CAMERA DEI DEPUTATI - XIII LEGISLATURA
Resoconto della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse


Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse

SOMMARIO

Giovedì 16 dicembre 1999


Sulla pubblicità dei lavori ... 69

Esame della proposta di relazione sulla Calabria (relatore: senatore Franco Asciutti) ... 69

Seguito dell'esame ed approvazione della proposta di relazione sulla Lombardia (relatore: deputato Domenico Izzo) ... 70

Relazione sulla Lombardia ... 72
ALLEGATO 1 ... 105

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI


Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse - Resoconto di giovedì 16 dicembre 1999


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Giovedì 16 dicembre 1999. - Presidenza del Presidente Massimo SCALIA.

La seduta inizia alle ore 14.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

Massimo SCALIA, presidente, avverte che, non essendovi obiezioni, l'odierna seduta verrà ripresa mediante il sistema televisivo a circuito chiuso; avverte inoltre che verrà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta.

Esame della proposta di relazione sulla Calabria (relatore: senatore Franco Asciutti).

Massimo SCALIA, presidente, avverte che, a causa dei lavori presso la Camera in relazione ai provvedimenti finanziari, i commissari membri di quel ramo del Parlamento potranno intervenire soltanto in una fase successiva per il seguito dell'esame del documento sulla Lombardia.
Non essendovi osservazioni, invita il relatore sulla proposta in titolo a prendere la parola.

Franco ASCIUTTI (FI), relatore, ricorda innanzitutto che quella sulla Calabria è la terza relazione, dopo la Campania e la Puglia, ad interessarsi di una regione in fase emergenziale riguardo al ciclo dei rifiuti solidi urbani: l'inizio del commissariamento risale al settembre 1997 e l'organismo delegato viene individuato nel presidente della giunta regionale. Deve riconoscere che l'azione del commissario in Calabria ha fin dall'inizio dimostrato efficienza ed adeguatezza alla realtà territoriale, più di quanto sia avvenuto nelle due regioni prima citate.
A tale proposito, già nel maggio 1998 è stato varato un piano degli interventi di emergenza, che non solo è adeguato alle previsioni del «decreto Ronchi», ma che rappresenta il primo intervento program


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matorio nel ciclo dei rifiuti nella regione: ciò è da sottolineare, considerando che fino a quella data la Calabria non è riuscita a dotarsi di alcun strumento di pianificazione. Del resto, il piano ha avuto una genesi travagliata, essendo stato dapprima commissionato ad una società inglese e, a seguito di un'inchiesta giudiziaria, poi curato direttamente dalle strutture commissariali.
Premesso un giudizio sostanzialmente positivo sul piano, rileva che esso ha suddiviso la regione in cinque ambiti territoriali ottimali, non coincidenti integralmente con i territori provinciali: l'obiettivo principale è di fornire un forte impulso alla raccolta differenziata, puntando sulla separazione tra la frazione secca e quella umida, con la realizzazione di impianti per la produzione di compost di qualità, valorizzando la frazione secca residua e creando centri di stoccaggio per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti da utilizzare nei due termovalorizzatori previsti.
Espresse riserve sulla scelta di affidare l'intero ciclo dello smaltimento con un singolo appalto di notevoli dimensioni, giudica favorevolmente la scelta del commissario di recuperare impianti non perfettamente funzionanti, risalenti ad una concezione del ciclo dei rifiuti volta a vedere nell'impianto tecnologico una possibilità di guadagno senza preoccuparsi dell'utilizzazione del prodotto riciclato: cita gli impianti di Sambatello a Reggio Calabria, Rende, Lamezia Terme, Catanzaro Alli e Rossano, alcuni dei quali oggetto di inchieste giudiziarie.
Ritenuta positiva la scelta di chiudere 350 discariche comunali, alcune delle quali abusive, si sofferma diffusamente sulle bonifiche. Osserva dapprima che l'ENEA appare interessato ai siti più rilevanti, mentre mostra minore interesse per i casi non eclatanti di inquinamento; sottolinea poi che i comuni, nonostante gli interventi commissariali di chiusura, hanno in molti casi continuato ad utilizzare i siti destinati alla bonifica. In ciò si rinvengono elementi di microillegalità che finiscono per divenire il terreno di coltura per la grande illegalità connessa al ciclo dei rifiuti, come se il cattivo esempio proveniente dall'ente locale determinasse precise attività della criminalità organizzata.
A causa dell'ampiezza delle azioni illecite in Calabria, precisa che molte delle indagini sono state condotte direttamente dalle direzioni distrettuali antimafia della regione, di cui si dà conto nella relazione: esse hanno ad oggetto anche l'attività degli organismi regionali, degli enti locali e di imprese a rilevante partecipazione pubblica. Non solo quindi la criminalità organizzata tenta di aggiudicarsi gli appalti, ma tenta di governare l'intero processo in prima persona, agevolata da un atteggiamento per lo meno arrendevole della pubblica amministrazione e della grande impresa.
Sottolinea quindi la delicatezza delle attività della gestione commissariale: la fase dell'aggiudicazione dell'appalto per la concessione del ciclo di trattamento-smaltimento e la fase della realizzazione delle società miste che gestiranno nei comuni la raccolta ed il trasporto dei rifiuti.
Rileva poi che nella relazione viene dato risalto alle indagini a livello internazionale sulle cosiddette «navi a perdere», anche se non sono stati finora individuati relitti per sostenere la tesi accusatoria: su questo punto ritiene che la Commissione debba continuare a prestare la massima attenzione.
Conclude ribadendo che la Calabria è impegnata a superare l'attuale fase emergenziale ed a combattere le infiltrazioni operate dalla criminalità organizzata.

Massimo SCALIA, presidente, ringrazia il relatore e sospende per alcuni minuti la seduta affinché i commissari deputati possano raggiungere la sede della Commissione.

La seduta, sospesa alle 14.25, è ripresa alle 14.40.

Seguito dell'esame ed approvazione della proposta di relazione sulla Lombardia (relatore: deputato Domenico Izzo).

Massimo SCALIA, presidente, avverte che il relatore non ha potuto raggiungere la sede della Commissione e ricorda che


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l'esame del documento è iniziato il 17 novembre scorso ed è proseguito il 25 novembre ed il 2 dicembre. Ad esso non sono state presentate proposte emenda-tive.

Pierluigi COPERCINI (LNIP) ritiene che il documento sulla Lombardia sia completo e rileva che quel territorio continua, come in passato, ad essere interessato da smaltimenti illegali di rifiuti, in particolare di natura tossica; del resto, appare drammatica la situazione relativa alle falde acquifere a causa delle plurime fonti di inquinamento e ciò genera pessimismo riguardo allo stato di salute della popolazione, anche in proiezione futura.
Per rimediare ai guasti causati in varie zone del territorio lombardo, è urgente la mobilitazione degli organismi locali e di quello regionale per avviare, in tempi il più possibile brevi, definitive operazioni di bonifica.

Franco GERARDINI (DS-U) rileva che la Lombardia, essendo la regione più interessata a processi di industrializzazione, deve prestare la massima attenzione all'individuazione di soluzioni efficaci riguardo al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti, in particolare quelli di natura tossica.
Deve sottolineare peraltro che in gran parte del territorio regionale esiste una buona sensibilità delle amministrazioni comunali di fronte alle problematiche connesse alla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani e che anche il sistema dei controlli può ritenersi sufficiente: cita i casi di Lecco, Mantova e Milano, per affermare che la situazione complessiva della Lombardia fornisce assicurazioni più ampie rispetto a quella di altre regioni. Ciò vale anche per la definizione e la realizzazione di nuovi impianti, per i quali sono stati compiuti negli ultimi anni notevoli passi in avanti.

Massimo SCALIA, presidente, ritiene che, in assenza del relatore, possa formulare alcune valutazioni sulle operazioni di bonifica di cui è fatto cenno nella relazione, riguardo al sito della ex raffineria AGIP di Rho, nei pressi di Milano. Infatti, durante il sopralluogo della Commissione, sono state illustrate le modalità per procedere alla bonifica, rivelatesi non del tutto convincenti, ed alcuni dubbi sono sorti circa i sistemi di landfarming e di bioventing che, secondo il rappresentante dell'azienda, sarebbero in grado di eliminare dal sottosuolo anche i prodotti pesanti: le esperienze citate nella letteratura scientifica non sembrano però confermare quanto affermato dai dirigenti della Foster Wheeler.
Conclude ricordando che alcune delle osservazioni formulate dal relatore nelle settimane scorse sono state inserite nel testo.
Passa quindi alla votazione sul complesso del documento.

Pierluigi COPERCINI, pur rilevando l'inadeguatezza di alcuni degli interventi di bonifica programmati, preannunzia il voto favorevole della sua parte politica.

Franco GERARDINI preannunzia voto favorevole, riservandosi di presentare alla Presidenza nelle prossime settimane alcune valutazioni su parti specifiche del documento.

Massimo SCALIA, presidente, ribadisce le perplessità espresse dalla Commissione riguardo la bonifica del sito situato a Rho.
Nessun altro chiedendo di parlare, pone in votazione la proposta di relazione in titolo. È approvata.
Se non vi sono obiezioni, la Presidenza è autorizzata al coordinamento formale del testo.

(Il testo del documento è pubblicato in allegato).

La seduta termina alle ore 15.

N.B.: il resoconto stenografico è pubblicato in un fascicolo a parte.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'Ufficio di Presidenza si è riunito dalle ore 13,45 alle ore 14.


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Relazione sulla Lombardia
(relatore: deputato Domenico Izzo).

Premessa.

Nell'esercizio delle funzioni attribuitele dalla legge istitutiva, la Commissione - come noto - ha proceduto alla stesura di rapporti territoriali sulla situazione del ciclo dei rifiuti.
Quanto alla Lombardia, oggetto della presente trattazione, informazioni sono state assunte sia mediante apposite missioni in loco, sia attraverso l'audizione di esponenti di enti vari sia pubblici che privati, sia ancora attraverso l'acquisizione di documentazione scritta.
La Commissione ha proceduto alla verifica dei livelli di attuazione della legislazione inerente alla gestione del ciclo dei rifiuti, all'acquisizione di conoscenze relative alla situazione reale del territorio regionale e alle problematiche inerenti a specifici siti, nonché all'accertamento di eventuali nessi tra l'attività degli operatori del settore e attività illecite.
Se le risultanze di tale attività conoscitiva e ispettiva sono di lettura piuttosto complessa e sollecitano in futuro ulteriori approfondimenti, si può tuttavia asserire che il quadro d'insieme è complessivamente tranquillizzante e sembra inserirsi, sia pure con talune eccezioni, in un generale contesto di normalità gestionale e di discreto livello di consapevolezza dei problemi del governo del territorio.

1. Le audizioni e le missioni.

In relazione all'emergenza rifiuti avutasi nella provincia di Milano dal novembre 1994 alla fine del 1996, presso la sede della Commissione a Roma, sono stati ascoltati in audizione formale, nella seduta del 27 gennaio 1998, il presidente dell'Osservatorio nazionale dei rifiuti, Gianni Squitieri, l'assessore regionale all'ambiente, Franco Nicoli Cristiani, quello provinciale, Giulio Facchi, l'assessore comunale all'ambiente Domenico Zampaglione e il direttore dell'azienda municipalizzata servizi ambientali (Amsa) di Milano, Claudio Roveda(1).

