Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari comunitari
Titolo: Legge europea 2017 - A.C. 4505-A - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 4505-A/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 580    Progressivo: 2
Data: 07/07/2017
Organi della Camera: XIV - Politiche dell'Unione europea

Casella di testo: LEGGE EUROPEA 2017

Casella di testo: A.C. 4505-A

Casella di testo: luglio 2017

 

Casella di testo: Schede di lettura


 

 

 

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Dossier n. 498/2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 580/2

 

 

 

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INDICE

 

§  Introduzione. 1

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE) 11

§  Articolo 2 (Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari per il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE) 14

§  Articolo 2-bis (Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT) 19

§  Articolo 3 (Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST) 24

§  Articolo 4 (Disciplina transitoria di accesso al fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione  n. 2011/4147) 32

§  Articolo 5 (Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080 - SOPPRESSO) 38

§  Articolo 6 (Non imponibilità ai fini IVA di cessioni all'esportazione nei confronti di amministrazioni e soggetti della cooperazione allo sviluppo) 40

§  Articolo 7 (Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU) 43

§  Articolo 8 (Disposizioni relative al riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera. Sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 giugno 2001, causa C-212/99, e del 18 luglio 2006, causa C-119/04 e Caso EU Pilot 2079/11/EMPL) 47

§  Articolo 9 (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129) 54

§  Articolo 9-bis (Modifica dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU Pilot 8443/16/MOVE) 60

§  Articolo 9-ter (Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele) 63

§  Articolo 10 (Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU Pilot 7304/15/ENVI) 65

§  Articolo 11 (Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici) 72

§  Articolo 11-bis (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell’uso di borse di plastica in materiale leggero. Procedura di infrazione n. 2017/0127) 77

§  Articolo 12 (Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234) 96

§  Articolo 12-bis (Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE) 99

§  Articolo 13 (Modifiche alla legge 21 luglio 2016, n. 145 in materia di trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna) 103

§  Articolo 13-bis (Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea) 108

§  Articolo 14 (Clausola di invarianza finanziaria) 111

 

 


Introduzione

Il disegno di legge europea 2017 recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017" (C. 4505), è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017, in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. 

 

Nell’ambito della sessione comunitaria, il 1° giugno 2017 è stato avviato l’esame in sede referente del disegno di legge europea, che si è concluso nella seduta del 5 luglio, con l’approvazione di alcune proposte emendative.

In particolare, sono state apportate modificazioni al testo degli articoli 2, 4, 9, 10, 11, 13 e 14, è stato soppresso l’articolo 5 del disegno di legge e, infine, sono stati inseriti gli articoli aggiuntivi 2-bis, 9-bis, 9-ter, 11-bis, 12-bis e 13-bis. 

Più precisamente, sono stati introdotti 6 nuovi articoli che hanno ad oggetto:

-      le sanzioni amministrative per le violazioni del regolamento 2012/53/UE, come modificato dal regolamento 2015/2120/UE relativo al roaming, su cui sono state avanzate richieste di chiarimenti all’Italia nell’ambito del caso Eu Pilot  8925/16/CNECT (art. 2-bis);

-      la validità dei certificati sanitari della gente di mare, di cui al decreto legislativo n. 71 del 2015 in materia di norme sanitare per la gente di mare, al fine di rispondere alle contestazioni del caso Eu Pilot 8443/16/MOVE circa il non corretto recepimento della direttiva 20008/106/CE (art. 9-bis);

-      ulteriori misure sanzionatorie, integrative del decreto legislativo n. 186 del 2011, per le violazioni in materia di pubblicità del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele (art. 9-ter);

-      la diretta attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE, concernente la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, in merito alla quale pende nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2017/0127 per mancato recepimento nei termini (scadenza: 27 novembre 2016) (art. 11-bis);

-      l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l’esercizio degli ascensori, con specifico riferimento ai certificati di abilitazione (art. 12-bis);

-      specifiche misure per consentire la realizzazione e garantire il monitoraggio degli interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ad opera delle rappresentanze diplomatiche o degli uffici consolari (art. 13-bis).

 

 

 

La legge europea

 

La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.

L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.

Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.

L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;

d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.

Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).

La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento degli atti dell'Unione europea (ad esempio direttive o decisioni quadro) che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).

Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta.

Da ultimo, si evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2). Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale"

 

Il disegno di legge europea 2017, come modificato in Commissione (C. 4505-A), si compone di 19 articoli che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarlo al diritto europeo.

 

L’articolato contiene disposizioni di natura eterogenea che intervengono, nei seguenti ambiti settoriali: libera circolazione delle merci (artt.1-2-bis); giustizia e sicurezza (artt. 3 e 4); fiscalità (artt. 6 e 7); lavoro (art. 8); tutela della salute (artt. 9-9-ter); tutela dell’ambiente (artt. 10-11-bis); altre disposizioni (artt. 12-14).

 

Il provvedimento è volto a: consentire la definizione di 3 procedure di infrazione e di 5 casi EU Pilot, superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito di 1 caso EU Pilot, garantire la completa e corretta attuazione di direttive già recepite nell’ordinamento interno, introdurre sanzioni per la violazione di norme regolamentari europee, nonché apportare alcune modifiche ordinamentali alla legge n. 234 del 2012[1].

 

In particolare, le seguenti disposizioni sono volte a consentire l’archiviazione di 3 procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia.

- procedura di infrazione n. 2011/4147: l’articolo 4 introduce una disciplina transitoria del fondo per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, che estende la possibilità di accedere al fondo a chiunque sia stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005, per completare l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2004/80/CE.

- procedura di infrazione n. 2017/0129: larticolo 9 interviene sulla disciplina relativa alla sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseine e i caseinati, di cui alla direttiva 2015/2203/UE, prevedendo nuove definizioni e fissando le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti, etichette o documenti commerciali. La procedura di contenzioso si fonda sul mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).

- procedura di infrazione n. 2017/0127: l’articolo 11-bis, inserito in Commissione, detta la disciplina attuativa della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE, concernente la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 27 novembre 2016; conseguentemente, nei confronti dell’Italia è stato avviato il contenzioso per mancato recepimento nei termini. 

 

Altre disposizioni sono finalizzate a superare le contestazioni mosse all’Italia nell’ambito di 5 casi EU Pilot ed a prevenire il formale avvio di procedure di contenzioso da parte della Commissione europea:

- EU Pilot 8925/16/CNECT: l’articolo 2-bis, inserito in Commissione, introduce un apparato sanzionatorio per la violazione di alcune disposizioni del regolamento n. 2012/531/UE, relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’UE e del regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso ad un’Internet aperta.

- EU Pilot 8184/15/JUST: l’articolo 3 integra le disposizioni penali contro particolari forme ed espressioni di razzismo e xenofobia - negazionismo punendo espressamente le condotte di minimizzazione, approvazione o giustificazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Per dare completa attuazione alla decisione quadro 2008/913/GAI, inoltre, viene introdotta la responsabilità amministrativa anche per le società e gli enti in relazione a tali fattispecie criminose e, in generale, ai reati di razzismo e xenofobia.

- EU Pilot 7060/14/TAXU: per quanto concerne le navi, l’articolo 7 estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII), anche nei confronti di soggetti residenti e non, con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.

- EU Pilot 2079/11/EMPL: l’articolo 8 prevede disposizioni relative al trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera in servizio presso le Università statali. Sono altresì stanziate risorse aggiuntive sul Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali da destinare alla chiusura dei contenziosi in essere, nonché per prevenire quelli futuri, in attuazione delle sentenze della Corte di Giustizia UE del 26 giugno 2001 (C-212/99) e del 18 luglio 2006 (C-119/04), che stabiliscono il diritto dei lettori al trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito commisurato all'impegno orario assolto.

- EU Pilot 8443/16/MOVE: l’articolo 9-bis, inserito in Commissione,  fissa un termine per il rinnovo dei certificati sanitari della gente di mare, di cui al decreto legislativo n. 71 del 2015, al fine di rispondere alle contestazioni circa il non corretto recepimento della direttiva 20008/106/CE.

Inoltre, al fine di sanare una delle contestazioni avanzate nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relativo alla tutela delle acque e monitoraggio delle sostanze chimiche, l’articolo 10 stabilisce specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque, in modo da assicurare l'intercomparabilità dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali.

