Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Sabato 29 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'intero mondo occidentale chiede al popolo curdo di resistere e contrastare l'avanzata dell'Isis in nome della difesa dei suoi stessi valori di libertà, condivisi anche dal popolo curdo;
    negli ultimi decenni 30.000 curdi sono stati uccisi, decine di migliaia sono stati incarcerati e almeno 5.000 villaggi curdi sono stati bruciati senza che dall'Europa si levasse alcuna protesta;
    alcuni dei Paesi che hanno finanziato l'Isis, permettendo all'organizzazione di diventare una minaccia concreta e incombente, hanno perpetrato massacri ai danni del popolo curdo;
    il Pkk, rappresentante politico delle istanze di libertà e autonomia del popolo curdo, è stato inserito nell'elenco delle organizzazioni terroriste internazionali a fianco dello stesso Isis;
    i curdi sono una delle pochissime popolazioni mediorientali in cui sia egemone una cultura laica e che promuove i diritti delle donne, fatta propria anche dal Pkk;
    è ad avviso dei firmatari del presente atto d'indirizzo contraddittorio e irragionevole fornire armi ai combattenti curdi in nome della difesa di valori comuni e poi considerare terroriste le legittime aspirazioni indipendentiste di quegli stessi combattenti;
    il leader del Pkk Abdullah Ocalan è imprigionato nelle carceri turche e condannato all'ergastolo nonostante si sia adoperato recentemente per una soluzione pacifica della «questione curda»,

impegna il Governo

ad adoperarsi con tutti i mezzi a propria disposizione perché il Pkk sia cancellato dalla lista delle organizzazioni terroriste internazionali.
(1-00677) «Palazzotto, Scotto, Fratoianni, Costantino, Quaranta, Daniele Farina, Sannicandro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in alcuni Stati, come gli Stati Uniti d'America, il Governo si astiene dallo stipulare contratti di derivati, soprattutto in seguito all'aver accertato i gravissimi rischi nei quali è possibile incorrere. L'Italia al contrario — come si apprende da fonti stampa — sembrerebbe essere il maggior utilizzatore di strumenti derivati;
   nella seduta della Camera dei deputati n. 605 di giovedì 15 marzo 2012, il Sottosegretario Marco Rossi Doria, in risposta a interrogazione parlamentare, ha dichiarato che, alla data suddetta, il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammontava a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. All'epoca, quindi, il nozionale ammontava a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione; «degli strumenti derivati in essere», affermava il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, «circa 100 miliardi erano interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA»;
   secondo fonti giornalistiche, nei primi otto anni di utilizzo degli strumenti derivati le finanze pubbliche hanno beneficiato di quasi 8 miliardi di euro di guadagni mentre a partire dal 2006 la tendenza si è invertita e le perdite sono state sempre più consistenti. Da elaborazioni di Repubblica e Financial Times (svolte sulla base di una relazione del Tesoro sul debito pubblico, inviata alla Corte dei Conti a inizio 2013) emerge che un rilevante numero di derivati (del valore di 31 miliardi), ristrutturati nel 2012, ha generato circa 8 miliardi di minusvalenze di mercato. Le perdite si sono concretizzate nell'ipotesi di scadenze o risoluzione anticipata;
   l'intenzione del Governo sembra essere quella di permettere che, in futuro, vengano predisposte delle garanzie su «conti ad hoc», immunizzando dal rischio le banche. Infatti, nel caso in cui l'Italia andasse in default, le banche riceverebbero automaticamente le liquidità poste a garanzia, di fatto qualificandosi come creditori privilegiati rispetto ai detentori di titoli pubblici (BTP), che ormai in gran parte sono in possesso di investitori italiani;
   è doveroso precisare che nell’«Eurozona» solo Portogallo ed Irlanda hanno posto in essere accordi di garanzia bilaterale sul «debito» e l'Italia potrebbe essere la terza in ordine cronologico di adesione al sistema prescritto;
   dopo la rivalutazione delle quote azionarie di Banca d'Italia, che di fatto ha generato circa 7 miliardi di euro di plusvalenze per pochi istituti bancari, bilanciate solo da un miliardo di maggiori entrate fiscali; dopo la deducibilità ai fini IRAP delle «perdite» sui crediti in 5 anni (rispetto ai 18 originari) che ha consentito alle sei principali banche di ricevere ulteriori sgravi per 514 milioni di euro sembra eccessivo concedere alle banche un ulteriore privilegio visto che, contemporaneamente, agli italiani — in piena crisi economica — è stato chiesto l'ennesimo sacrificio pur consci che il livello di tassazione effettiva sfiora ormai il 55 per cento del PIL;
   non si dispone di dati ufficiali dai quali sia possibile evincere il valore nozionale degli strumenti derivati sottoscritti fino ad oggi dallo Stato italiano, l'ammontare dei flussi di cassa in entrata e uscita, con quali banche siano stati sottoscritti, e quale sia il capitale di riferimento, quale tipologia tecnica e quale il valore complessivo delle garanzie che verranno eventualmente stipulate relativamente ad operazioni in strumenti derivati –:
   se si reputi necessario ed urgente assumere iniziative al fine di evitare che lo Stato italiano sia gravato da ingiustificati ed eccessivi oneri economici connessi all'eccessiva mole di strumenti derivati sottoscritti ed alla concessione di garanzie connesse ad operazioni in strumenti derivati;
   quale sia il valore nozionale degli strumenti derivati sottoscritti fino ad oggi dallo Stato italiano, l'ammontare dei flussi di cassa in entrata e uscita, con quali banche siano stati sottoscritti, e quale sia il capitale di riferimento e quale tipologia tecnica;
   se intenda fornire e pubblicare i dati ufficiali del valore complessivo e della tipologia delle garanzie che verranno stipulate relativamente alle operazioni in strumenti derivati ed i dati ufficiali relativi al valore complessivo degli strumenti derivati sottoscritti, alla loro precisa composizione, all'identità delle banche ed intermediari finanziari con i quali sono stati sottoscritti, ai reali profili di rischio insito nei contratti e nell'assunzione delle suddette garanzie;
   se possano essere suffragate le ipotesi già formulate dal «Der Spiegel» nel 2012 secondo cui a Helmut Kohl sarebbe stato segnalato da esperti che l'Italia abbia usato contratti derivati per raggiungere i criteri imposti dalla creazione della moneta unica;
   quali iniziative si intendano adottare, anche a livello normativo, per aumentare al massimo la trasparenza in relazione agli strumenti finanziari derivati presenti nel portafoglio del Ministero;
   se si preveda l'inserimento di una clausola che obblighi gli Istituti finanziari beneficiari delle eventuali garanzie finanziarie reali previste da Basilea III, recepite da BCE e Banca d'Italia, a utilizzare l'ingente iniezione di liquidità che ne deriverebbe a favore di investimenti nell'economia reale, con particolare riferimento alle piccole/medie imprese.
(2-00765) «Pesco, Villarosa, Ruocco, Cancelleri, Barbanti, Alberti, Pisano, Castelli, Sorial, D'Incà, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, Colonnese».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, precisamente in contrada Ulmo e dunque all'interno della riserva naturale «Sughereta», dichiarata SIC (sito d'interesse comunitario) è stato installato, dalla Marina militare statunitense, un sistema di parabole che operano a frequenze di microonde (banda Ka) e due trasmettitori elicoidali UHF che, insieme, costituiscono la stazione a terra del sistema di comunicazione a banda stretta;
   mentre le maxi antenne trasmetteranno con frequenze raggiungendo valori compresi tra i 30 e i 31 GHz, i due trasmettitori elicoidali avranno una frequenza di trasmissione tra i 240 e i 315 MHz. Si tratta, in altre parole di un sistema di onde elettromagnetiche che penetreranno la ionosfera e i tessuti di ogni essere vivente;
   tale sistema, denominato MUOS (mobile user objective system), è destinato al miglioramento delle radiocomunicazioni satellitari con le altre basi militari e con i sottomarini, inoltre, può essere utilizzato per guidare missili e aerei senza pilota (denominati droni);
   i voli dei droni sui cieli siciliani comportano gravi pericoli, sia per la popolazione che per il traffico aereo civile, infatti i voli su Catania e Trapani subiscono spesso cambi di rotta e, di conseguenza, i passeggeri sono costretti a subire ingiustificati disagi, con grave pregiudizio per l'economia dell'intera isola e per il diritto di libertà di movimento;
   con il completamento dell'opera, la base militare, di cui sopra, assumerà un ruolo di obiettivo strategico mondiale, rafforzando la centralità della Sicilia nel Mediterraneo nell'ambito comunque delle politiche di difesa americane. In tal modo gli USA potranno disporre di una testa di ponte, altamente tecnologica, per prevenire e contrastare eventuali minacce provenienti dalle regioni del Nord Africa e del Medio oriente;
   al di là degli obiettivi prettamente militari la realizzazione del progetto potrebbe mettere e repentaglio l'incolumità del popolo siciliano, il quale non è stato informato dell'installazione di questo sistema, altamente nocivo per la salute umana;
   si segnala inoltre che il campo elettromagnetico creato dalle antenne MUOS si attesta sopra i limiti previsti dalla legge n. 36 del 2001 e di estende su una superficie di oltre 135 chilometri, interessando anche l'aeroporto di Comiso in provincia di Ragusa;
   la progettazione dell'impianto risale all'anno 2001, allorquando venne siglato un primo accordo bilaterale tra gli USA e l'Italia a cura dell'allora Governo Berlusconi. Nel 2006 il Governo Prodi ratificò tale accordo e impose il rispetto delle normative in materia di inquinamento ambientale ed elettromagnetico, dando mandato alla regione siciliana di verificare e concedere le relative autorizzazioni ambientali. I lavori del MUOS furono così consentiti con due autorizzazioni, la prima prot. n. 36783 del 1o giugno 2011 e la seconda prot. n. 43182 del 28 giugno 2011, dall'assessorato per il territorio e l'ambiente della regione siciliana. Il 1o giugno 2011 è la data a cui fa anche riferimento il protocollo d'intesa tra il Ministro della difesa e la regione siciliana;
   dopo le fasi iniziali il progetto ha avuto un iter estremamente difficile che ha avuto il suo culmine con la revoca, da parte della regione siciliana, il 29 marzo 2013, delle autorizzazioni ambientali precedentemente rilasciate per la realizzazione del MUOS; contro tali revoche il Ministero della difesa, con due distinti ricorsi innanzi al TAR di Palermo, iscritti al n. 808/2013 e n. 950/2013, presentava ricorso chiedendone l'annullamento previa sospensione;
   il TAR, con ordinanze del 9 luglio 2013, rigettava tale domanda di sospensiva, ritenendo che vi fossero seri dubbi sulla non dannosità dell'impianto MUOS per la salute pubblica, per l'ambiente e per la sicurezza del traffico aereo dei vicini aeroporti;
   le ordinanze del 9 luglio 2013 sono state impugnate, sempre dal Ministro della difesa, innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, il quale fissava la discussione in camera di consiglio per il 25 luglio 2013;
   il 24 luglio la regione siciliana ha revocato i precedenti provvedimenti di revoca a seguito del pronunciamento da parte dell'Istituto superiore di sanità, in merito alla non dannosità delle onde elettromagnetiche del sistema MUOS il quale rileva che: «Le conclusioni del Gruppo di Lavoro indicano che l'installazione del MUOS non impatterebbe negativamente sulla salute della popolazione, ma rilevano contemporaneamente la necessità di un'attenta e costante sorveglianza sanitaria della popolazione delle aree interessate oltre che dell'attuazione di un monitoraggio dei livelli di campo elettromagnetico successivamente alla messa in funzione delle antenne MUOS, anche in considerazione della natura necessariamente teorica delle valutazioni effettuate su queste specifiche antenne. È stata rilevata, inoltre, l'opportunità di valutare nel tempo anche l'impatto della variabile ambientale dovuta all'industrializzazione delle aree limitrofe» –:
   quali iniziative, anche di natura sospensiva qualora ne ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati intendano assumere per rassicurare la popolazione e le amministrazioni interessate riguardo al totale rispetto della Costituzione e delle leggi nelle procedure adottate, nonché per garantire il rispetto e la totale salvaguardia della salute umana per tutti i cittadini interessati dal progetto MUOS. (4-07082)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) ha certificato come l'inquinamento dell'aria e i gas serra prodotti dall'industria, con la conseguente esposizione della popolazione a polveri sottili e ozono, provochi ogni anno in Europa 458.065 decessi, 67.921 dei quali in Italia;
   l'Italia, con l'ingombrante presenza dell'Ilva di Taranto, presente nella «top 30» degli stabilimenti più inquinanti d'Europa, risulta tra i paesi più colpiti;
   il piano aria messo a punto dall'AEA contiene importanti azioni per ridurre drasticamente tale inquinamento;
   le politiche economiche più espansive in grado di far uscire l'Europa e l'Italia dalla lunga fase di scarsa crescita rischiano di vanificare le misure predisposte dall'Agenzia;
   il timore, come riportano gli organi di stampa, è rafforzato anche dalle posizioni del presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, che ha presentato al Presidente del Consiglio dell'Unione europea, Matteo Renzi, e al Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, la proposta di programma di lavoro per il 2015 che prevede anche il «taglio» dalle priorità del «pacchetto aria», approvato dalla precedente Commissione;
   a destare allarme sono in particolare le eventuali modifiche alle norme sull'inquinamento da polveri sottili visto che «per le Pm 10 il limite di legge è 40 μ g/m3 mentre il valore guida indicato dall'Oms è di 20 μ g/m3 per le Pm 2.5 il limite di legge sulla media annuale è di 25 μ g/m3 mentre il valore guida indicato dall'Oms è di 10 μ g/m3»;
   tutti i più autorevoli studi scientifici affermano che ogni riduzione di 5 μ g/m3 di Pm 10 riduce la mortalità del 7 per cento;
   l'Europa e l'Italia hanno bisogno di limiti più rigorosi per salvare vite umane ed economia;
   il «pacchetto aria» consentirebbe alla società di risparmiare dai 40 ai 140 miliardi di euro in esternalità e si otterrebbero benefici diretti nell'ordine di circa 3 miliardi di euro grazie all'incremento di produttività della manodopera, a minori costi sanitari, all'aumento delle rese agricole e a minori danni agli edifici;
   l'applicazione del pacchetto contribuirebbe anche a creare l'equivalente di circa 100.000 ulteriori posti di lavoro, perché grazie al minor numero di giorni lavorativi persi si registrerebbe un incremento in termini di produttività e competitività, avendo un impatto netto positivo sulla crescita economica –:
   se il Governo non ritenga opportuno adoperarsi perché venga scongiurato il tentativo di depotenziare le misure anti inquinamento pensate dall'Agenzia europea dell'ambiente;
   se non ritengano necessario che le politiche economiche espansive in grado di far uscire l'Italia dalla lunga fase di scarsa crescita siano compatibili con la tutela dell'ambiente e della salute;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per contrastare l'inquinamento dell'aria e i gas serra prodotti dall'industria che ogni anno espongono la popolazione a polveri sottili e ozono, provocando in Italia quasi settanta mila morti all'anno;
   se non ritengano di garantire la piena applicazione del principio «chi inquina paga» per i titolari delle industrie che si sono resi responsabili di azioni di inquinamento sul territorio nazionale;
   quali azioni intendano assumere per approvare in tempi brevi un piano strutturale di interventi sulle politiche energetiche a favore delle rinnovabili e dell'efficienza energetica;
   se non ritengano urgente adottare iniziative che potenzino il trasporto pubblico, avviando nel contempo una serie di interventi presso l'Unione per la produzione di auto ibride da immettere nel mercato. (4-07083)


