Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Finanze |
Titolo: | Elementi essenziali della tassazione in Italia |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 124 |
Data: | 16/03/2022 |
Organi della Camera: | VI Finanze, COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA SULL'ANAGRAFE TRIBUTARIA |
della tassazione in Italia
(aggiornato al 16 marzo 2022)
Servizio Studi
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Documentazione e ricerche n. 124
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FI0141.docx
INDICE
§ L'imposta sul reddito delle persone fisiche – Irpef
§ La riduzione del cuneo fiscale
§ Il sistema di deduzioni e detrazioni (spese fiscali o tax expenditures)
§ La tassazione proporzionale (cd. flat tax) nel sistema fiscale italiano
§ 4. La tassazione delle rendite finanziarie
§ 5. Coltivatori diretti e imprenditori agricoli
§ 6. Il regime opzionale per i neoresidenti
§ 7. La flat tax per i pensionati
§ La riforma fiscale nei documenti di programmazione economica
§ L’imposizione immobiliare: lineamenti generali
§ L’imposizione immobiliare nel quadro della finanza locale
§ Ristrutturazioni edilizie e superbonus
§ La TARI
§ Le imposte indirette sui trasferimenti
IRES E TASSAZIONE DELLE IMPRESE
§ Lineamenti dell’imposizione diretta sul settore produttivo: l’Ires
§ Stabile organizzazione e base imponibile
§ Aliquote
§ Superammortamento e iperammortamento
§ La tassazione delle imprese del settore finanziario
§ L’Irap
§ L’imposta sul valore aggiunto – Iva
§ Fatturazione elettronica e trasmissione telematica
§ Semplificazione adempimenti fiscali
§ I ruoli da riscuotere (cd. magazzino)
§ Gli interventi per favorire la compliance
§ La riscossione degli enti locali
§ Tassi di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi dei tributi
§ Le misure adottate per fronteggiare l’emergenza
§ Gli organi della giurisdizione tributaria
§ Recenti interventi legislativi
§ Le proposte in materia di giustizia tributaria all’esame del Parlamento
L’IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE NEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI (aggiornamento)
LA FISCALITÀ IMMOBILIARE IN FRANCIA, GERMANIA, REGNO UNITO E SPAGNA (Aggiornamento)
Con il presente lavoro si intende fornire una sintetica panoramica dei principali istituti fiscali italiani e, in particolare, delle forme di imposizione tributaria che nel corso degli ultimi anni sono state all’attenzione del legislatore, sia in ragione della loro importanza politico-economica (si pensi al dibattito sull’imposizione del lavoro e delle attività produttive), sia per i loro effetti sulla finanza pubblica (si pensi agli interventi in materia di compliance fiscale).
Il dossier raccoglie brevi schede di sintesi sulle singole tasse o imposte, gli ultimi interventi del legislatore per ciascuna di esse, le questioni aperte e alcune proposte provenienti dall'attività parlamentare o da istituzioni pubbliche e private.
Nell’attuale contesto emergenziale e alla luce delle risorse messe a disposizione con il Recovery Fund europeo, tra le riforme di accompagnamento al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato alla Commissione europea (aprile 2021) il documento indica - come preannunciato dalle Linee guida (settembre 2020) - la riforma di alcune componenti del sistema tributario italiano: in particolare, il Governo si è impegnato ad affrontare la tematica della razionalizzazione e dell'equità del sistema fiscale, il rafforzamento della compliance, anche attraverso il potenziamento dell'amministrazione finanziaria, e il completamento del federalismo fiscale.
Il coinvolgimento del Parlamento nell’attuazione della riforma fiscale è assicurato attraverso il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale (A.C. 3343, all’esame della Camera al momento della redazione del presente lavoro) sia nella fase di definizione dei principi e criteri direttivi sia, in seguito, nell’espressione dei pareri sui decreti attuativi.
A tale scopo, l’11 novembre 2020 la VI Commissione Finanze della Camera e la 6° Commissione Finanze e tesoro del Senato hanno deliberato una vasta indagine conoscitiva preordinata alla riforma fiscale, per raccogliere le istanze dei diversi portatori di interessi e approfondire le principali questioni aperte. L’indagine conoscitiva si è articolata nell’arco di sei mesi, tra gennaio e giugno 2021; il 30 giugno 2021 le Commissioni hanno ciascuna approvato, in un identico testo, il documento conclusivo dell’indagine, che indirizza la riforma fiscale verso obiettivi di crescita dell’economia e semplificazione del sistema tributario. Il documento tiene esplicitamente in considerazione le finalità di transizione ecologica e digitale del PNRR; supporta l'approccio strategico contenuto nel Piano che vede nella digitalizzazione, e nelle competenze tecniche necessarie a renderla efficace, l'investimento più redditizio per l'Amministrazione Finanziaria. Vedi qui anche la sintesi delle proposte degli auditi.
In coerenza con quanto anticipato nella Nota di Aggiornamento al Documento di economia e finanza per il 2021 – NADEF 2021 (settembre 2021) il Governo ha attuato una prima parte della riforma già con la manovra 2022-2024.
In particolare, la legge di bilancio 2022 ga ridisegnato i lineamenti fondamentali dell'Irpef, anzitutto mediante interventi sulle aliquote e sugli scaglioni (è stata soppressa l'aliquota del 41%, mentre la seconda aliquota è stata abbassata dal 27% al 25%; la terza è passata dal 38 al 35% ricomprendendovi i redditi fino a 50.000 euro, mentre i redditi sopra i 50.000 euro vengono tassati al 43%).
Sono state inoltre riorganizzate e armonizzate le detrazioni per redditi da lavoro dipendente e assimilati, da lavoro autonomo e da pensione (articolo 1, commi 2-4). Di conseguenza, per adeguare la disciplina dell'addizionale regionale e comunale Irpef alle predette modifiche, sono differiti alcuni termini in materia di addizionali degli enti territoriali (commi 5-7). Il provvedimento ha esentato da Irap, a decorrere dal periodo d'imposta 2022 le persone fisiche esercenti attività commerciali e quelle esercenti arti e professioni (commi 8 e 9).
All’inizio della legislatura, con la legge di bilancio 2019 era stata prevista l’estensione del regime forfettario per professionisti e lavoratori autonomi, con imposta sostitutiva unica al 15 per cento, introdotto dalla legge di stabilità 2015, ai contribuenti con ricavi o compensi fino a 65.000 euro, semplificandone le condizioni di accesso. La medesima legge consentiva, dal 1° gennaio 2020, alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni con ricavi o compensi tra 65.001 e 100.000 euro di applicare un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito, delle addizionali regionali e comunali Irpef e dell’Irap dell’imposta regionale sulle attività produttive con aliquota al 20 per cento. Tale ultima norma è stata peraltro abrogata dalla legge di bilancio 2020.
Un precedente tentativo di riforma fiscale è stato effettuato, nel corso della XVII legislatura, con la legge 11 marzo 2014, n. 23, che ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita.
In attuazione della predetta delega sono stati adottati provvedimenti concernenti, tra l’altro: semplificazioni fiscali e dichiarazione dei redditi precompilata; tassazione dei tabacchi lavorati; composizione, attribuzioni e funzionamento delle Commissioni censuarie; fatturazione elettronica e trasmissione telematica delle operazioni Iva; norme sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente; misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese; una revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario; una revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali; una revisione del sistema sanzionatorio; misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione; stima e il monitoraggio dell'evasione fiscale e il monitoraggio e il riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale. Il 27 giugno 2015 è scaduto il termine per l'attuazione della delega. Sono rimaste inattuate o parzialmente attuate, tra le altre, le norme concernenti la revisione del catasto dei fabbricati, fatta salva la riforma delle Commissioni censuarie; la revisione della riscossione degli enti locali e dell'imposizione sui redditi di impresa; la razionalizzazione dell’Iva e di altre imposte indirette, la revisione della disciplina dei giochi pubblici e il rilancio del settore ippico; la revisione della fiscalità energetica e ambientale.
Merita, infine, segnalare che per far fronte all'emergenza Coronavirus sono state adottate numerose misure fiscali straordinarie, molte delle quali di carattere temporaneo, dirette a prevenirne ed arginarne l'espansione e gli effetti sul sistema economico.
Si tratta di provvedimenti d'urgenza emanati a partire da marzo 2020 finalizzati a sostenere famiglie, lavoratori e imprese: il decreto-legge n. 9 del 2020, le cui misure sono poi confluite nel successivo più ampio intervento legislativo contenuto nel decreto-legge n.18 del 2020 Cura Italia, il decreto-legge n. 23 del 2020 Liquidità, il decreto-legge n. 34 del 2020 Rilancio, il decreto-legge n. 104 del 2020 Agosto, il decreto-legge n. 137 del 2020 Ristori, (nel quale sono confluiti il decreto-legge n. 149 del 2020 Ristori-bis, il decreto-legge n.154 del 2020 Ristori-ter e il decreto-legge n. 157 del 2020 Ristori-quater), il decreto-legge n. 41 del 2021 Sostegni e n. 73 del 2021 Sostegni-bis, nonché il decreto-legge n. 77 del 2021 Semplificazioni e il decreto-legge Proroga termini, n. 228 del 2021 nonché il decreto-legge Sostegni-ter, n. 4 del 2022, questi ultimi in sede di conversione in legge al momento della redazione del presente lavoro). Anche la legge di bilancio 2021 contiene misure fiscali volte a contrastare l’emergenza.
Per comprendere l’impatto che l’emergenza pandemica ha avuto sulle entrate tributarie del nostro Paese, si riportano di seguito alcuni dati di confronto 2019-2020 (Bollettino pubblicato sul sito del MEF-Dipartimento finanze): nel 2020 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica sono state pari a 446.796 milioni di euro con una diminuzione del 25.183 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell'anno 2019 (-5,3%). La variazione negativa riflette sia il peggioramento del quadro macroeconomico sia gli effetti dei provvedimenti di sostegno all'economia adottati dal Governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria. Le imposte dirette sono state pari a 252.572 milioni di euro, nel complesso sostanzialmente in linea con quelle del 2019 (+23 milioni di euro). Il gettito dell'Irpef si è attestato a 187.436 milioni di euro in riduzione di 4.178 milioni di euro (-2,2%) rispetto all'anno precedente, mentre l'Ires, che risente dell'andamento negativo dell'acconto (-2,8%), si è ridotta di 170 milioni di euro (-0,5%). Tra le altre imposte dirette vanno segnalati gli incrementi delle entrate dell'imposta sostitutiva sui redditi da capitale e sulle plusvalenze (+1.615 milioni di euro) e di quelle relativa all'imposta sostitutiva sul valore dell'attivo dei fondi pensione (+1.129 milioni di euro). Infine, il gettito dell'imposta sostitutiva sui redditi nonché ritenute sugli interessi e altri redditi di capitale ha evidenziato un calo limitato a 40 milioni di euro (-0,5%).
Le imposte indirette sono state pari a a 194.224, con una diminuzione tendenziale di 25.206 milioni di euro (pari al -11,5%). Alla dinamica negativa ha contribuito la riduzione dell'Iva (-13.227 milioni di euro, -9,7%), e, in particolare, della componente di prelievo sugli scambi interni (-9.377 milioni di euro, –7,6%) e di quella sulle importazioni (-3.850 milioni di euro, -27,7%).
Le entrate relative ai giochi ammontavano, nel 2020, a 10.510 milioni di euro (-5.095 milioni di euro, -32,6%).
Le entrate tributarie erariali derivanti da attività di accertamento e controllo si sono attestate a 8.854 milioni (-4.462 milioni di euro, pari a -33,5%) di cui 3.977 milioni di euro (-2.940 milioni di euro, -42,5%) affluiti dalle imposte dirette e 4.877 milioni di euro (-1.522 milioni di euro, -23,8%) dalle imposte indirette.
Fonte: MEF-Dipartimento finanze
Per quanto attiene ai dati della riscossione, nel 2021 le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica sono state pari a 496.094 milioni di euro con un aumento di 48.497 milioni di euro rispetto all'anno 2020 (+10,8%). Nel 2021 le imposte dirette ammontano a 269.806 milioni di euro con un aumento rispetto al 2020 del 6,7% (+16.848 milioni di euro). Il gettito dell'IRPEF si è attestato a 198.203 milioni di euro in aumento di 10.679 milioni di euro (+5,7%) rispetto all'anno precedente.
Le imposte indirette ammontano a 226.287 milioni di euro, con un incremento di 31.648 milioni di euro (pari al + 16,3%). Alla dinamica positiva ha contribuito l'aumento dell'IVA (+23.928 milioni di euro, +19,3%) e, in particolare, la componente di prelievo sugli scambi interni (+18.582 milioni di euro, +16,3%) e sulle importazioni (+5.346 milioni di euro, +53,2%).
Le entrate relative ai giochi ammontano nel 2021 a 12.401 milioni di euro (+1.895 milioni di euro, +18,0%).
Le entrate tributarie erariali derivanti da attività di accertamento e controllo si sono attestate a 8.587 milioni (-264 milioni di euro, pari a -3,0%) di cui 4.210 milioni di euro (+235 milioni di euro, +5,9%) affluiti dalle imposte dirette e 4.377 milioni di euro (-499 milioni di euro, -10,2%) dalle imposte indirette.
Fonte: MEF-Dipartimento finanze
Le misure temporanee non sono illustrate nel presente lavoro; si dà conto invece degli interventi contenuti nei provvedimenti emergenziali che, però, hanno natura strutturale o sono destinati ad avere effetti (anche di gettito) continuativi nel tempo.
L'imposta sul reddito delle persone fisiche – Irpef, è regolata dal Testo unico delle imposte sui redditi (DPR 22 dicembre 1986 n. 917). Essa si applica sui redditi che rientrano in alcune categorie individuate dalla legge (redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi) ed è una imposta progressiva in quanto colpisce il reddito con aliquote che dipendono dagli scaglioni di reddito. Il reddito imponibile e l’imposta da versare sono determinati, rispettivamente, al netto degli oneri deducibili e delle detrazioni per oneri.
Tale impostazione generale è rimasta immutata anche a seguito delle modifiche sostanziali apportate ad aliquote e scaglioni dalla Legge di Bilancio 2022 (articolo 1, commi 2-7 della legge n. 234 del 2021).
Per effetto di tali modifiche, il sistema prevede quattro scaglioni di reddito con altrettante aliquote, secondo il seguente schema:
§ fino a 15.000 euro, 23%;
§ da 15.000,01 a 28.000 euro, 25%;
§ da 28.000,01 a 50.000 euro, 35%;
§ oltre 50.000 euro, 43%.
Al riguardo l’Agenzia delle entrate ha pubblicato sul proprio sito una estesa circolare (n. 4/E del 18 febbraio 2022) che fornisce chiarimenti sulla riforma dell’Irpef contenuta nella Legge di bilancio 2022.
La legge di bilancio 2022, come anticipato in premessa, ha inteso attuare una prima parte della riforma fiscale. Al riguardo si ricorda che l’articolo 2 del disegno di legge di delega per la revisione del sistema fiscale (A.C. 3343) reca i principi e i criteri direttivi concernenti la revisione del sistema di imposizione personale sui redditi. Si prevede anzitutto la progressiva e tendenziale evoluzione del sistema verso un modello duale, ovvero che preveda la sottoposizione di alcuni redditi a imposizione proporzionale, mentre la restante parte verrebbe assoggettata a imposta progressiva. Si dispone anche il riordino delle deduzioni e delle detrazioni vigenti e l’armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio, per contenere l’elusione dell’imposta.
Il sistema in vigore fino alla fine del 2021 prevedeva invece cinque aliquote e modulava diversamente gli scaglioni:
· fino a 15.000 euro, 23 per cento;
· oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27 per cento;
· oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38 per cento;
· oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro, 41 per cento;
· oltre 75.000 euro, 43 per cento.
La progressività dell’imposta è altresì garantita dalla presenza di un complesso sistema di detrazioni e deduzioni, stratificatosi nel tempo.
Al di là del dettato normativo, nel corso dell’indagine conoscitiva delle Commissioni riunite citata in premessa è emerso che tra le principali criticità dell’attuale tassazione personale dei redditi in Italia vi è la presenza di aliquote marginali effettive che raggiungono livelli molto elevati. L'andamento “erratico” delle aliquote marginali è stato ascritto, tra gli altri fattori, al forte salto di aliquota tra il secondo e il terzo scaglione, all’andamento decrescente delle detrazioni all’aumento del reddito (che comporta anche la perdita dei trasferimenti, tra cui gli assegni familiari), all’applicazione delle addizionali su tutto il reddito, nonché alla diversa tassazione di alcune tipologie di reddito e ai bonus introdotti nel tempo.
A tale sistema occorre altresì aggiungere le addizionali regionali e comunali all’Irpef, che si applicano al reddito complessivo determinato ai fini Irpef e devono essere versate se, per l’anno di riferimento, risulta dovuta l’Irpef.
Con riferimento specifico all’unità impositiva, il sistema Irpef italiano dal 1976 è basato sul reddito individuale.
Altri Paesi utilizzano correttivi finalizzati a considerare in modo più compiuto il nucleo familiare (come lo splitting – utilizzato in Germania, Irlanda e USA – o il quoziente familiare, utilizzato in Francia).
La risoluzione del Parlamento europeo sull’uguaglianza di genere e politiche fiscali del 15 gennaio 2019 chiarisce che la tassazione individuale sia da preferire a qualsiasi alternativa su base familiare, a causa della sua caratteristica di neutralità nei confronti dell’offerta di lavoro del secondo percettore di reddito. Nell’adottare tale risoluzione, quindi, il Parlamento europeo incentiva gli Stati membri che non hanno questo sistema ad un passaggio graduale.
È prevista unano tax area derivante dall’applicazione delle diverse detrazioni per lavoro dipendente o pensione o da lavoro autonomo, che sono decrescenti al crescere del reddito.
La no tax area varia a seconda delle diverse categorie di contribuenti: è pari a circa 8.145 euro per i lavoratori dipendenti, a circa 8.130 per i pensionati, a 4.800 per i lavoratori autonomi. Tenendo conto anche delle detrazioni per familiari a carico, la no tax area per una famiglia monoreddito formata da due genitori e due figli è di circa 16.340 euro. L’azzeramento dell’Irpef porta con sé quello delle relative addizionali regionale e comunale.
Nell'ottica di agevolare i redditi che vedono prevalente la componente lavorativa al loro interno, il legislatore ha cercato di attenuare l'impatto della tassazione attraverso la previsione di una detrazione Irpef da applicarsi in maniera progressiva, fino a certe soglie, al reddito derivante da lavoro autonomo, dipendente o da pensione (la detrazione pertanto non si applica agli altri redditi sottoposti a Irpef indicati all’articolo 6 del TUIR: fondiari, dei fabbricati e dei terreni, di capitale, di impresa, redditi diversi).
Circa l’assimilazione del reddito da pensione a quello di lavoro dipendente si ricorda che l’articolo 49 del TUIR stabilisce che sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro. Costituiscono, altresì, redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati.
La disciplina delle due fattispecie (lavoro autonomo e dipendente) si differenzia, tuttavia, per le modalità del calcolo della detrazione, nonché per le soglie dei limiti di reddito che danno diritto all’esonero dalla presentazione della dichiarazione (no tax area).
1) Le detrazioni Irpef per lavoro autonomo sono riconosciute ad alcuni soggetti che svolgono attività di lavoro non dipendente. Si tratta di professionisti, imprese minori, titolari di partita Iva e tutti i soggetti che svolgono lavoro autonomo, sia di carattere continuativo, sia occasionale nonché alcune tipologie di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Le regole per il calcolo dell’importo riconosciuto ai titolari di partita Iva sono contenute al comma 5, articolo 13 del TUIR.
L’importo delle detrazioni Irpef sui redditi da lavoro autonomo, fino alla fine del 2021, era così stabilito:
§ detrazione di 1.104 euro, se il reddito complessivo non superava 4.800 euro;
§ detrazione di 1.104 euro, se il reddito complessivo era superiore a 4.800 euro ma non a 55.000 euro. In questo caso la detrazione spettava per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 50.200 euro.
La legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 2 lettera b), n. 5 della legge n. 234 del 2021) ha rimodulato tale detrazione, disciplinata dall’articolo 13 del TUIR, fissandola nelle seguenti misure:
§ 1.265 euro, se il reddito complessivo non supera 5.500 euro;
§ 500 euro, aumentata del prodotto fra 765 euro e l’importo corrispondente al rapporto fra 28.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 22.500 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 5.500 euro ma non a 28.000 euro;
§ fino a 500 euro, se il reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 50.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 50.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 22.000 euro.
Si prevede un aumento della detrazione di un importo pari a 50 euro, se il reddito complessivo è superiore a 11.000 euro ma non a 17.000 euro.
Rispetto al regime previgente quindi:
§ è stata aumentata da 1.104 euro a 1.265 euro la detrazione per la prima soglia di reddito, elevata da 4.800 euro a 5.500 euro;
§ è stata introdotta una ulteriore soglia di reddito (superiore a 5.500 euro e fino a 28.000 euro) con una specifica detrazione (vedi sopra). Tale detrazione è pari a 500 euro, aumentata di una somma pari a 765 euro per un reddito pari 5.500 euro, che decresce al crescere del reddito fino ad azzerarsi alla soglia dei 28.000 euro;
§ è statA rimodulata conseguentemente l’ultima soglia di reddito, ora compresa tra i 28.000 euro e 50.000 euro. Per tale ultima soglia, la detrazione è rimodulata; essa spetta nell’importo massimo di 500 euro per un reddito pari a 28.000 euro, riducendosi progressivamente fino ad annullarsi raggiunti i 50.000 euro;
§ analogamente a quanto previsto per le altre tipologie di reddito, si prevede un aumento della detrazione di un importo pari a 50 euro per la fascia di reddito superiore a 11.000 euro ma non a 17.000 euro.
Il calcolo dell’importo spettante è quindi essere effettuato in base al reddito percepito nell’anno di riferimento, dato dalla differenza tra ricavi e costi in base a quanto dichiarato nel modello Unico PF. In merito alle prestazioni di lavoro occasionale, le ritenute d’acconto dell’Irpef vanno considerate nel calcolo dell’Irpef dovuta in sede di presentazione dei redditi. Pertanto, presentando il modello Unico PF, il lavoratore che ha effettuato prestazioni occasionali fino a 4.800 euro potrà richiedere le ritenute d’acconto indietro portandole a credito Irpef.
La detrazione Irpef per lavoro autonomo è riconosciuta in misura piena per i redditi non superiori a 5.500 euro con relativo esonero dalla presentazione della dichiarazione perché in tal caso l’importo riconosciuto copre completamente l’ammontare dell’Irpef dovuta nell’anno. L’aliquota Irpef fino a 15.000 euro è rimasta infatti del 23%, quindi l’imposta lorda calcolata sarebbe appunto pari a 1.104 euro, completamente azzerata dalla detrazione.
2) Come anticipato, anche i lavoratori dipendenti hanno diritto di ricevere particolari detrazioni fiscali legate alla produzione di reddito da lavoro dipendente o assimilato che possono fruire al fine di abbattere la propria tassazione Irpef.
Le detrazioni da lavoro dipendente o assimilati sono disciplinate dall’articolo 13, comma 1, lettere a), b) e c) del TUIR, anch’esso profondamente modificato dalla legge di bilancio 2022.
Si ricorda che per redditi da lavoro assimilati rilevanti ai fini del riconoscimento della detrazione (articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l) del TUIR) si intendono:
a) i compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca;
b) le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato;
c) le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante;
c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell'attività di lavoro dipendente, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell'oggetto dell'arte o professione concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente;
d) le remunerazioni dei sacerdoti;
h-bis) le prestazioni pensionistiche da previdenza complementare;
l) i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative.
La normativa previgente disponeva che, se alla formazione del reddito complessivo concorrevano uno o più redditi da lavoro dipendente o assimilati a quelli di lavoro dipendente, spettasse una detrazione dall'imposta lorda, rapportata al periodo di lavoro nell'anno, pari a:
a) 1.880 euro, se il reddito complessivo non superava 8.000 euro con relativo esonero dalla presentazione della dichiarazione (l'ammontare della detrazione spettante non può essere inferiore a 690 euro e, per i rapporti di lavoro a tempo determinato, l'ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 1.380 euro);
b) 978 euro, aumentata del prodotto tra 902 euro e l'importo corrispondente al rapporto tra 28.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 20.000 euro, se l'ammontare del reddito complessivo era superiore a 8.000 euro ma non a 28.000 euro;
c) 978 euro, se il reddito complessivo era superiore a 28.000 euro ma non a 55.000 euro; la detrazione spettava per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 27.000 euro.
La legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 2 lettera b) n. 1 della legge n. 234 del 2021), come anticipato, ha rimodulato la detrazione per redditi da lavoro dipendente e assimilati, novellando il comma 1, lettere a), b) e c) dell’articolo 13 del TUIR
Con le modifiche in commento, la detrazione suddetta ammonta a:
1) 1.880 euro, se il reddito complessivo non supera 15.000 euro, precisando che l’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro e che, per i rapporti di lavoro a tempo determinato, non può essere inferiore a 1.380 euro;
2) 1.910 euro, aumentata del prodotto tra 1.190 euro e l’importo corrispondente al rapporto tra 28.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 13.000 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 28.000 euro;
3) fino a 1.910 euro, se il reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 50.000 euro; la detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 50.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 22.000 euro.
Si prevede, aggiungendo un comma 2 all’articolo 13 del TUIR, un aumento della detrazione pari a 65 euro per i redditi superiori a 25.000 euro ed inferiori a 35.000 euro.
Rispetto al regime precedentemente vigente, quindi:
§ viene ampliata la prima soglia di reddito cui si applica la detrazione, da 8.000 a 15.000 euro. Per tali redditi rimane ferma la misura di 1.880 euro della detrazione;
§ con riferimento alla seconda soglia di reddito, che passa da 15.000 a 28.000 euro, la misura della detrazione base passa da 978 a 1.910 euro. Viene conseguentemente modificata la modalità di calcolo della quota ulteriore della predetta detrazione, stabilendo:
o l’aumento del valore iniziale da 902 a 1.190 euro;
o l’adeguamento dei valori utilizzati nel prodotto, ai fini della determinazione della quota aggiuntiva di detrazione. Pertanto tale quota ulteriore è pari a 1.190 euro per un reddito pari a 15.000 euro e decresce, all’aumentare del reddito, fino ad annullarsi raggiunti i 28.000 euro;
§ la terza e ultima soglia di reddito per cui spetta la detrazione è ridotta da 55.000 a 50.000 euro. La detrazione base, per tali redditi, passa da 978 a 1.910 euro. Essa ammonta a 1.910 euro per redditi pari a 28.000 euro e decresce fino ad annullarsi alla soglia dei 50.000 euro;
§ si prevede un aumento di 65 euro della detrazione applicabile, specificamente, alla fascia di reddito tra 25.000 e 35.000 euro.
L’ammontare della detrazione per redditi da lavoro dipendente, spettante ai lavoratori ogni mese in busta paga, viene calcolato in rapporto ai giorni di detrazioni spettanti nel mese (compreso sabato e domenica). Per il calcolo della detrazione per lavoro dipendente in busta paga, occorre distinguere il calcolo effettuato in via presuntiva dal datore di lavoro sostituto d’imposta nelle buste paga da gennaio a novembre, rispetto al calcolo effettuato dal datore di lavoro nel mese di dicembre e in occasione del conguaglio fiscale di fine anno, che è calcolato sul reddito da lavoro dipendente definitivo.
Per i redditi da pensione la detrazione è disciplinata dall’articolo 13, comma 3 lettere a), b) e c) del TUIR.
Anch’essa è stata ridefinita dalla manovra 2022.
Nel regime previgente essa era pari a:
a) 1.880 euro, se il reddito complessivo non supera 8.000 euro (l’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 713 euro);
b) 1.297 euro, aumentata del prodotto fra 583 euro e l'importo corrispondente al rapporto fra 15.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 8.000 euro ma non a 15.000 euro;
c) 1.297 euro, se il reddito complessivo è superiore a 15.000 euro ma non a 55.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 55.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 40.000 euro.
L’articolo 1, comma 2, lettera b) n. 3 della menzionata legge di bilancio 2022 rimodula la detrazione per redditi da pensione, novellando il comma 3, lettere a), b) e c) dell’articolo 13 del TUIR, fissandola in:
1) 1.955 euro, se il reddito complessivo non supera 8.500 euro. L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 713 euro;
2) 700 euro, aumentata del prodotto fra 1.255 euro e l’importo corrispondente al rapporto fra 28.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 19.500 euro, se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a 8.500 euro ma non a 28.000 euro;
3) fino a 700 euro, se il reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 50.000 euro. La detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 50.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 22.000 euro.
Aggiungendo un comma 3-bis all’articolo 13 TUIR, si prevede un aumento della detrazione pari a 50 euro per i redditi superiori a 25.000 euro ed inferiori a 29.000 euro.
Rispetto al regime precedentemente vigente, quindi:
§ con riferimento la prima soglia di reddito per cui spetta la detrazione, essa è elevata da 8.000 a 8500 euro. Per tale soglia, la detrazione viene innalzata da 1.880 a 1995 euro, con una misura minima di detrazione che passa 690 a 713 euro;
§ per quanto concerne la seconda soglia di reddito individuata ex lege, essa viene portata da 15.000 a 28.000 euro. Per tale soglia, si riduce da 1.297 a 700 euro la detrazione base. Si apportano modifiche al calcolo della quota ulteriore della detrazione, stabilendo: a) l’aumento del valore iniziale da 583 euro a 1.255 euro; b) l’adeguamento dei valori utilizzati nel prodotto ai fini della determinazione della quota aggiuntiva di detrazione. Pertanto tale quota ulteriore è pari a 1.255 euro per un reddito pari a 8.500 euro e decresce, all’aumentare del reddito, fino ad annullarsi una volta raggiunti i 28.000 euro;
§ la terza e ultima soglia, oltre la quale non spetta la detrazione, viene abbassata da 55.000 a 50.000 euro. Con riferimento a tale terza soglia, la base di calcolo della detrazione d’imposta per i redditi superiori a 28.000 euro e fino a 50.000 euro si abbassa da 1.297 a 700 euro. La detrazione è pari a 700 euro per redditi pari a 28.000 euro e decresce fino ad annullarsi alla soglia dei 50.000 euro;
§ si prevede uno specifico an aumento della detrazione, pari a 50 euro, nella fascia di reddito compresa tra 25.000 e 29.000 euro.
Infine, si ricorda che se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi derivanti dagli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria (articolo 10, comma 1, lettera c)), spetta una detrazione dall'imposta lorda, non cumulabile, in misura pari a quelle di cui al sopra citato comma 3, non rapportate ad alcun periodo nell'anno (articolo 13, comma 5-bis).
Il quadro attuale contempla la possibilità per le regioni e i comuni di applicare addizionali alla base imponibile dell’Irpef, scegliendo tra l’applicazione di un’aliquota proporzionale e l’utilizzo degli stessi scaglioni dell’imposta erariale.
L’articolo 7 del ddl di riforma fiscale (A.C. 3343) delega il Governo, nella riforma della fiscalità locale, sia nella sua componente personale, sia nella componente immobiliare, ad attuare una revisione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef, da sostituire con altrettante sovraimposte (dunque applicabili al debito d’imposta e non, come nell’attuale sistema, alla base imponibile del tributo erariale).
Il legislatore degli ultimi anni è intervenuto sulla disciplina dell’Irpef -soprattutto a seguito delle istanze provenienti dalle istituzioni europee- principalmente per ridurre il cd. cuneo fiscale (imposizione fiscale e contributiva sul lavoro) e rilanciare i consumi. Parallelamente, gli interventi sull’Irpef hanno perseguito finalità ulteriori, quali il riordino delle agevolazioni, l’incentivazione dei pagamenti tracciabili e il rilancio di specifici settori economici. A tale scopo il legislatore si è concentrato sul sistema di deduzioni e detrazioni sopra menzionate, lasciando immutate sia la struttura, sia i presupposti generali dell’imposta.
Come ha più volte rilevato l’Ocse, in Italia il prelievo sul lavoro è tra i più elevati in Europa: l’aliquota implicita di tassazione sul lavoro, che include anche i contributi sociali versati dal datore e dal lavoratore, è stata pari nel 2018 al 42,7 per cento (la terza più alta), a fronte di una media del 38,6 per cento per l’area dell’euro. Negli ultimi anni hanno concorso alla riduzione del prelievo sul lavoro il bonus Irpef (introdotto nel 2014 e potenziato nel 2019), l’aumento delle detrazioni per lavoro dipendente (nel 2019), l’esclusione del costo del lavoro a tempo indeterminato dall’Irap (dal 2015) e le agevolazioni contributive.
La legge di bilancio 2020 ha costituito un Fondo per la riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti, con una dotazione di 3 miliardi di euro per l'anno 2020 e 5 miliardi a decorrere dal 2021; con il decreto-legge n. 3 del 2020 sono state concretamente attuate le predette misure di riduzione del cuneo fiscale. Dal 1° luglio 2020 è riconosciuta una somma a titolo di trattamento integrativo ai percettori di reddito di lavoro dipendente e di taluni redditi assimilati, a specifiche condizioni (imposta lorda superiore all'ammontare della detrazione spettante per lavoro dipendente). In sostanza, è stata innalzata da 80 a 100 euro la misura mensile del bonus in busta paga previsto per tali categorie di contribuenti (introdotta dal decreto-legge n. 66 del 2014, contestualmente abrogato); è anche elevato il limite di reddito che dà diritto all’agevolazione in misura piena (da 24.600 euro si passa a 28.000 euro).
Il decreto-legge n. 3 del 2020 ha poi riconosciuto una ulteriore misura di sostegno al reddito, sotto forma di detrazione dall’imposta lorda, per i titolari di reddito complessivo compreso tra 28.000 e 40.000 euro, inizialmente a carattere temporaneo (semestre 1° luglio -31 dicembre 2020), in vista di una revisione strutturale del sistema delle detrazioni. La legge di bilancio 2021 ha stabilizzato la suindicata detrazione, precisando che per le prestazioni rese a decorrere dal 1° gennaio 2021 l'agevolazione spetta per importi raddoppiati rispetto a quelli previsti nel solo secondo semestre 2020, pari a:
§ 960 euro, aumentati del prodotto tra 240 euro e l'importo corrispondente al rapporto tra 35.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e 7.000 euro, se l'ammontare del reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 35.000 euro;
§ 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 35.000 euro ma non a 40.000 euro; la detrazione spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 40.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 5.000 euro.
Tale trattamento integrativo è stato oggetto di modifiche da parte della menzionata legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 3 della legge n. 234 del 2021) che in linea generale dispone la riduzione da 28.000 euro a 15.000 euro il reddito complessivo oltre il quale non è più dovuto il bonus (pari a 1.200 euro in ragione annua a decorrere dal 2021, mentre è stato pari a 600 euro per l’anno 2020).
Dall’altro lato, la norma riconosce comunque il trattamento integrativo, se il reddito complessivo è compreso tra 15.000 e 28.000 euro, ma in presenza di una specifica condizione: la somma di un insieme di detrazioni individuate dalla norma medesima (per carichi di famiglia, per redditi da lavoro dipendente, assimilati e da pensione, per mutui agrari e immobiliari per acquisto della prima casa limitatamente agli oneri sostenuti in dipendenza di prestiti o mutui contratti fino al 31 dicembre 2021, per erogazioni liberali, per spese sanitarie nei limiti previsti dall’articolo 15 del TUIR, per le rate per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici e da altre disposizioni normative, per spese sostenute fino al 31 dicembre 2021) deve essere di ammontare superiore all’imposta lorda.
In tal caso, il trattamento integrativo è riconosciuto per un ammontare, comunque non superiore a 1.200 euro, determinato in misura pari alla differenza tra la somma delle detrazioni ivi elencate e l’imposta lorda.
È stato poi abrogato l’articolo 2 del medesimo decreto-legge n. 3 del 2020, che – come visto supra - prevedeva un’ulteriore detrazione fiscale per redditi di lavoro dipendente e assimilati, in considerazione delle modifiche alle detrazioni per tipologie di reddito (v. supra) apportate dalla medesima legge di bilancio 2022.
Si segnala che l’Ufficio parlamentare di bilancio ha osservato in proposito come l’intervento previsto renda ancora più complessa una riforma organica e strutturale dell’Irpef. Considerato isolatamente esso accentua le disparità di trattamento fiscale tra soggetti con fonti di reddito e con caratteristiche familiari diverse e inasprisce l’irregolarità delle aliquote marginali, in parte controbilanciate dall’introduzione dell’ulteriore detrazione per il 2020 (resa strutturale dalla legge di bilancio). Tali considerazioni sono condivise anche dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali e dall’Ordine nazionale dei commercialisti, che sottolineano la necessità di intervenire con analoghi interventi sui lavoratori autonomi, il cui tax rate (contributi previdenziali a carico del lavoratore, Irpef e relative addizionali) al momento appare significativamente più elevato.
Fonte. Ordine nazionale dei commercialisti
Sotto un diverso profilo, nel corso degli ultimi anni si sono succedute diverse misure volte ad attrarre risorse umane in Italia, prevedendo agevolazioni condizionate al trasferimento della residenza: si segnala qui il regime speciale per lavoratori impatriati (D.Lgs. n. 147 del 2015, più volte modificato nel tempo), che ha previsto sostanziali riduzioni Irpef per i lavoratori che, non essendo stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti, trasferiscano la residenza nel territorio dello Stato. Tale regime è stato rafforzato dalla legge di bilancio 2021 che, al comma 50, consente di usufruire dell’allungamento temporale del regime fiscale agevolato anche ai soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia prima dell'anno 2020; la legge di bilancio 2022, dall’altro lato, ha ampliato l'operatività della disciplina delle agevolazioni fiscali per il rientro in Italia di docenti e ricercatori (articolo 1, comma 763 della legge n. 234 del 2021).
Il tema delle spese fiscali (c.d. tax expenditures) è al centro del dibattito ormai da diversi anni. Il fabbisogno informativo a esso associato ha trovato risposta grazie alla procedura di monitoraggio delle spese fiscali ridisegnata dal D.Lgs. n. 160 del 2015 che prevede due strumenti con caratteristiche ben distinte.
Da un lato il rapporto annuale sulle spese fiscali, affidato ad una Commissione sulle tax expenditures e allegato allo stato di previsione dell'entrata della legge di bilancio, elenca qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore, derivante da disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'anno precedente e nei primi sei mesi dell'anno in corso.
Dall'altro lato il rapporto programmatico, allegato alla Nota di aggiornamento del DEF, indica gli interventi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali in tutto o in parte ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che si sovrappongono a programmi di spesa aventi le stesse finalità, da attuare con la manovra di finanza pubblica.
Con riferimento alla definizione di spese fiscali adottata dalla Commissione, quest'ultima rammenta come nel paragrafo 2 del precedente Rapporto erano state affrontate e discusse le possibili opzioni e le ragioni teoriche e di metodo che hanno portato la Commissione a scegliere all’unanimità l’approccio del benchmark legale. In termini operativi viene stabilito se una disposizione di natura agevolativa rappresenti una caratteristica strutturale del tributo, oppure rappresenti una deviazione dalla norma, in quest'ultimo caso la disposizione viene ritenuta una spesa fiscale. La Commissione sottolinea in proposito alcune delle principali implicazioni di questa scelta metodologica per i tre maggiori tributi considerati.
Nel campo dell’Irpef non sono state qualificate come spese fiscali: le detrazioni per spese di produzione del reddito (reddito da lavoro dipendente, pensioni e redditi assimilati) né quelle per familiari a carico, in linea peraltro con le pratiche di alcuni altri paesi; le imposte sostitutive sui redditi da capitale; il regime di tassazione separata per le fattispecie reddituali indicate dall’art. 17 del TUIR. Nel campo dell’Ires non si sono considerate spese fiscali le disposizioni sull’ACE né, tantomeno, quelle sulla participation exemption, che rappresentano chiaramente una scelta di carattere strutturale e sistemico. Nel campo dell’Iva non si sono considerate spese fiscali le aliquote ridotte, anche esse riconducibili ad una scelta di natura strutturale. Nel campo previdenziale, si è deciso di non considerare spesa fiscale la deduzione dei contributi obbligatori, per la loro natura strutturale.
Per maggiori informazioni sul rapporto allegato alla NADEF 2021 si veda il relativo dossier.
In proposito si segnala che in base ai dati consultabili sul sito del MEF-dipartimento finanze nella sezione Analisi statistiche - Dichiarazioni 2020 - Anno d'imposta 2019, il reddito complessivo dichiarato ammonta a oltre 884 miliardi di euro (+4,5 miliardi rispetto all’anno precedente, +0,5%) per un valore medio di 21.800 euro, in crescita dello 0,6% rispetto al reddito complessivo medio dichiarato l’anno precedente.
I valori negativi di reddito complessivo derivano da agevolazioni attribuite dall’ordinamento alle corrispondenti categorie di contribuenti.
Il Dipartimento Finanze del MEF ha reso nota l’adozione, dal 2018, del criterio di prevalenza, che considera anche i redditi soggetti a tassazione sostitutiva dei contribuenti in regime forfetario e di vantaggio. L’84,2% dei circa 41,5 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 6,4% del totale ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, compreso anche quello in regime forfetario e di vantaggio. La percentuale di coloro che detengono in prevalenza reddito da fabbricati è pari al 3,9%.
In tale ambito, le detrazioni (dati elaborati sulla base delle statistiche sulle dichiarazioni fiscali 2020) ammontano complessivamente a circa 70 miliardi di euro e sono composte prevalentemente da: detrazioni per redditi da lavoro dipendente e pensione (60%), carichi di famiglia (17,0%), oneri detraibili al 19% (8,8%), spese per recupero edilizio (10,5%) e spese per il risparmio energetico (2,6%). Il confronto con l’anno precedente evidenzia incrementi per le seguenti detrazioni:
§ oneri detraibili al 19% (+2,0%);
§ spese di recupero edilizio (+9,9%);
§ spese per risparmio energetico (+9,9%); · spese per arredo di immobili ristrutturati (+16,6%).
Dal 2019 è stata introdotta la detrazione riservata al personale delle Forze di polizia e delle Forze armate titolare di reddito complessivo di lavoro dipendente non superiore a 28.000 euro; la riduzione dell’imposta Irpef viene decisa annualmente con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Pe il 2019 la detrazione è dei 507 euro ed è stata utilizzata da oltre 41.700 soggetti per un ammontare di oltre 20,6 milioni di euro.
Tra gli oneri detraibili al 19% (per un ammontare di circa 32,0 miliardi di euro) dove si rileva un incremento del 2,0% rispetto al 2018.
Si registra in particolare l’incremento delle spese sanitarie (+3,5%) e spese per corsi di istruzione (+4,7%). Si riscontra un raddoppio dell’ammontare dei premi assicurativi per eventi calamitosi, utilizzato da oltre 185.500 soggetti per un ammontare di spesa di 25,9 milioni di euro, a seguito di eventi alluvionali che hanno interessato l’anno 2019.
Fonte: MEF - Statistiche sulle dichiarazioni fiscali - Analisi dei dati Irpef anno d’imposta 2019 (dichiarazioni 2020)
Secondo quanto emerge dall’ultimo Rapporto annuale sulle spese fiscali (allegato alla legge di bilancio 2021), per l'anno 2021 le 602 tipologie di spese fiscali censite (tavola 7) - per oltre 119,6 milioni di agevolazioni erogate - ammontano complessivamente a 68 miliardi di euro (con un aumento di 5,6 miliardi di euro rispetto al Rapporto 2020).
Nel 2021 la maggior parte delle spese fiscali incide sull'Irpef per 39,3 miliardi di euro, pari al 57,8% (rispetto ai 43 miliardi di euro del 2020, pari al 68,9%), sui crediti di imposta per 6,5 miliardi, pari al 9,6%, nonché sulle imposte di registro, di bollo e ipocastatali per 6,2 miliardi di euro, pari al 9,2%.
Secondo l’analisi dei dati delle dichiarazioni Irpef, nel 2019 le deduzioni ammontano a oltre 34,7 miliardi di euro (-2,7% rispetto al 2018) e si suddividono tra la deduzione per abitazione principale (circa 9,1 miliardi di euro) e gli oneri deducibili (25,7 miliardi di euro).
Rispetto al 2018 gli oneri deducibili mostrano un decremento del 3,9%, imputabile prevalentemente ai contributi previdenziali e assistenziali (-6,4%).
Dal 2018 tra gli oneri deducibili sono previste anche le erogazioni liberali a favore di Onlus, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, per le quali, in base al nuovo codice del Terzo Settore, è prevista la possibilità di scegliere tra deduzione e detrazione. La deduzione è prevista nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato ed è stata utilizzata da oltre 376.000 soggetti per un ammontare di 159,3 milioni di euro. Invece i soggetti che hanno optato per la detrazione del 30% (nel caso di erogazioni ad Onlus ed associazioni di promozione sociale), fino ad un importo massimo di 30.000 euro, sono oltre 233.000 per un ammontare di 88,4 milioni di euro, mentre coloro che hanno optato per la detrazione del 35% (nel caso di erogazioni ad organizzazioni di volontariato) sono oltre 29.200 soggetti per un ammontare di 12,7 milioni di euro.
Fonte: MEF - Statistiche sulle dichiarazioni fiscali - Analisi dei dati Irpef anno d’imposta 2019 (dichiarazioni 2020)
Accanto al sistema generale dell’Irpef come appena delineato, esistono in Italia alcune ipotesi di tassazione proporzionale (cd. flat tax nel dibattito politico: letteralmente “tassa piatta” calcolata come percentuale costante) che consiste nell’imposizione fiscale non progressiva, basata su una aliquota fissa, al netto di eventuali deduzioni fiscali o detrazioni. Tale modalità di tassazione si applica ad alcuni redditi da lavoro, di impresa e, in linea generale, ai redditi di capitale.
La prima teorizzazione di questo sistema fiscale è generalmente attribuita all’economista Milton Friedman che nel 1956 ne descrisse il funzionamento durante una conferenza al Claremont College dedicata alla distribuzione del reddito (The Distribution of Income). Successivamente nel 1962 tale modello fu definito in dettaglio nel libro Capitalismo e Libertà. Nel testo l’economista affermava che la struttura dell'imposta sul reddito delle persone fisiche migliore sarebbe un'imposta ad aliquota unica (flat tax) applicata a qualsiasi reddito superiore a una somma esentata da imposta, definendo il reddito in termini assai ampi e permettendo esclusivamente la detrazione delle spese, rigorosamente definite, incorse al fine di guadagnare il reddito stesso. Lo studioso individuò per gli Stati Uniti un’aliquota unica ottimale al 23,5% sull'imponibile complessivo.
In Italia esistono alcune tipologie di tassa piatta, che verranno esposte in seguito.
Come già detto con riferimento alla struttura dell’Irpef, l’articolo 2 del DDL di revisione del sistema fiscale (A.C. 3343) prevede la progressiva e tendenziale evoluzione del sistema verso un modello duale, ovvero che preveda la sottoposizione di alcuni redditi a imposizione proporzionale, mentre la restante parte verrebbe assoggettata a imposta progressiva. In particolare l’applicazione di una aliquota proporzionale riguarderebbe i redditi derivanti dall’impiego del capitale e i redditi direttamente derivanti dall’impiego del capitale nelle attività di impresa e di lavoro autonomo, condotte da soggetti diversi da quelli a cui si applica l’imposta sul reddito delle società - Ires. Alle restanti tipologie di reddito verrebbe invece applicata la tassazione progressiva (Irpef).
La disciplina del regime forfetario è riservata alle persone fisiche titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 65mila euro e hanno sostenuto spese per un importo complessivo non superiore a 20.000 euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori.
