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PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 7 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 472 ed abbinate sezione 10).
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente...
PRESIDENTE. Dopo i pareri, onorevole Polledri...
Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
ANDREA LULLI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione formula un invito al ritiro degli emendamenti Raisi 7.1, Didonè 7.21, Polledri 7.22, Zanella 7.23 e Quartiani 7.20, altrimenti il parere è contrario.
PRESIDENTE. Il Governo?
ROBERTO COTA, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Il Governo esprime parere conforme a quello del relatore sull'emendamento Raisi 7.1, mentre si rimette all'Assemblea sull'emendamento Didonè 7.21 perché si rende conto che il provvedimento in oggetto, anche alla luce del dibattito generale tenutosi giovedì, ha anche lo scopo di dare un segnale politico forte nei confronti dell'Unione europea, a tutt'oggi inadempiente sull'etichettatura dei prodotti.
Sull'emendamento Polledri 7.22 il Governo esprime parere favorevole, come credo anche il relatore, e concorda con il parere espresso dal relatore sugli emendamenti Zanella 7.23 e Quartiani 7.20.
ANDREA LULLI, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA LULLI, Relatore. Per quanto riguarda l'emendamento Polledri 7.22, la Commissione esprime parere favorevole anziché chiederne il ritiro, come erroneamente detto in precedenza per un errore di lettura.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, chiedo di parlare sul complesso degli emendamenti.
PRESIDENTE. Onorevole Polledri, in questa fase non è possibile intervenire sul complesso degli emendamenti.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Raisi 7.1.
Onorevole Polledri, se lo ritiene, può parlare per dichiarazione di voto su tale emendamento.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, la ringrazio, ma avevo chiesto tempestivamente di intervenire sul complesso degli emendamenti, prima dell'espressione dei pareri.
Mi ricollego alle osservazioni formulate dal collega Cola, il quale si riferiva ad un caso relativo all'etichettatura dei prodotti. Stiamo parlando dell'etichettatura dei prodotti esteri che giungono nel nostro paese, vale a dire di un problema fortemente sentito da tutte le categorie del made in Italy, ma ci viene detto che in questa materia vi è la competenza dell'Europa. È vero, ed è anche vero che spesso è l'Europa ad indurre gli Stati membri ad essere inadempienti. In questo caso, ritengo che il Parlamento possa ribaltare la situazione e dire: cara Europa che dovevi tutelare i nostri prodotti e i nostri consumatori, perché non hai ancora stabilito le linee guida dell'etichettatura dei prodotti di cui devono disporre i nostri consumatori? Infatti, questo è il nodo, onorevoli colleghi. Una volta tanto che dobbiamo difendere i nostri prodotti e che l'Europa dovrebbe fornire indicazioni chiare sui prodotti che finiscono nelle mense dei nostri figli e nelle nostre case, l'Europa è inadempiente. Non possiamo fare nulla di fronte a ciò?
Ci viene detto dall'Europa che non possiamo più realizzare determinati prodotti, perché tuteliamo la DOP e proteggiamo una serie di produzioni. Non possiamo più produrre il formaggio di fossa, dobbiamo tutelare i nostri vini e i consumatori e, se arriva un prodotto dalla Cina con l'indicazione «italian style», non possiamo dire nulla e le nostre aziende sono costrette a chiudere. Ciò accade perché l'Europa non si adegua, in quanto è probabilmente impegnata da qualche altra parte. Se arriva il concentrato di pomodoro
cinese, dentro al quale c'è di tutto, può entrare tranquillamente; ma poi i NAS vanno nelle nostre aziende, dai nostri produttori e nei nostri salumifici, e controllano la punta del coltello, non si può più usare il marmo, non si può più usare solamente la plastica, deve essere tutto in acciaio inox... Ma chi controlla i prodotti che arrivano dall'estero?
L'emendamento Didonè 7.21 e l'emendamento a mia prima firma 7.22 tendono a fare chiarezza. Per effetto dell'emendamento Didonè 7.21, si prevede che, al fine di consentire un'adeguata informazione agli utilizzatori intermedi sul processo lavorativo dei prodotti commercializzati, sia istituito un sistema di etichettatura dei prodotti realizzati in paesi non appartenenti all'Unione europea, sopprimendo le parole «su base volontaria». Ma, secondo voi, su base volontaria il produttore cinese si adegua alla nostra normativa? Su base volontaria, sicuramente non lo fa. Se qualcuno vuole importare merci in Italia, dovrà ben adeguarsi ai nostri criteri igienico-sanitari, ma non soltanto: si prevede anche il rispetto della normativa a tutela del lavoro e sullo sfruttamento dei minori. Vogliamo che chi importa merci in Italia sia in regola con i nostri principi di civiltà in materia di tutela dei lavoratori e di divieto del lavoro minorile. Se si prevede che ciò avvenga su base volontaria, sicuramente nessuno si adeguerà.
Richiamo pertanto l'attenzione dell'Assemblea e chiedo un voto favorevole. Si dirà: ma l'Europa di qui, ma l'Europa di là... Incominci l'Europa ad adeguarsi alle norme che essa stessa ha stabilito e tuteli le nostre imprese, che chiudono continuamente!
Chiedo pertanto l'approvazione dell'emendamento Didonè 7.21, di cui sono cofirmatario, e del mio emendamento 7.22.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Didonè. Ne ha facoltà.
GIOVANNI DIDONÈ. Signor Presidente, al pari dell'onorevole Polledri, intendo richiamare l'attenzione dell'Assemblea sugli emendamenti 7.21 e 7.22, su cui chiedo un voto favorevole. Infatti, come ha osservato l'onorevole Polledri, l'Europa, in questo campo, è in colpevole ritardo.
Vorrei ricordare che tutti paesi in cui esiste un mercato consistente - Stati Uniti, Giappone, la stessa Cina - sono dotati di norme che obbligano gli importatori a garantire la tracciabilità dei prodotti importati. L'Unione europea al riguardo sta, invece, dormendo!
