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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: Interpellanze ed interrogazioni. Cominciamo dall'interpellanza Giovanardi n.2-00034 (vedi l'allegato A).
CARLO GIOVANARDI. Ci troviamo, in sostanza, dinanzi ad una politica giudiziaria di tipo schizofrenico. In questo paese, un indiziato, una persona fino a prova contraria innocente, può fare fino a sei anni di custodia cautelare senza il processo di primo grado, senza cioè che un tribunale stabilisca se egli sia innocente o colpevole.
difficili da accettare per chi ha avuto rovinata in maniera irreparabile la vita da arresti e da lunghe detenzioni in carcere); dall'altra parte invece chi ha subito una condanna definitiva per efferati delitti ottiene tutta una serie di benefici.
PRESIDENTE. L'onorevole sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. L'onorevole interpellante chiede di conoscere quali siano i criteri per i quali sono stati applicati a Barbara Balzarani i benefici del tutto discrezionali dell'articolo 21 della legge Gozzini, nonché quali iniziative intenda intraprendere per ridare serenità e fiducia nello Stato ai parenti delle vittime del terrorismo ed a tutti i cittadini italiani. Nella premessa l'interpellante fa riferimento al dibattito in corso in materia di custodia cautelare, al fatto che nel caso del dottor Contrada la custodia cautelare si è protratta per anni ed al fatto che tale istituto viene applicato con eccessiva disinvoltura anche a reati di lieve entità.
La dottrina, molto critica nei confronti di questa innovazione, ha definito l'istituto come un'ipotesi di quasi obbligatorietà della custodia cautelare in carcere. In effetti, in presenza di gravi indizi, la misura è sostanzialmente obbligatoria, in quanto al giudice non è consentito applicare misure graduate ed egli può non applicare la misura solo in presenza della prova positiva di assenza di esigenze cautelari.
Dalle considerazioni che precedono sembra dunque lecito dubitare che, in presenza di tutte le condizioni di legge, ci si trovi di fronte a benefici del tutto discrezionali, come ritiene invece l'onorevole interpellante, e che al relativo accertamento dei presupposti di legge al provvedimento conclusivo dell'intero iter procedimentale la magistratura di sorveglianza possa sottrarsi ove l'esito risulti favorevole a chi si è sottoposto al trattamento penitenziario. Dall'esame degli atti è dato evincere che la magistratura, nel caso della detenuta Barbara Balzarani, ha scrupolosamente osservato le disposizioni che l'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario impone per la concessione dei relativi benefici.
PRESIDENTE. Preso atto dell'ampia relazione del sottosegretario di Stato per la giustizia, l'onorevole Giovanardi ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n.2-00034.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, sono insoddisfatto della risposta
perché il sottosegretario mi ha spiegato che viviamo nel migliore dei mondi possibili.
PRESIDENTE. Lei, credo, non sarà soddisfatto del contenuto, non dell'ampiezza della risposta.
CARLO GIOVANARDI. Né dell'ampiezza né del contenuto perché non mi era sfuggito che i magistrati hanno applicato la legislazione in vigore. Io però avevo chiesto al Governo quali iniziative intendesse intraprendere per evitare che persone condannate a tre ergastoli per fatti di sangue, le quali a detta del sottosegretario si sono abbastanza nettamente allontanate dal terrorismo, possano godere di tutta una serie di benefici; mentre i cittadini innocenti, fino a prova contraria, possono rimanere in carcere fino a sei anni lo ripeto, sei anni senza giudizio.
PRESIDENTE. Segue l'interrogazione Giovanardi n.3-00034 (vedi l'allegato A).
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. L'onorevole interrogante trae spunto da una vicenda giudiziaria riguardante l'ex deputato Angelo Rojch per chiedere al ministro di grazia e giustizia quali iniziative intenda intraprendere per garantire che i parlamentari possano esercitare liberamente il loro mandato senza essere incriminati ed incarcerati sulla base di opinioni espresse in Parlamento. A sostegno della preoccupata richiesta, l'interrogante cita alcuni passi dell'ordinanza di applicazione di misura cautelare nei confronti del Rojch nei quali vi sono espliciti riferimenti all'attività politica dell'ex deputato.
ampia ed articolata. Il contesto associativo e il ruolo del Rojch sono ricostruiti sulla base di intercettazioni telefoniche, documenti, dichiarazioni di persone informate sui fatti.
PRESIDENTE. L'onorevole Giovanardi ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n.3-00034.
CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, non solo non sono soddisfatto ma non mi sento nemmeno garantito da questo Governo; non mi sento garantito nella mia libertà di parlamentare. Non so chi prepari le risposte del Governo né se i sottosegretari che le leggono in Assemblea si rendano conto di ciò che affermano, né ancora so se siano state approfondite le vicende delle quali stiamo parlando. Infatti l'onorevole Rojch, una volta sciolte le Camere, è stato arrestato con un'operazione che ha visto un grande dispiegamento di mezzi ed è stato qualche mese in carcere. Ma perché ciò è avvenuto?
riguardino interventi specifici e mi rifiuterò di votare a favore. Infatti di tale accusa è rimasto in piedi il seguente teorema: per quale motivo l'onorevole Rojch si interessava della Sardegna? Perché chiedeva finanziamenti CEE per la provincia di Nuoro? Perché si preoccupava del decollo della piccola e media industria e della formazione professionale? Ebbene, la risposta sarebbe che, se tutto ciò fosse andato a buon fine e tali obiettivi fossero stati raggiunti, l'onorevole Rojch avrebbe aumentato il suo peso ed il suo prestigio politico in Sardegna, essendo il «supremo» capace di ottenere finanziamenti per la sua regione.
PRESIDENTE. Seguono l'interpellanza Vito n.2-00078 e l'interrogazione Savarese n.3-00082 (vedi l'allegato A).
ELIO VITO. La vicenda oggetto dell'interpellanza è emblematica e grave. Il direttore di un importante quotidiano, il dottor Mottola, insieme al responsabile della pubblicità, è stato recentemente rinviato a giudizio con l'accusa clamorosa di favoreggiamento della prostituzione. Se poi si va a verificare a cosa si riferisca questa accusa, si riscontra che essa riguarda in realtà la pubblicazione di piccoli annunci pubblicitari, cosiddetti a luci rosse.
Da una parte, quindi, facciamo un riferimento esplicito, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, alla possibilità che la singolare unicità del provvedimento possa preludere o rappresentare in qualche modo un segnale intimidatorio nei confronti di quel direttore e di quella testata. Mi chiedo infatti per quale ragione, se un magistrato decide d'ufficio di aprire un'inchiesta su questo fenomeno e decide di ravvisarvi il reato di favoreggiamento della prostituzione, agisca solo nei confronti di una testata e di un direttore.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. In relazione all'interpellanza presentata dall'onorevole Vito e all'interrogazione dell'onorevole Savarese si comunica che dagli atti forniti dalle competenti articolazioni ministeriali e, in particolar modo, dalla richiesta del pubblico ministero e dal decreto del GIP presso il tribunale di Roma, che dispone il giudizio, si ha modo di conoscere nei suoi termini precisi l'imputazione contestata a Giovanni Mottola, in qualità di direttore del quotidiano Il Tempo, e a Paolo Minervini, quale responsabile del settore pubblicità dello stesso quotidiano. Agli stessi viene contestato il reato di induzione alla prostituzione aggravata, in concorso tra loro, in quanto, accettando e pubblicando sul giornale citato inserzioni pubblicitarie inequivocabilmente destinate a procurare clienti a persone che si prostituiscono, favorivano la prostituzione di più persone o comunque compivano ai danni di più persone atti di lenocinio a mezzo della stampa.
mezzo di pubblicità e di procacciamento dei clienti nell'esercizio del meretricio, per cui, oggettivamente, offrono un concreto apporto alla realizzazione della prostituzione.
PRESIDENTE. L'onorevole Bonaiuti ha facoltà di replicare per l'interpellanza Vito n.2-00078, di cui è cofirmatario.
PAOLO BONAIUTI. Abbiamo sentito dal sottosegretario Corleone una risposta che attiene completamente alla cancelleria. Sono stati citati un decreto di rinvio a giudizio, un articolo del codice e due volte la Carta costituzionale; si è inoltre parlato di libertà di stampa in termini generici. Ci aspettavamo qualcosa di più e qualcosa di meglio da parte del rappresentante del Governo. Non ci si può liberare di una questione come quella in esame citando dati che riguardano unicamente aspetti burocratici.
PRESIDENTE. L'onorevole Savarese ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n.3-00082.
ENZO SAVARESE. D'accordo, Presidente!
PRESIDENTE. Segue l'interpellanza Lucchese n.2-00076 (vedi l'allegato A).
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il destino del carcere mandamentale di Alcamo si inquadra nella più ampia problematica che da alcuni anni coinvolge la sistemazione e l'utilizzo di tutte le case mandamentali d'Italia. Sia all'interno del Ministero di grazia e giustizia sia negli ambienti parlamentari e di pubblico dibattito si sono sviluppate alcune riflessioni e considerazioni. Il ministero ha poi assunto alcune decisioni, per certi versi lucide e per altri contraddittorie. Si tratta, in buona sostanza, di decidere in modo inequivoco quale dovrà essere la funzione e la piena utilizzazione delle case mandamentali e di tutto il patrimonio immobiliare, nonché di esperienza umana e professionale, legato a questa istituzione secolare che nel complesso può considerarsi positiva.
di lavanderia a fronte di una spesa di circa un miliardo. A seguito del decreto ministeriale 10 maggio 1991 il carcere è stato adibito dall'aprile all'ottobre del 1993 alla custodia dei tossicodipendenti, con l'assistenza di personale di custodia integrato con agenti di polizia penitenziaria. A partire da tale data, dopo la disattivazione dell'assistenza ai tossicodipendenti per mancanza di requisiti tecnici e sanitari, è stato utilizzato per la custodia dei detenuti invece che come carcere mandamentale, in attesa così si presume che venissero rimossi gli inconvenienti tecnici e si provvedesse alla dotazione dei necessari requisiti sanitari. Ultimamente era stato assegnato dal comune di Alcamo il medico ed era in corso la predisposizione di una schema di convenzione con il SERT per l'assistenza ai tossicodipendenti.
viene confermata da un articolo apparso sul Giornale di Sicilia del giorno 30 giugno 1996, in cronaca di Trapani, a firma Gianfranco Criscenti.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.
FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in riferimento all'interpellanza in oggetto si comunica quanto segue. In ordine alla prima questione contenuta nel documento di sindacato ispettivo, riguardante la decisione di sopprimere il carcere mandamentale di Alcamo e la richiesta di revoca di tale decisione da parte del ministro, occorre precisare che nessun provvedimento formale di soppressione è stato adottato e quindi nessun provvedimento di revoca si impone nell'immediatezza. Occorre tuttavia precisare che è allo studio delle competenti articolazioni ministeriali l'eventuale soppressione della casa mandamentale. Ciò anche per venire incontro ad una indicazione in tal senso del sindaco di Alcamo, che suggerisce il reimpiego dei locali di proprietà comunale per ospitare la caserma del distaccamento dei vigili del fuoco.
PRESIDENTE. L'onorevole Lucchese ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n.2-00076.
FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, dichiaro di non essere soddisfatto, anche per i motivi già esposti nell'illustrazione della mia interpellanza, con la quale avevo, per così dire, confutato e contestato in anticipo ciò che il sottosegretario ha affermato poc'anzi. La casa mandamentale di Alcamo è una struttura altamente qualificata il provveditore non è mai andato a vederla che ha funzionato per tre anni, anche con l'apporto degli agenti di polizia penitenziaria. L'organico richiesto per l'utilizzazione di tale casa mandamentale è di dieci persone: attualmente ce ne sono sette, quindi lo si dovrebbe integrare. Non capisco perché il ministero, se intendeva disattivarla, abbia invece speso notevoli somme di denaro per attrezzarla, corredandola dell'arredamento per la cucina, della lavanderia, del gruppo elettrogeno e di tutto ciò che ho descritto nella mia premessa. Mi sembra, quindi, che il comportamento del ministero sia contraddittorio.
PRESIDENTE. Segue l'interpellanza Manisco n.2-00050. L'onorevole Pistone ha facoltà di illustrare l'interpellanza Manisco n.2-00050, di cui è cofirmataria.
GABRIELLA PISTONE. Rinuncio ad illustrarla, signor Presidente, e mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ha facoltà di rispondere.
ARTURO MARIO LUIGI PARISI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. In data 30 maggio 1996 le società del gruppo Caltagirone ICAL sud Srl, Mantegna 87 Srl, Arquata Cementi Spa, Vianini Industria Spa, Finanziaria Vianini Lavori srl, hanno comunicato all'ufficio del Garante dell'editoria l'intendimento di acquisire congiuntamente, con diverse rispettive quote, la totalità del capitale
sociale de Il Messaggero-Spa, editrice del quotidiano Il Messaggero.
sforzo per la riduzione dei decreti-legge e quindi non sembra opportuno, analizzati i presupposti, un atto del genere richiesto dagli interpellanti per la risoluzione della materia in oggetto.
PRESIDENTE. L'onorevole Pistone ha facoltà di replicare per l'interpellanza Manisco n.2-00050, di cui è cofirmataria.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le perplessità sono molte, anche se ringrazio il sottosegretario per la risposta che ci ha dato. Mi sembra vi sia ancora molto da appurare o, almeno, che si debbano ancora conoscere i risultati di talune indagini.
ascoltare solo risposte burocratiche! Ritengo che un Governo sia in grado di pensare e che non possa limitarsi a leggere i fogli preparati dai funzionari, che a volte sono bravi, ma a volte hanno fretta e talora si calano poco nelle vicende rispetto alle quali si chiede una risposta.
stesso, signor sottosegretario, capisce bene che forse non avevano carattere d'urgenza!