(1) Gli incontri furono promossi soprattutto per l'esame della situazione venutasi a determinare a Milano dopo la chiusura della discarica di Cerro Maggiore, chiusura che di fatto aveva privato il capoluogo della possibilità di smaltire i rifiuti solidi urbani. Come accertato dal presidente dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, a seguito di apposita inchiesta svolta su incarico del ministro Ronchi, dopo il primo periodo di blocco nella raccolta e la conseguente gravissima situazione igienico-sanitaria venutasi a determinare, le successive misure prese dagli organi competenti hanno consentito di ridimensionare gli allarmi e di trovare soluzioni che, in una certa misura, hanno raccolto le indicazioni del decreto legislativo n.22 del 1997 soprattutto per quanto riguarda la raccolta differenziata. In effetti, sull'onda delle emergenze anzidette, sono state accelerate le procedure e le misure per procedere alla raccolta differenziata dei rifiuti anche se, nella prima fase del nuovo sistema, l'insufficienza di adeguati impianti per gestire i materiali selezionati ha portato a disfunzioni ed alla impossibilità di potere procedere totalmente alle lavorazioni di riciclaggio. Uno dei punti di debolezza dell'attuale sistema di raccolta dei rifiuti consiste, infatti, nella mancanza di adeguati impianti per la produzione di compost qualitativamente accettabile. E questa è un'ulteriore conferma del fatto che non appare possibile procedere alla gestione dei rifiuti per segmenti di attività con visioni parziali e separate delle varie fasi del ciclo, che interessa un sistema di attività interdipendenti che richiedono programmazione ed interventi unitari. A causa della carenza di impianti intermedi adeguati, gran parte della raccolta differenziata (soprattutto la frazione umida) effettuata a Milano finì allora in comuni discariche, vanificando, così, il grande sforzo organizzativo ed economico degli enti locali.
Le successive verifiche hanno portato indubbiamente ad un miglioramento della situazione anche per la piena attivazione dell'impianto di compostaggio della ex Maserati e di quello di termodistruzione di Figino. Resta, tuttavia, da osservare che, allo stato attuale, la situazione della Lombardia, sebbene debba essere giudicata come tra le più favorevoli dell'intero territorio nazionale, ancora non appare pienamente rispondente, sia dal punto di vista delle soluzioni tecnologiche espresse, sia per i profili strutturali, alle esigenze poste dalla gestione dell'intero ciclo.
Gli amministratori ascoltati hanno confermato che a quella data non sussistevano più situazioni di emergenza e che il programma lanciato dalla regione per la più ampia diffusione della raccolta differenziata era stato raccolto dagli enti locali e tradotto in interventi operativi. Le poche situazioni di crisi ancora esistenti ed in via di superamento (tra l'altro erano stati individuati trasferimenti di rifiuti in impianti del Lazio ed i costi di trattamento alla fine del 1997 erano lievitati fino a giungere a 480 lire al chilogrammo) derivavano dalla mancata sincronia tra l'avvio della raccolta differenziata e la posa in opera di impianti idonei alla lavorazione del compost. La prima fase operativa della gestione dei materiali raccolti è stata caratterizzata, pertanto, dalla ricerca di (discutibili, ma necessarie) soluzioni intermedie con l'approntamento di centri di vagliatura dove potevano trovare provvisoria collocazione varie tipologie di rifiuti.
Per quanto concerne i rifiuti speciali, tossici e pericolosi, provenienti dalle lavorazioni industriali, fino al 1998, in mancanza anche della tempestiva costituzione dell'ARPA (istituita soltanto nell'agosto del 1999) e, quindi, dei controlli e delle certificazioni a questa demandati, i dati in possesso della Commissione fino a tutto il 1997, che denunciavano come anche in Lombardia gran parte dei rifiuti non trovassero smaltimento nel territorio regionale, sono stati in parte corretti dagli amministratori che hanno assicurato che gran parte dell'industria lombarda pratica, con percentuali che giungano fino al 90 per cento del prodotto, l'autosmaltimento. In ogni caso, il forno di Filago assicura piena autonomia alla regione per i rifiuti liquidi pericolosi. Per quelli solidi la chiusura degli impianti di inertizzazione e di smaltimento di Cervesina e di Cologno Monzese, e l'entrata in funzione del nuovo impianto di Valsecco di Montechiari, avevano prodotto una fase momentanea di crisi, ora in via di superamento.
Resta aperta la delicata questione delle bonifiche presentata, in considerazione soprattutto della forte densità dell'industria lombarda e della mancanza da parte delle passate amministrazioni di un adeguato controllo del territorio, come il vero punto di crisi del sistema rifiuti. Per ulteriori ragguagli sull'emergenza nella provincia di Milano, v. infra.


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Delegazioni della Commissione, guidate dal Presidente Scalia e composte sia da parlamentari che da consulenti, si sono recate in Lombardia in due occasioni.


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Nei giorni 18 e 19 gennaio 1999, una delegazione, composta dal Presidente Scalia, dal deputato Copercini e dai senatori Lubrano di Ricco e Lasagna, ha effettuato una prima missione nella regione. Il 18 gennaio 1999 si sono svolti dei sopralluoghi presso la costruenda discarica di Castiglione delle Stiviere (Mn), presso gli impianti dell'Alfa Acciai di Brescia e della società Ghiraf di Annicco (Cr). Il giorno successivo la delegazione parlamentare ha visitato il sito della ditta Ecodeco di Pavia, quello della Maserati-bis di Milano e quello della Pirelli-ambiente, sempre nel capoluogo. Nel pomeriggio del 19 gennaio si sono svolte delle audizioni formali presso la prefettura, in occasione delle quali sono stati ascoltati il prefetto di Milano, Roberto Sorge, il sostituto procuratore della Repubblica di Monza, Luciano Padula, il consulente tecnico di questi, Gianpaolo Summaruga, il maresciallo della locale sezione di polizia giudiziaria, Matteo Annunziato, il dirigente del servizio rifiuti della regione Lombardia, Luigi Mille, l'assessore all'ambiente della provincia di Milano, Giulio Facchi, l'assessore alle privatizzazioni del comune di Milano, Giorgio Porta, ed il direttore generale dell'Amsa di Milano, Ruggero Anfossi.
Nel corso delle audizioni, sono stati anche ascoltati Alberto Meomartini e Paolo Pasini, rispettivamente vicepresidente e responsabile dei rapporti istituzionali dell'Assolombarda, nonché, per le associazioni ambientaliste, Nadia Volpi, per Italia Nostra, Marco Menichetti, per il Wwf, Andrea Poggio per Legambiente e Bruno Esposito per Ambiente e/è vita.

Nei giorni 13 e 14 settembre 1999, si è svolta la seconda missione conoscitiva. La delegazione, guidata dal Presidente Scalia e composta dai deputati Copercini, Iacobellis e Marengo nonché dai senatori Asciutti e Iuliano, ha visitato, nella giornata del 13 settembre, il sito da bonificare dell'Agip-petroli di Rho (Mi)(2), l'impianto di autosmaltimento per termodistruzione della Basf di Caronno Pertusella (Va)(3), l'impianto consortile di selezione e incenerimento di Valmadrera (Lc)(4). Il 14 settembre è stato effettuato un sopralluogo presso il sito della Ponte Nossa spa, nell'omonima località in provincia di Bergamo e una visita presso l'impianto di selezione di Levate (Bg). Si è quindi svolto un incontro a Trezzo sull'Adda (Mi)


(2) Nel corso della visita si è anche svolto un incontro informale cui hanno partecipato i dottori Sergio Ghelardi, Carlo Fischel e Stefano Pessina per l'Agip, l'ingegner G. Filauro per la Foster Wheeler, l'ingegner I. Poroli per la società Montalbetti.
(3) Nel corso della visita si è anche svolto un incontro informale cui hanno partecipato, per la Basf, i dirigenti Silvio Bassi e Riccardo Luzzati.
(4) Nell'occasione si è svolto un incontro informale con il presidente della Silea, Giovanni Fazzini e con altri esponenti della società, tra cui Paolo Selva e Marino Maglia. Ha partecipato all'incontro anche Giovanni Colombo, consigliere d'amministrazione della Silea e consigliere provinciale.


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con il comitato cittadino(5) prima e con il sindaco poi, relativamente a un impianto in corso di realizzazione presso tale località. In relazione a tale caso è stato ascoltato anche il comandante della compagnia dei carabinieri di Cassano d'Adda (Mi), Corrado Miralli. Infine la delegazione ha svolto un sopralluogo presso l'impianto di compostaggio di S. Rocco al Porto (Lo).

(5) Per il comitato cittadino ha partecipato la dottoressa Elisabetta Mauri, accompagnata da Giuseppina Casiraghi e da altri esponenti, mentre il sindaco, Roberto Milanesi, era accompagnato dall'assessore all'ambiente, Luca Rodda, e dal funzionario del comune, Fabio Pozzi.

2. La normativa regionale, gli atti di programmazione e la congruità dell'azione amministrativa.

2.1. I rifiuti urbani.

La gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Lombardia è disciplinata dalla legge regionale n.21 del 1993. Questa, abrogando una serie di disposizioni regionali della fine degli anni ottanta (sulla base dei quali, comunque, si fondava una discreta attività di programmazione e gestione del ciclo nella regione), prevede in linea di principio che la gestione del ciclo si ispira al contenimento delle quantità prodotte e dei costi di smaltimento, allo stimolo della differenziazione nella raccolta e del riciclo: si tratta in buona sostanza dei princìpi già dettati dalla direttiva 91/156/Cee che poi saranno cristallizzati nel «decreto Ronchi».
Similmente a quanto avviene nell'Emilia Romagna (v. il Doc xxiii n.32, p. 9), anche la legge regionale lombarda mira a coinvolgere le province nell'attività di programmazione. Se spetta alla regione l'emanazione degli indirizzi e delle linee guida relative al governo del fenomeno (cfr. l'articolo 2, comma 1, lettera a), è compito delle singole province stilare il piano di organizzazione dei servizi di smaltimento, anche se poi questo dovrà essere approvato dalla regione medesima. Probabilmente non si tratta di una sistemazione che rispetta alla lettera l'articolo 22 del decreto legislativo n.22 del 1997, né tuttavia si può affermare che ne sia in alcun modo tradito lo spirito.
La legge regionale n.21 inoltre si preoccupa di approvare in prima battuta un «programma a breve termine» per i rifiuti urbani e assimilabili (articoli 29 e seguenti, nonché allegato A alla legge). Tale programma - immaginato come sostanzialmente provvisorio rispetto a quelli che provincia per provincia dovranno essere adottati - divide il territorio in bacini e contiene l'indicazione dell'impiantistica esistente e degli interventi da realizzare, dei loro obiettivi e della titolarità della gestione. Nell'allegato B della legge sono contenute le prime linee guida per la redazione dei piani provinciali.
All'articolo 4, la legge regionale n.21 prevede anche l'istituzione di un osservatorio regionale sulla produzione, il recupero e lo


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smaltimento dei rifiuti. Tale osservatorio è stato effettivamente istituito e funziona regolarmente(6).

(6) La Commissione ha acquisito le relazioni dell'Osservatorio relative agli anni 1996, 1997 e 1998.

Va evidenziato, pertanto, che i princìpi contenuti nella legislazione regionale sono ben adeguati e che sono stati anche di grande aiuto alla gestione commissariale della provincia di Milano, tra la fine del 1994 e il 1996.
Con delibera adottata il 19 ottobre 1998, la giunta regionale ha adottato un disegno di legge regionale di modifica e adeguamento della legge n.21 al decreto legislativo n.22 del 1997. Il testo è all'esame del consiglio regionale.

2.2. I rifiuti speciali.

La Commissione ha acquisito a questo proposito due atti relativi ai rifiuti ospedalieri: una circolare del settore sanità e ambiente della giunta regionale del 1994 e le linee guida emanate dalla direzione generale della sanità della stessa autorità, aggiornate al gennaio 1999. Entrambi questi atti contengono - nel rispetto delle fonti legislative e regolamentari nazionali - prescrizioni e criteri di gestione dei rifiuti sanitari, sia a livello di obiettivi da raggiungere, analisi e classificazione, che di trattamento e smaltimento. Si tratta di atti che nel complesso denotano nell'apparato regionale un buon livello di preparazione e cura gestionale.
Per quel che riguarda i rifiuti industriali, è in corso di predisposizione un piano regionale che sarà adottato a breve dalla giunta e portato all'esame del consiglio regionale nei primi mesi del 2000.

2.3. L'azione delle amministrazioni provinciali e comunali.

Gli enti locali in Lombardia mostrano complessivamente un buon livello di attenzione al problema dei rifiuti. Per un dettaglio della situazione esistente v. infra, paragrafo 3. Tutte le province, tranne quella di Mantova, hanno ad oggi adottato il loro piano di gestione dei rifiuti.
Quanto ai controlli, che già ai sensi dell'articolo 14 della legge regionale n.21 spettano alle province, nella primavera 1998 la Commissione ha acquisito le risultanze di un rilevamento eseguito dal consiglio regionale circa le verifiche eseguite. Ne è emerso che il sistema dei controlli provinciali è complessivamente funzionante, specialmente nelle province di Lecco, Mantova e Milano. L'anello debole della catena, a questo riguardo, sembra essere quello della capacità delle province di misurare la corrispondenza delle quantità di rifiuto prodotto con quelle di rifiuto trattato e smaltito.


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2.3.1. Il caso della provincia di Milano.

La situazione della provincia e della città di Milano e le vicende che a suo tempo determinarono una grave crisi nel settore dei rifiuti, con i conseguenti provvedimenti di dichiarazione dell'emergenza e di commissariamento, ed, ancora, le misure intraprese e le scelte politiche adottate rappresentano un caso di grande interesse sul quale la Commissione ha posto un'attenzione particolare.

