CAMERA DEI DEPUTATI
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 N. 7610
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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MASELLI, BOATO, GARDIOL, GATTO, OLIVO, PISAPIA, PISTONE
Disposizioni per il riconoscimento e la tutela delle
popolazioni rom e sinti e per la salvaguardia della loro
identità culturale
Presentata il 13 febbraio 2001
Onorevoli Colleghi! - Nel nostro Paese (così come, a
dire il vero, anche nel resto dell'Europa) le condizioni di
vita, nonché il livello di integrazione e di accettazione da
parte della cosiddetta "società civile" nei confronti delle
popolazioni rom e sinti sono talmente preoccupantemente bassi
da far pensare ad una vera e propria "emergenza sociale",
caratterizzata da elementi di isolamento politico, sociale,
economico e culturale. Le popolazioni rom e sinti sono
presenti in Italia fin dall'Alto medioevo. Di tale presenza
esiste una documentazione certa a decorrere dal secolo XIV.
Il rapporto con queste popolazioni ha costituito, nei
secoli, costantemente, un notevole problema giuridico, tanto
che ancora oggi ci troviamo di fronte ad una questione
ulteriormente urgente, ovvero quella di riconoscere a livello
legislativo nazionale una realtà che è invece già presente, in
modo ovviamente frammentario, nella legislazione regionale.
La stessa lingua romanesh era stata compresa nell'elenco
delle lingue minoritarie di Italia, di cui alla legge 15
dicembre 1999, n. 482, recante "Norme in materia di tutela
delle minoranze linguistiche storiche", in seguito, però, era
stata stralciata dall'elenco solo perché le norme tipiche
della legge non le si applicavano coerentemente.
La presente proposta di legge si propone, dunque,
l'intento di redigere un quadro normativo "complessivo" di
riferimento, nonché di creare i collegamenti con le leggi già
vigenti, come la citata legge n. 482 del 1999 di tutela delle
minoranze linguistiche, la legge n. 383 del 2000 di disciplina
delle associazioni di promozione sociale e la legge n. 328 del
2000, legge quadro di riforma dell'assistenza, ai fini non
solo di fornire garanzie di giustizia e di equità sociale
nonché di tutela delle minoranze, ma di contribuire ad un vero
cambiamento nel clima ostile che si respira nei confronti
delle popolazioni rom e sinti, purtroppo profondamente
radicato e diffuso nel nostro Paese. L'atteggiamento più
diffuso nei confronti dello "zingaro" è, infatti, quello
basato sul sospetto, sulla diffidenza: lo stereotipo di
riferimento, invece, si rifà a quello dello stregone,
appartenente ad una razza "nera e maledetta", nulla facente e
ladro per vocazione.
La prima testimonianza storica dell'ingresso in Italia di
tali popolazioni è stata registrata nel 1322 a Bologna, ma le
prime ondate migratorie partirono verso la fine del I
millennio dall'India nord-occidentale. La diaspora totale fu
determinata dall'espansione dell'Islam, che giunse fino al
Punjab, zona di origine dell'emigrazione.
I sinti sono probabilmente originari del Rajastan (India
del nord) mentre i rom sono originari del centro dell'India.
In Europa i gitani sono invece sicuramente presenti dalla fine
del 1300. Non facilmente inquadrabile all'interno delle
categorie del pensiero medievale, e non facilmente omologabile
ed assimilabile dalla cultura occidentale, lo zingaro è
rimasto una delle poche figure avvertite come estranee ed
inquietanti dalla civiltà moderna, anche perché nomade,
errante, senza una patria, appartenente ad un popolo disperso
e senza storia. Durante tutto il Medioevo, fino ad arrivare al
Rinascimento, nessuno si avvicinò al tema se non in termini,
per così dire, creativi: si andavano infatti creando dicerie e
leggende riguardo alle loro origini; secondo parte della
Chiesa essi erano i discendenti del fabbro che aveva forgiato
i chiodi usati per la crocifissione di Cristo, secondo altri
erano i discendenti dei sopravvissuti della mitica Atlantide
ed a queste ricostruzioni leggendarie se ne sono aggiunte
altre simili.
Alla fine del XVIII secolo ci furono i primi tentativi di
approccio scientifico allo studio delle loro origini e,
partendo dall'analisi del loro linguaggio, si scoprì che il
romanesh era un dialetto di origine indoeuropea. Sulla base di
questo dato, si riuscì a risalire alle presunte origini dei
rom, collocandole, come già detto, nel nord-est dell'India. In
realtà, come spesso avviene, una reale ricostruzione storica è
stata possibile riordinando e collegando tra loro i moltissimi
provvedimenti di tipo amministrativo e giuridico che nei
secoli hanno visto come destinatarie le popolazioni nomadi, e
in particolare i rom: il percorso che ne viene fuori
rappresenta sicuramente una interessante "cartina di
tornasole" dell'atteggiamento ostile che i popoli sedentari, a
tutti i livelli, sia i cittadini di ogni classe sociale che le
istituzioni, hanno sempre dimostrato nei confronti di tali
popolazioni. Nei secoli si è andato, infatti, stratificando
una sorta di pregiudizio sociale, giuridico e culturale che ha
condotto all'adozione di politiche che si concretizzavano, in
sintesi, sempre nell'espulsione "legale", nella reclusione di
vario genere, o nel tentativo dell'assimilazione forzata di
chi apparteneva alle etnie dedite al nomadismo.