La disciplina fondamentale è contenuta nella legge di stabilità 2015 e ha subito modifiche, da ultimo, per effetto della legge di bilancio 2020. In estrema sintesi, l’accesso a tale regime comporta i seguenti sconti fiscali:
§ determinazione agevolata del reddito imponibile mediante l’applicazione, ai ricavi conseguiti o compensi percepiti, di un coefficiente di redditività stabilito ex lege, con deduzione dei contributi previdenziali obbligatori, compresi quelli corrisposti per conto dei collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico;
§ applicazione al reddito imponibile di un’unica imposta, nella misura del 15%, sostitutiva di quelle ordinariamente previste (imposte sui redditi, addizionali regionale e comunale, Irap); l’imposta sostitutiva è ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività in presenza di determinati requisiti di legge.
I dati generali sulle persone fisiche titolari di partita Iva sono consultabili nello studio Analisi dati Irpef 2019, mentre per una panoramica statistica sui dati rilevati nel 2020 (in merito alle nuove aperture nell’anno 2020 suddivisi anche per settore produttivo) si rinvia alla consultazione della scheda dell'Osservatorio sulle partite Iva del MEF-Dipartimento finanze. In sintesi, qui, si segnala che nel corso del 2020 sono state aperte circa 464.700 nuove partite Iva ed in confronto all'anno precedente si è registrata una consistente diminuzione (-14,8%), effetto dell'emergenza sanitaria in corso. La distribuzione per natura giuridica mostra che il 72,2% delle partite Iva è stato aperto da persone fisiche, il 21% da società di capitali e solo il 3,4% da società di persone. Rispetto al 2019 la flessione di avviamenti è generalizzata: dalle società di persone (-19,5%), alle società di capitali (-16,3%) fino alle persone fisiche (-15,7%). Si nota, inoltre, il forte aumento di partite Iva avviate da soggetti non residenti (+42,9%), connesso alla crescita del settore delle vendite on-line che presentava trend in aumento anche nel 2019. Riguardo alla ripartizione territoriale, circa il 44% delle nuove aperture è localizzato al Nord, il 21,4% al Centro e il 34,1% al Sud e Isole.
Si ricorda in questa sede che la legge di bilancio 2019 aveva previsto l’introduzione di una imposta sostitutiva al 20 per cento (cd. flat tax) che si sarebbe dovuta applicare alle persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni ove avessero conseguito, nel periodo d'imposta precedente, ricavi o compensi fino a 100.000 euro.
La legge di bilancio 2020 ha abrogato tale imposta sostitutiva al 20 per cento. Ha inoltre reintrodotto, come condizione per l'accesso al regime forfettario al 15%, il limite delle spese sostenute per il personale e per il lavoro accessorio, nonché l'esclusione per i redditi di lavoro dipendente eccedenti l'importo di 30.000 euro. Ha inoltre fissato un sistema di premialità per incentivare l'utilizzo della fatturazione elettronica.
In linea generale, anche l'imposta sul reddito delle società (Ires) è assimilabile ad una tassa piatta, in quanto determinata mediante l’applicazione di un’aliquota unica, la cui entità, variata nel corso degli anni, è attualmente fissata al 24% (comma 61, legge 28 dicembre 2015, n. 208- legge di stabilità 2016). Per un’analisi più dettagliata di tale imposta si rinvia al relativo paragrafo.
Si ricorda inoltre che, al fine di incoraggiare l'emersione di base imponibile il legislatore ha progressivamente ampliato l’operatività della cd. cedolare secca sui redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, che consente di optare per un'imposta sostitutiva ad aliquota unica (flat), in luogo delle ordinarie regole Irpef (con scaglioni e aliquote differenziate).
Il regime agevolato consente di applicare ai redditi derivanti da locazione (ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) un'imposta sostitutiva del 21%, ovvero ad aliquota minore, in presenza di alcune condizioni di legge. Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento (per esempio, usufrutto), che locano l’immobile al di fuori dell’attività di impresa o di arti e professioni. L’opzione può essere esercitata per unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10, uffici o studi privati) locate a uso abitativo e per le relative pertinenze.
Il decreto-legge n. 50 del 2017 ha consentito di optare per la cedolare secca al 21 per cento anche per i redditi derivanti dalle cd. locazioni brevi, ovvero contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, purché stipulati da persone fisiche al di fuori dell'esercizio d'impresa, direttamente o in presenza di intermediari e anche online. Il provvedimento ha introdotto puntuali obblighi informativi a carico degli intermediari; se tali soggetti intervengono anche nella fase del pagamento dei canoni di locazione, sono tenuti ad applicare una ritenuta del 21 per cento all'atto dell'accredito, a titolo di acconto o d'imposta a seconda che sia stata effettuata o meno l'opzione per la cedolare secca. La legge di bilancio 2021 ha limitato la cd. cedolare secca al 21 per cento sulle locazioni brevi al caso di destinazione di non più di quattro appartamenti per periodo d'imposta, presumendosi altrimenti l'esercizio di impresa a fini fiscali.
In via temporanea, la legge di bilancio 2019 ha consentito di utilizzare la cedolare secca per i contratti di locazione di locali commerciali stipulati solo nell'anno 2019, purché tali immobili siano classificati nella categoria catastale C/1 e abbiano determinati limiti di superficie (fino a 600 mq).
La legge di bilancio 2020 ha ridotto dal 15 al 10 per cento, a regime, l'aliquota della cedolare secca sui canoni dei contratti di locazione di immobili ad uso abitativo a canone concordato, nei comuni ad alta densità abitativa. Il decreto legge n. 162 del 2019 (proroga termini) ha esteso tale riduzione ai comuni per i quali sia stato deliberato lo stato di emergenza a seguito del verificarsi di eventi calamitosi, inclusi i comuni colpiti dagli eventi sismici del Centro Italia.
Sono assoggettate a Irpef anche le cd. rendite finanziarie, che nella disciplina del TUIR sono riconducibili alle due categorie dei redditi di capitale (ovvero che derivano dall’investimento in capitali: dividendi, interessi e altri proventi analoghi) e dei redditi diversi (plusvalenze e minusvalenze derivanti da transazioni su azioni, su titoli rappresentativi di capitale d’impresa e altri prodotti).
Queste due categorie reddituali sono autonome e distinte e non possono formare oggetto di compensazione tra di loro. In particolare, tale distinzione ha comportato effetti distorsivi, dovuti essenzialmente al divieto di compensare i redditi di capitale con le minusvalenze o le perdite conseguite, così come comportamenti elusivi, finalizzati essenzialmente a riclassificare i redditi nell'una o nell'altra categoria a seconda della convenienza fiscale.
L’articolo 2 del DDL di riforma fiscale si prefigge, tra l’altro (lettera d) del comma 1), di armonizzare i regimi di tassazione del risparmio, tenendo conto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione dell’imposta.
Si rinvia al dossier per ulteriori approfondimenti.
In linea generale, l’aliquota dell’imposizione su tali redditi è proporzionale (flat) ed è pari al 26% (misura così stabilita, da ultimo, dal decreto-legge n. 66 del 2014). Secondo il tipo di reddito oggetto di imposizione, si applica la ritenuta a titolo di imposta o l’imposta sostitutiva.
Più in dettaglio i redditi da capitale (interessi e dividendi) sono tassati per cassa, al lordo delle spese e sottoposti all’aliquota sostitutiva del 26%, tranne i proventi derivanti da:
§ titoli di Stato, risparmio postale e interessi dei project bond (12,5%);
§ PIR (esenti, se mantenuti per 5 anni);
§ partecipazione qualificata detenuta da un titolare di reddito di impresa;
§ partecipazione a Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio, se la quota di partecipazione è superiore al 5% (tassati in Irpef).
La tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria per i soggetti che non svolgono attività d’impresa, le persone fisiche, le società semplici e soggetti equiparati, gli enti non commerciali prevede tre regimi: il regime della dichiarazione, quello del risparmio amministrato e quello del risparmio gestito. La differenza tra i tre regimi si sostanzia negli adempimenti posti a carico dell’investitore o del gestore, nel momento in cui viene applicata la tassazione (maturato o realizzato) nonché nel trattamento fiscale di profitti e perdite (con particolare riferimento alla loro compensabilità). I redditi diversi sono tassati per cassa nei regimi di risparmio amministrato e di risparmio dichiarativo, mentre sono tassati per competenza nel caso del risparmio gestito. Con riferimento alla tassazione dei fondi comuni di investimento, con il decreto legge n. 225 del 2010 è stato effettuato il passaggio da un sistema di tassazione per maturazione in capo al fondo a un sistema di tassazione per cassa in capo agli investitori.
Uno specifico trattamento viene riservato ai proventi derivanti da cd. paesi black list (con cui non vi è adeguato scambio di informazioni fiscali), che possono essere sottoposti a imposizione con l’aliquota Irpef ordinaria, ovvero ad aliquota flat nei casi previsti dalla legge (qualora la scarsa trasparenza venga superata da alcune circostanza di fatto, ad esempio se i proventi derivano da società negoziate in mercati regolamentati e siano corrisposti da intermediari finanziari residenti in Italia), ovvero imputati per trasparenza ai soci.
Per ulteriori informazioni si rinvia all’approfondimento presente sul sito della documentazione parlamentare.
Va ricordato in questa sede il regime di favore riservato ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli che, allo stato attuale, sono esentati dall’Irpef, ma anche dall’Irap e dall’Imu e che beneficiano di un regime speciale Iva. Va considerato a tale proposito che in molti casi oggi le attività di questo settore sono assimilabili ad attività industriali. Nel 2018 sono stati esentati i redditi fondiari (determinati usualmente su base catastale) per gli agricoltori professionali.
Con la legge di bilancio 2017, n. 232 del 2016 (comma 152), è stato introdotto un regime speciale riservato alle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia. Tali soggetti possono beneficiare di una imposta sostitutiva forfettaria di 100mila euro, per ciascun periodo d’imposta per cui viene esercitata, sui redditi prodotti all’estero.
Si segnala che non si tratta strettamente di tassa piatta con applicazione di aliquota fissa, essendo un’imposta forfettaria sostitutiva, ma generalmente viene ricompresa nel novero delle figure di flat tax.
Tale regime forfettario può essere esteso anche ad uno o più familiari in possesso dei requisiti, attraverso una specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui il familiare trasferisce la residenza fiscale in Italia o in quella successiva. In questo caso, l’imposta sostitutiva è pari a 25mila euro per ciascuno dei familiari ai quali sono estesi gli effetti della stessa opzione.
Istituita con la legge di bilancio 2019 e corretta con il decreto crescita, la flat tax per i pensionati è un'imposta unica del 7% che l'erario applica a tutti i redditi di pensionati che, dall'estero, decidono di trasferire la loro residenza in una regione del Sud Italia.
Tale processo di cedolarizzazione era un tratto già presente alla nascita dell’imposta, con la tassazione proporzionale dei redditi di capitale. Negli ultimi due decenni, oltre ai regimi descritti, ha interessato anche i premi di risultato dei dipendenti e diverse forme di welfare aziendale, nonché i compensi per ripetizioni. La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva può determinare un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta, anche in considerazione della mancata applicazione a tali redditi delle addizionali comunali e regionali. Secondo Bankitalia, nel complesso la cedolarizzazione riduce la base imponibile dell’Irpef di circa un decimo, effetto in gran parte riconducibile a redditi finanziari e a redditi d’impresa e da lavoro autonomo, soprattutto dopo l’estensione del prelievo proporzionale ai soggetti con ricavi non superiori a 65 mila euro.
Il Documento di economia e finanza - DEF, presentato nel mese di aprile 2021, sottolineava gli sforzi del Governo per il miglioramento della propensione all’adempimento spontaneo dei contribuenti (tax compliance). Nel complesso, le ultime stime sull’evasione fiscale e contributiva, pubblicate nella Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva (Aggiornamenti anni 2013- 2018) mostrano che in media, nel triennio 2016- 2018 il tax gap complessivo, ancora molto elevato, è stato pari a circa 106,3 miliardi, di cui 94,7 miliardi ascrivibili a mancate entrate tributarie e 11,6 miliardi a mancate entrate contributive.
Il Documento indicava quali collegati alla successiva manovra di bilancio il DDL di delega in materia di riforma fiscale e il DDL di delega di riforma della giustizia tributaria.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia il 21 aprile 2021 indica la riforma fiscale tra le azioni chiave per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese.
Al riguardo si rammenta che il 25 aprile 2021 il Governo ha trasmesso al Parlamento il testo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), oggetto di comunicazioni del Presidente del Consiglio alle Assemblee di Camera e Senato il 26 e 27 aprile. Sulle comunicazioni sono state approvate le risoluzioni n. 6/00189 della Camera e n. 6/00188 del Senato. Il 30 aprile 2021 il Governo ha quindi ufficialmente trasmesso il testo definitivo del PNRR alla Commissione europea, ai sensi dell'articolo 18 del regolamento (UE) 2021/241 del Dispositivo di ripresa e resilienza (Recovery and Resilience Facility - RRF). Il 4 maggio 2021 il medesimo testo è stato trasmesso anche al Parlamento italiano. Ai sensi dell'articolo 19 del regolamento, la Commissione europea ha pubblicato il 22 giugno 2021 la proposta di decisione di esecuzione del Consiglio relativa all'approvazione del PNRR dell'Italia (COM(2021) 344), accompagnata dal Documento di lavoro dei servizi della Commissione (SWD(2021) 165) e da un corposo Allegato.
Con l'avvenuta approvazione, da parte del Consiglio dell'Unione europea, della decisione di esecuzione relativa all'approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza, l'Italia ha la possibilità di accedere al pre-finanziamento delle risorse del Recovery and Resilience Facility, disciplinato dal regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021.
Il 13 luglio 2021 il PNRR dell'Italia è stato definitivamente approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta di decisione della Commissione europea. La Decisione è accompagnata da un allegato con cui vengono definiti, in relazione a ciascun investimento e riforma, precisi obiettivi e traguardi, cadenzati temporalmente, al cui conseguimento si lega l'assegnazione delle risorse, prevista su base semestrale. Il Piano delinea un articolato pacchetto di riforme e investimenti al fine di accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall'Unione europea con il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility - RRF), perno della strategia di ripresa post-pandemica finanziata tramite il programma Next Generation EU (NGEU). Le misure previste dal PNRR si articolano intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Seguendo le linee guida definite dalla normativa europea, il Piano raggruppa i progetti di investimento in 6 Missioni, articolate in 16 Componenti, per un totale di 43 ambiti di intervento.
Per dettagli sul testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano si rinvia al Dossier dei Servizi di documentazione del Senato e della Camera e alla sezione del Portale di documentazione parlamentare specificamente dedicata all’attuazione del PNRR e, in particolare, alla sezione dedicata alle Politiche fiscali nel PNRR.
Sebbene l’attuazione della riforma fiscale non sia considerata tra i target cui è subordinata l’erogazione delle risorse europee, essa rappresenta comunque una delle riforme di accompagnamento al Piano per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese e, in tal senso, è considerata parte integrante della ripresa che si intende innescare anche grazie alle risorse europee.
Nel PNRR il Governo sottolinea come in ambito fiscale pesino i numerosi interventi operati negli anni, molti dei quali dettati dall’urgenza. Ciò ha prodotto una sempre più marcata frammentazione della legislazione tributaria, da cui è derivato un sistema fiscale articolato e complesso che ha rappresentato, nel tempo, un freno per gli investimenti, anche esteri.
Viene al riguardo ritenuto auspicabile:
§ effettuare un’opera di raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale in un testo unico, integrato e coordinato con le disposizioni normative speciali, da far a sua volta confluire in un unico Codice tributario;
§ garantire che le nuove regole abbiano stabilità nel tempo, per evitare che gli operatori del settore (ivi compresa l’Amministrazione finanziaria) debbano continuamente adattarsi a mutate cornici normative.
In tale prospettiva il Governo inserisce la possibile revisione dell’Irpef, con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo e di ridurre gradualmente il carico fiscale, preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici. Viene ritenuto dunque che in tal modo sarebbe incentivata la tax compliance e potrebbe essere sostenuta la partecipazione al lavoro delle donne e dei giovani.
Nel PNRR presentato dall’Italia alla Commissione UE si preannunciava la presentazione al Parlamento (tale presentazione era attesa entro il 31 luglio 2021), di una legge di delega da attuarsi per il tramite di uno o più decreti legislativi delegati; essa deve tenere adeguatamente conto del documento conclusivo dell’Indagine conoscitiva sulla riforma dell’IRPEF e altri aspetti del sistema tributario, avviata dalla Commissioni parlamentari Finanze di Senato e Camera e che, per realizzare in tempi certi la riforma, dopo l’approvazione della legge di delega, intende istituire un Commissione di esperti.
L’indagine conoscitiva si è articolata nell’arco di sei mesi, tra gennaio e giugno 2021. Il 30 giugno 2021 le Commissioni hanno ciascuna approvato, in un identico testo, il documento conclusivo dell’indagine, che indirizza la riforma fiscale verso obiettivi di crescita dell’economia e semplificazione del sistema tributario. Il documento tiene esplicitamente in considerazione le finalità di transizione ecologica e digitale del PNRR; supporta l'approccio strategico esplicitamente contenuto nel Piano che vede nella digitalizzazione, e nelle competenze tecniche per renderla efficace, l'investimento più redditizio per l'Amministrazione Finanziaria.
Anche nella Nota di aggiornamento al DEF del mese di settembre 2021 il Governo faceva presente, in relazione all'inquadramento degli interventi fiscali nel percorso di attuazione del PNRR, che gli interventi per la razionalizzazione e l'equità del sistema fiscale non rientrano nell'ambito operativo del Piano, ma possono concorrere a realizzarne gli obiettivi generali. In particolare, si affermava la volontà di attuare un primo stadio della riforma nel triennio 2022-2024.
Il Consiglio dei ministri ha approvato il 5 ottobre 2021 il disegno di legge di delega per la revisione del sistema fiscale (A.C. 3343, trasmesso al Parlamento il 29 ottobre 2021), da attuarsi per il tramite di uno o più decreti legislativi.
Con riferimento specifico agli interventi di natura fiscale contenuti nel PNRR, il Governo individua, tra i target e i milestones necessari all’erogazione delle risorse, alcune misure specifiche di modifica al sistema, tra l’altro riguardanti il contrasto all’evasione, il potenziamento dell’Amministrazione finanziaria e l’efficientamento della riscossione delle imposte.
Con riferimento all’azione di contrasto all’evasione fiscale, si chiarisce la volontà di intensificare l’attività di analisi dei dati a disposizione dell’Agenzia delle entrate che consenta di individuare preventivamente o tempestivamente posizioni da sottoporre ad accertamento fiscale.
Pertanto, verranno realizzati e potenziati progetti di analisi avanzata dei dati per poter aggredire il tax gap attraverso applicazione di tecniche sempre più avanzate come intelligenza artificiale, machine learning, text mining, analisi delle relazioni.
Inoltre, si prevede di potenziare l’operatività dell’Agenzia delle Entrate nella parte relativa all’azione di contrasto all’evasione fiscale, attraverso nuove risorse umane, per colmare il divario causato dal prolungato blocco del turn over e realizzare un ricambio di professionalità anche attraverso l’assunzione di personale dotato di professionalità adeguate nell’analisi avanzata di dati (data scientist), nell’informatica, nel controllo fiscale sia dei fenomeni interni sia transnazionali, di esperti in fiscalità internazionale, di informatici, di ingegneri, e di esperti in diritto ed economia.
Con riferimento alla riscossione coattiva dei tributi, il Governo nel PNRR annuncia di voler procedere a un efficientamento del sistema della riscossione, con la previsione di nuove regole in materia di crediti di difficile esazione.
In particolare, il decreto-legge n. 41 del 2021 (cd. decreto Sostegni), all’articolo 4, comma 10, ha previsto che il Ministro dell’economia e delle finanze trasmetta alle Camere, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto, una Relazione in cui siano indicati i criteri per una revisione del meccanismo di controllo e di discarico dei crediti non riscossi. Tale relazione è stata presentata il 14 luglio 2021 (DOC XXVII, n. 25). Per ulteriori informazioni si veda infra, al paragrafo dedicato al cd. magazzino fiscale.
Con riferimento al federalismo fiscale, nel documento il Governo rammenta il percorso di attuazione già avviato dal 2015 per i comuni (distribuzione di risorse perequate, definizione dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizi) e chiarisce che, analogamente al processo per i comuni, intende effettuare la distribuzione delle risorse per le province e le città metropolitane sulla base dei criteri dei fabbisogni standard e della capacità fiscale, come definite dal decreto-legislativo n. 68 del 2011 e successive modifiche, processo che è attualmente all'esame della Commissione tecnica dei fabbisogni standard.
Con riferimento al federalismo regionale, si annuncia in corso di approfondimenti da parte del Tavolo tecnico istituito presso il MEF, da definire entro il primo quadrimestre dell’anno 2026.
Il Governo in tale quadro rammenta anche l’iter del cd. Family Act, in particolare il disegno di legge organico recante le deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia, attualmente in discussione presso il Senato (A.S. 2469), che contiene misure per il sostegno alle famiglie con figli, per la promozione della partecipazione al lavoro delle donne, per il sostegno ai giovani, la cui prima misura, il cd. Assegno Unico Universale, volto a far confluire le risorse destinate alle famiglie con figli a carico in un’unica misura nazionale di sostegno è stata implementata mediante la legge delega 1° aprile 2021, n. 46.
Nelle more dell’attuazione della predetta legge di delega relativa all’assegno unico familiare, il decreto-legge 79 del 2021 ha introdotto misure immediatamente efficaci, di durata temporanea, volte a sostenere la genitorialità e potenzia al contempo i vigenti assegni per il nucleo familiare. Il testo, tra l’altro, introduce, a decorrere dal 1° luglio 2021 e fino al 31 dicembre 2021, un assegno temporaneo (“assegno ponte”) destinato alle famiglie con figli minori che non abbiano diritto ai vigenti assegni per il nucleo familiare (v. infra).
In attuazione della medesima legge delega, il decreto legislativo 230 del 21 dicembre 2021, a decorrere dal 1° marzo 2022, istituisce l’assegno unico e universale per i figli a carico - AUU, che costituisce un beneficio economico attribuito, su base mensile, per il periodo compreso tra marzo di ciascun anno e febbraio dell’anno successivo, ai nuclei familiari sulla base della condizione economica del nucleo, in base all’indicatore della situazione economica equivalente - ISEE).
L’assegno unico universale spetta anche in assenza di ISEE sulla base dei dati autodichiarati nel modello di domanda dal richiedente la misura, secondo le regole previste in materia di ISEE.
L’AUU è erogato a decorrere dal 1° marzo 2022 e da quella data, per effetto di una complessiva riorganizzazione del welfare familiare, cesseranno di avere efficacia:
- le misure di sostegno alle famiglie di cui al decreto-legge che ha istituito l’Assegno temporaneo per i figli minori;
- le detrazioni fiscali per figli a carico minori di 21 anni;
- limitatamente ai nuclei familiari con figli e orfanili, l’assegno per il nucleo familiare e gli assegni familiari.
Si rinvia al dossier per ulteriori informazioni.
Per quanto riguarda l’innovazione delle imprese, nel PNRR il Governo afferma che la razionalizzazione delle norme e delle procedure sul credito d’imposta e su altre agevolazioni alle imprese per l’acquisto di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive o di beni immobili situati nelle Zone economiche speciali (ZES) ubicate nel Mezzogiorno d’Italia è specificamente prevista da un progetto del PNRR con apposito investimento.
Con riferimento all’efficienza energetica e alla riqualificazione degli edifici, si prevede la realizzazione di un programma di efficientamento e messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato, per quest’ultimo mediante la proroga del cd. Superbonus, detrazione fiscale pari al 110% dei costi sostenuti per gli interventi. Le risorse stanziate, a tal fine, sono complessivamente 13,95 miliardi di euro, a cui sono da aggiungere ulteriori risorse nazionali a carico del c.d. Fondo complementare per circa 4,56 miliardi.
Dal mese di marzo 2022 verrà erogato l'assegno unico e universale (AUU), che però può essere richiesto all'INPS fin dal mese di gennaio 2022 (FAQ INPS su Assegno unico e universale – Focus del MEF).
Con l’erogazione dell’assegno unico e universale vengono abrogati: il Premio alla nascita (Bonus mamma domani), l’Assegno di natalità (Bonus bebè), il Fondo di sostegno alla natalità, gli Assegni al Nucleo Familiare (ANF) e le detrazioni per i figli a carico al di sotto dei 21 anni. Rimangono in vigore l’assegno di maternità dei Comuni e il Bonus nido (si veda infra). Dalla soppressione di questi strumenti (le detrazioni per figli a carico sono state soppresse con riferimento ai figli con età non superiore a 21 anni e gli ANF con riferimento ai nuclei con figli) derivano risorse impiegabili per l’AUU per quasi 13 miliardi che si sommano ai 6 miliardi aggiuntivi stanziati dalla Legge di bilancio per il 2021 e confermati per il 2022.
L’introduzione dell’AUU intende riformare gli strumenti di sostegno alle famiglie e alla natalità attraverso una razionalizzazione delle prestazioni e degli strumenti vigenti. La Riforma, per la sua vocazione universalistica, interessa anche gli incapienti, i disoccupati di lungo periodo e le famiglie di lavoratori autonomi, nonché alcune categorie precedentemente escluse (quali gli stagionali). In tale prospettiva, la misura intende contribuire alla ripresa della natalità e al sostegno dell’occupazione dei genitori, con particolare riguardo a quella femminile.
L'assegno unico e universale (istituito dal D. Lgs. 21 dicembre 2021, n. 230, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1 aprile 2021, n. 46), è riconosciuto mensilmente:
- per ciascun figlio minorenne a carico, a decorrere dal settimo mese di gravidanza. Per i figli successivi al secondo all'importo dell'assegno viene applicata una maggiorazione;
- per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento del ventunesimo anno di età, con possibilità di corresponsione dell'importo direttamente al figlio, su sua richiesta, al fine di favorirne l'autonomia (assegno mensile, di importo inferiore a quello riconosciuto per i minorenni). L'assegno ai maggiorenni è concesso solo nel caso in cui il figlio frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea, svolga un tirocinio ovvero un'attività lavorativa limitata con reddito complessivo inferiore a un determinato importo annuale, sia registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l'impiego o un'agenzia per il lavoro o svolga il servizio civile universale.
E' previsto inoltre il riconoscimento dell'assegno mensile:
§ di importo maggiorato a favore delle madri di età inferiore a 21 anni;
§ di importo maggiorato in misura non inferiore al 30% e non superiore al 50% per ciascun figlio con disabilità, con maggiorazione graduata secondo le classificazioni della condizione di disabilità;
§ senza maggiorazione, anche dopo il compimento del ventunesimo anno di età, qualora il figlio con disabilità risulti ancora a carico.
L'assegno è concesso nella forma di credito d'imposta ovvero di erogazione mensile di una somma in denaro.
L'assegno, proprio perché basato sul principio universalistico, costituisce un beneficio economico attribuito con criteri di progressività a tutti i nuclei familiari con figli a carico, nell'ambito delle risorse del Fondo assegno universale e servizi alla famiglia e dei risparmi di spesa derivanti da graduale superamento o dalla soppressione delle misure ora vigenti per il sostegno dei figli a carico.
La domanda per l'assegno deve essere inoltrata ogni anno. Ma chi percepisce il reddito di cittadinanza (RdC) non dovrà inoltrarla, in quanto l'assegno unico verrà pagato d'ufficio dall'Inps (parte della copertura, per circa 0,8 miliardi, deriva dalla decurtazione dell’AUU per i percettori di RdC. Pur essendo stata confermata la compatibilità tra il RdC e l’AUU, per questi soggetti, infatti, è prevista una decurtazione dell’AUU pari all’ammontare della quota figlio del RdC determinando in questo modo un risparmio di spesa).
Come stabilito dal decreto delegato, l'importo dell'assegno unico e universale è parametrato ai diversi livelli ISEE e alle diverse tipologie di nucleo familiare. Il valore massimo dell'assegno è pari a 175 euro al mese per ciascun figlio minorenne nelle famiglie con ISEE inferiore o pari a 15.000 euro. Tale importo si riduce gradualmente a seconda dei livelli ISEE fino a raggiungere un valore minimo e costante (pari a 50 euro) in corrispondenza di ISEE pari o superiore a 40.000 euro. Pertanto, gli importi mensili per ciascun figlio minorenne variano dalla misura piena di 175 euro ad un minimo di 50 euro. Ugualmente, l'importo dell'assegno diminuisce al crescere della condizione economica anche per ciascun figlio maggiorenne (anche se disabile) dai 18 ai 21 anni; in questi casi gli importi variano da 85 a 25 euro mensili. Nel caso di assenza di ISEE (dati autodichiarati dal richiedente l'assegno) spettano gli importi minimi previsti per ISEE pari o superiore
a 40.000 euro e le maggiorazioni fisse e variabili (queste ultime negli importi minimi previsti). Sono poi previste una serie di maggiorazioni dell'importo dell'assegno:
- per ciascun figlio successivo al secondo: maggiorazione d'importo variabile compresa tra 85 e 15 euro mensili (a seconda dei livelli ISEE);
- per ciascun figlio minorenne con disabilità: maggiorazione fissa differenziata sulla base della condizione di disabilità come definita ai fini ISEE, da applicare agli importi dell'assegno per i figli minorenni o per i figli successivi al secondo, pari a 105 euro mensili in caso di non autosufficienza, a 95 euro mensili in caso di disabilità grave e a 85 euro mensili in caso di disabilità media;
- per le madri di età inferiore a 21 anni: maggiorazione fissa pari a 20 euro mensili per ciascun figlio;
- per i nuclei familiari in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro: maggiorazione variabile per ciascun figlio minore (30 euro mensili in misura piena in corrispondenza di un ISEE inferiore o pari a 15.000 euro che si riducono gradualmente fino ad annullarsi in corrispondenza di un ISEE pari a 40.000 euro).
E' altresì prevista una maggiorazione fissa pari a 50 euro mensili per ciascun figlio con disabilità dai 18 ai 21 anni e una maggiorazione forfettaria pari a 100 euro mensili per i nuclei familiari con quattro o più figli.
Al fine di consentire la graduale transizione alla nuova misura e di garantire il rispetto della progressività, si prevede, per le prime tre annualità, una maggiorazione transitoria mensile dell'assegno unico riconosciuta in favore dei nuclei familiari con valore ISEE non superiore a 25.000 euro, che, in presenza di figli minori - da parte del richiedente o da parte di altro componente del nucleo familiare del richiedente - abbiano effettivamente percepito nel corso del 2021 l'assegno per il nucleo familiare (ANF). In tale ambito, la maggiorazione è riconosciuta, nel periodo 1° marzo 2022-31 dicembre 2022, per intero e, nel periodo 1° gennaio 2023-28 febbraio 2025, secondo una percentuale decrescente nel tempo.
La legge di bilancio 2020 (art. 1, co. 339, legge n. 160 del 2019) ha istituito il "Fondo assegno universale e servizi alla famiglia", indirizzato al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno alle famiglie con figli. Dal 2021, nel Fondo, confluiscono le risorse dedicate all'erogazione dell'assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e del Bonus asilo nido, rifinanziato dalla legge di bilancio 2021. Per il 2021, anche il rifinanziamento del congedo di paternità (106,1 milioni di euro) è a valere sul Fondo.
Il Fondo è stato istituito con una dotazione inizialmente pari a 1.044 milioni di euro per il 2021 e a 1.244 milioni di euro annui a decorrere dal 2022. La legge di bilancio 2021 (art. 1, co. 7, della legge n. 178 del 2020) ha incrementato il Fondo di 3.012,1 milioni di euro. Per gli anni successivi, la manovra di bilancio 2021 ha inoltre destinato all'assegno universale e servizi alla famiglia una quota di risorse del Fondo per l'attuazione della delega fiscale, comprese tra un minimo di 5.000 e un massimo di 6.000 milioni (art. 1, co. 2 della legge n. 178 del 2020).
Si ricorda infine che la legge delega ha impegnato il Governo ad adottare, entro dodici mesi dall'entrata in vigore, uno o più decreti legislativi volti a definire nel dettaglio l'applicazione della misura, attenendosi ai principi e criteri direttivi previsti dalla medesima legge delega n. 46. Nelle more dell'approvazione dei decreti legislativi, il decreto legge n. 79 del 2021, considerata la necessità di introdurre in via temporanea misure immediate volte a sostenere la genitorialità e a favorire la natalità, ha autorizzata, per il semestre luglio-dicembre 2021, l'erogazione su base mensile, da parte dell'INPS, di un assegno temporaneo per figli minori per ogni figlio al di sotto dei 18 anni, inclusi i figli minori adottati e in affido preadottivo.
È all'esame del Senato il cd. Family Act, ossia il disegno di legge delega (A.S. 2469) per il sostegno e la valorizzazione della famiglia e il riordino delle misure, anche fiscali, di sostegno all'educazione dei figli a carico.
Sono inoltre in corso di esame presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati le seguenti proposte di legge:
§ A.C. 1061 Crosetto e A.C. 1501 Gusmeroli in materia di introduzione di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi d’impresa da applicare ai redditi incrementali; l’imposta, che si applica a tutti i redditi e ai soggetti già sottoposti all'Irpef e all'Ires, sconterebbe un'aliquota unica pari al 15 per cento, da calcolare unicamente sulla parte aggiuntiva di reddito prodotto rispetto all'anno precedente;
§ A.C. 2075 Cabras e A.C. 2593 Gusmeroli sull’istituzione dei certificati di compensazione fiscale e l’utilizzazione dei crediti d'imposta compensabili per i pagamenti tra privati, con l’obiettivo di garantire liquidità al sistema economico tramite l'introduzione di nuove misure di pagamento complementare tra privati. In particolare l’A.C. 2075 prevede l'istituzione di certificati di compensazione fiscale trasferibili e negoziabili attraverso i quali il contribuente a cui vengono assegnati può compensare pagamenti da effettuare nei confronti della pubblica amministrazione, mentre l’A.C. 2593 consente, per effettuare pagamenti tra privati, l'utilizzo e il trasferimento dei crediti d'imposta derivanti dall'applicazione delle disposizioni vigenti e rappresentati mediante il modello F24 (al Senato della Repubblica in materia di crediti fiscali sono in corso di esame i seguenti disegni di legge: atto Senato n. 1945 (Disposizioni per l'introduzione di nuovi strumenti di sostegno all'economia anche a seguito dell'attuale emergenza epidemiologica da COVID-19); n. 1531 (Modifica all'articolo 9 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, in materia di certificazione dei crediti fiscali); n. 1619 (Istituzione dei certificati di compensazione fiscale in forma dematerializzata); n. 2014 (Disposizioni in materia di certificazione e di compensazione dei crediti con la pubblica amministrazione);
Si ricorda in questa sede la proposta di legge (A.C. 2361 Ferro) in materia di compensazione dei crediti maturati dalle imprese noi confronti della pubblica amministrazione, volta a rendere strutturale, quindi non più provvisoria, la disposizione che riconosce alle imprese la possibilità di compensare i crediti certificati e vantati nei confronti di Pubbliche Amministrazioni per pagare i debiti tributari derivanti da cartelle esattoriali. Il disegno di legge è stato approvato dalla Camera il 18 novembre 2021 ed è stato trasmesso al Senato.
Il Centro studi di Confindustria ha presentato - nel rapporto Dove va l’economia italiana e gli scenari di politica economica - uno studio in cui sono indicate alcune proposte di riforma fiscale. In sintesi nel testo si rappresenta che c’è bisogno di un’ampia riforma fiscale, con semplificazione e razionalizzazione della disciplina e abbassamento della pressione fiscale, specie sul lavoro dipendente. La semplificazione del sistema richiede in primis una revisione delle tax expenditures, che tuttavia va valutata con attenzione, perché la loro eliminazione/riduzione comporterebbe un aumento del prelievo fiscale complessivo. Dato che gli attuali stringenti vincoli di bilancio pubblico limitano l’ampiezza della riduzione di pressione fiscale realizzabile, ma vista l’urgenza di misure che massimizzino le prospettive di crescita del Paese, un’opzione percorribile appare quella di un intervento mirato, declinato su tre fronti che stimolino sviluppo ed efficientamento del sistema in ambiti tra loro complementari:
A. un accorpamento delle aliquote Irpef sui primi scaglioni, con conseguente rafforzamento dei redditi medi, soprattutto quelli da lavoro dipendente che sono attualmente penalizzati rispetto a svariati regimi sostitutivi per altre forme di reddito. Simulazioni condotte dal CSC con il modello EUROMOD mostrano che sostituire l’aliquota marginale nominale attualmente in vigore sul secondo scaglione Irpef con l’aliquota del primo scaglione comporterebbe risparmi fiscali per il 56 per cento dei contribuenti Irpef e un costo per lo Stato di circa 8 miliardi di euro. Questa ipotesi appare più ragionevole rispetto ad alternative di cui si è discusso, quali: i) l’accorpamento del secondo e terzo scaglione Irpef, che farebbe lievitare il costo di ulteriori 4 miliardi e comporterebbe risparmi per meno di un quarto dei contribuenti; ii) l’introduzione di un’aliquota al 15 per cento fisso fino a 55mila euro, che costerebbe 80 miliardi;
B. un intervento mirato sui redditi da lavoro dipendente per aumentare il netto in busta paga anche ai lavoratori con redditi tanto bassi da non pagare tasse, con l’introduzione di una vera imposta negativa che preveda trasferimenti anche agli incapienti se lavoratori dipendenti;
C. un rafforzamento degli attuali incentivi fiscali sui premi di risultato, per stimolare ulteriormente la diffusione di schemi variabili di retribuzione e il raggiungimento di incrementi di produttività.
Il Centro studi ha realizzato, altresì, uno studio dettagliato su una possibile riforma dell’imposta sul reddito personale basata sull’introduzione di una flat tax (Elementi per una riforma fiscale). Nel testo si rappresenta che l’estrema articolazione e complessità della disciplina attuale dell’Irpef ha alterato in maniera così profonda la ratio originaria dell’imposta che l’introduzione di un’imposta piatta, per effetto della sua semplicità, risolverebbe larga parte delle incongruenze attuali. Tuttavia non mancano criticità per l’attuazione di una tale riforma. I risultati dell’analisi secondo Confindustria indicano che:
A. il passaggio a una quasi flat tax è molto improbabile che si autofinanzi con i proventi della maggiore crescita indotta;
B. tale riforma fiscale deve essere ben definita e annunciata fin dall’inizio, ma necessariamente attuata con gradualità;
C. per finanziare la perdita di gettito è necessario recuperare risorse da una seria spending review e dalla riduzione dell’evasione fiscale.
Il direttore della Agenzia delle entrate nel corso della audizione svoltasi presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati ha esposto una possibile riforma della modalità di determinazione e di versamento dell’Irpef da parte degli operatori economici. Il direttore ha evidenziato che con il sistema della tassazione per cassa si potrebbe prevedere la possibilità di versare le imposte mese per mese sulla base di quanto si incassa effettivamente e al netto di quanto si spende per svolgere la propria attività, favorendo così gli investimenti in beni strumentali, i cui costi potrebbero essere subito dedotti dal proprio reddito, e incentivando così anche la crescita del Paese. Gli elementi caratterizzanti il nuovo sistema di tassazione per cassa potrebbero essere i seguenti:
A. la deducibilità totale e immediata degli investimenti in beni strumentali al posto degli attuali ammortamenti, la principale voce contabile ancora soggetta al criterio di competenza, nonché l’applicazione del criterio di cassa anche a tutte le altre voci ancora oggi soggette al criterio di competenza (alcune plus e minusvalenze; proventi immobiliari; alcune sopravvenienze attive e passive; spese di manutenzione; spese di impianto e altre spese pluriennali; accantonamenti ai fondi di quiescenza e previdenza);
B. l’introduzione di un sistema di liquidazione periodica mensile o trimestrale delle imposte sui redditi agganciato all’andamento della cassa, effettuando le possibili compensazioni in automatico;
C. l’addebito delle somme dovute sul conto corrente del contribuente tramite il pagamento in autoliquidazione da parte dello stesso contribuente alle scadenze mensili o trimestrali previste oppure tramite addebito diretto, ovviamente, previa sua autorizzazione e comunque senza l’obbligo di utilizzo di un conto corrente dedicato;
D. l’accredito dei rimborsi o la compensazione degli stessi con le imposte dovute nel primo periodo successivo utile;
E. la conseguente abolizione dei versamenti in acconto di giugno e di novembre e della ritenuta d’acconto per i professionisti; questo sistema renderebbe il versamento delle imposte dirette più continuo nell’arco dell’anno e aderente alla situazione del contribuente e alle esigenze erariali.
La Corte dei conti nel corso dell’audizione nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del Programma nazionale di riforma per l’anno 2020 ha sottolineato che le evidenti problematiche di funzionamento dell’Irpef, a fronte di un processo di ridisegno complessivo del sistema, consiglierebbero di non escludere tra le opzioni una possibile rimodulazione delle esistenti aliquote Iva e anche alcune ipotesi di riduzione del numero delle aliquote (attualmente quattro), dalle quali potrebbero derivare alcuni vantaggi di natura amministrativa. Sul punto specifico, il PNR non esplicita alcuna direzione di revisione. Ma ciò non riduce la necessità di compiere una scelta netta in merito al ruolo che le due principali imposte del sistema tributario (Irpef e Iva) devono svolgere. In favore di uno spostamento del prelievo dall’Irpef all’Iva, giova ricordare che, nel confronto europeo in Italia il peso dell’Irpef rispetto al Pil è tra i più elevati e quello dell’Iva è invece tra i più bassi; inoltre, una revisione dell’Iva potrebbe avvenire – modificando opportunamente le aliquote – in assenza di effetti redistributivi indesiderati.
Tale concetto è stato ribadito anche nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica. La Corte segnala che se la revisione dell’Irpef era stata finora immaginata con una significativa riduzione del gettito, per alleggerire il carico sui redditi medi e anche per dar corso alle reiterate richieste degli organismi internazionali di spostare il carico fiscale dal lavoro verso specifiche forme di imposizione indiretta, non si può ignorare che i prossimi anni richiederanno un considerevole sforzo fiscale per far fronte ai costi della pandemia. Sarà dunque necessario guardare all’efficienza e all’equità del sistema tributario nel suo complesso, ipotizzando varie forme di ricomposizione del contributo dei prelievi diretti e indiretti alla copertura del bilancio, tra le quali adeguata attenzione potrebbe essere riservata ad un parziale spostamento del prelievo dall’Irpef all’Iva.
Nel corso di alcune audizioni svolte al Senato, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali hanno osservato come la riforma fiscale deve prevedere un aumento delle detrazioni specifiche per i redditi da lavoro dipendente e da pensione, una riforma degli scaglioni Irpef, la ridefinizione delle aliquote Irpef, delle basi imponibili, nel pieno rispetto del principio della progressività previsto dalla Costituzione e, al contempo, tale riforma deve prevedere la rimodulazione dell’Iva, anche al fine di garantire maggiore liquidità, sostenendo la crescita della domanda interna, fondamentale per il rilancio dell’economia del nostro Paese. Oltre a ciò, l’aumento delle detrazioni avrebbe l’effetto positivo di ampliare la no tax area.
Si propone inoltre la detassazione degli incrementi contrattuali e il miglioramento delle politiche di contrasto all’evasione fiscale.
Anche in occasione della discussione sull'individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali hanno sottolineato l’urgenza di una riforma fiscale organica che dovrà incrementare la progressività e l’equità, contrastare l’evasione fiscale e contributiva e prevedere una revisione degli incentivi e dei sussidi, in particolare quelli ambientalmente dannosi. Si chiede inoltre un incremento degli sgravi contributivi per le assunzioni dei giovani e l’alleggerimento del carico fiscale sui redditi da pensione e lavoro.
Più in generale si ricordano anche:
A. le proposte di ampliamento di deduzioni/detrazioni dall’Irpef indicate nel cosiddetto Piano Colao (in particolare per pagamenti elettronici e sostegno a start-up innovative);
B. le 50 proposte di Confindustria e del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili Per un fisco più semplice (in particolare per la modifica della disciplina del rapporto tra il versamento dell’Irpef e l’attività dei sostituti d’imposta);
C. la proposta in via sperimentale e per un triennio della piena detassazione degli incrementi retributivi, determinati dalla contrattazione collettiva comparativamente più rappresentativi, presentata nel corso dell’audizione del 18 febbraio al Senato da Rete imprese Italia.
L’indagine si è articolata nell’arco di sei mesi, tra gennaio e giugno 2021 e il 30 giugno 2021 le Commissioni hanno ciascuna approvato, in un identico testo, il documento conclusivo.
Con riferimento agli obiettivi della riforma, le Commissioni ritengono anzitutto essa vada orientata nel senso di promuovere la crescita dell’economia e la semplificazione del sistema tributario.
Per quanto attiene all’obiettivo di crescita economica, si reputa che la riforma complessiva del sistema debba rendere meno distorsivo il trattamento fiscale dei fattori produttivi, attraverso la semplificazione e razionalizzazione del sistema fiscale, anche con riferimento agli adempimenti, nonché alla riduzione del carico fiscale su capitale e lavoro nell’ambito di una complessiva riduzione della pressione fiscale, salvaguardando il mantenimento di adeguati standard di finanziamento del welfare. Si conferma la piena adesione al precetto costituzionale di progressività del sistema fiscale, sottolineando che l’obiettivo redistributivo (oggi largamente affidato all’imposta personale sui redditi) può essere raggiunto non solo tramite l’operare dei tributi ma anche sul lato delle spese pubbliche, per tenere esplicitamente conto della situazione patrimoniale e reddituale del nucleo familiare.
Sotto il profilo della semplificazione, le Commissioni reputano indispensabile codificare le disposizioni tributarie, rendendo innovativi e non meramente compilativi gli esistenti Testi unici e le altre norme tributarie e strutturandoli in un Codice Tributario suddiviso in tre parti (principi generali, procedura tributaria e sanzioni e parte speciale, recante quest’ultima norme specifiche per i singoli prelievi). Si ritiene inoltre necessario rendere cogente lo Statuto del Contribuente (legge n. 212 del 2000) elevando a rango costituzionale alcune sue parti, ovvero quelle relative ai principi di chiarezza, semplicità e irretroattività delle disposizioni tributarie.
Accanto alle questioni più generali relative alle imposte sui redditi, nell’ottica di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, le Commissioni hanno condotto una specifica riflessione sui cosiddetti micro prelievi (imposte, tasse, diritti), erariali e territoriali; al riguardo si propone un’opera di sfoltimento sistematico, garantendo l’invarianza di risorse per quei livelli di governo.
Le Commissioni reputano necessario proseguire il percorso di avvicinamento tra i criteri di redazione del bilancio d’esercizio a fini civilistici e quelli rilevanti a fini fiscali, senza tuttavia pervenire alla completa identificazione tra i due criteri (per ragioni di stabilità del gettito fiscale e neutralità del sistema impositivo).
Con riferimento specifico all’Irpef, le Commissioni stimano che il sistema di imposizione sul reddito debba evolversi verso un modello tendenzialmente duale, in cui l’aliquota sui redditi da capitale e quella relativa agli altri regimi sostitutivi “cedolari” sia sufficientemente prossima all’aliquota applicata al primo scaglione Irpef, con l’eccezione del regime forfettario, di cui si auspica il mantenimento. Si ritiene poi che il sistema non debba pregiudicare i regimi cedolari esistenti, la cui aliquota sia attualmente inferiore al livello della prima aliquota Irpef del nuovo regime, con la possibilità di interventi perequativi sulla base imponibile che mantengano costante l’imposta netta.
