prosieguo del concorso ed avendolo superato, non ne poteva essere esclusa con ulteriore provvedimento postumo» e ha fissato la trattazione collegiale in Camera di consiglio per il successivo 20 novembre;
   in quella data, tuttavia, la sezione terza bis del TAR Lazio ha respinto l'istanza cautelare proposta, motivando tale decisione mediante il rinvio al precedente specifico della sezione, adottato con sentenza n. 7414 del 19 luglio 2013, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 12 settembre 2014, n. 4670, nei confronti di una ricorrente che non aveva sostenuto né le prove scritte né le prove orali;
   ad oggi ancora non sono state pubblicate le graduatorie finali del concorso in oggetto;
   allo stato, i candidati riservisti risultano avere i requisiti per svolgere il ruolo di dirigenti, avendo superato sia la prova scritta che quella orale, e l'amministrazione non dovrebbe sostenere alcun onere aggiuntivo per consentire loro di entrare a far parte a pieno titolo delle graduatorie –:
   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere in merito. (4-07287)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa hanno riportato quanto accaduto presso la scuola d'infanzia «Falcone Borsellino» di Terni, dove la tradizionale recita di Natale organizzata nei locali della limitrofa chiesa di Santa Maria del Carmelo è stata annullata a seguito delle proteste di una coppia di genitori atei, che hanno minacciato di adire le vie legali se il figlio fosse stato condotto in un luogo di culto cristiano;
   il dirigente del distretto scolastico e le insegnanti avevano scelto come luogo della recita la chiesa vicina perché l'istituto non ha spazi adatti per ospitare le famiglie dei piccoli alunni. Lo spettacolo preparato, peraltro, è multietnico e non legato alla Natività;
   la recita si terrà dunque all'interno della scuola, ma sarà priva della partecipazione delle famiglie, le quali saranno costrette ad organizzare autonomamente un secondo evento fuori dall'orario scolastico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno, nell'elaborazione delle indicazioni nazionali del curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo, redatto ai sensi dell'articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2009 e nel rispetto dell'autonomia scolastica, dare adeguato spazio alle indicazioni tese al rispetto della cultura e delle tradizioni italiane di matrice cattolica. (4-07300)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 marzo 1999 n. 68 introduce il concetto di collocamento mirato, inteso come l'insieme dei supporti che consentano un'integrazione reale dei disabili nel mondo del lavoro;
   si evidenzia che da una parte, con la crisi attuale, le aziende non si possono permettere le sanzioni per le imprese che non assumono persone con disabilità e dall'altra il mondo imprenditoriale sta scoprendo che assumere disabili, scegliendo con accuratezza, può portare a vantaggi concreti;
   il disabile può essere la persona giusta al posto giusto (una risorsa che produce e che permette all'azienda di assolvere pienamente agli obblighi normativi); ma non tutti conoscono le potenzialità della articolo 14 del decreto-legge 276 del 2003, che consente alle aziende di fare selezione tra i candidati;
   esistono anche moderne forme di adozione lavorativa, in cui il lavoratore con disabilità, viene sostenuto economicamente da parte dell'impresa impossibilitata ad assumerlo, ma impiegato in un contesto lavorativo più adeguato alle sue condizioni. L'azienda dà un contributo annuo di 6.500 euro, mentre il centro per l'impiego provinciale s'impegna nel trovare un luogo alternativo in cui inserire il lavoratore «adottato». Nel 2014 sono state oltre 400 le «adozioni» attivate, un quarto di loro sono diventate assunzioni regolari;
   essere portatori di una malattia rara non comporta necessariamente il diritto ad essere riconosciuti invalidi: l'invalidità, infatti, è riconosciuta sulla base delle condizioni fisiche di una persona e non automaticamente per il fatto che la stessa abbia una certa malattia. Non a caso le persone affette da una malattia rara presentano spesso delle prerogative positive, che sono segno e sintomo della malattia rara, e se opportunamente messe a fuoco possono diventare una risorsa per il soggetto e per l'azienda;
   assistiamo anche alla nascita di società di «cacciatori di teste» specializzati nel mondo della disabilità. Ci sono infatti aziende che hanno deciso di cambiare cultura attraverso attività di formazione, informazione e sensibilizzazione e hanno compreso che una risorsa preparata e formata lavora nel modo migliore, e diventa per l'azienda un valore aggiunto. Servono «professionisti» con o senza disabilità, che soddisfino le esigenze delle aziende;
   la difficoltà è entrare in contatto con persone con disabilità che abbiano le skill ottimali per svolgere un determinato lavoro, sia per una formazione specifica ricevuta che per un adeguato accompagnamento all'interno dell'azienda, fatto coinvolgendo anche i futuri colleghi e i responsabili;
   capita a volte che i disabili abbiano due curriculum distinti per rispondere alle offerte di lavoro, uno per quelle riservate alle categorie protette e uno per le altre situazioni, come se considerassero che l'appartenere alle categorie protette faccia da freno. Invece deve diventare un incentivo per un'azienda che, se trova il profilo giusto, deve assumere e spesso non esita a farlo;
   si riterrebbe opportuno creare dei data base in cui sia possibile raccogliere indicazioni positive e skill dei soggetti affetti dalle specifiche malattie rare al fine di agevolarne il collocamento, nonché rilanciare nuovi modelli di formazione continua che consenta ai pazienti affetti da malattie rare di adattare progressivamente il proprio profilo professionale agli sviluppi tecnologici del mondo del lavoro e alle sue mutate esigenze in modo da evitare che in tempi di crisi siano tra i primi a perdere il proprio posto di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di valorizzare le capacità lavorative e migliorare le competenze professionali dei disabili e in particolare dei soggetti affetti da malattie rare al fine di favorirne la piena integrazione e l'inclusione sociale. (5-04283)


   LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale momento di crisi economica e culturale, gli organismi del Terzo settore appaiono come una valida soluzione per varie problematiche sociali. Si tratta di organismi in via di espansione che offrono una vasta gamma di servizi, senza scopo di lucro, nelle aree socio-assistenziale, sanitaria, educativa e culturale;
   i dati concernenti gli organismi del Terzo settore mostrano oggi un andamento decisamente in crescita rispetto non solo alla varietà dell'offerta, ma anche al numero di associazioni e persone che vi partecipano;
   vista la sua attualità ed utilità sociale, il Terzo settore è sempre più oggetto di particolare attenzione da parte di sociologi, politici ed economisti. Seppur da prospettive diverse, lo sviluppo del Terzo settore è visto generalmente come conseguenza di una minore disponibilità di risorse pubbliche per far fronte ad una crescente e sempre più articolata domanda di servizi. Il Terzo settore, infatti, è nato in termini sociologici come risposta alla cosiddetta «crisi dello stato sociale», ossia del sistema statale di assistenza e protezione sociale, crisi dovuta sostanzialmente alla carenza di beni e servizi offerti ai cittadini;
   va evidenziato che la molteplicità e varietà degli operatori, conferisce oggi una notevole importanza all'azione svolta dal Terzo settore collocandolo sempre più secondo una prospettiva non residuale, ma fondamentale per l'intera collettività –:
   alla luce della sempre maggiore importanza che il Terzo settore assume nella nostra società, e delle numerose forme in cui si attua, quale siano gli strumenti di controllo a disposizione del Ministro.