È necessario che chi acquista dei beni che magari recano come logo una bandierina italiana, ma sono prodotti altrove (spesso in Cina o in altri paesi extra europei), possa conoscere la reale natura del prodotto, nonché il processo produttivo e i sistemi di imballaggio e di conservazione utilizzati.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.
ERMETE REALACCI. Chiedo scusa ai colleghi che hanno lavorato a lungo sul testo unificato in esame. Comprendo le obiezioni di chi richiama alla coerenza con la normativa europea. Ritengo, però, che l'emendamento ora al nostro esame, così come quello successivo, rechino delle proposte ragionevoli. Il problema sollevato è reale e riguarda l'aggiornamento delle norme e l'adeguatezza dei controlli.
Non è oggetto del contendere in questo provvedimento, ma non è perfettamente comprensibile che il nostro paese sia, ad esempio, il più grande importatore di concentrato di pomodoro di origine cinese, che poi viene trasformato in passata di pomodoro recante, come noto, una dicitura che induce a ritenere che l'origine del prodotto sia italiana.
Non credo sia obiettivo di questa legge permettere ad aziende italiane, come accaduto nello scorso aprile, di realizzare delle lavorazioni interamente in Cina, per poi apporre sui prodotti ottenuti il marchio «Italy» (con tanto di bandierina italiana!) e venderli come se fossero realizzati in Italia. Ebbene, a fronte di tale
comportamento, è intervenuta una sentenza della Cassazione, ma l'azienda coinvolta ha potuto continuare queste pratiche. Francamente, ritengo che tali emendamenti vadano nella giusta direzione e, pertanto, li sottoscrivo.
A mio avviso, è necessario rinviare, invece, ad altra sede l'esame della questione della coerenza con le normative dell'Unione europea. Considero, infatti, necessario dare un segnale in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. La sentenza della Corte di Cassazione ricordata poc'anzi dal collega Realacci è potuta intervenire in quanto manca una norma che consenta di tutelare adeguatamente il prodotto italiano. Ipotizzare che il sistema di etichettatura dei prodotti realizzati in paesi non appartenenti all'Unione europea avvenga su base volontaria - mi si passi il termine - equivale ad un «cavolo». È solo un esercizio di ipocrisia, ma non di reale tutela del prodotto italiano!
Ricordo a chi, per avventura, sostenesse che le mie precedenti osservazioni riferite all'articolo 4 risultano assorbite dall'articolo 7 che la sua tesi corrisponde ad una falsa prospettazione della realtà. L'articolo 7, ora al nostro esame, reca principi del tutto differenti. Come già evidenziato, la semplice volontarietà, in base alla quale adeguarsi o meno a tali disposizioni, lascia il tempo che trova.
Nel prosieguo dell'articolo 7, poi, si dispone che l'etichettatura deve indicare il paese di origine del prodotto finito: ma tale misura già esiste! Tutti i prodotti provenienti da paesi non comunitari debbono recare la dicitura «Made in ...»: niente di nuovo, quindi!
Si dispone, inoltre, che tale etichettatura, deve indicare, oltre all'origine del prodotto finito, anche quella dei prodotti intermedi e la loro realizzazione, nel rispetto delle regole comunitarie e internazionali. Lasciare l'applicazione di questa disposizione alla volontarietà non risolve il problema evidenziato in sede di esame dell'articolo 4.
Se un prodotto reca la dicitura «Italian style», ancorché tale prodotto sia accompagnato dall'etichettatura che reca l'indicazione del paese di origine, di produzione intermedia e il rispetto di determinate regole, è chiaro che si realizza un inganno (ex articolo 516 del codice penale) nei confronti dell'acquirente, il quale, leggendo l'indicazione «Italian style», viene indotto a ritenere che l'origine del prodotto sia italiana.
Ritengo che tale problema sussista e, pertanto, rivolgo il mio appello soprattutto ai colleghi della maggioranza e al relatore, a coloro, cioè, che possono rappresentare al Governo queste esigenze.
Se approveremo un ordine del giorno, esso dovrà essere immediatamente realizzato, con quanto previsto nell'emendamento Didonè 7.21, in un prossimo decreto-legge, che per omogeneità di materia potrà recepire siffatta modifica.
I produttori italiani hanno un'effettiva esigenza per molte ragioni. Prodi ci ha un po' rovinato con il doppio corso lira-euro solamente per un anno; ci ha rovinato quando era Presidente della Commissione europea, stabilendo lacci, lacciuoli e regole che hanno di fatto distrutto le piccole e medie imprese italiane. Non roviniamoci anche noi persistendo in questa esercitazione di ipocrisia e di formalismo e non adottando i provvedimenti a loro tutela (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giulio Conti. Ne ha facoltà.
GIULIO CONTI. Signor Presidente, per l'esperienza diretta quale sindaco di un centro dove sussiste tale problema, che è eclatante a causa di questo marchingegno trascurato dall'Unione europea, che dovrebbe invece garantire anche i minimi diritti dei nostri produttori, esprimerò a
titolo personale un voto favorevole sugli emendamenti Didonè 7.21 e Polledri 7.22.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scaltritti. Ne ha facoltà.
GIANLUIGI SCALTRITTI. Signor Presidente, il gruppo di Forza Italia non può che sostenere tali emendamenti, che confermano la linea forte del Governo e della nostra parte politica nei confronti sia dell'Unione europea che della realtà internazionale, su cui lo stesso Presidente Berlusconi è intervenuto.
Preannunzio, pertanto, il voto favorevole del gruppo di Forza Italia sugli emendamenti Didonè 7.21 e Polledri 7.22.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, questo è un punto chiave di tutto il provvedimento, perché, come ha detto il collega Ermete Realacci, non vi è dubbio che dobbiamo dare un segnale di presenza da parte di uno Stato che vuole difendere i propri prodotti, produttori e consumatori.