Le Commissioni ritengono opportuno mantenere il reddito individuale come unità impositiva dell’imposta personale sui redditi, con la contestuale modifica degli istituti che disincentivano l’offerta di lavoro con riferimento al secondo percettore di reddito (detrazione per il coniuge a carico). Si propone, pertanto, di considerare l’introduzione di una tassazione agevolata per un periodo predefinito in caso di ingresso al lavoro del secondo percettore di reddito, il cui ammontare sia congruamente superiore alla detrazione per familiare a carico.
Con riferimento alla struttura dell’Irpef, si ritiene necessaria la sua sostanziale ridefinizione, coi seguenti obiettivi:
1) abbassamento dell’aliquota media effettiva con particolare riferimento ai contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.000;
2) modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive, eliminando le discontinuità più brusche.
La modalità attraverso cui raggiungere questi obiettivi viene individuata in un intervento semplificatore dell'insieme di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, incluso l’assorbimento degli interventi del 2014 e del 2020 riguardanti il lavoro dipendente.
In alternativa, come opzione meno preferita, si suggerisce l’adozione di un sistema ad aliquota continua con particolare riferimento alle fasce di reddito medie.
Dovrebbe essere prevista l’introduzione di un minimo esente senza obbligo di dichiarazione, preferenzialmente inteso come una maxi-deduzione a valere su tutta la distribuzione dei redditi (o su parte di essa) adeguando corrispondentemente il livello delle aliquote. Tale minimo esente dovrebbe essere maggiorato in caso di lavoratori di età inferiore ai 35 anni.
In subordine, per ragioni di copertura, dovrebbe essere introdotto con la sola finalità di ridurre il carico burocratico; il vantaggio fiscale nei confronti dei lavoratori under 35 potrebbe assumere la forma di una maggiorazione della deduzione fissa per lavoro dipendente, che dovrebbe sostituire l’attuale detrazione. Si ritiene altresì necessario prendere in adeguata considerazione le casistiche imposte dai trattati internazionali contro le doppie imposizioni.
Per quanto concerne le spese fiscali relative al consumo di particolari beni o servizi, le Commissioni ritengono indispensabile che il disegno di legge delega contenga le necessarie premesse per una azione volta alla riduzione della loro numerosità e alla semplificazione, eliminando le spese fiscali il cui beneficio pro-capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore ad una soglia appositamente determinata e trasferendo (in modo completo o parziale) il complesso delle agevolazioni sul lato della spesa, attraverso un meccanismo volontario di erogazione diretta del beneficio a fronte del pagamento con strumenti tracciabili.
Per quanto riguarda le addizionali degli enti territoriali, si ritiene necessario la loro trasformazione in sovraimposte aventi come base imponibile il debito di imposta erariale, e non la stessa base imponibile Irpef, la cui manovrabilità rimarrebbe in capo all’ente territoriale all’interno di un range predefinito. Per quanto attiene al federalismo fiscale, le Commissioni ritengono necessario sia adeguarne i principi ispiratori ai pilastri di autonomia e responsabilità, sia prevederne una completa attuazione, con particolare riferimento all’applicazione dei fabbisogni standard, della capacità fiscale e dei livelli essenziali delle prestazioni.
Le Commissioni ritengono opportuno che il sistema fiscale italiano conservi un regime agevolato e semplificato per le piccolissime imprese ed i lavoratori autonomi a un livello di fatturato di 65.000 euro all’anno e aliquota proporzionale al 15%, tranne per i primi cinque anni (aliquota al 5%). Al contempo, si ritiene utile l’introduzione di un meccanismo transitorio che accompagni il contribuente verso la transizione al regime ordinario di tassazione IRPEF.
In particolare, ove il contribuente in un determinato periodo di imposta consegua un ammontare di ricavi o compensi superiore all’attuale soglia di 65.000 euro, ma inferiore ad un tetto opportunamente individuato, si raccomanda l’introduzione di un regime opzionale - con scelta irrevocabile - per la continuazione del regime forfettario nei due periodi di imposta successivi, a condizione che in ciascuno di detti periodi di imposta si dichiari un volume d’affari incrementato di almeno il 10% rispetto a quello di ciascun anno precedente. Conseguentemente, le aliquote dell’imposta sostitutiva previste per i cd. forfettari possono essere aumentate, per il biennio in questione, rispettivamente, dal 15 al 20 e dal 5 al 10 per cento. In tale ipotesi si raccomanda di prevedere la limitazione dei poteri di accertamento dell'Agenzia delle Entrate effettuato sulla base delle scritture contabili per il periodo di vigenza dell'opzione. Al termine del biennio agevolato, i contribuenti che hanno esercitato l’opzione fuoriuscirebbero definitivamente dal regime forfettario.
Con riferimento ai versamenti dei lavoratori autonomi, si concorda sulla necessità di istituire un meccanismo di rateizzazione opzionale, destinato alle persone fisiche, società di persone o di capitali ovvero associazioni (di cui all’articolo 5 TUIR) tenute al versamento di saldo e acconto con riferimento alla dichiarazione dei redditi e alla dichiarazione Irap. La rateizzazione dovrebbe comportare il versamento del saldo e del primo acconto in sei rate mensili di uguale importo da luglio a dicembre dello stesso anno; il versamento del secondo acconto o in un’unica soluzione entro il 31 gennaio dell’anno seguente o in sei rate mensili di pari importo da gennaio a giugno dell’anno seguente, senza sanzioni e/o interessi. Tale misura dovrebbe essere accompagnata dalla contestuale eliminazione o sostanziale riduzione della ritenuta d’acconto.
Per incentivare la crescita dimensionale delle realtà produttive più piccole si raccomanda la re-introduzione del regime opzionale IRI, con la possibilità per le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria di optare per l’applicazione di un’aliquota proporzionale, a condizione che l’utile prodotto sia re-investito in azienda, ferma restando la possibilità di dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci per la distribuzione, a sua volta tassata ordinariamente in Irpef.
Con riferimento alla tassazione dei redditi di natura finanziaria le Commissioni reputano importante considerare un pacchetto organico che includa i seguenti interventi:
§ l’accorpamento delle categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi” in un’unica categoria denominata “redditi finanziari”, prevedendo contestualmente gli opportuni presidi per evitare elusioni attraverso la realizzazione strumentale di minusvalenze;
§ l’estensione al risparmio gestito del criterio di determinazione della base imponibile sulla base dei risultati realizzati;
§ l’applicazione alla previdenza complementare del modello che prevede l’esenzione dall’imposta sostitutiva sul risultato netto maturato, considerando al contempo la modifica del regime di tassazione per la fase di erogazione delle prestazioni.
Nell’ottica di una semplificazione del sistema tributario, e all’interno di un complessivo quadro di riforma in cui valutare gli aspetti di redistribuzione del carico fiscale, le Commissioni concordano sulla necessità di una riforma che porti al superamento dell’Irap con un riassorbimento del relativo gettito tributi attualmente esistenti, preservando la manovrabilità da parte degli enti territoriali e il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, senza caricare di ulteriori oneri i redditi da lavoro dipendente e assimilati.
Si esprime inoltre l’esigenza di avviare una complessiva opera di semplificazione dell’Imposta sul Reddito delle Società (Ires), concentrandosi su tre incentivi:
a) incentivi a comportamenti in linea con la transizione ecologica;
b) incentivi alle aggregazioni di realtà imprenditoriali di dimensioni minori;
c) incentivi al re-investimento dell’utile per il miglioramento della produttività aziendale e alla creazione di posti di lavoro.
Tali incentivi, a parere delle Commissioni, potrebbero prendere la forma, alternativamente, di una riduzione dell’aliquota o della base imponibile, e dovrebbero riassumere le altre tipologie di incentivo attualmente presenti.
Si ritiene inoltre utile considerare l’introduzione del meccanismo cosiddetto “carry back” delle perdite, in virtù del quale consentire la deducibilità delle perdite maturate in un determinato esercizio non solo dagli esercizi successivi (come attualmente previsto dall’art. 84 del TUIR) ma anche dall’esercizio immediatamente precedente.
Le Commissioni auspicano altresì l’estensione soggettiva del regime di “adempimento cooperativo” (cooperative compliance), introdotto in Italia dal D.Lgs. n. 128/2015, in particolare alle società con fatturato non inferiore ad un miliardo di euro.
Le Commissioni auspicano inoltre che siano introdotte ulteriori forme di promozione della transizione ecologica, argomento al centro del programma Next Generation EU e, conseguentemente, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Al riguardo si ritiene necessario considerare un pacchetto di misure che includa i seguenti interventi:
a) il riordino, la semplificazione e la stabilizzazione delle misure per la riqualificazione energetica e antisismica degli edifici privati, al fine di fornire un quadro certo e chiaro alle famiglie e alle imprese, che comprenda la possibilità di cessione dei relativi crediti fiscali;
b) il potenziamento degli incentivi per interventi di decarbonizzazione e riqualificazione ambientale e la progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l’ambiente, evitando aggravi di costi per le imprese e vincolando le risorse risparmiate alla riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese;
c) un aumento del limite alla detraibilità dell’Ivae (attualmente fissato al 40%) per tutti i veicoli a basse emissioni;
d) la rimodulazione del regime di tassazione ambientale – a parità di gettito - in coerenza con le linee guida europee e gli obiettivi stabiliti dal Green Deal UE, di progressiva riduzione - fino all’azzeramento - delle emissioni nette di CO2 prevedendo, al fine di evitare effetti regressivi per le persone fisiche e penalizzanti per le imprese, adeguati meccanismi di compensazione e premialità in grado di accompagnare famiglie e imprese nel processo di transizione ecologica.
Relativamente all’Iva, le Commissioni ritengono opportuno che il disegno di legge in materia fiscale contenga una specifica delega per la relativa ridefinizione, con finalità di semplificazione e riduzione dell’aliquota ordinaria.
Il documento conclusivo delle Commissioni si occupa altresì dei rapporti tra fisco e contribuenti, auspicando un cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente. Se da un lato si ritiene che lo Stato debba allontanare la tendenza a considerare il contribuente un “evasore non ancora scoperto” e al contempo rendere più efficienti i propri comportamenti, il contribuente dovrebbe pienamente internalizzare il beneficio collettivo che deriva dal pagamento dei tributi, nella forma dell’erogazione di beni e servizi pubblici.
Occorre dunque un nuovo “patto fiscale” tra Stato e cittadini, per la cui costruzione occorre:
§ la “chiusura del perimetro” dell’obbligo di fatturazione elettronica, da estendere ai soggetti attualmente esentati ed escludendo le possibili eccezioni all’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri. Al riguardo, la digitalizzazione del fisco è ritenuto lo strumento maggiormente efficace nel contrasto all’evasione fiscale: viene supportato l’approccio strategico esplicitamente contenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza;
§ parallelamente alla digitalizzazione, una riduzione degli adempimenti per i professionisti, imprese e intermediari, valutando il meccanismo del cosiddetto “reverse charge” con riferimento all’effettivo impatto della misura sul recupero del gettito evaso;
§ l’informatizzazione e semplificazione degli adempimenti fiscali, anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati, nel rispetto della normativa vigente, anche in materia di dati personali; al contribuente deve essere garantita la conoscibilità dei dati in possesso dell’amministrazione; si auspica la valorizzazione del contraddittorio in sede di accertamento quale presupposto di validità dello stesso. In tale ottica le Commissioni ritengono sia possibile valutare l’introduzione di una nuova norma di principio che imponga agli uffici dell’ente impositore l’obbligo di assolvere ad uno specifico onere motivazionale anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente, dando conto espressamente delle giustificazioni dallo stesso offerte e argomentando puntualmente sulla loro relativa fondatezza; tale norma dovrebbe fare salvi unicamente gli accertamenti parziali fondati esclusivamente su incroci automatizzati di dati presenti nelle banche dati di Anagrafe Tributaria. Per tali ultimi casi, si potrebbe comunque garantire al contribuente la possibilità di presentare un’istanza di autotutela che sospenda i termini per la presentazione del ricorso, con onere della prova a carico dell’ente impositore in ordine alla correttezza dell’incrocio dei dati, motivando puntualmente la risposta in merito agli argomenti difensivi presentati dal contribuente;
§ un meccanismo strutturale di premialità per i contribuenti leali, incluse forme di certificazione del rispetto delle obbligazioni tributarie al fine di riconoscere benefici automatici (quali la riduzione dei termini di controllo e accertamento e dei tempi di rimborso fiscale);
§ superamento del controllo basato sulle presunzioni di reddito o ricavi ove i dati consentano una ricostruzione analitica dei ricavi o dei compensi e il reddito imponibile, con la conferma della partecipazione del contribuente attraverso il contraddittorio obbligatorio. Si ritiene che l'Ufficio debba motivare l'avviso di accertamento emesso, con riferimento ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente e che debba fornire la prova del maggior reddito ricostruito;
§ la rimodulazione dell’apparato sanzionatorio distinguendo analiticamente i casi di omesso versamento per errore da quello di omesso versamento per comprovate condizioni di difficoltà economica e finanziaria;
§ rivoluzione in senso manageriale dell’attività di riscossione verso una gestione del processo produttivo concentrata su efficienza ed efficacia.
Si auspica inoltre un rafforzamento della cooperazione internazionale in materia di fiscalità di impresa, per ridurre il fenomeno dell’erosione della base imponibile e dello spostamento dei profitti con particolare riferimento alle multinazionali del web (c.d. Over The Top), al fine di reperire risorse da destinare alla riduzione del carico fiscale sul lavoro e sui redditi da impresa.
Si ricorda preliminarmente che la componente diretta del prelievo sugli immobili in Italia - imposte sui redditi e patrimoniali – colpisce il reddito effettivo e figurativo, nonché il valore patrimoniale derivato dalle rendite catastali, mentre la componente di imposizione indiretta ha come presupposto una transazione economica.
Il livello di imposizione è diverso sia in funzione della natura degli immobili (terreni, fabbricati a uso abitativo, industriale o commerciale) sia dei soggetti passivi (da un lato, imprese e professionisti; dall’altro, soggetti che non esercitano attività di impresa e di lavoro autonomo). Nel sistema tributario italiano esiste, inoltre, un’importante distinzione tra l’abitazione principale, destinata a soddisfare l’esigenza abitativa e le altre unità immobiliari possedute a scopo produttivo, d’investimento o tenute a disposizione.
L’abitazione principale, a partire dal 2001, non concorre alla formazione del reddito ai fini Irpef e gode di importanti agevolazioni fiscali, tra cui la detraibilità di parte degli interessi passivi sui mutui ipotecari contratti per l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione dell’immobile. Il trattamento fiscale dell’abitazione principale è stato oggetto di numerosi interventi normativi, negli ultimi anni. La legge di bilancio 2020, nell’unificare IMU e TASI, ha mantenuto l’esenzione dall’imposta per la cd. “prima casa” del contribuente.
Il regime di tassazione degli investimenti immobiliari è misto: una tassazione proporzionale al 21 per cento (cosiddetta cedolare secca, ridotta al 10 per cento in alcuni casi) si può applicare sui canoni di locazione degli immobili residenziali; i redditi da locazione degli immobili ad uso commerciale sono soggetti ad Irpef (per i contratti conclusi nel 2019 è possibile optare per la cedolare secca); i redditi figurativi degli immobili non locati sono esclusi dall’imposta sui redditi, ad eccezione dei redditi figurativi degli immobili non locati siti nello stesso comune di quello dell’abitazione principale, soggetti a Irpef per la metà del reddito determinato catastalmente.
Il gettito complessivo della tassazione immobiliare, secondo gli ultimi dati forniti dall’Agenzia delle entrate, è stimato nell’ordine di 40 miliardi di euro annui, dei quali le imposte di natura reddituale pesano per il 21 per cento (8,56 mld), quelle di natura patrimoniale per il 49 per cento (19,81 mld) e quelle sui trasferimenti e sulle locazioni per il restante 30 per cento (trasferimenti per circa 11,5 mld).
Numerose ragioni hanno indotto a ritenere le imposte immobiliari come le fonti più adatte al finanziamento degli enti locali. Anzitutto, tale considerazione discende dal principio del beneficio (chi paga l’imposta può mettere in relazione l’entità del prelievo con i servizi forniti dal governo locale), nonché dal rischio contenuto di concorrenza fiscale e dalla certezza di gettito. Inoltre, la prossimità della base imponibile al livello di governo municipale comporta specifici vantaggi in termini di accertamento delle imposte e, dunque, di tax compliance.
Dall’altro lato, il sistema delle entrate comunali presenta un quadro complesso a causa del sovrapporsi di numerosi interventi normativi, anche con carattere di urgenza, che hanno più volte modificato la disciplina di tributi locali immobiliari. L’assetto normativo è dunque caratterizzato da elementi di transitorietà, ulteriormente confermati dalle disposizioni intervenute nel corso del 2020.
Nel corso dell’ultimo anno la tassazione immobiliare locale ha infatti subito un complessivo riordino. In occasione della manovra 2020 (decreto fiscale 2019 e legge di bilancio 2020) sono state modificate la disciplina positiva di tale forma di prelievo, nonché quella di altri tributi e canoni comunali; è stata incentivata la partecipazione dei comuni all’attività di accertamento e riscossione dei tributi e, inoltre, è stato riformato il sistema della riscossione delle entrate degli enti locali (per cui cfr. il relativo paragrafo).
La legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi da 738 a 783 della legge n. 160 del 2019) ha riformato l'assetto dell'imposizione reale immobiliare, unificando le due previgenti forme di prelievo - IMU e TASI - e facendo confluire la relativa normativa in un unico testo, relativo all’Imposta Municipale Propria – IMU.
Tale disciplina ha sostanzialmente recepito le proposte già avanzate in sede parlamentare e giunte all'esame delle competenti Commissioni permanenti; si tratta dell'A.C. 1429, cui sono stati successivamente abbinati l'A.C. 1904 e l'A.C. 1918.
Con riferimento alla disciplina positiva dell’imposta, l’aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, sostanzialmente la somma delle precedenti IMU e TASI, e può essere manovrata dai comuni a determinate condizioni. Sono introdotte modalità di pagamento telematiche.
La legge di bilancio 2020, tra le principali innovazioni:
§ ha concesso di dedurre completamente l'IMU sugli immobili strumentali già dal 2022, rimodulando le deduzioni per gli anni 2020 e 2021 (rispettivamente pari al 60 per cento)
§ ha eliminato la possibilità di avere due abitazioni principali, una nel comune di residenza di ciascun coniuge;
§ ha precisato che il diritto di abitazione assegnata al genitore affidatario è considerato un diritto reale ai soli fini dell'IMU;
§ ha chiarito gli effetti tributari delle variazioni di rendita catastale (quelle intervenute in corso d'anno, a seguito di interventi edilizi sul fabbricato, producono effetti dalla data di ultimazione dei lavori, o, se antecedente, dalla data di utilizzo);
§ ha precisato il valore delle aree fabbricabili (è quello venale al 1° gennaio ovvero dall'adozione degli strumenti urbanistici in caso di variazione in corso d'anno);
§ ha consentito ai comuni di affidare, fino alla scadenza del contratto, la gestione dell'IMU ai soggetti ai quali, al 31 dicembre 2019, era affidato il servizio di gestione della vecchia IMU o della TASI.
La medesima legge di bilancio 2020 ha istituito, dal 2021, il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, per riunire in una sola forma di prelievo le entrate relative all’occupazione di aree pubbliche e la diffusione di messaggi pubblicitari, e il canone unico patrimoniale di concessione per l’occupazione nei mercati, che dal 2021 sostituisce la TOSAP, il COSAP e, limitatamente ai casi di occupazioni temporanee, anche la TARI.
Con riferimento all’IMU, accanto alle misure di natura transitoria legate all’emergenza da COVID-19, si ricorda che la legge di bilancio 2021 ha introdotto una modifica operante a regime che prevede la riduzione a metà dell'IMU dovuta sull'unica unità immobiliare, purché non locata o data in comodato d'uso, posseduta in Italia a titolo di proprietà o usufrutto da soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che siano titolari di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l'Italia. Per tali immobili la TARI o l'equivalente tariffa è applicata nella misura di due terzi (commi 48-49).
Simile all’IMU nella struttura e nei lineamenti fondamentali è l’IVIE, istituita dal decreto-legge n. 201 del 2011, che grava sugli immobili siti all’estero.
Nel dibattito politico-fiscale relativo sulla tassazione degli immobili rivestono un ruolo chiave le agevolazioni fiscali (tax expenditures) per l’edilizia, con particolare riferimento alle detrazioni Irpef per la ristrutturazione e la riqualificazione energetica degli edifici.
Tali misure sono state prorogate di anno in anno, con specifiche rimodulazioni della misura e dei limiti di tali benefici.
Da ultimo il comma 37 della legge di bilancio 2022, modifica l'articolo 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, in materia di interventi di ristrutturazione edilizia, prorogando al 31 dicembre 2024 la misura della detrazione al 50 per cento, fino ad una spesa massima di 96.000 euro, per gli interventi di ristrutturazione edilizia indicati dall'articolo 16-bis, comma 1, del TUIR ovvero interventi di:
- manutenzione ordinaria (solo sulle parti comuni di edifici residenziali), straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia (sulle parti comuni di edificio residenziale e sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale);
- ricostruzione o ripristino dell'immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi;
- realizzazione di autorimesse o posti autopertinenziali;
- eliminazione delle barriere architettoniche;
- prevenzione del compimento di atti illeciti da parte di terzi;
- cablatura degli edifici e al contenimento dell'inquinamento acustico;
- risparmio energetico con particolare riguardo all'installazione di impianti basati sull'impiego delle fonti rinnovabili di energia;
- adozione di misure antisismiche;
- bonifica dall'amianto e opere volte ad evitare gli infortuni domestici.
Sono altresì prorogate al 31 dicembre 2024 le detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici (“ecobonus” ordinario del 50 o 65% a seconda del tipo di lavoro ed “ecobonus parti comuni” del 70-75% ovvero dell’80-85% in caso di opere finalizzate anche alla riduzione del rischio sismico), nonché per quelli volti all’adozione di misure antisismiche e l’esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica degli edifici.
Il comma 38 inoltre proroga fino al 2024 l'agevolazione fiscale del 36 per cento della spesa sostenuta, nel limite di spesa di 5.000 euro annui, inerente la sistemazione a verde di aree scoperte di immobili privati a uso abitativo.
Il comma 39 sempre della legge di bilancio 2022 proroga per l'anno 2022 anche la detrazione per il recupero o restauro della facciata esterna degli edifici (cd. bonus facciate) riducendo dal 90 al 60 la percentuale di detraibilità.
In aggiunta a tali interventi, il decreto legge n.34 del 2020 (cd. decreto Rilancio) ha introdotto il cd. superbonus, che consiste nella possibilità di detrarre il 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici.
Il comma 28 della legge di bilancio 2022 ha modificato sostanzialmente la disciplina di questa ultima agevolazione fiscale, introducendo una serie di proroghe della misura con scadenze differenziate in base al soggetto beneficiario. In sintesi per gli interventi effettuati:
- dai condomini,
- dalle persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività di impresa, arte o professione, con riferimento agli interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche, compresi quelli effettuati dalle persone fisiche sulle singole unità immobiliari all'interno dello stesso condominio o dello stesso edificio,
- dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, dalle organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri
il beneficio, da ripartire in quattro quote annuali di pari importo, spetta ancora nella misura del 110% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2023, nella misura ridotta al 70% per le spese sostenute nel 2024 e in quella ulteriormente ridotta al 65% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2025. Tale beneficio si applica anche agli interventi effettuati su edifici oggetto di demolizione e ricostruzione;
- da persone fisiche sugli edifici unifamiliari, la detrazione del 110% spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 a condizione che al 30 giugno siano stati effettuati lavori per almeno il 30% dell'intervento complessivo;
- dagli Iacp su immobili, di proprietà o gestiti per conto dei comuni, adibiti a edilizia residenziale pubblica, ovvero dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa su immobili assegnati in godimento ai propri soci, la detrazione è confermata al 110% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2023, purché, al 30 giugno 2023, siano stati eseguiti lavori per almeno il 60% dell'intervento complessivo.
Per gli interventi effettuati nei comuni dei territori colpiti da eventi sismici dal 1° aprile 2009, laddove sia stato dichiarato lo stato di emergenza, la detrazione spetta comunque nella misura del 110% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2025.
Per ulteriori informazioni sull’agevolazione si rinvia al dossier tematico sul superbonus.
La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare - mediante copertura integrale dei costi - il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. In via transitoria, la superficie delle unità immobiliari assoggettabile alla TARI è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati.
I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo.
La TARI è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 per sostituire il precedente tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2). La legge di bilancio per il 2020, nel ridisciplinare l’imposizione immobiliare locale, ha fatto salve la TARI e la relativa disciplina.
Per la determinazione della tariffa sono stati applicati i criteri determinati con DPR 158 del 1999 (cd. metodo normalizzato) ovvero, in via transitoria, è stato consentito ai comuni di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti.
Entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione il consiglio comunale deve approvare le tariffe in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio.
Il decreto legge n. 124 del 2019 ha prorogato fino a diversa regolamentazione disposta dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) tale modalità di commisurazione della tariffa sulla base del criterio medio-ordinario (in luogo dell’effettiva quantità di rifiuti prodotti). Il provvedimento ha disposto l'accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati per gli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate.
La legge di bilancio 2018 (legge 205 del 2017, comma 527) ha affidato ad Arera il compito di regolare il settore dei rifiuti, con riguardo al miglioramento del servizio agli utenti, all’omogeneità tra le aree del Paese, alla valutazione dei rapporti costo-qualità e all’adeguamento infrastrutturale.
Con delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif è stato quindi definito il nuovo metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti. In particolare, l’articolo 2 definisce le seguenti componenti tariffarie del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani:
a) costi operativi, intesi come somma dei costi operativi di gestione delle attività di spazzamento e di lavaggio, di raccolta e di trasporto di rifiuti urbani indifferenziati, di trattamento e di smaltimento, di raccolta e di trasporto delle frazioni differenziate, di trattamento e di recupero, nonché di oneri incentivanti il miglioramento delle prestazioni;
b) costi d’uso del capitale; intesi come somma degli ammortamenti delle immobilizzazioni, degli accantonamenti ammessi al riconoscimento tariffario, della remunerazione del capitale investito netto riconosciuto e della remunerazione delle immobilizzazioni in corso;
c) componente a conguaglio relativa ai costi delle annualità 2018 e 2019.
La determinazione delle componenti tariffarie è effettuata in conformità al predetto metodo Tariffario, di cui all’Allegato A della delibera.
Si prevede un primo periodo di regolazione dal 1° aprile 2020 al 31 dicembre 2023 (in modo sperimentale per tutto il 2020). Per i Comuni sotto i 5 mila abitanti il muovo metodo si applica dal gennaio 2021.
Si ricorda infine che la Banca d’Italia ha analizzato (Il prelievo locale sui rifiuti in Italia: benefit tax o imposta patrimoniale (occulta)?) le caratteristiche della Tari sia in termini di efficienza che in termini di equità, avvalendosi di una simulazione sui dati dell'indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia. L'Istituto rileva che la Tari non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti e presenta effetti redistributivi peculiari a sfavore dei nuclei con redditi più bassi; una riconfigurazione del prelievo in chiave tariffaria porterebbe quindi benefici non solo in termini di efficienza - per gli incentivi ad un utilizzo più responsabile delle risorse pubbliche e di quelle ambientali - ma anche in termini di equità, poiché rimuoverebbe i profili di regressività dell'attuale tariffa.
Nel corso del tempo numerose norme (da ultimo la legge di bilancio 2021 e il decreto legge Sostegni-bis, decreto-legge n. 73 del 2021) hanno prorogato la facoltà di rideterminare ai fini fiscali i valori delle partecipazioni possedute in società non quotate e dei terreni (sia agricoli sia edificabili), sulla base di una perizia giurata di stima, assoggettando il valore rideterminato a imposta sostitutiva rateizzabile.
Tale istituto, introdotto dalla legge finanziaria 2002, permette di rideterminare i predetti valori agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze assoggettate alle imposte sui redditi.
La legge di bilancio 2021, con riferimento al valore delle aliquote per la determinazione dell'imposta sostitutiva menzionato, ha previsto un'unica aliquota all'11 per cento sulla rideterminazione di valore delle partecipazioni in società non quotate e dei terreni.
Anche l'imposizione sui trasferimenti immobiliari, mediante atto tra vivi (donazione o compravendita) o successione ereditaria, è stata oggetto di modifiche nel corso degli ultimi anni, sia al fine di razionalizzarne la misura e le modalità applicative, sia per contrastare la crisi del settore immobiliare attraverso la leva fiscale.
La finalità di razionalizzazione è stata perseguita (articolo 26 del decreto-legge n. 104 del 2013, che ha novellato l'articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011 sul c.d. federalismo municipale) modificando, dal 1° gennaio 2014, la misura delle imposte di registro, ipotecaria e catastale relative ai trasferimenti immobiliari: si applica oggi un'aliquota unica, pari al 9 per cento, per tutti i trasferimenti immobiliari ad eccezione della casa adibita ad abitazione principale non "di lusso", che invece sconta le predette imposte con aliquota agevolata al 2 per cento. È stato elevato da 168 a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti quei casi in cui esso sia stabilito in misura fissa.
Nel dettaglio i trasferimenti immobiliari in Italia, a legislazione vigente, sono assoggettati alle:
- imposte sul trasferimento degli immobili a titolo oneroso, ovvero Iva, imposte di registro e di bollo e imposte ipotecarie e catastali. In particolare, le imposte ipotecarie e catastali sono stabilite in somma fissa per i trasferimenti onerosi e in percentuale per la parte non agevolata di successioni e donazioni. Inoltre, negli anni più recenti, le aliquote Iva del 4 per cento sull’acquisto dell’abitazione principale (n. 21 della tabella A, parte II, allegata al Dpr n. 633/1972) e del 10 per cento sugli acquisti di immobili non di lusso che non rientrano nell’ambito dell’agevolazione sull’abitazione di residenza (n. 127-undecies della tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/1972) sono rimaste invariate, mentre l’aliquota applicata agli acquisti dei fabbricati di lusso, che è l’aliquota ordinaria, è aumentata progressivamente fino al 22 per cento. L’imposta sugli atti traslativi a titolo oneroso esenti da Iva è stata modificata, come ricordato, nel 2014, con una riduzione dell’incidenza della tassazione immobiliare complessiva, dal 10 per cento al 9 per cento, e, in particolare, della tassazione relativa all’abitazione principale, dal 3 per cento al 2 per cento (il sopra citato articolo 10 del d.lgs. 14 marzo 2011, che modifica, a decorrere dal 2014, l’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986);
- imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito, ovvero su successioni e donazioni. È anzitutto prevista una franchigia di un milione di euro per i parenti in linea retta e di 100 mila euro per fratelli e sorelle e il prelievo varia a seconda del grado di parentela tra cedente e beneficiario, con un’aliquota compresa tra il 4 per cento e l’8 per cento, cui si aggiungono le imposte ipotecarie e catastali rispettivamente fissate al 2 per cento e all’1 per cento (per le successioni: articolo 2, comma 48, decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262; per le donazioni: comma 49 del medesimo decreto.
Più nello specifico i trasferimenti immobiliari sono assoggettati ad imposta di registro sul corrispettivo pagato ovvero, su richiesta dell’acquirente al notaio rogante, sul valore catastale del fabbricato. Per le cessioni dei fabbricati a uso abitativo e delle relative pertinenze, effettuate nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, l’acquirente può scegliere - richiedendolo al notaio rogante - di calcolare l’imposta di registro sul valore catastale del fabbricato, anziché sul corrispettivo pagato. Quando la vendita della casa è soggetta a Iva la base imponibile è costituita dal prezzo della cessione come stabilito dall’articolo 43 del Testo unico sull’imposta di registro (TUR) che prevede che la base imponibile, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, è costituita dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto e, in base all’articolo 51 dello stesso TUR, in caso di atti riguardanti i beni immobili o i diritti reali immobiliari, per valore deve intendersi il valore venale in comune commercio. Successivamente l’articolo 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005 ha stabilito che, in deroga al sopra citato articolo 43, per i trasferimenti immobiliari, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la base imponibile può essere costituita dal valore catastale dell’immobile, indipendentemente dal corrispettivo pattuito nell’atto (cosiddetto prezzo-valore).
Si ricorda che il valore catastale dei fabbricati a uso abitativo (diversi dalla prima casa) si determina moltiplicando la rendita catastale (rivalutata del 5%) per il coefficiente 120. Nel caso di acquisto di prima casa il valore catastale si determina moltiplicando la rendita catastale (rivalutata del 5%) per il coefficiente 110.
L’aliquota è pari al 9 per cento, che scende al 2 per cento per la casa adibita ad abitazione, ove non di lusso, con esclusione cioè di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9. a cui vanno aggiunte le imposte catastale e ipotecaria, nella misura di 50 euro ciascuna, per le operazioni di vendita fra privati o impresa con vendita esente da Iva, e nella misura di 200 euro ciascuna se soggette a Iva.
Se il venditore è un’impresa, i trasferimenti sono soggetti a Iva del 10% (22% in caso di abitazioni di lusso), che scende al 4% ove sussistano i requisiti di prima casa.
Si ricorda che la cessione è soggetta a Iva nei seguenti casi:
- vendite effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino dei fabbricati entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento, oppure anche dopo i 5 anni se il venditore sceglie di sottoporre la cessione a Iva (la scelta va espressa nell’atto di vendita);
- vendite di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali, per le quali il venditore sceglie di sottoporre la cessione a Iva (anche in questo caso, la scelta va espressa nell’atto di vendita).
Si applica, infine, l’aliquota del 15 per cento per i trasferimenti di terreni agricoli a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986).
In caso di trasferimento di proprietà per successione e donazione si applica l’imposta ipotecaria nella misura del 2% e l’imposta catastale nella misura dell’1% del valore dell’immobile. Ove si tratta di prima casa il beneficiario sostiene le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna (articolo 69, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342).
Recentemente l’articolo 7 del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (decreto crescita) ha introdotto un regime di tassazione agevolata per incentivare gli interventi su vecchi edifici, allo scopo di conseguire classi energetiche elevate e il rispetto delle norme antisismiche. Esso consiste nell’applicazione dell'imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa sui trasferimenti di detti beni. In particolare si dispone in via temporanea (sino al 31 dicembre 2021) l’applicazione dell'imposta di registro e delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna, per i trasferimenti di interi fabbricati a favore di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare che entro i successivi dieci anni provvedono: alla demolizione e ricostruzione, anche con variazione volumetrica rispetto al fabbricato preesistente ove le norme urbanistiche vigenti consentano tale variazione oppure agli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, nonché agli interventi di ristrutturazione edilizia, come definiti dal TU edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d), e all'alienazione degli stessi.
Da tempo le principali organizzazioni internazionali (OCSE, Commissione Europea e Fondo Monetario Internazionale) hanno elaborato raccomandazioni di politica fiscale basate su un ridisegno della composizione del prelievo, a invarianza di gettito complessivo, in modo da salvaguardare gli equilibri di bilancio. Il tax shift più favorevole alla crescita si sostanzierebbe nella sostituzione graduale delle imposte sul capitale e sul lavoro con imposte indirette sui consumi e sul patrimonio.
Attualmente le imposte patrimoniali più rilevanti sono l’Imu, l’imposta di bollo sui prodotti finanziari e le omologhe imposte per i beni detenuti all’estero. Nel 2018, il gettito complessivo di queste imposte è stato pari a circa 23 miliardi di euro (di cui circa 18,7 dovuti all’Imu e 4,5 all’imposta di bollo sui prodotti finanziari).
Anche il trasferimento della ricchezza è soggetto a prelievi. Tra questi ultimi rientrano: le imposte sulle successioni e sulle donazioni; le imposte di registro, ipotecarie e catastali nel caso di trasferimento di immobili; l’imposta sulle transazioni finanziarie in azioni e derivati su azioni.
Le istituzioni europee, sin dall’insorgere della crisi economica internazionale del 2007, hanno evidenziato l'apprezzamento per le politiche che intendono ridurre la tassazione del lavoro in favore di un aumento della tassazione indiretta e patrimoniale (anche immobiliare), nella convinzione che questo passaggio possa incrementare l'occupazione e gli investimenti. Con particolare riferimento all’Italia, le istituzioni UE da tempo suggeriscono di rivedere la base imponibile delle imposte immobiliari, in modo da allineare il valore catastale ai valori di mercato.
Anche i ricercatori del Fondo Monetario Internazionale (Andrle M. et al, 2018) hanno rilevato come in Italia il sistema tributario sia caratterizzato da un elevato cuneo fiscale, da una base imponibile relativamente ristretta e da un significativo arretrato fiscale. Una strategia di devaluation - ossia di passaggio dalla tassazione dei fattori produttivi all’imposizione sui consumi e sulla proprietà – è ritenuta in grado di abbassare significativamente il cuneo fiscale, ridurre il tax gap (sia in termini di adempimento spontaneo dell’obbligo tributario che di politica fiscale) e migliorare la riscossione delle imposte, razionalizzando le spese fiscali, innalzando il gettito e reintroducendo una moderna tassazione patrimoniale. Il citato working paper del Fondo Monetario Internazionale ritiene a tal fine necessaria l’introduzione di una moderna forma di prelievo sulla proprietà immobiliare e, in particolare, sulla cd. prima casa, ossia la residenza principale del contribuente, a tal fine aggiornando i valori catastali.
Le recenti Country Specific Recommandations verso i Paesi membri (Consiglio UE, 2019) hanno al riguardo evidenziato due elementi specifici: anzitutto, come si è visto, l’assenza di una imposta patrimoniale ricorrente sulla prima casa; dall’altro lato la mancanza di aggiornamento dei valori catastali dei terreni e dei beni, che costituiscono la base per il calcolo dell’imposta sui beni immobili. La Raccomandazione 1 del 2019, coerentemente agli anni precedenti, invita l’Italia a spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati.
La legge delega sulla revisione del sistema fiscale (A.C. 3343), all’articolo 6, delega il Governo all’adozione di norme finalizzate a modificare il sistema di rilevazione catastale degli immobili, prevedendo nuovi strumenti da porre a disposizione dei comuni e all’Agenzia delle entrate, atti a facilitare l'individuazione e il corretto classamento degli immobili. La norma indica altresì i principi e i criteri direttivi che dovranno essere utilizzati per l’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati (da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026). In particolare tale integrazione dovrà attribuire all’unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita attualizzata, rilevati in base ai valori di mercato, anche attraverso meccanismi di adeguamento periodico. Per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico sono, inoltre, da introdurre adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario considerati i più gravosi oneri di manutenzione e conservazione. Tali informazioni non dovranno essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi derivanti dalle risultanze catastali.
Un recente tentativo di riforma (non concluso) era stato introdotto dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 (cd. delega fiscale), che si prefiggeva - attraverso la riforma del catasto degli immobili (articolo 2) - di correggere le sperequazioni delle attuali rendite, accentuate a seguito dell'introduzione di un nuovo moltiplicatore per il calcolo dell'imposta municipale sperimentale (IMU). Tra i principi e criteri per la determinazione del valore catastale la delega indicava, in particolare, la definizione degli ambiti territoriali del mercato, nonché la determinazione del valore patrimoniale utilizzando il metro quadrato come unità di consistenza in luogo del numero dei vani. Si intendeva assicurare il coinvolgimento dei comuni nel processo di revisione delle rendite, anche al fine di assoggettare a tassazione gli immobili ancora non censiti.
Tale riforma sarebbe avvenuta a invarianza di gettito, tenendo conto delle condizioni socio-economiche e dell'ampiezza e composizione del nucleo familiare, così come riflesse nell'ISEE, da rilevare anche attraverso le informazioni fornite dal contribuente, per il quale erano previste particolari misure di tutela anticipata in relazione all'attribuzione delle nuove rendite, anche nella forma dell'autotutela amministrativa. Era inoltre previsto un meccanismo di monitoraggio da parte del Parlamento del processo di revisione delle rendite.
Si prevedeva un regime fiscale agevolato per la messa in sicurezza degli immobili, in particolare per la realizzazione di opere di adeguamento degli immobili alla normativa in materia di sicurezza e di riqualificazione energetica e architettonica.
Contestualmente la legge intendeva aggiornare i trasferimenti perequativi ai comuni e si proponeva di ridefinire le competenze delle commissioni censuarie, in particolare attribuendo loro il compito di validare le funzioni statistiche (pubblicate al fine di garantire la trasparenza del processo estimativo) utilizzate per determinare i valori patrimoniali e le rendite, nonché introducendo procedure deflattive del contenzioso.
Tuttavia, la delega è stata attuata solo con riferimento alla composizione, alle attribuzioni e al funzionamento delle Commissioni censuarie, mediante il Decreto Legislativo n. 198 del 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio 2015.
Il D.M. 27 maggio 2015, pubblicato nella G.U. del 4 giugno 2015, ha individuato i criteri per la designazione, da parte dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, dei componenti delle sezioni delle commissioni censuarie locali e centrale. Per maggiori dettagli si rinvia alla recente audizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate pro tempore nell’ambito della citata Indagine conoscitiva sulla fiscalità immobiliare.
Il Sistema catastale italiano
Il catasto italiano, inventario dei beni immobili presenti nel territorio nazionale, è stato realizzato attraverso la costituzione di due successivi distinti sub-sistemi: il primo - denominato Catasto Terreni - comprendente l’elenco di tutti i terreni di natura agricola ovvero comunque inedificati, il secondo – denominato Catasto Edilizio Urbano - costituito dalle costruzioni di natura civile, industriale e commerciale. La formazione del Catasto Terreni, disposta con la legge 1° marzo 1886, n. 3682, è stata completata nel 1956. Il regolamento per la conservazione del Catasto Terreni è stato approvato con regio decreto 8 dicembre 1938, n. 2153. Il Catasto Terreni è di tipo geometrico-particellare, poiché recante informazioni sia sulla natura geometrica (topografia - forma e consistenza) che sulle caratteristiche tecnico-economiche (caratteristiche tecnico-fisiche e redditi) dell’elemento minimo inventariato e rappresentato in mappa, costituito dalla particella catastale.
La formazione del Catasto Edilizio Urbano, successiva a quella del Catasto Terreni, fu disposta con la legge 11 agosto 1939, n. 1249. Il relativo regolamento di attuazione è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1949, n. 1142. Il Catasto Edilizio Urbano è entrato in conservazione, con regole unitarie in tutto il territorio dello Stato, dal 1° gennaio 1962. Il Catasto dei Fabbricati, istituito con l’emanazione del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557 è l’evoluzione del Catasto Edilizio Urbano; si occupa di tutte le costruzioni, sia urbane che rurali. Nell’archivio censuario del Catasto Edilizio Urbano sono registrati dati di natura tecnico-fisica, giuridica ed economica, associati a ogni unità immobiliare urbana. In sintesi tali dati sono:
-identificazione catastale;
-indirizzo;
-categoria (informazione codificata, connessa alla destinazione d’uso dell’unità immobiliare urbana, che fa riferimento a un quadro generale di qualificazione che comprende differenti categorie organizzate in 5 gruppi identificati con le lettere A - funzioni residenziali e uffici, B - funzioni pubbliche, C - funzioni commerciali e pertinenze, D - funzioni industriali e commerciali speciali ed E - funzioni di interesse collettivo: Vengono censiti anche i beni comuni non censibili che sono strumentali all’utilizzo delle unità immobiliari urbane, inoltre sono censite, per finalità inventariali civilistiche, con categorie “fittizie” del gruppo F, senza attribuzione di rendita catastale);
-classe di redditività (espressa solo per le unità immobiliari censite in una delle categorie dei gruppi A, B e C, è una indicazione codificata, che esprime differenti livelli di potenzialità reddituale);
-consistenza (espressa in modo differente in relazione alla categoria di censimento dell’unità immobiliare urbana. Per le unità censite nelle categorie del gruppo A è espressa in numero di vani utili. Per le unità censite nelle categorie del gruppo B è espressa in metri cubi, mentre per quelle censite nelle categorie del gruppo C, è espressa in metri quadrati di superficie netta. Per le unità censite nelle categorie dei gruppi D ed E, la consistenza non è espressa. In aggiunta ai dati di consistenza originariamente previsti dalla legge istitutiva del Catasto Edilizio Urbano, con riferimento a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, per le unità censite nelle categorie afferenti ai gruppi A, B e C, è stata determinata anche la consistenza in metri quadrati di superficie lorda sviluppata);
-rendita catastale (definita come il reddito ordinario potenzialmente ritraibile dall’unità immobiliare urbana, calcolato al netto delle spese ordinarie di conservazione e perdite eventuali ed al lordo delle imposte).
In sintesi il sistema estimativo del catasto edilizio urbano prevede per le unità immobiliari censite nelle categorie dei gruppi A, B e C, l’individuazione di una o più classi di redditività (operazione definita di classificazione), dove tra una classe e la successiva la variazione di redditività risulta, di norma, non inferiore al 15 per cento, e successivamente la determinazione delle tariffe d’estimo da associare a ogni categoria e classe presente. La metodologia di determinazione della rendita catastale di ogni unità censita si completa attraverso l’attribuzione del “classamento”, che consiste nell’associare a ogni unità la categoria e la classe più pertinenti tra quelle presenti nel prospetto di qualificazione e classificazione del comune in cui è ubicata, tenuto conto dei caratteri posizionali e tipologico-edilizi dell’immobile, nel determinarne la consistenza (in vani, metri quadri o metri cubi in relazione alla categoria di censimento) e, successivamente, nel moltiplicare la tariffa d’estimo accertata per la consistenza dell’unità immobiliare urbana.
Nel tempo si sono avuti alcuni tentativi di intervento normativo sulla disciplina che non sono stati tuttavia portati a termine (ad esempio: la proposta di legge delega per il riordino della tassazione dei redditi di capitale, della riscossione e accertamento dei tributi erariali, del catasto dei fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali A.C. n. 1762 ,oltre alla citata legge delega 11 marzo 2014, n. 23) o che hanno inciso solo su specifici aspetti come l’articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 che stabilisce che fino all’entrata in vigore delle nuove tariffe d'estimo le rendite catastali urbane sono rivalutate del 5 per cento ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili e di ogni altra imposta.
Una revisione parziale del classamento è stata invece disciplinata dalla legge finanziaria del 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311) che, all’art. 1, comma 335, ha previsto la possibilità, per i comuni, di chiedere all’Amministrazione catastale la revisione parziale del classamento degli immobili. L’Agenzia, una volta accertata la sussistenza dei presupposti (l’esistenza di almeno tre microzone catastali nel comune e lo scostamento fra valore medio di mercato e quello medio catastale maggiore o minore almeno del 35% rispetto all’analogo rapporto riferito all'insieme delle microzone comunali), avvia l’attività di riclassamento e revisione delle rendite catastali. La revisione, che può modificare la categoria e la classe dell’unità immobiliare, comporta anche la variazione della rendita catastale che viene successivamente notificata ai soggetti intestatari mediante avvisi di accertamento. I comuni che hanno richiesto all’Agenzia la revisione parziale del classamento sono 17 (tra cui Roma, Milano, Ferrara, Perugia, Bari, Lecce). Le microzone revisionate nelle 17 città sono state complessivamente 38, per un totale di 418.118 unità immobiliari presenti. Le unità immobiliari urbane variate sono state 327.649 (circa il 78% di quelle ubicate nelle microzone anomale), cui è risultato un incremento della rendita catastale di oltre 183 milioni di euro.
In materia di classamento degli immobili l’Ufficio parlamentare di bilancio, nel testo presentato nel corso dell’audizione presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale il 20 ottobre 2021, ha rilevato che: “l’eccessiva ampiezza delle zone censuarie, che non riflette correttamente l’attuale eterogeneità del patrimonio immobiliare e l’obsolescenza della definizione delle categorie catastali sono proprio i principali fattori che condizionano la rappresentatività dell’attuale sistema di rendite rispetto ai valori patrimoniali reali”.
