XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 3022




        Onorevoli Colleghi! - E' a tutti noto che la legge 21 febbraio 1980, n. 28 (articolo 7, ultimo comma), di delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria, e il successivo decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, recante le norme di attuazione della delega per il riordinamento della docenza universitaria, prevedevano la compiuta definizione dello stato giuridico dei ricercatori universitari entro il termine del periodo di sperimentazione della nuova figura, fissato - già nella legge di delega - in quattro anni. Sono da allora trascorsi ben ventidue anni senza che il problema abbia trovato soluzione, nonostante i tentativi variamente compiuti nel corso delle legislature che si sono succedute. In particolare, sul finire della scorsa legislatura - constatata l'impossibilità di un accordo sufficientemente ampio per concludere in tempo utile il varo della progettata riforma organica della docenza universitaria - la VII Commissione permanente della Camera dei deputati licenziò per l'Assemblea il testo unificato di una proposta di legge (atto Camera n. 5980-5495-A), recante "Istituzione della terza fascia del ruolo dei professori universitari e altre norme in materia di ordinamento delle università", già approvata dal Senato della Repubblica e opportunamente integrata. La proposta di legge intendeva dare soluzione, appunto, al problema di una più appropriata configurazione del ruolo dei ricercatori universitari, alla luce delle funzioni da essi di fatto acquisite - soprattutto in campo didattico - nel processo di profonda trasformazione del nostro sistema universitario.
        La presente proposta di legge riprende, nelle sue linee essenziali, il predetto testo licenziato nella scorsa legislatura dalla VII Commissione della Camera dei deputati, che, benché ampiamente condiviso da diversi gruppi parlamentari della Commissione, non riscontrò nell'Aula di Montecitorio il consenso sufficiente per concludere l'iter parlamentare prima del compimento della legislatura.
        Nel frattempo, il problema di un'adeguata definizione della figura e delle funzioni dei ricercatori universitari si è reso ancora più acuto, tanto da farlo ritenere dai più una precondizione necessaria per poter poi affrontare, in condizioni di maggiore equità e distensione, il più generale problema del riordino complessivo della docenza universitaria. Concorrono a tale valutazione non poche circostanze, tra cui - primariamente - l'intervenuta riforma dei corsi di studio universitari (autonomia didattica degli atenei) che, per effetto del rilevante ampliamento e della significativa diversificazione dell'offerta formativa delle università, ha prodotto un ulteriore e più esteso coinvolgimento dei ricercatori nell'attività di docenza. Al punto da potersi ritenere che anche per il nostro sistema universitario, com'è per i più avanzati sistemi di ricerca e di istruzione superiore, la differenziazione tra le diverse figure accademiche trovi (e debba trovare) fondamento e ragione d'essere non nell'espletamento dell'attività didattica - che vede ormai parimenti impegnate tutte le figure docenti - bensì nel diverso grado di maturità e di responsabilità scientifica.
        Ulteriore elemento da non trascurare - a conferma delle considerazioni che precedono - è la composizione quantitativa del corpo docente delle nostre università, che ha registrato, in concomitanza con l'avvio della riforma didattica, un ulteriore incremento del numero dei ricercatori universitari, come presumibile risposta all'aumentato volume delle attività didattiche e alla loro molteplice differenziazione. Alla data del 31 dicembre 2001 la composizione del corpo accademico risultava infatti essere la seguente: professori di prima fascia, 16.670 (compresi 545 professori in posizione di fuori ruolo); professori di seconda fascia, 17.648 (compresi 161 professori in posizione di fuori ruolo); ricercatori universitari, 19.829; assistenti di ruolo ad esaurimento, 1.100. Pur tenendo conto che l'indicato numero dei ricercatori (19.829) comprende 2.500 inquadramenti risultanti dall'espletamento delle procedure straordinarie di cui all'articolo 1, comma 10, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, il dato evidenzia la forte domanda degli atenei - anche in ragione, certo, del minore costo economico - di tale figura. Ne è conferma, peraltro, l'elevatissimo numero di procedure di valutazione comparativa per il ruolo dei ricercatori, indette dagli atenei - sempre alla data del 31 dicembre 2001 - dall'entrata in vigore della legge di riforma del reclutamento della docenza universitaria (legge n. 210 del 1998), pari a 7.926 (comprensive delle precitate 2.500 procedure straordinarie per i tecnici laureati), a fronte di 3.029 procedure bandite per i professori di seconda fascia e di 2.506 procedure bandite per i professori di prima fascia. Dati che oltre tutto smentiscono, in modo inconfutabile, alcuni ricorrenti quanto infondati luoghi comuni, secondo cui la ricordata legge n. 210 del 1998 avrebbe determinato lo svuotamento del ruolo dei ricercatori, che invece, a quattro anni dalla data di entrata in vigore della stessa legge n. 210, risulta sensibilmente incrementato, ovvero avrebbe prodotto un indiscriminato avanzamento dei docenti in servizio. Al contrario, i dati (depurati delle 2.500 procedure straordinarie per i tecnici laureati) dimostrano che l'atteso snellimento e, soprattutto, il tempestivo espletamento delle procedure concorsuali hanno riguardato - in quattro anni - meno del 20 per cento dell'organico complessivo della docenza universitaria, attestata ormai da anni intorno alle 50.000-55.000 unità (per l'esattezza 55.247 al 31 dicembre 2001) e che, soprattutto, la consistenza delle diverse figure (ricercatori, associati, ordinari) rimane sostanzialmente invariata, semmai con un ulteriore incremento del ruolo dei ricercatori.
        L'istituzione della terza fascia e l'inquadramento in essa dei ricercatori universitari si presenta dunque come un provvedimento urgente, rispetto all'accresciuto fabbisogno di docenza degli atenei e all'improcrastinabile esigenza di dare una configurazione giuridica appropriata - quand'anche transitoria - alla figura dei ricercatori universitari, che rappresentano oltre il 35 per cento dei docenti in servizio nelle nostre università! Si tratta, ancora, di una misura di equità, per una categoria che attende da oltre ventidue anni la definizione del proprio stato giuridico. Ma soprattutto si tratta di un pur minimo riconoscimento, senza alcun aggravio economico per il bilancio dello Stato e degli atenei, delle funzioni insostituibili che la gran parte dei ricercatori esercita da anni nel quotidiano espletamento dell'attività didattica dei nostri atenei, costretti a fronteggiare - con un organico di docenza sostanzialmente invariato dal 1994 - la domanda di istruzione superiore di una popolazione studentesca in continua crescita (oltre 1.800.000 studenti!), con un rapporto docenti studenti di 1 a 35 (rispetto alla media europea di 1 a 15). L'approvazione della presente proposta di legge, portando al superamento di una delle situazioni di maggior disagio del nostro sistema universitario, spianerà sicuramente la strada per affrontare poi con maggiore efficacia e incisività l'impegnativa e controversa materia del complessivo riordino della docenza universitaria, peraltro non affrontabile - come hanno dimostrato i lavori della scorsa legislatura - senza la messa in campo di ingenti risorse finanziari e aggiuntive.
        Passando ora all'esame delle norme contenute nella proposta di legge, che si compone di appena tre articoli, si può sinteticamente rilevare che:

