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PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 3461 sezione 1).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà. L'onorevole Amici si è cancellata.
Constato l'assenza dell'onorevole Mancini, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERO RUZZANTE. Mi scusi, Presidente, solo per una questione di forma. Ho segnalato alla Presidenza che i due colleghi che avevano chiesto di parlare intendevano cancellarsi. Quindi, non hanno rinunciato perché non presenti in aula. Ci tengo a sottolinearlo: ho segnalato prima che si erano cancellati.
PRESIDENTE. Anche Mancini?
PIERO RUZZANTE. Sì.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sterpa. Ne ha facoltà.
EGIDIO STERPA. Signor Presidente, questo disegno di legge costituzionale, già approvato dal Senato in prima lettura, è - come noto - fortemente voluto da una parte della Casa delle libertà e, segnatamente, dalla Lega che ne fa un motivo essenziale per la sua permanenza nell'attuale maggioranza e nel Governo.
In sede storica va annotato, per obiettività, che la Lega è nata con la dichiarata propensione al secessionismo. Parve, poi, mettere in ombra questa sua propensione quando nel 1994 entrò a far parte del Polo e partecipò al primo Governo presieduto dall'onorevole Berlusconi, Governo del quale facevano parte, oltre Forza Italia, Alleanza nazionale ed il CCD. Sono note le vicende politiche del 1994-1995: la Lega uscì dal Governo e dalla maggioranza, il Governo Berlusconi cadde. Tornarono, così, a prevalere le pulsioni e le posizioni secessioniste della Lega. Non solo: la Lega votò per il Governo Dini insieme con la sinistra.
Sempre in sede storica va annotato che alla sinistra, la quale oggi si pone retoricamente in difesa dell'unità nazionale, non parve vero di avere la Lega nella propria maggioranza. L'onorevole D'Alema, allora segretario dei DS, nel febbraio 1995 si recò al congresso della Lega non esitando a definirla autentica forza di rinnovamento democratico. Anzi, disse di più: definì la Lega costola della sinistra. Tali particolari non vanno dimenticati oggi che la sinistra accusa l'attuale maggioranza di eccessiva compiacenza verso le propensioni leghiste e, addirittura, di subirne il ricatto politico.
Svolgo queste notazioni con spirito liberale e serenamente, senza spirito polemico, tutt'altro che convinto, peraltro - com'è del resto noto -, che il disegno di legge al nostro esame sia l'optimum per un nuovo assetto del nostro sistema politico.
Nella rapida ricostruzione storica di un periodo piuttosto convulso, non c'è bisogno che mi soffermi sulla vittoria dell'Ulivo nell'aprile 1996, sul conseguente Governo Prodi, sul fallimento della Commissione bicamerale per le riforme e sui successivi Governi D'Alema e Amato. Tuttavia, qualche parola va detta sul disegno di legge governativo che propose - fatto che non ha precedenti nella storia della Repubblica - per primo la modifica del titolo V della seconda parte della Costituzione. Il federalismo di quella proposta aveva un solo scopo: compiacere la Lega per evitare che essa tornasse ad allearsi con il Polo. Quella riforma, proposta dal Governo Amato, fu approvata con 4 soli voti di maggioranza. Venne poi il referendum confermativo dell'ottobre 2001, al quale però partecipò solo il 33 per cento dell'elettorato (vale a dire 11 milioni e 500 mila su 50 milioni di elettori). Se si fosse trattato di referendum abrogativo, la proposta - com'è noto - non sarebbe passata con tali percentuali.
Che quella riforma di marca Ulivo presenti distorsioni ed incongruenze, il primo a confermarlo e a riconoscerlo è l'ex Presidente della Corte costituzionale ed ex senatore della sinistra cattolica, Leopoldo Elia. Il meno che si possa dire è che quella fu una riforma incauta, sconsiderata, voluta ed approvata nella speranza di incrinare l'alleanza Polo-Lega.
Voglio essere franco e onesto: non dico queste cose per difendere l'attuale proposta di cosiddetta devolution; come liberale sento il dovere culturale e politico di segnalare non solo gli errori già commessi, ma anche quelli che a mio parere si rischia di commettere ora. Intendo fare un discorso sereno, privo di retorica e di motivazioni ideologiche. Quel che mi muove è, ripeto, un obbligo morale, oltre che un dovere politico-culturale. La mia esperienza, la mia cultura politica ed anche, se mi è permesso dirlo senza enfasi, la mia coscienza mi impongono di fare qui la parte del dissenziente, forse anche per conto di altri della maggioranza di centrodestra (maggioranza alla quale, lo sottolineo fortemente, mi sento fermamente legato per cultura e convinzioni).
Per favore - lo dico agli amici della maggioranza - non mi si venga a dire che
questa riforma era nel progetto elettorale della Casa delle libertà, perché di essa in quel progetto si parlava in termini assai generici. Così come si configura nell'attuale progetto, la riforma mi pare sia carica di rischi e credo che questi rischi e queste incongruenze sia giusto esaminarle e non sottovalutarle.
Voglio chiarire in questa sede che non sono affatto contrario al trasferimento di taluni poteri e competenze agli enti locali, in nome del principio di stabilire un rapporto più vicino e più fecondo tra cittadini ed istituzioni, ma con lealtà dico che considererei più corrispondente alla nostra storia una devolution di autonomia alle amministrazioni comunali. La tradizione politica italiana - ciò è noto anche ai ragazzi che studiano la storia - è soprattutto municipale. Ma lasciamo stare questo aspetto storico-culturale della disputa, esaminiamo invece, sempre con serenità e senza eccessi polemici, il modo con cui si tenta di attuare in Italia il federalismo.
Al di là dei pro e dei contro, una cosa mi pare innegabile: si è partiti con il piede sbagliato. Questa, del resto, non è solo la mia opinione, ma anche quella di esperti e studiosi, tra i quali vi sono non pochi degli auditi dalla I Commissione. Giustamente, è stato affermato che stiamo realizzando un processo al contrario, proprio così!
Non vi è dubbio che per la costruzione di uno Stato federale - come alcuni vorrebbero - occorrerebbe cominciare intervenendo sul titolo I della Costituzione.
MARCO BOATO. Titolo I della prima parte o della seconda?
EGIDIO STERPA. Titolo I della prima parte, l'articolo 5. Se ascolti, vedrai che cito l'articolo 5.
MARCO BOATO. No, no, per capire!
EGIDIO STERPA. Non dimentichiamo che l'articolo 5 della Costituzione recita inequivocabilmente che la Repubblica è una e indivisibile. Il che vuol dire che - ad articolo 5 invariato - nessuno può mettere in discussione la sovranità della Repubblica. Insomma, solo da questa sovranità può discendere il trasferimento di eventuali autonomie e competenze agli enti locali.
Faccio un esempio: in Lombardia, è in corso una disputa fra la regione e il ministro della salute, in quanto la regione con un proprio disegno di legge pretenderebbe di acquisire gli istituti di ricerca e di cura di valore scientifico che invece, oggi, dipendono dallo Stato. Semmai, dovrebbe essere lo Stato, con una propria legge, a devolvere la gestione di questi istituti alla regione.
È certamente un errore voler realizzare uno Stato federale un po' alla volta, a pezzi e bocconi, attraverso piccole e graduali riforme come, d'altra parte, si sta facendo. Questo modo di procedere - riconosciamolo - è irrazionale e illogico, scombinato e poco proficuo anche ai fini di un autentico federalismo. Si badi, lo dico da liberale unitario quale sono per cultura, ma in nome di una razionalità che, mi pare, manchi in questa vicenda.
Vi è senza dubbio irrazionalità nel fatto che, prima ancora di decidere la forma di Stato, prima di modificare la struttura statuale, prima ancora di stabilire quali poteri e quali competenze attribuire agli enti locali - nel nostro caso, ovviamente, le regioni -, siano stati creati i cosiddetti governatori. Sì, è innegabile, nel nostro attuale modo di procedere, vi sono irrazionalità e illogicità!
Va anche detto che tutte queste distorsioni e incongruenze sono dovute anche al fatto che il nostro presunto federalismo, in realtà, non ha né una base storica né una ragionevole ratio politica. Come insegnano la storia e la realtà politica, uno Stato federale nasce da un patto tra Stati sovrani - come, del resto, è avvenuto in America - che decidono di mettersi insieme spogliandosi di una parte della loro sovranità e attribuendola allo Stato federale.
Questo - occorre riconoscerlo - non è il caso dell'Italia ed è proprio questo che preoccupa, vale a dire il rischio che un
federalismo siffatto - che, sostanzialmente, è artefatto e non genuino - rompa i fili che ci tengono insieme come nazione da quasi un secolo e mezzo, fino magari a mettere in forse i sentimenti che, nel corso di tanti secoli, ci hanno fatto sentire italiani.
Ma non voglio drammatizzare. Voglio soltanto continuare - e rapidamente, signor Presidente - a ragionare. Un altro rischio, questo ancora più certo degli altri già accennati, è che l'aumento delle competenze alle regioni, stando alle modifiche che si vogliono approvare, provochi per esempio una lievitazione della burocrazia, come già avvenuto del resto con le regioni negli ultimi trent'anni fa, un aumento delle spese, ovviamente, e la crescita di baronie amministrative, con conseguente germinazione di clientelismo politico, il che è già in corso, in realtà. Tra l'altro, va notato che, a petto della richiesta di autonomia nei confronti del centralismo statuale, si stanno creando le condizioni per un neocentralismo regionale che già oggi gli altri enti locali minori lamentano. E mi fermo qui con la segnalazione di distorsioni e di incongruenze, anche se si potrebbe continuare ad elencarle.
Insomma, oltre a tutto ciò, il disegno di legge costituzionale che stiamo discutendo prospetta una frammentazione del sistema di tutela di fondamentali ed essenziali diritti dei cittadini, a danno peraltro delle regioni più disagiate. Su questo aspetto non mi dilungo perché il tempo a disposizione non me lo concede. C'è, inoltre, un'altra grande contraddizione, peraltro, costituzionale nel volere che ciascuna regione assuma, per propria decisione, poteri esclusivi in materia di sanità, di istruzione e di sicurezza. La contraddizione sta nel fatto che nell'articolo 117 della Costituzione al secondo comma è detto - cito tra virgolette - che «lo Stato ha legislazione esclusiva» - e sottolineo esclusiva - su materie come ordine pubblico e sicurezza, sia pure con esclusione della polizia amministrativa locale, su norme generali sull'istruzione e - testuale - «sulle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», tra le quali presumo ci sia anche la sanità.
Che senso ha, allora, proporre che le regioni abbiano competenza esclusiva - e sottolineo anche qui esclusiva - per le suddette materie, come detto nel disegno di legge che stiamo discutendo? A dir poco, c'è un'esclusiva di troppo: o la togliamo nel secondo comma oppure l'aboliamo nella modifica che ora il Governo propone, quella che, secondo le intenzioni, andrebbe inserita dopo il quarto comma dell'articolo 117 della Costituzione.
Concludo, signor Presidente. A correggere tali errori e ad evitare simili distorsioni e contraddizioni puntano i miei cinque emendamenti, i quali sono nient'altro che un invito alla razionalità. Questa riforma - è logico dopo quello che ho detto - non avrà il mio voto. Non può averlo. Sono - lo ripeto - fermamente ancorato a questa maggioranza, ma non mi si può chiedere di rinnegare la mia cultura politica e i miei convincimenti liberali e, persino, di oscurare la mia coscienza. Non voterò contro. So benissimo che il mio voto contrario, comunque, non bloccherebbe questo provvedimento. Lo so benissimo. Mi asterrò per segnalare il mio dissenso. E la mia astensione dal voto è adottata per dimostrare alla mia parte politica, alla maggioranza di cui faccio parte fermamente e con grande convinzione, che non sono un disertore.
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Tuccillo ha ritirato la propria richiesta di parlare ed anche l'onorevole Colasio.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, le minoranze linguistiche condividono l'obiettivo di questo disegno di legge. Infatti, da sempre, da cinquant'anni, in particolare la Südtiroler Volkspartei e la Union Valdôtaine si battono per riformare in senso più spiccatamente federalista l'ordinamento giuridico italiano. La nostra
perplessità nasce non tanto dagli obiettivi del presente disegno di legge, ma dalla sua formulazione e dall'interpretazione che si può dare a questo testo. Abbiamo seguito con grande attenzione le audizioni, con i pareri e le opinioni espresse da parte di autorevoli professori esperti di diritto costituzionale e sentendo queste audizioni le nostre perplessità non sono diminuite, ma anzi sono aumentate.
Esse iniziano con l'espressione «attivano la competenza esclusiva» e già su questo punto vi sono state varie opinioni molto contrastanti tra di loro. Abbiamo sentito il professor Cerulli Irelli il quale ci ha segnalato che, dopo la modifica introdotta dal Senato, ci sarebbe l'assoluta necessità di specificare se le regioni possono o devono attivare questa competenza esclusiva: «possono» implicherebbe un sistema differenziato e «devono» sarebbe un'altra cosa. Meglio sarebbe ancora scrivere che «hanno» questa competenza: in quel modo sarebbe certo che il successivo intervento del legislatore statale sarebbe escluso. Lo stesso hanno sottolineato i professori Rescigno e Gardini, come anche il professor Russo. Un'opinione contrastante è stata espressa dal professor Antonini il quale ci ha illustrato che, secondo lui, sarebbe chiaro che questa attivazione sarebbe una facoltà, un potere facoltativo. La professoressa Donella Resta, invece, ha interpretato la formulazione nel senso che le regioni hanno questa competenza, che non è una potestà: quindi, esse hanno questa competenza, con l'esclusione di un successivo potere legislativo dello Stato.
Ancora, la stessa incertezza regna in ordine alla portata del termine «competenza legislativa esclusiva», perché per la prima volta questo termine è stato introdotto nella Costituzione. Conosciamo questo termine negli statuti speciali delle 5 regioni ad autonomia differenziata, ma fino ad ora non era utilizzato nella Costituzione stessa. Ci si interroga allora sui limiti ai quali le regioni devono sottostare nell'esercitare questa nuova competenza esclusiva, che noi, come già sottolineato, salutiamo con grande favore. Tuttavia, vorremmo sapere a quali limiti devono sottostare le regioni se legiferano: devono rispettare i livelli essenziali di cui alla lettera m) dell'articolo 117 della Costituzione oppure no? Il Vicepresidente del Consiglio Fini è del parere che comunque questi livelli essenziali vadano rispettati e lo stesso ha sottolineato il ministro Bossi. Anche i professori Antonini, Gardini e Bognetti parlano degli stessi limiti, ossia questa competenza cosiddetta esclusiva dovrebbe sottostare agli stessi limiti della competenza residuale di cui all'articolo 117, comma 4, della Costituzione. Altri professori, invece, hanno sostenuto esattamente l'opposto, come il professor Cerulli Irelli, il professor Rescigno e il professor Ceccanti, i quali ci hanno detto in Commissione che non sarebbero gli stessi limiti e che questa competenza esclusiva implicherebbe una potestà di legiferare molto più ampia di quella residuale. Anche qui si vede che la formulazione non è chiara e che il testo, in parole povere, è scritto male.
Anche queste incertezze continuano in forma ancora più grave per quanto concerne le singole materie: scuola, sanità e polizia.
Riguardo alla scuola, non è chiara la portata dell'innovazione legislativa della quale stiamo discutendo. Il Vicepresidente del Consiglio Fini ha scritto ai deputati ed ai senatori di Alleanza nazionale sostenendo che la locuzione «organizzazione scolastica» implicherebbe solo una potestà di legiferare nei confronti degli organi periferici del ministero, delle direzioni regionali e dei dirigenti scolastici, ma certamente non nei confronti dei docenti e che la gestione scolastica riguarderebbe solo la contabilità, la manutenzione, la pulizia e la dotazione; si tratta di una portata molto limitata in ordine alle competenze che già oggi hanno le regioni.
Il ministro Bossi, durante l'audizione del 17 gennaio 2002, si è contraddetto affermando che anche le economie umane - cioè il personale - sarebbero incluse in questa competenza esclusiva. Nell'audizione del 15 ottobre 2002 - pochi mesi dopo -, nell'ambito della Commissione bicamerale per le questioni regionali, lo
stesso ministro ha invece sottolineato che la disciplina dello stato giuridico del personale docente rimarrebbe allo Stato; in questo caso mi domando dove sia la portata innovativa di questo disegno di legge costituzionale. La stessa incertezza si è protratta riguardo gli interventi del professore Rescigno, della professoressa Donella Resta e del professor Gardini. Tali professori sostengono che il personale sarebbe escluso da questa competenza esclusiva: ma senza personale che politica si intende perseguire sulla scuola? La provincia di Bolzano ha competenza riguardo il personale docente, quindi posso osservare che, senza il personale e senza poter disciplinare i contratti collettivi, non si riesce a portare avanti una politica sulla scuola. Quindi, se questa è la portata del provvedimento che andremo ad esaminare, posso affermare che si tratta di un grande bluff.
I professori Cerulli Irelli ed Antonini sostengono invece che questa locuzione sarebbe da interpretare nel senso che il personale scolastico è incluso. La mia critica quindi non è rivolta tanto all'obiettivo del disegno di legge costituzionale quanto alla mancanza di chiarezza. Infatti se ci troviamo di fronte ad interpretazioni così contrastanti vuol dire che il testo è scritto male.
Riguardo la sanità posso dire la stessa cosa, anche se in questo caso l'interpretazione data sia dal Vicepresidente del Consiglio Fini sia dai professori Donella Resta e Bognetti è identica e cioè si è concordi nell'affermare che il testo non ha portata innovativa, infatti l'assistenza e l'organizzazione sanitaria rientrerebbero già nella competenza esclusiva o residuale delle regioni, in virtù del riformato titolo V della Costituzione.
Anche riguardo alla polizia, non è chiaro dove sia la portata innovativa di questo disegno di legge costituzionale. Noi come esponenti delle minoranze linguistiche siamo chiaramente favorevoli da sempre ad aumentare i poteri delle regioni anche nel campo della pubblica sicurezza. In ogni caso, così com'è scritto il testo e viste le interpretazioni che ad esso sono state date, non vi è certezza che le competenze delle regioni siano significativamente aumentate. Il Vicepresidente del Consiglio Fini, nella famosa lettera scritta ai suoi parlamentari, sostiene che la locuzione «polizia locale» implicherebbe solo compiti di polizia amministrativa locale, quindi sarebbero esclusi compiti in ordine alla sicurezza pubblica. Osservo però che già in forza del testo vigente le regioni hanno competenza in materia di polizia amministrativa locale. Anche in tal caso, mi domando dove sia la novità, il grande federalismo annunciato dalla maggioranza, perché è difficile riscontrarlo. È la stessa interpretazione del Vicepresidente del Consiglio Fini, condivisa anche dal ministro Pisanu, dal senatore D'Onofrio, in occasione della discussione del testo al Senato, e dal ministro Bossi. Questa interpretazione molto restrittiva è stata avvalorata anche da un ordine del giorno approvato al Senato.
Il ministro Bossi, nella relazione presentata al disegno di legge ed in occasione di un'audizione svolta in I Commissione il 4 giugno del 2002, ha sostenuto che la nuova formulazione implicherebbe anche l'assunzione di compiti di sicurezza pubblica in ordine ai piccoli crimini, ma chi ci spiegherà che si intende per tale espressione? Anche diversi professori come Cerulli Irelli, Donella Resta, Antonini e Rescigno sostengono che da tale locuzione discenderebbero alle regioni compiti in materia di pubblica sicurezza; in tal caso riscontriamo che dalle interpretazioni offerte dai diversi personaggi politici, da esperti di diritto, sono possibili tutte le soluzioni (da zero a cento, vale a dire dall'autonomia pari a zero al suo incremento fino a cento). Dal testo in esame può discendere ogni soluzione, tutto o niente: questo è l'aspetto grave che non possiamo accettare. D'altra parte, le divergenze all'interno della maggioranza che attualmente governa sono talmente grandi che non si può esprimere ciò che si vuole perché non vi è, forse, un minimo di consenso intorno alla suddetta riforma che dovrebbe essere grande, ma, forse, non è nemmeno tale.
Credo sia inconcepibile lasciare alla Corte costituzionale il compito, che sarebbe proprio di questo Parlamento, di adottare le decisioni politiche sulla portata di queste norme. Questa scelta non può essere assunta se non modifichiamo il testo in esame. Siamo favorevoli alla devolution, lo ripeto, all'aumento delle competenze delle regioni, ma vorremmo capire - come forse tutti i cittadini italiani - la portata del nostro voto. Non possiamo accettare di votare una scatola chiusa anche perché è poco serio agire in tal modo.
Abbiamo, pertanto, presentato una serie di emendamenti, tutti costruttivi (non sono ostruzionistici) proprio per chiarire la portata del provvedimento. Auspichiamo, inoltre, che nel corso del dibattito sul provvedimento, i nostri dubbi (non solo nostri, ma credo di tutti) vengano chiariti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, intervengo sulla proposta di riforma costituzionale e sul relativo complesso degli emendamenti con una certa soddisfazione perché, finalmente, sembra che si stia muovendo qualcosa in questo paese. Poiché, tuttavia, molto si è già scritto relativamente al problema della devoluzione di poteri alle regioni ed agli effetti che potranno derivarne, mi permetto, in primo luogo, di svolgere alcune considerazioni di carattere generale che sono alla base dell'operato di questo Governo nella direzione del cambiamento.
Il disegno di legge costituzionale - è giusto ricordarlo - fa seguito ad altri provvedimenti proposti in maniera cristallina dalla Casa delle libertà in campagna elettorale ai cittadini-elettori.
L'intento era estremamente chiaro: avevamo promesso di rilanciare un paese stagnante, che si trovava fermo; un paese che aveva bisogno di quelle riforme istituzionali in grado di dare una possibile modernizzazione al sistema; un paese penalizzato da un debito pubblico enorme, con un record, a livello europeo, di disoccupazione femminile e giovanile, dovuto ad una rigidità dei contratti di lavoro del tutto indifendibile ai nostri tempi, con difficoltà economiche e storiche dovute sia alla scarsità di materie prime e sia alle irresponsabilità politiche che ci hanno privato di fonti energetiche proprie, tanto da dipendere ed essere ostaggio dei paesi esportatori di tali fonti.
È un paese che necessita di riforme concrete e applicabili perché, peraltro, è bloccato per mancanza di infrastrutture fin dagli anni sessanta e settanta e che non ha più investito una lira negli ultimi decenni; un paese che necessita di enormi cambiamenti, se si ricorda la profonda crisi morale e l'abbandono a se stesso relativamente agli aspetti dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, dove nove reati su dieci restano impuniti.
Da ultimo, ma non meno importante, da aggiungere alla serie delle riforme attuate con leggi ordinaria e costituzionale, il fenomeno dell'immigrazione che ha importato aspetti di delinquenza extracomunitaria a noi sconosciuti nei decenni precedenti, tanto che ormai un reato su sei è commesso da immigrati clandestini.
Oltre a tutto questo, non bisogna dimenticare l'aspetto più ingiustificabile dell'intera inefficienza italiana e che ha fatto perdere del tutto la fiducia dei cittadini nelle istituzioni: mi riferisco ovviamente alla giustizia. Una giustizia a dir poco in stato comatoso, ingolfata da milioni di processi in arretrato, nonostante l'alto numero di magistrati in servizio; magistrati, peraltro, incredibilmente politicizzati. Una giustizia che persegue i reati di opinione politica e lascia liberi magari, come è successo negli ultimi periodi, i condannati all'ergastolo già in primo grado e rilasciati per decorrenza dei termini processuali.
Ebbene, questo sistema, riassunto in tre parole, evidenzia una situazione disastrosa che ho voluto appositamente ricordare e che rende incredibili le posizioni politiche assunte a difesa di queste inefficienze dai gruppi di opposizione o, meglio, dalla sinistra comunista che detta i principi politici dell'intera opposizione. Una sinistra
che non vuole cambiare, non vuole ammodernare il sistema, alleata con gruppi politici, i Verdi, responsabili del blocco infrastrutturale dell'intero paese. Il loro è un «no» praticamente su tutto, come non si volesse riconoscere il bisogno urgente di uscire dallo stallo in cui ci troviamo, magari proponendo qualcosa di nuovo per uscire ad esempio dallo storico ed ormai insostenibile squilibrio economico e sociale esistente fra le regioni del nord d'Italia e quelle del sud d'Italia.
Si tratta di uno squilibrio insostenibile sia per chi lo subisce sia per l'alto sacrificio economico sostenuto dalle regioni padane che ormai sono costrette a portare all'estero la propria attività per salvarsi dai massacranti prelievi redistributivi che lo Stato attua a loro svantaggio e conseguentemente a svantaggio anche del costo dei loro prodotti che inevitabilmente finiscono fuori mercato.
Le conseguenze di tutto questo sono devastanti e lo stiamo già vivendo nel nord est, la patria dell'imprenditoria minore, che sta chiudendo vorticosamente centinaia di laboratori, frutto di sacrifici di decenni di duro lavoro, i quali non riescono più resistere agli effetti di una globalizzazione senza regole etiche e agli effetti delle distorsioni interne insopportabili per gli alti costi dell'assistenzialismo sia di origine buona sia di origine fraudolenta.
Per risolvere questi gravi e strutturali problemi, molto è già stato fatto. Mi riferisco, ad esempio, all'approvazione della nuova legge obiettivo sulle infrastrutture per il rilancio delle grandi opere pubbliche, che permetterà fin dall'inizio del 2004 la creazione di moltissimi posti di lavoro, con il conseguente rilancio dell'intera economia del paese. Certo, le nuove opere si inaugureranno tra cinque o sei anni, ma con la sinistra al Governo non si sarebbe mai cominciato assolutamente nulla. Quindi, serve la volontà e la determinazione costante di cambiare effettivamente le cose e serve anche sapere che gli errori storici di un paese non si risolvono con un colpo di bacchetta magica, ma lavorando ai problemi con la convinzione di risolverli e - quello che è importante - con una informazione costante che tenga aggiornati i cittadini su quello che si sta facendo per loro.
Proprio per rendere meno politicizzata anche l'informazione, mi sembra che qualcosa si stia muovendo anche in casa RAI, dove la sinistra aveva collocato uomini e programmi a proprio vantaggio, per continuare ad operare indisturbata anche dopo aver perso le elezioni, in attesa di tempi migliori. Un intervento, quindi, doveroso, che ha stupito solo chi non ha voluto capire che per mancata informazione di solito si perdono le elezioni.
Importante è stata anche l'approvazione della nuova legge sull'immigrazione, purtroppo a tutt'oggi osteggiata dai giudici di sinistra, che si inventano mille cavilli ed interpretazioni per non applicarla, ma che comunque sta dando risultati lo stesso: 88 mila sono stati gli espulsi effettivi nel 2002, rispetto ai poco più di 50 mila nel 2001. Le regolarizzazioni e gli accertamenti delle identità, con i rilievi fotodattiloscopici, per conoscere i nostri ospiti e soprattutto i clandestini - che finora, cambiando sempre generalità, rimanevano di fatto sempre impuniti -, il contratto di lavoro e l'abitazione certa per poter ottenere i permessi di ingresso sono una serie di interventi che si dovevano attuare e che sono stati attuati.
Una legge finanziaria che, nonostante la crisi mondiale, è riuscita per la prima volta a diminuire il prelievo fiscale per ben 26 milioni e mezzo di cittadini dipendenti e pensionati, fino ad un reddito di 25 mila euro annui (quasi la totalità dei lavoratori del nostro paese). Ora confermiamo il secondo passaggio della devoluzione di poteri alle regioni.
In questi giorni si sta lavorando anche alla riforma del mondo del lavoro ed è giusto anche a questo proposito fare alcune considerazioni. Si riforma il mondo del lavoro e della previdenza allo scopo di fornire strumenti in linea con i tempi che viviamo. Anche in questo caso, le critiche della sinistra non mancano, ma noi sappiamo che chi è responsabile di aver creduto in sistemi totalitari che hanno
affamato mezzo mondo non ha titolo a parlare del mondo del lavoro e tanto meno delle politiche economiche...
MARCO BOATO. Non dire troppe stronzate!
LUCIANO DUSSIN. Sta attento perché la prossima volta va finire male!
GIANCLAUDIO BRESSA. Ma va a finire male cosa?
LUCIANO DUSSIN. Presidente, non ho alcuna intenzione di essere offeso da un imbecille come Boato (Commenti)!
PRESIDENTE. No, no, no, onorevole Luciano Dussin...
LUCIANO DUSSIN. La pregherei, Presidente, di stare attento a quello che sta succedendo, perché non mi sono mai permesso di offendere nessuno, qua dentro!
MARCO BOATO. Lo stai facendo adesso!
LUCIANO DUSSIN. Le stronzate non le ho mai dette io!
MARCO BOATO. Ha parlato dei sistemi totalitari!
LUCIANO DUSSIN. Vergognati! Sei un imbecille...
PRESIDENTE. No, onorevole Luciano Dussin!
LUCIANO DUSSIN. ...e anche deficiente! Perché io ritengo...
PRESIDENTE. Onorevole Dussin, mi scusi!
LUCIANO DUSSIN. Mi ha offeso, Presidente!
MARCO BOATO. Ha offeso lui per primo! Basta leggere lo stenografico!
LUCIANO DUSSIN. Presidente, a memoria sua, io non ho mai offeso alcuno in quest'aula!
PRESIDENTE. Benissimo!
MARCO BOATO. Ha offeso lui per primo!
LUCIANO DUSSIN. Non ho mai offeso nessuno, Boato! Devi vergognarti, devi!
PRESIDENTE. Onorevole Boato, la prego... Onorevole Dussin, le chiedo scusa, la interrompo un attimo...
MARCO BOATO. Ho offeso lui per prima!
LUCIANO DUSSIN. Non ho mai offeso nessuno!
PRESIDENTE. Io non posso consentire che, in quest'aula, ci siano offese tra colleghi. Quindi, onorevole Boato, per la verità non ho ascoltato perché lei è senza microfono, ma se lei si è rivolto, offendendo il collega Dussin, devo riprovare questo suo con comportamento.
MARCO BOATO. Lei, Presidente, avrebbe dovuto ascoltare quello che ha detto prima il collega Dussin!
LUCIANO DUSSIN. Esprimo dei concetti politici senza offendere nessuno!
MARCO BOATO. Lui ha offeso per primo!
PRESIDENTE. Però, onorevole Dussin, il fatto che un collega eventualmente la offenda...
MARCO BOATO. Ha offeso lui per primo!
PRESIDENTE. ...non le dà titolo di rispondere allo stesso modo, altrimenti quest'aula diventa un luogo di scontro!
LUCIANO DUSSIN. Ha ragione!
MARCO BOATO. Ma lui ha offeso prima!
PRESIDENTE. La prego, dunque, di astenersi, per il futuro, dal rispondere ad eventuali offese! Ci pensa la Presidenza ad intervenire!
LUCIANO DUSSIN. La prossima volta la avviserò, Presidente.
MARCO BOATO. Le offese le ha rivolte lui prima, Presidente! Lei, Presidente era distratto e non ha ascoltato!
PRESIDENTE. Prenderò il resoconto stenografico e poi porteremo la vicenda, se sarà necessario, in Ufficio di Presidenza...
LUCIANO DUSSIN. La ringrazio, Presidente!
PRESIDENTE. ...ma non tollero che in aula avvengano questi scontri!
MARCO BOATO. Ha detto che la sinistra ha sostenuto i sistemi totalitari: questo ha detto! Ha chiamato concetti politici!