PRESIDENTE. Segue l'interrogazione Cento n.3-00055 (vedi l'allegato A).
LIVIA TURCO, Ministro per la solidarietà sociale. L'interrogazione muove dall'analisi dell'andamento del fenomeno droga in Italia, come emerge anche dall'ultima relazione annuale al Parlamento presentata dal ministro pro tempore per la famiglia e la solidarietà sociale, per evidenziare la necessità di un approccio indirizzato maggiormente alla salvaguardia delle condizioni della popolazione dei tossicodipendenti attivi nei casi in cui occorre superare la cosiddetta strategia dell'astinenza.
sperimentali con l'apertura di centri a bassa soglia e la messa in opera di unità di strada nonché l'accoglienza di utenti in trattamento farmacologico.
Va prima di tutto considerato il nuovo assetto interno, che è decisamente avviato verso la responsabilizzazione delle regioni rispetto alla gestione di interventi concreti in materia di tossicodipendenza, all'interno di una programmazione che muove dalla situazione del territorio. Considero questo un atto importante e qualificante. Anche lo stesso fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga è stato trasferito dal 1996, come è noto, alle regioni, alle quali va riconosciuto un grado di autonomia, anche rispetto all'indirizzo politico, che comunque dovrà trovare un momento unitario attraverso la stipula di linee guida concordate tra Stato e regioni, in considerazione delle caratteristiche e dell'incidenza del fenomeno.
nuove droghe e verrà affrontato anche, con un apposito gruppo di lavoro, il tema della legalizzazione delle droghe leggere.
PRESIDENTE. L'onorevole Cento ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n.3-00055.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, ringrazio la ministra Livia Turco per la risposta positiva che ha fornito alla mia interrogazione.
della riduzione del danno, che invece sono diminuite nel corso delle varie reiterazioni.
PRESIDENTE. Segue l'interrogazione Sbarbati n. 3-00083 (vedi l'Allegato A).
LIVIA TURCO, Ministro per la solidarietà sociale. L'interrogazione in esame pone un problema molto importante, in merito al quale il Governo ha assunto alcuni impegni sia nel corso dell'illustrazione del programma del ministro degli affari sociali nella XII Commissione, sia attraverso la presentazione del primo rapporto sull'infanzia, avvenuta qualche giorno fa a Palermo.
una vita dignitosa agli anziani. Eppure, considerando la distribuzione delle risorse tra bambini, minori ed anziani, si intravede il rischio di cui ho parlato. Sempre nel rapporto sulla povertà emerge la difficoltà che i bambini stranieri presenti in Italia incontrano nell'integrazione negli asili nido, nella vita scolastica e, più in generale, nella vita delle nostre città.
Mezzogiorno è dovuta alla mancanza di interventi che incidono sul reddito.
PRESIDENTE. L'onorevole Sbarbati ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n.3-00083.
LUCIANA SBARBATI. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare il ministro Livia Turco per la solerzia con cui è venuta a rispondere a questa interrogazione, che riguarda un tema tanto delicato, sul quale, a dir la verità, la stampa ha posto poco l'accento, se non in termini scandalistici, che toccano molto a livello epidermico la sensibilità della pubblica opinione, la quale drammatizza per un momento, ma poi dimentica. Questa disposizione a dimenticare è andata avanti per anni, probabilmente per secoli, per cui la triste vicenda dell'infanzia violata sta assumendo, sotto i nostri occhi, contorni decisamente inaccettabili per una società democratica ed evoluta che vuole fare riferimento a certi valori.
essere ancora valutate dalla magistratura. Quindi, chi facciamo sedere sul banco degli imputati?
PRESIDENTE. Le consento ciò che a me consente il regolamento! Le consento quindi dodici secondi.
LUCIANA SBARBATI. Va bene, Presidente; la ringrazio.
PRESIDENTE. I secondi sono poi diventati quarantacinque!
ALBERTA DE SIMONE. Cercherò di essere molto breve ma alcune cose vanno proprio dette.
dei coniugi. A tale riguardo vorrei dire che il termine «figliastro» si usa, di fatto, soltanto quando il figlio è figlio della moglie (cioè nato da una precedente unione); se invece è figlio del padre, e non della madre, allora si usa il termine «figlio», perché il riferimento è al cognome del padre.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno ha facoltà di rispondere.
ADRIANA VIGNERI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, signori deputati, l'interpellante ci ha ricordato il contenuto del suo documento di sindacato ispettivo, sottoscritto anche dagli onorevoli Jervolino Russo e Serafini, con il quale si chiede di eliminare dai certificati di stato civile rilasciati dalle anagrafi il termine «figliastro» o «figliastra», usato con riferimento a quei figli che sono nati da un matrimonio precedente o comunque al di fuori del matrimonio cui fanno riferimento i certificati e che convivono con il genitore nella nuova famiglia. Gli interpellanti auspicano un intervento per eliminare una consuetudine che certamente entra in conflitto con l'attuale costume sociale e contrasta sotto il profilo della legittimità con la Costituzione, rappresentando
a livello di certificazione amministrativa una disparità di trattamento che suona offesa al principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3. Gli interpellanti hanno anche aggiunto che vi è un contrasto con la riforma, ormai non più recentissima, del diritto di famiglia oltre che, appunto, con i principi costituzionali.
PRESIDENTE. L'onorevole De Simone ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n.2-00064.
ALBERTA DE SIMONE. Nel dichiararmi molto soddisfatta della risposta fornita questa sera dal Governo e che finalmente pone fine ad una ingiustizia gravissima, una discriminazione senza ragione, vorrei ribadire che a mio parere non esiste l'esigenza, attraverso il certificato anagrafico, di risalire con precisione alla paternità e alla maternità perché già il diverso cognome testimonia una diversa paternità. Non c'è alcun bisogno del ricorso ad un termine dispregiativo perché, come dicevo, il certificato di nascita testimonia la paternità e la maternità chiaramente.
PRESIDENTE. Segue l'interrogazione Stefani n.3-00028 (vedi l'allegato A).
ADRIANA VIGNERI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Con l'interrogazione iscritta all'ordine del giorno il deputato Stefani ha chiesto di conoscere i provvedimenti che il ministro dell'interno intende assumere per garantire regolarità e trasparenza allo svolgimento del procedimento elettorale, con specifico riferimento all'uso delle liste e dei contrassegni.
della lega nord avrebbero potuto produrre formale opposizione all'ufficio elettorale centrale (ciò peraltro non è stato fatto e rappresenta un indizio che la questione non era così evidente, rilevante e certa).
PRESIDENTE. L'onorevole Signorini ha facoltà di replicare per l'interrogazione Stefani n.3-00028, di cui è cofirmatario.
STEFANO SIGNORINI. Signor Presidente, vorrei rimarcare alcuni aspetti di questa vicenda, in particolare la confusione che ha prodotto nell'elettorato la presentazione della lista denominata «unione nord est».
PRESIDENTE. Avverto che l'onorevole Angeloni, ha comunicato agli uffici di trasformare in interrogazione a risposta scritta la sua interrogazione n.3-00038, la quale pertanto non verrà svolta.
L'onorevole Giovanardi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza.
Nella mia interpellanza ho fatto riferimento al caso Contrada: il caso di un cittadino che prima della sentenza di primo grado ha subito una custodia cautelare di anni. Come è noto, con i reati associativi, con il concorso esterno in associazione mafiosa, con il ruolo dei pentiti, si moltiplicano i casi di cittadini che vengono accusati dai pentiti e che pertanto, prima delle verifiche rispetto alla congruità delle accuse, rischiano di trascorrere mesi ed anni in carcere.
Nel contempo la cronaca di tutti i giorni (ho fatto riferimento a Barbara Balzarani, condannata con sentenza passata in giudicato a tre ergastoli per gravissimi fatti di sangue) registra persone che, riconosciute colpevoli a seguito di sentenze definitive, di efferatissimi delitti, riottengono la libertà.
Abbiamo letto che Adriana Faranda (nome tristemente noto alle cronache del terrorismo) esercita l'attività di fotografa nel palazzo di Montecitorio. Ebbene, vorrei capire se il Governo si renda conto dell'allarme presso l'opinione pubblica rispetto a queste due terribili fattispecie: da una parte, chi è innocente o non colpevole come la Costituzione stabilisce, fino a che non sia provato il contrario subisce un periodo di detenzione lunghissimo (e purtroppo moltissime volte, con una percentuale assolutamente inaccettabile, si scopre alla fine che si è trattato di un errore ... con tante scuse; ma le scuse sono
Al Senato si sta oltretutto discutendo della abolizione dell'ergastolo; in questa occasione vorrei conoscere l'opinione del Governo al riguardo, perché è chiaro che ciò sarebbe un ulteriore passo verso un abbassamento della guardia rispetto a fenomeni di criminalità organizzata non supposti ma veri, provati, accertati con sentenze passate in giudicato, e aggraverebbe un fenomeno che ormai credo sia unico nei paesi civili e democratici, ossia quello di essere molto più spietati e rigorosi nel momento in cui scattano le manette dinanzi ad accuse tutte da provare, mentre si è incredibilmente lassisti quando, una volta provate le responsabilità e i fatti accertati, e dinanzi a sentenze passate in giudicato, si dovrebbe effettivamente espiare una pena, che rappresenta l'irrogazione di qualcosa di giusto rispetto a delitti di cui una persona è stata accusata e che sono stati provati in tribunale.
Sicuramente il dibattito sulla custodia cautelare o, come precedentemente si chiamava, sulla carcerazione preventiva risale a molto tempo addietro. Ricordo che molti, poi risultati innocenti voglio fare due nomi: Franco Tomei e Lucio Castellano, quelli del «7 aprile» trascorsero in carcere tanti anni e anche allora vi fu una giusta polemica per la lunghezza della carcerazione preventiva.
In questo caso, tuttavia, riesce difficile cogliere il collegamento tra le premesse e la richiesta. Forse l'interpellante intendeva porre in comparazione la vicenda giudiziaria del dottor Contrada e quella della Balzarani e stigmatizzare il rigore nei confronti dell'uno a fronte della pretesa indulgenza nei confronti dell'altra. Si tratterebbe, però, di una comparazione del tutto impropria, trattandosi di vicende tutt'affatto diverse e sul piano storico e sul piano giudiziario. Ciò nonostante, per il rispetto dovuto al Parlamento, il Governo cercherà di chiarire ogni aspetto delle vicende oggetto dell'interpellanza.
Per quanto riguarda la vicenda giudiziaria del dottor Contrada, si comunica quanto segue. Il dottor Contrada fu tratto in arresto il 24 dicembre 1992 in esecuzione di un provvedimento del GIP presso il tribunale di Palermo con l'accusa di concorso in associazione mafiosa (articoli 110 e 416-bis del codice penale) ed è stato scarcerato in data 31 luglio 1995 su disposizione della V sezione del tribunale di Palermo nel corso del dibattimento di primo grado.
Premesso che non è consentita al ministro alcuna valutazione sulla fondatezza delle accuse formulate nei confronti del dottor Contrada, va rilevato che la ragione principale di una così lunga detenzione cautelare è da ricercare nella speciale normativa processuale per i delitti di mafia.
Con il decreto-legge 13 maggio 1991, convertito nella legge 12 luglio 1991, n.203, l'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, ha subito una profonda modificazione. In deroga ai principi della eccezionalità della misura cautelare della custodia in carcere, della proporzionalità e dell'adeguatezza delle misure cautelari, il legislatore del 1991 ha previsto che per i delitti di mafia, nonché per altri numerosi delitti, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Sul punto va ricordato che il vivace dibattito nel Parlamento e nel paese sulla custodia cautelare ha portato nell'agosto 1995, quindi successivamente alla scarcerazione del dottor Contrada, ad una modifica del terzo comma dell'articolo 275 del codice di procedura penale, con la quale però il meccanismo della quasi obbligatorietà della custodia in carcere è stato mantenuto, anche se soltanto per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale.
Quanto alla durata della custodia, anche in questo caso la normativa processuale prevede per alcuni reati, tra cui quello di cui all'articolo 416-bis, la sospensione dei termini di custodia cautelare quando il dibattimento sia particolarmente complesso. Non è questa la sede per una discussione sui complessi problemi sottesi alle modifiche normative dianzi ricordate; si può solo dire che, per quanto riguarda i delitti di mafia, la normativa processuale è particolarmente rigorosa, chiunque sia l'imputato. Questa normativa è stata applicata nella vicenda del dottor Contrada nei confronti del quale il giudice per le indagini preliminari, prima, ed il tribunale, poi, hanno ritenuto sussistere gravi indizi di colpevolezza e non sussistere elementi dai quali risultasse l'assenza di esigenze cautelari. Solo all'esito del dibattimento, nel luglio 1995, il tribunale ha ritenuto di poter positivamente escludere ogni esigenza cautelare e, anche in considerazione delle condizioni di salute del dottor Contrada, ne ha disposto la scarcerazione.
La vicenda giudiziaria della Balzarani, invece, si presenta, come si diceva, tutt'affatto diversa. In questo caso è in gioco l'applicazione della normativa penitenziaria introdotta nel 1975 e successivamente modificata nel 1986. Occorre al riguardo premettere che la legge 26 luglio 1975, n.354, dedica le disposizioni del suo primo titolo, ove è inserito il citato articolo 21, al trattamento penitenziario. Con questa espressione sintetica si suole indicare il complesso delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive spettanti al detenuto in dipendenza dallo stato di detenzione, nonché il complessivo atteggiamento dell'istituzione carceraria nei confronti del ristretto.