 

Il disegno di legge europea 2017, come modificato in Commissione, contiene altresì disposizioni che mirano a fornire una completa o corretta attuazione di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale, o a consentire il conseguimento degli obiettivi fissati dalle medesime:

-    per completare l’adeguamento alla direttiva 98/5/CE, larticolo 1 dispone, per l'iscrizione degli "avvocati stabiliti" nell'albo speciale dei patrocinanti innanzi alle giurisdizioni superiori, l'esercizio della professione per almeno 8 anni in uno o più Stati membri, con l'aggiunta dell'ulteriore requisito della proficua frequenza alla Scuola superiore dell'avvocatura.

-    all’articolo 2 si introducono misure in materia di tracciabilità dei farmaci veterinari, al fine di agevolare il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE, quali: l'informatizzazione dei meccanismi di registrazione dei dati di produzione, commercializzazione e distribuzione all'interno della Banca dati del Ministero della salute e la sostituzione del modello cartaceo di ricetta con un modello informatizzato.

-    l’articolo 6 modifica il regime di non imponibilità ai fini IVA delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell'apposito elenco che provvedono al trasporto ed alla spedizione dei beni all'estero in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo. Tale norma mira a garantire l’attuazione della direttiva 2006/112/CE.

- per dare corretta attuazione alla direttiva 91/271/CEE in materia di acque reflue urbane, l’articolo 11 modifica la tabella dei limiti di emissione degli scarichi idrici, con l'effetto di estendere i controlli sulla qualità degli scarichi alla totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10 mila abitanti equivalenti.

- l’articolo 12-bis, inserito in Commissione, dispone l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l’esercizio degli ascensori.

 

Come anticipato, nel corso dell’esame in Commissione è stata introdotto nel disegno di legge europea 2017 l’articolo 9-ter recante disposizioni sanzionatorie per la violazione delle norme in tema di pubblicità del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele.

 

Completano il contenuto del disegno di legge all’esame dell’Assemblea, altre disposizioni aventi ad oggetto:

-    all’articolo 12, puntuali modifiche alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, con specifico riguardo alla informativa parlamentare sugli atti delegati adottati dalla Commissione europea (art. 29, comma 7) e al recepimento degli atti delegati a contenuto tecnico mediante decreto ministeriale (art. 31, comma 6);

-    all’articolo 13, il trattamento economico del personale estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna (SEAE), tenuto conto del nuovo regime normativo di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali introdotto dalla legge n. 145 del 2016;

-    all’articolo 13-bis, inserito in Commissione, le misure per la realizzazione e il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ad opera delle rappresentanze diplomatiche o degli uffici consolari;

-    all’art. 14, la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento, fatte salve le disposizioni riguardanti la disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato (art. 4), le agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri di Paesi UE o SEE (art. 7) ed il trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera (art. 8).

 

Le procedure di infrazione

Le procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'articolo 258 disciplina le fattispecie in cui la Commissione europea, incaricata dall'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto dell'Unione,  ritenga che vi sia stata una violazione del diritto UE ad opera di uno Stato membro.

La procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione indirizza allo Stato membro interessato:

1)  una lettera di messa in mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di risposta;

2)  un parere motivato, nel caso in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.

Nel caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).

Si segnala inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati.

Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.

Statistiche della Commissione europea, aggiornate all’anno 2015, confermano un tasso di risoluzione dei casi EU Pilot - in termini di casi chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 75 per cento.

 

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE)

 

L’articolo 1 modifica la disciplina per l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori riallineandola a quella dettata dalla legge professionale forense per gli avvocati che abbiano conseguito il titolo in Italia.

L’intervento adegua la normativa nazionale alla direttiva 98/5/CE, sul diritto di stabilimento degli avvocati europei in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale (cd. avvocati stabiliti). La direttiva, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, prevede la possibilità di stabilire specifiche disposizioni per l’accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati (art. 5, par. 3).

E’ “avvocato stabilito” il cittadino di uno degli Stati membri dell'Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell'albo degli avvocati (art. 3, comma 1, lettera d), del D.lgs. 96/2001).

Si ricorda che il riconoscimento del titolo di avvocato, così come di altri titoli professionali conseguiti nella UE, per l'esercizio della professione in Italia, è previsto dal decreto legislativo n. 206 del 2007, che ha attuato la cd. direttiva qualifiche 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. L’art. 22, comma 2, del citato decreto stabilisce che il riconoscimento della professione forense è subordinato al superamento di una prova attitudinale, la cui disciplina è recata dal relativo regolamento di attuazione (DM n. 191/2003), previsto all'art. 9 del D.Lgs. 115/1992, attuativo della precedente direttiva (ora sostituito dal D.Lgs. n. 206/2007). 

In particolare, l’articolo 1 riformula il comma 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 96 del 2001, di recepimento della direttiva europea del 98/5/CE, che attualmente stabilisce che l'avvocato stabilito che voglia iscriversi nella sezione speciale dell'albo dei cassazionisti (ferma restando l'intesa con un avvocato abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni) deve farne domanda al Consiglio Nazionale Forense (CNF) dimostrando di aver esercitato la professione nell’Unione europea per almeno 12 anni, compresi quelli eventualmente già esercitati come avvocato stabilito.

 

Con le modifiche introdotte, la disciplina per l’accesso al patrocinio presso le giurisdizioni superiori da parte degli avvocati stabiliti è uniformata a quella dettata dall’art. 22, comma 2, della legge professionale forense (L. n. 247 del 2012) per gli avvocati abilitati in Italia.

Si ricorda che l’art. 22, comma 2, della legge 247/2012 individua solo uno dei due canali di accesso al patrocinio per le giurisdizioni superiori. Il comma 1 dello stesso articolo prevede che l’avvocato con anzianità di almeno 5 anni d’iscrizione all’albo circondariale forense che abbia superato l'apposito esame annuale per l'iscrizione all'albo speciale per le giurisdizioni superiori (disciplinato dalla legge n. 1003 del 1936 e dalle sue norme di attuazione, R.D. n. 1482 del 1936) può chiedere al CNF l’iscrizione nell'albo speciale.

L’articolo 1, comma 1 del disegno di legge europea:

·    riduce da 12 a 8 anni il periodo minimo di esercizio della professione forense in ambito UE da parte dell’avvocato stabilito ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale dell’albo per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;

·    aggiunge, agli stessi fini, l’obbligo della lodevole e proficua frequenza della Scuola superiore dell’avvocatura;

 

Si osserva come la sussistenza dell’ulteriore requisito della frequentazione lodevole e proficua della Scuola superiore dell’avvocatura sembra derivare dal semplice superamento della verifica finale di idoneità prevista al termine del corso presso la Scuola (cfr. ultra, Regolamento n. 1/2015 del Consiglio nazionale forense). Detto regolamento non prevede, infatti, specifiche valutazioni di merito inerenti alla prova finale.

 

·    sopprime la disposizione secondo cui alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell'albo si applica la disposizione di cui all'art. 35 del RDL n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni.

Quest’ultima disposizione del RDL del 1933, come integrata dall’art. 7 del D.Lgs.C.P.S. n. 597/1947, prevede: l’obbligo di motivazione delle deliberazioni in materia di iscrizione e cancellazione dall'albo speciale dei cassazionisti; la comunicazione di tali deliberazioni all'interessato ed al Pubblico Ministero presso la Corte suprema di cassazione con lettera raccomandata A/R.; la possibilità dell’interessato e del P.M. di proporre ricorso entro 30 gg. dalla comunicazione al CNF.

 

Il Regolamento C.N.F 20 novembre 2015, n. 1 stabilisce che l’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al CNF dagli avvocati che, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di otto anni, successivamente abbiano lodevolmente e proficuamente frequentato il corso organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale Forense, per il tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sezione “Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti”. Il regolamento prevede un test selettivo di accesso, superato il quale si accede al corso trimestrale di 100 ore (in ragione, di regola, di 10 ore a settimana) avente ad oggetto diritto processuale civile, diritto processuale penale, giustizia amministrativa, giustizia costituzionale ed orientamenti recenti delle giurisdizioni superiori.

Il corso si articola in un modulo comune (20 ore) ed in un modulo specialistico (80 ore) a scelta, al termine del quale si svolge la verifica finale di idoneità, che ha luogo in Roma, a cadenza annuale. La verifica si articola in una sola prova scritta, consistente nella scelta tra la redazione di un ricorso per cassazione in materia penale o civile o un atto di appello al Consiglio di Stato. La prova è valutata da una Commissione composta da 15 componenti effettivi e 15 supplenti, scelti tra membri del CNF, avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati addetti alla Corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato. Nella valutazione della prova, la Commissione tiene conto della maturità del candidato, dell’apprendimento delle materie oggetto del corso, oltre che dell’effettiva padronanza delle tecniche di redazione degli atti di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 in esame detta, poi, una disciplina transitoria secondo cui – alla data di entrata in vigore della legge europea - conservano l’iscrizione nella sezione speciale gli avvocati stabiliti già iscritti, mentre possono chiederla quelli che, alla stessa data, ne abbiano maturato i requisiti.

