![]() |
![]() |
![]() |
TESTO AGGIORNATO AL 6 MARZO 2001
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 , nel testo della Commissione, e del complesso degli emendamenti ad esso presentati (vedi l'allegato A - A.C. 1563 sezione 1).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Bisceglie. Ne ha facoltà.
ANTONIO DI BISCEGLIE. Signor Presidente, innanzitutto il provvedimento che ci accingiamo ad esaminare vuole essere un riconoscimento morale ai congiunti degli infoibati e quindi lo riteniamo non solo un atto giusto, ma doveroso. La mia proposta di legge, abbinata a quella dell'onorevole Menia, fa riferimento a un atto di civile memoria; credo sia giusto precisare anche che, affinché il provvedimento non rappresenti un'operazione politica di parte, magari volta ad assimilare agli infoibati i caduti di quel regime che scatenò la repressione violenta contro i partigiani, è giusto inserire alcune precisazioni e delimitazioni. Innanzitutto, credo sia giusto dire che i momenti in cui nel territorio della Venezia Giulia si verificarono eccidi di massa furono due: l'autunno del 1943, dopo l'armistizio dell'8 settembre e la primavera del 1945 dopo il crollo del dominio germanico. Due momenti di trapasso cruento di poteri e di scatenamento, talvolta incontrollato, talvolta programmato, di violenze su larga scala. Ecco perché è giusto sottolineare questi aspetti.
troppo facile presentare una rassegna degli orrori compiuti dalle parti in lotta senza esclusione, ma in ogni caso si trattò di violenze tra formazioni armate, che sapevano quello che facevano e i rischi a cui andavano incontro. Tutto questo con le foibe non c'entra nulla. Le foibe, anche nel significato estensivo che normalmente si dà a questo termine e che giustamente viene ripreso nel progetto di legge, comprendendo cioè anche tutti coloro che trovarono la morte in prigionia o semplicemente scomparvero nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945, furono comunque un'altra cosa e confondere la violenza politica contro inermi con la violenza fra combattenti significherebbe mistificare la natura e sminuire la gravità di quei fatti.
delle formazioni partigiane italiane non comuniste, i membri dello stesso Comitato di liberazione nazionale italiano.
alla necessità di evitare equivoci, dal momento che il Memorandum di Londra del 1954 si limitò a trasferire all'amministrazione della zona B del mai costituito Territorio libero di Trieste dal Governo militare jugoslavo al Governo di Belgrado.
ANTONIO SODA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, vorrei presentare una proposta di riformulazione dell'emendamento Di Bisceglie 1.6, sul quale vi è stata in Comitato dei nove una situazione di blocco; infatti, si potrebbe superare tale situazione qualora il mio gruppo accolga il passaggio dalla formulazione originaria - che configurava una responsabilità oggettiva per appartenenza - ad una responsabilità personale, secondo gli accertamenti compiuti dalla Commissione. Pertanto, ho predisposto una riformulazione dell'emendamento Di Bisceglie 1.6 che può essere fatta propria dal Comitato dei nove o dallo stesso proponente, per sbloccare la situazione di stallo.
PRESIDENTE. Onorevole relatore, accoglie la riformulazione dell'emendamento Di Bisceglie 1.6 formulata dall'onorevole Soda?
DOMENICO MASELLI, Relatore. Sì, signor Presidente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.
ROBERTO MENIA. Signor Presidente, mi onoro di essere figlio di quel popolo dell'esodo giuliano-dalmata che ha subito le persecuzioni e le stragi delle foibe. Per tale motivo, è mio desiderio che la legge sia approvata prima della fine della legislatura. Se il provvedimento oggi fosse approvato dalla Camera dei deputati, ci sarebbe la ragionevole speranza che ciò avvenga anche al Senato prima della fine della legislatura. Evidentemente, ho tutto l'interesse, anzi la volontà (non voglio usare la parola «interesse», che oggi suona male) che il provvedimento approdi al termine dell'iter: sarebbe un segno di grande civiltà ed un atto di profondo significato morale, civile e nazionale. Ciò detto, senza voler fare polemica e parlando con estrema serenità, faccio presente che molte delle osservazioni del collega Di Bisceglie hanno molto il sapore del tribunale del popolo e sono sicuramente inaccettabili.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
ROSANNA MORONI. Signor Presidente, ho deciso di rinunciare alla dichiarazione di voto sui singoli emendamenti e di spiegare ancora una volta a nome dei comunisti italiani le ragioni della nostra contrarietà a questo testo.
