BOZZE NON CORRETTE

Stenografico Aula in corso di seduta

Seduta n. 710 del 23/11/2005

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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3617 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (Approvato dal Senato) (A.C. 6176 ).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 6176 )

PRESIDENTE. Riprendiamo dunque la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, stiamo affrontando la discussione di due provvedimenti quali il collegato (indicato dal pomposo nome di decreto fiscale recante nuove entrate) e la manovra finanziaria per il prossimo anno e per il triennio 2006-2008.
Nella giornata di ieri, mentre ero in aula, sono stato interpellato da una signora che, dovendo realizzare un sondaggio su cosa pensassimo noi parlamentari della situazione internazionale, mi ha rivolto una domanda che mi ha incuriosito. Ella ha fatto riferimento al momento di recessione mondiale. Stiamo considerando le cose da italiani!
Il mondo non è recessione. Nel 2005, a livello mondiale, il prodotto interno lordo è aumentato di circa 4,5-5 punti percentuali. Alcuni paesi dell'Estremo oriente (da noi ritenuti come «terzo mondo» e in condizioni di sottosviluppo), registrano aumenti molto più consistenti. Vi è un dinamismo del settore produttivo, del commercio mondiale, del quale il nostro paese non riesce a far parte. Non riusciamo a salire su questo treno. E questo vale per il nostro paese, ma anche per l'Europa, dove però noi siamo il fanalino di coda.
Discutere di provvedimenti che dovrebbero fornire soluzioni a tali problemi, così come affrontare la discussione del bilancio dello Stato (in termini annuale e triennale), con questa povertà di idee e di iniziative è veramente deludente in rapporto alle condizioni reali del paese. Lo dico con molta


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franchezza, colleghi del centrodestra: non ci fidiamo di questo dibattito, che ogni tanto cambia. Penso a dichiarazioni come quella della casa gratis per tutti; al ritiro del nostro contingente dall'Iraq entro dicembre 2006; ad affermazioni come «via gli americani dalla Maddalena»; al tema della pillola abortiva.
Tutte le altre discussioni che ascoltiamo sono solo dei diversivi per non accentrare l'attenzione sul tema reale: cosa devono fare un Parlamento ed un Governo nazionale di fronte ai gravi problemi che incontriamo tutti giorni nella situazione economica. È chiaro che i cittadini italiani discuteranno, si appassioneranno con le loro idee sui temi che ricordavo prima, con un grande contributo democratico. Certamente, noi del centrosinistra ci sentiamo forti su questi temi, anche per le nostre idee, per le nostre iniziative assunte nel paese.
Ma i cittadini italiani poi verificheranno le reali condizioni di vita. I giovani, i tre milioni e mezzo di cittadini che lavorano con contratti precari, si troveranno in condizioni difficili, perché in quei contratti non è previsto il trattamento di fine rapporto. Non si può allora discutere del TFR, (anche se è saltato) e che ci sarà una nuova «gamba» del sistema previdenziale. Avremo una generazione che riceverà una pensione (quando la riceverà) che ammonta al 30-35 per cento dell'ultima retribuzione. Non vi sono segnali su questo tema; non vi è una discussione al riguardo, sulla situazione reale. Le imprese, che sul piano di una loro internazionalizzazione sono impegnate da tanti elementi di discussione sui costi, si troveranno di fronte ad un aumento di tassazione. Al riguardo, vorrei citare la norma contenuta nell'articolo 5-bis del testo in esame, dove si dispone che il periodo di ammortamento delle spese di avviamento sostenute dall'impresa passa da 10 a 20 anni. Da una prima lettura, ciò potrebbe sembrare irrilevante, ma non è così, perché tale misura rappresenta una delle maggiori entrate previste da questo decreto. Infatti, dal 2005 vi saranno 814 milioni di euro annui in più a titolo IRES e IRPEF e 138 milioni di euro annui in più a titolo IRAP (anche se per il 2007 e 2008 ci sono errori contabili nella scheda, perché viene trattato tutto come se il periodo di ammortamento fosse di dieci anni, mentre le imprese adesso dovranno


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ammortizzare tali spese in 20 anni). Tra l'altro, si raschia anche il barile, perché si discute anche della durata dei leasing sempre con lo stesso metodo.
Insomma, l'esempio classico è che se un'impresa deve ammortizzare le spese di avviamento, pari a 1 miliardo, in dieci anni, detrae 100 milioni per ciascuna annualità, mentre in 20 anni detrae per ciascuna annualità 50 milioni. Quindi di fatto le imprese pagheranno più tasse, nella quota, come dicevo prima, di 814 milioni di euro in più per IRES e IRPEF, e di 138 miliardi di euro per IRAP.
Dicevo, però, che viene toccata anche la durata dei leasing. Quindi anche con la modifica del leasing immobiliare vi saranno maggiori entrate per il bilancio dello Stato. Si sta dunque raschiando il barile, senza però promuovere una politica di sviluppo. Questo, quando invece nella finanziaria vi sono anche elementi positivi in partenza, specialmente nel vecchio articolo 53, dove si discute della struttura più forte della piccola e media impresa, che è quella che garantisce occupazione, e dove si affronta il tema del distretto, che dà anche il senso di essere presente sul piano dell'internazionalizzazione. Si tratta quindi di articoli innovativi abbastanza importanti, ma se ci si chiede quali sono le risorse stanziate al riguardo si trovano 50 milioni di euro per il 2006 e si parla di sperimentare in tre distretti nazionali il nuovo metodo della finanza e il nuovo metodo del finanziamento della piccola e media impresa.
Il dubbio però è che non siano veramente nuovi articoli, perché ci troviamo sempre la regione Sicilia e il comune di Milano - che saranno impegnati in campagne elettorali abbastanza importanti -, senza vedere il resto del paese. Infatti, se andiamo a vedere nella finanziaria quante volte si cerca di accomodare i conti, attraverso interventi anche di carattere molto dubbio, nei confronti della Fiera di Milano e nei confronti della stessa regione Sicilia, potremmo fare una collezione di tali misure.
Quindi, il problema è che si tratta di una finanziaria - anche dalla vostra relazione e dai vostri interventi - povera, misera. Il paese avrebbe bisogno di altro, per aiutare la ripresa del prodotto interno lordo sul piano mondiale. Siamo quindi nuovamente di fronte alla solita scena, che si ripete tutti gli


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anni, degli elementi di propaganda, che però non sono risolutivi dei problemi legati alla situazione economica in cui versa il paese.
Vi è poi un altro elemento da mettere in risalto. Qualche collega del centrodestra ci dice che noi scopriamo il rigore, che noi siamo rigorosi e che vogliamo fare le cose «lacrime e sangue». Credo che quando si hanno degli impegni, specialmente sul mercato nazionale ed internazionale, nonché in tema di rapporto debito/PIL, occorra essere molto corretti e seri.


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Ci venne detto che il tendenziale del 2005 si attesta a 4,5 punti del prodotto interno lordo, ma ci dimentichiamo le risorse che sono connesse a tali cifra. Se 14 miliardi di euro corrispondono ad un punto di PIL, stiamo parlando di oltre 57 miliari di euro (per un totale circa di 116 mila miliardi delle vecchie lire)! Questo è il tendenziale per il 2005, ma non siamo certi della cifra che è stata prevista. Infatti, se disaggreghiamo i vari elementi, analizzando attentamente come procedono le dismissioni, anche con riferimento ai tre miliardi dell'ANAS che doveva cedere le strade (anche il raccordo anulare della città doveva diventare a tariffa; in merito a tale questione, vi è una disposizione che incentiva questa operazione, ma siamo a novembre e, quindi, ciò non si realizzerà), al miliardo relativo alla dismissione degli immobili della difesa, risulta chiaro che il tendenziale del 2005 non si attesterà a 4,5 punti del prodotto interno lordo! Non voglio essere Cassandra che porta male, ma sto analizzando la situazione.
Si propone di diminuire tale percentuale, come previsto dall'accordo Ecofin europeo, al 4,3, attraverso la misura dello 0,2 del prodotto interno lordo, quindi, con una manovra di 2,685 miliardi di euro.
Tale manovra si appoggia su determinate misure, come affermato precedentemente, come quelle relative agli ammortamenti, al leasing immobilare, ma si parla di evasione fiscale. Alcune misure - ve lo dico con correttezza - sono condivisibili, ma è anche presente un aspetto propagandistico, come quello relativo all'articolo 1, nel quale si prevede che i comuni italiani possano partecipare all'accertamento fiscale e ciò si incentiva mediante il riconoscimento di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento del comune che abbia contribuito all'accertamento stesso.
Se qualcuno non ha mai amministrato un comune, può anche dire che si tratta di una grande cifra. Tuttavia, quando la maggioranza dei comuni italiani è andata a verificare le loro imposte (sia la Tarsu sia l'ICI), attraverso società specializzate nel campo degli accertamenti, sono stati riscontrate variazioni, nel momento in cui sono stati fatti gli appalti, dal 35 al 38 per cento rispetto alla cifra accertata.


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I comuni hanno certamente ricevuto il vantaggio dell'inscrizione a bilancio per diversi anni, ma credo che il 30 per cento i comuni non sia sufficiente. Costa molto di più incrociare i dati, disporre le ricerche opportune ed ottenere dei risultati.
Credo che lo si faccia per dire che, se non si riesce a risolvere il fenomeno dell'evasione fiscale, anche i comuni sono coinvolti. Si prevede la quantificazione di una cifra, tre miliardi di euro, ma si disporrà veramente di questa cifra per la lotta all'evasione fiscale? Si tratta di nuovo di conti che non comporteranno il rispetto delle previsioni iniziali, perché, come emerge dalle tabelle allegate, negli anni passati non abbiamo centrato alcun proposito per quanto riguarda il rapporto debito - prodotto interno lordo.
Si dirà che, in tale contesto, non siamo soli, perché anche la Francia e la Germania hanno avvertito gli stessi problemi, come altri paesi europei. Tuttavia, non dobbiamo volgere lo sguardo ad altri paesi né verificare come hanno affrontato tale fenomeno, perché alcuni paesi lo hanno fatto, incentivando nuove tecnologie per la ricerca e l'industria (attraverso la previsione di piani industriali) e non finanziando la Fiera di Milano o i vecchi debiti nei confronti della regione Sicilia (tutto da accertare) oppure disperdendo in mille rivoli il bilancio dello Stato!
Si tratta, quindi, di un collegato non obiettivo e pericoloso, perché può sembrare propagandistico. A tale riguardo, sono state avanzate delle proposte in ordine ai distretti; è stata prevista una norma in tal senso, anche se non si risolverà il problema. È stato inserita la questione degli accertamenti fiscali cui partecipano anche i comuni, ma non si risolverà il problema.
La cosa più grave della manovra collegata è che, nei confronti degli enti locali vi è una certa mentalità, come se solo negli enti locali vi fossero sprechi di denaro pubblico. Tuttavia, potremmo citare molti esempi in ordine agli sprechi che si perpetuano ogni giorno (dirigenti di qua e di là, promozioni e via seguitando).
Possiamo descrivere questi fatti anche con precisione e non affermare soltanto che sugli enti locali vi siano questi elementi. Ad esempio, nella regione Puglia, a fronte ad una determinata capacità di spesa prevista in una delibera, la spesa effettiva è