Anche qui si tratta di un riallineamento all’analoga disciplina transitoria prevista dall’art. 22, comma 3, della legge professionale forense.

 

Quest’ultima disposizione ha stabilito, infatti, che gli avvocati che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero iscritti nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori conservassero l'iscrizione. Allo stesso modo potevano chiedere l'iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge avessero maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa.

Tale possibilità è stata più volte prorogata; da ultimo, l’art. 10, comma 2-ter del DL 244 del 2016 (Proroga e definizione di termini) – modificando il citato art. 22 della legge 247/2012 – ha previsto che possono altresì chiedere l'iscrizione nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori gli avvocati che maturino i requisiti secondo la previgente normativa entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 2 febbraio 2018).

 

 


Articolo 2
(Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari per il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE)

 

L’articolo 2 disciplina, al comma 1 (modificato in sede referente), la tracciabilità dei farmaci ad uso veterinario mediante ricetta sanitaria elettronica, fissando la data del 1° gennaio 2018 quale termine a partire dal quale la prescrizione di medicinali ad uso veterinario deve avvenire obbligatoriamente mediante ricetta elettronica. Inoltre, nel corso dell’esame referente, è stato introdotto il comma 1-bis che comporta l’obbligo, a decorrere dalla stessa data, di redigere le ricette dei mangimi medicati (vale a dire modificati con miscele autorizzate) esclusivamente secondo il modello di ricetta elettronica.

 

L’intervento legislativo viene attuato novellando gli articoli 89 e 118 del Codice dei medicinali veterinari (D. lgs. n. 193/2006), attuativo della Direttiva 2004/28/CE[2]. Più in dettaglio:

·    la lett. a) aggiunge i commi 2-bis e 2-ter all’articolo 89 del D. Lgs. 193/2016:

- il comma 2-bis obbliga i soggetti componenti la filiera a registrare informaticamente i dati (nel testo “informazioni”) relativi alla produzione, distribuzione e commercializzazione dei farmaci veterinari, mediante il loro inserimento nella Banca Dati centrale, istituita dal DM salute del 15 luglio 2004[3] per la tracciabilità dei farmaci destinati all’uso umano. I soggetti interessati sono: produttori, depositari, grossisti, farmacisti, titolari di autorizzazioni all’immissione in commercio – vendita diretta o al dettaglio - dei medicinali ad uso veterinario, nonché i medici veterinari (attraverso la prescrizione del medicinale veterinario).

Durante l’esame in Commissione, sono stati introdotti quali soggetti

interessati anche le parafarmacie

I dati da inserire nella Banca Dati sono:

a)    l’inizio attività di vendita, ogni sua variazione intervenuta successivamente all’immissione in commercio e alla sua cessazione, nonchè i dati relativi alla produzione e commercializzazione dei medicinali veterinari. Durante l’esame in Commissione, è stata prevista l’introduzione dei dati relativi all’acquirente.

b)    I dati concernenti la produzione e la commercializzazione dei medicinali veterinari. Durante l’esame in Commissione è stato precisato che la Banca Dati Centrale deve essere alimentata esclusivamente con i dati delle ricette elettroniche ed è stato posto l’obbligo, in capo al medico veterinario, di inserire i dati identificativi del titolare dell’allevamento presso il quale vengono utilizzati i medesimi farmaci ad uso veterinario.

 

-       il comma 2-ter stabilisce la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica recati dal precedente comma, per l’attività di tenuta ed aggiornamento della banca dati.

Come indicato anche nella relazione illustrava, il sistema informatizzato di registrazione dei dati relativi alla produzione, commercializzazione e distribuzione dei medicinali veterinari agevola il conseguimento degli obiettivi di tutela della salute pubblica già previsti dal codice comunitario dei medicinali veterinari (Direttiva 2001/82/CE)[4].

In proposito si sottolinea che la tracciabilità dei dati riguardanti i medicinali ad uso veterinario verrà garantita attraverso l’ampliamento della banca dati istituita per la tracciabilità del farmaco ad uso umano, già funzionante presso il Ministero della salute[5]. Questa banca dati comprenderà pertanto anche il settore dedicato alla raccolta dei dati relativi ai medicinali veterinari, alimentato finora su base volontaria[6]. Peraltro, all’interno del documento “Agenda per la Semplificazione 2015-2017” elaborato dal Governo, nell’ambito delle misure di semplificazione delle imprese, si rileva l’azione mirata 5.11. in materia, per quanto qui interessa, di sanità veterinaria (da realizzare entro dicembre 2017), che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo del passaporto bovino e per l’appunto, tramite la digitalizzazione, la tracciabilità dei medicinali veterinari.

 

·    la lett. b) dell’articolo in esame aggiunge il comma 1-bis all’articolo 118, indicando la data del 1° gennaio 2018 quale termine a partire dal quale la prescrizione di medicinali ad uso veterinario deve avvenire obbligatoriamente mediante ricetta elettronica. Anteriormente a tale data, viene data la semplice facoltà, in alternativa all’utilizzo del modello previsto in base alla normativa vigente, nel caso di prescrizione a carattere obbligatorio.

Il modello di ricetta medico veterinaria ed i casi in cui tale modello è obbligatorio sono stabiliti nell'allegato III del sopra citato D.Lgs 193/2006, suscettibile di essere modificato per assicurarne la compatibilità comunitaria.

Si segnala che il progetto “ricetta elettronica veterinaria” rientra nella realizzazione dell’obiettivo strategico, definito dalla Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione – 2015, finalizzato al risanamento finanziario e al contenimento della spesa pubblica, da realizzarsi, in particolare, tramite il potenziamento degli strumenti informatizzati (cruscotti) per l'analisi dei dati del sistema tessera sanitaria[7] attraverso il monitoraggio delle prescrizioni effettuate dai medici rispetto alle prestazioni erogate, anche in base agli esiti dell'avvio del processo di dematerializzazione della ricetta medica[8].

Inoltre, in base a informazioni dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (ANMVI), si rileva l’avvio di una fase sperimentale dal settembre del 2015, da parte di un gruppo di lavoro coordinato dalle Regioni Lombardia e Abruzzo[9], in collaborazione con il Centro Sistemi Informativi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) di Teramo e la Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari.

Non trascurabile è, infine, la considerazione che l’interoperabilità della predetta banca dati con il nuovo sistema informativo sanitario (NSIS), potrebbe assicurare un più efficace sistema di farmacosorveglianza ed un quadro più preciso del consumo di antibiotici finalizzato al contrasto del fenomeno dell’antibioticoresistenza animale.

 

A seguito dell’esame in Commissione, è stato introdotto, nel corpo dell’articolo in parola, il comma 1-bis, che modifica il D.Lgs n. 90/1993 attuativo della direttiva 90/167/CEE con la quale sono stabilite le condizioni di preparazione, immissione sul mercato ed utilizzazione dei mangimi medicati.

In particolare, viene introdotto il comma 1-bis all’articolo 8 del sopra richiamato D.Lgs. n. 90/1993, con il quale si introduce la possibilità di utilizzare la ricetta elettronica, in alternativa allo schema di ricetta attualmente rilasciata sulla base delle specifiche prescrizioni del veterinario abilitato, per la consegna di mangimi medicati agli allevatori o detentori di animali. Le nuove modalità di redazione della ricetta elettronica sono quelle sopra esaminate (v. ante comma 2-bis, articolo 89 del codice dei medicinali veterinari - D. lgs. n. 193/2006).

L’obbligo dell’utilizzo esclusivo della ricetta elettronica per tali mangimi è previsto a decorrere dal 1° gennaio 2018.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea ha presentato, il 10 settembre 2014, la proposta di regolamento relativo ai medicinali veterinari (COM(2014) 558) che è volta ad abrogare e sostituire la direttiva 2001/82 recante il codice relativo ai medicinali veterinari.

La proposta intende istituire, tutelando nel contempo la sanità pubblica e animale, la sicurezza alimentare e l'ambiente, un corpus legislativo aggiornato e proporzionato, adeguato alle specificità del settore veterinario, in particolare al fine di:

     aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari;

     ridurre gli oneri amministrativi;

     stimolare la competitività e l'innovazione;

     migliorare il funzionamento del mercato interno;

     affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial Resistance).