La gestione delle banche dati catastali e lo svolgimento dei relativi servizi sono stati affidati all’Agenzia del Territorio, istituita con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 che ha ereditato le competenze del Dipartimento del Territorio del Ministero delle Finanze. Da ultimo, l'Agenzia del Territorio, dal 1° dicembre 2012, è stata incorporata nell'Agenzia delle Entrate (art. 23-quater, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95).
Per una panoramica sui contenuti del sistema informativo catastale e del patrimonio cartografico, le caratteristiche e le procedure di aggiornamento delle banche dati, le iniziative progettuali e l'offerta di servizi a cittadini, professionisti e istituzioni.si veda il documento: Il sistema catastale (edizione 2021) dell’Agenzia delle entrate. Nel testo citato è presente anche una dettagliata ricostruzione degli strumenti utilizzati ai fini della mappatura degli immobili.
In Italia, il tipo di imposizione diretta che grava sulle attività di impresa è dipendente dalla natura del soggetto passivo (persone fisiche o persone giuridiche) e dall’organizzazione degli stessi (società di persone o di capitali). In linea generale, i lavoratori autonomi e le imprese individuali sono assoggettati a Irpef, mentre le persone giuridiche (con la rilevante eccezione delle società di persone) sono assoggettate a Ires, imposta sui redditi d’impresa.
In linea generale:
- i redditi dei cd. contribuenti forfettari - imprese individuali e lavoratori autonomi con ricavi e compensi fino a 65.000 euro annui - sono assoggettati a tassazione sostitutiva proporzionale (flat), con un’aliquota agevolata del 15% e imponibile determinato forfettariamente, applicando un coefficiente di redditività diverso a seconda del tipo di attività svolta. Non si applicano Irap, Iva e addizionali locali;
- in assenza dei requisiti per rientrare nel regime forfettario, le imprese minori ricadono nel cd. regime di contabilità semplificata, il quale comporta una semplificazione nella tenuta delle scritture previste dal codice civile e, dal punto di vista fiscale, specifiche modalità di determinazione del reddito imponibile. A tali soggetti si applica il sistema di scaglioni e aliquote Irpef; rientrano in tale regime le imprese individuali, le società di persone e gli enti non commerciali, con ricavi inferiori a 400.000 euro (per prestazioni di servizi) o 700.000 euro (per cessione di beni). L’imponibile è determinato sul principio di cassa “impuro”, con alcune componenti reddituali calcolate col principio di competenza;
- al di sopra di specifiche soglie di fatturato, ovvero per le imprese con alcune forme giuridiche, nonché per scelta del contribuente, l’ordinamento prescrive la cd. contabilità ordinaria, a cui si applica di norma il sistema di scaglioni e aliquote Irpef. Qualora l’impresa rientri tra i soggetti individuati dall’art. 73 TUIR, principalmente società di capitali ed enti non residenti si applica l’imposta sui redditi di impresa, Ires, con aliquota proporzionale e unica al 24 per cento (salvo l’applicazione di addizionali previste dalla legge per specifiche categorie di imprese).
Inoltre, gli utili delle società di persone sono soggetti a Irpef, quindi tassati in base all’aliquota marginale del percettore, pertanto con un trattamento fiscale differente rispetto ad altre forme di reddito derivanti da attività produttive. Gli utili distribuiti ai soci delle società di capitale scontano una tassazione con un’aliquota del 43,76%, derivante dal combinato disposto della tassazione a monte – il 24% di Ires – e di quella a valle, la ritenuta del 26% a titolo di imposta sostitutiva. I redditi derivanti da attività finanziarie sono invece sottoposti – come visto supra – ad un’aliquota del 26%.
Così come per l’Irpef, anche con riferimento all’Ires il legislatore ha inteso ridurre il carico fiscale sulle imprese lasciando immutata la struttura fondamentale dell’imposta, incidendo invece sulle aliquote e sul complesso sistema di deduzioni (quindi sulle regole di determinazione delle basi imponibili) nonché sui crediti di imposta.
Accanto alla tassazione dei redditi riveste un ruolo chiave l’Imposta regionale sulle attività produttive - Irap (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446), sia con riferimento alla sua funzione di finanziamento del sistema sanitario nazionale, sia per la sua incidenza sul cd. cuneo fiscale.
Sulla base dei dati più recenti della Commissione europea, nel 2018 in Italia il peso relativo delle imposte sul capitale è stato più alto della media europea (23 per cento contro una media per l’area dell’euro del 21 per cento), così come l’aliquota effettiva di tassazione che si ottiene rapportando tutte le imposte su tale fattore (sui redditi e sullo stock, di famiglie e imprese) al totale dei redditi da capitale (29,2 per cento contro il 23). Considerando la sola tassazione societaria, nel 2018 l’aliquota effettiva media è stata pari in Italia al 24,6 per cento a fronte di una media del 21,7 per cento per l’area dell’euro. Includendo anche la tassazione dei dividendi (ma non quella della ricchezza finanziaria), la stessa aliquota si attestava al 36 per cento (30,2 per cento nell’area dell’euro). Tra gli interventi adottati per ridurre la tassazione del capitale: l’aliquota Ires, passata dal 27,5 al 24 per cento dal 2017; l’Aiuto alla Crescita Economica (ACE), introdotto dal 2011; gli incentivi adottati nell’ambito del piano “Impresa 4.0”.
In merito alla tassazione delle imprese, il disegno di legge delega di riforma fiscale all’articolo 3 delega il Governo all’adozione di norme finalizzate a riformare l'imposizione sul reddito d'impresa, secondo i princìpi e criteri direttivi della coerenza con il sistema di imposizione personale, della tendenziale neutralità rispetto alle forme dell’attività imprenditoriale della semplificazione e razionalizzazione dell'imposta dal punto di vista amministrativo, anche attraverso un rafforzamento del processo di avvicinamento tra valori civilistici e fiscali (le cui divergenze devono essere oggetto di un processo di revisione complessiva).
In sintesi, l’Ires (anch’essa disciplinata dal TUIR - Testo unico delle imposte sui redditi, DPR 22 dicembre 1986 n. 917) è un'imposta personale e proporzionale con aliquota pari al 24 per cento (misura in vigore dal 2017, per effetto della legge di stabilità 2016; in precedenza l’aliquota era pari al 27,5 per cento). Soggetti passivi sono le società di mutua assicurazione, le società cooperative e le società di capitali residenti nel territorio italiano, gli enti pubblici, gli enti privati e i trust residenti nel territorio italiano e qualsiasi tipo di società, con o senza personalità giuridica, non residente nel territorio italiano.
Le modalità di calcolo della base imponibile variano in funzione del soggetto passivo: in linea generale, le società di capitali e gli enti residenti utilizzano quale base imponibile il reddito di impresa, ovvero i redditi calcolati sulla base dell'utile di esercizio derivante dal conto economico, considerando le variazioni fiscali stabilite dal TUIR, in diminuzione o in aumento (tra cui le spese e i costi deducibili). Per le persone giuridiche non residenti, sono invece imponibili i redditi prodotti nel territorio dello Stato, derivanti da attività commerciali e a condizione che nel territorio italiano sia presente una stabile organizzazione. Specifiche regole valgono per gli enti non commerciali, per cui la base imponibile è determinata sulla base delle regole in vigore per le persone fisiche.
L’impatto economico e il volume d’affari derivante dall’e-commerce internazionale, nonché la fornitura di servizi telematici privi di localizzazione fisica hanno richiesto una revisione della base imponibile e, in particolare, del concetto di stabile organizzazione, per adeguarlo alla nuova realtà socioeconomica. Al contempo, tali esigenze hanno sollecitato le istituzioni internazionali a ricercare specifici accordi per uniformare le basi imponibili e, dunque, per limitare la concorrenza fiscale tra Paesi ed evitare la costituzione di veri e propri paradisi fiscali.
È stato da più parti segnalato, infatti, che il mancato coordinamento delle politiche fiscali ha portato a livello mondiale a una intensa concorrenza fiscale (tax competition) tra paesi, che ha generato una progressiva riduzione negli ultimi decenni dei livelli di tassazione sui profitti delle società. Questo calo nel livello della tassazione ha causato perdite di entrate tra i paesi che va ben al di là della perdita dovuta alla vera e propria elusione.
Con riferimento alla base imponibile, il dibattito nazionale sull’imposta ha riguardato principalmente il concetto di stabile organizzazione, presupposto necessario per l’assoggettamento a tassazione dei redditi in Italia. La legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017) ha apportato significative modifiche alla disciplina della stabile organizzazione e ai criteri per la sua determinazione, rideterminando le tradizionali categorie della stabile organizzazione materiale e personale, per allentare il nesso tra presenza fisica di un'attività nel territorio dello Stato e assoggettabilità alla normativa fiscale. In particolare, è stata introdotta la possibilità di ravvisare una stabile organizzazione in Italia anche nel caso di significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso (nuovo articolo 162, comma 2, lettera f-bis) del TUIR).
Sul fronte internazionale, si segnala l'iniziativa legislativa volta a creare una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società nell'UE, che consiste di due proposte legislative: una proposta di direttiva relativa a una base imponibile comune per l'imposta sulle società (CCTB) e una proposta di direttiva relativa a una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (CCCTB).
Scopo delle norme europee è stabilire un insieme unico di norme per il calcolo della base imponibile per l'imposta sulle società nel mercato interno dell'UE, per ridurre i costi amministrativi e migliorare la certezza del diritto per le imprese, uniformando il calcolo dei loro utili imponibili in tutti i paesi dell'UE. Ciò permetterebbe agli Stati membri di combattere la pianificazione fiscale aggressiva. Tali iniziative non mirano a un'armonizzazione delle aliquote fiscali o degli eventuali crediti di imposta nell'UE, elementi che rimangono nel diritto sovrano degli Stati membri.
Il progetto di direttiva CCTB - tuttora in discussione in mancanza di un accordo unanime - propone una definizione molto ampia di base imponibile, secondo cui sono tassabili tutti i ricavi, a eccezione di quelli espressamente esentati. Tra i ricavi esentati rientrano gli utili di stabili organizzazioni di una società situata nello Stato in cui la società ha la sede centrale e i redditi derivanti da dividendi o dalla vendita di azioni detenute in una società al di fuori del gruppo. Inoltre il progetto di norme propone la deduzione dai ricavi imponibili dei costi connessi all'attività d'impresa e di altri costi.
Al riguardo, il Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, nel corso dell’audizione presso la Commissione Finanze della Camera dei deputati, ha ricordato come la Commissione europea potrebbe utilizzare l’articolo 116 del Trattato, che presuppone la presenza di distorsioni della concorrenza nel mercato interno dovute alla disparità delle norme nazionali. Il trattato prevede che la Commissione abbia il potere di interloquire con gli Stati membri, la cui normativa interna falsi le condizioni di concorrenza nel mercato interno, provocando una distorsione che deve essere eliminata.
Valorizzare la disparità fiscale sotto il profilo di una violazione alla regola della concorrenza leale consentirebbe di prendere le decisioni non più all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. In questo modo, eventuali posizioni ostruzionistiche assunte da alcuni Stati membri non sarebbero più in grado di bloccare le decisioni. Si tratterebbe di un approccio innovativo che, tuttavia, potrebbe incontrare dei limiti nella sua difficile applicazione legata essenzialmente alla necessità di valutare e misurare in modo oggettivo la distorsione del mercato unico.
Con riferimento alle aliquote, come anticipato in precedenza, la legge di stabilità 2016 ha abbassato la misura dell’Ires per la generalità delle imprese dal 27,5 al 24 per cento, a decorrere dal 2017.
La legge di bilancio 2019 (commi 28-34) aveva introdotto la cd. mini-Ires, ossia l’applicazione di una aliquota agevolata al 15 per cento su parte del reddito delle imprese che avessero incrementato i livelli occupazionali ed effettuato nuovi investimenti. Tale misura è stata poi sostituita (articolo 2, decreto-legge n. 34 del 2019) con una progressiva riduzione dell'aliquota Ires sulla parte di reddito di impresa correlata al reimpiego degli utili, rimodulata nel tempo in modo da raggiungere il 20 per cento a decorrere dal 2023 (anch’essa mai entrata in vigore).
La legge di bilancio 2020 ha infine ripristinato, dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 (in sostanza, dal 2019), l'applicazione del cd. meccanismo fiscale di aiuto alla crescita economica - ACE, sopprimendo le predette misure di incentivo alle imprese, legate al reinvestimento degli utili, disposte durante l'anno 2019.
L’ACE, istituito per la prima volta dal decreto-legge n. 201 del 2011 e la cui disciplina è stata ritoccata più volte negli anni successivi, consiste nella detassazione di una parte degli incrementi del patrimonio netto, o meglio nella deduzione di un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. Pertanto, l’agevolazione spetta alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva, allo scopo di costituire un incentivo per la patrimonializzazione delle imprese. Per il calcolo dell'importo deducibile si effettua la somma dei componenti che hanno inciso positivamente (conferimenti, utili accantonati) e negativamente (riduzioni di patrimonio con attribuzione ai soci, acquisti di partecipazioni in società controllate, acquisti di aziende o rami di aziende) sul capitale. A tale base si moltiplica un’aliquota percentuale, fissata all'1,3 per cento dalla legge di bilancio 2020.
L’articolo 19 del decreto-legge Sostegni-bis (decreto-legge n. 73 del 2021) ha introdotto altresì un regime transitorio straordinario della disciplina dell'ACE (Aiuto alla Crescita Economica) per gli aumenti di capitale fino a 5 milioni di euro, che prevede anche la possibilità di trasformare il relativo beneficio fiscale in credito d'imposta compensabile per il 2021. La norma stabilisce inoltre che nel 2021, per la variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura del periodo d'imposta precedente, l'aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del nuovo capitale è pari al 15 per cento (rispetto al coefficiente ordinario di remunerazione dell'1,3 per cento).
La legge di bilancio 2020 ha maggiorato l’Ires al 27,5 per cento (in luogo della misura ordinaria del 24 per cento) sui redditi derivanti dallo svolgimento di attività in regime di concessione, nei periodi di imposta 2019, 2020 e 2021.
Si ricorda al riguardo che, con la sentenza n. 10 del 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della cd. Robin Hood Tax (vale a dire l'addizionale all'aliquota Ires nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, nel settore dell'energia elettrica e nel trasporto e distribuzione del gas naturale, introdotta dall'art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge n. 112 del 2008), senza effetti retroattivi; la norma è stata censurata sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità.
Infine in questa sede si rammenta che la legge di bilancio 2019 ha abrogato il regime opzionale dell’imposta sul reddito d’impresa (Iri) introdotto dalla legge di bilancio 2017 e disciplinato dall’articolo 55-bis, Tuir. Tale meccanismo avrebbe consentito a imprese individuali, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria e società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria di applicare la tassazione proporzionale e separata del reddito d’impresa, con l’aliquota Ires. L’entrata in vigore del regime era stata differita al 1° gennaio 2018. L’abrogazione dell’Iri è stabilita a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017 (quindi dal 2018 per i contribuenti “solari”). Pertanto, alla luce del differimento dell’entrata in vigore e della successiva abrogazione, in sostanza il regime non ha mai esplicato effetti.
Come anticipato, l'avvento dell'economia digitale ha determinato importanti sfide dal punto di vista fiscale. Nel panorama globalizzato dell'economia mondiale, infatti, le politiche fiscali si sono trovate ad affrontare fenomeni di alta mobilità dei contribuenti e del capitale, di alto numero di transazioni transfrontaliere e di internazionalizzazione delle strutture finanziarie, con significativi rischi di evasione e di elusione fiscale, nonché di politiche commerciali volte a sfruttare il gap legislativo-tributario tra le legislazioni dei diversi Paesi.
Specifica attenzione riguarda il regime fiscale della fornitura di beni e servizi senza una presenza fisica o legale (es. e-commerce), nonché i casi in cui i consumatori accedono a servizi digitali gratuitamente, a fronte della mera corresponsione dei propri dati personali (es. Google, Facebook, etc)
A seguito delle indicazioni emerse in sede di Consiglio europeo, nel mese di marzo 2018 la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa volta a elaborare un'imposta temporanea sui ricavi derivanti dai servizi digitali (imposta sui servizi digitali), in attesa che venga attuata una soluzione strutturale a lungo termine, da concordare in sede di OCSE. L'imposta temporanea si applicherebbe ai ricavi derivanti da attività nelle quali gli utenti svolgono un ruolo centrale nella creazione di valore e che non sono adeguatamente coperte dalle norme fiscali attuali (es. i ricavi derivanti dalla vendita di pubblicità mirata online, da attività di intermediazione digitale che permettono agli utenti di interagire e che facilitano la vendita di beni e servizi tra di essi e dalla vendita di dati generati da informazioni fornite dagli utenti). Le entrate fiscali sarebbero riscosse dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti.
I lavori relativi all'imposta sui servizi digitali sono in corso presso le Istituzioni europee dal marzo 2018. In seguito a un dibattito tenutosi in sede di Consiglio "Economia e finanza" nel marzo 2019 e alla mancanza di un accordo unanime sulla proposta, il Consiglio ha deciso di perseguire un duplice approccio:
§ il Consiglio e gli Stati membri continueranno ad adoperarsi congiuntamente per raggiungere un accordo su una soluzione globale a livello di OCSE/G20 entro il 2020;
§ -in caso di fallimento dei negoziati internazionali o di mancato raggiungimento di un accordo entro la fine del 2020, il Consiglio potrebbe tornare a discutere di un approccio dell'UE. In tal senso si è espressa recentemente la Presidente della Commissione europea Von Der Leyen, secondo la quale, in mancanza di una soluzione globale condivisa entro la fine dell'anno, l'UE dovrà agire da sola, anche per evitare il rischio di una frammentazione nella regolamentazione degli Stati membri.
Un primo tentativo italiano di tassare i servizi digitali è stato effettuato con l’imposta sulle transazioni digitali, disciplinata dalla legge di bilancio 2018. Essa avrebbe dovuto applicarsi alle transazioni digitali relative a prestazioni di servizi effettuate tramite mezzi elettronici, con un’aliquota del 3 per cento applicata al valore della singola transazione, al netto dell'Iva.
Successivamente la legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018) ha abrogato la previgente disciplina, istituendo un'imposta sui servizi digitali, da applicare ai soggetti che prestano tali servizi e che presentino un ammontare complessivo di ricavi pari o superiore a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati nel territorio italiano per prestazione di servizi digitali. L’imposta è applicata sui ricavi, con aliquota del 3 per cento, e viene versata entro il mese successivo a ciascun trimestre.
La legge di bilancio 2020 (legge n. 160 del 2019) ha modificato la disciplina dell'imposta sui servizi digitali, tra l’altro, allo scopo di chiarire le modalità applicative dell'imposta con riferimento ai corrispettivi colpiti, alle dichiarazioni, alla periodicità del prelievo, ma soprattutto per svincolare l’applicazione dell’imposta - per quanto possibile -dall’emanazione di provvedimenti attuativi.
L’articolo 5, comma 15, del decreto legge n. 41 del 2021 (cd Decreto Sostegni) sposta il termine di versamento dell'imposta sui servizi digitali dal 16 febbraio al l6 maggio dell’anno solare successivo a quello in cui sono prodotti i ricavi derivanti dai predetti servizi, nonché quello di presentazione della relativa dichiarazione dal 31 marzo al 30 giugno del medesimo anno.
La norma dispone altresì, in sede di prima applicazione, lo slittamento del termine di versamento dell'imposta sui servizi digitali dal l6 marzo al 16 maggio 2021, con riferimento alle operazioni imponibili nel 2020, nonché lo spostamento del termine di presentazione della relativa dichiarazione dal 30 aprile al 30 giugno 2021.
A tale proposito si segnala che il provvedimento del 15 gennaio 2021 dell’Agenzia delle entrate definisce le regole operative per la prima applicazione della disciplina, in particolare individuando:
§ l’ambito oggettivo dell’imposta istituita, con evidenziazione dei servizi digitali esclusi;
§ le modalità di determinazione della base imponibile e dell’imposta sui servizi digitali;
§ i criteri di collegamento con il territorio dello Stato;
§ il versamento dell’imposta;
§ gli adempimenti dichiarativi;
§ gli obblighi strumentali ai fini dell’adempimento;
§ gli obblighi contabili in capo ai soggetti passivi dell’imposta;
§ la responsabilità solidale dei soggetti residenti per l’assolvimento degli obblighi di versamento dell’imposta sui servizi digitali da parte di soggetti passivi non residenti;
§ i rimborsi per le eccedenze di versamento.
In tale contesto si ricorda che il decreto-legge n. 50 del 2017 ha introdotto, per le società non residenti che appartengono a gruppi multinazionali con ricavi superiori a 1 miliardo di euro e che effettuano cessione di beni e prestazioni di servizio in Italia per un ammontare superiore a 50 milioni, avvalendosi di società residenti o di stabili organizzazioni di società non residenti, la possibilità di accedere ad una procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata per la definizione dei debiti tributari dovuti in relazione alla eventuale stabile organizzazione.
Con il Tax Package del 15 luglio 2020 la Commissione ha presentato una proposta di Direttiva (cd. DAC 7) volta a introdurre uno scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri per i profitti generati dai venditori su piattaforme digitali e rafforzare la cooperazione amministrativa attraverso il chiarimento della normativa vigente.
Nell’incontro di giugno 2021, i Ministri dell’economia e delle finanze e i Governatori delle banche centrali dei Paesi del G7 si sono impegnati a raggiungere una soluzione equitativa in materia di tassazione delle multinazionali, con particolare riferimento all’allocazione del diritto di imposizione per le imprese operanti in mercati globali.
In particolare, l’impegno è di assegnare ai Paesi ove si trovano i relativi mercati il diritto di tassare almeno al 20% i profitti superiori a un margine del 10%, per le imprese multinazionali più grandi e redditizie. L’impegno inoltre è riguarda un coordinamento tra le nuove regole fiscali internazionali e la progressiva eliminazione delle imposte sui servizi digitali disciplinate a livello nazionale e altre misure simile, da sostituire con un’imposta minima globale del 15 per cento in ciascun Paese, su base nazionale.
Il 1° luglio 2021, 130 Stati e giurisdizioni che fanno parte del quadro inclusivo dell'OCSE sull'erosione della base fiscale e la traslazione dei profitti (BEPS, acronimo inglese per Base erosion and profit shifting) hanno raggiunto un accordo di massima per una soluzione che permetta di affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell'economia.
L'accordo di massima è stato approvato dai Ministri delle finanze e dai Governatori delle banche centrali del G20 nel corso del G20 High-Level Tax Symposium, tenutosi a Venezia il 9 e 10 luglio 2021 . Il relativo testo dovrà essere perfezionato e dare vita ad un accordo definitivo, che si auspica di concludere entro ottobre 2021 assieme a un quadro di riferimento per l'attuazione effettiva delle relative norme a partire dal 2023.
In estrema sintesi, l'accordo di massima raggiunto si basa sui seguenti due pilastri:
1. redistribuzione parziale dei diritti di imposizione al fine di assicurare una distribuzione più equa dei profitti e delle entrate fiscali tra i Paesi con riferimento all'operato delle maggiori multinazionali.
Si ipotizza la tassazione di imprese multinazionali con fatturato globale superiore a 20 milioni di euro e redditività superiore al dieci per cento.
Sono previste due quote (amount):
o quota A, applicata a imprese che realizzino almeno un milione di euro di ricavi all'interno della giurisdizione interessata (250.000 euro per le giurisdizioni minori, che abbiano un PIL inferiore a 40 miliardi di euro). Saranno previste misure, procedure e meccanismi di risoluzione delle controversie vincolanti, atte a evitare ipotesi di duplice tassazione. La sua attuazione avrà luogo tramite uno strumento multilaterale, che si prevede di sviluppare e aprire alla firma nel corso del 2022 in vista dell'entrata in vigore nel 2023;
o quota B, finalizzata a semplificare l'applicazione del principio di libera concorrenza alle attività nazionali di commercializzazione e distribuzione, prendendo in considerazione i bisogni dei paesi a bassa capacità. Su questo aspetto si prevede di completare i lavori entro la fine del 2022.
Nessun riferimento è fatto alla sede legale dell'impresa o ad altri legami fisici con il Paese in cui il fatturato viene realizzato. Si mira così ad adeguare le norme internazionali in materia di tassazione degli utili delle imprese per prendere in considerazione la natura mutevole dei modelli aziendali contemporanei, compresa la capacità delle imprese di operare senza una presenza fisica;
2. livello minimo di imposizione effettiva degli utili delle multinazionali, per limitare la concorrenza fiscale eccessiva tra Stati e garantire che le imprese multinazionali siano soggette ogni anno a un determinato livello minimo di tassazione di tutti gli utili.
Il secondo pilastro consisterà di due elementi:
o due regole nazionali (GloBE) interconnesse (Income inclusion rule, IIR, e Undertaxed payment rule, UTPR), che l'accordo di massima definisce "approcci comuni". Per gli Stati non vi sarà, infatti, obbligo di introdurle ma, se sceglieranno di farlo, dovranno gestirle in maniera coerente con gli obiettivi concordati in sede internazionale. Si ipotizza un'aliquota minima pari al 15 per cento;
o un elemento convenzionale (STTR sulla base dell'acronimo inglese Subject to tax rule), derivante cioè da un accordo, per cui si ipotizza un'aliquota compresa tra il 7,5 e il 9 per cento.
Nella Comunicazione "Tassazione delle imprese per il XXI secolo (COM(2021) 251) la Commissione europea ha annunciato la propria intenzione di agire in tempi rapidi per attuare l'accordo globale. In tale documento si preannuncia che la riforma del regime delle imprese, che si articolerà in specifiche iniziative dell'Unione, avrà luogo nel contesto degli accordi raggiunti in ambito OCSE - G20.
In particolare, una volta che l'accordo globale sarà stato concluso, la Commissione europea prevede di garantirne l'attuazione mediante due distinte proposte di direttiva, ciascuna relativa a uno dei pilastri sopra citati.
L'accordo siglato in sede OCSE/G20 del mese di ottobre 2021 prevede dunque due pilastri, il primo sulla parziale ridistribuzione dei profitti delle grandi imprese multinazionali e il secondo sulla definizione di un’aliquota minima globale (15%) dell’imposta sulle società multinazionali.
In attuazione del secondo pilastro dell'accordo, la Commissione ha già presentato, lo scorso 22 dicembre, una proposta di direttiva (COM(2021)823).
Circa il primo pilastro, invece, la proposta di direttiva, secondo quanto preannunciato dalla Commissione, dovrebbe essere presentata nel corso dell'anno. Intanto, però, la Commissione ha presentato, sempre lo scorso 22 dicembre, una proposta di decisione (COM(2021)570), che modifica la decisione sulle risorse proprie in vigore per introdurre tre nuove fonti di entrata al bilancio UE; una di queste sarà proprio un'aliquota uniforme di prelievo alla quota degli utili residui delle imprese multinazionali riassegnata agli Stati membri.
Inoltre, entro il 2023, secondo quanto preannunciato, la Commissione proporrà un nuovo quadro per la tassazione delle imprese nell'UE (BEFIT).
La legge 6 giugno 2016, n. 106 ha conferito al Governo una delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.
In attuazione della delega è stato emanato il D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 111 - Codice del Terzo settore, integrato e corretto successivamente dal decreto legislativo n. 105 del 2018, con il quale si provvede tra l'altro al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti.
Il decreto disciplina inoltre i titoli di solidarietà degli enti del terzo settore (che possono essere emessi da tutti gli enti iscritti al Registro unico nazionale, inclusi gli enti del Terzo settore commerciali) e le altre forme di finanza sociale (anche con riferimento al cd. peer to peer lending).
In estrema sintesi, il Titolo X del codice (artt. 79-89) disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore. Sostanzialmente si dispone l'applicazione agli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, del regime fiscale previsto dal Titolo X del Codice, il quale reca specifiche misure di sostegno. Agli stessi enti si applicano inoltre le norme del TUIR relative all'Ires, in quanto compatibili. Si introduce un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa degli enti non commerciali del Terzo settore, vale a dire quegli enti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di interesse generale, basato sui coefficienti di redditività. Le norme individuano le attività svolte dagli enti del Terzo settore che si caratterizzano per essere non commerciali. In particolare, si presume che tali attività si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 10 per cento i relativi costi per ciascun periodo d'imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi. Viene attribuito un credito d'imposta per coloro che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli enti del Terzo settore non commerciali. Sono poi introdotte disposizioni che attribuiscono ulteriori benefici, non previsti dalle previgenti norme tributarie; viene introdotta una disciplina unitaria per le deduzioni e detrazioni previste per chi effettua erogazioni liberali a favore di enti del Terzo settore non commerciali e di cooperative sociali.
Con riferimento alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, sono elencate una serie di attività che, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate non commerciali se svolte senza l'impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato. Anche le organizzazioni di volontariato usufruiscono della detraibilità del 35 per cento delle erogazioni liberali eseguite in loro favore; gli atti costitutivi e quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato sono esenti dall’imposta di registro. Sono esenti da Ires i redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciali.
Viene disciplinato il regime tributario delle associazioni di promozione sociale, iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro unico nazionale del Terzo settore, in sostanziale continuità con le previgenti norme ma con alcuni interventi di aggiornamento e razionalizzazione. Si prevede per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale la possibilità di applicare un regime forfettario, con contabilità semplificata, per le attività commerciali esercitate, a condizione di non superare il limite di ricavi di 130.000 euro nel periodo d'imposta precedente. E’ poi introdotta una disciplina specifica relativa agli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili per le attività degli enti del Terzo settore.
Con il D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112 (successivamente modificato dal D.Lgs. N. 95 del 2018) si è proceduto a revisionare la disciplina dell'impresa sociale: si consente tra l'altro all'impresa sociale di distribuire dividendi ai soci (entro certi limiti) e si estende il novero di attività che configurano una "utilità sociale" a fini di legge, con l'attribuzione inoltre di alcuni incentivi fiscali.
La legge di bilancio 2021 prevede la detassazione al 50 per cento degli utili degli enti non commerciali, dal 1° gennaio 2021, a condizione che tali enti esercitino, in via esclusiva o principale, una o più attività di interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità; sociale (commi 44-47).
Come anticipato supra, il legislatore fiscale negli anni ha ritoccato la tassazione del settore produttivo - fermi restando i lineamenti fondamentali delle imposte dirette - con l’introduzione di numerose agevolazioni sotto forma di deduzioni, detrazioni e crediti di imposta. Tale sistema di agevolazioni ha consentito di alleggerire da un lato il carico fiscale sulle imprese e, con interventi mirati in specifici settori, di sostenere la crescita economica.
In questa sede si ricordano in particolare il cd. superammortamento e iperammortamento, misure agevolative introdotte – rispettivamente – dalla legge di stabilità 2016 e dalla legge di bilancio 2017, per poi essere successivamente prorogate fino al biennio 2019-2020. In sostanza, tali agevolazioni hanno consentito alle imprese di maggiorare a fini fiscali i costi per l’acquisto di determinati beni strumentali (e, dunque, la deducibilità dalle imposte dirette), in particolare i beni materiali e immateriali connessi agli investimenti e all’innovazione tecnologica.
La legge di bilancio 2020, in luogo di prorogare tali misure, le ha sostituite con un nuovo credito d'imposta per le spese sostenute a titolo di investimento in beni strumentali nuovi. Esso riguarda tutte le imprese e, con riferimento ad alcuni investimenti, anche i professionisti. Il credito è riconosciuto con aliquota differenziata secondo la tipologia di beni oggetto dell'investimento e copre gli investimenti in beni strumentali nuovi, ivi compresi i beni immateriali funzionali alla trasformazione tecnologica secondo il modello Industria 4.0. Il decreto Rilancio (decreto legge 34 del 2020), emanato nel quadro degli interventi per fronteggiare l’emergenza economico-sanitaria, ha prorogato dal 30 giugno al 31 dicembre 2020 il termine finale di efficacia del cd. superammortamento (per maggiorare del 30 per cento il costo di acquisizione a fini fiscali degli investimenti in beni materiali strumentali nuovi).
La legge di bilancio 2021, nell'ambito di un più ampio rafforzamento del programma Transizione 4.0 diretto ad accompagnare le imprese nel processo di transizione tecnologica e di sostenibilità ambientale, nonché per rilanciare il ciclo degli investimenti penalizzato dall'emergenza legata al COVID-19, ha esteso fino al 31 dicembre 2022 la disciplina del credito d'imposta per gli investimenti in beni strumentali nuovi, potenziando e diversificando le aliquote agevolative, incrementando le spese ammissibili e ampliandone l'ambito applicativo (commi 1051-1052). Sulla disciplina di tale beneficio è intervenuto inoltre il decreto Sostegni-bis (articolo 20 del decreto-legge n. 73 del 2021) agevolandone l’utilizzabilità in un’unica quota in favore delle grandi imprese (soggetti con un volume di ricavi o compensi non inferiori a 5 milioni di euro).
La legge di bilancio 2022 (articolo 1, comma 44 della legge n. 234 del 2021) proroga e rimodula la disciplina del credito d'imposta per gli investimenti in beni strumentali nuovi.
In sintesi:
- per gli investimenti in beni materiali funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese secondo il modello Industria 4.0, se effettuati dal 2023 al 2025, il credito d'imposta è riconosciuto nella misura del 20 per cento del costo, per la quota di investimenti fino a 2,5 milioni di euro; nella misura del 10 per cento del costo, per la quota di investimenti superiori a 2,5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro e nella misura del 5 per cento del costo, per la quota di investimenti superiori a 10 milioni di euro e fino al limite massimo di costi complessivamente ammissibili, pari a 20 milioni di euro;
- per gli investimenti aventi ad oggetto beni immateriali (software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni) connessi a investimenti in beni materiali "Industria 4.0", si proroga al 2025 la durata dell'agevolazione e, per gli anni successivi al 2022, se ne riduce progressivamente l'entità (dal 20 per cento del 2022 al 15 per cento del 2023 e al 10 per cento del 2024).
Con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 il legislatore ha introdotto nell'ordinamento un quadro normativo di sostegno alla nascita ed alla crescita di nuove imprese innovative (c.d. start up innovative) con l'esplicito obiettivo di favorire lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, in particolare giovanile. Le misure consistono essenzialmente in semplificazioni alla costituzione di tali società, dunque in deroghe al diritto societario, nella riduzione degli oneri per l'avvio, in agevolazioni fiscali e di sostegno al lavoro (assunzioni di personale) e agevolazioni fiscali agli investimenti nel capitale di rischio delle start up innovative.
Le start-up innovative sono imprese di nuova costituzione che svolgono attività di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. A questa tipologia d'impresa, che deve possedere specifici requisiti, sono riconosciute misure agevolative, sia nella fase di avvio che in quella di sviluppo. Oltre a requisiti necessari, l'impresa deve possedere almeno uno tra i requisiti alternativi che identificano il carattere innovativo dell'attività: deve sostenere spese di ricerca e sviluppo in misura almeno pari al 15% del maggiore tra costo e valore totale della produzione; deve impiegare, come dipendenti o collaboratori, personale altamente qualificato in determinate misure alternative; deve essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale ovvero titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario.
Alle start-up innovative si applica una disciplina di deroga alla normativa sulle società di comodo e in perdita sistematica. Pertanto, nel caso conseguano ricavi "non congrui" oppure siano in perdita fiscale sistematica, non scattano nei loro confronti le penalizzazioni fiscali previste per le cosiddette società di comodo, ad esempio l'imputazione di un reddito minimo e di una base imponibile minima ai fini Irap, l'utilizzo limitato del credito Iva, l'applicazione della maggiorazione Ires del 10,5% (citato articolo 26 del decreto-legge n. 179 del 2012). Le stesse sono inoltre esonerate dall'obbligo di apposizione del visto di conformità per compensazione dei crediti Iva (art. 4, comma 11-novies del decreto-legge n. 3 del 2015).
Nei confronti di amministratori, dipendenti e collaboratori di tali soggetti opera l'esenzione da imposizione fiscale e contributiva per la parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti delle predette imprese (articolo 27 del D.L. 179 del 2012).
Sono previsti incentivi fiscali strutturali anche per l'investimento nel capitale di rischio delle start-up innovative provenienti da persone fisiche e giuridiche: per le persone fisiche è prevista una detrazione Irpef pari al 30 per cento dell'investimento, fino a un massimo di 1 milione di euro. Per le persone giuridiche l'incentivo consiste in una deduzione dall'imponibile Ires del 30 per cento dell'investimento, fino a un massimo di 1,8 milioni di euro. A partire dal 2017, la fruizione dell'incentivo è condizionata al mantenimento della partecipazione nella start-up innovativa per un minimo di tre anni. Con riferimento agli incentivi di natura finanziaria, si ricorda la possibilità per le suddette categorie di imprese di raccogliere capitale di rischio con modalità innovative, segnatamente attraverso portali online (crowdfunding); tale modalità di raccolta di capitale, inizialmente riservata alle start-up e alle PMI innovative, è stata estesa a tutte le PMI (legge di stabilità 2017). Al fine di favorire gli investimenti in start-up, la legge di bilancio 2017 ha previsto la possibilità per le società quotate di acquisire le perdite fiscali di società start-up partecipate per almeno il 20 per cento, a specifiche condizioni.
In seguito, il legislatore è intervenuto non solo implementando le misure a sostegno delle start up innovative introdotte nel 2012, ma anche introducendo una disciplina di sostegno alle PMI innovative "più mature", non iscritte al registro speciale delle start up innovative (decreto-legge n. 3 del 2015, successivamente modificato e integrato).
Il decreto-legge Rilancio ha introdotto incentivi in regime de minimis all’investimento in start-up innovative. In alternativa alle ordinarie agevolazioni fiscali sugli investimenti delle persone fisiche, si consente di usufruire di una detrazione del 50 per cento degli investimenti nel capitale sociale di una o piu? start-up innovative, per le sole imprese iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese al momento dell’investimento. Tale detrazione e? concessa ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato cd. de minimis, di cui al Regolamento (UE) n. 1407/2013, a specifiche condizioni e nel limite massimo investito di 200.000 euro in tre anni. Lo stesso regime agevolativo fiscale in regime de minimis è applicabile anche alle PMI innovative.
L’articolo 14 del decreto Sostegni-bis esenta temporaneamente da imposizione le plusvalenze realizzate da persone fisiche che derivano dalla cessione di partecipazioni al capitale di imprese start up innovative e PMI innovative, nonché le plusvalenze reinvestite in start up e PMI innovative, a specifiche condizioni legate al momento della sottoscrizione delle quote e al mantenimento dell’investimento nel tempo. La condizione per fruire dell’esenzione è che le plusvalenze siano realizzate da persone fisiche e derivino dalla cessione di partecipazioni al capitale di imprese start up innovative e PMI innovative, nonché siano acquisite mediante sottoscrizione di capitale sociale dal 1° giugno 2021 al 31 dicembre 2025 e siano possedute per almeno tre anni.
Il legislatore è intervenuto a più riprese sulla fiscalità delle banche e delle assicurazioni, anche per coordinare la relativa disciplina con le nuove norme in tema di crisi e riforme del settore.
La legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) ha previsto che gli intermediari finanziari e la Banca d’Italia siano tenuti ad applicare all’aliquota Ires ordinaria un’addizionale del 3,5%. Sono escluse, però, le società di gestione dei fondi comuni d’investimento e le società di intermediazione mobiliare.
La legge di bilancio 2019 ha elevato la misura dell'acconto dell'imposta sulle assicurazioni, che viene innalzato dal 59 all'85 per cento per l'anno 2019, al 90 per cento per l'anno 2020 e infine fissato al 100 per cento a decorrere dall'anno 2021.
La legge di bilancio 2020 ha differito le percentuali di deducibilità, a fini Ires e Irap, previste da alcune norme di legge e già in precedenza posticipate dalla legge di bilancio 2019. In particolare, slitta al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2022 e ai tre successivi la deduzione della quota del 12% dello stock di svalutazioni e perdite su crediti per enti creditizi e finanziari; al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2028 la deduzione del 10% della riduzione di valore dei crediti e altre attività finanziarie derivante dalla rilevazione del fondo a copertura perdite per perdite attese, e al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2025 e ai quattro successivi la deduzione del 5% dello stock di componenti negativi riferibili alle quote di ammortamento relative al valore dell’avviamento e altre attività immateriali.
L’imposta regionale sulle attività produttive – Irap, disciplinata dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, è dovuta per l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Soggetti passivi sono gli esercenti attività d’impresa e lavoro autonomo, operanti sia in forma individuale che associata, gli enti non commerciali privati nonché le amministrazioni ed enti pubblici.
È un tributo proprio derivato, vale a dire un tributo istituito e regolato dalla legge dello Stato, il cui gettito è attribuito alle regioni, le quali devono, pertanto, esercitare la propria autonomia impositiva entro i limiti stabiliti dalla legge statale.
Il gettito dell’Irap concorre, nella misura e nelle forme stabilite dalla legge, al finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
L’Irap ha una base imponibile diversa da quella prevista ex lege per le imposte sui redditi: essa si applica infatti sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione o provincia autonoma, calcolato in maniera differenziata in base alla tipologia dei soggetti e delle attività esercitate.
L’imposta è determinata applicando al valore della produzione netta le aliquote previste ex lege. In particolare, l’aliquota ordinaria è pari al 3,9 per cento. Sulle imprese bancarie e finanziarie essa grava nella misura del 4,65 per cento e, con riferimento al settore assicurativo, nella misura del 5,9 per cento.
Le Regioni e le Province autonome, con propria legge, hanno facoltà di variare le aliquote, differenziandole per settori di attività e per categorie di soggetti passivi. La disciplina dell’Irap è stata integrata dal D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 - sul federalismo fiscale provinciale e regionale - che detta norme valide solo per le Regioni ordinarie, le quali possono ridurre le aliquote fino ad azzerarle, nonché disporre deduzioni dalla base imponibile nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell'Unione europea.
La possibilità di azzeramento delle aliquote è consentita, altresì, alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano, in virtù di specifiche norme contenute negli Statuti speciali o nelle disposizioni di attuazione statutaria.
Tra i principali interventi legislativi volti alla riduzione del cd. cuneo fiscale si annoverano i provvedimenti che hanno inciso sulle deduzioni Irap, in particolare sulle componenti relative al costo del lavoro.
La legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) ha disposto l'integrale deducibilità dall'Irap del costo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato. La misura opera nei confronti dei soggetti passivi Irap ad esclusione degli enti non commerciali, delle amministrazioni e degli enti pubblici relativamente alle attività istituzionali. Detta deduzione è stata poi estesa dalla legge di stabilità 2016, seppure entro specifici limiti, anche ai costi sostenuti per l’assunzione di lavoratori stagionali, a determinate condizioni legate, tra l’altro, alla durata del rapporto.
Con riferimento alla cd. autonoma organizzazione Irap, presupposto per l’applicazione dell’imposta ai lavoratori autonomi, la legge di stabilità 2015 ha chiarito che non sussiste autonoma organizzazione ai fini Irap per i medici che abbiano sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione ove percepiscano, per l'attività svolta presso dette strutture, più del 75 per cento del proprio reddito complessivo. Sono in ogni caso irrilevanti, ai fini della sussistenza dell'autonoma organizzazione, l'ammontare del reddito realizzato e le spese direttamente connesse all'attività svolta. L'esistenza dell'autonoma organizzazione è comunque configurabile in presenza di elementi che superano lo standard e i parametri previsti dalla Convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.
La legge di stabilità 2016 ha esentato da Irap i soggetti che operano nel settore agricolo, le cooperative di piccola pesca ed i loro consorzi, e le cooperative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell'interesse di terzi, servizi nel settore selvicolturale, a decorrere dal 2016. Il medesimo provvedimento ha elevato gli importi deducibili dall'Irap in favore di alcuni soggetti di minori dimensioni, rafforzando le deduzioni in favore delle società in nome collettivo e in accomandita semplice (ed equiparate) e delle persone fisiche esercenti attività commerciali, nonché delle persone fisiche e delle società semplici esercenti arti e professioni.
Al riguardo, il DDL di delega fiscale (A.C. 3343) prevede, all’articolo 5, che Governo, nell’ambito della revisione della tassazione personale sul reddito e dell’imposizione sul reddito d’impresa, emani uno o più decreti legislativi volti al graduale superamento dell’Imposta regionale sulle attività produttive – Irap, garantendo in ogni caso il finanziamento del fabbisogno sanitario.
In tal senso, la menzionata legge di bilancio 2022 (articolo 1, commi 8 e 0 della legge n. 234 del 2021) dal 2022 esentano da Irap i contribuenti persone fisiche che esercitano attività commerciali, nonché arti e professioni. Sono previste specifiche forme di copertura del mancato gettito Irap in favore delle Regioni e delle Province autonome, mediante l'istituzione di apposito Fondo. Gli importi spettanti possono essere modificati, previo accordo in sede di Conferenza permanente Stato, Regioni e Province autonome, a decorrere dal 2025. Si veda anche la Circolare dell’Agenzia delle entrate del 18 febbraio 2022 n. 4/E per i chiarimenti sulla riforma.
Le imposte indirette comprendono l'imposta sul valore aggiunto (Iva) e le accise su alcolici, tabacco e prodotti energetici. Il sistema comune in materia di Iva è applicabile in generale ai beni e ai servizi acquistati e venduti ai fini dell'uso o del consumo nell'UE. Le accise vengono applicate sulla vendita o sull'uso di prodotti specifici. Ai fini del corretto funzionamento del mercato interno, l'attività legislativa dell'UE mira a coordinare e allineare le disposizioni in materia di Iva, nonché ad armonizzare le accise su alcolici, tabacco e prodotti energetici.
Secondo quanto rilevato da Banca d’Italia, nel 2018 l’aliquota implicita di tassazione sul consumo è stata pari in Italia al 15,7 per cento (il terzo valore più basso dopo Spagna e Romania), a fronte di una media del 16,8 per cento nell’area dell’euro. La quota dovuta all’Iva sull’aliquota implicita complessiva è la più bassa in Europa (56 per cento a fronte di circa il 63 per cento della media dell’area euro). Anche rispetto al PIL, in Italia il gettito Iva è più basso della media europea (6,2 per cento rispetto al i 6,9 per cento nell’area dell’euro).
Per quanto attiene alle accise, si ricorda che queste sono da molti anni imposte armonizzate a livello europeo. La relativa struttura e misura si differenziano secondo la tipologia di prodotto colpito da imposta (a grandi linee, le accise gravano su alcolici, tabacchi e prodotti energetici e il documento del Parlamento europeo ne individua le caratteristiche e le differenze). In linea generale, si può affermare che la struttura delle accise e le aliquote minime sono stabilite dalle norme UE e rimane facoltà degli Stati innalzare la misura delle aliquote.
Nel tempo le accise sono state elevate, anche con finalità emergenziali: l'innalzamento delle aliquote di accisa produce immediati effetti finanziari per l'erario, anche perché colpiscono beni la cui domanda non è strettamente legata al prezzo (quali la benzina e i tabacchi).
Per quanto attiene alle entrate erariali da tributi accisa (Libro Blu 2020 dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) il valore del contributo all'erario dell'anno 2020 è stato pari a circa 29,10 miliardi di euro, -5,09 miliardi di euro rispetto al 2019. Tale contrazione costituisce uno degli effetti dell’emergenza epidemiologica che ha comportato un notevole calo dei consumi dei prodotti energetici e di gas naturale (dovuto anche alla componente climatica più mite rispetto agli anni precedenti) e la riduzione della mobilità privata (soprattutto di quella aerea). Di tale gettito, il 94,6 % è ascrivibile alle accise su prodotti energetici (27,5 mld) e il 4,29% (1,25 mld) ai prodotti alcolici, mentre l’1,15% ad altri tributi e imposte.