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poi risultata pari ad un quinto di quella che abbiamo letto sui giornali. Quindi, forse farete propaganda, ma non risolverete i problemi del paese!
Per quanto riguarda gli enti locali, non è possibile prevedere tagli in nome del patto di stabilità, in quanto quest'ultimo parla degli investimenti, dei mutui e dei debiti allargati dello Stato e non discute del 6,7 della spesa corrente e del titolo 1 della spesa degli enti locali. In esso non si prevede di salvare solo la funzione sociale di cui al decreto del 1996. Questo dettaglio, questa particolarità, questa attenzione, dimostra anche una visione punitiva rispetto al problema dell'intervento degli enti locali.
Sia chiaro, voi chiederete tante fiducie, noi, insieme agli enti locali e ai cittadini italiani, chiederemo fiducia agli elettori per invertire questa tendenza. Infatti, in una situazione di ripresa a livello mondiale, il nostro paese ce la può fare, contrapponendosi all'impostazione del centrodestra che è negativa rispetto ai problemi reali dei cittadini, delle imprese e del mondo del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, intervengo anch'io in occasione della conversione di questo decreto-legge recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, consapevole tuttavia di partecipare ad un dibattito assolutamente privo di un confronto serio, approfondito e soprattutto efficace.
In questo caso, sappiamo di recitare una parte all'interno di una scena prevista, il cui finale è altrettanto previsto, in quanto ci sarà il voto di fiducia, dunque svolgeremo osservazioni su un testo che è destinato ad essere modificato.
Ieri siamo intervenuti in occasione dell'esame della pregiudiziale di costituzionalità, analizzando in maniera chiara e dettagliata i profili di incostituzionalità che, a nostro giudizio, tale decreto contiene e successivamente siamo intervenuti in sede di discussione sulle linee generali, osservando che il presente testo è una sorta di collegato alla quinta manovra finanziaria presentata da questo Governo, che appare la peggiore di tutte, in considerazione del fatto che, essendo


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l'ultima, avrebbe dovuto essere in grado di dare una svolta, assicurando un preciso confronto con le parti sociali. Invece, ancora una volta, il Governo procede contrattando al proprio interno, coprendo le contraddizioni della sua maggioranza e provocando un sciopero generale, che si svolgerà il prossimo venerdì. Ciò a dimostrazione della incapacità di dialogare con il paese e, in particolare, con la sua parte più importante, costituita da chi lavora, da chi produce e da chi procura in larga parte le entrate pubbliche.


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La manovra economica delineata nel provvedimento in esame, come abbiamo già osservato, ha poco a che fare con lo strumento del decreto-legge, in quanto non si tratta di una materia omogenea. Ci si occupa, infatti, dei temi più variegati, e non sussistono i requisiti di urgenza. Abbiamo già sottolineato le materie che non dovrebbero essere contenute nella manovra. Cito, ad esempio, l'articolo 11-quaterdecies, che in modo veramente scandaloso si riferisce all'abbattimento degli ungulati.
Vi sono altri articoli ai quali, pur non potendo discutere in modo dettagliato, abbiamo presentato numerose proposte emendative. Si pensi alle previsioni che consentiranno di fatto la proroga dell'attività di discariche che sono al centro di numerosi conflitti. Mi riferisco, in particolare, alla discarica di rifiuti di amianto «La Terra» di Paese, che vede la popolazione battersi da anni e che è al centro di un contenzioso amministrativo. Un procedimento vede quale ricorrente il comune di Paese contro la provincia di Treviso per l'annullamento dell'autorizzazione ad una discarica rilasciata dalla provincia stessa nell'ottobre 2004; un altro vede quali ricorrenti la provincia di Treviso e il comune di Paese contro la ditta «La Terra», la quale nell'ottobre scorso ha ottenuto dal TAR la sospensiva del provvedimento di chiusura della discarica e la riapertura della medesima. Se il decreto-legge in esame sarà convertito nel testo licenziato dal Senato il 9 novembre, che prevede la proroga di un anno di tutte le autorizzazioni per le discariche in scadenza il 31 dicembre 2005, si consentirà alle discariche di amianto, che seguono i parametri di una vecchia normativa e che avrebbero dovuto essere chiuse, di proseguire l'attività.
Mi sono soffermata su tale questione in quanto ritengo doveroso entrare nel dettaglio di previsioni così scandalose, dal momento che il Governo ha ritenuto di inserire nel testo le norme più svariate, con la speranza che i colleghi della maggioranza, che conoscono bene questo come altri problemi, abbiano la generosità di rappresentare al meglio, così come fanno attraverso gli organi di stampa locali, la popolazione.
Come è stato già ripetutamente osservato, nel testo originario del decreto, con il maxiemendamento approvato con il


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voto di fiducia dal Senato, sono state inserite norme provenienti da altri tre decreti-legge: uno di essi, quello relativo alle infrastrutture, è decaduto; un altro rappresentava la prima «manovrina» correttiva ed era stato presentato anch'esso alla Camera (tanto per capire come si legifera in questo frangente); un altro ancora, all'esame della Commissione agricoltura del Senato, relativo all'agroindustria. È chiaro che con questa confusione, con questa fretta e con questa mancanza di trasparenza è davvero difficile parlare di un confronto e di un dibattito su una materia che dovrebbe essere al centro della vita parlamentare.
Il provvedimento si compone di una miriade di incredibili interventi, che hanno un'impronta e un marchio preelettorale e che non vanno certo nella direzione dell'uso razionale e rigoroso delle risorse.
Si va dall'oftalmologia alla caccia, agli ungulati, distinti per sesso e classi di età, ad una ulteriore crescita di lotto, superenalotto e altre cose del genere, allo stanziamento di ben 5 milioni di euro per la realizzazione del convegno internazionale interconfessionale, fino ad arrivare alla ciliegina vera e propria, rappresentata dal rifinanziamento di ben 222 milioni di euro in aggiunta a quelli stanziati dalla precedente finanziaria, o alla ormai famosa «legge mancia», una norma che, al di fuori di ogni programmazione, dispone il finanziamento di una serie di interventi chiaramente legati ai territori dei tanti deputati della maggioranza e, ahimè, forse non solo.
Si tratta di una distribuzione a pioggia dal sapore squisitamente elettoralistico, da destinare in opere, per carità, necessarie, forse indispensabili, per comuni o enti che ne abbiano fatto richiesta, ma assegnati senza criteri di trasparenza e senza la possibilità di un controllo finale, veramente al di fuori, quindi, di una politica seria di destinazione delle risorse, frutto, appunto, delle entrate pubbliche e, quindi, frutto del lavoro e del sacrificio di tutta la popolazione. Parliamo di ben 600 interventi di finanziamento per altrettanti comuni sparsi per tutta l'Italia. Si va dall'illuminazione del campo sportivo alla ristrutturazione di cimiteri o all'acquisto di una tenda struttura. Insomma, centinaia di amenità di questo genere, distribuite tra i collegi della maggioranza con la legge finanziaria dello scorso anno e rifinanziate abbondantemente con questo decreto.


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Un vero e proprio spreco inaccettabile, uno sperpero di denaro pubblico, proprio mentre la legge finanziaria per il 2006 taglia pesantemente i trasferimenti agli enti locali e si consuma l'ennesima sforbiciata alle risorse assegnate alla cooperazione allo sviluppo. Infatti, non solo con la legge finanziaria anche quest'anno si riducono gli stanziamenti previsti, ma con questo decreto tagliate ulteriormente e vergognosamente per 100 milioni di euro i fondi residui del 2005 per l'aiuto ai paesi in via di sviluppo, il che significa il completo azzeramento di ogni pagamento fino al prossimo anno. Tagli inaccettabili ed in grave contraddizione con gli impegni assunti da questo Governo con la comunità internazionale.
D'altronde, fin dal titolo stesso questo decreto-legge si pone, tra gli obiettivi, quello ambizioso di contrasto all'evasione fiscale proprio per recuperare più risorse. Sappiamo, però, che nel nostro paese vi è una vera e propria voragine nelle entrate, in dipendenza del fatto che una vasta categoria di contribuenti si sottrae al proprio dovere tributario. In Italia, una fetta rilevante dei redditi non è sottoposta a tassazione, anche a seguito di comportamenti fraudolenti, derivanti dall'elusione e dall'evasione fiscale. Parliamo di circa 750 mila miliardi di vecchie lire all'anno di evasione fiscale, a cui sommare almeno 80 mila miliardi, sempre di vecchie lire, di evasione contributiva. Questo, però, è il Governo che per cinque anni ha costellato l'intera legislatura di immorali e ripetuti condoni, compresi quelli edilizi, di sanatorie, di scudi fiscali, che hanno prodotto l'azzeramento di fatto della progressività del nostro sistema fiscale.


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Una progressività che ricordo è sancita dalla nostra Costituzione, che si vorrebbe stravolgere. Questo Governo ha sempre dimostrato nei fatti di non voler intraprendere alcuna seria e credibile lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Ebbene, questo Governo non ha alcuno straccio di credibilità a proporre, a pochi mesi dal voto, misure serie ed efficaci di contrasto all'evasione fiscale. In questo senso, le stesse norme, finalizzate a coinvolgere i comuni nell'accertamento delle imposte sui redditi, sono nient'altro che armi spuntate nel momento in cui gli uffici tributi dei nostri comuni non sono ovunque adeguati a svolgere compiti di questo genere. E il blocco imposto dalla spesa ne impedisce l'indispensabile potenziamento: pensate che fantasiosa proposta è questa!
Desidero, infine, soffermarmi sulle norme che privatizzano l'ANAS Spa. Si stabilisce che l'ANAS Spa può subconcedere ad una o più società, da essa costituite, i compiti ad essa affidati dalla legge relativamente a talune tratte stradali e autostradali assoggettate o assoggettabili a pedaggio reale o figurativo. Queste società subconcessionarie non avranno alcun vincolo di partecipazione azionaria da parte dell'ANAS Spa, che potrà cedere interamente o parzialmente o gestire direttamente la rete. Assistiamo ad una vera e propria privatizzazione selvaggia invocata allo scopo - come voi avete sempre sostenuto - di escludere dal perimetro della pubblica amministrazione la spesa per l'ANAS Spa. E ciò lo si vuole fare mentre la legge finanziaria taglia sensibilmente le risorse destinate all'azienda, incidendo negativamente sulla rete ordinaria e sulla manutenzione sulla sicurezza, in nome sempre dell'avvio di grandi opere. E, come se non bastasse, non si prevede alcun meccanismo di gara, cioè non viene detto in modo esplicito che il processo di cessione dell'ANAS Spa ai privati debba avvenire obbligatoriamente con gare ad evidenza pubblica, si parla soltanto di cessione ai privati con il solito meccanismo dell'affidamento senza gara, cioè con la trattativa privata che è proprio quella che spesso ha aumentato i costi e prodotto inefficienza dei processi che si volevano privatizzare. Si va, quindi, verso una privatizzazione senza regole, con tagli alla sicurezza e verso un futuro molto incerto per la rete fondamentale del nostro paese che, invece, ha bisogno di essere


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mantenuta e di essere curata, almeno nella sua proprietà, come un elemento assolutamente unitario e non cedibile.
Insomma, tranne poche eccezioni, ci troviamo di fronte ad un'inaccettabile accozzaglia di norme, di disposizioni che nulla hanno di rigoroso, che non contribuiscono a risanare alcunché ma che, al contrario, vanno in una direzione diametralmente opposta e la cui unica giustificazione è soltanto l'urgenza elettorale.

PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori e per un richiamo al regolamento. L'articolo 30 del regolamento della Camera dei deputati, al quinto comma, recita che le Commissioni non possono riunirsi nelle stesse ore nelle quali vi è seduta dell'Assemblea, salvo autorizzazione espressa del Presidente della Camera.
Presidente, conosco perfettamente la prassi che vuole che durante le discussioni sulle linee generali dei provvedimenti le Commissioni possono riunirsi; una prassi questa che condivido anche perché in quella fase - la discussione sulle linee generali - non si procede a votazioni.
Qui, però, c'è un problema in più, nel senso che, vertendo in materia finanziaria e tributaria, il decreto-legge in esame coinvolge un numero di Commissioni che va al di là di quella competente nel merito.
Ad esempio, tra poco interverranno, per il nostro gruppo, la collega Labate, la quale fa parte della Commissione affari sociali, e il collega Guerzoni, che fa parte della Commissione lavoro. Allora, io credo che la predetta prassi non riguardi la fase di votazione degli emendamenti presentati al disegno di legge finanziaria. In questo momento, a partire dal sottoscritto, e proseguendo con i colleghi che dovranno intervenire dopo di me, non potremo partecipare ai lavori delle Commissioni di appartenenza, presso le quali si sta procedendo alla votazione degli emendamenti presentati al disegno di legge finanziaria.
Quindi, non si tratta di applicare la prassi se all'ordine del giorno delle Commissioni figura la votazione del disegno di legge finanziaria: così facendo, in qualche modo si impedisce


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di partecipare ai lavori delle Commissioni di appartenenza a quei colleghi che desiderano intervenire nella discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione in esame.
Una soluzione di buon senso c'era: convocare l'Assemblea alle 10, alle 10 e mezzo o alle 11, lasciando, in tal modo, un margine di tempo, tra le 9 e le 11, per il lavoro delle Commissioni. Tuttavia, questa strada non è stata seguita.
Aggiungo che è nostra intenzione discutere e votare gli emendamenti nelle Commissioni di merito, perché, oltre ai lavori che si svolgeranno in Commissione bilancio, quella sarà l'unica occasione in cui potremo discutere e votare gli emendamenti in parola. Infatti, sappiamo tutti perfettamente che, nel prosieguo dei lavori sul disegno di legge finanziaria, sarà posta anche stavolta la questione di fiducia, con la conseguente impossibilità di discutere in Assemblea il merito delle proposte emendative presentate. Noi riteniamo importante votare gli emendamenti nelle Commissioni di merito perché consideriamo ciò parte integrante della nostra azione politica di informazione e di dialogo con le forze sociali ed economiche e con le categorie del nostro paese.
Quindi, la mia richiesta è molto semplice: poiché sono già abbastanza sviliti il ruolo del Parlamento e quello delle Commissioni, inviterei a sospendere i lavori delle Commissioni per dare la possibilità a tutti colleghi che lo vogliano di partecipare ai lavori dell'Assemblea. Il tempo per il lavoro delle Commissioni c'è: nelle prossime ore e nelle prossime giornate si potrà procedere alla votazione degli emendamenti presentati al disegno di legge finanziaria. Ribadisco che è nostro interesse discutere e votare quegli emendamenti nelle Commissioni; però, dobbiamo dare a tutti i colleghi la possibilità di partecipare ai lavori delle Commissioni medesime.

PRESIDENTE. Onorevole Ruzzante, il rapporto tra regolamento e prassi è esattamente quello da lei ricordato: il regolamento prevede che, quando è convocata l'Assemblea, non si possono tenere riunioni delle Commissioni, salvo autorizzazione del Presidente. La prassi vuole che, durante la fase di discussione sulle linee generali, tale autorizzazione debba ritenersi concessa.
Stamani mi pare che siano convocate tre Commissioni - IV, XII e XIII - per l'esame del disegno di legge recante il bilancio


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dello Stato (se le mie informazioni non sono sbagliate), il cui termine scade domani. Tuttavia, mi rendo conto che, in questo frangente ...

GRAZIA LABATE. Si tratta della votazione degli emendamenti, signor Presidente, non soltanto della discussione.

PRESIDENTE. ... esiste una particolare delicatezza nell'incrocio politico tra gli argomenti in discussione in Assemblea ed in Commissione.
Pertanto, onorevole Ruzzante, mi metterò subito in contatto con il Presidente della Camera, per sottoporgli le sue osservazioni e richieste: le saprò dire in seguito.
È iscritta a parlare l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.

GRAZIA LABATE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Armosino, il provvedimento in esame - non sfugge a nessuno - fa parte integrante della manovra finanziaria del Governo per il 2006.
Tuttavia, ad una lettura attenta del decreto-legge recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, non è possibile non rilevare, guardando alla sua impostazione di fondo, sia dal punto di vista dell'urgenza delle disposizioni sia sotto il profilo delle motivazioni e degli obiettivi, che esso non solo non presenta un'intima coerenza rispetto al tema che ne costituisce l'oggetto, ma addirittura percorre strade che, a nostro modo di vedere, non sono del tutto efficaci per conseguire gli obiettivi perseguiti.


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Altri colleghi, intervenuti prima di me sulle parti generali di questo provvedimento (articoli 1 e 2) hanno rilevato l'intima connessione con il disegno di legge finanziaria per il 2006, che ci apprestiamo a discutere e, mi auguro, votare nel merito, interrompendo questa corsa di voti di fiducia che depauperano ed avviliscono l'istituzione parlamentare, privandola di un confronto tra maggioranza ed opposizione nel merito dei provvedimenti.
Gli articoli recanti norme generali per il contrasto all'evasione fiscale, tutte le disposizioni urgenti in materia di tributaria parlano del fallimento della politica di questo Governo che, prima della chiusura dell'anno, pare essersi accorto della necessità di recuperare una politica delle entrate. Ma il Governo, in questi cinque anni, ha attuato una politica di lotta all'evasione fiscale basata molto sul concetto del condono, su provvedimenti una tantum. Adesso che i buoi sono scappati dalla stalla, si corre ai ripari, con la conversione in legge di questo decreto-legge del quale, lo ripeto, colleghi più competenti di me in questa materia hanno ravvisato le intime contraddizioni.
La norma che, in qualche modo, tentava di recuperare il ruolo degli enti locali sul terreno della lotta all'evasione fiscale e del recupero anche rispetto all'elusione, diventa una norma povera, perché carente di strumenti e, quindi, inefficace rispetto all'obiettivo generale che il Governo vuole perseguire con queste disposizioni.
Inoltre, l'organicità del provvedimento fa a pugni nelle parti recanti norme sul settore sanitario o disposizioni di razionalizzazione del sistema della invalidità civile. Vorrei dare rilievo anche al paradosso contenuto nell'articolo 11-quaterdecies, che si configura come una vera e propria manovra clientelare di provvedimenti e risorse economiche a pioggia verso i più disparati istituti italiani, senza criteri su cui basare un intervento di sostegno economico-finanziario da parte dello Stato a istituti o enti che abbiano particolari finalità.
Perché, sottosegretario Armosino, si è voluto inserire in questo provvedimento l'articolo 8 riguardante la tessera sanitaria, chiedendone, al tempo stesso, una proroga temporale? L'anno scorso, nella legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge


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finanziaria per il 2005), il ministro Tremonti aveva enfatizzato enormemente questo strumento. Concordo sul fatto che possa essere un agevole strumento di monitoraggio e controllo del costo per servizi e prestazioni che i cittadini sopportano e che, quindi, credo sia giusto che lo Stato voglia, con questo strumento, monitorare e controllare l'andamento di questa spesa.
Tuttavia, ritrovo tale norma in un decreto-legge recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria, unicamente come concessione di una dilazione temporanea, senza fare ciò che, pur con un ordine del giorno, in sede di esame del disegno di legge finanziaria dell'anno scorso, avevamo chiesto al Governo (altrimenti, il sistema di monitoraggio sarà di per sé inefficace), ossia che, con riferimento al sistema di accesso, alla tessera, che riporta il codice fiscale dell'utente, il codice a barre, il codice per i costi sostenuti nelle prestazioni di spesa farmaceutica o di diagnostica e di laboratorio o si tira dentro nel «sistema rete» anche il sistema regionale, oppure non sarete in grado di monitorare e controllare.
Infatti, vi sarà un sistema centralizzato di monitoraggio e controllo a cui le regioni non parteciperanno e sarete costretti, in questa defatigante opera, a chiamare ogni sei mesi al tavolo della Conferenza Stato-regioni le regioni italiane, trattandole davvero come bambine da richiamare all'ordine quando invece il nostro sistema, improntato su un federalismo serio, dovrebbe vedere Governo e regioni effettuare insieme le azioni di monitoraggio e di controllo.
È proprio per la mancanza di questa logica che tutti gli impegni che sottoscrivete a quel «benedetto» tavolo della Conferenza Stato-regioni non vanno mai a buon fine: da un lato vi è la volontà di responsabilizzazione delle regioni, dall'altro una fortissima vocazione di tipo centralistico da parte del Governo, il quale adopera gli strumenti, pur giusti, che mette in campo unilateralmente, non essendo poi in grado di richiamare all'azione (certo di autonomia regionale ma anche di responsabilità) un sistema serio ed efficace di controllo-monitoraggio dell'andamento dei conti pubblici.
Non si spiegherebbe altrimenti se ciò non fosse vero, come di anno in anno siete costretti a fare, non solo per controllare il monte delle risorse economiche stabilito in sede previsionale, ma per rivedere in sede consultiva (non funzionando il


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monitoraggio e il controllo) ogni cifra da voi scritta in documenti ufficiali, siano essi decreti o disegni di legge.
Tale modo di discutere su testi così importanti ci porta oggi di nuovo alla posizione della questione di fiducia su questo testo, laddove invece un'efficace confronto parlamentare avrebbe potuto migliorare quelle parti «spurie», che non stanno insieme perché mal predisposte e mal finalizzate agli obiettivi da realizzare.
Così, conoscendo l'attenzione con cui un Ministero dell'economia e delle finanze deve attrezzarsi per il controllo ed il monitoraggio della spesa pubblica - visto che i nostri conti non sono in ordine, sottosegretario Armosino - sono davvero sorpresa di leggere il contenuto di questo articolo, che non ha senso dal punto di vista dell'efficacia economica e finanziaria, relativamente all'obbligo di legge, da voi inserito nel provvedimento in esame, per le regioni italiane (le quali in questi giorni stanno chiudendo per competenza i loro bilanci 2005) di iscrivervi gli accantonamenti per il contratto dell'area della dirigenza medico-veterinaria, tecnico-amministrativa, sanitaria, quando sapete che la norma è inapplicabile. I bilanci sono infatti chiusi e voi sapete benissimo che, dal punto di vista economico, fare quella affermazione significa fare in modo che le regioni italiane debbano iscrivere nei loro bilanci accantonamenti che, per le modalità con cui si è chiuso - tardi! - quel contratto (48 mesi per chiuderlo!), riguardano una serie di arretrati cui far fronte (biennio economico 2002-2005) e impossibili per le norme di contabilità da iscrivere entro il 2005.
Come è possibile che un decreto-legge presentato dal Governo rediga una norma articolata in due commi, uno dei quali è inapplicabile dal punto sostanziale, giuridico e formale della tenuta dei bilanci regionali?
Infine, non so cosa dire a proposito degli articoli relativi agli istituti o enti sanitari con i quali un Governo, tanto preoccupato dello splafonamento della spesa pubblica, si prodighi in una serie di regalìe indistinte senza avere nemmeno un criterio «barra» secondo il quale distribuire le risorse accantonate.