LUCIANO DUSSIN. Continuo con i miei concetti politici che possono non essere condivisibili - lo ripeto - senza offendere nessuno.
Ricordavo che l'importante è che di questo si faccia memoria con una corretta informazione (Commenti del deputato Boato). Posso continuare, Presidente?
PRESIDENTE. Onorevole Boato, cosa succede ancora? L'onorevole Dussin sta parlando; mi pare che, in questo momento, non stia offendendo!
LUCIANO DUSSIN. L'onorevole Boato non può interrompere un deputato che sta parlando! Se vuole, parlerà dopo!
PRESIDENTE. Onorevole Boato, non capisco: se ha qualcosa da dire, può intervenire successivamente. Prosegua, onorevole Dussin.
LUCIANO DUSSIN. L'importante è che di questo si faccia memoria con una corretta informazione anche per i giovani che ignorano queste responsabilità storiche perché, se non se ne parla, alla fine ci si dimentica delle responsabilità e magari si finisce ad ascoltare alcuni esponenti politici che pontificano in Tv su temi quali l'economia ed il mondo del lavoro e che francamente lasciano sgomenti proprio per le responsabilità storiche citate precedentemente.
Quindi, siamo in attesa dei grandi cambiamenti nel mondo della giustizia, del pacchetto che riformerà il codice penale e la salvaguardia dei cittadini contro i delinquenti di ogni genere. Abbiamo stanziato fondi anche per costruire sedici nuove carceri al fine di fornire le risposte che finora non sono state date.
Ho voluto ricordare appositamente questi impegni perché il lavoro che la Casa delle libertà sta impostando coinvolge tutto l'assetto dello Stato, attraverso la logica che, se nulla funziona, tutto deve essere rivisto. A sua volta, la riforma in senso devolutivo di poteri alle regioni si accompagna al disegno di legge La Loggia (si accompagnerà, probabilmente, anche ad un nuovo progetto di riforma del titolo V che il Consiglio dei ministri credo proporrà tra breve), tutto per chiarire la confusione imperante di attribuzione di poteri che la sinistra aveva provato negli ultimi giorni della scorsa legislatura; ciò si accompagna anche alla preparazione, per dar seguito alle previsioni dell'articolo 119, in termini di risorse da attribuire alle regioni. Non da ultimo, vi è la proposta di abbinare - come ricordavo prima - alla devoluzione anche un'ulteriore rivisitazione dell'articolo 117, affinché diminuiscano le competenze concorrenti ed aumentino le certezze di attribuzione di funzioni esclusive dello Stato e delle regioni in modo da diminuire il blocco legislativo dovuto alla mancanza di certezze
nelle competenze. Riforme a tutto campo erano attese da decenni ed ora sembra si stiano attivando.
Qualcuno del centrosinistra afferma che non cambierà nulla, altri sono sicuri che sarà una rivoluzione pericolosa per l'unità del paese. L'onorevole Violante parlava di pericolo di successione: devono mettersi d'accordo anche su questo tema perché di sicuro ancora non si capiscono!
Sembra essere certa l'attivazione, contro la nuova legge, di un referendum popolare il cui tema imperante si può già immaginare: le regioni ricche contro quelle meno ricche! Anche stavolta l'informazione sarà fondamentale per smascherare quelle che, secondo me, sono bugie; altrimenti, perderemo un'occasione storica per modernizzare il paese responsabilizzando i governi regionali.
Ricordo l'esito dell'ultimo referendum, che riguardò le modifiche costituzionali del centrosinistra - fatte a colpi di maggioranza e con scarti minimi -, che si è concluso con un elevatissimo costo a fronte di un sì ottenuto da un cittadino su otto aventi diritto di voto e che ha confermato poco o nulla: infatti, poco è cambiato rispetto alla Costituzione vigente!
Quindi, una corretta informazione sarà opportuna per contrastare le intenzioni dell'opposizione. A tale proposito, mi permetto di suggerire ai colleghi della maggioranza di fare riferimento, ad esempio, alle osservazioni svolte in Commissione dal professor Luca Antonini, il quale, in maniera molto chiara, ha inteso spiegare i termini del contendere relativamente alla proposta di devoluzione in esame.
Nel merito, deve essere ricordato che il procedimento previsto dall'attuale articolo 116, ultimo comma, della Costituzione, sebbene possa concernere alcuni degli oggetti della devoluzione, è cosa diversa da quest'ultima. Quello dell'articolo 116 è, infatti, un procedimento che, in ultima istanza, viene deciso dall'alto, cioè dal Parlamento, con il pericolo di intese con singole regioni (magari dello stesso colore politico) o di condizioni più favorevoli per alcune regioni rispetto ad altre. Non vi sarebbe nulla da meravigliarsi, dal momento che, già oggi, le regioni a guida centrosinistra godono di una spesa sanitaria pro capite di solito superiore alle altre.
La devoluzione, invece, parte dal basso e rimane nella completa disponibilità dell'autonomia regionale. Questa differenza è fondamentale per capire la portata dell'innovazione, perché la devoluzione consentirebbe di attivare competenze regionali di tipo esclusivo anche in presenza di un clima, a livello centrale, poco favorevole alle istanze autonomiste e, magari, votato ad interpretare in modo estensivo la propria competenza sui principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente.
Il professor Antonini portava l'esempio del cosiddetto decreto legislativo Bindi, ora abrogato, che obbligava le regioni a seguire un solo modello di sanità ed una sola organizzazione sanitaria: quella dell'ex ministro, appunto. Ebbene, secondo noi, ciò non deve più accadere.
A chi teme questa legge, deve ancora essere ricordato che l'articolo 116, voluto dal centrosinistra, potrebbe - non succederà mai, ma potrebbe verificarsi in astratto - determinare un'estensione della competenza regionale esclusiva alla tutela della salute nel suo complesso e non soltanto ai modelli di organizzazione sanitaria oppure, in materia di istruzione, potrebbe condurre addirittura al superamento delle norme generali, rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, mentre, nel caso della devoluzione, la competenza esclusiva rimane limitata ai modelli di organizzazione scolastica e, per quanto riguarda i programmi, alle parti di interesse regionale.
Quindi, l'onorevole Violante si tranquillizzi perché il suo articolo 116 potrebbe essere, da una parte, discriminatorio e, dall'altra, potenzialmente più aggressivo del disegno di legge costituzionale in esame.
Passiamo alle materie oggetto della devoluzione - la sanità, l'istruzione e la polizia locale -, che, peraltro, sono anche le più vicine alle esigenze di cittadini, cominciando a considerare la sanità. Allo
Stato rimarrebbe comunque la competenza sui principi fondamentali in materia di tutela della salute, ad eccezione della parte che divenisse esclusiva per le regioni riguardante i modelli di organizzazione sanitaria, che, peraltro, sarebbero coerenti con la tendenza recente dell'ordinamento a decentrare anche la responsabilità finanziaria in materia di sanità, proseguendo la responsabilizzazione finanziaria che non è certo favorita dalla commistione delle competenze. Inoltre, è giusto ricordare che l'assistenza sociale è già di competenza regionale, però in questo caso non vengono prospettati rischi di disgregazione che, invece, vengono ipotizzati per l'assistenza sanitaria. Eppure, ad essere onesti, la materia è molto vicina.
Per quanto riguarda l'istruzione, occorre dire che la tutela dell'autonomia funzionale è riconosciuta alle istituzioni scolastiche; alla regione viene, quindi, data la possibilità di attivare una propria competenza legislativa esclusiva in materia di distribuzione degli istituti, delle risorse e delle economie sia umane sia strumentali, in materia della gestione degli istituti scolastici e della strutturazione dell'offerta dei programmi, per la parte però di specifico interesse regionale.
Per quanto riguarda la polizia locale, materia non compresa nell'ultimo comma dell'articolo 116, la possibilità regionale di organizzare forme di prevenzione in relazione al fenomeno dei piccoli crimini può essere una estrinsecazione del principio di democraticità e di sussidiarietà verticale, perché consente al livello di governo più vicino ai cittadini di cogliere meglio situazioni e bisogni della collettività, consentendo ad essa poi di fare più direttamente le sue valutazioni al momento del voto. Considerato che la polizia amministrativa locale è già di competenza esclusiva regionale, la devoluzione legittimerebbe le regioni a disciplinare quelle funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza già riconosciute in capo ai corrispondenti servizi comunali di polizia municipale.
La competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e di sicurezza, pur continuando a sussistere come competenza statale, verrebbe quindi a cedere qualche ambito materiale alla legislazione esclusiva delle regioni che attivassero la propria legislazione in materia di polizia locale. È importante notare che rimane ferma in ogni caso la competenza statale configurata nell'articolo 118, terzo comma, in cui si prevede la competenza della legge statale a dettare forme di coordinamento nelle materie di cui alle lettere b) ed h) dell'articolo 117 (immigrazione, ordine pubblico e sicurezza). Quindi, anche nel caso fosse attivata la legislazione esclusiva regionale in materia di polizia locale, la legge dello Stato rimarrebbe abilitata a dettare forme di coordinamento. Fatte queste precisazioni, che smentiscono i catastrofismi evocati dalla sinistra, deve essere chiarita l'espressione «le regioni attivano».
Tale espressione sembrerebbe suggerire l'obbligo di attivare la competenza, posto però che la soluzione ad un obbligo regionale non ottemperato è il potere sostitutivo statale, che, in questo caso, non sarebbe neanche consentito dalla lettura dell'articolo 120 della Costituzione, non esistono forme per rendere operativo tale obbligo e la possibilità dell'attivazione è sostanzialmente rimessa alla volontà delle singole regioni.
Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 510 del 2002 ha messo in evidenza che già nelle materie attualmente assegnate alla competenza regionale residuale, dunque primaria, le regioni, se vogliono, possono attivare la propria competenza legislativa sostituendo la loro legislazione a quella statale, lasciando intendere che, se ciò non avviene, è come se le regioni, rinunciando a legiferare, ad esempio in materia di turismo o di assistenza sociale, dimostrassero acquiescenza alla legge statale ed ai suoi contenuti che, pertanto, continua a rimanere in vigore in quella regione. Da questo punto di vista, dunque, il rischio di un regionalismo a due velocità, tanto annunciato dalle sinistre, è già insito nell'attuale titolo V della Costituzione, non solo per le previsioni dell'articolo 116 già citate ma anche per la mole
di materie attribuite alla competenza regionale e che rientrano nella logica della sentenza citata.
Da parte nostra, riteniamo che un regionalismo differenziato potrebbe portare quei risultati positivi già visti in Spagna dove alcune regioni, partite per prime, hanno favorito lo sviluppo dell'autonomia di tutte le altre e, in sostanza, la differenziazione ha premesso l'uniformità verso l'alto per tutti. Al contrario, il metodo, l'uniformità, seguito in Italia per 30 anni, ha dato risultati opposti. Nei decenni, il rischio dell'autonomia è stato misurato sulle realtà più arretrate; in questo modo, anche alle regioni più avanzate è stata concessa, o sarà concessa, solo quell'autonomia che sembrava credibile in relazione alla situazione più arretrata. Così facendo, però, è stato danneggiato tutto il sistema paese.
Anche per questo motivo, è auspicabile l'appuntamento con la nuova Camera delle autonomie affinché si realizzi quel circolo virtuoso che, finora, il centro di comando non ha saputo attivare. In buona sostanza, la nostra contrarietà agli emendamenti proposti è dovuta alla nostra filosofia che ci porta ad avere fiducia nei governi regionali e non ad averne paura; questo è il principio cui è ispirata questa riforma costituzionale ed è per questo che apprezziamo l'intenzione di approvarla al più presto.
Vorrei ricordare un'ultima cosa per chi continua a parlare di catastrofismo o disgregazione del paese: l'attuale Costituzione già prevede il giusto rispetto dei principi fondamentali per tutti, il giusto rispetto dei livelli assistenziali e sociali per tutti, in tutte le regioni e prevede già - e nessuno si sogna nemmeno di toccare questa previsione - il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di qualche regione che non rispettasse i principi appena enunciati; esiste, poi, la Corte costituzionale che potrà risolvere eventuali diatribe nel rispetto dei principi fondamentali e resta in mano allo Stato la capacità di nuova perequazione di fondi alle regioni, in modo che a tutte le regioni venga assicurato quel potere di intervento economico tale da garantire i livelli assistenziali a tutti i cittadini della Repubblica italiana. Dunque, con questa proposta di riforma costituzionale, si vogliono soltanto valorizzare le potenzialità delle regioni, dei governi regionali, visto e considerato che, purtroppo, finora, la gestione oltremodo centralizzata del sistema ha fatto sì che questo paese, come ricordavo all'inizio, si trovi con uno dei debiti pubblici più alti d'Europa e con una percentuale di disoccupati maggiore di tutti paesi europei per le rigidità che ho ricordato prima.
Per queste ragioni è giusto e doveroso cercare di valorizzare le potenzialità, che finora sono state mortificate, insite nei nostri governi regionali.
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, avevo la sensazione che questa mattina fossimo stati convocati alle 10 per affrontare l'esame di questo provvedimento. Avevo anche avuto notizia che i deputati delle opposizioni che avevano manifestato l'intenzione di chiedere la parola avrebbero desistito dal farlo, proprio per accelerarne l'esame. Pertanto immaginavo, come penso anche tutti i colleghi, che questa mattina saremmo stati impegnati con le prime votazioni su questo disegno di legge. Ho ascoltato con attenzione l'intervento del collega Sterpa che, in apertura di seduta, ha voluto giustamente ricordare a noi tutti quanto sia importante per il Governo il presente provvedimento, che ha nella Lega, e nell'attività del ministro Bossi, un punto di riferimento essenziale.
Ebbene, mi sembra sia in atto una nuova forma di ostruzionismo parlamentare (che, per carità, rispetto): siamo cioè passati dall'ostruzionismo che la Lega aveva mostrato nei confronti della propria maggioranza ad un ostruzionismo nei confronti del proprio partito! Mi risulta, infatti, che abbiano chiesto di parlare altri dieci deputati della Lega: ebbene, se volete
parlare, vuol dire che siete dissidenti da voi stessi e che non sapete neanche cosa esattamente andiate cercando!
Signor Presidente, cerco di spiegarle, come posso e con le capacità di cui dispongo, quale sia la ragione del mio intervento: mi riferisco al fatto, che lei stesso può apprezzare, che è in corso una forma di ostruzionismo da parte di un partito della maggioranza nei confronti di un provvedimento della maggioranza voluto dallo stesso partito che sta ora attuando tale ostruzionismo, un provvedimento presentato da un ministro che è esponente di questo partito. È un capolavoro parlamentare, rispetto al quale credo sia utile informare l'Assemblea sui possibili sviluppi, anche per le sorti del presente dibattito, atteso che credo noi tutti siamo interessati ad entrare nel merito del provvedimento ed a procedere con le votazioni degli emendamenti e degli articoli di questo disegno di legge.
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, in base al regolamento, hanno chiesto di parlare tredici deputati, i quali hanno diritto di parlare ed ai quali certamente non posso impedire l'esercizio di questo diritto, previsto dal nostro regolamento.
CESARE RIZZI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, trovo assurdo che ogni volta l'onorevole Giachetti intervenga per sollevare problemi di regolamento; è di sua competenza, signor Presidente, regolare questi interventi e pensavo che avrebbe risposto in un altro modo, perché ogni volta l'onorevole Giachetti si permette di criticare l'operato della Lega! Ogni volta che interviene, egli deve criticare i regolamenti della Camera!
PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, il suo non è un intervento sull'ordine dei lavori, come non lo era l'intervento dell'onorevole Giachetti, che ho infatti stigmatizzato, credo, in maniera adeguata. Ritengo pertanto si possa proseguire nell'esame del provvedimento.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, anch'io vorrei ricordare al collega Giachetti che il regolamento è il regolamento: non credo che se lo possa inventare! Non è che ogni volta che qualche parlamentare della Lega vuole intervenire per sottolineare l'importanza di un argomento sia in atto, in automatico, qualche forma di ostruzionismo nei confronti dell'opposizione, della maggioranza o della stessa Lega. Allo stesso modo non si vuole spaccare il Governo, mandare a casa tutti o fare chissà quale disastro.
DARIO GALLI. In questa Assemblea avvengono passaggi importanti che devono essere giustamente sottolineati. Se i parlamentari della Lega nord Padania intendono comunque sottolineare l'importanza del provvedimento che oggi si inizia a discutere, considerato anche che il suo iter non sarà certo breve, mi pare che ciò sia assolutamente consentito dal regolamento e sia anche nell'ambito dei legittimi diritti dei parlamentari della Lega stessa e di tutto questo consesso. Tutta questa stucchevole sottolineatura con la quale si ribadisce che ogni volta che interveniamo ripeteremmo le stesse cose sta diventando semplicemente noiosa, oltre a non essere di alcuna utilità per l'Assemblea.
Entrando nel merito del provvedimento oggi al nostro esame, vorrei ricollegarmi ad alcuni interventi svolti da qualche collega della maggioranza per chiarire alcuni aspetti; innanzitutto, il passaggio oggi alla Camera di questo disegno di legge - noto come devoluzione - è sicuramente da considerarsi storico.
Infatti, è uno dei fondamenti del programma della Casa delle libertà, che ha vinto le elezioni del 2001 e che sta legittimamente
governando il paese; se tale provvedimento andrà a buon fine, innescando una vera riforma istituzionale, esso cambierà in maniera sostanziale la gestione pubblica del nostro paese, con tutto ciò che ne consegue per i cittadini e le istituzioni.
Il provvedimento in oggetto può sembrare relativamente limitato poiché, oltre ad essere composto da poche righe, esso interviene - come sottolineato dal mio collega in precedenza - solo in tre settori, che però sono particolarmente importanti per la vita quotidiana dei cittadini: la sanità, la scuola e la sicurezza, materie sulle quali le regioni esercitano già una parziale potestà. Da qualche anno, infatti, la sanità è gestita quasi direttamente dalle istituzioni regionali, mentre la scuola gode di una certa autonomia di cui non disponeva in precedenza da quando, un paio d'anni fa, la maggioranza attuale ha varato le prime riforme: sono stati avviati alcuni interventi di tipo organizzativo (relativi, ad esempio, alla graduatoria degli insegnanti o alla possibilità dei presidi di assegnare posti fuori graduatoria, pur di dare inizio regolare all'anno scolastico) che, pur nella loro semplicità, stanno già fornendo risultati significativi. Per quanto riguarda la sicurezza, si tratterebbe di una iniziativa particolarmente importante, poiché oggi le uniche forze di polizia che fanno capo agli enti locali sono i vigili urbani, la polizia provinciale e poco altro.
Il risultato odierno è frutto della storia di molti anni, in particolare del nostro movimento, che ha reso la battaglia federale una delle proprie essenziali ragioni politiche. Per anni è stato scritto sui giornali o spiegato dai mass media che il nostro partito è nato con intenti localistici, se non addirittura razzisti o antimeridionalistici: la Lega nord Padania è nata, invece, per risolvere situazioni oggettive che la Costituzione e le istituzioni esageratamente centraliste del nostro paese avevano creato negli anni.
Ricordo che ancora oggi esiste una enorme disparità, soprattutto da un punto di vista fiscale, tra le varie regioni d'Italia: il gettito fiscale pro capite che giunge dalle varie regioni italiane è significativamente diverso tra le regioni del nord, del centro e del sud, mentre il territorio non riceve equivalenti benefici in termini di servizi ed infrastrutture.
La Lega non sostiene che ciò debba essere inteso in senso assoluto: appartenendo, infatti, ad una unica unità amministrativa e politica, è ovvio che una certa dotazione di servizi di base ed un livello minimo di decoro debbano, giustamente, essere garantiti a tutti i cittadini. Riteniamo però che la situazione odierna sia assolutamente insostenibile: a fronte di un impegno - per ragioni storiche, sociali, economiche - diverso dei cittadini delle varie regioni d'Italia, i risultati in termini di servizi e di infrastrutture non solo non sono equivalenti per tutti ma, in alcuni casi, ci troviamo di fronte a casi in cui le regioni che più contribuiscono alla collettività, meno ricevono dalla collettività stessa.
Ricordo solo un dato: se ne potrebbero ricordare tanti, ma in quest'aula vi è l'abitudine di dire molte parole senza esprimere con qualche numero la realtà dei fatti che si stanno descrivendo. Ricordo che da moltissimi anni - mi esprimo in vecchie lire in modo che il concetto sia più facilmente comprensibile da parte di tutti - la regione Lombardia ha uno sbilancio complessivo di circa 100 mila miliardi all'anno, cioè circa 10-11 milioni per i 9 milioni di cittadini lombardi. Tale sbilancio è il calcolo puramente ragionieristico della differenza tra tutto quello che esce sotto forma di tasse, contributi e quant'altro i cittadini lombardi pagano ai vari istituti centrali statali e quanto rientra nello stesso territorio sotto forma di servizi o di infrastrutture. Dunque, ogni anno, tra quello che esce dai confini della regione Lombardia sotto forma di tasse e quello che rientra sotto forma di servizi di tutti i tipi da parte dello Stato vi è uno sbilancio, negativo per la regione Lombardia, di circa 100 mila miliardi. In realtà, questo è un numero di qualche anno fa per cui oggi la cifra sarà, probabilmente, superiore.
È evidente che uno Stato che si permette di avere una propria regione, abitata da propri concittadini - in questo caso nemmeno pochi - in tali condizioni senza intervenire per perequare la situazione e, soprattutto, senza nemmeno porsi il problema di una situazione così insostenibile, è uno Stato che non fa complessivamente il proprio dovere.
La regione Lombardia con i suoi 9 milioni di abitanti, se fosse uno Stato autonomo, avrebbe un numero di abitanti superiore a quello di metà dei paesi che compongono l'Unione europea. Inoltre, da sola costituisce circa un terzo del prodotto interno lordo dell'intera nazione italiana, cifra che sarebbe ancora superiore se vista in termini di valore aggiunto.
Lo stesso si può dire, anche se in misura minore essendo meno popolate, per le altre principali regioni del nord. Dunque, complessivamente, abbiamo una situazione fiscale che vede le regioni del nord Italia pagare col proprio surplus di tasse i deficit di consumo delle altre regioni italiane, in particolare quelle meridionali.
A fronte di ciò esaminiamo nel merito anche le altre cifre dei servizi che i cittadini lombardi, e settentrionali in generali, ricevono. Abbiamo parlato di sanità. In quest'aula si è spesso criticato, soprattutto da qualche ex ministro del centrosinistra, il modello lombardo. Lo si è criticato sempre a parole, facendo filosofia, senza mai entrare nel merito dei numeri, quelli che contano nell'amministrazione. Ricordo che la sanità in Lombardia funziona sicuramente in maniera decorosa, dato che mi risulta che molti cittadini arrivino da altre parti d'Italia per farsi curare negli ospedali lombardi mentre il fenomeno inverso è limitatissimo. Nonostante ciò il sistema lombardo non costa più dei sistemi sanitari regionali del resto d'Italia. Infatti, la spesa pro capite della sanità lombarda, che si attesta intorno al milione e mezzo per abitante, è di circa 150-200 mila lire (circa 70-80 euro) inferiore alla media nazionale.
Il fatto che poi quello che succede in Lombardia venga comunque pubblicizzato - mentre molte regioni italiane si permettono di far passare anni senza nemmeno presentare i propri bilanci - è altro discorso. Nonostante questo, dicevo, il sistema sanitario lombardo costa meno della media nazionale e viene integralmente pagato dai cittadini lombardi, che sono così virtuosi - definiamoli così - da pagare anche la sanità di altre regioni, tant'è che la regione Lombardia vanta ormai da anni qualche decina di migliaia di miliardi di crediti nei confronti delle aziende sanitarie di altre regioni, che dovrebbero pagare i servizi fruiti dai propri cittadini in Lombardia; questi crediti non vengono invece pagati, per cui la regione Lombardia, oltre a pagare la propria sanità, deve pagare anche la sanità delle altre regioni.
Ci troviamo quindi in una situazione assurda, nella quale i cittadini lombardi pagano comunque molte più tasse della media nazionale, hanno una sanità che funziona decorosamente - certo non per merito di altri, ma per merito degli operatori sanitari lombardi -, mantengono quota parte della sanità delle altre regioni e in più contribuiscono, con la propria fiscalità generale, a coprire il buco prodotto dalle aziende sanitarie di altre regioni (la regione Campania in questo, devo dire, è veramente la prima della classe!); quindi attraverso le proprie tasse devono addirittura coprire i bilanci di altre regioni.
Parlando invece della scuola, che rappresenta un'altra materia che la devoluzione dovrebbe attribuire alla gestione diretta da parte delle regioni, anche in questo caso le scuole del nord si caratterizzano, oltre che per un funzionamento comunque accettabile, per un numero di dipendenti - e queste sono statistiche ufficiali ISTAT, non sono certo dell'ufficio stampa della Lega nord Padania o di qualche ufficio studi legato al nostro movimento - in media del 30-40 per cento in meno rispetto alle altre scuole, in particolare a quelle delle regioni meridionali. Pertanto anche in questo caso ci veniamo a trovare nella situazione assurda per cui cittadini che pagano il doppio delle tasse
dei cittadini di altre regioni alla fine si trovano ad avere una scuola spesso sotto organico, dove le lezioni iniziano in ritardo perché non ci sono i professori (e quando ci sono cambiano spessissimo nei primi mesi dell'anno scolastico), e si trovano nella situazione di dover spesso ricorrere alla scuola privata (non per volontà di non far partecipare i propri figli alla scuola pubblica, ma perché veramente se si vuole dare loro un'educazione che sia come minimo accettabile si deve ricorrere anche a quest'altro tipo di istruzione).
Anche se le prime misure adottate dal ministro Moratti hanno già posto, come dicevo all'inizio, parzialmente rimedio a questa situazione, perlomeno permettendo di fare graduatorie non più a livello nazionale e permettendo ai dirigenti scolastici di ricorrere a nomine dirette quando le cattedre sono scoperte, tuttavia ci troviamo ugualmente nella situazione assurda in cui le regioni che pagano più tasse si trovano poi ad avere una dotazione, anche in campo scolastico (che è quello più importante perché lì si formano i cittadini del futuro), al di sotto della media nazionale.
Infine, l'ultimo argomento, quello della sicurezza, richiede veramente una trattazione particolare, perché, mentre nel caso della sanità vi è più che altro un problema di immagine sui giornali ma la realtà funziona abbastanza bene, così come nel caso della scuola vi sono dei problemi ma che in qualche modo vengono superati, per quanto riguarda la sicurezza la situazione delle regioni del nord è assolutamente inaccettabile. Ricordo che in Italia tra Polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza e Corpo forestale (che qualche volta svolge anche funzioni di pubblica sicurezza) abbiamo una quantità di persone in divisa che è percentualmente la più alta dei paesi occidentali: il doppio della Germania, il triplo dei paesi scandinavi, nonostante mi pare in quei paesi le cose, anche nel campo della sicurezza, funzionino ben diversamente, possiamo aggiungere ben meglio che nel nostro paese. Questo numero di persone in divisa porterebbe ad avere sul territorio circa 1 agente ogni 200 cittadini. Quindi, fatta salva qualche situazione particolare, dovremmo avere in tutte le regioni d'Italia più o meno questa distribuzione. In realtà i numeri sono invece i seguenti.
Nelle regioni del nord - mi riferisco, ad esempio, alle province di Varese, di Como, che tra l'altro sono province di confine e, dunque, dovrebbero avere una maggiore dotazione - vi è un agente di pubblica sicurezza mediamente ogni 1.500-2.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di circa 1 su 200. Cioè, vi è una dotazione che è dieci volte inferiore rispetto a quella che dovrebbe essere la media nazionale.
Poiché la cura del territorio si realizza con i numeri e non con la filosofia investigativa o poliziesca, è ovvio che i territori del nord sono di fatto scoperti rispetto alle azioni della malavita e il cittadino normale - quello che è quotidianamente vessato non dai traffici di armi o dai traffici di valuta, ma dallo scippo, dal furto d'auto, dal furto in casa - si trova praticamente da solo di fronte all'offensiva della malavita.
Ricordo che i cittadini delle regioni settentrionali - questo è solo un inciso -, pagando il grosso del deficit dello Stato e rimettendoci direttamente, pagano di fatto gran parte degli stipendi dei dipendenti pubblici. Dunque, ci troviamo nell'assurda situazione nella quale i cittadini delle regioni settentrionali pagano le tasse, che in quota parte dovrebbero essere destinate anche per la difesa della propria famiglia, che in gran parte sono destinate alla difesa dei cittadini delle altre regioni che, dal punto di vista del comportamento fiscale, sono molto meno virtuosi. E ciò non mi pare di poco conto.
Prima ho ascoltato alcuni interventi, anche di esponenti della maggioranza, nei quali si è straparlato di Lega secessionista, federalista o altro. Vorrei precisare che la Lega è nata per queste cose, in quanto non si può avere un territorio nel quale ogni cittadino regala 10 milioni all'anno alla collettività nazionale, dove la sanità in qualche modo funziona e costa comunque meno della media nazionale, dove la scuola in qualche modo funziona impiegando
metà del personale della media nazionale e dove la sicurezza non funziona affatto essendoci sul territorio un numero di agenti di pubblica sicurezza pari a dieci volte meno della media nazionale. Se qualcuno per qualche anno ci ha creduto, forse qualche ragione c'era; non eravamo noi ad essere dalla parte del torto.
Dunque - tornando all'argomento del quale stiamo parlando -, ritengo che discutere oggi di tali questioni, al fine di risolvere almeno in parte un malfunzionamento del nostro Stato, sia un dovere di tutti. Un dovere da parte della maggioranza che ha inserito nel proprio programma elettorale, quale punto fondante, quello della riforma federale dello Stato, ma anche da parte del centrosinistra che, per anni, si è riempito la bocca con parole come «federalismo», «avvicinamento al territorio», «localismo», «rispetto delle autonomie locali» e che poi, nei fatti, si è tirato indietro.
Ricordo che qui si sta parlando di federalismo istituzionale. Infatti, la questione più importante, vale a dire il federalismo fiscale, non la stiamo neanche sfiorando di striscio e siamo gli unici al mondo a fare ciò, in quanto tutti gli altri Stati federali hanno fondato il proprio federalismo sulla questione fiscale, sull'applicazione corretta del principio della sussidiarietà verticale, in base al quale le tasse devono restare il più vicino possibile al proprio punto di utilizzo. E ciò non per volontà localista, secessionista, ma per il semplice fatto che, da un punto di vista puramente amministrativo, è inutile disperdere risorse in viaggi di andata e ritorno verso lontani ministeri centrali, quando per asfaltare la strada di un comune è sufficiente che le tasse siano pagate nel comune medesimo e che il sindaco ne possa disporre in maniera diretta.
In tutti i paesi seri ciò avviene da sempre; ad esempio, nella Costituzione tedesca, è scritto con chiarezza quanta IRPEF - o l'equivalente della nostra IRPEF - deve restare ai comuni o ai Land (è previsto che il 16 per cento debba restare agli enti locali). Siamo lontani anni luce da questo sistema e non pretendiamo che oggi si concluda l'intero l'iter; però, chiediamo perlomeno di cominciare a ragionare su questi argomenti in maniera serena, prendendo i problemi per quello che sono, evitando di pensare in maniera politica, solo per dare addosso alla Lega nord. Siamo quelli contro cui bisogna sparlare sempre e qualche intervento di pochi minuti fa ha sottolineato che la tendenza è sempre e soltanto questa. Diciamo cose di puro buonsenso, che la maggior parte dei cittadini pensa. Quando non le pensano, è perché non sono correttamente informati. Oggi, in Italia nessuno sa come sia composto il bilancio dello Stato. Nessun padre di famiglia, che fa fatica ad arrivare a fine mese, sa quanti soldi vadano dalla sua busta paga - spesso, con il sostituto di imposta, non li vede nemmeno, perché il datore di lavoro paga al suo posto - nelle casse dello Stato e quanti restino nella sua famiglia o sul suo territorio per finanziare i servizi necessari per condurre una vita decorosa da parte della famiglia e dei figli.