(5-04284)


   GRILLO, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la human foundation giving and innovating onlus è una onlus costituita il 24 luglio 2013; il suo atto costitutivo cita, tra le finalità, la solidarietà sociale ai soggetti svantaggiati, la creazione di una rete di filantropi e l'esigenza di sviluppare la filantropia;
   tra 10 i soci fondatori della onlus figura Stefano Bravo, i fondatori da statuto hanno ruoli di responsabilità particolari;
   si apprende dal Corriere della Sera dell'11 dicembre 2014 che: «Un “sistema” messo in piedi, secondo i magistrati romani, da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Si scopre così che Stefano Bravo, specializzato nel trasferimento dei capitali all'estero per conto dell'organizzazione, è uno dei soci fondatori di “Human Foundation”, l'organizzazione che fa capo a Giovanna Melandri, ex Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per il Partito democratico e ora presidente del Museo Maxxi di Roma. (...) I magistrati assegnano a Bravo un ruolo chiave e gli contestano l'accusa di riciclaggio. Il commercialista ha contatti costanti con Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupa di immigrazione anche lui finito in carcere. Gestisce i suoi conti, porta i soldi in Svizzera, fa altri viaggi per conto dell'organizzazione. Adesso si scopre che aveva un incarico importante anche nella “Human” visto che ha contribuito a farla nascere. Ieri, improvvisamente, la sua foto e il suo curriculum sono stati rimossi dal sito Internet ufficiale. Ma nessuno può negare quanta importanza abbia avuto e infatti Melandri chiarisce: È il mio commercialista da quindici anni. Sono addolorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo»;
   il quotidiano Il Giornale del 9 dicembre 2014 rende noto che Odevaine «è mezzo parente di Giovanna Melandri (il cognato, fratello del marito, ha sposato la sorella di Odevaine) della quale è stato pure consigliere al ministero della Cultura»;
   dallo Statuto non si evince esattamente se la dizione della Onlus in questione esatta sia di Uman o Human foundation;
   non è noto agli interroganti se la Human foundation abbia goduto di fondi pubblici per le sue attività;
   dall'atto costitutivo della Human foundation si legge che la Onlus ha sede a via Vittoria Colonna 39 d'altronde, la stessa Onlus gode del diritto di uso di una porzione immobiliare in Roma, Via Vittoria Colonna 39, concessa in comodato gratuito dalla Lamaro Appalti S.p.A. unipersonale; pertanto la Human foundation ha sede in una pertinenza immobiliare dei costruttori romani Lamaro;
   sempre dall'atto costitutivo della Human Foundation, nell'allegato «C» dell'atto costitutivo della Fondazione Human Foundation si apprende che in data 24 luglio 2013 in Roma presso il Ministero delle sviluppo economico, via Vittorio Veneto 33, in un ufficio non precisamente indicato, il Notaio Raimondo Zagami stilava una procura speciale con la quale Carlo Calenda nomina e costituisce suo procuratore speciale Roberto Galimberti; anche in questo caso non è dato sapere per quali motivi tale atto sia sottoscritto in un ufficio del Ministero dello sviluppo economico;
   Giovanna Melandri presidente di Human Foundation è stata coordinatrice del tavolo di lavoro del G8 sociali impact task force e agli interroganti non è dato sapere se sia trattato di un ruolo retribuito in quanto in tal caso a detta degli interroganti sarebbe ravvisabile un reale conflitto di interesse –:
   se considerate le anomalie descritte il Ministro non intenda effettuare al più presto una ricognizione dello stato delle cose presso la Uman o Human foundation onlus, anche valutando la sussistenza dei presupposti per l'invio di ispettori ministeriali per valutare la rispondenza di detta Onlus al rigore delle norme vigenti.
(5-04285)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   160 dipendenti della Cir di Tocco da Casauria (Pescara) escono da un anno di cassa integrazione, scaduto ad ottobre, e si avviano a concludere il ciclo di due anni a partire da luglio 2015, prima di andare in mobilità, salvo nuovi programmi di ripresa della produzione;
   al momento presso l'azienda sono a lavoro una ventina di maestranze per completare, sotto la bandiera del gruppo imprenditoriale polacco Wielton entrato nella gestione Cir, una commessa di 50 semirimorchi;
   rischiano però di passare un brutto Natale i 160 dipendenti: un problema nato fra il Monte dei Paschi di Siena, e la stessa azienda per la firma dell'accordo di garanzia per l'erogazione dei fondi per il pagamento dell'assegno di cassa integrazione, che dovrebbe andare avanti fino a luglio 2015, potrebbe rendere vano l'accordo raggiunto d'intesa con le parti sociali rischiando di mantenere fermi il pagamento degli assegni;
   l'assegno previsto sarebbe di circa 600 euro mensili per 170 lavoratori per circa 10 mesi: una somma che supera il milione di euro. Resta in piedi l'accordo raggiunto fra Cir e Wielton: la holding polacca si era dichiarata disposta ad assumere una ventina di lavoratori a Tocco dove i pezzi prodotti in Polonia (telai saldati e verniciati) sarebbero stati completati di allestimento a Tocco. Del resto lo stabilimento toccolano, da quando l'azienda senza commesse, ha fermato la produzione, è rimasto inalterato nelle dotazioni di macchine e robot e apparati in ogni reparto del ciclo produttivo;
   i sindacati in una nota spiegano che a loro avviso l'accordo dovrebbe sottoscriverlo il commissario liquidatore della Cir (in amministrazione di concordato preventivo) del tribunale di Verona che, al contrario, stima che ad esporsi dovrebbe essere direttamente l'azienda trattandosi di un atto ordinario. Fatto sta che la procedura è bloccata in banca e questo rimpallo di attribuzioni rischia di nuocere gravemente ai lavoratori. Sempre i sindacati annunciano mobilitazioni per i prossimi giorni per chiedere alle istituzioni di risolvere questa grave inadempienza –:
   se non intenda intervenire per scongiurare il rischio di far passare un Natale senza assegno di cassa integrazione ai 160 dipendenti della Cir e alle loro famiglie. (4-07286)


   PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento FIAT di Termini Imerese sorge nel 1970 a seguito di un consistente contributo della regione siciliana erogato al gruppo Fiat al fine di ottenere la localizzazione nel territorio; venne allo scopo creata la «Sicilfiat» una società a partecipazione regionale di cui la Fiat deteneva il pacchetto di maggioranza con il 60 per cento delle azioni;
   nel 1977 quest'ultima acquisì la totalità delle azioni per cui lo stabilimento divenne uno dei tanti del gruppo con una forza lavoro di circa 1500 addetti. Negli anni ottanta questa era salita fino a quota 3200 addetti scendendo poi, dagli anni novanta, fino ai 1900 addetti dell'ultimo periodo di vita in seguito alle ripetute riorganizzazioni della forza-lavoro;
   il 26 novembre 2011 venne ufficializzata la chiusura della trattativa sulla parte economica riguardante gli incentivi alla mobilità per i lavoratori dello stabilimento, dismesso definitivamente dalla Fiat il 31 dicembre 2011. Da quella data gli operai dello stabilimento palermitano vivono in una condizione di perenne incertezza, attualmente usufruiscono del regime di cassa integrazione;
   il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) offre un sostegno a coloro che hanno perso il lavoro a seguito di importanti mutamenti strutturali del commercio mondiale dovuti alla globalizzazione. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è uno strumento essenziale per risolvere la situazione in atto ed è già stato utilizzato in altri Paesi europei e in realtà industriali i cui lavoratori si trovano nelle medesime condizioni –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano promuovere, con il coinvolgimento degli enti locali interessati e delle parti sociali, l'attivazione delle procedure necessarie per l'erogazione dei fondi FEG 2014-2020, secondo quanto previsto dal regolamento dell'Unione europea n. 1309/2013, ai lavoratori dell'ex stabilimento FIAT di Termini Imerese;
   quali iniziative intendano avviare per far ripartire lo stabilimento dando lavoro alle maestranze e rilanciare l'economia dell'area industriale di Termini Imerese.