la tesi del genocidio programmato a danno degli italiani. Non ho niente di personale contro il professor Papo, ma sinceramente credo che assumere un atteggiamento neutro e distaccato sia difficile per chi - come lui - proviene dall'esperienza del fascismo e del collaborazionismo giuliano ed è stato membro della repubblica sociale. Altri storici, di varia collocazione politica, che hanno approfondito in modo rigoroso e imparziale le vicende della Venezia Giulia e che non sono neppure comunisti (si tranquillizzi chi pensa altrimenti), concordano tutti (lo sottolineo: tutti) nel negare alla radice l'esistenza di progetti di eliminazione di massa fondati sull'appartenenza alla nazionalità italiana. Concordano tutti, invece, sulla complessità della vicenda storica indicata sommariamente con la parola «foibe» e ci forniscono un quadro articolato, come spesso avviene per le vicende umane, storiche e non: ci raccontano un insieme di fatti strettamente interconnessi, dai quali emergono tre momenti salienti. Il primo è il ventennio di repressione e di persecuzione da parte del regime fascista nei confronti di quanti avevano nelle vene sangue slavo; il secondo - collocabile temporalmente nell'autunno 1943 - è la reazione, certamente generalizzata ed incontrollata, a causa dell'odio e del rancore accumulati, contro ogni simbolo del passato potere fascista; il terzo - nella primavera 1945 - vede la presenza di un'altra componente ancora: la nascita, per via rivoluzionaria, dello Stato comunista jugoslavo, nascita accompagnata dal tentativo di eliminare ogni possibile oppositore a quel progetto.
e nitidamente dalla storia: da un lato, gli aguzzini e, dall'altro, le vittime.
GIULIO CONTI. Contro i comunisti!
ROSANNA MORONI. Ho sentito molti richiamare la pietà, ma la pietà è un sentimento personalissimo. Possiamo davvero, nella nostra veste di parlamentari, confonderlo e mescolarlo con considerazioni di carattere storico e politico o addirittura pensare di farlo prevalere su di esse? Non credo di sbagliare se colgo alla base dei vari riconoscimenti tributati dallo Stato ai suoi caduti ragioni legate all'affermazione di valori e principi condivisi, che stanno alla base del nostro ordinamento democratico e della civile convivenza.
hanno salvato la patria e rilegittimato, riscattato l'Italia; gli altri l'avrebbero asservita ai carnefici di Cefalonia.
GIULIO CONTI. Vergognati!
VINCENZO ZACCHEO. È una vergogna! È una vergogna!
PRESIDENTE. Onorevole Zaccheo, la richiamo all'ordine per la prima volta. Anche lei onorevole Conti! Continui onorevole Moroni.
ROSANNA MORONI. E se è auspicabile la pietas umana (Commenti del deputato Conti) ...
PRESIDENTE. Onorevole Conti, la richiamo all'ordine per la seconda volta.
ROSANNA MORONI. ... questa non può confondersi con il giudizio storico e neppure con quello etico. I comunisti italiani usciranno dall'aula senza partecipare al voto finale perché il voto di oggi - concordo con il collega Di Bisceglie - non è solo un errore, è davvero un orrore (Applausi dei deputati dei gruppi comunista e misto-Rifondazione comunista-progressisti).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.
CARLO GIOVANARDI. Presidente, non funziona il microfono!
PRESIDENTE. Credo che adesso funzioni, inizi pure il suo intervento, onorevole Giovanardi. Onorevole Armani, per cortesia!
CARLO GIOVANARDI. Presidente, cercherò di superare l'emozione - ahimè negativa - che ha suscitato in me l'intervento della collega Moroni; ma mi rivolgerò a lei in particolare perché dopo aver letto moltissimo sugli avvenimenti di quegli anni, sono giunto alla conclusione che purtroppo in quelle realtà della Venezia Giulia probabilmente qualsiasi scelta fosse stata compiuta da un cittadino italiano in Istria o a Gorizia, rischiava di essere una scelta sbagliata.
ROSANNA MORONI. Non è vero!
CARLO GIOVANARDI. Lasciami parlare. Ho detto scelta sbagliata nel senso che c'erano coloro che in buona fede - sto parlando di chi era in buona fede poi parlerò dei torturatori - cercavano in quella tragica situazione, di ragionare in certi termini perché quella realtà rimanesse all'Italia; per questo si schieravano dalla parte della Repubblica sociale italiana e quindi dalla parte dei tedeschi e di quelli che comunque avrebbero cancellato l'italianità in quelle zone; hanno quindi sofferto il dramma di una scelta che li ha portati a confliggere con i loro alleati che erano i nemici più accaniti - parlo dei nazisti - della possibilità di lasciare italiane quelle terre.
ROSANNA MORONI. Volevano annetterle!
CARLO GIOVANARDI. I nazisti volevano annettere alla Germania il Friuli-Venezia Giulia e quindi erano i peggiori nemici di coloro che pensavano di salvare l'italianità di quelle zone aderendo a quella parte.
erano comunisti internazionalisti, che anteponevano la guerra al nazismo, alle questioni nazionali e di annessione all'ex Jugoslavia. Vi sono state probabilmente delazioni da parte partigiana comunista jugoslava a Trieste per fare sì che i nazisti potessero eliminare tutta la classe dirigente internazionalista del partito comunista per favorire la parte filoslava. Questa è la storia e nelle foibe ci sono finiti i comunisti, oltre ai fascisti e alle persone innocenti (Commenti della deputata Moroni). Collega Moroni, sto ricostruendo un clima che era molto complesso. Mi sono informato sui tre organismi indicati dal collega Di Bisceglie e sull'ispettorato speciale che fece l'elenco degli ebrei. L'onorevole Di Bisceglie ha notato una cosa vera: questi organismi erano contrastati dai questori e dai prefetti, cioè dai rappresentanti legali della Repubblica sociale italiana che erano in conflitto con personaggi che ritenevano filonazisti ed efferati assassini. Non c'è bisogno di arrivare al 2001 per condannare l'ispettorato speciale o le squadre dei pogrom perché, i rappresentanti del Governo della stessa Repubblica sociale italiana erano in rotta di collisione con questi personaggi.