Se non si fosse fatto, per quaranta, cinquant'anni, uno Stato supercentralistico, come è avvenuto dal dopoguerra ad oggi, non saremmo in queste situazioni assolutamente pietose dal punto di vista della finanza pubblica. Lo abbiamo ricordato in occasione della delega al Governo in maniera previdenziale: siamo un paese di cinquantasette, cinquantotto milioni di abitanti, dove soltanto ventuno milioni lavorano. Ma, bisognerebbe aggiungere che di questi ventuno milioni cinque sono dipendenti dello Stato. Cinque milioni vuol dire uno su quattro. Vuol dire non soltanto che ogni lavoratore deve versare i contributi per pagare la pensione ad un pensionato, o quasi, ma anche che tre lavoratori privati devono mantenere lo stipendio di un dipendente pubblico, che non sempre fa un lavoro produttivo. Voglio dirlo senza offesa per nessuno. Mi pare che verifichiamo questa situazione quotidianamente. C'è chi lavora nello Stato, perché servono anche questi lavoratori che svolgono attività a valore aggiunto
che servono alla collettività. Però, mi pare che, quando si è in cinque per svolgere il lavoro che potrebbe essere fatto da un'unica persona, non si stia facendo un favore a nessuno, neanche alle quattro persone che stanno a guardare la quinta che lavora. Mi pare che in un paese serio il 90 per cento dei bilanci degli enti pubblici non dovrebbe essere destinato esclusivamente a coprire gli stipendi. E, poi, ci si meraviglia che in Italia non si faccia ricerca, non si facciano investimenti e si continui a scivolare nelle classifiche di qualunque tipo!
In un paese serio il valore aggiunto va soprattutto in innovazione, in infrastrutture, in mezzi di produzione, che servono a ridurre il costo del lavoro, a produrre maggiore valore aggiunto, a produrre maggiore ricchezza e, quindi, a disporre di una base imponibile maggiore con cui, pur con tasse ridotte, si possono pagare i servizi che servono ai cittadini. Ma, ormai, siamo un paese che è simile ad uno «stipendificio» piuttosto che ad un paese industriale: a fronte di cinque milioni e passa di lavoratori statali, abbiamo soltanto quattro milioni di persone - è ridicolo: soltanto quattro milioni di persone - impiegate nell'industria, dove si lavora il ferro, dove si tira fuori il valore aggiunto che serve per gli altri cinquantatré milioni di cittadini.
Occorre passare per questa riforma e innescare in Italia la cultura della responsabilità, che deve, necessariamente, partire dalla questione fiscale. Ogni cittadino deve sapere esattamente quanto guadagna, perché quello è l'indice esatto del valore del suo lavoro. Dicevo che deve sapere quanto guadagna, deve sapere quanto paga in tasse, in maniera chiara. Bisognerebbe introdurre una legge che prevedesse l'obbligo di predisporre la busta paga trasparente, come ha fatto qualche imprenditore del nord, partendo dal costo totale del lavoro per far capire al lavoratore che, per ogni mille lire nette che mette in tasca, ce ne sono altre 1.100 o 1.200 che, complessivamente, vanno in tasse.
A quel punto, qualora i cittadini sapessero in maniera esatta quanto effettivamente pagano alla collettività nazionale, dovrebbero avere il diritto di sapere come vengono spesi questi soldi. E l'unico modo per saperlo è quello di applicare correttamente il federalismo fiscale: lasciare agli enti locali quello che serve per il proprio funzionamento e, con una corretta applicazione del principio di sussidiarietà verticale, versare alle province ed alle regioni soltanto quello che serve per le infrastrutture e per i servizi provinciali e regionali, dando poi allo Stato ciò che serve per far funzionare quei pochi servizi che, come abbiamo sempre detto, è giusto che rimangano in capo allo Stato. È assurdo che in Italia si abbiano situazioni come quella che vi sto per descrivere.
Abito in una cittadina di 16 mila abitanti che ha un gettito fiscale complessivo di circa 300 miliardi di lire all'anno che vanno direttamente nelle casse dello Stato, visto che poi le tasse locali sono veramente cosa infinitesimale rispetto al gettito complessivo della fiscalità generale. Di questi 300 miliardi, al mio comune ritornano dallo Stato 4 miliardi all'anno: ne escono 300, ne rientrano 4. Ditemi voi quale è la logica del fatto che, intanto, un ente locale possa vivere con l'1,5 per cento del gettito fiscale complessivo dei propri cittadini; ma ditemi anche per quei 4 miliardi che il ministero restituisce al mio comune che senso abbia il fatto che i soldi escano dalle tasse dei miei concittadini, vadano ad un soggetto centrale come il Ministero dell'economia e delle finanze, che ci siano delle persone che lavorano per mandare questi soldi lì, che ci siano delle altre persone del ministero che lavorino per fare il conto, per far le reversali, per fare i versamenti e per far tornare indietro 4 miliardi con cui tappare i buchi delle strade. Non è più logico lasciarli direttamente nel comune di residenza? Se questo lo dicessi ad uno qualunque dei 57 milioni di cittadini italiani, tutti mi direbbero: certo, hai ragione, è logico che sia così, ma sarà sicuramente così. Invece no, in Italia non è così. Per tappare un buco delle strade dell'ultimo comune italiano, il cittadino di quel comune deve, attraverso la propria azienda o il proprio modello 740,
pagare le tasse allo Stato, che le incamera, ci fa sopra dei ragionamenti che nessuno capisce - perché nessuno sa come poi vengono distribuiti questi soldi -, finché qualche briciola di questi soldi rientra nelle casse del comune che, finalmente, due anni dopo può tappare il buco nella strada. E il cittadino ha pagato 20 milioni all'anno di tasse per far fare un lavoro da 25 mila lire al metro quadro.
In questo paese, siamo ridotti così. Abbiamo il fior fiore di laureati, di giovani che potrebbero lavorare producendo valore aggiunto reale per la collettività nazionale, impiegati in questi lavori inutili, che servono semplicemente a far girar carta e a far girar soldi finti, senza poi dare alla fine servizi veri ai cittadini, alla collettività nazionale. Tuttavia, se si comincia a parlare di federalismo fiscale, si parla di un argomento tabù. Noi, oggi - non nascondiamoci dietro a un dito -, parliamo di sanità, di scuola e di sicurezza, senza parlare di federalismo fiscale, perché se affrontassimo questo argomento questo disegno di legge non passerebbe. Siamo ridotti in questa situazione, per cui parlare del puro buon senso è diventato impossibile nel nostro paese.
Veramente, mi auguro che questo sia solo il primo passo che serva a sbloccare la situazione, a portare avanti anche il solo federalismo di tipo istituzionale (che comunque sarà importantissimo perché farà capire alla gente l'importanza di queste riforme) e che il passo successivo sia quello di arrivare ad un corretto federalismo fiscale. Su questo tema la Lega nord ha sempre detto che esso non deve servire né a spaccare il paese, né a dividere le regioni, né ad avere un paese ricco o uno povero. Dobbiamo semplicemente arrivare ad avere un paese più responsabile, perché federalismo fiscale significa soprattutto cultura della responsabilità. Avere i cittadini che pagano le tasse e sanno dove queste vanno a finire vuol dire avere cittadini responsabili che seguono la cosa pubblica, che quando vanno a votare per il sindaco, per il presidente della provincia o della regione o, ancora, per il parlamentare del collegio, votano non solo sulla base delle cose che questa persona dice ma anche di ciò che ha fatto, cioè votano in base alle cose che hanno visto e che possono giudicare.
Alla fine, si ha un paese semplicemente più responsabile per cui, ad esempio, il pagamento di una percentuale dei redditi assolutamente inaccettabile di tassazione sarebbe comunque respinta da parte dei cittadini. Essi pretenderebbero da qualunque coalizione vincente, come primo punto del proprio programma elettorale, la semplificazione della burocrazia dello Stato, perché è lì che noi gettiamo i nostri soldi, è lì che buttiamo via tutte le leggi finanziarie da noi approvate ed è lì che si creano i buchi di bilancio, senza vantaggio per nessuno. Infatti, avere uno Stato centralistico, superburocratizzato, che alimenta sé stesso, che alla fine ha come unico scopo quello di perpetuarsi, ossia la propria sopravvivenza, significa avere uno Stato che alla fine sostituisce alla monarchia o all'imperatore la casta dei burocrati, che comunque non sono i cittadini italiani o per lo meno non sono la loro totalità.
Quindi, mi auguro veramente che questo rappresenti solo il primo passo, mentre auspico che il prossimo sia il federalismo fiscale. Quest'ultimo infatti rappresenta l'unico modo per permettere lo sviluppo di tutte quelle regioni che oggi, a vario titolo, restano indietro rispetto al progresso che, invece, le regioni più ricche riescono a perseguire. Del resto perché dei giovani che hanno la possibilità di entrare a far parte dello Stato e di essere ben remunerati per svolgere spesso un lavoro non particolarmente produttivo - non dico inutile - dovrebbero mettersi in proprio cercando di fare impresa e di far sviluppare l'economia del proprio territorio in maniera autonoma come succedeva due o tre generazioni fa nelle regioni del nord?
C'è bisogno quindi di un federalismo fiscale corretto che dia la capacità ai cittadini del nord di capire dove vadano a finire i loro soldi e ai cittadini del sud, di comprendere perché la loro economia non si sviluppa, non cresce, non si autoalimenta come quella del nord.
Spero che l'iter di questo provvedimento proceda speditamente poiché si tratta di un giusto disegno di legge che corrisponde ad un diritto dei cittadini del nord - i quali, diciamocelo chiaramente, in questi anni hanno sopportato il peso fiscale del nostro paese - e dei cittadini del sud che, finalmente, si troverebbero di fronte ad un paese trasparente per quanto riguarda lo svolgimento delle attività amministrative di propria competenza e potrebbero, forse, usufruire di una possibilità in più per un reale sviluppo delle proprie ragioni.
Andare avanti in questo senso radicando in tutti la cultura della responsabilità e della trasparenza amministrativa è l'unica possibilità per il nostro paese di uscire dalla crisi che sta caratterizzando in questi ultimi anni la sua economia.
Quindi, mi auguro veramente che questo provvedimento rappresenti il primo passo per la prima e vera riforma istituzionale del nostro paese, che consenta a quest'ultimo di divenire moderno ed industrializzato come gli altri paesi della Comunità europea (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per far osservare che nella convocazione di oggi è previsto l'inizio della seduta alle ore 10, mentre non è previsto né l'orario di conclusione della mattinata né l'orario di inizio della seduta pomeridiana. Ciò nella prassi parlamentare vuol dire che il dibattito sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti prosegue in maniera ininterrotta. Poiché ci siamo abituati a decisioni della Presidenza piuttosto flessibili e qualche volta arbitrarie, vorrei sapere, atteso il numero dei deputati della Lega nord che hanno chiesto di parlare - ormai risulta evidente infatti che stanno facendo ostruzionismo -, come procederemo, in maniera da avere almeno chiaro il quadro degli orari.
La mia è un'osservazione strettamente legata al calendario di oggi. Comunque, signor Presidente, insisto nel dire che, fin quando non avremo degli orari chiari di inizio e di fine seduta, continueremo a lavorare in modo poco coordinato. Intanto, la prego di farci sapere, almeno per oggi, come si procederà.
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, intervengo per associarmi a quanto richiesto dal collega Boccia in ordine a come ella intenda regolare lo svolgimento dei nostri lavori. Inoltre, vorrei conoscere gli intendimenti della maggioranza in ordine ai provvedimenti previsti all'ordine del giorno.
Vi sono esponenti della maggioranza che invitano l'Assemblea ad andare avanti speditamente su questo provvedimento che, lo ricordo, è quello relativo alla devolution e, allo stesso tempo, ve ne sono altri - debbo dire solo l'onorevole Sterpa - che intervengono contro tale disegno di legge.
Vi saranno, inoltre, altri interventi che credo - non sono un veggente - saranno finalizzati ad allungare i tempi. Questa è, quindi, una pratica ostruzionistica.
Ebbene, se volete andare avanti speditamente, colleghi della maggioranza e soprattutto della Lega, smettete di fare ostruzionismo alla devolution oppure, se vi sono altri motivi, che l'aula parlamentare ne venga a conoscenza.
Non siete in grado di andare avanti nell'esame del testo della devolution perché vi sono problemi? In tale caso, per favore, avvertitetici ed abbiate il coraggio di chiedere l'accantonamento del provvedimento per passare ad altro.
Si smetta con tale atteggiamento che, francamente, ha dell'assurdo! E già la terza volta che una forza della maggioranza, quale la Lega, negli ultimi due mesi pratica l'ostruzionismo in quest'aula: mi riferisco ai provvedimenti sulla riorganizzazione
del corpo forestale dello Stato e sull'indultino e anche adesso si profila lo stesso comportamento sulla questione della devolution.
Signor Presidente, non tutte le richieste sono rivolte a lei, ma solo quelle in ordine alla regolamentazione dei nostri lavori. Per il resto, vi è un elemento di valutazione politica che ha un effetto immediato anche per quanto riguarda l'ordine dei nostri lavori.
ALESSANDRO CÈ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, ci dispiace che l'opposizione sia così infastidita e che il tatticismo che aveva intenzione di adottare questa mattina in quest'aula non sia riuscito. In primo luogo, credo sia poco cortese, sia da parte dell'onorevole Boccia sia da parte dell'onorevole Innocenti, disquisire sulla possibilità dei deputati della Lega di intervenire sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti ad esso presentati, relativi ad un argomento che sta loro a cuore e per il quale hanno sostenuto battaglie per decenni ormai, esprimendo fino in fondo le proprie convinzioni.
Credo questa sia la sede giusta per farlo e che tutti i deputati, quelli del gruppo della Lega e spero anche altri, possano esprimere compiutamente la loro opinione sul tema.
Lo trovo abbastanza singolare, onorevole Innocenti; noi siamo abituati a sentirvi parlare contro i nostri provvedimenti ed, inoltre, mi sembra che il tenore dei nostri interventi sia tale che non possa essere scambiato per ostruzionismo. Se lei ascoltasse il merito delle questioni che stiamo sviluppando, si renderebbe conto che i nostri interventi sul presente testo sono tutti assolutamente positivi. Pertanto, credo che la definizione di ostruzionismo sia assolutamente inappropriata.
RENZO INNOCENTI. Allora, votiamo.
TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, mi pareva che tale problema fosse stato già sollevato da un altro collega e che il Presidente della Camera di turno avesse risposto in merito. Quando un gruppo politico mostra una particolare sensibilità su un dato problema, credo abbia facoltà di intervenire per quanto ritiene opportuno. Non vi possono essere censori quando ciascun deputato si attiene al regolamento di questa Camera!
ANTONIO LEONE. Non solo quelli della Lega.
TEODORO BUONTEMPO. È noto a tutti che per la Lega (tra l'altro io non condivido molto il federalismo) l'argomento in esame rientra tra gli obiettivi primari della sua azione politica. Pertanto, il fatto che più colleghi della Lega ritengano, rispettando il regolamento, di intervenire, fa onore a tale gruppo; intervenendo, infatti, intendono evidentemente ribadire l'importanza di questo tema, senza nascondersi dietro un dito e tentando di sviscerare argomentazioni in merito alle quali poi chi non è d'accordo può a sua volta intervenire.
Quando, inoltre, si chiede di intervenire sull'ordine dei lavori o per un richiamo al regolamento, si dovrebbe riprendere l'abitudine di richiamare l'articolo del regolamento per cui si interviene, come fanno i colleghi Boccia e Bianco con molta puntualità. Altrimenti la questione ci occuperà per tutta la giornata, e questo non è giusto, è contro il dettato del regolamento, e non mi riferisco all'intervento del collega della Lega nord Padania, bensì a coloro che vorrebbero fare i censori e stabilire quanti deputati debbano parlare su un argomento. Ciò è inaccettabile e quindi, la prego, con la correttezza che le è consueta, di non dare più la parola su questo argomento, come avverrebbe su qualsiasi altro argomento, laddove la Presidenza si fosse già determinata.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Buontempo. Provo a riepilogare: devo dire che ci sono rilievi politici, e mi riferisco in particolare all'intervento dell'onorevole Innocenti, su cui la Presidenza non può pronunciarsi. Se un gruppo o magari componenti di un gruppo esprimono rilievi all'interno della propria maggioranza, questi hanno natura politica che non attengono né al regolamento né all'interpretazione che può darne questa Presidenza.
Sul piano generale, e mi riferisco all'onorevole Boccia, sottoporrò la questione al Presidente. Per quanto riguarda la giornata di oggi, anche per ragioni personali, credo sia legittima la pausa per il pranzo e pertanto essa è garantita.
Mi sembra opportuno ricordare - non a caso l'onorevole Buontempo è componente dell'ufficio di Presidenza - che, in virtù dell'articolo 85, ciascun deputato interviene nella discussione una sola volta per non più di venti minuti. La Presidenza non può quindi togliere la parola se non nelle circostanze in cui il regolamento lo prescrive. Per il resto, non mi sembra che in questo caso si possa far riferimento a particolari ragioni di necessità.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, gli orari?
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, per quanto riguarda gli orari, proseguiremo con i lavori fino alle 13,15, al massimo le 13,30. Riprenderemo i lavori alle 15.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanettin. Ne ha facoltà.
PIERANTONIO ZANETTIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei formulare una riflessione preliminare in ordine a questo tema ed essa parte dall'analisi di quella che è stata la riforma del titolo V della Costituzione approvata nella scorsa legislatura da questo Parlamento. Credo occorra predisporre anche un bilancio del lavoro svolto e ricordare i contenuti ed i temi posti da questa importante riforma. Un bilancio ed un giudizio da dare in questa occasione: mi sento di dire, sin da subito, che si tratta di una riforma, quella che è stata approvata la scorsa legislatura, quanto meno affrettata. È una riforma affrettata che ha portato ad una modifica costituzionale, un atto quindi gravido di conseguenze per quanto riguarda l'ordinamento, che giudico fortemente negativa.
Una valutazione che tendo a dare, come politico, ma anche come componente di questo Parlamento, per il ruolo istituzionale che ricopro. Sono infatti presidente del comitato pareri della Commissione affari costituzionali e quotidianamente, in questa veste, sono chiamato a dirimere potenziali conflitti di competenza fra Stato e regioni, in un coacervo di norme che si sovrappongono, poco chiare, che pongono l'interprete di fronte a dilemmi spesso insolubili e a soluzioni di compromesso che in talune occasioni reputo anche difficili da assumere.
Ritengo di rivolgere alla riforma approvata nella scorsa legislatura una critica fondata: mi riferisco in particolare a tutte quelle materie a legislazione concorrente tra Stato e regioni. Mi sento di criticare fortemente l'impronta che è stata data alla riforma. Noi troviamo un elenco quasi casistico di materie che sono ora di competenza concorrente fra Stato e regioni. Ne cito alcune che, a mio giudizio, creano confusione ed anzi paralizzano l'azione del Governo e della maggioranza in quelle che possono essere scelte importanti e decisive per il paese.
Troviamo ad esempio le materie relative alle professioni, alle reti di trasporto e di navigazione, all'ordinamento della comunicazione, alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. Tutte materie che in questo momento sono a legislazione concorrente. Esse comportano una difficoltà di questo Parlamento nella attività legislativa e nell'introdurre scelte concrete anche nell'attuazione generale. Come facciamo a collocare una centrale di energia elettrica che sappiamo avere un certo impatto ambientale, nel momento in cui accettiamo una potestà concorrente con le regioni?
Non a caso tutte le proposte di riforma su questo tema non arrivano mai a soluzione
positiva, proprio perché manca un'autorità centrale, un legislatore centrale in grado di determinare le collocazioni effettive di queste importanti infrastrutture che sono, peraltro, assolutamente decisive. Sappiamo, ad esempio, che in materia energetica il nostro paese è sull'orlo del blackout, ne abbiamo parlato anche in altre occasioni, e che, se non vi sarà una assunzione di responsabilità in questo momento anche da parte delle autonomie locali, non riusciremo a risolvere tale questione che è assolutamente strategica.
Sintomatico delle sbavature e della leggerezza con la quale è stata varata questa riforma è il riferimento alla questione delle casse rurali, forse marginale, ma significativa ed esemplificativa della superficialità con cui è la riforma è stata affrontata. Noi troviamo codificato e richiamato in Costituzione il concetto di cassa rurale che oggi non esiste più. Sappiamo tutti che le casse rurali non esistono più e che si chiamano banche di credito cooperativo. Quindi, è stato un legislatore distratto quello che ha legiferato nella scorsa legislatura, il quale ci ha lasciato un canovaccio sul quale lavorare e che richiede, giocoforza, piaccia o non piaccia - e credo che la valutazione debba essere unanime, sotto questo profilo, da parte della maggioranza e dell'opposizione, se vogliamo essere esegeti attenti e seri -, una revisione costituzionale, un adeguamento. Così non può andare, in questo modo si creano soltanto dei problemi
Vorrei ricordare come, proprio dal novembre scorso, da quando cioè la riforma del titolo V è entrata definitivamente in vigore, il conflitto tra Stato e regioni nel nostro paese sia aumentato in maniera esponenziale (addirittura oltre il 500 per cento). Si tratta di un conflitto che è stato trasferito necessariamente alla Corte costituzionale, con un paradosso: avendo il legislatore mal legiferato, avendo legiferato in modo distratto, di fatto, si è sottratto alla potestà normativa e la potestà normativa è, in questo momento, effettivamente, cioè in concreto, affidata ad un organo certo importante, certo apicale, di rilevanza costituzionale, quale è la Corte costituzionale, ma con una distorsione evidente rispetto a quello che dovrebbe essere il regolare assetto dei poteri all'interno di uno Stato come il nostro, che si fonda necessariamente sulla divisione dei poteri. Quindi, di fatto, il potere legislativo è stato demandato ad un altro organo, che legislativo non è certamente, quale è la Corte costituzionale.
Ma veniamo al tema più specifico e alla proposta di legge, cosiddetta di devoluzione - o comunque «Modifiche dell'articolo 117 della Costituzione» -, che è oggi all'esame di questo Parlamento. Io credo sia un testo largamente condivisibile - anche se magari sussistono delle lacune, degli aspetti da chiarire, sui quali mi soffermerò nel prosieguo del mio intervento - e che prevede una potestà legislativa esclusiva regionale in tema di sanità, istruzione e polizia locale. Sotto questo profilo ci sono giunte molte critiche e sono state sollevate molte obiezioni. I nostri contraddittori e i nostri avversari politici accusano questa maggioranza di voler sfasciare l'Italia, di volerla dividere, di voler distruggere lo Stato unitario. Io non credo sia così e credo che queste critiche siano assolutamente ingenerose, e che non possono essere rivolte da chi effettivamente, a mio giudizio, con una scelta improvvida e, ripeto, superficiale, ha provveduto a stravolgere un testo costituzionale in modo da creare problemi tanto gravi sul piano giuridico, come ho ricordato poc'anzi.
Si dice: volete sfasciare lo Stato, volete dividere l'Italia, volete creare delle disparità di trattamento tra i cittadini delle diverse regioni. Io non credo che questa sia la corretta interpretazione.
Ricordiamo che, nell'ambito della sanità, rimane allo Stato la competenza esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti ai cittadini su tutto il territorio nazionale (articolo 117, comma 2, lettera m)). Per quanto riguarda, invece, l'istruzione, lettera n), lo Stato continua ad
avere legislazione esclusiva nell'ambito delle norme generali sull'istruzione. È del tutto evidente, quindi, che ciò che viene portato avanti non è un'azione distruttiva, tanto meno secessionista, ma una produzione normativa, un testo costituzionale, che demanda alla competenza statale la fissazione dei principi generali sui quali le singole regioni potranno normare.
È evidente che la situazione attuale non può essere ritenuta condivisibile, è un non plus ultra. Condivido molti degli argomenti svolti dal collega Dario Galli nel corso del suo intervento. Chi, come il sottoscritto, ha avuto un'esperienza amministrativa locale nei comuni del centro nord non può che rimarcare quel senso di frustrazione e di limitazione che, oggi, vive l'autorità locale alla quale - ricordiamolo sempre - la riforma del titolo V della Costituzione ha attribuito addirittura rilevanza costituzionale nel momento in cui deve far fronte alle necessità della propria collettività con risorse largamente inferiori, in termini di trasferimenti, rispetto ai finanziamenti pro capite che hanno altre realtà locali, sia al nord sia al sud. Non vogliamo fare - tanto meno lo vuole il sottoscritto - una distinzione tra nord e sud, ma tra realtà locali: alcune godono di finanziamenti e trasferimenti per singolo abitante sproporzionati rispetto ad altre realtà locali, come abbiamo tutti constatato.
Vi è, quindi, la necessità di un assetto costituzionale. Credo che il tipo di riforma che stiamo esaminando sia largamente positivo. Era attesa. Rientrava - è giusto ricordarlo -, non come elemento decisivo, ma come dato politico, anche nel programma elettorale della Casa delle libertà e, quindi, era un impegno programmatico assunto. Per quanto ci consta, intendiamo essere rispettosi dell'impegno assunto con i nostri elettori.
Restano punti di perplessità. Ne vorrei rilevare uno, in particolare, anche sotto il profilo sistematico ed interpretativo: quale assetto, quale interpretazione dare all'espressione «polizia locale». Ricordo che, all'interno della Costituzione, vi è già un riferimento all'articolo 117, comma 2, lettera h), che prevede la competenza legislativa statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale. Secondo me, nel prosieguo di questi lavori, nel dibattito che oggi si è aperto, in quello che probabilmente sarà il testo definitivo o, comunque, in quelle che saranno le scelte definitive del Governo, un chiarimento, in termini esegetici, sulla polizia locale e sulla polizia amministrativa locale (necessariamente, nel testo, dovranno essere distinte), dovrà essere compiuto, al fine di chiarire, in modo chiaro ed inequivocabile, dal punto di vista normativo, la portata innovativa di questa riforma costituzionale. In questo modo, si possono dare certezze ed evitare sovrapposizioni. Abbiamo già tre corpi di polizia nel nostro paese; sicuramente è un numero elevato e non credo che si possa arrivare ad un quarto corpo di polizia slegato e non coordinato. Già vi sono difetti di coordinamento tra corpi di polizia attualmente esistenti. Dobbiamo, quindi, evitare che si crei una sovrapposizione. Questo tipo di riforma, a mio giudizio, deve essere assolutamente approvata senza difetti di burocrazia e di appesantimento in termini di funzione pubblica che noi stessi denunciamo nei confronti dello Stato esistente. Dobbiamo, invece, arrivare ad una riforma che consenta snellezza, agilità, autonomia all'ambito locale.
Un'ulteriore notazione sento di dover fare sul metodo politico con cui questo tema va affrontato.
Facendo un passo indietro, rifletto sul modo in cui è stata approvata la riforma del titolo V nella scorsa legislatura. Adesso, parlando con i colleghi, soprattutto con quelli della I Commissione, sento pronunciare frasi che suonano come mea culpa: «io l'avevo detto»; «io ero tra quelli che non condividevano questo tipo di scelte». Quindi, anche all'interno dello schieramento dell'Ulivo, del centrosinistra, una riflessione vi è stata.
Credo che aver approvato quella riforma con una ristrettissima maggioranza sia stato un errore: un errore che, ora, non può diventare un laccio al piede per questa maggioranza! Siamo tutti d'accordo, io
per primo, sul fatto che le regole - e le regole principali risiedono nella Carta costituzionale - dovremmo scriverle tutti assieme; però, colleghi del centrosinistra, dopo aver fatto le vostre autonome scelte e dopo aver creato lo strappo istituzionale, una volta avvenuto un cambiamento di maggioranza, in particolare dopo che il centrodestra ha assunto il Governo del paese potendo contare su una larga maggioranza parlamentare che gli consente di approvare le riforme, nel momento in cui queste riforme intende portarle avanti, non potete pretendere che il centrodestra abbia necessariamente il placet dell'opposizione!
Noi siamo qui per discutere. Chi vi parla è un parlamentare alla sua prima legislatura, il quale, però, accetta il dialogo con tutti, anche con i colleghi dell'opposizione. D'altra parte, bisogna anche capire che non possiamo accettare l'ingessatura di questo paese, tanto meno quella istituzionale. Se la maggioranza, dopo un dialogo aperto, dopo una riflessione misurata e dopo che tutti hanno espresso le proprie opinioni, intende andare avanti, andrà avanti, nel campo delle riforme istituzionali così come in altri (riforme in materia giudiziaria, scolastiche, eccetera). Non accettiamo un diritto di veto. Accettiamo il dialogo ed il confronto parlamentare, ma certamente non accettiamo i diritti di veto.
Da ultimo, vorrei affrontare quelle che considero provocazioni e che ho sentito provenire dai banchi dell'opposizione, in primo luogo dall'onorevole Giachetti e, più di recente, anche dall'onorevole Innocenti. Essi parlano di ostruzionismo della maggioranza, di un comportamento singolare e strano della maggioranza che, oggi, parla su questi temi.
Respingo al mittente queste accuse strumentali. Troppo spesso voi esponenti della minoranza avete rivolto accuse a noi parlamentari della maggioranza. In qualche occasione, ci avete accusati di aver trasformato il Parlamento in un «mutimento»: non si parlerebbe più, non ci sarebbe più dialogo, non si discuterebbe più! Respingo al mittente, ripeto, questo genere di accuse.
Credo, altresì, che, su temi di tanta delicatezza ed importanza come le riforme istituzionali, ciascun parlamentare e ciascun gruppo politico abbia il diritto-dovere di intervenire. Personalmente, avevo intenzione di intervenire su questo tema e lo faccio volentieri, esponendo la mia opinione personale, che risponde al mio personale modo di sentire. Credo sia giusto che, all'interno del Parlamento, ciascuno secondo la propria sensibilità e le proprie convinzioni, abbia la possibilità di esprimere fino il fondo il proprio pensiero, suggerendo all'Assemblea, se del caso, alcuni temi di riflessione. Questo atteggiamento non deve suscitare scandalo ma, semmai, apprezzamento per un'esigenza seria di approfondimento dei temi in discussione.
Rimane, a mio giudizio, un punto da approfondire ulteriormente che, secondo la mia sensibilità e la mia esperienza, condiziona il prosieguo di questa riforma istituzionale.
Anch'io come il collega Dario Galli ritengo che questa sarebbe una riforma monca, zoppa, che non raggiunge l'obiettivo che si voleva ottenere visto che, accanto alla riforma delle competenze legislative, non si introduce anche una riforma conseguente all'aumento delle risorse per le entità locali (il cosiddetto federalismo fiscale). L'impegno che noi abbiamo assunto nei confronti dei nostri elettori è proprio questo, perché altrimenti c'è il rischio che noi graviamo di responsabilità, di compiti amministrativi e legislativi gli enti locali - le regioni soprattutto - senza poi consentire loro di dotarsi delle adeguate risorse per farvi fronte. Sarebbe forse un rimedio peggiore del male, visti i costi o i sovracosti dell'apparato burocratico (i numeri che il collega Dario Galli ha dato sono esemplificativi dello stato e della condizione nella quale attualmente il nostro sistema statale si trova). Tutto questo ci deve far riflettere sul fatto che, con l'approvazione di questo
testo di legge costituzionale, con questa riforma, il lavoro non è concluso, anzi, questa è solo una tappa.