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Mi sono domandata perché sia l'istituto San Raffaele di Milano sia l'istituto Bietti di oftalmologia di Roma ricevano un milione di euro per tre anni e mi domando, altresì, tanti perché. Avrei voluto entrare nel merito; infatti, non capisco come mai il Governo, se ravvisa in questi enti, al di là del carattere regionale, finalità di tipo nazionale (in quanto enti che fanno ricerca e che svolgono bene la propria funzione) non abbia guardato all'Italia complessiva. E ora, che siamo in una fase di tanta enfasi sul tema della politica della famiglia, della tutela e della salvaguardia della maternità e dei bambini, come mai, in questo paese, non si valorizza l'esistenza di un ente - mi riferisco alla fondazione Giannina Gaslini, che da anni non riceve alcuna risorsa da questo Governo - di ricerca e di cura per tutti i problemi relativi a tale ambito, dalla neonatologia alla pediatria all'età adolescenziale?
Tutti siamo preoccupati; vedremo gli sviluppi ora che discuteremo il disegno di legge finanziaria. Addirittura, il ministro Storace pretende di porre un vincolo di legge indicando alle regioni italiane come devono organizzare la loro riabilitazione. Ovviamente, tale norma non ha alcuna congruità con la disciplina del federalismo - ed è ancor meno congrua rispetto a quella devolutiva -; eppure, il ministro Storace si permette di indicare tale vincolo. Al riguardo, non si tiene conto, nella distribuzione delle risorse, che abbiamo in Italia una fondazione di ricerca, ricovero e cura sui temi della riabilitazione post grandi traumi, la riabilitazione cerebromotoria; non vi è infatti una sola risorsa allocata in tal senso, mentre assistiamo a vari finanziamenti a pioggia senza - lo ribadisco - alcun criterio e senza che vi sia alcuna preoccupazione da parte del Governo. Un Governo che, quando vuole aiutare i «fiori all'occhiello» del paese, lo fa seguendo una unidirezionalità geografica; lo fa, inoltre, senza tenere conto che le monospecializzazioni di eccellenza, in questo paese, sono tante. Conseguentemente, un Governo avrebbe il dovere di decidere un criterio di selezione delle risorse per poi distribuirle perseguendo le finalità cui tende e con le quali vuole valorizzare il patrimonio scientifico e sanitario del paese; ma niente di tutto ciò si è fatto. Allora, sottosegretario Armosino, come si spiega questa filosofia di urgenza e di


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organicità in materia di lotta all'evasione, di controllo della spesa pubblica, quando potrebbe fare agevolmente lei la somma di quanto si è inserito in quell'articolo 11-quaterdecies. Si usano denari pubblici senza mai riscontrare l'efficacia e la bontà di quanto si è fatto in quattro anni; si continua in questa logica. Mentre sono in questa sede a discutere e dovrei essere nella Commissione di merito per votare gli emendamenti al disegno di legge finanziaria per il 2006 e al disegno di legge di bilancio, continuo a vedere la solita storia di sempre in materia di politica sanitaria e di politica sociale.
Allora, concludendo: sotto tutela le regioni - altro che federalismo, autonomia e responsabilità! -; sottostima dei fondi; non si pagano i disavanzi pregressi; si pongono le quote per il rinnovo del contratto ma le si ancorano non all'inflazione reale ma ad una ipotetica inflazione programmata che abbiamo già ampiamente sfondato; si fa la retorica della maternità, della famiglia e dell'infanzia, ma le postazioni di bilancio che mettete in questo settore sono ridicole. Quanto chiedo è che, quando si adottano provvedimenti di questa natura, si persegua almeno una coerenza, la riqualificazione dei conti pubblici, della spesa pubblica dello Stato; chiedo dunque che non si giochi sulla pelle dei cittadini italiani enfatizzando, a fini elettoralistici, una politica che questo Governo in cinque anni non è stato in grado di attuare. Una politica per ammodernare, qualificandolo, il welfare e fare scelte di priorità, di qualsiasi contenuto, siano esse l'infanzia, le politiche della famiglia ovvero un Servizio sanitario nazionale riqualificato, moderno, efficiente, efficace. Una di queste scelte, non vecchie logiche che non portano da alcuna parte e che ci portano, invece, nelle aule parlamentari, ad esaminare i vostri provvedimenti di urgenza senza poterli discutere nel merito a causa della richiesta della fiducia (fiducia che, per così dire, consente di salvare capre e cavoli sulla pelle degli italiani).
Noi non possiamo accettare questa logica, poiché si tratta di un'impostazione che, dopo quattro anni, ha prodotto il risultato di lasciarci un paese in declino sul versante economico. È inutile, se si considerano i dati strutturali e fondanti dell'economia italiana, continuare a fare affermazioni che non risultano verosimili sotto alcun punto di vista. Ci troviamo, infatti, con un paese (lo sostiene l'ISTAT, non l'opposizione) in cui le famiglie sono sempre più povere. Mi riferisco non alle


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famiglie incapienti, che sono tutelate dalle nostre leggi, ma a quelle a medio reddito, che ricavano le loro entrate dal lavoro dipendente. Tuttavia, ci presentate un decreto-legge ed un disegno di legge finanziaria che, per come sono congegnati, in realtà non faranno altro che riversare proprio sulle famiglie costi maggiori per fruire di servizi che rappresentano diritti di cittadinanza del popolo italiano!
È questa la grande responsabilità che voi portate. Siamo tutti d'accordo, infatti, sull'obiettivo di mantenere l'equilibrio dei conti pubblici e di riqualificare la spesa; tuttavia, vorrei sottolineare che, per compiere detta operazione di riqualificazione, occorrono coerenza, scelte strategiche e fissazione di obiettivi precisi, rigettando la logica dei finanziamenti «a pioggia».
Vorrei soprattutto evidenziare, sottosegretario Armosino (dal momento che conosco la scrupolosità con cui lei affronta detta materia), che, quando si invoca l'assunzione di responsabilità condivise da parte del sistema delle autonomie locali, lo si deve fare trattandole come soggetti adulti, e non come bambini a cui, con le leggi dello Stato, si dà lo «schiaffetto obbligante» del vincolo, pur sapendo di mentire! Infatti, le risorse finanziarie destinate ai bilanci delle autonomie locali, che sono tuttavia vincolate al raggiungimento delle vostre politiche, sono perennemente sottostimate!
Voi, infatti, disponete un sistema di trasferimento di risorse che premia non il federalismo o il senso di autonomia e di responsabilità, ma l'anticipazione di cassa, l'onere passivo e l'aumento dei disavanzi pubblici. Tuttavia, signor sottosegretario, avremo modo di confrontarci nuovamente, in questa Assemblea, in occasione dell'esame del bilancio dello Stato e, soprattutto, del disegno di legge finanziaria per il 2006, nel quale tali scelte sono chiaramente codificate nell'ambito degli svariati commi di quel maxiemendamento che rappresenta lo stato confusionale presente nella maggioranza. Infatti, la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra e, al contempo, vi è contenuta una congerie di misure che, come già detto, falliscono il raggiungimento dell'obiettivo che voi vi proponete, poiché non offrono al sistema delle autonomie gli strumenti adeguati per contrastare veramente, come sostenete con il decreto-legge in esame, il fenomeno dell'evasione fiscale in questo paese.


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Sottosegretario Armosino, mi dispiace doverglielo dire con la foga e la passione di chi crede nella funzione istituzionale e parlamentare, ma vorrei evidenziare che voi avete ampiamente contribuito a diffondere una logica di illegalità tra i cittadini; l'Italia, invece, ha bisogno di essere un paese maturo, che rispetta le proprie leggi e contribuisce alla tutela del bene comune anche ricevendo, da chi governa, l'esempio che le tasse occorre pagarle, al fine di offrire servizi efficienti ai cittadini!
Voi avete illuso gli italiani di ridurre loro le tasse ma, contemporaneamente, avete ridotto i servizi erogati. Ora, tuttavia, gli italiani lo hanno capito, e sono certa che, il prossimo anno, con il loro voto, essi sapranno indicare da che parte stanno la realtà e la verità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per quanto riguarda la questione precedentemente sollevata dall'onorevole Ruzzante, vorrei informare che abbiamo convenuto, con il Presidente Casini, di impartire alle Commissioni l'indicazione di non procedere a votazioni. Ciò per due ragioni: in primo luogo, per l'oggettiva connessione tra la discussione in atto e l'esame del disegno di legge finanziaria presso le Commissioni stesse, ed in secondo luogo, per consentire ai colleghi che intendano parlare in questa sede di non avere l'incombenza di partecipare a tali votazioni.


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LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, ringraziamo lei ed il Presidente Casini. Volevo dire, tuttavia, che sarebbe opportuno che non si chiudano i termini per gli interventi in Commissione, perché alcuni colleghi sono qui in aula e non potrebbero, quindi, intervenire in Commissione.

PRESIDENTE. Onorevole Violante, anche questo problema sarà segnalato, sempre obbedendo al criterio menzionato.
È iscritto a parlare l'onorevole Guerzoni. Ne ha facoltà.

ROBERTO GUERZONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che a nessuno sfugga un certo imbarazzo che vi è nel momento in cui si partecipa ad una discussione nella quale il relatore per la maggioranza e il Governo hanno, in modo preliminare, detto che non accoglieranno alcuno tra gli emendamenti presentati e che, molto probabilmente, si concluderà ancora una volta con l'ennesimo voto di fiducia. È un metodo, questo, che svilisce il Parlamento, impedisce un confronto ed una vera assunzione di responsabilità, sia da parte della maggioranza sia da parte di chi si candida a governare, in modo diverso, questo paese. Infatti, come è noto, il voto di fiducia spesso serve ad impedire che problemi che dal paese emergono con grande forza e che possono trovare, anche nelle file della maggioranza, alcune risposte, possano trovare una risposta effettiva nella traduzione legislativa, in quanto la fiducia impedisce che il Parlamento deliberi al di là delle posizioni dei singoli schieramenti.
Noi, tuttavia, ci sentiamo nel dovere di intervenire lo stesso in questa discussione sulle linee generali, per un senso di responsabilità di fronte al paese e per dover esprimere un giudizio netto e chiaro sull'insieme di questa manovra, ossia il decreto-legge collegato, al nostro esame e, nello stesso tempo, anche la legge finanziaria cui, appunto, esso è collegato. Ciò nel senso che questo decreto-legge e la legge finanziaria, che affronteremo nei prossimi giorni, sono gli ultimi provvedimenti di un ciclo di politica economica finanziaria, il ciclo che si è aperto con la legislatura del Governo di centrodestra.


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Quindi, in questi provvedimenti, nel loro insieme, nel decreto e nella legge finanziaria, vi è il bilancio conclusivo dell'azione del Governo di centrodestra. Noi non possiamo che denunciare e mettere in evidenza con grande forza il fallimento di un'intera politica, il saldo negativo - per il paese, in primo luogo -, in quanto tale politica non è stata in grado, non dico di impedire la recessione a livello mondiale, ma di contrastarla e di porre in campo politiche attive per combattere una fase difficile dell'economia mondiale, a differenza di quanto hanno fatto altri paesi che, in questo momento, hanno performance diverse dal nostro paese, hanno dati in controtendenza e si tratta di paesi dell'Unione europea e nostri diretti alleati nella stessa Unione, con i quali dobbiamo reggere la sfida della competitività.
Tale giudizio negativo per le conseguenze che questa politica economica ha avuto sul paese è, poi, evidentissimo se si considera lo sfascio della finanza pubblica cui ha portato la politica del ministro Tremonti. Vi è, ormai, un azzeramento dell'avanzo primario. E tutti noi sappiamo cosa ciò significhi per un paese, quale l'Italia, che ha uno stock di debito pubblico che non è possibile ridurre, se non con una politica di rigore, certo, non di «lacrime e sangue», ma responsabilità, di serietà e di rigore nel controllo vero della spesa pubblica.
Se, poi, si aggiunge che, nello scenario che abbiamo di fronte, a differenza dei cinque anni che abbiamo alle spalle, nei quali sostanzialmente i tassi di interesse sono stati al punto più basso mai conosciuto, si potrebbe determinare un aumento dei tassi di interesse stessi, tutti ci rendiamo conto in quale situazione di finanza pubblica potremmo trovarci di fronte.
Sul punto si riscontra l'irresponsabilità di questa maggioranza di pensare soltanto a vivacchiare in questi ultimi mesi, di trascinare una legislatura, senza porsi di fronte alla responsabilità di chiedere il giudizio del paese, e di consegnare tale situazione a chi verrà in seguito.
Ma tale giudizio negativo - è qui il tema del mio intervento - lo si evince soprattutto se si considerano le condizioni dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani, di coloro, cioè, che sono e devono essere il punto di riferimento centrale per una politica che vuole dare fiducia al paese.