   CATALANO, ZACCAGNINI, MUCCI, CRISTIAN IANNUZZI, OLIARO, CURRÒ, BARBANTI, TACCONI, FURNARI, PLANGGER e DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il meccanismo dell'8 per 1.000 prevede attualmente la distribuzione, ai soggetti che partecipano alla ripartizione, non solo delle quote che i contribuenti hanno scelto di destinare a uno specifico soggetto, ma anche di tutte le quote per le quali i contribuenti non abbiano operato alcuna scelta, con riparto di tali ultime quote secondo la proporzione data dalle scelte espresse;
   nel caso della ripartizione 2014, relativa all'anno d'imposta 2010, solo il 45,72 per cento dei contribuenti ha espresso una scelta di destinazione e solo il 39,62 per cento la ha espressa a favore di una confessione religiosa, tuttavia – grazie al meccanismo di distribuzione delle scelte inespresse – ben l'86,68 per cento delle quote è stato infine ripartito tra le confessioni religiose partecipanti;
   come si evince dalla Relazione sui principi del 6 luglio 1985, predisposta dalla Commissione paritetica italo-vaticana ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del nuovo Concordato, e come emerge dai lavori preparatori della legge n. 222 del 1985 il fine primario del nuovo sistema di finanziamento pubblico alla Chiesa Cattolica (poi esteso ad altre confessioni religiose) era quello di garantire il sostentamento del clero, a fronte dell'eliminazione del previgente sistema della congrua;
   la dottrina (v. Prof. Giuseppe Casuscelli), ha mostrato incertezze rispetto alla natura della legge n. 222 del 1985; in particolare si discute se essa sia legge ordinaria in senso proprio e ad ogni effetto, disponendo su materie che operano nell'ambito non coperto dall'effetto della bilateralità, al fine di valutare se il legislatore possa apportare ad essa modifiche in via unilaterale; tanto più modifiche alle norme che dispongono in materia tributaria e che dunque, alla luce del criterio sostanziale ed analitico delle effettiva natura e funzione, rientrerebbero nell'ambito dell'ordine proprio ed esclusivo dello Stato;
   in ragione dell'inevitabile incertezza sull'entità del flusso finanziario conseguente, essendo esso ancorato a un parametro (il gettito IRPEF) non facilmente predeterminabile nel medio-lungo termine, con l'articolo 49 della legge n. 222 del 1985 fu previsto che «al termine di ogni triennio successivo al 1989, una apposita commissione paritetica, nominata dall'autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana, procede alla revisione dell'importo deducibile di cui all'articolo 46 e alla valutazione del gettito della quota IRPEF di cui all'articolo 47, al fine di predisporre eventuali modifiche»;
   negli ultimi anni, la crescita dell'imposizione fiscale, la lotta all'evasione e, negli anni meno vicini, anche la crescita del Pil, hanno determinato l'ipertrofia del flusso finanziari determinato dall'8 per mille, quintuplicatosi dal 1990 a oggi;
   di converso, le spese per il sostentamento del clero hanno visto una crescita molto più contenuta, alimentata principalmente dall'inflazione, con la conseguenza che oggi le somme dell'8 per mille destinate alla CEI sono levitate a una cifra tra il doppio e il triplo del costo di sostentamento del clero;
   le condizioni di fatto esistenti al momento della stipula del Nuovo Concordato sono radicalmente mutate e l'Italia versa oggi in una grave crisi finanziaria, economica ed occupazionale, tale da minacciare la coesione sociale del paese e la stessa stabilità delle istituzioni repubblicane;
   come riportato anche dalla stampa (v. La Repubblica e Il Fatto Quotidiano del 28 novembre 2014) la Corte dei Conti ha espresso posizioni profondamente critiche sul meccanismo dell'8 per mille, ritenendone opportuna una rinegoziazione;
   secondo la Corte, «i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata. Su ciò non vi è un'adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un'opzione esplicita i fondi vengano assegnati»;
   la Corte prosegue rimarcando che i finanziamenti «risultano ingenti, tali da non avere riscontro in altre realtà europee, e sono gli unici che, nell'attuale contingenza di fortissima riduzione della spesa pubblica in ogni campo, si sono notevolmente e costantemente incrementati. Nonostante ciò, la possibilità di accesso all'8 per mille per molte confessioni è oggi esclusa per l'assenza di intese, essendosi affermato un pluralismo confessionale imperfetto»;
   rispetto al ruolo dello Stato come beneficiario, la Corte denuncia che esso «mostra disinteresse per la quota di propria competenza, cosa che ha determinato la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore, dando l'impressione che l'istituto sia finalizzato solo a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni»;
   rispetto alla scarsa trasparenza del meccanismo, la Corte denuncia che «sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri, infatti, non vengono riportate le attribuzioni alle confessioni, né la destinazione che queste danno alle somme ricevute»;
   nello stesso preambolo dell'Accordo del 1984, si dichiara solennemente che la Chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offerti dall'autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» –:
   se quanto premesso corrisponde al vero;
   quale sia la valutazione del Governo circa la corrispondenza degli impegni a suo tempo assunti alle mutate condizioni economiche e finanziarie della Repubblica, anche alla luce del principio di diritto internazionale consuetudinario del rebus sic stantibus;
   se il Governo intenda avviare negoziati, anche tramite la commissione paritetica di cui all'articolo 49 della legge n. 222 del 1985, con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose destinatarie dell'8 per mille, al fine di pervenire a un abbassamento percentuale della relativa quota o all'esclusione delle quote relative a scelte non espresse dalla ripartizione;
   quali iniziative intenda il Governo adottare al fine di dare pubblicità all'effettivo funzionamento dell'8 per mille e al fine di promuovere, anche sulle reti televisive, la scelta di destinarlo allo Stato. (4-07090)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI, MARIANI e RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sito di Falconara Marittima (An) in quanto sito di interesse nazionale da bonificare, è stato incluso tra quelli oggetto del progetto di studio «Sentieri» coordinato dall'Istituto superiore di sanità e finanziato dal Ministero della salute con la ricerca finalizzata al 2006;
   le conclusioni finali dello studio Sentieri affermano che: «Nel SIN di Falconara, a fronte di un generale difetto nella mortalità, sono presenti eccessi che riguardano in particolare i tumori del polmone. Sarebbe opportuno sviluppare un sistema di sorveglianza epidemiologica mirato, estendendo l'osservazione anche ai tumori del sistema linfoemopoietico. L'eccesso di mortalità per malformazioni congenite andrebbe approfondito tramite indagini di prevalenza/incidenza» suggerivano di organizzare nuove indagini;
   l'area interessata è stata definita dalla regione Marche ad elevato rischio di crisi ambientale (area AERCA), per la presenza, oltre alla raffineria Api di Falconara Marittima (AN), di una serie di infrastrutture industriali, viarie, ferroviarie, aeroportuali;
   è dovere di un'amministrazione tutelare il diritto alla salute dei cittadini ed informali dei rischi con obiettività, senza allarmismo e senza sottovalutazioni delle problematiche complesse;
   tali problematiche devono essere affrontate con la partecipazione, l'ausilio e le competenze degli enti istituzionali sovraordinati;
   vanno considerati i risultati delle numerose indagini epidemiologiche ad oggi conoscibili commissionate e/o eseguite da enti pubblici ed istituti nazionali di ricerca, tra i quali l'Arpam, l'ARS e l'ASUR tra il 2008 e il 2011;
   tali studi debbono considerarsi un primo ed importante passo per una approfondita e corretta conoscenza dell'incidenza reale di patologie legate all'inquinamento ambientale;
   è di fondamentale importanza implementare l'ambito di ricerca mediante la promozione di un sistema di sorveglianza epidemiologica e sanitaria comprendente attivazione di un registro dei tumori di popolazione ed il costante monitoraggio della dispersione ambientale degli inquinanti;
   il ruolo dell'ambiente è ritenuto — dalla comunità scientifica internazionale — un elemento cruciale nello sviluppo delle patologie neoplastiche e le indagini epidemiologiche sono ormai considerate strumenti di studio fondamentali non solo per il reale monitoraggio della relazione tra ambiente e malattie, ma anche per la messa a punto di immediate strategie di contrasto e prevenzione a tutela della salute pubblica;
   è noto che l'efficacia della ricerca epidemiologica si attua attraverso la valutazione di molteplici indagini ognuna delle quali contribuisce alla valutazione della fondatezza dell'ipotesi eziologica in esame fino a ritenerla un «ragionevole razionale» di processi decisionali;
   è opportuna la stipula di una apposita convenzione fra comune e Arpam per l'avvio di un servizio di sorveglianza sanitaria da realizzarsi attraverso un report annuale che contenga dati in forma anonima relativi a: ricoveri ospedalieri/day hospital; mortalità; problemi riscontrati alla nascita; altri dati;
   la concreta attivazione del registro dei tumori allo stato attuale delle conoscenze rappresenta lo strumento più idoneo per rilevare la reale incidenza della malattia –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, di concerto con le azioni avviate al riguardo dalla regione Marche, per migliorare le condizioni ambientali e sanitarie dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale di Falconara;
   in relazione all'istituzione dei registri di mortalità, tumore e altre patologie di cui all'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012, quali iniziative urgenti il Ministro della salute abbia messo in atto per definire nei tempi più brevi possibili il testo del decreto da sottoporre alla valutazione della Conferenza Stato-regioni e del Garante della protezione dei dati personale. (5-04171)


   DE LORENZIS e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Brindisi è stata evidenziata una grave emergenza tumori in particolare del mesotelioma tra i maschi e tra le femmine. È un tumore raro che nasce dalle cellule del mesotelio ed è associato soprattutto all'esposizione all'amianto;
   da autorevoli fonti stampa si registra a Brindisi un costante eccesso di mortalità maschile, dagli anni ’80 fino all'ultimo dato del 2009 e tra le donne eccessi di tumori a trachea al quale, secondo il parere dell'Istituto superiore di sanità non è da escludere che abbiano contribuito «esposizioni ad amianto e contaminanti presenti nell'area perimetrale del petrolchimico»; ancora tra le donne studi recenti hanno evidenziato; una prevalenza di broncopatia cronica ostruttiva nelle donne del capoluogo; una maggiore incidenza e mortalità per alcuni tumori in prossimità dell'area industriale; un aumento complessivo del tasso di incidenza per tutti i tumori dal 1999 al 2006; una maggior incidenza di malformazioni neonatali in corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa (un marcatore di emissioni energetiche); incrementi di ricoveri e decessi per malattie cardio-respiratorie in corrispondenza di innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall'area industriale; un peggioramento della qualità dell'aria in corrispondenza dei giorni di accensione della centrale Brindisi Nord;
   in particolare, come è noto, Brindisi ospita la centrale elettrica più climalterante d'Italia — la Federico II Enel spa — con la produzione di circa 12 milioni e mezzo di tonnellate di anidride carbonica nel 2012 ed una quantità di carbone movimentata e bruciata pari a circa 5/6 milioni di tonnellate, trasportate da un nastro scoperto lungo 12 chilometri;
   in particolare, destano serissima preoccupazione i dati rivenienti da numerosi studi condotti da singoli o gruppi di ricercatori che, insieme con gli elementi conoscitivi derivati dall'Arpa Puglia e dalla asl di Brindisi, permettono di concludere che l'industrializzazione di Brindisi, avviata negli anni ’60, ha prodotto un gravissimo inquinamento di suolo, falde, mare e aria;
   sebbene i dati forniti dall'Arpa per la qualità dell'aria mostrano, mediamente, un rispetto dei limiti di legge dei macroinquinanti misurati, è bene evidenziare che sussistono alcune criticità con riferimento sia alla localizzazione delle centraline, sia alla gamma degli inquinanti misurabili, sia alla misura di microinquinanti pericolosi, ad oggi ancora non monitorati con continuità. Tuttavia, la relazione finale «Brindisi area ad alto rischio e sito nazionale per le bonifiche, ipotesi di lavoro per la tutela della salute» evidenzia come nella città di Brindisi si registri un elevato carico emissivo di diversi inquinanti, molti dei quali con effetti cancerogeni (tonnellate di ossidi di zolfo, ossidi di azoto, particolato, metalli pesanti, benzene, idrocarburi policiclici aromatici e altro). Si fa presente che le emissioni provenienti da autodichiarazioni e/o stime si basano sul funzionamento «normale» dell'impianto. Sono, pertanto, escluse emissioni accidentali che pure si sono rivelate molto frequenti;
   il dottore Maurizio Portaluri, oncologo e primario del reparto di radioterapia dell'ospedale Perrino, di Brindisi denuncia di aver refertato all'autorità giudiziaria, dal 2001 al 2013, 5 mesoteliomi in lavoratori delle industrie brindisine, oltre a vari altri tumori (tra cui l'altrettanto famigerato angiosarcoma) estremamente indicativi di esposizioni professionali;
   secondo fonti stampa, ad oggi, non risultano processi penali per i fatti esposti in premessa. Probabilmente, si deduce dalle medesime fonti che le indagini siano in corso, ma il codice di procedura penale afferma ancora che, per tali reati, le indagini preliminari durano «6 mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato», prorogabili per lo stesso termine «per non più di una volta». E quei referti, a detta del dottore Portaluri, sono arrivati in procura da anni –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei dati, di cui alle premesse, sull'elevata incidenza dei tumori e di altre patologie, con elevata mortalità, che si sono registrati nella zona di Brindisi e quali siano gli interventi, ciascuno per le proprie competenze, che intendano adottare al fine di porre rimedio alla situazione descritta;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza e in accordo con le autorità e le istituzioni locali e regionali, affinché su questa grave e documentata emergenza sia predisposto un piano d'interventi che prevedano, senza ulteriori indugi, azione mirate atte a tutelare e migliorare le condizioni ambientali, la salute e la vita di questi cittadini esposti a rischi gravissimi. (5-04182)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 recante «Nuovi interventi in campo ambientale» che individua, tra gli altri, l'intervento relativo al sito di Brindisi come intervento di bonifica di interesse nazionale;
   il decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 definisce il perimetro del sito di interesse nazionale di Brindisi con la possibilità di estensione dell'area da bonificare qualora a seguito di future caratterizzazioni risultasse che le aree inquinate si estendessero oltre il confine stabilito;
   con successivo Accordo di programma, sottoscritto in data 18 dicembre 2007 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale in Puglia, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi, si sono definiti gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Brindisi;
   nel periodo dicembre 2009 – luglio 2010, le indagini di caratterizzazione dell'area hanno evidenziato elevatissimi livelli di superamento dei limiti di inquinamento, per tutti i parametri l'Accordo di programma del 18 dicembre 2007 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e amministrazioni interessate e in seguito, le indagini di cui sopra, sono state approvate nella conferenza di servizi del 21 luglio 2011;
   le indagini di caratterizzazione relative all'area Micorosa nel Sito di interesse nazionale di Brindisi sono state validate con nota trasmessa dall'ARPA Puglia – dipartimento provinciale di Brindisi il 19 luglio 2011 con protocollo n. 36418, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 24520/TRI/DI del 1o agosto 2011;
   la proprietà dell'area in oggetto e cambiata nel corso del tempo temporale per cui il sito nel complesso industriale del Petrolchimico di Brindisi realizzato dalla Montecatini vede:
    la fusione tra Montecatini ed Edison (1966), che ha condotto alla creazione di Montedison;
    lo scorporo delle attività in favore di una società del gruppo, Montedipe spa (1980);
    la cessione alla Montedipe srl (1989), mediante conferimento d'azienda;
    il successivo conferimento del ramo d'azienda da quest'ultima (divenuta poi Enichem Polimeri srl nel 1991) a Enichem Anic srl (1990);
    la fusione per incorporazione di Enichem Anic srl ed Enichem Polimeri srl in Enichem spa (1993), poi divenuta Syndial spa (controllata di ENI);
    il conferimento d'azienda da Enichem spa a Brindisi Etilene srl (1995), poi divenuta Polimeri Europa srl e, in seguito, Versalis spa (controllata di ENI);
   la discarica è stata realizzata nel periodo in cui il petrolchimico era di Montedison, e in seguito ai diversi cambi di proprietà è poi giunta al Micorosa srl, in seguito fallita;
   la perizia depositata dalla Syndial, ha rilevato che «l'area Micorosa è stata adibita – a partire dal 1962 e fino a metà degli anni ’70 – a luogo di recapito di rifiuti di origine industriale» da parte di società del gruppo Montedison (oggi Edison);
   nella nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011, si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il sito in oggetto;
   alla competenza della Provincia, delineata dall'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, attiene l'adozione delle misure di emergenza che, in presenza del superamento dei livelli di contaminazione, su segnalazione di ogni altra pubblica amministrazione, consentono un'immediata risposta all'evento, e si estende anche ai siti di interesse nazionale, purché confinata all'adozione di misure interinali;
   su invito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 18 novembre 2011 soprarichiamato ed in base ai risultati della caratterizzazione dell'area adiacente lo stabilimento petrolchimico di Brindisi (denominata anche ex «Micorosa»), la provincia di Brindisi ha redatto il documento del servizio ambiente e ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013 avente ad oggetto «Discarica incontrollata utilizzata per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, adiacente lo stabilimento Petrolchimico di Brindisi. Ordinanza di bonifica ex articolo 244 decreto legislativo n. 152 del 2006» con il quale ordina alle società Edison, Versalis, Syndial ed Eni, nonché alla curatela fallimentare della Micorosa Srl di attuare le misure di prevenzione necessarie a contenere la diffusione delle sostanze inquinanti con particolare riferimento a quelle riscontrate nel suolo, sottosuolo e nelle acque di falda sottostanti l'area comprendente il sito interessato dallo stoccaggio dei rifiuti e di procedere alla elaborazione e presentazione per la relativa approvazione del progetto di bonifica delle acque di falda, del suolo e sottosuolo ed alla realizzazione dei necessari interventi di bonifica come disciplinato dalle disposizioni normative richiamate;
   la nota protocollo 5551 dell'8 ottobre 2012 del comune di Brindisi, acquisita dalla provincia di Brindisi con protocollo n. 75821 del 16 ottobre 2012 con cui si esprime il parere favorevole del comune di Brindisi all'adozione dell'ordinanza di bonifica;
   l'ENI spa, ha impugnato tramite il ricorso «numero di registro generale 988 del 2013», il provvedimento della provincia di Brindisi – servizio ambiente e ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013 e il TAR nella sentenza n. 00320/2014 REG. PROV.COLL. del 6 febbraio 2014, accoglie il ricorso specificando che il provvedimento della provincia di Brindisi costituisce un ordine di adozione delle misure permanenti di contenimento dell'inquinamento di bonifica dell'area in un sito di interesse nazionale per il quale è stato stipulato l'Accordo di programma del 18 dicembre 2007 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e amministrazioni interessate e sono state effettuate, nel periodo dicembre 2009 – luglio 2010, indagini di caratterizzazione dell'area (da cui sono emersi elevatissimi livelli di superamento dei limiti di inquinamento, per tutti i parametri), approvate nella conferenza di servizi del 21 luglio 2011 e quindi che non spetta alla provincia il potere esercitato, essendo la competenza attribuita al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in virtù dell'articolo 252, quarto comma, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Inoltre esonera l'ENI spa da responsabilità in quanto non è succeduta ad alcuna delle società e la sua qualità di capogruppo – delle controllate Syndial spa e Versalis spa – e non può costituire valida base per affermare la sua responsabilità, in assenza di ogni elemento da cui desumere l'esistenza di poteri di controllo, non concretamente esercitati allo specifico fine di prevenire la situazione dannosa o di porvi rimedio;
   la curatela fallimentare Micorosa Srl, ha impugnato tramite il ricorso «numero di registro generale 961 del 2013», l'ordinanza sopraccitata ed inoltre impugna:
    la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011 con cui si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
    le risultanze della caratterizzazione esaminate nella conferenza di servizi istruttoria del 10 marzo 2011 e successivamente approvate nella conferenza di servizi decisoria del 21 luglio 2011;
    il parere favorevole espresso dal comune di Brindisi, nota prot. n. 5551 del 16 ottobre 2012, all'adozione dell'ordinanza di bonifica;
    la nota della provincia di Brindisi – servizio ambiente prot. n. 55627 del 17 luglio 2012 e della successiva nota integrativa prot. n. 9310 dell'8 febbraio 2013;
    le risultanze e delle indagini effettuate dalla provincia, servizio ambiente ed ecologia, in ordine all'individuazione del responsabile della contaminazione;
   con la sentenza n. 00504/2014 REG. PROV.COLL. del 19 febbraio 2014, il TAR accogliendo il ricorso, alla stregua di quanto sentenziato con la sentenza N. 00320/2014 REG.PROV.COLL. emanata in seguito al provvedimento impugnato dall'ENI, conferma che non è della provincia la competenza in merito, trattandosi di un ordine di intervento che non costituisce una provvisoria risposta all'emergenza, bensì ha carattere definitivo, riguardando le misure permanenti di prevenzione della diffusione dell'inquinamento e la bonifica dell'area rientrante nel Sito d'interesse nazionale di Brindisi, oggetto dell'accordo di programma risalente al 2007, la cui esecuzione è affidata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ai soggetti attuatori, individuati e individuabili dallo stesso Ministero (cfr. l'articolo 7 dell'Accordo);
   inoltre il TAR nella sentenza afferma che la giurisprudenza ha chiarito che «in tema di inquinamento, il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti e perciò la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione dell'attività, con conseguente esclusione del curatore fallimentare dalla legittimazione passiva dell'ordine di bonifica (Consiglio di Stato, V, 16 giugno 2009, n. 3885);
   anche la società Edison ha impugnato il provvedimento della Provincia di Brindisi – Servizio Ambiente e Ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013;
   la sentenza N. 00500/2014 REG.PROV.COLL. del 19 febbraio 2014 con cui il TAR respinge il ricorso di Edison affermando che: «la giurisprudenza ha rilevato che il decreto legislativo n. 22 del 1997 “che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con le disposizioni pregresse, trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo. Infatti, posto che l'inquinamento dà luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente accettabili, si deve convenire, in armonia con i puntuali rilievi svolti sul punto dal primo giudice, che le previsioni del decreto Ronchi si applicano a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell'attuale situazione patologica. La formulazione della norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l'inquinamento o il relativo pericolo ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, ai sensi dell'articolo 17. Non si tratta quindi di portata retroattiva della norma ma dell'applicazione ratione temporis della legge onde fare cessare gli effetti di una condotta omissiva a carattere permanente, che possono essere elisi solo con la bonifica; detto altrimenti, non viene sanzionato l'inquinamento in epoca precedente prodotto ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo” (Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283). In sostanza, la giurisprudenza citata ha aderito alla impostazione propria della Cassazione che ha ritenuto “la contravvenzione di cui all'articolo 51-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'articolo 17”»;
   la procedura di bonifica di cui all'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e abbia intenzione di emanare, in virtù del principio europeo recepito dall'ordinamento italiano, un provvedimento analogo a quello della provincia di Brindisi privo dei vizi censurati nelle sentenze N. 00320/2014 REG.PROV.COLL. del 6 febbraio 2014 e N. 00504/2014 REG.PROV.COLL. del 19 febbraio 2014 e in linea con la sentenza N. 00500/2014 REG.PROV.COLL del 19 febbraio 2014 ovvero ad adempiere a quanto espresso in premessa e quindi ad emanare un apposito provvedimento per decretare che i soggetti privati coinvolti e responsabili, anche a seguito delle sentenza TAR citate in premessa, attuino le misure di prevenzione necessarie a contenere la diffusione delle sostanze inquinanti con particolare riferimento a quelle riscontrate nel suolo, sottosuolo e nelle acque di falda sottostanti l'area comprendente il sito interessato dallo stoccaggio dei rifiuti e quindi che gli stessi soggetti privati procedano alla elaborazione e presentazione per la relativa approvazione del progetto di bonifica delle acque di falda, del suolo e sottosuolo ed alla realizzazione dei necessari interventi di bonifica come disciplinato dalle disposizioni normative richiamate;
   se il Ministro intenda rendere pubbliche sul sito internet del Ministero tutte le informazioni inerenti il sito in questione. (4-07080)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si prevede una intensificazione delle misure di contrasto all'evasione fiscale;
   in data 27 novembre 2014 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in visita agli allievi della scuola di polizia tributaria della Guardia di finanza ad Ostia, ha dichiarato che l'Italia «ha bisogno di un sistema del fisco in cui il cittadino non si sente controllato perché c’è una presunzione di colpevolezza»;
   da diversi anni è avvertita come necessaria una riforma del processo tributario disciplinato dal decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre 1992 e successivamente modificato, necessità che si intensifica proprio alla luce del rafforzamento dell'attività sia di riscossione sia di accertamento, mediante l'utilizzo sempre più incisivo delle indagini bancarie e finanziarie, degli studi di settore e del redditometro;
   il processo tributario, nonostante il dettato dell'articolo 24 della Costituzione, che sancisce il diritto di difesa, non si svolge in una condizione di pieno contraddittorio tra le parti, allorché è inibita al contribuente la possibilità di avvalersi di strumenti probatori quali, ad esempio, la testimonianza ed il giuramento;
   la Corte di Cassazione ha più volte stabilito che gli elementi probatori a carico del contribuente devono essere più specifici e concreti, senza far ricorso ad argomentazioni generiche;
   tra i problemi di maggior rilievo si riportano – sommariamente – quello della professionalità dei giudici e quello della loro indipendenza;
   quanto alla professionalità, attualmente le commissioni tributarie provinciali e regionali sono presiedute da magistrati in servizio provenienti da corti civili o penali – spesso privi di specifica preparazione in materia tributaria –, affiancati da altri due giudici a latere, che prima della riforma cosiddetta «Tremonti» del 2011 erano scelti fra gli iscritti agli albi professionali ed ex dipendenti dell'amministrazione finanziaria in pensione, oggi solo da «tecnici» non tributari: ex funzionari delle dogane, periti agrari, ingegneri, architetti, agronomi, dirigenti della guardia di finanza in pensione;
   l'articolo 39, comma 2, del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011, ed ulteriormente modificato dal decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, convertito dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011 – articolo 2, comma 35-septies – (in Gazzetta Ufficiale del 16 settembre 2011), ha sensibilmente riscritto le ipotesi di incompatibilità dei giudici tributari tassativamente previste dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 545 del 31 dicembre 1992 e successive modificazioni;
   le suddette modifiche hanno infatti determinano un parziale svuotamento delle commissioni tributarie di componenti qualificati, giacché si prevede l'incompatibilità di alcune figure come avvocati e commercialisti – tra gli altri – che «in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori». Incompatibilità estesa anche ai coniugi, conviventi e parenti e che, se pur condivisibile in linea di principio, ha finito con l'indebolire fortemente le competenze professionali all'interno dei collegi tributari;
   tutti i giudici (togati e non), svolgono la loro funzione di giudice tributario come attività part time, senza alcuna garanzia circa la loro competenza in materia, giacché vengono reclutati senza uno specifico esame di conoscenza del diritto tributario;
   con ordinanza n. 280 del marzo 2014 della commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia (presidente estensore Montanari, relatore Gianferrari) è stata devoluta alla Corte Costituzionale la questione sull'indipendenza ed imparzialità dei giudici tributari;
   la vicenda è piuttosto singolare in quanto sono stati gli stessi giudici, investiti di su una questione relativa ad una cartella di pagamento per omesso versamento di tassa per telefonia mobile, a mettere in discussione se stessi e la propria indipendenza e imparzialità nel giudicare, chiedendo alla Corte Costituzionale di valutare se una serie di caratteristiche delle modalità di nomina e organizzazione dei giudici tributari non inficino la loro indipendenza e imparzialità, così come quella di tutti gli altri giudici tributari del Paese;
   nello specifico i giudici di Reggio Emilia hanno posto la questione della compatibilità del nostro ordinamento tributario con i principi del giusto processo, tutelati non solo dalla Costituzione italiana, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU);
   in verità la Corte europea dei diritti dell'uomo si è già espressa su una vicenda simile nel 2001, chiarendo con una sentenza che «le controversie fiscali cadono al di fuori dell'ambito di applicazione dei diritti e doveri di carattere civile [di cui all'articolo 6 della Convenzione, Diritto a un equo processo], nonostante gli effetti patrimoniali che essi necessariamente producono per il contribuente»;
   interpretazione che sembra contrastare con gli indirizzi espressi negli ultimi mesi dal Governo Renzi e anche dai giudici tributari di Reggio Emilia che hanno devoluto la questione alla Consulta;
   i giudici di Reggio Emilia nell'ordinanza citata individuano infatti diversi profili di illegittimità costituzionale che appaiono invece giustificare un pronunciamento della Corte Costituzionale. In primo luogo, il fatto che la giustizia tributaria italiana sia «inquadrata [...] nello stesso plesso ministeriale dell'amministrazione che emana gli atti da controllare e la articolazione amministrativa che vi è preposta è “parallela” a quella preposta alle Agenzie che emanano gli atti da controllare» – si legge nell'ordinanza –, con il corollario che «la selezione, formazione, assegnazione, vigilanza, determinazione dello stato giuridico economico, determinazione degli obiettivi, valutazione della produttività, progressione in carriera e giudizio disciplinare del personale amministrativo preposto alla Giustizia Tributaria e la sua supervisione sulla organizzazione dei relativi uffici dipende dalla stessa Amministrazione che emana gli atti amministrativi soggetti al controllo giurisdizionale»;
   in secondo luogo l'assenza di potere direttivo dei giudici tributari sul personale amministrativo delle commissioni tributarie, che dipende invece dal Ministero dell'economia e delle finanze, che contribuirebbe a limitare la loro indipendenza da una delle parti in causa. Inoltre «il compenso [dei giudici tributari] è determinato dal vertice dell'amministrazione controllata, la liquidazione è disposta dall'organo cui sono imputabili la più gran parte degli atti impugnati e il pagamento effettuato materialmente dall'organo ausiliario del giudice, istituzionalmente dipendente dalla amministrazione controllata»;
   sebbene sia stata di recente definita la delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23) per migliorare il rapporto tra fisco e contribuenti in un'ottica di reciproca e leale collaborazione, non si evincono misure volte ad intervenire sui problemi segnalati prevedendo esclusivamente una serie di interventi di revisione e razionalizzazione del sistema vigente, in particolare l'eliminazione del cartaceo e l'incentivazione all'utilizzo della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche riportate in premessa;
   se non ritengano opportuno intervenire con iniziative normative al fine di predispone una riforma organica del processo tributario che preveda l'istituzione di una magistratura tributaria professionale, sottostante ai medesimi principi di indipendenza e imparzialità sanciti dagli articoli 101 e 104 della Costituzione, nonché aderente ai principi del giusto processo ex articolo 111 della Costituzione, considerato anche che una eventuale decisione della Corte Costituzionale che accogliesse il ricorso dei giudici tributari di Reggio Emilia rischierebbe di travolgere l'intero sistema processuale tributario con esiti difficilmente immaginabili. (4-07087)