(4-07297)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Europa, i redditi agricoli reali per attivo in agricoltura sono diminuiti mediamente dell'1,7 per cento nel 2014, rispetto al 2013;
   l'Italia con –11 per cento si ritrova nel gruppo di Paesi dell'Unione europea dove si registrano le diminuzioni più sensibili, insieme a Finlandia (-22,8 per cento), Lituania (-19,4 per cento), Belgio (-15,2 per cento), Estonia (-10,9 per cento) e Danimarca (-10,1 per cento);
   i dati rappresentano le prime stime per il 2014 sul reddito agricolo reale per attivo in agricoltura pubblicate dall'Ufficio statistico dell'Unione europea (Eurostat) –:
   quali siano le azioni che il Governo intende intraprendere per invertire i dati negativi di cui in premessa, sostenendo così un settore importante per il benessere del nostro Paese, sia in termini di produzione di ricchezza che in termini occupazionali. (3-01225)


   FRANCO BORDO, PLACIDO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Sofiter s.p.a. conta 150 dipendenti e da più di vent'anni fornisce servizi e competenze per l'erogazione dei fondi comunitari in agricoltura. Fa parte del raggruppamento temporaneo di imprese (di cui fanno parte anche Auselda e Almaviva, che ne è anche il mandatario) che opera con Sin (società partecipata al 51 per cento da Agea e al 49 per cento da soci privati) e Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) nella gestione dei servizi per l'erogazione dei fondi comunitari per il settore «sviluppo rurale» e nella realizzazione dei servizi per il portale Sian (sistema che raccoglie tutte le informazioni del comparto agricolo e rurale nell'ambito di supporto delle scelte di politica agricola e rurale);
   in particolare, i lavoratori svolgono un ruolo fondamentale nella gestione di un servizio complesso e articolato finalizzato, fra l'altro, alla realizzazione di applicazioni informatiche e fornendo assistenza e consulenza tecnica specialistica a tutti gli utenti istituzionali del sistema informativo agricolo nazionale (Agea, regioni, Sin, Centro assistenza agricola e altri organismi nazionali);
   le applicazioni informatiche realizzate dai lavoratori Sofiter sono propedeutiche all'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea e di quelle integrative adottate a livello nazionale, per le misure a superfici e per quelle ad investimenti, previste dai programmi di sviluppo rurale. Le stesse consentono, nel contempo, di gestire tutto il flusso amministrativo finalizzato all'erogazione dei pagamenti previsti dalla politica agricola comune, coinvolgendo la maggioranza delle regioni italiane;
   da quasi tre anni, e in coincidenza con l'arrivo di un nuovo management, nonché di nuovi azionisti di maggioranza, l'azienda sembra attraversare una crisi che non trova soluzione. La crisi parrebbe connessa al contratto che lega la Sofiter a Sin e Agea. I lavoratori sono stati sottoposti ad un lungo periodo di contratto di solidarietà e cassa integrazione durante il quale la retribuzione non è stata praticamente mai regolare. Nonostante questo hanno sempre responsabilmente eseguito i loro compiti operandosi per evitare il disimpegno automatico (N+2) dei fondi comunitari, eseguendo le procedure di pagamento e tutte le procedure per la gestione delle domande di aiuto e di pagamento;
   i lavoratori Sofiter hanno indetto a partire da novembre 2014 lo stato di agitazione perché non hanno ricevuto alcuna rassicurazione o comunicazione, a fronte delle numerose e reiterate richieste di conoscere i tempi di corresponsione delle mensilità arretrate e le prospettive future dell'azienda. Ad oggi, né la rappresentanza sindacale unitaria né le organizzazioni sindacali hanno notizie certe e trasparenti sulla situazione finanziaria dell'azienda, a fronte di un contratto che sembra avere potenzialità economiche di portata non indifferente. I lavoratori Sofiter rifiutano l'idea di dover trascorrere per il terzo anno consecutivo situazioni di precarietà, ristrettezze e preoccupazioni, senza che nessuno, né l'azienda né gli utenti istituzionali coinvolti, diano un segnale di interessamento e manifestino la volontà di risolvere il problema sopra evidenziato;
   con lettera datata 1o dicembre 2014 la società Almaviva contestava ai lavoratori della Sofiter l'iniziativa dello sciopero, indetto dall'assemblea dei lavoratori, stigmatizzando «i disservizi» che lo sciopero produrrebbe nella rendicontazione relativamente al settore dello sviluppo rurale al 31 dicembre 2014, scadenza improrogabile dei conti dell'organismo pagatore Agea. Fatto singolare della missiva è che il rappresentante di Almaviva invoca il rispetto degli impegni e delle scadenze dei termini contrattualmente previsti, imputando ai lavoratori la responsabilità di ogni eventuale ritardo e inadempimento e nello stesso istante «dimentica» che è l'azienda ad aver disatteso gli obblighi contrattuali, tant’è che ad oggi ai dipendenti della Sofiter non sono state corrisposte le mensilità di retribuzione a far data dal mese di settembre 2014 –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, per il tramite di Sin e Agea, per una positiva soluzione della situazione di cui in premessa e, contestualmente, cosa si intenda fare per evitare il rischio di disimpegno dei fondi della precedente programmazione 2007-2013 del secondo pilastro della politica agricola comune. (3-01226)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con decisione di esecuzione 2011/689/UE la Commissione europea stabiliva che alcune spese sostenute dagli organismi pagatori riconosciuti dagli Stati membri, tra cui l'Italia, e dichiarate a titolo del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), restavano escluse dal finanziamento comunitario in quanto non conformi alle norme dell'Unione europea;
   come disposto dal regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, nel caso di gestione concorrente o decentrata le funzioni di esecuzione sono delegate agli Stati membri, mentre la Commissione provvede alla liquidazione dei conti ovvero ricorre a meccanismi di rettifiche finanziarie al fine di accertare la responsabilità finale dell'esecuzione del bilancio;
   nella suddetta decisione la Commissione contestava al nostro Paese di non aver proceduto ai controlli sugli acquirenti di latte entro i termini previsti dalla legislazione unionale con riferimento alle campagne dal 2003 al 2007; a seguito di due ispezioni effettuate in Italia, la Commissione rilevava infatti che le autorità nazionali avevano proceduto a controlli tardivi e contestava irregolarità vertenti su carenze di controlli essenziali che implicavano un minor gettito a valere sul FEAOG;
   non essendo in grado di determinare oggettivamente l'ammontare delle perdite finanziarie subite dal citato Fondo, la Commissione applicava quindi aliquote di rettifica finanziaria forfettaria che per la Repubblica italiana si traducevano in una decurtazione di importo pari ad oltre 70 milioni di euro al fine di sanzionare irregolarità riscontrate nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche, Puglia, Sardegna, Calabria, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta;
   nel dicembre 2011 l'Italia proponeva ricorso al Tribunale dell'Unione europea avverso la decisione di cui in parola, contestando l'arbitrarietà del taglio forfettario e sostenendo che i controlli eseguiti, seppure in qualche caso tardivi, non erano perciò meno attendibili ed efficaci, sicché il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia e poi il Fondo europeo agricolo di garanzia, relativamente alle campagne più recenti, non avrebbero corso nessun rischio di non corretta esecuzione;
   il 2 dicembre 2014 il Tribunale dell'Unione europea ha respinto il ricorso anzidetto ed ha quindi condannato l'Italia al pagamento della somma stabilita –:
   se il Governo intenda presentare ricorso in appello alla Corte di giustizia dell'Unione europea e, in caso di condanna, come intenda procedere affinché una ulteriore decurtazione di fondi agricoli, anche alla luce delle altre pendenze nel settore, delle quote latte, o carenze e mancanze dovute a negligenza nei controlli da parte delle autorità preposte, non finiscano per penalizzare tutto il settore primario e soprattutto i milioni di agricoltori ed allevatori italiani che non hanno commesso alcuna violazione delle norme europee ovvero che hanno proceduto a regolarizzare, secondo quanto prevede la legge, la loro posizione. (5-04282)


   CENNI, MARIANI, TERROSI, ARLOTTI, TARICCO, PRINA, ZANIN, TENTORI e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese è caratterizzato da una cospicua copertura forestale stimata attorno al 37 per cento del territorio nazionale;