2.3.1.1. Cenni storici sull'emergenza.

La situazione d'emergenza per rsu fu dichiarata con Dpcm dell'8 novembre 1994. Della stessa data è l'ordinanza con la quale veniva nominato commissario delegato il prefetto Galletto fino al 31 luglio 1995. Successivamente, con Dpcm del 29 settembre 1995, veniva disposta la proroga dello stato di emergenza fino al 31 luglio 1996 e nominato commissario il presidente della regione Lombardia con il compito di procedere di intesa con la regione, la provincia ed il comune di Milano. In data 25 luglio 1996 vi è stata un'ulteriore proroga e con ordinanza del ministro dell'interno, delegato per il coordinamento della protezione civile, in data 12 settembre 1996, veniva demandata al presidente della regione Lombardia ed al sindaco di Milano la continuazione dell'attività di commissari delegati.
A tale proposito, è d'uopo ricordare che l'emergenza rifiuti in Lombardia può farsi risalire alla fine degli anni ottanta con l'entrata in vigore della legge regionale n.42 del 1989. Le disposizioni in essa contenute, infatti, non prevedendo alcuna partecipazione dell'ente locale alla localizzazione degli impianti, sostanzialmente introducevano una gestione meramente privatistica delle attività connesse allo smaltimento dei rifiuti, consentendo, di fatto, il formarsi di cartelli monopolistici per la gestione delle varie fasi del ciclo.
Dopo le battaglie ambientaliste dei primi anni novanta ed i conflitti sociali - determinati dalle continue emergenze nascenti dai progressivi esaurimenti delle discariche in esercizio e dalla minaccia di apertura di discariche nuove, la cui ubicazione veniva decisa senza le verifiche di impatto ambientale e di salute per la cittadinanza, nonché dalle inchieste sui grandi movimenti di denaro che si muovevano intorno all'affare rifiuti - il governo regionale subentrato nel dicembre del 1992 (in una situazione che di fatto era di emergenza) si è immediatamente attivato, sia per tamponare le situazioni di crisi, sia per dotare la regione di un nuovo strumento normativo che consentisse programmazioni ed interventi più adeguati. La scelta della nuova giunta di respingere la pratica dell'apertura di nuove discariche cominciò a produrre forti tensioni di mercato, con la richiesta da parte degli operatori - atteso lo squilibrio tra domanda ed offerta - di prezzi sempre più alti. Nonostante questo, l'amministrazione regionale riuscì a contenere i disservizi, senza irragionevoli aumenti dei costi e, nel contempo, ad approvare, in tempi assai brevi, la nuova legge n.21 del 1o luglio 1993 che, come si è già avuto modo di dire, è una delle esperienze più avanzate dal


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punto di vista delle legislazioni regionali in tema di rifiuti. Con tale legge, infatti, gli impianti tornavano ad essere a titolarità pubblica e veniva introdotto un diffuso sistema integrato di raccolta differenziata e smaltimento; veniva sviluppato il compostaggio e promossa la tecnologia complessa degli impianti; soprattutto era previsto il progressivo abbandono dell'utilizzo della discarica.
È in questo contesto che si colloca la crisi della discarica di Cerro Maggiore con le collegate vicende giudiziarie. In proposito occorre notare che la citata legge regionale n.42 del 1989 aveva individuato nel sito di Cerro Maggiore l'unica discarica disponibile per la città di Milano, costituendo, di fatto, una situazione di monopolio non facilmente risolvibile né dal punto di vista della resa del servizio, né dal punto di vista giuridico, considerato anche il non chiaramente definito regime dei prezzi da applicare, sostanzialmente demandato ad una squilibrata contrattazione tra le parti interessate (una in posizione di monopolio e l'altra pressata dall'emergenza). Con questa chiave di lettura debbono essere giudicati, ad avviso della Commissione, i provvedimenti contingenti di conferimento, fino all'esaurimento, dei rifiuti nella discarica di Cerro Maggiore e le conseguenti più onerose condizioni contrattuali applicate.

2.3.1.2. La soluzione del caso di Cerro Maggiore.

A data odierna, per la citata discarica di Cerro Maggiore, è stato concluso un accordo di programma, stipulato nella forma definitiva in data 14 giugno 1999, tra la regione Lombardia, rappresentata dal presidente della giunta regionale, ed i comuni di Cerro Maggiore e di Rescaldina, rappresentati dai rispettivi sindaci, con l'adesione dell'AUSL territorialmente competente e delle società Calcestruzzi Ceruti srl, Omnia res II spa e Simec spa. Tale atto è finalizzato alla chiusura definitiva della discarica nonché alla soluzione dei problemi connessi alla richiesta di attivazione del centro commerciale ed alla realizzazione degli interventi di ripristino di adeguate condizioni ambientali e di riqualificazione territoriale del Polo Baraggia nei comuni di Cerro Maggiore e Rescaldina (MI). Sulla base delle risultanze sopra riportate, l'accordo di programma sembra debba essere considerato in avanzato stato di attuazione.
L'accordo è strutturato in cinque parti, costituite da dieci articoli: la parte seconda (articoli 4-6) promuove e disciplina l'azione integrata e coordinata degli enti al fine di giungere alla determinazione condivisa e consensuale degli interventi - in capo ai privati che aderiscono all'accordo - necessari al completamento dei lavori di messa in sicurezza, monitoraggio e recupero ambientale della discarica, nonché degli interventi necessari per il ripristino e recupero ambientale dell'area destinata a cava, e degli interventi di riqualificazione ambientale e territoriale del «Polo Baraggia» al fine di assicurarlo alla fruibilità pubblica, oltre che la verifica della compatibilità anche viabilistica delle attività del centro commerciale con il territorio. In relazione agli obiettivi generali definiti, individua puntualmente gli interventi di recupero ambientale, nonchè la gestione e valorizzazione dell'area dopo la sua riqualificazione, le


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risorse finanziarie disponibili per la completa attuazione degli interventi previsti ed i tempi previsti per l'espletamento degli impegni assunti.
Sono ravvisabili due distinti tipi di intervento:
opere che i soggetti privati titolari di concessioni e di autorizzazioni assumono l'obbligo di realizzare, con particolare riferimento all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e recupero ambientale dell'area adibita a discarica, il cui obbligo di realizzazione è assunto dalla Simec, nonché gli interventi finalizzati al ripristino ambientale dell'area di cava la cui esecuzione è in capo alla Calcestruzzi Ceruti. L'esecuzione di tali interventi prevede l'adozione congiunta e coordinata di diversi soggetti privati sottoscrittori dell'accordo a seguito delle prescrizioni indicate dai competenti soggetti pubblici;
interventi finalizzati al ripristino di adeguate condizioni ambientali e di riqualificazione territoriale dell'intera area, la cui esecuzione non è assunta dai soggetti privati a seguito dagli impegni sopracitati e che saranno eseguite dai soggetti che aderiscono all'accordo secondo le forme concordate.

Un gruppo tecnico di lavoro, costituito dagli enti interessati, ha predisposto le linee-guida, riportate nell'allegato tecnico dell'accordo di programma, che individuano gli aspetti e gli interventi tecnici proposti per la messa in sicurezza della discarica(7).

(7) V. l'allegato 1.

2.3.1.3. L'uscita dall'emergenza.

Nel rimandare anche a quanto esposto al paragrafo 3.1.8, si osserva che già dal novembre 1995, con l'approvazione del piano provinciale da parte della regione, erano state poste le premesse per un ritorno alla gestione programmata ordinaria.
Con il piano provinciale, il territorio è stato diviso in ambiti territoriali, dotati di impianti, esistenti o da realizzarsi. Complessivamente si tratta di cinque inceneritori, quindici impianti di compostaggio, nove di selezione della frazione secca e otto per il suo deposito, oltre alle discariche. La quasi totalità degli impianti è destinato alle finalità d'ambito, con l'esclusione del nuovo impianto di termoutilizzazione dell'Amsa di via Silla, prospettato con una potenzialità pari a 1200 tonnellate al giorno (e quindi inquadrato come impianto della rete di soccorso regionale per eventuali quote residue di potenzialità), e dell'impianto di Trezzo sull'Adda, di trattamento della frazione secca e termogenerazione di calore ed energia da RSU e loro frazioni, avente potenzialità indicativa di 400 tonnellate al giorno.
Il ricorso allo smaltimento finale in impianti di scarico controllato è affidato per questa tipologia di rifiuti alle due discariche attive


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site nei comuni di Vizzolo Predabissi, di cui è tuttavia previsto l'esaurimento in un mese, e di Inzago, che ha una durata di vita stimata attorno ai due anni.
L'amministrazione provinciale si è anche fatta promotrice di azioni di sostegno alle iniziative comunali. Per esempio, negli anni 1995, 1996 e 1997, con delibere del consiglio provinciale, ha stanziato fondi per il finanziamento di iniziative di raccolta differenziata dei comuni della provincia e ha dettato i criteri generali per l'erogazione dei contributi. Nel novembre 1997 ha adottato un programma di sostegno finanziario alle iniziative comunali di «mitigazione e compensazione ambientale» nella gestione del ciclo.

2.3.2. Il caso della provincia di Lecco.

Occorre menzionare il caso della provincia di Lecco, dove da molti anni l'insieme dei comuni che dal 1995 costituiscono la provincia ha promosso la creazione di un consorzio di gestione dei rifiuti urbani, il quale a sua volta oggi si è trasformato in società consortile (la Silea).
Questa attua una politica assai accorta, avvalendosi di meccanismi tariffari applicati ai comuni consorziati. I cittadini continuano a versare ai comuni la tradizionale tassa sui Rsu, ma i comuni nei confronti della società consortile contribuiscono con tariffe, la cui misura è fissata sulla base del livello di «virtù» che riescono a esprimere in termini di raccolta differenziata. È chiaro che poi quanto minore sarà il contributo dovuto alla società consortile per chilogrammo di rifiuto conferito, tanto minore sarà l'aliquota imposta dai comuni ai cittadini. Il consorzio attua anche meccanismi di controllo molto scrupolosi e riesce ad assicurare al territorio provinciale l'autosufficienza di trattamento e smaltimento.
Tutto ciò - com'è evidente - si ottiene solo con una notevole coesione istituzionale e civica. Ne conseguono processi decisionali partecipati e trasparenti. Si pensi che non solo vi è il caso di un consigliere provinciale che è anche consigliere della Silea, ma che i sindaci dei comuni consorziati sono sempre interpellati in tutte le scelte. Significativo è anche che due comuni, i quali - già partecipanti all'originario consorzio - dopo la creazione della provincia di Lecco erano rimasti in provincia di Como, hanno preferito aderire alla Silea(8). Per le peculiarità tecniche v. infra,§4.2.

(8) Di rilievo appare anche che la Silea predispone annualmente (oltre che - ovviamente - il bilancio) una relazione informativa per il pubblico e stampa una news letter.

2.4. L'azione dei comuni: due casi emblematici.

Anche in Lombardia, la Commissione ha potuto verificare come spesso, presi isolatamente, i comuni più piccoli non sono sempre in grado di gestire e fornire servizi pubblici in modo soddisfacente. Ma


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questo - si badi - non per cattiva volontà o incapacità professionali, bensì per il fatto che vi sono delle tipologie di servizi che - per essere svolti in modo moderno ed adeguato - devono essere gestiti a livello perlomeno intercomunale e, per le necessarie tecnologie, con il coinvolgimento dell'impresa privata.
Orbene, in questo contesto, i comuni con poche migliaia di abitanti e con entrate e capacità di spesa limitate spesso non riescono ad essere interlocutori adeguati degli altri enti territoriali (tra cui anche i comuni più grandi) e delle concentrazioni imprenditoriali interessate. Della consapevolezza di questo dato è peraltro intriso tutto il diritto degli enti locali, dalla legge n.142 del 1990 in poi.
La gestione del ciclo dei rifiuti rientra sicuramente in questa cornice di ragionamento.
I casi che si riportano, e che sono venuti all'attenzione della Commissione a seguito di esposti direttamente inviatile, sono testimonianza proprio delle difficoltà che le piccole realtà comunali incontrano nel rapporto con gli altri protagonisti della gestione del ciclo.

2.4.1. Castiglione delle Stiviere.

La Commissione si è recata a svolgere un sopralluogo presso la cava Pirossina, nel comune di Castiglione delle Stiviere, a seguito degli esposti fatti pervenire dal sindaco della località e dai sindaci di diversi comuni limitrofi.
La cava, da cui sono stati estratti ghiaia e pietrisco per il rilevato di alcune arterie stradali, dovrebbe essere trasformata in una discarica per rifiuti speciali dalla capacità di circa 1.200.000 metri cubi. Il progetto, approvato dalla regione, vede l'opposizione non solo dei comuni dell'area ma anche della provincia di Mantova.
Secondo quanto hanno riferito i rappresentanti di quelle istituzioni alla Commissione - nel corso di un incontro informale svoltosi presso il comune di Castiglione delle Stiviere - l'impianto andrebbe ad interessare un'area a monte di un importante polo di captazione idropotabile, con insufficienti garanzie di non contaminazione della falda. Un rischio peraltro individuato con alta probabilità anche dai consulenti tecnici nominati da Enzo Rosina, il magistrato della procura di Mantova che ha avviato un'indagine sulla realizzazione dell'impianto.
Esistono inoltre situazioni di particolare vicinanza di abitazioni civili dalla discarica e motivi di tutela ambientale e paesaggistica. Si tratta di elementi sui quali la Commissione, già in sede di audizione a Milano, ha invitato ad un supplemento di verifiche i competenti organismi regionali. In questa sede non si può che ribadire il giudizio già espresso in quell'occasione.