Nel 2020 anche il gettito da accisa sui prodotti alcolici ha subito una riduzione nel 2020, rispetto al 2019, del 9,58 per cento. Nonostante la diffusione massiva di logiche quali home delivery e acquisti online, il lockdown ha determinato il calo dei consumi soprattutto di birra e spiriti su tutto il territorio nazionale.
La legge di bilancio 2021 ha operato una complessiva revisione in materia di imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo e ha apportato inoltre modifiche in materia di tabacchi da inalazione senza combustione. Si rimodula, aumentandola, l’imposta di consumo prevista per i prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina. Inoltre, la vendita a distanza dei prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide effettuata nel territorio nazionale è consentita secondo le modalità definite dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
La legge di bilancio 2020 ha innalzato (comma 659) le accise sui tabacchi lavorati. In particolare è stato elevato l'importo dell'accisa minima e dell'onere fiscale minimo (quest'ultimo valevole per le sigarette) sui tabacchi lavorati, nonché l'importo dell'aliquota di base sui predetti prodotti. Sono state inoltre elevate le aliquote di base sui tabacchi lavorati – la componente che serve a calcolare l'accisa globale, che a sua volta fa parte dell'accisa complessiva - nonché è stato unificato il prelievo sul tabacco da fiuto o da mastico.
Il decreto fiscale 2019 (decreto-legge n. 124 del 2019) è intervenuto su numerosi aspetti della legislazione in materia di accisa.
Le norme introdotte hanno inteso prevenire le frodi e l'evasione fiscale nella filiera della distribuzione dei carburanti e nel settore delle accise sui prodotti energetici, tra l’altro limitando i casi di utilizzo della dichiarazione d'intento per la non applicazione dell'Iva; sono stati modificati i requisiti di affidabilità e onorabilità dei soggetti operanti nei vari passaggi della filiera distributiva; i depositi fiscali sopra una certa soglia sono stati obbligati ad adottare il sistema informatizzato cd. INFOIL per la gestione dei prodotti energetici. Sono state inoltre previste modalità telematiche di trasmissione del documento di accompagnamento doganale per il trasporto di carburanti e i quantitativi di energia elettrica e di gas naturale, ove trasportati e forniti ai consumatori finali.
Si segnala tuttavia che il cd. decreto Rilancio ha differito l’efficacia di numerose disposizioni in materia di accisa, introdotte dal sopra citato decreto, in ragione dell’emergenza economico-sanitaria da COVID-19.
Successivamente, ulteriori disposizioni antifrode sono state introdotte dalla legge di bilancio 2021, con particolare riferimento agli adempimenti dei gestori di depositi di prodotti energetici sottoposti ad accisa; all’estensione del sistema INFOIL a tutti i depositi commerciali di prodotti energetici sottoposti ad accisa aventi capacità di stoccaggio non inferiore a 3.000 metri cubi entro il termine del 31 dicembre 2021; all’istituzione di un meccanismo automatico di blocco delle lettere d'intento nel caso di identificazione di falsi esportatori abituali; alla
disciplina relativa alla licenza di esercizio di deposito fiscale di prodotti energetici.
Con riferimento alle accise sugli alcolici, la legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018) ha introdotto specifiche agevolazioni in tema di accise sulla birra. In particolare è stata abbassata la misura dell'accisa sulla birra, che passa da 3 a 2,99 euro per ettolitro e grado-plato (comma 689) dal 1° gennaio 2019.
Anche l’imposta sul valore aggiunto (Iva) è una imposta armonizzata a livello europeo (articolo 113 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea - TFUE), disciplinata dalla cosiddetta direttiva Iva (direttiva 2006/112/CE), che ha istituito il Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.
Ai sensi dell’articolo 1 del DPR 633 del 1972, decreto Iva, l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate.
In relazione alle aliquote Iva, si ricorda che a decorrere dal 1° ottobre 2013, l'aliquota ordinaria è stata rideterminata nella misura del 22 per cento (legge di bilancio 2013). L'ordinamento prevede inoltre due aliquote ridotte: una aliquota al 10 per cento e una al 5 per cento, quest'ultima istituita con la legge di stabilità 2016 (commi 960-963). Resta in vigore fino all'introduzione del regime definitivo previsto dalla direttiva Iva, infine, l'aliquota super–ridotta al 4 per cento, a condizione che l'aliquota fosse in vigore al 1° gennaio 1991 e che la sua applicazione risponda a ben definite ragioni di interesse sociale (articolo 110, direttiva Iva).
Tra le più recenti modifiche in materia di Iva, si segnala l’'articolo 123 del decreto legge n.34 del 2020 (cd. Decreto Rilancio), il quale sopprime in via definitiva le cosiddette clausole di salvaguardia che, a decorrere dal 1° gennaio del 2021, prevedono aumenti delle aliquote dell'imposta sul valore aggiunto e di quelle in materia di accisa su alcuni prodotti carburanti.
La legge di bilancio 2020 (legge n. 160 del 2019) ai commi 2 e 3, ne prevedeva la sterilizzazione completa per il 2020 e parziale dal 2021. Per gli anni successivi, si prevedeva l'aumento dell'Iva ridotta dal 10 al 12% e un aumento dell'Iva ordinaria di 3 punti percentuali per il 2021 (al 25%) e di 1,5 punti percentuali (fino al 26,5%) a decorrere dal 2022, veniva inoltre rimodulata la misura delle maggiori entrate nette attese dall'aumento delle accise sui carburanti.
Tali clausole di salvaguardia a tutela dei saldi di finanza pubblica sono state introdotte, per scongiurare le riduzioni di agevolazioni e detrazioni previste da manovre precedenti, dalla legge di stabilità 2015, che ha previsto norme volte ad incrementare le aliquote Iva ordinaria e ridotta rispettivamente di 3,5 e 3 punti percentuali e le accise su benzina e gasolio in misura tale da determinare maggiori entrate non inferiori a 700 milioni di euro. I predetti aumenti, in origine previsti a partire dall'anno 2016, sono stati rinviati e rimodulati nel tempo, fino alla completa sterilizzazione ad opera del citato decreto Rilancio.
Si segnala che secondo le stime presentate nella Relazione sulla evasione fiscale e contributiva, allegata alla NADEF 2020, l’Iva è l’imposta maggiormente evasa in Italia: nell’intervallo 2013-2018 la media del gap Iva in valore è pari a 35,5 miliardi; il valore minimo, circa 33 miliardi, viene raggiunto nel 2018.
Secondo uno studio realizzato dalla Commissione europea (Study and Reports on the VAT Gap in the EU-28 Member States: 2019 Final Report) in termini assoluti nel 2017 l’Italia a livello europeo continua a registrare il maggior ammontare di Iva mancante (circa 33,6 miliardi di euro) di tutti i Paesi membri EU, seguita da Germania (25 miliardi) e Regno Unito (19 miliardi) (totale evasione EU:137 miliardi).
Si rappresenta, inoltre, che la dimensione di questa evasione appare largamente sottostimata da parte dei contribuenti italiani. Da una ricerca condotta da The European House – Ambrosetti (Verso la cashless revolution: i progressi dell’italia e cosa resta da fare-Rapporto 2020) emerge che 7 italiani su 10 sottostimano i volumi di evasione Iva, non sapendo come l’Italia si posizioni rispetto agli altri 27 Paesi dell’Unione Europea. Meno di un terzo (31,7% del campione) ha fornito la risposta esatta ovvero che l’Italia è il peggior Paese nell’UE per volumi assoluti di evasione Iva.
L'articolo 1, comma 209, legge n. 244 del 2007, ha introdotto l'obbligo di invio elettronico delle fatture alla PA, mentre il successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze n. 55 del 3 aprile 2013 ha dato attuazione all'obbligo di fatturazione elettronica nei rapporti economici tra pubblica amministrazione e fornitori a partire dal 6 giugno 2014 per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e dal 31 marzo 2015 per le altre pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali.
Dal 1° gennaio 2017, il Ministero dell'economia e delle finanze ha messo a disposizione dei soggetti passivi Iva il Sistema di Interscambio per la trasmissione e ricezione delle fatture elettroniche. Dalla stessa data, chi effettua cessioni di beni e prestazioni di servizi (imprese, artigiani e professionisti) può trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, in sostituzione degli obblighi di registrazione.
La legge di bilancio 2018 ha previsto l'obbligo di emettere soltanto fatture elettroniche attraverso il Sistema di Interscambio a partire dal 1° gennaio 2019 sia nel caso di cessione del bene o prestazione di servizio tra due operatori Iva (operazioni B2B, cioè Business to Business) che da un operatore Iva verso un consumatore finale (operazioni B2C, cioè Business to Consumer). Sono esonerati coloro che rientrano nel regime forfetario agevolato o che continuano ad applicare il regime fiscale di vantaggio.
La fatturazione elettronica obbligatoria attraverso il Sistema di Interscambio consente all’amministrazione finanziaria di acquisire in tempo reale le informazioni contenute nelle fatture emesse e ricevute fra operatori, consentendo alle autorità tributarie di effettuare controlli tempestivi e automatici della coerenza fra l’Iva dichiarata e quella versata, e imprimendo un impulso alla digitalizzazione e alla semplificazione amministrativa.
Dalle prime verifiche sugli effetti dell’introduzione della fatturazione elettronica, illustrate dall’Agenzia delle entrate nel corso dell’audizione alla VI Commissione finanze della Camera dei deputati il 24 giugno 2020, risulta che sono ascrivibili alla fatturazione elettronica effetti positivi per circa 3,5 miliardi di euro. In particolare, il maggior gettito relativo all’Iva riconducibile ai versamenti spontanei dei contribuenti (non riconducibile al ciclo economico) è stato stimato in circa 2 miliardi. Il dato è stato confermato nella NADEF 2020 dove si evidenzia che nel 2019 si è osservato un incremento del gettito Iva superiore a 2,9 miliardi.
Sempre ai fini di una maggiore tracciabilità, dal 1° luglio 2019 è iniziata la graduale sostituzione degli scontrini e delle ricevute fiscali con i corrispettivi elettronici. Nel 2020 scontrini e ricevute sono sostituiti da un documento commerciale, che è emesso esclusivamente utilizzando un registratore telematico (RT) o una procedura web messa a disposizione gratuitamente dall’Agenzia delle entrate. Chi effettua operazioni di commercio al minuto e attività assimilate, per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura (se non richiesta dal cliente), deve certificare i corrispettivi tramite memorizzazione e trasmissione telematica degli stessi all’Agenzia delle entrate. Questo obbligo è scattato dal 1° luglio 2019 per gli operatori economici con volume d’affari superiore a 400.000 euro e dal 1° gennaio 2020 per gli altri, con applicazione delle sanzioni dal 1° luglio, poi rinviata al 1° gennaio 2021 in considerazione delle difficoltà legate all’emergenza da Coronavirus.
Come riportato nella NADEF 2020, alla data del 31 luglio 2020 gli operatori Iva che risultano aver avviato il processo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi risultano circa 1.200.000, di cui circa 990.000 mediante l’uso di RT e circa 530.000 mediante l’uso della procedura web dell’Agenzia delle entrate (circa 320.000 operatori utilizzano entrambe le modalità). Sul fronte dei corrispettivi derivanti dall’uso di distributori automatici, ad oggi gli operatori che trasmettono i predetti dati sono circa 30.000 per circa 700.000 distributori. 659 sono invece gli operatori che trasmettono corrispettivi relativi alle cessioni di benzina e gasolio.
Il decreto legge n. 183 del 2020 (cd. Proroga termini) ha prorogato al 1° gennaio 2022 la decorrenza dell'obbligo di invio dei dati al Sistema tessera sanitaria, ai fini dell'elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, esclusivamente mediante memorizzazione elettronica e trasmissione telematica.
Considerati i risultati ottenuti, la Corte dei Conti (Memoria della Corte dei Conti sul Documento di Economia e Finanza 2020) suggerisce al legislatore di valutare l’opportunità del superamento della facoltatività della fatturazione elettronica per i contribuenti che si avvalgono del c.d. regime forfettario, acquisendo il necessario assenso della Commissione UE. Ciò in considerazione del rilievo che assume, per il corretto funzionamento dell’intero sistema, la conoscenza completa degli scambi intercorsi tra tutti gli operatori economici e tenuto conto che le ragioni che hanno indotto a rendere solo facoltativo l’adempimento (art. 1, comma 692, della legge n. 160/2019) possono ritenersi ormai superate, dato il livello di semplificazione operativa raggiunto dalle attuali tecnologie disponibili sul mercato. La Corte ha riproposto tale suggerimento nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica evidenziando che occorrerebbe armonizzare le prescrizioni in materia di fatturazione elettronica di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 127 del 2015, superando gli esoneri attualmente previsti e, in particolare, quelli che riguardano la platea dei soggetti in regime forfettario che, pur non essendo tenuti alla liquidazione e dichiarazione Iva, sono già obbligati alla certificazione fiscale e, in quanto operanti nel commercio al dettaglio, rientrano nell’obbligo di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi. Ciò in considerazione del rilievo che assume, per il corretto funzionamento dell’intero sistema, la conoscenza completa degli scambi intercorsi tra tutti gli operatori economici.
Nel corso degli anni, sono stati emanati numerosi provvedimenti normativi di semplificazione in ambito tributario:
§ con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 sono state introdotte semplificazioni fiscali, tra l’altro, in tema di abolizione, per i lavoratori dipendenti e i pensionati, dell’obbligo di comunicazione annuale dei dati relativi alle detrazioni per familiari a carico, se non variati, nonché relativamente all’abolizione delle comunicazioni all’Agenzia delle entrate in occasione di ristrutturazioni che beneficiano della detrazione dall’imposta sul reddito;
§ nell’anno successivo, è stato poi emanato il decreto-legge 2 marzo 2012, che ha introdotto previsioni volte sia a facilitare la sanatoria di errori e omissioni formali, attraverso il rilevante istituto della c.d. remissione in bonis, sia a ridurre taluni oneri amministrativi per i cittadini e le imprese;
§ con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, sono previste disposizioni volte a semplificare le comunicazioni telematiche all'Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita Iva, a sopprimere l'obbligo di presentazione mensile del modello 770, ad ampliare l'assistenza fiscale al contribuente nonché a facilitare il contribuente nell’ambito della procedura di riscossione mediante ruolo.
In attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23 (c.d. legge delega per la riforma fiscale), sono stati emanati i seguenti decreti legislativi:
§ il D.Lgs. n. 175 del 2014, con il quale, fra l’altro, è stata introdotta la dichiarazione dei redditi precompilata, è stato elevato il limite di esonero dalla dichiarazione di successione ed è stato eliminato l’obbligo di presentare modelli ad hoc per aderire ad alcuni regimi fiscali speciali;
§ il D.Lgs. n. 127 del 2015, in tema di trasmissione telematica delle fatture o dei dati relativi alle operazioni Iva e di controllo delle cessioni dei beni effettuate attraverso distributori automatici;
§ il D.Lgs. n. 128 del 2015, in tema di certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente e, in particolare, fra gli altri profili, con l’espressa disciplina in tema di abuso del diritto nonché con l’introduzione del regime dell'adempimento collaborativo;
§ il D.Lgs. n. 156 del 2015, il quale ha introdotto misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario;
§ il D.Lgs. n. 159 del 2015, diretto a semplificare e razionalizzare la disciplina in materia di riscossione.
Più recentemente il decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, ha previsto ulteriori norme di semplificazione degli adempimenti tributari, tra le quali:
§ articolo 4-bis in materia di semplificazioni controlli formali delle dichiarazioni dei redditi e termine per la presentazione della dichiarazione telematica;
§ articolo 4-quater in materia di semplificazioni in materia di versamento unitario;
§ articolo 4-quinquies in materia di semplificazione in tema di Indici sintetici di affidabilità fiscale;
§ articolo 6-bis in materia di semplificazione degli obblighi informativi dei contribuenti che applicano il regime forfettario;
§ articolo 12-septies in materia di semplificazioni in materia di dichiarazioni di intento relative all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 153 del decreto Rilancio sposta i termini previsti per l’avvio sperimentale dell’elaborazione delle bozze dei registri Iva e delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva da parte dell’Agenzia delle Entrate, prevedendo una proroga al 2021, uniformando così la data con l’avvio della dichiarazione Iva precompilata. A tale proposito, si segnala che l’articolo 1, comma 10, del decreto Sostegni dispone che l’avvio sperimentale del processo che prevede la predisposizione delle bozze dei registri Iva e delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva da parte dell’Agenzia delle entrate è rinviato alle operazioni Iva effettuate dal 1° luglio 2021 (anziché 1° gennaio 2021) e che solo a partire dalle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2022, l’Agenzia delle entrate metterà a disposizione, oltre alle bozze dei registri Iva e delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva, anche la bozza della dichiarazione annuale Iva.
In via sperimentale, con riferimento all’anno d’imposta 2021, l’Agenzia delle entrate rende disponibili ai soggetti passivi dell’Iva con la liquidazione trimestrale dell’imposta, residenti e stabiliti in Italia, in un’apposita area riservata del sito internet dell’Agenzia, le bozze dei seguenti documenti:
§ i registri relativi alle fatture emesse e ricevute, nonché alle bollette doganali per i beni e i servizi acquistati o importati;
§ la liquidazione periodica dell’Iva;
§ la dichiarazione annuale dell’Iva.
Tra l’altro, per i soggetti che convalidano i registri Iva (con i dati proposti dall’Agenzia o con quelli eventualmente integrati dal contribuente), viene meno l’obbligo di tenuta degli stessi registri, con una significativa semplificazione degli adempimenti contabili.
A tale proposito si segnala che dal 13 settembre 2021, l'Agenzia delle entrate ha messo a disposizione di circa 2 milioni di soggetti passivi Iva, residenti e stabiliti in Italia che effettuano la liquidazione trimestrale dell'Iva (con esclusione di alcune categorie di soggetti che operano in particolari settori o con regimi speciali ai fini Iva), un applicativo web, all'interno di una sezione del portale Fatture e Corrispettivi, dedicato ai registri Iva già precompilati, come previsto dall'articolo 4 del D.Lgs. n. 127/2015. In precedenza, l'8 luglio 2021, con provvedimento sempre dell’dell'Agenzia delle entrate, sono state fissate le modalità di predisposizione dei documenti Iva precompilati e le regole di accesso da parte degli operatori e degli intermediari delegati, sono state stabilite le attività di memorizzazione dei dati e la tenuta dei registri Iva convalidati e le regole di trattamento dei dati e sicurezza, ed è stata individuata la platea dei destinatari. Insieme al provvedimento sono pubblicati due allegati, relativi alla struttura e principali criteri di elaborazione delle bozze dei registri Iva (allegato A) e alle specifiche tecniche relative alla fornitura dei registri Iva precompilati (allegato B).
Il Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, (allegato alla Nadef 2020) prevede il proseguimento dell’azione di razionalizzazione degli adempimenti fiscali anche per potenziare l’azione di contrasto all’evasione attraverso un piano organico basato sulla semplificazione delle regole e degli adempimenti nonché su una nuova e più efficace alleanza tra contribuenti e Amministrazione finanziaria.
A tal fine, l’Atto aggiuntivo alla convenzione tra il Ministro dell'economia e delle finanze e il direttore dell'Agenzia delle entrate per la definizione dei servizi dell’Agenzia delle entrate-Riscossione per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020 richiama l'utilizzo dei servizi digitali e dei canali digitali, nonché dei pagamenti da canali remoti; l’estensione del nuovo modulo di pagamento PagoPA agli altri documenti esattoriali; la promozione dell'area del sito riservata agli intermediari; il mantenimento di un elevato standard del livello dei servizi digitali, valutato in termini di soddisfazione dei cittadini e degli intermediari sull'intera gamma di servizi online.
Nonostante i numerosi interventi di semplificazione disposti negli anni, Confindustria in una recente audizione alla VI Commissione finanze della Camera dei deputati ha rappresentato che secondo il rapporto Doing Business della Banca Mondiale, una impresa-tipo italiana per assolvere correttamente gli obblighi fiscali necessita di circa 30 giornate lavorative (238 ore). Il valore medio per i Paesi OCSE è di sole 20 giornate lavorative (160 ore), con paesi best performer che riescono a contenere tale indicatore in poco più di 7 giornate (50 ore circa). Secondo Confindustria, quindi, il nostro sistema fiscale sottrae, dunque, 10 giornate in più rispetto ai sistemi dei nostri competitor. Al fine di ridurre tale complessità fiscale, Confindustria e il Consiglio Nazionale dei Commercialisti hanno presentato un articolato documento congiunto (Imprese e commercialisti per un Fisco più semplice) che contiene numerose proposte di semplificazione fiscale.
Si ricorda inoltre l’Indagine conoscitiva sul processo di semplificazione del sistema tributario e del rapporto tra contribuenti e fisco in corso presso la Commissione Finanze del Senato.
La riscossione mediante ruolo è il procedimento volto al recupero di somme di denaro che i cittadini devono agli enti pubblici. Tali somme possono essere dovute sia per debiti di natura tributaria che di altra natura (ad es. per multe). Tale tipo di procedimento era stato originariamente previsto per la sola riscossione delle imposte sul reddito ed è regolato dal D.p.r. 29 settembre 1973, n. 602. L’articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999 n. 46 specifica che si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato, anche diverse dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici. Nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi e si distinguono in ordinari e straordinari (i ruoli straordinari sono formati quando vi è fondato pericolo per la riscossione).
L’articolo 29 del decreto-legge n. 78 del 2010, allo scopo di ridurre i tempi di recupero coattivo del credito tributario, ha stabilito che gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate dal 1° ottobre 2011 (relativi al periodo d’imposta in corso al 31/12/2007 e successivi) hanno efficacia esecutiva, in quanto decorso il termine utile per la proposizione del riscorso legittimano l’esecuzione forzata nei confronti del contribuente (cd. accertamento esecutivo).
Sin dalla loro emanazione, gli atti assumono la veste di provvedimenti impositivi, di precetto (intimazione ad adempiere) e di titolo esecutivo (che consente di promuovere l’esecuzione forzata, unitamente al precetto), e una volta notificato l’avviso di accertamento il contribuente deve provvedere (entro i termini) al versamento delle somme dovute, senza che sia necessario attendere la notifica della cartella di pagamento.
In materia di riscossione si segnala che la legge di bilancio 2022 (commi 14-23) introduce delle modifiche alla governance del servizio nazionale della riscossione volte a realizzare una maggiore integrazione tra l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle entrate-Riscossione. A tal fine, si prevede che l'Agenzia delle entrate-Riscossione è sottoposta all'indirizzo operativo e di controllo dell'Agenzia delle entrate, ente titolare della funzione di riscossione. In tale ottica, tra l'altro, l'Agenzia delle entrate approva le modifiche dei regolamenti e degli atti di carattere generale che regolano il funzionamento dell'Agenzia delle entrate-Riscossione, nonché i bilanci e i piani pluriennali di investimento. Sono, altresì, previste forme di assegnazione temporanea, comunque denominate, di personale da un'agenzia all'altra. Le norme, pure in ragione delle modifiche apportate alla governance all'Agenzia delle entrate-Riscossione, modificano anche il sistema di remunerazione dell'Agente della riscossione attraverso una dotazione con oneri a carico del bilancio dello Stato volta ad assicurare il funzionamento dell'ente e la copertura dei relativi costi. Il comma 653, della medesima legge, dispone inoltre che l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di verificare preventivamente, per pagamenti di importi superiore a 5 mila euro, se il beneficiario è inadempiente ai versamenti derivanti dalla notifica di una o più cartelle di pagamento, non si applica per l'erogazione da parte dell'Agenzia delle entrate di contributi a fondo perduto mentre il comma 913 estende il termine per l'adempimento dell'obbligo risultante dal ruolo portandolo, per le cartelle notificate dal 1° gennaio al 31 marzo 2022, da 60 a 180 giorni.
Sul fronte della riscossione, il risultato del 2020 (pari a circa 565 miliardi) ha segnalato un sensibile calo rispetto al 2019 (-4,31 per cento), invertendo un trend che dal 2013 al 2019 ha visto crescere il gettito del 13 per cento. Il decremento riguarda le riscossioni in conto competenza, passate da 544 miliardi nel 2019 a 516 miliardi nel 2020 (-5,2 per cento), mentre le riscossioni in conto residui hanno mostrato un incremento, passando da 46,2 miliardi nel 2019 a 49,1 miliardi nel 2020 (+6,1 per cento), invertendo un trend che negli ultimi tre anni ha visto diminuire il gettito sulla riscossione in conto residui del 7,7 per cento (Corte dei Conti, Relazione sul rendiconto generale dello stato per l’anno 2020).
In occasione dell’audizione presso la VI Commissione finanze della Camera dei deputati, il direttore dell’Agenzia delle entrate ha sottolineato il problema della costante crescita del cosiddetto magazzino ruoli dei crediti ancora da riscuotere. Alla data del 30 giugno 2020, il valore del carico contabile residuo, affidato dai diversi enti creditori all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000, ammonta a circa 987 miliardi di euro, di cui 405,3 miliardi di euro, pari a circa il 41% del totale, appaiono di difficile recuperabilità per le condizioni soggettive del contribuente (152,7 miliardi di euro sono dovuti da soggetti falliti, 129,2 miliardi di euro da persone decedute e imprese cessate, 123,4 miliardi da nullatenenti, in base ai dati presenti nell’Anagrafe tributaria); 440,3 miliardi di euro, pari a circa il 45% del residuo totale, sono riferiti a contribuenti nei confronti dei quali l’Agente della riscossione ha già svolto, in questi anni, azioni esecutive e/o cautelari che non hanno consentito il recupero integrale dell’attuale loro debito attuale; ulteriori 50,2 miliardi di euro (5% del totale residuo), l’attività di riscossione è sospesa per provvedimenti di autotutela emessi dagli enti creditori, in forza di sentenze dell’autorità giudiziaria o, ancora, perché gli importi residui rientrano tra le quote oggetto degli istituti di definizione agevolata in corso.
Nella Relazione inviata al Parlamento ai sensi del decreto Sostegni (articolo 4, comma 10 del decreto-legge n. 41 del 2021, Doc XXVII, n. 25) relativa ai criteri per la revisione del meccanismo di controllo e di discarico dei crediti non riscossi, viene fatta anzitutto una breve ricognizione della genesi e dell'attuale consistenza del c.d. magazzino fiscale, ovvero dei crediti attualmente in carico all'Agenzia delle entrate Riscossione.
Si rappresenta, in tale contesto, che – anche dal raffronto con altri Paesi europei - tale condizione è una anomalia del sistema della riscossione italiano; si suggerisce quindi di valutare una possibile complessiva rivisitazione delle disposizioni normative di settore, per riequilibrare il rapporto tra ente impositore e agente della riscossione, per rendere più efficiente il sistema ed evitare che talune criticità riscontrabili nel procedimento di riscossione finiscano per gravare sull'ultima fase del procedimento medesimo, quella appunto della riscossione coattiva.
La Relazione sottolinea che le cause della difficoltà di gestione dei crediti affidati alla riscossione sono in parte riconducibili ad alcune limitazioni dei poteri dell'agente della riscossione - introdotte dal legislatore con l 'intento di contemperare le ragioni del fisco con il perdurare della grave crisi economico-finanziaria che ha caratterizzato l 'inizio dello scorso decennio, che hanno indebolito l'azione di recupero coattivo - e, in parte, ai termini brevi di prescrizione dell'azione di riscossione.
L’anomala consistenza del magazzino deriva, a parere dell’Amministrazione finanziaria, anche dalla modalità di rendicontazione agli enti creditori delle quote inesigibili e il conseguente loro discarico amministrativo e contabile. Vengono quindi formulate alcune proposte tese a rendere più incisiva l 'azione di recupero coattivo dell'Agente della riscossione, mediante l'accesso a nuove informazioni (banca dati della fatturazione elettronica) e migliorando la frequenza di aggiornamento di quelle già disponibili (Anagrafe dei rapporti finanziari). Sono, inoltre, illustrate proposte riguardanti specifiche fasi dei processi della riscossione, come la razionalizzazione dell'istituto della rateizzazione, l'estensione dei termini di efficacia della notifica e il riequilibrio dei tassi di interesse attivi e passivi.
Si prospettano, inoltre, interventi normativi tesi a modificare l'attuale struttura del sistema di remunerazione della riscossione, basato sull'aggio di riscossione (sul quale si è recentemente espressa la Corte Costituzionale con sentenza n. 120/2021 del 10 giugno 2021, in cui la Consulta ha affermato che il legislatore è tenuto a valutare se l’istituto dell’aggio mantenga ancora «una sua ragion d’essere, posto che rischia di far ricadere su alcuni contribuenti, in modo non proporzionato, i costi complessivi di un’attività ormai svolta quasi interamente dalla stessa amministrazione finanziaria e non più da concessionari privati, o non sia piuttosto divenuto anacronistico e costituisca una delle cause di inefficienza del sistema) e sui rimborsi forfettari delle spese sostenute per la notifica della cartella e per le procedure di recupero.
Viene inoltre ventilata una più stretta integrazione tra l'Agenzia delle entrate-Riscossione e l'Agenzia delle entrate, ponendo altresì le basi per valutare la possibilità di un definitivo superamento del modello duale, in favore di un sistema monistico in cui sia attribuita ad una struttura organizzativa dell'Agenzia delle Entrate Riscossione la riscossione delle entrate erariali e previdenziali.
Infine, nell'ultima parte della relazione si delineano alcune ipotesi di intervento sul il c.d. discarico per inesigibilità dei carichi affidati all'Agente della riscossione, ancorato a regole e meccanismi tipici del modello concessorio in cui la riscossione veniva affidata ad operatori privati (banche o esattorie private). Si ipotizza un discarico automatico dei crediti non riscossi, una volta decorso un congruo periodo di tempo dall'affidamento dei medesimi crediti alla riscossione coattiva o da eventuali azioni che hanno determinato un incasso solo parziale del credito.
La VI Commissione Finanze della Camera ha avviato l’esame della predetta relazione nel mese di settembre 2021 e il 12 ottobre 2021 ha approvato la risoluzione n. 8-00137.
Nel Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, allegato alla NADEF 2021, si segnala che nel triennio 2016-2018 (per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni) il gap complessivo delle entrate (differenza tra gettito teorico e gettito effettivo registrato) è stato in media di circa 105,9 miliardi di euro, di cui 94,3 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,6 miliardi di mancate entrate contributive. Nel 2018, l'ammontare complessivo del tax gap, fiscale e contributivo, si assesta a circa 102,8 miliardi di euro, di cui 90,6 miliardi di euro di mancate entrate tributarie. Anche la propensione all'inadempimento dei contribuenti (propensione al gap) è diminuita nel biennio 2018-2019. La riduzione di circa 1,7 punti percentuali registrata nel 2018 rispetto al 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente. Nel 2019 si segnala, infatti, la forte riduzione della propensione al gap dell'IVA, per circa 3,5 punti percentuali. Per la prima volta la serie storica della propensione al gap dell'IVA si riduce sotto la soglia simbolica del 20 per cento.
Il decreto legge n. 193/2016 ha introdotto, dal periodo d’imposta 2018, gli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA), che sostituiscono definitivamente gli studi di settore. Gli ISA rappresentano i nuovi indicatori statistici introdotti dall’Agenzia delle Entrate per valutare l’affidabilità fiscale di imprese e lavoratori autonomi su una scala da 1 a 10. Rispetto ai precedenti studi di settore, gli ISA sono stati concepiti con l’obiettivo di passare da indicatori con mera funzione di accertamento ad indicatori basati sull’adempimento spontaneo degli obblighi tributari (tax compliance). La prospettiva in cui gli ISA si inseriscono è quella di un cambio di paradigma: da strumenti vòlti ad una maggiore efficacia ed incisività dell’attività di accertamento (studi di settore) ad indicatori (ISA) che stimolino la cooperazione tra Fisco e contribuenti (cooperative compliance, intesa in senso lato) e valorizzino l’affidabilità del contribuente tramite benefici premiali. Infatti, in base al punteggio raggiunto dall’impresa o dal lavoratore autonomo, sono riconosciuti specifici vantaggi, tanto maggiori quanto più alto è il livello di affidabilità fiscale calcolato dall’indice.
La platea dei soggetti interessati dagli ISA (anno imposta 2018) è rappresentata da 3.189.124 posizioni, in aumento rispetto a quella degli studi di settore relativi all’anno 2017 (+ 0,18%). La platea è composta per il 60% da persone fisiche (-2,3% rispetto al 2017), per il 17,53% da società di persone (-2,9%) e per il 22,47% da società di capitali ed enti non commerciali (+10,3% rispetto al 2017). I ricavi e i compensi medi dichiarati dai soggetti sono pari a 249.430 euro, in aumento dell’8,90% rispetto a quelli degli studi di settore del 2017.
Ricavi o compensi medi dichiarati e valore aggiunto medio
Fonte: Mef – Dipartimento delle Finanze
Più recentemente, diverse norme del cd. decreto fiscale 2019 e della legge di bilancio 2020 hanno inteso ampliare e a rendere più tempestive le informazioni a disposizione dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza sia per la realizzazione dei controlli, sia per rafforzare l’attività preventiva e migliorare il rapporto di collaborazione con il contribuente attraverso un maggiore ricorso a strumenti persuasivi (comunicazioni per la promozione della compliance).
In particolare, i commi da 681 e 686 della legge di bilancio 2020 stabiliscono che per le attività di analisi del rischio di evasione effettuate utilizzando le informazioni contenute nell'archivio dei rapporti finanziari tenuto presso l'anagrafe tributaria, l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza si possano avvalere delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati di cui dispongono, allo scopo di individuare criteri di rischio utili per far emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo, nel rispetto di specifiche condizioni poste a protezione dei dati personali dei cittadini. Viene incluso, fra le ipotesi in cui viene limitato l'esercizio di specifici diritti in tema di protezione dei dati personali, l'effettivo e concreto pregiudizio alle attività di prevenzione e contrasto all'evasione fiscale.
In materia di interconnessione di banche dati si segnala che la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria ha deliberato un’indagine conoscitiva sulla digitalizzazione e interoperabilità delle banche dati fiscali nel corso della quale verranno auditi esperti del settore.
La portata innovativa della norma risiede, in sintesi, nella possibilità per l’Agenzia delle entrate di passare da logiche deduttive a logiche induttive nell’attività di controllo grazie a un’attività di data mining (estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati attraverso metodi automatici o semi-automatici) svolta a monte della determinazione dei criteri di rischio.
L’Ufficio parlamentare di bilancio (Rapporto sulla politica di bilancio 2020 (UPB)) rileva che l’efficacia delle norme, alla quale sono associate maggiori entrate a regime pari a 460 milioni, dipende in modo cruciale:
§ dalla capacità dell’Agenzia delle entrate di sfruttare il potenziale informativo che avrà a disposizione e cioè di poter disporre delle adeguate competenze statistico-informatiche e di risorse umane professionalmente idonee a questo scopo;
§ dall’effettivo superamento delle problematiche connesse con il trattamento dei dati personali.
In merito alla contrapposizione tra norme volte al contrasto dell’evasione fiscale e privacy dei cittadini, si ricorda che nell’Unione europea 16 Stati su 27 pubblicano i nomi degli evasori fiscali e di quanti devono soldi allo Stato (name and shame). E la pratica non riguarda solo i Paesi europei, ma anche 23 Stati degli Usa e altri paesi del mondo come Australia, Messico, Nigeria e Uganda. In Francia, inoltre, (in cui è legittima la pubblicazione del nome dell’evasore) con la Loi des finances 2020 l’amministrazione fiscale e quella doganale possono raccogliere ed elaborare in via automatizzata, cioè attraverso algoritmi, le informazioni pubblicate dagli utenti sui propri profili social e utilizzarle nell’attività di contrasto agli illeciti fiscali e doganali per selezionare i soggetti da sottoporre a controllo. A rientrare nello scanner fiscale saranno le informazioni diffuse pubblicamente dagli utenti stessi, in pratica quelle postate e condivise, con l’esclusione, quindi, delle conversazioni private all’interno dei social stessi e in generale tutto ciò che è accessibile solo tramite password.
Sempre in materia di contrasto dell’evasione si segnala che l’Agenzia delle entrate ha ottenuto il via libera dell’Unione europea al finanziamento del progetto A data driven approach to tax evasion risk analysis in Italy ideato e presentato dall’Agenzia stessa con la finalità di innovare i processi di valutazione del rischio di non-compliance.
In sintesi, gli specifici ambiti d’intervento del progetto saranno:
- network science. La rappresentazione dei dati sotto forma di reti permette di far emergere con maggiore facilità relazioni indirette e non evidenti tra soggetti (ad esempio relazioni tra società);
- analisi visuale delle informazioni. L’adozione di interfacce innovative uomo-macchina (ad esempio modalità visuali fluide e intuitive di navigazione dei dati), consente di potenziare le capacità degli analisti;
- intelligenza artificiale. L’ausilio di tecniche di apprendimento automatico (machine learning) accelera i processi decisionali, sempre sotto controllo da parte degli analisti, e ne aumenta l’accuratezza e l’efficacia.
L’Agenzia ha sottolineato che con l’utilizzo della network science, dell’intelligenza artificiale e della data visualization intende valorizzare al meglio il vasto patrimonio di dati di cui dispone come ad esempio, per ogni singola annualità, 42 milioni di dichiarazioni, 750 milioni di informazioni comunicate da soggetti terzi, 400 milioni di rapporti finanziari attivi, 197 milioni di versamenti F24, circa 2 miliardi di fatture elettroniche e oltre 150 milioni di immobili censiti.
Ai fini di migliorare la compliance del contribuente, la legge di bilancio 2017 ha previsto l’istituzione di una lotteria nazionale, cui partecipano i contribuenti che effettuano acquisti di beni o servizi presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi. Per partecipare all'estrazione è necessario che i contribuenti, al momento dell'acquisto, comunichino il proprio codice lotteria all'esercente e che quest'ultimo trasmetta all'Agenzia delle entrate i dati della singola cessione o prestazione (le vincite non concorrono alla formazione del reddito imponibile del vincitore e non sono assoggettate ad alcun prelievo erariale e ove siano utilizzati strumenti di pagamento elettronici da parte dei consumatori (carte di credito e bancomat) sono previsti premi aggiuntivi sia per il consumatore che per l’esercente). In tale modo si cerca di attribuire al consumatore finale un ruolo di controllo mediante l’introduzione di un contrasto di interessi tra le controparti della transazione economica.
Con la pubblicazione del provvedimento congiunto dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli e dell'Agenzia delle entrate sono state fissate le regole per il funzionamento della lotteria. A partire dal 1° febbraio 2021 possono partecipare alla lotteria tutte le persone maggiorenni residenti in Italia che, fuori dall'esercizio di un'attività d'impresa, arte o professione, acquistano, pagando con mezzi elettronici, beni o servizi per almeno un euro di spesa presso esercenti che trasmettono telematicamente i corrispettivi. Per partecipare è sufficiente mostrare il proprio codice lotteria al momento dell'acquisto (si tratta di un codice a barre e alfanumerico che si può ottenere inserendo il proprio codice fiscale sul Portale della lotteria (www.lotteriadegliscontrini.gov.it).
Se l'importo della spesa è almeno pari a 1 euro e il pagamento avviene tramite mezzi elettronici (carte di credito, carte di debito, bancomat, carte prepagate, carte e app connesse a circuiti di pagamento privativi e a spendibilità limitata), lo scontrino elettronico che l'esercente invia telematicamente produrrà un biglietto virtuale per ogni euro speso, fino a un massimo di 1.000 biglietti per ogni scontrino di importo pari o superiore a 1.000 euro.
Si segnala, inoltre, l’introduzione del cd. cashback, un rimborso attribuito in misura percentuale per ogni transazione regolata con strumenti di pagamento elettronici a chi, fuori dall'esercizio di attività d'impresa, arte o professione, effettua acquisti fino al 30 giugno 2022. A tale proposito il comma 1 dell’articolo 11-bis del decreto legge n.73 del 2021 sospende il rimborso cashback per il secondo semestre 2021, mantenendo il programma di rimborso per il secondo semestre 2022.
Il programma cashback è stato definitivamente chiuso il 31 dicembre 2021, per effetto dell'articolo 1, commi da 637 a 644, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021).
Le condizioni, i criteri e le modalità attuative per l'attribuzione del rimborso sono disciplinati dal Decreto n. 156 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in applicazione dell'articolo 1, commi da 288 a 290, della legge di bilancio 2020.
Accedono al rimborso solo gli aderenti che abbiano effettuato un numero minimo di 50 transazioni in un periodo di sei mesi. Il rimborso è pari al 10% dell'importo di ogni transazione, fino a un valore massimo di 150 euro per singola transazione. Le transazioni di importo superiore a 150 euro concorrono fino all'importo di 150 euro. I rimborsi, che sono erogati entro 60 giorni dal termine di ciascun periodo, sono in ogni caso determinati su un valore complessivo delle transazioni effettuate non superiore a 1.500 euro in ciascun periodo.
Il periodo sperimentale (dall’8 dicembre al 31 dicembre 2020, con il primo rimborso nel mese di febbraio 2021), che precedeva l’entrata a regime della misura, ha registrato 5,8 milioni di cittadini iscritti, 9,8 milioni di strumenti di pagamento elettronici registrati e oltre 63 milioni di transazioni effettuate.
Con riferimento al contenzioso pendente innanzi alla giustizia tributaria si segnala che, anche grazie al contributo degli strumenti deflattivi, primo fra tutti l’introduzione del reclamo-mediazione obbligatorio (2011), nell’ultimo decennio il numero dei giudizi pendenti dinanzi le CTP e le CTR è progressivamente diminuito (da circa 700.000 nel 2010 a 335.000 nel 2019). Nello stesso periodo, il numero delle pendenze dinanzi la Cassazione è invece aumentato, come anche la durata media dei giudizi, attestatasi nel 2019 a circa 4 anni, che vanno ad aggiungersi ai 4 anni circa di durata media complessiva dei giudizi di merito nei gradi precedenti.
In materia di definizione agevolata (cd. pace fiscale) si ricorda che nel corso degli ultimi anni diversi provvedimenti (anche d'urgenza) hanno consentito di definire alcune tipologie di pretese tributarie, così come le liti pendenti col fisco, con modalità agevolate; in sostanza i contribuenti sono stati invitati a liquidare le somme dovute, in unica soluzione o a rate, a fronte di uno sconto sulle somme richieste (generalmente senza corrispondere sanzioni e interessi) e con specifici effetti favorevoli fiscali e/o penali.
In particolare sia la legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018) che il decreto-legge n. 119 del 2018 hanno introdotto numerose misure complessivamente volte a consentire la chiusura delle pendenze col fisco attraverso una molteplicità di strumenti:
§ definizione agevolata delle cartelle tributarie, degli atti del procedimento di accertamento fiscale e delle liti pendenti (cd. rottamazione ter);
§ annullamento automatico (stralcio) di alcuni debiti di modico valore;
§ regolarizzazione delle irregolarità formali dei periodi d'imposta precedenti;
§ definizione agevolata dei debiti delle persone fisiche in difficoltà economica;
§ definizione agevolata ai carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2017 a titolo di risorse proprie tradizionali dell’Unione Europea (tariffe doganali) e di Iva riscossa all’importazione.
Successivamente il decreto legge 34 del 2020 ha disposto per i contribuenti decaduti dai benefici della Definizione agevolata (“rottamazione-ter”, “saldo e stralcio” e “definizione agevolata delle risorse UE”), per mancato, insufficiente o tardivo versamento delle rate scadute nel 2019, la possibilità di chiedere la dilazione del pagamento (ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/1973) per le somme ancora dovute. La norma inoltre prevede che la decadenza del debitore dalle rateazioni accordate dall'agente della riscossione si verifichino in caso di mancato pagamento di dieci, anziché di cinque rate anche non consecutive.
A tale proposito, si segnala che nel 2019 sul fronte del maggior gettito derivante dalla definizione agevolata dei debiti tributari e dalle misure di pace fiscale si registra un risultato sostanzialmente uguale a quello del 2018 con riferimento al recupero derivante da misure straordinarie pari a 3 miliardi di euro. Di questi, 2,1 miliardi (-19% rispetto al 2018) derivano dalla rottamazione delle cartelle riferite all’Agenzia delle Entrate e 900 milioni dalla definizione agevolata di cui agli artt. 1, 2, 6 e 7 del decreto legge n. 119 del 2018 (rottamazione-ter).
Il decreto-legge Sostegni (decreto-legge n. 41 del 2021) ha poi differito al 31 luglio 2021 il termine per il pagamento delle rate in scadenza nel 2020 relative alla rottamazione-ter, al saldo e stralcio e alla definizione agevolata delle risorse UE; tale termine era stato precedentemente fissato al 1° marzo 2021 dal cd. decreto Ristori (decreto-legge n. 137 del 2020). In particolare, per i contribuenti in regola con il pagamento delle rate 2019, il mancato, insufficiente o tardivo versamento di quelle in scadenza per l’anno 2020 non determina la perdita dei benefici della Definizione agevolata, se le stesse vengono integralmente corrisposte entro il 31 luglio 2021. Per il pagamento entro questo nuovo termine di scadenza sono ammessi i cinque giorni di tolleranza di cui all’articolo 3, comma 14-bis, del decreto--legge n. 119 del 2018.
Il provvedimento ha differito al 30 novembre 2021 il termine per il pagamento delle rate in scadenza nel 2021 relative ai predetti istituti agevolativi. In particolare, per i contribuenti in regola con il pagamento delle rate 2020, da effettuarsi entro il prossimo 31 luglio 2021, il mancato, insufficiente o tardivo versamento delle rate in scadenza per l’anno 2021, non determina la perdita dei benefici della definizione agevolata se le stesse sono corrisposte entro il 30 novembre 2021. Resta confermata la scadenza del 30 novembre 2021 per il pagamento della quarta rata in scadenza nell’anno 2021 della cd. rottamazione-ter e della definizione agevolata delle risorse UE.
L’articolo 1-sexies del decreto legge Sostegni-bis (decreto-legge n.73 del 2021) ha rimodulato ulteriormente le predette scadenze e, in particolare, chiarisce che si considera tempestivo, tale da non pregiudicare l’efficacia delle relative definizioni agevolate, il versamento delle rate dovute nel 2020 e delle rate dovute entro il 28 febbraio, il 31 marzo, il 31 maggio e il 31 luglio 2021, se effettuato integralmente:
§ entro il 31 luglio 2021, per le rate in scadenza il 28 febbraio e il 31 marzo 2020;
§ entro il 31 agosto 2021, per la rata in scadenza il 31 maggio 2020;
§ entro il 30 settembre 2021, per la rata in scadenza il 31 luglio 2020;
§ entro il 31 ottobre 2021, per la rata in scadenza il 30 novembre 2020;
§ entro il 30 novembre 2021, per le rate in scadenza il 28 febbraio, il 31 marzo, il 31 maggio e il 31 luglio 2021.
Il decreto-legge n. 146 del 2021 ha riammesso i contribuenti che non hanno corrisposto le rate 2020 e 2021 della rottamazione-ter, del “saldo e stralcio” e della rottamazione UE alle scadenze di legge ai benefici della definizione agevolata effettuando il pagamento delle somme dovute entro il 9 dicembre 2021. Il pagamento è considerato tempestivo se effettuato entro il 14 dicembre 2021.