Nello specifico, la proposta di regolamento contiene disposizioni concernenti: l’autorizzazione all’immissione in commercio; i medicinali veterinari omeopatici; la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione; la fornitura e l’impiego; i controlli; le restrizioni e le sanzioni; la rete di regolamentazione.

La proposta prevede, in particolare, una rete europea operativa tra le autorità competenti degli Stati membri, l’Agenzia europea per i medicinali e la Commissione europea volta a garantire che:

     i medicinali veterinari siano disponibili sul mercato dell'Unione;

     essi siano valutati adeguatamente prima di essere autorizzati per l'impiego;

     la loro sicurezza ed efficacia siano monitorate costantemente.

Oltre all’istituzione di una singola banca dati per tutti i medicinali veterinari autorizzati nell'Unione, nella quale le autorità competenti dovranno caricare i dati relativi alle autorizzazioni nazionali all'immissione in commercio, la proposta prevede anche un sistema di registrazione e segnalazione dell'impiego di antimicrobici.

All’interno dell’Agenzia europea per i medicinali è istituito un Comitato per i medicinali veterinari che, a sua volta, potrà costituire gruppi di lavoro permanenti – come quello incaricato di fornire consulenze scientifiche alle imprese – e temporanei.

Per dare agli interessati il tempo sufficiente per adeguarsi alla nuova normativa, la proposta dispone che il futuro regolamento si applicherà a decorrere da due anni dalla sua pubblicazione.

La proposta di regolamento è al momento all’esame del Consiglio dell’UE. Il Parlamento europeo si è espresso in prima lettura, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, adottando emendamenti alla proposta, con la risoluzione del 10 marzo 2016.

 

 


Articolo 2-bis
(Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT)

 

L’articolo 2-bis, inserito nel corso dell’esame in Commissione,  modifica il Codice delle comunicazioni elettroniche per introdurre nell’ordinamento nazionale le sanzioni per la violazione delle disposizioni europee relative al roaming nelle reti pubbliche di comunicazioni mobili ed al c.d. Internet aperto.

Si tratta in particolare di introdurre all’articolo 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche, le sanzioni, nell’ambito delle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, necessarie ad attuare:

-   l’art. 18 del regolamento 2012/531/UE, che disciplina il roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili nell'Unione, che prevede l’obbligo degli Stati membri di comunicare alla Commissione (il termine era il 30 giugno 2013) le sanzioni adottate per la violazione delle sue disposizioni e di prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro attuazione;

-   l’art. 6 del regolamento 2015/2120/UE relativo all’accesso ad un Internet aperta, che modifica anche il precedente regolamento del 2012 (in questo caso il termine per comunicare le sanzioni era fissato al 30 aprile 2016).

In entrambi i casi è richiesto che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

In relazione a tali obblighi, formalmente in relazione al regolamento 2015/2120/UE, è stata aperta, ad ottobre 2016, la procedura EU Pilot 8925/16/CNECT (vedi di seguito).

 

L’articolo 2-bis, comma 1, introduce pertanto i nuovi commi 16-bis, 16-ter, 16-quater, all’art. 98 (sanzioni) del D. Lgs. n. 259 del 2003.

Il nuovo comma 16-bis prevede in particolare che l’AGCOM, in caso di violazioni, irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria da 120.000 € a 2,5 milioni €, che ordini l’immediata cessazione delle violazioni e che condanni anche l’operatore al rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, che non deve superare i trenta giorni.

L’importo delle sanzioni amministrative è analogo a quello previsto in via generale dal comma 11 dell’art. 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche per le violazioni ad ordini e diffide dell’Autorità in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico. Si ricorda che a tali sanzioni amministrative, irrogabili dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, non si applicano, per espressa previsione del comma 17-bis dell’art. 98, le disposizioni sul pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

Si ricorda anche che in base all’art. 2, comma 20, lett. d) della legge n. 481 del 1995, istitutiva delle Autorità per i servizi di pubblica utilità, le Autorità possono ordinare agli operatori la cessazione dei comportamenti lesivi dei diritti degli utenti e ordinare anche la corresponsione di un indennizzo.

 

Il comma 16-bis prevede inoltre che qualora l’AGCOM ritenga che sussistano motivi di urgenza per il rischio di un danno notevole per il funzionamento del mercato o per la tutela degli utenti, ha facoltà di adottare, sentiti gli operatori interessati e nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo, provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato. Tale facoltà è sostanzialmente prevista per le medesime ipotesi di violazione per le quali sono previste le sanzioni con procedura ordinaria, descritte nella tabella che segue. Le sanzioni sono previste per la violazione dei seguenti articoli del regolamento 2012/531/UE, come modificato dal regolamento 2015/2120/UE e dal regolamento 2017/920/UE:

 

Regolamento 2012/531/UE

Oggetto

Art. 3, par. 1,2,5,6 e 7

Accesso all'ingrosso al roaming (diritto di accesso , offerta di riferimento da parte degli operatorii mobili sufficientemente dettagliata, possibilità di chiedere di includere anche elementi non contemplati dall'offerta di riferimento)

Art. 4, par. 1, 2 e 3

Vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (divieto per i fornitori di precludere ai clienti l'accesso ai servizi di dati in roaming regolamentati forniti direttamente sulla rete ospitante da un fornitore alternativo di roaming e diritto dei clienti di cambiare fornitore di roaming in qualsiasi momento)

art. 5, par. 1

Attuazione della vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (i fornitori nazionali adempiono in modo che i clienti in roaming possano utilizzare servizi di dati in roaming separati regolamentati e soddisfano tutte le richieste ragionevoli di accesso alle infrastrutture e ai relativi servizi di sostegno)

Art. 6-bis

Abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 6-ter, par. 1

Possibilità dei fornitori di applicare una politica di utilizzo corretto ai servizi di roaming al dettaglio

Art. 6-quater, par. 1 e 2

Sostenibilità dell'abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio (autorizzazione ad applicare un sovrapprezzo nella misura necessaria per recuperare i costi della fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati)

Art. 6-sexies, par. 1, 3 e 4

Fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati (requisiti per l’applicazione di  un sovrapprezzo)

Art. 7, par. 1, 2 e 3

Tariffe medie all'ingrosso che l'operatore di una rete ospitante può applicare al fornitore di roaming per le chiamate in roaming regolamentate, a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 9

Tariffe all'ingrosso per gli SMS in roaming regolamentati

Art. 11

Divieto di modifica delle caratteristiche tecniche degli SMS in roaming regolamentati

Art. 12

Tariffe medie all'ingrosso per servizi di dati in roaming regolamentati a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 14

Trasparenza delle tariffe al dettaglio per le chiamate e gli SMS in roaming

Art. 15, par. 1,2,3, 5 e 6

Trasparenza e meccanismi di salvaguardia per servizi di dati in roaming al dettaglio

Art. 16, par. 4

Vigilanza e applicazione da parte delle autorità nazionali di regolamentazione che hanno il potere di esigere che le imprese soggette agli obblighi del regolamento forniscano tutte le informazioni per la sua attuazione e applicazione

Il nuovo comma 16-ter prevede analogamente che l’AGCOM, irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria, da 120.000 € a 2,5 milioni € e ordini l’immediata cessazione delle violazioni, nel caso di violazione dei seguenti articoli del regolamento 2015/2120/UE, relativo ad un’Internet aperta :

 

Art. 3

Salvaguardia dell'accesso a un'Internet aperta (tra cui: il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, di utilizzare e fornire applicazioni e servizi e utilizzare apparecchiature terminali, indipendentemente dalla sede dell'utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall'origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio; il principio secondo il quale gli accordi tra i fornitori e gli utenti finali sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet non limitino l'esercizio dei diritti degli utenti finali e i fornitori di servizi di accesso a Internet, nel fornire i servizi, trattano tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze).

Art. 4, par. 1 e 2

Misure di trasparenza per assicurare l'accesso a un'Internet aperta (caratteristiche minime dei contratti che includono servizi di accesso a Internet; obbligo di procedure trasparenti, semplici ed efficienti per trattare i reclami degli utenti finali relativi ai diritti e agli obblighi).

Art. 5, par. 2

Vigilanza e applicazione (i fornitori di comunicazioni elettroniche al pubblico e di accesso a Internet, devono rendere disponibile all’autorità nazionale di regolamentazione le informazioni sugli obblighi di cui agli articoli 3 e 4, in particolare la gestione della capacità della loro rete e del traffico, e la motivazione delle misure di gestione del traffico eventualmente applicate).