2.4.2. Trezzo sull'Adda.

Nel settembre 1999, un gruppo di cittadini (composto da diverse persone che si sono sempre proposte come soggetti che interpretano


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opinioni, ed istanze, proprie ed individuali) ha inviato un esposto alla Commissione in cui veniva prospettata la storia del costruendo impianto d'incenerimento di Trezzo (Mi). Come accennato in apertura, a seguito dell'attento vaglio dell'esposto, la Commissione ha deciso di recarsi a Trezzo per incontrare sia i cittadini che l'amministrazione comunale, sia ancora l'ufficiale di polizia giudiziaria incaricato delle indagini da Fabio Napoleone, il magistrato titolare dell'inchiesta.
Gli elementi emersi da tale attività conoscitiva possono così sintetizzarsi:
1. nel dicembre 1994, durante il mandato del commissario per la gestione dell'emergenza-rifiuti della provincia di Milano, il consiglio comunale di Trezzo dava mandato alla giunta di proporre al commissario stesso, in alternativa alla discarica per talquale prevista dal piano regionale vigente all'epoca, l'ubicazione sul territorio comunale di un impianto di selezione dei rifiuti a tecnologia avanzata; uno per la loro igienizzazione ed inertizzazione nonché compattazione; uno per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti trattati. Tale proposta è stata accolta sia dalla gestione commissariale prefettizia che dalla gestione commissariale del presidente della regione. Nel novembre 1995, infatti, la regione Lombardia approvava il piano provinciale di smaltimento che contemplava l'esistenza dell'impianto a Trezzo;
2. successivamente la regione prospettava al comune la creazione di un inceneritore con recupero energetico. Sicché la gestione prefettizia, su proposta dell'amministrazione comunale, nominava una commissione tecnica per la progettazione e la realizzazione tecnica del citato impianto. Il lungo iter di proposte e deliberazioni dei diversi organi preposti così avviato portava a configurare un progetto d'impianto a tecnologia complessa sul territorio di Trezzo, comprendente un impianto di raccolta della frazione secca, uno di «bricchettaggio»(9) e un inceneritore;

(9) Per «bricchetta» s'intende una barra, di circa un metro di lunghezza e una sezione quadrata di circa 20 o 30 centimetri di lato, di rifiuto compattato.

3. favorevole a quest'ipotesi era la giunta comunale, insediatasi nell'aprile 1995, guidata dal sindaco Pasquale Villa, sotto la cui gestione veniva incaricata della costruzione dell'impianto la società Tecno Trattamento Rifiuti spa (Ttr), appartenente al gruppo Emit-Acqua prima e poi acquisita al novanta per cento dalla Falck di Milano;
4. il progetto della Ttr era (ed è) un progetto tarato su quantità elevate di rifiuti da trattare ed è piuttosto costoso. Secondo il gruppo di cittadini, è stato autorizzato senza i prescritti pareri delle Ausl. Inoltre - sempre ad avviso dei cittadini incontrati - la catena stoccaggio-bricchettaggio-incenerimento sarebbe sostanzialmente divenuta inutile a seguito della cessazione dell'emergenza in provincia e degli ottimi risultati che sta dando la raccolta differenziata;
5. nel luglio 1997, il presidente della regione con ordinanza emergenziale (ex articolo 13 del «decreto Ronchi») disponeva la


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costruzione di un impianto di imballaggio di rifiuti («ecoballe») nelle immediate adiacenze dell'area dove dovrebbero sorgere l'impianto di bricchettaggio e l'inceneritore. Il suo funzionamento veniva autorizzato in via sperimentale;
6. nel giugno 1999 il sindaco Villa non si è ricandidato. Attualmente è in carica una giunta (leggermente diversa nella composizione partitica), guidata da esponenti politici che - al momento della visita della Commissione - hanno affermato quel che appare assai verosimile e cioè che non vi era stato ancora il tempo materiale per assumere decisioni documentate e ponderate circa la prosecuzione nell'esecuzione del progetto;
7. a carico di esponenti della Ttr vi sono stati procedimenti penali proprio per reati connessi alla gestione degli impianti.;
8. la sperimentazione delle «ecoballe» è stata sospesa ed il sito dove essi si trovano è stato messo in sicurezza.

Il gruppo di cittadini ha sostenuto che la soluzione migliore sarebbe quella dell'abbandono dell'intero progetto. Tanto più che diversi ricorsi al Tar proposti dai proprietari dei terreni espropriandi, su cui dovrebbe sorgere l'impianto complesso, sono stati accolti.
La posizione della Commissione è, ovviamente, quella di raccomandare alle amministrazioni locali sempre la massima trasparenza e attenzione ambientale nella conduzione delle fasi del ciclo dei rifiuti.
Quanto alla vicenda specifica di Trezzo, appare evidente che l'attuale giunta comunale non può essere ritenuta responsabile di una situazione che è stata gestita dalla precedente amministrazione e sempre con il consenso delle autorità regionali e provinciali, tanto che l'impianto in questione è stato inserito nel piano provinciale.
Il nuovo sindaco si trova a dover compiere scelte di politica ambientale che sono sempre assai delicate nonché ad interloquire oggi con il gruppo Falck, il quale ha i mezzi per far rispettare impegni contrattuali presi con l'amministrazione precedente, la quale evidentemente aveva anche calcolato, tra i benefìci attesi dall'operazione, il fatto che avrebbe fatto pagare un corrispettivo ad altri comuni che avessero voluto conferire i loro rifiuti presso l'impianto.
Il rilievo che si deve muovere alla giunta uscente è tuttavia quello di aver intrapreso il percorso di attivazione dell'impianto al di fuori di ogni raccordo con il Cem, vale a dire il consorzio intercomununale c.d. ex milanese, che raggruppa 46 comuni dell'area nordorientale della provincia (con sede a Cavenago Brianza) e che porta avanti la gestione del servizio rifiuti per i comuni aderenti. Tanto ciò è vero che l'attuale amministrazione sta rapidamente cercando di riallacciare con il Cem un rapporto di tipo organico.
Per quel che concerne l'impatto ambientale, il solo impianto di compattazione e bricchettaggio non comporta pericoli, poiché le bricchette di frazione secca sono sostanzialmente inodori. Diverso potrebbe essere il discorso per quel che concerne l'inceneritore: anche qui occorrono verifiche serie circa le conseguenze che l'attivazione dell'impianto potrebbe avere e se il beneficio che si attende può compensare i disagi.


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3. La situazione territoriale.

I dati elaborati dall'Osservatorio regionale sui rifiuti, nel giugno 1999, si riferiscono agli anni dal 1995 al 1998. Per l'anno 1998, le elaborazioni effettuate si riferiscono alla quasi totalità dei comuni e sono pari al 99,79 per cento della popolazione residente (1540 comuni su 1546). In tale ultimo anno sono state prodotte quotidianamente circa 11.220 tonnellate di rifiuti, pari a circa 1,24 chilogrammi per abitante al giorno. Complessivamente risultano prodotte in Lombardia circa 4.095.716 tonnellate di rifiuti urbani per il 1998, dei quali circa 292.406 di rifiuti ingombranti. Il raffronto con i dati rilevati nell'anno precedente porta a registrare un incremento complessivo di circa il 4,1 per cento.
In linea con quanto previsto dal decreto legislativo n.22 del 1997, nel 1998 il dato dei RSU è stato comprensivo dei rifiuti speciali assimilati agli urbani prodotti dal comune. La media regionale di produzione pro capite al netto della raccolta differenziata si attesta intorno a 0,76 chilogrammi per abitante al giorno, con un valore massimo della provincia di Pavia (1,18 chilogrammi per abitante al giorno) ed uno minimo per quella di Bergamo (0,52 chilogrammi per abitante al giorno).
Relativamente ai rifiuti ingombranti, il 43,4 per cento dei comuni dichiarano di avere operato la raccolta differenziata per un quantitativo di 292.406 tonnellate, pari al 10,3 per cento circa dei rifiuti a smaltimento indifferenziato: questi ultimi, nel 1998, ammontano a complessive 2.819.057 tonnellate. Il raffronto con il biennio precedente porta a rilevare una diminuzione dei rifiuti dello 0,54 per cento a fronte di un aumento totale dei rifiuti prodotti. Ciò a testimonianza del sempre maggiore coinvolgimento dei comuni lombardi nella raccolta differenziata.
Circa lo specifico dei dati relativi alle raccolte differenziate, il totale delle diverse frazioni raccolte nel 1998 porta a registrare la percentuale del 31,2 per cento del totale prodotto nella regione, con un incremento del 19,3 per cento rispetto al 1997. Trova, pertanto, conferma il trend positivo registrato negli anni precedenti (10 per cento nel 1994, 14 per cento nel 1995, 22 per cento nel 1996 e 25 per cento nel 1997).

3.1. Il ciclo dei rifiuti nelle singole province.

Per una migliore descrizione della situazione, si ritiene utile fornire brevi cenni sulla gestione dei rifiuti solidi urbani nelle singole province, rimandando inoltre alle tabelle riportate in allegato(10).

(10) Cfr. l'allegato 2.

3.1.1. Provincia di Bergamo.

In quest'area nel 1998 si è registrata una percentuale di raccolta differenziata pari al 42,35 per cento del totale dei rifiuti prodotti


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(366.676 tonnellate) con un incremento del 23,1 per cento sul 1997. La frazione umida rappresenta quasi il 40 per cento dell'intera raccolta differenziata; percentuali significative riguardano anche la carta (28,7 per cento della raccolta differenziata) e il vetro (18,5 per cento). In provincia di Bergamo operano tre impianti di compostaggio (Calcinate, Grassobbio e Ghisalba), per una capacità complessiva di circa 300 tonnellate al giorno; sono attive due discariche (Pontirolo Nuovo e Costa di Mezzate) che nel 1998 hanno smaltito 365.575 tonnellate di rifiuti; è infine attivo un impianto di termodistruzione, a Bergamo, che nel 1998 ha trattato 37.606 tonnellate di rifiuti.

3.1.2. Provincia di Brescia.

Nel 1998 la raccolta differenziata in questa provincia ha riguardato il 19 per cento del totale dei rifiuti prodotti (544.963 tonnellate), con un incremento del 24,9 per cento sul 1997. La maggiore incidenza sul totale della raccolta differenziata è stata fatta registrare dalla carta (34,9 per cento); la frazione umida rappresenta circa il 31 per cento, mentre il vetro ha una quota del 12,3 per cento. In provincia di Brescia operano tre impianti di compostaggio (Bagnolo Mella, Chiari, Orzinuovi), per una capacità complessiva di 386 tonnellate al giorno; esistono cinque discariche (Rovato, Calcinato, Montichiari, Castrezzato e Provaglio d'Iseo), che nel 1998 hanno smaltito complessivamente circa 435.000 tonnellate di rifiuti. È inoltre attivo l'inceneritore di Brescia, dove sono state trattate nel 1998 186.585 tonnellate di rifiuti.

3.1.3. Provincia di Como.

In questa provincia la raccolta differenziata ha rappresentato nel 1998 il 26,7 per cento sul totale dei rifiuti prodotti (225.498 tonnellate), con un incremento del 12,9 per cento sul 1997. La frazione umida ha rappresentato il 28 per cento della raccolta differenziata; il vetro ha inciso per il 24,5 per cento e la carta per il 19 per cento. Sono attivi in provincia quattro impianti di compostaggio (Anzano del Parco, Cirimido, Vertemate e Villa Guardia), con una potenzialità complessiva di quasi 300 tonnellate al giorno; esiste inoltre l'impianto di termodistruzione di Como, che nel 1998 ha trattato 59.320 tonnellate di rifiuti.

3.1.4. Provincia di Cremona.

La raccolta differenziata in questa provincia ha riguardato il 28,2 per cento dei rifiuti prodotti nel 1998 (152.434 tonnellate), con un incremento percentuale sul 1997 dell'11,6 per cento. La quota più significativa è rappresentata dalla carta (35,4 per cento sul totale della raccolta differenziata); la frazione umida rappresenta il 30,8 per cento e il vetro il 23,2 per cento. In provincia di Cremona esiste una discarica (Malagnino), che nel 1998 ha smaltito 90.885 tonnellate di


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rifiuti, ed un termodistruttore (Cremona), che ha trattato 31.167 tonnellate.

3.1.5. Provincia di Lecco.

In quest'area la raccolta differenziata nel 1998 ha riguardato il 38,1 per cento del totale dei rifiuti prodotti (131.073 tonnellate), con un incremento sul 1997 pari al 29,3 per cento. Nel 1999 le autorità provinciali hanno comunicato che stimano il raggiungimento di una quota ben superiore al 40 per cento.
La quota più significativa è rappresentata dalla frazione umida (28,5 per cento sul complesso della raccolta differenziata); il vetro ha inciso per il 22 per cento e la carta per il 18,3 per cento. In provincia esiste un impianto di compostaggio (Ballabio), che ha una potenzialità di 10 tonnellate al giorno, e l'impianto di termodistruzione di Lecco, che nel 1998 ha trattato 62.704 tonnellate di rifiuti.

3.1.6. Provincia di Lodi.

La raccolta differenziata in questa provincia ha riguardato il 32,4 per cento dei rifiuti prodotti (85.527 tonnellate), con un incremento del 10,2 per cento sul 1997. La frazione umida ha rappresentato il 38 per cento della raccolta differenziata; la carta ha fatto rilevare un'incidenza del 32,3 per cento e il vetro del 16,7 per cento. In provincia è attivo un impianto di compostaggio (S. Rocco al Porto), che ha una potenzialità di 64 tonnellate al giorno; è inoltre attiva una discarica a Cavenago d'Adda, dove nel 1998 sono state smaltite 59.301 tonnellate di rifiuti.

3.1.7. Provincia di Mantova.

In questa provincia la raccolta differenziata ha rappresentato il 25,4 per cento sul totale dei rifiuti prodotti (169.417 tonnellate), con un incremento del 22,8 per cento sul 1997. La parte più significativa è stata rappresentata dalla frazione organica, che ha rappresentato il 42,5 per cento della raccolta differenziata; la carta ha fatto segnare un'incidenza del 30,6 per cento e il vetro del 19,4 per cento. In quest'area sono attivi tre impianti di compostaggio (Castiglione delle Stiviere, Ceresara e Mantova), con una capacità complessiva di 129 tonnellate al giorno; sono inoltre attive tre discariche (Mariana Mantovana, Monzambano e Pieve di Coriano), che hanno smaltito 47.360 tonnellate di rifiuti.