Il problema che emerge chiaramente, e che non appare,
purtroppo, assolutamente superato dalla nostra moderna,
futuristica e futuribile società, si può sempre ricondurre al
difficilissimo rapporto del modello sociale occidentale con
"l'altro da sé", con chi non è facilmente soggetto a
classificazioni e rivendica, non sempre in modo ortodosso e
corretto, la propria libertà. Un Paese civile e democratico
come è il nostro non può certo permettersi di ignorare che
pregiudizi simili hanno, nel corso della storia, condotto a
crudeli e vergognose persecuzioni: la Germania nazista con i
suoi alleati perseguitò la minoranza zingara, sterminando
oltre 500 mila individui: una tragedia, questa, dimenticata ed
ignorata. Inoltre, non esistendo nessuna anagrafe, è stato
pressoché impossibile quantificare esattamente le perdite. Al
processo di Norimberga, nonostante il riconoscimento ufficiale
del terribile danno subìto dalle comunità rom e sinti, non fu
invitato nessun rappresentante di tali popolazioni, né per
intervenire né tantomeno per acquisire il titolo necessario ad
ottenere le somme destinate al risarcimento. Attualmente i rom
e i sinti che vivono in Italia sono circa 110 mila: la
maggioranza sono sinti. Si tratta, comunque, della percentuale
di presenze più bassa dell'intera Europa.
Però, nonostante tutti i pregiudizi che si sono ricordati,
in realtà, per un periodo considerevole, i rom riuscirono ad
inserirsi nel tessuto sociale ed economico europeo in modo
soddisfacente: i differenti gruppi cominciarono ad essere
riconosciuti con il nome che ne indicava la professione. I rom
kalderasha (presenti in Italia in circa 7 mila unità), ad
esempio, erano "calderai", lucidatori di metallo, stagnini ed
incisori dell'oro, i rudari erano venditori di stoffe, gli
ursari ammaestratori d'orsi.
Gli zingari, fino all'avvento dell'industrializzazione,
dell'urbanizzazione e della progressiva ma radicale
trasformazione dell'economia, riuscivano ad adattarsi ai
bisogni della società ospite, a crearsi delle nicchie di
esistenza semi-protetta che aveva, come conseguenza
dell'impatto, la instaurazione di una convivenza pacifica con
chi, seppure diverso, era loro vicino.
Adesso la civiltà nomade deve forzatamente fare i conti
con la società moderna, che fornisce ad essa continui segnali
di estraneità: dimostra, infatti, di non avere più bisogno dei
prodotti artigianali né delle professioni tipiche della
tradizione zingara. Insieme alla perdita della loro
tradizione, della possibilità di tramandare ai propri figli
arti che non hanno più significato, si è verificato anche
l'impoverimento economico, e lo scollamento dei ritmi di vita,
tipici di queste popolazioni, sicuramente più prossimi a
quelli della vita rurale che alla frammentazione e alla
velocizzazione degli spazi e dei tempi propri dei sistemi
odierni.
Da questi cambiamenti scaturiscono tutti i problemi a cui
assistiamo oggi: i nomadi (è il termine con il quale li
appellano, utilizzando un'accezione non sempre univoca, i
mass media, al fine di superare la definizione
"zingari", oramai carica di significati negativi) sono stati,
nei fatti, posti ai margini "reali", non solo figurati, delle
nostre città. Nel tempo si è dato vita a dei veri e propri
ghetti che confinano, nella maggior parte dei casi, con
periferie già povere e a rischio, oppure con discariche o zone
industriali semi-abbandonate. E' superfluo evidenziare che la
marginalità e la povertà creano disagio, e che il disagio è il
terreno ideale per la propensione alla criminalità, che a sua
volta genera altra marginalità e conflitto sociale.
La tolleranza, l'integrazione e il rispetto sono armi
necessarie per evitare l'innescarsi di un meccanismo di odio
al quale si risponda con il disprezzo delle regole, della
legalità e della convivenza civile. L'anello debole di questa
catena, inoltre, sono i bambini, che molto spesso vengono
coinvolti in attività illecite, quali furti negli
appartamenti, o borseggio, ed accattonaggio. Il numero delle
denunce e dei fermi è aumentato, e il problema della gestione
dei minori sottoposti a procedimenti penali è estremamente
spinoso e delicato; molto spesso l'attività micro-criminale
del bambino zingaro, inoltre, è l'unica fonte di reddito
dell'intero nucleo familiare, a sua volta costretto a vivere
in condizioni sanitarie e di vita ai limiti della
sussistenza.
L'allarme per lo stato in cui versano quasi tutti i campi
nomadi disseminati sul territorio nazionale è stato aggravato
dall'arrivo, in occasione dell'esodo successivo alla guerra
con la Jugoslavia, di migliaia di persone di origine rom.
Questi profughi, sia i kosovari che i rom kosovari e serbi,
nella confusione successiva al conflitto non sono stati
riconosciuti come rifugiati anche laddove ne avrebbero avuto
diritto.
La presente proposta di legge si propone, quindi,
l'intento di assicurare un sistema di interventi e di garanzie
per queste popolazioni, mediante la fissazione di regole che,
una volta applicate, produrrebbero sicuramente anche un valore
aggiunto in termini di sicurezza e di legalità, a beneficio di
una più serena e corretta convivenza civile, e che
costituirebbero un primo passo nella direzione della
costruzione di una cultura dei diritti e della differenza.