ROSANNA MORONI. È un orrore quello che sta dietro a questa proposta di legge!
CARLO GIOVANARDI. Qui non ci sta dietro niente, credo di averlo detto all'inizio, qui ci sono i drammi di decine di migliaia di persone che erano destinate a finire nelle foibe ovunque si schierassero: con i comunisti, con i fascisti, con gli indipendentisti che volevano fare di Fiume una Repubblica autonoma. La loro sorte - non lo sapevano nel 1945 - era segnata perché, in quel contesto storico, sono tutti finiti nelle foibe o esuli in Italia o nelle carceri jugoslave. Si fece veramente una pulizia etnica ante litteram, perché pagavano il fatto di essere italiani!
ROSANNA MORONI. È questo che non è vero (Commenti del deputato Conti)!
CARLO GIOVANARDI. Onorevole Moroni, se dico questo è perché anch'io ero partito...
PRESIDENTE. Onorevole Conti, l'ho già richiamata all'ordine per due volte; se la richiamo all'ordine una terza volta, dovrà uscire dall'aula. Per cortesia, si calmi!
CARLO GIOVANARDI. Mi considero ancora - è un po' fuori moda - un anticomunista. Anch'io pensavo che i fatti del 1944-1946 rappresentassero una questione ideologica dei comunisti contro gli altri per costruire il comunismo degli italiani e degli slavi. Quindi approfondendo e studiando la sterminata storiografia degli ultimi anni siamo giunti alla conclusione, di qua e di là del confine - basta leggere quello che dicono i croati e gli sloveni e quello che dice la nostra minoranza -, che non è stato così. Si trattò di un'azione scientifica e mirata del nazionalismo slavo, che in quel momento era incarnato da Tito, per eliminare alla radice la presenza italiana fosse essa fascista, neutra, indipendentista o comunista. Questa è la storia di quegli anni.
per responsabilità personali si erano macchiati di efferati delitti. Dire che all'interno di questi tre organismi, che per la loro efferatezza erano sotto osservazione anche da parte delle autorità repubblichine - il comitato verificherà le responsabilità personali di chi abbia compiuto efferati delitti per non insignire i congiunti della decorazione - riporta il discorso a ciò che ho affermato ieri, ossia alle responsabilità personali e non di categoria. Onorevole Moroni, se dovessimo tornare alle categorie e non seguire il criterio delle responsabilità personali, staremmo qui due giorni a leggere testimonianze di efferatezze commesse da una parte e dall'altra, di episodi terribili riconducibili al clima dell'epoca.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.
GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, come il collega Menia, anch'io non intendo accettare o fare provocazioni. Ci troviamo di fronte ad una proposta di legge che dobbiamo «spingere» verso l'approvazione, accettando anche una mediazione tra la pietas, la memoria e la storia.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.
MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, intervengo in questa fase del dibattito semplicemente per dire che Rifondazione comunista, come spesso è avvenuto in quest'aula nell'arco di questa legislatura, interviene contro ogni tentativo (ce ne sono stati diversi approfittando di vari provvedimenti legislativi) di introdurre un elemento che definisco di confusione e che rischia di portarci ad una concezione della storia di tipo revisionista; lo abbiamo sempre detto, lo abbiamo sempre fatto, tenendoci lontani dal voto o votando contro. Non abbiamo accettato un'operazione che rischia davvero - su quella parte della storia che vide da una parte i fascisti e dall'altra tutti i democratici che lottarono contro il fascismo, compresi i comunisti (ma non solo) - di fare confusione, in nome e per conto del sentimento della pietas. Ciò non sarebbe fattore di chiarezza per i giovani e non renderebbe merito alla verità ed alla storia.
abbondanti, ma è difficile discutere di tale argomento in presenza di un provvedimento legislativo che, come giustamente affermava dalla sua parte l'onorevole Giovanardi, è una legge che potrebbe portare alla pacificazione. Credo che di pace ne abbiamo bisogno tutti; sono più volte intervenuta su questo punto ed è un argomento di grande applicazione sia per la sottoscritta sia per il suo partito. Non possiamo però consentire che davvero siano confusi i carnefici con le vittime!
PRESIDENTE. Onorevole Nardini, la Presidenza le consente di allegare in calce al resoconto stenografico della seduta odierna il testo di considerazione integrativa al suo intervento.
DOMENICO MASELLI, Relatore. Signor Presidente, invito i presentatori di tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 1 a ritirarli, altrimenti il parere è contrario, ad eccezione dell'emendamento Di Bisceglie 1.6 (Nuova formulazione) fatto proprio dalla Commissione. Naturalmente, esprimo parere favorevole sull'emendamento 1.11 della Commissione.
PRESIDENTE. Va bene.
DOMENICO MASELLI, Relatore. ...devono essere esclusi, ma non vorremmo tenerli insieme.
PRESIDENTE. Il Governo?
GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Governo si rimette all'Assemblea, Presidente.
CARLO GIOVANARDI. Ma il Presidente del Consiglio ha detto che era assolutamente favorevole!