In sintonia con le finalità rieducative e di reinserimento sociale riconosciute alla pena, che deve tendere alla rieducazione del condannato e non può in alcun caso consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, come previsto dallo stesso articolo 27 della Costituzione, viene ormai unanimemente ritenuto che il trattamento deve rappresentare una terapia di riadattamento sociale, indicando l'insieme degli interventi offerti all'individuo per aiutarlo ad assumere un nuovo orientamento di vita. I principi fondamentali del trattamento sono enunciati dall'articolo 1 della legge n.354, citata, e costituiscono null'altro che la trasposizione nella materia penitenziaria dei noti precetti costituzionali. Così è in particolare per i criteri di uguaglianza e di imparzialità (articolo 3 della Costituzione), del rispetto dell'umanità e della dignità della persona (articoli 3, 13 e 27 della Costituzione stessa), del principio di non colpevolezza nei confronti degli imputati (articolo 27 della Carta costituzionale).
Nonostante il sistema legislativo possa suggerire l'impressione dell'esistenza di un vero obbligo giuridico per il detenuto di sottostare alla «terapia» se così si può chiamare rieducativa, deve invece ritenersi che questi possa rinunciarvi e che, di conseguenza, il trattamento comprenda in sé anche il diritto a non essere trattato. Ne consegue che il trattamento, inteso nel senso ora precisato, va ricostruito alla stregua di un diritto rinunciabile del detenuto. In caso diverso la normativa non potrebbe sottrarsi a pesanti ombre di incostituzionalità. Orbene, in tale contesto si colloca il citato articolo 21 disciplinante il lavoro all'esterno del condannato, prevedendo precisi presupposti soggettivi ed oggettivi per il relativo provvedimento.
Giova al riguardo osservare che il magistrato di sorveglianza di Roma, con provvedimento dell'8 febbraio 1995, n.136, approvava il programma di trattamento redatto dall'équipe di osservazione della casa circondariale femminile di Rebibbia nei confronti della citata detenuta. Con successivo provvedimento del 21 marzo 1995 lo stesso ufficio di sorveglianza approvava l'ammissione al lavoro esterno dopo un'istruttoria diretta ad accertare la serietà e l'affidabilità del datore di lavoro e fatti salvi sempre i successivi riscontri e controlli obbligatori sul rapporto tra datore di lavoro e detenuto.
L'osservanza delle prescrizioni di legge si desume altresì dal provvedimento del tribunale di sorveglianza di Roma del 15 e 20 settembre 1993, reso su conformi conclusioni del procuratore generale, di riduzione della pena inflitta alla Balzarani di 720 giorni, provvedimento questo congruamente motivato sugli aspetti comportamentali della Balzarani in carcere e nel quale si legge: «Nella fase iniziale di detenzione, caratterizzata dalle vicissitudini penitenziarie del periodo susseguente agli anni di piombo e dall'assoluta mancanza di opportunità trattamentale per i detenuti politici, la Balzarani ha sempre serbato una condotta regolare, nel rispetto delle norme carcerarie e del personale di custodia. A questa adesione formale ha fatto seguito una partecipazione sempre più intensa con un complesso processo maturativo e di apertura che si è concretato nell'impegno universitario e nel continuo e costante dialogo con operatori e rappresentanti di forze politiche istituzionali».
Da quanto precede emerge quindi che l'ammissione della detenuta Balzarani ai benefici della cosiddetta legge Gozzini è stata graduale, tanto che la medesima già usufruiva di permessi premio in conseguenza di un periodo di osservazione da parte di un gruppo a tal fine costituito, il quale ha rilevato che la stessa detenuta «ha visualizzato in maniera abbastanza netta il fallimento delle proprie scelte devianti, intraprendendo già da tempo una revisione critica del passato».
Quanto alle iniziative da intraprendere, va ricordato che sono all'esame della Commissione giustizia della Camera diverse proposte di legge di indulto per i reati di terrorismo. Il Governo si augura che il dibattito in Parlamento su questo delicato tema, a cui si è richiamato anche il Presidente della Repubblica nel discorso pronunciato in quest'aula il 2 giugno, sia il più ampio e approfondito possibile.
Voglio anche ricordare le parole al riguardo dette dal ministro della giustizia Flick il 4 luglio scorso nel corso dell'audizione sulle linee programmatiche del Governo nel settore della giustizia: «Per quanto riguarda l'indulto, credo che il superamento della cultura dell'emergenza attraverso l'adozione di misure generalizzate sia una scelta essenzialmente politica di consenso globale di tutti, nel quale soltanto può trovare riconoscimento, ed eventualmente richiesta di superamento, la posizione delle vittime. La strada che il Ministero intende percorrere è quella di continuare a favorire il massimo sviluppo per le misure alternative di applicazione al caso singolo, mentre ritiene di doversi rimettere alla scelta politica di consenso generale sull'indulto per un'emergenza ormai superata, almeno lo speriamo, come quella del terrorismo.
Mi sembra che tutto ciò ci allontani dall'Europa, dalla civiltà, specialmente quando è cronaca di tutti i giorni nei procedimenti giudiziari si inseriscono valutazioni di tipo politico.
Il meccanismo dei pentiti, quindi, viene utilizzato anche come arma di lotta politica. Intellettualmente mi rifiuto, anche se lo devo accettare per forza, di ascoltare risposte del Governo dalle quali si evince che non c'è un minimo di riflessione rispetto a queste due fattispecie. Lo stesso caso Contrada è significativo: due anni e sette mesi di custodia cautelare! Ora, si tratterà pure della legislazione speciale, ma ci allontana da quel minimo di cultura, di civiltà giuridica, sulla quale si è costruito il concetto di libertà personale del cittadino fino a prova contraria ripeto non colpevole!
Il fatto che il Governo mi abbia ricordato quale sia la legislazione in vigore ed i percorsi che sono stati utilizzati per arrivare a queste scelte mi lascia completamente indifferente. Avevo infatti chiesto al Governo se ritenesse che questa fosse una situazione da correggere oppure se andasse bene così. Ma se al Governo sta bene, certamente non può star bene a noi una tale situazione che, ripeto, ci allontana dalla civiltà giuridica.
Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.
Sembra evidente che, se il provvedimento giudiziario fosse motivato in base alle iniziative politiche del Rojch e alle opinioni dal medesimo espresse nell'espletare il mandato parlamentare, ci troveremmo di fronte ad una gravissima violazione del principio costituzionale di cui al primo comma dell'articolo 68.
Il ministro di grazia e giustizia doveva verificare se il Rojch, già membro del Parlamento, fosse stato chiamato a rispondere, addirittura in sede penale e addirittura con l'applicazione della grave misura della custodia in carcere, delle opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni. In realtà, così non è.
Nei confronti del Rojch il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lanusei dispose, nell'aprile 1994, la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe in danno dello Stato e della Comunità europea e alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione e per il delitto di abuso d'ufficio.
Successivamente, nei confronti del Rojch è stato disposto il rinvio a giudizio e il dibattimento inizierà il 21 gennaio 1997. Spetterà al tribunale valutare la fondatezza delle accuse.
Quello che deve essere rilevato è che la motivazione del provvedimento cautelare è
Nel contesto motivazionale le frasi riprese nell'interrogazione appaiono marginali e irrilevanti e sembrano inserite più ad colorandum che come elemento dimostrativo di un fatto o di una circostanza.
Il Rojch, dunque, non è stato incriminato ed arrestato per le sue opinioni, ma per fatti specifici sui quali la valutazione spetta esclusivamente all'autorità giudiziaria.
I riferimenti all'attività politica del Rojch e alle opinioni da lui espresse nell'esercizio della funzione possono certamente essere valutati come inopportuni ed inconferenti, ma non costituiscono né l'oggetto né il motivo del provvedimento giudiziario. Se ne può dunque trarre elementi per il legittimo esercizio del diritto di critica nei confronti dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, ma non vi è spazio alcuno per una valutazione di tipo disciplinare.
Informo il sottosegretario del fatto che le accuse avanzate nei confronti dell'onorevole Rojch, quelle di abuso, di truffa e di voto di scambio, sono state archiviate. L'onorevole Rojch è stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere senza che gli venga contestato alcun reato specifico. Ma in che consiste questa associazione a delinquere? Viene spiegato nell'ordine di custodia cautelare. L'accusa consiste nel fatto che sarebbero state compiute malversazioni nella gestione di fondi pubblici; il pubblico ministero si è domandato per quale motivo arrivassero i soldi in Sardegna. Ebbene, essi arrivavano mediante l'attività politica del deputato Rojch in particolare; in definitiva la figura che incideva politicamente era quella del deputato Angelo Rojch, il quale «già presidente della giunta regionale della Sardegna» sto citando testualmente «da tempo va palesando in vari interventi pubblici ed istituzionali, anche con la promozione di provvedimenti normativi ed interrogazioni parlamentari, il proprio interesse per gli investimenti produttivi e lo sviluppo dell'occupazione nelle zone della Sardegna centrale».
Certi strettissimi legami del Rojch che viene nominato «il supremo» o «sua santità» (era un nostro collega e nessuno sapeva che fosse «il supremo» o «sua santità») sono comprovati dalla documentazione rinvenuta presso la segretaria, Rosaria Soro, di un certo gruppo Cowi, e da moltissime conversazioni telefoniche intercettate.
Presso il Serra sentite! è stato poi rinvenuto un articolo a firma del deputato, pubblicato sul quotidiano Il Popolo, sul quale viene criticata la politica degli investimenti che trascura il Mezzogiorno, indicando possibili danni per la Sfirs, il Banco di Sardegna e tutto il sistema bancario dell'isola se dovessero rivelarsi inidonei a seguire una politica dinamica di iniziativa. È probabile che l'autore o quantomeno l'ispiratore di questo articolo sia lo stesso Serra, il quale si era occupato, insieme al Rojch, di promuovere lo sviluppo degli investimenti e l'occupazione in Sardegna e di proporre modifiche normative, forse addirittura di predisporre i discorsi di politici della corrente di Rojch. Tutte queste cose sono contenute nell'ordine di custodia cautelare.
Ho già detto al Presidente della Camera ed al Presidente della Repubblica che, quando in quest'Assemblea si discuterà della Sardegna e dei finanziamenti pubblici che la riguardano, mi rifiuterò di esprimere consenso su provvedimenti che
Si può rimanere due mesi in carcere con motivazioni di tal genere, signor rappresentante del Governo? Sarebbe questo il senso della giustizia o siamo di fronte ad una vera e propria persecuzione? Cosa è rimasto di queste accuse che sono costate ad un parlamentare due mesi di carcere? Venga a dircelo. Perché non ci ha spiegato a che punto è il procedimento? Perché non ci ha detto che le accuse specifiche sono state archiviate? Viene allora a giustificare il fatto che un parlamentare possa essere arrestato perché presenta delle interrogazioni, perché scrive degli articoli su un giornale di partito, perché si preoccupa in aula di una politica a favore di questa o quella zona del meridione o del settentrione? È questo che vuole avallare il Governo? È questo il tipo di «regime» nel quale dovremo abituarci ad operare? Non una parola in difesa della libertà parlamentare, per il parlamentare di una volta e per quello di oggi; non un dubbio.
Poiché già mi è capitato in precedenza passi per una volta che il ministro, dopo che il sottosegretario aveva fornito una risposta in aula, mi abbia detto di non aver letto quella risposta, di non averla conosciuta e che l'avevano preparata gli uffici, mi rivolgerò ancora ufficialmente al ministro della giustizia. Naturalmente andrò di nuovo dal Presidente della Repubblica e dal Presidente della Camera perché la situazione si è aggravata: quando mi rivolsi a loro la prima volta, infatti, sembrava che oltre all'associazione per delinquere, al Rojch venissero addebitati anche altri reati. Adesso che i reati sono stati archiviati rimane solo questa costruzione.
Tornerò ancora dal ministro per sapere se si senta rappresentato da quello che il sottosegretario questa sera ha risposto in aula; una risposta secondo me vergognosa della quale mi dichiaro assolutamente insoddisfatto.
Questa interpellanza e questa interrogazione, che vertono sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.
L'onorevole Vito ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n.2-00078.
La ragione della nostra interpellanza e della richiesta di un intervento del Governo è presto detta. Ci troviamo di fronte ad una iniziativa giudiziaria che ha del clamoroso rispetto all'episodio specifico che viene contestato: sfugge davvero alla nostra possibilità logica di comprensione quale sia la linea che ha portato il magistrato ad emanare quel provvedimento di rinvio a giudizio. Sembra che ci si trovi di fronte ad una iniziativa giudiziaria che è stata assunta d'ufficio, non in presenza di una specifica denuncia, forse in base ad una lettera che però non si è neanche avuta la prudenza di verificare se sia stata effettivamente inviata dalla persona che risultava averla mandata. Comunque si è ritenuto di dover agire d'ufficio e, d'ufficio, si agisce nei confronti di una sola testata, pur essendo quello delle piccole inserzioni a pagamento un fenomeno diffuso su tutta la stampa nazionale, un fenomeno che addirittura investe le nostre televisioni, soprattutto quelle private a carattere locale.
Dall'altra parte, è evidente che ci troviamo in un campo delicatissimo che è quello della libertà di stampa. Lei ci insegna, Presidente, che la libertà di stampa non è solo e non è tanto la libertà del giornalista di scrivere; forse è soprattutto la libertà dell'editore di pubblicare. All'interno ed a fianco di questa libertà vi è sicuramente anche la libertà, tutelata dalla nostra Costituzione, dell'iniziativa economica ed esiste poi la libertà personale che appartiene ad una sfera privata e delicata, rispetto alla quale ognuno può avere le proprie opinioni. È però difficile individuare se sia una sfera nella quale possa entrare con tanta facilità ed a volte con tanta superficialità l'iniziativa giudiziaria ed il giudizio diretto del magistrato.