Dobbiamo impegnarci - e il mio impegno ci sarà - perché ulteriori miglioramenti vengano apportati, perché il problema delle risorse dei territori sia affrontato in maniera seria, senza demagogie, senza qualunquismi, senza divisioni manichee tra buoni e cattivi, ma con responsabilità. Si tratta di affrontare un tema che è sentito dagli elettori, dai cittadini, un tema necessario per il miglioramento del nostro paese. Presidente, ho concluso il mio intervento e la ringrazio dell'attenzione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, gli interventi di alcuni colleghi del centrosinistra che mi hanno preceduto rivelano la vera natura parlamentare dell'opposizione su questo tema. Aggiungiamo anche che questo atteggiamento fa parte di una chiara strategia politica che noi non esitiamo a definire di tipo qualunquista e tesa a creare un clima di disfacimento. Scientificamente, su tutti i temi, si abbandonano tutti i vecchi discorsi, tutta la retorica che è stata fatta negli anni passati sulla responsabilità dello Stato, sul fatto che le istituzioni devono essere tutelate, eccetera, eccetera, ma, alla prova dei fatti, nel momento in cui si dovrebbe dimostrare come si fa l'opposizione, non riceviamo alcuna lezione di responsabilità e di difesa degli interessi nazionali, come - ripeto - ci è stato insegnato con dovizia di particolari negli anni in cui l'attuale opposizione era al Governo di questo paese.
Gli esempi sono tanti, basta vedere l'atteggiamento che si tiene su questo importantissimo provvedimento di riforma costituzionale, la devoluzione, e i cittadini, coloro i quali ci ascoltano, lo devono sapere. Abbiamo visto lo stesso atteggiamento in altre battaglie che ci hanno impegnato nei mesi passati; basti pensare alla demagogia che è stata rovesciata su temi come l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la supposta violazione dei diritti dei lavoratori, quando ci si sarebbe dovuti soffermare piuttosto - ad esempio - sulla violenza politica che si sta diffondendo in questo paese, che ha avuto il suo apice nelle violenze di Genova. L'opposizione, spesso e volentieri, è stata connivente con questo tipo di violenza politica o, quanto meno, ha dato una copertura intellettuale a queste situazioni. Anche sul conflitto di questi giorni abbiamo notato posizioni assolutamente - mi si consenta il termine - strampalate dal punto di vista politico, dal punto di vista istituzionale: si pretendeva che il nostro Governo, unico al mondo, a prescindere dalle considerazioni che si possono fare su questo conflitto, non concedesse le basi agli Stati Uniti d'America.
Questo è il livello di statismo, di responsabilità di questa opposizione; lo vediamo anche su questo provvedimento: un ostruzionismo puro, mascherato utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal regolamento di questa Camera, e un'accusa rovesciata sulla maggioranza, sugli esponenti di una forza importante di questa maggioranza, la Lega nord Padania che, invece, vuole discutere, vuole dibattere su questo tema....
PIERO RUZZANTE. Oggi pomeriggio, quando vuoi!
GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Dovete spiegare come mai vi eravate iscritti a parlare sul complesso degli emendamenti, avreste dovuto apportare il vostro contributo e non lo facciate perché volete fare ostruzionismo: è un tipico esempio di doppiogiochismo che noi dobbiamo smascherare di fronte ai cittadini (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania). È inutile che vi agitiate: questo è il messaggio che deve uscire da quest'aula piuttosto vuota, questo dà anche il senso dell'ipocrisia che giocate, costantemente, su tutti i grandi temi che interessano la vita di questo paese (Commenti dei deputati del gruppo
dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! Non agitatevi, non agitatevi.
Detto questo, occorre fare una valutazione di carattere politico sul provvedimento oggi al nostro esame.
Ovviamente, questo provvedimento di devolution è uno dei risultati della spinta riformatrice che il nostro movimento, da oltre 15 anni, sta imprimendo alla vita politica di questo paese. Un risultato di tipo costituzionale - siamo al secondo passaggio alla Camera e l'iter si concluderà con la doppia approvazione - concreto ma non è soltanto questo. A nostro avviso, altri risultati sono stati ottenuti grazie alla spinta riformatrice impressa dal nostro movimento e li vediamo, sono sotto gli occhi di tutti, in ciò che è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni, nel ruolo sempre più importante e sempre più convinto che stanno giocando le autonomie ed i livelli di governo diversi dal potere centrale: le regioni, le province, i comuni. Quanta differenza rispetto a 10, 15 anni fa! È questa l'iniziativa, la novità nel panorama politico di questo paese e consentiteci di prenderci buona parte del merito del cambiamento avvenuto su questo fronte.
È un risultato politico e noi rivendichiamo con assoluto convincimento tutto ciò che è stato fatto, ovviamente con tutti i rallentamenti che vi sono stati. Si poteva fare di più, si poteva fare meglio ma questo processo politico è iniziato e - continuiamo a dirlo - non si fermerà, andrà oltre anche questo provvedimento costituzionale che stiamo esaminando in questi giorni.
Dunque, si tratta di un risultato costituzionale, un risultato politico, un risultato culturale - consentitemi questo termine -, un riavvicinamento al territorio, all'identità ed alla capacità di autogovernarsi e di autogestirsi ed è una cultura che ha travalicato - noi ne siamo convinti, fieri e contenti - anche i confini del nostro movimento, i confini del nostro partito ed ha contaminato altri partiti, altri movimenti, altre culture politiche. Questo è il messaggio positivo che deve essere lanciato ai cittadini ed agli elettori di qualunque schieramento politico, messaggio che parla di autonomia e di autogoverno. Poi, ovviamente, si può discutere su quali siano le forme migliori per raggiungere questa autonomia, questo autogoverno, questo federalismo - chiamiamolo come vogliamo - ma il messaggio positivo deve essere dato: qualcosa è cambiato in questo paese, non si può continuare ad utilizzare messaggi, sempre e comunque negativi, che questa opposizione lancia per motivi strumentali, per motivi propagandistici e per motivi demagogici contro ogni tentativo di modernizzare e riformare questo paese, giocando la carta dello scontro nord-sud, regioni povere-regioni ricche, nonché l'egoismo e tutte le esagerazioni che abbiamo sentito in questi mesi di dibattito politico.
Questo provvedimento è anche il risultato di una riflessione storica che dobbiamo compiere su come si sia arrivati, in questo paese, all'unità nazionale e sugli errori compiuti 150 anni fa dalla classe dirigente che ha scelto, per una serie di motivi che poi si sono rivelati sbagliati, un modello centralista e statalista che non poteva e non voleva dare spazio, libertà, respiro alla grande tradizione regionalista, autonomista, di questo paese, con le sue grandi differenze culturali e sociali che, evidenzio, potevano essere unite, legate, amalgamate meglio da un sistema politico che non avesse assunto, appunto, un'impronta così centralista e statalista. Dunque, questo disegno di legge costituzionale è anche una risposta, un'inversione di tendenza, rispetto a quel momento storico che ha segnato la vita del nostro paese a partire dall'Unità d'Italia.
Un altro risultato che abbiamo ottenuto è stata la nascita di una nuova sensibilità, anche nell'opinione pubblica, rispetto ai temi dell'autonomia; infatti, nel momento in cui la Lega nord propone operazioni sacrosante come il decentramento di tutto ciò che è informazione e cultura (l'ultimo atto è lo spostamento di una rete RAI a Milano), le stesse travalicano la forza politica che le propone e trovano terreno fertile in tutte le forze politiche e nell'opinione pubblica delle regioni del nord Italia.
Anzi, penso che quando questo processo di decentramento sarà esteso anche alle regioni meridionali, tali operazioni troveranno terreno fertile in tutta l'opinione pubblica italiana. Anche in questo caso, si va pertanto in controtendenza rispetto ad un centralismo e ad una visione romanocentrica che, ormai, non sono più sentite dalla maggioranza dei cittadini, tant'è vero che sul territorio le stesse forze politiche, di destra e di sinistra, su operazioni di questo tipo, non possono schierarsi contro. Sul territorio non vi è alcuna forza politica, compresa l'opposizione, che possa schierarsi contro questo tipo di operazioni, che sono sacrosante dal punto di vista della democrazia e della partecipazione!
Ovviamente, questa battaglia si inserisce nell'ambito di un determinato quadro europeo, quello di un'Unione europea sempre più allargata che, ovviamente, deve trovare spazi, camere di compensazione per avvicinare i cittadini al livello istituzionale. Non possiamo immaginare un'Unione europea a 25 Stati dove non si dia importanza istituzionale, legislativa, socioeconomica al livello regionale. Ciò avviene anche per un semplice motivo, che possiamo definire quantitativo: ci sono, infatti, regioni europee, come la Lombardia, la Catalogna, la Baviera, che sono più importanti e più estese - dal punto di vista territoriale, economico e della densità demografica - rispetto a molti Stati che in questo momento stanno per entrare a far parte dell'Unione europea. Queste sono valutazioni che devono essere fatte e che noi continuiamo a svolgere in un quadro razionale, considerando anche ciò che deve essere l'europeismo, e non parlo di quell'europeismo a senso alterno che, spesso e volentieri, l'opposizione usa contro la maggioranza quando gli fa comodo. In questi giorni, infatti, abbiamo visto come molto europeismo di facciata si sia sfaldato di fronte ad alcune posizioni assunte dai dieci paesi che stanno per entrare a far parte dell'Unione europea. Si tratta di paesi che, giustamente, dal loro punto di vista ed in modo autonomo, hanno compiuto precise scelte rispetto, ad esempio, al giudizio da esprimere sul conflitto in atto. Ebbene, subito è scattato un meccanismo che ha portato in Francia all'avvio di un dibattito sull'opportunità di ritardare o meno l'allargamento europeo. Non abbiamo sentito sollevarsi, da parte dell'opposizione, alcuna voce contro queste prese di posizione, dopo che per mesi, per anni, abbiamo ascoltato provenire, da quei banchi, lezioni sull'europeismo e sul presunto europeismo di alcune forze politiche dell'attuale maggioranza. Noi, in questo caso, ci consideriamo in prima fila, perché le nostre posizioni non erano antieuropee, ma erano improntate ad un sano realismo europeo, per una costruzione autenticamente partecipata e democratica della costruzione europea.
Circa la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, i contenuti sono già stati illustrati, con dovizia di particolari, dai colleghi.
Vorrei soffermarmi sull'articolo 2 del provvedimento in esame, che verte sulle regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, di cui do lettura: «Sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». Si tratta, dunque, di un meccanismo aperto e flessibile che riguarda anche quelle parti del paese che, a mio avviso, hanno un certo grado di fortuna (nel senso positivo del termine, dovuto ad una serie di contingenze storiche e geografiche avvenute alla fine della seconda guerra mondiale) ed hanno potuto godere di un'autonomia sostanziale, non solamente dal punto di vista legislativo ma anche da quello economico-fiscale, invidiata dagli altri popoli e dalle altre regioni che fanno parte dello Stato italiano.
La Lega nord ha ottenuto il risultato, di carattere politico-programmatico, che la Casa delle libertà sposi questa via di riforma costituzionale che cambierà il volto del paese in un clima di concordia ed unità, a prescindere dalle diverse sensibilità
presenti nel paese. La novità è rappresentata dalla sintesi, dalla capacità di amalgamare le diverse sensibilità della maggioranza in relazione ad una proposta di modifica costituzionale che integri la nostra Costituzione; ciò non è possibile per il centrosinistra perché, dietro le manifestazioni federalistiche di facciata, esiste una concezione culturale, politica, amministrativa assolutamente centralista. Onorevoli colleghi del centrosinistra, lo dimostrano le vostre prese di posizione, la vostra storia politica, il vostro agire politico.
Sicuramente, quello di oggi non è che un inizio, poiché è necessario affrontare molte altre questioni: è in corso un dibattito in merito all'istituzione di un Senato delle regioni ed è doveroso affrontare il tema del bicameralismo perfetto che regola la nostra vita legislativa e politica. Esso poteva trovare la sua ragione alla fine della seconda guerra mondiale, in un paese che usciva da un'esperienza dittatoriale: all'inizio del nuovo millennio, esso non ha più una ragion d'essere e dimostra la propria lentezza nel procedimento legislativo, oltre che nell'incapacità di dare risposte adeguate e veloci ad una società che, dal punto di vista socioeconomico ed organizzativo, cambia in modo repentino.
Il dibattito sul bicameralismo perfetto si associa con la necessità di istituire un nuovo Senato delle regioni, in cui le istanze territoriali delle regioni possano trovare un momento di confronto, di compensazione e d'incontro con le istanze del Governo centrale.
Inoltre, si è sviluppato un ulteriore dibattito, riguardante la necessità di un organo di controllo costituzionale più aperto alle esigenze del territorio, in cui le regioni abbiano la possibilità di nominare componenti della Corte costituzionale. Nel momento in cui si instaura una dialettica più accentuata rispetto agli anni passati tra lo Stato centrale e le regioni (come abbiamo potuto notare nell'applicazione caotica della nuovo articolo 117 della Costituzione, che ha creato una serie di conflitti di attribuzione tra regioni e Stato), è necessario definire un organo di controllo costituzionale che risponda anche alle esigenze del territorio. Si potrà, in seguito, modificare l'articolo n. 117 della Costituzione, attribuendogli una propria razionalità, diminuendo il numero delle competenze concorrenti, che hanno creato tanti problemi di interpretazione e che non fanno altro che rallentare e bloccare il processo di riforma federalista del paese.
Dunque, vi è la grande questione del federalismo fiscale, come hanno detto alcuni colleghi prima di me. Siamo ad un passaggio costituzionale: bisognerà, poi, riempire di contenuti economici e finanziari tale riforma. Bisognerà affrontare il tema con serietà, pensando ai vincoli europei e ad una giustizia distributiva che non deve essere scambiata per assistenzialismo. La svolta federalista potrà dare aiuto alle zone del paese che più ne hanno bisogno, ma dovrà dire «basta» alle politiche di assistenzialismo che hanno caratterizzato la vita di questa Repubblica dalla fine della seconda guerra mondiale.
Questa è la grande sfida che dobbiamo raccogliere dando risposte ai cittadini ed agli elettori della mia parte politica e dell'alleanza politica di cui faccio parte. Dobbiamo dare risposte concrete ed efficienti perché il sistema europeo di cui facciamo parte richiede efficienza e capacità di spendere al meglio le risorse economiche e finanziarie di un grande paese come il nostro, con 56 milioni di abitanti. Allora, saremo capaci di dare risposte a tutti i cittadini di questo paese e, per quanto mi riguarda, agli elettori ed ai cittadini che ci hanno già dato fiducia nel 2001.
In conclusione, posso dire che la lunga marcia del federalismo, dell'autonomia, della libertà dei popoli continua e, se permettete, alla guida di tale marcia continuerà ad esservi la Lega nord Padania (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fontanini. Ne ha facoltà.
PIETRO FONTANINI. Signor Presidente, innanzitutto vorrei ricollegarmi ad
una parola che contraddistingue questo provvedimento: la parola devolution. Vi è un elemento storico che ha portato all'interno delle nostre istituzioni tale parola: mi riferisco al primo Governo Blair (erano i tempi in cui in Italia il Governo Prodi doveva cercare di conciliare le esigenze dell'Ulivo con quelle di Rifondazione comunista). In Gran Bretagna il Parlamento inglese dava a due realtà, la Scozia ed il Galles, un'autonomia ampia attraverso un provvedimento denominato devolution. Si trattava di un'autonomia molto superiore a quella che stiamo cercando di portare all'interno di questo paese dando alle regioni alcune competenze esclusive che ancora non hanno.
Dalla Gran Bretagna abbiamo imparato e stiamo guardando ancora con grande interesse a quel processo di devoluzione che porta, anche attraverso un principio sancito da Maastricht, sempre più vicino ai cittadini il potere. Tale potere deve trovare nelle istituzioni regioni proprio un momento di novità anche perché - stamattina ho sentito un esponente di forza Italia parlarne - questo paese è nato su un modello costituzionale a nostro avviso superato: quello del Risorgimento sull'esempio francese. In esso il centralismo è molto accentuato per quanto riguarda non solo le competenze, ma anche tutta l'organizzazione della macchina dello Stato, con al centro la capitale che ha sul territorio rappresentanti (i prefetti) che devono portare avanti le decisioni che partono dal centro. Al modello francese noi non guardiamo e non abbiamo mai guardato perché vi sono altri esempi. Ho citato l'esempio della Gran Bretagna con la devolution al Galles ed alla Scozia.
Tuttavia guardiamo con grande interesse anche al modello tedesco: al modello dei Länder, delle regioni, di uno Stato veramente federale, senza dover andare a prendere in prestito modelli ancora più avanzati, quali quello che opera negli Stati Uniti d'America. Questa è la nostra prospettiva. Questi sono i nostri modelli istituzionali con i quali vogliamo confrontarci. Certo non un modello come l'attuale, superato e ormai fortemente datato. Su questo, cari colleghi, dall'inizio della presente legislatura ci siamo battuti, chiedendo non solo nel programma elettorale di porre gli argomenti della devoluzione come argomenti fondanti del patto con la Casa delle libertà, ma già nell'estate del 2001 è stato varato un primo progetto che prevedeva di dare alle regioni maggiori autonomie (non solo quindi la competenza esclusiva in materia di assistenza ed organizzazione sanitaria e in materia di organizzazione scolastica, di gestione degli istituti scolastici di formazione e definizione dei programmi scolastici; e poi vi è il tema della pubblica sicurezza che rappresenta una competenza nuova da attribuire - con mezzi e soprattutto con contenuti - alle regioni).
Abbiamo anche intravisto quella volta la necessità di riformare l'articolo 68 della Costituzione (che è argomento peraltro prossimo all'esame da parte di quest'Assemblea) e l'altra riforma relativa alla Corte costituzionale, l'organismo di garanzia che deve dirimere i conflitti anche fra le regioni e lo Stato. Ebbene, anche con riferimento ad un organismo così importante come la Corte costituzionale noi prevediamo una riforma forte e significativa, per introdurre anche all'interno di questa istituzione elementi di federalismo o meglio di rappresentanza del territorio e delle autonomie locali. Prevediamo che, dei 15 giudici, 3 siano nominati dal Presidente della Repubblica, 3 dalle supreme magistrature, 4 dal Parlamento e 5 dai presidenti delle giunte e dei consigli regionali riuniti in assemblea comune. In questo modo pensiamo di dare a un organo fondamentale per la gestione non solo delle questioni legislative, ma anche di un rapporto corretto tra lo Stato centrale e le autonomie locali, una rappresentanza corretta che possa avere al suo interno elementi che siano espressione delle autonomie locali.
Signor Presidente, nella I Commissione (Affari costituzionali) abbiamo svolto una serie di audizioni di esperti di diritto costituzionale, per sapere cosa pensavano di questa riforma dell'articolo 117 della Costituzione. Da tali audizioni è emersa
una sostanziale convergenza sulla necessità di completare il processo riformatore in atto, anche apportando al testo del titolo V della parte seconda della Costituzione i correttivi suggeriti dalla prima esperienza applicativa: correttivi necessari per dirimere una certa confusione sorta tra competenze dello Stato e competenze delle regioni.
Pensiamo in particolare, con la proposta di modifica costituzionale al nostro esame, di portare chiarezza proprio per quanto riguarda queste competenze. In particolare, per l'ampiezza del novero delle materie nelle quali l'esercizio della potestà normativa regionale è subordinata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato, si può consentire l'affermarsi di interpretazioni più o meno accentuatamente centralistiche, capaci di rendere quindi minima, se non del tutto irrilevante, la valenza delle nuove competenze che sono state attribuite alle regioni. Per superare questi limiti di interpretazione è necessario fare chiarezza e definire, ancora una volta, quali sono le competenze esclusive delle regioni in importanti settori della vita di tutti noi cittadini.
Questo disegno di legge, infatti, si pone nella direzione di una decisa ed effettiva valorizzazione dell'autonomia regionale, rimettendo ogni decisione nella completa disponibilità delle regioni, che saranno libere di stabilire come e quando attivare la propria potestà legislativa esclusiva, senza dover attendere - come previsto dal terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione - una concessione da parte del Parlamento.
Ciò consentirà alle regioni di attivare le proprie competenze esclusive anche qualora, a livello centrale, dovessero prevalere atteggiamenti non favorevoli alle istanze autonomistiche. E purtroppo, nel nostro paese, ci sono momenti di frenata, momenti che cercano di tarpare l'autonomia delle regioni non solo attraverso provvedimenti legislativi, ma anche attraverso sentenze della Corte costituzionale di dubbia efficacia. Allora, per definire le competenze delle regioni, occorre che si proceda rapidamente all'approvazione di questo provvedimento.
Presidente, vorrei soffermarmi in particolare su una di queste competenze esclusive, che vogliamo affidare alle regioni. Mi riferisco all'organizzazione scolastica e alla gestione degli istituti scolastici e di formazione, che costituiscono un elemento forte e qualificante per questo nostro paese. Non si tratta di una novità in senso assoluto nell'ordinamento della nostra Repubblica, in quanto esistono già delle realtà - vale a dire alcune regioni a statuto speciale - nelle quali, ad esempio, la gestione della struttura scolastica, con competenza primaria per quanto concerne la gestione del personale, è già un fatto concreto.
Cito in proposito le due province autonome di Trento e Bolzano nelle quali, già dal 1996, il personale scolastico - a partire dalla scuola dell'infanzia fino alla scuola secondaria di secondo grado - è gestito direttamente da queste due province, con benefici indubbiamente positivi per quanto riguarda la qualità degli insegnamenti e, soprattutto, per quanto concerne la gestione delle scuole. Infatti, a Trento e a Bolzano, non solo gli insegnanti lavorano molto di più - infatti il loro carico orario è di 36 ore anziché di 18 come avviene nel resto del paese -, godono di una retribuzione significativamente più elevata rispetto alle altre parti d'Italia ma, soprattutto, forniscono a quelle scuole e a quegli allievi il contributo di conoscenze e di apprendimento necessario per fare del nostro paese una realtà più avanzata e più moderna.
Diceva prima il mio collega Dario Galli che un paese si giudica soprattutto dagli investimenti che realizza per quanto concerne la qualità delle scuole, dell'insegnamento e dell'innovazione tecnologica. Ebbene, nelle due province autonome, abbiamo già fatto qualche piccolo passo in tal senso.
Questa esperienza, che è ancora troppo limitata ed emarginata all'estremo nord del nostro paese, deve diventare patrimonio di tutti i cittadini italiani, di tutte le
regioni italiane, affinché ogni regione possa gestire autonomamente il personale scolastico, affinché vi sia flessibilità per quanto riguarda la definizione dell'organico e in ordine al rapporto tra numero di allievi e classi da formare. Ciò in quanto la realtà geografica, la realtà demografica dell'Italia, non è uniforme; infatti, vi sono situazioni di forte decremento demografico al nord ed anche in alcune regioni del sud vi sono piccoli centri, piccoli paesi che necessitano di una scuola diversa rispetto a quella creata nelle medie e grandi città. Ecco perché è necessario che le regioni abbiano piena autonomia nell'organizzazione delle scuole.
Piena autonomia significa gestire anche il personale docente e il personale amministrativo, perché non basta affidare alle regioni competenze per quanto riguarda alcuni programmi di insegnamento che hanno attinenza con le specificità storiche e linguistiche di alcune regioni. Ci vuole, anche e soprattutto, la competenza per quanto riguarda la gestione del personale.
È una scommessa forte che fa fare un salto qualitativo alla nostra scuola. Dopo la riforma Moratti, è necessario che si passi anche a quest'ulteriore riforma, secondo me molto più significativa, perché ha ricadute molto importanti per quanto riguarda la gestione di un settore fondamentale per la nostra società, quale è quello della scuola.
Allora, cari colleghi, abbiamo fiducia in questa riforma, perché stiamo andando verso un federalismo che tutti chiedono di portare nel nostro paese e che deve avere dei contenuti. E questi sono i contenuti: l'autonomia passa dal centro alle realtà territoriali come le regioni, che devono gestire direttamente i servizi dati ai cittadini. Quanto dicevo poc'anzi è rappresentato dalle istituzioni scolastiche. Quanto ai programmi scolastici e formativi di interesse specifico delle regioni, anche in questo caso dobbiamo seguire l'ispirazione di tante nostre regioni che presentano realtà diversificate. Ad esempio, regioni fortemente orientate al turismo devono avere la possibilità di organizzare sui loro territori istituti di formazione professionale che rispondano alle esigenze del turismo. Sono necessari programmi che rivolgano una rilevante attenzione al pluralismo culturale esistente da noi, rappresentato soprattutto dalle minoranze linguistiche che ancora vivono nel nostro paese, a partire dalla Sicilia e dalla Sardegna fino al nord. Anche questa è una ricchezza che va tutelata attraverso l'istituzione scolastica. Ci sono già provvedimenti legislativi che danno certezza per quanto riguarda questa tutela. Tuttavia, anche in questo caso bisogna fare qualcosa di più. È la devolution: la competenza esclusiva affidata alle regioni anche per quanto riguarda i programmi scolastici rappresenta una garanzia ulteriore del rispetto e della valorizzazione delle realtà locali che sono una forza del nostro paese.
Signor Presidente, invito i colleghi a dare qualità a questo nostro provvedimento, cercando di non bloccare le votazioni e, soprattutto, l'approvazione della modifica dell'articolo 117 della Costituzione, perché l'Italia vuole diventare un paese federale. E questa è la strada che dobbiamo seguire per raggiungere questo obiettivo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
GERARDO BIANCO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
GERARDO BIANCO. Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco, non può parlare sull'ordine dei lavori.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, vorrei capire perché mi si impedirebbe di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Onorevole Bianco, se si tratta dello stesso argomento di cui abbiamo già dibattuto, abbiamo già definito il problema. Se lei dice cose diverse sull'ordine dei lavori, bene. Però, se interviene sullo stesso argomento, abbiamo già definito la questione.
GERARDO BIANCO. Vorrei capire se ho diritto di intervenire o meno sull'ordine dei lavori, perché, se mi si nega questo diritto, credo si intacchi una norma precisa del regolamento, prevista all'articolo 41.
PRESIDENTE. Onorevole Gerardo Bianco...
GERARDO BIANCO. Detto questo, mi rimetto alle sue decisioni.
PRESIDENTE. Onorevole Bianco, la parola non si nega a nessuno. Immagini in questa circostanza, rispetto alla sua autorevole persona. Però, le debbo dire che, se riguarda lo stesso argomento su cui ho fatto parlare tutti i gruppi - ed anche il suo gruppo è stato rappresentato - e che abbiamo definito, non posso rimettere la questione in discussione ogni volta. Altrimenti, anziché parlare degli argomenti all'ordine del giorno, parliamo dell'ordine dei lavori. Francamente, diventa una cosa stonata.
GERARDO BIANCO. Presidente, mi permetta. Siccome credo di avere una lunga esperienza in questo Parlamento e di usare con moderazione il mio diritto ad intervenire, evidentemente il mio intervento non voleva essere casuale; comunque, è superato dagli eventi.
Me ne rammarico perché avevo chiesto la parola anche per dare un contributo a determinare un clima dialogante su una materia così delicata, che credo richieda l'attenzione di tutti. Sono qui alla Camera da questa mattina a sentire tutti gli interventi ed ecco perché credo bisogna prestare anche attenzione per il rispetto di chi, stando qui ad ascoltare, cerca poi di dialogare e non certo di creare un qualche fastidio all'andamento dei lavori. Comunque, la ringrazio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Parolo. Ne ha facoltà.
UGO PAROLO. Signor Presidente, dopo gli interventi molto precisi che ci sono già stati, può sembrare a questo punto quasi inutile prendere la parola sul merito della questione. Tuttavia, credo che, in effetti, su un tema così importante e delicato è estremamente necessario che ognuno di noi, soprattutto ognuno dei deputati della Lega nord Padania, possa esprimere la propria opinione perché questo, non dimentichiamolo, è un tema centrale rispetto al programma del Governo della Casa delle libertà, ma è soprattutto il tema fondante per il quale la Lega nord Padania ha sottoscritto l'accordo di Governo all'interno della Casa delle libertà.
Pertanto, accolgo anche l'invito dell'onorevole Gerardo Bianco, il quale credo fosse sicuramente in buona fede quando poc'anzi è intervenuto per cercare di portare il proprio contributo e poi, magari per un malinteso, gli è stato impedito. Posso testimoniare che ci ha effettivamente ascoltato questa mattina.
UGO PAROLO. In ogni caso, anche l'onorevole Gerardo Bianco e chi ci ha ascoltato devono dare atto che i nostri non sono stati interventi miranti a provocare o in qualche modo ad offendere qualcuno. Certamente, ognuno di noi ha la propria sensibilità e il proprio carattere, ma questa mattina i deputati della Lega nord Padania sono intervenuti nel merito della questione, cercando di portare un ulteriore contributo a questa modifica costituzionale che può effettivamente cambiare il destino dello Stato italiano.
È importante parlare di federalismo, di sussidiarietà, di devolution, perché ascoltando la gente si ha quasi la sensazione che questo tema così importante venga a questo punto considerato come una moda, anzi, come una moda che sta passando: tutti noi credo possiamo avvertire questa sensazione. Pochi anni fa parlare di federalismo significava scatenare i sogni, la fantasia, la voglia di cambiamento della gente. Oggi, quando si parla di questi temi, la gente ascolta stancamente. Allora, viene
da chiedersi se effettivamente questa è una moda o un'esigenza e soprattutto per quale motivo oggi la gente è stanca e si dimostra, almeno apparentemente, meno interessata rispetto a questi temi. La risposta la dobbiamo trovare nella troppa attesa che la nostra gente ha dovuto subire, nelle troppe promesse non mantenute, nelle vane promesse che hanno rischiato e stanno rischiando di svuotare il vero contenuto e la vera importanza di questo cambiamento, il federalismo, che invece è un cambiamento epocale.
Grande responsabilità politica rispetto a questa disaffezione da parte della gente la dobbiamo sicuramente imputare ai governi del centrosinistra, che hanno preceduto il Governo della Casa delle libertà, i quali hanno alzato la bandiera del federalismo cercando di scipparla alla Lega nord, che per prima in assoluto ha colto l'importanza di questo cambiamento. Questi governi hanno scippato questa bandiera, l'hanno issata, ma l'hanno nel contempo svuotata; anzi vorrei dire che in qualche maniera l'hanno anche offesa. Ricordiamo perfettamente le pseudoriforme federaliste fatte negli anni scorsi, in cui i governi del centrosinistra hanno trasferito grandi competenze - dobbiamo riconoscerlo - agli enti locali, in qualche caso alle regioni e alle province, ma a queste competenze non è mai seguita nessuna effettiva capacità fiscale che potesse far fronte alle maggiori competenze che venivano attribuite agli enti locali.
In questo modo le regioni, gli enti locali per poter ottemperare ai nuovi compiti sono stati costretti ad imporre nuove tasse, nuovi tributi ai cittadini, i quali hanno avvertito il federalismo come un fenomeno che invece di permettere la gestione delle risorse consente l'introduzione di nuove tasse e risponde ad un cattivo funzionamento della macchina dello Stato. Paradossalmente questa inefficienza, questo disagio si sono avvertiti con maggior forza al nord dove - è noto - la capacità e l'autonomia finanziaria degli enti locali è maggiormente elevata rispetto al sud dove, al contrario, vi è maggiore necessità di intervento da parte dello Stato centrale per garantire i servizi. Quindi al sud gli enti locali, le regioni, riguardo al tema dell'ulteriore autotassazione, sono dovuti intervenire con minore forza creando minori disagi nei confronti dei loro cittadini. Di conseguenza nei luoghi in cui è nata l'esigenza del federalismo si è svuotata o si è tentato di travisare la vera necessità della gente.