Il decreto Sostegni, anche per alleggerire il magazzino fiscale dell’Agenzia delle entrate – Riscossione ha disposto i seguenti interventi:
- l’annullamento automatico di tutti i debiti di importo residuo fino a 5.000 euro risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2010, ancorché ricompresi in precedenti definizioni agevolate relative ai debiti affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2017. L’agevolazione opera in favore di persone fisiche che hanno percepito, nell’anno d’imposta 2019, un reddito imponibile fino a 30.000 euro e di soggetti diversi dalle persone fisiche che hanno percepito, nel periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2019, un reddito imponibile fino a 30.000 euro;
- la definizione agevolata, per gli operatori economici che hanno subito consistenti riduzioni del volume d’affari nell’anno 2020 (più del 30%), in conseguenza degli effetti dell’emergenza da COVID-19, di delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato (cd. avvisi bonari) le cui comunicazioni sono state elaborate entro il 31 dicembre 2020 (con riferimento alle dichiarazioni 2017) ovvero devono essere elaborate entro il 31 dicembre 2021 (con riferimento alle dichiarazioni 2018), qualora tali comunicazioni di irregolarità non siano state inviate per la sospensione disposta dai provvedimenti emergenziali. La definizione agevolata abbatte le sanzioni e le somme aggiuntive richieste con gli avvisi bonari; restano dovuti imposte, interessi e contributi previdenziali.
Sostanziali innovazioni hanno riguardato (commi 784 e ss.gg. della legge di bilancio 2020) la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva.
In dettaglio, tali norme hanno previsto, anche per gli enti locali, l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali, che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo. Esso opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data.
Inoltre la legge di bilancio 2020:
§ è intervenuta sulla disciplina del versamento diretto delle entrate degli enti locali, prevedendo che tutte le somme a qualsiasi titolo riscosse appartenenti agli enti locali affluiscano direttamente alla tesoreria dell'ente;
§ ha disciplinato in modo sistematico l'accesso ai dati da parte degli enti e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione;
§ novella la procedura di nomina dei funzionari responsabili della riscossione;
§ in assenza di regolamentazione da parte degli enti, ha disciplinato puntualmente la dilazione del pagamento delle somme dovute;
§ ha istituito una sezione speciale nell'albo dei concessionari della riscossione, cui devono obbligatoriamente iscriversi i soggetti che svolgono le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali;
§ ha previsto la gratuità delle trascrizioni, iscrizioni e cancellazioni di pignoramenti e ipoteche richiesti dal soggetto che ha emesso l'ingiunzione o l'atto esecutivo.
La legge di bilancio 2021 è intervenuta sulla predetta riforma, modificando i requisiti patrimoniali richiesti per l'iscrizione nell'albo dei privati abilitati all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali per i comuni di minore dimensione.
Il decreto-legge Proroga termini 2021 (decreto-legge n. 182 del 2020) ha differito al 30 giugno 2021 il termine per l'adeguamento alla riforma della riscossione delle entrate locali operata dalla legge di bilancio 2020 dei contratti in corso alla data del 1° gennaio 2020 tra gli enti locali e i soggetti concessionari della riscossione delle entrate locali.
Sotto un diverso profilo, in applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all'evasione fiscale, il legislatore ha nel tempo previsto un maggior coinvolgimento degli Enti territoriali nell'attività di accertamento e riscossione. Il decreto fiscale 2019 (decreto-legge n. 124 del 2019) ha prorogato al 2021 l'attribuzione ai comuni dell'incentivo previsto per la partecipazione all'attività di accertamento tributario, che è pari al 100 per cento del riscosso a titolo di accertamento nell'anno precedente, a seguito delle segnalazioni qualificate trasmesse da tali enti.
Si ricorda che, in attuazione della delega contenuta nella legge n. 23 del 2014, l’articolo 13 del D.Lgs. 159 del 2015 affidava al Ministro dell’economia e delle finanze il compito di emanare un decreto che disciplinasse la misura e la decorrenza dell’applicazione del tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo da determinarsi possibilmente in misura unica, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, compresa nell’intervallo tra lo 0,5 per cento e il 4,5 per cento. Tale decreto, volto in sostanza a unificare la misura degli interessi per la fase di adempimento spontaneo e coattivo dell'obbligo tributario nonché per i rimborsi, non è stato tuttavia emanato.
La norma prevede che fino all'emanazione del decreto, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alle singole leggi d'imposta e il decreto ministeriale del 21 maggio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 15 giugno 2009.
Per gli interessi di mora di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si applica il tasso individuato annualmente con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.
Successivamente l’articolo 37 del decreto legge n. 124 del 2019, comma 1-ter, ha stabilito che il tasso di interesse per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo è determinato, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in misura compresa tra lo 0,1 per cento e il 3 per cento. Ai sensi del comma 1-quater, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (non emanato) dovevano essere stabilite misure differenziate, nei limiti predetti, per gli interessi di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Pagamenti rateali in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto), agli articoli 20 (Interessi per ritardata iscrizione a ruolo), 21 (Interessi per dilazione del pagamento), 30 (Interessi di mora), 39 (Sospensione amministrativa della riscossione), 44 (Interessi per ritardato rimborso di imposte pagate) e 44-bis (Interessi per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in materia di riscossione, nonché per quelli di cui agli articoli 8, comma 2, e 15, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 in materia di accertamento con adesione.
L’esigenza manifestata dal legislatore di intervenire sulla disciplina dei tassi di interesse in materia fiscale deriva da una disciplina frammentata e stratificatasi nel tempo.
In primo luogo occorre ricordare la legge. n. 29 del 1961, che concerne la riscossione dei carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari e, in particolare, la misura degli interessi da applicarsi in caso di omessi o ritardati versamenti da parte del contribuente o di mancati rimborsi da parte dell’amministrazione.
In sostanza, la norma stabilisce che sulle somme dovute all'Erario per tasse e imposte indirette sugli affari si applicano gli interessi moratori nella misura semestrale del 3 per cento da computarsi per ogni semestre compiuto (misura superata dal DM 21 maggio 2009 di seguito illustrato). Gli interessi si computano a decorrere dal giorno in cui il tributo è divenuto esigibile. In caso di omissione di formalità o di omessa autotassazione, o di insufficiente o mancata denuncia, gli interessi si computano dal giorno in cui la tassa o l'imposta sarebbe stata dovuta se la formalità fosse stata eseguita o l'autotassazione effettuata o la denuncia presentata in forma completa e fedele. Gli interessi sono dovuti indipendentemente dall'applicazione di ogni penalità o sopratassa prevista dalle singole leggi tributarie.
Sulle somme pagate per tasse e imposte indirette sugli affari e ritenute non dovute a seguito di provvedimento in sede amministrativa o giudiziaria spettano al contribuente gli interessi di mora nella medesima misura a decorrere dalla data della domanda di rimborso.
Su tale impianto è intervenuto, da ultimo, l'art. 1, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che ha demandato a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze la definizione delle misure, anche differenziate, degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale fissato ai sensi dell'art. 1284 del codice civile (limite introdotto dall'articolo 13 della legge 13 maggio 1999, n. 133), ad eccezione della determinazione degli interessi di mora ai sensi dell'art. 30 del citato DPR n. 602 del 1973.
Successivamente, l’articolo 7 del decreto legge n. 70 del 2011 in materia di semplificazioni fiscali ha ridotto tale differenza da tre a un punto percentuale.
Il D. M. 21 maggio 2009 ha quindi provveduto alla determinazione di tutti i tassi di interesse per la riscossione e il rimborso dei tributi, diversificando tra i vari tributi:
Interesse per ritardato rimborso delle imposte (articolo 1)
Sono dovuti nella misura del 2 per cento annuo ovvero dell'1 per cento semestrale:
§ gli interessi per ritardato rimborso di imposte pagate e per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata (articoli 44 e 44-bis del DPR n. 602 del 1973;
§ gli interessi per i rimborsi in materia di imposta sul valore aggiunto (articoli 38-bis e 38-ter del DPR n. 633 del 1972 decreto Iva);
§ gli interessi per i rimborsi dell'imposta di successione (articoli 42, comma 3, e 37, comma 2, del d.lgs. n. 346 del 1990) e delle imposte ipotecaria e catastale (articolo 13, comma 4, del d.lgs. n. 347 del 1990);
§ gli interessi per i rimborsi delle somme non dovute per tasse e imposte indirette sugli affari (articoli 1 e 5 della citata legge n. 29 del 1961).
Interessi per ritardata iscrizione a ruolo (articolo 2)
Gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo (articolo 20 del DPR n. 602 del 1973) sono dovuti nella misura del 4 per cento annuo.
Interessi per dilazione del pagamento (articolo 3)
Gli interessi per dilazione del pagamento (articolo 21 del DPR n. 602 del 1973) sono dovuti nella misura del 4,5 per cento annuo.
Interessi per la sospensione amministrativa (articolo 4)
Gli interessi per la sospensione amministrativa della riscossione (articolo 39 del DPR n. 602 del 1973) sono dovuti nella misura del 4,5 per cento annuo.
Interessi per pagamenti rateali (articolo 5)
Gli interessi per i pagamenti rateali in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto (articolo 20, d.lgs. n. 241 del 1997) sono dovuti nella misura del 4 per cento annuo.
Gli interessi per inadempimento dei pagamenti rateali a seguito di controlli formali e controlli automatizzati (articolo 3-bis, comma 3, d.lgs. n. 462 del 1997) sono dovuti nella misura del 3,5 per cento annuo.
Gli interessi sugli importi dilazionati per l'imposta sulle successioni e donazioni (articolo 38, comma 2, d.lgs. n. 346 del 1990), sono dovuti nella misura del 3 per cento annuo.
Interessi per ritardato pagamento (articolo 6)
Gli interessi relativi alle somme dovute per i pagamenti rateali a seguito di controlli formali e controlli automatizzati (articoli 2, comma 2, e 3, comma 1, d.lgs. n. 462 del 1997), versate entro 30 giorni, sono dovuti nella misura del 3,5 per cento annuo.
Sono stabiliti al tasso del 3,5 per cento annuo gli interessi relativi alle somme dovute a seguito di:
a. rinuncia all'impugnazione dell'accertamento (articolo 15, d.lgs. n. 218 del 1997);
b. pagamento dell'imposta di registro, di donazione, ipotecaria e catastale entro 60 giorni (articoli 54, comma 5, e 55, comma 1, DPR n. 131 del 1986);
c. pagamento delle tasse sulle concessioni governative (DPR n. 641 del 1972), e delle tasse automobilistiche la cui gestione è di competenza dello Stato, entro i termini previsti dagli avvisi di accertamento;
d. accertamento con adesione (articolo 8, d.lgs. n. 218 del 1997), versate entro 20 giorni;
e. conciliazione giudiziale (articolo 48, d.lgs. n. 546 del 1992), versate nei termini fissati dall’accordo.
Sono stabiliti nella misura del 2,5 per cento per ogni semestre compiuto gli interessi relativi alle somme dovute per le imposte sulle successioni e per le imposte ipotecarie e catastali, versate entro sessanta giorni (articolo 37, comma 1, d.lgs. n. 346 del 1990.
Viceversa, come anticipato, la definizione del tasso degli interessi di mora di cui all’articolo 30 del DPR n. 602 del 1973 è demandata a un provvedimento annuale del Direttore dell'Agenzia delle entrate che deve tener conto della media dei tassi bancari attivi. Da ultimo, il provvedimento del 23 maggio 2019 ha fissato il tasso di interesse nella misura del 2,68 per cento annuo
L’articolo 30 stabilisce che, decorso inutilmente il termine previsto dalla cartella di pagamento, sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora.
Con riferimento alla misura degli interessi di mora per ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo, vedi anche il focus dell'Agenzia.
Nel corso del 2020 e del 2021, per fronteggiare l'emergenza Coronavirus, sono state adottare misure per sospendere gli adempimenti fiscali, i pagamenti e il potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria. Tali misure, inizialmente introdotte per la cd. zona rossa, sono state gradualmente estese a tutto il territorio nazionale.
Il decreto-legge Sostegni-bis (n. 73 del 2021) ha differito al 31 agosto 2021 il termine di sospensione per il versamento di tutte le entrate tributarie e non tributarie derivanti da cartelle di pagamento, avvisi di addebito e avvisi di accertamento affidati all’Agente della riscossione; per tali pagamenti, riferiti al periodo dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021, il termine di effettuazione è stato fissato al mese successivo alla scadenza del periodo di sospensione e, dunque, al 30 settembre 2021.
Nella Relazione della V Commissione sulla individuazione delle priorità nell'utilizzo del Recovery Fund sono state recepiti i rilievi espressi dalla VI Commissione finanze (seduta del 29 settembre 2020). In particolare è stata indicata l’opportunità di una riforma fiscale, con particolare riferimento al miglioramento della compliance e alla revisione del sistema della riscossione, secondo le seguenti linee di intervento:
a) innovazione della struttura delle Agenzie fiscali, al fine di semplificare le procedure e ridurre i tempi per il pagamento di rimborsi e contributi, rispondendo, nell’erogazione dei servizi, a indicatori legati alla semplificazione, ai tempi di trattazione delle pratiche e al grado di soddisfazione dell’utente, anche in vista della piena attuazione dell’assegno unico quale primo passo di una complessiva riforma delle politiche familiari;
b) innovazione e digitalizzazione, rafforzando i servizi per i cittadini (sportello virtuale), favorendo l’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento (smart POS) integrati nei registratori di cassa telematici, volti a semplificare gli adempimenti dei commercianti anche ai fini della tracciabilità bancaria e dell’accelerazione dei rimborsi fiscali, e rafforzano gli strumenti di ausilio all’attività di controllo mediante un miglior utilizzo del patrimonio informativo disponibile (network analysis, machine learning e data visualization);
c) agevolazione del progressivo passaggio, per le persone fisiche e le società di persone in regime di contabilità semplificata e successivamente per tutti i lavoratori autonomi, ad un sistema di tassazione per cassa che superi il meccanismo degli acconti dell’Irpef, semplificando gli adempimenti, migliorando l’adempimento degli obblighi tributari e favorendo gli investimenti in beni strumentali, i cui costi potrebbero essere subito dedotti dal reddito, incentivando così anche la crescita del Paese;
d) individuazione – al fine di garantire maggiore competitività del sistema produttivo e favorire la patrimonializzazione delle imprese attraverso la leva finanziaria – di ulteriori e più potenti forme di incentivazione fiscale del risparmio, ancorché limitate nel tempo, in analogia con quanto già previsto per i Piani individuali di risparmio (PIR);
e) riforma del sistema della riscossione, prevedendo una dotazione finanziaria annuale stabile che garantisca l’equilibrio di bilancio dell’Agenzia delle entrate- Riscossione e realizzando il progressivo smaltimento dell’arretrato (anche attraverso la cancellazione dei crediti inesigibili) per consentire all’Agente della riscossione di modulare l’azione di recupero secondo princìpi di efficacia ed efficienza;
f) riforma della giustizia tributaria, attraverso una riforma organica degli assetti organizzativi della sua giurisdizione, al fine di risolvere le questioni connesse ai profili di indipendenza, autonomia, specializzazione e professionalizzazione del giudice tributario e di promuovere un rinnovato rapporto di leale collaborazione tra lo Stato e il contribuente, nonché per incoraggiare la mediazione tributaria e l’autotutela tributaria quali strumenti deflattivi del contenzioso, con positivi effetti sulla celerità e sulla certezza della riscossione.
Sono all’esame della Commissione finanze Camera alcune proposte di legge in materia di definizione agevolata di imposte, atti di accertamento, riscossione e contenzioso tributario, per favorire la ripresa economica (A.C. 1575 Caretta, A.C. 2457 Martino, A.C. 2465 e 2555 Bitonci).
In estrema sintesi, le pdl 2457, 2465 e 2555 prevedono meccanismi di definizione automatica relativi a specifiche categorie di reddito d'impresa; la pdl 2465 consente inoltre di regolarizzare attività detenute all'estero; la pdl 2555 ripropone, aggiornandole, numerose misure di cd. pacificazione fiscale già disciplinate dal decreto-legge n. 119 del 2018. La pdl 1575, infine, consente di definire con modalità agevolate i cd. avvisi bonari.
Il sistema della giustizia tributaria è costituito dalle Commissioni tributarie provinciali (CTP) presenti in ciascun capoluogo di provincia che giudicano in primo grado e dalle Commissioni tributarie regionali (CTR) con sede in ciascun capoluogo di regione che giudicano in appello.
La funzione giudicante delle Commissioni tributarie è svolta o da un collegio di giudici presieduto da un presidente di sezione, ovvero da un giudice monocratico. A capo di ogni Commissione tributaria è preposto un magistrato.
L’organo di autogoverno della magistratura tributaria è il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria.
La funzione amministrativa di supporto all’attività giurisdizionale è svolta dal personale dell’ufficio di segreteria delle Commissioni tributarie che dipende dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.
La normativa di riferimento è contenuta nel d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545 sull’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria e organizzazione degli uffici di collaborazione, mentre il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 reca le disposizioni sul processo tributario.
A ciascuna delle commissioni tributarie provinciali e regionali è preposto un presidente che presiede anche la prima sezione. A ciascuna sezione è assegnato un presidente, un vice-presidente e non meno di quattro giudici tributari.
Ogni collegio giudicante è presieduto dal presidente della sezione o dal vicepresidente e giudica con numero invariabile di tre votanti (articolo 2, d.lgs. n. 545 del 1992).
I presidenti delle commissioni tributarie regionali o provinciali sono nominati tra i magistrati ordinari, ovvero amministrativi o militari, in servizio o a riposo (articolo 3).
I presidenti di sezione delle commissioni tributarie regionali o provinciali sono nominati tra i magistrati ordinari, amministrativi o militari, in servizio o a riposo, mentre i vicepresidenti di sezione sono nominati tra i magistrati, ovvero tra i componenti che abbiano esercitato, rispettivamente per almeno dieci o cinque anni le funzioni di giudice tributario, purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio.
I giudici delle commissioni tributarie provinciali sono nominati tra:
a) i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, e gli avvocati e procuratori dello Stato a riposo;
b) i dipendenti civili dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche in servizio o a riposo che hanno prestato servizio per almeno dieci anni, di cui almeno due in una qualifica alla quale si accede con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o altra equipollente;
c) gli ufficiali della Guardia di finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni;
d) coloro che sono iscritti negli albi dei ragionieri e dei periti commerciali ed hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni;
e) coloro che, in possesso del titolo di studio ed in qualità di ragionieri o periti commerciali, hanno svolto per almeno dieci anni, alle dipendenze di terzi, attività nelle materie tributarie ed amministrativo-contabili;
f) coloro che sono iscritti nel ruolo o nel registro dei revisori ufficiali dei conti o dei revisori contabili, ed hanno svolto almeno cinque anni di attività;
g) coloro che hanno conseguito l'abilitazione all'insegnamento in materie giuridiche, economiche o tecnico-ragionieristiche ed esercitato per almeno cinque anni attività di insegnamento;
h) gli appartenenti alle categorie utili per essere nominati giudici delle commissioni tributarie regionali;
i) coloro che hanno conseguito da almeno due anni il diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio;
l) gli iscritti negli albi degli ingegneri, degli architetti, dei geometri, dei periti edili, dei periti industriali, dei dottori agronomi, degli agrotecnici e dei periti agrari che hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni (articolo 4).
I giudici delle commissioni tributarie regionali sono nominati tra:
a) i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo e gli avvocati e procuratori dello Stato, a riposo;
b) i docenti di ruolo universitari o delle scuole secondarie di secondo grado ed i ricercatori in materie giuridiche, economiche e tecnico-ragionieristiche, in servizio o a riposo;
c) i dipendenti civili dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, in servizio o a riposo, in possesso di laurea in giurisprudenza o economia e commercio o altra equipollente, che hanno prestato servizio per almeno dieci anni in qualifiche per le quali è richiesta una di tali lauree;
d) gli ufficiali superiori o generali della Guardia di finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo;
e) gli ispettori del Servizio centrale degli ispettori tributari cessati dall'incarico dopo almeno sette anni di servizio;
f) i notai e coloro che sono iscritti negli albi professionali degli avvocati e procuratori o dei dottori commercialisti ed hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni;
g) coloro che sono stati iscritti negli albi professionali indicati nella lettera f) o dei ragionieri e dei periti commerciali ed hanno esercitato attività di amministratori, sindaci, dirigenti in società di capitali o di revisori di conti (articolo 5).
A decorrere dal 1° gennaio 2016 i componenti delle commissioni tributarie debbono avere la laurea magistrale o quadriennale in materie giuridiche o economico-aziendalistiche (articolo 7).
I componenti delle commissioni tributarie sono incompatibili con:
a) i membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo;
b) i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e gli amministratori di altri enti che applicano tributi o partecipano al gettito dei tributi, ovvero concorrono all'accertamento dei tributi stessi;
c) i dipendenti dell'Amministrazione finanziaria che prestano servizio presso gli uffici delle Agenzie delle entrate e delle dogane;
d) gli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza;
e) i soci, gli amministratori e i dipendenti delle società concessionarie del servizio di riscossione delle imposte o preposte alla gestione dell'anagrafe tributaria e di ogni altro servizio tecnico del Ministero delle finanze;
g) i prefetti;
h) coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti o movimenti politici;
i) coloro che in qualsiasi forma esercitano l'attività di consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori;
l) gli appartenenti alle Forze armate ed i funzionari civili dei Corpi di polizia;
Non possono essere componenti di commissione tributaria provinciale i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione e nelle province confinanti con la predetta regione dove ha sede la commissione tributaria provinciale. Non possono, altresì, essere componenti delle commissioni tributarie regionali i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate nella lettera i) del comma 1 nella regione dove ha sede la commissione tributaria regionale ovvero nelle regioni con essa confinanti.
Non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante i coniugi, i conviventi, nonché i parenti ed affini entro il quarto grado. Nessuno può essere componente di più commissioni tributarie.
I componenti delle commissioni tributarie, che assumono cariche politiche o che siano nominati giudici costituzionali, sono sospesi dall'incarico fino alla data di cessazione dell'incompatibilità (articolo 8).
I componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall'incarico, in ogni caso, al compimento del settantacinquesimo anno di età.
I presidenti di sezione, i vice presidenti e i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali non possono essere assegnati alla stessa sezione della medesima commissione per più di cinque anni consecutivi (articolo 11).
Il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie è determinato dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto (articolo 13). Con D.M. 5 febbraio 2016 sono stati definiti i criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo.
Le più recenti tendenze legislative riferibili al contenzioso tributario registrano un progressivo incremento dei meccanismi di snellimento del contenzioso e di risoluzione stragiudiziale delle controversie fiscali.
Con il decreto-legge crescita (articolo 4-octies del decreto-legge n. 34 del 2019) si è introdotto, nell'ambito dell'accertamento fiscale, un nuovo obbligo per l'Amministrazione finanziaria, tenuta ad avviare necessariamente in alcuni casi specifici un contraddittorio con il contribuente, per definire in via amministrativa la pretesa tributaria.
Il decreto-legge n. 119 del 2018 ha introdotto numerose misure deflative del contenzioso tributario e di semplificazione dei processi: è estesa la possibilità di trasmissione telematica delle comunicazioni e notificazioni inerenti il processo, sono agevolate le procedure in materia di certificazione di conformità relative alle copie di atti, provvedimenti e documenti, è resa possibile la partecipazione a distanza delle parti all'udienza pubblica, è semplificata la procedura di avvio dei provvedimenti cautelari amministrativi per violazioni tributarie.
Già l’articolo 9 del d.lgs. 156 del 2015 ha modificato in più parti l’assetto del processo in materia tributaria. In estrema sintesi, le norme:
§ sottolineano il ruolo di parte processuale delle nuove articolazioni dell’Amministrazione finanziaria, ivi compresi gli agenti della riscossione ed i concessionari della riscossione per conto degli enti territoriali,
§ in materia di assistenza tecnica nel processo, elevano il valore della lite che consente alle parti di stare in giudizio senza assistenza tecnica, complessivamente riformando e razionalizzando la disciplina dei soggetti abilitati a tale attività;
§ rafforzano il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono la soccombenza, in particolare riducendo la discrezionalità del giudice nel disporre la compensazione delle spese;
§ modificano la disciplina di comunicazioni e notifiche, orientandola verso il rafforzamento degli strumenti telematici ed elettronici;
§ estendono a tutti gli enti impositori l’istituto del reclamo, razionalizzandone la struttura e incoraggiandone l’utilizzo mediante la previsione di sconti sulle sanzioni irrogate;
§ dettano una disciplina delle diverse tipologie di conciliazione giudiziale, rafforzando tale istituto ed estendendolo anche ai giudizi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale; in tal modo la conciliazione è resa esperibile per tutta la durata del giudizio di merito, anche mediante l’introduzione di disposizioni premiali che riducono l’entità delle sanzioni irrogabili;
§ stabiliscono che anche la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva, salvo provvedimento di sospensione;
§ apportano ulteriori modifiche con l’intento di velocizzare il giudizio tributario e ottenere effetti deflativi del contenzioso, quali il ricorso per saltum alla Cassazione;
§ dispongono l'immediata esecutività delle sentenze di condanna in favore del contribuente, il cui pagamento può essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia, ove superi l'importo di 10.000 euro;
§ rafforzano il cd. rimedio dell’ottemperanza, esperibile anche nei confronti degli agenti della riscossione e dei concessionari della riscossione.
Ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, sono oggetto di giurisdizione tributaria:
1. tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni, nonchè gli interessi e ogni altro accessorio;
2. le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale;
3. le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni;
4. in via incidentale, ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella giurisdizione del giudice tributario, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Sono escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso che contiene l'intimazione ad adempiere, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973 n° 602 in materia di riscossione (articolo 2).
Sono parti nel processo dinanzi alle Commissioni tributarie:
1. il ricorrente;
2. l'ufficio dell'Agenzia delle entrate o dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, gli altri enti impositori, l'agente della riscossione e i soggetti iscritti all'albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali che hanno emesso l'atto impugnato o non hanno emesso l'atto richiesto (articolo 10).
La competenza territoriale delle Commissioni tributarie (articolo 4) è così individuata:
1. per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori e degli agenti della riscossione sono competenti le Commissioni tributarie nella cui circoscrizione i primi hanno la sede;
2. per le controversie proposte nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, sono competenti le Commissioni tributarie nella cui circoscrizione hanno sede, non le articolazioni medesime, ma l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.
Il processo è introdotto con ricorso alla Commissione tributaria provinciale (articolo 18).
Il ricorso può essere proposto avverso (articolo 19):
§ l'avviso di accertamento del tributo;
§ l'avviso di liquidazione del tributo;
§ il provvedimento che irroga le sanzioni;
§ il ruolo e la cartella di pagamento;
§ l'avviso di mora;
§ l'iscrizione di ipoteca sugli immobili;
§ il fermo di beni mobili registrati;
§ gli atti relativi alle operazioni catastali;
§ il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
§ il diniego o la revoca di agevolazioni tributarie o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
§ la decisione di rigetto dell'istanza di apertura di procedura amichevole ai sensi della direttiva 2017/1852/UE sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea;
§ ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie.
Per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. La procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo (articolo 17-bis).
L’istituto del reclamo/mediazione si applica agli atti emessi dall’Agenzia delle entrate e dall’Agenzia delle dogane. Si applica inoltre, in quanto compatibili, anche agli atti emessi dagli agenti della riscossione.
L’istituto non si applica alle controversie di valore indeterminabile (ad eccezione di quelle in materia catastale) e alle controversie relative al recupero degli aiuti di Stato.
L’istanza di reclamo/mediazione, se non diversamente specificato nell’atto impugnato, va inoltrato alla Direzione dell’Agenzia delle entrate o dell’Agenzia delle dogane e, più in generale all’ente che ha emanato l’atto o ha omesso quello richiesto. In seguito all’ esame istruttorio dell’istanza di reclamo/mediazione, l’ente interessato può:
1. ritenere la proposta di mediazione completa nell’ammontare della pretesa e, per l’effetto accogliere l’istanza del ricorrente, invitando quest’ultimo a sottoscrivere l’accordo di mediazione senza formalità;
2. ritenere non accoglibile il reclamo, ed in tal caso la procedura può concludersi con un provvedimento motivato espresso di rigetto ovvero con un silenzio-rifiuto, che si perfeziona decorsi novanta giorni dalla presentazione del reclamo, a fronte del quale il contribuente può:
o fare acquiescenza all’atto;
o costituirsi in giudizio decorsi novanta giorni dalla data di notifica della rigettata istanza di reclamo/mediazione.
L'articolo 10 del decreto-legge n. 50 del 2017 ha esteso l'ambito operativo dell'istituto del reclamo/mediazione nel contenzioso tributario alle controversie di valore sino a 50.0000 euro, innalzando detto ammontare dalla previgente soglia di 20.000 euro; le norme si applicano agli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018. Sono esclusi da mediazione i tributi che costituiscono risorse proprie tradizionali UE.
Il ricorso deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto. In caso di rifiuto tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti, può essere proposto dopo novanta giorni dalla domanda di restituzione (articolo 21).
La notifica del ricorso all'ente impositore da parte del ricorrente deve avvenire a mezzo pec (articolo 16-bis) secondo le disposizioni contenute nel processo tributario telematico (PTT).
La costituzione in giudizio del ricorrente, a pena di inammissibilità, si effettua esclusivamente mediante deposito del ricorso, previamente notificato a mezzo pec, attraverso il Sistema informativo della Giustizia Tributaria - SIGIT, secondo le disposizioni sul processo tributario telematico (articolo 22).
L'art. 16 del decreto-legge n. 119 del 2018, come ricordato, ha disposto l'obbligo della costituzione in giudizio in primo e secondo grado con modalità telematica relativamente ai ricorsi notificati a decorrere dal 1° luglio 2019.
Nel corso del 2019, in regime di facoltatività del PTT fino al 30 giugno, sono stati effettuati complessivamente 1.464.833 depositi con modalità digitale su un totale di 1.887.746 depositi, pari al 77,6%.
Il presidente della sezione, scaduti i termini per la costituzione in giudizio delle parti, esamina preliminarmente il ricorso e dichiara con decreto, soggetto a reclamo, innanzi alla Commissione tributaria:
1. l’inammissibilità nei casi espressamente previsti, se manifesta;
2. la sospensione, l’interruzione e l’estinzione del processo, ove ne sussistano i presupposti (articolo 27).
Qualora non ravvisi i presupposti per l’emanazione di tali provvedimenti, il presidente fissa la trattazione della controversia e nomina il relatore (articolo 30). La controversia è trattata in camera di consiglio, salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza.
Il relatore espone al collegio, senza la presenza delle parti, i fatti e le questioni della controversia. Della trattazione in camera di consiglio è redatto processo verbale (articolo 33). Il collegio giudicante, subito dopo l'esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio. La decisione è presa a maggioranza dei voti. Non sono ammesse sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande. (articolo 35).
La discussione in pubblica udienza deve essere chiesta con apposita istanza da depositare nella segreteria della Commissione tributaria competente, e da notificare alle altre parti costituite entro dieci giorni liberi prima della data dell'udienza stessa (articolo 34).
All’udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti presenti alla discussione. Subito dopo il collegio delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio. Il segretario redige processo verbale. All'udienza pubblica possono partecipare anche persone estranee al processo.
Dal 16 novembre 2020, con la pubblicazione in GU del decreto direttoriale 11 novembre 2020 che individua le regole tecnico-operative per lo svolgimento e la partecipazione alle udienze pubbliche o camerali da remoto, sono state attuate le diposizioni contenute nell’articolo 16, comma 4 del decreto-legge 119/2018 come modificato dall’art. 135, comma 2, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34. La partecipazione alle udienze può avvenire a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo del collegamento da remoto del contribuente, del difensore, dell'ufficio impositore e dei soggetti della riscossione, nonché dei giudici tributari e del personale amministrativo delle Commissioni tributarie, tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e di udire quanto viene detto. Il luogo dove avviene il collegamento da remoto è equiparato all'aula di udienza. La partecipazione da remoto può essere richiesta dalle parti processuali nel ricorso o nel primo atto difensivo ovvero con apposita istanza da depositare in segreteria e notificata alle parti costituite prima della comunicazione dell'avviso sulla data di trattazione.
La sentenza è l'atto conclusivo del processo tributario (articolo 36). Essa deve contenere:
1. l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;
2. la breve esposizione dello svolgimento del processo;
3. le richieste delle parti;
4. la sintetica esposizione dei motivi di fatto e di diritto;
5. il dispositivo.
La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione e deve essere sottoscritta dal presidente e dal giudice estensore. La mancata sottoscrizione ne comporta la nullità insanabile, rilevabile anche d’ufficio.
La Commissione tributaria giudica nei limiti e nell'ambito delle domande e delle eccezioni di parte.
La sentenza è pubblicata, nel testo integrale originale, mediante deposito nella segreteria della Commissione tributaria, entro trenta giorni dalla deliberazione. L'avvenuto deposito è certificato dal segretario, con apposizione sulla sentenza della propria firma e della data. Il dispositivo è comunicato alle parti costituite a cura della segreteria, entro dieci giorni dall'avvenuto deposito.
La comunicazione del dispositivo della sentenza è eseguita:
1. con posta elettronica certificata;
2. con avviso della segreteria consegnato a mano o utilizzando la spedizione postale.
L’art. 67-bis - introdotto dal citato articolo 9 del d.lgs. n. 156 del 2015 - stabilisce che le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie sono esecutive, introducendo il principio generale di immediata esecutività delle pronunce delle Commissioni tributarie provinciale e regionale, per tutte le parti in causa.
I successivi artt. 68 e 69 dispongono che l’esecuzione delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente è effettuata con l’esperimento del giudizio di ottemperanza, con le seguenti ipotesi:
1. Esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente: restituzione delle somme versate a titolo di riscossione frazionata in pendenza di giudizio.
In caso di accoglimento del ricorso, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto definito dalla sentenza, unitamente agli interessi previsti per legge, deve essere rimborsato d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della stessa. L’inosservanza di quanto sopra legittima il contribuente, ai sensi dell’art. 70 del D.Lgs. n° 546/92, ad esperire l’ottemperanza.
2. Esecuzione delle sentenze favorevoli al contribuente: restituzione delle somme versate in carenza di una causa solvendi ed esecuzione delle sentenze sulle liti catastali.
Le sentenze di condanna al pagamento di somme versate indebitamente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali sono immediatamente esecutive. La restituzione deve essere eseguita entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero dalla presentazione della garanzia. Quest’ultima, disciplinata dal decreto ministeriale n° 22 del 06/02/2017 può essere disposta dal giudice in caso di pagamento di somme di importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, anche in considerazione delle condizioni di solvibilità dell’istante. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio. L’inosservanza di quanto sopra legittima il contribuente, ai sensi dell’articolo 70, ad esperire il rimedio dell’ottemperanza.
I mezzi di impugnazione delle sentenze delle Commissioni tributarie sono l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione (articolo 50).
La conciliazione giudiziale, come modificata dall’art. 9, comma 1, lett. s), t) del d.lgs. n. 156 del 2015, è il mezzo attraverso il quale il contribuente può definire, in tempi brevi, un contenzioso, già in atto o anche solo potenziale, godendo di una riduzione delle sanzioni amministrative, variabile in base al grado di giudizio in cui si perfeziona.
La disciplina della conciliazione è contenuta negli articoli articolo 48 (conciliazione fuori udienza), 48 bis (conciliazione in udienza) e 48 ter (definizione e pagamento delle somme dovute).
Con riguardo alle spese del giudizio, l’art. 15 d.lgs. n. 156 del 2015 ha introdotto alcune limitazioni in ordine alla possibilità del giudice di compensare la spese prevedendole per i soli casi di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere adeguatamente motivate nel provvedimento del giudice.
Tra i ricorsi definiti nel 2019 con esito completamente favorevole agli uffici, nel 53,72% dei provvedimenti emessi le spese di giustizia sono risultate a carico del contribuente ed il 45,63% compensate. Tra gli esiti favorevoli al contribuente il 44,49% ha avuto le spese a carico dell’ufficio ed il 54,79% sono state compensate.
Con riferimento, infine, al contenzioso pendente innanzi alla giustizia tributaria si segnala che, a seguito dell’introduzione degli strumenti deflattivi, primo fra tutti il reclamo-mediazione obbligatorio (2011), nell’ultimo decennio il numero dei giudizi pendenti dinanzi le CTP e le CTR è progressivamente diminuito (da circa 700.000 nel 2010 a 335.000 nel 2019). Nello stesso periodo, il numero delle pendenze dinanzi la Cassazione è invece aumentato, come anche la durata media dei giudizi, attestatasi nel 2019 a circa 4 anni, che vanno ad aggiungersi ai 4 anni circa di durata media complessiva dei giudizi di merito nei gradi precedenti.
A fronte dell’emergenza pandemica, il sopra citato articolo 135 del decreto legge 34 del 2020 ha sospeso, dall’8 marzo al 31 maggio, il computo delle sanzioni da omesso pagamento del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo nei procedimenti civili, tributari e amministrativi contestualmente sospendendo il procedimento disciplinato dall’art. 248 del citato TU, che demanda all’ufficio giudiziario la notifica alla parte l’invito al pagamento.
Si ricorda che il contributo unificato di iscrizione a ruolo ha sostituito tutte le altre imposte (imposte di bollo, tassa di iscrizione a ruolo, diritti di cancellaria, ecc.) precedentemente previste per l’instaurazione di procedimenti civili, tributari e amministrativi. In linea generale, il contributo unificato si applica per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale, e di volontaria giurisdizione, nel processo tributario e nel processo amministrativo (artt. 9-18-bis, TU spese di giustizia).
In particolare, l’art. 16 del TU disciplina l’omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, prevedendo l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto maggiorato degli interessi per il mancato tempestivo pagamento e una sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta (si applica l’art. 71 del DPR n. 131 del 1986), rinviando per le modalità di riscossione agli articoli 247 e ss. del TU.
Inoltre, con una modifica introdotta dall’art. 29 del decreto-legge n. 23 del 2020, l’art. 16, comma 1-ter, consente agli uffici giudiziari di notificare la sanzione derivante da omesso o parziale pagamento del contributo unificato anche tramite posta elettronica certificata nel domicilio eletto o, in mancanza di tale indicazione, mediante il deposito presso l’ufficio di segreteria o di cancelleria dell’autorità giudiziaria competente. La disposizione specifica che la notifica PEC è consentita anche qualora l’irrogazione della sanzione sia contenuta nell’invito al pagamento di cui all’articolo 248 del TU.
La norma ha introdotto, altresì, disposizioni sulla digitalizzazione e sulla possibilità per le parti di partecipare all’udienza da remoto.
Il decreto estende il campo d’applicazione delle udienze da remoto, con una disciplina che va a regime e che dunque non è circoscritta all’attuale fase emergenziale. Rispetto alla normativa previgente, il decreto-legge:
§ estende l’applicabilità della disciplina sulla partecipazione a distanza alle udienze in camera di consiglio. Il riferimento normativo dell’art. 34 del d.lgs. n. 546/1992, relativo alle udienze pubbliche, è infatti integrato con quello all’art. 33 del medesimo decreto legislativo, relativo alla trattazione in camera di consiglio;
§ consente la partecipazione da remoto non solo alle parti processuali (contribuente, ufficio impositore o agenti della riscossione, difensori), ma anche al giudice tributario e al personale amministrativo delle commissioni tributarie;
§ prevede che la richiesta di udienza da remoto possa essere presentata dalle parti non solo all’atto del ricorso, o nel primo atto difensivo, ma anche successivamente, purché prima dell’avviso di trattazione dell’udienza.;
§ conferma che le regole tecnico operative per le udienze da remoto debbano essere fissate con provvedimenti del Direttore generale delle finanze, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, ma aggiunge a questo iter il parere del Garante per la protezione dei dati personali. La disposizione, peraltro, elimina dall’articolo 16, comma 4, del decreto-legge n. 119/2018, la previsione dell’obbligo di conservazione delle immagini dell’udienza;
§ elimina la previsione che imponeva alle sezioni tributarie di dedicare almeno un’udienza al mese alla trattazione di controversie per le quali fosse stato richiesto il collegamento audiovisivo a distanza;
§ demanda ai Presidenti delle Commissioni tributarie la predeterminazione di criteri in base ai quali i singoli giudici tributari possano individuare le controversie per le quali la segreteria comunicherà alle parti lo svolgimento dell’udienza a distanza.
Successivamente l’articolo 27 del decreto legge 137 del 2020 è intervenuto sempre in materia di svolgimento del processo tributario da remoto.
La disposizione consente di svolgere con collegamento da remoto le udienze degli organi di giustizia tributaria fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da Covid-19, in presenza di limiti o divieti alla circolazione sul territorio ovvero in situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica.
In alternativa alla discussione con collegamento da remoto, si prevede che le controversie da trattare in udienza pubblica passino in decisione sulla base degli atti, salvo l’iniziativa di almeno una delle parti che insista per la discussione. Ove sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere da remoto, si procede mediante trattazione scritta, nel rispetto di specifici termini di legge; nell’impossibilità di rispetto dei predetti termini la controversia è rinviata a nuovo ruolo. La norma esonera i componenti dei collegi giudicanti dal partecipare alle udienze o alle camere di consiglio, qualora risiedano, siano domiciliati o dimorino in luoghi diversi dalla commissione di appartenenza, previa richiesta e comunicazione al Presidente di sezione e rinvia, salvo quanto espressamente previsto dal decreto, alla disciplina generale sulle udienze da remoto contenuta nell’articolo 16 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119
Senato della Repubblica
Le Commissioni Giustizia e Finanze del Senato hanno avviato il 16 gennaio 2020 l’esame congiunto in sede redigente dei seguenti disegni di legge. Allo stato sono in corso audizioni informali.
§ S.243 - 18ª Legislatura
Sen. Luigi Vitali (FI-BP) e altri
Ordinamento della giurisdizione tributaria:
Molto simile S. 1243 Romeo
I principi essenziali del disegno di legge sono i seguenti:
§ la gestione e l'organizzazione della giustizia tributaria sono affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
§ l’istituzione del ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto dalla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile (cosiddetta quarta magistratura), la quale peraltro deve avere in futuro anche un riconoscimento costituzionale;
§ una nuova denominazione delle commissioni tributarie: tribunale tributario; corte di appello tributaria; sezione tributaria della Corte di cassazione;
§ la professionalizzazione dei giudici tributari, con assunzione per concorso pubblico, per titoli ed esami;
§ l’istituzione del giudice monocratico per tutte le controversie d'importo non superiore a 20.000 euro, al netto degli interessi e delle sanzioni, che vanno oggi a mediazione, per le cause catastali e per i giudizi di ottemperanza senza limiti d'importo;
§ il dignitoso trattamento economico dei giudici tributari.
§ S.714 - 18ª Legislatura
Sen. Giacomo Caliendo (FI-BP) e altri
Codice del processo tributario
Il disegno di legge intende promuovere un vero e proprio «codice del processo tributario», in grado di allinearsi al codice di procedura civile e al codice del processo amministrativo. Esso si struttura in quattro libri, riguardanti: I) Disposizioni generali; II) Il processo tributario di primo grado; III) Le impugnazioni; IV) I riti speciali che intendono semplificare e sistematizzare le norme sul processo tributario.
Si prevede, tra l’altro l'istituzione per legge presso la Corte di cassazione di una Sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie tributarie e la rivisitazione della disciplina del procedimento di conciliazione,
§ S.759 - 18ª Legislatura
Sen. Tommaso Nannicini (PD) e altri
Codice della giurisdizione tributaria
Il disegno di legge raccoglie la legislazione in materia di giurisdizione tributaria con l’obiettivo di costituire il primo elemento del codice della legislazione tributaria per porre il rapporto fra fisco e contribuente su un fondamento solido, basato su una legge chiara, ordinata e accessibile. Si istituisce un corpo di magistrati tributari professionalmente qualificati e a tempo pieno, assunti per concorso. Le competenze in materia di organizzazione e vigilanza della giurisdizione tributaria sono poste in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri
Il codice si articola in tre titoli, il primo dedicato all'organizzazione della giurisdizione e il secondo al processo, mentre il terzo contiene le disposizioni transitorie e finali. Il titolo I riprende, modificandolo ampiamente, il testo del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545.
Il giudizio di primo grado avviene sempre ad opera di un giudice monocratico, mentre il giudizio di secondo grado è affidato sempre a un collegio di tre giudici, compreso il presidente.
La mediazione - estesa alle controversie di valore non superiore a 250.000 euro - è affidata a un organo non giurisdizionale, denominato sezione mediazione, che opera tramite collegi di 3 membri: un giudice tributario in funzione di presidente, un funzionario delle agenzie fiscali e un avvocato tributarista o dottore commercialista.
§ S.1243 - 18ª Legislatura
Sen. Massimiliano Romeo (L-SP-PSd'Az) e altri
Riforma della giustizia tributaria
Identica a C. 1526 Centemero e molto simile a S. 243 Vitali
Il disegno di legge si pone l'obiettivo di riformare la giurisdizione tributaria nazionale nei princìpi ispiratori prima ancora che nella struttura territoriale. In primo luogo, la gestione e organizzazione della giustizia tributaria sono affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Si prevede poi la professionalizzazione dei giudici tributari, con assunzione per concorso pubblico. Al giudice onorario tributario sono affidate le controversie per cause pendenti di minore rilevanza economica.
§ S.1661 - 18ª Legislatura
Sen. Emiliano Fenu (M5S) e altri
Ordinamento degli organi di giurisdizione e amministrativi della giustizia tributaria
Identica a C. 1521 Martinciglio
L'AS 1661 intende in primo luogo equiparare gli organi della giurisdizione tributaria a quelli delle altre giurisdizioni.
Al fine di separare la giustizia tributaria dall'Amministrazione finanziaria, gli organi della giurisdizione in materia tributaria sono collocati nell'ambito delle strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri, con diretta gestione da parte dell'organo di autogoverno, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Tale previsione è volta ad adeguare la giurisdizione tributaria ai principi costituzionali del giusto processo, assicurando la terzietà e l'indipendenza dell'organo giudicante.
Gli articoli 2 e 3 stabiliscono che l'ordine giudiziario tributario è costituito dai magistrati tributari dei tribunali tributari e delle corti di appello tributarie, quali magistrati professionali a tempo pieno, alla cui carriera si accede tramite concorso pubblico. Essi sono affiancati, nei soli tribunali tributari, da magistrati tributari onorari, con incarico corrispondente a quello degli attuali giudici tributari.
Si attribuisce al magistrato tributario onorario, tra l’altro, il compito di arbitro del procedimento di reclamo e mediazione.
Per completare la formazione die magistrati tributari, è istituita la Scuola superiore di formazione tributaria presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Sono definiti i requisiti generali dei magistrati tributari e dei magistrati tributari onorari, le cause di incompatibilità, il trattamento economico, ecc.
Sono disciplinati il Consiglio di presidenza, gli uffici di diretta collaborazione del Consiglio di presidenza e gli uffici di cancelleria.
E’ inoltre istituita una Sezione tributaria della Corte di Cassazione.
Viene conseguentemente abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sostituito dalle norme contenute nel disegno di legge, e viene altresì sostanzialmente modificato il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per adeguarlo alla nuova disciplina della giurisdizione tributaria.
Nella seduta del 20 gennaio 2021 della Commissione Finanze è stata segnalata l'esigenza di riprendere, congiuntamente alla Commissione Giustizia, l'esame in sede redigente dei disegni di legge in tema di riforma della giustizia tributaria.
§ S.1687 - 18ª Legislatura
Sen. Mauro Maria Marino (IV-PSI)
Codice del processo tributario
Si veda, per il contenuto, l’A.S. 714 che appare sostanzialmente analogo.
Camera dei deputati
Le proposte di legge presentate alla Camera sono tutte assegnate alla Commissione Giustizia, che non ne ha avviato ancora l’esame.