Da una parte, vi è dunque il rischio di una intimidazione, di un'azione che possa avere dei riflessi intimidatori; dall'altra, vi è il timore che possano essere lese libertà fondamentali della nostra vita pubblica e sociale, tutelate espressamente dalla Costituzione. Rimane anche una certa perplessità: se si vuole colpire un fenomeno, che in questo periodo è molto diffuso nella nostra società e che è espressione generale di disagio e di difficoltà dei rapporti, mi chiedo non so quale sia in proposito il giudizio del Governo se l'iniziativa giudiziaria intrapresa sia quella più corretta.
Ho la sensazione che con tale iniziativa giudiziaria si sia raggiunto l'effetto esattamente opposto! Non vi è traccia della scomparsa di annunci pubblicitari di questo tipo dai giornali o da trasmissioni televisive. Resta quindi una forte perplessità sull'iniziativa giudiziaria che, per come è stata assunta, è clamorosa, abnorme e travalica di gran lunga i confini a presidio delle libertà fondamentali individuali e personali nel rispetto delle quali abbiamo ritenuto doveroso interpellare il Governo ed investire di questa non minore vicenda l'intero Parlamento.
Con provvedimento congruamente motivato il GIP ha ritenuto che l'accusa meritasse il vaglio dibattimentale, anche «in considerazione della rilevanza sociale e dell'interesse protetto dalle norme penali citate nonché per la notevole potenzialità lesiva del fatto» (queste frasi sono tra virgolette).
Giova osservare quanto ritenuto dallo stesso giudice per le indagini preliminari nel provvedimento oggetto di sindacato ispettivo, e cioè che la norma alla base della contestazione al Mottola e al Minervini rende punibili tutte le attività che in qualsiasi modo facilitino l'erogazione retribuita di prestazioni sessuali e che, in ordine alla materialità del fatto, gli annunci in questione, secondo regole di comune esperienza, costituiscono un efficace
Rileva inoltre lo stesso giudicante che «le indagini a campione hanno confermato quanto appartiene al notorio, ovvero che gli annunci facevano riferimento a vere e proprie attività di commercio carnale» (e qui si chiudono le virgolette).
Quanto all'aspetto soggettivo, dal decreto è dato evincere che gli imputati hanno ammesso il Mottola esplicitamente e il Minervini per implicito che trattasi di inserzioni relative alla prostituzione e perciò hanno fornito la prova dell'elemento intenzionale del reato, non avendo alcun rilievo osserva ancora il GIP il prospettato errore sulla liceità della condotta; inoltre, il dolo sarebbe in ogni caso ravvisabile nella forma eventuale.
Queste sono le argomentazioni giuridiche che il tribunale penale di Roma, su iniziativa della locale procura, ha ritenuto sufficienti perché sulla vicenda intervenisse un vaglio dibattimentale. L'iniziativa giudiziaria, come è scritto nel provvedimento del GIP, è stata condotta a campione.
In ordine alla segnalata possibilità che l'iniziativa intrapresa dagli organi giudiziari possa compromettere la libertà di stampa e di iniziativa economica, si deve osservare che, nel caso, si è trattato di attività volta a pubblicizzare offerte di carattere personale, per le quali l'ordinamento nel suo complesso prevede limiti e riserve. Ne consegue che la libertà di iniziativa economica non appare pregiudicata, essendo essa stessa limitata dalla Costituzione (articolo 41, comma 2) alle attività che non rechino pregiudizio alla libertà e alla dignità umana.
Nello stesso senso va anche osservato che la libertà di stampa, intesa quale forma di esercizio del diritto alla diffusione del pensiero (articolo 21 della Costituzione), non pare essere richiamata nella vicenda, trattandosi, come è pacifico, di annunci pubblicitari strumentali alla maggiore conoscibilità sul mercato della prestazione offerta e sui quali può ragionevolmente ritenersi che operi il limite previsto dall'ultimo comma dello stesso articolo 21 della Costituzione.
Si è parlato, inoltre, di potenzialità lesiva del fatto. Avrei voluto sapere dal rappresentante del Governo quali siano codeste potenzialità lesive e che cosa ledano realmente, se non la stessa libertà di stampa, che ha bisogno di un supporto economico. D'altro canto, quando si parla di indagine a campione, mi domando che razza di indagine a campione sia stata mai fatta, visto che bastava leggere qualunque quotidiano romano (non ce ne sono a milioni sulla piazza), milanese o di qualche altra città italiana (Firenze o Bologna, per esempio) per trovarvi scritte le stesse cose! Le stesse cose si trovano anche sui settimanali e persino sui giornali di seconda mano.
La risposta fornita dal sottosegretario in termini così burocratici, quindi, non ci soddisfa minimamente. Ci stupiamo, anzi, che sia così ridotta e francamente inutile (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Onorevole Savarese, ella che è uomo di cultura, ricorderà certamente la fine del Critone: «Ricordati che dobbiamo un gallo ad Esculapio». Si ricordi che io le debbo una cravatta, così potrà metterla in aula!
Mi dichiaro estremamente insoddisfatto. Soltanto il rispetto che devo al Presidente (il quale tra l'altro mi deve regalare una cravatta!) mi impedisce di leggere la piccola pubblicità dei quotidiani che non sono stati nominati, quali Il Messaggero, il Corriere della Sera, La Stampa. Vorrei sapere allora dal sottosegretario Corleone (il quale mi auguro che, memore di battaglie fatte in altra epoca, si ricordi che cos'è la libertà e la difesa della stessa nel nostro paese) dove possa arrivare il principio della responsabilità oggettiva, perché, per quanto riguarda la piccola pubblicità, si potrebbe scoprire che dietro gli annunci finanziari vi siano attività legate all'usura o alle truffe.
È allora favoreggiamento anche quello? Oppure bisogna fare come il primo quotidiano italiano, Il Corriere della Sera? Scopriamo infatti che a Milano esistono tantissime chiromanti: compaiono su quel giornale centinaia di annunci di chiromanti e maghi. La questura di Milano ha mai indagato su cosa vi sia dietro chiromanti e maghi?
Il problema non è il fatto oggettivo; esiste il problema politico di una magistratura che non ha capito dove deve fermarsi (Applausi).
L'onorevole Lucchese ha facoltà di illustrare la sua interpellanza.
Alcune determinazioni del Ministero di grazia e giustizia tendevano a mio avviso a razionalizzare l'intera materia. Il decreto ministeriale 10 maggio 1991, mentre disattivava alcune case mandamentali, disponeva l'utilizzo di altre aventi i prescritti requisiti, che venivano adibite alla custodia di soggetti tossicodipendenti. Tale utilizzo mi è apparso come il più intelligente e razionale e rispondeva inoltre ad una finalità altamente sociale tesa al recupero più agevole, sia medico che psicologico, di giovani soggetti alle prime esperienze con la droga, poiché inseriti in un ambiente meno massificante delle carceri più affollate, frequentate da soggetti rientranti in varie tipologie.
Sembra sia già in avanzata fase di studio la predisposizione da parte del Governo di un disegno di legge che tenderebbe a disciplinare la particolare materia dell'assistenza ai detenuti tossicodipendenti. A tal uopo ritengo valido l'utilizzo delle strutture facenti capo alle case mandamentali. Inopinatamente, il decreto ministeriale 20 novembre 1995, ha ripristinato in corso d'opera il pregresso ordinamento per alcune case mandamentali già adibite ad assistenza a tossicodipendenti. In seguito a tale decreto sono stati adottati una serie di provvedimenti e decisioni discutibili e contraddittori.
La vicenda del carcere mandamentale di Alcamo è piuttosto emblematica di come possa essere gestita, alla luce dei superiori provvedimenti ministeriali, la delicata materia penitenziaria, in particolare con riferimento ai tossicodipendenti. La casa mandamentale di Alcamo dispone di un complesso immobiliare moderno ed efficiente. Negli ultimi anni sono stati operati vari interventi per renderlo sempre più adeguato alle esigenze operative. Recentemente ha anche ottenuto dal comune di Alcamo la variazione di destinazione d'uso per alcuni locali adibiti ad assistenza per tossicodipendenti. Negli ultimi due anni il complesso è stato dotato di un gruppo elettrogeno, di un gruppo cucina e
A seguito del decreto ministeriale del novembre 1995, nel marzo 1996, il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia occidentale ha invece disposto il ripristino dell'ordinamento delle case mandamentali; ha altresì disposto il trasferimento degli agenti di polizia penitenziaria e di tutti i detenuti e suggerisce l'opportunità di predisporre i decreti di soppressione in previsione di una loro inattività poiché, a parere del suddetto provveditore, l'organico ridotto dei custodi non è sufficiente a garantire il funzionamento del complesso, dimenticando di suggerire l'eventuale integrazione del suddetto organico dei custodi mediante incarichi trimestrali e relativi bandi di concorso. Mi sembra abbastanza singolare che, mentre il famigerato decreto-legge del 20 novembre 1995 non faceva altro che riportare tali case mandamentali alla loro funzione originaria, si inizi in modo anomalo e surrettizio il loro abusivo smantellamento, con spreco di denaro pubblico, venendo meno altresì una funzione altamente sociale che avvicina alcune tipologie di detenuti al territorio di provenienza, con minori disagi per le loro famiglie. Tutto ciò mentre il ventilato disegno di legge, che sembrerebbe già essere all'attenzione del ministro, dovrebbe consentire al Parlamento di dire una parola definitiva non solo sul destino delle case mandamentali, che potrebbero essere riconvertite in sezioni di carceri circondariali in presenza del noto e verificato sovraffollamento delle carceri italiane, ma anche sull'assistenza ed il recupero di detenuti tossicodipendenti, con una valenza sociale ed umana di alto livello facilmente comprensibile. Pertanto, la tanto strombazzata, da parte dell'Ulivo, tutela dello Stato sociale, è di fatto non solo disattesa, ma anche mortificata. Quindi, alla luce di quanto brevemente esposto, non credo sia opportuno procedere ad avventate decisioni, che porterebbero alla chiusura del carcere mandamentale di Alcamo e di quelli ubicati in altre località.
Si chiede, tra l'altro, quale sarà il destino del personale di custodia, che non sembra pacifico verrà trasferito nei ruoli del corpo dei vigili urbani, così come asserisce il sindaco di Alcamo. Egli, informato da alcuni amici sulla ventilata chiusura del carcere mandamentale, mentre timidamente (si fa per dire) chiede notizie al ministero e agli organi competenti, nel contempo, su suggerimento degli stessi amici, poiché sembra che a lui la valenza sociale del problema non interessi, propone che la struttura sia adibita a caserma dei vigili del fuoco del distaccamento di Alcamo.
La suddetta richiesta del sindaco non è supportata da una apposita delibera del consiglio comunale di Alcamo. Si fa notare che tale uso, oltre che essere provvisorio, comporterebbe una serie di costi per l'adattamento della struttura. Inoltre si utilizzerebbe meno di un terzo della stessa, in attesa della costruzione di una nuova caserma dei vigili del fuoco, la sistemazione provvisoria dei quali può avvenire in tanti altri locali più idonei presenti nel libero mercato. In ogni caso, così facendo si affossa un problema di grande rilevanza umana e sociale per cercare di risolvere male e in modo provvisorio ed anomalo un'altra questione che problema non è.
Infatti sembrerebbe incomprensibile tale linea assunta dal sindaco se gli amici che lo hanno consigliato non fossero stati candidati alle elezioni nazionali del 21 aprile ultimo scorso (infatti anche i vigili del fuoco esprimono il loro voto). Questa circostanza, che è stata da me denunciata in un pubblico comizio tenutosi in piazza Ciullo ad Alcamo subito dopo le elezioni,
In questo articolo è scritto che il senatore Ludovico Corrao, candidato dell'Ulivo nel collegio di Alcamo-Mazzara del Vallo, ha sollecitato il sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Ayala, a provvedere alla chiusura del carcere mandamentale, mentre il consigliere provinciale Leonardo Pipitone, candidato dell'Ulivo nel collegio di Alcamo, aveva suggerito nei mesi scorsi di adottare questa soluzione, in modo tale che gli stessi vigili del fuoco potessero entrare in possesso del manufatto.
A questo punto il cerchio si chiude: gli impegni assunti in campagna elettorale vanno mantenuti. Siamo o no persone serie? Pirandello direbbe: così è se vi pare!
Invero, in seguito alla revoca della destinazione del carcere a struttura per tossicodipendenti e del conseguente ripristino del regime di casa mandamentale ordinaria, il competente provveditorato e la direzione dell'istituto hanno evidenziato difficoltà gestionali a causa dell'insufficienza del personale di custodia sette custodi ed hanno ritenuto opportuno provvedere al trasferimento dei detenuti ad altro istituto. Nel contempo, hanno chiesto al dipartimento di amministrazione penitenziaria di valutare la possibilità della soppressione, poiché l'istituto non costituisce, in queste condizioni, un utile supporto alle effettive esigenze penitenziarie.