Ribadisco brevemente come oggi, più che mai, è necessario proseguire sulla strada del federalismo poiché siamo dinanzi ad una svolta cruciale. Questo non deve essere un Governo di potere, ma di cambiamento, così com'è stato promesso alla gente in campagna elettorale.
Questo Governo deve avere la forza di continuare sulla strada del federalismo, della devoluzione dei poteri, del vero riconoscimento dell'autogoverno locale. Solo in questo modo possiamo vincere la scommessa che ci ha visto ottenere la vittoria nelle elezioni nel 2001, solo così possiamo tenere fede alle promesse elettorali che abbiamo fatto e, soprattutto, solo così la Lega nord può continuare a far parte del Governo della Casa delle libertà, ad essere sua fedele alleata. Infatti la Lega nord è al Governo per garantire il cambiamento - che ha costituito il primo dei suoi obiettivi - il federalismo, uno Stato federale e per riconoscere a questo paese quella capacità di autogoverno necessaria sia al nord sia al sud. In questo modo al sud si potrà porre fine al clientelismo, al malgoverno, al malaffare, garantendo così un efficiente ed un efficace sviluppo dell'autonomia e dell'economia. Al nord invece sarà concessa la possibilità di autogovernarsi e gestire quelle ingenti risorse ricordate questa mattina dai colleghi che mi hanno preceduto.
Noi vogliamo fortemente che questo provvedimento venga approvato nel minor tempo possibile con il consenso di tutte le forze della Casa delle libertà e con le dovute mediazioni che debbono tener conto delle diverse sensibilità che caratterizzano il Governo. Bisogna far questo senza svuotare il disegno di legge al nostro esame dei suoi contenuti essenziali, soprattutto mantenendo fermo il timone del
federalismo, della devoluzione e dell'autogoverno locale (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, ho aspettato che lei arrivasse questa mattina per fare un richiamo al regolamento - articolo 24, comma 12 - e per porle, di conseguenza, una questione sull'ordine dei lavori.
Signor Presidente, lei ricorderà che ho già posto due volte la questione relativa all'applicazione del comma 12 dell'articolo 24 in riferimento all'interpretazione che ella ne ha dato. Tale interpretazione, tra l'altro, non è stata costante, poiché ogni volta è stata presa una diversa decisione. Uno specifico passo dell'articolo in questione recita «...ovvero nel caso in cui la discussione non riesca a concludersi...».
Quindi, il nostro regolamento attribuisce al Presidente della Camera, qualora l'esame di un provvedimento iscritto in calendario non riesca a concludersi, la possibilità di rinviare l'esame del provvedimento stesso al calendario successivo, contingentandone i tempi. Stiamo al momento discutendo della modifica dell'articolo 117 della Costituzione, un provvedimento che, sicuramente, può cambiare molti aspetti della vita degli italiani perché riguarda la polizia locale, l'assistenza e la sanità e l'organizzazione della scuola.
Signor Presidente, vorrei richiamare l'interpretazione dell'articolo 24, comma 12, del regolamento nel dubbio che, come accaduto in passato in analoghe circostanze, la Presidenza possa applicarlo, interpretando l'espressione «non riesca a concludersi», contenuta nel suddetto articolo, in un modo che, evidentemente, non abbiamo mai condiviso (l'ho già contestato molte volte, chiedendo alla Giunta per il regolamento di pronunziarsi in merito); lei, in una di queste occasioni, ha anche condiviso la necessità di una disciplina di questa interpretazione.
Signor Presidente, per quanto riguarda il provvedimento in esame non mi limito a richiamare la sua attenzione sulla questione in generale, ma vorrei richiamarla su un fatto particolare che sta avvenendo in questo momento. È la prima volta che su un provvedimento (è interessato dall'articolo 24, comma 12, del regolamento) è la stessa maggioranza a non rendere possibile la conclusione della discussione. Non può essere assolutamente corretta l'interpretazione del Presidente di troncare la discussione, non ritenendo concluso o concludibile l'esame del provvedimento in questa fase per rinviarla al calendario successivo, quando è la stessa maggioranza a rendere impossibile la conclusione dello stesso; altrimenti si determinerebbe il precedente che la maggioranza, permettendo che sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti intervengano tutti i suoi dipendenti (Commenti dei deputati del gruppo dei Alleanza nazionale), può impedire ogni volta che un provvedimento...
PRESIDENTE. Tutti i suoi parlamentari, voleva dire.
ANTONIO BOCCIA. Sì, parlamentari.
PRESIDENTE. Ha detto tutti i suoi dipendenti.
ANTONIO BOCCIA Chiedo scusa, colleghi, è stato un errore.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Boccia.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, è evidente che, dal mio punto di vista, vi sarebbe un vulnus al quadrato, nel senso che non si conclude una discussione per far scattare il comma 12 dell'articolo 24 del regolamento e dare a lei, Presidente, la possibilità di rinviare l'esame del provvedimento al prossimo calendario su iniziativa della stessa maggioranza. Ciò francamente renderebbe questa interpretazione fortemente forzata.
Vorrei concludere, esprimendo una terza considerazione. Se lei volesse veramente dare ancora una volta questa interpretazione,
almeno non può non consentire all'opposizione di partecipare al dibattito perché noi, al punto in cui siamo, considerato il numero degli iscritti a parlare del gruppo della Lega, legittimo, perderemmo addirittura il titolo ad esprimere la nostra opinione, il che, francamente, è un vulnus al cubo.
Pertanto, le chiederei, in primo luogo, di convocare la Giunta per il regolamento per chiarire in che termini si applichi l'espressione «non riesca a concludersi», contenuta nel regolamento; in secondo luogo, di fare in modo che si riunisca la Conferenza dei presidenti di gruppo per disciplinare l'attuazione di questo benedetto momento in merito al suddetto provvedimento ed, in terzo luogo, di darci un tempo congruo perché i gruppi dell'opposizione possano esprimere la loro opinione su tale importantissimo provvedimento.
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, mi dispiace non essere d'accordo con lei. La prima ragione è che alcuni parlamentari dei gruppi di opposizione erano iscritti a parlare e si sono cancellati. Quindi, nessuno ha negato loro la parola! Questo risulta dai verbali della seduta.
Non posso nemmeno accettare, dunque, questo rilievo a posteriori, quando parlamentari legittimamente iscritti a parlare, ed ai quali si sta per dare la parola, rinunciano (Commenti del deputato Boccia). È così onorevole Boccia! Ho qui davanti il verbale; mi è stato fornito dagli uffici. Lei sostiene di no! Allora, leggo testualmente: «Ha chiesto di parlare l'onorevole Amici.» - dice il Presidente - «Ne ha facoltà. L'onorevole Amici si è cancellata. Constato l'assenza dell'onorevole Mancini, che aveva chiesto di parlare: s'intende che vi abbia rinunziato».
Parli pure, onorevole Boccia.
DONATO BRUNO. Continui, signor Presidente.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, questa non è una questione di interpretazione politica, bensì una verità dei fatti. Questa mattina il collega Ruzzante ha ritirato le iscrizioni a parlare. Quando vi è stato questo incidente, il collega Ruzzante si è alzato - bisogna leggere il verbale anche nelle parti successive - ed ha chiarito che i colleghi Amici e Mancini non hanno rinunziato a parlare; semplicemente, non si erano più iscritti.
ELIO VITO. E allora? Non volevate parlare!
ANTONIO BOCCIA. Quindi, non risultano iscritti a parlare. Non hanno rinunciato!
PRESIDENTE. Onorevole Boccia, la ringrazio per la precisazione, perché tutto poteva pensare il Presidente salvo che fare polemica con colleghi; devo dire che nella sua replica trovo qualche elemento di conforto rispetto la mia valutazione.
Onorevole Boccia, il discorso è molto semplice. Credo che, per la certezza dei nostri lavori, e la ringrazio di averne dato l'occasione con il suo intervento procedurale, occorra fare il punto sulla situazione. All'ordine del giorno della seduta odierna abbiamo, secondo quanto convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo di giovedì 20, oltre al seguito dell'esame del disegno di legge di revisione dell'articolo 117 della Costituzione, sul quale ci sono 143 emendamenti, il disegno di legge di riforma del sistema fiscale, con 63 emendamenti, il disegno di conversione del decreto-legge sulla violenza nelle competizioni sportive, con 55 emendamenti, il disegno di legge di conversione del decreto-legge sulle vittime del terrorismo, con quattro emendamenti.
Considerato il numero di iscritti a parlare sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti, della maggioranza e dell'opposizione - perché, come lei ha riconosciuto, quando si tratta di parlare, c'è un diritto di tutti -, il numero degli emendamenti presentati ed il mancato contingentamento dei tempi sul disegno di legge di revisione costituzionale al nostro esame, appare chiaro che difficilmente l'esame dello stesso potrà concludersi entro la settimana in corso, come previsto dal calendario.
Ritengo, pertanto, che il seguito dell'esame del disegno di legge costituzionale, così come fatto in altra occasione, possa essere rinviato al prossimo calendario nelle date che saranno indicate dalla Conferenza dei presidenti di gruppo. Poiché però, per la seconda volta, il vicepresidente del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo, l'onorevole Boccia, mi pone tale questione e poiché voglio che sia disciplinato il precedente per il futuro, nell'assumere la decisione in ordine al calendario odierno, convoco per le 19,30 di oggi la Giunta per il regolamento, perché quella è la sede per disciplinare la fattispecie a cui ha fatto riferimento, affinché per il futuro non si ripeta questa situazione.
Quindi, convoco alle 19,30 la Giunta per il regolamento che su questo dovrà assumere una decisione. Mi auguro sia una decisione unanime; se non sarà possibile, vi sarà una decisione a maggioranza perché inevitabilmente mi trovo a fare i conti con una consuetudine che si è formata nella legislatura, in conformità a quella che è la decisione della Presidenza.
D'altronde, non è infondata nemmeno la tesi dell'onorevole Boccia. Mi sembra giusto, dal momento che il gruppo che solleva questo problema è un gruppo importante, che su questo si scriva la parola «fine» e che la pronunci la Giunta per il regolamento.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendiamo naturalmente atto delle sue decisioni e delle riserve che ha sollevato il collega Boccia; prendiamo anche atto della convocazione della Giunta per il regolamento, dove si discuterà anche di questo.
Tuttavia, visto l'andamento del dibattito su un tema così importante come la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, per cui alcuni colleghi dei gruppi di opposizione - mi riferisco a quelli del gruppo della Margherita -, che non si sono ritirati, non hanno potuto partecipare al dibattito sull'articolo 1 e sul complesso degli emendamenti ad esso presentati e siccome in questo modo l'esame del disegno di legge costituzionale slitterà alla successiva seduta del mese prossimo, in cui il tempo è contingentato, le chiedo la cortesia di concedere almeno un paio d'ore, affinché i colleghi, che sono stati sacrificati da una decisione assolutamente legittima di un gruppo della maggioranza di bloccare praticamente il dibattito, abbiano la possibilità di intervenire. Quindi, le chiedo di dare questa possibilità, perché, se anche questi colleghi che non hanno rinunciato ad intervenire... Possiamo anche vedere di contenerne il numero...
PRESIDENTE. Onorevole Castagnetti, dovrei capire però cosa mi sta chiedendo esattamente.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Le sto chiedendo che oggi pomeriggio sia consentito ai colleghi dei gruppi dell'opposizione, che si sono iscritti a parlare e che non hanno ritirato la richiesta, di partecipare al dibattito.
PRESIDENTE. Bene, ho capito, non mi chiedeva un tempo supplementare rispetto a quello contingentato; lei si riferiva alla seduta odierna. Va bene.
MARCO BOATO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, ci troviamo in una situazione un po' paradossale, perché oggi il primo punto all'ordine del giorno era - e lo è tuttora - l'esame della modifica dell'articolo 117 della Costituzione, disegno di legge presentato dal Governo, con principale sponsor politico il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, Bossi, che è anche il presidente del gruppo della Lega (Commenti dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)... Sì, segretario federale.
Si tratta di un disegno di legge governativo che è stato pubblicizzato urbi et orbi come tema centrale per le riforme istituzionali. Noi oggi ci troviamo di fronte, come già ci è capitato in altre circostanze, in aula (le ricordo: la riforma del Corpo forestale dello Stato, l'introduzione dell'istituto della sospensione condizionata della pena) e in Commissione (dove da molti mesi perdura un ostruzionismo sulla materia della libertà religiosa), ad un gruppo della maggioranza - cosa che non ha precedenti nella storia parlamentare - che sta facendo ostruzionismo su provvedimenti del Governo e, nel caso specifico, lo sta facendo sul disegno di legge che da mesi sta pubblicizzando urbi et orbi come un disegno di legge fondamentale da affrontare a livello parlamentare.
Ci siamo trovati di fronte al fatto che una parte dell'opposizione, in particolare il gruppo dei Democratici di sinistra, per agevolare l'esame parlamentare di questa materia, su cui c'è un nostro dissenso - abbiamo presentato degli emendamenti, ma abbiamo cercato un confronto aperto anche in Commissione e non abbiamo fatto nessuna forma di ostruzionismo -, ha ritirato la propria iscrizione a parlare e, invece, si sono iscritti in massa deputati della Lega che, di fatto, hanno ostruito la possibilità di arrivare all'esame degli emendamenti (Commenti dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)... Preferirei poter completare l'intervento senza le interruzioni dei deputati della Lega, Presidente. Essi hanno impedito e stanno impedendo all'Assemblea di arrivare all'esame degli emendamenti.
Ora lei sta annunciando che intende sospendere l'esame di questo provvedimento per inserirlo nel calendario del mese di aprile e contingentarlo. A me tutto questo sembra paradossale, Presidente, perché il contingentamento può essere uno strumento legittimo sotto il profilo regolamentare di fronte ad un'opposizione che stia facendo una qualche forma di ostruzionismo all'esame di quel provvedimento, ma questo non sta avvenendo! L'opposizione non sta mettendo in atto alcuna forma di ostruzionismo! Non lo ha fatto in Commissione - e cito a testimone il presidente della I Commissione, che è anche il relatore del provvedimento, il collega Bruno - e non lo ha fatto in aula, mentre l'ostruzionismo all'esame del provvedimento in aula lo ha fatto esclusivamente il gruppo della Lega, come testimoniano i resoconti della seduta odierna!
Francamente, trovo inaccettabile, Presidente, politicamente, ma anche dal punto di vista regolamentare, che questo avvenga!
Lei ha convocato la Giunta per il regolamento per stasera alle 19,30: incidentalmente, le dico che tutti i capigruppo dell'opposizione le chiedono di convocare la Giunta per il regolamento da due settimane sulla materia dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - che è la legge di riforma del titolo V - e non abbiamo avuto ancora l'onore di vedere questa convocazione. Tutti i presidenti di gruppo dell'opposizione le hanno scritto, chiedendole la convocazione della Giunta per il regolamento per affrontare una materia che la Giunta stessa ha al proprio esame da molti mesi. Anche tale esame non si è ancora concluso; non so se, pure in questo caso, sia in atto una qualche forma di ostruzionismo da parte di qualche membro della maggioranza, visto che tutta l'opposizione chiede che questa materia venga affrontata. Si tratta semplicemente di un'osservazione incidentale alla quale sarebbe opportuno fornire una risposta.
Per quanto riguarda questa materia specifica - ossia la modifica dell'articolo 117 della Costituzione, oggi in esame -, trovo totalmente inaccettabile ciò che sta avvenendo. C'è un uso strumentale dell'ostruzionismo da parte del gruppo di maggioranza che sponsorizza, a parole, l'esame di questo provvedimento e che, nei fatti, lo blocca, per impedire all'opposizione di esprimere compiutamente il proprio pensiero, attraverso il contingentamento che scatterà nel calendario di aprile.
Credo, Presidente, che tutto questo sia un sostanziale, non formale - per l'aspetto
formale, lei ha convocato la Giunta per il regolamento - stravolgimento di un minimo di correttezza nei rapporti tra maggioranza ed opposizione mentre esaminiamo un disegno di legge costituzionale del Governo, sostenuto formalmente dalla maggioranza, ma, in questo momento, ostruito da un gruppo della maggioranza. Questo a me pare inaccettabile!
LUCIANO VIOLANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, con la pacatezza che la situazione richiede, vorrei segnalare che la questione - credo che i colleghi li abbiano colti - presenta due aspetti singolari rispetto alla prassi parlamentare. Il primo aspetto singolare è che il progetto di legge di cui discutiamo è un progetto della maggioranza. Il secondo è che, oggi - diciamolo chiaramente -, la maggioranza non avendo i numeri per sostenere il suo provvedimento - questo è quello che è accaduto -, perché riteneva che sarebbe stata l'opposizione a parlare per far decorrere il tempo, ha dovuto correre ai ripari, intervenendo in questo modo. Nulla da contestare dal punto di vista regolamentare. È una questione politica e l'affronteremo anche fuori di qui.
Ma qui vi è un punto regolamentare: l'esercizio dei diritti, in quest'aula, è sempre legato ad un principio di responsabilità. Se l'avesse fatto l'opposizione, la stessa avrebbe pagato il costo di questo suo ostruzionismo con la dichiarazione del Presidente di concludere la discussione per parlarne nuovamente ad aprile. Adesso, però, il problema è diverso, perché è stata la maggioranza a porre tale questione. È necessario che la maggioranza paghi un prezzo, come lo avrebbe pagato l'opposizione esercitando questo diritto.
Per questo motivo, ritengo non si possa, in queste condizioni, sospendere l'esame di questo provvedimento per ritrovarsi in una situazione abbastanza singolare: la maggioranza non aveva i numeri per sostenere il suo provvedimento, ha fatto ostruzionismo, ottenendo anche che il provvedimento venga tolto dal calendario dei lavori. È troppo.
Per queste ragioni, chiedo, Presidente - capisco che la situazione è nuova -, di andare avanti finché sia convocata o la Giunta per il regolamento o la Conferenza dei presidenti di gruppo (a seconda che si dia più peso all'aspetto regolamentare o a quello politico) per dipanare la questione. Infatti, credo si tratti di un eccesso di potere - vogliamo usare questo termine - da parte della maggioranza.
Se vogliono fare ostruzionismo, lo facciano pure, però paghino un prezzo, come lo paghiamo noi quando facciamo ostruzionismo.
GRAZIELLA MASCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, non sono esperta di procedure formali e regolamentari, tuttavia, è evidente ciò che è avvenuto e sta avvenendo in quest'aula. Sta avvenendo ciò che, peraltro, è successo, nella I Commissione - come ha ricordato l'onorevole Boato -, ossia che i provvedimenti presentati dal Governo sono bloccati da un gruppo che fa ostruzionismo alla maggioranza stessa.
Quello che, oggi, si pone è un enorme problema politico. Non è accettabile che, di fronte ad un ostruzionismo di questo tipo, fuori da qualsiasi rapporto istituzionale classico - essendo un ostruzionismo fatto dallo stesso gruppo della maggioranza -, si decida di esaminare un provvedimento di tale portata - cui noi ci opponiamo ma che pretendiamo di poter discutere fino in fondo -, in tempi contingentati e secondo i tempi stabiliti dal ministro (infatti, da almeno due settimane, il ministro Bossi dichiara ai giornali che questo provvedimento sarà approvato il 3 aprile). Non credo che questo sia un fatto normale. Penso che la discussione sul provvedimento debba continuare e che l'iter si debba concludere nei tempi necessari
ad un progetto di legge costituzionale. Non ho proposte regolamentari da presentare perché non sono un'esperta, ma penso che, politicamente ed istituzionalmente, dovremmo avere il diritto e il dovere di proseguire questa discussione fino alla fine e di non affrontare l'esame in una fase successiva con i tempi contingentati.
DARIO GALLI. Chiedo di parlare dell'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DARIO GALLI. Signor Presidente, avendo ascoltato i rispettabilissimi interventi, da veri cultori del regolamento, dei colleghi Boccia, Boato e Violante, intervengo solo per alcune precisazioni.
Penso che i colleghi debbano riconoscere che non abbiamo fatto assolutamente nulla fuori dal regolamento. Non capisco, quindi, cosa ci venga imputato.
Debbo anche dire che, contrariamente a quanto affermato dall'onorevole Boccia, alcuni parlamentari del mio gruppo, della Lega nord Padania, hanno chiesto di iscriversi a parlare nella discussione successivamente all'iscrizione dei colleghi del centrosinistra, i quali, poi per motivazioni loro, hanno ritirato l'iscrizione o hanno ritenuto di rinunciare a parlare.
Ad ogni modo, noi non ci siamo iscritti per primi, al fine di togliere la possibilità ed il tempo per intervenire ai colleghi del centrosinistra, tanto è vero che le nostre iscrizioni sono avvenute dopo che erano già intervenute quelle dei colleghi della minoranza. Quindi, non era assolutamente questa l'intenzione del gruppo della Lega nord Padania.
Peraltro, come diciamo spesso, questo è un Parlamento e, quindi, per definizione, il luogo in cui si esprimono le proprie opinioni. Proprio per le ragioni richiamate dall'onorevole Boato, è evidente che il provvedimento al nostro esame oggi è centrale, per noi, in questa legislatura, anzi, il primo, in ordine di importanza, per quanto riguarda il gruppo della Lega nord Padania.
Perciò, se, in una mattinata o, eventualmente, in un primo pomeriggio, in 4, 5 o 6 ore, anche il gruppo che porta avanti da vent'anni questo discorso parla per un'ora e mezza (a tanto si riduce, alla fine, lo spazio occupato dai nostri interventi), ciò non mi pare così fuori dal mondo!
Anche se facciamo parte della maggioranza e presentiamo un provvedimento come maggioranza, credo che la volontà di descrivere, di entrare nel merito, di illustrare le ragioni e di sottolineare l'importanza, per noi, del provvedimento medesimo rientri assolutamente nelle legittime aspirazioni di chi è stato eletto, nelle terre del nord, per portare avanti un discorso di libertà delle terre del nord! Quindi, mi pare che non stiamo facendo nulla di sconcertante o di estraneo al regolamento.
FRANCESCO GIORDANO. Allora, andiamo avanti!
PRESIDENTE. Onorevole Giordano, la prego!
DARIO GALLI. Dopodiché, se i colleghi del centrosinistra desiderano un tempo ulteriore per apportare al dibattito le loro istanze...
RENZO INNOCENTI. Andiamo avanti allora!
DARIO GALLI. ...noi siamo d'accordissimo a ritirare le iscrizioni di altri nostri parlamentari - i quali pure avrebbero voluto dare un contributo alla discussione - per lasciare spazio ai colleghi del centrosinistra.
ELIO VITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELIO VITO. Signor Presidente, poiché lei non ha assistito a tutta la seduta stamane, intervengo per cercare di ristabilire un po' l'ordine delle cose e per tornare al regolamento. I colleghi dell'opposizione adottano le loro tattiche o strategie d'opposizione come meglio credono,
ma, se queste non raggiungono le finalità che avevano pensato di raggiungere, debbono anche prenderne atto!
Da un punto di vista strettamente regolamentare - che è quello che mi interessa, signor Presidente -, faccio rilevare che questo provvedimento era stato calendarizzato a febbraio e che già nella scorsa Conferenza dei presidenti di gruppo sussistevano i presupposti per contingentarne l'esame nel mese di marzo.
Dal punto di vista strettamente regolamentare, l'esame del provvedimento, che non è stato concluso nel mese di febbraio, non è stato comunque contingentato a marzo per una decisione - contestata dalla maggioranza - che la Presidenza ha assunto affermando di voler concedere che per un secondo mese di calendario il provvedimento non fosse contingentato.
Dunque, le condizioni regolamentari che lei, solo adesso, tardivamente, ha annunciato, sussistevano già da trenta giorni, e sarebbe singolare se i colleghi dell'opposizione non ne prendessero atto. Il presidente Violante - spiace tornare ai suoi precedenti - sa perfettamente che vi sono centinaia di precedenti nei quali i provvedimenti, semplicemente iscritti in un calendario, venivano contingentati non due mesi dopo, signor Presidente, ma la settimana successiva - con un calendario per quindici giorni - senza che l'esame di quei provvedimenti fosse mai iniziato! Credo che la Presidenza abbia fatto bene ad innovare la prassi, ad allargare i tempi ed a pretendere che vi sia comunque una fase di discussione. Questa fase, però, vi dev'essere!
Quando, nella precedente Conferenza dei presidenti di gruppo, io ho detto che il provvedimento poteva già essere contingentato a marzo, per cui sarebbe ridicolo se, ora, stessimo a discutere sulle condizioni che debbono ricorrere per contingentarlo ad aprile, i presidenti dei gruppi dell'opposizione, Violante e Castagnetti, hanno replicato: vogliamo comunque una fascia di tempo per la discussione. Allora, la Presidenza - unanime la capigruppo - ha riservato a tale fascia di tempo questo martedì mattina. Arriviamo a martedì mattina (i documenti non danno abbastanza atto di quanto si è potuto cogliere visivamente) ed i colleghi dell'opposizione, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo, che si erano iscritti a parlare, si sono cancellati.
A quel punto, Presidente, quelle condizioni che lei aveva richiamato erano già di nuovo superate. Infatti, se l'opposizione chiede uno spazio per discutere il provvedimento e poi, di fatto, vi rinuncia, cancellando i propri esponenti, comunque quello spazio va considerato chiuso e si passa alla fase successiva di contingentamento. Che cosa è accaduto? Qualche deputato di maggioranza, per la verità non solo della Lega nord Padania, ma anche di Forza Italia, è voluto intervenire, visto che era in corso una discussione richiesta dall'opposizione, alla quale la stessa opposizione rinunciava. Questo è il grande reato? Questa è la grande colpa?
Poi che cosa è successo ancora? È successo che Boccia ha, sì, iscritto altri deputati della Margherita - gli uffici lo possono testimoniare - ma premunendosi che questi iscritti (per poter precostituire le condizioni di questo ulteriore richiamo) fossero collocati dopo quelli della Lega nord Padania, cioè premunendosi che comunque non parlassero oggi (anche il collega Burtone può darne atto). Nonostante vi fosse la possibilità per farli intervenire nella mattinata, è stato chiesto espressamente che fossero iscritti dopo il nono o decimo collega della Lega nord Padania, affinché quindi non parlassero, per poi poter dire: guardate che non hanno parlato! Se avessero voluto parlare, avrebbero potuto farlo questa mattina. Sono stati cancellati e volutamente hanno chiesto di parlare successivamente.
Concludo, Presidente, per parlare della questione che più mi sta a cuore. Le risulterà dagli uffici che da questa mattina è la maggioranza, non l'opposizione, che sta facendo pressing per la concessione dei 20 minuti di preavviso e per iniziare a votare. Quindi, anche questo argomento proposto dal presidente Violante, secondo il quale la maggioranza non era pronta e ha fatto ostruzionismo perché non voleva
votare, è del tutto inconferente. E le risulterà sicuramente che da circa due ore sollecitiamo la concessione dei 20 minuti per iniziare a votare su questo o su un altro provvedimento.
Quindi, Presidente, non capisco che genere di discussione stiamo facendo. Credo che l'opposizione avrebbe dovuto darle atto che ha dato due ore per discutere su un provvedimento sul quale ora ha rinunciato a parlare.
FRANCESCO GIORDANO. Vito, votiamo allora!
ELIO VITO. Era martedì mattina il tempo previsto dalla capigruppo, Giordano, era chiaro. C'era martedì mattina, se volevate discutere. Ora il provvedimento può essere contingentato da due mesi.
FRANCESCO GIORDANO. Presidente, gli sto dando ragione!
ANDREA LULLI. Votiamo! Votiamo!
PRESIDENTE. Scusate un secondo, colleghi, la questione come sempre sta nel mezzo, non perché la si voglia mettere in mezzo, ma perché lo è realmente.
A parte che la Presidenza ha accolto, a mio parere con una formula di grande cortesia che personalmente condivido, la richiesta di un gruppo parlamentare di iscrivere i propri parlamentari dopo i parlamentari della Lega nord Padania (cosa che poi ha un po' complicato la situazione), sarebbe bastata l'applicazione dell'articolo 36 del regolamento e della regola generale in materia di discussione, che avrebbe alternato l'uno all'altro; adesso questo problema non ci sarebbe. Tra parentesi, il presidente Cè, tramite, credo, l'onorevole collega che ha parlato adesso, si è dichiarato disponibile, poiché il tempo della Lega nord Padania è già stato utilizzato, a ritirare le iscrizioni.
Il capogruppo della Margherita mi pone il problema di alcuni suoi colleghi che vorrebbero parlare, ed è giusto che rimanga agli atti di questa discussione il loro punto di vista; se ce ne saranno altri, la Presidenza può assicurare un tempo ulteriore per far proseguire la discussione su questo. Al discorso generale precedentemente fatto non rinuncio perché ne sono convinto; comunque, accedo anche alla richiesta - a cui si è associato l'onorevole Violante, ma già era stata formulata dall'onorevole Boccia - di convocare oggi pomeriggio la Giunta per il regolamento in modo tale che ci sia un punto di riferimento.
Ora diamo ancora la parola ad alcuni colleghi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.
Colleghi, andiamo avanti, ci sono quattro o cinque colleghi della Margherita che hanno chiesto di parlare.
LUCIANO VIOLANTE. Presidente, sono le 13,35!
PRESIDENTE. Ho capito, ma il gruppo della Margherita me lo ha chiesto mezz'ora fa, onorevole Violante.
RENZO INNOCENTI. Presidente, vorremmo sapere dopo come proseguiremo!
PRESIDENTE. Onorevole Innocenti, c'era anche lei in aula.
RENZO INNOCENTI. Ma dopo cosa facciamo? Sospendiamo o proseguiamo?
PRESIDENTE. Dopo sospendiamo perché c'è un impegno anche a contenere i tempi. Ricominceremo evidentemente un pochino dopo, ricominceremo alle 16, se la seduta si protrae fino alle 14,30 o alle 15.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, non voglio riprendere alcuno degli elementi che hanno fatto parte di quest'ultima discussione, tuttavia, voglio almeno esprimere soddisfazione per il fatto
che in questo dibattito anche la voce dei gruppi dell'opposizione, per quanto mi riguarda del gruppo della Margherita, può trovare spazio. Non voglio assolutamente discutere del come si è svolta la mattinata in quest'aula - certamente ogni collega è intervenuto legittimamente in questo dibattito - voglio soltanto dire che, anche da parte mia, ho trovato piuttosto strano che questo provvedimento così caro alla maggioranza, così importante per il gruppo della Lega, sia sostanzialmente stato oggetto di ostruzionismo da parte di questo gruppo.