ROSANNA MORONI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSANNA MORONI. Presidente, vi è solo un aspetto che non capisco: perché ci viene rivolto l'invito a ritirare il nostro emendamento che chiede di limitare il riconoscimento alle vittime inermi di uccisioni, in qualsiasi modo perpetrate?
PRESIDENTE. Prima di passare ai voti, vorrei sapere se vi sia richiesta di votazione nominale.
MARIA CARAZZI. Sì, Presidente, a nome del gruppo Comunista, avanzo richiesta di votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Fermo restando che la pietà per i morti ci accomuna tutti, è opportuno precisare taluni punti per non intaccare le diverse sensibilità, anche quella di chi scelse di battersi in armi contro il nazifascismo.
Tra gli scomparsi ed anche tra gli infoibati vi erano anche squadristi responsabili delle ondate di terrore che segnarono l'affermazione del cosiddetto fascismo di frontiera, vi erano appartenenti ad alcune delle più odiose strutture repressive del regime fascista. È il caso dell'Ispettorato speciale per la Venezia Giulia, dell'ufficio politico investigativo della milizia di Trieste, del Centro per lo studio del problema ebraico - del quale si servivano i nazisti -, della dirigenza della federazione di Trieste del partito fascista repubblicano. Ecco il senso degli emendamenti: fare in modo che vi sia una delimitazione per non creare equivoci e malintesi. La logica sottesa agli stessi è proprio quella di favorire un consenso ampio su tale obiettivo, evitando gravi errori di formulazione che snaturerebbero la sostanza politica del provvedimento e, in luogo di favorire una pacificazione degli animi nel ricordo commosso delle vittime inermi di quella tragedia, susciterebbero sconcerto e polemica, facendo, ancora una volta, delle foibe un motivo di divisione e di strumentalizzazione.
Il titolo del provvedimento è chiaro, ma la sua articolazione rischia di non essere coerente con tale premessa perché parla anche di altro e, quindi, genera confusione. Non ha senso addentrarsi in questa sede in complessi ragionamenti storiografici perché da tutti i contributi di studio sull'argomento risulta chiarissimo un punto: le foibe furono un episodio di violenza politica, di violenza esercitata contro inermi, non importa se militari che si erano regolarmente arresi o civili senza armi, per ragioni politiche legate - non ci interessa in quale misura - sia a motivi nazionali sia ideologici, come a rivalse per il passato. In ogni caso si trattò di violenza politica. Certamente nel corso del biennio 1943-45, nelle province orientali d'Italia si intrecciarono molte logiche di violenza, prima fra tutte la violenza di guerra e al suo interno quella della guerra partigiana combattuta tra nazifascisti e partigiani italiani, sloveni e croati. Una violenza che, purtroppo, toccò vertici di efferatezza sconvolgenti e sarebbe fin
Gli emendamenti proposti, quindi, sono volti in primo luogo a correggere tale errore, chiarendo che, tra le categorie previste dalla legge, non vanno compresi i caduti in combattimento. A questo proposito vi è un altro equivoco nel quale è facile cadere, anche in perfetta buona fede, quando si contrappone alla logica della storia la logica della pietà.
La logica della pietà è sicuramente superiore a quella della storia, ma è una logica molto impegnativa che, una volta scelta, chiede di essere seguita fino in fondo con piena coerenza e senza fermarsi a metà strada. La pietà non è selettiva, non conosce limiti o distinzioni, non le interessa se i morti siano militari o civili, colpevoli o innocenti, se siano italiani, slavi o tedeschi, se siano nazisti o democratici. Per la pietà esiste soltanto la vittima.
Se questo provvedimento di legge prevedesse di ricordare tutte le vittime del biennio 1943-1945 nelle province orientali d'Italia, a prescindere dalla nazionalità, dalla condizione, dalla militanza politica, dalle cause della morte, corrisponderebbe alla logica della pietà, di fronte alla quale tutti dovrebbero inchinarsi.
Ma il provvedimento in discussione è di tutt'altra natura. Prevede fin dall'origine, nel suo stesso titolo, limiti spaziali e temporali, individua categorie, seleziona cioè i morti secondo alcuni criteri ed allora è dei criteri che bisogna discutere per verificare se siano corrispondenti e adeguati all'obiettivo della legge. Inserire nel provvedimento di legge sugli infoibati anche i caduti in combattimento, dunque, non appare né sensato né adeguato e addirittura contraddittorio.
Beninteso, nulla vieta che qualche deputato proponga che la Camera discuta un altro provvedimento che prevede qualche forma di riconoscimento per i militari facenti parte delle formazioni italiane direttamente dipendenti dai comandi tedeschi, anzi specificamente dal comando delle SS - perché questa, con la sola eccezione di un brevissimo ciclo operativo della decima MAS nel goriziano, fu la natura della presenza militare italiana nella zona di operazione del litorale adriatico, dove la Repubblica sociale italiana non esercitava di fatto la sua sovranità -, e che combatterono contro i partigiani italiani, sloveni e croati.
