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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna, dell'Associazione Donne in genere, di associazioni di donne immigrate (Associazione Donne in rete per lo sviluppo e per la pace e Associazione italiana donne per lo sviluppo-AIDOS), dell'Associazione Il melograno-Centro di informazione maternità e nascita.
Avverto che i rappresentanti dell'associazione Donne in rete per lo sviluppo e
per la pace hanno comunicato di non poter partecipare all'audizione e che invieranno memorie scritte.
Sono presenti la dottoressa Elisabetta Canitano per l'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna, la dottoressa Rita Corneli e la dottoressa Emma Avallone per l'Associazione Donne in genere, la dottoressa Daniela Colombo e la dottoressa Antonietta Cilumbriello per l'Associazione italiana donne per lo sviluppo-AIDOS e la dottoressa Raffaella Scalisi per l'Associazione Il melograno-Centro di informazione maternità e nascita.
Do la parola ai nostri ospiti, ringraziandoli per la presenza.
ELISABETTA CANITANO, Presidente dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna. Sono la presidente di una delle associazioni che gestiscono la Casa internazionale delle donne, lavoro presso un consultorio familiare - quindi, svolgo un doppio ruolo - ed eseguo interruzioni di gravidanza da 25 anni.
La legge n. 194, per la parte relativa all'interruzione volontaria della gravidanza, è stata applicata in tutta Italia, perché il problema rivestiva un carattere di urgenza. Poiché la donna dispone di un determinato arco di tempo entro il quale può interrompere la gravidanza, gli ospedali che non garantivano l'applicazione della legge sono stati costretti ad organizzarsi, a volte a seguito di interventi diretti da parte delle procure.
Occorre tenere in considerazione le differenze tra le varie regioni. La Puglia applica la legge, convenzionando ospedali e case di cura private. La Basilicata per anni non l'ha applicata, per il fatto che la Puglia, convenzionando all'esterno, non aveva alcun tetto. In alcune realtà non esistono medici non obiettori, quindi vengono assunti da fuori; nel nord, invece, è più frequente il contrario. Dunque, esistono varie realtà. Tuttavia, in questi anni, sono stati superati anche i momenti più critici (lunghe liste di attesa e varie difficoltà); era impossibile non affrontarli da un punto di vista legale.
Il problema dell'applicazione della legge n. 194 nel suo complesso è che non gode di alcuna protezione legale; può essere quindi applicata o disapplicata, senza che vi sia alcun tipo di controllo o di pressione.
Il numero dei consultori dovrebbe garantire un'adeguata assistenza (uno ogni ventimila abitanti). Tuttavia, non è prevista una specifica sanzione nei confronti di chi non applica questa disposizione di legge. Di conseguenza, se c'è un consultorio ogni duecentomila abitanti non succede nulla. Se l'offerta è cinque rispetto ad una necessità pari a cento, l'offerta non varia. Il consultorio apre soltanto la mattina? Pazienza. Il sabato è sempre chiuso? Pazienza.
Giustamente, si è fatto riferimento alle immigrate, che rappresentano un terzo delle persone che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza. Molte di esse, però, non possono usufruire dei nostri servizi, perché la mattina non sono libere, non è consentito loro uscire. Nonostante sia previsto un servizio di assistenza per gli stranieri clandestini, molti di essi, non essendo protetti a livello lavorativo, non possono uscire durante l'orario di lavoro. Inoltre, non esiste una disposizione che costringa gli uffici che erogano tali servizi ad essere aperti negli orari in cui la gente non lavora.
L'associazione Vita di donna presta un servizio di consulenza e-mail. Due volte al giorno rispondiamo gratuitamente alle e-mail provenienti da tutta Italia. Il grado di disinformazione sull'esistenza dei servizi è altissimo. Riceviamo e-mail dalla Lombardia, dal Veneto, dal Piemonte, dall'Emilia Romagna, in cui ci chiedono: «Conto i giorni, non ho usato questo, che devo fare? Con chi ne parlo?». Noi abbiamo in rete i consultori, indichiamo i numeri di telefono, svolgiamo la ricerca dei servizi. Spesso telefoniamo agli ospedali per attivare il contatto con l'utenza che non riesce a raggiungere il servizio di cui ha bisogno.
In cosa manchiamo, fondamentalmente? Manchiamo in informazione ed accoglienza. Le donne (ne sono a conoscenza anche gli uomini) sono costrette a chiedere del proprio ginecologo, un professionista che esse pagano per ottenere informazioni e protezione (che poi li ricevano, è un altro problema). I servizi erogati dalla medicina privata sono migliori. Quando i servizi non esistono, le persone sono costrette a muoversi individualmente. Questo, ovviamente, sfavorisce le categorie più deboli che non possono accedere a tali servizi. Mi riferisco alle nostre immigrate, alle nostre ragazze, alle nostre donne. Ultimamente, ci ha scritto una donna che chiedeva: «Il mio ginecologo ed il mio medico sono amici di famiglia. Posso parlare con voi?». È una tragedia.
Un altro aspetto riguarda le scuole. Il paese che ha il più basso tasso di aborti volontari è l'Olanda. In Olanda, in fase di ultima vaccinazione - 14 anni -, agli adolescenti viene fornito un profilattico con due righe di spiegazione sulla sua utilità e sul suo utilizzo. Finché non accettiamo il fatto che l'attività sessuale è connaturata all'essere umano, a noi spetta ridurre i rischi che gli esseri umani corrono quando fanno attività sessuale; è chiaro che i rischi e le conseguenze cui vanno incontro non siamo in grado di prevenirli.
RITA CORNELI, Presidente dell'Associazione Donne in genere. Signor presidente, onorevoli membri della Commissione, vorrei presentare in pochissime parole la nostra associazione. Alcuni la conoscono, ma, probabilmente, non il presidente ed altri commissari.
Abbiamo preparato un intervento scritto molto breve per cercare di essere puntuali, di velocizzare i vostri lavori e per dare al presidente e ai membri della Commissione la possibilità di chiedere chiarimenti ed esprimere osservazioni anche rispetto alla nostra esperienza.
Donne in genere è nata a Roma come collettivo di donne nel 1993 e si è costituita in associazione nel 1995. La nostra finalità ed il nostro impegno sono rivolti alla difesa e all'estensione dei diritti e delle libertà femminili.
Nel 1997 abbiamo aperto a Roma il Centro donna LISA: LISA è un acronimo e sta per «libertà, internazionalismo, soggettività, autodeterminazione». Il centro svolge diverse attività completamente gratuite rivolte alle donne e si autofinanzia. Le più importanti attività riguardano le tematiche che ora andrò elencando.
Violenza contro le donne: da anni realizziamo, in collaborazione con gli enti locali, progetti di prevenzione della violenza rivolti ad adolescenti e adulti ed offriamo presso il nostro centro accoglienza, sostegno e consulenza legale alle donne che l'hanno subita.
Donne, sessualità e salute riproduttiva: dalla sua costituzione, Donne in genere fa parte della consulta dei consultori del comune di Roma. Lavoriamo in rete con i consultori familiari pubblici e svolgiamo seminari, incontri e dibattiti sulla salute delle donne sia presso la nostra struttura sia nelle scuole secondarie superiori.
Immigrazione ed interculturalità: svolgiamo attività di formazione, corsi di italiano e di informatica per le immigrate, servizio di consulenza su diritti, servizi ed opportunità, incontri e attività tra migranti e native.
Pace e solidarietà internazionale: abbiamo realizzato progetti di cooperazione internazionale e di empowerment per le donne e le adolescenti del sud del mondo e promosso incontri con le tante esperienze dell'associazionismo femminile internazionale.
Collaboriamo inoltre a livello locale, nazionale ed internazionale con le varie reti di associazioni e non, costruite dalle donne.