                1) l'articolo 1 dispone, al comma 1, l'istituzione della terza fascia dei professori universitari, in cui saranno inquadrati, a domanda, i ricercatori in servizio e altre figure assimilate (comma 2). Per tale inquadramento, che avviene previa verifica - secondo modalità autonomamente stabilite dagli atenei - dell'attività didattica e scientifica svolta dagli interessati, sono previste tre successive sessioni annuali di verifica, la prima delle quali da indire entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge (comma 3). Il comma 4 contempla la procedura applicabile per l'accesso, nel nuovo regime, alla terza fascia. Si prevede poi che, fino al varo del complessivo riordino della docenza universitaria, rimangano immutati lo stato giuridico e il trattamento economico vigenti per le figure da inquadrare, salvo le specifiche disposizioni contenute nella legge stessa (comma 5). Tra queste ultime, il comma 6 prevede l'attività didattica da attribuire ai professori di terza fascia; il comma 7 dispone la loro partecipazione agli organi accademici; il comma 8 definisce la disciplina del loro elettorato attivo e passivo, che viene demandata all'autonomia statutaria degli atenei, con l'esclusione dell'elettorato passivo per le cariche di rettore, preside di facoltà e direttore di dipartimento; il comma 9 prevede l'applicabilità ai professori di terza fascia di alcune norme finora relative ai soli professori di prima e seconda fascia; il comma 10 risolve un'annosa problematica delle accademie militari e degli istituti di formazione e di aggiornamento per gli ufficiali delle Forze armate, che non potevano finora avvalersi della figura dei ricercatori universitari;

                2) l'articolo 2 trasforma gli "assegni di ricerca", di cui all'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in "contratti (a tempo determinato) di ricerca e di avviamento all'insegnamento", mantenendone immutato il particolare regime fiscale e previdenziale. Si tratta di una previsione che, nella scorsa legislatura, aveva incontrato un vastissimo consenso nell'ambito della citata VII Commissione, in quanto intesa ad avviare i giovani studiosi alla ricerca e all'insegnamento universitari, offrendo loro un congruo, ancorché limitato, periodo di formazione lavoro, opportunamente tutelato e regolamentato. La norma avrebbe un sicuro effetto anche ai fini di contenere il fenomeno, più volte denunciato, della cosiddetta "fuga dei cervelli";

        3) l'articolo 3 contiene alcune necessarie norme di raccordo tra le norme vigenti e la nuova disciplina, tra cui si segnalano i commi 3, 4 e 5 in materia di autonomia statutaria degli atenei, intesi a salvaguardare gli statuti già adottati dagli atenei, ponendo fine a un contenzioso non risolto dall'articolo 4 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2002, n. 56, che non ha efficacia retroattiva.




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