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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'onorevole Gianni De Michelis, il quale viene ascoltato con le forme della testimonianza e quindi con il conseguente obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande del presidente e dei commissari e al quale chiedo, per cortesia, di declinare le proprie generalità.
GIANNI DE MICHELIS. Sono Gianni De Michelis, nato a Venezia il 26 novembre 1940, coniugato, residente a Venezia, San Marco, 3080.
PRESIDENTE. Onorevole, l'abbiamo convocata prendendo spunto da alcune dichiarazioni contenute in un memoriale - un memoriale-esposto, per la verità, che è stato successivamente pubblicato su L'Espresso del 2 giugno scorso - redatto da un certo Fonti, il quale la cita in relazione ad alcune attività, diciamo non legali, che lo avrebbero visto protagonista.
Le leggo, in particolare, quel che risulta dalle pagine 20 e 21 del testo del citato documento: «Nel 1993 il business con l'ENEA coinvolse Corneli. Anche questa volta ci fornì la protezione, sia al porto di La Spezia sia a quello di Livorno. Inoltre Corneli mi chiese di caricare sulla nave che partiva da La Spezia per la Somalia alcune casse di armi che dovevano essere recapitate a Giancarlo Marocchino. In seguito sono stato arrestato, ma i rapporti tra servizi segreti e la mia famiglia della 'ndrangheta sono continuati, come d'altronde sono sempre stati costanti quelli con la politica. Cito per esempio l'incontro che ebbi nel dicembre 1992 al ristorante "Villa Luppis" a Pasiano di Pordenone con l'ex ministro degli Esteri Gianni De Michelis che, come ho spiegato alla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, già conoscevo bene. Io partii in auto da Milano con Consolato Ferraro, rappresentante della 'ndrangheta reggina per la Lombardia, e quando arrivammo ci sedemmo a tavola con De Michelis e Attilio Bressan, un imprenditore del luogo che avevo già conosciuto in precedenza ed era molto amico del ministro. De Michelis faceva lo spiritoso, diceva che senza i politici noi della malavita non saremmo esistiti, e che se la politica avesse voluto spazzarci via lo avrebbe fatto senza problemi. Diceva così perché quell'anno c'erano stati gli omicidi di Falcone e Borsellino, ed era stata modificata la cosiddetta legge sui pentiti. Lui diceva che se anche questi pentiti avessero svelato fatti legati alla politica, sarebbe stato un boomerang, in quanto i politici si sarebbero comunque tirati fuori e si sarebbero vendicati.
«Inoltre parlai con De Michelis di Somalia, armi e rifiuti. Lui sosteneva che i politici avrebbero potuto trasportare qualunque cosa anche senza la collaborazione della 'ndrangheta e che ci usavano per comodità. Io gli risposi che era vero quello che diceva, ma era vero anche che i politici si potevano sedere in Parlamento grazie ai nostri voti. In quell'incontro si è poi parlato di investimenti che la famiglia di San Luca voleva fare a Milano. De Michelis disse che se avevamo bisogno di comprare locali, potevamo rivolgerci a Paolo Pillitteri, e così facemmo. Fu deciso nel corso di una riunione tra vari boss che avvenne subito dopo a Milano nel ristorante 'Pierrot', in zona Ripamonti, alla quale partecipai anch'io. In quell'occasione Antonio Papalia, rappresentante della 'ndrangheta zona aspromontana in Lombardia, si offrì di presentarci Pillitteri, con cui aveva già concluso affari. La presentazione avvenne nel suo ufficio di piazza Duomo e oltre a Papalia c'eravamo io, Stefano Romeo e Giuseppe Giorgi. Grazie ai buoni uffici di Pillitteri, la famiglia di San Luca ha perfezionato l'acquisto di un bar in galleria Vittorio Emanuele, che poi è stato sequestrato proprio perché comprato con soldi sporchi, quello di un altro bar in via Fabio Filzi e di altri locali dei quali ho sentito parlare ma che non ho seguito direttamente. Preciso che dal 1994 ho iniziato a collaborare con la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria riguardo ai temi della criminalità organizzata».