3.1.8. Provincia di Milano.

La produzione complessiva di rifiuti urbani registrata nella provincia di Milano al 1998 è di 1.737.952 tonnellate, con un incremento percentuale su base annua del 3,65 per cento rispetto al


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1997 (trend di crescita comunque in diminuzione rispetto alla variazione percentuale del biennio precedente 1996-1997: +5,38 per cento).
La produzione pro capite di rifiuti urbani si attesta attorno al valore di 1,26 chilogrammi per abitante e per giorno, leggermente superiore al valore medio regionale.
La percentuale di raccolta differenziata raggiunta al 1998 si è attestata su valori superiori al 36 per cento, con un incremento di oltre il 12 per cento rispetto al 1997 (dato della raccolta differenziata del 1997 pari al 32,35 per cento). Nel corso dell'ultimo quadriennio le raccolte separate di materiali hanno avuto uno sviluppo di notevole rilievo, facendo registrare un passaggio dal valore percentuale del 13,55 per cento nel 1995 all'attuale 36,26 per cento (dato 1998).
Le indicazioni di dettaglio sull'andamento della produzione dei rifiuti e delle raccolte differenziate, indicate sia in quantitativi assoluti che percentuali e pro capite per le principali frazioni merceologiche raccolte separatamente, sono riportati nei prospetti che seguono, estratti dal rapporto annuale dell'Osservatorio regionale sui rifiuti.

3.1.8.1. Il sistema impiantistico provinciale di trattamento e smaltimento.

Relativamente al sistema di smaltimento finale dei rifiuti urbani e delle loro frazioni in impianti di scarico controllato, la provincia di Milano conferisce nelle due discariche attive site sul proprio territorio, nel comune di Vizzolo Predabissi e nel comune di Inzago, che presentano complessivamente al 1998 una volumetria residua di circa 1.100.000 metri cubi.
La discarica sita in Vizzolo Predabissi, di titolarità del comune ed in gestione alla società West Italia spa, è autorizzata alla ricezione di rifiuti urbani ed assimilabili e nel 1998 ha ricevuto 169.121 tonnellate complessive di rifiuti urbani ed assimilabili, suddivisi per tipologia come specificato nel dettaglio della corrispondente tabella allegata. Del quantitativo totale smaltito al 1996 (pari a 231.337 tonnellate) ben 216.504 tonnellate erano di provenienza provinciale, mentre nel 1997 i rifiuti urbani provinciali trattati sono stati 56.731 tonnellate, cui vanno poi sommate le altre tipologie di rifiuto (spazzamento strade, inerti, eccetera). L'attuale volumetria residua della discarica di Vizzolo Predabissi è piuttosto esigua (circa 150.000 mc) e ne è previsto un rapido esaurimento.
La discarica di Inzago, di titolarità ed in gestione alla Transeco srl, destinata alla ricezione dei soli rifiuti urbani assimilabili, ha smaltito, al 1998, 311.276 tonnellate di rifiuti interamente di provenienza provinciale. Presenta attualmente una potenzialità residua di 1.000.000 mc, con previsione di esaurimento per il 2001.
Riguardo agli impianti di termoutilizzazione, la provincia di Milano risulta attualmente dotata di sei impianti.
Al 1998 la potenzialità, registrata in provincia di Milano negli impianti esistenti, ammonta a 905 tonnellate giornaliere, le potenzialità autorizzate raggiungono le 2.500 tonnellate al giorno, mentre


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il complesso delle potenzialità di smaltimento mediante termoutilizzazione definito dal nuovo piano regionale è contenuto a 2.080 tonnellate giornaliere, in considerazione del carattere transitorio dell'impianto di Abbiategrasso (in fase di revamping con funzionamento previsto fino all'avvio del forno di Parona, Pavia) e di quello di Milano, via Zama.
Nel 1998 sono state smaltite per termodistruzione 244.104 tonnellate di rifiuti urbani ed assimilabili, di cui circa 9 mila tonnellate di rifiuti ospedalieri.
In particolare, relativamente ai dati di esercizio, si sottolinea quanto segue:
1) la potenzialità autorizzata per l'impianto di Milano Silla è suddivisa in due linee da 600 tonnellate al giorno: la prima funziona attualmente a 360 tonnellate al giorno, mentre la seconda ha ottenuto l'autorizzazione del CRIAL ed è al vaglio degli uffici regionali l'autorizzazione all'esercizio;
2) l'impianto di Sesto S. Giovanni, autorizzato con ordinanza del commissario straordinario provinciale, è attualmente in fase di ristrutturazione;
3) degli impianti autorizzati dal commissario straordinario per la provincia di Milano, solo l'impianto di Trezzo d'Adda è in fase di realizzazione.

Gli impianti di selezione della provincia di Milano hanno una potenzialità autorizzata di 3.400 tonnellate giornaliere, mentre la potenzialità trattata giornalmente negli impianti in funzione al 1998 ammonta a 1.794 tonnellate (non attivi, in questa data, gli impianti dei comuni di Corbetta e Monza).
Riguardo agli impianti di compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani, la situazione autorizzativa garantirà, a regime, una potenzialità complessiva di 968 tonnellate giornaliere. Gli impianti esistenti non sono tutti funzionanti al 1998: Milano Amsa (ex Maserati) gestita dal consorzio Milano Pulita non era attivo ed il secondo impianto Amsa, a Muggiano, non ha svolto l'attività nel corso dell'anno. L'unica potenzialità esercitata in provincia (pari a 12 tonnellate al giorno) è stata svolta dall'impianto nel comune di Corbetta, gestito dalla SCR spa.

3.1.8.2. Le scelte della giunta regionale sugli impianti esistenti in provincia.

Il disegno di legge regionale di modifica della legge regionale n.21 del 1993 individua nel confine provinciale la delimitazione dell'ambito territoriale ottimale, ed identifica il complesso degli impianti, confermati dalla pianificazione provinciale, esistenti o autorizzati, e quelli per i quali sono previsti degli ampliamenti. Inoltre sono indicati gli ambiti di bacino degli impianti sia esistenti che di nuova realizzazione.


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Le indicazioni generali di tale atto concernono lo sviluppo dei servizi di raccolta differenziata sino agli obiettivi di piano con eventuali previsioni delle infrastrutture di gestione delle frazioni recuperabili, l'attuazione della raccolta secco-umido a partire da utenze particolari.
In merito all'individuazione degli impianti dell'ambito di Milano, le indicazioni regionali recepiscono la necessità, indicata dalla programmazione provinciale, di integrazione degli impianti di compostaggio della frazione verde, essendo già autorizzati impianti di compostaggio della frazione organica da rifiuti urbani per una potenzialità idonea, a regime, al trattamento della frazione umida proveniente dalle raccolte separate (infatti ipotizzando un tasso massimo tendenziale di raccolta differenziata del 50 per cento, e stimando la presenza di frazione organica nel rifiuto urbano pari a circa il 30-40 per cento in peso, il quantitativo di organico derivato dalle raccolte differenziate risulta coperto dalla potenzialità degli impianti autorizzati per tale frazione, che è appunto superiore alle 900 tonnellate giornaliere).

3.1.9. Provincia di Pavia.

In questa provincia la raccolta differenziata nel 1998 ha riguardato il 14,2 per cento del totale dei rifiuti prodotti (266.568 tonnellate), con un incremento rispetto al 1997 del 38,6 per cento. La frazione umida ha rappresentato il 32,8 per cento della raccolta differenziata, la carta il 28,9 per cento e il vetro del 15,1 per cento. Sono attivi in provincia tre impianti di compostaggio (Corteolona, Ferrera Erbognone e Vidigulfo), con una capacità complessiva di 202 tonnellate al giorno; operano inoltre due discariche (Corteolona e Gambolò), che nel 1998 hanno smaltito 183.382 tonnellate di rifiuti.

3.1.10. Provincia di Sondrio.

La raccolta differenziata in questa provincia ha riguardato il 24,2 per cento del totale dei rifiuti prodotti (62.880 tonnellate), con un incremento del 17 per cento sul 1997. La quota più significativa è stata rappresentata dalla carta (42,2 per cento), mentre il vetro ha fatto segnare un'incidenza del 34,1 per cento e la frazione umida del 10,1 per cento. In provincia è attivo un impianto di compostaggio (Cedrasco), che ha una potenzialità di 50 tonnellate al giorno; è inoltre attiva una discarica (Saleggio di Teglio), che nel 1998 ha smaltito 53.428 tonnellate di rifiuti.

3.1.11. Provincia di Varese.

In quest'area la raccolta differenziata ha raggiunto la quota del 31,3 per cento sul totale dei rifiuti prodotti (352.091 tonnellate al giorno), con un incremento sul 1997 del 25,9 per cento. La frazione umida ha rappresentato il 40,9 per cento della raccolta differenziata,


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la carta il 23,6 per cento e il vetro il 10,2 per cento. Sono attivi in provincia tre impianti di compostaggio (Casteseprio, Besano e Origgio), con una capacità complessiva di 53 tonnellate al giorno; è attiva una discarica (Gorla Maggiore), che nel 1998 ha smaltito 344.923 tonnellate di rifiuti. Opera infine un termodistruttore (Busto Arsizio), che nel 1998 ha trattato 27.515 tonnellate di rifiuti.

3.2. I rifiuti speciali: la situazione.

Per quanto concerne questa tipologia di rifiuti, va segnalato come fino al 30 agosto 1998 sono rimaste attive le gestioni commissariali relative agli interventi diretti a fronteggiare la situazione di Lacchiarella e Dresano. In effetti, dopo quella data, dagli atti in possesso della Commissione, risultano completati gli interventi per fronteggiare la situazione emergenziale.
Secondo il primo rapporto sui rifiuti speciali - presentato nel novembre 1999 dall'Anpa e l'Osservatorio nazionale sui rifiuti - in Lombardia nel corso del 1997 sono state prodotte 11.989.564 tonnellate di rifiuti speciali; di queste, 831.983 tonnellate sono classificate quali 'pericolosì. Per quanto concerne le capacità di smaltimento di questi rifiuti in Lombardia, nel 1997 1.938.357 tonnellate sono state trattate con recupero di materiale; 30.503 tonnellate sono state incenerite; 4.827.962 tonnellate sono state smaltite in discarica; 295.910 tonnellate sono state compostate.

4. La situazione degli impianti.

La Commissione ha visitato - come illustrato in apertura - alcuni siti, ritenuti significativi ai fini di una rappresentazione delle fasi del ciclo delle diverse tipologie di rifiuti.

4.1. L'impianto Cobea per il recupero delle plastiche di Levate (BG).

L'impianto di proprietà della società Cobea Spa opera, ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo n.22 del 1997, nella messa in riserva, nella successiva selezione ed adeguamento volumetrico dei contenitori in plastica per liquidi. La Cobea svolge sin dal 1996 la sua attività in conto lavorazione per il Corepla (ex Replastic), con il quale ha stipulato un apposito contratto. La capacità di lavorazione dei rifiuti in arrivo è stata di 18 mila tonnellate nel 1998 e si avvia ad essere di 19 mila tonnellate per il 1999. I rifiuti sono quelli provenienti dalla raccolta differenziata urbana e consistono in contenitori in PET, PE, PVC, sacchetti di PE ed altre tipologie non riciclabili. I materiali recuperati dalla Cobea sono inviati ad aziende di riciclo indicate dal Corepla. Il costo di selezione dei materiali è di 330 lire al chilogrammo, quello di eventuale trattamento interno (movimentazione ed adeguamento volumetrico) di 60 lire al chilogrammo. L'impianto di selezione delle plastiche ha una potenzialità di 6 tonnellate per ora. Dello schema di flusso fanno parte una fossa


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di carico, un nastro trasportatore, un vaglio rotante, presse per l'imballaggio di sacchetti in polietilene, silos di stoccaggio, tramogge di raccolta dei prodotti selezionati, compattatori e macchinari per la movimentazione. I contenitori in plastica per liquidi sono selezionati in modo semiautomatico per tipologia di colori e di polimero, utilizzando anche manodopera specializzata. I materiali non riciclabili vengono avviati a discarica controllata.
A proposito di questo impianto, va segnalato anche l'interessante sistema di organizzazione del lavoro utilizzato dalla società, che attualmente impiega circa 90 persone in regime di part-time: viene pertanto offerta una possibilità di impiego a soggetti (come studenti universitari o casalinghe) che operano per complessive 12 ore settimanali suddivise su tre turni, sistema compatibile con le altre attività svolte e, al tempo stesso, con un efficace funzionalità dell'impianto. Il turn-over dei dipendenti destinati al nastro e ai macchinari è assai elevato.