Tra l'altro, bisogna ricordare che durante le audizioni nella Commissione affari costituzionali furono degli storici che documentarono tutto ciò, attraverso documenti e testimonianze, da cui si evince con grande chiarezza la dipendenza operativa di tutte le formazioni italiane dal comando delle SS. Ma un provvedimento di questo genere, come dicevo, apre problemi completamente diversi da quelli riguardanti gli infoibati e pertanto mescolare le due cose non può che generare confusione e credo che non sia opportuno né auspicabile per nessuno che una legge dello Stato crei confusione.
Vi è un secondo punto contenuto negli emendamenti. Come è ormai abbastanza acquisito dagli studi, la grande maggioranza degli infoibati venne uccisa senza che fosse stata dimostrata la loro colpevolezza in atti tali da giustificare una condanna capitale, anzi in molti casi le loro responsabilità non solo non vennero trovate, ma nemmeno cercate, perché molto spesso la repressione si abbatté su intere categorie, ritenute per definizione colpevoli o pericolose, come i militari, i membri degli apparati dello Stato, i componenti
Ciò non toglie però che, accanto a questi, vennero individuati ed eliminati anche altri soggetti che avevano fatto parte di alcuni degli strumenti repressivi più odiosi creati dai nazifascisti e che nel biennio 1943-1945 si erano distinti per la ferocia dimostrata nei confronti degli antifascisti italiani e slavi, come pure degli ebrei e della popolazione civile. Su tali crimini la documentazione è amplissima, sconvolgente e disponibile per chiunque voglia consultarla. In questa sede è più che sufficiente limitarsi a due brevissime citazioni. In riferimento all'attività dell'ispettorato speciale di pubblica sicurezza creato dalle autorità italiane prima dell'8 settembre, nel 1942, e poi rimesso in attività dai nazifascisti, il vescovo di Trieste dell'epoca, monsignor Antonio Santin, scrisse al sottosegretario agli interni Buffarini-Guidi: «Vi posso assicurare che vi è nella popolazione un sordo malcontento ed una viva indignazione per questo trattamento. Ciò è contrario alle leggi dell'umanità e pregiudica il buon nome italiano. Queste cose le ho sapute da fonte diretta. Uomini e donne vengono seviziati nel modo più bestiale. Vi sono particolari che fanno inorridire. Quando, contro la legge, da chi rappresenta la legge viene usata violenza ed ingiustizia, tutto crolla». Queste le parole di monsignor Santin.
Da parte sua, il podestà di Trieste, Cesare Pagnini, noto esponente nazionalista ed insediato a quella carica direttamente dai tedeschi, scrisse in una sua relazione che la federazione fascista repubblicana di Trieste «fece funzionare per tutta la durata dell'occupazione il proprio ufficio politico quale fucina di delazioni firmate ed ufficiali oppure anonime alle SS».
Negli ultimi giorni di guerra alcuni di tali criminali fuggirono da Trieste, alcuni caddero nelle mani dei partigiani italiani e furono fucilati sul posto; altri vennero individuati dagli jugoslavi e finirono nelle foibe. Che lo Stato italiano li ricordi ufficialmente, più che un errore, sarebbe un orrore: bastino al riguardo le parole di monsignor Edoardo Marzari, ultimo presidente del CLN giuliano, che ai suoi torturatori, dopo aver «manifestato lo spirito di alto sentire umano, cristiano ed italiano della Resistenza», rimproverava «l'infamia che attiravano sul nome italiano con i loro provvedimenti». Una clausola di esclusione appare in questo caso doverosa, tanto più che altrimenti si arriverebbe all'assurdo di accomunare nel riconoscimento carnefici e vittime, dal momento che nella primavera del 1945 scomparvero, tra gli altri, nelle foibe, alcuni membri di quello stesso CLN italiano che era stato perseguitato e decimato dagli aguzzini dell'ispettorato speciale.
Su una materia così delicata non si possono fare equivoci. La formulazione dell'articolo 3, dove si fa riferimento alla commissione, non risolve il problema che ho cercato di evidenziare. Per una ragione molto banale: non si processano i morti e la magistratura italiana non istruì alcun provvedimento a carico di cittadini italiani che erano già stati eliminati dalle autorità jugoslave. Da parte loro, gli jugoslavi nella maggior parte dei casi compirono le uccisioni sulla base di giudizi sommari, dei quali non vi è traccia, oppure, nel caso delle liquidazioni compiute da parte dell'OZNA, la polizia politica partigiana, senza alcuna formalità burocratica. Ecco perché bisogna migliorare decisamente il testo.
L'emendamento, infine, se, da una parte, prevede clausole di esclusione dirette a non stravolgere le finalità della legge, d'altro canto propone un'aggiunta che va nella direzione di rafforzare la valenza positiva del provvedimento, vale a dire il ricordo degli italiani inermi caduti vittime di violenza per le loro idee politiche e per il loro sentimento nazionale. Si prevede, infatti, di assimilare agli infoibati tutte le vittime delle persecuzioni che gli italiani subirono nei territori delle province di Pola, Fiume e Zara passati alla sovranità e all'amministrazione italiana nel dopoguerra. La distinzione fra sovranità e amministrazione è dovuta proprio
La data limite del 5 gennaio 1956, contenuta nell'emendamento, è quella della fine ufficiale dell'esodo degli italiani dall'Istria, perché equivale alla scadenza prevista per la presentazione delle domande di opzione per la cittadinanza italiana da parte dei residenti della zona B. In tal modo si corregge anche l'errore presente nel testo che, ponendo come data limite il 1950, che rischia di non avere un significato rispetto agli eventi storici, non copriva il periodo necessario per la dichiarazione di morte presunta degli scomparsi nella primavera del 1945! Ma al di là dei particolari tecnici, che pure sono importanti in un provvedimento di legge, la logica è quella di ricordare gli italiani che, per le medesime ragioni del 1945, subirono sorte analoga negli anni successivi, anche se - grazie al Cielo! - il loro numero fu minore rispetto alle due punte del 1943 e del 1945.