Per tornare al tema specifico dell'audizione, ossia l'indagine conoscitiva sull'attuazione della legge n. 194, con particolare riferimento all'attività consultoriale, crediamo di poter offrire un contributo alla riflessione anche a partire dal nostro parziale osservatorio. In questi tredici anni di attività i consultori pubblici sono
stati per l'associazione un punto di riferimento indispensabile per le molte donne, giovani e adulte, italiane e immigrate, che si sono rivolte al nostro centro per chiedere informazioni e sostegno riguardo ai problemi inerenti la loro salute riproduttiva.
Nello specifico, le richieste di informazione hanno riguardato la dislocazione sul territorio dei consultori, i metodi contraccettivi, le modalità dell'interruzione volontaria di gravidanza, la pillola del giorno dopo, la RU 486, la richiesta di sostegno psicologico ed altro ancora.
In tutte queste occasioni abbiamo sempre trovato, nei limiti della disponibilità delle risorse professionali che operavano nel singolo consultorio, un'équipe multidisciplinare con buona professionalità, ma soprattutto molto motivata alla presa in carico del problema posto dalla donna da noi inviata. In particolare, per quanto riguarda la richiesta di interruzione volontaria di gravidanza, la nostra esperienza ci conferma che tutti i consultori sono in grado di attuare la legge n. 194 per la presenza indispensabile di medici non obiettori. I consultori erano e sono strutturati ed organizzati come previsto dalla legge e contribuiscono in maniera significativa, nel rispetto della dignità e della scelta individuale della donna, a rendere più umano un percorso per un intervento sanitario che, in molti casi, può rappresentare nella vita di una donna un evento traumatizzante.
Un aspetto molto importante concerne la stretta collaborazione con gli ospedali. Gli ospedali, infatti, attraverso la segnalazione del consultorio, inseriscono la donna nella loro lista di richieste di interruzione volontaria di gravidanza, incidendo così fortemente sui tempi di attesa per l'intervento che rappresentano, molto spesso, uno dei fattori più importanti di diminuzione del senso di disagio, di malessere ed anche di sofferenza per le donne che hanno scelto di interrompere la gravidanza.
Purtroppo, abbiamo potuto verificare per esperienza diretta, e non solo per conoscenza di puri dati statistici, un disinteresse istituzionale sempre più crescente rispetto a questo importante servizio di prevenzione. Solo per rimanere a livello di Roma, provincia e regione Lazio, in questi anni abbiamo avuto continue segnalazioni e riscontrato personalmente un'enorme sofferenza del servizio. Tantissimi consultori sono stati chiusi per la fatiscenza dei locali o per la mancanza di personale e quelli esistenti operano molto spesso in situazioni di carenza di organico con scarse risorse di strutture, strumenti e materiali (vetrini, pap test, spirali e via dicendo) e in locali assolutamente inadeguati, in particolare rispetto al diritto alla privacy, alla dislocazione, alle esigenze degli adolescenti.
In questi ultimi dieci anni siamo stati chiamati sistematicamente ad intervenire per impedire che alcuni consultori chiudessero, per fare in modo che fosse rispettata la pianta organica prevista per legge, che non fosse interrotto il servizio per l'attuazione della legge n. 194, per assenza di medici non obiettori, e per far sì che i consultori, per l'inadeguatezza dei locali e per la scarsità di risorse umane e strumentali, non si trasformassero in semplici servizi ambulatoriali.
Purtroppo, questa situazione ha inciso gravemente rispetto alle grandi potenzialità che, nei primi anni di attuazione della legge n. 405, si sono potute esprimere sul territorio, realizzando una politica efficace di prevenzione con una forte visibilità resa possibile attraverso strumenti informativi sull'attività consultoriale, l'intervento sistematico di educazione sessuale nelle scuole, la possibilità per gli operatori e le operatrici di farsi conoscere nei quartieri come punti di riferimento per le donne rispetto alle tematiche che riguardano la contraccezione, la prevenzione dei tumori femminili, il percorso maternità, l'IVG, le malattie sessualmente trasmissibili e soprattutto attraverso il peculiare e significativo tratto che distingue il consultorio da un semplice ambulatorio, vale a dire la disponibilità di un'équipe multidisciplinare e le modalità di accoglienza dell'utenza.
Solo per fare alcuni esempi concreti, ricordiamo che nel IV municipio (ma a Roma avveniva anche in molti altri quartieri) anni fa era in funzione un pullmino messo a disposizione dei consultori che si posizionava nei luoghi più frequentati da donne (piazze, mercati e scuole), offriva materiali informativi e, in alcuni periodi, dava la possibilità di effettuare il pap test - che all'epoca non era ancora prassi consolidata di prevenzione tra le donne - all'interno dello stesso pullmino, adeguatamente attrezzato dal punto di vista sia degli strumenti sia del personale.
Nei nostri innumerevoli incontri nelle scuole secondarie superiori, consapevoli della concreta richiesta di ricorso all'IVG da parte delle adolescenti, abbiamo sempre chiesto se fossero a conoscenza dell'esistenza dei consultori e della loro ubicazione ed ogni volta è emerso che la maggior parte degli adolescenti e delle adolescenti ne era completamente ignara.
Anche per quanto riguarda la situazione delle donne immigrate, attraverso l'attività che svolgiamo al Centro donna, attraverso la conoscenza delle donne che si rivolgono alla nostra struttura per chiederci informazioni o aiuto rispetto ai loro problemi e attraverso l'intervento che abbiamo svolto nelle scuole con i corsi rivolti alle immigrate, emerge che moltissime di loro non hanno informazioni sull'esistenza e le attività dei consultori. Non sanno, ad esempio, che il servizio è completamente gratuito; non sono a conoscenza della possibilità di accedervi attraverso il tesserino sanitario rilasciato dalla ASL anche per coloro che non sono in possesso di permesso di soggiorno.
In particolare, per quanto riguarda l'alta percentuale di immigrate che fanno ricorso all'IVG, e di frequente sono recidive, a partire della nostra esperienza, vorremmo sostenere l'importanza fondamentale dell'inserimento nella pianta organica dei consultori delle mediatrici culturali. Siamo a conoscenza che solo alcuni consultori, se hanno sottoscritto convenzioni, qualche volta utilizzano questa figura professionale.
Vogliamo raccontare un caso di cui siamo venuti a conoscenza pochi giorni fa. È stata chiamata da un consultorio una mediatrice culturale di origine etiope con la quale collaboriamo da anni, perché, per la quarta volta, una donna immigrata faceva ricorso all'IVG, nonostante che tutte le volte fosse stata messa a conoscenza dal servizio dei metodi contraccettivi e dei rischi per la salute. Al colloquio con la mediatrice culturale, la donna è stata in grado di raccontare tutta la sua storia. Era allergica alla pillola anticoncezionale, che le recava gravi disturbi, e sistematicamente veniva violentata dal marito. L'utilizzo della mediatrice ha permesso non solo il ricorso a metodi contraccettivi più individualizzati ma, soprattutto, l'inizio di un percorso che consentisse alla donna di uscire dalla spirale della violenza che continuava a subire.
Per quanto riguarda, invece, più in generale, l'applicazione della legge n. 194, vorremmo sottolineare la grave difficoltà che reca il fenomeno diffusissimo dell'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Nel pieno rispetto della libertà di coscienza di ognuno e di ognuna, crediamo che si debba soddisfare per legge l'esigenza che nelle strutture pubbliche, consultori e ospedali, sia comunque garantita la presenza di non obiettori per vari ordini di motivi, tra cui quello di facilitare le donne a rivolgersi al più vicino consultorio rispetto al luogo di abitazione, incidendo, così, sull'alta percentuale di donne italiane che si rivolgono al medico di famiglia o ad altro specialista al fine di ottenere la certificazione richiesta per l'IVG. Crediamo, infatti, che questo fenomeno potrebbe essere anche causato da una scarsa conoscenza dei servizi sul territorio e dalle difficoltà che le donne incontrano nel reperire un consultorio con disponibilità di medici non obiettori. Questo eviterebbe anche i tempi lunghi delle liste di attesa negli ospedali - i quali rendono ancora più difficile e dolorosa la scelta di IVG per la donna - e solleverebbe il personale sanitario che attua
l'interruzione volontaria di gravidanza da un carico di lavoro da molto tempo divenuto insostenibile.