4.2. Impianto di incenerimento di rifiuti solidi urbani della Silea.

L'impianto è ubicato a Valmadrera (Lc) ed è gestito dalla società intercomunale lecchese per l'ecologia e l'ambiente (Silea), che attua la gestione integrata dei Rsu per novanta comuni del territorio di Lecco. La Silea cura la raccolta, il trasporto, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani attraverso una serie di aziende di cui detiene quote societarie (Seruso, Seam, Ridam, Acquaria, Il Trasporto, Ecoarma).
Il totale di rifiuti movimentati dall'azienda nel 1998 ammonta a 130 mila tonnellate. I rifiuti inceneriti nel 1998 sono stati in media 214 tonnellate al giorno. L'impianto di incenerimento è dotato di sistemi di combustione, postcombustione ed abbattimento polveri con elettrofiltro. Il management dell'azienda ha riferito che le ceneri della combustione e le polveri dell'elettrofiltro vengono inviate all'Ecodeco per lo smaltimento, previa inertizzazione. Il sistema di gestione integrata realizzato dall'azienda, anche in relazione alle percentuali di raccolta differenziata raggiunte nel 1998 (31,6 per cento), appare di buon livello. Perplessità emergono in merito alla dispersione in atmosfera dei fumi di combustione, data la localizzazione del sito di incenerimento che non è apparso del tutto idoneo (fondovalle, circondato da alte montagne).

4.3. Impianto di selezione del consorzio Milano Pulita (area ex Maserati).

L'impianto di selezione e trattamento aerobico della frazione organica dei rsu è stato realizzato per far fronte alla situazione di emergenza dei rsu della città di Milano nel periodo 1995-1996. In tale periodo, infatti, circa 30 mila tonnellate di rifiuti erano sparse per la città senza alcuna specifica destinazione. L'impianto, che sorge nell'area della ex Maserati di via Rubattino e opererà fino a non oltre il 2001 quando sarà attivato il nuovo inceneritore Amsa di Figino, è


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stato oggetto di vivaci proteste della popolazione della zona, che lamentava una sgradevole presenza di cattivi odori che attiravano mosche ed insetti in quantità anomala. Il problema degli odori è stato risolto dal consorzio attraverso l'installazione di un biofiltro a letto torbiero. Del consorzio Milano Pulita fanno parte la Gesenu, La Maddalena, la Secit, la Daneco gestione impianti. Le 350 tonnellate al giorno di rsu (la potenzialità dell'impianto è di 500 tonnellate al giorno) che vengono consegnate all'impianto dall'Amsa di Milano vengono sottoposte a selezione della frazione secca ed umida.
La frazione umida, a sua volta, viene compostata ed utilizzata per il ripristino ambientale e come ammendante. L'Amsa gestisce, alla fine del ciclo di separazione e compostaggio, i materiali ottenuti.

4.4. Il sito di Ponte Nossa (Bg).

La società Ponte Nossa spa, di cui sono socie, tra gli altri, società dei gruppi Lucchini e Bus, è titolare di un impianto sito nell'omonima località in provincia di Bergamo, in cui viene processata gran parte delle polveri di abbattimento delle acciaierie lombarde (specie quelle della provincia di Brescia) e di altre regioni, tra cui il Veneto. Dal processo è possibile ricavare ossido di zinco grezzo. L'impianto tratta circa 80 mila tonnellate l'anno di polveri e scorie metalliche e, a detta del management dell'azienda, si ha l'intenzione di chiederne l'ampliamento alle autorità regionali al fine di raddoppiarne la capacità, trattando di fatto quasi tutto il quantitativo nazionale di polveri di abbattimento per i fumi di acciaieria. Gravi situazioni di contaminazione del fiume Riso, che scorre di fronte all'ingresso dell'azienda, sono state segnalate dalla popolazione nel recente passato. La produzione di ossido di zinco grezzo consiste in un lavaggio preliminare della carica d'impianto teso ad eliminare la presenza di cloruri e di fluoruri. Al lavaggio segue poi un processo termico (arrostimento), che porta all'ottenimento del materiale grezzo, finora inviato in Sardegna all'Enirisorse di Portovesme per il recupero dello zinco metallico.
La tecnologia utilizzata appare obsoleta e fatiscente e non pochi sono i problemi evidenziati nel corso della visita della Commissione. Il rendimento del processo di ottenimento dell'ossido di zinco grezzo non è molto alto e circa il sessanta per cento della carica d'ingresso diventa scoria da smaltire in discarica controllata interna che, nel corso del sopralluogo, è apparsa mal gestita (assenza di compattamento e di captazione delle acque di dilavamento, trascinamento di materiali al di fuori del manto di impermeabilizzazione, nelle zone a monte e a valle del sito, eccetera) e collocata nell'alveo di un rio, in maniera tale da comportare gravi problemi in caso di eventi alluvionali. Questa discarica - autorizzata per lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi - di fatto accoglie scorie ricche in metalli tossici (cadmio, nichel, piombo, zinco) che non essendo inertizzate potrebbero non rispettare i limiti di cessione previsti dalla normativa, dovendo quindi essere avviate a discariche più idonee. L'impianto di trattamento delle acque di percolazione della discarica e di lavaggio della carica d'impianto è di tipo chimico-fisico: data la


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composizione dei rifiuti, però, non si ritiene che la tecnologia depurativa adottata sia la più idonea. Anche i problemi di igiene e di sicurezza dell'ambiente di lavoro lasciano molto a desiderare data la presenza costante, nell'aria, di aerosol di polveri di calce. Non è parso alla Commissione che il controllo da parte dell'autorità preposta sia efficace.

4.5. Il sito della ex Raffineria Agip di Rho (Mi).

4.5.1. La storia del sito.
L'attività di raffinazione del grezzo, iniziata negli anni cinquanta in un'area estesa per 130 ettari, tra i territori dei comuni di Rho e di Pero, a nord est del comune di Milano, cessa nel 1992. Le operazioni di bonifica degli impianti hanno inizio nel 1993 e, dopo una serie di ispezioni e di indagini sulla falda sotto il controllo delle autorità preposte alla tutela ambientale, l'acquifero superficiale viene messo in sicurezza tramite la realizzazione di barriere di intercettazione e di pozzi di emungimento. In considerazione delle diverse caratteristiche idrogeologiche e di contaminazione dell'area, questa viene divisa in tre settori omogenei su cui effettuare in tempi successivi le operazioni di bonifica. Nel 1994 si realizza un accordo tra l'azienda, gli enti locali e l'ente fiera per la riqualificazione del sito e l'utilizzazione dello stesso quale polo esterno della fiera di Rho-Pero. Un apposito gruppo di lavoro coordinato dalla provincia di Milano, e di cui fanno parte l'azienda, la regione, la provincia ed i comuni di Rho e di Pero, predispone un progetto globale di bonifica, dopo aver effettuato uno studio di caratterizzazione chimica ed idrogeologica del sottosuolo. Nel 1998 viene affidata alla Foster Wheeler Enviromental Italia la progettazione dei sistemi di bonifica ed ha inizio l'attività di bonifica subito dopo l'approvazione del progetto da parte delle autorità di controllo. La demolizione degli impianti viene condotta nel periodo 1998-1999 dalla società Montalbetti. Nel 1999, infine, il progetto di bonifica interagisce con il tracciato della linea ferroviaria ad alta velocità: le operazioni di bonifica, secondo i programmi concordati con le autorità, dovranno completarsi entro il 2006 con un costo complessivo di 200 miliardi.

4.5.2. Le operazioni di smantellamento e di bonifica.

Lo smantellamento delle apparecchiature e degli impianti era in fase di piena realizzazione da parte della Montalbetti durante il sopralluogo della Commissione. Lo smantellamento e la decoibentazione delle strutture contenenti amianto è curato dal consorzio Ciessea secondo un piano che è apparso ben dettagliato.
Il management aziendale ha provveduto ad illustrare, per grandi linee, le operazioni di bonifica del sito, precedute da tests di estrazione di vapori dal suolo in diversi punti dell'area, al fine di ottenere informazioni sulle metodologie di bonifica da adottare. Nella zona vadosa verranno utilizzati il soil vapor extraction (seguito da un


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processo di ossidazione termica dei vapori costituti da solventi organici volatili) ed il bioventing. Il terreno superficiale, eventualmente contaminato, verrà sottoposto invece a trattamento di landfarming o a trattamento in biopile. Per la zona di transizione della falda freatica è prevista un'estrazione integrata multifase. Infine, per l'acquifero freatico verranno utilizzate principalmente le tecnologie di air sparging, di pump and treat e di recupero del prodotto in libero galleggiamento sulla falda (floating). Sono state già realizzate sette stazioni di aspirazione-compressione asservite a 27 pozzi di bonifica per attività di soil vapor extraction e bioventing, due stazioni di compressione asservite a 56 pozzi per attività di air sparging, un impianto di ossidazione dei solventi organici volatili ed una rete di monitoraggio dei sistemi di bonifica.
L'illustrazione delle modalità di bonifica non ha del tutto convinto i componenti della Commissione, e numerosi dubbi sono sorti a proposito dei sistemi di landfarming (i tempi di biodegradazione ipotizzati appaiono infatti troppo ottimistici) e di bioventing che, a detta del rappresentante della Foster Wheeler sarebbero in grado di eliminare dal sottosuolo anche i prodotti pesanti: i riscontri reperibili in letteratura non appaiono, infatti, in linea con quanto affermato.

4.6. Gli impianti della Ecodeco.

Le attività dell'Ecodeco sono polifunzionali e si articolano principalmente attraverso i seguenti moduli operativi: Ecolombardia 18 (impianto di inertizzazione e di discarica controllata), Ecolombardia 4 (termodistruzione), Fertilvita (recupero di biomasse provenienti da fanghi di depurazione civile e di residui agroalimentari, ed utilizzo per uso agricolo), siti di discarica (Bergamo, Comacchio, Pontirolo, Cavriana), centri di stoccaggio provvisorio (Robassomero, Novedrate) ed un impianto di bioessiccazione dei rifiuti urbani a Corteolona (PV). Completano la struttura modulare un laboratorio di analisi (Sistema Ambiente) e una serie di mezzi utilizzati per il recupero degli oli, per la decontaminazione dei trasformatori contenenti PCB e per la bonifica dei siti contaminati. La quantità annua di rifiuti smaltiti o recuperati dalla Ecodeco ammonta a circa 900 mila tonnellate. Durante il sopralluogo della Commissione si è presa visione dell'impianto di biocubi di Giussago e si sono approfonditi con i tecnici dell'azienda alcuni aspetti relativi all'inertizzazione, da parte dell'Ecodeco, dei residui derivanti dal recupero delle batterie al piombo effettuato dalla Enirisorse di Paderno Dugnano.

4.6.1. Gli impianti di produzione dei biocubi.

Gli impianti di Giussago e di Corteolona trattano rifiuti solidi urbani per un totale corrispondente a 400 mila abitanti equivalenti. Il rifiuto urbano tal quale, in arrivo all'impianto, viene triturato, omogeneizzato e sottoposto ad una fase di fermentazione nel corso della quale i vapori organici, misti a vapor d'acqua, sono convogliati


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ad un biofiltro costituito da un letto di torba. Il materiale viene quindi pressato in cubi e può essere avviato in discarica controllata o ad una centrale termica come rdf. La tecnologia d'impianto si ispira al decreto ministeriale 8 agosto 1994, n.438, ormai superato dalla nuova disciplina sulla gestione dei rifiuti. Non ha più senso infatti inviare a smaltimento un rifiuto che, pur se stabilizzato, ha un contenuto residuo di materiale organico che non è più possibile smaltire in discarica a partire dal primo gennaio 2000. L'alternativa di bruciare il materiale in impianti di combustione meno costosi, rispetto ad un normale inceneritore lascia inoltre perplessi dato il suo contenuto di metalli i cui ossidi volatili si troveranno nei fumi di emissione, con pregiudizio per la qualità dell'aria.

4.6.2. L'impianto di inertizzazione.

L'azienda possiede un impianto fisso di inertizzazione e strutture mobili (tipo betoniere), con le quali realizza in campo la stabilizzazione di materiali semiliquidi o solidi ad alta cessione di inquinanti. Ha lasciato molti dubbi, nel corso della visita della Commissione, la spiegazione fornita dal responsabile tecnico dell'azienda circa il ricorso generalizzato al cemento quale chemical di inertizzazione di ogni sorta di rifiuti industriali di matrice, sia organica (idrocarburi, oli, solventi) che inorganica (miscele di sali e composti metallici). Tale inertizzazione, infatti, se applicata a residui idrocarburici (che notoriamente non reagiscono chimicamente con la miscela cementizia) dovrebbe prevedere, se mai, un trattamento preventivo del rifiuto con ossidanti forti e quindi con costi di trattamento assai più alti di quelli praticati sul mercato. Inoltre, è noto dalla letteratura specializzata che la presenza di sostanze organiche nel rifiuto da inertizzare ostacola la presa del cemento e può anzi provocare contaminazione dell'ambiente, in quanto tali sostanze, data la temperatura del mezzo di trattamento, evaporano. La Commissione ha verificato che l'applicazione di tale trattamento a miscele di ebanite contenenti piombo ottenute dalle batterie esauste della Enirisorse di Paderno Dugnano si è rivelata assai negativa in termini di test di cessione e conseguente smaltimento in discariche non idonee ad accogliere un materiale con cessioni di piombo oltre il limite di legge. In conclusione, i trattamenti di inertizzazione praticati dall'azienda non appaiono sufficientemente validi da un punto di vista tecnico.