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di Luca Teolato, sul Il Fatto Quotidiano del 14 ottobre 2012, si apprende che nel 2005 «a seguito di finanziamenti previsti da un decreto del Ministero delle Finanze del 1999, per l'ammodernamento e la messa in sicurezza delle caserme della Guardia di finanza, da noi (Caserma Cefalonia Corfù) si è pensato bene di usare i fondi per costruire 3 palazzine per complessivi 32 alloggi per i finanzieri, in prevalenza ufficiali». Complessivamente nella caserma vi sono 4.700 metri quadri di lastre in amianto e, nonostante lo Stato abbia negli anni stanziato ulteriori milioni di euro per il completamento del programma di dotazione infrastrutturale del Corpo, il problema amianto nella caserma Cefalonia Corfù è stato decisamente sottovalutato;
   anche a Pistoia pare siano avvenuti fatti a dir poco anomali in quanto i lavori per la costruzione della nuova caserma della Guardia di finanza, iniziati nel 2006 e non ancora del tutto completati, hanno subìto rallentamenti per mancanza di fondi;
   la nuova struttura della Guardia di finanza di Pistoia doveva essere pronta per l'utilizzo prima dell'inizio dell'estate 2014, come si apprende dall'articolo del 13 giugno 2014 dell'edizione locale de ILTIRRENO.it ma, ad oggi, non si hanno notizie certe sulla data dell'effettiva entrata in funzione;
   la Guardia di finanza svolge un prezioso compito di tutela del territorio e dell'ambiente sequestrando frequentemente una grossa quantità di rifiuti tossici, il tutto volto al rafforzamento della cultura della legalità e del rispetto dell'ambiente e quindi ci si aspetterebbe uno sforzo in più per il pieno rispetto della legalità e sull'equità di trattamento tra ufficiali e non ufficiali;
   l'argomento della costruzione ed assegnazione di alloggi agli ufficiali pone non poche domande soprattutto quando questo diventa, per i decisori della Guardia di finanza, prioritario rispetto alla tutela della salute dei lavoratori o alla costruzione di una nuova caserma più funzionale; esso sembrerebbe manifestare ad avviso dell'interrogante una netta differenziazione tra persone di serie A, gli ufficiali della Guardia di finanza ai quali concedere privilegi enormi (l'alloggio gratuito in una grande città ha un valore economico non indifferente) e persone di serie B, esposte a forte rischio di malattie respiratorie mortali –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda intervenire per far luce sulle anomalie di cui in premessa;
   se, in ogni caso, non ritenga di assumere iniziative volte a far luce sull'argomento alloggi e sul grado di priorità e urgenza che i decisori della Guardia di finanza, nel tempo, hanno riservato a questo argomento. (4-07092)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Gorgona (Livorno), ultima isola-penitenziario italiana, la più piccola dell'Arcipelago toscano e tra le più verdi, con pini, lecci, macchia mediterranea ed una varietà autoctona di olivo (bianca di Gorgona), ospita uno dei pochi carceri «verdi» esistenti nel nostro Paese;
   nella struttura sono ospitati circa settanta detenuti, che vivono all'aperto fuori dalle celle, e lavorano in vigna o nell'orto, curando gli animali, producendo formaggi e miele, oltre a chi è addetto a manutenzione e cucina;
   i detenuti – dichiara un'assistente capo della polizia penitenziaria – arrivano su richiesta dopo aver scontato più della metà della pena, ed hanno la possibilità, oltre a vivere in un contesto di «libertà», di imparare un mestiere;
   le statistiche – spiega Carlo Mazzerbo, direttore del penitenziario per 15 anni, dal 1989 al 2004 ed attualmente ritornato a dirigerlo – parlano di una recidiva stimata intorno all'80 per cento tra i detenuti che non lavorano. A Gorgona, invece, il dato si attesta attorno al 20 per cento;
   dagli anni novanta, l'isola ha prodotto tante iniziative, tra cui l'impianto di una vigna che, con l'accordo firmato dal precedente direttore, produce il bianco Gorgona – ed oggi rappresenta un vera e propria «colonia penale laboratorio»;
   l'isola negli ultimi anni ha subito una fortissima riduzione di fondi, ma con il supporto esterno prova a rilanciare i suoi progetti, con lo scopo di continuare a formare e far assumere i reclusi, con l'ambizioso obiettivo di fare di Gorgona un'isola dei diritti, dello Stato, dei detenuti ed anche degli animali che la popolano;
   il penitenziario di Gorgona recepisce in piano l'indicazione della Commissione europea di aprire le celle, anzi ha delle prospettive ancora più alte, punta a dare un contenuto alle giornate detentive, ovvero non più subire il carcere, ma diventare parte attiva di un progetto, responsabilizzando i detenuti;
   ai fini del percorso rieducativo, la direzione ha preferito eliminare la macellazione degli animali: ovini, suini, ovini e caprini del Carcere non vengono più utilizzati per la produzione, né tantomeno per la carne, ma per sviluppare attività di relazione con i detenuti, nella splendida cornice del parco nazionale dell'arcipelago toscano, coniugando quindi l'aspetto sociale, morale ed ambientale;
    purtroppo, a partire dal 2 dicembre 2014, a causa di problemi economici dell'amministrazione penitenziaria, è stata indetta una «procedura ristretta di alienazione di 165 di questi animali, circa la metà, per un presunto risparmio annuo di 30 mila euro, rappresentato dal cibo necessario al loro sostentamento»;
   l'alienazione prefigura, oltre alla morte di questi animali, qualora venduti ad aziende agricole, la prossima cessione degli altri –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente per interrompere la «procedura ristretta di alienazione dei 165 animali» che indebolirebbe il progetto rieducativo del penitenziario dell'isola della Gorgona, il quale piuttosto andrebbe incentivato, valorizzato e considerato progetto pilota da far conoscere all'intero sistema penitenziario nazionale;
   se non si ritenga opportuno istituire un tavolo di confronto fra amministrazione giudiziaria, enti locali (comune di Livorno e regione Toscana), associazioni Onlus a difesa degli animali, al fine di trovare delle soluzioni alternative che salvaguardino e sostengano un'esperienza positiva e unica nel suo genere. (5-04173)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nella riunione del 16 ottobre 2014, la conferenza unificata ha sancito l'intesa, prevista dall'articolo 3 comma 1 della legge n. 80 del 2014, sullo schema di decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, recante la definizione di procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici territoriali, nonché degli istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati;
   dalle notizie fornite da vari organi di stampa e televisivi, si evince che il provvedimento, tra le altre misure: introduce il meccanismo della vendita all'asta degli immobili, tenuto conto dei valori rilevati, per la medesima fascia e zona, dall'Agenzia delle entrate osservatorio del mercato immobiliare; prevede che all'assegnatario venga riconosciuto il diritto di prelazione nell'acquisto a seguito dell'espletamento delle procedure d'asta; consente la vendita in blocco degli immobili fatiscenti;
   i sindacati degli inquilini hanno manifestato viva preoccupazione per le possibili ripercussioni che l'applicazione delle norme previste potrebbero determinare nei complessi delle case popolari, in particolare per l'introduzione del meccanismo della vendita all'asta e hanno chiesto il ritiro del suddetto provvedimento;
   risulta che già alcune regioni, nella fattispecie la Campania e il Lazio, hanno avanzato rilevi critici e richiesto il ritiro del provvedimento e il suo riesame nella conferenza unificata;
   lo scorso 2 novembre 2014, in una intervista al Corriere della sera, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti aveva annunciato la firma del decreto per il giorno successivo, lunedì 3 novembre;
   si sono svolte, successivamente a quella data, numerose manifestazioni, organizzate dall'unione inquilini e da altre organizzazioni sindacali rappresentative degli assegnatari di protesta e per richiedere la non pubblicazione del decreto e la sua ridiscussione;
   l'agenzia ADN Kronos il 15 novembre 2014 ha dato notizia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato una nota di rettifica in cui, tra l'altro, si afferma che «non vi è alcun decreto attuativo» ma che, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze con la Conferenza unificata, si «sta lavorando al testo di un decreto attuativo del cosiddetto Piano casa che prevede, per gli enti proprietari in accordo con le regioni, la possibilità di messa in vendita degli alloggi di edilizia popolare la cui manutenzione sia economicamente onerosa», aggiungendo in particolare «il decreto permetterà agli inquilini di poter acquistare l'alloggio in cui vivono con diritto di prelazione e a condizioni vantaggiose» –:
   se il suddetto comunicato del 15 novembre 2014 prefiguri un ritorno del decreto alla Conferenza Unificata per un ulteriore approfondimento;
   se l'affermazione contenuta nel suddetto comunicato, secondo cui agli assegnatari sarebbe riconosciuto il diritto di prelazione prefiguri una modifica sostanziale nelle procedure di vendita, con la rinuncia al meccanismo dell'asta pubblica e l'inserimento della preventiva richiesta all'assegnatario dell'esercizio del diritto di prelazione;
   se verrà esplicitamente, in ogni caso, previsto per gli assegnatari, in possesso dei requisiti della permanenza nell'edilizia residenziale pubblica, qualora non potessero esercitare il suddetto diritto di prelazione, il diritto a rimanere nell'alloggio in cui risiedono.
(2-00764) «Morassut, De Maria».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, PETRAROLI e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal rapporto Istat anno 2011 emerge che nei comuni capoluogo di provincia la domanda di trasporto pubblico urbano nello stesso anno diminuisce circa dello 0,2 per cento dei passeggeri trasportati per abitante rispetto all'anno precedente, mentre aumenta la domanda di trasporto privato dello 0,5 per cento in merito al tasso di motorizzazione complessivo mentre è dell'1,1 per cento l'incremento dei motocicli;
   nel 2012 si accentua la contrazione della domanda trasporto pubblico urbano, secondo il rapporto Istat del medesimo anno si registra un calo del 7,5 per cento dei passeggeri trasportati per abitante rispetto all'anno precedente e sempre da fonti Istat si apprende che nel 2012 si sono registrati in Italia 186.726 incidenti stradali con lesioni a persone;
   nel rapporto «Incidenti Stradali 2013» dell'Istat in collaborazione con ACI, sulla base di una stima preliminare, si sono verificati in Italia 182.700 incidenti stradali con lesioni a persone;
   secondo il rapporto Istat 2013 «Qualità dell'ambiente urbano» il calo della domanda di trasporto pubblico locale risulta marcato infatti scende da 201,1 a 188,6 passeggeri annui per abitante;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 ha istituito all'articolo 16-bis il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato, agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di stabilità 2013). (12G0252) pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2012, ha modificato l'articolo 16-bis del Fondo nazionale sopra citato;
   l'integrazione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 e interamente ridisciplinato dalla legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 2012) appare a detta dell'interrogante come un presupposto ineludibile per l'impostazione di qualsiasi politica di rilancio del settore del trasporto pubblico locale;
   secondo l'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale deliberata dalla IX Commissione Trasporti nella seduta del 19 giugno 2013 con riferimento al tema del finanziamento del settore, numerose audizioni hanno evidenziato la necessità di intervenire rispetto alla dotazione del Fondo istituito dalla legge di stabilità 2013, segnalando che il quantum complessivo garantito dal Fondo di circa 4.929 milioni di euro annui a decorrere dal 2013, non garantisce il pieno ristoro delle risorse del settore rispetto ai tagli operati negli ultimi anni. Federmobilità ha rilevato una dotazione «inferiore agli stanziamenti del 2011 di 148 milioni di euro e del 2010 di 300 milioni di euro» e aggiunge che è «assolutamente insufficiente per far fronte, oltre agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, alle spese per il rinnovo del materiale rotabile ferro/gomma, per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture, per l'innovazione tecnologica e per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro»;
   nella medesima indagine conoscitiva sopra citata, si apprende che Asstra ha altresì segnalato che il settore «ha assistito a una contrazione complessiva delle risorse per i servizi di quasi 600 milioni di euro, vale a dire che a livello medio nazionale sono stati tagliati il 12 per cento dei contributi pubblici totali», nel 2013 i tagli rispetto al finanziamento storico «arrivano a punte del 30 per cento nel Lazio, di oltre il 27 per cento in Campania e in Molise e di circa il 15 per cento in Liguria, Toscana e Veneto», per garantire un ristoro completo rispetto alle decurtazioni precedenti, la dotazione del fondo dovrebbe essere elevata da 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
   secondo un'analisi di Audimob sulla «Mobilità e crisi cosa cambia nelle scelte degli italiani» resa nota nel giugno 2014, il 40 per cento degli intervistati afferma di aver pensato di cambiare le abituali modalità di spostamento per abbattere i costi legati all'aumento del carburante scegliendo il mezzo pubblico come alternativa;
   a detta dell'interrogante l'inadeguatezza del servizio del trasporto pubblico locale dovuto anche a finanziamenti inferiori rispetto alla reale necessità potrebbe creare delle difficoltà nella gestione non invogliando il cittadino nell'utilizzo dello stesso;
   il tpl (trasporto pubblico locale) rappresenta un'alternativa al mezzo privato e il suo utilizzo consentirebbe di ridurre le emissioni di anidride carbonica, il consumo di petrolio, gli incidenti, il traffico e la congestione nelle grandi città;
   i servizi di questo settore restano un elemento fondamentale nel perseguimento di nuovi modelli di mobilità che siano sostenibili sia in termini ambientali che dal punto di vista economico;
   secondo fonti stampa il trasporto pubblico locale è considerato, in relazione all'utilizzo dell'auto, 79 volte più sicuro e apporterebbe benefici alla stato psicofisico individuale  –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di propria competenza intenda assumere per migliorare il trasporto pubblico locale;
   se il Ministro a fronte dei vantaggi del trasporto pubblico locale rispetto l'utilizzo del mezzo privato espressi in premessa, sia favorevole ad incrementare il quantum complessivo delle risorse economiche necessarie del Fondo espresso in premessa. (5-04168)