Si fa presente che, nell'ambito delle previsioni correlate al noto e auspicato provvedimento legislativo di soppressione delle case mandamentali, si era ritenuta ipotizzabile l'acquisizione della struttura; tuttavia, la gestione di istituti di modesta dimensione, quale quello di Alcamo, risulta scarsamente conveniente per questa amministrazione. Alla luce di ciò, tenuto anche conto dei tempi prevedibilmente non brevi per la definizione del citato provvedimento legislativo e considerato che nel frattempo l'istituto di Alcamo, dovendo funzionare come casa mandamentale, resterebbe di fatto inutilizzato o, al più, sottoutilizzato, si è ritenuto opportuno da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria proporre la soppressione dell'istituto. In tal caso, il comune di Alcamo potrà quindi disporre del personale e dell'immobile per i propri fini istituzionali. Quanto al secondo quesito contenuto nell'atto di sindacato ispettivo, laddove l'interpellante chiede se il provvedimento di soppressione di cui si tratta sia stato caldeggiato dal consigliere provinciale del PDS Pipitone e dal senatore dell'Ulivo Ludovico Corrao, va ricordato che un consigliere provinciale ed un senatore della Repubblica sono rappresentanti del popolo italiano e non cellule di partito e che la prassi di tener conto delle opinioni e delle sollecitazioni dei rappresentanti del popolo in un sistema democratico deve essere non solo tollerata, ma anche auspicata: il Governo continuerà, pertanto, a tener conto delle osservazioni di tutti i rappresentanti delle istituzioni.
Chiedo che il problema venga affrontato nel contesto del disegno di legge, non solo in relazione alla casa mandamentale di Alcamo, ma a tutte le case mandamentali. Quella di Alcamo, ripeto, è una struttura moderna ed efficiente, per la quale sono stati spesi miliardi di denaro pubblico, dislocata oltretutto in una zona strategica: in quell'area, oltre a quella di Alcamo, vi è soltanto quella di Castelvetrano, per la quale, tra l'altro, sono state spese notevoli somme senza che sia stata aperta (e anche di questo vorrei sapere il perché). Vi è, insomma, uno spreco di denaro pubblico. Chiedo, quindi, che la decisione possa essere rivista, eventualmente alla luce di una visita del provveditore il quale, ripeto, non vi è mai stato -, che consenta di valutare perché una struttura funzionante, la quale accoglie 47 detenuti e che potrebbe essere mantenuta in attività semplicemente integrandone l'organico con altre tre persone, debba essere chiusa. Tale struttura potrebbe essere tra l'altro utilizzata, a fini sociali, per i tossicodipendenti arrestati, i quali spesso sono alla prima esperienza. In tal modo si eviterebbe di mandarli nelle carceri più grandi che si trovano nella zona di Palermo o di Trapani.
Per tali ragioni mi pare assolutamente riduttiva la posizione assunta in modo così caparbio dal Ministero interessato, il quale, tra l'altro, precisa che chiunque può esprimere la propria opinione. Sono d'accordo che chiunque possa esprimere la propria opinione (e quindi anche il consigliere provinciale e il senatore in questione), così come del resto io stesso, come deputato, posso esprimere la mia. Non vedo però per quale motivo la mia opinione e quella dei cittadini di Alcamo non debba essere presa in considerazione mentre lo sia quella degli altri.
Rinnovo la mia richiesta non solo ai signori poc'anzi citati e al consiglio comunale di Alcamo, ma anche alle strutture che operano in quella zona per i tossicodipendenti, poiché la struttura avrebbe un bacino di utenza molto ampio e potrebbe essere proficuamente utilizzata per i tossicodipendenti. Richiamo l'attenzione del ministro per la solidarietà sociale, onorevole Turco, che vedo qui presente, sull'assistenza ai tossicodipendenti, che è un fine altamente sociale, e sulla considerazione che se in quella zona verrà chiuso il carcere mandamentale, rimarranno solo le carceri circondariali di Palermo (l'Ucciardone) e di Trapani, che sono sovraffollate.
Detta comunicazione è stata resa ai sensi della legge n.287 del 1990, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
Secondo quanto dispone la citata legge, l'ufficio del Garante dell'editoria ha informato di detta comunicazione sia la Presidenza del Consiglio dei ministri sia il ministro dell'industria ed ha richiesto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato di esprimere il proprio parere ai sensi dell'articolo 20 della legge n.287 del 1990, che disciplina i rapporti tra le due autorità di garanzia ove si tratti di problematiche concernenti il settore dell'editoria e della radiodiffusione.
L'ufficio del Garante dell'editoria, constatata la carenza di elementi informativi necessari ad esprimere le valutazioni di propria competenza, ha inoltre richiesto alle società interessate all'acquisizione le necessarie notizie mediante l'invio alle società stesse di un apposito formulario.
Infatti solo dopo l'acquisizione ed esame dei suddetti elementi sarà possibile per le due autorità esprimere le valutazioni, ognuna per la propria parte, ai fini dell'eventuale apertura di istruttoria sulla suddetta operazione di acquisizione.
Tutto questo ai fini di determinare se si sia trattato di una operazione in violazione dell'articolo 6 della legge sulla tutela della concorrenza e del mercato, in base al quale sono vietate le concentrazioni che comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale, che elimini, o riduca in modo sostanziale o durevole la concorrenza.
A tutt'oggi gli elementi richiesti alle società del gruppo non sono ancora pervenuti, anche se gli uffici hanno sollecitato l'acquisizione della necessaria documentazione.
In attesa della ricezione delle informazioni richieste ai fini della valutazione ex lege n.287 del 1990, l'unica valutazione possibile è quella ai sensi della legge n.67 del 1987, di modifica della precedente legge n.416 del 1981, che fa divieto di posizioni dominanti nel mercato dell'editoria.
All'articolo 3 della legge n.67 del 1987 sono indicati i limiti di concentrazione ammissibili.
Con l'acquisizione del quotidiano Il Messaggero Francesco Gaetano Caltagirone, già proprietario dei quotidiani Il Tempo ed Il Mattino, non ha superato i limiti previsti dalla legge.
Infatti, per quanto concerne il punto a) dell'articolo 3 della citata legge, riguardante la complessiva tiratura nazionale, Il Messaggero, Il Tempo ed Il Mattino hanno tirature rispettivamente intorno al 4 per cento, all'1,8 per cento e al 2 per cento, per un totale di 7,8 per cento, contro un limite del 20 per cento previsto dalla legge.
Con riferimento al punto b) dell'articolo 3, a fronte di 27 testate quotidiane edite nella regione Lazio, le due testate Il Messaggero ed Il Tempo sono assai inferiori rispetto al limite consentito del 50 per cento.
Ugualmente, in merito al punto c) della legge n.67 del 1987, rispetto alle tirature dei quotidiani del centro Italia (Lazio, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo), e quindi con riferimento all'area interregionale, i dati relativi a Il Messaggero ed Il Tempo sono rispettivamente del 12,13 per cento e del 5,40 per cento, per un totale del 17,53 per cento, contro un limite del 50 per cento indicato dalla legge.
In tale delineata situazione non appare ipotizzabile un intervento di sospensione della cessione del quotidiano Il Messaggero ai sensi della vigente normativa sull'editoria.
Possiamo, in ogni caso, rilevare che la formulazione della legge, che in una circostanza fa riferimento all'area interregionale e in un'altra all'area regionale, non consente di evitare fenomeni di concentrazioni.
Ad ogni modo, eventuali interventi ai sensi della legge n.287 del 1990 potranno essere realizzati solo dopo l'acquisizione dei richiesti elementi informativi da parte delle due autorità di garanzia.
Il Governo, in ogni caso, non mancherà di comunicare agli onorevoli interpellanti le risultanze dell'istruttoria in atto.
Infine, come in questo Parlamento è noto, il Governo è impegnato in un consistente
Peraltro, i limiti incontrati nell'attuale legislazione per l'editoria portano ad una rivisitazione della legge ed in questa eventualità il Governo prenderà sicuramente decisioni atte ad eliminare le eventuali discrasie verificatesi nel settore.
Le due autorità di garanzia interpellate non hanno ancora dato una risposta e stanno lavorando. Ci auguriamo che essa possa pervenire al più presto. Comunque mi fa piacere che il sottosegretario abbia detto che quanto prima saremo informati dell'evoluzione della vicenda.
Tuttavia, non può lasciarci tranquilli il fatto in sé. Tutti infatti sappiamo come vengono calcolate le percentuali e, soprattutto, il valore reale di certi quotidiani.
In una città come Roma e comunque in un'area come quella del Lazio vengono stampati più quotidiani, quali, ad esempio, Il Tempo, Il Messaggero; ma dobbiamo tenere presente anche Il Mattino perché, anche se lei ha fatto un discorso riguardante il centro d'Italia, noi siamo limitrofi alla Campania. Non solo, ma La Gazzetta del Mezzogiorno, un altro quotidiano sul quale l'impresario edile Francesco Gaetano Caltagirone ha già posto il diritto d'opzione, è anch'esso un giornale del sud. Non prendo in considerazione i giornali locali, anche se probabilmente hanno una elevata tiratura e diffusione, perché queste testate a tiratura nazionale, come lei mi insegna, hanno un'incidenza molto diversa dai grandi giornali locali. Meno male allora che il sottosegretario ha sollevato il problema riguardante la normativa anti-trust!
Vorrei dire a tale proposito che vi è un argomento sul quale non ho ascoltato neanche una parola: l'acquisto da parte di Caltagirone de Il Messaggero in un momento particolarissimo per Roma e per il Lazio, caratterizzato dall'imminente celebrazione del Giubileo del 2000. È una questione che tutti dobbiamo affrontare e sulla quale non deve intervenire solo Di Pietro. Infatti quest'evento sta perdendo i suoi connotati originari di carattere religioso per assumerne altri che certo non vanno d'accordo con lo spirito del Giubileo stesso.
È una questione di non poco conto e lo stesso ex direttore de Il Messaggero Anselmi, l'11 luglio scorso, ha scritto un editoriale su Il Corriere della sera in merito al Giubileo, nel quale dice: «Di Pietro, attento a quei 100 miliardi», con ciò intendendo che questa cifra è di poco conto rispetto alla somma di 3.200 miliardi che dovrebbero essere stanziati per Roma. È soprattutto necessario fare attenzione all'uso che si fa di questi soldi, a cominciare dal famoso «sottopasso», che chiamiamo così perché con tale nome è diventato famoso.
Ebbene, il Giubileo e l'acquisto de Il Messaggero non sono vicende fra loro scollegate perché Caltagirone, come tutti sappiamo, è un grande imprenditore edile, il che non solleva problemi; quello che suscita delle obiezioni è che si facciano entrambe le cose, vale a dire che si sia proprietari di grandi quotidiani ed al contempo grossi imprenditori. È evidente che è una questione che investe l'anti-trust, per il fatto che una stessa persona concentri nelle proprie mani più poteri tra loro diversi, soprattutto in un momento particolare come quello che stiamo vivendo.
Inoltre, se qualcuno non lo sapesse già, vorrei ricordare che Caltagirone è anche presidente del comitato per le Olimpiadi 2004. Ebbene, più di così si muore!
Devo dire che avrei voluto ascoltare, in merito a tale vicenda, un giudizio personale da parte del rappresentante del Governo. Confesso di essere strabiliata perché è dalle ore 17,20 che mi trovo in aula ed ho ascoltato solo risposte burocratiche; anzi la sua, signor sottosegretario, lo è meno di tutte le altre. È agghiacciante
La politica è un'altra cosa, non è la burocrazia!
Sono di rifondazione comunista e proprio in ragione della mia appartenenza a tale partito mi ribello a questa visione burocratica della politica.
Per me la politica è libertà e pensiero, non consiste semplicemente in risposte scritte sulla carta da questo o da quel funzionario (con tutto il rispetto per i funzionari dei ministeri che generalmente sono anche molto qualificati e bravi), il quale deve tener conto, fra l'altro, del problema dell'urgenza, è vero, ma molte volte è meglio non rispondere. Penso soprattutto alle risposte del Ministero di grazia e giustizia che mi hanno davvero impressionato. Per fortuna il nostro è un Parlamento ancora libero e posso esprimere la mia opinione.
L'interpellanza era stata motivata anche dal fatto che l'attuale direttore de Il Messaggero non ha risposto alle richieste della redazione, la quale più volte, dopo aver sospeso lo stato di agitazione, ha tentato di avere dei pourparler con il direttore, com'era del tutto naturale. Sembra che lo stesso Caltagirone abbia fornito assicurazione rispetto all'allarme lanciato dai lavoratori rispetto al controllo e alle mire di controllo su alcuni quotidiani. Caltagirone ha già il controllo azionario su Il Tempo di Roma, Il Mattino di Napoli, Il Messaggero e La Gazzetta del Mezzogiorno, mentre sembra che voglia acquistare Il Giorno di Milano. In tal caso egli acquisirebbe una posizione davvero dominante perché avrebbe il controllo su importanti quotidiani del sud, del centro e del nord.
I chiarimenti forniti al comitato di redazione de Il Messaggero, che li aveva richiesti, appaiono lacunosi ed insufficienti. Tra l'altro, il 6 del corrente mese una dichiarazione del comitato di redazione pubblicata sul quotidiano Il Messaggero dice testualmente: «Da allora la nuova proprietà si è sottratta al confronto con la redazione, ricorrendo ad improbabili giustificazioni giocando sugli equivoci e annullando appuntamenti già fissati».
Tutto bene? Non credo. Tutto male? Occorre tenere presente il colossale giro di affari che sta coinvolgendo gli imprenditori edili della capitale, come risulta anche dall'articolo di Anselmi, l'ex direttore de Il Messaggero, il quale non ha voluto togliersi un sassolino dalla scarpa (non credo sia solo questo); piuttosto, ritengo che abbia voluto lanciare un allarme più che giustificato.
Occorre dunque approfondire la vicenda nei suoi vari aspetti al fine di capire i motivi per cui questo signore d'emblée abbia scoperto la vocazione ad essere editore puro. Sappiamo che così non è, sappiamo che egli è un imprenditore, che vuole costruire, e sappiamo anche che nella nostra capitale ci saranno grandissimi affari da cogliere per la costruzione di grandi opere. Nel contempo sappiamo anche, perché lei stesso ce lo ha detto, che alcune delle società che hanno comprato Il Messaggero sono aziende edili, come la Vianini.