Anche in questi casi , qualora riscontri ad un sommario esame violazioni relative all’art. 3 e 4, l’AGCOM può adottare provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato, a tutela del funzionamento del mercato o degli utenti.

L’art.16-quater prevede che l’AGCOM possa disporre la pubblicazione dei provvedimenti adottati a spese dell’operatore, sui mezzi ritenuti più idonei, anche su uno o più quotidiani a diffusione nazionale.

Il comma 2 dell’articolo 2-bis reca la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall'attuazione delle disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e secondo la quale le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente.

 

Procedure di contenzioso

Nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, la Commissione europea ha inviato al Governo italiano una richiesta di informazioni (EU Pilot 8925/16/CNECT) relativa all'implementazione del regolamento (UE) 531/2012, come modificato dal regolamento (UE) 2015/2021 (cd. regolamento roaming). Al fine di assicurare una transizione agevole verso l'abolizione dei sovrapprezzi di roaming al dettaglio in vigore dal 15 giugno 2017, a partire dal 30 aprile 2016, sono divenute applicabili le modifiche al regolamento (UE) 531/2012 apportate dal regolamento (UE) 2015/2120, in base alle quali, a partire da tale data, si applica di default una nuova regolamentazione dei prezzi al dettaglio: gli operatori possono continuare ad applicare un sovrapprezzo per il roaming, ma nei limiti degli attuali prezzi massimi all'ingrosso regolamentati (0,05€ al minuto per le chiamate effettuate, 0,02€ per SMS inviato, 0,05€ per MB di traffico dati e 0,0114€ al minuto per le chiamate ricevute, purché la somma totale non superi rispettivamente 0,19€ per minuto di chiamate effettuate, 0,06€ per SMS inviato e 0,20€ per MB di traffico dati). Il regime transitorio è stato applicato fino alla definitiva abolizione del sovrapprezzo applicato al traffico roaming, avvenuta il 15 giugno 2017, a seguito della revisione dei mercati roaming all'ingrosso.

A seguito di varie email e lettere inviate alla Commissione europea dai cittadini italiani, sarebbe emerso che in Italia alcuni principali operatori (in particolare TIM, Wind e H3G) avrebbero adottato tariffe di roaming che non rispetterebbero le disposizioni del regolamento roaming.

Nei vari scambi di corrispondenza che hanno avuto luogo tra la Commissione e le autorità italiane, i servizi della Commissione avrebbero evidenziato l'importanza di garantire una supervisione tempestiva da parte delle autorità italiane competenti dei diversi piani tariffari di roaming adottati dagli operatori nel periodo transitorio, cosi come l'adozione delle misure volte a garantire la corretta applicazione del regolamento roaming.

In particolare, la Commissione avrebbe chiesto i seguenti chiarimenti:

·      fornire un'indicazione precisa delle misure adottate dall’Italia al fine di garantire che le sanzioni applicabili in caso di violazioni del regolamento roaming siano implementate e siano efficaci, proporzionate e dissuasive;

·      descrivere tutte le misure a disposizione delle autorità italiane, oltre alle sanzioni, volte a garantire la cessazione delle violazioni del regolamento roaming;

·      fornire una descrizione completa della procedura applicabile alle violazioni del regolamento roaming da parte degli operatori;.

·      fornire informazioni quantitative sui ricavi degli operatoli italiani TIM, Wind e H3G per la fornitura di servizi roaming ai loro clienti, nonché la quantificazione dell’indebito vantaggio di cui gli operatori hanno beneficiato in conseguenza della violazione del regolamento roaming;

·      fornire informazioni complete sullo stato di avanzamento dei procedimenti sanzionatori in corso contro TIM, Wind e H3G;

·      indicare che tipo di provvedimenti urgenti le autorità italiane potrebbero adottare o hanno già adottato al fine di garantire l'immediata cessazione della violazione del regolamento roaming da parte degli operatori;

·      indicare se e in che modo le autorità italiane intendono garantire che qualsiasi effetto negativo sarà rimosso con effetto retroattivo;

·      fornire un'indicazione precisa delle norme nazionali relative all'accesso a un'Internet aperta.

 

Sul tema è intervenuta anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che ha rilevato che attualmente manca nell’ordinamento italiano una norma che preveda una sanzione specifica in caso di violazione delle disposizioni contenute nel regolamento roaming, pertanto ha segnalato al Governo la necessità di un tempestivo intervento normativo, che contenga anche l’attribuzione all’autorità del potere di adottare misure urgenti volte a garantire l’immediata cessazione della violazione. Medio tempore l’autorità ha fatto ricorso ad un meccanismo sanzionatorio indiretto, mediato dall’adozione di una diffida la cui inosservanza è punita con una sanzione pecuniaria. Allo stato, risultano aperti tre procedimenti sanzionatori nei confronti delle società Telecom Italia spa, Wind telecomunicazioni Spa e H3G Spa per inottemperanza alle diffide impartite.


Articolo 3
(Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST)

 

L’articolo 3 modifica la legge n. 654 del 1975 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale) e il decreto legislativo n. 231 del 2001 (sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

Secondo il Governo, l’intervento consente di sanare il caso EU Pilot 8184/15/Just, attuando i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

 

La decisione quadro 2008/913/GAI

 

La decisione quadro 2008/913/GAI ha previsto il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari dei paesi dell'UE per quanto riguarda i reati ispirati a talune manifestazioni di razzismo e xenofobia, che devono costituire un reato in tutti i paesi dell'UE ed essere passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.

La decisione quadro si applica ad ogni reato commesso:

·     sul territorio dell'Unione europea (UE), anche tramite un sistema di informazione;

·     da un cittadino di un paese dell'UE o per conto di una persona giuridica avente sede in un paese dell'UE; a tale riguardo, la decisione quadro propone criteri per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche.

Sono considerati reati penali, determinati atti commessi, quali: pubblico incitamento alla violenza o all'odio rivolto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito sulla base della razza, del colore, la religione, l’ascendenza, la religione o il credo o l’origine nazionale o etnica; il reato di cui sopra commesso mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale; l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana in pubblico dei crimini di genocidio o contro l'umanità, i crimini di guerra, quali sono definiti nello Statuto della Corte penale internazionale (articoli 6, 7 e 8), quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Saranno passibili di sanzione i base alla decisione quadro anche l'incitamento o la partecipazione nel commettere gli atti suddetti.

Riguardo a tali reati, i paesi dell'UE è previsto per gli Stati membri l’obbligo di stabilire: sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive; pene detentive della durata massima di almeno un anno.

Analoghe sanzioni dovranno riguardare le persone giuridiche e comprendere ammende penali e non penali. Inoltre gli enti possono essere sanzionati mediante: l'esclusione dal beneficio di agevolazioni o sovvenzioni pubbliche; l'interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di un’attività commerciale; il collocamento sotto sorveglianza giudiziaria; il provvedimento di liquidazione giudiziaria. La decisione quadro stabilisce che l'avvio delle indagini o dell'azione legale per reati di razzismo e xenofobia non deve essere subordinato a una denuncia o un'accusa a opera della vittima. In ogni caso, la motivazione razzista o xenofoba deve essere considerata circostanza aggravante o, in alternativa, il tribunale deve poter considerare tale motivazione nel decidere quale sanzione infliggere.

 

La prima modifica, introdotta dal comma 1 dell’articolo 3 del disegno di legge, amplia il campo di applicazione dell’aggravante di “negazionismo” di cui al comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

Tale ultima disposizione è stata introdotta dalla recente legge n. 115 del 2016 (la relazione al d.d.l. riferisce erroneamente di un intervento sul citato art. 3, come da ultimo modificato dalla legge n. 85 del 2006, anziché dalla legge 115 del 2016) che ha inteso sanare, se non totalmente, i rilievi della Commissione Europea espressi nel citato caso EU Pilot 8184/15/JUST.

L’art. 3 della legge n. 654 del 1975 punisce:

·     con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

·     con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi

Il comma 3 dello stesso articolo vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La partecipazione o l’assistenza all’attività di tali organizzazioni è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Pene maggiori (reclusione da uno a sei anni) sono previste per i promotori e per chi dirige le organizzazioni.

Il comma 3-bis stabilisce una maggior pena (reclusione da due a sei anni) se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale , ratificato ai sensi della legge n. 232 del 1999.

Il comma 1 dell’art. 3 in esame integra la formulazione del citato comma 3-bis, prevedendo la sanzionabilità con la reclusione da 2 a 6 anni – oltre che della negazione – anche della minimizzazione in modo grave, dell’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra.