   DE LORENZIS, PETRAROLI, CRISTIAN IANNUZZI, SCAGLIUSI e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della regione Puglia, il programma di sviluppo della Rete di RFI è finalizzato anche a specializzare le linee esistenti per tipologia di traffico, separando il traffico viaggiatori di media e lunga percorrenza da quello regionale e comprensoriale;
   il programma è volto a potenziare le linee storiche da utilizzarsi in modo specifico per i servizi passeggeri a lunga percorrenza, per il trasporto merci, nonché, in prossimità dei principali nodi, per i servizi regionali;
   lo stesso programma è teso a migliorare i collegamenti dei principali porti pugliesi con la rete ferroviaria, al fine di acquisire una quota maggiore di traffico merci marittimo e sviluppare la rete dei poli logistici merci in una logica di incremento dell'interscambio modale ferro-gomma;
   gli interventi previsti intendono riqualificare e valorizzare le stazioni passeggeri, in quanto connotate sempre più come terminali di servizi integrati a beneficio dell'intera utenza urbana;
   tra gli interventi programmati nella regione Puglia vi è anche il raddoppio di linea in affrancamento della tratta Taranto-Metaponto che si estende lungo l'arco jonico;
   il progetto di raddoppio della tratta si inserisce nel quadro delle realizzazioni finalizzate a potenziare corridoi alternativi per il traffico merci e l'intervento mira ad integrare il corridoio che mette in collegamento il porto di Gioia Tauro con Taranto e quindi anche con Bari con una infrastruttura delle prestazioni omogenee per alimentare i traffici marittimi da e per i porti di Gioia Tauro e Taranto utilizzando treni portacontainer di grandi dimensioni;
   il contratto di programma 2012-2016 includono gli interventi in sezione 1 «opere in corso» con un importo di 1 milione di euro ed in sezione 2 «Opere programmatiche» con un importo da finanziare di 339 milioni di euro;
   la capacità futura ipotizzabile della linea in questione, espressa in termini di numero complessivo di tracce orarie possibili in un giorno per la circolazione dei treni, considerando un impiego delle linee variabile da 16 a 22 ore, permetterebbe di arrivare dalle 60 attuali alle 200 possibili;
   il livello di servizio attuale tra le stazioni principali di Taranto e Ginosa, all'interno del tratto Taranto-Metaponto, indicativamente è espresso come 6 treni a lunga percorrenza, 5 per il trasporto regionale, 2 per il trasporto merci per un totale di 13 treni giornalieri;
   la località di Ginosa è l'unica realtà pugliese dell'intero litorale ionico che è stata premiata anche per il 2014 e quindi per la sedicesima volta consecutiva dalla commissione nazionale di verifica dei ristrettissimi requisiti prescritti per l'assegnazione della bandiera blu la quale rientra tra quei riconoscimenti di qualità molto apprezzati dagli operatori turistici nazionali ed internazionali, a tutto evidente vantaggio dell'intera economia locale; Ginosa è quindi degna di agevolazione di attenzioni volte al miglioramento dello scalo ferroviario;
   da sopralluoghi sul posto si è verificato che da circa un mese, dei tre binari ferroviari che costeggiano la stazione, uno è stato disassemblato riducendo quindi la capacità della stazione di accogliere treni contemporaneamente;
   a differenza di quanto avveniva in anni passati, oggi non vi è alcun collegamento ferroviario diretto da e per Ginosa con i centri urbani del nord come Milano, Torino e Bologna –:
   quali interventi siano previsti presso la stazione ferroviaria di Ginosa e quale sia la motivazione della disattivazione del binario ferroviario;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori previsti per il tratto ferroviario della tratta Taranto-Metaponto e quali siano le eventuali criticità riscontrate nel completamento della stessa;
   se siano previsti già nel prossimo contratto di programma ulteriori stanziamenti per potenziare la tratta ferroviaria jonica;
   se sia previsto da parte di Trenitalia il ripristino dei collegamenti diretti tra il nord Italia e le stazioni ferroviarie dell'arco jonico. (5-04169)


   DE LORENZIS, PETRAROLI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 29 luglio 2014, da fonti stampa si apprende che, la scorsa estate, dal porto di Brindisi, la tratta tra Brindisi e i porti della Grecia Jonica è stata coperta dalla società greca Egnazia Seaways Sa che opera attraverso il traghetto denominato Larks. Questo traghetto, costruito nel 1976, è stata la causa di molti disagi recati agli utenti, non garantendo infatti l'ottimale effettuazione dei collegamenti Italia – Grecia;
   tali problematiche, venivano sottoposte, tramite l'autorità portuale, alla capitaneria di porto di Brindisi, che con nota 8 agosto 2014, comunicava, che i controlli effettuati sulla motonave Larks, in seguito ai ritardi registrati il 16 luglio 2014, avevano convalidato, sia la classe, sia i pertinenti certificati di sicurezza e che l'unità in questione, dimostrava di possedere le certificazioni, di sicurezza, richieste con obbligatorietà, rilasciate dalla Repubblica di Cipro, Stato di bandiera;
   da fonti stampa emerge come molte associazioni e/o operatori del settore hanno raccolto le proteste dei viaggiatori, ma il 9 agosto 2014, centinaia e inseguito migliaia di turisti, sono rimasti al porto di Brindisi, essendo la nave, su indicata, rimasta bloccata nel porto di Igoumenitsa per un grave guasto. Sulla banchina del porto erano presenti minori e anziani che non hanno ricevuto assistenza;
   le associazioni dei consumatori e gli operatori turistici del territorio, hanno segnalato la perdita di immagine e di opportunità del porto di Brindisi, dovuto a loro avviso, dall'azione piratesca attuata dall'agenzia Euromare, insieme alla compagnia di navigazione greca Egnatia Seaway;
   la compagnia citata, avrebbe, secondo l'interrogante, violato il Regolamento Europeo 1177/2010, che impone l'assistenza a terra e prevede rimborsi nei confronti dei passeggeri, che non hanno potuto usufruire del viaggio pagato;
   sempre da fonti stampa si apprende che la capitaneria del porto di Brindisi avrebbe inviato una informativa alla procura della Repubblica presso il tribunale di Brindisi su una ipotesi di false informazioni fornite dal comandante della imbarcazione sulla situazione della nave. Inoltre, sono partite azioni civili sulla scorta di denunce presentate dai passeggeri anche su quello che è avvenuto successivamente alla soppressione del viaggio;
   sempre da fonti stampa si segnala che il comandante del traghetto Larks della compagnia Egnatia Seaways, fermo in Grecia, sarebbe stato denunciato per falsa dichiarazione all'autorità per aver comunicato un guasto non rispondente a quello effettivamente occorso alla nave e, a quanto consta agli interroganti, anche un presumibile mancato rispetto delle condizioni igienico – sanitarie presenti (o probabilmente assenti) sulla nave, nonché, un grave e reiterato mancato rispetto di quelle che sono le normative europee di settore, in particolare con riferimento al Regolamento dell'Unione europea n. 1177 del 2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010, il mancato rispetto dell'articolo 17 «sull'assistenza in caso partenze cancellate o ritardate», dell'articolo 19 «diritto di compensazione economica connessa al prezzo del biglietto in caso di ritardo all'arrivo» e dell'articolo 23 «sulle informazioni sui diritti dei passeggeri» in particolare di quelli disabili;
   in data 20 agosto, la Egnatia Seaways comunicava il fermo della nave fino al 7 settembre 2014 per non meglio precisati «seri problemi meccanici» che hanno comportato la cancellazione di tutte le partenze del periodo estivo e nulla è stato specificato riguardo le eventuali riprotezioni dei clienti con altre compagnie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali misure intenda adottare per la situazione attuale connessa alle partenze nonché al rispetto delle normative di settore esposte in premessa;
   se intenda accertare ogni eventuale o consequenziale rapporto intercorso tra le società, agenzie, tour operator e enti coinvolti in tale vicenda senza tralasciare ogni ipotetico e/o ravvisabile concorso di persone ai sensi dell'articolo 110 del codice penale;
   se intenda disporre un sequestro preventivo sulle somme ovvero sui mezzi nella disponibilità delle Società richiamate a garanzia dei crediti;
   se intenda disporre delle indagini preliminari, da svolgersi a carico dei soggetti coinvolti, volte a ristabilire le più generali esigenze di interesse sociale e di tutela della collettività. (5-04180)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 e successive modificazioni e integrazioni, recante attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE relative alla sicurezza e allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, con particolare riferimento:
    all'articolo 4, commi 7 e 8, prevede l'assunzione da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) delle attribuzioni nella materia della sicurezza del trasporto ferroviario già esercitate dal Ministero dei Trasporti e dal gruppo FS spa, prevedendo una fase di prime applicazione del medesimo decreto legislativo sullo base di apposite Convenzioni fra Ministero, Agenzia e Gruppo FS;
    all'articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), prevede che l'Agenzia proponga il necessario riordino del quadro normativo in materia di sicurezza ferroviaria, controlli, promuova e se del caso imponga le disposizioni e l'emanazione delle prescrizioni di esercizio da parte dei gestori dell'infrastruttura e delle imprese e stabilisca i principi e le procedure e la ripartizione delle competenze degli operatori ferroviari in ordine all'emanazione delle suddette disposizioni;
    all'articolo 17, commi 1 e 5, prevede che l'Agenzia provveda a riconoscere le strutture di formazione, a vigilare sullo loro e a garantire che il personale addetto ai compiti di sicurezza essenziali passa accedervi in maniera equa e non discriminatoria;
   il decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 43 reca attuazione della direttiva 2008/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, che modifica la direttiva 2004/49/CE sulla sicurezza delle ferrovie comunitarie e di modifica del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, recante attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE relative alla sicurezza ed allo sviluppo delle ferrovie comunitarie;
   il decreto dirigenziale 247/VIGS del 22 maggio 2000, emanato dal servizio di vigilanza sulle ferrovie del Ministero dei trasporti e dello navigazione, reca la definizione degli standard e delle norme di sicurezza applicabili al trasporto ferroviario ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 1998, n. 277;
   il decreto dirigenziale n. 2043 D.G.4-Div.5 del 10 giugno 2008 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha:
    a) ratificato il verbale n. 1 del 6 giugno 2008, in applicazione della Convenzione del 21 maggio 2008 stipulata fra Ministero dei trasporti, Agenzia e Gruppo F5, con il quale sono attribuibili all'Agenzia alcuni compiti come da allegato 1 dello stesso;
    b) conferito all'Agenzia il potere di apportare modifiche ed integrazioni al decreto dirigenziale 247/VIGS del 22 maggio 2000;
   il decreto dirigenziale n. 5035 del 29 dicembre 2009 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha ratificato il verbale n. 2 del 22 dicembre 2009, sottoscritto in attuazione della Convenzione del 21 maggio 2008 fra Ministero dei trasporti, Agenzia e Gruppo FS, trasferisce all'Agenzia le restanti attribuzioni in materia di sicurezza della circolazione, come da allegato 1 allo stesso;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 10 settembre 2010 – Recepimento della direttiva 2009/149/CE della Commissione recante modifica all'allegato 1 della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, individua gli indicatori comuni di sicurezza e i metodi comuni di calcolo dei connessi agli incidenti;
   con la direttiva n. 1 del 2012 del 9 agosto 2012 l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie (ANSF) ha emanato le linee guida per lo svolgimento delle attività attinenti al riordino del quadro normativo nazionale in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria;
   l'articolo 6 del decreto legislativo del 162 del 2007 stabilisce che, tra i compiti dell'ANSF, vi siano quelli di rilasciare, rinnovare, modificare e revocare i pertinenti elementi che compongono i certificati di sicurezza e le autorizzazioni di sicurezza rilasciati ai sensi degli articoli 14 e 15 del medesimo decreto legislativo e controllare che ne siano soddisfatti le condizioni e i requisiti e che i gestori dell'infrastruttura e le imprese ferroviarie operino conformemente ai requisiti del diritto comunitario o nazionale;
   l'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo n. 162 del 2007 stabilisce che «I Gestori dell'infrastruttura e le imprese ferroviarie propongono all'Agenzia, motivatamente, modifiche al quadro normativo nazionale di sicurezza»;
   l'articolo 14 del decreto legislativo n. 162 del 2007, in merito ai certificati di sicurezza, al comma 8 attribuisce all'ANSF, previa motivazione, poteri di revoca dei certificati di sicurezza nel caso in cui le imprese ferroviarie non soddisfino più i requisiti per tale certificazione e quindi sia la certificazione che attesta l'accettazione del sistema di gestione della sicurezza dell'impresa ferroviaria (articolo 14, comma 2, lettera a) – che la certificazione che attesta l'accettazione delle misure adottate dall'impresa ferroviaria per soddisfare i requisiti specifici necessari per la prestazione, in condizioni di sicurezza, dei suoi servizi sulla rete in questione (articolo 14, comma 2, lettera b), ed inoltre l'ANSF può revocare il certificato di sicurezza se risulta che il titolare del certificato ne abbia fatto un uso improprio. Della revoca della certificazione nazionale aggiuntiva o del certificato di sicurezza, l'Agenzia informa l'Autorità preposta alla sicurezza dello Stato membro che ha rilasciato la parte a) del certificato;
   l'articolo 9 del decreto legislativo n. 188 del 2003, stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti revoca la licenza se accerta la mancanza dei titoli e dei requisiti per il suo rilascio, mentre ne sospende l'efficacia quando esiste un dubbio fondato circa la loro effettiva sussistenza, per un periodo non superiore ad un mese, per l'effettuazione dei necessari accertamenti;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 29 aprile 2011 n. 167 in merito al «Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici» che gli attribuisce competenze in base al «Regolamento di organizzazione di secondo livello del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» attribuendo alla Divisione 2 – Vigilanza su FS spa – Vigilanza Sull'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie:
    a) supporto nell'esercizio dei poteri dell'azionista;
    b) atto di concessione e vigilanza;
    c) proposte alla Direzione Generale per le infrastrutture ferroviarie e per l'interoperabilità ferroviaria sulla programmazione degli investimenti sulla rete ferroviaria nazionale e sul Contratto di programma con RFI spa;
    d) rapporti istituzionali con FS spa e le società controllate;
    e) piano industriale di FS spa;
    f) vigilanza sull'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) ai sensi del decreto legislativo n. 162 del 2007.
    g) predisposizione atto di indirizzo annuale all'ANSF – Relazione annuale al Parlamento;
   il decreto dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) n. 4 del 2012 entrato in vigore dal 1° gennaio 2013 riordina le normative «Emanazione delle “Attribuzioni in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria”», del “Regolamento per circolazione ferroviaria” e delle “Norme per la qualificazione del personale impiegato in di sicurezza della circolazione ferroviaria”» con i relativi allegati:
    a) «Attribuzioni in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria»;
    b) «Regolamento per la circolazione ferroviaria»;
    c) «Norme per la qualificazione del personale impiegato in attività di sicurezza della circolazione ferroviaria»;
   il DEIF (disposizioni e prescrizioni di esercizio delle imprese ferroviarie) n. 40.0 del 21 dicembre 2012 e in vigore dal 1o gennaio 2013 emanato dalla direzione tecnica di Trenitalia sul «Riordino normativo sistema di riferimento» definisce i testi normativi del «sistema di riferimento»;
   con la nota ANSF prot. n. 00226/13 del 9 gennaio 2013 inviata alle imprese ferroviarie avente ad oggetto «Adempimenti delle imprese ferroviarie a seguito dell'emanazione e dell'entrata in vigore del decreto n. 4 del 2012 di questa Agenzia e dei testi ad esso allegati», l'Agenzia ribadisce che ciascuna impresa ferroviaria deve procedere quanto prima all'adeguamento del proprio sistema di disposizioni e prescrizioni ai nuovi principi introdotti con decreto n. 4 del 2012, secondo le indicazioni fornite nella direttiva 1/dir/2012 dall'ANSF e aggiunge che è responsabilità di ciascuna impresa ferroviaria eliminare quanto prima gli eventuali disallineamenti ancora in essere;
   nel DEIF n. 40.1 del 28 marzo 2013 in vigore dal 1° aprile 2014 emanato dalla direzione tecnica di Trenitalia sul riordino normativo, testi normativi di attribuzione Trenitalia del Sistema di Riferimento al 1o aprile 2013, sono presenti le modifiche alle DEIF 40.0;
   con la nota ANSF prot. n. 002333/13 del 29 marzo 2013 inviata alle imprese ferroviarie e per conoscenza a Rete ferroviaria italiana, direzione tecnica avente ad oggetto «Riordino normativo – disposizioni e prescrizioni di esercizio emanate dalla Imprese Ferroviarie», l'Agenzia afferma che è stato rilevato che anziché provvedere alla modifica puntuale dei testi, riportandone per esteso la nuova versione, alcune imprese ferroviarie hanno utilizzato le note esplicative riportate nelle tabelle di raffronto alla stregua di una modifica del testo, altre hanno utilizzato direttamente le tabelle di raffronto come disposizioni e prescrizioni di esercizio di propria competenza, altre ancora si sono limitate a dichiarare genericamente di tenere conto delle tabelle di raffronto nell'applicazione pratica della normativa vigente, ribadendo che le imprese devono quanto prima eliminare le criticità evidenziate, provvedendo alla rapida emanazione delle corrette disposizioni e prescrizioni di esercizio;
   con la nota ANSF prot. n. 003053/13 del 29 aprile 2013 inviata alle imprese ferroviarie e per conoscenza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, direzione generale per le investigazioni ferroviarie, dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici della direzione generale per il trasporto ferroviario, avente ad oggetto «Riordino normativo. Allineamento dei sistemi di disposizioni e prescrizioni di esercizio delle Imprese ferroviarie al decreto n. 4 del 2012», si afferma che nell'ambito dell'attività di monitoraggio che l'Agenzia sta conducendo sullo stato di attuazione degli adempimenti delle imprese ferroviarie finalizzati al recepimento dei principi normativi del decreto n. 4 del 2012 dell'ANSF, è emerso che le imprese ferroviarie non hanno ancora completato tale processo, neanche per gli aspetti non connessi con le procedure di interfaccia, malgrado il decreto n. 4 del 2012 fosse entrato in vigore il primo gennaio 2013, ribadendo che le imprese ferroviarie inadempienti devono allineare i propri sistemi e disposizioni e prescrizioni al decreto ANSF sopracitato;
   il DEIF n. 40.2 del 4 giugno 2013 in vigore dal 9 giugno 2013 emanato dalla direzione tecnica di Trenitalia sul «Riordino Normativo, disposizioni e Prescrizioni di Trenitalia» in merito alle modifiche rispetto alle DEIF 40.1 dichiara che «le prime revisioni DEIF 40.0 e DEIF 40.1, al fine di agevolare il processo di implementazione della prima fase, riportavano le modifiche normative di cui al precedente capoverso in forma “essenziale”»;
   con il DEIF n. 40.3 dell'11 settembre 2013 in vigore dal 15 settembre 2013 sul «Riordino Normativo Disposizioni e Prescrizioni di Trenitalia» in merito alle modifiche rispetto alle DEIF 40.2, si aggiornano l'elenco delle Disposizioni/Prescrizioni di attribuzione di Trenitalia e le modifiche ai testi di cui al precedente alinea conformi a RCF e di esclusiva competenza delle Imprese Ferroviarie;
   il punto 2.3 dell'allegato A al decreto ANSF n. 4 del 2012 «Compiti dei Gestori dell'infrastruttura e delle Imprese Ferroviarie» dispone fra l'altro che le imprese:
    applicano il quadro normativo di riferimento;
    propongono all'Agenzia, motivandole, modifiche al quadro normativo di sicurezza;
    emanano le disposizioni e le prescrizioni di esercizio in coerenza con il quadro normativo nazionale;
   a detta dell'interrogante, con l'emanazione delle DEIF 40.0 e 40.1 Trenitalia, anziché applicarle, modifica autonomamente le istruzioni che formano il suddetto quadro normativo di sicurezza (PGOS, ISPAT, IPCL, ecc.) e tali modifiche si potrebbero porre in contrasto con gli obblighi stabiliti dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 162 del 2007 e dal punto 2.3 dell'allegato A al decreto ANSF n. 4 del 2012. Con l'emanazione delle DEIF 40.2 e 40.3 Trenitalia modifica le medesime istruzioni di sicurezza denominandole stavolta «di Trenitalia» (PGOS di Trenitalia, ISPAT di Trenitalia, IPCL di Trenitalia, ecc.), e quindi tali modifiche, a presidio della sicurezza dell'esercizio, sarebbero ad avviso dell'interrogante di conseguenza fatte rispetto norme che non esistono –:
   quale sia l'orientamento del Ministero rispetto a quanto detto in premessa e se possa confermare che le imprese ferroviarie nell'emanazione delle corrette disposizioni e prescrizioni di esercizio, possano definire PGOS, ISPAT, IPCL denominandole come proprie e nel merito quali sono le PGOS, ISPAT, IPCL di Trenitalia;
   quali altri provvedimenti sulle inadempienze delle imprese possa attuare l'ANSF sapendo che l'esercizio del solo potere di revoca dei certificati di sicurezza nei confronti della sola Trenitalia può determinare la sospensione del servizio di quasi la totalità del servizio ferroviario italiano e quindi, visto l'enorme disservizio che si andrebbe a creare in caso di revoca, questa potrebbe essere un deterrente per non attuare una revoca della concessione nei confronti di Trenitalia in caso di inadempienze. (4-07081)