Inoltre, vorremmo sottolineare che in molte strutture ospedaliere l'interruzione volontaria di gravidanza viene effettuata nello stesso reparto maternità, con grande disagio e sofferenza per le donne che hanno compiuto una scelta diversa. Evidenziamo anche i problemi delle donne che durante il weekend si sono rivolte al nostro centro per le difficoltà che hanno incontrato negli ospedali per la prescrizione della pillola del giorno dopo. Queste donne, naturalmente, non hanno potuto fare riferimento, nelle giornate del sabato e della domenica, al loro medico di famiglia. Noi stesse siamo intervenute presso tali strutture ospedaliere, senza riuscire, però, a superare il problema, la cui soluzione - con la distribuzione, ai pronto soccorso ospedalieri, della pillola del giorno dopo - eviterebbe il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza e tutto ciò che essa comporta per la vita di una donna.
Per concludere, ribadiamo la nostra ferma convinzione che il consultorio, così come previsto dalla legge, sia ancora, in Europa, una delle strutture sanitarie più all'avanguardia. Occorre, però, intervenire con urgenza per adeguarne il numero (uno ogni ventimila, recita la legge) e le strutture (in moltissimi casi in stato di abbandono); ristabilirne le piante organiche, negli anni drasticamente depauperate; aprirne di nuovi, specificatamente rivolti agli e alle adolescenti per favorire il loro accesso; effettuare un'attiva ed efficace offerta sul territorio, come avveniva nei primi anni di applicazione della legge; inserire stabilmente nella loro pianta organica la figura dei mediatori culturali. Crediamo che, attraverso queste misure di potenziamento dei consultori, si possa incidere ulteriormente per una drastica riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza.
DANIELA COLOMBO, Presidente dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS). Presidente, mi permetta di parlare brevemente dell'AIDOS, che è una ONG di cooperazione allo sviluppo - riconosciuta dal Ministero degli affari esteri, con status consultivo presso l'Ecosoc delle Nazioni Unite - e rappresenta il punto di riferimento focale, in Italia, del fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Nei paesi in via di sviluppo uno dei nostri principali settori di intervento è la garanzia della salute sessuale e riproduttiva. In Italia, collaboriamo con le organizzazioni nazionali che lavorano ad ampio spettro con gli immigrati, come la Caritas, per far conoscere le condizioni di partenza, le culture e le pratiche che donne provenienti da moltissimi paesi portano con sé anche in questo ambito. Riteniamo, inoltre, che la contraccezione e l'aborto non possano essere considerati separatamente ma debbano essere concepiti unitamente, nel quadro di un approccio integrato olistico alla salute sessuale e riproduttiva, in tutto il ciclo della vita delle donne e con il coinvolgimento degli uomini.
L'Italia era vista, fino a poco tempo fa, come un esempio positivo da proporre agli altri paesi. Questo perché la legge n. 194 era stata preceduta dalla disciplina sui consultori familiari (legge n. 405) la quale - configurando un approccio integrato alla salute sessuale e riproduttiva - veniva ritenuta un modello all'estero.
Alla luce di queste premesse, anche l'AIDOS ha preso a modello il consultorio - perlomeno nella sua configurazione ottimale realizzata da alcune regioni italiane (esistono, infatti, anche esempi molto positivi nel nostro territorio) - e lo ha esportato, utilizzandolo come prototipo in moltissimi paesi dell'America latina (dall'Argentina al Venezuela), come pure in Medio Oriente. Abbiamo due consultori nella striscia di Gaza, uno in Giordania, ne stiamo aprendo un terzo in Africa, un quarto in Burkina Faso, uno in Nepal: quelli richiamati sono tutti considerati progetti modello e ad essi i Governi di tali territori fanno riferimento. Era questa la fisionomia ideale del consultorio italiano: essa non prevedeva soltanto servizi di
salute ginecologica primaria, contraccezione ad ampio spettro, prevenzione del cancro all'utero e alla mammella, cure pre-parto, assistenza post-parto - peraltro importantissima - ma anche assistenza psicologica, sociale e legale (inclusa la prevenzione della violenza di genere, soprattutto violenza contro le donne), un approfondito lavoro con le adolescenti, con il maggior coinvolgimento possibile degli uomini.
Tornando all'attività della nostra associazione, l'AIDOS svolge un considerevole lavoro a livello internazionale e vorrei, in proposito, richiamare gli impegni assunti dal Governo italiano in tale campo, giacché a questi si dovrebbe guardare, verificando l'attuazione delle nostre leggi in Italia. Il Governo italiano nel 1994 ha firmato il programma d'azione della Conferenza su popolazione e sviluppo del Cairo. Era in carica il primo Governo Berlusconi, il capo delegazione era il ministro Guidi ed il programma d'azione è stato approvato senza nessuna riserva da parte del Governo italiano (in quell'occasione, fu piuttosto la Santa Sede ad avanzarne, ma questo appartiene ad un'altra sfera). Ho portato con me dei documenti - che è mia intenzione consegnare alla Commissione -, alcuni dei quali in lingua inglese (essendo stato impossibile tradurli, per difetto di tempo).
Tra questi, vi è un documento dell'Unione europea - più esattamente del gruppo di esperti sull'obiezione di coscienza, del dicembre 2005 - che noi riteniamo estremamente importante. La salute riproduttiva non è una brutta parola, né un'espressione ambigua come spesso leggiamo (ad esempio nei giornali dei «neocon»). La salute riproduttiva - cito testualmente quanto asserito nel programma d'azione del Cairo - «è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente un'assenza di malattie e di infermità su tutti gli aspetti relativi all'apparato riproduttivo, ai suoi processi e alle sue funzioni. La salute riproduttiva implica, quindi, che le persone abbiano una vita sessuale soddisfacente e sicura, che abbiano la possibilità di procreare e libertà di decidere se, quando e quanto spesso farlo. Implicito in quest'ultima condizione è il diritto di uomini e donne ad essere informati e avere accesso a metodi di pianificazione familiare di loro scelta, che siano sicuri ed efficaci, economicamente accessibili e accettabili, come anche a metodi di regolazione della fertilità di loro scelta che non siano contrari alla legge, e il diritto di accesso a servizi sanitari appropriati che permettano alle donne di affrontare la gravidanza ed il parto con sicurezza e offrano le migliori opportunità di avere un bambino sano». Il programma d'azione del Cairo dà anche una definizione di diritti riproduttivi e - in ultimo - afferma: «è compreso in tali diritti, il diritto di tutte e tutti di prendere decisioni, in materia di riproduzione, libere da discriminazioni, coercizione e violenza, come esplicitato nei documenti in materie umane».
Recentemente, tra l'altro, anche la Commissione sui diritti umani ha emesso una prima sentenza su un caso di aborto in Cile, condannando quel paese per non aver reso accessibile l'aborto ad una donna. Per quanto riguarda l'aborto definito «unsafe», cioè «non sicuro», il programma d'azione afferma che «tutti i Governi sono sollecitati a rafforzare i propri impegni nei confronti della salute della donna, e ad occuparsi dell'impatto sulla salute dell'aborto a rischio» - in Italia diremmo «aborto clandestino» - «inteso come importante problema di salute pubblica, e a far diminuire il ricorso all'aborto tramite servizi di pianificazione familiare potenziati e migliorati. In tutti i casi, le donne devono avere accesso ai servizi di qualità per affrontare le complicazioni dovute all'aborto».
Nel documento finale approvato a seguito della revisione del programma d'azione del Cairo - io stessa ho fatto parte, insieme al professor Golini, della delegazione italiana a ciò deputata -, si dice che, laddove l'aborto non è contro la legge, i sistemi sanitari devono formare ed equipaggiare il personale medico e paramedico
e prendere tutte le misure idonee ad assicurare un aborto «safe», ovvero sicuro, e accessibile, e le misure addizionali che dovessero essere necessarie per salvaguardare la salute delle donne.