4.7. L'inceneritore della BASF.

La Basf di Caronno Pertusella (Va) è un'azienda che produce vernici ed inchiostri offset per libri d'arte. L'area di produzione e le strutture accessorie si estendono su una superficie di quattro ettari. Nel settore nord-ovest è presente un'area di stoccaggio di rifiuti in cui è anche installato un impianto di termodistruzione progettato nel 1991, di tipo modulare, in grado di bruciare nel tempo non solo effluenti gassosi ma anche liquidi. L'azienda si avvale per la gestione dell'impianto di due decreti di VIA (rispettivamente del 1995 e del


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1996) e del decreto della giunta regionale n.VI/25540 del 28 febbraio 1997. L'impianto è ben realizzato e rispetta anche le norme di sicurezza. La capacità nominale di combustione è di mille tonnellate anno di acque contaminate e di 250 tonnellate anno di solventi. L'impianto è dotato di camera di combustione e di post-combustione e di un sistema di filtraggio delle emissioni, prima del loro rilascio in atmosfera.

4.8. L'impianto pilota Pirelli per la produzione e la commercializzazione del CDR.

La Pirelli Ambiente del Gruppo Pirelli ha brevettato un impianto pilota per la produzione di energia dalla combustione del Cdr (combustibile derivato dai rifiuti).Il progetto consta di due fasi distinte, la prima è quella del trattamento a freddo dei rifiuti per ottenere il Cdr, la seconda consiste nella combustione del Cdr nelle centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica. Il Cdr è ottenuto da un mix di RSU tal quali (500 tonnellate al giorno), di plastica (50 tonnellate al giorno) e di pneumatici usati (60 tonnellate al giorno). La produzione del Cdr (312 tonnellate al giorno) comporta anche il recupero di 20,5 tonnellate al giorno di metalli, di 215 tonnellate al giorno di frazione organica umida e di 35,5 tonnellate al giorno di scarti da avviare in discarica. Le prove sperimentali d'impianto effettuate in una campagna del 1997 da parte dell'Enea mostrano che la combustione del Cdr è in grado di assicurare il rispetto dei limiti stringenti della normativa sulle emissioni in atmosfera e che il rendimento termico è del tutto simile a quello del carbone utilizzato attualmente dall'Enel in termini di potere calorifico. Vi sono inoltre vantaggi, rispetto al carbone tradizionale di una migliore qualità delle emissioni e di un costo di mercato del combustibile competitivo.

4.9. L'impianto di stoccaggio della ditta Ghiraf di Annicco (CR).

Nell'impianto della società Ghiraf di Annicco (CR) vengono stoccati rifiuti denominati «scorie saline di seconda fusione» e «polveri e particolato» che ai sensi del decreto legislativo n.22 del 1997 sono codificati rispettivamente con codice CER 100308 (rifiuti speciali pericolosi) e codice CER 100312 (rifiuti speciali non pericolosi). Lo stoccaggio di tali materiali è propedeutico al recupero di cloruro di sodio e di ossido di alluminio (dalle scorie saline di seconda fusione) che verrà realizzato tra non molto tempo. Le operazioni che verranno effettuate - la macinazione del materiale tramite mulini, la dissoluzione e il conseguente trattamento chimico - non essendo disponibili le necessarie autorizzazioni in materia di rumore e di emissioni gassose, potranno costituire, all'avviamento dell'impianto di recupero, gravi rischi per le popolazioni esposte, le cui abitazioni sono in prossimità dell'impianto stesso. Non è risultato nemmeno chiara alla Commissione la destinazione finale degli scarti di lavorazione. Si ritiene che tale azienda abbia tutte le caratteristiche


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che permettono di classificarla come «Industria insalubre di prima classe» e che quindi le attività di recupero in fase di avviamento potrebbero essere non compatibili con l'attuale localizzazione del sito.

4.10. L'impianto di compostaggio di San Rocco al Porto (Lo).

L'impianto sorge su un'area di proprietà della società Biogeco ed opera in regime di concessione data dal comune di San Rocco al Porto(11). La prima delibera della regione Lombardia (n.68461 del 18 maggio 1995) autorizzava per due anni il comune di San Rocco, in via sperimentale, alla realizzazione di un impianto di stoccaggio e compostaggio degli scarti vegetali provenienti dalla manutenzione del verde pubblico o privato su area Biogeco e per un totale da trattare di 6000 tonnellate all'anno. Successivamente, con delibera del 21 maggio 1997 n.294, la provincia di Lodi rinnovava l'autorizzazione dell'impianto aumentando nel contempo la capacità di trattamento a 10.000 tonnellate per anno e comprendendovi (a seguito anche degli sviluppi normativi derivanti dal decreto legislativo n.22 del 1997) l'autorizzazione al trattamento della frazione umida organica dei Rsu da raccolta differenziata per 1000 tonnellate per anno. Successive ordinanze del 5 novembre 1997 e del 2 ottobre 1998 facevano aumentare le quantità da trattare di 2500 tonnellate per anno, includendo tra le tipologie di rifiuti da conferire gli scarti alimentari collettivi domestici e da mercatali. L'ultima autorizzazione, del 27 novembre 1998 n.377, ha mantenuto tutte le precedenti prescrizioni fino al 31 maggio 2000. L'impianto è costituito da una serie di apparecchiature di vagliatura, di aspirazione (leggera depressione) degli odori e successivo trattamento di scrubbing. Le eventuali plastiche presenti nel materiale in ingresso vengono aspirate per differenza di peso specifico in un collettore anch'esso in leggera depressione. Con determinazione n.115 del 24 marzo 1999 la provincia di Lodi, ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo n.22 del 1997 e degli articoli 9 e 10 della legge regionale n.94 del 1980, ha diffidato il comune di San Rocco ad adeguarsi entro 45 giorni dalla data di notifica alle norme tecniche di cui al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998. Oggi l'impianto non è ancora adempiente ai requisiti del decreto presidenziale n.203 del 1988 in tema di emissioni atmosferiche ed è in attesa di specifica autorizzazione.

(11) Si osservi che i titolari sono persone note all'autorità giudiziaria per una serie di precedenti penali relativi sia a reati contro il patrimonio che contro l'ambiente. La Commissione sul luogo ha dovuto constatare anche l'approssimativa applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro.

4.11. Il caso di radiocontaminazione dello stabilimento Alfa Acciai spa di Brescia.

Molta preoccupazione aveva destato nell'opinione pubblica la notizia che, nel maggio 1997, l'azienda Alfa Acciai spa aveva subito


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un episodio di inquinamento radioattivo da cesio 137 e dal cobalto 50.
Si saprà più tardi che, nonostante la radiocontaminazione avesse interessato più reparti di produzione, la maggiore radioattività era stata rilevata prevalentemente in due linee di processo dell'impianto di fusione dei rottami ferrosi.
Le circostanze delle modalità di rinvenimento della presenza di radioattività nell'azienda, aveva suscitato un notevole interesse dei componenti la Commissione, i quali memori di altri episodi di radiocontaminazione verificatisi nei primi anni 90 nelle provincie di Brescia e di Varese in stabilimenti di lavorazione di rottami di alluminio, hanno ritenuto di dover effettuare un sopralluogo nello stabilimento dell'azienda Alfa Acciai spa per apprendere direttamente dal management i particolari dell'episodio ed i successivi accorgimenti tecnici messi in atto per scongiurare il verificarsi di fatti analoghi.
Dai colloqui è emerso che la radiocontaminazione era stata individuata perché la ditta Ponterosso spa della provincia di Bergamo, alla quale l'azienda Alfa Acciai aveva inviato un carico di polveri pellettizzate, aveva effettuato, sull'autocarro in ingresso, un monitoraggio radiometrico della merce, rilevando la presenza di radioattività. L'autocarro e la merce furono respinti e rimandati alla società Alfa Acciai.
Fu così appurato che all'interno dello stabilimento vi erano almeno due zone dove si evidenziava una radiocontaminazione con valori piuttosto significativi. Ulteriori indagini radiometriche all'interno dello stabilimento, hanno evidenziato che la radiocontaminazione era scaturita dalla fusione di due sorgenti, una di cesio 137 e l'altra di cobalto 60, che erano entrate in fabbrica nascoste in un carico di rottami me-tallici.
Le zone dove si riscontrava la maggiore radioattività erano l'impianto di depurazione fumi (cesio 137), alcune cataste di acciaio e le polveri pellettizzate (cobalto 60). Una vasta attività di controllo all'esterno dell'azienda ha consentito di appurare che l'impianto filtrante ad alta efficienza non aveva permesso la fuoriuscita di radioattività nell'ambiente. Stime di dose agli operatori dell'intero ciclo produttivo hanno dato valori di irradiazione esterna molto bassi e variabili tra un microsievert ed alcune decine di microsievert, con eccezione di due situazioni lavorative in cui i valori stimati erano dell'ordine dei 100 microsievert. La dose complessiva assorbita dalla popolazione è stata stimata essere molto al di sotto dei valori limite previsti, per individui per anno, dalla normativa vigente.
La regione Lombardia, tempestivamente informata dall'azienda e dall'autorità sanitaria di zona, forte dell'esperienza maturata in conseguenza di episodi analoghi, ha subito organizzato un gruppo di lavoro per la gestione dell'evento. Il gruppo di lavoro ha immediatamente

5. Le attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

Nella regione Lombardia numerosi impianti di smaltimento o gestione di rifiuti hanno attirato l'attenzione degli organi di polizia


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giudiziaria e, di conseguenza, della magistratura. L'attività principale degli inquirenti sembra essere stata rivolta, contrariamente a quanto avvenuto in altre regioni(12), più al controllo di impianti che sembravano apparentemente leciti che non a mere discariche abusive. Tuttavia, per comprendere appieno la situazione giudiziaria relativa all'applicazione delle sanzioni penali previste nel «decreto Ronchi» e le eventuali incongruenze delle fattispecie, occorre premettere che i dati in possesso della Commissione sono incompleti, atteso che non tutti gli uffici giudiziari interessati hanno fornito dati idonei a una conoscenza approfondita(13).

(12) V. a esempio le relazioni di cui ai Documenti xxiii, nn. 12, 16, 23 e 35.
(13) A oggi la Commissione ha avuto notizia di 521 procedimenti penali pendenti presso le procure lombarde che hanno trasmesso dati, esclusa Milano, per violazioni del decreto legislativo n.22 del 1997. Spicca il dato della procura di Bergamo, che ha segnalato più di 200 procedimenti aperti. I magistrati, cui la Commissione ha richiesto informazioni, hanno tuttavia precisato che in nessun caso si tratta di fatti che destano allarme particolare o preoccupazione per l'infiltrazione del crimine organizzato.
A tali procedimenti devono essere aggiunti i 17 pendenti presso la procura del capoluogo, quasi tutti per i reati previsti e puniti all'articolo 51 del decreto legislativo n.22 del 1997. Si tratta di fatti di gestione non autorizzata di discariche e siti di rottamazione, talora commessi anche attraverso condotte di falso e violazione di sigilli.

5.1. I traffici illeciti «in partenza» dalla Lombardia.

Vale la pena innanzitutto ricordare quanto affermato nel Doc. xxiii, n.16 sul Lazio, relativamente alle indagini concernenti i ritrovamenti di capannoni industriali dismessi colmi di rifiuti provenienti da regioni del Nord.
Da un prima inchiesta era emerso L'azienda municipalizzata di Milano non smaltiva direttamente nel Lazio, atteso il divieto d'esportazione portato dalla legge regionale: la stessa, con una serie di appalti a società commerciali incaricava le stesse di provvedere ad una cernita dei rifiuti tra secchi e umidi. Tutti i rifiuti erano, quindi, inviati qui per il trattamento e per la cernita nel Lazio; una volta entrati in regione il rifiuto acquistava nuova «cittadinanza» e di conseguenza doveva essere smaltito come rifiuto del Lazio. Va altresì rilevato come tale attività illecita pare non essersi arrestata anche se, a differenza di prima, i rifiuti non vengono più portati fuori regione, ma stoccati direttamente in capannoni lombardi. Le indagini a questo proposito sono appena state avviate dalle procure interessate, tuttavia il ritrovamento di diverse aree utilizzate a questo scopo fa ritenere che sia tuttora viva quella che la Commissione ebbe già a definire «truffa del riciclaggio fantasma».
Nella stessa relazione sul Lazio si osserva ancora come la provincia di Frosinone sembra essere divenuta nel corso degli anni uno dei centri nodali degli smaltimenti illeciti di rifiuti, come testimonia il fatto che indagini avviate in quest'area si siano in un


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secondo momento intrecciate con quelle condotte dalla Guardia di finanza di Pavia, relative al rinvenimento di 81.000 tonnellate di rifiuti, di natura prevalentemente pericolosa, provenienti dal settentrione e dall'estero, che venivano stoccati abusivamente tra Lazio e Lombardia(14).

(14) V. il Doc. xxiii, n.16 sul Lazio, pag. 18.