Le minori dimensioni e la diluizione nel tempo di sparizioni ed uccisioni non debbono, però, far dimenticare che tali violenze - che nella percezione degli italiani si saldarono alla memoria ancora ben viva delle stragi di pochi anni prima - contribuirono in misura significativa a costringere gli istriani di sentimenti italiani ad abbandonare la loro terra.
Con quest'ultimo arricchimento e con le precisazioni che ho voluto fare, il testo emendato del provvedimento può conseguire in pieno - senza ambiguità che offrano il destro a polemiche e distinguo - l'obiettivo fondamentale di elevato profilo civile e politico (come dicevo, un atto di civile memoria) di mostrare finalmente come lo Stato italiano si senta vicino al dolore di chi, nella stagione tremenda del lungo dopoguerra, al confine orientale vide i propri congiunti perire inermi perché, nel nuovo ordine che si stava creando nella loro terra, il loro sentire nazionale, la loro fede religiosa, le loro idee politiche rappresentavano una diversità e, quindi, un pericolo.
Il senso degli emendamenti all'articolo 1 è proprio quello di fare in modo che si possa addivenire ad un miglioramento del testo che non crei equivoci, ma che soprattutto non dia adito (volendo approvare un testo che possa essere un atto di civile memoria) a confusione, che sia chiaro, comprensibile e rispetti la storia per come si è dipanata.
La proposta di riformulazione coglie le ragioni per le quali vi era stata una forte opposizione in Comitato dei nove: si segnalava, infatti, l'impossibilità di escludere dal riconoscimento i congiunti degli infoibati in virtù della semplice appartenenza ad un corpo o ad una squadra, a prescindere comunque da qualche accertamento personale: questa è la ragione per cui si introduce tale tipo di accertamento rispetto a quello generale (accertamento per sentenza); infatti, molte sentenze relative agli appartenenti a quelle squadre si sono concluse con l'estinzione del reato per morte del reo e, dunque, non è stato mai fatto un accertamento di responsabilità personale rispetto ad azioni efferate.
In conclusione, invito l'onorevole Di Bisceglie a fare propria la mia proposta di riformulazione del suo emendamento 1.6 e, qualora fosse condivisa, si potrà procedere celermente con il ritiro degli altri emendamenti.
Anche se la soluzione di mediazione avanzata dal collega Soda e fatta propria dal relatore non mi convince pienamente, essa tende comunque a portare a buon fine il provvedimento. Il mio auspicio è che oggi la Camera licenzi questo testo, perché daremmo così un grande riconoscimento morale e civile alla tragedia degli infoibati.
Si tratta di una proposta di legge fondata su presupposti sbagliati e motivata da ragioni che vanno ben oltre il desiderio di tributare un doveroso riconoscimento alle vittime innocenti o inermi inumate nelle foibe. Ho già anticipato le motivazioni del nostro orientamento contrario durante la discussione sulle linee generali, ma desidero aggiungere alcune considerazioni.
Alcuni colleghi dell'opposizione hanno criticato operazioni di esegesi storica compiute dalla sinistra, ma non credo sia plausibile prevedere un riconoscimento da parte della Repubblica senza motivarne ed approfondirne le ragioni.
Ho sentito accuse di partigianeria. In realtà noi abbiamo cercato di inquadrare le violenze e le uccisioni dell'autunno 1943 e della primavera 1945 in un contesto articolato e di lungo periodo; abbiamo cercato di indagare e di approfondire la dimensione, l'evoluzione e le motivazioni del fenomeno, perché questo ci sembrava e ci sembra l'atteggiamento più corretto, più rispettoso delle vittime innocenti e del nostro ruolo istituzionale.
Alla radice delle uccisioni di massa, a favorire una spirale di vendette crudeli e indiscriminate, abbiamo trovato un intreccio e una complessità di piani, tra cui emergono il solco incolmabile scavato dalla politica oppressiva fascista nei rapporti fra slavi e italiani, gli effetti dirompenti dell'aggressione e dello smembramento della Jugoslavia, gli effetti - altrettanto distruttivi - dell'inasprirsi della repressione nel periodo dell'occupazione tedesca. Nelle zone della nostra frontiera nord-orientale i fattori critici erano molti: sociali, nazionali, politici. Ma i disastri compiuti dal nazifascismo hanno avuto un peso e un'incidenza preponderanti.
L'onorevole Menia ha citato gli studi del professor Luigi Papo, che gonfia a dismisura il numero dei morti per sostenere
In conclusione, se è limitativo parlare esclusivamente di reazione, di vendetta irrazionale e incontrollata, è parimenti ingiustificato e riduttivo riferirsi soltanto alla volontà iugoslava di spazzare via gli avversari del nuovo regime o, tanto meno, gli italiani in genere.