Il criterio della gravità verrà quindi in evidenza tanto ai fini della sussistenza del reato (“minimizzazione in modo grave”) quanto per la valutazione agli effetti della pena da parte del giudice (art. 133 c.p., primo comma, n. 2): gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato).

Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa, va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio), il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). La legge punisce: inoltre, gli atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime; la deportazione a fini di genocidio; il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori; chi costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la appartenenza al gruppo; l’accordo per commettere genocidio.

Il comma 2 dell’articolo 3 in esame aggiunge, poi, un nuovo articolo 25-terdecies al decreto legislativo n. 231 del 2001 che aggiunge al catalogo dei delitti che comportano la responsabilità delle persone giuridiche anche i reati di razzismo e xenofobia aggravati dal negazionismo, di cui al citato comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

In particolare, si prevede in relazione alla commissione di tale reato l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote.

Si ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 ad un massimo di 1.549 euro e che il suo importo, allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione, è stabilito dal giudice in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente (artt. 10 e 11, D.Lgs. 231 del 2001).

Lo stesso comma 2 stabilisce che:

·      la condanna per negazionismo comporta l’applicazione all’ente le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la PA, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

·      la stabile utilizzazione dell’ente (o di una sua unità organizzativa) al fine di commettere o agevolare il negazionismo è sanzionato con l’interdizione definitiva dell’esercizio dell’attività. Si ricorda che l’art. 16, comma 3, del d.lgs. 231 già prevede che, se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità, è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17 (quest’ultimo, a sua volta, prevede la inapplicabilità delle sanzioni interdittive nel caso di riparazione delle conseguenze del reato).

Si valuti se la disposizione introdotta dal disegno di legge sulla interdizione dall’esercizio dell’attività non risulti superflua, in considerazione di quanto già disposto in tal senso dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231 del 2001.

 

L’attività parlamentare

Si segnala, in materia, la trasmissione al Senato del disegno di legge AS 2471, approvato dalla Camera il 6 luglio 2016 (AC 3084), di Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003.

Il provvedimento novella l’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 654/1975 e nello specifico:

·      prevede che il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi possa essere commesso con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico;

·      è ampliato l’ambito della descritta fattispecie penale, in cui viene compresa anche la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale razzista o xenofobo.

 

Nella corrente legislatura si ricorda poi l’istituzione della Commissione “Jo Cox” sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (10 maggio 2016), presieduta dalla Presidente della Camera e composta che da un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni ed esperti, con il compito di condurre attività di studio e ricerca su tali temi, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8184/15/JUST, avrebbe rilevato una serie di carenze individuate nel quadro legislativo italiano di recepimento della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio sulla lotta contro alcune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

Le leggi notificate dall’Italia ai fini del recepimento sono, in particolare, la legge n. 962 del 1967 sulla prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, la legge n. 654 del 1975 sulla ratifica e attuazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (e successive modifiche), e il Codice penale.

Gli addebiti contestati dalla Commissione europea concernerebbero vari profili  della decisione quadro, costituendo, a seconda dei casi, fattispecie di mancato recepimento, recepimento incompleto, e recepimento incorretto.

Apologia, negazione o minimizzazione grossolana dei crimini come definiti  dallo Statuto militare internazionale allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945

L’articolo 1, paragrafo 1, lettera d) della decisione quadro prevede che siano puniti l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti  all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Secondo la Commissione europea il recepimento di questa disposizione richiederebbe l’esistenza di una norma in ambito nazionale che penalizzi tali comportamenti quando sono posti in essere in modo atto a istigare alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo o di un suo membro: la Commissione europea avrebbe rilevato l’inesistenza di una disposizione simile nella legislazione italiana.

Apologia, negazione, o minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra

L’articolo 1, paragrafo1, lettera c).della decisione quadro richiede agli Stati membri che siano resi punibili l’apologia, la negazione o alla minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro

La Commissione europea avrebbe contestato all’Italia il recepimento incompleto della disposizione in quanto la norma di recepimento  indicata dalle autorità italiane (articolo 8, comma 2 della legge 962 del 1967, farebbe riferimento unicamente al comportamento di chi pubblicamente fa apologia, e solo in relazione al reato di genocidio, mentre, contrariamente a quanto previsto dalla decisione quadro, non includerebbe la condotta di pubblica negazione, né la minimizzazione grossolana, e non fa riferimento ai reati contro l’umanità e i crimini di guerra.

 

Responsabilità delle persone giuridiche e relative sanzioni

Gli articoli 5 e 6 della decisione quadro garantiscono che le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati ivi previsti, nonché soggette a sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive (la responsabilità e le sanzioni non devono essere necessariamente di natura penale), indipendentemente dall’accusa o condanna di persone fisiche.

Le indicazioni delle autorità italiane circa le previsioni esistenti in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai fini del recepimento di tali disposizioni non sarebbero state ritenute sufficienti dalla Commissione europea, che avrebbe quindi contestato il mancato recepimento della disposizione europea.

Competenza giurisdizionale nei casi in cui i comportamenti che integrano le fattispecie di reato siano commessi a mezzo di sistemi informatici

L’articolo 9, paragrafo 2 della decisione quadro obbliga ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per garantire che la propria competenza giurisdizionale si estenda ai casi in cui le fattispecie di reato in essa previste siano poste in essere mediante un sistema di informazione, precisando altresì i criteri che sovraintendono a tale delimitazione di giurisdizione  (presenza fisica, sul territorio dello Stato membro in questione, dell’autore del comportamento, a prescindere dal fatto che il comportamento implichi o no l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo territorio; uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul territorio dello Stato membro in questione, indipendentemente dal fatto che l’autore ponga in essere o no il comportamento allorché è fisicamente presente su tale  territorio).

La Commissione europea avrebbe rilevato il mancato recepimento di tale disposizione, nutrendo dubbi circa la rilevanza delle disposizioni generali italiane in materia di giurisdizione (articoli 6 e 9 del Codice penale).

 

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio

L’articolo 1, paragrafo 1 lettera a) obbliga gli Stati membri a adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica.

La Commissione europea avrebbe contestato l’incorretto recepimento di tale disposizione, poiché la norma a tal fine indicata dalle autorità italiane (articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 654 del 1975) configurerebbe una condotta maggiormente restrittiva di quella richiesta dalla decisione quadro.

In particolare la condotta della “istigazione pubblica all’odio” sarebbe recepita (dalla legge italiana) nel comportamento di “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”; la Commissione europea avrebbe rilevato che la decisione quadro richiede agli Stati membri di sanzionare l’istigazione pubblica all’odio in quanto tale e non la propaganda di tale istigazione[10].

La Commissione europea avrebbe inoltre rilevato che, contrariamente a quanto disposto nella decisione quadro, l’articolo 3, comma 1 della legge n. 654 del 1975 non farebbe espresso riferimento né  ad “individui” né a “gruppi”.

Sebbene la modalità di formulazione della disposizione italiana potrebbe suggerire in ogni caso un ampio campo di applicazione (tale da ricomprendere sia individui sia gruppi), la Commissione ritiene che per sostenere tale interpretazione occorrerebbe il supporto in tal senso della giurisprudenza o dei lavori preparatori relativi alla norma indicata, elementi non forniti dalle autorità italiane.

La Commissione europea, avrebbe infine sottolineato il numero limitato di condanne per espressioni di odio razziale e xenofobo sulla base della citata disposizione italiana, nonostante i gravi incidenti che - sulla base delle informazioni in suo possesso - si sarebbero registrati in Italia. Secondo la Commissione ciò dimostrerebbe le difficoltà che le autorità giudiziarie starebbero incontrando nell’impiego della citata disposizione italiana ai fini del perseguimento della condotta descritta alla lettera a) del paragrafo 1 dell’articolo 1 della decisione quadro, confermando ulteriormente il proprio convincimento del recepimento incorretto della disposizione europea nell’ordinamento italiano.

 

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale

La disposizione italiana testé illustrata è stata indicata dalle autorità italiane anche ai fini del recepimento dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), che prevede la punibilità dell’istigazione pubblica alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica,  perpetrate mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale. La Commissione europea avrebbe anche in questo caso rilevato (per le medesime considerazioni indicate nel precedente paragrafo) il non incorretto recepimento della disposizione europea, aggiungendo che il termine “propaganda” utilizzato dalla disposizione italiana nei riguardi dell’istigazione all’odio non includerebbe esplicitamente la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale, così come previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b) della decisione quadro.