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Il giudizio negativo non è soltanto nostro. Il Governo sa bene che, nella giornata di venerdì, le organizzazioni sindacali rappresentative della stragrande maggioranza dei lavoratori - anche quelle che avevano firmato con il Governo il patto per l'Italia - scenderanno in sciopero generale per esprimere un giudizio negativo e fortemente critico sulle politiche contenute nella legge finanziaria e in questo decreto-legge. Ciò a riprova che quanto viene fatto per i lavoratori, per il mondo del lavoro, per i giovani, per i pensionati, per coloro che reggono le sorti del nostro paese non risponde alle esigenze minime oggi emergenti, a partire dalla politica fiscale. Il bilancio della politica fiscale è fallimentare. Essa ha favorito i più ricchi (chi più aveva, più ha avuto) ed ha messo le mani nelle tasche dei lavoratori. Signor sottosegretario, non è vero che ciò non è avvenuto! Avete messo le mani nelle tasche dei cittadini per due ragioni fondamentali.
In primo luogo, anche con questa legge finanziaria non restituite il fiscal drag. Non dico di svolgere un'azione attiva per ritornare alla concertazione delle parti sociali, in modo tale che i contratti siano rinnovati, tema affidato alle parti sociali e che dovrebbe vedere un'iniziativa generale del Governo. Mi riferisco a quello che è un compito del Governo: ossia intervenire per restituire la quota di salario persa dal lavoratore o dal pensionato attraverso il fiscal drag, ossia il drenaggio fiscale automatico. Si tratta di 2 miliardi di euro, di 4 mila miliardi di vecchie lire, che vengono sottratti a salari, stipendi e alle pensioni dei lavoratori!
Inoltre, avete messo le mani nelle tasche dei lavoratori e dei pensionati per la seconda volta con il primo modulo della cosiddetta riforma fiscale, che poi avete abbandonato a fine legislatura, senza ammettere il fallimento della politica perseguita nel corso di questi cinque anni. La tassazione è, infatti, passata dal 18 al 23 per cento ed i lavoratori che sono andati o stanno andando in pensione e, quindi, ritirano la propria liquidazione pagano un'imposta pari a cinque punti percentuali in più. E stiamo parlando di lavoratori e pensionati che sono collocati nella prima fascia dell'imposizione fiscale.
Anche quando ammettete implicitamente (mai esplicitamente!) di aver fallito nella politica fiscale e, ad esempio, introducete nella legge finanziaria la riduzione di un punto del


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cuneo contributivo, lo fate in modo inadeguato a rispondere alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Anche questa riduzione - che abbiamo sempre sostenuto e che dovrebbe essere realizzata in modo molto più consistente e programmato - andrebbe equamente suddivisa, spettando il 50 per cento alle imprese ed il 50 per cento ai lavoratori. È, infatti, evidente che il risparmio ottenuto dall'impresa, necessario per abbattere il costo del lavoro, deve comportare anche un corrispettivo aumento del salario e della possibilità di spesa del lavoratore per sostenere consumi, domanda aggregata e produzione delle stesse imprese.
Infine, con la legislazione sul mercato del lavoro avete attuato una politica contraria al mondo del lavoro, ai lavoratori e ai giovani. Mi riferisco alla legge n. 30 del 2003, una legge negativa, che anziché dare copertura ad una buona flessibilità, ha fatto sì che la stessa flessibilità si trasformasse in precarietà ogni giorno di più. Su questo fronte, il fallimento è totale. Proprio perché avete spinto, in modo sbagliato ed eccessivo, verso una precarietà del mercato del lavoro, dovevate preoccuparvi di mettere mano al sistema degli ammortizzatori sociali, come avevate proclamato all'inizio di questa legislatura, ma senza fare nulla.
In un mercato del lavoro più flessibile e più articolato, dove aumentano le figure lavorative non stabilmente occupate nella stessa impresa o nello stesso ufficio per tutta la vita, è evidente che la tutela non avvenga più soltanto nel luogo di lavoro. Occorre riformare la strumentazione della politica sociale e gli ammortizzatori sociali per venire incontro a queste nuove figure, ai cosiddetti lavoratori atipici, che poi tali non sono: ormai, si tratta di milioni di giovani e tale forma di lavoro sta diventando sempre più normale.


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In altre parole, mi riferisco alle forme di sostegno al reddito, di sostegno per la contribuzione figurativa, di intervento tra un lavoro e un altro: ebbene, tutto questo non c'è. C'è qualche intervento che, in realtà, grida vendetta: per esempio, si interviene con l'articolo 8-bis del decreto-legge al nostro esame, in cui si dice che per i lavori socialmente utili - che vanno superati e su cui occorre intervenire per risolvere il problema se ancora nel paese esistono queste situazioni - si interviene, ma per chi? Rinnovando il famoso emendamento della legge finanziaria dello scorso anno, presentato in vista delle elezioni di Catania. In altre parole, vengono prorogati con contratti a tempo determinato solo i lavori socialmente utili che si svolgono nelle città del Mezzogiorno con più di 300 mila abitanti. E chi saranno mai questi?
Allora, se si vuole dare una risposta anche sul tema della transizione dei lavori socialmente utili, lo si faccia per tutta la casistica. In realtà, occorrerebbe intervenire sulle questioni fondamentali delle politiche occupazionali, vale a dire, della riforma degli ammortizzatori sociali, per i quali invece cancellate lo stanziamento dei 600 milioni. Avevate introdotto queste risorse nell'accordo con le parti sociali, vi siete limitati a un ritocco nelle indennità di disoccupazione, che oggi nella legge finanziaria scompaiono. Pertanto, si rinvia a quando, se non nel 2007, la possibilità di attuare qualche minima riforma degli ammortizzatori sociali? Non è che vada meglio per i vecchi ammortizzatori, per le casse integrazioni. C'è un articolo in questo decreto-legge in cui si dice, giustamente, che si prorogano gli interventi di cassa integrazione per i lavoratori del settore termale e della vigilanza. È giusto intervenire con una proroga, perché la crisi occorre accompagnarla attraverso una trasformazione del settore e quindi un sostegno di questi lavoratori. Tuttavia, lo stanziamento per tutte le casse integrazioni, comprese quelle che vengono prorogate, è pari a 550 milioni, ma a metà di questo anno avevamo esaurito all'incirca la stessa cifra, visto che il fondo per l'occupazione è vuoto su questo fronte. Pertanto, si aggiunge una cosa giusta, ma in realtà si dice a quei lavoratori una cosa non vera, ossia che probabilmente non vi saranno le risorse nel corso dell'anno per fare fronte a tutte queste emergenze. E ciò riguarda anche


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coloro che verranno considerati in un articolo della legge finanziaria, vale a dire i lavoratori del settore dell'agricoltura e della trasformazione dei prodotti agricoli, colpiti dalle questioni, molto sentite nell'opinione pubblica, dell'influenza aviaria e degli effetti che si sono avuti su queste attività produttive.
Infine, vorrei fare un ultimo esempio sul fronte del lavoro pubblico, che poi chiama in causa direttamente il Governo e l'amministrazione pubblica come datore di lavoro. Ebbene, qui siamo di fronte ad una vera e propria truffa. Con questa legge finanziaria, voi avete compiuto una scelta che è iniqua per i lavoratori, visto che non stanziate le risorse che consentiranno loro di aprire una contrattazione sindacale vera per il prossimo biennio, ma non mettete nemmeno la posta per il bilancio per il 2006 e il 2007. Vi limitate soltanto a coprire una quota di vacanza contrattuale per le amministrazioni statali, ma la maggioranza dei lavoratori pubblici sono negli enti locali, nelle regioni, nella sanità, negli enti non economici e il contratto scadrà alla fine del 2005. Anzi, per molti lavoratori degli enti locali e della sanità non si sta nemmeno pagando, mettendo a conclusione le trattative del biennio precedente, 2004-2005, su cui era intervenuto un accordo sindacale con il Governo nel corso di questo anno. Tuttavia, il 2006 e il 2007 vanno messi come poste di bilancio, altrimenti queste quote, che ammontano, secondo i calcoli ricavati dai dati che ci sono stati forniti, a circa 2 miliardi di euro, rischiano di aprire un buco per le leggi finanziarie del 2007 e del 2008. E chi coprirà queste risorse, visto che si tratta di contratti esigibili? O voi, forse, pensate che per un anno intero i lavoratori del pubblico impiego non avranno i contratti? Chiaramente, fate una manovra che rimanda la soluzione della questione alle prossime maggioranze di Governo.
Per non parlare del fatto che, nell'intervento drastico su tutti i contratti atipici (i contratti a tempo determinato e i contratti di collaborazione coordinata continuativa), non c'è un indirizzo univoco, ma si seguono due pesi e due misure: per le amministrazioni statali si va ad una proroga dei contratti a tempo determinato dei ministeri, fino al 31 dicembre 2006, mentre per gli enti locali non c'è nessuna possibilità di proroga e il taglio deve essere drastico, ossia il 60 per cento di ciò che è stato speso nel 2003. Ciò vuol dire una riduzione di 60 mila persone e si tratta di giovani contrattisti, che gestiscono servizi.


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Infatti, questi contratti a tempo determinato o di collaborazione continuativa non costituiscono delle cose in più o degli sprechi degli enti locali, ma sono stati stipulati perché non era possibile procedere ad assunzioni a tempo indeterminato per il blocco delle assunzioni.
Quindi, queste persone gestiscono servizi e, pertanto, i cittadini saranno colpiti in due modi: come giovani (laureati o diplomati che hanno stipulato questo contratto con la pubblica amministrazione), che non troveranno più il posto di lavoro, e come cittadini, che non potranno più usufruire di determinati servizi.
Detto ciò, vorrei soffermarmi su due articoli con i quali il decreto interviene con lo stanziamento delle risorse per quanto riguarda la previdenza. Mi riferisco agli articoli 8 e 11, che stanziano le risorse per la previdenza complementare e per la totalizzazione della contribuzione.
Vorrei essere molto esplicito per quanto riguarda la previdenza complementare integrativa. Noi abbiamo votato contro la legge n. 243 di controriforma. Non ci ha convinto, in particolare, lo scambio che, invece, sostiene, con molta forza, il ministro Maroni, il quale afferma: colpiamo i lavoratori che oggi hanno la possibilità di ricorrere ancora alle pensioni di anzianità; li colpiamo drasticamente, mandandoli in pensione due o tre anni dopo che avranno maturato il loro diritto; però, in cambio - diciamo così -, facciamo decollare il secondo pilastro della previdenza integrativa, perché in questo modo guardiamo ai giovani. Non si è mai ottenuto nulla attraverso una politica che colpiva i padri per dare ai figli.
Detto ciò, non vogliamo affatto ostacolare il decollo della previdenza complementare integrativa. Anzi, sappiamo bene che la riforma, che ha determinato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, farà sì che i giovani che sono entrati nel mercato del lavoro dopo il 1o gennaio 1996, nel momento in cui andranno in pensione con quarant'anni di contributi, avranno una pensione che sarà il 50-60 per cento dell'ultimo stipendio, se hanno avuto sempre un lavoro a tempo indeterminato in tutti i quarant'anni di vita lavorativa. Invece, se sono stati assunti con contratti a tempo parziale o con collaborazioni coordinate e continuative o altre forme di lavori atipici - come lo sono ormai da molto tempo -, avranno una pensione che sarà al massimo il 30 per cento dell'ultimo stipendio.