Non vi è dubbio che la dicitura «su base volontaria» denota una filosofia che va a cozzare contro la volontà del mercato riguardante il tema in questione. Il motore di questo tipo di concorrenza è esclusivamente il profitto; dietro ai prodotti che arrivano da alcune aree sappiamo che vi è lo sfruttamento reale dei bambini: di questo ne siamo a conoscenza! Dunque, conoscendo le aree da cui arrivano i prodotti, siamo informati non solo della provenienza del concentrato di pomodoro ma anche dell'esistenza dello sfruttamento dei diritti dei lavoratori e, in modo particolare, di quelli dei bambini.
Il problema sta proprio nella posizione or ora espressa, mentre poco fa, quando vi abbiamo chiesto di istituire un marchio per difendere la bandiera italiana che troviamo sulle scarpe cinesi, voi avete votato in senso contrario.
Sappiamo che si tratta di un provvedimento importante per il nostro paese: è una piccola cosa, che però è importante approvare! Se approveremo l'emendamento Didonè 7.21, che pur è giusto, potremmo correre il rischio dell'apertura di una procedura di infrazione in sede comunitaria; ciò significherebbe che la legge andrebbe «a pallino», e cioè che non avremo più alcuno strumento. Si tratta di un inghippo, di un vicolo cieco da cui dobbiamo uscire, trovando dei motivi che ci consentano di essere tranquilli nel fare un'operazione legislativa efficace.
Siamo costretti a prevedere un marchio ed una etichettatura di tipo volontario? Ognuno si assuma le proprie responsabilità! Se il voto sarà favorevole, vorrei sapere dagli altri colleghi o dal Governo se si aprirebbe o meno una procedura di infrazione in sede comunitaria. Se vi sarà una procedura d'infrazione, il mio voto non potrà essere favorevole; se, invece, l'infrazione in sede comunitaria non vi sarà, certamente il mio voto sarà favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paola Mariani. Ne ha facoltà.
PAOLA MARIANI. Signor Presidente, le argomentazioni addotte dai colleghi sono, a mio avviso, tutte esatte. Tali argomentazioni, ovviamente, non riguardano i prodotti agroalimentari, i quali non rientrano in questo campo perché per essi l'etichettatura è già prevista.
Con questo provvedimento si disciplina un settore che fino ad ora era rimasto privo di normativa, quello dei prodotti tessili e calzaturieri. Siamo perfettamente d'accordo sul fatto che questo sia il nocciolo del problema e di tutto il provvedimento.
Si potrebbe anche dire che sarebbe sufficiente, per risolvere i problemi dei nostri imprenditori, che i prodotti, italiani ed esteri, fossero provvisti di etichette certe, che indicassero ai consumatori dove, come e con quali materiali gli stessi sono prodotti. Però, come sappiamo, esiste un
problema di incompatibilità comunitaria, ed è per questo che tale provvedimento è stato provvisto, per così dire, di due binari. Da un lato, si introduce il marchio volontario («100 per cento Italia»), che non sarebbe stato previsto nel caso in cui esistesse già un'etichettatura certa e obbligatoria; dall'altro lato, si è posta la questione delle etichette. Quest'ultima rappresenta quella parte del provvedimento che considero un manifesto per l'Europa, in quanto sta ad indicare quali sono le nostre volontà. È chiaro che, una volta approvato l'emendamento Didonè 7.21, sarà necessaria la volontà comune del Parlamento e del Governo per chiedere a Bruxelles che venga modificata la parte relativa all'obbligatorietà.
Dato che siamo consapevoli che approvando questo emendamento potremmo andare incontro ad un'infrazione in sede comunitaria, rendendo in tal modo inutile anche la prima parte del provvedimento, che rappresenta quel piccolo spiraglio che si attendono le nostre imprese, vorremmo una risposta chiara da parte del Governo sull'emendamento Didonè 7.21. Il Governo non può, a mio avviso, rimettersi all'Assemblea, perché questo non è un emendamento qualsiasi, in quanto richiama una normativa comunitaria; conseguentemente, l'esecutivo deve esprimersi su di esso con un sì o con un no. Sulla base della risposta fornita dal Governo, il nostro gruppo deciderà come votare.
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Signor Presidente, questa tematica, anche per come si sta sviluppando il dibattito, presenta profili di una certa delicatezza; sarebbe forse opportuno che il Comitato dei nove si riunisse e che per il momento l'emendamento Didonè 7.21 venisse accantonato.
C'è un aspetto sul quale desidero richiamare l'attenzione dell'Assemblea. Noi abbiamo, ovviamente, il diritto di difendere i prodotti nazionali, ci mancherebbe altro! Vorrei però che si lasciasse cadere la retorica del cosiddetto dumping sociale, perché la trovo di cattivo gusto. Davvero le preoccupazioni che abbiamo in ordine alla difesa dei prodotti italiani sono tali per cui siamo emozionati se pensiamo che nei paesi del Terzo mondo i bambini lavorano in condizioni di bassa tutela sociale? Ma cent'anni fa i bambini italiani dove lavoravano? Magari nelle miniere del Belgio! Non mi pare, quindi, il caso di immergersi troppo in una difesa assolutamente retorica delle condizioni del Terzo mondo! È chiaro che al Terzo mondo dobbiamo pensarci tutti, se vogliamo preservare le condizioni per uno sviluppo equilibrato.
Pertanto, prendiamo in considerazione altri argomenti, ma lasciamo stare la retorica del dumping sociale, che mi pare la meno adatta per raffigurare le condizioni di disuguaglianza in cui vivono le diverse realtà del mondo.
PRESIDENTE. Dopo quanto detto dal presidente Tabacci, chiedo al relatore, onorevole Lulli, se ritenga opportuno l'accantonamento dell'emendamento Didonè 7.21.
ANDREA LULLI, Relatore. Sì, Presidente, ritengo opportuno accantonare l'emendamento Didonè 7.21.
PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Raisi se acceda all'invito al ritiro del suo emendamento 7.1 formulato dal relatore.
ENZO RAISI. Signor Presidente, innanzitutto, vorrei precisare che, al di là di ogni interpretazione, già l'articolo 7 provocherà l'apertura di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea. Ecco perché abbiamo proposto un emendamento soppressivo dell'intero articolo.
Tuttavia, nel momento in cui alcuni colleghi e la stessa Commissione hanno chiesto con forza il ritiro del mio emendamento soppressivo 7.1 e, comunque, si ritiene di voler dare un segnale politico all'Unione europea - non dimentichiamo che il provvedimento è di iniziativa parlamentare
e, quindi, non coinvolge il Governo, che, peraltro, è bene ricordarlo in questa sede, ha già compiuto, in tempi non sospetti, tutti i passi possibili affinché il tema dell'etichettatura fosse posto all'ordine del giorno dell'Unione europea -, io rispondo: benissimo! Vogliamo dare un segnale forte, come Parlamento, all'Unione europea? Allora, ritiro il mio emendamento 7.1; però è giusto che gli altri emendamenti che fanno chiarezza siano votati e diano effettivamente quel segnale forte che si vuole lanciare.
SERGIO COLA. Bravo! Bravo!
ENZO RAISI. Se si deve mediare, lo si deve fare dopo, non prima, scegliendo una posizione che comunque comporterà l'apertura di una procedura di infrazione!
Pertanto, ritiro il mio emendamento 7.1 e preannunzio che voterò a favore degli emendamenti Didonè 7.21 e Polledri 7.22 (Applausi del deputato Polledri).
PRESIDENTE. Passiamo dunque all'emendamento Didonè 7.21, in relazione al quale è stata formulata una proposta di accantonamento.
LUIGI D'AGRÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, che il provvedimento in esame - e, in modo particolare, l'articolo 7 - corra sul filo del rasoio l'abbiamo capito tutti. Tuttavia, in sede di Comitato dei nove, alla presenza del Governo, rappresentato dal viceministro Urso, l'articolo 7 è stato «sezionato» in maniera particolare.
SERGIO COLA. Bravo!
LUIGI D'AGRÒ. Mi pare che sia possibile non andare incontro a procedure di infrazione quando l'etichettatura è su base volontaria. Se, invece, l'etichettatura è vincolante, entriamo certamente in una condizione di contrasto con l'Unione europea.
Mi era parso che in sede di Comitato dei nove avessimo ragionato su questo filo logico dal punto di vista culturale, tecnico e normativo. È chiaro che, se omettiamo le parole «su base volontaria», il contrasto con la normativa europea effettivamente esiste e può dare luogo ad una procedura di infrazione.
ALFONSO GIANNI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Informo i colleghi che, dopo l'intervento dell'onorevole Alfonso Gianni, sospenderò la seduta per dieci minuti.
Prego, onorevole Alfonso Gianni.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, non ho avuto modo di dedicarmi all'esame del provvedimento in X Commissione in quanto non ne faccio parte, ma mi pare di intravedere in questo dibattito - mi rivolgo, ad esempio, al collega Ruggeri - una certa rottura della logica comune (non dico di quella elevata). Se un emendamento è giusto, non possiamo pervenire alla conclusione che, siccome è giusto, votiamo contro perché il contesto è diverso: se l'emendamento è giusto, va cambiato il contesto! Se l'emendamento non è giusto, non riesco ad individuare un'altra soluzione. In alternativa, non si sa e, quindi, ci si astiene.
Francamente, al di là della tecnicalità del nostro modo di legiferare in relazione ai limiti ed ai confini che l'Unione europea pone, credo che un emendamento che indichi fortemente l'intenzione, da parte del nostro paese, di segnalare, per quanto riguarda il commercio mondiale, non la retorica, onorevole Tabacci, ma la necessità di favorire la crescita - in ogni angolo del mondo - dei diritti del lavoro dipendente, a qualunque età esso venga svolto, ma con maggiore solerzia ed intensità quando vengono in rilievo il lavoro femminile e quello infantile o condizioni di esercizio particolarmente mortificanti e disagiate, sia del tutto legittimo. In caso contrario - lo dico con molta franchezza -, sorgono in me molti dubbi rispetto all'intero provvedimento.
Se il problema è semplicemente quello di far etichettare un prodotto realizzato in un determinato paese per proteggere il sistema italiano, francamente la prospettiva è molto debole e priva di sostanza. Più che un intervento reale per proteggere la nostra industria tessile - che dovrebbe vedere ben altre vie di conduzione - sembra un modo per lavarsi la coscienza. Se perdiamo l'occasione per lanciare un segnale verso l'elevazione dei diritti nel mondo del lavoro e contro il lavoro infantile, incorriamo in un doppio errore. Non dimentichiamoci, peraltro, che anche il nostro paese, per quanto riguarda le condizioni di sfruttamento minorile, non è privo di peccato (nel campo tessile, l'esempio di Francavilla Fontana non è poi così lontano, ma si potrebbero richiamare altri esempi nel settore calzaturiero). Nelle pieghe nascoste dei cosiddetti distretti industriali (è inutile raccontarci sciocchezze) si nasconde anche un lavoro familiare, un lavoro minorile, un lavoro femminile, un lavoro particolarmente disagiato; eppure, continuiamo a richiamare questi distretti come esempi della produttività, dell'intelligenza e della creatività italiana. Quindi, farebbe bene anche alla ricca Lombardia, caro Polledri, introdurre una norma che, sul piano etico ed economico, non sia scavalcabile, come argine al lavoro minorile.
Onorevole Tabacci, ho letto Rampini ed il suo nuovo libro sul metodo cinese apparso in anticipazione sul quotidiano la Repubblica. Ho letto anche le corrispondenze arrivate via e-mail sulla base di quella fonte che alcuni filocinesi contestano in quella zona particolare della Cina e sappiamo che da parte dei lavoratori cinesi giunge un doppio massaggio: da un lato, che si conoscano le condizioni nelle quali lavorano, affinché il mondo intero dia una mano per far crescere i loro diritti e, dall'altro lato, che le sanzioni non siano talmente pesanti da costringere le fabbriche in cui lavorano a chiudere e, quindi, a rimanere senza lavoro. È una cosa vecchia come il mondo.