Questa è la sintesi - pur schematica e riduttiva - di un arco di avvenimenti che hanno sconvolto e segnato i rapporti nella Venezia Giulia all'epoca e purtroppo anche in tempi molto successivi. Che negli anni passati ci sia stata una tendenza, anche di esponenti della sinistra, a minimizzare il peso della nascita del regime jugoslavo nella vicenda delle foibe, è in parte vero ed è comunque stato riconosciuto da tempo.
Quello che invece non sembra ancora superato, come conferma la riproposizione di tesi avanzate da cinquant'anni dal neofascismo italiano e dai reduci di Salò, è l'intento di riabilitare i fascisti e i repubblichini e di criminalizzare indistintamente i partigiani e la Resistenza (Commenti del deputato Conti), abusando della logica della pietà e anteponendola alla logica della storia. Questo per noi è intollerabile, non per ragioni di parte, ma per riguardo verso la storia del nostro popolo e verso coloro che l'hanno riscattata.
È vero che la vicenda delle foibe fu una violenza esercitata anche contro inermi e che alla radice di questa violenza c'erano, accanto alla rivalsa per un passato di persecuzione feroce, anche motivi nazionali e ideologici, ma è altrettanto vero che furono eliminati anche appartenenti ad alcune delle strutture repressive più odiose - lo ha detto prima il collega Di Bisceglie - create dai nazifascisti e che, nel biennio 1943-1945, si erano distinte per la ferocia dimostrata nei confronti degli antifascisti, italiani e slavi, come pure della popolazione civile.
Non si tratta davvero di negare rispetto e memoria alle vittime innocenti - furono molte - di ritorsioni brutali o di uccisioni efferate: si tratta di impedire che queste vittime siano in qualche modo dolorosamente affiancate ed equiparate agli aguzzini, legalmente o illegalmente giustiziati, di impedire che siano posti sullo stesso piano, morale e storico, i liberatori e gli oppressori con i loro complici, di impedire una operazione di revisionismo storico tentata da tempo, che ha trovato sorprendenti e forse involontari complici in donne e uomini di sinistra che, in nome di un'idea sbagliata di pacificazione nazionale, si sono prestati ad accreditare le tesi che confondono soggetti distinti nettamente
Menia ci ha ricordato episodi tanto penosi quanto ignobili, episodi che suscitano orrore, pietà e sgomento: ma noi, in questa sede, non possiamo permettere che le nostre decisioni siano dettate solo da compassione o commozione. Il nostro ruolo richiede un dovere di verità: è proprio questo dovere di verità che ci impone di avversare il tentativo surrettizio - si legga la relazione dell'onorevole Menia alla sua proposta di legge - di far passare l'esaltazione delle forze fasciste repubblichine, che dopo l'8 settembre combatterono contro la Resistenza italiana, slovena e croata.
La domanda che dobbiamo porci oggi è quale significato abbia e quale messaggio alla cittadinanza contenga l'attribuzione di questo riconoscimento. Può bastare davvero la pietà a giustificarlo? La pietà è un sentimento importante e prezioso di cui tutti i morti meritano il dono, ma non può essere l'unica ragione di un riconoscimento conferito dalla Repubblica.
Esecuzioni sommarie e indiscriminate non hanno mai giustificazione - ha ragione il relatore -, neppure le esecuzioni sommarie e ingiustificate dei colpevoli, aggiungo io; tuttavia, non riesco più a concordare quando afferma che il nostro giudizio si arresta sulla soglia della morte, non perché la morte non debba trovare comunque rispetto e clemenza, ma perché affermare che tutti i morti sono uguali sarebbe non vero e irrispettoso di ciò che erano in vita, irrispettoso della loro personale vicenda umana e terrena. Non si tratta di infierire su chi è scomparso, persino ucciso barbaramente: sarebbe un accanimento crudele, una rivalsa rancorosa inutilmente persecutoria, ma le esperienze e le idee degli uomini sopravvivono a loro stessi, lasciano un segno che altri tramandano. È questa testimonianza che differenzia anche il giudizio umano, pur sempre limitato e imperfetto sui morti. La morte non riscatta le colpe, Presidente; certamente esse si attenuano e rimpiccioliscono di fronte alla sua imperscrutabilità, ma la loro memoria resta, sia pure privata dei risentimenti, dei rancori, degli odi. È necessario che resti come insegnamento utile ad evitare altre colpe, altri odi.
È vero, la morte merita rispetto, ma non silenzio, perché sul silenzio non si riesce a costruire il futuro, nel silenzio non si trovano le chiavi necessarie a rispondere ai perché, né le difese contro il riproporsi di disumanità incancellabili. La memoria per quanto dolorosa è necessaria ad identificare, comprendere e disarmare i germi della barbarie; è essenziale alla crescita e alla diffusione di antidoti efficaci, è indispensabile alla mortificazione del razzismo e dell'intolleranza che anche oggi si stanno nuovamente radicando nella nostra società.
Per queste ragioni non voteremo la legge, perché non possiamo accettare l'assoluzione della Repubblica di Salò, non possiamo tollerare una manipolazione della memoria collettiva, non possiamo ammettere una riscrittura deformata e surrettizia di quella storia che ci ha tramandato i valori e gli strumenti necessari a combattere ideologie barbare.