Sul piano politico, signor Presidente e colleghi, vorrei rilevare che mentre noi, in quest'aula, parliamo di devolution, proprio in questi giorni, la stragrande maggioranza dei consigli comunali è convocata per la discussione e l'approvazione dei bilanci preventivi. Credo che alcuni colleghi che, oltre ad essere parlamentari, svolgono anche il ruolo di sindaci o di consiglieri comunali nei loro comuni, possano certamente testimoniare le difficoltà che incontrano i consigli comunali nel reperire le risorse, nel trovare gli elementi per far quadrare i bilanci e si vedono costretti a tagliare i servizi, ad aumentare le tariffe, a ridurre, sostanzialmente, le prestazioni ai cittadini ed alla comunità. E questo perché, colleghi? Perché la precedente finanziaria, la finanziaria votata dalla maggioranza di questo Parlamento, la finanziaria che ha avuto anche il sostegno del gruppo della Lega, ha letteralmente tranciato i finanziamenti alle comunità locali e non ha tenuto conto delle regioni, non ha tenuto conto delle nostre province né dei nostri comuni. Tant'è che agli atti della vita sociale e politica del dibattito dei mesi scorsi, quando in questo Parlamento, nelle diverse fasi, abbiamo valutato e votato la legge finanziaria, sono registrate le preoccupazioni e i «no» a quella manovra finanziaria da parte delle regioni gestite e amministrate dal centrodestra e dal centrosinistra, da parte delle province e da parte dei comuni.
Penso anche ai piccoli comuni, penso alle unioni dei comuni, alle comunità montane e a tutte quelle forme della sussidiarietà che spesso, anche questa mattina, viene evocata ma mai, ahimè, nella finanziaria, quando si è trattato davvero di fare le scelte riguardanti la vita delle autonomie locali, la bontà dei servizi che le autonomie locali sono chiamate ad offrire alle comunità stesse e ai cittadini di quelle comunità: quando si è trattato di decidere le linee finanziarie, i primi elementi ad essere tagliati sono state le regioni, le province, i comuni. Ed è davvero strano che mentre noi parliamo di devolution siamo costretti a registrare che, proprio in questi giorni, i nostri amministratori locali vivono con grande difficoltà la formulazione dei bilanci.
Vorrei svolgere una seconda riflessione, perché questa mattina, da più parti, è stato domandato come mai vi sia una minore attenzione dei cittadini delle nostre comunità rispetto a questo tema, tema che è stato indicato nel tempo in differenti maniere: oggi si chiama devolution, ma è stato indicato anche con il termine «federalismo», mentre in passato si è parlato di «regionalismo». Ebbene, ci chiediamo anche noi il perché di tale fatto. Io vivo nel Veneto e conosco bene quale sia stato il lavoro che molti sindaci, al di là degli schieramenti e delle etichette, hanno svolto; conosco l'impegno con il quale essi hanno lavorato sul tema delle autonomie locali e della dignità dei nostri municipi, delle nostre province, delle nostre regioni. Ebbene, oggi questa attenzione è certamente minore.
Sostanzialmente, credo che i nostri cittadini chiedano al Parlamento, come al Governo o ai propri sindaci, la bontà e la qualità dei servizi. Probabilmente, essi non sono preoccupati, non trovano entusiasmo nel sapere chi è chiamato a gestire questi servizi, chi è chiamato a prestare una determinata opera, chi è chiamato ad assolvere ad una data responsabilità. Essi sono più interessati, giustamente, alla bontà dei servizi che vengono offerti e alla qualità con cui vengono esercitate le responsabilità. Certo, abbiamo anche il dovere di trovare una giusta applicazione dei valori della sussidiarietà e del federalismo solidale, perché in questi valori, sicuramente,
può trovare migliore esperienza la qualità dei servizi. Penso però che, al di là del come andremo a modificare l'articolo 117 della Costituzione, il faro che ci deve guidare sia certamente la qualità del servizio che viene reso ai nostri cittadini ed alle nostre comunità.
Signor Presidente, questa mattina è stato ricordato che il nostro Stato è una realtà centralista, uno Stato che ha voluto assomigliare un po' troppo alla Francia, che non ha saputo costruire un modello di sussidiarietà e che deve fare ancora molta strada verso la piena dignità delle autonomie locali. Mi permetto di dire, perché a volte si è portati ad esprimere troppo in negativo i fatti, che questo nostro paese, nei 50 anni che abbiamo alle spalle, è certamente cresciuto: non lo dico io, bensì i dati. L'Italia è cresciuta sul piano politico, economico, sociale e se dovessi individuare due elementi che hanno maggiormente qualificato tale crescita, direi che essi sono la scuola e la formazione per tutti, nonché la sanità e la salute per tutti. Abbiamo costruito, in diverse fasi, con miglioramenti successivi, un sistema scolastico nazionale che ha avuto come riferimento il cittadino, nelle sue diverse condizioni, il cittadino, che doveva essere posto nelle condizioni di poter usufruire di un servizio qualificato. Anche attorno al tema della salute, signor Presidente, siamo riusciti, in questi anni, a costruire un sistema sanitario nazionale nel quale il cittadino, la persona, sono stati posti al centro rispetto al servizio da offrire.
Il cittadino e la persona del nord, il cittadino e la persona del sud, il cittadino che vive nella grande città e quello che vive nel piccolo paese, nella piccola comunità di campagna o nella vallata di montagna. Questo è stato uno dei segreti che ha consentito al nostro paese di svilupparsi nel suo insieme ed ha fatto crescere i cittadini e le persone in quanto tali.
A me pare che la proposta di devolution intacchi i due servizi fondamentali: il servizio scolastico e la sanità. Credo che ci sia poco federalismo solidale, ma anche poca sussidiarietà nella proposta che ci viene presentata, perché essa si ottiene quando esiste la capacità locale di esprimersi e di gestire servizi. Ho la sensazione, signor presidente, che questa proposta costituisca un pesante attacco ai due pilastri sui quali è stata costruita la crescita e l'unità del nostro paese: la scuola e la salute per tutti.
Sollevo un ulteriore elemento di preoccupazione: non vorremmo che il provvedimento oggi alla nostra attenzione rappresentasse il primo e pesante attacco della maggioranza allo Stato sociale, attraverso cui il nostro paese è cresciuto, anche sul piano politico: attraverso lo Stato sociale siamo riusciti a fare in modo che tanta parte della popolazione, che non molti decenni fa si trovava ai margini dell'attenzione e della partecipazione politica, trovasse la capacità di portare il proprio contributo alla scena politica e alla costruzione della democrazia. Ci pare che la devolution porti con sé un attacco a questo modo di intendere il paese, che ammette certamente la sussidiarietà, ma coniugata con il grande valore della solidarietà.
In conclusione, vorrei esporre due notazioni. Solo un paio di settimane fa, il Parlamento ha approvato la riforma della scuola (riguardo cui, per il gruppo della Margherita, interverrà il collega Colasio), ma sulla base della devolution quella riforma è già vecchia: la cosiddetta riforma Moratti concentra i poteri nelle mani del ministro oggi, ma oggi, in base alla devolution, i colleghi della maggioranza ci spiegano che questi poteri vanno divisi e distinti. Bisogna compiere una scelta: o la riforma Moratti, che avete già approvato, è buona oppure è buona la riforma dell'articolo n. 117 della Costituzione che state approvando. Mi verrebbe da dire, cari colleghi: provate a mettervi d'accordo!
Vorrei sottolineare un'ulteriore questione che è stata evocata, probabilmente non molto pertinente, relativa allo spostamento della sede RAI a Milano: personalmente, tale decisione non mi trova assolutamente contrario ma particolarmente indifferente perché, in questo paese, discutiamo da anni della qualità del servizio
pubblico radiotelevisivo e della necessità di «fare iniezioni» di bontà all'interno dei programmi e delle proposte che arrivano comunque nelle nostre case, alle famiglie, ai ragazzi, agli anziani. Ci vorremmo illudere o vorremmo far credere al paese che il tema della RAI è risolto perché abbiamo spostato qualche ufficio?
A me pare, cari colleghi della Lega, visto che da quei banchi si è levata tale idea, che rischiamo di produrre tanto fumo, ma poco arrosto e non vorrei che oltre a ciò potessimo trovarci con tanti danni.
Signor Presidente, la proposta di riforma costituzionale che ci viene presentata può trovare l'attenzione da parte dei deputati della Margherita, ma non la serena valutazione. È una proposta che valutiamo con grande preoccupazione e per tale motivo abbiamo presentato i nostri emendamenti. È una proposta che riteniamo abbia poco a che fare con il valore della sussidiarietà e poco con il federalismo solidale, l'unico federalismo che possa contribuire alla crescita del paese nelle diversità, ma nel suo insieme.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, desidero fare una premessa doverosa nel mio intervento. Questo dibattito si svolge in aula nel totale disinteresse dell'opinione pubblica del nostro paese. Stiamo esaminando una riforma costituzionale che avrà effetti di grandi cambiamenti nel nostro paese, ma nelle nostre comunità non si discute di tutto ciò. Stamani nessun giornale, nazionale o locale, parla, in maniera anche superficiale, di quanto stia avvenendo nel nostro Parlamento, non vi è alcuna riflessione a proposito.
Ritengo vi sia una motivazione seria per tutto ciò. Non si tratta del distacco del nostro paese rispetto ad un tema così importante, ma di una giustificazione profonda: la nostra opinione pubblica è polarizzata sul tema della guerra e della necessità di pace nella nostra comunità. Il nostro paese è preoccupato rispetto ai rischi di altri focolai di guerra, all'aumento del terrorismo. La comunità è addolorata rispetto ad una guerra che già manifesta il suo volto brutale di tante vittime innocenti.
La prima considerazione che vorrei svolgere è che il tema della devolution al Senato è passato durante la pausa del dibattito sulla legge finanziaria con un vero colpo di mano preteso da Bossi e dalla Lega. Oggi noi ne discutiamo e si vorrebbe far passare un disegno di legge costituzionale mentre vi è una totale disattenzione del nostro paese. Sarebbe opportuno bloccare questo processo per rispetto delle istituzioni e delle nostre popolazioni, non certamente per arrivare in maniera strumentale a contingentare i tempi, come vorrebbe la maggioranza. Lo stop è utile per ripensare al disegno riformatore e far superare le incertezze, la confusione oggi presente nel dibattito su questo tema.
Ancora oggi non si capisce quale sia il vero disegno della maggioranza e del Governo e vi è molta approssimazione ed improvvisazione.
Mentre è in discussione questo disegno di legge, si continua a dire, in alcune interviste, che esso si dovrà intrecciare con il disegno di legge del ministro La Loggia, che riguarda la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione. Un misto di ipotesi legislative contraddittorie, paradossali e piene di insidie: un assurdo giuridico che umilia il nostro Parlamento.
Rinnoviamo, quindi, la richiesta di bloccare questo processo e di tornare a riflettere con vero spirito costituente. Pur tuttavia, fin da questo dibattito, vogliamo far sentire forte il nostro «no» se dovesse prevalere ancora il ricatto politico di Bossi e della Lega di dare il via all'approvazione della riforma in discussione. Ci batteremo fino in fondo, perché questa proposta di devoluzione è sinonimo di secessione. Infatti con una formula vaga ed indistinta si prevede l'autoattribuzione alle regioni della potestà esclusiva in materia di sanità, istruzione e sicurezza. Non vi è alcuna precisazione su quali compiti debbano
rimanere allo Stato, se questo debba avere il compito di assicurare un'azione di coordinamento e se debba (lo Stato) ancora avere una funzione nella finanza pubblica, così come nei livelli essenziali per alcune prestazioni che riguardano i diritti civili e sociali e soprattutto se lo Stato debba mantenere la propria funzione di riequilibrio del paese con una politica di perequazione delle riforme.
Questa devoluzione diventa invece il contrario di un federalismo solidale. È chiaro: è pensata per disarticolare il paese, per contrapporre gli interessi forti di certe aree del nord a quelli deboli del Mezzogiorno, per scardinare quel principio fondamentale di coesione che risiede nel diritto di tutti i cittadini ad avere uno standard eguale di prestazioni in settori delicati, come quelli della scuola e della sanità. Il rischio vero è quindi che il disegno di legge costituzionale del ministro Bossi abbia l'obiettivo di far venire meno la solidarietà e la coesione sociale e di far prevalere l'egoismo dei più forti, i quali rimarranno insensibili rispetto alle difficoltà dei più deboli.
Abbiamo ascoltato tanti interventi dei colleghi della Lega: alcuni con grande chiarezza hanno detto che questo disegno di legge deve fare da battistrada ad un altro, vale a dire a quello relativo ad una riforma fiscale che si deve basare soprattutto sul principio che deve annullare la perequazione.
Quindi tutto ciò è spiegabile con il fatto che il provvedimento è il frutto di una cultura che si è alimentata e si alimenta di separatismi e di egoismi, nella quale scompare il concetto stesso di interesse generale e di comunità nazionale; è il frutto di un pregiudizio antimeridionalista, basato sul concetto che il Mezzogiorno abbia vissuto e viva sulle spalle del ricco e laborioso nord. Prima e meglio di me tanti colleghi dell'Ulivo hanno argomentato con considerazioni non soltanto politiche, ma anche scientifiche, su queste menzogne ingenerose che vengono propagandate e diffuse contro il Mezzogiorno. Anche stamani - torno su alcuni interventi dei colleghi della Lega - qualcuno ha parlato dei crediti che la Lombardia vanterebbe nei confronti delle aree meridionali nel campo della sanità, in particolare per i viaggi della speranza (i tanti cittadini che dal meridione si spostano verso il nord, dove c'è a volte una sanità più efficiente e più capace di dare risposte ai problemi complessi esistenti nel settore della salute). Ebbene al collega che ha parlato prima vorrei dire che probabilmente non ha letto il bilancio della regione Lombardia, perché se lo avesse letto avrebbe trovato che proprio in tale specifico capitolo vi è un riferimento alle grandi risorse che arrivano alla Lombardia, come centro di eccellenza della sanità: sono risorse che arrivano dal sud, sono risorse che arrivano da regioni come la Sicilia, la Campania, che hanno invece in uscita le maggiori spese nei confronti di queste regioni.
Se si dovesse procedere con questo progetto, che attribuisce esclusività di competenza nella materia sanitaria alle regioni, si aggraverebbe la condizione di tante regioni e si determinerebbe una ulteriore difficoltà con l'aumento dei viaggi della speranza. Ma non tornerò su queste menzogne, anche perché ciò è stato ribadito da alcuni colleghi in maniera più specifica. Mi limito ad affermare che il Mezzogiorno, quando è stato posto in condizione di svolgere fino in fondo il proprio ruolo, ha dimostrato di avere le capacità e le risorse umane al fine di determinare il proprio processo di integrazione con il resto del paese e con il resto dell'Europa.
Tante volte il Mezzogiorno ha costituito anche un'opportunità complessiva per il nostro paese. Un Mezzogiorno che, negli anni in cui è stato al Governo il centrosinistra, ha compiuto grandi passi in avanti, innanzitutto nell'occupazione con la nascita di tante nuove imprese nonché nello sviluppo economico e nella crescita del PIL. Infatti, durante i governi del centrosinistra, il PIL del Mezzogiorno è stato superiore a quello registrato nel nord del paese.
Quindi, cari colleghi, mentre si procede in questa discussione, mi sembra giusto svolgere con grande chiarezza anche alcune
considerazioni amare. Dove sono finite le risorse per il Mezzogiorno? Nei mesi scorsi abbiamo discusso della legge finanziaria e si è affermato che tale legge avrebbe dovuto fornire grandissime risposte al Mezzogiorno. Dunque, chiediamo notizie al Governo in ordine alle risorse sull'imprenditorialità giovanile, sull'imprenditorialità femminile, sul credito di imposta; chiediamo se ci siano novità sul bonus occupazione e che fine abbiano fatto le risorse per il prestito d'onore. Si tratta di norme che erano andate a regime durante i governi del centrosinistra, che hanno prodotto grandi risultati e che il Governo di centrodestra, con alcune modifiche apportate in sede di legge finanziaria, ha reso inutilizzabili.
Oggi, i nostri giovani non hanno neppure la possibilità di investire sulla propria capacità, sul proprio spirito autopromozionale, sulle proprie intelligenze, sulla propria laboriosità. E il paradosso è che ad aver affossato questi incentivi, questi finanziamenti, queste opportunità, sia stato un viceministro siciliano, l'onorevole Micciché, che ha più volte parlato di queste grandi opportunità, mentre il sud è stato derubato di consensi ed oggi viene tradito innanzitutto dai propri uomini di Governo.
Saggezza vorrebbe che questo disegno di legge fosse ritirato, anche perché all'interno dei gruppi parlamentari vi sono tante perplessità - che stamani non sono state evidenziate - che emergono da tante dichiarazioni. Qualcuno, in maniera enfatica, ha parlato della presentazione di un emendamento «salva patria»; ciò evidentemente in quanto alcuni colleghi colgono che questo provvedimento potrebbe stravolgere l'assetto istituzionale del nostro paese. Qualche altro collega della maggioranza ha parlato di un maxiemendamento; mi riferisco ai colleghi dell'UDC che, nei propri congressi, parlano con grande enfasi dell'unità del paese, del Mezzogiorno che deve essere integrato con il resto della nostra comunità nazionale e dell'Europa, del fatto che i disegni riformatori devono passare innanzitutto attraverso una valorizzazione delle aree meridionali e che qui, ancora oggi, non dicono nulla.
Questo disegno di legge, però, ha già subito alcune bocciature da costituzionalisti e da esperti che sono stati ascoltati in Commissione. Riteniamo ci debba essere un ripensamento e che si debba ritornare nel solco del costituzionalismo italiano, affrontando il tema delle competenze concorrenti e, soprattutto, dei nuovi poteri regionali, che debbono essere coordinati con i poteri dello Stato. Ma è anche necessario porre al centro il tema seguente: non si deve correre il rischio di avere un nuovo centralismo regionale, che potrebbe restringere i poteri delle municipalità. Riteniamo che le municipalità, oltre ad avere il loro valore di entità storiche, siano i veri recettori delle istanze delle nostre popolazioni.
Quindi, il nostro federalismo, che rimane un federalismo solidale, deve mettere al centro, innanzitutto, il tema dei poteri locali, della possibilità di avviare una nuova stagione che veda responsabilizzate non soltanto le regioni ma anche le municipalità e le province, per realizzare una nuova stagione di diritti e di doveri delle nostre realtà.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, la discussione che abbiamo ripreso in aula, dopo quella tenutasi in Commissione, ripropone ancora una volta un interrogativo, che ho proposto quando sono intervenuto in Commissione. Anche gli altri colleghi dell'opposizione hanno cercato di richiamare l'attenzione su questo aspetto. Quanto all'interrogativo, ci si chiede se servano a qualcosa il lavoro, la discussione e, infine, il voto su questo provvedimento. Ci si chiede se ciò serve, nel senso - diciamo noi - di far avanzare quel processo di riforma che è stato, così enfaticamente, richiamato dai colleghi della Lega nei loro interventi, anche questa mattina. È un interrogativo che rimane intatto e al quale, ovviamente, si possono
dare risposte sbrigative, che possono anche essere considerate di parte. Tuttavia, a noi non pare che il Governo e la maggioranza, nello stesso tempo, abbiano fornito una risposta chiara.
Per la parte che ci riguarda, dopo una lunga battaglia anche ostruzionistica, che abbiamo sostenuto durante la prima lettura di questo provvedimento al Senato, abbiamo tentato di riportare il nostro lavoro su un terreno costruttivo, confrontandoci nel merito delle proposte, anche con un'apertura revisionista, se così la vogliamo chiamare, e non certo liquidatoria di alcuni contenuti dell'allora riforma del titolo V, oggi legge costituzionale. Quest'ultimo è un punto del quale, spesso, non si intravede una perfetta consapevolezza nella nostra discussione.
Continuiamo a parlare del titolo V come se si trattasse ancora di una proposta, di una riforma dell'Ulivo; dimentichiamo che, invece, essa è diventata Costituzione. Allora, questo nostro tentativo ha ottenuto da parte vostra una risposta molto chiara. Avete deciso di non praticare la strada della costruzione. Mi pare che anche la discussione di oggi lo dimostri. Non c'è attenzione, non soltanto perché la contingenza politica ci consegna una fase delicata e difficile. Sicuramente tutti, non soltanto l'opinione ma anche la politica, guardano ai fatti che, in questo momento, interessano il mondo piuttosto che alla proposta di cui stiamo discutendo oggi. Tuttavia, qui siamo nel Parlamento e discutiamo di uno dei punti qualificanti del programma di governo della Casa delle libertà.
Dopo averne discusso in Commissione, mi pare che non solo l'attenzione, ma anche la convinzione con la quale la maggioranza partecipa e concorre a questa discussione - a parte la funzione svolta nel dibattito dai colleghi della Lega nord Padania - una qualche risposta la diano a quell'interrogativo iniziale, almeno nei comportamenti.
Allora, perché questo comportamento, questa scelta di rifiutare il terreno del confronto costruttivo, che peraltro noi abbiamo proposto? Si possono fare due ipotesi per spiegare questo comportamento. La prima è che voi siete veramente certi di andare fino in fondo, fino alla doppia lettura ed all'approvazione di questo provvedimento, quindi, non ascoltate e camminate dritti lungo la vostra strada, anche se poi non si capisce quanti vi seguiranno, ma se guardiamo alle presenze nell'aula di oggi, viene qualche dubbio. Oppure, la seconda ipotesi è che voi siete davanti a una strettoia politica, ovvero le prossime elezioni amministrative, che sono importanti, con una tornata elettorale che coinvolge oltre 10 milioni di elettori. Si vota in due regioni - anzi, per la precisione in tre, se si considera anche il turno autunnale del Trentino -, in numerose province, in importanti comuni d'Italia, si vota nella provincia di Roma.
Ebbene, questa strettoia politica che avete davanti vi suggerisce un percorso tortuoso come quello che avete intrapreso. Immagino che fra un po' avremo la proposta di invertire l'ordine del giorno e ci spiegheranno che, improvvisamente, questo argomento non è più così importante, come ci è stato detto fino a questo momento, visto che quando si inverte l'ordine del giorno vuol dire che questo perde di importanza rispetto ad altri argomenti che devono essere discussi prima. Pertanto, alle due possibili risposte - siete certi di andare avanti fino in fondo e quindi procedete oppure avete una strettoia politica da superare e per il momento vi acconciate a superare questa -, probabilmente, la seconda è l'ipotesi che prevale in questo momento nelle vostre scelte.
Ma se è così, quali speranze reali ci sono per attuare un vero processo di riforma, anche nell'ottica, come ricordavo prima, di rivedere più puntualmente alcuni punti della Costituzione riformata, in particolare dell'articolo 117, come, ad esempio, noi proponiamo con alcuni emendamenti che hanno questa finalità e questo contenuto? Non solo questo serve a rimuovere ogni sospetto strumentale di accusa che ci viene mosso per cui noi consideriamo assolutamente indiscutibile e intoccabile quanto è stato votato e approvato nella passata legislatura, ma vogliamo
con questo dimostrare una nostra volontà di fare avanzare il federalismo possibile, quello che noi consideriamo il federalismo possibile nel nostro paese. Quali speranze ci sono, alla luce di questo vostro comportamento e della linea che avete messo in campo fino a questo momento? Le speranze sono molto poche.
Questo ingorgo lo avete pensato come la soluzione del problema, vale a dire che su questo disegno di legge la seconda lettura si deve concludere nell'esatto istante nel quale viene proposta la nuova versione dell'articolo 117 della Costituzione, in un momento nel quale noi, non so, forse fra qualche giorno, saremo investiti, invece, della discussione della proposta di legge di iniziativa di un ministro di questo Governo per attuare l'articolo 117 attualmente in vigore.
È veramente una situazione che definire kafkiana significa elevarla dal punto di vista della sua definizione.
Non è possibile che un governante abbia lucidamente pensato questo disegno di legge e sia convinto che quest'ultimo possa determinare quella fase di avanzamento nel processo di riforma di cui abbiamo parlato; in realtà l'ingorgo, come accade nel traffico, serve per bloccare tutto. In questo caso, allora, dobbiamo invocare semafori o vigili urbani che abbiano la capacità di liberare l'ingorgo che sta per determinarsi.
I segnali che abbiamo registrato fino a questo momento riguardo alla materia che più conta per attuare il processo di riforma federalista sono, non solo contraddittori, ma negativi. Al riguardo, voglio richiamare la nostra proposta - avanzata in Commissione in sede di discussione del provvedimento La Loggia - relativa all'attuazione dell'articolo 119. Tale articolo doveva rappresentare la priorità sulla quale investire il Parlamento per dare le gambe a qualunque idea di riforma, poiché si riferisce a quello che viene chiamato federalismo fiscale. Bisogna stabilire con quali risorse e con quale sistema riusciamo a far procedere la riforma in termini concreti.
È vero che nella legge finanziaria abbiamo previsto l'istituzione di una Commissione, ma la sua missione è solo quella di fare una ricognizione. Con la nostra proposta era possibile una ricognizione e, allo stesso tempo, decidere, proporre una normativa. Stabiliti alcuni principi abbiamo proposto una delega al Governo che doveva andare in una certa direzione. In questo senso, in sede di Commissione, ci siamo sentiti rispondere dall'esecutivo - probabilmente otterremo la stessa risposta anche in aula, salvo un ripensamento, anche se l'ingorgo suggerisce che non si possa procedere a fare cose utili e concrete - che non era quello il terreno, la materia, la legge, lo strumento con i quali procedere. Stavamo discutendo una legge di attuazione della riforma del titolo V della Costituzione e chi la ricorda sa che dopo l'articolo 117 vi è l'articolo 118 e l'articolo 119: era quindi quella la sede propria.
Se noi avessimo affrontato la discussione sulla base di quella compiuta nostra proposta - anche se, certamente, non avevamo la pretesa di considerarla risolutiva -, se la maggioranza ed il Governo avessero accolto la nostra proposta di discutere nel merito, avremmo sicuramente affrontato alcuni temi cruciali, i quali sono riemersi nella discussione che finora si è svolta sul disegno di legge in esame. Infatti, la Costituzione attuale stabilisce che tutte le funzioni attribuite debbano essere finanziate integralmente, e ciò significa che il sistema deve essere disposto a dare la possibilità al sistema dei poteri locali di poter disporre di tutte le risorse in grado di finanziare integralmente le funzioni loro attribuite.
Inoltre, occorre trovare le risorse che abbiano la finalità di introdurre o favorire gli elementi di perequazione che servono alle parti del territorio del paese che si trovano in ritardo di sviluppo. Si tratta di due concetti che spesso vengono confusi, ma che nell'ambito dell'articolo 119 sono nettamente distinti. L'integrabilità del finanziamento, per quanto riguarda le funzioni attribuite, non può essere rimessa ad eventualità: deve essere certa. Invece, per
quanto riguarda la parte relativa al cosiddetto fondo perequativo, ovviamente quest'ultimo dispone di risorse che vanno a favore delle parti di territorio in ritardo di sviluppo, sulla base delle condizioni oggettive della finanza e dell'economia nel momento in cui si fanno le valutazioni in questa direzione. Si tratta di due concetti spesso confusi che sono però assolutamente distinti e che, distintamente, vanno trattati.
Infine, l'altra questione assolutamente cruciale riguarda la sede di decisione della pressione fiscale.
Cominceremo oggi a discutere della delega fiscale e lo faremo, dando per scontato che la materia che riguarda il federalismo non interferisce o non è strettamente collegata alle decisioni che si assumono nella materia della delega fiscale. Con la riforma della Costituzione, se si attua la devolution come proposto, la sede di decisione della pressione fiscale non sarà più assolutamente una sola; saremo in presenza di una pluralità di sedi di decisione della pressione fiscale che richiederà diverse sedi di concertazione per evitare che la pluralità dei poteri (così come previsto dalla riforma su cui stiamo cercando tutti di lavorare, sia pure con punti di vista qualche volta diversi) non si traduca in un inasprimento della pressione fiscale per far fronte ai nuovi poteri che si eserciteranno nelle nuove sedi regionali, comunali e provinciali.
Questi elementi di discussione, che ovviamente si intrecciano con la problematica della sanità, della polizia (non si sa se sarà solo amministrativa o meno) e dell'istruzione, ci mettono di fronte ad una situazione nella quale l'ingorgo di cui ho parlato precedentemente creerà di fatto una situazione di improcedibilità e ad un certo punto ci fermeremo (come in un ingorgo stradale nel quale vi sono i furbi che tentano di passare l'uno a destra o l'altro a sinistra, creando alla fine la paralisi).
In conclusione, la vostra scelta di attraversare questa strettoia politica in vista delle prossime elezioni amministrative, nella migliore delle ipotesi ci consegnerà uno scenario politico profondamente diverso dopo il voto; ovviamente noi lo auspichiamo. Auspichiamo che il voto, così interessato e largamente diffuso nel paese, costituisca un elemento di riflessione per tutti, in modo tale che l'ingorgo sia eventualmente superato per ricominciare a ragionare su un terreno costruttivo che, per l'esperienza maturata finora nella passata legislatura, ma anche fino a questo momento, dovrebbe suggerire a tutti di trattare questa materia con un approccio, una volontà, una capacità di ascolto, gli uni degli altri, in grado di far compiere passi in avanti al processo di riforma. Altrimenti faremo manifesti di propaganda, senza far compiere passi in avanti nella direzione che tutti quanti cerchiamo, invece, di percorrere (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutti i commentatori autorevoli del testo recentemente modificato del titolo V della Costituzione hanno messo in evidenza la lacuna della cosiddetta novella, per usare il termine che utilizziamo noi altri pseudogiuristi, della Costituzione: mi riferisco al difetto nel testo costituzionale di ogni riferimento all'interesse nazionale, tanto che i più autorevoli commentatori hanno cercato di operare un inserimento implicito nella Costituzione della nozione di interesse nazionale, e ciò, come voi tutti sapete, nel testo, prima della sua modifica, era rimesso alla valutazione del Parlamento, quale organo supremo della sovranità nazionale.
Direi che in ogni settore ci si è occupati dell'argomento; se ne sono occupati colleghi che la pensano diversamente, costituzionalisti come Anzon, Bin, Barbera, Luciani e molti altri, dividendosi tra chi ritiene che l'articolo 120 della Costituzione, che prevede il potere sostitutivo proprio per la tutela, con formule diverse, dell'interesse nazionale, e chi invece, come
Barbera, ritiene sia implicita la tutela dell'interesse nazionale proprio perché, federalismo più spinto o meno spinto, la Repubblica è pur sempre una e indivisibile e che, quindi, alla luce di questo, l'interesse nazionale permanga comunque.
Propenderei più per questa seconda tesi, non foss'altro perché la tesi del potere sostitutivo sottrae la valutazione dell'interesse nazionale al Parlamento per consegnarla al Governo. Quale che esso sia, ovvero di quale colore, ritengo che i problemi legati all'interesse nazionale appartengono al Parlamento nella sua interezza e non al Governo, che è espressione, come è logico, di una sola parte.
Questo è lo scenario in cui ci si trova in sede di commento e di attuazione. Ben venga quindi la legge che dà attuazione, tra gli altri, soprattutto all'articolo 117 della Costituzione, perché i problemi afferenti alla potestà legislativa concorrente hanno dato luogo e daranno ancora luogo in futuro a molti conflitti, soprattutto dopo che la Corte costituzionale - con alcune sentenze, onorevole Anedda, tra le quali la più recente si riferisce proprio alla sua regione - ha riconosciuto che alcune delle materie attinenti alla competenza esclusiva dello Stato hanno una valenza trasversale, per cui possono incidere direttamente anche su materie che una lettura non sistematica dell'articolo 117 farebbe ritenere attribuite invece alla competenza regionale. Pensate ai problemi legati, per citare un esempio sintomatico, alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali e paesaggistici, materia che è riservata alla competenza esclusiva dello Stato, e a quelli attinenti al governo del territorio - è espressione alquanto nuova, ma che dovrebbe comprendere certamente l'urbanistica - che invece è materia riservata alla competenza concorrente delle regioni ed in cui lo Stato dovrebbe fissare soltanto i principi fondamentali.