Anche il lavoro italiano è stato sottoposto a questa contraddizione, perché il contrasto...
PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni...
ALFONSO GIANNI. ...tra ambiente e lavoro lo abbiamo conosciuto anche nel nostro paese (si veda il caso Montedison). Sempre, pur facendoci carico di tutti i problemi, abbiamo dovuto forzare nell'unica direzione giusta, ossia quella nella quale non si commettono ingiustizie. Non è che il fine giustifichi i mezzi! Cominciamo a dire che certe cose non si fanno e su questa base costruiamo la nostra nuova città. Ma non facciamo il contrario, altrimenti ci troveremo il lavoro minorile nella cantina di casa.
GABRIELE FRIGATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, gli onorevoli Realacci e Ruggeri sono già intervenuti a nome del gruppo della Margherita, sicché con il mio intervento vorrei solo sottolineare - ponendo la circostanza all'attenzione dei colleghi - come di tali argomenti e della difesa delle produzioni italiane (ed europee, in genere) si discuta certamente nel nostro Parlamento ma anche nelle Assemblee legislative degli altri paesi dell'Unione; certamente, se ne dibatte nei Consigli dell'Unione e nel Parlamento europeo. Noi ci troviamo dinanzi alla difficoltà di porre in essere una normativa più stringente, pur nel rispetto del vigente quadro legislativo europeo; però, quanto vorrei maggiormente evidenziare al riguardo è il silenzio del Governo sul tema.
A me pare che l'emendamento proposto dai colleghi Didonè e Polledri sia di assoluto buon senso; certamente, bisogna verificarne la compatibilità. Ma il Governo, rispetto a tale aspetto, ha nulla da rilevare? Ha nulla da dichiarare, nel corso di questo dibattito, rispetto alla necessità di
esercitare, in sede europea, un'azione più forte e stringente a difesa del made in Italy?
PRESIDENTE. Onorevole...
GABRIELE FRIGATO. Formulo tale domanda non solo per richiamare la responsabilità del Governo ma anche per acquisire qualche elemento in più in vista di una decisione, quella sulla proposta emendativa in esame, che mi sembra particolarmente importante e significativa. Quindi, sollecito un intervento del Governo che ne metta in evidenza la posizione.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per consentire al Comitato dei nove di riunirsi, su richiesta del presidente della X Commissione, onorevole Tabacci, e del relatore, onorevole Lulli, sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 16,20, è ripresa alle 16,45.
PRESIDENTE. Chiedo al relatore di riferire all'Assemblea in merito agli esiti della riunione del Comitato dei nove.
ANDREA LULLI, Relatore. Signor Presidente, per quanto riguarda l'emendamento Didonè 7.21, ribadisco l'invito al ritiro formulato dalla Commissione. Quanto all'emendamento Polledri 7.22, credo che lo stesso onorevole Polledri ne annuncerà il ritiro, insieme all'intenzione di trasfonderne il contenuto in un apposito ordine del giorno.
PRESIDENTE. Il Governo?
ROBERTO COTA, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Il Governo conferma il parere espresso in precedenza, per cui si rimette all'Assemblea. Se da quest'aula provenisse un segnale politico forte in ordine alla tutela dei nostri prodotti, il Governo stesso sarebbe disponibile a recepirlo.
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Didonè insiste per la votazione del suo emendamento 7.21.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Didonè 7.21.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gambini. Ne ha facoltà.
SERGIO GAMBINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero esprimere il nostro imbarazzo rispetto alle scelte compiute in ordine a questo emendamento.
Ci siamo battuti proponendo, tra l'altro, che il provvedimento in esame iniziasse il suo percorso parlamentare con un testo legislativo in grado di tutelare le produzioni italiane e consentire che gli strumenti utilizzati in altre aree del mondo lo potessero essere anche nel nostro paese ed in Europa. Non ci riferiamo al marchio «100 per cento prodotto in Italia», ma al tema della tracciabilità dei prodotti, questione che - come è noto - ha conosciuto un ritardo e un'inadempienza da parte dell'Unione europea. La tracciabilità, infatti, esiste negli Stati Uniti d'America, in Giappone e, più in generale, nei principali mercati internazionali, fuorché nel nostro continente.
Segnaliamo questo tema da molto tempo: vorrei ricordare le risoluzioni da noi presentate nel gennaio 2004, in prossimità della scadenza dell'accordo multifibre del 31 dicembre 2004, per avere una iniziativa adeguata da parte del nostro Governo presso l'Unione europea, al fine di ottenere la tracciabilità.
Abbiamo, in seguito, trovato un punto di equilibrio in questo testo legislativo, per avere una pressione adeguata nei confronti dell'Europa, attraverso la tracciabilità quale scelta volontaria e, nello stesso tempo, la possibilità, sempre su base volontaria, di mettere in campo il marchio «100 per cento Italia». Si tratta di un punto di equilibrio che mira ad evitare che la nostra azione legislativa sia sottoposta a procedure di infrazione. Avete potuto constatare che abbiamo cercato, anche attraverso i nostri emendamenti, nei primi articoli di questo provvedimento, di tentare di mantenerlo quanto più possibile al
riparo da eventuali procedure di infrazione.
Di ciò ha bisogno l'impresa italiana. Essa non necessita di un provvedimento-manifesto, ma di un provvedimento che le consenta di essere efficacemente tutelata sul mercato italiano e su quello internazionale. Ciò volevamo.
Ora sembra che i colleghi - almeno stando alle opinioni espresse - abbiano deciso di mutare le caratteristiche del provvedimento in esame, facendolo diventare, appunto, un provvedimento-manifesto.