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Quindi, noi siamo favorevoli al decollo della previdenza integrativa. Tuttavia, ciò cui stiamo assistendo in questi giorni è che il Governo è paralizzato su questo punto. Siamo arrivati all'assurdo. Il ministro del lavoro ha condotto una trattativa con le parti sociali, producendo un testo che, tuttavia, presenta ancora dei punti deboli. Per esempio, esso non individua le risorse: ricordo che, con la copertura indicata dall'articolo 8, le risorse sono poche. Questo aspetto di debolezza è evidente. Si inventa un fondo di garanzia che, probabilmente, non consentirà a tutte le piccole imprese di attuare il trasferimento immediato del TFR qualora queste non ricevano dal fondo di garanzia il sostegno adeguato al venire meno del TFR stesso.
Ci sono altri aspetti negativi, tuttavia, egli ha prodotto un testo che operava una scelta fondamentale fra la previdenza integrativa, come secondo pilastro (come in tutti i sistemi pubblici d'Europa: pilastro pubblico e pilastro integrativo come un unicum nel sistema previdenziale di welfare), e le polizze assicurative individuali (che fanno parte del mercato finanziario e che riguardano solo coloro che hanno risorse proprie, che possono decidere di ottenere qualcosa in più perché hanno molti soldi). Su questa differenza di fondo, il ministro aveva scelto di stare con le parti sociali.
Noi diciamo: è giusto stare con le parti sociali, perché ne va della questione fondamentale della pensione dei lavoratori. Ma qui abbiamo assistito tutti a ciò che è avvenuto nel Consiglio dei ministri.


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Il ministro del lavoro è rimasto in minoranza; il Presidente del Consiglio, nel momento in cui si discuteva di assicurazioni private, ha dovuto allontanarsi da quella riunione per un evidente conflitto di interessi. Oggi, siamo ormai a tre settimane dal momento in cui le Commissioni hanno espresso il loro parere. Ricordo che la delega scadeva il 5 ottobre e che proprio nella notte del 5 ottobre il termine è stato prorogato di 60 giorni, quindi ormai sul limite ultimo: il nuovo termine scade ora il 5 dicembre.
Le Commissioni parlamentari hanno rispettato il termine di 30 giorni e, anzi, in qualche modo lo hanno anche anticipato. Il Governo però continua a non riunirsi. Ma, allora, spiegatemi come si può far decollare la previdenza complementare dal 1o gennaio! Quand'anche fosse approvato il decreto dal Consiglio dei ministri, sarà poi necessario che la COVIP emani le regole; occorre realizzare una campagna informativa. Ecco qual è il punto centrale: è in grado il Governo di decidere su questi aspetti? Si tratta di un aspetto non di poco conto, perché i lavoratori devono sapere che la partita non si gioca soltanto su una differenza di principio tra chi è a favore delle assicurazioni e chi è a favore dei fondi pensione. È in ballo un aspetto che riguarda proprio lo Stato sociale, la tutela collettiva, i principi costituzionali.
Si sa che nel caso di un'assicurazione individuale, di una polizza individuale, il primo anno in cui si versa il capitale, i costi di gestione coprono quasi il 50 per cento dei contributi versati (ad un lavoratore che in quel momento decida di abbandonare tale sistema viene eroso tutto il capitale), il secondo anno il 30 per cento. Non vi è la stessa trasparenza tra un fondo chiuso, un fondo negoziale o anche un fondo aperto, ma collettivo, ed invece un piano individuale, né per governance, né per statuti o capacità di rendimento e di tutela del diritto maturato alla pensione. Ecco qual è l'elemento centrale!
Noi riteniamo opportuno che si faccia qualcosa rapidamente, affinché si decolli con la previdenza complementare, e che la linea da seguire, a tal riguardo, sia quella dell'accordo con le parti sociali. Ma qui il Governo, ancora una volta, tace.


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Infine, vi è l'articolo 11 del decreto-legge in via di conversione, relativo alla cosiddetta totalizzazione contributiva. Si creano molte attese fra i lavoratori: in questi giorni un po' tutti - mi auguro anche i membri del Governo - siamo subissati di richieste dei lavoratori, i quali chiedono se sia vero che si è introdotto il cosiddetto principio della totalizzazione, in base al quale è possibile sommare contributi versati in casse diverse.
In realtà, non siamo di fronte a questo principio; piuttosto, siamo di fronte al fatto, come si evince dalla legge delega che avete approvato, che se un lavoratore ha 65 anni e 40 anni di contributi versati può accedere al sistema della totalizzazione.
Ecco però che sopraggiunge un secondo inganno. Ed è per questa ragione che stanziate soltanto 160 milioni di euro per la copertura dell'articolo 11. Nel decreto legislativo trasmesso alle Commissioni, ma che il Governo non ha ancora approvato nella sua versione definitiva (né sappiamo quanto tempo occorrerà affinché sia approvato), si stabilisce che il calcolo, relativo agli anni in cui sarebbe possibile per un lavoratore cumulare i versamenti effettuati presso casse diverse, avverrà con il metodo contributivo.
Scusate, colleghi: esaminiamo il caso di un lavoratore che ha versato presso l'INPS più di vent'anni di contributi - quindi più del minimo - e che, quindi, ha maturato il diritto di ottenere una pensione di vecchiaia. Ebbene, se costui volesse totalizzare dieci anni di contributi (versati presso una gestione separata o una cassa autonoma), che gli consentirebbero di arrivare a 40 anni di versamenti, dovrebbe perdere il diritto acquisito ad usufruire del sistema retributivo per 25 anni e passare al meccanismo contributivo. Ma allora non totalizzerà mai nulla! Per questo lavoratore la totalizzazione non esiste! Non impediamogli di andare in pensione con le vecchie regole, altrimenti questa totalizzazione sarà solo punitiva!
Prendiamo poi il caso delle donne, che oggi hanno il diritto di andare in pensione a 60 anni. Ebbene, il decreto stabilisce che il limite di età è di 65 anni, per tutti! In Commissione, una previsione a tal proposito non è stata approvata neanche come condizione, ma è stata inclusa nelle osservazioni. Non so se il Governo ne terrà conto. Per le donne, quello di andare in pensione a 60 anni è già un diritto acquisito. Vogliamo elevare tale limite a 65 anni? E come faranno allora a


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totalizzare i contributi? Inoltre, va considerato che per chi andrà in pensione per invalidità non sarà possibile cumulare i versamenti.
In sostanza, anche questo articolo, che potrebbe sembrare andare nella giusta direzione, dimostra ancora volta che anche le poche misure che ipotizzate di introdurre per il mondo del lavoro sono quanto meno inadeguate ed insufficienti. La scelta fondamentale che avete fatto è stata un'altra. La politica è stata un'altra, cioè quella che ha favorito chi ha più risorse, i più ricchi; è una politica fiscale ed economica che non ha favorito lo sviluppo di questo paese.
Oggi non ci viene consentito di poter modificare queste misure con gli strumenti parlamentari. Già lo avete fatto al Senato: impedite infatti, come avete fatto presso l'altro ramo del Parlamento, l'approvazione delle proposte emendative e ponete questioni di fiducia a ripetizione. Il Parlamento si trova quindi in una situazione di imbarazzo democratico nella gestione istituzionale.
In ogni caso, il nostro compito credo sia quello di parlare al paese e di far sapere che è possibile porre in essere un'altra politica. Per questo ci batteremo, affinché il prossimo Governo non sia più un Governo di centrodestra, che ha portato il paese a questa situazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di entrare nel merito del provvedimento in esame, vorrei porre una questione preliminare, però strettamente legata al contenuto e al merito di questa manovra. Com'è stato ricordato da molti altri colleghi, siamo ormai di fronte ad una prassi consolidata: si affrontano i più importanti provvedimenti di politica economica e finanziaria, quale è appunto la legge finanziaria o un provvedimento collegato - come in questo caso, strettamente correlato alla legge finanziaria - attraverso il voto di fiducia. Non a caso, al banco del Governo è seduto il ministro Giovanardi.
Non le sfuggirà certo, signor Presidente, che tutto questo rappresenta uno stravolgimento assai grave della dialettica parlamentare: vorrei che su questo punto riflettessero anche


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i colleghi della maggioranza. Ieri sera sono rimasto colpito, ed anche un po' intenerito, dall'intervento dell'onorevole Scherini, il quale, rivolto al Governo come ci si rivolgeva una volta ai potenti, avanzando una supplica, ha detto: ma, signori rappresentanti del Governo, vi siete dimenticati del fondo della montagna! Deve essersi sicuramente trattato di una «svista»! Mi ha intenerito, perché è questione della quale stiamo dibattendo da mesi. Il fatto che il Fondo della montagna non sia rifinanziato ed imputare questo ad una «svista», mi sembra francamente sorprendente!
Questo è dunque il rapporto che alla fine si stabilisce: un rapporto di sudditanza, per effetto del quale si rivolge una richiesta non nell'ambito dell'esercizio della funzione parlamentare, ma come se ci si rivolgesse ai detentori del potere, quest'ultimo inteso in senso primitivo e senza la necessaria maturità democratica.
Questo è lo stravolgimento delle regole che si sta verificando. Ed è un problema che riguarda non solo noi, bensì anche i colleghi della maggioranza, perché, quando il confronto democratico si inaridisce, quando è portato a questo livello, il danno è complessivo e va considerato anche rispetto ad un periodo medio-lungo.
Chiedete il voto di fiducia su un testo contraddittorio, privo di omogeneità ed esemplificativo del caos che domina nella finanza pubblica e nei conti pubblici. Ciò è stato dimostrato ampiamente, ieri sera e questa mattina, dagli interventi dei colleghi dell'opposizione.
Insisto solo su un punto. Siamo in una situazione che presenta anche una contraddittorietà di fondo, riassunta benissimo nell'avvicendarsi di più ministri al Dicastero dell'economia e delle finanze: il ritorno di Tremonti, l'uscita di Siniscalco, provvedimenti d'urgenza privi di ogni controllo, manovre che si sono aggiunte ad altre manovre, crescita della spesa, disinvolta gestione delle risorse, opacità che circonda i nostri conti, finte coperture, previsioni irrealizzabili, poste inesistenti che alleggeriscono i tendenziali.


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Questa è la situazione in ordine alla quale si chiede il voto di fiducia. Sarebbe come dire: non ci disturbate, questo è il quadro della situazione, non possiamo agire e fare altrimenti!
Se questo è il danno che viene inferto dal punto di vista dei normali rapporti, della dialettica parlamentare, vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi su un'altra questione che è assolutamente e strettamente collegata alla conduzione della politica economica.
Ciò che sto per dire può sembrare a qualcuno una stravaganza, ma non è così! In particolare, vorrei sollevare il problema dell'agenda politica, di cosa si discute in questo paese. Può essere governato un paese complesso, con i problemi economici che lo stesso avverte, attraverso degli spot? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre. Parlo di spot, perché gli annunci non producono mai conseguenze! Forse, si raccolgono determinate esigenze attraverso qualche sondaggio, si scopre che la casa e gli affitti rappresentano un problema che angoscia gli italiani e allora non vi è nient'altro da dire se non inventarsi una misura mirabolante come quella di dare la casa a tutti, ma poi la cosa finisce lì, perché, successivamente, si precisano i termini della questione e nient'altro!
Colleghi, vorrei che si riflettesse su un fatto. Il Governo si prodiga in un esercizio paziente di individuazione delle soluzioni necessarie per risolvere i problemi, ma, per farlo realmente, la conduzione politica di un paese non può avvenire solo in termini di propaganda!
Vorrei, a tale proposito, citare un esempio che sembra avulso dal contesto della nostra discussione. Come fate a polemizzare con l'opposizione, che ha previsto che, entro il 2006, i nostri soldati dovranno andare via dall'Iraq, quando poi improvvisamente, dopo la polemica finalizzata a tacciarci come irresponsabili e quant'altro, si legge sui giornali (precisamente oggi): «Entro il 2006 ce ne andremo dall'Iraq e insieme risolveremo anche la questione de La Maddalena»? Ma vi sembra un modo serio di procedere? Ministro Giovanardi, sarebbe un modo serio, se si avviasse un confronto serio