Questo è dunque lo scenario: in tale contesto, giunge la proposta di legge che tutti chiamano «proposta di legge Bossi» -, e chiamiamola così -, con la quale si fa una cosa opposta, ovvero si distrugge l'interesse nazionale. Si dice infatti che in queste tre materie le regioni attivano la loro competenza esclusiva. Qui o noi diciamo, come io sono persuaso, che questo è soltanto un contentino, a mo' di programma, che deve essere dato per dare coesione alla non coesa maggioranza e potersi spendere nel dire che a casa qualcosa si è portato, oppure ci si crede sul serio!
Io penso che i colleghi della Lega nord Padania ci pensino sul serio!
PIETRO FONTANINI. Ci credono!
LORENZO ACQUARONE. Io credo invece che tutti gli altri pensino sia un contentino che si regala e poi si vedrà, tant'è vero che si vuole far coincidere la seconda lettura di questo, a mio avviso, infausto ed inutile provvedimento con una modifica dell'articolo 117 della Costituzione che magari reintroduca, come io auspicherei, il principio dell'interesse nazionale e, sotto quest'angolo visuale, depotenziare questa materia.
Io ritengo che con la Costituzione non si scherzi: o ci si crede veramente, come io credo che nella loro onestà intellettuale vi credano gli esponenti della Lega nord Padania, e quindi non sia soltanto un modo per far vedere ai partecipanti, - a volte mascherati, a volte no, a seconda del momento -, alle corride, nelle riunioni di Pontida (Commenti del deputato Fontanini)... No, non è una corrida. Li vedo con quei corni e quindi pensavo che magari...
PRESIDENTE. Pericolosi sono quelli che non si vedono!
LORENZO ACQUARONE. Quindi o si tratta di un contentino dato ai partecipanti alle riunioni celtiche, o ci si crede sul serio. Non lo so: mi rendo conto che per un partito di protesta essere al Governo è più difficile che non per un partito che ha una tradizione di Governo. Ad ogni modo sono problemi che non interessano me, interessano loro! O ci interessano in un altro momento, in una situazione diversa da questa.
In questo momento, anche come modesto cultore di diritto pubblico, mi corre
l'obbligo di dire che con la Costituzione non si scherza, perché è la Carta fondamentale su cui è basata la nostra unione, la nostra società civile. Allora, sotto questo angolo visuale, comincerei a fare una critica puntuale al testo di legge che viene oggi al nostro esame così accelerato e in ordine al quale i costituzionalisti della Lega - tutti quanti - hanno dato questa mattina larga prova della loro sagace e competente esperienza.
In primo luogo, prendiamo in considerazione l'espressione «le regioni attivano». Si tratta di una frase nuova che, nonostante il tentativo di difesa d'ufficio che ne ha fatto il relatore, il collega onorevole Bruno, non vuol dire proprio niente o vuol dire qualcosa di molto cattivo: o hanno competenza esclusiva o non ce l'hanno, non può essere rimesso alla volontà delle singole regioni di avere o non avere competenza esclusiva, perché questo incide su un principio fondamentale. Non è il caso di disturbare le grandi ombre, di ricordare, ma il principio di fondo su cui si regge qualsiasi ordinamento giuridico è il principio della certezza del diritto. Allora, la questione non può essere rimessa all'espressione «le regioni attivano».
La ragione per cui si fa questo è evidente: questo è fatto chiaramente a favore delle regioni ricche - da cui provengo anch'io, intendiamoci bene - che in qualche modo possono provvedere, a dispetto della maggioranza delle altre regioni che certe cose non se le possono permettere.
Venendo al merito dei tre punti, se i lavori parlamentari avessero un qualche valore nell'interpretazione, al di là di quello che raccontiamo ai nostri studenti - quando poi ci trinceriamo sempre dietro il vecchio brocardo voluntas legis non est voluntas legislatoris e, quindi, in realtà uccidiamo la funzione dei lavori preparatori -, noi dovremmo dire che la relazione dell'onorevole Bruno, in realtà, è una relazione suicida. I colleghi avvocati sanno che, quando in un collegio il relatore è messo in minoranza, ha un modo elegante per uscirne fuori: sostenere, con una motivazione contraddittoria, il dispositivo. Se noi leggiamo la relazione del collega ed amico, onorevole Bruno, siamo in un caso classico di relazione suicida, perché, se fosse vero quello che dice l'onorevole Bruno, allora io dovrei domandargli - come farò fuori di qui, amichevolmente - che cosa volesse realmente fare. Infatti, da un lato egli pone dei paletti - che non ci sono nella norma e, quindi, è inutile che siano ripresi nei lavori preparatori - che rendono la norma assolutamente inutile, perché i casi sono tre: si parla di sanità, di scuola e di polizia locale. L'onorevole Bruno, nella sua relazione, specifica: per quello che riguarda la sanità, non vengono toccati i livelli minimi essenziali che sono garantiti dal secondo comma dell'articolo 117 della nostra Costituzione. Allora questo cosa significa? Significa soltanto che le regioni più ricche, attraverso un sistema che stravolge il principio - che tutti hanno voluto - della sanità pubblica, possono fare determinati favori ai gestori delle cliniche private, dei laboratori privati e via dicendo.
Ma è più grave quello che riguarda la scuola, dove i paletti che l'onorevole Bruno mette sono due: da un lato - dice - non si può far venir meno questa competenza esclusiva affidata alle regioni rispetto a quelli che sono i principi stabiliti dalla lettera m) dell'articolo 117, nella competenza esclusiva riservata allo Stato di tutelare i principi fondamentali dell'istruzione; tuttavia, dall'altro lato, dice: badate, c'è anche l'autonomia delle istituzioni scolastiche. Quindi, a questo punto, vorrei sapere cosa residui a questa competenza esclusiva delle regioni.
Quando poi si affronta il tema relativo alla polizia, si afferma: badate bene, i problemi della sicurezza sono sempre riservati allo Stato! Allora, la scelta di porre i vigili urbani sotto la regione, francamente, non mi pare abbia bisogno di una modifica costituzionale. Se i lombardi vogliono che i loro «ghisa» (ossia i vigili) passino dalla competenza del comune a quella della regione, francamente, non credo che ciò abbia bisogno di una modifica costituzionale. In realtà, questo afferma la relazione, tendendo a svirilizzare.
Non so perché, ma gli autorevoli membri di questo Parlamento esperti di diritto costituzionale del gruppo della Lega, di questa storia, o non se ne sono accorti o tornava loro utile non accorgersene. Infatti, si tratta di una relazione che francamente pone paletti tali che o uno se li lascia mettere (perché sa che non hanno alcun valore) oppure gli interessa soltanto il manifesto da sbandierare a Pontida.
In una situazione di questo genere - lo ripeto -, con la Costituzione non si scherza, perché, anche al di là delle edulcorate espressioni adoperate in questa materia, resta il fatto che si incide profondamente su un sistema che tendeva - come ha detto, poco fa, il collega Cabras - ad una forma di federalismo possibile, ossia ad una forma di ampio decentramento regionale, ma con criteri che riportavano ad unità l'ordinamento. Altrimenti se accettiamo la tesi degli ordinamenti giuridici in modo tale che ogni entità locale ha il suo ordinamento giuridico... A tal proposito, vi sono stati autorevoli predecessori, da Hariou in Francia a Santi Romano in Italia, però l'accusa che si fece alla tesi romaniana è che così facendo (e Dio mi guardi, non vuole essere offesa per alcuno), cito l'ordinamento giuridico di Santi Romano del 1917, la societas latronum sarebbe un ordinamento giuridico. Ora in una situazione di questo genere...
GIAN FRANCO ANEDDA. Il libro in cui è sostenuta questa tesi?
LORENZO ACQUARONE Se non vado errato, è un testo sull'ordinamento giuridico barbaricino come ordinamento giuridico (ero amico del povero autore).
In una situazione di questo genere, cari colleghi, il problema è molto più serio di un manifesto elettorale che il Governo Berlusconi vuole regalare alla Lega. Noi, infatti, abbiamo un sistema che ha una sua organicità. Abbiamo alcune materie fondamentali che, per questa ragione, debbono essere riservate allo Stato. Sono d'accordo che la loro interpretazione non è facile e che quindi il disegno di legge La Loggia possa avere importanza perché, in qualche modo, può far venire meno questo conflitto (noi ingorghiamo la Corte costituzionale, in questo momento, di conflitti di attribuzione, proprio per la trasversalità delle materie di cui al secondo comma dell'articolo 117).
Abbiamo poi materie di legislazione concorrente, dove lo Stato dovrebbe stabilire, ma non lo fa (è questa la contraddizione grave!), solo principi fondamentali. In materia di governo del territorio, lo Stato dovrebbe individuare con propria legge i principi fondamentali. Dov'erano i colleghi della Lega quando abbiamo approvato quello sconcio, ossia legge cosiddetta obiettivo (che poi non si sa bene quali obiettivi ci siano), la legge più centralista di governo del territorio che abbia mai avuto occasione di esaminare nella mia non breve attività scientifica professionale? Il resto alle regioni.
In questo quadro che ha una sua organicità (tutti hanno rilevato che manca l'elemento collante dell'interesse nazionale), si inserisce un corpo estraneo, magari svirilizzato, come dovrebbe essere in base alla relazione, che, peraltro, reca - per usare una parola cara al mio amico Boccia - un vulnus notevole al nostro ordinamento giuridico e, quindi, alla nostra unità nazionale. E per il bene dell'unità nazionale che penso che questa Camera farebbe cosa buona e giusta nel bocciare questo indecoroso disegno di legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tuccillo. Ne ha facoltà.
DOMENICO TUCCILLO. Signor Presidente, la prima riflessione che propongo è la seguente: qualora dovessi giudicare se questo progetto di riforma costituzionale costituisca, come da più parti è stato paventato, specie da parte di deputati delle aree meridionali, una catastrofe nazionale o, piuttosto, un'occasione perduta dal Parlamento per rettificare, correggere e migliorare l'impianto di una legge che noi abbiamo approvato nella scorsa legislatura, da parlamentare che pure è stato
eletto nel Mezzogiorno, in particolare nell'area napoletana, debbo dire che propenderei più per l'occasione perduta che per la catastrofe nazionale.
Lo dico perché, rispetto all'intervento sul titolo V della scorsa legislatura, sicuramente ci sarebbero state le condizioni - ed anche la necessità, in qualche modo - per intervenire e per correggere; ciò in ragione, in parte, della modalità con la quale fu dato corso all'approvazione di quella legge costituzionale e, in parte, anche degli stessi contenuti del titolo V, rispetto ai quali l'opportunità di un intervento di tipo migliorativo sicuramente poteva e doveva esserci.
Sulla scorta di questa considerazione, come ricordava in precedenza l'onorevole Cabras, dopo una fase di ostruzionismo anche duro, sperimentato in fase di approvazione al Senato, vi è stato, da parte dell'opposizione, qui alla Camera, un atteggiamento di grande disponibilità. Per quanto riguarda la mia parte politica, il mio gruppo politico, quello della Margherita, DL-l'Ulivo, tale disponibilità è stata manifestata, in Commissione - da parte dei colleghi Bressa e Fistarol, i quali hanno seguito più da vicino l'esame del provvedimento -, ripetutamente ed insistentemente, affinché si potesse addivenire ad un risultato positivo e si potesse provare a mettere insieme una congerie di provvedimenti che, a causa della loro sparpagliata dislocazione (in quanto incardinati o presentati all'attenzione delle Camere, di questa in particolare, in tempi diversi), indubbiamente creavano e creano una condizione di grave disorientamento e confusione.
Come si fa, da una parte, ad introdurre questo progetto di modifica dell'articolo 117 e, nel contempo, ad immaginare un progetto nuovo e più ampio che lo ricomprende e che modifica il titolo V quando, come ricordava l'onorevole Cabras, abbiamo incardinato anche la discussione del disegno di legge La Loggia (che, appunto, deve dare attuazione al titolo V) e, tra l'altro, abbiamo da fare i conti con il problema centrale, con il perno vero di tutta la discussione che è rappresentato dal provvedimento sul federalismo fiscale? È lì che, di fatto, si andranno a tirare le somme ed a definire i giochi!
Senza considerare la necessità che, per un intervento di questo tipo, relativo al federalismo, alla necessità di dare un nuovo assetto istituzionale al nostro paese (in parte già dato), c'era e permane il problema della Camera delle regioni, che diventa, ovviamente, uno snodo indispensabile per dare organicità e razionalità a tutto il sistema.
Ecco, allora, di fronte a tutto questo, di fronte a tutte queste necessità, di fronte a questo scenario, il gruppo della Margherita, l'opposizione, in particolare qui alla Camera, ha avuto un atteggiamento di grande disponibilità e di grande apertura. Perché questo atteggiamento non è stato colto dalla maggioranza e dal Governo? La motivazione apparente che è stata data in più di una occasione è che, così facendo, la maggioranza non faceva altro che riproporre un atteggiamento, una modalità di comportamento che l'Ulivo avrebbe tenuto nella scorsa legislatura quando si è approvato il titolo V, cioè il fatto di aver proceduto da solo all'approvazione di queste norme. Ebbene, questo è davvero un paragone spropositato non rispondente alla realtà dei fatti per motivi molto evidenti che è facile richiamare. Intanto, occorre dire che si procedette in quella direzione nella scorsa legislatura non solo in seguito ad una scelta delle forze parlamentari della maggioranza di allora, ma anche sulla base di una sollecitazione - che l'Ulivo allora raccolse - , di una richiesta, formalizzata dai rappresentanti degli enti locali del nostro paese, dei comuni, delle province, delle regioni, di procedere, anche se in modo parziale, ad una prima fase di revisione e quindi ad una ratifica di quel progetto di riforma costituzionale complessivo che era stato avviato nel nostro paese con il tentativo della Commissione bicamerale, con particolare riferimento al tema del federalismo e della riorganizzazione istituzionale. Ma non si tratta soltanto di questo. Il testo relativo al titolo V che fu approvato fu «prelevato» dai lavori stessi della bicamerale,
quindi fu il risultato di un lungo confronto politico tra maggioranza e opposizione; addirittura quel testo fu votato anche in aula nella prima fase di discussione e di approvazione dei lavori della bicamerale, prima che l'allora capo dell'opposizione Berlusconi facesse saltare il tavolo delle riforme della bicamerale e quindi non si procedesse più in quella direzione.
Mi sia poi consentito di ricordare anche un altro aspetto fondamentale, perché i fatti politici vanno anche contestualizzati nel momento storico, perché occorre considerare le tensioni sociali e politiche che si verificano in un dato momento storico. Non c'è dubbio che in quell'occasione il Polo giocò su due fronti: da una parte, vi era il fronte della piazza, l'atteggiamento di alcuni governatori che addirittura aizzavano verso soluzioni plebiscitarie in molto demagogico, ventilando ipotesi di tipo anticostituzionale che furono infatti duramente stigmatizzate; dall'altra vi erano forze del Parlamento, come il Polo delle libertà, che si sottrassero al confronto e altre, come l'Ulivo, che invece rivendicarono in quell'occasione il diritto-dovere del Parlamento di legiferare di fronte ad una situazione che tendeva di fatto a delegittimare il ruolo dello stesso Parlamento. Io penso che questi percorsi, queste vicende debbano essere anche richiamate per una esatta e corretta ricostruzione del contesto storico all'interno del quale si assunsero delle decisioni politiche. Era un contesto diverso all'interno del quale si assunse, più che la decisione, la responsabilità di fare in modo che il Parlamento legittimamente continuasse a svolgere il compito che è chiamato a svolgere.
Ecco quindi che di fronte ad una mancanza di disponibilità, allora da parte del Polo, oggi registriamo una nuova mancanza di disponibilità che contraddice apertamente quello che dovrebbe essere l'iter politico-legislativo e la modalità con cui viene affrontata e condotta l'approvazione di una norma costituzionale.
Quali sono, in sostanza - vengo alle considerazioni che faceva il collega Acquarone prima - le ragioni che inducono il Polo e la maggioranza ad attestarsi su queste posizioni di chiusura? Mi sono chiesto e mi chiedo, come se lo chiedono tanti, pensando alla questione del Mezzogiorno, alle aree più svantaggiate del paese, al federalismo, al modo come si intende impostare questo discorso, al problema relativo ad una legislazione sulla sanità, sulla scuola, sulla polizia locale che sia di esclusiva competenza regionale e che, pertanto, potrebbe creare problemi ed avere pesanti ripercussioni sulle regioni più svantaggiate, se questo via libera dato alla Lega da parte della maggioranza sia, in qualche modo, l'autorizzazione a che venga svenduto, definitivamente, il Mezzogiorno a vantaggio degli interessi della Lega e di una parte del paese.
Io, francamente, non penso che siamo a questo punto; nonostante le pessime politiche messe in campo da questo Governo e nonostante le ripercussioni che si sono già avute sulle aree più deboli del paese, io non penso che siamo a questo punto e che si tenda realisticamente a questo obiettivo che mi sembrerebbe spropositato.
Nella politica di questo Governo c'è la tendenza, da parte di chi la guida, in particolare l'asse Bossi-Tremonti, a marginalizzare e a tenere in condizioni di difficoltà il Mezzogiorno che viene poi puntualmente allettato con la riproposizione di politiche di tipo parassitario e assistenzialiste; tuttavia non penso ci sia ancora la possibilità oggettiva di arrivare a questa deflagrazione così radicale del sistema.
Non c'è dubbio che se, effettivamente, si volesse essere conseguenti con quanto previsto da queste norme, le conseguenze sarebbero devastanti per una duplicità di motivi. Da una parte, la stessa semplice applicazione di questi principi, cioè la dislocazione del personale, delle strutture logistiche dallo Stato alle regioni, avrebbe un costo tale da eguagliare il costo di un'intera finanziaria. Non penso e non credo che oggi ci siano le condizioni oggettive e nemmeno quelle soggettive da parte del Governo per affrontare una sfida
economica e finanziaria di questo tipo; l'altra ragione è che oltre al tema dei costi, indubbiamente, si realizzerebbe una condizione di iniquità tale da rischiare, seriamente, dei contraccolpi che potrebbero poi concretamente e seriamente mettere in pericolo la tenuta e la stabilità del paese. Allora di che cosa si tratta, sostanzialmente? Penso che non sia andato lontano dal vero l'onorevole Tabacci quando, in più di un'occasione, ha parlato di manifesto ideologico di questa riforma o, più icasticamente, quando Cacciari ha parlato di una patacca riferendosi a questa concessione che viene fatta alla Lega.
Sicuramente, se si tratta di un proclama ideologico (tale è, nella misura in cui non ci sono elementi concreti che rendono possibile e definita l'effettiva attuazione di questi principi), se siamo di fronte ad un proclama del genere, ad un manifesto ideologico che serve, probabilmente, per affrontare la prossima campagna elettorale, se siamo di fronte a tutto questo, dobbiamo dire allora che siamo ben lontani da una politica intesa come buona amministrazione, da una politica intesa come definizione ed assunzione di responsabilità da parte di chi è chiamato a gestirla, da una politica intesa come risposta alla modernità ed alle esigenze dei cittadini che, oggi, chiedono un suo rinnovamento profondo, nella parte settentrionale del paese come nella parte meridionale del paese, al nord come al sud.
Signor Presidente, siamo di fronte ad un provvedimento che crea un contrasto logico, prima che politico, all'interno del testo costituzionale. Ciò avviene quando si parla, come diceva l'onorevole Acquarone, di competenza esclusiva in materia sanitaria: tali disposizioni vanno infatti a confliggere con quella parte del testo costituzionale, che rimane evidentemente intatto, che parla di livelli essenziali a garanzia dei diritti civili e dei diritti sociali. Siamo di fronte ad una norma che non precisa gli ambiti di competenza dei vari livelli di Governo nel campo dell'istruzione: in tal modo è impossibile capire se questa spetti al Governo centrale, alle regioni o se sia propria di quell'autonomia scolastica per la quale tanto ci siamo battuti ed il cui raggiungimento ha rappresentato sicuramente un risultato significativo.
Siamo di fronte ad un provvedimento che, quando parla di polizia locale, non chiarisce se il riferimento sia alla stessa clausola residuale richiamata nell'articolo 117, o se si parli di altro. Se si parla di altro, di cosa si parla? Di chi è la competenza per la sicurezza del paese? Si parla addirittura di regioni che attivano un'autoattribuzione di competenze; il che, anche dal punto di vista semantico, come è stato rilevato dagli uffici del Senato, è un qualcosa di assolutamente criptico ed indecifrabile.
In conclusione, siamo di fronte ad un provvedimento che non aiuta, che non va verso la soluzione dei problemi, che non affronta la complessità delle questioni così come si presentano nella realtà e così come necessiterebbero di essere affrontate e risolte; siamo di fronte ad un atto di propaganda politica, siamo di fronte alla costruzione di testi che sono incoerenti e che creeranno, come ha già detto l'onorevole Cabras, un ingorgo tale da renderli inapplicabili; siamo di fronte ad un provvedimento che porterà ad aggiungere confusione a confusione, paralisi amministrativa a paralisi amministrativa, ingorgo istituzionale e legislativo ad ingorgo istituzionale e legislativo. Mi chiedo se siano questi politici, i politici che promuovono queste leggi, coloro che poi possono pretendere di assurgere a ruolo di interpreti della parte più avanzata e più sviluppata del paese!
Questo disegno di legge costituzionale non danneggia solo il Mezzogiorno: tale provvedimento danneggia ed affossa innanzitutto il nord del paese, perché è quel nord che aspetta risposte, mentre questo provvedimento non dà alcuna risposta, è quel nord che aspetta che i nodi siano sciolti, mentre questo provvedimento crea nodi ed ingorghi ancora più complessi, complicati ed inestricabili, a danno delle attese della popolazione del nostro paese, sia essa settentrionale o meridionale.
Certo, oltre ad affossare il nord, questo disegno di legge costituzionale affossa anche il Mezzogiorno, proprio quel Mezzogiorno
che, in questi anni, sta lavorando per proporsi sulla scena politica in modo completamente nuovo; non affossa il Mezzogiorno parassitario ed assistenziale che la politica di questo Governo continua a tenere in vita e ad alimentare, bensì affossa quel Mezzogiorno che ha dato dimostrazione, sia esso riferito ad elementi di governo del centrodestra o del centrosinistra, di voler modificare il proprio modo di essere in politica. A tal proposito voglio ricordare anche il presidente della regione Puglia, Fitto, che, in materia sanitaria, si è assunto la responsabilità di compiere le proprie scelte; mentre la regione Lombardia ha accumulato un buco enorme nel settore sanitario e ora chiede venga coperto dallo Stato centrale. Affossa quel Mezzogiorno che ha dato dimostrazione, mi riferisco sia a governi di centrodestra sia di centrosinistra, di voler modificare il proprio modo di essere in politica.
Voglio richiamare il caso - lo ribadisco - del presidente della regione Puglia, onorevole Fitto, che si è assunto la responsabilità di compiere le proprie scelte in campo sanitario, mentre la Lombardia ha creato un enorme «buco» dal punto di vista sanitario e chiede che venga coperto dallo Stato centrale.
Il provvedimento in discussione affossa quel Mezzogiorno simboleggiato dalla regione Campania guidata dal presidente Bassolino, che ha conquistato 1000 miliardi di premialità rispetto ai fondi europei per la capacità che ha avuto di produrre risultati in termini di realizzazioni e di spesa completa dei fondi europei.
Questo è il Mezzogiorno che affossa questo disegno di legge: quello che vuole più autonomia e più responsabilità, così come il nord che vuole più autonomia, più libertà e più responsabilità viene pesantemente e duramente penalizzato. Per queste ragioni voteremo contro il provvedimento in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.
ANDREA COLASIO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, credo sia doveroso riconoscere al ministro Bossi correttezza politica quando, pur elencandone quelli che lui reputa limiti, ha riconosciuto che, cito: il testo della riforma del titolo V voluto dall'Ulivo ha costituito un primo importante tentativo di avanzamento e rafforzamento delle autonomie. Ora, dice il ministro, con questo disegno di legge - quello attualmente in discussione - si prevede un'evoluzione del sistema diretta ad avvicinare sempre di più le istituzioni alle realtà dell'identità e dell'articolazione territoriale. Il conferimento di una esplicita potestà legislativa esclusiva - esplicita e non più residuale, si rimarca - in una materia così delicata e strategica, quale appunto l'istruzione, configura, (cito) una devoluzione alle regioni di materie, che configura il nucleo essenziale di un ordinamento di carattere federale che si intende gradualmente costruire nel tempo.
L'equilibrio tra centro e periferia, tra le diverse articolazioni del sistema, sarebbe quindi garantito dal fatto che allo Stato verrebbero riservati in maniera esclusiva le norme generali in materia di istruzione che vengono indicate nelle discipline dall'ordinamento degli studi, negli standard di insegnamento, quindi nei criteri di valutazione della qualità dell'insegnamento, e negli standard che individuano le condizioni per il conseguimento della parificazione ai titoli di studio e di Stato; mentre - si precisa - le regioni potranno attivare (sottolineo il «potranno», ovvero nell'ultima formulazione la attivano) la propria competenza esclusiva per quanto riguarda l'organizzazione scolastica, cioè la distribuzione degli istituti, delle risorse, delle economie sia umane sia strumentali, nonché la strutturazione dell'offerta dei programmi di interesse specifico delle regioni (cosa del resto approvata nell'ultima riforma del ministro Moratti) e la gestione degli istituti scolastici. Se ne desume che obiettivo della riforma sia, cito, quello di realizzare il massimo di libertà di insegnamento, in ultima analisi di accelerare il processo di modernizzazione del paese di cui l'istruzione e la formazione sarebbe dei pilastri fondamentali. Un federalismo, insomma, sostiene il ministro Bossi, che si
fonda sui principi di autonomia e sussidiarietà per i quali il soggetto fondamentale dell'esperienza sociale, politica ed istituzionale sarebbe rappresentata (cito) dalla comunità locale amministrata dai propri enti rappresentativi.
Nel processo di devolution scolastica vengono così evocati la comunità locale, assunta quale riferimento territoriale strategico e, correlativamente, il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale per cui il meccanismo predisposto (cito) si distingue nettamente da quello previsto nell'articolo n. 116, terzo comma, che come è noto la materia di istruzione prevede forme particolari di autonomia. Secondo il ministro Bossi, il regionalismo aut federalismo a geometria variabile differenziato, dico io pattizio e negoziale, sarebbe calato dall'alto, visto il meccanismo dapprima concertativo ed il successivo passaggio parlamentare a maggioranza assoluta. Un meccanismo a cui si contrappone, invece, il federalismo dal basso, insito, secondo la maggioranza, nella potestà legislativa esclusiva e nella procedura non etero diretta della sua attivazione.
A fronte di tutto ciò viene spontaneo chiedersi: chi ha scritto questa norma, chi ha delineato questi scenari, questi effetti di sistema, conosce o meno la realtà della scuola italiana? Conosce o meno i profondi processi di trasformazione che l'hanno interessata in questi ultimi dieci anni? Conosce le reali esigenze, le domande che attraversano, ora e non cento anni fa, il sistema e le nostre istituzioni scolastiche?
In realtà, colleghi, così delineata la devolution scolastica è semplicemente regressiva e confligge con un'autentica logica federalista, ripropone modelli organizzativi vecchi e desueti, allontana la scuola dalla comunità locale e dal suo territorio introducendovi surrettiziamente ed in dodicesimo regionale procedure e modelli culturali di quello stesso Stato nazione burocratico e centralistico che si dice, a parole, di voler superare.
Come si concilia, infatti, il nuovo ruolo della regione in materia di organizzazione scolastica con il modello diffusivo a rete basato sul principio forte dell'autonomia delle istituzioni scolastiche il cui rilievo è tale che è stato correttamente costituzionalizzatato? Come non vedere nell'autonomia organizzativa e didattica delle istituzioni scolastiche il vero ed unico vettore strategico di un processo incentrato sulla flessibilità e la congruenza con le esigenze territoriali? Come non vedere che la gestione da parte degli istituti scolastici di tutte le funzioni amministrative è chiaramente essenziale per una compiuta declinazione dell'autonomia scolastica?
Quanto alla quota regionale dei programmi scolastici e formativi come non vedere che questa confligge con la quota curricolare riservata alle singole istituzioni scolastiche che il decreto ministeriale n. 234 del 2000 quantifica nel 15 per cento? Tale quota, al contrario, andrebbe rafforzata e non, come pensato da voi, compressa dal nuovo centro regionale che rischia di assumere - questo sì - connotazione non funzionale, ma decisamente ideologica.
La devolution scolastica evoca la comunità locale, ma il suo portato federalistico si ferma ai confini dei capoluoghi regionali. Evoca la sussidiarietà, ma pratica solo quella verticale, non certo quella orizzontale. Istituzioni scolastiche, comuni, province, non rientrano nel modello istituzionale e culturale della devolution scolastica.
Ancora, la devolution scolastica è duale sul piano istituzionale, quando le migliori esperienze europee - la Spagna, la Germania - evidenziano l'efficacia dei modelli cooperativi. La devolution scolastica è segmentale sul piano dei modelli culturali come se, rispolverando vecchie proposte di federalismo razziale alla Niceforo e alla Sichele, la domanda di federalismo che attraversa il paese avesse un fondamento etnico, poggiasse su una differenziazione linguistica, su una sorta di alterità antropologica. È come se qualcuno svegliatosi da un lungo letargo continuasse oggi a proporre antiche ricette, forse valevoli oltre cento anni fa, risposte vecchie buone ai tempi della formazione dello Stato nazione,
ma inadeguate rispetto ai nuovi problemi, al mutamento ed alla crescita della società italiana.
Qualcuno di voi pensa a identità regionali oppositive, come se la società italiana non avesse oggi una conformazione plurale dove l'identità locale e regionale, l'essere veneti o siciliani, non fosse costitutivo dell'identità italiana. L'identità italiana che pensate come conculcata dall'alto mentre oggi, in particolar modo per le giovani generazioni, vi è precisa consapevolezza che la loro identità è plurima, plurale, non oppositiva, e che identità locale e nazionale coesistono, non confliggono, e si fondono in una più ampia e comune identità e cultura europea.
Questa complessità della società italiana la configura come società federale, quella stessa società federale senza la quale, come insegnava Tocqueville, non è pensabile uno Stato federale. Inoltre, non si dà Stato federale senza società federale. Tale società va costruita sulle città, quelle città che Cattaneo vedeva come vettori di un federalismo a base territoriale, non certo le piccole patrie, i piccoli Stati nazione, le regioni in dodicesimo come emerge dal vostro modello. Sono realtà regressive tanto sul piano culturale, quanto su quello istituzionale.
In definitiva, credo vi sia un grande interrogativo che da qualche mese, da qualche tempo attraversa numerose componenti della società italiana e sicuramente interessa gli operatori del mondo della scuola, le famiglie, gli studiosi, gli amministratori locali: ma questa devolution scolastica, così come pensata ed evocata nel disegno di legge governativo è, o meno, un provvedimento coerente con la logica di modernizzazione del nostro sistema scolastico, quale si è venuta faticosamente a delineare negli ultimi anni, con tutta una serie di interventi che saggiamente e con intelligenza ne hanno ridisegnato profondamente l'identità, ripensando il ruolo e la funzione sia delle nostre istituzioni scolastiche, sia della logica funzionale complessiva del sistema?