Non possiamo non segnalare la nostra forte perplessità attraverso un voto di astensione su questo emendamento, perché ne condividiamo la sostanza, se non incorresse nel pericolo di infrazione delle regole europee.
Possiamo anche condividere l'idea di introdurre una norma-manifesto da questo punto di vista. Però, avremmo voluto qualcos'altro: che le imprese e le produzioni italiane fossero difese con provvedimenti che non corressero il rischio di essere sottoposti a procedura di infrazione. Pertanto, sull'emendamento in esame ci asterremo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, intervengo solo per esprimere alcune brevissime considerazioni. Non mi sembra che eliminare la facoltatività di inserire determinate caratteristiche e imporre al riguardo un obbligo sia un «manifesto». Credo, invece, che sia la migliore maniera per offrire una tutela.
Constato che siete un poco contraddittori circa l'Europa. Tra l'altro, mi pare che l'Europa - e lei, onorevole Gambini, lo sa meglio di me - stia rivedendo le sue posizioni, se è vero che è sorta l'idea di imporre i dazi sui prodotti che provengono dai paesi extracomunitari.
Pertanto, non facciamo manifestazioni di ipocrisia! Questo è un messaggio politico enorme e, anzi, l'Italia darà la stura ad iniziative che tendono effettivamente a tutelare le nostre imprese ed i nostri consumatori (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI, Presidente della X Commissione. Signor Presidente, oggi siamo giunti in Assemblea consapevoli dei problemi che avremmo incontrato. Quando in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo si calendarizzò il provvedimento per questa data, immaginavamo che la Commissione sarebbe giunta a concludere i suoi lavori con un testo abbastanza condiviso.
Il 18 maggio abbiamo tenuto un incontro con il viceministro Urso e in quella sede il Governo ha posto una serie di questioni (al riguardo, i verbali della Commissione sono molto utili ed istruttivi e meritano di essere approfonditi) concernenti profili di dubbia compatibilità con la normativa comunitaria. La Commissione fu costretta a riflettere se convenisse chiedere al Presidente della Camera di riconoscere che non eravamo pronti a riferire in Assemblea oppure se convenisse giungere in Assemblea con un testo che evitasse i profili di contrasto con l'Unione. Da qui la scelta di inserire l'espressione «su base volontaria». Non ci siamo arrivati per altre ragioni: il dibattito che si sta tenendo in questa sede l'avevamo già svolto in Commissione.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che l'accoglimento dell'emendamento presentato dagli onorevoli Didonè e Polledri, ancorché giusto dal punto di vista politico generale, pone l'articolo 7 in palese contrasto rispetto alla legislazione comunitaria e, quindi, trasforma questo testo unificato - che già sembrava in condizione di lanciare un segnale importante all'Europa - in un provvedimento caratterizzato da una qualche velleità dal punto di vista giuridico. Ciò deve essere molto chiaro.
Ognuno ha le proprie argomentazioni da prospettare all'esterno e prendo atto delle dichiarazioni rese oggi dal Governo. Però, in Commissione è stato svolto un lavoro preliminare con il viceministro con la delega al commercio estero, che ha definito posizioni che, in buona fede, possiamo anche avere condotto dalla parte sbagliata. Si deve sapere che non siamo arrivati qui per caso; dopodiché, ognuno deciderà per il meglio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Signor Presidente, intervengo anche per correttezza rispetto a ciò che ha affermato il presidente Tabacci, che risponde al vero. È anche vero che il viceministro ha detto fin dall'inizio che si trattava di un provvedimento di iniziativa parlamentare e che, quindi, il Governo avrebbe dato un contributo; ma lo stesso ha affermato di avere grandi dubbi di legittimità su tale iniziativa. Esso ci può aiutare nel lavoro che stiamo già svolgendo come Governo in Europa, dove abbiamo imposto il tema dell'etichettatura, ma è chiaro che i dubbi e le perplessità ci sono.
Sicuramente, ci è stata indicata la strada per cercare, in qualche modo, di ammorbidire uno scontro con l'Unione europea. Questo ci è stato detto ed è vero, come ha ricordato il presidente Tabacci. Ma i dubbi che ha espresso il Governo fin dall'inizio sulla problematicità di questa materia sono evidenti.
Peraltro, lo stesso ha espresso un giudizio positivo sull'iniziativa parlamentare, nel rispetto della piena autonomia del Parlamento che, in questa sede, è manifestata da chi ha avanzato una proposta cui il Governo può dare un contributo di idee e suggerimenti.
L'iniziativa, però, è nostra, non del Governo. Quindi, è chiaro che anche noi siamo consapevoli del fatto che riferiva il viceministro Urso, il quale, per esempio, ha detto che secondo lui l'articolo 7 nella sua totalità è contro la normativa europea.
Che poi, con il riferimento alla «base volontaria», si dia in qualche modo una speranza che l'Unione europea si addolcisca, è possibile, ma è anche vero che è stata espressa la convinzione - ripeto - che l'intera costruzione del testo unificato susciterà dubbi nei rapporti con l'Unione europea.
Tuttavia, siamo qui e il Parlamento è sovrano. Pertanto, ritengo che esso debba andare avanti su questi temi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Sull'articolo aggiuntivo Nieddu 3.02 siamo intervenuti per dire che, essendo delicato, avremmo votato contro, anche se ne condividevamo politicamente l'assunto. La stessa cosa vale per l'emendamento Didonè 7.21.
SERGIO GAMBINI. Ma lì non c'era infrazione!
LUIGI D'AGRÒ. Lo ripeto: non sto qui a discutere se vi sia infrazione per effetto di questo emendamento. Per quanto ci riguarda, noi eravamo sulla posizione espressa a suo tempo nell'emendamento 7.21, modificata per il dibattito che è stato svolto in sede di Commissione e portata all'attenzione dell'intera Assemblea da parte del presidente Tabacci.