   questo capitale naturalistico è quindi tuttora una fondamentale risorsa in termini di contenuto di carbonio, di biomassa, di salvaguardia del territorio, e pertanto richiede una oculata gestione;
   le foreste e la loro manutenzione rappresentano un fronte di impegno fondamentale per più ragioni (climatiche, ambientali, di difesa idrogeologica, occupazionali, turistiche);
   la nuova Strategia forestale dell'Unione europea, pubblicata nel 2013 dalla Commissione europea e che aggiorna quella del 1998, pone al centro del mantenimento degli ecosistemi, la multifunzionalità delle foreste nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale;
   la manutenzione dei boschi italiani trova fondamento giuridico in una complessa articolazione di norme nazionali e regionali evolutesi in funzione dei mutati assetti istituzionali che hanno interessato il vasto comparto del mondo rurale, ed in modo particolare delle regioni che hanno prevalentemente adottato strumenti di programmazione quali i piani forestali regionali;
   nel nostro Paese, per circa 65000 addetti ai lavori di sistemazione idraulico forestale si pone dal 31 dicembre 2012 il tema del rinnovo contrattuale;
   fino al rinnovo del precedente Ccnl (2010/2012), capofila della componente datoriale pubblica, era l'Uncem (Unione nazionale delle comunità enti montani) delegata dalle regioni;
   a seguito delle trasformazioni o delle soppressioni delle comunità montane, l'Uncem, da gennaio 2011, ha avviato un processo di integrazione con Anci, trasformandosi in Unione nazionale comuni comunità enti montani;
   a tale integrazione non ha però fatto seguito alcuna formalizzazione della delega di rappresentanza alla nuova forma, di cui sopra, da parte delle regioni, e pertanto non risulta ad oggi noto quale soggetto possa utilmente sedere ai tavoli della contrattazione a nome delle istituzioni con funzioni di firma;
   la situazione è stata segnalata e formalizzata con numerosi atti:
    lettera delle sigle sindacali di settore ai Ministri pro tempore De Girolamo, Orlando, Trigilia, Giovannini, in data 18 luglio 2013;
    lettera al capo del Corpo forestale dello Stato l'8 ottobre 2014;
    nota di Cgil, Cisl, Uil, trasmessa al Presidente nazionale dell'Anci ed al presidente della Conferenza delle regioni, in data 24 ottobre 2014;
    nota delle medesime organizzazioni ai Ministri pro tempore Martina e Galletti, nonché per conoscenza al capo del Corpo forestale dello Stato Patrone;
   il 28 ottobre 2014, Anci ha risposto alle sigle sindacali, circa l'impossibilità per Uncem di poter continuare ad essere il rappresentante degli enti datoriali «considerato che l'attività forestale, in relazione ai programmi, ai progetti, alle risorse, risulterebbe in capo alle Regioni»;
   il 19 novembre 2014 si è svolto un incontro con il capo del Corpo forestale dello Stato Patrone anche allo scopo di conoscere quali prospettive attendano gli operai dipendenti del Corpo forestale dello Stato ed operanti negli UTB, anche alla luce delle ipotesi di riordino del Corpo forestale dello Stato;
   in più occasioni è stato richiesto di riattivare il tavolo interistituzionale ed interministeriale che nell'ottobre 2012 fu istituito dall'allora Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, allo scopo di avere una governance condivisa del settore forestale e di prefigurare il varo di un piano della filiera del legno in coerenza con i contenuti del programma quadro settore forestale;
   il 29 novembre 2014 si è svolta una mobilitazione unitaria dei lavoratori forestali per sollecitare le risposte ai temi sopra richiamati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e quali siano i loro orientamenti circa il rinnovo del Ccnl del settore e circa la rappresentanza datoriale;
   se sia intenzione dei Ministri interrogati riattivare il tavolo interministeriale richiamato in premessa;
   se sia intenzione dei Ministri interrogati rilanciare le politiche forestali del Paese anche aggiornando il piano forestale nazionale. (5-04288)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'embargo russo, anche per la frutta invernale, sta creando una situazione di gravissimo disagio, in quanto una quota consistente di produzioni spagnole, in particolare arance e clementine, sta invadendo i mercati italiani;
   l'economia agricola calabrese, in particolare il territorio della Piana di Gioia Tauro e quello della costa Jonica di Rossano e di Corigliano Calabro, (in Calabria si produce l'ottanta per cento delle clementine italiane) già sofferenti per la grave crisi economica che interessa tutto il nostro Paese, con questa ulteriore emergenza che sta determinando il fermo totale delle richieste di acquisto delle clementine e la conseguente perdita per diversi milioni di euro, vive una condizione di gravissima difficoltà economica, finanziaria e sociale;
   le cause di questa difficile congiuntura, che ha messo in grave crisi gli agricoltori, sono da ricercare, oltre che nell'invasione dei prodotti spagnoli, nei prezzi dei prodotti in caduta libera, negli alti costi di produzione e nelle anomale temperature alte che si sono registrate fino a pochi giorni orsono;
   nonostante la propensione dei consumatori ad acquistare il prodotto italiano, i consumi continuano a calare e le aziende agrumicole lavorano in perdita, non riuscendo nemmeno a coprire i costi di produzione;
   il prezzo delle clementine all'origine è sceso verticalmente, quasi del 35 per cento secondo i dati Ismea, dal 51 centesimi al chilogrammo nella terza settimana di ottobre 33 centesimi al chilogrammo nella quarta settimana di novembre;
   la maggior parte delle produzioni di clementine è rimasto sugli alberi, solo nella Piana di Gioia Tauro una percentuale del 70-80 per cento delle superfici coltivate (le clementine con il 19,38 per cento delle aziende, 1.299 unità e il 19,67 per cento della superficie totale coltivata 2.030,72 ettari) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della gravissima situazione venutasi a creare nel comparto agrumicolo calabrese a seguito dell'embargo russo e se ritenga che vi siano le condizioni per riconoscere io stato di calamità e per decretare gli sgravi fiscali per le aziende agricole colpite;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere l'iniziativa di promuovere un tavolo di concertazione tra gli attori istituzionali interessati (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, regione, province e comuni), le organizzazioni rappresentative delle categorie produttive e le forze sociali per programmare interventi strutturali atti a rendere competitivo il prodotto di alta qualità che si ottiene in alcuni territori della Calabria, al fine di salvaguardare il più possibile queste eccellenze. (5-04289)


   BURTONE, OLIVERIO, AMODDIO, ALBANELLA, ZAPPULLA, AMATO e BATTAGLIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   anche quest'anno e largamente diffusa, tra gli operatori agricoli e i consumatori, la preoccupazione per il rischio di entrata nei mercati nazionali di agrumi, prodotti nei Paesi terzi, trattati con pesticidi dannosi alla salute;
   si determinerebbe una concorrenza, seriamente dannosa, per i produttori italiani che hanno costi di lavorazione notevolmente superiori;
   le aziende agrumicole, soprattutto siciliane e calabresi, entrerebbero in uno stato di crisi, con riflessi di natura economica e sociale, per la conseguente perdita di numerosi posti di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per potenziare le strutture di controllo e per bloccare, quindi, i tentativi di alcuni speculatori italiani ed esteri di commercializzare agrumi, prodotti nei, Paesi terzi, che potrebbero essere stati trattati con sostanze tossiche, bandite dall'Unione europea;
   se non si ritenga di dover promuovere un intervento straordinario della Guardia di finanza e dei Nas, per un rigoroso controllo del prodotto nei porti, nei mercati e nella grande distribuzione, per verificare se gli agrumi, in vendita al dettaglio, sono importati da Paesi terzi e rivenduti con contraffazione, senza alcuna garanzia di controllo organolettico e fitosanitario. (5-04293)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARGENTIN, CAPONE, D'INCECCO, PATRIARCA, GRASSI e SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è quello stabilito dal decreto ministeriale n. 332 del 27 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999, dal titolo: «Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe». Esso individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 e le modalità di erogazione;
   l'aggiornamento previsto non è mai stato effettuato nonostante che ciò fosse previsto sia dall'articolo 11 del decreto n. 332 del 27 agosto 1999 «Il nomenclatore è aggiornato periodicamente, con riferimento al periodo di validità del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili» sia ribadito dall'articolo 5, comma 2-bis, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» che prevedeva che il Ministro della salute procedesse entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n. 332;