§ C.2283 - 18ª Legislatura
On. Andrea Colletti (M5S) e altri
Delega al Governo per la riforma della giustizia tributaria mediante la soppressione delle commissioni tributarie provinciali e regionali e l'istituzione di sezioni specializzate in materia tributaria presso i tribunali e le corti di appello
29 novembre 2019: Presentato alla Camera
§ C.2526 - 18ª Legislatura
On. Umberto Del Basso De Caro (PD)
Delega al Governo per la riforma della giustizia tributaria
28 maggio 2020: Presentato alla Camera
§ C.1755 - 18ª Legislatura
On. Giusi Bartolozzi (FI)
Ordinamento degli organi di giurisdizione tributaria, dell'ordine giudiziario tributario e degli uffici amministrativi della giustizia tributaria
9 aprile 2019: Presentato alla Camera
§ C.1526 - 18ª Legislatura
On. Giulio Centemero (Lega) e altri
Ordinamento degli organi di giurisdizione e amministrativi della giustizia tributaria
23 gennaio 2019: Presentato alla Camera
Identica a S. 1243 Romeo
§ C.1521 - 18ª Legislatura
On. Vita Martinciglio (M5S) e altri
Ordinamento degli organi di giurisdizione e amministrativi della giustizia tributaria
21 gennaio 2019: Presentato alla Camera
Identica a S. 1661 Fenu
§ C.840 - 18ª Legislatura
On. Sandra Savino (FI)
Delega al Governo per la revisione della disciplina e dell'organizzazione del processo tributario e della giurisdizione tributaria
2 luglio 2018: Presentato alla Camera
Si ricorda, altresì, che la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2020 (NADEF), tra i disegni di legge collegati alla decisione di bilancio, prevede un disegno di legge delega di riforma della giustizia tributaria.
Si segnala, inoltre, che recentemente il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ha presentato delle Riflessioni sulla riforma della giustizia tributaria ricadute ordinamentali e processuali - rapporti tra giurisdizioni nelle quali, anche prendendo spunto da proposte di legge presentate in Parlamento, sono rinvenibili alcune direttrici per la realizzazione di una riforma che garantisca anche l’indipendenza del giudice tributario.
Nel testo, tra l’altro, viene segnalata la necessità:
§ della trasformazione del giudice speciale tributario in un giudice a tempo pieno, professionalmente competente, con un trattamento economico congruo e dignitoso, non più dipendente dal MEF e pienamente presidiato dai principi di imparzialità, terzietà e indipendenza, come contemplati dall’art. 111, 2° comma, della Costituzione;
§ del completamento della revisione delle regole di diritto procedurale e sostanziale mediante un provvedimento legislativo volto anche a una generale definizione delle liti fiscali pendenti.
Francia
L’imposta sul reddito è disciplinata dagli artt. 1A e ss. del Code général des impôts (CGI).
Il calcolo dell’imposta sul reddito è stabilito dall’art. 197 del CGI, modificato da ultimo art. 2 della legge finanziaria per il 2022 (Loi n. 2021-1900 du 30 décembre 2021 de finances pour 2022- LF 2022). In precedenza era anche intervenuto il Décret n. 2020-897 du 22 juillet 2020 portant incorporation au code général des impôts de divers textes modifiant et complétant certaines dispositions de ce code.
L’attuale norma prevede le seguenti aliquote, in base alla suddivisione dei contribuenti in quattro fasce di reddito:
Reddito (in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 10.225 |
0% |
Dalla frazione superiore a 10.225 fino a 26.070 |
11% |
Dalla frazione superiore a 26.070 fino a 74.545 |
30% |
Dalla frazione superiore a 74.545 fino a 160.336 |
41% |
Per la frazione superiore a 160.336 |
45% |
Alla fine del 2011 il Governo ha approvato una serie di misure per ridurre il deficit pubblico, tra cui l’introduzione di un “contributo eccezionale sugli alti redditi”. L’art. 223 sexies del CGI, introdotto dall’art. 2 della legge finanziaria per il 2012 (Loi n. 2011- 1977 du 28 décembre 2011 de finances pour 2012 – LF 2012), ha fissato al 3% l’aliquota contributiva da applicare alla frazione di reddito da imposta di riferimento compresa tra 250.000 e 500.000 euro per i contribuenti single, vedovi, separati o divorziati, e tra 500.000 e 1 milione di euro per i contribuenti soggetti a tassazione comune (coppie in regime matrimoniale o di PACS). L’aliquota contributiva è innalzata al 4% in relazione ai redditi da imposta superiori a 500.000 euro per i contribuenti single, vedovi, separati o divorziati, e a 1 milione di euro per i contribuenti soggetti a tassazione comune (coppie in regime matrimoniale o di PACS). Tale contributo, sempre secondo le disposizioni dell’art. 2 della LF 2012, si applica fino all’anno d’imposizione fiscale per il quale il disavanzo delle amministrazioni pubbliche è pari a zero.
2. Quoziente familiare
In base al meccanismo del “quoziente familiare” (quotient familial), disciplinato dagli artt. 194-197 del CGI, il contribuente è assoggettabile all’imposta sul reddito per l’insieme degli utili e redditi dei membri della famiglia fiscale (foyer fiscal), composta dal contribuente, dall’eventuale coniuge (o dal partner nel caso di un PACS), dagli eventuali figli minori, nonché dalle eventuali persone invalide conviventi a carico.
Per determinare il quoziente familiare occorre determinare il numero delle quote (o parti, rappresentative dei carichi di famiglia) che spettano a ciascun tipo di contribuente (ad es. il single, lo sposato, il divorziato, il vedovo), del quale sono considerate le persone a carico.
Il quoziente familiare è il risultato della divisione del reddito complessivo del foyer fiscal per il numero delle quote che ad esso spettano. Il numero delle quote incide in modo considerevole nel determinare l’imposta sul reddito da liquidare.
Nello specifico l’imposta è calcolata figurativamente sul quoziente familiare, quindi solo su una quota del reddito complessivo, ma l’effettivo del carico fiscale risulta poi dal prodotto delle “imposte individuali” per il numero delle parti (o quote) che compongono la famiglia fiscale.
L’art. 194 del CGI presenta una tabella in cui è indicato il numero delle quote da prendere in considerazione per la divisione del reddito complessivo del foyer fiscal:
Situazione della famiglia |
Numero delle parti (o quote) |
Single, divorziato o vedovo senza figli a carico |
1 |
Coniugato senza figli a carico |
2 |
Single o divorziato con un figlio a carico |
1,5 |
Coniugato o vedovo con un figlio a carico |
2,5 |
Single o divorziato con due figli a carico |
2 |
Coniugato o vedovo con due figli a carico |
3 |
Single o divorziato con tre figli a carico |
3 |
Coniugato o vedovo con tre figli a carico |
4 |
Single o divorziato con quattro figli a carico |
4 |
Coniugato o vedovo con quattro figli a carico |
5 |
Single o divorziato con cinque figli a carico |
5 |
Coniugato o vedovo con cinque figli a carico |
6 |
Single o divorziato con sei figli a carico |
6 |
Esempio
Una coppia dispone di un reddito imponibile netto di 63.000 euro. Il suo quoziente familiare sarà di € 31.500 (€ 63.000/2).
L’imposta è calcolata come segue:
- fino a € 10.225:
€ 0;
- da € 10.226 a € 26.070:
(€ 26.070 - € 10.225) × 11% = € 15.845 × 11% = € 1.742,95;
- da € 26.071 a € 31.500:
(€ 31.500 - € 26.071) x 30% = € 5.429 × 30% = € 1.628,70.
L'imposta lorda è: € 0 + € 1.742,95 + € 1.628,70 = € 3.371,65.
Tale importo deve essere poi moltiplicato per il numero di quote della famiglia fiscale. In questo esempio, verrà moltiplicato per 2 poiché si tratta di una coppia. La sua imposta lorda sarà quindi di € 6.743,30, arrotondata a € 6.743.
2.1 Limitazione degli effetti del quoziente familiare
Gli aumenti del quoziente familiare (mezze quote, quarti di quote in caso di residenza alternata che si aggiungono a 1 o 2 quote a seconda della situazione personale del contribuente) possono essere assoggettati a un massimale (plafonnement) al fine di limitare il vantaggio fiscale previsto dal sistema del quoziente familiare.
Il limite di riduzione d'imposta legato al quoziente familiare è fissato dall’ art. 197 del CGI:
- € 1.592 per ogni metà aggiuntiva legata a persone a carico, nel caso generale;
- € 951 per la metà quota aggiuntiva a favore di chi ha cresciuto da solo un figlio per almeno 5 anni.
2.2 Massimali specifici
Si applicano massimali specifici ai contribuenti che si trovano in una delle seguenti situazioni:
- genitore single che alleva i figli da solo: € 3.756 per la quota intera concessa al primo figlio a carico (contribuenti single, divorziati o separati che allevano uno o più figli da soli);
- persona disabile o invalido di guerra: si applica un'ulteriore riduzione d’imposta pari a € 1.587 al raggiungimento del massimale di € 1.567 per la metà della quota aggiuntiva concessa;
- vedovo con figli a carico: viene concessa un'ulteriore riduzione fiscale di € 1.772 al raggiungimento del massimale per le prime due mezze quote aggiuntive oltre ad una quota[2].
Germania
L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Einkommensteuer), che rappresenta la principale fonte di gettito in Germania, è disciplinata dall’Einkommensteuergesetz - EStG (Legge sull’imposta sul reddito) nel testo coordinato dell’8 ottobre 2009, modificato da ultimo con legge del 20 agosto 2021.
L’imposta ha carattere progressivo e si applica alle seguenti tipologie di reddito:
- proventi derivanti da attività agricole e forestali (§§ 13-14a EStG);
- redditi derivanti da attività commerciali o industriali (§§ 15–17 EStG);
- redditi da lavoro autonomo (§ 18 EStG);
- redditi da lavoro dipendente (§§ 19 EStG);
- redditi da capitale (§ 20 EStG);
- proventi da noleggio e leasing (§ 21 EStG);
- altri proventi (§§ 22–23 EStG).
Dalla base imponibile sono esclusi gli alimenti dovuti dai coniugi, i sussidi di disoccupazione, le borse di studio, nonché i redditi inferiori, per l’anno 2022, a € 9.984 nel caso di single (o anche separati o divorziati) o a € 19.968 per le coppie sposate, incluse le unioni civili. Oltre la soglia esente (Grundfreibetrag), le aliquote variano in maniera continua e progressiva fra il 14% (Eingangssteuersatz) e il 42%. L’aliquota più elevata (Spitzensteuersatz), pari al 45%, si applica solo a redditi superiori a € 277.825.
La seguente tabella riassume le aliquote dell’imposta sul reddito per l’anno 2020 ai sensi del § 32a EStG:
Reddito (in euro) |
Aliquota |
Da 0 a 9.984 |
0% |
Da 9.985 a 58.596 |
14% (aliquota iniziale variabile in funzione del reddito) |
Da 58.597 a 277.825 |
42% |
Da 277.826 in su |
45% |
Su tale imposta è applicata, inoltre, un’addizionale di solidarietà sociale (Solidaritätszuschlag) pari al 5,5% (§ 4 Solidaritätszuschlaggesetz). La sovrattassa di solidarietà è stata introdotta dalla legge del 24 giugno 1991 e, con la successiva formulazione del 1995, è stata giustificata con i costi aggiuntivi della riunificazione tedesca tra i quali sono stati ricompresi i debiti e gli obblighi pensionistici del governo della Germania dell’Est (DDR), nonché i costi di ammodernamento delle infrastrutture e di bonifica ambientale nei nuovi Länder.
Ai sensi dell’art. 106, commi 3 e 5, della Legge fondamentale (Grundgesetz), le entrate derivanti dall’imposta sul reddito spettano alla Federazione, ai Länder e ai comuni. Questi ultimi ricevono il 15% del gettito dell’imposta sul reddito, mentre il restante 85% è diviso a metà (42,5% ciascuno) tra il Governo federale e i governi dei singoli Länder.
Responsabile dell’accertamento e del prelievo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è l’ufficio delle imposte (Finanzbezirk) del distretto in cui è domiciliato il contribuente. Ciascun contribuente può inoltre calcolare le proprie imposte sulla relativa pagina del sito del Ministero federale delle finanze, a seconda dello stato civile e in base all’anno fiscale di riferimento (a partire dal 1958).
Regno Unito
1. Imposta sul reddito
L’imposta sul reddito (Income tax), disciplinata dall’Income Tax Act 2007, si applica al reddito complessivo delle persone fisiche residenti nel Regno Unito, ovunque i redditi siano stati prodotti (c.d. world-wide principle). Tale imposta si applica a differenti tipologie reddituali quali – solo per citare i principali - i redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo, i redditi da pensioni, i redditi da locazione, i dividendi, i capital gains e i redditi percepiti dai trust. Viceversa, hanno diritto all’esenzione alcune tipologie di reddito: redditi derivanti da assegni di mantenimento ai figli; redditi da interessi su rimborsi fiscali; indennità di maternità; pensioni corrisposte alle vedove di guerra; pensioni di invalidità per i disabili.
Ai fini della determinazione della Income tax, il periodo di imposta nel Regno Unito va dal 6 aprile di ogni anno al 5 aprile dell’anno successivo.
L’imposta è soggetta ad aliquote progressive, per scaglioni di reddito, fino a un massimo del 45%. Per ciascuna categoria di reddito la normativa interna prevede (con alcune variazioni per la Scozia e il Galles) specifiche regole di determinazione del reddito complessivo, partendo dai compensi lordi percepiti ed applicando ad essi le deduzioni personali stabilite per legge. La tassazione è articolata sulla base di quattro soglie reddituali (bands), costituite da una fascia corrispondente ad una soglia progressiva di detrazione di imposta sul reddito personale dal livello di reddito complessivo, purché questo non superi le 100.000 sterline (personal allowance); da due fasce di reddito imponibile, una di base ed una elevata (basic e higher rate, applicate ai redditi non superiori rispettivamente alle 50.000 e alle 150.000 sterline); a cui si aggiunge una fascia comprendente i redditi superiori alla soglia di 150.000 sterline (additional rate).
La seguente tabella[3] riporta le aliquote delle imposte sul reddito delle persone fisiche per l’anno fiscale 2020-2021:
categorie di reddito |
scaglioni di reddito |
aliquota d’imposta |
Personal allowance |
fino a 12.500 sterline |
0% |
Basic rate |
da 12.501 a 50.000 |
20% |
Higher rate |
da 50.001 a 150.000 |
40% |
Additional rate |
oltre 150.000 |
45% |
Sono altresì previste detrazioni per specifiche tipologie di reddito e per alcune categorie di contribuenti. Ad esempio, una detrazione di 1.000 sterline è prevista per il reddito da lavoro autonomo (trading allowance) e, a determinate condizioni, per il reddito da locazione. Lo status personale, d’altra parte, ha incidenza sulla quota di reddito detraibile poiché mentre le coppie coniugate o costituite in unione civile possono usufruire, entro determinate soglie di reddito, di apposite detrazioni a titolo di married couple allowance[4].
L’esenzione totale dall’imposta è prevista per i sussidi pubblici erogati a categorie svantaggiate. Non è invece più vigente, a partire dal 2016, la modulazione delle detrazioni in misura proporzionale all’età del contribuente.
Il meccanismo delle detrazioni vigenti per l’imposta dovuta dalle persone fisiche trova applicazione anche per i redditi prodotti da forme di risparmio e da investimenti finanziari.
La quota di reddito detraibile dall’imposta (personal allowance) può infatti essere utilizzata dal contribuente per la detrazione di altri redditi costituiti dagli interessi maturati sul risparmio (nella forma di assicurazioni sulla vita, piani di accumulo, partecipazioni a trust o a fondi di investimento). Per i proventi di tale natura è prevista una soglia massima di reddito detraibile di 5.000 sterline annue, importo decrescente in proporzione agli altri redditi percepiti fino all’abbattimento per i redditi annuali pari o superiori a 17.500 sterline annue.
Il reddito personale prodotto da dividendi azionari, precedentemente (fino al 2016) soggetto a tassazione in base ad aliquote commisurate allo scaglione di reddito del contribuente (dal 7,5% per i redditi non imponibile o soggetti al basic rate, fino al 42,5% per lo scaglione sottoposto all’additional rate), beneficia attualmente di una soglia detraibile fino a 2.000 sterline (dividend allowance). Di conseguenza il reddito eccedente tale soglia è tassato in misura del 7,5% se il contribuente è soggetto a basic rate, del 32,5% per la fascia di reddito superiore (higher rate) e del 38,1% per i redditi soggetti a prelievo addizionale (additional rate)[5].
La riscossione delle imposte avviene in modo differente, a seconda che il dichiarante sia un lavoratore dipendente (o percettore di trattamento pensionistico) oppure un lavoratore autonomo.
Nel primo caso si applica il cosiddetto sistema PAYE (Pay As You Earn), in base al quale il lavoratore dipendente riceve la propria retribuzione al netto delle ritenute d’acconto prelevate dal datore di lavoro, mentre il saldo definitivo, a credito o a debito, viene determinato annualmente in occasione della presentazione della dichiarazione dei redditi. Per i lavoratori autonomi o nel caso di operazioni fiscali complesse è invece prevista la modalità dell’autodichiarazione (self assessment), che comporta la compilazione e l’invio della propria dichiarazione dei redditi (anche in formato elettronico) all’amministrazione tributaria (HM Revenue & Customs).
Il reddito da lavoro dipendente e autonomo è inoltre sottoposto al versamento dei contributi previdenziali (National Insurance Contributions) che gravano sui lavoratori e sui datori di lavoro in proporzioni diverse e in relazione agli scaglioni di reddito.
2. Tassazione delle plusvalenze finanziarie
Il reddito prodotto da plusvalenze (ovvero da attivi finanziari conseguiti dal contribuente in virtù della differenza di valore tra il prezzo di acquisto e il prezzo della successiva cessione di un bene determinato), è soggetto a tassazione se superiore alla soglia annuale di esenzione attualmente pari all’importo di 12.300 sterline (ma di 6.530 se il reddito deriva da partecipazioni ad un trust).
La capital gain tax, in particolare, è dovuta sulle plusvalenze prodotte dalla cessione di; (a) beni mobili, se di valore superiore alle 6.000 sterline (eccettuati gli autoveicoli); (b) beni immobili (eccettuata la prima abitazione purché non sia superata una determinata soglia di reddito complessivo); (c) quote societarie; (d) beni strumentali (compresi i diritti di proprietà industriale e l’avviamento aziendale).
L’aliquota è determinata in relazione ai beni ceduti e allo scaglione di reddito del contribuente. Essa è quindi del 20% per i contribuenti inquadrati nelle classi reddituali più elevate (higher e additional rate), e del 28% per la medesima categoria di contribuenti quando la plusvalenza è prodotta dalla cessione di un immobile residenziale. Per contro, il contribuente soggetto all’aliquota inferiore (basic rate) e che abbia conseguito una plusvalenza tale da non superare il relativo scaglione, deve un’imposta del 10% e rispettivamente del 18% per gli immobili residenziali. L’imposta sulla plusvalenza è invece applicata nella misura del 20%, e del 28% nel caso degli immobili residenziali, sugli importi eccedenti il limite massimo soggetto a basic rate[6].
In un limitato numero di casi l’imposta applicabile è calcolata non sulla plusvalenza bensì sul valore di mercato del bene ceduto (cessioni tra coniugi, donazioni a fondazioni, cessione di beni acquisiti prima del 1982).
Spagna
L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas-IRPF) è disciplinata dalla Legge 35/2006 (Ley 35/2006, de 28 de noviembre, del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas y de modificación parcial de las leyes de los Impuestos sobre Sociedades, sobre la Renta de no Residentes y sobre el Patrimonio) e dal relativo regolamento contenuto nel decreto 439/2007 (Real Decreto 439/2007, de 30 de marzo, por el que se aprueba el Reglamento del Impuesto sobre la Renta de las Personas Físicas y se modifica el Reglamento de Planes y Fondos de Pensiones, aprobado por Real Decreto 304/2004, de 20 de febrero).
L’IRPF è un tributo personale e diretto ispirato ai principi di uguaglianza, generalità e progressività. Essa colpisce varie categorie di reddito: di lavoro, di capitale, redditi di esercizio di attività economiche, guadagni patrimoniali, altre imputazioni di reddito stabilite dalla legge.
Dal 1° gennaio 2016 le aliquote variano dal 19% al 45%, ma la percentuale dell’aliquota può cambiare a seconda della Comunità autonoma di residenza.
Dal 1° gennaio 2021 è applicata inoltre l’aliquota del 47% per i redditi superiori a € 300.000, prevista dalla legge di bilancio per il 2021 (Ley 11/2020, de 30 de diciembre, de Presupuestos Generales del Estado para el año 2021)[7].
L’aliquota totale è la somma di quella stabilita a livello statale e di quella della Comunità autonoma[8].
Reddito (in euro) |
Aliquota statale |
Aliquota autonomica |
Aliquota totale |
Da 0 a 12.450 |
9,50% |
9,50% |
19% |
Da 12.450,01 a 20.200 |
12% |
12% |
24% |
Da 20.200,01 a 35.200 |
15% |
15% |
30% |
Da 35.200,01 a 60.000 |
18,5% |
18,5% |
37% |
da 60.000,01 a 300.000,00 |
22,5% |
22,5% |
45% |
Oltre 300.000 |
24,5% |
22,5% |
47%
|
La tabella si riferisce a un tipo autonomico generico di imposta che è applicabile solo ai non residenti in Spagna. In ogni altro caso è necessario consultare le tabelle specifiche della Comunità autonoma in cui il contribuente risiede.
Si tenga inoltre presente che alcune Comunità autonome (Navarra, Paesi Baschi) hanno una competenza completa in merito ai trasferimenti fiscali, potendo così stabilire la quota totale dell’IRPF, ad esempio in Navarra le aliquote sono differenti, con un’aliquota massima che arriva al 52%[9].
Francia
In Francia, per compensare le perdite realizzate durante un esercizio, una società può optare per uno dei due metodi di riporto: in avanti (en avant, in inglese carry forward) o all’indietro (en arrière, in inglese carry back)[11].
Il riporto in avanti consente di applicare la perdita dell’esercizio finanziario corrente agli utili dell’esercizio successivo. Si considera cioè la perdita di un esercizio come spesa deducibile dall’utile di quelli successivi e ciò senza alcuna limitazione di durata. La destinazione del disavanzo all’esercizio successivo è peraltro limitata a 1 milione di euro all’anno, aumentato del 50% della frazione di profitto al di sopra di questo tetto.
Per le imprese in difficoltà è più elevato il limite per l’addebito del disavanzo all’esercizio successivo: è infatti maggiorato dell’importo delle rinunce ai debiti da parte dei creditori concesse nel contesto di una procedura di conciliazione o di una procedura di salvaguardia, amministrazione controllata o liquidazione giudiziaria. Ciò vale anche quando l’utile dell’anno successivo non è sufficientemente elevato da riportare l’intero deficit, nonché quando è stato raggiunto il limite di detrazione. Se dunque una parte del disavanzo non può essere riportata sull’esercizio successivo, è possibile riportarla su quelli futuri.
Esempio: se una società soggetta all’Impôt sur les sociétés ha un deficit di € 50.000 nel corso dell’esercizio 2019, può riportare tale deficit agli anni successivi. Se nel 2020 realizza un profitto di € 10.000 su cui può addebitare il deficit dell’anno precedente, il suo risultato imponibile è zero e non paga l’imposta sulle società. Il suo disavanzo in attesa di essere riportato alla fine dell’esercizio finanziario 2020 è quindi di 40.000 euro. Se nel 2021 ottiene un utile di € 60.000, il suo reddito imponibile per l’imposta sulle società sarà quindi di € 20.000 (60.000 - 40.000). Il deficit rilevato nel 2019, già ridotto nel 2020, viene pertanto definitivamente detratto dall’utile del 2021.
La modifica dell’attività della società o del regime fiscale comporta la perdita del diritto di riporto: se, ad esempio, una società che opera in ambito commerciale si trasforma in holding e cambia attività, non potrà addebitare al risultato attuale il deficit dell’attività precedente. Analogamente, non si possono riportare le perdite negli esercizi successivi qualora si opti per il regime speciale della tassazione degli utili, previsto per le società che realizzano il loro fatturato per almeno il 75% attraverso navi mercantili.
Non è peraltro necessario richiedere all’amministrazione l’applicazione del riporto: tale regime si applica automaticamente a un bilancio in deficit al momento della dichiarazione del conto economico (Code général des impôts, art. 209). In caso di fusione o operazione assimilata, i precedenti disavanzi sono trasferiti, previa autorizzazione, alla società o alle società beneficiarie dei contributi, e imputabili ai suoi successivi utili. In caso di frazionamento o conferimento parziale dei beni, le perdite trasferite sono quelle relative al ramo di attività conferito.
L’autorizzazione viene rilasciata quando:
- l'operazione è giustificata da un punto di vista economico ed è dettata da motivazioni principali diverse da quelle fiscali;
- l'attività che ha dato origine ai disavanzi o di cui si richiede il trasferimento non è stata oggetto da parte della società incorporata o conferente, nel periodo rispetto al quale tali disavanzi sono stati registrati, di variazione significativa, in particolare in termini di clienti, occupazione, risorse operative effettivamente implementate, natura e volume di attività;
- l’attività all’origine dei disavanzi di cui si richiede il trasferimento è proseguita dalla o dalle società incorporanti o dai beneficiari dei contributi per un periodo minimo di tre anni, senza subire, durante tale periodo, variazioni significative, in particolare in termini di clienti, occupazione, risorse operative effettivamente implementate, natura e volume di attività;
- i disavanzi passibili di trasferimento non derivano né dalla gestione di beni mobili da parte di società il cui patrimonio è costituito principalmente da partecipazioni finanziarie in altre società o gruppi assimilati, né dalla gestione di un immobile. Sempre in caso di fusioni, il trasferimento di disavanzi precedenti, è invece esente da approvazione quando l’importo cumulativo dei disavanzi precedenti è inferiore a € 200.000 e sussistono altre condizioni tra cui quella citata sotto la lettera d.
Limitato all’esercizio precedente, il riporto all’indietro consente di compensare un disavanzo fiscale con un utile già realizzato al fine di recuperare l'imposta sulle società già pagata. Tale spostamento all’indietro ha quindi la conseguenza di far sorgere un debito fiscale dello Stato nei confronti della società. Se dopo il disavanzo registrato in un esercizio e riportato all’indietro, negli esercizi successivi si realizzano utili, il credito potrà essere addebitato all'imposta che la società dovrà pagare negli anni successivi. In caso contrario o nel caso cui si opti per un rimborso in un’unica soluzione, il credito sarà rimborsabile non prima di 5 anni.
Tuttavia, il periodo di rimborso di 5 anni di tale credito può essere ridotto quando la società è oggetto di una procedura di conciliazione, salvaguardia, riorganizzazione o liquidazione giudiziaria. In questi casi, il rimborso del credito può essere richiesto dalla data della sentenza che ha aperto il procedimento e viene effettuato previa deduzione degli interessi applicati al credito ancora da addebitare. Tale interesse, il cui tasso è quello dell'interesse legale applicabile il mese successivo alla richiesta della società, è calcolato dal primo giorno del mese successivo a tale richiesta fino alla fine dei cinque anni successivi a quello della conclusione dell’esercizio per il quale è stata esercitata l’opzione.
Il credito è inalienabile e non trasferibile, salvo che presso un istituto di credito, in cessione o in pegno. Se tale credito viene ceduto a garanzia di un istituto di credito, non può più essere compensato con l'imposta sulle società dovuta. Per le società madri di un gruppo, la società madre può scegliere di riportare il deficit complessivo dell'anno a nome di tutte le altre. L’art.5 della Loi n. 2020-935 du 30 juillet 2020 de finances rectificative pour 2020 consente inoltre di chiedere eccezionalmente il credito d'imposta maturato prima dello scadere dei 5 anni ed entro il 31 maggio 2021. La medesima norma prevede peraltro che in caso di sopravvalutazione superiore al 20% del debito da rimborsare, al pagamento in eccesso viene applicato un aumento del 5% e un interesse di mora mensile dello 0,2%. Il credito fiscale maturato, in ogni caso, non è imponibile per la determinazione del risultato fiscale dell'esercizio per il quale è iscritto. Inoltre, nell'ambito delle misure di sostegno alle imprese, l’art. 1 della legge finanziaria rettificativa per il 2021 (Loi n° 2021-953 du 19 juillet 2021 de finances rectificative pour 2021, art. 1) introduce una deroga e un meccanismo temporaneo per il calcolo del riporto del disavanzo (RAD) per il primo esercizio in disavanzo terminato il 30 giugno 2020 (o successivamente) e fino al 30 giugno 2021.
Il disavanzo in questione può, in opzione, essere imputato all'utile dichiarato dell'esercizio precedente e, se del caso, a quello del penultimo esercizio, e successivamente a quello dell'esercizio ancora precedente. L'imputazione del disavanzo dell'anno N è, dunque, possibile prima sull'utile dell'anno precedente, poi su quello dell'anno N-2 e infine, se il disavanzo non è interamente imputato, su quello dell'anno N-3.
Il regime è derogatorio al sistema di diritto ordinario anche perché il deficit riportato indietro non è limitato quanto alla cifra. L'opzione per questo regime derogatorio può essere esercitata fino al termine ultimo per la presentazione del conto economico per un esercizio chiuso al 30 giugno 2021 e al più tardi prima dell'accertamento dell'imposta sulle società dovuta per l'esercizio successivo a quello per il quale l'opzione è stata esercitata.
Il credito fiscale derivante dall’opzione esercitata a titolo derogatorio può essere utilizzato per il pagamento dell'imposta sulle società dovuta per gli esercizi chiusi nei cinque anni successivi alla fine dell'esercizio finanziario per il quale è stata esercitata l'opzione di riporto. Tale opzione non potrà però beneficiare delle disposizioni dell'articolo 5 della legge n. 2020-935 del 30 luglio 2020 di modifica delle finanze per il 2020 che prevede un rimborso anticipato dei crediti derivanti da RAD.
L’importo del disavanzo riportato all’anno precedente è limitato a 1 milione di euro e non può comunque eccedere la somma dell’utile realizzato nell’anno precedente.
Il riporto deve inoltre riguardare la parte di utile non distribuita. Di conseguenza, se la perdita è maggiore dell’utile, il saldo verrà riportato al bilancio in corso; analogamente, se l'utile è maggiore del disavanzo va riportato nell’anno in corso il disavanzo rimanente, qualora non vi possa essere totale compensazione a causa del limite di 1 milione di euro.
Esempio: una società il cui anno fiscale coincide con l'anno solare subisce un deficit di € 1.400.000 durante l'anno fiscale 2020 e opta per il riporto di questo deficit. Questo deficit può essere addebitato all’utile del 2019 che ammontava a € 1.800.000. Poiché l'addebito ha il limite predetto, la società può riportare solo € 1.000.000. Il saldo di 400.000 euro può quindi essere riportato nel bilancio in corso[12].
Per richiedere il rimborso deve essere inviato all'amministrazione un apposito modulo. L’opzione non può essere inoltre esercitata per un esercizio durante il quale si verificano determinati eventi: vendita o cessazione totale dell’attività, fusione di società, sentenza di liquidazione giudiziaria della società. È peraltro ammesso che la società incorporante durante una fusione o beneficiaria di un conferimento parziale di attività possa riportare a nuovo il disavanzo rilevato per l'esercizio nel corso del quale è avvenuta l'operazione (Codice generale delle imposte, art. 220 quinquies). Il deficit può essere detratto solo dalla tassazione della società stessa; non è possibile addebitarlo alla dichiarazione dei redditi personali degli amministratori in detrazione da altri eventuali redditi.
Le regole tecniche per l’esercizio del riporto delle perdite all’esercizio precedente sono contenute nel Code générale des impôts, Annex 3, Section VI, artt. 46 quater-0 S – 46 quater 0 W). In particolare si prevede che se la società ha più crediti, questi possono essere compensati con l’imposta sulle società solo rispettando l’ordine in cui sono apparsi. In caso di cessione a garanzia di un istituto di credito o di una società finanziatrice, il credito non potrà più essere compensato, dalla data del trasferimento, con l'imposta dovuta dalla società.
Secondo l’opinione dell’autore di un articolo - all’interno di un blog - dedicato a questo istituto, il carry back migliora in definitiva i risultati contabili dell’azienda, dato che la rilevazione del credito d’imposta sulla tesoreria come provento produce un miglioramento del risultato sociale dell’azienda nel complesso[13].
Germania
In Germania il riporto in avanti (carry forward, in tedesco Verlustvortrag) delle perdite nette di esercizio è consentito senza limiti di tempo. La legge sull’imposta sul reddito delle società prevede inoltre un riporto indietro (carry back, in tedesco, Verlustrücktrag) facoltativo, limitatamente all’anno precedente e fino a 1 milione di euro (Körperschaftsteuergesetz, KStG, artt. 8, 8c e 8d).
La compensazione delle perdite anticipata, esigibile in un anno, è di regola limitata a 1 milione di euro più il 60% del reddito corrente eccedente tale importo. Il restante 40% del reddito superiore a 1 milione di euro è addebitato alle imposte sul commercio e sulle società, ai tassi correnti (“tassazione minima”, come viene definita). Il riporto delle perdite, così come le perdite correnti dell’esercizio fiscale in corso maturate fino alla data del trasferimento dannoso delle azioni, viene annullato se un singolo azionista (immediato o finale) acquisisce più del 50% del capitale emesso (diritti di voto) entro un periodo di cinque anni. La regola della decadenza non si applica alle acquisizioni di azioni nell’ambito di una riorganizzazione interna del gruppo senza effetto sull’unico azionista finale, o in quanto la perdita riportata è coperta da riserve nascoste nel patrimonio della società che, al momento della realizzazione, comporteranno l’applicazione della tassazione tedesca. Inoltre, è prevista un’esenzione dalla confisca delle perdite fiscali riportate a nuovo per i trasferimenti di azioni allo scopo di ristrutturare la rispettiva entità aziendale (KStG, art. 8c).
Per i trasferimenti dannosi di azioni avvenuti dopo il 31 dicembre 2015, può essere presentata una domanda ai sensi di una disposizione introdotta nel dicembre 2016 per evitare una perdita per decadenza. Il beneficio è ottenibile se la società ha mantenuto esclusivamente la stessa attività nell’arco di un determinato periodo di osservazione, durante il quale non si è verificato alcun “evento dannoso”. In questo contesto gli eventi dannosi includono, ad esempio, la cessazione dell’attività, l'inizio di un’attività aggiuntiva e un cambiamento nell’attività/settore di attività. Laddove le condizioni siano soddisfatte e la società abbia presentato domanda, la perdita fiscale totale riportabile a nuovo, disponibile alla fine del periodo di accertamento in cui è avvenuto il trasferimento dannoso di azioni, sarà classificata come “riporto a nuovo di perdite legate alla continuazione” (Fortführungsgebundener Verlust). Il verificarsi di uno degli eventi dannosi, come stabilito nella relativa norma, comporterà la decadenza dell’ultima perdita vincolata a titolo di continuazione e riportata per ultima, nella misura in cui la perdita fiscale vincolata a nuovo non è compensata da riserve nascoste (KStG, art. 8d).
In risposta alla pandemia COVID-19, il carry back è stato elevato da 1 a 5 milioni di euro per le perdite subite nel 2020 e nel 2021. Inoltre, è stata prevista la possibilità di prendere in considerazione il riporto delle perdite dal 2020 già nel calcolo dei pagamenti anticipati 2019 o nel rilascio dell’accertamento fiscale 2019, prima dell’emissione dell’accertamento 2020. Il calcolo si basa quindi su un riporto forfetario delle perdite (30% della base imponibile per i pagamenti anticipati o l’accertamento per il 2019) o su una stima delle perdite del 2020 (Zweites Gesetz zur Umsetzung steuerlicher Hilfsmaßnahmen zur Bewältigung der Corona-Krise (Zweites Corona-Steuerhilfegesetz, del 29 giugno 2020, art. 1). Con la successiva (terza) legge di agevolazioni fiscali per far fronte alla crisi economica determinata dalla pandemia (Drittes Corona-Steuerhilfegesetz del 10 marzo 2021) il riporto delle perdite fiscali, utilizzabile dalle società, è stato ulteriormente e provvisoriamente esteso da 5 a un massimo di 10 milioni di euro sempre con riferimento al 2020 e al 2021.
Si segnala, infine, che il 16 febbraio 2022 il Governo federale ha approvato il disegno di una quarta legge di misure fiscali per affrontare la pandemia (Entwurf eines Vierten Gesetzes zur Umsetzung steuerlicher Hilfsmaßnahmen zur Bewältigung der Corona-Krise) che prevede necessariamente il consenso di entrambi i rami del Parlamento. Come per tutte le iniziative governative, il disegno di legge è stato presentato prima al Bundesrat il successivo 25 febbraio (stampato BR n. 83/22) ed è stato designato come “particolarmente urgente” ai sensi dell’art. 76, comma 2 della Legge fondamentale. Riconoscendo gli effetti positivi del carry back sulla liquidità delle imprese nel periodo critico della pandemia, il Governo federale ha quindi deciso di prorogare di due anni - fino al 2024 - l’efficacia delle disposizioni già introdotte con la terza legge di agevolazioni fiscali, ovvero la possibilità di riportare fiscalmente le perdite subite fino a un massimo di 10 milioni di euro. In base a quanto stabilito dall’art. 4 del disegno di legge, dal 1° gennaio 2024 verrà ripristinato il carry back limitato a 1 milione di euro.
Area anglosassone
L’istituto della compensazione fiscale mediante deduzione delle perdite subite nello svolgimento di un’attività di impresa o professionale è vigente anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti, la cui legislazione in materia tributaria contempla, se pure con alcune differenze, la possibilità di un riporto delle perdite di fine esercizio (final losses) a valere sui redditi futuri oppure su quelli percepiti in precedenza e già assoggettati a prelievo fiscale. Le due modalità sono comunemente definite “carry forward” o “carry back” in quanto comportano lo slittamento in avanti o indietro del termine temporale entro il quale può procedersi alla compensazione fiscale.
1. Regno Unito
Nel Regno Unito, in applicazione di uno schema la cui introduzione può farsi risalire al 1949[14], il riporto delle perdite ad esercizi precedenti è previsto nel limite ordinario di un anno. Sicché la perdita di esercizio in cui sia incorsa una società in un determinato esercizio contabile può essere compensata, senza limitazione di importo, con gli utili complessivi imponibili (comprese le plusvalenze) maturati nel medesimo periodo fiscale oppure negli esercizi precedenti (“carry back”), in quest’ultimo caso a condizione che (a) siano appunto compresi entro i dodici mesi che hanno preceduto quello in cui si sono realizzate le perdite, e (b) che la deduzione sia applicata a redditi originati dalle medesime attività a cui sono imputate tali perdite. L’applicazione del riporto ad anni precedenti comporta il rimborso delle somme già sottoposte a prelievo fiscale[15].
Dunque le modalità di impiego delle perdite ai fini della deduzione fiscale dipende dalla fonte reddituale che le ha generate.
In particolare, in applicazione del Corporation Tax Act 2010[16], le perdite determinatesi nell’ambito di un’attività di impresa e a questa direttamente riconducibili (trading losses) possono essere dedotte dall’imposta sulle società previa la loro contabilizzazione secondo i vigenti standard internazionali. Tali perdite possono perciò essere dedotte a titolo di credito di imposta per investimenti relativi a beni strumentali dell’impresa (capital allowances), di ammortamenti per immobilizzazioni (depreciation) o rientrare in altre categorie di spesa inerenti allo svolgimento dell’attività suddetta (disallowable expenditure).
Nel caso del riporto delle perdite ad anni successivi (“carry forward”), il Corporation Tax Act prevede che la società soggetta a tassazione possa dedurre per l’intero importo le perdite registrate nell’attività di impresa (trading losses) dal reddito imponibile degli esercizi successivi purché vi sia continuazione dell’attività (prima del 2017 l’importo deducibile poteva essere imputato solo ai redditi prodotti dallo stesso ramo di attività interessato dalla perdita, mentre ora la deduzione può essere fatta valere in relazione al reddito complessivo della società)[17].
Questa forma di deduzione può essere applicata anche all’interno di un gruppo societario (group relief) ciò comportando l’imputabilità della deduzione ad una delle società che lo compongono[18]. In virtù dello sgravio fiscale di gruppo è consentito ad una società (surrendering company) di trasferire la propria perdita fiscalmente rilevante ad una società diversa (claimant company) che può utilizzare questa perdita per il calcolo del proprio carico fiscale, ferma restando l’autonomia di ciascuna società del gruppo. Una variante del group relief è costituita dal cosiddetto consortium relief, qualora il trasferimento di perdite sia effettuato pro-quota da una società posseduta da un consorzio societario nei confronti degli altri membri.
Al riguardo è utile notare che l’applicazione della regola del group relief nel Regno Unito, prima riservata alle società stabilite nel territorio nazionale, è stata estesa con il Finance Act del 2000 alle società non aventi la propria sede fiscale nel Paese purché vi esercitino un’attività economica mediante loro filiali. Inoltre, a seguito di una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata nei confronti del Regno Unito (allora Stato membro)[19], il group relief può essere applicato anche in relazione alle perdite derivanti da una società controllata stabilita in un altro Stato membro qualora non sia possibile ottenere il medesimo sgravio fiscale al di fuori del Regno Unito; con la conseguenza che, a certe condizioni, le perdite generate all’estero da società controllate residenti in altre Paesi possono essere cedute ed utilizzate a fini di compensazione fiscale da altre società del gruppo stabilite nel Regno Unito.
A partire dall’aprile 2020, la compensazione fiscale (anche infra-gruppo) può inoltre essere fatta valere sull’imposta relativa alla tassazione di cespiti immobiliari dell’impresa (property business), in virtù dell’applicazione estensiva della regola che normalmente consente applicare la relativa deduzione nel medesimo periodo d’imposta oppure di imputare ai redditi futuri le perdite di tale origine[20].
La deduzione fiscale riferita ad esercizi successivi è prevista altresì per le perdite da capitale (capital losses), che possono farsi valere sulle plusvalenze attive imputabili ai futuri esercizi (capital gain). Questa deduzione può essere soggetta a limitazioni quanto alla sua fruibilità all’interno di un gruppo societario.
Merita infine segnalare che la materia delle deduzioni fiscali è venuta all’esame del Governo nel quadro delle misure finanziarie da adottare nella situazione di crisi determinatasi a causa dell’epidemia da Covid-19[21].
A tale proposito la competente Commissione parlamentare della Camera dei Comuni (Treasury Committee) ha raccomandato recentemente l’estensione del periodo temporale in cui può essere effettuata la deduzione fiscale delle perdite delle imprese e dei lavoratori autonomi. La Commissione ha anche ricordato come tale misura sia stata già adottata nel Regno Unito nel 1991 e nel 2008 in occasione di crisi finanziarie, allorché il termine del carry back fu esteso al triennio, consentendo l’erogazione di rimborsi fiscali a categorie di contribuenti in difficoltà[22].
Il Governo ha adottato iniziative conformi, prevedendo di introdurre con il Finance Act 2021[23] misure finalizzate a una revisione della disciplina della compensazione fiscale per le imprese, tra cui la temporanea estensione triennale del periodo fiscale di riporto delle perdite subite nell’esercizio di attività di impresa o professionali durante il periodo dal 1° aprile 2021 al 31 marzo 2022.
In particolare è previsto che le perdite possano essere portate in deduzione a valere sui redditi degli anni più recenti e poi con quelli degli anni precedenti. Mentre per il primo anno del carry back è confermata l’assenza di limiti di importo (secondo la regola ordinaria vigente per le trading losses), la deducibilità nei due anni precedenti è soggetta ad una soglia fissata ad un importo massimo di 2 milioni di sterline per l’anno finanziario 2021 (decorrente dal 1° aprile come di norma, e perciò fino al 31 marzo dell’anno successivo), e ad una soglia di pari importo per l’anno finanziario precedente.
Le deduzioni devono essere applicate al momento della dichiarazione dei redditi, salvo il caso di importi non superiori a 200.000 sterline per i quali può essere presentata un’autonoma richiesta di rimborso all’amministrazione fiscale senza dover attendere l’inoltro di tale dichiarazione.
I gruppi societari possono accedere alla deduzione, entro il medesimo limite massimo di importo, qualora ogni società componente abbia subito perdite superiori alla soglia minima di 200.000 sterline.
L’articolata applicazione della regola del carry back, come riformulata, è materia di esemplificazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria attraverso il suo sito Internet[24]. Se ne può trarre almeno un esempio riferito ad una singola società.
Nel caso della stand alone company, si ipotizza che ess abbia subito nell’esercizio corrente perdite di ammontare pari a 3,3 milioni di sterline, a fronte di profitti maturati negli anni precedenti nella misura di (a) 1,1 milioni di sterline nel primo anno; (b) 1,750 nel secondo; (c) 1,250 nel terzo, procedendo a ritroso. In base alla regola comune, la società è abilitata a imputare la perdita: (a) ai redditi del primo anno precedente nel limite del loro importo (ovvero 1,1 milioni); le innovazioni annunciate consentirebbero altresì di portare in deduzione un ulteriore importo nel limite (b) di 1,750 milioni; e di un importo residuo di 250.000 sterline (c) a valere sui redditi del terzo anno precedente e in applicazione della soglia massima stabilita di 2 milioni di sterline.
In relazione alle attività economiche o professionali svolte senza costituzione di una società (unicorporated business), la regola generale prevede che le perdite incorse nel periodo fiscale corrente possano essere portate in compensazione con i redditi dello stesso periodo ed anche con l’esercizio immediatamente precedente[25]. Se la perdita è subita durante i primi quattro anni dall’inizio dell’attività, o questa sia terminata entro il medesimo periodo, la deduzione opera sui redditi di ciascuno dei tre anni precedenti; in caso di incapienza la deduzione fiscale può inoltre essere applicata sui redditi futuri (è il caso del carry forward)[26].
Rispetto alle regole ordinarie appena richiamate, le nuove misure recentemente introdotte con il Finance Act 2021 lasciano invariata la soglia massima di deducibilità prevista generalmente per la deduzione delle perdite, fissata al valore più alto tra l’importo di 50.000 sterline e una percentuale del 25% del reddito imponibile complessivo. Questa soglia è destinata tuttavia ad essere derogata relativamente alla compensazione delle minori entrate con i redditi dello stesso periodo fiscale purché riferita all’attività che ha generato sia i redditi che le perdite. Ciò comporta che in relazione alle perdite reddituali subite negli esercizi fiscali 2020-2021 e 2021-2022, il singolo contribuente possa riportarle ai tre anni precedenti quello in cui si è verificata il decremento. La deduzione può essere applicata negli anni fiscali 2020-2021 e 2021-2022, anche in questo caso, entro la soglia massima complessiva di 2 milioni di sterline a valere sui redditi dei due anni immediatamente precedenti ciascuno dei due anni fiscali[27].
2. Stati Uniti d’America
Anche negli Stati Uniti, la disciplina delle deduzioni fiscali si correla ad obiettivi di promozione della crescita delle imprese e infatti ricorre nella legislazione come strumento di politiche economiche anticicliche, nel presupposto che il decremento della redditività delle imprese a seguito delle perdite finanziarie subite nel loro esercizio (net operating losses) abbia generale rilevanza sul piano degli investimenti, dell’efficienza economica e della capacità del sistema economico nel suo complesso di superare le fasi avverse. La prima introduzione di un meccanismo fiscale di deducibilità delle perdite risale al Revenue Act 1918, le cui previsioni consentivano la loro compensazione con l’esercizio dell’anno precedente o dell’anno successivo al loro verificarsi; il riporto delle perdite ad anni precedenti è stato poi più volte modificato dal legislatore, e il relativo termine temporale ha subito variazioni in corrispondenza dell’alternarsi delle fasi economiche, oscillando da un minimo di un anno al massimo di un triennio per il carry back, e ad un massimo di venti anni per il carry forward (come previsto, in occasione fasi di recessione economica, da una serie di provvedimenti legislativi come il Taxpayer Relief Act del 1997, il Job Creation and Worker Assistance Act del 2002, l’American Recovery and Reinvestment Act del 2009).