È una posizione politica quella che assumiamo? Non mi sento di dire che su una condizione di questo genere, che tutela maggiormente il prodotto italiano, sono contrario, anche sapendo che si potrebbe incorrere in una infrazione a livello europeo. Il Parlamento, pertanto, si assuma la responsabilità di questa posizione, sapendo che il percorso culturale e anche tempistico che ha portato il provvedimento all'esame dell'Assemblea in questo momento viene stravolto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Ritengo di poter rassicurare sull'esito del dibattito anche il presidente Tabacci, che più volte ha difeso l'autonomia del Parlamento e la sua sovranità. Certamente questa è una decisione politica, motivata in differenti modi. C'è chi è preoccupato delle regole e delle norme sociali che prevalgono nei paesi extraeuropei - certamente ci saranno anche da noi, ovviamente -, e che, tuttavia, in qualche modo vuole intervenire sulla difesa dei diritti. Ciò non solo è legittimo, ma è anche condivisibile. C'è chi, come il collega Cola, si preoccupa dei marchi che sicuramente possono essere fuorvianti e penalizzanti. C'è chi si preoccupa, giustamente, dei distretti, che ci mandano un messaggio molto forte, ossia quello di vedere riconosciuto il diritto all'informazione del consumatore attraverso l'etichettatura.
Ora il problema è l'Europa. Ritengo che possiamo definirci amici dell'Europa, ossia persone che guardano l'Europa a fronte alta; e i colleghi dell'Europa, come amici, ci possono guardare negli occhi. Non siamo sudditi e non siamo schiavi e, soprattutto, ci rimettiamo politicamente a un nostro diritto fondamentale, ossia che l'Europa indichi le linee guida per la tracciabilità e l'etichettatura dei prodotti.
Allora, il Governo non ne risulta indebolito e il viceministro Urso, che giustamente ha rivolto al Parlamento un monito per quanto riguarda l'infrazione, potrà andare in Europa a chiedere con forza l'etichettatura dei prodotti. Lo potrà fare proprio perché questo Parlamento sovrano ha determinato non tanto un manifesto politico - attenzione, perché i manifesti politici non sono secondari, e con alcuni di essi abbiamo cambiato la storia -, ma semplicemente una tutela della democrazia, dei nostri diritti e di quelli dei lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, la questione è molto delicata. Con l'articolo 7 andiamo a normare l'etichettatura dei prodotti realizzati in paesi non appartenenti all'Unione europea. Questo è già un grande problema: si tratta di una norma che potrebbe fare l' Unione europea, non il singolo paese. In termini semplici, posso chiedere l'etichettatura di un prodotto che proviene dalla Cina. Tuttavia, se l'Olanda lo acquista dalla Cina e poi dall'Olanda viene in Italia, la norma non vale più. Ecco l'infrazione che ci era stata prospettata dal Governo.
Volete fare una norma-manifesto? Ditelo, ma alle nostre imprese che hanno bisogno di un marchio dite pure che tale marchio non vi sarà, perché l'infrazione è evidente. Il Governo ha già espresso la propria posizione, come si evince dai verbali. Aveva ragione il collega Raisi fin dall'inizio con il suo emendamento riguardante la soppressione.
STEFANO LOSURDO. Bravo Raisi!
RUGGERO RUGGERI. Abbiamo trovato un marchingegno per inserire la volontarietà. Tuttavia, se politicamente alcune parti della maggioranza vogliono realizzare una norma-manifesto manca la sostanza che riguarda la difesa delle piccole e medie imprese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Continuo a non capire il motivo dell'opposizione dei colleghi, mi sfugge il senso logico. Non esageriamo nel dire che è un manifesto politico: si tratta di un emendamento! Se si vuole realizzare un manifesto politico si fa un'altra cosa, non un emendamento addirittura soppressivo, neanche propositivo, di un'espressione in un testo legislativo.
Detto ciò, tuttavia, l'emendamento ha una sua logica, una sua forza ed una sua giustizia. Il fatto che contrasti con il
contesto europeo di per sé non significa che dobbiamo rinunciarvi. Se il testo è giusto, ma non concorda con il contesto, forse è il contesto da mettere in discussione. All'indomani del referendum francese per cui non un articolo o una leggina ma per fortuna - si tratta di un'opinione personale - un intero trattato costituzionale viene rimandato al mittente, essere così preoccupati di incorrere in un'infrazione mi pare sbagliato.
Per parte nostra voteremo a favore dell'emendamento, poi ognuno si assuma le proprie responsabilità.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Innocenti. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, proprio seguendo il consiglio del collega Alfonso Gianni credo che tutti in quest'aula debbano assumersi le responsabilità su tale votazione, compreso il Governo che non può, a tale riguardo, rimettersi all'Assemblea. So anch'io che siamo di fronte ad un provvedimento di iniziativa parlamentare, ma cosa significa questo? Il Governo non esprime una propria opinione su una legge che sta per essere varata? Vogliamo scherzare? È questo il mal celato concetto dell'autonomia del Parlamento rispetto all'esecutivo? Onorevoli colleghi, sono ben altri gli esempi che potremmo prendere in questa legislatura sulla questione dell'autonomia del Parlamento rispetto all'esecutivo.
Signor Presidente, non voglio fare polemica, ma solo svolgere una considerazione.
Noi qui ci troviamo di fronte all'approvazione o meno di un emendamento su un tema che, se ho capito bene - altrimenti correggetemi -, è di dubbia compatibilità con la disciplina comunitaria, come prima il presidente Tabacci ha detto, riportando il parere del viceministro Urso, quale risulta dal resoconto dell'audizione del viceministro medesimo.
Allora, colleghi, noi qui possiamo fare tutto, anche avviare un braccio di ferro con l'Unione europea su una determinata norma, ma dobbiamo essere tutti consapevoli di quale potrebbe essere l'esito di un braccio di ferro di questo tipo. Può accadere, quindi, che noi facciamo una norma che poi non sarà mai applicata alle piccole imprese, le quali invece attendono da tempo una normativa a loro difesa in alcuni settori come il tessile, l'abbigliamento ed il calzaturiero.