   in data 31 luglio 2013 il Ministro della salute Beatrice Lorenzin, nell'audizione in Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani a seguito della risoluzione approvata dalla Commissione che impegna il Governo a «provvedere nel più breve tempo possibile all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui al regolamento 332/99, per porre fine ai disagi delle persone disabili e dei loro familiari», ha prefigurato, per compensare eventuali maggiori oneri derivanti dall'inserimento di nuove tipologie di ausili tecnologici, il «passaggio dal regime tariffario all'acquisto con procedure di gara ai costi più bassi» per tutti i presidi non classificati come «presidi su misura»;
   il documento redatto a conclusione della Conferenza del 16 ottobre 2014, tenutasi nella Sala Capitolare del Senato, evidenzia che il ricorso all'acquisto a mezzo gare d'appalto, che prevedono un unico modello vincitore per tutti gli assistiti appartenenti al bacino d'utenti della stazione appaltante, è «pressoché impraticabile con appropriatezza per quelle tipologie di dispositivi che devono essere scelti, anche attraverso la prova di differenti modelli, per rispondere a precise e diverse necessità dell'assistito, nell'ambito di un programma specifico del singolo Progetto riabilitativo individuale» e costituisce quindi grave lesione dei diritti della persona con disabilità, che verrebbe così privata della possibilità di individuare, nella gamma di dispositivi oggi disponibili nella stessa tipologia, quello più adatto a soddisfare le sue specifiche necessità;
   in data 2 luglio 2014 in merito alla interrogazione n. 3-00914 sull'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, il Ministro Lorenzin affermava che l'aggiornamento «dei livelli essenziali di assistenza, attesissimo da tutti gli operatori, ma anche dalle associazioni delle famiglie, dei malati, soprattutto di malattie rare, ormai da più di dieci anni, ... avverrà entro il 31 dicembre 2014. La stessa cosa per quanto riguarda il regolatore del nomenclatore tariffario per le protesi audiovisive che, ricordiamolo, non era aggiornato dagli anni Novanta, questo ovviamente in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmatici della finanza pubblica»;
   lo stesso presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, in data 17 settembre 2014 al programma televisivo «Le Iene», in onda sul canale televisivo «Italia 1», rispondendo all'appello del co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Gentili che chiedeva l'aggiornamento del Nomenclatore tariffari per non «rimanere sepolti vivi» rispondeva che si sarebbero rivisti dopo 20 giorni per fare il punto della situazione sull'aggiornamento del nomenclatore tariffario e successivamente in data 13 ottobre ribadiva ai microfoni delle «Iene» che: «il nomenclatore sarà aggiornato entro dicembre»;
   il mancato aggiornamento periodico del nomenclatore, non essendo in linea con il costante progresso tecnologico, impedisce alle migliaia di disabili italiani l'accesso a nuovi strumenti di supporto che sicuramente potrebbero migliorare la loro qualità della vita, così come il ricorso indiscriminato all'acquisto a mezzo gare d'appalto, oltre ad impedire l'individuazione dell'ausilio adatto a soddisfare le specifiche necessità della persona, realizzerebbe una situazione di difformità assistenziale tra gli assistiti appartenenti ai bacini territoriali delle diverse stazioni appaltanti;
   l'inerzia del Governo è stata in parte sussidiata da sporadiche iniziative regionali che però riguardano interventi specifici legati ad alcune patologie, accentuando la disomogeneità nell'accesso ai livelli essenziali di assistenza per ragioni territoriali o per patologie, entrambi elementi che contribuiscono ad affievolire l'accesso al diritto alla tutela della salute –:
   quale sia ad oggi l’iter di aggiornamento del nomenclatore e quali misure urgenti il Ministro intenda adottare affinché, effettivamente, si possa arrivare in tempi rapidi e comunque entro la fine dell'anno 2014 ad un nuovo e completo aggiornamento del nomenclatore al fine di corrispondere alla legittima aspettativa dei pazienti che hanno il diritto di poter disporre di ausili e dispositivi provenienti dal più attuale stato di avanzamento del progresso tecnologico nel settore della produzione degli stessi e di poter condividere con il prescrittore, nell'ambito del progetto riabilitativo individuale, la scelta dell'ausilio più adatto alle loro specifiche necessità nella gamma di ausili oggi resi disponibili dalla ricerca e dal mercato. (4-07294)


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo un recente studio dell'Istituto delle malattie della povertà, Inmp, le differenze sociali peserebbero anche sulla longevità e infatti la mancanza di beni materiali e il basso titolo di studio sarebbero direttamente correlati ad una aspettativa di vita peggiore di circa cinque anni: un dirigente maschio potrebbe contare su un'aspettativa di vita di cinque anni più elevata rispetto ad un operaio non qualificato della sua stessa età;
   la mancanza di risorse materiali, legata a fattori come la disoccupazione o un lavoro poco qualificato si configurano come elementi che rendono più fragili i cittadini, che si ammalano di più, guariscono con maggiore difficoltà, hanno problemi di autosufficienza;
   anche il titolo di studio avrebbe un impatto più che significativo: secondo i dati riferiti dall'Istituto, il rischio di morire cresce regolarmente con l'abbassarsi del titolo di studio tanto che, per quanto riguarda gli uomini, considerando il rischio di un laureato, la mortalità cresce del 16 per cento nel caso di diploma di maturità; del 4 per cento con il solo titolo delle scuole medie, e del 78 per cento con quello delle elementari;
   la differenza tra le diverse aspettative di vita crescerebbero progressivamente salendo lunga la scala sociale, a dimostrazione non solo che la povertà è una vera e propria minaccia per la salute, e che c’è una ricaduta diretta su uno dei diritti fondamentali di ogni cittadino, come la salute, al crescere della disparità sociale, causata dal costante crescere della forbice tra ricchi e poveri;
   se si potessero cancellare queste disuguaglianze, lo studio stima una possibile diminuzione delle morti tra gli uomini di più del 25 per cento e di oltre il 10 per cento tra le donne;
   l'Istituto delle malattie della povertà, Inmp, ha presentato a questo proposito il «Libro bianco sulle diseguaglianze in salute»: una dettagliata fotografia del Paese che è stata sviluppata in accordo con gli obiettivi di contrasto ai gap in tema di salute, previsti nel progetto interregionale Inmp 2013-2015;
   in Europa si osservano diseguaglianze più moderate nei Paesi mediterranei, intermedie nell'Europa continentale, molto più intense all'Est; in Italia si registrano differenze maggiori nelle regioni del Sud;
   la variabilità delle differenze mostra, secondo l'Inmp, che si tratta di un fenomeno evitabile;
   secondo l'Inmp, l'impatto complessivo di questa disparità sarebbe stimabile intorno al 10 per cento del Pil: le disuguaglianze sono moralmente inaccettabili ma avrebbero anche un costo elevato, legato all'uscita precoce dal mercato del lavoro di persone altrimenti produttive, ad un maggior carico del servizio sanitario, delle politiche assistenziali e del welfare ed alla minore coesione sociale prodotta –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto esposto in premessa e se non ritengano necessario attivarsi nei modi che gli sono propri affinché sia posto un freno alla crescente disuguaglianza economica in atto nel nostro Paese e alle nefaste conseguenze che genera dal punto di vista etico, ma anche sanitario ed economico. (4-07295)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge 22 marzo 2012, n. 38 (modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale), ha modificato la legge n. 165 del 2001, inserendo all'articolo 42, dopo il comma 3, il comma 3-bis: «3-bis. Ai fini della costituzione degli organismi di cui al comma 3, è garantita la partecipazione del personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e consolari nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero, ancorché assunto con contratto regolato dalla legge locale. Di quanto previsto dal presente comma si tiene conto ai fini del calcolo della rappresentatività sindacale ai sensi dell'articolo 43»;