Come ha scritto su la Repubblica di ieri Mario Pirani, non c'è parificazione, né allora né oggi, tra chi stava dalla parte della democrazia e delle libertà e chi stava dalla parte del nazifascismo. Gli uni
Ed ancora, a proposito dei ragazzi di Salò, la buona fede non è una categoria interpretativa della storia. Anche Hitler era in buona fede!
Ci sono stati coloro che hanno aderito in buona fede alle bande partigiane titine. Mi è arrivato proprio oggi un libro che illustra le scritte fatte nel 1945 da partigiani comunisti italiani dell'Istria, che inneggiavano a Tito e che nel 1946 sono finiti prima in carcere e poi nell'Isola Nuda, nell'Isola Calva.
È noto che la storia è molto più complessa della vulgata di questi cinquant'anni. Vi è stata una sistematica persecuzione, fino all'eliminazione fisica, di tutti gli elementi comunisti che in Istria militavano nelle brigate partigiane, che
L'emendamento, come proposto dall'onorevole Soda, a mio avviso - mi dispiace, collega Moroni, che il partito che oggi si chiama Comunista lo consideri un orrore -, riporta tutte queste vicende...
Lo ripeto, qualunque scelta una persona avesse fatto - ed è stato storicamente così - comunque sarebbe finita nelle foibe. Sono finite nelle foibe persone che avevano fatto scelte le più diverse illudendosi tutti di mantenere una situazione nella quale anche la presenza italiana avesse un suo futuro. La pietas di cui parla il relatore è un riconoscimento a qualche vedova, a qualche fratello o sorella, a qualche figlio per aver perso i loro cari in maniera così atroce, buttati vivi nelle foibe con i cani, uccisi e sgozzati perché le loro anime non tornassero a popolare i sogni degli assassini. È un contesto terribile! Condivido la formulazione dell'emendamento dell'onorevole Soda perché - come ho detto ieri - non si possono dare riconoscimenti a coloro che con sentenza passata in giudicato o
Siamo nel 2001. Ciò che vogliamo fare - invito anche i Comunisti a farlo votando a favore di questo provvedimento - è dare una lettura più matura di quegli avvenimenti, saper distinguere veramente gli aguzzini dalle vittime innocenti, graduare le responsabilità a seconda del comportamento tenuto da ognuno in quei frangenti, uscendo dal dramma - l'ho detto ieri e lo ripeto oggi - del novecento, che è stato proprio il voler demonizzare, avversare o addirittura eliminare l'avversario politico non per quello che era, ma per la categoria ideologica, della divisa o della nazionalità alla quale apparteneva (Applausi del deputato Di Capua).
Spiace notare che la collega Moroni ed i suoi colleghi di partito non siano stati presenti, Presidente, quando lei a Trieste parlò, assieme ad un avversario politico quale era il presidente di Alleanza nazionale, della necessità che la zona di Trieste, l'Istria, tutti quanti superassero i loro problemi, per fare un passo nuovo. Non si trattava di cancellare - perché non si cancella niente: ognuno di noi, ogni paese, è la sua storia - ma di dare una patina diversa ai fatti; non si tratta di riconoscimenti a formazioni fasciste, parafasciste, naziste, eccetera, ma di un problema particolare.
Purtroppo, da quella parte sono state poste esigenze storiche che avevamo voluto evitare. Accettiamo le mediazioni, accettiamo la nuova formulazione (che indubbiamente pone l'accento sulle responsabilità personali e non su quelle oggettive); a questo punto, insieme con i colleghi del gruppo di Alleanza nazionale, ci auguriamo che questo provvedimento possa essere approvato velocemente anche al Senato, in modo che la tredicesima legislatura si concluda con un segno di novità. Siamo nel terzo millennio e forse dovremmo pensare di cominciarlo un po' meglio.
Sarà difficile discutere sulle foibe nonostante le documentazioni storiche siano
Questa è la ragione per la quale, nel chiedere alla Presidenza l'autorizzazione ad allegare in calce al resoconto stenografico della seduta odierna il testo di considerazioni integrative al mio intervento (vi risparmierò la lettura di questo lungo intervento perché credo che la ricostruzione storica sia stata in qualche modo fatta), annuncio che io e i miei compagni usciremo dall'aula (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).
Nessun altro chiedendo di parlare invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
Ricordo che in quell'emendamento vi era una frase che il relatore ha eliminato dal testo affinché non vi siano confusioni e si propone invece, una nuova formulazione, che è del seguente tenore: all'articolo 1, comma 2, primo periodo, aggiungere infine le seguenti parole: «Escludendo quelli che sono caduti in combattimento». È vero che...
Per questa ragione, ribadisco l'invito al ritiro di tutti gli emendamenti, altrimenti il parere è contrario, esprimo parere favorevole sull'emendamento Di Bisceglie 1.6 (Nuova formulazione) e sull'emendamento 1.11 della Commissione.
Ho presentato due emendamenti che, a mio parere, sintetizzano il contenuto dell'emendamento Di Bisceglie e che - lo ripeto - propongono di limitare il riconoscimento ai congiunti delle vittime inermi o innocenti, in qualsiasi modo uccise.