Ho ritenuto necessario richiamare questi principi, depositando agli atti della Commissione una serie di documenti significativi al riguardo. Ritengo particolarmente rilevante far riferimento all'attuale contesto internazionale, perché di questo l'Italia è partecipe, come membro dell'Unione europea e del consesso delle nazioni: credo sia importante che il nostro paese porti anche in questo ambito l'esperienza positiva maturata.
Certamente, le donne hanno sempre abortito. Ho cominciato ad occuparmi della questione al nostro esame nel 1972, di ritorno da una missione di lavoro in Afghanistan. Le donne in Afghanistan abortiscono nel modo più terribile che abbia mai visto. Una donna si distende a terra e un'altra le lancia una pietra sul ventre. Abortiscono allo stesso modo in cui fanno abortire le pecore, per fare le pellicce di breitschwanz per le donne dei paesi ricchi. È spaventoso. L'Afghanistan è il paese che ancora oggi presenta un tasso di mortalità materna elevatissimo, dovuto in gran parte proprio a tali pratiche di aborto clandestino. Insieme all'Afghanistan, vi sono il Pakistan, l'India, il Kashmir, l'Iran (ecco perché Khomeini, nel 1989, ha emesso una Fatwa per permettere la contraccezione in tutte le sue forme, cioè una contraccezione moderna, e l'aborto, perché nell'Islam la vita inizia la sedicesima settimana).
Di questo dobbiamo tenere conto, nell'interlocuzione con le donne immigrate. Nel processo migratorio, infatti, le donne portano con sé anche le pratiche sia di contraccezione sia di aborto. A Roma, ad esempio, esiste un problema molto serio riguardo alle donne rumene. La Romania presenta il tasso di abortività più alto del mondo, insieme a Cuba e Vietnam. Questo perché durante il periodo della cortina di ferro non esistevano anticoncezionali, i servizi abortivi erano offerti gratis e quindi le donne abortivano e continuano a farlo nell'immigrazione. Per loro è un fatto abituale, non conoscendo altre forme di intervento. Possiamo poi citare il caso delle donne cinesi: la dottoressa Cilumbriello, che è qui con me, si occupa anche di medicina cinese e ci può spiegare come le donne cinesi abortiscono. Al riguardo, il fatto preoccupante è che stiamo assistendo ad una serie crescente di «do it yourself»: la RU 486 non è permessa nel nostro paese? Quelle donne riescono a procurarsela, magari vanno a prendere solo la seconda pillola che serve per l'ulcera duodenale ed è agevolmente disponibile. Generalmente, è sufficiente fingere di accusare un mal di pancia, perché il farmacista procuri loro la pillola in buona fede. La nostra esperta ginecologa - alla quale chiedo di intervenire in coda al mio intervento - potrà fornirvi tutti i chiarimenti sul fenomeno in atto.
Si dice che i consultori servano un terzo delle donne; sarebbe però più corretto asserire che questa percentuale corrisponde al numero delle donne informate: la realtà è che, purtroppo, nel nostro paese l'informazione manca. In tal senso, siamo stati molto dispiaciuti per le carenze registrate al riguardo: giustamente la Commissione per le pari opportunità - che io stessa rappresento nel Comitato interministeriale dei diritti umani, insediato presso il Ministero degli affari esteri - ha promosso una campagna di informazione per prevenire l'abbandono dei neonati - iniziativa in sé necessaria, giustificata dai frequenti casi di neonati lasciati morire nei cassonetti o nei giardini -; tuttavia, sarebbe stato opportuno promuovere anche una campagna informativa adeguata per raggiungere queste donne - che sono soprattutto immigrate, spesso impiegate come badanti, che non possono permettersi di mantenere un figlio - portandole a conoscenza dell'esistenza, nel nostro paese, della legge n. 194.
ANTONIETTA CILUMBRIELLO, Ginecologa e coordinatrice progetti sanitari dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo
(AIDOS). Vorrei soltanto aggiungere una considerazione sul tema affrontato. Oltre alle riflessioni della presidente Colombo sull'uso non corretto della prima e della seconda pillola e sul rischio di arrivare in ospedale con emorragie, a causa dell'assunzione di sole prostaglandine o di surrogato fitoterapico - come avviene spesso tra le cinesi - di RU 486, è necessario rilevare come le donne immigrate si trovino generalmente a vivere in situazioni completamente diverse da quelle del loro paese di origine, dal punto di vista sia sociale sia alimentare.
Al riguardo, si pone chiaramente anche un problema di natura preventiva per affrontare alcuni di questi fenomeni e i rischi ad essi correlati. Si pensi, ad esempio, al frequentissimo ricorso al taglio cesareo tra le donne filippine, strettamente correlato al turbamento del loro regime alimentare d'origine, e alla conseguente generazione di figli macrosomici: spesso sono proprio queste immigrate ad alzare il tasso dei tagli cesarei nel nostro paese. Ritengo necessario tener conto di questo (Commenti).
Da ultimo, la nostra esperienza dei consultori fuori dall'Italia è stata assolutamente di grande successo, perché siamo riusciti ad entrare in quel processo di continuità di cura che dovrebbe essere posto alla base del funzionamento dei consultori italiani. Per la prevenzione dell'aborto, la nostra azione si svolge ad ampio spettro, partendo dall'adolescenza - per esempio, attraverso le campagne di informazione nella scuola - fino ad arrivare alla menopausa: lo facciamo proponendoci in modo attivo, muovendoci su tutto il territorio. Lo screening del pap test, e quindi le campagne informative sulla prevenzione del cancro del collo dell'utero - con annessa offerta di esami gratuiti alle donne immigrate, cui agganciare una debita attività di informazione sul tema in discussione -, dovrebbero costituire un momento globale per riflettere sull'idoneità delle misure adottate e da adottare per la pianificazione familiare. L'integrazione non avviene soltanto all'interno dei consultori, ma deve riguardare un più ampio rapporto tra consultori e territorio. I nostri consultori funzionano per questa ragione, perché c'è realmente, alla loro base, il concetto del coinvolgimento attivo delle donne, per dare ad esse la possibilità di chiedere: in assenza di una corretta informazione, infatti, non si può capire neppure cosa domandare.
ELISABETTA CANITANO, Presidente dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna. Mi sia consentito aggiungere una breve considerazione. Dove facciamo interruzione di gravidanza, vediamo spesso donne rumene: al loro riguardo, l'entità del problema da affrontare è senza dubbio considerevole. Proprio tenendo conto della complessità del fenomeno, il nostro direttore generale, la dottoressa Giusy Gabriele, all'interno del servizio di interruzione di gravidanza, ci ha consentito di rendere disponibili le spirali, che noi applichiamo alla fine dell'intervento, attesa l'inesistenza di rischi correlati convalidata e riconosciuta a livello internazionale. Ebbene, le nostre ragazze rumene letteralmente ci baciano le mani quando offriamo loro la possibilità - alla fine dell'intervento - di applicare le spirali: non è vero che non vogliono ricorrervi, hanno semplicemente bisogno che l'accesso a tali strumenti sia reso agevole e facile.
PRESIDENTE. Questi problemi non sono nuovi, me ne occupavo già 25 anni fa. La loro rilevanza comunque si ridimensionò, anche in considerazione dei casi di espulsione e di discesa dal canale cervicale, pur in presenza di un indice di sicurezza abbastanza elevato.
RAFFAELLA SCALISI, Psicologa, socia fondatrice e membro del consiglio del Coordinamento Il melograno. Il nostro Coordinamento è un'associazione di livello nazionale, nata nel 1981; attualmente disponiamo di otto centri, dislocati quasi in tutto il territorio italiano e riuniti in un coordinamento nazionale. Inizialmente, i
primi centri erano siti a Verona e Roma; successivamente, ne sono stati istituiti altri a Gallarate, Ancona, Treviso, Vicenza, Pescara e Abbiategrasso. La nostra associazione annovera più di 11 mila iscritti. Non siamo, però, mai riusciti a valutare (come emerso in un recente convegno) il numero di tutte le donne che, oltre alle iscritte, hanno frequentato i nostri centri.