   è stato inoltre introdotto l'articolo 50-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. «Art. 50-bis. (Personale delle rappresentanze diplomatiche e consolari e degli istituti italiani di cultura all'estero). – 1. In considerazione di quanto disposto dall'articolo 42, comma 3-bis, le disposizioni di cui all'articolo 50 si applicano anche al personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e consolari nonché presso gli istituti italiani di cultura all'estero, ancorché assunto con contratto regolato dalla legge locale»;
   l'approvazione della legge 22 marzo 2012, n. 38, ha posto sullo stesso piano tutto il personale in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e consolari e presso gli istituti italiani di cultura all'estero;
    con l'approvazione della legge è stata garantita la libertà sindacale del personale a contratto che ha già votato in sede di rinnovo di importanti rappresentanze sindacali;
   appare oggi incomprensibile che in sede ARAN si vogliano apportare correttivi discriminatori alla piena partecipazione al rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie creando un collegio di rappresentanza sindacale separato per il personale a contratto;
   la decisione, ove confermata, limiterebbe la libertà sindacale attraverso una separazione che ridurrebbe sia la libertà sindacale affermata dal Parlamento con la riforma del 2012 che il valore del voto ed il carattere complessivo della rappresentanza –:
   se non si ritenga necessario intervenire per affermare il valore di principio della legge 22 marzo 2012, n. 38 sulla rappresentanza sindacale;
   se non si ritenga necessario intervenire per garantire la libertà di espressione sindacale del personale a contratto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che è equiparato a tutti gli effetti, anche ai fini delle prerogative e tutele sindacali, tra cui l'elettorato attivo e passivo nell'ambito delle rappresentanze sindacali unitarie e la rappresentatività, a tutti i restanti dipendenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e, in generale, della pubblica amministrazione, tant’è che ai sensi della norma suddetta ha già preso parte alle elezioni suppletive rappresentanze sindacali unitarie avvenute nel 2013 nelle sedi di Copenaghen e Tokyo e nel 2014 nelle sedi di Tirana, Mosca e Lugano, con elezione di rappresentanti RSU con contratto locale, già nel pieno del loro mandato. (4-07290)


   LOMBARDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 ottobre 2014, l'onorevole Baldassarre ha interrogato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti per aver nominato, il 30 settembre 2014, il professor Tiziano Treu commissario straordinario per l'Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps);
   il professore risultava infatti socio di un famoso studio professionale «Crowe Horwarth»;
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, è vietato alle amministrazioni pubbliche conferire a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo;
   alle criticità sollevate dall'interrogante, il Ministro forniva un'interpretazione della norma che ad avviso dell'interrogante non definiva in maniera chiara e univoca la questione descritta;
   per di più, oggi, dagli organi di stampa si apprende che la maggioranza starebbe «confezionando» una norma al fine di prorogare la permanenza del professor Treu all'interno degli organi di comando dell'Inps;
   la norma ad hoc servirebbe infatti a conferire al professor Treu la presidenza dell'Istituto, quando, in base alla normativa vigente, il professore decadrebbe dall'incarico di commissario straordinario dell'Inps dopo un anno –:
   se trovi conferma la notizia che il Governo stia elaborando una norma come quella descritta in premessa. (4-07302)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   ABRIGNANI e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, concernente «Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche», si pone l'obiettivo di favorire l'utilizzo della risorsa «rinnovabile» geotermica, in particolare la semplificazione delle procedure in coerenza con gli indirizzi comunitari ed internazionali per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l'apertura a un regime concorrenziale che assicuri una trasparente e non discriminatoria assegnazione in concessione delle risorse geotermiche;
   le risorse geotermiche di interesse nazionale sono considerate patrimonio indisponibile dello Stato, mentre quelle di interesse locale sono patrimonio indisponibile regionale e l'autorità competente per le funzioni amministrative, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, riguardanti le risorse geotermiche d'interesse nazionale, è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre per quelle locali le autorità competenti sono le regioni o gli enti da esse delegati, nel cui territorio sono rinvenute;
   il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE», ha previsto che, al fine di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche a ridotto impatto ambientale, sono considerati di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione – su tutto il territorio nazionale – di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle e con potenza nominale installata non superiore a 5 megawatt e, per ciascuna centrale, introduce un'incentivazione aggiuntiva per gli impianti geotermici che producono emissioni nulle, che reiniettano tutto il fluido geotermico nelle formazioni di provenienza, concedendo una tariffa incentivante per chi saprà gestire la risorsa, in tutela dell'ambiente, anche in presenza di gas nel fluido, pur essendo questa tecnologia molto onerosa per il soggetto proponente;
   l'ordinamento giuridico italiano ha previsto dal 2011 una normativa speciale per la produzione di energia elettrica da fonte mineraria geotermica, con l'obiettivo di sfruttare le presenti risorse minerarie abbandonate, dopo la ricerca che lo Stato ha fatto spendendo milioni di euro per definirne i campi geotermici e le loro potenzialità termiche, con impianti ad alta tecnologia con l'obbligo di elevati risultati ambientali che rendano le emissioni nulle e obblighino, lo stesso impianto, alla reiniezione totale del fluido estratto. L'autorità competente per il conferimento dei relativi titoli minerari è il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che acquisiscono l'intesa con la regione interessata;
   ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, recante disposizioni in materia di piccole utilizzazioni locali di calore geotermico, le autorità competenti per le funzioni amministrative, inclusa la valutazione di impatto ambientale, ai fini del rilascio del permesso di ricerca e delle concessioni di coltivazione, comprese le funzioni di vigilanza sull'applicazione delle norme di polizia mineraria, riguardanti le risorse geotermiche e locale sono le regioni o gli enti da esse delegati;
   il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per la crescita del Paese, ha disposto l'inserimento dell'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», ha disposto che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale (integrando l'articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
   ai sensi di tale normativa i progetti geotermici pilota sono, quindi, sottoposti alla valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la normativa sopra citata ha comportato richieste di permessi di ricerca e coltivazione in tutta Italia, riaccendendo un interesse di investimenti privati nel settore, ben distribuito sul territorio nazionale – in particolare nelle regioni Umbria, Lazio, Toscana, Campania, Sicilia e Sardegna – con 10 permessi per impianti pilota sperimentali, in particolare nel settore della media entalpia, con temperature della risorsa geotermica compresa tra 90 e 150 gradi;
   il Ministero dello sviluppo economico-direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche ha ritenuto, inoltre, necessario valutare in via preventiva le autorizzazioni di operazioni tecnologiche che prevedano perforazioni nel sottosuolo, con particolare riferimento alla sismicità indotta ed ha promosso la stesura di «linee guida», a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che suggeriscano alle commissioni di valutazione ambientale di esaminare gli impianti in esercizio presenti in Europa e nel mondo, così da conoscere i reali effetti ambientali dei siti potenzialmente sfruttabili, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente all'abbattimento sostanziale di anidride carbonica nell'atmosfera, di un risparmio energetico nella produzione di calore e raffreddamento e di tutti i vantaggi ambientali che ne derivano; linee guida che, purtroppo, non sono ancora state formulate dai ministeri in oggetto;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto necessario costituire, in ambito Ispra, dei gruppi di lavoro per definire puntualmente lo stato della sismicità indotta e provocata dall'attività antropica nel nostro Paese;