   DE LORENZIS, PETRAROLI e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 3 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 166 del 2013, in vigore dal primo aprile 2014, il Governo ha introdotto il tetto dei 240 mila euro per gli stipendi dei dirigenti statali;
   in particolare, da fonti stampa emerge l'illustrazione della pianta organica di ANAS s.p.a. (società a totale partecipazione pubblica prima stazione appaltante del Paese nei lavori pubblici infrastrutturali); si evince che i costi per il personale della suddetta società superino i 350 milioni di euro all'anno e una lista di 187 dirigenti di Anas spa premiati con elevate «retribuzioni per obiettivi»;
   Stefano Granati, condirettore generale amministrazione, finanza e sistemi ha una retribuzione annua lorda di 304.635 euro a cui si aggiunge una «retribuzione per obiettivi» di 106.475. In totale il guadagno è di 411.110 euro. Alfredo Bajo, condirettore generale tecnico ha una retribuzione annua lorda di 247.093 euro e una per obiettivi di 61.533. Per un totale di 308.626. Leopoldo Luigi Conforti, il condirettore generale legale e patrimonio, presenta una retribuzione lorda di 200 mila euro a un compenso per obiettivi di 54.369, per un totale di 254.369 euro. Giuseppe Scanni, direttore centrale relazioni esterne e rapporti istituzionali percepisce una retribuzione lorda di 191.449 euro e una per obiettivi di 52.871, per un totale di 244.320;
   si tratta di stipendi complessivi che superano i 240 mila euro. Da fonti stampa si apprende che Anas spa ha chiarito che tali compensi sono relativi al 2013, ad una fase precedente all'introduzione del tetto stabilito in 240 mila euro;
   a detta dell'interrogante stupisce l'entità e la frequenza delle retribuzioni per obiettivi dei dirigenti che guadagnano importi inferiori: Pierluigi De Marinis, direttore centrale sistemi informativi, percepisce una retribuzione lorda di 163.612 euro più una per obiettivi di 50.831 euro, Settimio Nucci, direttore centrale finanza strutturata, guadagna 161.199 euro più 50.081 euro; Gian Claudio Picardi, direttore centrale legale e contenzioso, somma 169.396 euro di retribuzione lorda a 40.933 euro di compenso per obiettivi;
   sempre da fonti stampa affiora che sul superamento del tetto dei 240 mila euro, da parte di chi guadagna di più, la società assicura di aver dato piena attuazione alle disposizioni di legge vigenti e aggiunge che il decreto con il quale è stato introdotto il limite, con decorrenza 1° maggio 2014, prevede l'applicazione del tetto «esclusivamente ai contratti di lavoro stipulati successivamente al 10 dicembre 2010» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati, quali siano i loro orientamenti in merito e quali iniziative intendano porre in essere;
   se si intendano assumere iniziative al fine di rivedere la pianta organica e l'organizzazione interna dell'ente in modo da diminuire la quota di dirigenti;
   quale sia il motivo per cui ancora oggi, a fronte di un tetto massimo agli stipendi fissato per legge, permangano quelle che agli interroganti appaiono le situazioni di irregolarità citate in premessa. (4-07089)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   GELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 novembre 2014, su rai 3, a partire dalle 21.30, è andata in onda una puntata di Report con una inchiesta giornalistica dedicata alle vicende dell'istituto di credito Monte dei Paschi di Siena;
   nell'ambito della trasmissione, in merito al suicidio del Dottor Davide Rossi, ex capo area comunicazione di Mps, avvenuta la sera del 6 marzo 2013, è stata trasmessa una testimonianza, di un amico, che è voluto restare anonimo, il quale ha riferito testualmente che il citato dottor Rossi, «aveva un ufficio presso il ministero dell'Interno, almeno dal 2008»;
   l'eventuale rapporto di Rossi con il Viminale potrebbe contribuire a riaprire la vicenda, archiviata come suicidio, magari consentendo l'acquisizione di ulteriori e, forse, nuovi elementi agli inquirenti;
   si tratta di una storia tragica, sulla quale è necessario fare chiarezza e fugare ogni dubbio in considerazione della morte di una persona e della rilevanza di una vicenda che ha visto uno dei più importanti istituti di credito del Paese, precipitare in una crisi drammatica con la perdita di molti posti di lavoro e con migliaia risparmiatori che hanno visto deprezzare il valore delle proprie azioni –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per verificare se, quanto riferito, in via anonima, in una trasmissione televisiva, vista da milioni di telespettatori, corrisponda al vero e cioè che il Dottor Davide Rossi fosse titolare di un incarico, con ufficio, e a quale titolo, presso il Ministero dell'interno al fine di contribuire a fare chiarezza su una vicenda dai tratti inquietanti. (3-01190)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, D'INCÀ e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da alcune agenzie di stampa e, in particolare, da un articolo apparso sulla rivista on-line «Notte Criminale»  lunedì 24 novembre 2014 e intitolato «Mafia e mala del Brenta, la pista veneziana», le preoccupanti minacce di morte rivolte al dottor Nino Di Matteo, pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia (DDA), e l'esplosivo destinato al suo attentato, avrebbero collegamenti con una matrice criminale veneta;
   il boss di Cosa nostra, Vito Galatolo, ora collaboratore di giustizia, avrebbe riferito agli inquirenti informazioni dettagliate in merito all'attentato già pronto a diventare operativo nei confronti del dottor Di Matteo, impegnato in prima linea nei processi per la cosiddetta «trattativa» tra mafia e Stato;
   in particolare, le rivelazioni del neo-pentito Galatolo sembrerebbero estendere ad altre «entità esterne» alla mafia, al di là della matrice di Cosa nostra, gli interessi legati alla strategia delittuosa contro il pubblico ministero Di Matteo, suscitando alcuni interrogativi in merito al coinvolgimento della mala del Brenta in un'operazione criminale stragista;
   Galatolo avrebbe raccontato nei dettagli ai pm la fase dell'acquisto e della raccolta di centocinquanta chili di tritolo, di provenienza sconosciuta, arrivati a Palermo e nascosti in alcuni bidoni, destinati a mettere in pratica il piano di morte contro Di Matteo, piano che avrebbe dovuto rilanciare lo stragismo a Palermo;
   il boss malavitoso, le cui rivelazioni rimangono coperte da segreto istruttorio, avrebbe inoltre spiegato agli inquirenti di essersi occupato in prima persona dell'acquisto dell'esplosivo, pagandolo personalmente, ed avrebbe altresì fornito ai pm dettagli sull'origine e le fonti dell'approvvigionamento dell'esplosivo;
   risulta agli interroganti che, dopo l'applicazione del divieto di soggiorno a Palermo, Galatolo vivesse a Mestre, in provincia di Venezia, e che storicamente la zona del Nord est italiano in generale, e del veneziano in particolare, sia sempre stata crocevia del traffico d'armi e di esplosivo con i Balcani;
   inoltre, per quanto di conoscenza degli interroganti, stando ad indiscrezioni della stampa, il boss di Cosa Nostra, per percorrere una ipotetica pista di approvvigionamento di armi nei Paesi dell'est, avrebbe riattivato diverse conoscenze presso alcuni esponenti della mala del Brenta, affini a Cosa nostra –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a far fronte a una situazione ad alto rischio sia per la vita del magistrato Di Matteo sia per la sicurezza pubblica. (5-04181)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LAURICELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo riguarda la platea dei lavoratori ex LSU, già dipendenti di enti locali siciliani, nonché altri soggetti provenienti dal bacino ex articolo 23 della legge n. 67 del 1988, molti dei quali, inizialmente, inseriti in progetti socialmente utili, approvati con atti deliberativi dei competenti enti pubblici locali e successivamente confermati in servizio presso i rispettivi enti, ai sensi ed in applicazione della legge n. 388 del 2000, articolo 78, comma 31, e del decreto legislativo n. 81 del 2000, e successive modificazioni ed integrazioni, così come recepito ed applicato in Sicilia con successive disposizioni legislative regionali;
   tali lavoratori, in particolare, sono stati avviati al lavoro presso la pubblica amministrazione – con decorrenza, per buona parte, a partire dal biennio 1998-1999, e, per altri, anche da un periodo antecedente – attraverso i lavori «socialmente utili» ed ex articolo 23, maturando: altresì il diritto alla stabilizzazione in conformità con le previsioni del decreto legislativo n. 468 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni;
   più precisamente, con successivi provvedimenti degli enti locali, nel mettere fine all'esperienza delle cooperative sociali, si promuovevano progetti di stabilizzazione degli LSU e di soggetti provenienti dal bacino ex articolo 23, che, a partire dal 2002, venivano finanziati dal fondo nazionale per l'occupazione, inizialmente attraverso una delibera CIPE 2002 e, quindi, attraverso le successive leggi finanziarie dello Stato, che lasciavano impregiudicata la possibilità ed il diritto alla stabilizzazione dei lavoratori;
   con decreto legislativo n. 81 del 2000, venivano previsti incentivi e contribuzioni di varia natura nei casi di stabilizzazione dei lavoratori in servizio presso pubbliche amministrazioni con contratti a termine, ivi compresi gli L.S.U. in questione, ai quali venivano, altresì, reiterati nel tempo i contatti anche attraverso proroghe successive;
   in particolare, l'articolo 10, comma secondo, del decreto legislativo n. 81 del 2000 stabiliva, testualmente, che: «Con appositi decreti interministeriali, possono essere individuate misure, nell'ambito di quelle previste dall'articolo 6, che prevedano l'utilizzo di risorse, ove previste dalla normativa vigente, delle amministrazioni statali di volta in volta interessate, finalizzate alla stabilizzazione occupazionale esterna dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, i quali hanno svolto attività di lavori socialmente utili sulla base di apposite convenzioni stipulate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale con le amministrazioni pubbliche aventi competenze interregionali, ai sensi dell'articolo 5, comma 4, del decreto legislativo n. 468 del 1997»;
   con legge della regione siciliana, la n. 24 del 2000, di recepimento e attuativa delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81 del 2000, veniva sancito il diritto alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, in servizio presso gli enti locali, con previsione anche di forme di contribuzione, per ogni lavoratore assunto presso le società miste degli enti locali;
   in esecuzione delle citate disposizioni, dal 2001 e fino al 2005, circa 4.000 lavoratori socialmente utili, già in servizio presso gli enti locali, come i lavoratori oggetto della presente interrogazione, venivano stabilizzati presso le aziende comunali provinciali o presso altri enti pararegionali;
   restavano fuori dal processo di stabilizzazione, invece, i lavoratori in questione, i quali, conseguentemente, per anni, intrattenevano con l'ente pubblico datore di lavoro, un rapporto a tempo determinato, che, in virtù di proroghe e contratti successivi, veniva reiterato nel tempo;
   in particolare, gli stessi, alla luce dell'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, venivano trasferiti, inizialmente, dall'ente locale allo Stato, per lo svolgimento di attività amministrative, tecniche e ausiliarie, con funzioni, quindi, ausiliarie riconducibili al personale ATA della scuola;
   secondo l'articolo 8 della legge n. 1245 del 1999 (Trasferimento di personale ATA degli enti locali alle dipendenze dello Stato), infatti: «1. Il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province. 2. Il personale di ruolo di cui al comma 1, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l'opzione per l'ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto. 3. Il personale di ruolo che riveste il profilo professionale di insegnante tecnico-pratico o di assistente di cattedra appartenente al VI livello nell'ordinamento degli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali, è analogamente trasferito alle dipendenze dello Stato ed è inquadrato nel ruolo degli insegnanti tecnico-pratici. 4. Il trasferimento del personale di cui ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo tempi e modalità da stabilire con decreto del Ministro della pubblica istruzione, emanato di concerto con i Ministri dell'interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, sentite l'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), l'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM) e l'Unione delle province d'Italia (UPI), tenendo conto delle eventuali disponibilità di personale statale conseguenti alla razionalizzazione della rete scolastica, nonché della revisione delle tabelle organiche del medesimo personale da effettuare ai sensi dell'articolo 31, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni; in relazione al graduale trasferimento nei ruoli statali sono stabiliti, ove non già previsti, i criteri per la determinazione degli organici delle categorie del personale trasferito»;
   con successiva circolare esplicativa veniva chiarito altresì che: «La legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha disposto (con l'articolo 1, comma 218) che “Il comma 2 dell'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento. L'eventuale differenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. È fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge”»;
   sostanzialmente, i suddetti lavoratori venivano equiparati ad ogni effetto di legge al personale proveniente dagli enti locali e se ne prevedeva per legge l'inserimento nei ruoli dello Stato;
   a seguito di ciò, il provveditorato agli studi di Palermo (e similmente in tutte le province regionali) invitava gli enti locali a comunicare i nominativi di coloro che avevano i requisiti di legge per transitare presso lo Stato, ovvero, in particolare: a) essere già in servizio presso istituzioni scolastiche statali con funzioni di equiparabili a quelle del personale ATA; b) avere prestato almeno 12 mesi di attività lavorativa avendo come riferimento il biennio 1998/1999;
   i lavoratori di cui qui si tratta, avendo i predetti requisiti, transitavano, quindi, presso i ruoli dello Stato e, per tutto il 2000-2001, svolgevano attività lavorativa presso istituti scolastici dello Stato, in attesa della definitiva stabilizzazione;
   inverosimilmente, piuttosto che definirsi con la stabilizzazione ed immissione in ruolo nei ranghi dello Stato, con decreto n. 65 del Ministero della pubblica istruzione del 20 aprile 2001, veniva previsto che i soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2001 – ivi compresi i lavoratori in questione, impegnati in attività socialmente utili riconducibili a funzioni ausiliarie nell'ambito degli ATA, presso le istituzioni scolastiche statali, con risorse a carico del fondo per l'occupazione di cui alla legge n. 236 del 1993 (che comprendeva anche fondi europei) o proprie degli enti utilizzatori – venissero inseriti, loro malgrado, nel processo di stabilizzazione mediante procedure di terziarizzazione;
   a tal fine, i Ministeri coinvolti sottoscrivevano un accordo-quadro con imprese, consorzi e società cooperative del settore «imprese di pulimento», che, tra gli altri, avevano l'obbligo di costi, per ogni addetto assunto, indifferenziati per l'intero territorio nazionale (articolo 3), con orario lavorativo iniziale non inferiore a 30 ore settimanali, con l'obbligo dell'inquadramento al V livello, con applicazione del CCNL del settore imprese di pulimento, per lo svolgimento, avvalendosi dei predetti ex LSU, di attività ausiliari e di pulizia presso le scuole statali;
   in altri termini, già il decreto ministeriale n. 65 del 2001 introduceva una sorta di demansionamento, in quanto, da attività riconducibili a quelle del personale ATA (assistenti tecnici, amministrativi e collaboratori), gli stessi sarebbero stati inquadrati come «pulizieri»;
   in data 7 giugno 2001 era siglata la convenzione-quadro tra Ministero dell'istruzione, Ministero del lavoro e consorzi ed imprese cooperative, i cui effetti decorrevano dal 1o luglio 2001, che, ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 468 del 1997, doveva essere finalizzata alla stabilizzazione del personale ex LSU (articolo 3);
   i lavoratori venivano, quindi, inquadrati nel 2o livello con applicazione del CCNL delle imprese di pulizia, con assunzioni a tempo indeterminato per, inizialmente, 30 ore settimanali, e con decorrenza dal 1o luglio 2001;
   da quella data e fino al 2011 i lavoratori venivano assoggettati tutti al medesimo regime giuridico ed economico e svolgevano servizi di pulizia degli istituti scolastici inseriti in apposito elenco aggiornato annualmente, con un orario lavorativo fino a 35 ore settimanali;
   più precisamente, in virtù dell'accordo quadro e della convenzione i servizi di pulizia venivano assegnati dallo Stato e con risorse economiche e finanziarie statali, agli affidatari (consorzi e cooperative che avevano i requisiti di legge), che, a loro volta, stipulavano contratti a tempo indeterminato per l'assunzione degli ex LSU, inquadrandoli al 2o livello del CCNL delle imprese di pulizia e multi servizi;
   tale affidamento, si ribadisce, era finalizzato alla stabilizzazione dei soggetti di cui all'articolo 1 del decreto ministeriale n. 65 del 2001. In quella sede veniva altresì fissato il costo unitario pro-capite e gli altri costi che gravavano sullo Stato per la copertura delle predette assunzioni;
   irragionevolmente, a decorrere dal 2011, introdotte le procedure CONSIP per lo svolgimento dei servizi per gli enti pubblici, consorzi e cooperative, che avevano fino a quel momento goduto per legge dei finanziamenti pubblici finalizzati alla stabilizzazione degli ex LSU, venivano assoggettati alle medesime procedure, alla stregua degli altri fornitori di servizi, con conseguente obbligo, inverosimile nella fattispecie che invece doveva mantenere lo speciale regime giuridico, di offerte al ribasso ai fini dell'aggiudicazione dei medesimi servizi, presso gli istituti scolastici;
   in altri termini, consorzi e cooperative non erano più in grado di garantire la piena osservanza, in termini di orario lavorativo e di retribuzione, dell'accordo quadro e della collegata convenzione;
   ulteriore grave ed irregolare conseguenza della contrazione di finanziamenti statali stanziati per i predetti servizi e per la stabilizzazione del personale in questione, era la richiesta di cassa integrazione in deroga per il predetto personale, con riduzione dell'orario lavorativo fino a zero ore, secondo criteri di rotazione, la sospensione periodica quindi delle attività lavorative, la riduzione degli stipendi, il trasferimento da una sede lavorativa ad un'altra, con connesso e conseguente rischio reiterato e periodico di licenziamenti collettivi;
   in particolare, nel 2011, veniva sottoscritto un nuovo accordo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che confermava la prosecuzione delle attività, ma con una riduzione dei corrispettivi e collegata eccedenza del numero dei lavoratori fino a quel momento utilizzati;
   per affrontare la nuova situazione gli affidatari sostanzialmente chiedevano ed ottenevano, periodicamente, la cassa integrazione, dal 2011 e fino al 2014, per cui i lavoratori ricevevano periodicamente ed annualmente, dalle diverse cooperative ed enti presso i quali prestavano attività lavorativa, ora la sospensione delle attività, ora l'esonero dalle stesse, ora il preavviso di licenziamento;
   da ultimo, con nota del luglio 2014, gli stessi ricevevano la comunicazione della sospensione del servizio, con esonero per gli stessi dall'espletamento di ogni attività lavorativa, salvo poi riprendere tutti l'attività lavorativa, ma presso altre sedi, con orario lavorativo ridimensionato, con riduzione dello stipendio e, da ultimo, con assegnazione di mansioni di «manutenzione» che nulla avevano a che vedere con l'inquadramento iniziale ed in relazione alla cui attività i lavoratori non avevano né le specifiche competenze, né le adeguate professionalità;
   in altri termini, il rapporto di lavoro, iniziato nel luglio 2001, che avrebbe dovuto essere «stabilizzato ex lege», nei ruoli dello Stato, diveniva invece dal 2011 un rapporto precario con sostanziale, periodica e, in pratica, annuale apposizione di termini ai contratti di servizio – legata al finanziamento o meno delle attività ed all'ammontare della copertura finanziaria stanziata – con sospensioni e proroghe e riprese reiterate delle attività contrattuali ed invero senza alcuna certezza per il futuro lavorativo dei ricorrenti;
   la «stabilizzazione» non ha sostanzialmente prodotto gli effetti previsti dal legislatore ed infatti, nel corso degli anni i lavoratori in questione hanno subito la graduale contrazione delle ore lavorative, la riduzione dello stipendio, il trasferimento da una sede all'altra con assegnazioni a differenti istituzioni scolastiche e, da circa tre anni, sono stati collocati in cassa integrazione, con buona pace delle norme sulla stabilizzazione, a giudizio dell'interrogante in palese contrasto con la legge e i principi costituzionali di tutela del lavoratore, con disparità di trattamento rispetto ad altri ex LSU, che, invece, pur partendo dal medesimo status, sono stati stabilizzati presso gli enti locali o altre realtà, con garanzia e conservazione del posto di lavoro, dell'orario lavorativo e dello stipendio –:
   in considerazione di quanto riportato in premessa, se e quali iniziative di competenza intendano assumere con la massima urgenza per chiarire definitivamente le modalità di applicazione della citata normativa, al fine di evitare il perpetrarsi di una irragionevole disparità, in palese contrasto con la legge, oltre che con il principio di uguaglianza, atteso che situazioni identiche hanno finito con l'essere regolate in maniera differente, sotto il profilo sociale, economico e amministrativo. (5-04175)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARIASTELLA BIANCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la liquidazione spettante al personale dipendente della società Poste italiane ha diritto, al momento della cessazione dal servizio, è composta di due quote: l'indennità di buonuscita maturata fino al 28 febbraio 1998, data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, calcolata secondo la normativa vigente e corrisposta dalla gestione commissariale Fondo buonuscita unitamente al trattamento di fine rapporto previsto dall'articolo 2120 del codice civile, maturato dal marzo 1998 fino alla data di cessazione del servizio, che viene liquidata da Poste italiane spa;
   l'articolo 53, comma 6, della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica») stabilisce che «A decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni (...) al personale dipendente dalla società medesima spettano: a) il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma»;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973 prevede che l'indennità sia calcolata, per tutti i dipendenti pubblici, in riferimento all'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza. In tal modo, avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, si garantisce la costante rivalutazione dell'indennità di buonuscita, per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori;
   la gestione commissariale Fondo buonuscita per i lavoratori delle Poste liane, istituita con la legge 27 dicembre 1997, n. 449 articolo 53, 6o comma, con la finalità, tra l'altro, di provvedere alla liquidazione dell'indennità di buonuscita ha adottato un'interpretazione strettamente letterale del comma 6, calcolando l'indennità stessa in riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni;
   questo sistema di calcolo ha di fatto legittimato la cristallizzazione del valore dell'indennità di buonuscita, ancorandola a quello della retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, ignorando le dinamiche salariali che l'hanno caratterizzata e la conseguente rivalutazione un importante svantaggio economico ai lavoratori direttamente coinvolti, che si configurano in maggior parte come i dipendenti di poste assunti prima del febbraio 1998;
   i vari trattamenti di fine servizio che il nostro ordinamento conosce, o ha conosciuto, o che sono in fase di superamento, sono accomunati dal fatto di essere tutti dotati, pur nelle diversità dei relativi sistemi di calcolo, di meccanismi idonei a salvaguardarne il potere di acquisto o comunque a proteggerli dalla svalutazione dell'inflazione. Tutte le indennità di fine rapporto costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita in funzione previdenziale al fine agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione;
   l'indennità di buonuscita deve essere ricondotta nella categoria generale dei trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico, riconoscendo a tutti questi trattamenti in stretta analogia con quelli del settore privato la natura essenziale di retribuzione differita, legata ad una concorrente funzione previdenziale, e come ogni trattamento di fine servizio comunque denominato (trattamento di fine rapporto, indennità di buonuscita, indennità premio servizio, indennità di anzianità) può essere determinato solo al momento della risoluzione del rapporto, che costituisce non solo un termine per l'adempimento di un credito già maturato, ma un elemento essenziale di completamento della fattispecie;
   il sopra citato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, impedendo la conseguente rivalutazione della buonuscita. La somma così determinata perderebbe progressivamente la proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato così realizzando disparità di trattamento non solo con altre categorie di lavoratori, pubblici e privati, ma anche all'interno della stessa categoria di dipendenti postali, cessati dal servizio prima del 28 febbraio 1998 o assunti dopo tale data;
   questa situazione ha causato nel corso degli anni molteplici procedimenti giudiziari dei lavoratori di Poste italiane contro Ipost, istituto postelegrafonici, per ottenere la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa; il contenzioso giudiziario ha condotto a esiti a favore dei lavoratori e, malgrado le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione protratte dall'Ipost continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge –:
   quali iniziative anche di natura normativa, intenda adottare per sanare la difficile situazione dei lavoratori di Poste italiane spa e consentire loro di usufruire di una costante rivalutazione del valore dell'indennità di buonuscita in modo che questa sia corrispondente a quanto maturato effettivamente e non bloccata alla data del 28 febbraio 1998. (4-07085)


   LEVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 29 ottobre 2014 si è tenuta una riunione alla presenza del Sottosegretario di Stato al lavoro e alle politiche sociali senatore Massimo Cassano nella quale era emersa la volontà di attivare un progetto pilota sul territorio regionale del Molise che valorizzasse le competenze professionali degli operatori della formazione iscritti all'Albo e degli operatori di supporto;
   facendo seguito agli impegni assunti nella riunione menzionata si è tenuta, il giorno 27 novembre 2014, una sessione tecnica presso l'assessorato al lavoro della regione Molise alla quale hanno partecipato: l'assessore al lavoro Michele Petraroia, il presidente della Munta regionale Paolo Di Laura Frattura, il presidente di Italia Lavoro, dottore Paolo Emilio Reboani, in rappresentanza del Formez, il dottore Arturo Siniscalchi e il dottore Domenico Guidi;
   la regione Molise ha ribadito la disponibilità a contribuire con risorse proprie alla predisposizione del progetto pilota e l'opportunità di coinvolgere il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al fine di avvalersi delle risorse comunitarie a gestione ministeriale a valere sull'obiettivo tematico 10 per il periodo 2014/2020 (PON 2014/2020);
   la regione Molise ha altresì ribadito la disponibilità ad individuare con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Formez, l'ISFOL, Italia Lavoro, ogni altra possibile soluzione della vertenza;
   dalla riunione non è emersa alcuna proposta ministeriale per definire percorsi completi e risolutivi;
   la cassa integrazione in deroga per i suddetti operatori e lavoratori scadrà il 31 dicembre 2014 –:
   cosa si intenda fare per chiarire la posizione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in merito alla vertenza degli operatori della formazione professionale del Molise e degli operatori di supporto. (4-07088)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO, MONGIELLO, ANTEZZA, DAL MORO, CENNI, ANZALDI, BURTONE, ZANIN, CARRA e ROMANINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il secondo comma dell'articolo 44 della Costituzione dispone che «la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane»;
   il 15 dicembre 2013 si è tenuto a Roma un seminario dal titolo: «Le aree interne: nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica di coesione territoriale». Le «aree interne» sono state definite (provvisoriamente) come «quella vasta e maggioritaria parte del territorio nazionale non pianeggiante, fortemente policentrica, con diffuso declino della superficie coltivata e spesso affetta da particolare calo o invecchiamento demografico». In questa definizione ricade buona parte del territorio montano, ma non tutto, mentre vi rientra una parte importante del territorio collinare, più le isole minori;
   la legislazione nazionale sulla montagna in cui si è tradotto il dettato costituzionale si è fondata sulla legge n. 991 del 1952 («Provvedimenti in favore dei territori montani»), successivamente modificata dalla legge ordinaria n. 657 del 30 luglio 1957. Tale normativa aveva previsto che gli stessi provvedimenti in favore delle aree montane, potessero riguardare anche comuni con «analoghe condizioni economico-agrarie». Così il dettato costituzionale veniva interpretato facendo rientrare nel significato di «montagna» tutti i territori in condizioni svantaggiate;
   il tema dei «territori svantaggiati» ha interessato anche i documenti dell'Unione europea. In Europa 2000+ (1995) si introduceva la categoria delle «aree rurali con difficoltà di accesso», corrispondenti a «molte aree collinari e montane, oltre alle isole minori»;
   negli ultimi vent'anni l'Unione europea ha però modificato l'originaria visione in negativo dei territori svantaggiati e ha cominciati a parlare di territori «diversi», che possono essere strategici in una prospettiva di sviluppo sostenibile, grazie alla loro valenza economica, ambientale, energetica e culturale (vedi ad esempio il Libro verde sulla coesione territoriale, 2008). Sono così maturate le premesse dell'attuale politica italiana delle «aree interne». Già il Piano strategico nazionale (PSN) per la programmazione dei Fondi comunitari 2007-2013 prevedeva interventi prioritari di sostegno allo sviluppo per tutte le regioni agrarie ISTAT che ricadono nelle zone altimetriche di montagna e collina;
   l'Unione europea ha ad ogni modo sempre tenuto in debita considerazione gli svantaggi naturali che si ripercuotono sugli agricoltori delle zone montane caratterizzate da svantaggi naturali, diverse dalle zone montane, allo scopo prevedendo a carico del Fondo europeo per lo sviluppo rurale, la possibilità di erogare determinate indennità compensative. Con tali misure si è voluto sostenere il mantenimento delle aziende agricole in tali aree difficili, anche al fine di ottenere una maggiore tutela del territorio, una conservazione della biodiversità e una tutela e diffusione di sistemi agro-forestali ad alto valore naturalistico;
   l'attuale disegno strategico dell'Unione europea si fonda su una coerente continuità di visione nell'evoluzione delle politiche di riequilibrio territoriale (ora dette di coesione territoriale), mantenendo fermo il principio del sostegno per i soggetti che operano nelle aree montane, in quelle collinari e più in generale nelle «aree interne» quali ambiti territoriali rappresentativi di quei territori che anche al di là delle caratteristiche intrinseche, risultano essere deprivati (lontani dai servizi, spopolati, con poche opportunità di lavoro) rispetto ad aree più prospere;
   per quanto riguarda le imposte patrimoniali, si ricorda che nel rispetto del dettato costituzionale di cui al predetto articolo 44 della Costituzione, in materia di imposta comunale sugli immobili, l'articolo 7, comma 1, lettera h), aveva previsto l'esenzione di tale imposta per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984;
   tale previsione è stata poi mantenuta operativa anche per quanto riguarda l'imposta municipale unica, inizialmente a norma dell'articolo 4, comma 5-bis del decreto-legge n. 16 del 2012 così come modificato dalla legge di conversione in legge, legge n. 44 del 2012, il quale aveva previsto che «Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, possono essere individuati i comuni nei quali si applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base della altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni». Successivamente, con l'articolo 22 comma 2 del decreto-legge n. 66 del 2014, il predetto comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 è stato sostituito con la seguente previsione: «5-bis. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, e dell'interno, sono individuati i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si applica l'esenzione di cui alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), diversificando tra terreni posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, e gli altri. Ai terreni a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile che, in base al predetto decreto, non ricadano in zone montane o di collina, è riconosciuta l'esenzione dall'IMU. Dalle disposizioni di cui al presente comma deve derivare un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro a decorrere dal medesimo anno 2014 (...);
   dato che tale decreto non è stato emanato in tempi utili per il versamento della prima rata dell'IMU a giugno 2014, i contribuenti hanno applicato le norme attualmente in vigore, quindi continuando a fare riferimento all'elenco allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993, così come previsto dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 3 del 2012, la quale ha chiarito che fino all'emanazione di detto decreto, l'esenzione in questione si rende applicabile per i terreni contenuti nell'elenco allegato alla circolare n. 9 del 14 giugno 1993, che stabiliva analoga esenzione ai fini ICI. I terreni situati in comuni montani o nelle aree collinari «sfavorite», identificante dall'articolo 15, della legge n. 984/1977 ed elencate ai fini ICI nella circolare n. 9 del 14 giugno 1993, sono stati esentati dall'imposta IMU, nel 2012 e 2013 in quanto continuavano a valere le esenzioni previste dal decreto legislativo n. 504 del 1992. Per tali immobili l'IMU non era dovuta né per il primo né per il secondo semestre 2013, qualunque fosse stata la qualifica del proprietario del fondo (circolare n. 5/DF dell'11 marzo 2013);
   in questi giorni è stata annunciata una presunta bozza del decreto interministeriale di cui all'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012 come attualmente vigente, secondo cui sarebbe applicato un criterio di esenzione dell'IMU per i terreni agricoli dei comuni montani basato su tre fasce altimetriche, certificate dall'ISTAT, entro cui gli stessi comuni devono rientrare. In particolare, secondo tale bozza, rimarrebbero tutelati totalmente solo i comuni con un'altitudine superiore ai 600 metri, mentre l'esenzione parziale comprenderebbe i comuni tra i 281 e i 600 metri di altitudine e gli altri, i non montani, dovrebbero pagare un IMU completa su tutti i terreni;
   l'IMU in questione dovrebbe essere versata entro il 16 dicembre 2014;
   stando alle notizie in circolazione, nelle intenzioni del Governo, sarebbero esentati solo 1.578 comuni, altri 2.568 avrebbero un'esenzione parziale, limitata ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali. Negli altri comuni invece, pagherebbero tutti. Ove tale ipotesi fosse accertata, il Governo darebbe però un segnale contraddittorio ed incomprensibile, oltre che nei confronti dell'articolo 44 della Costituzione, anche rispetto ai principi sulla tutela delle aree interne previsti dal diritto europeo oltre che agli obiettivi che lo stesso Governo sta perseguendo con la propria azione politica, soprattutto per quanto riguarda l'equità fiscale, la certezza della quantificazione delle imposte, la lotta al dissesto idrogeologico ed il rafforzamento della coesione sociale;
   inoltre, l'eventuale cambiamento in corso d'opera e alla fine dell'anno delle regole fiscali riguardanti l'agricoltura, per altro in modo retroattivo e contro lo statuto del contribuente, costringerebbe i contribuenti ad una corsa contro il tempo per versare un'imposta mai pagata in precedenza per inconfutabili previsioni normative a carattere fondamentale;
   gli agricoltori, anche in quanto imprese, dovrebbero ad ogni modo poter preparare per tempo le proprie strategie imprenditoriali per fare fronte ai tributi previsti per l'anno di riferimento, mentre nel caso dell'ipotizzata IMU per i terreni montani ciò non sarebbe garantito, con indubbio aggravio sui redditi degli agricoltori e sulla sostenibilità delle imprese agricole che hanno previsto ed effettuato investimenti che a fine anno potrebbero rimanere privi di copertura –:
   quali informazioni possa riferire, per le parti di competenza, in merito alla questione esposta in premessa e ad ogni modo come intenda procedere ai sensi dell'articolo 4, comma 5-bis del decreto-legge n. 16 del 2012, così come da ultimo modificato dal decreto-legge n. 24 aprile 2014, n. 66 come convertito in con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, affinché il decreto allo scopo previsto sia emanato in tempi adeguati perché i destinatari vi possano fare fronte in maniera certa e commisurata e perché non penalizzi gli agricoltori delle aree interne, di quelle collinari svantaggiate e dei territori che, per condizioni geografiche difficili, sono equivalenti a quelli montani in quanto caratterizzati da svantaggi naturali;
   se non ritenga di dover intraprendere iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere misure alternative rispetto a quelle previste dal predetto comma 5-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 nel testo vigente. (5-04170)


   GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'annata 2014 rischia di essere ricordata come una delle peggiori per il comparto oleario;
   il settore è stato gravemente colpito sia da fattori esogeni, come il clima, che antropici, posto che non ostante i bollettini fitosanitari segnalassero l'acuirsi della presenza della cosiddetta «mosca olearia» gli interventi in campo non sono stati tempestivi né adeguati alla gravità della situazione;
   un inverno piuttosto mite ed una estate molto piovosa e con temperature che raramente hanno superato i trenta gradi, hanno infatti favorito il proliferare della bactrocera oleae, meglio nota come mosca dell'olivo;
   l'infestazione parassitaria dovuta alla mosca olearia non è un evento incluso nel piano assicurativo agevolato 2014 e pertanto nessun risarcimento spetta agli agricoltori la cui produzione è irrimediabilmente compromessa, atteso che, in alcuni territori, la produzione totale di olio ha subito un calo anche dell'80 per cento;
   come disposto dall'articolo 109 del TFUE, il Consiglio può determinare le categorie di aiuti che sono dispensati dall'obbligo di notifica adottando regolamenti concernenti il funzionamento di tali categorie di aiuti;
   con riferimento al settore agricolo, il regolamento (UE) n. 1408/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013 relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, stabilisce le regole per la concessione di aiuti alle imprese che operano nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli;
   al fine di sostenere l'olivicoltura nazionale che rappresenta un settore chiave dell'agroalimentare italiano nonché una delle eccellenze più conosciute ed apprezzate del nostro Paese, è indispensabile attivare misure straordinarie volte a compensare i mancati redditi e a consentire la ristrutturazione del potenziale produttivo fortemente danneggiato –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per attivare, a favore del comparto olivicolo nazionale, le misure previste dal regolamento citato in premessa e concernenti gli aiuti «de minimis» nel settore agricolo. (5-04172)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'influenza è una malattia provocata da virus (del genere Orthomixovirus) che infettano le vie aeree (naso, gola, polmoni). È molto contagiosa, perché si trasmette facilmente attraverso goccioline di muco e di saliva, anche semplicemente parlando vicino a un'altra persona. Essa costituisce un importante problema di sanità pubblica a causa della ubiquità, contagiosità, e variabilità antigenica dei virus influenzali, dell'esistenza di serbatoi animali e delle possibili gravi complicanze. Frequente motivo di consultazione medica e di ricovero ospedaliero, e principale causa di assenza dal lavoro e da scuola, l'influenza è ancora oggi la terza causa di morte in Italia per patologia infettiva, preceduta solo da AIDS e tubercolosi;
   la stessa AIFA ricorda che i vaccini sono una risorsa preziosa e insostituibile per la prevenzione dell'influenza stagionale e delle sue complicanze, che possono dare luogo a casi di intensità severa e colpiscono con frequenza maggiore in particolare gli ultrasessantacinquenni e i pazienti affetti da condizioni croniche preesistenti;
   l'Agenzia del farmaco ha vietato la vendita due lotti del vaccino antinfluenzale Fluad dopo il decesso di tre persone alle quali era appena stato somministrato. Un altro paziente si è sentito male ed è in gravi condizioni;
   i due lotti sottoposti a divieto sono il «142701» e il «143301» del vaccino antinfluenzale Fluad;
   i lotti vaccino antinfluenzale Fluad bloccati dall'Aifa non sono venduti nelle farmacie, ma distribuiti dalle Asl. Secondo quanto si apprende, infatti erano disponibili solo nel canale pubblico o presso i medici di famiglia, prevalentemente nelle regioni Abruzzo, Molise e Sicilia. Ciò nonostante, Federfarma ha avvertito le farmacie di bloccare la vendita dei due lotti di vaccino antinfluenzale segnalati eventualmente presenti in magazzino;
   il nesso causale tra la somministrazione dei vaccini antinfluenzali e i decessi è ancora da verificare, un quadro completo potrà essere fornito solo dopo aver analizzato tutti gli elementi di contesto, tra i quali, ad esempio, lo stato di salute dei pazienti, la loro età ed eventuali patologie da cui erano affetti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto e se corrisponda al vero la concentrazione regionale della distribuzione dei due lotti vaccinali sospesi;
   in che modo il Ministro interrogato intenda impegnarsi, per quanto di propria competenza, al fine di garantire il corretto proseguimento della campagna influenzale, che ogni anno impegna operatori sanitari in tutta Italia;
   se, alla luce del provvedimento cautelare dell'AIFA, siano state poste in essere politiche di revisione della distribuzione
dei lotti vaccinali, per far sì che i presidi regionali possano somministrare il vaccino.
(2-00763) «D'Incecco, Lenzi, Albini, Murer, Piazzoni, Capone, Casati, Carnevali, Piccione, Patriarca».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SBROLLINI, LENZI, AMATO, CAPONE, PICCIONE, D'INCECCO, GRASSI, PATRIARCA e PIAZZONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le malattie cardiovascolari sono la causa di oltre il 41 per cento dei decessi ogni anno e rappresentano la prima causa di morte;
   il decesso per cause cardiache può verificarsi anche in assenza di precedenti sintomi ed essere quindi la prima e fatale manifestazione della malattia coronarica. Nel 60 per cento dei casi, la morte cardiaca improvvisa è dovuta ad aritmie fatali quali la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare senza polso;
   in Italia ogni anno si stimano circa 60.000 decessi per morte cardiaca improvvisa. Per comprendere l'entità del fenomeno, si consideri che nel nostro Paese le vittime per incidenti stradali nell'anno 2013 sono state 3.400;
   per i casi di arresto cardiaco, conosciamo l'importanza del primo soccorso nel ridurre sia il rischio di mortalità sia le complicanze. Infatti, se le funzioni vitali cessano e non vengono supportate e ripristinate tempestivamente, il cervello va incontro a danni che diventano irreversibili dopo pochi minuti. Ne consegue che la tempestività del primo soccorso e delle manovre salvavita aumentano considerevolmente la probabilità di sopravvivenza;
   l'intervento del 118, associato alle manovre salvavita eseguite precocemente dal soccorritore occasionale, aumentano in modo importante le probabilità di sopravvivenza. Infatti, si stima che ad ogni minuto, in assenza di manovre, si perda il 10 per cento di possibilità di ripresa;
   la legge del 3 aprile 2001, n. 120 e le successive normative in materia hanno consentito l'utilizzo del defibrillatore semiautomatico anche da parte di soccorritori-cittadini non professionisti, purché adeguatamente addestrati e abilitati. La formazione consiste in un corso teorico/pratico della durata di 5 ore con istruttori certificati;
   il decreto Balduzzi, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale con decreto del 23 aprile 2013, mira a dotare determinati luoghi e strutture, sulla base dell'afflusso di utenti e di dati epidemiologici ed in base a specifici progetti, l'opportunità di dotare di defibrillatori semiautomatici esterni i seguenti luoghi e strutture;
   la nota del Ministero della salute del 16 maggio 2014 introduce un'importante novità: «L'autorizzazione all'uso del DAE rilasciata a personale non sanitario, intesa come atto che legittima il soggetto ad impiegare il DAE ai sensi della Legge 2 aprile 2001, n. 120, ha durata illimitata», fermo restando l'esigenza di pianificare un retraining periodico delle manovre di RCP;
   in alcune città italiane, la pubblica assistenza Croce Verde ha creato un progetto in collaborazione con il comune di appartenenza per dotare i centri storici cittadini di una rete di defibrillatori;
   la legge 11 agosto 1991 n. 266 «Legge-quadro sul volontariato», all'articolo 8, comma 2 prevede: «Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto; le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini suindicati»;
   tale indicazione e stata ribadita dalla circolare del Ministero dell'economia e delle finanze 25 febbraio 1992 n. 3 che a questo proposito precisa: «Al comma 2 si prevede l'esclusione dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto delle operazioni effettuate dalle organizzazioni medesime, con l'effetto che nessun adempimento fiscale va osservato in relazione alle dette operazioni. Nella previsione esentativa possono ritenersi comprese anche le cessioni, effettuate nei confronti delle dette organizzazioni, di beni mobili registrati, quali autoambulanze, elicotteri o natanti di soccorso, attesa la loro sicura utilizzazione nell'attività sociale da queste svolte»;
   ne consegue che sui mezzi utilizzati dalle associazioni regolarmente iscritte al registro regionale del volontariato, per il perseguimento dei fini statutari, è prevista l'esenzione dal pagamento dell'Imposta sul valore aggiunto (IVA) per una percentuale del 20 per cento; ciò permette alle associazioni ONLUS, regolarmente iscritte al registro regionale, un considerevole risparmio che può essere reinvestito in altre attività ad alto valore sociale;
   al momento non esiste alcun tipo di provvedimento in merito ad agevolazioni sul pagamento dell'IVA sui defibrillatori, pur considerati strumenti fondamentali per salvare una vita umana in caso di arresto cardiaco;
   un eventuale rimborso dell'IVA su questi strumenti promuoverebbe la diffusione degli stessi attraverso la loro installazione, in primis in realtà sportive e scolastiche –:
   se il Ministro non intenda opportuno intervenire per promuovere la diffusione dei defibrillatori attraverso iniziative dirette all'introduzione di agevolazioni sul pagamento dell'IVA di tali strumenti e nello specifico in particolare attraverso l'estensione di quanto previsto dalla legge dell'11 agosto 1991 n. 266 «Legge-quadro sul volontariato» anche sull'acquisto dei defibrillatori da parte di associazioni ONLUS iscritte al registro regionale del volontariato che assicurino anche una verifica puntuale degli impianti installati.
(5-04174)


   MIOTTO e CARNEVALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è quello stabilito dal decreto ministeriale n. 332 del 27 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999, dal titolo: «Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe». Esso individua nel dettaglio le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 e le modalità di erogazione;
   l'aggiornamento previsto non è mai stato effettuato nonostante che ciò fosse previsto sia dall'articolo 11 del decreto n. 332 del 27 agosto 1999 «Il nomenclatore è aggiornato periodicamente, con riferimento al periodo di validità del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili» sia ribadito dall'articolo 5 comma 2-bis del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» che prevedeva che il Ministro della salute procedesse entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 27 agosto 1999, n. 332;
   in data 2 luglio 2014 in merito alla interrogazione n. 3-00914 sull'attuazione del Patto per la salute 2014-2016, il Ministro Lorenzin affermava che l'aggiornamento «dei livelli essenziali di assistenza, attesissimo da tutti gli operatori, ma anche dalle associazioni delle famiglie, dei malati, soprattutto di malattie rare, ormai da più di dieci anni, ... avverrà entro il 31 dicembre 2014. La stessa cosa per quanto riguarda il regolatore del nomenclatore tariffario per le protesi audiovisive che, ricordiamolo, non era aggiornato dagli anni Novanta, questo ovviamente in attuazione dei principi di equità, innovazione e appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmatici della finanza pubblica»;
   lo stesso presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, in data 17 settembre 2013, al programma televisivo «Le Iene», in onda sul canale televisivo «Italia 1», rispondendo all'appello del co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, Marco Gentili che chiedeva l'aggiornamento del nomenclatore tariffario per non «rimanere sepolti vivi» rispondeva che si sarebbero rivisti dopo 20 giorni per fare il punto della situazione sull'aggiornamento del nomenclatore tariffario e successivamente in data 13 ottobre ribadiva ai microfoni delle «Iene» che: «il nomenclatore sarà aggiornato entro dicembre»;
   il mancato aggiornamento periodico del nomenclatore, non essendo in linea con il costante progresso tecnologico, impedisce alle migliaia di disabili italiani l'accesso a nuovi strumenti di supporto che sicuramente potrebbero migliorare la loro qualità della vita;
   l'inerzia del Governo è stata in parte sussidiata da sporadiche iniziative regionali che però riguardano interventi specifici legati ad alcune patologie, accentuando la disomogeneità nell'accesso ai livelli essenziali di assistenza per ragioni territoriali o per patologie, entrambi elementi che contribuiscono ad affievolire l'accesso al diritto alla tutela della salute –:
   quale sia ad oggi l’iter di aggiornamento del nomenclatore e quali misure urgenti il Ministro intenda adottare affinché, effettivamente, si possa arrivare in tempi rapidi e comunque entro la fine dell'anno 2014 ad un nuovo e completo aggiornamento del nomenclatore al fine di corrispondere alla legittima aspettativa dei pazienti che hanno il diritto di poter disporre di ausili e dispositivi provenienti dal più attuale stato di avanzamento del progresso tecnologico nel settore della produzione degli stessi. (5-04176)


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    secondo le nuove stime contenute nell'ultimo rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulla diffusione del contagio di ebola in Africa il numero di morti dall'inizio dell'epidemia ha toccato quota 4.960, con 13.268 casi confermati;
   il virus continua a imperversare nei tre Paesi più colpiti, Guinea, Sierra Leone e Liberia, mentre non ci sono stati nuovi casi in Mali, Stati Uniti e Spagna, Nazioni ancora sotto osservazione per aver avuto dei pazienti sul proprio territorio;
   secondo l'Oms, gli sforzi contro il virus vanno concentrati soprattutto nei tre Paesi africani maggiormente colpiti. In questi Paesi — precisa l'Oms — la situazione non è ancora del tutto chiara: se alcune aree stanno conoscendo un sostanziale miglioramento, con una diminuzione dei casi, altre invece sperimentano una forte accelerazione dell'epidemia. Tra il personale sanitario si registrano 549 casi e 311 morti;
   l'OMS durante l'ultima riunione del comitato di emergenza a Ginevra ha detto che comunque ebola continua a costituire un'emergenza sanitaria pubblica di rilievo internazionale, e ha espresso «grande preoccupazione» per la situazione nei tre Paesi dell'Africa occidentale più colpiti. Ha anche spiegato che il successo di Senegal e Nigeria dimostra come sia possibile fermare il contagio grazie a una leadership politica determinata, a una diagnosi precoce, a una pronta risposta, a campagne di sensibilizzazione e al sostegno delle organizzazioni esterne;
   insieme al rapporto periodico, l'Oms ha anche rese note le conclusioni della riunione della Travel and Transport Task Force, una commissione istituita lo scorso agosto di cui fanno parte non solo esperti sanitari, ma anche dirigenti di enti che regolano l'aviazione e gli altri trasporti civili. Questo gruppo ha ribadito il proprio no al blocco delle frontiere nei Paesi colpiti e ad altre restrizioni a viaggi e trasporto merci. Secondo la commissione, gli screening messi in atto al momento sono sufficienti a garantire la sicurezza. «L'Oms non raccomanda divieti generalizzati ai trasporti o ai viaggi, né quarantene generali a passeggeri che arrivano dai Paesi colpiti» si legge nel comunicato finale. «Queste misure potrebbero creare una falsa impressione di controllo e possono avere un impatto negativo sul numero di operatori sanitari che si offrono volontari per assistere i Paesi colpiti;
   in seguito alla visita nei paesi più, colpiti dall'epidemia di Ebola, Sierra Leone, Liberia e Guinea, avvenuta dal 12 al 16 novembre 2014 per analizzare gli ultimi sviluppi della situazione insieme alle autorità nazionali, ai rappresentanti degli Stati membri dell'Unione europea e alle organizzazioni umanitarie, nonché per definire politiche efficaci in risposta alle emergenze prioritarie, il coordinatore Ue per l'Ebola Christos Stylianides, Commissario per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi, e il Commissario responsabile per la salute Vytenis Andriukaitis hanno annunciato un ulteriore stanziamento di 29 milioni di euro per affrontare l'emergenza in atto;
   già numerosi medici del servizio sanitario nazionale hanno presentato domanda di aspettativa per poter andare a prestare la propria opera nei paesi colpiti –:
   quali misure sia economiche che normative il Ministro ha intrapreso o intenda intraprendere per fronteggiare l'epidemia di Ebola direttamente nei Paesi africani maggiormente colpiti nonché quali misure intenda adottare affinché i medici del servizio sanitario nazionale possano, su loro richiesta, poter andare ad aiutare le popolazioni colpite dall'epidemia di ebola.
(5-04177)