I centri del Coordinamento Il melograno sono nati per sostenere le donne nel periodo della maternità, seguendo il preciso principio di rispettare la scelta, libera e consapevole, delle donne in questa fase. Mi riferisco, in primo luogo, alla decisione di avere o no un figlio (è una libera scelta). Secondariamente, una volta deciso di tenere il figlio, occorre decidere sul luogo del parto, sulle modalità con cui far nascere il bambino, sull'allattamento e su tutte le successive scelte educative.
Ci ha ispirato, e tuttora ci ispira, l'idea che nessuna donna debba subire passivamente questo evento, né debba esserle detto cosa fare. Abbiamo pertanto lavorato a vari progetti e servizi, anche in convenzione con gli enti locali, grazie alla legge n. 285 del 1997 sulla protezione dell'infanzia. Abbiamo, quindi, dei progetti che non riguardano più solamente le nostre iscritte, ma che sono destinati a tutto il territorio di diverse città, come, ad esempio, Roma.
Pensare che le protagoniste debbano essere le donne è oggi diventato ormai uno slogan; in realtà non è solo uno slogan, ma è un principio ben preciso che comporta, ad esempio, anche che le donne non debbano essere lasciate sole. Questo è l'altro punto importante: non è sufficiente pensare che ognuno debba scegliere per conto proprio. Per poter effettivamente scegliere in piena coscienza e libertà, è necessario che le donne siano sostenute sotto vari aspetti.
È necessario sicuramente un sostegno in materia di prevenzione e di consapevolezza della scelta della contraccezione; inoltre, occorre un sostegno al momento del concepimento e poi nelle prime fasi, quando cioè è molto forte un certa ambivalenza. In maniera molto schematica, siamo portati a pensare che tutte le donne o siano felici di far nascere un figlio o siano contrarie. Non è così: nella scelta di avere un figlio vi è un forte elemento di ambivalenza, in cui poi prevalgono gli aspetti di accettazione, laddove si decide di far nascere il bambino. Non esiste però un sostegno che tenga conto di questo aspetto.
Uno dei primi elementi che abbiamo constatato, sin dall'inizio della nostra attività, è che in questi frangenti le donne erano sole e non osavano neanche porre la questione dell'ambivalenza da esse avvertita. I diversi episodi, come i casi di abbandono o di madri che lasciano i loro figli nei cassonetti o, addirittura, li uccidono sono solo la punta di un iceberg, che testimonia, in fondo, quanto sia difficile e dura per le donne questa fase. Ovviamente, portare avanti un figlio è molto bello, ma, per certi lati, è anche difficile e duro. Vi è grande solitudine, manca un sostegno, dal punto di vista affettivo ed emotivo, su tutti quei risvolti che la scelta di avere un figlio comporta.
Non voglio addentrarmi a lungo su questi aspetti, ma nelle donne è molto forte la paura del parto, che è stato reso un evento eccessivamente medicalizzato ed è stato sottratto al contesto quotidiano, familiare e affettivo, in cui è sempre avvenuto, che in parte rassicurava le donne. Oggi le donne, laddove scelgono di avere un figlio, hanno paura soprattutto dell'evento chirurgico; sotto questo aspetto non sono sostenute.
I corsi di preparazione al parto si stanno trasformando in corsi di accompagnamento alla nascita (i consultori per primi hanno cambiato questa dizione). Il Coordinamento Il melograno ha svolto corsi di formazione per gli operatori dei consultori delle ASL Roma B, Roma D e Roma F, recependo una forte richiesta degli stessi operatori di approfondire e cambiare le modalità di sostegno alle donne durante il periodo della gravidanza. In questi momenti di formazione, abbiamo colto la difficoltà degli operatori di riuscire ad offrire dei corsi di preparazione alla nascita che fossero prolungati nel
tempo e consentissero alle donne di partecipare sin dall'inizio della gravidanza. La preparazione non deve essere solo quella al momento del parto: è necessario un accompagnamento durante tutto il processo.
Gli operatori nei consultori sono pochi e non sono in grado di sopperire alle necessità. Sono molte le richieste di corsi di preparazione alla nascita che i consultori non riescono a soddisfare. Vi è però un forte desiderio di cambiare e di offrire corsi più rispondenti alle esigenze.
Vi è poi il tema del sostegno alla fase dopo il parto. Il nostro Coordinamento Il melograno ha sottoscritto una convenzione con il comune di Roma, in particolare con due municipi della capitale, prevedendo un sostegno alle donne a casa dopo il parto. Soprattutto, ricordo il progetto «Raggiungere gli irraggiungibili», che si occupa dell'assistenza domiciliare per tutto il primo anno di vita del bambino nelle situazioni più a rischio, laddove una gravidanza sopraggiunge in un contesto già di difficoltà del nucleo familiare. Si pensi ai problemi di povertà, di immigrazione, di tossicodipendenza, di madri single, di solitudine. Si tratta di uno dei progetti, avviati grazie alla legge n. 285 del 1997, di sostegno alla fase successiva al parto.
Con il primo municipio di Roma abbiamo avviato un progetto che non è rivolto solamente ai casi, per così dire, peggiori, ma anche a tutte le donne che si trovano nella fase dopo parto. Ricordo che quest'ultima è una fase durissima, pesante; le depressioni post partum sono forti. Sono questi gli aspetti che le donne temono di più nell'affrontare la nascita di un figlio e che vanno sostenuti con progetti che, per ora, sono pochi, limitati e accompagnati da scarse risorse. Tra l'altro, non si sa se la legge n. 285 del 1997 verrà rinnovata o meno e quindi su questo piano vi è ancora molto da fare. A mio avviso, è questo il vero livello di prevenzione delle interruzioni di gravidanza.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre questioni e chiedere chiarimenti.
GRAZIA LABATE. Ringrazio tutti i rappresentanti delle associazioni che hanno partecipato all'incontro, dandoci la possibilità di verificare i dati ufficiali in nostro possesso sia sull'andamento della legge n. 194, sia sul nucleo fondamentale intorno al quale si sta concentrando la nostra attenzione. Era nostra esigenza trovare soluzioni adeguate ad un tema che mi pare stia molto a cuore alle varie associazioni e che rappresenti il fulcro del loro agire e del loro impegno professionale. Mi riferisco alle modalità con cui rivedere e migliorare nella realtà italiana le istanze di prevenzione del fenomeno abortivo. Naturalmente, siamo convinti che le leggi del nostro Stato vadano applicate in tutte le loro parti.
Dalle varie relazioni introduttive dei nostri ospiti è emerso un aspetto molto importante: mi riferisco all'accentuazione del tema della prevenzione, nella sua accezione più ampia, non solo di tipo sanitario. L'ultimo intervento lo ha chiarito ampiamente: è necessaria una prevenzione che intervenga a trecentosessanta gradi, sapendo che molta parte della prevenzione insiste sull'informazione, sulla conoscenza e sulla sicurezza dei metodi adottati, ovviamente, nella libertà culturale e scientifica di ognuno di noi.
Gradirei rivolgere alcune domande soprattutto alla dottoressa Canitano, la cui figura racchiude in sé tre caratteristiche, quella professionale, quella associativa e quella dell'esperienza che le deriva dall'aver vissuto per lungo tempo il processo di implementazione dei consultori familiari. A seguito della vostra esperienza, cosa emerge esservi alla base delle richieste e delle motivazioni delle donne? Vi è un elemento di conoscenza, di counselling più globale? Oppure avete avuto la percezione che le condizioni economiche e sociali siano quelle che maggiormente rilevano
quando si giunge alla decisione di interrompere volontariamente una gravidanza?