Le ho letto questi passaggi nei quali abbiamo rinvenuto il suo nome, anche perché si tratta di un esposto che, come ho detto in apertura, ha trovato pubblicazione su L'Espresso del 2 giugno scorso. Presumo dunque che, essendo assolutamente noto, lo fosse anche a lei, a meno che lei non abbia letto quel numero del settimanale.
Lei ha sentito, dunque, che cosa rappresenta questo signore. La prima domanda è se lei abbia mai conosciuto il signor Francesco Fonti ed abbia avuto con lui degli incontri.
GIANNI DE MICHELIS. Presidente, ho letto quel numero de L'Espresso ma non gli ho dato molto peso, anche perché il settimanale non pubblicava il nome della persona (dunque, era anonimo). Tra l'altro, da quel che si capisce, si tratta di dichiarazioni rese dal 1994 in poi: sono passati la bellezza di undici anni! Naturalmente, le cose in esso contenute e riferite mi sono totalmente ignote. L'unica cosa che mi è nota è il ristorante, in quanto sta in una zona che frequento ed ho frequentato; so che esiste e credo di esservi anche stato, qualche volta, nel corso degli anni.
Il nome di Fonti lo sento questa sera per la prima volta; non l'ho mai sentito. Escludo di averlo conosciuto, come si può dire con la consapevolezza di non conoscere un signore che si chiamava Fonti. Gli altri nomi citati non li conosco, compreso questo «Attilio Bressan» - è un nome veneto - il quale dice che era molto mio amico...
PRESIDENTE. Un imprenditore veneto, friulano.
GIANNI DE MICHELIS. Escludo che fosse molto mio amico; non escludo di aver conosciuto un «Attilio Bressan» perché in quegli anni - ancora adesso, ma soprattutto in quegli anni - quelle erano le aree che frequentavo per ragioni politiche, per cui ho conosciuto praticamente tutti gli imprenditori del nord est, nel corso degli anni. Quindi, se esiste un Attilio Bressan, posso averlo conosciuto.
Quanto al contenuto del colloquio, è semplicemente ridicolo. Onestamente, visto che il colloquio viene collocato all'epoca del dicembre 1992, debbo dire che avevo altre preoccupazioni. In quel momento, la testa era in altre direzioni rispetto alle considerazioni evocate. Ovviamente, escludo nel modo più totale che un signore, noto o ignoto, mi abbia parlato di Somalia, di armi, di rifiuti, e così via, anche perché la mia attenzione alle questioni somale era finita da tempo. Non solo non ero più ministro degli esteri ma di fatto la mia attenzione e il mio interesse
per le questioni somale erano di molto scemati dopo le note vicende che avevano portato alla cacciata di Siad Barre.
PRESIDENTE. Lei si è mai recato in Somalia?
GIANNI DE MICHELIS. No, non sono mai andato in Somalia.
PRESIDENTE. In Italia ha incontrato autorità somale?
GIANNI DE MICHELIS. Sì, ne ho incontrate tra l'Italia e, credo, New York. Forse anche da qualche altra parte all'estero, ma non in Somalia, dove non sono mai stato. Ho incontrato Siad Barre, il ministro degli esteri di allora, il Primo ministro Samantar, e altri.
PRESIDENTE. Tutti all'epoca di Siad Barre, dunque. Dopo, non se ne è più interessato?
GIANNI DE MICHELIS. No. L'ho seguita finché sono stato ministro degli esteri; ho appoggiato l'azione dell'ambasciatore Sica ed ho tenuto una certa linea di cui - visto come sono andate le cose in Somalia - non mi pento affatto, anche se ovviamente è stata molto discussa e contrastata, qui in Italia e nel Parlamento della Repubblica.