Da tempo vi è nel paese precisa consapevolezza che il nostro sistema scolastico deve confrontarsi con un mutamento di scenario e contesto che implica profondi processi - questo sì - di ridefinizione dell'assetto funzionale e della stessa identità del sistema e delle sue componenti strategiche. Il vecchio modello scolastico, statalizzato e gestito a livello centrale da una struttura burocratica, amministrativa, uniforme, gerarchica e verticalizzata ha di certo assolto ai suoi vecchi imperativi funzionali, in piena coerenza con il vecchio modello di Stato-nazione, di cui era essenziale articolazione istituzionale: l'assimilazione culturale, l'omogeneizzazione linguistica, l'integrazione centro-periferia.
Certo, il vecchio modello ha superato numerose prove: l'analfabetismo è stato sconfitto; l'unità e l'identità nazionale sono divenute componenti costitutive dell'universo simbolico di intere generazioni. La democratizzazione dell'accesso ai livelli più elevati della formazione scolastica, pur a fronte dei vincoli rappresentati dal capitale culturale della famiglia di origine, ha rappresentato un criterio equitativo che ha di certo operato da bussola per il sistema e i suoi attori. Ma è proprio questa sua stretta interrelazione con la logica dello Stato-nazione che ha posto il nostro sistema scolastico di fronte a tensioni e a domande di mutamento che conseguono dalla stessa crisi di trasformazione del nostro sistema istituzionale.
Il ridelinearsi dei rapporti centro-periferia, la riemergenza identitaria e culturale delle periferie, la domanda di autogoverno e l'ancoramento territoriale della domanda politica, le assunzioni di rilievo delle tematiche federalistiche nell'agenda politica sono elementi incontrovertibili. Non diversamente dalla leva obbligatoria, per il nostro sistema scolastico si è chiuso un ciclo. Le nuove potenzialità di sviluppo sono legate ora al modo in cui si sarà in grado di far fronte alle nuove esigenze della società italiana.
Va detto allora come la società italiana oggi sia plurale; come le diverse componenti culturale ed identitarie abbiano trovato forme adeguate di articolazione ed espressività. Oggi la società italiana coniuga in un equilibrio complesso le sue
articolazioni culturali. È questa complessità della società italiana, questa sua concatenazione identitaria, che la configura come società federale, ma tutto ciò nulla ha a che vedere con quanto viene prospettato, ahimè, nella devolution scolastica. È proprio, al contrario, la rilevanza dei processi culturali e il loro intrecciarsi con le dimensioni identitarie che dovrebbe imporre, colleghi, maggior cautela nel delineare interventi che producono effetti di sistema nell'universo scolastico e formativo del paese.
Voglio essere chiaro: non serve oggi con la devolution, così com'è abbozzata, fornire risposte a domande che hanno attraversato le vicende politiche, costituzionali e culturali che sono sottese alla formazione del nostro Stato-nazione. Siamo tutti consapevoli di come il processo di unificazione non abbia sempre trovato quelle adeguate soluzioni politico-amministrative, che con diversa caratterizzazione venivano individuate ancora dal Farini con la sua nota famosa del 1860 o dal Ferrari nel dibattito parlamentare immediatamente conseguente al processo unitario, con un suo federalismo a matrice proudhoniana. O ancora dal Cattaneo, per non ricordare l'autonomismo cattolico di Manna, di Ulloa, di Cenni o ancora l'autonomismo siciliano del Perez. È in realtà il DNA culturale da cui origina questa proposta di devolution che, rinviando a modelli culturali segmentari, basati sulla prevalenza del sangue e della terra quali fattori su cui si costruisce l'identità, non solo evoca - ahimè - un federalismo razziale alla Niceforo, ma ipotizza un processo dove la logica della separazione, della divisione e della segmentazione è prevalente rispetto a quello che secondo noi è il principio costitutivo del federalismo, la logica del foedus.
Insomma, colleghi, risposte vecchie a problemi nuovi.
Come non leggere, poi, nell'armamentario ideologico della Lega, la riproposizione di linee di frattura e di temi politici vecchi di oltre cent'anni: la contrapposizione nord-sud, l'evocazione dello Stato di Milano, la minaccia secessionista evocata da Scarfoglio su Il Mattino e rilanciata dall'Italia del popolo nel gennaio del 1895 (ripeto: nel gennaio del 1895).
Le date dovrebbero far riflettere sull'inattualità di letture e soluzioni politiche, dove il significato simbolico a fini premiali per la militanza leghista poco o nulla ha a che vedere con la domanda di un moderno federalismo, congruente con le aspettative e i bisogni della parte più dinamica della società italiana, tanto del sud quanto del nord.
Stupisce che di questa cultura della divisione, della frattura, della perimetrazione, della segmentazione, si siano fatti interpreti - certo, in tono minore e subalterno - soggetti e formazioni politiche che vantano in questo Parlamento ben altra storia e ben altra formazione, dimenticando l'esortazione politica di don Luigi Sturzo, che amava definirsi impenitente federalista sì, ma unitario.
In definitiva, il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo ripete la propria contrarietà ad un provvedimento caotico e regressivo. In un particolare momento, come questo, di difficoltà nei rapporti internazionali e caratterizzato da un clima di guerra, nel solco di quella vecchia Europa, preferiamo invece tessere quel filo rosso federalista che dal compromesso di Philadelphia - che innova il modello classico della sovranità - passa attraverso l'enunciato kantiano - e ciò va sottolineato con forza - della pace perpetua e duratura come risposta, come obiettivo e come scenario strategico di un federalismo pensato da Kant come risposta a più di centocinquanta anni di guerre nello spazio europeo, fino al Manifesto di Ventotene e all'auspicio di Spinelli della costruzione - questa sì ancora tutta da pensare e da reimpostare - degli Stati uniti d'Europa con radici profonde in quella vecchia Europa della quale noi, come gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo e come Ulivo, siamo ancora orgogliosi di essere eredi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bindi. Ne ha facoltà.
ROSY BINDI. Signor Presidente, questa mattina, ascoltando il dibattito durante l'incredibile ostruzionismo della Lega contro se stessa, il cui scopo era da una parte quello di imbavagliare l'opposizione e dall'altra di prendere tempo per risolvere le tante contraddizioni presenti all'interno della maggioranza, è tornata viva la domanda che ciascuno di noi ha continuato a coltivare nei mesi di propaganda che hanno accompagnato l'approvazione di questo disegno di legge.
È tornata la domanda ed è tornata, ancora una volta, chiara la risposta. Stiamo approvando un disegno di legge inutile, che non cambia nulla rispetto all'attuale nuovo titolo V della Carta costituzionale - che il popolo italiano ha voluto con un referendum - o stiamo approvando una legge molto pericolosa per il nostro paese? È una legge contro la quale, in maniera molto chiara, ha parlato in questi mesi anche il Presidente della Repubblica, richiamando continuamente ad un federalismo solidale e all'unità del paese.
In altre parole, questo disegno di legge è una patacca che la Lega vuole portare a casa, in cambio della sudditanza a Berlusconi, dimostrata in questi due lunghi anni di approvazione di leggi sulla giustizia? Si tratta di una patacca che in Padania si afferma essere, finalmente, il grimaldello del cambiamento del nostro paese, mentre qui si dice che le opposizioni fanno terrorismo quando affermano che questa legge scardinerà il sistema scolastico italiano e il servizio sanitario nazionale? È una patacca o è, invece, qualcosa di profondo, destinato ad incidere in istituzioni che il popolo italiano ha voluto, al di là dello stesso assetto istituzionale?
Credo che ci portiamo dietro questa domanda da troppo tempo e, nel momento in cui questo disegno di legge sembra essere arrivato al suo capolinea finale, è necessario dare una risposta. Tenterò di farlo parlando della sanità, parlando dell'assistenza, dei servizi alla persona e del sistema di welfare, dopo, però, aver affermato che, anche se fosse una patacca, noi riterremmo tutto questo molto grave, perché non si gioca con le istituzioni e con la Costituzione, al fine di fare propaganda politica in quei territori dove il consenso verso una forza politica sta progressivamente diminuendo, avendo questa stessa forza politica smarrito tutte le sue origini che, certo, gli avevano provocato un consenso scardinante il nostro sistema. Se patacca fosse, non si capisce perché dentro la maggioranza vi siano tanto conflitto e tanta inquietudine.
Credo non sia una patacca. Credo, invece, che sia un testo di legge che inciderà profondamente nella società italiana e che cambierà profondamente i connotati della nostra vita democratica. Ci chiediamo cosa si voglia davvero con l'articolo 1, che afferma: «Le regioni attivano la competenza legislativa esclusiva per le seguenti materie: assistenza ed organizzazione sanitaria (...)». Se quello che si voleva e che si vuole ottenere con questo disegno di legge è la competenza esclusiva delle regioni in materia di organizzazione sanitaria, non si capisce perché si debba portare a casa questa patacca. Nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, modificato dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, e, soprattutto, nella modifica del titolo V della Costituzione è chiaramente affermato che le regioni hanno competenza esclusiva in materia di organizzazione e di gestione sanitaria, di organizzazione e di gestione dei servizi sociali.
Riaffermare questo concetto è inutile. È un modo di giocare con la Costituzione e con le istituzioni, che non possiamo permettere. Ma, per l'appunto, non è un gioco. Se si sente la necessità di operare questa modifica dell'articolo 117 della Costituzione, vogliamo sapere che fine facciano i tre principi fondamentali contenuti nel nuovo titolo V per quanto riguarda assistenza, servizi sociali, sanità e sistema di welfare.
Il primo principio è che spetta in via esclusiva allo Stato individuare i livelli essenziali di assistenza. Si tratta di una
novità forte, unificante ed uniformante, vale a dire un principio volto ad assicurare una unità sostanziale, una unità dei diritti nella vita del nostro paese, assente nella nostra stessa Costituzione, che il legislatore del nuovo titolo V ha voluto esplicitamente affermare proprio perché consapevole che questo nostro paese non ha ancora completato il suo processo di unificazione, di quella unificazione non formale ma sostanziale: quindi, uguaglianza di diritti e di doveri di ogni cittadino in qualunque parte del territorio nazionale. Noi siamo consapevoli che il sistema di welfare, il servizio sanitario della Calabria non è il sistema di welfare e il servizio sanitario dell'Emilia Romagna, della Toscana, della stessa Lombardia e del Veneto. Proprio per questo, nel momento in cui si afferma la legittima e doverosa autonomia organizzativa e gestionale dei sistemi di welfare a livello regionale e locale, è necessario riaffermare con forza il compito dello Stato centrale che assicura, pur attraverso diversi modelli organizzativi, a tutti i cittadini uniformità di prestazioni.
Si tratta di livelli, appunto essenziali, laddove essenziale significa necessario, indispensabile, ciò che serve davvero a garantire il diritto alla salute e alla presa in carico delle persone. Si sente la necessità di riaffermare questo perché la diversità dei modelli organizzativi, l'autonomia esclusiva dei modelli organizzativi, persegua l'unità e l'uniformità della tutela e superi la divisione sostanziale che questo paese ancora vive e sperimenta ogni giorno sopra la propria pelle. Domando: facciamo terrorismo quando chiediamo ragione, quantomeno, della contraddizione che emerge e che darà molto lavoro alla Corte costituzionale, molto di più di quella che si preparava certamente a dare il nuovo titolo V della Costituzione in materia di legislazione concorrente in tema di welfare? Che fine fa la competenza esclusiva dello Stato nell'individuazione dei livelli essenziali di assistenza? Di certo, questo articolo non dice nulla e per esso parla la relazione che accompagna questo disegno di legge costituzionale che declassa i livelli essenziali a livelli minimi. Non è un problema linguistico, perché «minimo» significa minimo nel vocabolario, non essenziale, mentre «essenziale» significa essenziale e non minimo. Il parlare di livelli minimi di assistenza significa continuare a percorrere quella strada, che era stata interrotta con il decreto legislativo n. 229 del 1999, che con il decreto legislativo n. 502 del 1992 aveva declassato il diritto della salute da diritto fondamentale a diritto finanziariamente condizionato.
Parlare di livelli minimi e non più di livelli essenziali sia per la sanità sia per i servizi sociali significa anche mettere a rischio un altro principio contenuto nel nuovo titolo V della Carta costituzionale che fa riferimento alle risorse che, certamente, debbono essere reperite a livello regionale per le competenze esclusive e concorrenti. In ogni caso, dal momento che nel nostro paese vi sono regioni come la già citata Calabria, la quale ha un prodotto interno lordo pari a un quinto di quello della Lombardia, senza il ricorso ad un fondo perequativo i livelli essenziali di assistenza - ferma restando la competenza esclusiva dei modelli organizzativi - non sono raggiungibili, non sono assicurabili su tutto il territorio nazionale.
Che fine fa questo principio - dettato dal nuovo titolo V della Costituzione - di fronte ad un'assistenza e ad un'organizzazione sanitaria di competenza esclusiva delle regioni? Quale attentato rappresenta alla concezione solidaristica e perequativa del federalismo, che il legislatore ha voluto disegnare e che il popolo italiano ha approvato attraverso il referendum relativo al nuovo titolo V della Costituzione? Che fine fa un ulteriore contenuto del titolo V della Costituzione che prevede tra le competenze concorrenti tra Stato e regioni l'individuazione dei principi fondamentali dei sistemi di welfare e, in maniera particolare, del Servizio sanitario nazionale?
Il servizio sanitario nazionale trova il suo fondamento nell'articolo 32 della Costituzione, ma non trova necessariamente in esso i suoi principi ispiratori. Noi individuiamo nell'articolo 32 della Costituzione
il fondamento di quel servizio sanitario nazionale istituito nel nostro paese con la legge n. 833 del 1978. Infatti quando in esso si afferma che il diritto alla salute è un diritto fondamentale dell'individuo e un interesse della collettività e che a quest'ultimo si provvede con risorse pubbliche e che è gratuito per tutti gli indigenti, non si può che fare riferimento al modello universalistico vigente nel nostro paese. Tale modello, prevedendo il finanziamento del Servizio sanitario nazionale attraverso la fiscalità generale, risponde al principio il quale afferma che ciascuno finanzia secondo le proprie possibilità o se ne serve in base al proprio bisogno. Ne usufruisce attraverso il principio della globalità, potendo cioè contare su tutte le prestazioni necessarie per la tutela della salute e attraverso il principio di equità di accesso a tutti i servizi su tutto il territorio nazionale.
Questi principi, che trovano il loro fondamento nell'articolo 32 della Costituzione e che nel 1978 sono divenuti patrimonio della nostra democrazia, non possono essere - secondo il titolo V - messi in discussione o messi a rischio dall'autonomia e dalla competenza esclusiva dei modelli organizzativi delle regioni.
La storia di un paese come il Canada che, prima di noi, ha sperimentato il federalismo in materia sanitaria insegna molto. Venendo infatti a mancare la funzione di controllo e di monitoraggio nell'individuazione della coerenza tra l'autonomia dei modelli organizzativi dei singoli Stati federati del Canada e i principi fondamentali del Servizio sanitario nazionale dopo qualche anno di esperienza sono stati messi a rischio gli stessi principi e ciò proprio attraverso l'incoerenza dei modelli organizzativi.
Questo è il motivo per cui il legislatore del nuovo titolo V della Costituzione si era preoccupato di sancire, da una parte, la competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza e, dall'altra, l'autonomia organizzativa e la competenza esclusiva delle regioni, prevedendo, al centro, come principio federale vero, l'individuazione concorrente dei principi del servizio sanitario nazionale che doveva misurare la coerenza dei vari modelli organizzativi, al fine di assicurare a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale la tutela del diritto alla salute. Domanda: che fine fa tale principio se viene approvato il provvedimento in esame? Io credo che il concetto della competenza concorrente tra Stato e regioni nell'individuazione dei principi fondamentali del sistema di welfare, in primis del servizio sanitario nazionale non esista più; esiste, invece, l'autonomia esclusiva delle regioni che, da autonomia organizzativa diventa autonomia nell'individuazione di vari sistemi. Pertanto, senza colpo ferire, una volta approvato il disegno di legge costituzionale, ciascuna regione italiana sarà autonoma nell'individuare non solo il modello organizzativo, ma anche il sistema sanitario della propria regione, con la possibilità di abbandonare anche il sistema universalistico, il sistema globale e, soprattutto, il principio di equità e di accesso e di libera circolazione sul territorio internazionale.
In questi anni, i calabresi hanno potuto usufruire, per correggere una patologia del sistema, dei servizi sanitari della Toscana, dell'Emilia Romagna, della Lombardia e del Lazio nei suoi luoghi di eccellenza, a carico del servizio sanitario nazionale. Domanda: nel momento in cui il disegno di legge in esame verrà approvato, chi pagherà la differenza di costo tra le prestazioni sanitarie fruibili negli ospedali della Calabria e le tariffe dell'Emilia Romagna e, soprattutto, della Lombardia? La risposta è molto semplice: la pagheranno, se potranno, gli assistiti, i cittadini calabresi, i pazienti della Calabria, di quella Calabria che, come dice il ministro Sirchia, paga i propri medici - non si capisce il motivo - che operano negli «ospedalicchi» (che andrebbero chiusi) nello stesso modo in cui viene pagato il medico che opera nei luoghi di eccellenza della Lombardia. Sono espressioni che tradiscono molto più di dotti ragionamenti giuridici (ammesso che chi ha fatto ostruzionismo
contro se stesso questa mattina ne sia capace) le vere intenzioni del nuovo legislatore costituzionale.
Si ha in mente di fare a pezzi il servizio sanitario nazionale, di trasformarlo in tanti servizi sanitari regionali, di rompere l'uniformità della tutela della salute, di mettere a rischio uno dei diritti ritenuti fondamentali dalla Carta costituzionale, nonché anche un interesse vitale per la vita del nostro paese e della nostra società.
Credo che ci troviamo di fronte ad un bivio: questa non è una patacca che la Lega porta in Padania, ma è lo scardinamento di uno dei pilastri della vita democratica del nostro paese. Finché siamo in tempo, fermiamoci, perché il disegno di legge costituzionale in esame va letto insieme alle deleghe sulla riforma fiscale e sulla riforma previdenziale, ai provvedimenti sporadici, ma chiari, delle leggi finanziarie, anche con riferimento agli interventi del ministro della sanità e del ministro del welfare in questi due anni.
Noi ci troviamo di fronte ad un processo di strisciante privatizzazione dei sistemi di welfare del nostro paese e di abbandono delle parti più deboli della popolazione. La secessione che la Lega nord Padania ha voluto e che la Casa delle libertà si appresta ad approvare non è la secessione di un territorio rispetto ad un altro, bensì quella dei ricchi dai sistemi di solidarietà pubblica; l'esclusione non dei poveri, ma dei ceti medi dai sistemi della tutela.
Questo verrà pagato in maniera pesante dalle regioni meridionali, in prima battuta, ma, successivamente, dalle componenti più deboli di tutta la popolazione italiana. Prova ne sia il tentativo che il ministro ha fatto quest'anno, - per fortuna non riuscito, ma sempre presente come una spada di Damocle - di cambiare i criteri di trasferimento del fondo sanitario nazionale, abolendo il principio universale, perché approvato ed in qualche modo suggerito e raccomandato dalla Organizzazione mondiale della sanità, che è quello del trasferimento delle risorse per quota capitaria ponderata, per passare al principio della quota capitaria secca. Tanti abitanti, tanti finanziamenti, ignorando se questi abitanti siano anziani, ammalati, immigrati, o se vivono in centri industriali o in campagna, in regioni montuose o in grandi città. Qualcosa che non esiste in nessuna parte del mondo!
Ma che fine aveva e che fine ha questa intenzione che il Governo continua a perseguire? Privare le regioni del centro nord di una quota sostanziale dei trasferimenti (causando una reazione molto forte da parte di tutte le regioni e non soltanto di quelle governate dal centrosinistra) e costringere le parti più di ricche di questo nostro paese ad introdurre assicurazioni per coprire settori importanti e vitali del servizio sanitario nazionale dei sistemi welfare.
Si parte dalle regioni più ricche perché tanto le regioni più povere saranno comunque costrette ad intraprendere questa strada. Le società più ricche possono permettersi già da adesso di introdurre il principio per cui la salute si tutela in base al premio delle assicurazioni che si è pagato: colui che non è autosufficiente, il malato di mente, il tossicodipendente, il portatore di handicap o di malattie rare si assiste in base al premio di assicurazione che ha pagato.
È un disegno complessivo che procede a tratti, un disegno che sembra non avere un progetto unico, ma che invece esiste, ed è questo ancor più grave perché è profondamente antidemocratico.
Questa maggioranza e questo governa non hanno il coraggio di andare davanti agli italiani ad affermare ciò che vogliono effettivamente fare della sanità italiana, dei sistemi di welfare e di quelli assistenziali. Non hanno il coraggio di affermare ciò che vogliono effettivamente fare del sistema delle tutele conquistate a caro prezzo in cinquant'anni di vita democratica, perché sanno che si misurerebbero con una impopolarità addirittura più forte di quella che stanno sperimentando intorno al tema della guerra e della pace.
Allora i cambiamenti sono introdotti in modo surrettizio, a colpi di leggi finanziarie e di modifiche della Carta costituzionale, facendo credere che si tratti del
terrorismo fatto dall'opposizione quando dice che questo scardinerà i sistemi di garanzie e non mettendo insieme il disegno organico, che comunque viene percepito, non soltanto dall'opposizione, dagli studiosi e dagli osservatori internazionali, ma toccato ogni giorno dai cittadini di questo paese.
Noi esprimeremo convintamente voto contrario su questo disegno di legge di riforma costituzionale, facendo di tutto perché il popolo italiano si esprima contro questa trasformazione della Carta costituzionale, perché questo è il cambiamento profondo della vita democratica di questo paese.
Vedete, voi non siete nuovi, siete estranei alla vita democratica di questo paese. Non sapete cosa abbia voluto dire scrivere la Costituzione e attuarla attraverso istituzioni civili condivise dal popolo italiano e proprio per questo le state scardinando, portando il nostro paese in un inedito che non ha conosciuto. Ma questo paese non ve lo permetterà, non solo perché c'è un'opposizione forte, ma anche perché gli italiani, al contrario di voi, vogliono bene all'Italia che hanno costruito, mentre voi lavoravate e continuate a lavorare contro (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bielli. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Signor Presidente, questo è un provvedimento sbagliato e viene avvertito anche da componenti della maggioranza. È sbagliato non solo e non tanto per l'insipienza, che è evidente, ma per le finalità che persegue. C'è sicuramente anche incapacità e insipienza, ma c'è soprattutto altro.
La devoluzione è un processo rischioso e stranamente trova il consenso anche di chi, esageratamente, dell'unità nazionale e della retorica nazionalista ne aveva fatto la propria bandiera. Ma quanto si fa per avere un Vicepresidente del Consiglio, soprattutto quando poi aspira a diventare Presidente!
Strana parola devoluzione, parola non usuale. Io non la ricordavo nei saggi in cui si parlava di riforma dello Stato. Parola non usuale, ma che i leghisti, volendo «padanizzare» l'inglese, hanno fatto diventare ricorrente nel dibattito politico e istituzionale. Dovrebbe stare a significare il devolvere, dai rami alti del livello istituzionale, poteri e risorse verso i rami più bassi, quelli più vicini alle esigenze dei cittadini.
VALTER BIELLI. Ma già durante il Governo di centrosinistra, con la modifica del titolo V della Costituzione, si era realizzato questo giusto obiettivo e il disegno di legge La Loggia, che si sta discutendo in I Commissione, rappresentava un tentativo di riflettere, per vedere come intervenire meglio in un processo comunque serio e responsabile.
L'Italia d'ispirazione federalista si stava costruendo in un impianto istituzionale che salvaguardava l'unità nazionale, fissando tre livelli di competenze legislative: una esclusiva dello Stato, con materie elencate; una esclusiva delle regioni, in tutte le altre materie non attribuire alla sfera statale; una esclusiva di merito, sempre alle regioni, vincolata però all'osservanza di principi fondamentali disciplinati dalla legge statale (e su questo l'approfondimento era dovuto e necessario).
Ma oggi, con la devoluzione di Bossi, si punta ad altro. Non si parla più di secessione, ma con la nuova legge si è messo in moto una processo in cui ogni rischio è presente e possibile e io sono convinto che in qualche valle, forse del varesotto, forse del bergamasco, qualcuno ancora pensi alla secessione.
Ma cos'è la devoluzione bossiana? Solo una bandiera della Lega da agitare per accontentare il popolo padano? Ho, a tal proposito, un'opinione precisa: non è lo sventolio di una bandiera, che pure ha un grande significato simbolico, e non è neppure una cambiale che il Governo di
centrodestra deve pagare a Bossi per salvaguardare l'unità della Casa della menzogna; è altro e molto più pericoloso e capisco le difficoltà delle componenti del centro del centrodestra che, rispetto a questa situazione, vogliono fare qualcosa, ma mi rendo conto che non riescono poi ad essere conseguenti rispetto alle preoccupazioni che comunque hanno.
Berlusconi sta marciando a tappe forzate in direzione di un obiettivo molto chiaro. L'impianto istituzionale uscito dalla Carta costituzionale, frutto della lotta di resistenza e permeato, irrorato dal valore dell'antifascismo, fa da ostacolo alle sue mire e pertanto, per il Polo, quell'impianto va destrutturato.
Follini, cattolico democratico e sempre tormentato, deve sapere che «il lasciar fare» è una scelta e non si può fare, in certe occasioni, il Ponzio Pilato.
La separazione dei poteri che regola ogni sistema liberale per Berlusconi va sostituita con il principio secondo cui il plus va affidato ai partiti, alla politica e, pertanto, la giustizia deve rispondere, non all'imparzialità, ma all'interesse della politica, del vincitore.
La cosiddetta legge Cirami, la riforma del CSM, l'attacco alla magistratura e alla sua autonomia, il tentativo di garantire l'immunità parlamentare assoluta sono solo alcuni titoli di un'attività legislativa che privilegia tale questione rispetto agli interessi del paese.
L'altro dato su cui si agisce per la destrutturazione dello Stato nazionale è appunto la devolution che si accompagna a quella che io chiamo corporativizzazione nei rapporti sociali. L'idea corporativa di triste memoria fascista la si evince dalla messa in campo di provvedimenti che hanno lo scopo di separare, di dividere, di mettere uno contro l'altro, ricercando, non la difesa dell'interesse generale, ma la salvaguardia del particolare, la salvaguardia del proprio interesse. Così è stato per il patto per l'Italia, con il tentativo di isolare la CGIL dalle altre associazioni che, per difendersi, hanno firmato, non il vero e neppure il verosimile, accorgendosi poi che era un vuoto a perdere.
La devolution del centrodestra attribuisce alle regioni competenze esclusive nei settori della scuola, della sanità e della polizia locale e sulla polizia locale non c'è neppure l'aggiunta dell'aggettivo «amministrativa». Esclusiva significa che nessun'altra istituzione può interferire in quelle materie. In sostanza, chi ha più risorse può decidere di fare da sé, uscendo dal Sistema sanitario nazionale, dotandosi di un proprio corpo di polizia, rompendo l'unitarietà del sistema di sicurezza nazionale, andando verso una balcanizzazione del paese, con rischi e pericoli evidenti.
Il progetto Berlusconi-Bossi prevede, altresì, che ogni regione possa autonomamente decidere, con propria legge, i programmi scolastici e formativi con scuole padane e celtiche, con la limitazione di un principio come l'autonomia scolastica, con la messa in discussione della coesione culturale di questo paese.
Si frammenta l'istruzione pubblica, la sanità; diritti essenziali troveranno risposte diverse da regione a regione, con le realtà più deboli ancor più penalizzate.
La devoluzione non è un astratto principio. Per servizi che attengono all'identità culturale del paese e a diritti fondamentali, quali la salute, il lavoro, la scuola, ciò può essere causa della perdita della nostra identità nazionale, può essere causa di egoismi, di particolarismi territoriali e di caduta della solidarietà sulla quale, invece, si è costruito lo Stato sociale in Italia.
È messa in discussione quella coesione sociale che, invece, è tanto utile al nostro paese. Ma proprio un paese ingovernabile, corporativizzato, sollecita le ambizioni di Berlusconi che vuole, oggi per domani, presentarsi come la salvezza e la sicurezza contro i rischi del caos. Allora, io vedo rischi, in cui, dietro la frantumazione e la corporativizzazione, ci vuole un potere forte. Non è questo che vuole il vostro leader? Noi ci opporremo, onorevoli colleghi, a questa impostazione, a questa deriva, non solo moderata, ma che reca il segno dell'autoritarismo.
So bene che qualcuno di voi risponderà che volete dare più potere ai livelli più vicini ai cittadini. Non è così. Anzi,
fate il contrario. Voi proponete, in verità, un centralismo forte a Roma - e non è stato così con l'ultima legge finanziaria? - e insediate un nuovo centralismo regionale.
Ciò di cui ha bisogno il paese è un vero federalismo, fatto soprattutto di risorse a favore di quelli che impropriamente sono chiamati rami bassi del sistema, ma che hanno un nome preciso; si chiamano comuni, municipi ed enti locali.
Un'operazione democratica deve puntare ad una nuova idea di Stato, deve far leva sui nostri comuni; ma questo per voi, invece, scompare.
Come ho già detto, voi puntate ad altro: sollecitate non il locale, ma il localismo deteriore; non costruite, ma frantumate! Nell'epoca del globale, del mondo della competitività - che è, sempre più, competitività territoriale - il ministro Bossi va in giro a sollecitare la nascita di nuove regioni!
Noi dobbiamo confrontarci, in Europa, con la Baviera, con i grandi Länder tedeschi, con le grandi aree e porti; in Italia, invece, si vogliono spezzettare le regioni forti come l'Emilia Romagna!
La fondazione Agnelli e coloro che si occupano seriamente di economia affermano che se, in Italia, si dovesse ridisegnare la geografia politica delle regioni, si dovrebbe andare a sette od otto macroregioni ed individuano nell'eccessiva frantumazione una delle ragioni della nostra debolezza. Voi volete separare! Ma a che pro?
Certo, se si sollecita la Romagna, perché, poi, non si dovrebbe fare la regione Lunense? E perché non si dovrebbe pensare al territorio dei Medici, fra l'altro con la Romagna-Toscana? E perché non si dovrebbe pensare agli Estensi ed ai Gonzaga?
Colleghi, il problema è appassionante e meriterebbe anche un approfondimento serio. Voi ci impedite di affrontare il tema di quali ragioni, di quale politica, per quale sviluppo, per quale idea del mondo intendiamo operare. Ci obbligate a ragionare in un'ottica di piccola lega per interessi di parte. Noi non possiamo accettare questa vostra impostazione perché vogliamo bene al nostro paese e non intendiamo favorire la decadenza che voi, con le vostre scelte, in qualche modo, state prospettando, una decadenza che noi avvertiamo in un futuro non lontano, ma assai ravvicinato.
La nostra, quindi, sarà un'opposizione dura, forte, ma, come sempre, responsabile.
Oggi, sono qui, in quest'aula, ovviamente, a discutere di un provvedimento che riguarda il nostro paese e questo Parlamento, ma vi assicuro, colleghi, che vorrei essere in un Parlamento diverso, in un'aula nella quale, anche attraverso un calendario straordinario rispetto a quello che stiamo portando avanti ed un impegno straordinario, trovassimo la forza per dire, tutti quanti uniti: basta con la guerra, fermiamo i massacri e la tragedia che si sta verificando in Iraq!
Vorrei un'Assemblea che, oggi, fosse impegnata su un grande tema: abbiamo bisogno di pace; blocchiamo la guerra (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ricordo che il Presidente della Camera ha precisato che il seguito dell'esame del disegno di legge è rinviato al prossimo calendario nella data che sarà indicata dalla Conferenza dei presidenti di gruppo.
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