Inoltre, molti di voi hanno sostenuto che questi consultori sono stati considerati, per così dire, la Cenerentola povera del sistema integrativo socio-sanitario. Le affermazioni della dottoressa Colombo addirittura coincidono con quelle dei rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità nel sostenere che il modello italiano sarebbe quello assunto come riferimento in Europa e nel mondo. Ciò sarebbe dovuto sia alle intuizioni, sia alle dinamiche economiche e culturali dell'epoca. Tutte noi abbiamo vissuto la stagione del 1975, non come parlamentari, ma come soggetti impegnati nel supportare i vari movimenti femminili che sostenevano quelle istanze nel nostro paese. Ne comprendevamo la forte capacità di informare, di realizzare politiche attive di pianificazione familiare e per la famiglia.
Sulla scorta di quanto emerso nelle precedenti audizioni, in relazione ai consultori emergerebbe una strana anomalia, per così dire. Negli ultimi 20 anni i nostri consultori familiari avrebbero lavorato maggiormente sui temi sanitari, inerenti a tutto il percorso della maternità; si pensi ai corsi di preparazione al parto e alle problematiche post partum. Nelle precedenti audizioni, quindi, mi è sembrato di rilevare questo elemento, mentre oggi i nostri ospiti ci hanno confortato in senso opposto; ossia che andrebbe maggiormente implementata la fase preventiva e contraccettiva, che rimane la nota dolens di questo paese.
Pertanto, vi chiedo se, in base alla vostra esperienza, riteniate sia questo il settore ancora più carente, in particolare se pensiamo alle donne immigrate e alle adolescenti come riferimento per il futuro. Di converso, pensate che, in qualche modo, l'integrazione nel processo sanitario globale del nostro paese abbia inferto un colpo all'attività preventiva, informativa e culturale, decretandone una sorte troppo sanitarizzata?
Ritengo che dalle vostre osservazioni sarebbe possibile trarre per noi spunti per eventuali correzioni di rotta. Personalmente, considero che nel nostro paese non si sarebbero corsi questi rischi se fosse stato attuato il progetto materno-infantile del 1998. Tuttavia, in questo caso le responsabilità non competono ai nostri ospiti, quanto piuttosto ai soggetti istituzionali, politici e di governo di questa materia nel nostro paese.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Ringrazio i nostri ospiti, che ci hanno fornito l'opportunità di svolgere alcune riflessioni e considerazioni. La dottoressa Cilumbriello ha affermato che, se esportata all'estero, l'esperienza italiana funziona bene; sembra un paradosso. La dottoressa Canitano, invece, ha affermato che in Italia tutto è facoltativo e quindi le leggi non vengono applicate. Per dirla con le stesse parole del padre Dante: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?».
Vorrei sapere se non sarebbe preferibile che le attività di queste associazioni di volontariato fossero più articolate, magari in connessione con i consultori pubblici, analogamente a quanto avviene all'estero. Gli stessi nostri ospiti mi sembra lo abbiano auspicato. Non ritenete che ciò sarebbe attuabile anche in Italia, ossia, il funzionamento dei consultori non sarebbe più funzionale se avvenisse in raccordo con le associazioni di volontariato?
PRESIDENTE. Si tratta in pratica della domanda che anch'io inizialmente vi ho rivolto, ossia se riteniate opportuna una collaborazione, non dico per legge, ma sicuramente più fattiva, tra associazioni e attività consultoriali. Come abbiamo già affermato in altre occasioni, questo raccordo potrebbe riguardare anche le attività svolte dai centri per le interruzioni di gravidanza negli ospedali. Ricordiamo che il 70 per cento delle donne che ricorrono all'interruzione di gravidanza non si avvale dei consultori, ma si reca direttamente nei servizi ospedalieri dove si applica la legge n. 194 e dove viene espletato tutto l'iter.
Non sempre però vi è una collaborazione, una sorta di rete fra le attività dei centri (ospedalieri o dei consultori) e le associazioni in genere, di qualunque tipo esse siano. Una delle domande avanzate spesso in questa sede è proprio se non sia auspicabile e opportuna una collaborazione più stretta tra questi soggetti, magari non obbligatoria per legge, ma che sia comunque incentivata.
TIZIANA VALPIANA. Debbo anzitutto trasmettere ai presenti le scuse dell'onorevole Maura Cossutta per non essere potuta intervenire oggi a causa di impegni di partito. La collega mi ha pregato di giustificare in questa maniera la sua assenza.
Credo non sia ignoto ai rappresentanti delle associazioni oggi ascoltate che siamo stati e siamo fortemente contrari a questa indagine conoscitiva: non solo la giudichiamo tardiva, oltre i limiti del consentito e della decenza, ma la riteniamo anche strumentale. Ciò in quanto il vero obiettivo, anche se, a partire dal ministro, tutti si sono sbracciati nel sostenere che nessuno ha intenzione di toccare la legge n. 194, è di svuotare questa legge (rispondo così anch'io alla richiesta del collega Lucchese e del presidente) con l'introduzione di volontariato dissuasivo all'interno dei consultori.
La legge n. 194 prevede la presenza delle associazioni del volontariato all'interno dei consultori, a seguito di una richiesta avanzata al momento del varo della legge dalle associazioni delle donne, dall'AIED in prima linea, che nel settore aveva la più grande esperienza nel nostro paese, avendo aperto i primi consultori del 1953. Quelle istanze erano in funzione di prevedere la possibilità, per chi, grazie alla propria buona volontà e competenza, aveva fino a quel momento portato avanti dei servizi consultoriali, di contribuire, con le proprie consulenze, all'attività dei consultori pubblici, che nascevano in quel momento.
La proposta dell'introduzione dei volontari all'interno dei consultori era quindi in senso esattamente contrario a quello che se ne vorrebbe fare oggi. Ossia, non si vuole spronare il consultorio pubblico a prepararsi e a svolgere un certo lavoro; in realtà, si vuole introdurre il volontariato all'interno dei consultori per frenarne e snaturarne il lavoro. È un elemento emerso in tutte le audizioni svolte nel corso di questa indagine conoscitiva, che noi abbiamo richiesto. Ricordo che la proposta iniziale, avanzata dal gruppo dell'UDC, prevedeva le sole audizioni dei rappresentanti del Movimento per la vita e dei consultori cattolici, oltre ovviamente ai soggetti istituzionali. Ma così non avremmo potuto prendere atto - come sta emergendo in questi incontri - di tutta la competenza e la ricchezza (credo che ciò nel documento conclusivo non potrà non essere rilevato) di chi non ha aspettato la legge sui consultori né quella sull'interruzione di gravidanza per farsi carico di un problema che, come ricordava giustamente prima la rappresentante dell'AIDOS, è sempre esistito, da che mondo è mondo, nel senso che le donne hanno sempre abortito. Prima dell'approvazione della legge sull'interruzione della gravidanza abortivano clandestinamente e, successivamente, tale pratica è continuata, soprattutto per le carenze dei servizi, che ci saranno ancora se il fondo per le politiche sociali continuerà ad essere decurtato. Nelle ultime due finanziarie, infatti, è stato operato un taglio del 50 per cento, per cui gli enti pubblici, i servizi regionali e territoriali sono in difficoltà nell'organizzazione delle loro prestazioni.
Voglio ricordare (è una delle poche cose di cui mi posso vantare nella mia attività parlamentare) la mia proposta emendativa all'articolo 20, sull'edilizia sanitaria, della legge n. 49 del 1996, per stabilire un consultorio ogni ventimila abitanti, e con uno stanziamento di 200 miliardi di lire, al fine di migliorare le strutture dei consultori pubblici. A tale proposito, il ministro della salute, durante la sua audizione, ha riferito che i citati stanziamenti sono stati «scippati» e inclusi nel calderone generale del Servizio
sanitario nazionale. In Commissione più volte è stato evidenziato che molti consultori sono chiusi, mentre altri si trovano in ambienti fatiscenti ed inidonei. È importante, quindi, ribadire che in molte località i consultori non funzionano perché in realtà manca la volontà di farli operare. È stato detto dal ministro della salute che i consultori sono strutture che servono solamente per dare certificati per abortire; al contrario, nelle audizioni sono state evidenziate le molteplici attività dei consultori, che smentiscono le dichiarazioni del ministro e di chi ha voluto l'indagine conoscitiva.