La legislazione fiscale federale consolidata nello Internal Revenue Code ha infine previsto in via ordinaria, fino al 2018, la possibilità per le imprese di riportare le perdite alla contabilità dei precedenti anni di esercizio (carry back), la cui applicazione tipicamente comporta il rimborso al contribuente della differenza tra il reddito già tassato e quello imponibile nel periodo di riferimento. Questa modalità di deduzione fiscale è stata poi sospesa per le società in occasione della riforma tributaria introdotta nel 2017 con il Tax Cuts and Jobs Act[28], contestualmente alla previsione di deduzioni standard e a limitazioni posta alla deducibilità delle perdite dal reddito dei contribuenti diversi dalle società (non corporate taxpayers, i quali fino al 2025 possono compensare, nel medesimo anno d’imposta, le perdite derivanti da un’attività professionale con i redditi di altra fonte, nel limite di 250.000 dollari per la dichiarazione del singolo contribuente e di 500.000 in caso di dichiarazione congiunta).
È rimasta tuttavia invariata la possibilità per una società di riportare alla contabilità degli anni successivi la perdita subita in un anno fiscale (carry forward), che in questo modo può determinare una riduzione dell’imposta fino all’80% fino ad estinzione dell’importo compensato.
La restrizione prevista dal Tax Cuts and Jobs Act è stata quindi a sua volta sospesa nel quadro delle misure emergenziali adottate per affrontare le conseguenze economiche della crisi epidemica. Con il Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security (CARES) Act approvato il 27 marzo 2020[29] è stato infatti ripristinata la deducibilità delle perdite da attività di impresa o professionali nella forma del carry back, con effetti economici per il bilancio federale stimati nell’ordine di circa 160 miliardi di dollari nell’arco di un decennio. In via transitoria, la deducibilità vi è stata prevista per le perdite verificatesi dal 31 dicembre 2017 fino al 1° gennaio 2021, applicabile a ritroso rispetto alla tassazione dei cinque anni precedenti.
Senonché soltanto pochi mesi dopo il legislatore ha mutato orientamento con la definitiva approvazione, il 1° ottobre 2020, dello Heroes Act[30], provvedimento contenente diverse misure economiche e che, in particolare, ha soppresso il carry back e ripristinato le altre forme di deduzione fiscale previste per i contribuenti diversi dalle società, con effetti di incremento del gettito fiscale stimati nella misura di circa 8 miliardi di dollari in dieci anni[31].
Allo stato, la deducibilità delle net operating losses registrate nel quinquennio precedente, prevista in via straordinaria nel quadro delle misure emergenziali, ha dunque avuto termine con l’anno di imposta 2020[32]. Tale deducibilità è ora consentita da tale anno in relazione ad un periodo di imposta successivo, nel limite dell’80% della parte eccedente il reddito imponibile.
L’instabilità del quadro legislativo è dovuto non solo al variare degli indirizzi politici o a caratteristiche intrinseche della legislazione (negli Stati Uniti frequentemente caratterizzata, specie nella materia economica, da clausole di scadenza temporale il cui decorrere pone fine all’efficacia delle disposizioni a meno che non siano espressamente rinnovate, secondo il modello della cosiddetta “sunset legislation”). Alla mutevolezza delle scelte in questo ambito contribuisce infatti un’incertezza di fondo circa l’efficacia delle misure fiscali descritte. Secondo quanto si riporta in una nota di documentazione predisposta per il Congresso, i dati economici indicherebbero una limitata incidenza di tali misure rispetto allo stimolo che può trarne la crescita economica durante una fase di recessione. Per contro dette misure possono avere un effetto stabilizzante per le imprese, in quanto consentono ad esse di disporre di liquidità una volta che sia stato erogato il rimborso fiscale (sottoposto però alle scadenze previste per gli adempimenti dichiarativi).
L’applicazione delle deduzioni a riporto sugli anni precedenti è inoltre una misura idonea ad avvantaggiare le “vecchie” società ovvero di più risalente costituzione rispetto a quelle di nuova formazione (come le start-up). Da questa angolazione si prospetta più appropriato un sistema che consenta la deducibilità delle perdite nello stesso anno d’imposta in cui esse sono maturate[33].
Francia
1. La tassa sull’abitazione
In Francia vige la taxe d’habitation, un’imposta locale concernente tutti gli immobili destinati ad uso abitativo, la cui disciplina è contenuta negli artt. 1407 – 1414 C del Code général des impôts (CGI).
La base imponibile, come per la taxe foncière (tassa fondiaria, l’altra imposta locale sugli immobili[35]), è costituita dal valore locativo catastale dell’abitazione (rivalutato annualmente), diminuito delle spese familiari (redditi, persone a carico, ecc.) e degli abbattimenti previsti qualora si tratti di prima casa (se l’abitazione è la residenza principale del dichiarante).
La taxe d’habitation è dovuta dal soggetto che abita l’immobile, qualunque esso sia (proprietario, locatore, occupante a titolo gratuito), al 1° gennaio dell’anno di imposizione. Coloro che vivono nell’abitazione di cui sono proprietari sono tenuti a pagare sia la taxe foncière sia la taxe d’habitation.
In base all’art. 1407 del CGI, la tassa sull’abitazione, sia essa principale o secondaria, si applica:
· ai locali ammobiliati adibiti ad abitazione;
· ai locali uso ufficio;
· ai locali ammobiliati non a carattere industriale o commerciale, occupati da organismi statali, dipartimentali e comunali.
La medesima norma, al comma II, elenca peraltro i casi di esenzione previsti.
Qualora, invece, gli immobili ricadano nella Zone de revitalisation rurale (ZRR), i comuni possono esentare dal versamento della tassa i seguenti locali:
La tassa sull’abitazione è calcolata in base al valore locativo dell’abitazione e delle sue eventuali pertinenze, quali garage, giardini ornamentali, parchi, campi da gioco (CGI, art. 1409).
È prevista un’esenzione dal pagamento della tassa sulla abitazione in base al reddito. Dal 2023, inoltre, nessuna famiglia pagherà la tassa di abitazione sulla sua residenza principale. L’esenzione, in particolare, dipende dal reddito fiscale della famiglia e dalla sua composizione, e cesserà quando interverrà la soppressione totale della tassa nel 2023: ad esempio una famiglia composta da 2 persone e con un reddito di 44.830 euro è esentata al 100% dal pagamento della tassa, cosi come una famiglia formata da 5 persone e con un reddito di 82.362 euro (CGI, art. 1414). L’esenzione a determinate condizioni, e sempre in attesa della graduale soppressione della tassa, viene concessa anche agli ultrasessantenni o a chi è vedovo o vive in una casa di riposo.
Si può inoltre beneficiare di una riduzione temporanea della tassa sulla abitazione se si soddisfano le seguenti 2 condizioni:
- si è stati ricollocati, a causa della demolizione della propria casa, nell'ambito del programma nazionale di riqualificazione urbana (Programmi ANRU);
- l'importo della taxe d’habitation per la nuova casa è superiore all'importo della tassa per l’abitazione precedente[36].
2. Le tasse sugli immobili ad uso non abitativo
In Francia i beni utilizzati per scopi professionali dagli imprenditori sono in potenza assoggettabili a tre tipi di tasse: la taxe d’habitation; la cotisation foncière des entreprises (CFE); la taxe foncière sur les propriétés bâties (TFPB).
2.1 La taxe d’habitation, in linea di principio, è dovuta solo per i locali residenziali e le loro dipendenze, adiacenti o meno alle abitazioni (locali di servizio, garage, ecc.) (Code général des impôts, artt. 1407 – 1407 ter).
I locali usati dalle aziende per lo svolgimento delle proprie attività sono, di conseguenza, esenti dall’imposta sulla casa a condizione che siano:
- completamente separati dall’abitazione (con ingresso autonomo); o
- già soggetti alla cotisation foncière des entreprises (CFE); o
- progettati per renderli inadatti all’abitazione (studio dentistico all’interno dell'abitazione, stanza utilizzata come ufficio commerciale, edificio agricolo, ecc.).
D’altra parte, i locali utilizzati dai lavoratori autonomi (ad esempio, le camere B&B), anche se sottoposti alla CFE, sono assoggettati all’imposta sulla casa se fanno parte dell’abitazione personale del contribuente.
Una deroga, tuttavia, può essere concessa, su delibera del comune, per quel che riguarda le camere degli ospiti all’interno di strutture turistiche situate in zone di rilancio rurale (ZRR).
2.2 La cotisation foncière des entreprises (CFE) è una delle due componenti del contributo economico territoriale (contribution économique territoriale - CET) unitamente al contributo sul valore aggiunto delle società (cotisation sur la valeur ajoutée des entreprises - CVAE).
A differenza della tassa professionale, di cui riprende peraltro la maggior parte delle regole, la CFE si basa esclusivamente sui beni soggetti alla taxe foncière.
La CFE è a carico delle società e delle persone fisiche che svolgono abitualmente un’attività professionale autonoma, indipendentemente dal loro status giuridico, dall’attività o dal sistema fiscale (Code général des impôts, art. 1447).
Le attività di affitto e subaffitto di edifici (ad eccezione di quelle relative a edifici spogli per uso residenziale) sono interessate dalla CFE, ad eccezione di alcuni beni ammobiliati inclusi nell'abitazione principale del proprietario.
L’importo dovuto a titolo di CFE è fissato dal comune o dall’EPCI (établissement public de coopération intercommunale) che ha competenza sul territorio presso il quale contribuente ha una base imponibile.
La CFE è basata sul valore locativo dei beni soggetti alla taxe foncière e utilizzati dalla società ai fini della loro attività durante l'anno N-2 (ad esempio, per il 2019 si paga per i beni utilizzati nel 2017).
Il valore locativo dei locali professionali (locali commerciali, locali destinati ad attività non commerciali e imprese artigianali locali) è calcolato secondo un metodo di determinazione dei prezzi basato sul mercato degli affitti.
Il valore locativo di edifici e terreni industriali è, invece, stabilito secondo un metodo di “contabilità” basato sul prezzo di costo delle immobilizzazioni. Tuttavia dal 2020 il valore, se inferiore a € 500.000, sarà determinato seguendo il metodo usato per i locali professionali (Code général des impôts, artt. 1498-1498 bis).
Gli edifici di base (bases foncières) degli stabilimenti industriali godono peraltro di una riduzione del 30%.
La base imponibile è inoltre ridotta, in varia misura, nei seguenti casi:
- del 50% per le nuove imprese, l’anno successivo a quello della creazione;
- in proporzione al tempo di inattività per determinate attività stagionali (ristoranti, caffè, per esempio);
- del 75% per un artigiano che impiega 1 dipendente, del 50% per 2 dipendenti e del 25% per 3 dipendenti (apprendisti esclusi), se la retribuzione del lavoro svolto (comprensivo di salari e contributi sociali) ammonta a più del 50% del fatturato complessivo IVA inclusa;
- del 25% in caso di stabilimento in Corsica.
(Code général des impôts, artt. 1449-1466 F)
Quando il valore locativo è molto basso, viene stabilito un contributo forfetario minimo, il cui importo è fissato per deliberazione del comune o dell'EPCI secondo una scala rivalutata ogni anno. Tale importo deve essere incluso in un intervallo che varia in base al fatturato o alle entrate della società, al netto delle imposte pagate (Code général des impôts, art. 1647 D).
2.3 La taxe foncière sur les propriétés bâties (TFPB) (tassa di proprietà sugli edifici costruiti) è invece dovuta dall’impresa proprietaria o avente un diritto equivalente sugli edifici stessi al 1° gennaio dell'anno d'imposta.
Per essere imponibile, il bene deve soddisfare le seguenti 2 condizioni:
- essere fissato a terra (impossibilità a spostarlo senza demolirlo);
- presentare il carattere di un vero edificio, compresi i servizi che ne fanno parte.
I principali beni tassabili sono:
- parcheggi;
- suolo di edifici e terreni che si trovano nelle immediate vicinanze di una costruzione;
- imbarcazioni stazionanti in uno stesso punto, sia pure semplicemente ormeggiate, e adibite ad abitazione, ad attività commerciali o industriali;
- edifici commerciali, industriali o professionali;
- impianti industriali o commerciali (ad es., capannoni, officine, cisterne);
- terreni per uso commerciale o industriale o utilizzati, a determinate condizioni, per la pubblicità.
(Code général des impôts, artt. 1380-1381)
La TFPB è dovuta annualmente e la sua base imponibile è pari alla metà del valore locativo catastale. Il valore locativo viene aggiornato ogni anno. L’ammontare della TFPB è ottenuto applicando l’aliquota alla base imponibile. Le aliquote sono stabilite dalle collectivités territoriales (Code général des impôts, artt. 1388-1388 octies)[37].
3. La nuova imposta sulla fortuna immobiliare
Dal 1° gennaio 2018 l’imposta di solidarietà sul patrimonio (Impôt de solidarité sur la fortune - ISF), introdotta nel 1989, è stata sostituita da una nuova tassa sui beni immobili (Impôt sur la fortune immobilière - IFI) (Code général des impôts, artt. 964 - 983, introdotti dagli artt. 31 e 48 della Loi n. 2017-1837 du 30 décembre 2017 de finances pour 2018).
Si è soggetti a IFI quando il valore netto imponibile della proprietà immobiliare supera 1,3 milioni di euro.
È preso in considerazione, a tal fine, il patrimonio immobiliare detenuto da tutte le persone che compongono la residenza fiscale (foyer fiscale), compresi i beni dei figli minori di cui si è amministratori.
A titolo indicativo, occorre dichiarare in particolare: edifici costruiti (per uso personale o affittati); case, appartamenti e loro annessi (garage, parcheggi, cantine); edifici classificati come monumenti storici; edifici in costruzione; edifici non costruiti (terreni edificabili, terreni agricoli); edifici, o parti di edifici, rappresentati da azioni di società immobiliari possedute.
A determinate condizioni, sono previste esenzioni parziali o totali, ad esempio per gli edifici utilizzati per attività professionale, le proprietà rurali affittate a lungo termine o per uso professionale (terreni agricoli, edifici e attrezzature agricole).
I contribuenti soggetti all’IFI continuano a pagare la taxe d’habitation, indipendentemente dal loro livello di reddito.
L’abitazione principale gode comunque di uno sgravio dell’imposta del 30%.
Alcuni debiti sono peraltro deducibili ai fini del pagamento dell’imposta, quali ad esempio quelli relativi all’acquisizione di beni o diritti di proprietà imponibili, quelli relativi al pagamento di lavori per il miglioramento, la costruzione, la ricostruzione o l’ampliamento di beni immobili.
Quanto all’importo da pagare, sono previsti i seguenti tassi applicabili in rapporto alla ricchezza netta imponibile:
- 0% fino a € 800.000;
- 0,5% tra € 800.001 e € 1.300.000;
- 0,7% tra € 1.300.001 e € 2.570.000;
- 1% tra € 2.570.001 e € 5.000.000;
- 1,25% tra € 5.000.001 e € 10.000.000;
- 1,5% sopra € 10.000.000.
Con un reddito compreso tra € 1.300.000 e € 1.400.000 si beneficia peraltro di uno sconto.
In caso di donazioni a organizzazioni di interesse generale, si beneficia inoltre di una riduzione dell’IFI pari al 75% delle donazioni effettuate, fino a un limite di € 50.000.
Infine, il cumulo dell’imposta sul reddito e dell’IFI non deve in ogni caso superare il 75% delle entrate conseguite nell’anno fiscale. La differenza va detratta eventualmente dall’importo dell’IFI[38].
Germania
L’imposta fondiaria (Grundsteuer) è una tassa sulla proprietà che riguarda non solo i terreni ma anche le costruzioni e che trova il suo fondamento giuridico nella Grundsteuergesetz (GrStG) del 7 agosto 1973, da ultimo modificata con legge del 19 dicembre 2008. L’imposta, di carattere reale (Realsteuer, ai sensi del § 3, comma 2 del Codice tributario – Abgabenordnung, AO), è percepita annualmente dalle municipalità tedesche[39] sulla proprietà immobiliare situata in Germania indipendentemente dalla nazionalità del proprietario.
L’imposta immobiliare vigente è divisa in due componenti[40]: la Grundsteuer A (agrarisch) che riguarda i terreni e i poderi agricoli e forestali, e la Grundsteuer B (baulich) relativa ai terreni fabbricabili e ai fabbricati. L’ammontare dell’imposta è calcolato mediante una procedura in tre fasi. Innanzitutto viene determinato, a cura dell’Ufficio locale delle imposte (Finanzamt), il valore catastale della proprietà (Einheitswert), che in genere è molto più basso del valore commerciale, sulla base della Legge di valutazione (Bewertungsgesetz - BewG). Nella seconda fase si determina la base imponibile sulle seguenti percentuali del valore catastale (l’aliquota - Steuermeßzahl - differisce a seconda del tipo di immobile):
- 6 per mille per le aziende agricole e forestali (§ 14 GrStG);
- 2,6 per mille per le case unifamiliari fino a 38.346,89 euro di valore catastale (§ 15 GrStG, comma 2, n. 1);
- 3,5 per mille per le case unifamiliari oltre 38.346,89 euro di valore catastale e per tutti gli altri fabbricati, sia ad uso abitativo che commerciale, industriale o professionale (§ 15 GrStG, comma 1).
- 3,1 per mille per le case bifamiliari (§ 15 GrStG, comma 2, n. 2).
Il valore catastale dell’immobile va diviso per queste aliquote e, per determinare l’ammontare dell’imposta, al quoziente ottenuto si applica – nella terza fase di competenza dei comuni - il c.d. moltiplicatore municipale (Hebesastz), che varia da comune a comune ed è stabilito da una decisione (Beschluss) del Consiglio comunale (Gemeinderat). Ai sensi del § 25 GrStG, comma 4, il moltiplicatore deve però essere uniforme, rispettivamente, per le aziende agricole e forestali (n. 1) e per le proprietà immobiliari (n. 2) situate nel territorio dello stesso comune. Considerando soltanto i comuni con almeno 20.000 abitanti (alla data di gennaio 2018), nove dei dieci moltiplicatori più elevati si riferiscono al Land della Renania settentrionale-Vestfalia. Il valore di picco è quello di Witten (910%), mentre Hattingen con l’875% e Duisburg con l’855% si collocano al secondo e al terzo posto. La prima città in graduatoria, non situata nella Renania settentrionale, è Berlino che si colloca al nono posto con un moltiplicatore pari a 810% (ma a 150% per le aziende agricole e forestali). Il comune con il coefficiente di moltiplicazione più basso (80%) è invece Ingelheim am Rhein nel Land della Renania-Palatinato.
Vari benefici sono previsti per gli immobili storici e artistici. I comuni devono infatti esonerare dall’imposta municipale gli immobili che è pubblico interesse conservare per i loro pregi storici, artistici e scientifici, se il loro reddito risulta inferiore al costo per mantenerli. Gli immobili artistici e storici che non rientrano in questa categoria possono tuttavia ottenere agevolazioni fiscali sulla base del criterio di valutazione che è per essi, generalmente, quello del reddito capitalizzato, al netto delle spese.
Dalla procedura descritta risulta evidente che le imposte sulla casa sono calcolate con criteri complicati e ormai obsoleti[41]: il valore della proprietà immobiliare dei vecchi Länder (ex Germania Ovest) è calcolato su criteri risalenti al 1964, mentre in quelli dell’ex Germania Est si fa riferimento addirittura al 1935. Ogni sei anni si sarebbero dovuti aggiornare i criteri di valutazione, ma non sono state mai adottate decisioni in proposito.
Una proposta di riforma della Legge di valutazione, che stabilisce i criteri per determinare l’ammontare dell’imposta immobiliare, è stata presentata al Bundesrat dai Länder dell’Assia e della Bassa Sassonia il 12 settembre 2016 (stampato BR n. 515/16). Ad eccezione della Baviera e di Amburgo tutti gli altri Länder hanno appoggiato l’iniziativa che però, trasmessa al Bundestag nel dicembre 2016 (stampato BT n. 18/10753), non è stata nemmeno posta all’ordine del giorno dell’Assemblea ed è poi decaduta a causa del termine della legislatura.
Con la sentenza del 10 aprile 2018 (1 BvL 11/14 - Rn. (1-181), la Corte costituzionale federale ha dichiarato incostituzionali le modalità di calcolo dell’imposta applicabile agli edifici e ai terreni vacanti nei Länder occidentali[42], imponendo l’approvazione di una riforma entro la fine del 2019 da attuarsi in un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2024.
Una prima risposta del legislatore alla sentenza della Corte costituzionale federale è stata la modifica degli articoli 72, 105 e 125b della Legge fondamentale (Gesetz zur Änderung des Grundgesetzes) del 15 novembre 2019, con la quale è stata ristabilita, come era stato fino al 1994, la competenza legislativa concorrente della Federazione per la regolamentazione dell’imposta sul valore fondiario (Grundsteuer). Contestualmente è stata riconosciuta ai Länder la possibilità di adottare disposizioni in deroga. La creazione di una base giuridica unitaria a livello federale è stata quindi il presupposto per l’adozione della nuova disciplina sulla tassazione degli immobili (Gesetz zur Reform des Grundsteuer- und Bewertungsrechts) del 26 novembre 2019. La riforma varata nel rispetto dei tempi stabiliti dal giudice costituzionale entrerà definitivamente in vigore il 1° gennaio 2025. Il testo della legge, particolarmente dettagliato e corredato da allegati tecnici, è il frutto del modello di compromesso[43] concordato all’inizio del 2019 dall’allora Ministro delle finanze Olaf Scholz con i ministri delle finanze dei Länder, che prende in considerazione come parametri di valutazione per il calcolo del nuovo tributo il valore fondiario, l’età degli edifici e i costi medi di affitto.
È stata mantenuta la precedente procedura per la determinazione dell’imposta immobiliare sulla base dei seguenti tre fattori:
- valore immobiliare a fini fiscali (Grundsteuerwert), stabilito dall’Ufficio delle imposte in base alla dichiarazione di determinazione presentata (Feststellungserklärung);
- aliquota fiscale (Steuermesszahl) determinata per legge;
- moltiplicatore municipale (Hebesatz) fissato dalla città o dal comune.
Nella dichiarazione da presentare all’Ufficio delle imposte è necessario indicare soltanto alcuni dati essenziali per quanto concerne gli immobili residenziali. Tali informazioni riguardano specificamente: la posizione della proprietà immobiliare; la superficie edificabile; il valore indicativo del terreno; il tipo di edificio; la superficie abitabile; l’anno di costruzione dell’immobile.
I proprietari dovranno presentare la dichiarazione a partire dalla fine di marzo 2022, mentre dal 1° luglio 2022 potranno farlo anche online sull’apposita piattaforma ELSTER. In entrambe le forme la dichiarazione dovrà pervenire agli uffici competenti entro il 31 ottobre 2022.
Sulla base delle informazioni contenute nella dichiarazione l’Ufficio delle imposte calcola il valore immobiliare a fini fiscali (valore catastale) ed emette un apposito avviso (Grundsteuerwertbescheid). L’Ufficio delle imposte calcola anche, sulla base di un’aliquota stabilita per legge, l’importo della base imponibile (Grundsteuermessbetrag). Tutti questi dati, necessari per il calcolo dell’imposta immobiliare, saranno poi trasmessi telematicamente alle città e ai comuni che, dopo aver applicato l’apposito moltiplicatore, provvederanno ad inviare gli avvisi di pagamento ai proprietari degli immobili.
Si segnala infine che, per agevolare l’attuazione della riforma concernente l’imposta sugli immobili, prima della scadenza della scorsa legislatura è stata approvata la legge del 16 luglio 2021 (Gesetz zur erleichterten Umsetzung der Reform der Grundsteuer und Änderung weiterer steuerrechtlicher Vorschriften), che in particolare modifica alcune disposizioni della Legge di valutazione relative alle proprietà immobiliari.
Regno Unito
La tassazione in ambito locale dei beni immobili residenziali è imperniata sulla Council tax, introdotta nel 1993 (con il Local Government Finance Act 1992, in sostituzione della cosiddetta "poll tax”). La Council tax ha ad oggetto la proprietà a destinazione abitativa in proporzione al valore dei beni immobili, salvo talune agevolazioni o esenzioni applicabili in relazione alla condizione reddituale dei proprietari. L’eventuale incremento della tassa, per determinazione delle autorità locali, è sottoposto al rispetto di soglie massime stabilite ogni anni dal Governo centrale, il cui superamento non può aver luogo se non a seguito di approvazione ad esito di un’apposita consultazione referendaria svolta in ambito locale.
La proprietà immobiliare a destinazione non abitativa è sottoposta ai Business Rates, ossia alla tassazione concernente gli immobili in proporzione al loro rateable value, determinato in base alla stima del valore locatizio annuale (in applicazione del Local Government Finance Act 1998). L’imposta è collegata all’effettiva detenzione ed utilizzazione dell’immobile: al pagamento è perciò tenuto il soggetto occupante l’immobile, e il proprietario in sua assenza.
Alla stima degli estimi (applicati ai fini sia della Council tax sia dei Business Rates) è preposto l’apposito organismo istituito nell’ambito del Dipartimento delle finanze, la Valuation Office Agency (VOA)[44], che con cadenza quinquennale provvede al loro aggiornamento sulla base di mercato (l’ultima rivalutazione è stata effettuata nel 2015 ed è entrata in vigore nel 2017[45]). Il rateable value è a sua volta parametrato a coefficienti di moltiplicazione (multipliers) determinati dal Governo centrale e, nell’ambito delle competenze devolute, dal Parlamento scozzese, dall’Assemblea Nazionale del Galles e dall’Esecutivo nord-irlandese. L’importo del coefficiente è generalmente commisurato all’indice dei prezzi al consumo o al tasso di inflazione, e corrisponde a tot centesimi per ogni sterlina di valore dell’immobile[46].
Allo scopo di agevolare le imprese di piccole dimensioni, l’applicazione dei Business Rates contempla esenzioni per gli immobili il cui valore (determinato in base ai criteri suddetti) non superi le 12.000 sterline, mentre aliquote di prelievo minime si applicano in relazione ad immobili di valore fino a 15.000 sterline e, in modo progressivo, fino a 50.000 sterline (small business relief). Sono altresì previste esenzioni parziali (fino all’80%) qualora gli immobili siano destinati ad attività senza scopo di lucro e a carattere benefico (charitable relief).
Alcune proprietà immobiliari, in ragione della loro estensione (è il caso di stabilimenti industriali di grandi dimensioni), sono classificate a fini fiscali in appositi elenchi (central rating lists) che ne determinano i Business Rates; le relative entrate sono normalmente incamerate dall’erario e non dagli enti locali, sebbene esse siano destinate ad alimentare i finanziamenti a questi conferiti dal Governo centrale[47].
Il gettito della tassa costituita dai business rates[48] (ad eccezione della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord che lo incamerano per intero) è trattenuto per metà dagli enti locali e per l’altra metà conferito al governo centrale, che normalmente utilizza le relative risorse per le diverse forme di finanziamento degli enti medesimi.
Più di recente, il Governo ha adottato linee programmatiche relative alla uniforme devoluzione dell’intera entrata tributaria agli enti locali[49], e finalizzate nel contempo al contenimento del prelievo fiscale sugli immobili a destinazione commerciale in considerazione dell’avversità della fase economica condizionata dall’emergenza sanitaria. Nel rapporto pubblicato nel 2021 dal Ministero del Tesoro[50], è per un verso affermata la centralità della tassazione immobiliare nel sistema fiscale, stante il suo carattere non distorsivo e di efficiente applicazione, con limitati livelli di elusione e di evasione, e poiché il relativo gettito (pari a circa 25 miliardi di sterline l’anno nella regione inglese) costituisce la fonte di finanziamento dei servizi locali; per altro verso, in considerazione della fase economica e al fine di agevolare la ripresa delle attività produttive, si prevede la sospensione dei meccanismi di rivalutazione (multipliers) per il biennio 2022-2023.
Il quadro vigente della fiscalità immobiliare è integrato dalla tassazione dei proventi generati da beni immobili detenuti da persone giuridiche (società) stabilite nel Regno Unito. In tale ipotesi, le attuali aliquote fiscali in relazione a questa tassazione sono pari al 19% (a titolo di corporation tax) e del 20% per i medesimi soggetti se stabiliti all’estero.
In relazione alla tassazione del reddito generato da beni immobili di tipo residenziale detenuti nel Regno Unito da soggetti non residenti, tali beni sono sottoposto ad un duplice regime fiscale: la Annual Tax on Enveloped Dwellings (ATED), corrisposta annualmente dalle persone giuridiche che detengono nel Paese beni immobili di valore superiore alle 500.000 sterline, e la Non-Resident Capital Gains Tax (NRCGT), dal 2015 applicato alle persone fisiche, alle persone giuridiche e ai trust.
Di recente (aprile 2019), l’applicazione del NRCGT è stata estesa per sottoporre a tassazione il plus-valore originato dall’alienazione di beni immobili a destinazione non residenziale da parte di soggetti non residenti nel Regno Unito. L’innovazione normativa, annunciata in occasione della legge di bilancio 2017 e sottoposta a pubblica consultazione[51], ha lo scopo di estendere ai soggetti non residenti il regime fiscale ordinario applicato ai contribuenti residenti nel Regno Unito, e di ridurre gli incentivi per i gruppi multinazionali ad esercitare il possesso di beni immobili nel Paese attraverso strutture societarie stabilite in “paradisi fiscali”.
La vendita così sottoposta a prelievo fiscale può essere diretta oppure indiretta, ovvero effettuata attraverso la cessione di quote di una società proprietaria di beni immobili. Nel secondo caso, i soggetti non-residenti sono tenuti al pagamento dell’imposta suddetta in caso di cessione di quote di una società i cui proventi derivino per almeno il 75% da proprietà immobiliari detenute nel Regno Unito, e se la quota ceduta rappresenti almeno il 25% del patrimonio societario. Per contro, i soggetti non residenti diversi dalle società sono tenuti al pagamento, rispettivamente, del 28% sul valore dei beni immobili a destinazione residenziale e del 20% su quello della commercial property.
Spagna
1. L’imposta sui beni immobili
In Spagna l’imposta sui beni immobili (Impuesto sobre Bienes Inmuebles - IBI) è disciplinata dalla Ley Reguladora de las Haciendas Locales di cui al Real Decreto Legislativo 2/2004 (artt. 60 e ss.), nonché dalla Ley del Catastro Inmobiliario di cui al Real Decreto Legislativo 1/2004.
L’IBI è un’imposta inquadrata nel sistema tributario locale spagnolo, con carattere di esazione obbligatoria da parte dei comuni.
Il presupposto dell’imposta può essere, oltre al diritto di proprietà, la concessione amministrativa di un bene immobile, il diritto di superficie o il diritto di usufrutto.
I soggetti passivi dell’imposta sono le persone, sia fisiche sia giuridiche, residenti e non residenti in Spagna, nonché le eredità giacenti, le comunità di beni e altre entità giuridiche equiparabili.
Ai fini dell’imposta, i beni immobili possono essere classificati come urbani, rustici o con caratteristiche speciali.
Come regola generale, il carattere urbano o rustico di un immobile dipende dalla natura del suolo. È quindi necessario differenziare il suolo di natura urbana, di natura rustica e il concetto di costruzione.
A fini catastali, si considerano come costruzioni:
- gli edifici fissati in permanenza al suolo, indipendentemente dai materiali con cui sono costruiti, l’uso a cui sono destinati, se sollevati sulla superficie del terreno o ancorati in profondità, se smontabili e trasportabili;
- gli impianti industriali, commerciali, sportivi, ricreativi, agricoli, forestali, zootecnici e per la piscicoltura d’acqua dolce;
- le opere di urbanizzazione e miglioria, come gli spianamenti, e quelle realizzate per l’uso degli spazi scoperti.
Gli immobili con caratteristiche speciali (bienes inmuebles de características especiales) costituiscono un complesso unico, formato da terreni, edifici, strutture e opere di urbanizzazione e miglioria configurati come un solo bene immobile a fini catastali, sia per il suo carattere unitario, sia per il permanente collegamento al suo funzionamento. Gli immobili di questo tipo sono quelli compresi nei seguenti gruppi:
- immobili per la produzione di energia elettrica, gas, raffinazione del petrolio e centrali nucleari;
- dighe, cascate e bacini artificiali, tranne quelli destinati esclusivamente all’irrigazione;
- autostrade, strade e tunnel;
- aeroporti e porti commerciali.
La base imponibile è costituita dal valore catastale del bene immobile.
I principali casi di non imposizione dell’IBI riguardano:
a) le strade, le altre vie terrestri e i beni di demanio pubblico marittimo-terrestre e idraulico, a condizione che il loro uso sia pubblico e gratuito;
b) i seguenti immobili di proprietà dei comuni che comprendono:
- i beni di demanio pubblico ad uso della collettività;
- i beni di demanio pubblico soggetti a un servizio gestito direttamente dal comune, ad eccezione dei beni immobiliari trasferiti a terzi mediante corrispettivo;
- i beni patrimoniali, ad eccezione di quelli ceduti a terzi mediante corrispettivo.
Sono esenti dall’imposta alcuni tipi di immobili, tra i quali:
- quelli di proprietà dello Stato, delle Comunità autonome o degli enti locali direttamente interessati dalla difesa nazionale, dalla sicurezza dei cittadini e dai servizi educativi e penitenziari;
- i beni comunali;
- quelli delle associazioni confessionali legalmente riconosciute secondo i termini stabiliti nei rispettivi accordi di cooperazione firmati ai sensi dell’art. 16 della Costituzione[52];
- quelli della Croce Rossa spagnola;
- quelli a cui è applicabile l’esenzione in virtù di accordi internazionali;
- quelli di Governi stranieri destinati alla rappresentanza diplomatica, consolare o alle loro organizzazioni ufficiali, a condizione di reciprocità.
L’aliquota varia, a seconda del comune di riferimento, dallo 0,30% all’1,10%, in rapporto alla natura urbana o rustica o speciale del bene immobile, a cui possono aggiungersi degli incrementi. In particolare a Madrid l’aliquota è fissata a:
- 0,456%, per i beni immobili di natura urbana;
- 0,567% per i beni immobili di natura rustica;
- 1,141% per i beni immobili con caratteristiche speciali[53].
2. L’imposta sul patrimonio
L’imposta patrimoniale (Impuesto sobre el Patrimonio), disciplinata dalla Ley 19/1991, è stata di fatto soppressa a decorrere dal 1° gennaio 2008. La Ley 4/2008 ha disposto infatti un bonus del 100% sulla quota intera dell’imposta per i soggetti passivi obbligati al pagamento.
Tuttavia il Real Decreto-ley 13/2011, de 16 de septiembre, por el que se restablece el Impuesto sobre el Patrimonio, con carácter temporal ha mantenuto tale imposta con carattere temporaneo per gli anni 2011 e 2012. Il 1° gennaio 2013 sarebbe dovuta entrare in vigore la definitiva abolizione dell’imposta, tuttavia successivi interventi normativi hanno esteso il mantenimento dell’imposta per gli anni successivi.
L’imposta patrimoniale grava sui contribuenti con redditi superiori a 700.000 euro, a meno che non sia disposto diversamente dalla Comunità autonoma, con un’esenzione di 300.000 euro per il valore dell’abitazione principale (vivienda habitual) ed è applicata con aliquote comprese tra lo 0,2% e il 3,5%.
Il gettito proveniente dalle imposte è riscosso dai Governi delle Comunità autonome, che sono anche autorizzati a modificare le aliquote e le soglie di esenzione, fino ad un’esenzione totale.
Nella Comunità di Madrid il Governo autonomico ha invece deciso per un bonus del 100% sulla quota.
Composizione del gettito fiscale delle principali categorie di imposte italiane, comparate con quelle dei paesi UE-28 e UE-27 nel 2018.
Suddivisione quantitativa del gettito fiscale in Italia.
(1) Rappresentano imposte valutate ma di improbabile incasso
Elaborazione dei Servizi Studi Senato e Camera dei deputati, da "Taxation trends in the European Union", Commissione europea, DG Fiscalità e unione doganale, basati su dati Eurostat
Le seguenti sei tavole sono state elaborate dalla Banca d’Italia in occasione dell’audizione tenutasi presso le Commissioni VI Finanze della Camera dei deputati e 6a Finanze e Tesoro del Senato l’11 gennaio 2020.
[1] A cura del Servizio Biblioteca
[2] Cfr. le schede informative Le quotient familial: comment ça marche? (12 febbraio 2021), Impôt sur le revenu - Quotient familial d’un couple marié ou pacsé (1° gennaio 2022) e Tout comprendre au quotient familial: calcul et utilisation (1° giugno 2021).
[3] Fonte: GOV.UK, Income Tax Rates and Personal Allowances, 2020-2021.
[4] Fonte: GOV.UK., Married couples’ allowance. La riduzione applicata a tale titolo è variabile da un minimo di 353 ad un massimo di 912 sterline l’anno.
[5] Fonte: GOV.UK, Tax on divividend allowance.
[6] Fonte: GOV.UK, Capital Gains Tax.
[7] Si veda anche El Gobierno aprueba los Presupuestos de 2021, con subidas en el IRPF, Sociedades y Patrimonio, Europapress, 27 ottobre 2020.
[8] Si veda anche Renta 2021: ¿Cómo funcionan los tramos del IRPF 2021?, Bankinter, 22 febbraio 2022.
[9] Si veda anche “Consulta los tramos de IRPF por cada comunidad autónoma para la Renta 2021-2022”, 20Minutos, 4 febbraio 2022.
[10] A cura del Servizio Biblioteca.
[11] Per un un’illustrazione dettagliata dell’istituto del riporto si veda: Impôt sur les sociétés: report de déficit (1° gennaio 2022). L’Impôt sur les sociétés è prelevata sugli utili realizzati durante un esercizio finanziario annuale dalle società che operano in Francia. L’azienda deve fare una dichiarazione e pagare l’IS a date fisse. Le aliquote normali oscillano tra il 26,5 e il 27,5%. Esistono anche aliquote ridotte del 10 o 15%. Per approfondimenti si rinvia a: Impôt sur les sociétés: entreprises concernées et taux d'imposition, 2022.
[13] Thierry Goemans, Carry back ou report en arrière des pertes fiscales, 21 ottobre 2020.
[14] V. gli Hansard relativi al dibattito parlamentare svoltosi il 28 giugno 1949 in occasione del dibattito sulla riforma dello Income Tax Act 1918.
[15] HM Revenue & Customs, Company Taxation Manual, CTM04100: Corporation tax – trading losses) (agg. 1° marzo 2022).
[16] Corporation Tax Act 2010, rilevano le sections 37 (1) (2) (3) (a) (sulla deducibilità nel periodo fiscale corrente) e 37 (1) (2) (3) (b) (sul “carry back”).
[17] Corporation Tax Act 2010, section 45 (sul “carry forward”).
[18] HM Revenue & Customs, Company Taxation Manual, CTM80145: Group relief, (agg. agg. 1° marzo 2022).
[19] CGUE, 1 aprile 2014, causa C-80/12, Felixstowe Dock and Railway Company Ltd c. HM Revenue & Customs.
[20] HM Revenue & Customs, Property Income Manual, PIM 4200: Losses for Income Tax (agg. 27 novembre 2020); Corporation Tax Act 2010, sections 62 (Relief for losses made in UK property business), 63 (Company with investment business ceasing to carry on UK property business).
[21] Una rassegna delle principali misure adottate dai Dipartimenti governativi competenti è consultabile presso il sito governativo GOV.UK, Financial support for business during coronoavirus (COVID-19), agg. 21 gennaio 2021.
[22] House of Commons, Treasury Committee, Tax after Coronavirus (1 marzo 2021), p. 22-23.
[23] Del Finance Act 2021, munito del Royal Assent il 10 giugno 2021, rileva in particolare lo Schedule 2 (“Temporary extension of periods to which trade losses may be carried back”).
[24] HM Revenue & Customs, Extended Loss Carry Back for Business, agg. 5 novemebre 2021.
[25] Income Tax Act 2007, sec. 64 (Deduction of losses from general income).
[26] Income Tax Act 2007, sec. 72 (Early trade losses relief); sec. 89 (Terminal trade loss relief); sec. 83 (Carry forward trade loss relief).
[27] V. la guida esplicativa citata alla nota 14.
[28] Perseguita dal Presidente Trump, la legge (Public Law 115-97) ha introdotto la riforma dello Internal Revenue Code in cui è consolidata la legislazione tributaria federale.
[30] Heroes Act (H.R. 6800, H.R. 8406, H.R. 925).
[31] Dati tratti da: Congressional Research Service, The Tax Treatment and Economics of Net Operating Losses, 19 ottobre 2020.
[32] Una guida operativa è stata predisposta dallo Internal Revenue Service: Net Operating Losses (NOLs) for Individual, Estates, and Trusts (febbraio 2022).
[33] Congressional Research Service, The Tax Treatment and Economics of Net Operating Losses (NOLs) in the Coronavirus Aid, Relief and Economic Security (CARES) Act (agg. 31 maggio 2020).
[34] A cura del Servizio Biblioteca.
[35] La taxe foncière è la tassa locale sulla proprietà di beni immobili (case, appartamenti, terreni). La base d’imposta è costituita dalla rendita catastale uguale al 50% del valore locativo catastale fissato dalla pubblica amministrazione.
[36] Si consulti al riguardo la voce Taxe d'habitation sul sito service public.fr (agg. 1° gennaio 2022).
[37] Sulla fiscalità degli immobili ad uso non abitativo si segnalano inoltre le seguenti schede: Les locaux à usage professionnel sont-ils soumis à la taxe d'habitation?; Cotisation foncière des entreprises; Taxe foncière sur les propriétés bâties pour les entreprises; Taxe foncière et locaux industriels: pour qui et comment?; La nouvelle définition des «locaux industriels» pour la Taxe foncière et la CFE: aubaine ou leurre?.
[38] Ulteriori informazioni sono riportate sul sito della Direzione generale delle finanze pubbliche (Suis-je concerné par la réforme de la taxe d’habitation?, 26 luglio 2021), sul sito Droit-finances (Suppression de taxe d'habitation: calendrier 2022-2023 et date, 2022) e sul sito service-public.fr (Impôt sur la fortune immobilière (IFI): personnes et bien concernées, 1° gennaio 2022).
[39] La Grundsteuer è anche definita un’imposta comunale (Gemeindesteuer) perché, ai sensi dell’art. 106, comma 6, della Legge fondamentale (Grundgesetz, GG), il gettito – pari a circa 14 miliardi di euro all’anno - è assegnato ai comuni. La Legge fondamentale (art. 105, comma 2) prevede una competenza legislativa concorrente per la Grundsteuer. Dato che la Federazione ha esercitato il suo diritto legislativo, l’imposta immobiliare è anche un’imposta federale unitaria (bundeseinheitliche Steuer). Per l’approvazione di modifiche alla Grundsteuergesetz è però necessario anche il consenso del Bundesrat.
[40] Negli anni 1961 e 1962 era stata introdotta anche una Grundsteuer C che gravava maggiormente sui terreni non edificati ma fabbricabili per aumentare l’offerta di aree fabbricabili (Bauland) e incentivare così il settore dell’edilizia.
[41] Nelle Country Specific Reccomendations del 2013, la Commissione europea aveva già raccomandato alla Germania (e anche all’Italia e alla Slovacchia) una revisione della base imponibile delle imposte immobiliari, in modo da allineare il valore catastale ai valori di mercato. Secondo la Commissione una maggiore efficienza nella tassazione immobiliare può essere realizzata, in primo luogo, mediante aggiornamenti periodici del sistema di valutazione del valore economico dell’immobile, tenendo presente che tale valore dovrebbe riflettere adeguatamente il costo-opportunità tra vendita e locazione dell’immobile. In una decina di Stati membri, inclusa la Germania, la Commissione aveva rilevato l’utilizzo di valori non aggiornati.
[42] Il verdetto dei giudici costituzionali riguarda circa 35 milioni di proprietà immobiliari tra terreni e edifici. Sebbene i beni immobili situati nei Länder orientali non siano stati direttamente coinvolti dal punto di vista procedurale, subiranno tuttavia gli effetti della sentenza in quanto i criteri di valutazione del loro valore catastale sono anteriori (risalgono al 1935) a quelli utilizzati nei Länder occidentali (anno 1964).
[43] Nei confronti di tale modello soltanto la Baviera ha manifestato un certo scetticismo, mentre nel modello auspicato dai liberali (FDP) il livello impositivo verrebbe stabilito in modo forfettario in funzione della superficie.
[44] Il medesimo compito è svolto da organismi analoghi in Scozia (Assessors) e nell’Irlanda del Nord (Land and Property Services).
[45] Al riguardo può consultarsi la nota di documentazione predisposta dalla House of Commons library, Business rates: the 2017 revaluation (marzo 2017). La fascia di valore (band) attribuita all’immobile mediante il Council Tax band assessment può essere soggetta ad impugnazione da parte dell’interessato (VOA, How domestic properties are assessed for Council Tax bands).
[46] Sui coefficienti di moltiplicazione può consultarsi la nota di documentazione, curata dalla House of Commons Library, Business rates (dicembre 2018): “The basic business rate liability for a property is calculated by multiplying the rateable value of a property by the multiplier. Hence, a property with a rateable value of £100,000, where the multiplier was 50.4 pence in the pound, would have an annual business rate liability of £50,400”. Sulle caratteristiche generali dell’imposta e sui coefficienti di moltiplicazione può inoltre consultarsi la guida informativa del Governo dedicata ai Business Rates.
[47] Central Rating List (England) Regulations 2005 (S.I. 2005/551); Central rating List (Wales) Regulation 2005 (S.I. 2005/422).
[48] Le entrate riferite alla riscossione dei Business Rates in Inghilterra sono state pari a circa 30 miliardi di sterline nell’anno fiscale 2018-2019 (pari al 1,4% del PIL nazionale) secondo le stime previsionali effettuate nel 2015 dall’Office for Budget Responsibility, Economic and Fiscal Outlook, November 2015 (p. 103). Per il biennio 2022-2023 il gettito di tale imposta, per la stessa area territoriale, è stimato nell’ordine complessivo di 22,5 miliardi di sterline, per effetto delle misure adottate nel quadro degli interventi pubblici per la ripresa economica (al riguardo è consultabile la pagina Internet dedicata alle misure di Business Rate Relief): v. Official Statistics, National non-domestic collected by Councils in England: forecast for 2022 and 2023 (pubblicato nel febbraio 2022).
[49] Sulle linee di riforma il Governo ha precedentemente promosso una consultazione pubblica: Ministry of Housing, Communities and Local Government, Business Rates Retention Reform, December 2018.
[50] HM Treasury, Business Rate Review. Final Report (ottobre 2021). Il rapporto fa riferimento anche ai risultati di una consultazione pubblica conclusasi nel febbraio del 2020 (Ministry of Housing, Communities and Local Government, Business Rates Retention Reform, December 2018).
[51] HM Revenue Customs-HM Treasury, Taxing gains made by non-residents on UK immovable property, 22 November 2017.
[52] “Articolo 16.
1. È garantita la libertà ideologica, religiosa e di culto dei singoli e delle comunità senza altra limitazione, nelle loro manifestazioni, che quelle necessarie per il mantenimento dell’ordine pubblico garantito dalla legge.
2. Nessuno potrà essere obbligato a dichiarare le proprie ideologia, religione o convinzioni.
3. Nessuna confessione avrà carattere statale. I pubblici poteri terranno conto delle convinzioni religiose della società spagnola e manterranno le conseguenti relazioni di cooperazione con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni”.
[53] V. Ayuntamiento de Madrid, “Impuesto sobre Bienes Inmuebles (IBI). Tipos de gravamen”.