Potrebbe risultare opportuno, alla luce della legge n. 115 del 2016, recante “Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7, e 8 dello statuto della Corte penale internazionale” - peraltro richiamata dalla relazione introduttiva -, acquisire l’avviso del Governo sull’idoneità delle misure proposte a risolvere pienamente i rilievi avanzati dalla Commissione europea, anche in considerazione del fatto che l’intervento normativo non sembra prospettare misure inerenti alla questione relativa alla competenza giurisdizionale nei casi in cui i reati citati siano commessi a mezzo di sistemi informatici. 

 

 


Articolo 4
(Disciplina transitoria di accesso al fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione
n. 2011/4147)

 

L'articolo 4, come modificato in sede referente, oltre ad apportare modifiche alle disposizioni della legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge europea 2015/2016) in materia di accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, estende l'ambito di applicazione della disciplina anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore.

 

Gli articoli da 11 a 16 della legge n. 122/2016  hanno introdotto norme volte a risolvere la procedura di infrazione n. 2011/4147, per dettagli sulla quale si rinvia alla fine della presente scheda.

 

L'articolo in esame modifica in primo luogo gli articoli da 12 a 14 della legge n. 122 del 2016.

Il comma 01, introdotto nel corso dell'esame in sede referente interviene:

·    sull'articolo 12, relativo alle condizioni per l'accesso all'indennizzo:

o  abrogandone la lettera a) del comma 1 che prevede, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

o  modificandone la lettera b) del comma 1, al fine di condizionare l'accesso all'indennizzo al fatto che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato, salvo l'ipotesi in cui lo stesso abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto;

o  prevedendo, attraverso una modifica alla lettera e) del comma 1, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme superiori a 5.000 euro (la formulazione vigente non prevede tale limite) erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.

 

 

·    sull'articolo 13, relativo alla domanda di indennizzo:

o  modificandone per coordinamento la lettera b) del comma 1, la quale prevede che la domanda di indennizzo debba essere corredata anche dalla documentazione attestante l'infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore del reato, salvo l'ipotesi in cui lo stesso abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato;

o  intervenendo sul comma 2 per prevedere che il termine di sessanta giorni entro il quale la domanda di indennizzo deve essere presentata decorra anche dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale (attualmente tale termine decorre dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l'autore del reato ovvero dall'ultimo atto dell'azione esecutiva infruttuosamente esperita).

 

·    sull'articolo 14, relativo al Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime:

o  incrementandone la dotazione attraverso una modifica al comma 2. Si prevede che il Fondo sia alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 e a 4.000.000 euro a decorrere dall'anno 2018;

o  modificandone il comma 4, il quale prevede che in caso di disponibilità finanziarie insufficienti nell'anno di riferimento a soddisfare gli aventi diritto, è possibile per gli stessi un accesso al Fondo in quota proporzionale e l'integrazione delle somme non percepite dal Fondo medesimo entro i successivi diciotto mesi ("negli anni successivi" nella formulazione vigente), senza interessi, rivalutazioni ed oneri aggiuntivi.

 

La disposizione si propone inoltre di completare l’adeguamento della normativa nazionale alle previsioni della direttiva 2004/80/CE, modificando l’ambito di operatività ratione temporis della nuova disciplina.

A ben vedere, la disciplina dettata dalla legge europea 2015-2016 è applicabile alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore (23 luglio 2016), mentre la direttiva 2004/80/CE fa obbligo agli Stati membri di applicare le disposizioni almeno ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005 (articolo 18).

 

Più nel dettaglio, il comma 1 dell'articolo estende la disciplina relativa all’accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti a chiunque è stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005.

Il comma 2 introduce un termine di decadenza di centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge in esame per la presentazione della domanda di indennizzo. Tale domanda deve essere presentata nel rispetto delle medesime condizioni e modalità di accesso all’indennizzo previste dalla legge n. 122/2016 (vedi supra).

 

Il comma 3, come modificato dalla Commissione, prevede che gli oneri derivanti dall’applicazione della disposizione, quantificati in 26 milioni di euro per l’anno 2017 e in 1.400.000 euro annui a decorrere dall'anno 2018 gravino rispettivamente: sul fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234, introdotto dall’articolo 28 della legge 29 luglio 2015, n. 115.- legge europea 2014 e sul fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (legge conv. n. 307 del 2004).

 

L'articolo 28 della legge europea 2014 - aggiungendo l'articolo 41-bis alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea- ha previsto l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze di un fondo, denominato "Fondo per il recepimento della normativa europea", volto a consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea.

 

Per quanto concerne la quantificazione degli oneri, nella relazione, si osserva come essa sia stata compiuta considerando i dieci anni (2006-2015) precedenti all’entrata in vigore della legge n. 122/2016 - in ragione del fatto che il diritto all’indennizzo è soggetto, ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile, all’ordinario termine prescrizionale di dieci anni- e tenendo conto della stima annuale degli oneri, determinata sulla base dei dati ISTAT inerenti le vittime di delitti intenzionali violenti.

Ai sensi del comma 4, come modificato dalla Commissione, con riguardo agli oneri di cui al comma precedente trovano applicazione i commi da 12 a 12-quater dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) per la copertura finanziaria delle leggi e, in particolare, quelle relative al monitoraggio degli oneri e alle misure per gli eventuali scostamenti.

 

Il comma  5, infine, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Procedure di contenzioso

La procedura di infrazione n. 2011/4147  è stata avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento della direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. L’Italia ha provveduto a dare attuazione a tale direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[11].Le misure previste dal provvedimento sono state ritenute tuttavia non del tutto adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti, se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile, dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i sistemi di indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per alcune tipologie di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico). La Commissione quindi, considerando solo parziale la trasposizione della direttiva ad opera del decreto legislativo n. 204, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte di giustizia (causa C- 601/14) al fine di ottenere una ulteriore pronuncia di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano.

Le contestazioni della Commissione europea, accolte peraltro dalla Corte di Lussemburgo (vedi infra), toccavano in particolare il parziale recepimento dell'obbligo imposto dall'articolo 12, paragrafo 2 della direttiva 2004/80/CE. Tale disposizione impone infatti agli Stati membri di dotarsi di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, senza lasciare alcun margine di discrezionalità agli Stati quanto all'ambito di copertura del sistema stesso, destinato pertanto a dover corrispondere all'intera categoria dei reati intenzionali violenti. Secondo le istituzioni europee l'Italia non avrebbe con il decreto legislativo del 2007 correttamente trasposto tale parte della direttiva, non avendo esteso il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile.

Proprio per far fronte alla nuova procedura di infrazione le disposizioni della legge europea 2015-2016 – facendo salve le provvidenze già previste da altre disposizioni di legge per determinati reati, se più favorevoli[12] -  hanno riconosciuto il diritto all’indennizzo, a carico dello Stato, in favore delle vittime di reati dolosi commessi con violenza alla persona e, comunque, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento al lavoro, ad eccezione dei reati di percosse e lesioni semplici. Sono state fissate le condizioni per l’accesso all’indennizzo, si è previsto che l’indennizzo è destinato a rifondere le sole spese mediche e assistenziali - ad eccezione dei casi di violenza sessuale e omicidio, in cui esso è comunque elargito - e si è stabilito che il relativo onere finanziario gravi sul Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura, appositamente ridenominato ed esteso alle vittime dei reati intenzionali violenti.

La Corte di Giustizia, con sentenza dell’11 ottobre 2016, pronunciata a seguito del ricordato ricorso C-601/14, ha statuito che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure per garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE. A ben vedere la Corte non ha potuto tener conto delle nuove norme di attuazione della direttiva, contenute nella legge europea, in quanto intervenute successivamente alla proposizione del ricorso, mentre l’inadempimento si è cristallizzato con l’adozione del parere motivato. Le disposizioni della legge europea 2015-2016 sono attualmente al vaglio della Commissione europea, alla quale sono state ritualmente notificate, al fine della valutazione circa la chiusura della procedura di infrazione.

 

 


Articolo 5
(Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080 - SOPPRESSO)

 

L’articolo 5 è stato soppresso durante l’esame del provvedimento in Commissione, così recependo la condizione posta dalla Commissione V Bilancio nel parere sul provvedimento in esame.

Detto articolo intendeva modificare la disciplina dei rimborsi IVA, al fine di consentire l’archiviazione della procedura di infrazione 2013/4080, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE: in particolare, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso IVA continua ad essere tenuto a prestare idonea garanzia a tutela delle somme erogate, si prevedeva il versamento di una somma forfetaria, a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, in misura pari allo 0,15 per cento dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia. Gli oneri derivanti dalle disposizioni in esame erano valutati in 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2018, con copertura mediante corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea.