Altri episodi connessi alla gestione illecita di rifiuti lombardi, stavolta di natura industriale, riguardano nuovamente il Lazio e l'Abruzzo. Nelle campagne nei pressi di Pontecorvo (Fr) sono stati rinvenuti big-bags contenenti schiumature d'alluminio provenienti da aziende della provincia di Brescia e lì smaltiti abusivamente. Di maggiore rilevanza l'indagine legata a un centro di smaltimento illecito a Tollo (Ch): anche in questo caso è stata accertata la provenienza dei rifiuti (residui di lavorazione dell'alluminio), tra l'altro, anche dalla Lombardia. In particolare l'indagine ha portato ad accertare l'esistenza di società commerciali che in pratica "acquistano" il rifiuto dal produttore, garantendone il conforme smaltimento. Nella realtà tali società consegnano i rifiuti a soggetti che ne 'curanò l'illecito smaltimento. Si tratta peraltro di inchieste che alla fine sono risultate intersecarsi tra loro, confluendo in una più ampia indagine condotta a livello dal Nucleo operativo ecologico dell'Arma dei carabinieri, che ha portato alla scoperta di un vasto giro di società e di soggetti (in buona parte legati alla criminalità organizzata casertana) che - dopo avere acquisito i rifiuti industriali del nord, e quindi anche lombardi - operava gli smaltimenti illeciti in diverse aree del Paese (Campania, Lazio e Abruzzo in particolare).
Più in generale, il procuratore della Repubblica di Napoli ha affermato, in riferimento al traffico di rifiuti gestito dalla criminalità organizzata con direzione le regioni del sud Italia: «Evidentemente, in loco non vi sono discariche abusive. Le provincie dalle quali provengono i rifiuti sono essenzialmente del Piemonte, Lombardia, Liguria, se non sbaglio, del Veneto (qualche ditta è di Reggio Emilia); i rifiuti, quindi, affluiscono anche nel Lazio ma soprattutto nel sud»(15).

(15) V. l'audizione di Agostino Cordova, procuratore distrettuale di Napoli, il 12 febbraio 1998.

Rinviando a un successivo paragrafo della relazione un giudizio sui fenomeni illeciti riscontrati, appare ora opportuno dare conto di altre indagini che - ad avviso della Commissione - sono idonee a specificare il quadro d'insieme innanzi tracciato.

5.2. Alcuni particolari procedimenti.

Una sia pur breve notazione meritano alcuni procedimenti in particolare, per i quali occorre premettere che gli stessi sono ancora in fase di indagine preliminare ed assumono, ad avviso della Commissione, rilievo nell'ottica della presente relazione, perché indicativi di un «modus operandi» generalizzato o coinvolgente altre regioni della penisola; ovvero sembrano indicativi delle ripercussioni



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ulteriori che alcuni episodi di gestione illecite delle discariche sembrano celare.
Ci si riferisce, in particolare, all'indagine condotta dal sostituto procuratore della Repubblica di Monza, Luciano Padula, e relativa allo smaltimento di un mix di ebanite e a quella condotta dal sostituto procuratore di Milano, Margherita Taddei e relativa, fra l'altro, a possibili ipotesi di truffa in danno di enti pubblici.

5.2.1. L'indagine di Monza.

L'indagine avviata dalla procura di Monza ha portato al sequestro di circa 120 mila metri cubi di rifiuti pericolosi, in relazione alle attività di una società - la Ecobat - che assorbe circa il 60 per cento del mercato nazionale relativo al trattamento di batterie esauste e a quelle dell'Enirisorse, azienda del gruppo Eni. Dell'indagine ha riferito alla Commissione il magistrato inquirente, Luciano Padula(16), affermando che «l'ipotesi accusatoria è che l'Enirisorse [abbia] ceduto l'attività a due ditte, per i metalli piombosi alla Ecobat, per quelli non piombosi alla City Industrie. Questi subingressi sarebbero avvenuti per la Ecobat nel marzo 1996 e per la City Industrie nell'agosto 1996; tuttavia, la volturazione dell'annesso atto autorizzatorio per la Ecobat è intervenuta soltanto nell'ottobre 1997; per la City Industrie non è mai avvenuta [...]. Ovviamente l'Enirisorse, stante la dismissione dell'attività, si è trovata a gestire enormi quantitativi di sostanze senza preoccuparsi [...] di smaltirli nel rispetto della normativa vigente. Avrebbe trovato degli escamotages per disfarsi di questo rifiuto nel senso stretto del termine ed ottenere questo risultato con il massimo risparmio di spesa. In particolare, avrebbe interessato la Ecodeco su Pavia e la ditta Lombardo su Marcianise (Ce) per effettuare una miscelazione di questo rifiuto [...]. Si è trattato di una illecita miscelazione perché non è stata richiesta alcuna autorizzazione [...]. Peraltro, i successivi accertamenti hanno evidenziato che vi erano anche percorsi diversi. Enirisorse ne avrebbe attivato uno anche in Calabria, avrebbe devoluto una parte di questa sostanza presso la ditta Meca di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica addirittura di categoria 1A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili». Va peraltro evidenziato che la destinazione di questa miscela di ebanite da parte dell'Enirisorse in territorio campano configura anche la violazione della legge regionale che prevede il divieto di importazione di rifiuti da altre regioni.

(16) V. il resoconto stenografico dell'audizione in prefettura a Milano e quella della seduta del 2 luglio 1998. Cfr. anche gli atti acquisiti dalla Commissione.

Il magistrato ha riferito delle difficoltà emerse nel corso dell'indagine stesse e della sue complessità e la Commissione ha dedicato al procedimento una particolare attenzione, anche mediante acquisizione diretta di atti attraverso una missione in loco dei propri consulenti. Appare infatti chiaro come una politica industriale non conforme ai principi di tutela dell'ambiente e conservazione delle risorse - talvolta anche da parte di imprese di rilevanza nazionale


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- possa condurre a distorsioni ed a danni ambientali di rilevante quantità, senza considerare, per il momento, le ipotesi di collegamento, pur sospettate, con la criminalità organizzata dell'Italia meridionale. Ipotesi peraltro tuttora al vaglio della stessa autorità giudiziaria.
In questa sede, avendo già la Commissione riferito dell'indagine nella relazione generale alle Camere(17), occorre mettere in rilievo come una classificazione non sufficientemente puntuale dei rifiuti abbia consentito ad alcune società di procedere ad operazioni di stoccaggio provvisorio o smaltimento, in contrasto sostanziale con le esigenze di tutela dell'ambiente.

(17) V. il Doc. xxiii, n. 35, pag. 36.

Emerge dall'indagine, infatti, una difficoltà di classificazione, rispetto alla quale vi sono già stati provvedimenti intraprocessuali, del «mix di ebanite» contenente un residuo di piombo superiore a quello tollerato dalle tabelle allegate al decreto legislativo n.22 del 1997. Nella discarica di Paderno Dugnano ed in quelle collegate di Marcianise, Crotone e Lamezia Terme, sono stati rinvenuti anche altri tipi rifiuti, ma la parte basilare dell'indagine ruota intorno al mix di ebanite, evidenziando quindi il problema di stabilire se tale rifiuto sia o meno pericoloso. Ed invero, sebbene l'ipotesi contestata prevede come reato anche lo smaltimento e lo stoccaggio illecito dei rifiuti non pericolosi, vi sono varie altre attività criminose, tra cui la miscelazione, punite solo nel caso in cui riguardino rifiuti pericolosi. Il problema nasce dal fatto che nell'elenco allegato al «decreto Ronchi» non è contenuta la dizione «mix di ebanite»; da qui lo sforzo interpretativo volto a dimostrare che si tratta di un rifiuto pericoloso per le sue caratteristiche intrinseche di elevata tossicità.
Qualora il mix di ebanite fosse classificato nel modo prospettato dall'accusa, ci si troverebbe in presenza di un'illecita miscelazione, non essendo stata chiesta alcuna autorizzazione, in quanto l'articolo 5 del decreto legislativo n.22 del 1997 punisce anche chi effettua attività non consentita di miscelazione limitatamente ai rifiuti pericolosi. Sarebbe stato miscelato questo mix di ebanite, acqua, cemento ed altre sostanze fluidificanti, in modo da ridurne i livelli di tossicità e rendere quindi il rifiuto compatibile con le discariche di categoria inferiore.
Peraltro i successivi accertamenti hanno evidenziato che vi erano anche percorsi diversi da quelli di Marcianise e di Paderno Dugnano. Ad esempio, l'Enirisorse ne avrebbe attivato uno anche in Calabria, devolvendo una parte di questa sostanza presso la ditta MECA di Lamezia Terme, la quale, a seguito di un trattamento, che comunque è oggetto di accertamenti e di verifiche, avrebbe conferito il residuo in una discarica questa volta addirittura di categoria 1A, ossia destinata ai rifiuti urbani e assimilabili. In questo caso, il livello di dispregio della legge è accentuato perché se la discarica di tipo 2B può essere entro certi limiti compatibile con un rifiuto tossico-nocivo, certamente non lo può essere una discarica di tipo 1A.


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5.2.2. L'inchiesta connessa alla costruzione e gestione della discarica di Cerro Maggiore.

Riprendere in questa sede quanto già detto dalla commissione monocamerale relativamente alla discarica di Cerro Maggiore e quanto emergente dalle numerosi indagini collegate al momento emergenziale della provincia di Milano, non appare opportuno, attesa la storicità degli eventi; qui occorre, invece riferire, di un'indagine relativamente giovane e connessa alla costruzione e gestione della predetta discarica. La fase del procedimento ed i reati ipotizzati dall'accusa impongono la massima cautela ed inducono a riferire unicamente di quella che sembra l'ipotesi accusatoria più strettamente collegata alla gestione dei RSU.
Si tratta del reato contestato al capo c) del decreto di sequestro preventivo emesso dalla procura della Repubblica di Milano in data 15 ottobre 1998, relativo a una truffa continuata per il conseguimento di pubbliche erogazioni (articolo 640bis codice penale), contestata a più imputati nella qualità di amministratori e componenti del collegio sindacale della SIMEC s.p.a. Costoro avrebbero - con il raggiro di esporre nei bilanci ricavi indebitamente percepiti con aumenti ingiustificati della tariffa di conferimenti RSU e nei piani finanziari prodotti dalla regione Lombardia costi di gestione indebitamente calcolati in eccesso - indotto in errore l'ente pubblico sulla determinazione del prezzo di tariffa da corrispondere per il servizio di conferimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili nella discarica di Cerro Maggiore e per i contributi ai comuni di Cerro Maggiore e Rescaldina e alla provincia di Milano. Si sarebbero pertanto dal 1990 in poi procurati l'ingiusto profitto determinato dalla tariffa calcolata in eccesso e dagli indebiti aumenti tariffari conseguiti, in danno della regione Lombardia e dell'AMSA.

6. Le imprese di settore e l'associazionismo ambientalista.

L'assessore regionale all'ambiente ha comunicato alla Commissione l'elenco delle imprese autorizzate all'esercizio dei servizi legati al ciclo dei rifiuti. Si tratta di diverse centinaia di soggetti (tra cui molte piccole e medie imprese), sui quali appare congrua l'attività di censimento e controllo degli enti territoriali.
Dalle audizioni dei rappresentanti del mondo imprenditoriale lombardo è emerso che in quest'ambito vi è una sensibilità ambientale discreta e che vi è la percezione delle possibilità di sviluppo economico e occupazionale che la gestione del ciclo dei rifiuti può offrire. In tal senso è stato tuttavia espresso da parte degli imprenditori l'auspicio del completamento della normativa secondaria derivante dal «decreto Ronchi», una migliore definizione normativa di rifiuto nelle sue diverse tipologie e una particolare attenzione dell'autorità di governo al problema delle bonifiche.
Come accennato in apertura, la Commissione ha ascoltato esponenti di Italia Nostra, della Legmabiente, del Wwf e di Ambiente e/è vita. Tutte queste associazioni sono presenti sul territorio e mostrano di essere osservatori attenti e qualificati, anche se - come è naturale - esprimono pareri e priorità diverse.


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Tutte sostanzialmente concordano sul giudizio complessivamente positivo sull'andamento della raccolta differenziata nella regione, ma denunciano carenze di impiantistica e di gestione dei rifiuti speciali.

7. Conclusioni.

La regione Lombardia presenta una situazione sostanzialmente normale e conforme alla legislazione vigente. La gestione del ciclo può contare su politiche assai accorte, sia a livello regionale che provinciale e comunale.
La burocrazia e gli uffici tecnici appaiono sostanzialmente ben attrezzati a fronteggiare il fenomeno.
Alla Commissione preme tuttavia sottolineare che è necessaria una strenua difesa dei risultati conseguiti e un forte impulso per il loro miglioramento, giacché saggezza amministrativa e sensibilità civica sono elementi che - se non adeguatamente sostenuti - possono svanire rapidamente in favore di pratiche opache e di appetiti privati sempre presenti e insidiosi.
La situazione degli illeciti non sembra destare preoccupazioni gravi, anche se talune realtà - come quelle illustrate - meritano la massima attenzione dell'autorità giudiziaria. In sede di conclusione va nuovamente evidenziato come tuttavia preoccupi il ruolo della Lombardia quale mittente' dei rifiuti, smaltiti illecitamente in altre regioni. Va quindi sottolineato come anche la regione deve adoperarsi al più presto per rendere effettiva ed efficace l'attività dell'Arpa, i cui controlli contribuiranno senz'altro a tenere sotto controllo la gestione dei rifiuti, e quindi il loro invio dalla Lombardia verso altre regioni, fenomeno rilevante dovuto allo squilibrio tra la densità industriale della regione e la sua dotazione impiantistica.