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e reale con l'opposizione: non lo è certamente quando ricorre ad annunci uno dopo l'altro, continuamente contraddittori tra di loro!
Ministro, vorrei giungere ad una conclusione: parlo di agenda politica, perché dobbiamo discutere dei problemi reali del paese che più interessano gli italiani. Oggi sui giornali appaiono due notizie strettamente attinenti alla discussione in esame. Leggiamo, tra l'altro: «Così siamo diventati più poveri»;.«La Spagna, prossima al sorpasso»; «Il reddito pro capite è crollato»; «Nel 2007 sarà sotto la media europea». Non è cosa da poco!
Inoltre, su Il Corriere della sera, è stato pubblicato un articolo del giornalista Giavazzi (ovviamente, per conoscere certe cose non vi è bisogno di leggere Giavazzi): «Il prezzo di una svolta. Rialzo dei tassi e conseguenze per l'Italia»! In questo editoriale vengono poste due domande. Di fronte ad un paese che ha un debito così elevato, cosa significa l'aumento del costo del denaro dal punto di vista degli interessi che si pagano in termini di servizio al debito? Infatti, con un debito che si pone tra il 106 e 108 per cento, è del tutto evidente che, in alcuni anni, potremmo essere obbligati ad aumentare il servizio al debito di un punto di PIL. Vi è, allora, una domanda semplicissima che Giavazzi si pone: come intendete coprirlo e quali previsioni possono essere effettuate? Un possibile apprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro, che può rendere la situazione delle esportazioni più complicata. Quali misure si adottano per sostenere i prodotti italiani al di là di fuochi pirotecnici di polemica con i vari paesi emergenti e le nostre produzioni sul mercato globale? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre e proporre.
Inoltre, di fronte alla precarizzazione del mondo del lavoro - 3 milioni sono ormai i nostri giovani con un lavoro precario -, come possiamo parlare, come se niente fosse avvenuto, di prospettive, di trattamento di fine rapporto, di risorse aggiuntive, di investimenti sul futuro e quant'altro? Non si tratta forse di questioni meritevoli di un approfondimento e di una riflessione, mentre vi accingete a portare a compimento l'ultima finanziaria di questa legislatura? In verità ci attendevamo qualcosa di più consistente, preciso, puntuale, dal punto di vista di un esame della situazione economica e finanziaria del paese.


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Colleghi, non tornerò in modo dettagliato su quanto affrontato da altri nel corso di questo dibattito; mi riferisco alle misure per la lotta contro l'evasione, alla riforma della riscossione, alla perequazione delle basi imponibili, alla questione dell'ANAS, ai problemi in materia aeroportuale e a tutte le altre misure. Mi preme sottolineare il fatto che siamo in presenza di una politica che tende al «tamponamento» a fronte di un peggioramento di tutti i più importanti indicatori della politica economica e finanziaria.
Nel corso di questi mesi avete coniato il seguente slogan: Berlusconi non ha messo le mani nelle tasche degli italiani! In questo provvedimento collegato e nella legge finanziaria vi sono disposizioni che comportano, da un lato, un inasprimento, attraverso una serie di misure parziali e particolari, di talune tasse, del prelievo fiscale e, dall'altro, una diminuzione degli stanziamenti verso gli enti locali e il mancato rifinanziamento del fondo sociale. Cos'è, questo, se non un impoverimento, un qualcosa che non si copre con queste politiche di facciata - come il bonus per il figlio per il 2005 e la discussione per la una sua estensione al 2006 -, laddove viene indebolito strutturalmente l'intervento del sistema delle autonomie e di altri strumenti a sostegno della vita delle nostre famiglie?
Il decreto-legge in esame, a causa delle integrazioni in esso apportate, è diventato difficilmente valutabile. Si tratta di un decreto che ne raccoglie altri quattro, prevedendo misure tra loro anche contraddittorie; tant'è che si parla della possibilità di emendare questo testo già in sede di esame della legge finanziaria. È evidente che ciò si renderà obbligatorio e necessario, in quanto è chiaro che le diverse questioni non sono state seguite con la dovuta attenzione neanche dal punto di vista formale.
Ci auguriamo che la legge finanziaria possa essere affrontata diversamente.


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Ci auguriamo che sia data la possibilità di un confronto effettivo, di un confronto sulle questioni reali, sui problemi che questo paese è chiamato ad affrontare, sui punti fondamentali della necessità di una svolta di politica economica. Questo è quello che ci auguriamo, su cui nel corso degli scorsi anni abbiamo lanciato la nostra sfida; questo è il punto sul quale sarebbe necessario un raccordo, per ottenere un'effettiva svolta nella politica economica di questo paese, svolta che è richiesta dal paese e che non potrà essere a lungo negata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo. Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, al di là dell'obiettivo ambizioso annunciato nel titolo del provvedimento in esame, quest'ultimo, come è stato ricordato poc'anzi dal collega Michele Ventura, reca una serie di norme assai eterogenee e discutibili, assemblando il contenuto di ben quattro decreti decaduti. Ciò, oggettivamente, impedisce un esame puntuale delle tante norme, che spesso sono norme-fotografia. Il decreto in esame, collegato alla legge finanziaria, meriterebbe pertanto un'analisi e un'istruttoria approfondite, mentre è stato imposto un tempo assai ristretto e, quel che è più grave, il Governo ha la pretesa di porre la questione di fiducia, rifiutando ogni confronto di merito sulle nostre proposte emendative. Non credo che fra le tante proposte avanzate dal centrosinistra non ve ne sia almeno una degna di essere accolta.
Il provvedimento si inquadra in uno scenario economico molto critico per il nostro paese, che difficilmente riuscirà a cogliere le opportunità della ripresa che, per quanto lieve, inizia ad interessare l'Europa. Per cogliere tale opportunità il Governo avrebbe dovuto anzitutto avere un reale controllo dei conti pubblici e proporre al Parlamento e alle forze imprenditoriali e sindacali un'efficace politica industriale, economica e fiscale. Né nella legge finanziaria, né in questo collegato vi è una traccia seria di ciò.


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I conti pubblici sono in una situazione assai discutibile. Si pensi che il Governo in venti giorni è stato costretto ad adottare più manovre correttive e si consideri che certe previsioni di entrate sono troppo ottimistiche. Eppure i dati finora acquisiti relativamente alla cartolarizzazione degli alloggi degli enti pubblici avrebbero dovuto indurre a una maggiore cautela.
Inoltre, sulla necessità di un controllo rigoroso dei conti si è pronunciato anche il centro studi della Banca d'Italia, che ci ammonisce. Mi riferisco al centro studi, non al Governatore della Banca d'Italia, il quale, all'inizio della legislatura, parlò della prospettiva di un nuovo miracolo economico. Ebbene, anch'egli è smentito dai dati forniti dallo stesso centro studi della Banca d'Italia. Quest'ultimo, infatti, rileva come nel quarto trimestre di quest'anno si registri un rallentamento della produzione e come sia urgente rilanciare lo sviluppo e la competitività, anche come condizione di risanamento dei conti pubblici. Ricordo che per la prima volta dopo dieci anni il nostro debito rispetto al PIL aumenterà, passando dal 106,5 per cento al 108,2 per cento. Ma è ancora più grave, ed è stato ricordato dal collega Guerzoni, il dato relativo all'avanzo primario, che è quasi azzerato rispetto al circa 6 per cento del PIL che si aveva durante i governi di centrosinistra.
Sono dati allarmanti, che dimostrano l'infondatezza dell'ottimismo profuso dal Governo in questi anni. Anziché affrontare i nodi strutturali del nostro apparato produttivo, il Governo ha preferito continuare nelle autocelebrazioni, ingannando se stesso e il paese. Certo, il sistema industriale italiano ha le sue responsabilità per la bassa crescita complessiva e pesanti sono anche quelle del sistema bancario e di alcune authority, che non hanno svolto bene le proprie funzioni di vigilanza. Ma le responsabilità del Governo sono pesanti ed enormi.
Vi è stata un'eccessiva finanziarizzazione dell'economia ed un aumento delle operazioni di pura speculazione, tutto a danno dell'economia reale e delle attività produttive. Il centro studi della Banca d'Italia ci ricorda che, per innalzare il grado di concorrenza dei nostri prodotti sui mercati, occorre urgentemente ammodernare il nostro sistema produttivo. Da anni andiamo ripetendo che occorre investire nella ricerca e


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nell'innovazione tecnologica, che occorre specializzare e qualificare i nostri prodotti per competere sui mercati globali e cogliere le grandi occasioni offerte dagli stessi paesi emergenti, Cina ed India, che non possono continuare ad essere considerati soltanto come concorrenti pericolosi; anzi, proprio il ritmo di crescita, tra l'8 ed il 10 per cento, che si registra in questi paesi, offre, alle imprese europee ed italiane, nuovi mercati immensi e nuovi consumatori cui fornire prodotti di qualità e di eccellenza. In pratica, questo secolo, che viene definito come il secolo «cinese», non deve far paura ma deve invece suscitare innovazioni, speranze e fiducia.
In questo scenario, la nuova finanziaria ed il provvedimento in discussione sono iniqui e contraddittori, oltre che scarsamente efficaci. Per tentare di far quadrare i conti, si usa l'ascia contro gli enti locali, si riducono i trasferimenti agli enti locali, ai comuni e alle regioni, che oggettivamente riverbereranno i loro effetti negativi sul costo dei servizi per i cittadini. Si pensa di salvarsi l'anima incentivando la partecipazione dei comuni al contrasto dell'evasione fiscale, attribuendo loro il 30 per cento delle maggiori somme riscosse per quanto riguarda i tributi statali. È una norma difficilmente attuabile, come sostiene la stessa Associazione nazionale dei comuni. L'evasione e l'elusione fiscale, come il sommerso, vanno combattuti, anzitutto, dimostrando che vi è una forte volontà politica, con un chiaro ed inequivoco indirizzo in tal senso alla Guardia di finanza, alle agenzie fiscali, agli ispettorati del lavoro.
La finanziarizzazione dell'economia, assai deleteria per l'economia reale, per quella produttiva e non speculativa, impone l'obbligo di indirizzare le verifiche e gli accertamenti anzitutto nei confronti delle grandi società, magari a partire da quelle quotate, nei confronti dei tanti speculatori (non faccio nomi in quanto li conosciamo tutti i grandi emersi sulla stampa nei mesi scorsi). Invece, a costoro, agli immobiliaristi d'assalto, agli evasori e agli esportatori illegali di capitali all'estero, il Governo ed il centrodestra hanno dato lo scudo fiscale ed il condono. Altro che lotta all'evasione! Con le vostre scelte, voi la incentivate! La politica fiscale del Governo ha favorito questi signori e ha favorito anche i contribuenti con redditi alti. È innegabile che, a fronte di qualche euro per i percettori di redditi bassi, i maggiori benefici della cosiddetta


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riforma fiscale di Tremonti sono andati ai contribuenti con redditi superiori agli 80 mila euro. Ai lavoratori non è stato restituito neanche il fiscal drag.
Del resto, il Governo si è impantanato sul decreto relativo al TFR. Al riguardo, sono state svolte considerazioni circa il blocco di questo importante provvedimento, che il ministro Maroni, gliene voglio dare atto, sostiene con tenacia, ma che trova ostacoli forti nel Presidente del Consiglio per ovvi motivi, per il conflitto di interesse che anche in questo campo egli ha.
Non sono state privilegiate le famiglie numerose, né quelle nel cui seno vi sono anziani o portatori di handicap. Occorre davvero rivedere la politica fiscale e la politica di sostegno alle famiglie, che, non lo dimentichiamo, per fortuna restano ancora un baluardo in questa fase di decadenza e disgregazione della società italiana, forse l'unico baluardo nella difesa e nella pratica dei veri valori del nostro popolo, compreso il valore della solidarietà.