Poi, però, l'interesse è finito totalmente anche perché, com'è noto, quando sono scoppiate queste vicende è terminato anche l'altro tipo di attività che il Ministero degli esteri aveva con la Somalia, ovvero la cooperazione.
PRESIDENTE. Comunque, lei ricorda il nome del ristorante, esatto?
GIANNI DE MICHELIS. No: ricordo che c'è, che esiste.
PRESIDENTE. Non ricorda di averlo frequentato?
GIANNI DE MICHELIS. Non escludo di esserci stato a cena qualche volta nel corso degli anni. Ripeto, ho fatto il deputato della Repubblica: non ero deputato del collegio di Pordenone, ma comunque del collegio di Venezia e Treviso e quindi in quelle zone ho fatto migliaia di riunioni nel corso di quasi vent'anni.
PRESIDENTE. Quindi, non lo può escludere. Conosce - o ha conosciuto - Tommaso Candelieri?
GIANNI DE MICHELIS. Mai sentito nominare.
PRESIDENTE. Era direttore dell'ENEA di Rotondella, a Potenza.
GIANNI DE MICHELIS. Mai sentito nominare.
PRESIDENTE. Ha avuto modo di conoscere o è stato in contatto con personalità dell'ENEA di Rotondella?
GIANNI DE MICHELIS. Debbo dire onestamente di no. Non sono mai stato neanche a Rotondella. Ho conosciuto dei dirigenti dell'ENEA di Roma, diciamo del vertice.
PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare Gianpiero Sebri? È un giornalista.
GIANNI DE MICHELIS. Mai sentito nominare.
PRESIDENTE. Luciano Spada: le dice niente questo nome?
GIANNI DE MICHELIS. Mai sentito nominare.
PRESIDENTE. A Milano ha conosciuto Luciano Spada?
GIANNI DE MICHELIS. Mai conosciuto.
PRESIDENTE. Non lo ha mai incontrato? Sa se avesse un ruolo all'interno del Partito socialista italiano, negli anni ottanta o ai primi anni novanta?
GIANNI DE MICHELIS. Lo escludo. Escludo di averlo saputo, poi non so se...
PRESIDENTE. A proposito del problema sul quale ci siamo soffermati molte volte, almeno in questa sede (mi riferisco dell'utilizzazione della Somalia per lo smaltimento di rifiuti tossici o di altro genere), ne ha mai avuto notizia, nello svolgimento della sua attività di ministro degli esteri?
GIANNI DE MICHELIS. Debbo dire onestamente che, quando ero ministro degli esteri, ho sentito e ho partecipato a molte discussioni rispetto ad argomenti che venivano sollevati nel dibattito politico italiano, e soprattutto nel dibattito politico italiano influenzato dai cosiddetti «esuli somali in Italia», ciascuno dei quali aveva un collegamento con una parte politica o un pezzo di parte politica e raccontava la sua verità.
Dunque, ne ho sentite tante, ma questo argomento non era citato da nessuno, nemmeno dai cosiddetti giornalisti esperti di Somalia, che già allora scrivevano abbondantemente. Questo tema è venuto fuori dopo.
PRESIDENTE. A proposito della cooperazione internazionale, in particolare con la Somalia, in che termini lei se ne è occupato? Ricordo che su tale vicenda vi sono state delle indagini giudiziarie, tutte concluse, almeno per quel che sappiamo da notizie giornalistiche.
Dunque, vorremmo sapere per quale parte, e con riferimento a quali aspetti, tale questione l'ha riguardata personalmente.
GIANNI DE MICHELIS. Non mi sono mai state fatte contestazioni riguardanti la cooperazione italiana con la Somalia.
GIANNI DE MICHELIS. Mai. Sono state fatte contestazioni generali ma la maggior parte di queste non sono mai sfociate in procedimenti, quindi sono rimaste...
PRESIDENTE. ... allo stato embrionale.