   l'attività dei suddetti gruppi di lavoro è tuttora in corso, ma a totale garanzia degli effetti ambientali positivi dello sfruttamento geotermico ci sono tutte le pratiche di costruzione mineraria mondiali;
   le commissioni di valutazione di impatto ambientale sono, quindi, in grado di potere esprimere piene valutazioni nell'ambito geologico, idrico ed atmosferico fino all'approvazione di un dettagliato programma lavori per la realizzazione di pozzi in piena sicurezza; per quanto attiene la «zonazione del territorio» si ricorda che la pericolosità sismica del territorio nazionale è da tempo classificata e tenuta aggiornata e le relative mappe sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, mentre per quanto riguarda gli altri potenziali ognuno di questi è puntualmente analizzato dalla valutazione di impatto ambientale e monitorato dalle Arpa regionali;
   il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, all'articolo 38-ter, ha modificato il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, includendo l'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239, e nello specifico gli impianti per l'estrazione di energia geotermica di cui al decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22;
   gli impianti (cosiddetti pilota che prevedono la reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza di potenza nominale installata non superiore a 5 megawatt) sono finalizzati alla sperimentazione e riguardano tutto il territorio nazionale. Tuttavia, nonostante siano state ricevute istanze sino a coprire la potenza massima prevista (50 megawatt) riguardanti risorse geotermiche già note, ad oggi non sono stati rilasciate né permessi di ricerca né concessioni, per la complessità dell’iter burocratico necessario ad ottenere le varie autorizzazioni;
   è interesse strategico dello Stato sviluppare le risorse energetiche e, in particolare, le nuove tecnologie nel settore geotermico, rendendo certi i tempi per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti e lo sfruttamento di tale risorsa rinnovabile;
   l'obiettivo dovrebbe essere quello di sviluppare impianti a ciclo combinato chiuso, già diffusi in tanti Paesi a partire dall'Islanda, ma ancora inesistenti in Italia (nonostante il monopolio dell’Enel sulla geotermia sia caduto da più di tre anni) proprio per la difficoltà, tutta italiana, nell'ottenere le autorizzazioni, che fino a oggi hanno frenato la realizzazione di questi impianti a zero impatto;
   nell'ambito della valutazione di impatto ambientale, per gli impianti pilota geotermici si dovrebbe valorizzare l'impegno dei privati nella produzione di energia a basso impatto ambientale e, quindi, in sostituzione di altra energia prodotta con maggiori emissioni di anidride carbonica a danno dell'atmosfera e bisognerebbe rilasciare le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici più velocemente possibile, in modo da dotare il Paese di nuove tecnologie per lo sfruttamento della risorsa geotermica, ad esclusivo onere finanziario dei privati, per potere riportare il settore a competere nel mondo come leader dell'energia rinnovabili –:
   se il Governo intenda avviare le procedure per un concreto e celere sfruttamento delle risorse geotermiche ricercate ed analizzate fino ad oggi nel territorio italiano, per le varie tipologie di impianti geotermici, identificando le aree potenzialmente sfruttabili in coerenza anche con le previsioni degli orientamenti europei relativamente all'utilizzo della risorsa geotermica e in linea con la strategia energetica nazionale. (3-01231)


   FEDRIGA, PRATAVIERA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dietro l'apertura del centro commerciale Tiare shopping di Villesse, di proprietà del gruppo Inter Ikea center Italia, si celano le storie di tanti imprenditori italiani che, dopo aver contribuito alla realizzazione del centro, rischiano oggi il fallimento per il mancato rispetto dei pagamenti da parte del gruppo svedese;
   il gruppo Ikea ha delegato Immobiliare Arco-Fogliata spa Alfacontract a stipulare contratti con le ditte subappaltatrici per la fornitura di materiale per la realizzazione del centro commerciale Tiare shopping;
   il gruppo aveva impostato i pagamenti delle ditte subappaltatrici tramite delega passiva di pagamento a trenta giorni data fattura, fornendo alle medesime ditte rassicurazioni sul rispetto dei contratti e dei pagamenti;
   i pagamenti alle ditte sono stati sospesi dalla data di apertura del centro commerciale, avvenuta il 5 dicembre 2013, provocando alle stesse seri problemi di liquidità, che, se non verranno prontamente risolti, potrebbero determinarne la chiusura, con pesanti ricadute sull'occupazione;
   i dipendenti delle ditte subappaltatrici si trovano in uno stato di profonda precarietà ed il loro futuro appare oggi più che mai incerto, in un contesto sociale già compromesso da una disoccupazione in continuo aumento per la mancanza di lavoro e la costante chiusura di attività industriale ed artigianali;
   particolarmente grave è la situazione che sta vivendo la ditta fornitrice Ediltecnica sc di Portogruaro, che ad oggi ha ricevuto dal gruppo, tramite Villesse shopping center, solo il 40 per cento dell'importo dovuto e parrebbe rischiare di non riuscire più a pagare gli stipendi ai suoi dipendenti. Secondo una stima della stessa azienda, l'ammontare da corrispondere alle imprese che hanno lavorato per il gruppo Ikea si aggira intorno agli 80 milioni di euro;
   in un incontro con il gruppo Ikea, nel febbraio 2014, era stato consigliato alla ditta di trovare una transazione con l'appaltante; l'accordo transattivo, che prevedeva la cospicua decurtazione dei compensi con pagamenti dilazionati in 13-15 rate, se fosse andato a buon fine avrebbe compresso seriamente l'attività dell'azienda;
   ad oggi sono stati avviati diversi confronti con i rappresentati del gruppo e i sindaci dei comuni interessati per cercare soluzioni che prevedano anche un maggior coinvolgimento della regione Friuli Venezia Giulia nel far rispettare i contratti;
   la vicenda, a cui è stato dedicato anche un servizio di Striscia la notizia, rischia di diventare un caso nazionale per il numero di imprese e di lavoratori coinvolti –:
   se il Ministro interrogato intenda acquisire elementi in merito al rispetto degli accordi presi dal gruppo Ikea Center Italia con le aziende subappaltatrici e quali immediate iniziative intenda adottare affinché vengano tutelate la continuità aziendale delle medesime aziende e l'occupazione. (3-01232)


   BARONI, GRILLO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, LOREFICE, MANTERO e PESCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la straordinaria operazione di polizia giudiziaria «mondo di mezzo», avviata su impulso della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, che ha portato alla luce una devastante rete criminale e mafiosa sotto l'egida, tra gli altri, degli indagati Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, ha messo in evidenza il ruolo centrale e anomalo della cooperativa «29 giugno» nella suddetta rete criminale, che si è espansa da Roma all'Emilia Romagna, a Palmi, alla Sicilia;
   è da giorni su tutti i quotidiani nazionali che la galassia cooperativa «29 giugno», tramite il Buzzi, suo indiscusso leader, e i suoi sodali, si sarebbe inserita, attraverso svariate attività criminali, nelle commesse pubbliche e negli appalti, soprattutto nell'ambito dei servizi sociali;
   sui quotidiani si sono letti alcuni nomi delle coop controllate o collegate con la «29 giugno»: «29 giugno servizi-società cooperativa di produzione e lavoro», «Eriches 29-consorzio di cooperative sociali», «Consorzio formula ambiente», «Sarim immobiliare», «O.m.l.», «coop soc Abc»; alcune di queste sono coinvolte nell'indagine in corso e non è da escludere che possano emergere ulteriori fatti rilevanti;
   le cooperative sono oggetto di ispezioni periodiche da parte del Ministero dello sviluppo economico e sembra quantomeno improbabile che non siano state rilevate anomalie nella gestione della galassia delle cooperative afferenti alla «29 giugno» –:
   quali iniziative intenda porre in essere con la massima urgenza per restituire trasparenza e credibilità al settore della cooperazione macchiata da questa gravissima vicenda e se, in particolare, non ritenga doveroso avviare un'azione ispettiva straordinaria nei confronti delle società cooperative interessate dalle indagini della magistratura e delle loro partecipate e controllate, ai fini dell'adozione dei provvedimenti più idonei e urgenti da parte del Ministero dello sviluppo economico.