Avrei voluto che il Governo avesse fornito anche un'interpretazione della ventilata ipotesi o meglio della possibile interazione tra le due funzioni di editore e di costruttore perché è sempre meglio parlare delle cose, piuttosto che tacere e scoprirle solo quando ormai è tardi.
Quanto ai decreti-legge, siamo gli ultimi a volerli; sappiamo anche, però, che nella loro versione originaria essi avevano carattere di urgenza.
Ebbene, quando vi sia effettiva urgenza, il decreto-legge non solo è legittimo ma è anche necessario. Purtroppo, la prassi ha fatto sì che il decreto-legge venisse assolutamente svuotato del suo carattere di urgenza per essere usato come uno strumento di legificazione ordinaria, per cui ci ritroviamo con centinaia di decreti-legge da convertire. Questa è la verità: quando si agisce così, anche se non vi sono i requisiti di necessità ed urgenza, è ovvio che si crea una sovrabbondanza di decreti. Chiaramente la colpa di ciò non è del Governo attuale: si tratta di eredità che risalgono addirittura a due o tre Governi fa. Alcuni decreti-legge sono stati reiterati per ben diciotto volte, quindi lei
Ci tengo a precisare che il Governo avrà tutto il nostro appoggio qualora ritenesse di non emanare più decreti-legge. Magari si procedesse con la legislazione normale, con i disegni di legge, che forse sarebbero molto più proficui per il paese! Tuttavia, qualora si rendesse necessario, si dovrebbe far ricorso ai decreti-legge. In questo caso, per esempio, qualora la risposta fosse di un certo tipo, potrebbe anche rendersi necessario l'utilizzo dello strumento del decreto-legge; in tal senso non vorrei porre limiti alla provvidenza!
Il ministro per la solidarietà sociale ha facoltà di rispondere.
A tale proposito, va senz'altro affermato che su queste tematiche, come tra l'altro è stato messo in luce anche dal testo complesso dell'interrogazione, già da alcuni anni in Italia è iniziata una riflessione ai massimi livelli istituzionali, cui ha dato forte impulso l'esito del referendum abrogativo del 1993, e condotta soprattutto in occasione della prima Conferenza nazionale sulla droga svoltasi a Palermo nel giugno del 1993.
Al dibattito sono seguiti i primi interventi concreti, soprattutto con l'affermarsi delle politiche di riduzione del danno, che hanno affiancato i più tradizionali interventi di prevenzione e di recupero previsti dalla legge n.162 del 1990.
Com'è noto le politiche di riduzione del danno, sulle quali mi sono pronunciata in sede di conversione in legge del decreto-legge n.267, sono direttamente indirizzate ai tossicodipendenti attivi che non vogliono e non possono uscire dalla condizione di tossicodipendenza. Tali politiche sono state sancite a livello normativo da tale decreto-legge recante disposizioni urgenti per l'attuazione del testo unico sulle tossicodipendenze attualmente in fase di ulteriore reiterazione. Il testo del decreto-legge contiene l'espressa previsione di finanziabilità dei progetti di riduzione del danno elaborati tanto dai soggetti pubblici (comuni, unità sanitarie locali), quanto dai soggetti privati (organizzazioni di volontariato, cooperative, associazioni).
Tra gli interventi di riduzione del danno, il decreto-legge prevede espressamente la realizzazione di centri di accoglienza a bassa soglia e la messa in opera di unità di strada.
Nell'interrogazione viene lamentata l'abrogazione di una disposizione, presente in passate redazioni del testo del decreto-legge, mirante a stabilire una priorità di finanziamento per i progetti di riduzione del danno rispetto ad altre tipologie. In realtà a me pare che l'attuale formulazione sia da considerarsi ampliativa rispetto a quella richiamata, in quanto è rivolta a tutti i soggetti sia pubblici che privati, mentre la riserva era limitata ai comuni ed alle unità sanitarie locali. D'altra parte dall'attività della commissione istruttoria, operante presso il dipartimento per gli affari sociali e deputata all'esame dei progetti, risulta che non vi è stata soluzione di continuità nel finanziamento di progetti di riduzione del danno in quanto gli atti applicativi delle disposizioni sulle modalità di presentazione dei progetti (circolari o decreto) hanno sempre previsto l'ammissibilità a finanziamento dei progetti di riduzione del danno. Tali progetti, inoltre, sono senz'altro più numerosi rispetto a quelli tradizionali di recupero fondati sull'astensione dall'uso di sostanze stupefacenti, superando di fatto la necessità di disporre ex lege la priorità di ammissione a finanziamento.
La progressiva approvazione e realizzazione di detti progetti ha fatto sì che in molte parti d'Italia si siano attuate da parte di comunità private iniziative o programmi
Tra le iniziative assunte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento affari sociali, al di fuori del finanziamento dei progetti va anche considerata la sesta campagna informativa, che per la prima volta prevede una fase di azioni mirate, la prima delle quali consiste nella distribuzione capillare a tutti i SERT, agli assessori regionali, alle farmacie, alle prefetture, agli operatori ed alle unità di strada, di un opuscolo contenente istruzioni per la riduzione dei rischi di morte e di contagio, destinato ai tossicodipendenti attivi. L'opuscolo è stato stampato in 500 mila copie e la sua distribuzione è prevista per le prossime settimane. Per la preparazione dei contenuti si è tenuto conto della strategia utilizzata dal Ministero della sanità in riferimento alla campagna contro l'AIDS.
Per quanto riguarda l'attività dei servizi pubblici, anche con riferimento all'utilizzo del metadone ed all'auspicata possibilità di ricorso a trattamenti farmacologici oggi interdetti nella cura della tossicodipendenza, il Ministero della sanità ha fatto pervenire le proprie informazioni e valutazioni, sottolineando che non appare condivisibile l'opinione espressa nell'interrogazione circa una presunta assenza di governo e di volontà programmatoria nel settore specifico, richiamando al contrario le iniziative miranti a diversificare l'offerta terapeutica.
A sostegno il ministero riferisce che, d'intesa con altre amministrazioni centrali dello Stato, nell'ambito sia dei propri interventi istituzionali sia di progetti finalizzati realizzati sul territorio, persegue l'intento di favorire il contatto dei tossicodipendenti attivi con il sistema assistenziale globalmente inteso, promuovendo la diversificazione dei trattamenti disponibili. Tra i programmi direttamente finanziati dal Ministero della sanità si citano quelli indirizzati ad attivare unità di strada su tutto il territorio nazionale, che hanno già avuto attuazione.
Riguardo poi alle terapie sostitutive con metadone a lungo termine, esse hanno formato oggetto specifico delle linee guida per il trattamento delle dipendenze da oppiacei con farmaci sostitutivi, diramate dal Ministero della sanità il 30 settembre 1994, richiamate nell'interrogazione.
Il ministero stesso ha inoltre rappresentato da tempo agli operatori l'esigenza di rendere disponibile tale trattamento presso tutte le strutture pubbliche. I dati acquisiti evidenziano un costante aumento, dal 1991 ad oggi, della percentuale di pazienti inseriti in programmi metadonici a lungo termine fino ad interessare nel 1995 il 25 per cento del numero complessivo dei pazienti regolarmente assistiti dai SERT. È stata inoltre progettata e finanziata una sperimentazione controllata, espressamente mirata a verificare l'efficacia e la sicurezza dell'impiego della buprenorfina quale farmaco sostitutivo nel corso dei trattamenti a lungo termine; sperimentazione giunta ormai alla sua fase operativa.
Si confida in un positivo riscontro dell'iniziativa quale passaggio indispensabile in vista della definitiva registrazione di tale principio attivo per questo specifico impiego terapeutico. Il Ministero della sanità afferma esplicitamente di condividere la strategia di riduzione del rischio nei soggetti tossicodipendenti, intesa come primo intervento terapeutico profilattico a bassa soglia, destinato ai pazienti tossicodipendenti che non vogliano o non possano accedere a differenti strategie terapeutiche, pur respingendo le interpretazioni che la intendono come unica opzione per la totalità dei pazienti interessati. Questo è il motivo per cui conclude il Ministero della sanità si ritiene doveroso che anche gli interventi finalizzati alla riduzione del rischio, al pari di qualunque altro atto sanitario, vengano sottoposti ad idonei processi di valutazione per quanto riguarda l'efficacia, la sicurezza e gli effetti collaterali.
Fin qui l'esistente, ma sul dibattito, che senza dubbio non può dirsi giunto a conclusione, e sulle conseguenti scelte concrete, incidono alcuni fattori il cui esame contribuisce a dare risposta alle altre questioni che sono state sollevate nell'interrogazione.
Va poi tenuta in considerazione la vigenza in Italia della normativa internazionale contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanza psicotrope, oggetto della Convenzione delle Nazioni Unite fatta a Vienna il 20 dicembre 1988 e ratificata in Italia con la legge n.328 del 1990. A detta Convenzione è stata data attuazione concreta con la legge 26 giugno 1990, n.162, contenuta nel testo unico approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309.
Tale Convenzione impegna gli Stati alla repressione di tutte le condotte legate al mercato illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, senza operare distinzioni di disciplina relativamente alle cosiddette droghe leggere. Tra queste condotte è prevista anche la mera detenzione, seppure finalizzata all'uso personale. Non sono invece previsti obblighi di sanzione, né penale né amministrativa, legata al consumo delle sostanze. Infatti, le leggi nazionali non contemplano tali tipi di repressione, neanche amministrativa.
Le sanzioni tutt'ora vigenti e legate all'uso personale si riferiscono alla detenzione, all'acquisto e all'importazione di stupefacenti o sostanze psicotrope e sono comminate dal prefetto qualora il soggetto non decida di attuare un programma terapeutico, nel qual caso il prefetto deve predisporre la sospensione del procedimento, ovvero in caso di sospensione del programma avviato.
A seguito di referendum è stata abrogata la previsione dell'intervento del giudice penale che poteva sopraggiungere a seguito di ripetute violazioni delle sanzioni amministrative comminate dal prefetto.
L'assetto sanzionatorio che tutt'ora residua è quindi legato all'ottemperanza degli obblighi internazionali. A tali obblighi si è attenuta, come è noto, la Corte costituzionale nell'argomentare la decisione sull'ammissibilità del referendum abrogativo, ritenendo tale assetto necessario e sufficiente ai fini dell'ottemperanza di detti obblighi e, conseguentemente, all'ammissibilità del quesito referendario.
Ciò nonostante, l'International narcotic control dell'ONU ha rilevato come a seguito degli esiti abrogativi del referendum la normativa italiana non sia più in sintonia con gli obblighi internazionali. D'altra parte, tutto l'assetto legato alla proibizione del traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope è senz'altro un discorso aperto e in via di evoluzione nei paesi europei e negli Stati Uniti. Infatti, nonostante anche il Parlamento europeo abbia escluso eventuali legalizzazioni di sostanze stupefacenti come possibili succedanei al problema droga, si sta sviluppando un'attenzione tutta particolare verso iniziative di tipo sperimentale in alcuni paesi membri come l'Olanda e l'Inghilterra ed a questo dibattito io credo che l'Italia non possa rimanere estranea.
Come si evince da queste considerazioni, le strategie di lotta alla droga attraversano un momento evolutivo che si ritiene dovrà andare nella direzione di ampliare e diversificare l'offerta di servizi, in considerazione delle diverse domande che giungono dalle persone tossicodipendenti e dall'evoluzione stessa del mercato, che conosce continuamente l'immissione di nuove sostanze per le quali spesso non si è in grado di valutare gli effetti a medio e lungo termine.
Di primaria importanza sarà quindi la prossima conferenza sulle tossicodipendenze, già in fase preparatoria. Intanto, posso comunicare che nella prima bozza di documento, messa a punto da un gruppo ristretto di esperti, il tema della riduzione del danno è stato considerato prioritario insieme al fenomeno delle
Personalmente, mi sono impegnata con la Commissione affari sociali a mantenere un rapporto stretto con il Parlamento ed a coinvolgere quest'ultimo, oltre che le regioni, nella preparazione della citata conferenza. Percepisco tutta l'importanza dell'appuntamento con la seconda Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze e senz'altro posso rispondere positivamente all'istanza contenuta nell'interrogazione dell'onorevole Cento di dare spazio alla valutazione dei risultati ottenuti nel campo della prevenzione e della cura delle dipendenze, non solo a livello interno appunto attraverso il massimo coinvolgimento delle regioni (e, lo ripeto, mi sono impegnata in proposito con la Commissione affari sociali per informare rapidamente quest'ultima dell'impostazione della citata Conferenza) ma accogliendo anche l'apporto, così come suggerisce l'interrogazione, di altri paesi, inclusi quelli che vantano una più lunga esperienza nel campo delle politiche di riduzione del danno o che hanno iniziato programmi sperimentali, in un confronto a tutto campo, libero e al di là delle barriere ideologiche.
Non sto qui a richiamare tutti i dati che sono stati citati nel mio documento di sindacato ispettivo (perché sono agli atti) né le considerazioni dell'onorevole Turco, volendomi soffermare su due aspetti che, in qualche modo, aprono un dibattito che durante la discussione sulla conversione in legge del decreto-legge sulla riduzione del danno all'interno di quest'aula sembrava invece chiudersi e guardare al passato piuttosto che al futuro.
Il primo aspetto positivo riguarda una dichiarazione importante resa poc'anzi dalla ministra, e cioè la sua intenzione di rivolgersi con attenzione alle forme di sperimentazione di legalizzazione delle droghe leggere, forme di sperimentazione che in alcuni paesi sono già in corso e che devono essere guardate non con una pregiudiziale ideologica, ma con particolare interesse per gli effetti che producono nell'ambito di una politica più generale di riduzione del danno.