Parliamo della camera di commercio italo-somala: ha mai saputo che cosa fosse o di cosa si interessasse e che attività svolgesse, in particolare nei rapporti con il nostro paese?
GIANNI DE MICHELIS. No. Sapevo semplicemente che esisteva. Non ci sono mai state relazioni tra la mia attività di ministro e l'attività di tale organismo.
PRESIDENTE. Sapeva - o sa - che uno dei responsabili di quell'ente era, tra gli altri, Paolo Pillitteri?
PRESIDENTE. In quale periodo, in quale epoca ha avuto occasione e modo di approfondire il tipo di attività che veniva svolto dalla camera di commercio italo-somala, che aveva in Pillitteri uno dei gestori?
GIANNI DE MICHELIS. Non ho mai avuto modo di approfondire perché, ripeto, non mi sono mai occupato, al di fuori delle attività di istituto e quindi per la parte che abbiamo continuato, della cooperazione con la Somalia e della parte riguardante l'iter di approvazione dei progetti; parliamo, praticamente, di un periodo tra la metà del 1989 e la fine del 1990, in quanto successivamente la cooperazione è stata sospesa.
PRESIDENTE. Come si collocava, rispetto alla cooperazione, la camera di commercio italo-somala? Che rapporto aveva con il Ministero degli esteri?
GIANNI DE MICHELIS. Per quel che consta a me, nessuno.
GIANNI DE MICHELIS. Sicuramente non con l'autorità politica.
PRESIDENTE. Quali erano le finalità della camera di commercio italo-somala, che lei sappia?
GIANNI DE MICHELIS. Per quel che ne so, era una delle tante camere di commercio, chiamiamole di carattere internazionale, con le finalità che hanno tali enti.
GIANNI DE MICHELIS. Promuovere gli scambi, le relazioni, gli interventi, gli investimenti...
PRESIDENTE. Anche fare intermediazione?
GIANNI DE MICHELIS. Teoricamente non dovrebbero.
PRESIDENTE. Le risulta che sia stato fatto?
GIANNI DE MICHELIS. Non mi risulta.
PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare Omar Mugne?
GIANNI DE MICHELIS. Nominare, sì.
PRESIDENTE. Sa che aveva, come dire, una sede operativa anche in Italia, precisamente a Bologna?
GIANNI DE MICHELIS. L'unica cosa che lo collega a Bologna è che allora venne detto e venne scritto che aveva dei rapporti, per esempio con un mio amico, l'onorevole Piro, il quale era appunto un socialista di Bologna.
PRESIDENTE. Sa se Omar Mugne abbia avuto un ruolo nella cooperazione italiana?
GIANNI DE MICHELIS. Omar Mugne è stato, credo, in qualche modo coinvolto in progetti di cooperazione che erano stati approvati precedentemente al periodo in cui ero ministro.
PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare una flotta di pescherecci, ovvero la Shifco?
GIANNI DE MICHELIS. Ho letto degli articoli al riguardo.
PRESIDENTE. Non più della lettura di articoli?
GIANNI DE MICHELIS. Non più di questo.
PRESIDENTE. Sa se vi fosse un collegamento con Omar Mugne?
GIANNI DE MICHELIS. Ho letto anche questo, ma non ne so assolutamente nulla.
PRESIDENTE. Saprà certamente, però, che quei pescherecci furono oggetto di donazione da parte dell'Italia alla Somalia.
GIANNI DE MICHELIS. Tutte queste cose le ho sapute dopo, ma riguardavano operazioni precedenti. Nel periodo in cui ci siamo occupati della Somalia nulla è stato sollevato, riguardo a questa situazione.
PRESIDENTE. Forse non sa che quei pescherecci, che furono oggetto di donazione alla Somalia, sarebbero sostanzialmente andati a finire nella gestione personale di Omar Mugne.
GIANNI DE MICHELIS. Tenga conto che alla fine del novanta la Somalia si è dissolta, come Stato.