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Non potete pensare di sostenere le famiglie con un bonus per i figli nati nel 2005; ci vuole ben altro! Allevare, educare ed istruire i figli costa, e tanto. E poi occorre il lavoro per i figli. Questo è il problema che angoscia le famiglie normali di questo nostro paese, a partire da quelle che risiedono nelle aree del Mezzogiorno.
Proponete la riduzione dell'1 per cento del cuneo contributivo a favore delle imprese per abbattere il costo del lavoro. Ricordo che il centrosinistra - in particolare, il collega Pinza, qui presente - più volte ha ricordato in questa sede la necessità della riduzione del cuneo contributivo e fiscale. Per le imprese gli oneri sono sicuramente eccessivi; però, il gap delle imprese italiane e la loro scarsa competitività dipendono soprattutto dalla loro scarsa produttività.
Il citato centro studi della Banca d'Italia ci fornisce qualche dato su cui riflettere. Nel primo semestre del 2005, nel settore dell'industria, il costo del lavoro per unità di prodotto è salito del 4,1 per cento a fronte del 2 per cento della Spagna e di una diminuzione dello 0,9 per cento registratasi in Francia e del 3, 2 per cento in Germania. Ma tale differenza, ci ricorda il centro studi, non dipende dai salari, visto che l'incremento del costo del lavoro per dipendente nel nostro paese è in linea con quello degli altri paesi europei, anzi è inferiore a quello spagnolo ed a quello francese. È, invece, la produttività ed il valore aggiunto che sono più ridotti rispetto agli altri paesi europei concorrenti. Di ciò deve essere consapevole il Governo e lo stesso mondo imprenditoriale che spesso tende a scaricare le proprie responsabilità ed inefficienze sui lavoratori. Comunque, a carico delle imprese voi realizzate un'operazione penalizzante quando, con il provvedimento in esame, si estende a 20 anni il periodo di ammortamento dell'avviamento, con un onere a carico delle imprese pari a 1.680 milioni di euro. Proponete, poi, anche una norma relativa all'ammortamento del leasing in atto (ricordo che si tratta di quello stipulato dai piccoli artigiani, dalle piccole imprese). Altro che sostegno alle attività imprenditoriali! Voi li penalizzate!
In pratica, nei confronti delle imprese voi usate, in un certo senso, il bastone e la carota perché, da un lato, riduce dell'1 per cento il cuneo fiscale e contributivo e promettete benefici


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futuri ed incerti per i distretti industriali, ma, dall'altro, allungate da subito il periodo di ammortamento che comporterà per le imprese maggiori oneri, quantificati, come detto, in 1.680 milioni di euro. La stessa disciplina fiscale sulle plusvalenze e sulle minusvalenze risulta contraddittoria, almeno per quanto riguarda i termini temporali, come giustamente ha evidenziato in Commissione il collega Leo. Ma, a proposito di plusvalenze, va detto con estrema chiarezza che esse vanno tassate adeguatamente per evitare scandalose speculazioni come quelle evidenziatesi nei mesi estivi relativamente alle vicende bancarie e all'immobiliarista Ricucci e agli altri soci occulti del banchiere Fiorani. Così come vanno tassate adeguatamente le speculazioni immobiliari che, anche a seguito delle dismissioni del patrimonio pubblico, hanno generato un'abnorme lievitazione dei prezzi degli immobili e guadagni sicuramente rilevanti per le grandi società immobiliari di cui non conosciamo a quali e a quanti controlli fiscali sono state assoggettate nel frattempo.
Circa l'esenzione dal pagamento dell'ICI per gli immobili di proprietà della Chiesa e destinati ad attività non di culto, non voglio esprimere considerazioni che potrebbero portare ad un dibattito del tutto fuori luogo e sicuramente deviante su laici e cattolici e sui rapporti con il Vaticano. Mi limito, quindi, ad evidenziare, come ha fatto recentemente l'ANCI e lo stesso assessore del comune di Roma, che questa norma, di fatto, crea un buco nelle entrate dei comuni ed, in parte, dello Stato, per cui necessita di un'adeguata copertura.
La lotta all'evasione fiscale, cui dovrebbe mirare questo provvedimento, contrasta con la mancanza di una politica per potenziare le strutture ed il personale dell'Agenzia delle entrate, delle dogane e della Guardia di finanza. Si istituisce la società Riscossione Spa con l'intento di rendere più efficace l'attività di riscossione dei tributi che, allo stato, risulta essere del tutto inadeguata, se è vero che su dieci lire accertate se ne riscuotono effettivamente soltanto tre.
A volte, sono posti in essere atti di vera e propria angheria nei confronti dei contribuenti, in numerosi casi vittime delle ganasce fiscali applicate ai loro automezzi o, peggio, dell'ipoteca sulla casa e sugli immobili, anche per somme irrisorie.
L'istituzione di Riscossione Spa è frutto di improvvisazione. Così come formulata, essa suscita grande preoccupazione, perché lascia supporre, da un lato, un regalo alle banche


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concessionarie e, dall'altro, la volontà di costituire una serie di altre società affiliate a Riscossione Spa che sicuramente contrasta con l'esigenza di contenimento della spesa pubblica.
Lo stesso dicasi per l'ANAS, alla quale si consentirà di costituire altre società a cui cedere la gestione di strade e autostrade, sulle quali imporre, poi, il pedaggio. Per l'ANAS, per Riscossione Spa, per Sviluppo Italia e finanche per l'ISTAT il Governo dà il via, con le norme in approvazione, ad una incontrollata proliferazione di società che aggraverà la finanza pubblica del nostro paese ed arricchirà qualche privato - magari già individuato dal Governo - che si accinge a cogliere l'occasione della costituzione delle indicate società miste.
Ma il Governo non ha fatto né fa nulla di concreto per ridurre la spesa pubblica. Il numero delle consulenze alle quali hanno fatto ricorso i vari ministri è esorbitante: il solo ministro Tremonti, al Ministero dell'economia e delle finanze, aumentò da 65 a 170 il numero dei consulenti! Vedremo se vi sarà effettivamente una riduzione delle consulenze, come prevede il decreto-legge: la devono fare le regioni ed i comuni, ma la facciano innanzitutto i ministri!
In questo contesto, in verità, sarebbe quanto mai opportuno che il Governo ed i singoli ministri evitassero le situazioni di cumulo di incarichi e cariche in capo ai dirigenti dei vari ministeri e delle varie agenzie e amministrazioni statali. Queste situazioni determinano inefficienze, non potendo lo stesso soggetto svolgere tanti e diversificati compiti: egli può soltanto godere, tutt'al più, di un esorbitante cumulo di emolumenti!
Noi abbiamo presentato una serie di emendamenti finalizzati a rendere più efficace il contrasto all'evasione, anche con la previsione dell'interdizione per coloro che evadono per certi importi. Abbiamo presentato emendamenti per agevolare i consumatori, cioè gli utenti di servizi quali fornitura di luce, gas, e via dicendo, nonché per rendere più equo il rapporto con alcuni territori che contribuiscono non poco al bilancio energetico del paese. In questo caso, mi sia consentito fare riferimento specifico alle regioni nei cui territori vengono estratte risorse petrolifere. In tali regioni, occorrerebbe garantire ai residenti una riduzione delle accise sui prodotti petroliferi, a ristoro dei danni che essi subiscono (danni all'ambiente e ad attività tradizionali quali agricoltura e turismo).


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Non voglio farla lunga: il dibattito comunque svoltosi in quest'aula, anche se il Governo porrà la questione di fiducia, è stato puntuale ed ha evidenziato, da un lato, la necessità di un'inversione seria nella politica economica e fiscale del paese e, dall'altro, che l'attuale sarà l'ultima manovra di un Governo che ha fallito in tutta la sua azione di politica economica: è la fine ingloriosa del vostro irresponsabile ottimismo, che tanto male ha fatto alla nostra economia ed all'intero paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Onorevole Presidente, il provvedimento in esame arriva in Assemblea mentre dalle istituzioni internazionali, tra cui l'Unione europea, viene ribadito l'allarme sulla condizione economica dell'Italia: c'è il rischio serio che il nostro paese possa perdere, nei prossimi mesi, ulteriori quote di mercato sullo scacchiere del commercio internazionale, soprattutto a causa del peggioramento della competitività a livello di prezzi e di costi.


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Il decreto-legge in esame avrebbe dovuto affrontare queste tematiche. I settori produttivi, infatti, vanno aiutati con sgravi per chi investe e per chi assume. Anziché guardare in modo impassibile la delocalizzazione delle imprese, il Governo dovrebbe fare qualcosa per rilanciare la produttività delle aziende, per incentivare il trasferimento delle imprese dal nord al sud, per attirare le imprese straniere verso il Mezzogiorno. Dovrebbe promuovere un impegno per la sicurezza e la legalità, ma anche interventi legislativi che possano incidere per la ripresa dello sviluppo del Mezzogiorno.
Ci chiediamo dove siano finite le tante promesse formulate con l'insediamento del «Berlusconi-bis»: la riduzione dell'IRAP per le aziende del sud, la fiscalità di vantaggio per coloro che dovrebbero creare aziende nel Mezzogiorno. Tutte promesse svanite nel nulla. Bolle di sapone, le dichiarazioni di Tremonti, di Micciché, degli autonomisti siciliani! Nei mesi scorsi, hanno riempito i giornali di tante dichiarazioni e tutto è finito nel dimenticatoio!
In compenso, in questi giorni, alcuni organi di informazione siciliana hanno fatto da cassa di risonanza ad una euforia strumentale del presidente della regione siciliana sulla chiusura del contenzioso Stato-regioni, con riferimento all'attuazione degli articoli 37 e 38 dello Statuto, in parte anticipato in alcuni articoli di questo provvedimento. L'onorevole Cuffaro ha affermato testualmente: «È un momento storico per la Sicilia; finalmente, dopo quarant'anni, ci è stato concesso quanto ci spettava!».
Intanto, partiamo da un punto: noi avremo un riconoscimento di un diritto, non una concessione. Si tratta di un diritto che è stato riconfermato con la legge finanziaria del 2000, quando al Governo c'era il centrosinistra. Riguardo ai crediti vantati dalla regione, derivanti dalle quote IRPEF, IVA, imposte di fabbricazione sui prodotti petroliferi raffinati in Sicilia da parte delle aziende che, pur operando nel nostro territorio hanno sede legale fuori dalla Sicilia, e quelle relative alla produzione di energia elettrica, già nel 1996 la commissione paritetica Stato-regione definì i conteggi del dare e avere che risultarono 20 mila miliardi di vecchie lire, pari a circa 10.000 milioni di euro. Il conteggio era già allora calcolato al


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ribasso, quindi ben lontano dall'accordo che è stato firmato tra Governo nazionale e governo regionale, molto lontano dalle somme che sono predisposte in questo provvedimento.
Francamente, non si comprende tutto questo trionfalismo non solo se si tiene conto che i contributi alla regione siciliana, a fronte di imposte sulla assicurazione RC auto, furono bloccati dal ministro dell'economia di questo Governo nel 2002 e ora riconosciuti a seguito di una sentenza della Corte costituzionale, ma anche se si collega tutto ciò agli effetti che deriveranno dalle riforme costituzionali volute dalla maggioranza di centrodestra su settori delicati, come quelli dell'assistenza alla salute.
Proprio in Sicilia si determinerebbero condizioni disastrose. Oggi, infatti, la regione siciliana appronta i propri livelli essenziali di assistenza con un forte contributo di solidarietà dello Stato. Se dovesse venire meno l'attuale fondo perequativo, sarebbe impossibile garantire l'universalità del diritto alla salute. È per questo che non voteremo questo provvedimento, che non ci fa per nulla gioire e ci prepareremo ad una battaglia per un referendum che dovrà spazzare via una delle pagine più nere della nostra democrazia.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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