Questo è un fatto importante, e lo diventa ancora di più se un simile ragionamento viene considerato come una delle ipotesi di lavoro per la seconda conferenza nazionale sulle tossicodipendenze: ciò consentirà a tutti esperti, parti politiche e sociali, operatori del settore di concretizzare un dibattito troppo spesso ideologico rispetto alle conseguenze che si determinano.
Il secondo aspetto importante che è stato enunciato riguarda il rapporto con le regioni. Prima di essere eletto alla Camera ho svolto l'attività di consigliere regionale nel Lazio, presentando una proposta di delibera che so essere in discussione proprio in questi giorni nella commissione sanità della regione Lazio; così ho potuto constatare come sia possibile innovare sperimentando alcune ipotesi di lavoro territoriale che non necessariamente devono riguardare tutto il territorio nazionale, ma che ci consentono in alcune regioni-pilota di affrontare il problema della legalizzazione sperimentale di alcune sostanze nella lotta alle tossicodipendenze, e comunque nella riduzione del danno, per assumere dati che possano valere a livello nazionale.
Quello che ci soddisfa meno (con riferimento non tanto alla politica della ministra Turco quanto a ciò che è accaduto in questi giorni) è la politica dei fatti concreti. È stata enunciata una politica di segno positivo e mi risulta (anche se non ho ancora letto il testo) che il decreto in materia sia stato nuovamente reiterato. Quest'ultimo, alla luce del dibattito, a mio avviso restrittivo, svoltosi alla Camera e iniziato anche nelle Commissioni del Senato, non corrisponde alle linee esposte nella risposta fornita alla mia interrogazione. Nel decreto-legge reiterato, infatti, non si ravvisa ancora la capacità di far diventare elemento programmatico reale le politiche
Credo (lo dico come componente della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo) che la qualità dell'attuale esecutivo si giochi su tanti aspetti, uno dei quali è certamente quello che attiene alla capacità di osare con coraggio (naturalmente con dati tecnici e scientifici alla mano), ma guardando avanti, in tema di politiche sulle droghe, ed avendo l'obiettivo della riduzione del danno e della diversificazione coraggiosa degli strumenti di intervento per la stessa riduzione del danno.
Mi auguro che il divario (in parte comprensibile per l'eredità complessa che ci viene dal passato: i decreti in questione non nascono oggi, ma sono stati reiterati numerose volte) tra le cose che ci ha detto oggi in quest'aula il ministro (che, a mio avviso, devono essere giudicate positivamente) e i provvedimenti concreti possa essere colmato, affinché il nostro paese si collochi all'avanguardia nelle politiche di sperimentazione sulla riduzione del danno.
Il ministro per la solidarietà sociale ha facoltà di rispondere.
Credo che l'elaborazione, la pubblicazione e la diffusione del primo rapporto sull'infanzia (che sarà mia cura far pervenire subito al Parlamento) costituisca un primo passo importante per costruire quello che è a mio avviso fondamentale, cioè una cultura che prevenga la violenza, che superi l'emergenza e che affermi i diritti quotidiani dei bambini e dei minori. Nel rapporto sono contenuti alcuni dati importanti.
Il primo dato è che la condizione dei minori in Italia è migliorata e si colloca nella media europea. I bambini italiani hanno anzi un vantaggio rispetto a quelli europei, in quanto il 90 per cento di essi vive in una famiglia con la presenza materna e paterna. Ciò è dovuto anche alla maggiore coesione del nucleo familiare nel nostro paese. Nell'ambito di questa situazione di miglioramento della condizione di vita dei bambini e dei minori, alcuni dati richiedono un'iniziativa molto forte del Governo e del Parlamento, direi un'iniziativa coordinata, sinergica tra tutte le amministrazioni dello Stato e le forze sociali.
I dati che colpiscono sono quelli relativi alla presenza di circa un milione e 800 mila minori tra gli anni 0 e 17 in rischio di povertà. L'80 per cento del rischio di povertà minorile è concentrato nel Mezzogiorno. Sul totale dei minori del Mezzogiorno il 18-20 per cento è esposto al rischio di povertà, a fronte del 5-6 per cento che si registra nel centro-nord.
L'altro dato che emerge è quello della mortalità e dell'abbandono scolastico. Non a caso esiste infatti un rapporto molto stretto tra abbandono scolastico e coinvolgimento dei minori in forme di criminalità e violenza.
Un ulteriore elemento che emerge dal rapporto è quello delle nuove forme del disagio minorile; disagio che conduce i minori all'esposizione alla violenza e li coinvolge in attività criminose. I minori coinvolti non sono soltanto quelli appartenenti alle famiglie più disagiate economicamente e socialmente, ma anche figli di cosiddette famiglie abbienti. Molti operatori e giudici minorili hanno messo in risalto come la natura del disagio minorile sia legata soprattutto alla difficoltà di comunicazione tra genitori e figli, tra giovani e adulti.
A tale proposito il rapporto pone in risalto anche un altro aspetto. Occorre cioè fare attenzione a che non si crei nel nostro paese un conflitto tra generazioni, che le risorse del nostro paese non siano utilizzate a discapito dei bambini e dei minori. Certo, non possiamo che plaudire rispetto all'allungamento dell'età e della speranza di vita e non vi è dubbio che nel nostro paese molto deve essere fatto per consentire
Da questo rapporto risulta dunque evidente l'importanza di una cultura dei diritti quotidiani. Nell'interrogazione si affronta, in modo mirato, il tema di come intervenire per prevenire gli atti di violenza, di sopruso, di criminalità in cui sono coinvolti minori. Il Governo risponde che occorre costruire, attraverso atti significativi, una cultura dei diritti quotidiani che prevenga quelle forme di disagio. Esistono alcuni obiettivi legislativi che soprattutto il Parlamento, di concerto con il Governo, dovrà affrontare. Il recepimento della Convenzione dell'Aja sull'adozione internazionale è un provvedimento rispetto al quale correggendo così parzialmente quanto ho prima affermato il lavoro è avanzato ad opera di un comitato condotto dal ministro degli affari sociali sulla base della delega conferita. Tale comitato coinvolge i ministri competenti a partire dal ministro di grazia e giustizia e da quelli dell'interno e per gli affari esteri. Il provvedimento per il recepimento della Convenzione dell'Aja verrà sottoposto a fine settembre si tratta di un tempo certo e non indicativo all'attenzione del Parlamento.
Un altro obiettivo legislativo molto più ambizioso e di lungo periodo è il recepimento della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori. Resta inoltre sul tappeto la necessità di definire strumenti ed organi di tutela per i minori a partire dalla definizione di un nuovo ordinamento giudiziario minorile. Ritengo altresì molto importante la definizione dell'istituto della mediazione familiare come strumento in grado di aiutare i minori e di affrontare situazioni familiari di crisi e di conflitto proprio dal punto di vista comunicativo e relazionale.
Sono questi obiettivi di più lungo periodo. Come ho già detto, il provvedimento per il recepimento della Convenzione dell'Aja sull'adozione internazionale sarà presentato credo si tratti di una data certa perché il lavoro è a buon punto a fine settembre, inizio di ottobre.
Il punto rispetto al quale il Governo ha assunto un impegno molto forte, e che vede il ministro per la solidarietà sociale svolgere una funzione di coordinamento e di indirizzo dei vari ministeri interessati e competenti, è quello della presentazione ed approvazione in sede di Consiglio dei ministri di un piano di azione nazionale per i diritti dell'infanzia. Tale piano dovrebbe contemplare lo stanziamento di risorse, nonché individuare gli strumenti di concerto tra i vari dicasteri e tutte le amministrazioni, per affrontare, in modo coordinato, alcune priorità indicate dal rapporto sui minori. Si tratta innanzitutto di prevenire o comunque di dare una risposta al problema più immediato della povertà minorile. Ciò richiede interventi complessi ed uno stanziamento di risorse non indifferente, anche perché intervenire sulla povertà minorile significa aiutare le famiglie che vivono in condizioni di povertà. In genere nel Mezzogiorno si tratta di famiglie con un solo reddito, o addirittura prive di reddito, e molti figli a carico. Si tratta pertanto di predisporre adeguati e più efficaci strumenti di sostegno al reddito.
Vi sono varie ipotesi allo studio: nel rapporto sulla povertà si parla di minimo vitale, mentre altri organismi sostengono l'opportunità di aumentare gli assegni familiari. Si tratta di sapere che vi sono numerose famiglie con figli a carico prive di reddito; credo che questa sia una fascia sociale da privilegiare, per esempio già con la prossima legge finanziaria. Non vi è dubbio che per aiutare le famiglie che vivono in condizioni di povertà sia necessario dare una risposta nel campo del lavoro. La povertà nel Mezzogiorno è dovuta innanzitutto alla carenza di lavoro. Vi è una differenza non solo quantitativa ma anche qualitativa tra la povertà del centro-nord e quella del Mezzogiorno; la povertà del centro-nord colpisce in particolar modo le famiglie senza figli, nuclei familiari ristretti con una biografia lavorativa incerta e sfortunata, mentre quella del
Riteniamo inoltre di dover intervenire con grande forza, con un piano d'azione nel campo dell'evasione scolastica. Credo che il tema della scuola (il suggerimento che traggo dall'interrogazione della collega Sbarbati è che oltre alla Commissione affari sociali, nei confronti della quale mi sono impegnata a presentare entro settembre le linee generali di questo piano d'azione, vanno coinvolte altre Commissioni, tra le quali sicuramente la Commissione cultura), e comunque quello dell'abbandono scolastico, sia uno dei punti cruciali per prevenire il disagio minorile.
Un altro punto che si intende affrontare nel piano d'azione riguarda gli asili nido, ed in particolare il consultorio, che riteniamo debba essere un servizio potenziato, qualificato, mirato alla dinamica familiare, al rapporto genitori-figli, a prevenire il disagio minorile. Pensiamo inoltre che in tale piano d'azione debbano essere affrontate le questioni della vivibilità delle città, della città a misura di bambino e di bambina e su questo si stanno sviluppando progetti interessanti in molti centri urbani. Pensiamo che il piano d'azione debba sostenere questi progetti, prevedendo gli strumenti di sostegno ai minori coinvolti in violenze familiari e predisponendo delle iniziative per una vera integrazione dei bambini stranieri. In effetti risponde al vero la difficoltà di inserire i bambini stranieri negli asili nido, mentre è più facile l'inserimento degli stessi nelle scuole elementari.
Questo è il modo con il quale intendiamo rispondere ai fatti di violenza denunciati: prevenire le violenze costruendo una cultura dei diritti quotidiani. Esprimiamo inoltre un forte sostegno al progetto di legge presentato in questa Camera, composto da un solo articolo, che prevede l'erogazione di gravi sanzioni penali a chi commette abusi sessuali nei confronti dei minori ed in occasione di viaggi a scopo di turismo sessuale. Devo dire che era intenzione mia e del Governo presentare in proposito un disegno di legge, ma di fronte all'iniziativa parlamentare, che è stata molto sollecita ed ha destato la sensibilità che ha portato a considerare urgente tale provvedimento, il Governo esprime la massima condivisione ed il massimo sostegno.
Considero la risposta in gran parte soddisfacente, però vorrei porre al ministro, persona sensibile, attenta e scrupolosa, alcuni interrogativi. In primo luogo: chi dobbiamo mettere sul banco degli imputati? Di fronte a quanto ci è stato rivelato e rispetto ai dati di questo primo rapporto che sono apparsi sulla stampa, sbocconcellati qua e là in alcune riviste di settore, c'è di che preoccuparsi. È preoccupante, infatti, il 72 per cento di aumento della realtà della prostituzione minorile, che ha raggiunto un budget di circa 5 mila miliardi; è preoccupante il fatto che l'abbandono scolastico abbia raggiunto la media del 40 per cento a livello nazionale: nonostante l'obbligatorietà dell'istruzione venga sancita da leggi dello Stato, nessuno persegue quelle famiglie e quei genitori che consentono o addirittura favoriscono l'abbandono della scuola, soprattutto nelle regioni del sud, per i motivi che il ministro citava poc'anzi. La mancanza di lavoro è uno di questi, ma non è l'unico: a volte ci sono altre motivazioni, più o meno striscianti e subdole, ma reali e consistenti, quali quelle che sono emerse nell'allucinante episodio di Palermo e che devono
Al di là di questo, però, se le iniziative che il Governo intende promuovere mi convincono e sono a mio avviso da sostenere in pieno, credo comunque che ci sia bisogno di un raccordo interministeriale concreto e fattivo, finalizzato ad un'azione di sensibilizzazione culturale e politica verso il tema del rispetto dell'infanzia, verso una nuova cultura dell'infanzia che si basi sulla certezza del diritto del bambino ad essere tale e, quindi, ad avere attorno a sé quei supporti giuridici di tutela e di promozione che sono compresi nella cornice costituzionale. Dobbiamo assolutamente fare in modo che si realizzi questo raccordo e che si possa addivenire (oltre che al piano d'azione, che ritengo contenga alcuni punti cardine) ad una legislazione la quale possa, sì, essere di settore, ma che investa un ampio spettro di problemi. Condivido infatti, ministro, l'opportunità di approvare una legge che riguardi l'abuso sessuale, ma lei sa benissimo che questo è soltanto uno dei problemi e che forse l'abuso più grave è quello, di natura culturale e antropologica, rappresentato dalla mancata considerazione del bambino come persona. Se il bambino non sarà un soggetto attivo nelle nostre politiche sociali, né lo sarà la famiglia, ma essi saranno puri terminali di un'azione commerciale portata avanti da una società crudele, che vive nell'ottica del consumismo tutti i valori della quotidianità e non guarda, non dico ai valori perenni, ma comunque a quelli cui una società democratica e culturalmente viva deve ispirarsi, noi tutto sommato avremo fallito, perché potremo anche approvare una buona legge di settore, ma non arriveremo a risolvere il problema.