PRESIDENTE. Sì, ma all'epoca in cui vennero uccisi i due giornalisti italiani dei quali ci stiamo interessando la gestione dei pescherecci era proprio nella mani - ormai private - di costui, non si capisce per quale motivo.
GIANNI DE MICHELIS. Nel 1994 io ero, come noto, molto distante da quelle vicende.
PRESIDENTE. Fino a quando è stato ministro degli esteri?
GIANNI DE MICHELIS. Fino al 1o luglio 1992.
PRESIDENTE. Con riferimento alle attività di quei pescherecci, durante il suo ministero non ha avuto mai nessuna ragione di intervento, di interlocuzione o di controllo su tali attività?
PRESIDENTE. C'è un dato strano, col quale ci siamo più volte confrontati: com'è possibile che una donazione fatta da uno Stato ad un altro sia divenuta una prerogativa - quantomeno gestionale, in quanto non sappiamo come stiano le cose dal punto di vista della proprietà - di un privato?
GIANNI DE MICHELIS. Ammesso che qualche autorità dell'Italia lo sappia...
PRESIDENTE. Ma il ministro degli esteri come faceva a non interessarsene?
GIANNI DE MICHELIS. Dovreste chiederlo al ministro degli esteri dell'epoca, ovvero quello successivo a me, che ha gestito la situazione nel momento in cui la Somalia si sfasciava.
PRESIDENTE. Chi è stato il suo successore?
GIANNI DE MICHELIS. Ho avuto vari successori. Il mio successore immediato è stato l'onorevole Scotti, il quale però è stato ministro degli esteri per pochi giorni, poche settimane; poi, vi è stato l'onorevole Colombo. Lei sa che vi è stato l'intervento degli americani, dell'ONU e dell'Italia molto prima della vicenda di cui vi occupate.
PRESIDENTE. Lo sappiamo. Sulla utilizzazione di quei pescherecci lei non ha mai saputo niente?
PRESIDENTE. Non è venuta mai alla sua conoscenza tale utilizzazione anomala (per utilizzare una formula ampia)?
GIANNI DE MICHELIS. No. Credo che nel periodo in cui era in carica il Governo di Siad Barre, i pescherecci fossero usati da tale Governo.
PRESIDENTE. Per la loro finalità naturale oppure per altre finalità?
GIANNI DE MICHELIS. Non ne ho la minima idea.
PRESIDENTE. Ha conosciuto Siad Marino?
PRESIDENTE. È il fratello di Omar Mugne. L'ha conosciuto?
PRESIDENTE. Non è vero che lei lo ha incontrato a Tripoli nel 1989?
GIANNI DE MICHELIS. Sono stato a Tripoli per la prima volta nel 1989, in occasione del ventesimo anniversario della rivoluzione libica. È stato un viaggio che ha sollevato anche una serie di polemiche perché si disse che l'Italia era stata trattata male per il modo in cui io ero stato accolto da Gheddafi. Ricordo bene quel viaggio e non ho incontrato - assolutamente e sicuramente - questo signor Siad Marino.
PRESIDENTE. Franco Oliva, in una dichiarazione resa il 10 maggio 1994 al pubblico ministero di Milano, dottoressa Gemma Gualdi, ha affermato: «Mentre i progetti cosiddetti «affidati», nella maggioranza dei casi, non necessitano di alcun trasferimento all'estero di danaro, essendo finanziamenti disposti ed erogati dal dicastero direttamente per l'imprenditore beneficiario, cosa diversa va invece specificata per i cosiddetti programmi diretti. In questa ipotesi, infatti, i mezzi finanziari sono messi a disposizione da parte dell'autorità italiana direttamente nel paese d'intervento. La procedura era la seguente: presso il Banco di Roma di Lugano era in essere un conto infruttifero intestato a 'ambasciata italiana-cooperazione e sviluppo'. Su questo conto corrente» eccetera». Per quanto ne so, riguardo alla Shifco, si tratta di una società somala di fatto gestita da Omar Siad Mugne. Si diceva anche che alle spalle vi fosse la figura di Giulio Andreotti. In particolare, si diceva che la società gravitasse nell'ambito delle conoscenze del predetto personaggio. Con riferimento a Mugne, devo anche riferire che verso il 1989 ho conosciuto suo fratello Siad Marino, ammiraglio della flotta somala. Durante il nostro incontro, costui mi ha riferito di aver incontrato a Tripoli l'allora ministro degli esteri Gianni De Michelis, il quale gli aveva espressamente promesso di inviargli degli aiuti. In particolare, l'ammiraglio Mugne mi ha riferito che il ministro gli aveva promesso di fornirgli anche delle armi. Io non ho potuto fare a meno di collegare questo discorso alla circostanza di cui ho detto».