Risulta sempre più evidente la strumentalizzazione grave dell'indagine ed appare chiaramente la necessità di modificare le due leggi vigenti al fine di migliorarne il funzionamento.
Durante gli interventi sono apparse in evidenza due differenti concezioni sul significato del termine «prevenzione». A tal proposito, vorrei leggere una frase del ministro della salute, pronunciata il 15 dicembre scorso: «Non vorrei che si confondessero le carte in tavola. Posso capire che si informino i giovani dell'esistenza dei metodi contraccettivi, ma mi rifiuto di pensare che questo possa essere un tema per la prevenzione dell'aborto. Semmai è un tema che riguarda la prevenzione della malattia e non dell'aborto. Su questo vorrei che ci fosse chiarezza». Sarò particolarmente poco sagace, ma non riesco a capire come il ministro possa dire che la contraccezione non è prevenzione dell'aborto.
DANIELA COLOMBO, Presidente dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS). È l'unico mezzo.
TIZIANA VALPIANA. Il ministro fa confusione, come ha già evidenziato in Commissione l'onorevole Leone, e mi piace sottolineare a tale proposito il fatto che nessuno di coloro che hanno voluto l'indagine conoscitiva sia attualmente presente a discutere tale questione. È evidente che il ministro - come molti altri in Commissione - confonde prevenzione e dissuasione. Non è possibile pensare infatti che la prevenzione dell'aborto sia dissuadere la donna che non intende portare avanti una gravidanza, non voluta e non scelta. Alla base di tutto questo misunderstanding è la diversa concezione culturale che c'è sulla autodeterminazione della donna. Nel nostro paese c'è chi intende giungere alla prevenzione dell'aborto attraverso l'empowerment delle donne, rendendo le stesse, con i servizi, la cultura e l'informazione, capaci di scegliere autonomamente la propria vita, e chi vuole, invece, attuare sulle donne coercizione, deprivandole di potere. È necessario allora intenderci su tale questione, che è la base della nostra discussione.
All'Associazione Il melograno mi lega una particolare affettività. Come riferito dalla dottoressa Scalisi, si tratta di un'associazione nata nel 1981, all'indomani della sconfitta del referendum abrogativo della legge n. 194, determinata dalla volontà di tutte le donne e del popolo italiano. Anche le donne cattoliche hanno riconosciuto in quella legge la laicità dello Stato: una legge che ha cancellato (magari l'avesse cancellata!) la vergogna dell'aborto clandestino. In quel momento le donne hanno costituito associazioni per seguire una maternità consapevole e responsabile, coscienti soprattutto del fatto che una donna sola non ha la possibilità di portare avanti con gioia la maternità, se non è sostenuta da una rete di servizi.
È necessario far comprendere, in primis al ministro della salute, che prevenire l'aborto significa contraccezione, informazione e sviluppo del desiderio di maternità delle donne, attraverso una programmazione delle nascite, per cui è opportuno intervenire sulla precarietà del lavoro e sull'impossibilità di essere autonomi fino all'età di trent'anni e di formulare un progetto di vita. È importante allora avere quella rete di servizi che attualmente si vuole chiudere, mentre invece dovrebbe svilupparsi.
Ringrazio tutte le associazioni intervenute in Commissione perché hanno reso
giustizia al lavoro delle donne, cominciato da molti decenni ormai, in maniera non strumentale, prendendo atto dei bisogni delle donne e della necessità di soddisfarli.
LUIGI GIACCO. Ringrazio le rappresentanze delle associazioni intervenute in Commissione. Sottolineo un aspetto emerso abbastanza chiaramente e riguardante le difficoltà di applicazione della legge n. 194, che per l'attuazione di alcune parti a volte necessita dell'intervento della magistratura. Altrettanto importante è rilevare, altresì, quella parte della legge che non contiene una disposizione cogente da utilizzare per il rispetto dell'attuazione della pratiche previste.
Dalle audizioni precedenti si evince inoltre la necessità di recuperare gli strumenti per attuare la prevenzione dell'aborto, che sono rappresentati da una maggiore informazione, da una migliore accoglienza e dallo sviluppo delle conoscenze riguardanti i rischi dell'attività sessuale, fino alla contraccezione nelle sue varie modalità.
Al di là del falso moralismo, per ottenere la prevenzione è necessario, quindi, fornire alle donne gli strumenti che ho citato, al fine di rispettare la libera scelta dell'individuo e non di determinare un processo di dissuasione. A tale scopo possono essere di aiuto i servizi consultoriali, che in questo modo non apparirebbero solo come distributori di certificazioni abortive, ma aiuterebbero alla diffusione dell'informazione sessuale, per la tutela della vita.
Se riusciamo a recuperare tali concetti, anche la nostra indagine conoscitiva, pur con tutta la sua negatività e la sua strumentalizzazione, può avere un senso ed un significato importante.
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola ai membri delle associazioni intervenute per le risposte alle domande formulate.
ANTONIETTA CILUMBRIELLO, Ginecologa e coordinatrice progetti sanitari dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS). Il volontariato non può svolgere un ruolo importante per la legge n. 194. La nostra organizzazione non governativa è dedicata allo sviluppo dei progetti e non svolge assistenza; siamo persone esperte, pagate, anche se poco. Quando andiamo ad operare con le donne di un luogo, lavoriamo con loro e con le ONG locali; selezioniamo insieme il personale necessario, che sarà poi in grado, dopo la formazione, di sviluppare autonomamente il progetto.
La nostra è una missione di back stopping. È opportuno nei nostri consultori sviluppare la qualità della cura, che rappresenta la vera prevenzione. Formiamo gli operatori necessari, al fine di garantire univocità tra domanda ed offerta, ma tale progetto non si può affidare al volontariato. Dobbiamo essere in grado di avere personale qualificato, formato da associazioni che da anni svolgono il lavoro d'informazione e di accompagnamento delle donne verso una maternità responsabile, evitando una vicinanza semplicemente passiva.
La prevenzione è qualità della cura, che non significa aprire per più tempo i consultori o avere più personale, ma lavorare, in particolare, sul «sentire» delle donne. Nei consultori è auspicabile integrare il personale esistente con la presenza degli psicologi e degli assistenti sociali, perché ciò significa aiutare a non abortire ed a pianificare una buona nascita.
Abbiamo sempre puntato sulla qualità, per cui non possiamo assolutamente pensare che il volontariato possa essere di aiuto per migliorare il funzionamento della legge n. 194, che in tal senso può costituire invece un peggioramento assoluto.
DANIELA COLOMBO, Presidente dell'Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS). Faccio un riferimento alla recente legge riguardante le mutilazioni genitali femminili, dotata di uno stanziamento finanziario, che rappresenta una modalità per raggiungere le donne, proponendo
un'informazione sul loro corpo e sulla loro sessualità.
RAFFAELLA SCALISI, Psicologa, socia fondatrice e membro del consiglio del Coordinamento Il melograno. Da circa due anni a Roma esiste uno sportello chiamato « Nascita e prima infanzia», predisposto in convenzione con il comune di Roma, che ha lo scopo di fornire informazioni. Tra le richieste che vengono presentate, quelle per i sussidi economici sono abbastanza scarse. Sicuramente, incide molto sulle persone il vivere in condizioni precarie, senza lavoro e senza buone prospettive di vita, ma ciò che le donne in maggioranza chiedono sono forme di sostegno, attraverso i vari servizi sociali di accoglienza, che sarebbe opportuno migliorare ed implementare.
ELISABETTA CANITANO, Presidente dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna. Le nostre famiglie programmano il numero dei loro figli, per cui ciò di cui hanno più bisogno è una maggiore informazione, perché tale modalità sia più efficace. Le famiglie che programmano le nascite si fanno carico personalmente dei figli nati e non si aspettano interventi esterni.