Noi possiamo fare tutto, ripeto, ma non possiamo, ai fini di un recupero di competitività delle nostre imprese, prenderle in giro. Non possiamo cioè approvare una norma che domani sappiamo sarà bloccata dall'Unione europea chissà per quanto tempo. E magari fare questo anche con dichiarazioni (che accompagneranno l'approvazione di questa norma da parte della Camera dei deputati) del tipo: finalmente uno strumento in mano alle piccole imprese per difendersi dai fantomatici cinesi!
No, questo no, perché ciò vorrebbe dire che noi, con retorica e demagogia, facciamo peggio di un manifesto, perché il manifesto è tale e gli imprenditori, i quali non hanno bisogno di manifesti né di demagogia, lo vedrebbero affisso. Qui invece stiamo approvando una norma che rischia di non essere mai tale; si tratta quindi di uno strumento che non potrà mai essere utilizzato da nessun imprenditore, né piccolo né piccolissimo, nel nostro paese.
Dunque, di fronte alle argomentazioni che sono state svolte, chiedo che il Governo esprima nuovamente una sua opinione, anziché assumere un atteggiamento di irresponsabilità, rinviando la questione all'Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Didonè 7.21, non accettato dalla Commissione e sul quale il Governo si rimette all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 310
Votanti 189
Astenuti 121
Maggioranza 95
Hanno votato sì 176
Hanno votato no 13).
Passiamo all'emendamento Polledri 7.22.
MASSIMO POLLEDRI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Alla luce dei chiarimenti intervenuti con i colleghi, ritiriamo l'emendamento in oggetto, perché crediamo che in un paese dove prevale la trasformazione delle materie prime debba essere ben delineato ciò che è prevalente, al punto da essere considerato come realizzato completamente nei paesi extra Unione. Presenteremo, pertanto, un ordine del giorno, con il quale chiederemo al Governo di trovare un punto di equilibrio, fortemente a tutela (ovviamente) del marchio made in Italy, senza però penalizzare le capacità di trasformazione delle piccole e medie imprese.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Polledri.
Prendo atto che i presentatori dell'emendamento Zanella 7.23 non accolgono l'invito al ritiro ed insistono per la votazione.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Zanella 7.23, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 336
Votanti 334
Astenuti 2
Maggioranza 168
Hanno votato sì 151
Hanno votato no 183).
Prendo atto che l'onorevole Testoni non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Quartiani 7.20.
Chiedo agli onorevoli presentatori se accedano all'invito al ritiro formulato dal relatore e dal Governo.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. No, signor Presidente, e chiedo di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Poiché stiamo parlando dell'etichettatura dei prodotti - una delle più importanti norme attese dai produttori, soprattutto dalle piccole e medie imprese, oltre che dai consumatori - e di promozione del marchio «100 per cento Italia», non possiamo sottovalutare il modo con il quale cerchiamo di dare attuazione a quei commi che adottano formulazioni di attuazione di commi precedenti.
Mi riferisco, in particolare, al comma 3, terzo periodo, dell'articolo in esame, in ordine al quale proponiamo di sostituire la formulazione imperativa utilizzata con un'altra espressa con un tempo indicativo.
Noi sappiamo che la norma non sopporta verbi servili, anche perché vi è un manuale per la formulazione di testi legislativi, come richiamato anche nelle circolari adottate dal Presidente della Camera (l'ultima è del 2001). Pertanto, occorrerebbe evitare l'introduzione nelle disposizioni legislative di formulazioni con verbi servili del tipo: non devono prodursi
spese oppure non devono determinarsi nuove spese per quanto riguarda il bilancio dello Stato.
L'espressione «non deve» dovrebbe essere, a mio avviso, assolutamente innovata; da troppo tempo, infatti, con riferimento a norme attuative che hanno attinenza diretta con il bilancio dello Stato, si sta diffondendo la pratica di introdurre formulazioni che, in realtà, non hanno a che fare con una terminologia moderna, propria di un Parlamento che vuole superare una logica burocratica nel modo di fare le leggi.
Parliamo di Europa e, pertanto, una delle cose principali che il legislatore italiano dovrebbe evitare è l'utilizzo di una terminologia, di formule anche convenzionali, dal sapore eccessivamente burocratico, perché sono fastidiose e perché fanno in modo che sul nostro paese vengano espresse all'estero valutazione negative, spingendo, altresì, il cittadino ad allontanarsi dallo Stato.
Per i colleghi deputati potrebbe trattarsi di un emendamento formale, perché si tratta solo di sostituire, al comma 3, terzo periodo, l'espressione: «Dalle disposizioni del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri» con la seguente: «Dalle disposizioni del presente comma non derivano nuovi o maggiori oneri», nella quale viene utilizzato il tempo indicativo presente.
Se la questione è formale, potrebbe essere superata; se, invece, si tratta di una valutazione di carattere politico, allora si potrebbe pensare che il verbo utilizzato «devono» andrebbe a rafforzare la natura coercitiva della norma. In questo caso, il verbo servile potrebbe tradire una cattiva coscienza che si manifesta in un linguaggio che usa forme imperative, oppure si potrebbe pensare ad una volontà di non dare realizzazione al contenuto di una norma così importante, intorno alla quale si vorrebbe probabilmente costruire una sorta di camicia di forza che ne renda innocuo l'impatto.
Poiché vi è una circolare del Presidente della Camera e poiché vi sono alcuni precedenti al riguardo, tale innovazione costituirebbe un precedente importante.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Quartiani 7.20, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 341
Votanti 340
Astenuti 1
Maggioranza 171
Hanno votato sì 160
Hanno votato no 180).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 7, nel testo emendato.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 339
Votanti 252
Astenuti 87
Maggioranza 127
Hanno votato sì 251
Hanno votato no 1).
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