Queste sono le affermazioni di Franco Oliva, funzionario del Ministero degli esteri presso la direzione generale della cooperazione. Vuol confermare la dichiarazione da lei fatta in precedenza?
GIANNI DE MICHELIS. Confermo quel che ho detto prima, ovviamente.
PRESIDENTE. Ha conosciuto il signor Franco Oliva?
PRESIDENTE. Non sa nemmeno di chi si tratti?
PRESIDENTE. Nel 1989, lei è stato a Tripoli?
GIANNI DE MICHELIS. Ho spiegato. Sono stato una volta a Tripoli...
GIANNI DE MICHELIS. Sì, una volta. Siccome era il ventesimo anniversario della rivoluzione libica, credo di ricordare più o meno anche le date: si tratta del 30 agosto, del 1o settembre, e così via.
PRESIDENTE. Parliamo della cooperazione militare tra Italia e Somalia negli anni ottanta e novanta: lei ha avuto modo di seguirla dal lato delle sue attività politico-istituzionali? In particolare, sa che tipo di collaborazione intervenisse tra i due paesi e in base a quali accordi? Insomma, sa quale fosse la situazione in generale?
GIANNI DE MICHELIS. Me ne sono occupato quando ero ministro degli esteri: ovviamente, era uno dei dossier di cui ci occupavamo. Ci fu anche una discussione sulla sospensione della medesima: vi fu un periodo, tra il momento in cui Siad Barre venne cacciato, alla fine del 1990, e i mesi precedenti, durante il quale la situazione andò deteriorandosi e nel quale avvennero degli incidenti. Dunque, in sede parlamentare discutemmo più volte se fosse il momento di interrompere la cooperazione e la cooperazione militare che, peraltro, per quello che ricordo, era molto limitata: era una cooperazione relativa all'addestramento e riguardava una missione militare, credo, di poche decine di unità di persone, non era minimamente una cooperazione militare sul piano della fornitura di armi e così via.
Insomma, ricordo che se ne parlò e alla fine decidemmo di sospendere la cooperazione
militare prima che sospendessimo la cooperazione - chiamiamola così - civile.
PRESIDENTE. In che cosa consisteva la cooperazione militare? In parte lei lo ha già detto, ma le chiedo espressamente se questa cooperazione implicasse anche la distribuzione di armi.
GIANNI DE MICHELIS. Per quel che ricordo, no.
PRESIDENTE. Sul piano della distribuzione legale, s'intende.
GIANNI DE MICHELIS. Certo, ma per quel che ricordo, posso rispondere assolutamente di no. Era una cooperazione di addestramento.
PRESIDENTE. Armi italiane non sono state mai vendute o comunque legalmente fornite?
GIANNI DE MICHELIS. Nel periodo in cui sono stato ministro degli esteri, com'è noto, tra le competenze del ministro degli esteri vi era anche la firma delle autorizzazioni, in quanto era stato introdotto un nuovo regime. Ebbene, nel periodo in cui sono stato ministro degli esteri, non sono state mai vendute armi alla Somalia.
PRESIDENTE. Se non vi sono altre domande, ringrazio l'onorevole De Michelis e dichiaro conclusa l'audizione.
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