ELISABETTA CANITANO, Presidente dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna. Siamo in uno Stato occidentale avanzato ed esiste una autogestione abbastanza estesa; tuttavia, la mancanza di una rete di servizi porta difficoltà insormontabili; anche solo un bambino che non riesce a dormire nei primi tre anni di vita, in mancanza di una rete di servizi, costituisce una grossa difficoltà per genitori che lavorano entrambi ed hanno uno stipendio non elevato: non si riesce a sostenere in tale eventualità il minimo della devianza. Se il bambino non dorme, non mangia, non si integra nell'asilo, una famiglia può passare velocemente da una condizione normale ad una caratterizzata da gravissime difficoltà. L'informazione contraccettiva è importante, ma lo è anche il fatto di percepire i cittadini come tali e non come sudditi.
L'eccessiva sanitarizzazione rappresenta un peso per i nostri servizi e credo che i legami con le associazioni di volontari siano importanti; tuttavia nutro alcuni timori sul rischio di affidare alle associazioni di volontariato ciò di cui invece lo Stato dovrebbe farsi carico.
ELISABETTA CANITANO, Presidente dell'Associazione per la tutela della salute femminile - Vita di donna. Credo che ciò vada sottolineato con grande importanza, perché separare le due cose sarebbe gravissimo: far venire cioè i nostri adolescenti nei consultori a cinquanta alla volta, per un quarto d'ora ciascuno, come accade nei nostri poliambulatori, e affidare ad una cooperativa esterna la possibilità di farli incontrare e parlare di loro stessi danneggerebbe, secondo me, il servizio offerto dalla sanità, il volontario che rimarrebbe tagliato fuori dalla realtà di alcune necessità - che pure esistono - e l'adolescente che si vedrebbe diviso in due, da una parte il corpo e dall'altra lo spirito. Come possiamo fare una cosa di questo genere? I servizi e le collaborazioni vanno quindi ripensati con grande cautela ed attenzione.
RITA CORNELI, Presidente dell'Associazione Donne in genere. La legge di cui discutiamo, che ancora tutti a livello europeo ci invidiano, non è vero che non sia stata applicata; negli ultimi anni ha sofferto molto la struttura consultoriale, perché è stata abbandonata, ma la legge in sé ha funzionato e potrebbe funzionare bene: mancano le risorse, le strutture ed il personale.
Rispetto alla domanda se le associazioni di volontariato potrebbero essere utili all'interno dei consultori, vorrei far presente che la nostra, a differenza di
altre, è una associazione di volontariato, per cui ci autofinanziamo: ogni socio versa un contributo per dare la possibilità di attivare tutte le iniziative del Centro donna e per statuto nessuna delle socie può vivere del contributo del Centro donna; quindi, rasentiamo la purezza, ma questo proprio per una scelta di principio dell'associazione, perché vogliamo anche collaborare con il settore pubblico, ma soltanto rispetto a progetti che corrispondano alle finalità che l'associazione si è data fin dall'inizio.
Come associazione di volontariato possiamo permetterci di esprimere anche alcune riflessioni rispetto alla possibilità, proposta da alcuni e in massima parte dal Governo, di fare entrare le associazioni di volontariato nei consultori. Noi riteniamo che questo non debba accadere: da sempre abbiamo avuto una stretta collaborazione con i consultori, nel senso che come associazioni ci siamo avvalsi del loro aiuto e del loro sostegno inviandovi le donne con problemi che non potevamo risolvere e, allo stesso tempo, i consultori hanno inviato al nostro Centro donna le donne che avevano subito problemi di violenza, o quelle che, come ad esempio le immigrate, volevano fare un percorso di empowerment. All'interno nei consultori non vi è assolutamente bisogno di associazioni di volontariato, bensì di quella multidisciplinarietà che esiste sulla carta, nei fatti e in molte strutture consultoriali, come alcune di eccellenza, dove vengono rispettate le piante organiche e dove esistono consultori per adolescenti.
Nel nostro intervento abbiamo insistito molto sul tema della prevenzione, della contraccezione e della informazione, riguardo al problema degli adolescenti, dell'offerta attiva, delle immigrate e degli immigrati. Certo, occorre ricontestualizzare la legge stessa, anche rispetto ai cambiamenti culturali e storici avvenuti nella nostra società. Occorre dire però che noi, come associazione di volontariato, abbiamo fatto l'inverso: siamo andati a formarci, partecipando ad alcuni corsi organizzati dalla ASL per i volontari dell'associazione e che riguardavano, tra l'altro, l'informazione sulla prevenzione dei tumori femminili.
Probabilmente avrebbe dovuto esservi un maggiore impegno istituzionale e finanziario dello Stato rispetto ad un servizio che tutti ci invidiano e che forse dovremmo valorizzare di più.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Vorrei fare una battuta per verificare se ho capito. Mi sembra che le associazioni di volontariato sarebbero «battitori liberi» in termini sportivi (si potrebbe anche dire «una voce fuori campo»), quindi con altri compiti e che, nei confronti dei consultori, esse si pongano in una posizione critica e non di collaborazione.
GRAZIA LABATE. Hanno detto esattamente il contrario, cioè che vogliono collaborare!
PRESIDENTE. Il discorso è diverso. Una cosa è l'istituzionalizzazione e un'altra è la collaborazione. Ritengo la collaborazione ancora oggi fondamentale, come ha detto giustamente la dottoressa intervenuta. L'ideale sarebbe se il consultorio potesse far tutto e conseguentemente aiutare i soggetti prima, durante e dopo (anche se durante già lo fa, pur nella carenza di strutture, di medici, che sono pochi, e di ostetriche, che sono spesso del tutto assenti!). Però questa struttura già fa quello che può fare, con i numeri che ha a disposizione. In molti consultori, come già sottolineato, la parte clinica viene applicata correttamente: i ginecologi, infatti, constatano che sono scomparsi gli aborti clandestini e che oggi non si verifica più quello che accadeva trenta o quaranta anni fa. È invece meno sviluppata la parte socio-economica, che andrebbe quindi maggiormente valorizzata.
Non vi sarebbe nulla di scandaloso nell'utilizzare (nel senso buono della parola), nell'ambito di tale sviluppo, anche
l'attività di eventuali associazioni di volontariato, al di là dell'obbligatorietà della loro presenza nel consultorio. Le figure istituzionali già sono presenti nell'ambito dei consultori, essendo previste per legge, e sono d'accordo sul fatto che dovrebbero essere sempre tutte presenti; oggi, ad esempio, ci si diceva di incrementare la presenza degli psicologi che spesso mancano, soprattutto per le minorenni, verso le quali si avverte la carenza di una consulenza psicologica.
Da ciò che emerge sembra che stia nascendo una collaborazione fra le varie componenti e che non vi sia bisogno di modificare le leggi o di stravolgerle, bensì di farle applicare meglio di quanto non lo siano oggi: in tal modo forse le situazioni potrebbero essere migliorate. Certo - parlo come ginecologo - non cancelleremo mai completamente l'aborto, perché - lo dico fra virgolette - nessuno è favorevole ad esso, ma è nato con la donna stessa e con l'uomo!
Ancora una volta ribadisco che stiamo svolgendo solo una indagine conoscitiva e che nessuno vuole stravolgere o cambiare la legge, la quale può essere però migliorata; da questa indagine sta emergendo con evidenza il fatto che si tratta anche di un problema economico e di scelte che devono essere effettuate, se si intendono portare avanti determinati discorsi: e questo si sta evidenziando benissimo. Ci è stato opposto che siamo alla fine della legislatura: a tale proposito rispondo che è meglio tardi che mai!
GRAZIA LABATE. In questo caso è un po' troppo tardi!
PRESIDENTE. Chi sarà in Parlamento nella prossima legislatura potrà prendere visione degli atti dell'indagine e farsene carico, per migliorare la situazione.
Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione e sospendo la seduta.
La seduta, sospesa alle 13,50, è ripresa alle 14,50.
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