Mi consenta ancora qualche secondo, signor Presidente.
Concludo augurandomi che il ministro voglia riprendere questo discorso perché credo che sia effettivamente opportuno che il Parlamento si faccia carico di un problema che vede appunto l'Italia diventare, ai livelli di certi paesi (ad esempio la Thailandia), non solo un terreno di transito ma di produzione per un mercato in cui il bambino-oggetto, e non il bambino-persona, è diventato appunto la merce appetibile a soddisfare devianze della nostra società, le quali debbono essere prevenute, perseguite, non «sponsorizzate», come sta avvenendo da parte di certa editoria che le esalta.
Avverto che l'interpellanza Selva n.2-00052, su richiesta del presentatore, impossibilitato ad assicurare la sua presenza in aula per cause di forza maggiore tempestivamente comunicate alla Presidenza, e consentendovi il Governo, sarà svolta in altra data.
Segue l'interpellanza De Simone n. 2-00064 (vedi l'allegato A).
L'onorevole De Simone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza.
Anzitutto mi chiedo come sia possibile che oggi, a quattro anni dal 2000, in un paese come il nostro che è molto avanzato dal punto di vista della legislazione in difesa dei diritti civili, vengano rilasciati dalle anagrafi dei comuni italiani dei certificati, i cosiddetti stati di famiglia, in cui i figli vengono definiti in modo diverso nell'ipotesi in cui non siano figli di entrambi i genitori ma di uno solo dei due (cioè se nati da precedenti unioni); in particolare si usa il termine dispregiativo «figliastro» o «figliastra» accanto al cognome e al nome del figlio che non è figlio di entrambi i genitori.
A me pare che questo sia un fatto barbarico, in contrasto con la nostra Costituzione, in particolare con il principio di uguaglianza in essa sancito, ma ancora di più in contrasto con le leggi vigenti, a partire da quella che ha modificato il diritto di famiglia, innovando la normativa precedente e stabilendo, all'articolo 143, il principio dell'uguaglianza giuridica e morale
Ho qui dinanzi a me uno stato di famiglia che ho richiesto in un comune d'Italia il giorno che ho presentato l'interpellanza. In esso sono elencati tre figli, tre fratelli: quella che dovrebbe essere elencata per prima, per motivi di età, viene elencata per terza e accanto al nome e cognome compare la designazione «figliastra», in quanto, essendo nata da una precedente unione, è figlia soltanto della madre. Nel caso fosse stata figlia soltanto del padre (e non della moglie attuale) sarebbe stata chiamata «figlia», perché il riferimento è appunto al cognome del padre.
Reputo che questo sia non solo in contrasto con il principio di eguaglianza e con quello che entrambi i coniugi stabiliscono la residenza, governano la famiglia e provvedono ad essa, ma anche con il principio di autonomia della prole, sancito dall'articolo 147 del codice civile, laddove si parla di prole e non di figli di entrambi i genitori e si dice espressamente che l'educazione della stessa deve essere data assecondando tale principio, cioè tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni della prole.
Credo che l'uso di questo termine dispregiativo sia grave non solo rispetto ai principi costituzionali e alle norme del nuovo diritto di famiglia, ma soprattutto in relazione al trauma che esso può comportare. Vorrei esprimere il mio stupore perché il Parlamento non si è posto il problema fino ad ora.
Domando semplicemente: sapete cosa significhi per un bambino di 7 o 10 anni portare a scuola uno stato di famiglia nel quale accanto al proprio nome e cognome è riportato l'appellativo «figliastro»? Possiamo immaginare cosa ciò significhi, soprattutto se i figli sono più d'uno, perché in questo caso si riscontra una disparità nel rapporto tra fratelli, vedendo che l'uno è figlio e l'altro «figliastro»!
Non si tratta, a mio parere, di un fatto linguistico, ma di una situazione di enorme gravità. Dalla disinvoltura con cui si lasciano andare queste cose nascono culture deviate e considerazioni violente del minore (è il tema della interrogazione precedente). O vi è un rispetto di fondo oppure esso non vi è, ed il rispetto si coglie anche nella terminologia usata e nell'ossequio al principio di uguaglianza.
Mi aspetto dal Governo, da questo Governo che ha addirittura voluto istituire un Ministero ed una ministra per le pari opportunità, che la prima opportunità sia data a quelli che nascono e che vivono in un ambiente familiare (che è innanzitutto un luogo affettivo): l'opportunità di sentirsi uguali.
Chiedo dunque che con una direttiva immediata del Ministero dell'interno sia abolita la dizione «figliastro/a», che è a mio avviso barbara e deve essere subito eliminata. Chiedo altresì che tale direttiva sia diramata in tempi rapidissimi. Mi stupisco infatti che si siano potute affrontare tematiche avanzate e belle, come quelle relative al diritto di famiglia e al divorzio, trascurando questo aspetto che rischia di provocare nel bambino che si vede definito così un trauma molto pesante.
È necessario fare innanzitutto due considerazioni di ordine generale: la prima è che il Governo concorda pienamente con le motivazioni poste a base dell'interpellanza con la quale si sottopone all'attenzione del Governo stesso una questione che riveste un grande significato etico e civile per una società che non può ammettere situazioni o stati di fatto, sia pure di semplice carattere certificativo, lesivi del rispetto della persona umana e dannosi per l'evoluzione del vivere civile; la seconda è che, ad avviso del Governo, ma credo che si tratti di una conclusione cui si giunge dopo un'indagine sulla normativa, non esiste alcuna disposizione che consenta un uso di tale parola, uso che giustamente è stato definito barbaro, né d'altra parte nessuna normativa potrebbe prevedere denominazioni delle persone che non si esita a definire umilianti. Se una normativa in questo senso esistesse, certamente dovrebbe essere modificata e cancellata dall'ordinamento giuridico, ma una normativa del genere non esiste.
La legislazione che regola l'ordinamento delle anagrafi è al momento contenuta nella legge 24 dicembre 1954, n.1228, e nel nuovo regolamento di esecuzione approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.223. Né nella legge né nel relativo regolamento vi è traccia di una disposizione che consenta tale facoltà agli ufficiali di anagrafe, o meglio che consenta di dedurre una tale conseguenza dal punto di vista delle tecniche di redazione dei certificati anagrafici. Aggiungo che la definizione di famiglia anagrafica contenuta nell'articolo 4 del regolamento è tale che certamente negli stati di famiglia non autorizza a distinguere la provenienza dei figli rispetto alla paternità ed alla maternità precedenti alla convivenza familiare nella quale si trovano in quel momento inseriti.
Preciso ciò perché esiste l'interesse di sapere se un figlio sia figlio di uno dei due genitori, di entrambi e di chi sia figlio, quando si conoscono entrambi i genitori. Il problema è che questo tipo di certificazioni è normale e non si deve tradurre in uno stato di famiglia in cui alcuni figli sono definiti figli ed altri figliastri. In altri termini, l'esigenza di risalire alla paternità ed alla maternità non deve essere assolta con la terminologia di figliastro al posto di quella di figlio negli stati di famiglia; ci sono altri metodi per rispondere a questo doveroso problema di conoscenza.
La definizione di famiglia anagrafica che, come dicevo, è contenuta nell'articolo 4 del regolamento attualmente in vigore dice che: «agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi coabitanti nello stesso comune». Quindi non vi è l'esigenza tecnica, in questo tipo di certificati, di distinguere la paternità o la maternità del figlio.
Assicuro che il Ministero dell'interno, competente in questa materia, emanerà immediatamente una direttiva (non uso volutamente il termine «circolare» perché gode di cattiva fama) che verrà indirizzata ai sindaci per eliminare quella che non è una norma che non esiste, bensì una prassi che probabilmente è dovuta non tanto alla volontà dei sindaci, quanto all'attività burocratica degli ufficiali di stato civile che rispondono in questo modo ad una specie di tradizione nell'uso di questa terminologia (figlio e figliastro, sorella e sorellastra, fratello e fratellastro e così via) la quale non è conforme alla Costituzione né può essere consentita dalla legge come non lo è ed è totalmente estranea non solo all'attuale orientamento del Governo ma al comune sentire della nostra società.
Confermo che la direttiva in parola, non ancora emanata, lo sarà al più presto.
Ringrazio il sottosegretario Vigneri ed auspico che la direttiva preannunciata venga emanata al più presto.
Il sottosegretario di Stato per l'interno ha facoltà di rispondere.
La questione, oggi proposta all'attenzione di questa Assemblea, ha origine nella presentazione, durante le consultazioni politiche del 21 aprile scorso, di un simbolo asseritamente ritenuto dall'interrogante come imitazione dei simboli già adoperati dalla lega nord, in particolare dalla lega veneta.
Riferisco al riguardo che, in occasione dello svolgimento di consultazioni politiche, i partiti o i gruppi politici organizzati che intendano partecipare alla competizione elettorale sono tenuti a presentare il relativo contrassegno al Ministero dell'interno che decide, ai fini della legittimità del deposito, secondo le disposizioni contenute nell'articolo 14 del testo unico vigente, il n.361 del 1957.
La norma vieta, tra l'altro, al terzo comma la presentazione di contrassegni identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti i simboli usati tradizionalmente da altri partiti; al successivo quarto comma individua i criteri posti alla base del concetto di confondibilità. Inoltre, il comma 4 (aggiunto nel 1993 per effetto della legge n.277) prevede che costituiscano elementi di confondibilità, congiuntamente o isolatamente considerati, oltre alla rappresentazione grafica o cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento.
Nel caso lamentato dagli onorevoli interroganti, nessun elemento di confondibilità è possibile rilevare tra i contrassegni depositati, in occasione delle elezioni politiche del 21 aprile 1996, dal movimento unione nord est e quelli già adoperati dalla lega nord in generale e, in particolare, dalla lega veneta.
Invero, l'ufficio elettorale centrale, costituito presso la Corte suprema di cassazione, ha ripetutamente avuto occasione di affermare che il comma 4, al quale ci siamo poc'anzi riferiti, si limita a specificare gli elementi dai quali può originarsi la confondibilità tra i contrassegni, fermo restando che la confondibilità ha luogo solo ove nel simbolo la presenza o la disposizione degli elementi sia tale da renderla concretamente possibile, senza inibire di per sé l'uso di simboli grafici (ad esempio la falce e il martello) o parole (ad esempio la parola «verdi» o «lega»), inidonei ad identificare un singolo partito bensì solo un campo ideologico di riferimento.
Non può d'altra parte sostenersi che il leone alato, unico simbolo grafico in comune tra i contrassegni in contestazione, costituisca un elemento di confondibilità, in quanto lo stesso rappresenta lo stemma della regione Veneto e, come tale, assurge a simbolo di tutto il territorio regionale e di conseguenza non va considerato come patrimonio esclusivo di un'unica determinata formazione politica.
Infine, non va trascurata la circostanza che, ove il simbolo della lista denominata «unione nord est» fosse stato ritenuto confondibile, i depositanti del contrassegno
Per quanto riguarda poi il deposito del contrassegno in occasione di elezioni regionali, provinciali o comunali, cui viene fatto riferimento nella seconda parte dell'interrogazione, ricordo che la vigente normativa demanda esclusivamente ad appositi uffici ufficio centrale e circoscrizionale per le elezioni regionali, ufficio elettorale centrale per le elezioni provinciali, commissione elettorale circondariale per le elezioni comunali l'esame e l'ammissione dei simboli.
Avverso le relative deliberazioni sono anche esperibili mezzi di gravame davanti agli organi di giustizia amministrativa e in ogni caso, sui fatti lamentati dagli interroganti la procura della Repubblica presso il tribunale di Venezia ha avviato un procedimento penale. In data 8 luglio 1996 è stata avanzata richiesta di archiviazione non ravvisandosi nel merito una norma specifica, se non il reato eventuale di truffa per il quale è richiesta la querela.
Nella denuncia presentata al tribunale di Venezia si precisa che la parola «nord», posta in alto sulla destra, nella stessa posizione in cui è ubicata nel simbolo della lega nord, con il leone di San Marco ed una lancia del tutto simile a quella del guerriero che caratterizza l'effigie simbolo della lega nord, ha generato una tale confusione che ben 80 mila voti sono andati alla lista unione nord est, nata in occasione delle elezioni del 21 aprile e morta immediatamente dopo, dal momento che nelle successive elezioni amministrative non è stata presentata. A testimonianza di ciò ricordo che fuori dai seggi elettorali di quella giornata moltissimi elettori, nel dichiarare come avevano votato, lamentavano la confusione generata dallo stesso colore, dalla lancia e dalla parola «nord» che imitavano il simbolo adoperato dalla lega nord. Solamente nella provincia di Verona, dalla quale provengo, questa confusione, portando via un centinaio di voti, ci ha fatto perdere due parlamentari.
Credo che vi sia stato un giudizio di merito da parte degli uffici diverso rispetto a quanto è accaduto in relazione a rinnovamento italiano. Ricordo che era stata presentata una lista Dini Mario detto Lamberto, prima della presentazione di quella dell'attuale ministro Dini e gli uffici hanno dato ragione a quest'ultimo; vorrei comprenderne la motivazione.
Per quanto riguarda il nostro caso, non abbiamo fatto opposizione convinti del fatto che un simbolo palesemente uguale al nostro sarebbe stato scartato dagli uffici; dispiace che sia avvenuto il contrario.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni all'ordine del giorno.