(3-01233)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la normativa di riferimento sull'impiego del gas naturale liquefatto (GNL), nonché i relativi disciplinari e le linee guida per la redazione dei progetti di prevenzione antincendio risultano inadeguati per quanto concerne la realizzazione di impianti cosiddetti «satellite» a uso industriale e civile;
   allo stato attuale, infatti, e per gli interventi di prevenzione degli incendi, questi impianti verrebbero assimilati agli impianti di alimentazione di gas naturale liquefatto con serbatoio criogenico fuori terra nelle stazioni di rifornimento di gas naturale compresso (GNC) per autotrazione;
   nei fatti, per la realizzazione degli impianti «satellite», vengono adottati i criteri esplicati nella circolare n. 3819 del 21 marzo 2013 del Ministero dell'interno, dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile (direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica) avente per oggetto «guida tecnica ed atti di indirizzo per la redazione dei progetti di prevenzione incendi relativi ad impianti di alimentazione di gas naturale liquefatto (GNL) con serbatoio criogenico fuori terra a servizio di stazioni di rifornimento di gas naturale compresso (GNC) per autotrazione»;
   peraltro, la medesima circolare non risulta essere del tutto idonea a disciplinare neanche i progetti di antincendio per le stazioni di rifornimento di gas naturale compresso. A pagina 2, quarto capoverso, recita infatti: «La soluzione tecnologica che prevede un impianto di distribuzione di gas naturale realizzato mediante stoccaggio criogenico di metano liquido (GNL) risulta quindi innovativa per le stazioni di rifornimento carburante per le quali al momento la normativa antincendio contempla solamente l'utilizzo di metano allo stato gassoso prelevato da rete fissa o da carro bombolaio»;
   il quadro normativo di riferimento precedentemente illustrato delinea una situazione di incertezza, tra l'altro, in un settore delicato come la prevenzione degli incendi in situazione di alto rischio, incertezza che non facilita il compito del personale del corpo dei vigili del fuoco, chiamato a verificare la corretta applicazione delle norme antincendio, e di aziende e imprenditori che affrontano investimenti ingenti senza la certezza, in assenza di una normativa chiara, della corretta esecuzione dell'opera;
   i criteri e gli atti di indirizzo indicati dalle linee guida della citata circolare del dipartimento dei vigili del fuoco risulterebbero restrittivi rispetto alle diverse condizioni in cui si troverebbero a operare gli impianti «satellite» e le stazioni di servizio (in quest'ultimo caso, ad esempio, la normativa deve tenere conto di un servizio rivolto al pubblico, quindi, con un afflusso di automobilisti e con la previsione di una gestione automatica degli impianti in regime di self-service);
   le condizioni sopra illustrate, che richiedono il rispetto di particolari e onerosi adempimenti, non si presenterebbero negli impianti «satellite» di supporto alle attività industriali, che sono circoscritti in aree precluse al pubblico e costantemente presidiate e monitorate nell'ambito dei procedimenti e dei cicli delle produzioni aziendali;
   l'impiego del gas naturale liquefatto, assieme all'efficienza energetica, rappresenta una opportunità di mitigazione dei costi energetici che nel breve periodo e in attesa di una transizione verso un sistema energetico basato su fonti rinnovabili può aiutare l'industria nazionale a rimanere competitiva nel mercato sia interno che internazionale;
   l'interesse per il gas naturale liquefatto, sia sotto il profilo della sicurezza sia per quanto concerne le prospettive di impiego e sviluppo nei trasporti e nell'industria, è confermato dal Governo che ha posto il gas naturale liquefatto tra i temi energetici da sviluppare, tanto da prevedere, nell'ambito del Ministero dello sviluppo economico, l'elaborazione di un piano strategico nazionale sull'utilizzo del gas naturale liquefatto ai Italia, per redigere il quale si è insediato di recente il gruppo di coordinamento nazionale del gas naturale liquefatto;
   nel frattempo, l'assenza di una disciplina organica e chiara sull'utilizzo del gas naturale liquefatto, da una parte, desta numerosi interrogativi sugli elementi di rischio per le persone e per le cose, dall'altra, potrebbe ritardare i processi di ammodernamento ed efficientamento del sistema industriale e dei trasporti italiani, di cui le strategie energetiche rappresentano l'elemento centrale, e impedire a numerose aziende e imprese, con particolare riguardo alle industrie energivore, di accedere a un'opportunità di risparmio energetico –:
   quali siano allo stato attuale i criteri a cui si devono attenere i soggetti pubblici e privati nella progettazione e nella realizzazione degli impianti «satellite» a uso industriale o civile per lo stoccaggio e gassificazione del gas naturale liquefatto, nonché nella predisposizione dei relativi piani antincendio;
   se non si ritenga opportuno, in attesa di approntare il piano strategico nazionale sull'utilizzo del gas naturale liquefatto in Italia, di definire per i comandi del Corpo dei vigili del fuoco delle linee guida chiare e univoche da seguire per la realizzazione dei piani antincendio sia per l'impiego del gas naturale liquefatto per autotrazione sia per gli impianti industriali e civili.
(5-04301)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fregolent e altri n. 5-01045, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiorio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cominardi e Tripiedi n. 5-03959, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luigi Di Maio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-04055, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Di Lello n. 4-07264, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 349 del 12 dicembre 2014.

   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, organi periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, hanno il compito di garantire la tutela di un vasto territorio, che comprende oltre cento comuni;
   questo territorio rappresenta, per quanto concerne il mondo antico, uno tra i più ricchi di insediamenti umani, città, monumenti ed antichità di rilevante valore storico-archeologico. Nell'ambito di esso varie culture e popolazioni convissero e si succedettero nel tempo, dalla preistoria all'epoca classica greco-romana, dalla tarda antichità all'età medioevale;
   le attività istituzionali delle Soprintendenze sono condotte attraverso un capillare sistema di uffici periferici distribuiti sul territorio, che controllano aree, parchi e singoli monumenti archeologici, collegati con antiquaria e musei territoriali, alcuni di antica istituzione, altri più recentemente aperti al pubblico o in corso di allestimento;
   in base ai tagli operati nel 2012-2013, ogni Ministero era tenuto a dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni di pianta organica. Il Mibact adempie, con un decreto del 18 novembre 2014 a tale obbligo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge n. 83 del 2014, convertito dalla legge n. 106 del 2014;
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) che trae origine, come è noto, dalle politiche di spending review attuate da ultimo con il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito dalla legge n. 89 del 2014, prevede la soppressione della succitata Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e la creazione di un'unica Soprintendenza regionale con sede a Salerno a partire dal prossimo 10 gennaio 2015;
   una decisione questa che cancella di fatto un'istituzione, la Soprintendenza archeologica napoletana, che ha ben duecento anni di vita e che è stata sempre il punto di riferimento di studiosi e scienziati provenienti da tutto il mondo;
   la riforma in oggetto non tocca solo le Soprintendenze; nello specifico, per quanto riguarda la Campania, anche gli Archivi di Stato di Avellino, Benevento, Caserta e Salerno dovrebbero sparire. Resterebbe solo quello di Napoli. Così come resterebbero il polo museale con sede a Napoli, il museo di Capodimonte e la Reggia di Caserta, oltre alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III;
   come spesso accade ultimamente in nome della spending review la riforma viene contestata anche dagli stessi lavoratori che, riuniti in assemblea, hanno stilato un documento in cui sottolineano non solo i danni che il provvedimento porterà all'archeologia campana ma anche i disagi «nell'espletamento degli atti di competenza e difficoltà nella tutela del territorio, nel quale – sottolineano – sono presenti eccellenze quali il centro antico di Napoli, i Campi Flegrei e l'area Nolana» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di rivedere i criteri che ridefiniscono il funzionamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con particolare riferimento alla Soprintendenza archeologica di Napoli che nei suoi duecento anni di attività ha creato una fitta rete di rapporti interistituzionali con comuni, province, università e facoltà di architettura, che saranno a giudizio dell'interrogante negativamente condizionati da questo accorpamento. (4-07264)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Gallinella n. 5-01568 del 26 novembre 2013;
   interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-01144 del 6 novembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-04168 del 29 novembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Costantino n. 4-07167 del 4 dicembre 2014;
   interpellanza Ciprini n. 2-00783 dell'11 dicembre 2014.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in Commissione Benedetti e altri n. 7-00545, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 dicembre 2014: è stata ritirata la firma del deputato Gallinella.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Terzoni e altri n. 5-04268 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta n. 348 dell'11 dicembre 2014. Alla pagina 19708, seconda colonna, dalla riga trentaduesima alla riga trentatreesima, deve leggersi: «LUIGI GALLO, TERZONI, DAGA, LIUZZI, PESCO, SIBILIA, NESCI, FICO» e non «TERZONI, DAGA, LIUZZI, PESCO, LUIGI GALLO, SIBILIA, NESCI, FICO», come stampato.