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PRESIDENTE. L'onorevole Alfonso Gianni ha facoltà di
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, signor ministro, con la presente interrogazione, che raccoglie anche l'intenzione di altri colleghi parlamentari e deputati di quella zona, intendo sollevare un ennesimo problema relativo alla nostra industria italiana. In questo caso, si segnala il problema di una fabbrica storica, la Marzotto, che si occupa della tessitura di lana di Manerbio.
PRESIDENTE. Il ministro delle attività produttive, onorevole Marzano, ha facoltà di
ANTONIO MARZANO, Ministro delle attività produttive. Signor Presidente, la situazione produttiva e occupazionale del gruppo Marzotto è seguita con attenzione dal Ministero delle attività produttive che, con un supporto degli uffici del Ministero del lavoro, preposto agli ammortizzatori sociali, ha aperto con i vertici della società un tavolo di confronto, finalizzato a minimizzare gli impatti occupazionali del piano di riorganizzazione e di razionalizzazione produttiva avviato dalla società.
PRESIDENTE. L'onorevole Alfonso Gianni ha facoltà di
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, discuteremo in un altro momento sugli esiti dell'economia italiana nell'anno appena trascorso e discuteremo le cifre che qui lei porta, constatando come il dato che lei pomposamente porta a suo vantaggio sia composto in realtà di occupazione fragile e precaria. Io tuttavia la richiamo al punto in discussione: questo è costituito da una fabbrica, un sito storico, in Manerbio, che produce tessitura di lana e dove 271 persone tra pochi giorni andranno a casa, se continua la sua logica alquanto manzoniana di lasciare che le cose vadano per il loro senso.
Può chiudere un punto importante dello snodo produttivo industriale del nostro paese? Può mortificare così un punto di eccellenza? O lei pensa, signor ministro, che noi possiamo semplicemente apporre delle griffe su vestiti e tessuti prodotti altrove, che seguono altri interessi ed altre dominanze del mercato mondiale? In questo modo si porta l'Italia a diventare un paese di serie «C» e, in ogni caso, le lavoratrici ed i lavoratori di Manerbio non vogliono che quel sito produttivo si chiuda. Parliamoci chiaro: vi sono in questo caso anche mire di speculazione sull'area su cui attualmente insiste lo stabilimento. Noi non crediamo all'obiettività di quel piano industriale; sappiamo che può essere ridiscusso. Spetta al Governo far valere la propria autorità, se ancora ne ha una (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
Come lei ben sa, sono state avviate le procedure di mobilità e se non vi è un intervento da parte del Governo ed un cambiamento del piano industriale dell'azienda, 271 persone si troveranno senza lavoro e l'industria tessile perderà un altro importante tassello. D'altro canto, sappiamo che la vicenda di Manerbio non è, purtroppo, un caso isolato; se sparisce Manerbio, toccherà a Praia a Mare, con una successiva riduzione degli stabilimenti di Valdagno. Insomma, questo Governo si vuole occupare di una seria politica industriale?
Il comparto tessile in Italia risente degli effetti di fattori al contempo congiunturali e strutturali: congiunturali, perché riflette la tendenza verso un rallentamento dei consumi di natura internazionale, e strutturali, perché sul nostro mercato, si riversano, in sempre maggiore quantità, i prodotti tessili dei paesi emergenti, i cui prezzi sono irraggiungibili per le imprese del nostro paese per la bassissima incidenza del fattore lavoro, quando non occultano vere e proprie azioni di dumping.
Tale situazione ha inciso pesantemente sull'attività della Marzotto i cui lanifici, anche per effetto di strategie aziendali che hanno esercitato effetti sull'affidabilità e sulla credibilità del marchio del gruppo, hanno subito, nelle ultime stagioni, perdite importanti in volumi di vendita, passati dai 21 milioni di metri del 1998 ai 14 milioni registrati lo scorso anno.
Il gruppo Marzotto, come molti altri settori e operatori nazionali, mira ora a contrastare questa situazione, puntando a qualificare la sua produzione verso articoli di media, alta fascia che potrebbero consentire il rafforzamento della sua capacità produttiva, combinando le leve consuete (qualità, servizio, prezzo) ad un'offerta di collezione sempre più ricca, ma abbandonando i prodotti di più bassa qualità che non sono economicamente più sostenibili. Ne consegue l'esigenza di una contrazione, purtroppo, della capacità produttiva sia nell'ambito degli stabilimenti italiani sia in quello di proprietà della Repubblica ceca su dimensioni compatibili con le attuali concrete possibilità di mercato.
La decisione assunta dalla Marzotto di abbandonare il suo sito storico di Manerbio, a cui pare sia legata ampia storia del gruppo, alla luce dell'esigenza che la società, tra l'altro quotata in borsa, torni a produrre valore, non appare in questo contesto molto contrastabile.
Il Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero del lavoro, è impegnato ad attutire gli impatti sociali delle decisioni assunte, sia sollecitando la società ad utilizzare ammortizzatori sociali che diano più ampia garanzia di continuità retributiva, sia favorendo, in accordo con la stessa società, azioni mirate alla reindustrializzazione del sito che consentano l'avvio di processi di riconversione e di rioccupazione del personale.
Voglio comunque ricordare che, nonostante la crisi di alcune imprese, l'andamento dell'economia italiana nel 2002 presenta alcuni dati positivi: l'occupazione dipendente è infatti aumentata del 2,1 per cento, ovvero di 333 mila unità; il numero delle persone in cerca di lavoro si è ridotto; il tasso di disoccupazione è sceso al 9 per cento dal 9,5 del 2001 e il tasso di disoccupazione giovanile è sceso al 27, 2 per cento dal 28, 2 di un anno prima.
Non è contrastabile il piano dell'azienda? Per quale ragione? Lei cosa ci sta a fare? Il ministro per le attività produttive deve intervenire, contrastare, costringendo l'azienda ad accettare la ridiscussione del piano industriale. Lei non l'ha detto, ma lo dico io: domani c'è una riunione decisiva. L'azienda fa un ricatto dicendo ai sindacati che se non romperanno più le scatole sul piano industriale si adotterà la cassa integrazione straordinaria per cessata attività. È ammissibile questo? Chiunque in questo paese, in ragione della massimizzazione dei propri profitti, in ragione cioè di un motivo laido, può mettere sul lastrico centinaia di lavoratrici e lavoratori?