   SILVIA GIORDANO, BARONI, LOREFICE, CECCONI, MANTERO, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 27 novembre 2014, l'AIFA ha sospeso l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenzale Fluad, a seguito delle segnalazioni di quattro eventi avversi gravi o fatali, verificatisi in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi provenienti dai due lotti 142701 e 143301 del vaccino prodotto dalla Novartis Vaccines and Diagnostics s.r.l.;
   Fluad è un vaccino somministrato per prevenire l'influenza negli anziani, di età pari o superiore a 65 anni, specialmente in soggetti con un maggior rischio di complicazioni associate ,ad esempio soggetti affetti da malattie croniche come diabete, disturbi cardiovascolari e respiratori;
   i decessi sospetti sono tre, di cui due in provincia di Siracusa e uno nel Molisano;
   il 12 novembre è morto Ivo Mingozzi di 68 anni un quarto d'ora dopo l'iniezione del vaccino per arresto circolatorio;
   il 16 novembre è morto un uomo di 87, a 48 ore dopo la somministrazione, per un problema dei centri nervosi: encefalite;
    entrambi non avevano patologie gravi, ma solo uno era affetto da patologie comuni quali glicemia e tiroidite;
    il 18 novembre è deceduta Rosa Zara di 79 anni, di San Felice del Molise, che aveva fatto il vaccino il 14 novembre ed è arrivata in ospedale il 17 in stato comatoso per poi decedere il giorno successivo;
    all'Agenzia del farmaco è arrivata la segnalazione di reazione avversa al vaccino anti influenzale Fluad di una 92enne molisana, ricoverata in condizioni gravissime, insufficienza epatica renale e cerebrale-curataper;
   oltre i 3 decessi dichiarati dall'Aifa, dalle agenzie di stampa si apprende che ci sono stati altre due morti sospette, un ottantenne di Prato che aveva fatto il vaccino nelle 48 ore precedenti e una donna di Lecce;
   l'AIFA sottolinea che il provvedimento emanato, che dispone il divieto di utilizzo di due lotti del medicinale FLUAD, è stato assunto a scopo esclusivamente cautelativo, a seguito di segnalazioni pervenute all'Agenzia dalla Rete nazionale di farmacovigilanza;
   l'Agenzia ha ammesso che, nei casi in questione, sono state riportate reazioni avverse, successivamente alla somministrazione del vaccino e in tre casi si sono verificati dei decessi, ma ha anche aggiunto che, al momento, non è certo se si trattasse di una casualità, o se vi sia un nesso con la vaccinazione. Un quadro completo potrà essere fornito solo dopo aver analizzato tutti gli elementi di contesto, tra i quali, ad esempio, lo stato di salute dei pazienti, la loro età ed eventuali patologie da cui erano affetti;
   nonostante ciò, l'AIFA rinnova in ogni caso l'invito, a chi si sia già sottoposto a vaccinazione con uno dei lotti oggetto del divieto di utilizzo, a contattare proprio medico curante e invita chiunque abbia in casa un vaccino Fluad a verificare sulla confezione se il numero del lotto corrisponda a uno dei due posti oggetto di divieto;
   il presidente dall'AIFA, Luca Pani, ha dichiarato agli organi di stampa che «Connessioni tra i decessi e la vaccinazione non se ne possono assolutamente fare»;
   l'ospedale di Campobasso e le aziende sanitarie locali della Liguria hanno sospeso tutti i lotti dei vaccini anti influenzali FLAUD, mentre le altre regioni hanno fermato solo gli stock segnalati dall'Aifa, attualmente sottoposti a controlli i chimici dell'Istituto superiore di sanità e a indagini dei carabinieri dei Nas;
   la Novartis ha ribadito la bontà dei suoi prodotti: «I vaccini antinfluenzali sono sicuri ed efficaci. Abbiamo subito avviato una revisione preliminare dei lotti interessati», confermando la qualità e la conformità del Fluad;
   nell'ottobre 2012, tuttavia, già il Ministro pro-tempore Balduzzi fermò tre milioni di dosi per quattro vaccini Novartis, tra cui lo stesso Fluad –:
   se l'Aifa avesse disposto in precedenza verifiche sui lotti 142701 e 143301 del vaccino antinfluenzale FLUAD e se fossero state riscontrate presenze di sostanze nocive per la salute;
   per quale motivo il divieto «cautelativo» sia stato disposto dall'Aifa solo il 27 novembre 2014 se i casi di decessi sospetti sono avvenuti tra il 12 e il 18 novembre, con un ritardo dunque di dieci giorni.
(5-04178)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Aifa ha recentemente vietato l'utilizzo di due lotti del vaccino antinfluenzale «Fluad» di Novartis, Vaccines and Diagnostics s.r.l, dopo che si sono verificati 4 decessi e un altro paziente versa in gravi condizioni;
   la decisione è stata presa, esclusivamente a titolo cautelativo, a seguito delle segnalazioni degli eventi avversi gravi o fatali che si sono verificati in concomitanza temporale con la somministrazione di dosi di vaccino provenienti dai due lotti 142701 e 143301 del vaccino antinfluenzale;
   l'AIFA è in attesa di disporre degli elementi necessari per valutare un eventuale nesso di causalità e in particolare di disporre degli elementi necessari, tra i quali l'esito degli accertamenti sui campioni già prelevati;
   l'Aifa ha quindi invitato i pazienti che abbiano in casa confezioni del vaccino Fluad a verificare sulla confezione il numero di lotto e, se corrispondente a uno di quelli per i quali è stato disposto il divieto di utilizzo, a contattare il proprio medico per la valutazione di un'alternativa vaccinale;
   l'Ente regolatorio ha specificato che i tre eventi ad esito fatale hanno avuto esordio entro le 48 ore dalla somministrazione delle dosi dei due lotti del vaccino, mentre l'ultimo decesso è avvenuto a distanza di tre giorni dalla somministrazione del vaccino;
   secondo Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale: «Non è giustificabile l'allarmismo generalizzato, si tratta di un evento circoscritto» ed ha aggiunto «Il nostro obiettivo è la salvaguardia dei cittadini, ma non è giustificabile l'allarmismo generalizzato. Invitiamo tutti gli operatori sanitari e i cittadini a controllare l'eventuale presenza nei frigoriferi dei lotti di vaccino anti-influenzale a rischio. I medici di medicina generale di questo Paese sono stati avvertiti, ma non deve diffondersi il panico» –:
   quali informazioni siano state acquisite finora sullo specifico lotto di vaccino incriminato e in che misura si intenda procedere nei confronti delle famiglie degli anziani deceduti;
   in che modo si intenda procedere per evitare tra gli anziani e i soggetti fragili un allarmismo che li distolga dal mettere in atto una pratica positiva, come quella della vaccinazione, sempre e solo dopo che il farmaco sia stato opportunamente testato. (5-04179)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 194 del 1978 consente alle donne di accedere all'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nei primi mesi di gravidanza, abolendo l'illegalità intrinseca dell'atto presente nel codice penale italiano fino al 1978;
   il policlinico Umberto I è il più grande ospedale universitario italiano;
   dal 17 novembre, fuori dal cosiddetto «repartino» del policlinico Umberto I, un cartello attende coloro che vogliono ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza quale recita: «Le prenotazioni sono temporaneamente sospese». La sospensione «temporanea» è dovuta al pensionamento dell'unico medico del nosocomio;
   le donne che si sono rivolte telefonicamente al policlinico Umberto I per prenotare una interruzione volontaria di gravidanza sono state invitate a rivolgersi ad un altro ospedale, perché non si possono programmare interventi senza la sicurezza di avere un medico non obiettore in reparto;
   il 25 novembre 2014 in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, i movimenti di donne uniti nella rete «#Iodecido» hanno sollevato il problema facendo un sit-in davanti al «repartino»;
   il direttore generale, Domenico Alessio, ha garantito di aver avviato una procedura di ricerca per un nuovo medico non obiettore all'interno del «repartino», con lo scopo di strutturarlo, evitando il bando che impiegherebbe più di 20 giorni a dare esito positivo alla ricerca, ma ribadisce la scarsità di risorse economiche per l'assunzione stessa; il nuovo medico potrebbe essere «un giovane ricercatore o associato da destinare all'attività assistenziale»;
   i medici obiettori nel Lazio sono ormai il 91,3 per cento come denunciato dall'Associazione Laiga, e, nonostante il diritto ad abortire sia consentito dalla legge, sta diventando praticamente impossibile alle utenti accedere ad un servizio pubblico, regolare e legale, spingendole ad abortire illegalmente come succedeva prima di varare la legge n. 194 –:
   se il Ministro interrogato fosse al corrente dell'allarme lanciato dalla rete «#Iodecido», se la situazione fosse prevedibile e perché non sia stata prevista un'alternativa immediata che non causasse disservizi, a giudizio degli interroganti violando la legge e un diritto sancito dalla Costituzione, l'articolo 32, che tutela la salute intesa come integrità psicofisica della persona, oltretutto nel più grande ospedale universitario d'Italia;
   come il Ministro interrogato intenda risolvere definitivamente la questione dell'obiezione di coscienza all'interruzione volontaria di gravidanza, quale diritto sancito dalla legge n. 194 del 1978. (4-07084)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a fronte della direttiva 2001/23/CE, in particolare il considerando 3 e gli articoli 1, 3 e 4, nonché della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea cause C-458/12 e C-463/09, del codice civile italiano, articolo 2112, e del decreto legislativo n. 276 del 2003, articolo 29, comma 4, si osserva che la delocalizzazione delle attività produttive nel settore dei call center mediante gare d'appalto aggiudicate secondo il criterio del massimo ribasso, come dimostrato dalle vicende delle società Teleperformance (Taranto), Accenture (Palermo), E-Care (Milano), provoca gravi danni occupazionali nei territori degli Stati membri;
   la trasposizione, a giudizio dell'interrogante, della direttiva europea 2001/23 sulla tutela dei lavoratori, con la mancata estensione delle tutele previste dall'articolo 2112 del codice civile in occasione della successione o cambio di appalti ha creato in Italia un vuoto normativo;
   a ciò si aggiungono gli incentivi per le nuove assunzioni già oggi previsti dalla legislazione, legge n. 407 del 1990, per le regioni del Sud che prevedono il mancato versamento contributivo per i primi tre anni;
   il combinato disposto delle due norme crea crisi occupazionali, che non sono determinate da un calo dell'attività lavorativa, ma unicamente dall'opportunità concessa al committente di poter cambiare liberamente il fornitore del servizio senza essere tenuto a garantire la continuità occupazionale a quei lavoratori che già prestavano la propria attività. In questo modo il committente mantiene basso il costo con gli sgravi contributivi permanenti e le retribuzioni dei lavoratori ai minimi contrattuali e senza anzianità, mentre lo Stato paga due volte, gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e gli incentivi per le nuove assunzioni, senza creare nemmeno un posto di lavoro nuovo;
   in Europa il recepimento della direttiva sopra citata ha portato al varo di leggi che direttamente, come nel caso della TUPE inglese, o con rimandi ai contratti di lavoro, come nel caso spagnolo, impongono di garantire continuità occupazionale in caso di successione di appalti per le stesse attività;
   in questo modo quei mercati hanno deciso di premiare le aziende che investono in tecnologia e che riescono ad essere efficaci sviluppando ed investendo in information technology e ricerca;
   il Governo, in maniera opportuna, ha avviato, nel mese di giugno 2014, un tavolo di crisi per il settore –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere rispetto alla direttiva 2001/23/CE e per la tutela dei diritti dei lavoratori nel settore dei call center. (4-07079)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato ha annullato il decreto n. 239/EL-105/143/2011, emesso dal Ministero dello sviluppo economico in data 7 aprile 2012, con il quale veniva rilasciata l'autorizzazione, unica per la realizzazione del progetto, presentato da Terna spa, per la razionalizzazione della rete elettrica Dolo-Camin;
   nel suddetto progetto erano ricompresi anche ulteriori interventi di interramento e demolizione di linee elettriche previsti nell'ambito dell'Accordo di programma riguardante il "Vallone Moranzani" (siglato in data 31 marzo 2008 dagli enti locali competenti, ivi compreso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) la cui realizzazione, a seguito della suddetta pronuncia, è stata sospesa sine die;
   tali progetti erano, e sono, indispensabili per la successiva realizzazione di una discarica nella quale smaltire i fanghi derivanti dallo scavo dei canali portuali, e dai connessi lavori di bonifica di Porto Marghera;
   ad oggi, tali opere irrealizzate presentano una rilevante valenza strategica per quei territori, soprattutto al fine di risanare, sotto il profilo ambientale, tutta la zona di Malcontenta;
    sotto altro, connesso, aspetto, lo stallo amministrativo appena descritto rischia di determinare ulteriori e più gravi danni all'ambiente, posto che al momento i fanghi derivanti dai lavori di Porto Marghera non sono smaltiti ma solamente stoccati in un sito provvisorio;
   il blocco di queste opere determinerà più in generale una serie di riflessi negativi su tutti gli interventi previsti dall'autorità portuale di Venezia, con pesanti ricadute di ordine economico su tutto il territorio veneto;
   la società Terna, a quanto consta, si sta attivando per ottenere una nuova autorizzazione unica per i due progetti in questione (quello riguardante Dolo-Camin e quello di Moranzani), i quali sotto il profilo tecnico-progettuale non sembrerebbero separabili, senza alcuna previsione, però, dei tempi per l'espletamento dell'intero iter burocratico;
   tutti gli enti locali che hanno siglato il citato accordo di programma hanno ribadito nelle opportune sedi ufficiali l'interesse alla realizzazione di tali opere nel più breve lasso di tempo possibile, e nel rispetto delle normative vigenti;
   a tutt'oggi non si hanno notizie certe sul complesso procedimento volto al rilascio dell'Autorizzazione Unica per tali opere, lasciando i soggetti istituzionali ed economici interessati in un grave stato di incertezza –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati, per quanto di Loro competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come i Ministri intendano intervenire, per quanto di competenza, al fine di accelerare quanto più possibile la conclusione del procedimento di autorizzazione unica in parola, ovvero fornire una previsione dei tempi per la medesima la più accurata possibile;
   se e come, nel caso il procedimento non fosse stato ancora avviato, i Ministri intendano intervenire, per quanto di competenza, al fine di trovare una soluzione progettuale alternativa per la realizzazione delle opere previste nell'accordo di Programma Moranzani. (4-07086)


   DE LORENZIS, PETRAROLI, L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge del 3 dicembre 2012, n. 207 «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale» l'impianto industriale dell'Ilva spa a Taranto è stato sottoposto a commissariamento, in quanto ritenuta azienda d'interesse strategico nazionale ma inadempiente a prescrizioni AIA sulle quali già vige una deroga al decreto legislativo n. 152 del 2006, che impedisce agli enti preposti a far chiudere gli impianti;
   le discariche di rifiuti speciali interne allo stabilimento non sono state abilitate allo smaltimento tramite normale procedimento autorizzativo, ma solo con provvedimento d'urgenza, tramite il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101;
   il 30 marzo 2011 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia per il mancato rilascio delle autorizzazioni relative alle emissioni industriali per diversi impianti industriali, tra i quali l'ILVA (causa C-50/10). Il 4 agosto 2011 le autorità italiane hanno rilasciato all'ILVA l'autorizzazione integrata ambientale, che è stata successivamente aggiornata il 26 ottobre 2012 e il 14 marzo 2014;
   l'Italia non ha provveduto a far sì che l'ILVA funzioni in conformità alla normativa Unione europea in materia di emissioni industriali, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute umana e per l'ambiente e per questo è soggetta a procedura di infrazione europea con parere motivato dell'ottobre 2014 a causa delle vicende legate al mancato rispetto della «direttiva sulle emissioni industriali» 2010/75/UE del 24 novembre 2010;
   secondo le perizie epidemiologiche svolte per conto della procura di Taranto, gli inquinanti emessi dello stabilimento Ilva sono la causa della morte e malattie e si afferma che «nei 13 anni di osservazione sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l'1,4 per cento della mortalità totale, la gran parte per cause cardiache. Sono altresì attribuibili 237 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno), 247 eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno), 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) in gran parte nella popolazione di età pediatrica, 638 casi totali, 49 per anno»;
   secondo l'aggiornamento dello studio SENTIERI reso noto a luglio 2014, risulta che a Taranto la mortalità infantile registrata per tutte le cause è maggiore del 21 per cento rispetto alla media regionale. Confermati anche gli eccessi di mortalità per gli adulti trovati dalle precedenti edizioni della ricerca. Secondo lo studio nell'area sottoposta, a rilevamenti c’è un eccesso di incidenza di tutti i tumori nella fascia 0-14 anni pari al 54 per cento, mentre nel primo anno di vita l'eccesso di mortalità per tutte le cause è del 20 per cento. Per alcune malattie di origine perinatale, iniziate cioè durante la gravidanza, l'aumento della mortalità è invece del 45 per cento. L'ISS afferma che «Lo studio conferma le criticità del profilo sanitario della popolazione di Taranto emerse in precedenti indagini. Le analisi effettuate utilizzando i tre indicatori sanitari sono coerenti nel segnalare eccessi di rischio per le patologie per le quali è verosimile presupporre un contributo eziologico delle contaminazioni ambientali che caratterizzano l'area in esame, come causa o concausa, quali: tumore del polmone, mesotelioma della pleura, malattie dell'apparato respiratorio nel loro complesso, malattie respiratorie acute, malattie respiratorie croniche»;
   secondo fonti stampa il Ministero dello sviluppo economico ha recentemente incontrato i dirigenti delle aziende Arcelor Mittal e Marcegaglia interessati all'acquisto del siderurgico ma a costi inferiori rispetto l'attuale valore economico a causa degli ingenti investimenti previsti dell'AIA, tanto da poter ipotizzare anche un acquisto a costo zero;
   contestualmente la richiesta delle aziende Arcelor Mittal e Marcegaglia, sarebbe quella di avere delle prescrizioni AIA ancora meno vincolanti rispetto quelle già previste dei vigenti decreti che nei fatti allungano i tempi di attuazione dell'AIA, rispetto quanto previsto originariamente;
   sempre da fonti stampa si apprende che Arcelor Mittal e Marcegaglia hanno posto al Governo la necessità di separare nettamente ciò che sarà la gestione industriale dell'Ilva da tutto il pregresso, e quindi danni ambientali e relative richieste di risarcimento, ipotizzando la costituzione di una «new company» dove trasferire personale e impianti e di una «bad company» nella quale caricare contenziosi, personale in esubero e debiti;
   il gruppo Marcegaglia in provincia di Taranto ha diverse attività impattanti sull'ambiente tra cui l'inceneritore Appia Energy di Massafra, e giova ricordare che Emma Marcegaglia è anche presidente dell'ENI, che ha una raffineria sempre a Taranto interessata dal discusso progetto Tempa Rossa, risulta pertanto che con l'acquisizione dell'Ilva si amplierebbero il numero di dipendenti a Taranto soggetti direttamente alla famiglia Marcegaglia, ponendo possibili premesse per una relazione sempre più forte tra ricatto occupazionale, inquinamento ambientale e danni sanitari alla popolazione relativamente ad un ben preciso gruppo industriale –:
   se le notizie riportate in premessa corrispondano al vero e quali azioni intendano adottare i Ministri interrogati in merito ad una possibile cessione di Ilva nei termini espressi in premessa;
   se ci sia la possibilità, anche remota, che l'Ilva spa o parti di essa vengano vendute a privati, come Arcelor Mittal e Marcegaglia o ad altri gruppi industriali;
   se corrisponde al vero l'ipotesi della «good company» e della «bad company» e nel caso a chi verranno scaricati i danni ambientali e le relative richieste di risarcimento, e in tale ipotesi quali tutele siano previste per i lavoratori in caso di futuri esuberi anche nel caso di una nuova acquisizione;
   se, sia intenzione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rimodulare ulteriormente le prescrizioni impartite dall'AIA;
   quali garanzie siano previste per i lavoratori in caso di cessione dell'Ilva o di parti di essa. (4-07091)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Ruocco n. 4-07043, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 339 del 26 novembre 2014.

   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 febbraio 2014, l'ex Presidente del Consiglio Gianni Letta prima di presentarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni, indice l'ultimo Consiglio dei ministri nel quale delibera «in via preliminare» la nomina di Franco Gallo – ex Ministro del Governo Ciampi, ex presidente della Consulta, – alla presidenza dell'istituto Treccani (al posto di Giuliano Amato, nominato giudice costituzionale dal Presidente Napolitano il 12 settembre 2013);
   il 25 marzo 2014 sul quotidiano online Repubblica.it esce un articolo intitolato «Tra Bray e Tatò: la sfida finale per la Treccani» che anticipa il consiglio di amministrazione dell'Istituto Treccani previsto quello stesso giorno. Nell'articolo si parla del bisogno di un rilancio culturale e del bisogno di abolire la figura dell'amministratore delegato, ruolo che dal 2003 è stato sempre ricoperto da Franco Tatò, il manager a cui Silvio Berlusconi affidò il risanamento di Fininvest e Mondadori;
   il 26 marzo, il professor Giovanni Puglisi – facente funzioni del presidente in seno al Consiglio di amministrazione, – rilascia una dichiarazione all'Ansa: «Bisogna restituire alla Treccani il ruolo di motore culturale, che negli ultimi anni è passato in secondo piano rispetto alla necessità di riportare i conti in ordine. Ora si può con serenità riportare la governance al bilanciamento di poteri che era nello spirito originale. Undici anni fa, l'istituto ha passato un momento difficile e si è deciso di creare un soggetto unico (l'amministratore delegato, ndr) che avesse tutti i poteri. È tempo di tornare all'equilibrio tra il cda con il presidente, il consiglio scientifico e il direttore generale»;
   secondo il quotidiano online «la Repubblica.it» del 27 marzo 2014, il futuro ruolo di direttore generale è destinato ad un politico, l'ex Ministro ai beni culturali Massimo Bray, che in Treccani ha fatto tutta la sua carriera;
   ma il comma 4 dell'articolo 2 della legge 20 luglio 2004, n. 215 «Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi» prevede, che nei dodici mesi successivi alla cessazione dell'incarico, sussiste per un Ministro, in quanto titolare di una carica di Governo, l'incompatibilità «nei confronti di enti di diritto pubblico, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta»;
   l'ex Ministro Bray secondo diverse dichiarazioni fornite alla stampa, sostiene che la Treccani, con cui il Ministero non ha rapporti economici, operi in ambito editoriale e non culturale. La Treccani è una casa editrice ma di cui sono soci prevalentemente banche e fondazioni bancarie ed è una società per azioni di diritto privato ma il presidente è di nomina politica;
   secondo un articolo del Fatto quotidiano del 19 aprile 2014 conseguentemente l'ex Ministro Bray non ha ritenuto chiedere un parere preventivo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che comunque – interpretando quell'avverbio, prevalentemente – avrebbe potuto intervenire dopo la nomina;
   dato che c’è stato il precedente del 2006 riguardante la posizione dell'ex ministro Siniscalco in relazione a un incarico alla Morgan Stanley, dove l'Autorità garante della concorrenza e del mercato rilevava «come l'incompatibilità possa sussistere anche in assenza di concreti rapporti giuridici ed economici direttamente intercorsi tra la società e il dicastero presso cui il titolare di carica abbia svolto la propria attività. E, soprattutto, indipendentemente dall'esistenza di effettivi vantaggi acquisiti dall'impresa presso cui l'incarico viene assunto per effetto di comportamenti o decisioni adottati dal titolare di carica nel corso del mandato governativo. Il divieto è volto a escludere in radice anche la mera eventualità che l'esercizio delle attribuzioni inerenti la carica di Governo possa essere influenzato dall'interesse a precostituirsi benefici futuri, ad esempio, in termini di incarichi successivi alla cessazione della carica governativa»;
   per quattro anni (due rinnovati per altri due) la Treccani ha beneficiato degli ammortizzatori sociali di solidarietà, durante la presidenza Amato. Nello specifico il «giornaled'italia.org», con un articolo datato ottobre 2013 riporta che «il giorno 8 ottobre presso l'Unione industriali di Roma è stato siglato un accordo sotto il titolo di «verbale di intenti» che preconizzava il licenziamento «consensuale» di circa 60 dipendenti ai quali è stato proposto di non opporsi al licenziamento in cambio di una buona uscita che vedrebbe costretti alcuni dei 60 licenziati a vivere con 1.000/1.200 euro al mese fino al 2024. C’è da considerare inoltre che dal gennaio 2017 ci sarà solo l'aspi e non la mobilità e che questo assegno sarà erogato al massimo per 18 mesi ovvero fino al giugno 2018;
   l'intesa prevede anche il congelamento di tutti gli aumenti contrattuali per i dipendenti che rimarranno in servizio e «un importo pari al valore dei contributi volontari utili al raggiungimento del requisito pensionistico in base alla legge oggi vigente» che in sostanza significa che, se interverrà una legge che sposta l'età pensionabile di qualche anno, saranno problemi del lavoratore e non della Treccani;
   inoltre la Treccani parla di utilizzo, per 40 unità, della legge 62 del 2001, che modifica sostanzialmente alcune norme della vecchia legge n. 416 del 1981 sull'editoria, non avendo la certezza di rientrare nell'ambito applicativo della legge stessa;
   in pratica si dice ai dipendenti che non si sa se potranno beneficiare del prepensionamento in quanto l'Istituto italiano dell'enciclopedia potrebbe non rientrare nella tipologia delle aziende editrici che possono accedere ai benefici della legge ma, di certo, c’è il licenziamento;
   se inoltre il lavoratore, continua il giornale, non avesse accettato tale «modalità conclusiva del contratto di lavoro», il rischio in cui sarebbe incorso è la perdita di incentivi;
   questo lo scenario che ha accompagnato la Treccani;
   in realtà, nel contempo e con grave aggravio e pregiudizio della qualità delle «offerte culturali», molti servizi sono stati esternalizzati. Tale situazione ha generato angoscia nei dipendenti che, sulla scorta del trattamento lavorativo riservato agli ormai ex colleghi si vedono minacciati, sia sotto l'aspetto economico, sia sotto il rispetto della loro dignità a nulla evidentemente valendo le pregresse esperienze patite –:
   quali iniziative normative il Governo intenda adottare per chiarire al meglio i casi di applicazione dell'incompatibilità dei titolari di cariche di Governo nei rapporti con società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi alla carica ricoperta come nel caso, qui indicato, della società Treccani;
   quali iniziative il Governo, nella persona del Ministro interrogato, intenda adottare, attesa anche la politica di esternalizzazione della Treccani, al fine di tutelare il personale dipendente della medesima società o se non ritenga più utile assumere un'opportuna iniziativa normativa al fine di evitare il ripetersi dell'adozione di accordi totalmente svantaggiosi.
(4-07043)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Pesco n. 4-07057 del 28 novembre 2014.