 

La Commissione V Bilancio ha rilevato la necessità di aggiornare le stime alla base della quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo soppresso sulla base degli ultimi dati disponibili. La soppressione dell’articolo 5 è apparsa necessaria per assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, posto che il Fondo per il recepimento della normativa europea, del quale era previsto l'utilizzo, non recherebbe le occorrenti disponibilità volte a fronteggiare tale maggiore onere. In mancanza della quantificazione del maggiore onere derivante dal citato aggiornamento dei dati e della individuazione della relativa copertura finanziaria, la Commissione Bilancio ha ritenuto necessario sopprimere l’articolo.

Procedura di contenzioso

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/4080) per violazione degli artt. 179 e 183 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in merito alla disciplina del rimborso IVA.

La citata direttiva prevede che, ove i beni e/o i servizi, acquistati da un operatore, siano da esso finalizzati all'esercizio della propria attività imprenditoriale di cessione/prestazione di servizi, il medesimo operatore possa detrarre dal debito IVA da cui è gravato per legge (cd. IVA a debito), la stessa IVA che gli è stata scaricata dal soggetto da cui ha acquistato detti beni/servizi strumentali (cd. IVA a credito). Se l'ammontare dell'IVA a credito eccede quello dell'IVA a debito, l'art. 183 della direttiva 2006/112CE consente al contribuente di riportare tale eccedenza ad un periodo di imposta successivo, o di ottenerne il rimborso. Al riguardo, nella sentenza C-107/10 la Corte di Giustizia ha precisato che un rimborso procrastinato di oltre tre mesi, rispetto al momento in cui si ingenera il relativo diritto, sarebbe inaccettabile. Ora, dal combinato disposto degli artt. 30 e 38 bis del D.P.R. 26/10/72, n. 633, risulta che la previsione di un periodo non eccedente i suddetti tre mesi, per il rimborso di cui si tratta, sarebbe concesso in Italia non a tutti gli aventi diritto al rimborso stesso, ma solo a quelli, tra loro, che:

·      prestino una cauzione in titoli di Stato o una fideiussione triennale, a garanzia di un'eventuale restituzione dei rimborsi al Fisco, ove gli stessi risultino, in seguito, indebiti;

·      ovvero siano contribuenti cd. "virtuosi", cioè muniti di una serie di requisiti, compreso quello dell'anzianità di almeno 5 anni della propria attività.

Al riguardo, la Commissione osserva che il termine finale di 3 mesi concerne categorie troppo ristrette di contribuenti (laddove dovrebbe coinvolgere la totalità dei medesimi) e, in relazione alle stesse, risulta subordinata alla sussistenza di requisiti troppo onerosi (una fideiussione triennale). Per gli altri contribuenti non rientranti nelle categorie suddette, quindi, il termine del rimborso sarebbe, illegittimamente, prolungato oltre il trimestre. Peraltro, la Commissione osserva che, anche per i contribuenti virtuosi o prestanti cauzione, il termine di tre mesi rimarrebbe, di fatto, non rispettato.

In tema di rimborso dell’IVA, il legislatore italiano è intervenuto con il citato art. 13 del decreto legislativo 175/2014 in cui, tra le altre cose, viene generalizzata l'esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici, e vengono specificate le ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.

Nelle ultime comunicazioni, trasmesse per le vie brevi, la Commissione europea chiede alle autorità italiane la trasmissione dei dati statistici relativi ai rimborsi IVA per il secondo semestre 2015 e il primo semestre 2016, nonché rassicurazioni circa l’adozione della norma inerente il rimborso del costo delle garanzie richieste per ottenere il rimborso dell’IVA.

 


Articolo 6
(Non imponibilità ai fini IVA di cessioni all'esportazione nei confronti di amministrazioni e soggetti della cooperazione allo sviluppo)

 

L’articolo 6 modifica la disciplina concernente la non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dell'Unione europea in attuazione di finalità umanitarie.

 

In particolare, l'articolo 6, comma 1, introduce la nuova lettera b-bis) nell'articolo 8, primo comma,  del "decreto IVA" (DPR n. 633 del 1972), riconducendo le cessioni di beni - e relative prestazioni accessorie - effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo (soggetti iscritti nell'elenco di cui all'art. 26, co. 3, della legge n. 125 del 2014), alle cessioni all'esportazione non imponibili ai fini IVA.

 

La disposizione in esame intende attuare quanto previsto dall' art. 146, par. 1, lett. c) della direttiva 2006/112/CE (relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto). Tale norma consente di esentare dall'IVA le cessioni di beni ad organismi riconosciuti che li esportano fuori dall'Unione nell'ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative condotte al di fuori del territorio UE.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, della legge n. 125 del 2014 ("Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo") sono soggetti della cooperazione allo sviluppo:

a)  organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario;

b)  organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) statutariamente finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;

c)  organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo;

d)  le organizzazioni e le associazioni delle comunità di immigrati che mantengano con le comunità dei Paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborino con soggetti provvisti dei requisiti di cui al presente articolo e attivi nei Paesi coinvolti;

e)  le imprese cooperative e sociali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, qualora i loro statuti prevedano la cooperazione allo sviluppo tra i fini istituzionali;

f)    le organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 26, sulla base di parametri e criteri fissati dal Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo (previsto dall'articolo 21 della legge), vengono verificate le competenze e l'esperienza dalle organizzazioni e dagli altri soggetti di cui al comma 2, ai fini dell'iscrizione in apposito elenco dei soggetti della cooperazione pubblicato e aggiornato periodicamente dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Con la novella in esame si applica l'esenzione ai fini IVA alle spedizioni o trasporti al di fuori dell'UE effettuate dal cessionario (o per suo conto) entro 180 giorni dalla consegna. La prova dell’avvenuta esportazione dei beni è data dalla documentazione doganale.

Le modalità della cessione o spedizione in oggetto sono fissate da un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

L'articolo 8, primo comma, lett. b), stabilisce che costituiscono cessioni non imponibili le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio dell'UE, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto. L'esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall'Ufficio doganale o dall'Ufficio postale su un esemplare della fattura. Sono inoltre contemplate alcune eccezioni. La novella pone quindi un termine più ampio rispetto a quello stabilito dall'art. 8, co. 1, lett. b) in via generale. Riguardo ai termini temporali cfr. oltre.

 

Il comma 2 novella l'articolo 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ("Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi"). Tale articolo 7 fissa la sanzione amministrativa (dal cinquanta al cento per cento del tributo) nei confronti di chi effettua, senza addebito d'imposta, le cessioni all'esportazione - ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera b) del D.P.R. n. 633 del 1972 - qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell'Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto, di 90 gionri. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell'imposta.

Con la modifica in esame si intende estendere tale disciplina sanzionatoria alle cessioni che sono oggetto della disposizione in esame (includendo nel testo dell'articolo 7 il richiamo alla lettera b-bis) di cui si propone l'introduzione), applicabile qualora i beni in questione non dovessero essere effettivamente esportati, in frode alla legge. Si ribadisce che la lett. b-bis) pone il termine di 180 giorni.

 

Con la risoluzione n. 98/E del 10 novembre 2014, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti riguardo alle cessioni all’esportazione anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza del 19/12/2013 - procedimento C-563/12). Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia coinvolgeva una società ungherese alla quale, in sede di verifica, è stato disconosciuto il diritto di qualificare alcune operazioni come cessione all’esportazione esenti IVA, sulla base del fatto che la spedizione delle merci verso i Paesi terzi era avvenuta dopo il decorso del termine dei 90 giorni previsto dalla legislazione nazionale (termine analogo a quello previsto dalla legislazione italiana). Secondo la Corte, gli Stati membri possono prevedere "termini ragionevoli" per l’effettuazione dell’operazione ai fini delle esenzioni, senza essere perentori. Risulta quindi illegittima una previsione nazionale che preveda che il superamento del termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dall’esenzione.

Conseguentemente la risoluzione 98/E afferma che, ferma la compatibilità con la direttiva del termine di 90 giorni, "risulta aderente al tessuto comunitario anche la procedura di regolarizzazione prevista dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, da attuare, da parte del cedente nazionale, allo spirare del  suddetto termine di 90 giorni, laddove non abbia la prova che il bene è uscito dal territorio nazionale. Diversamente, non è in linea con la decisione della Corte la soluzione di negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione". Sarà quindi possibile recuperare l’IVA nel frattempo versata ai sensi del citato articolo 7, comma 1, del decreto n. 471 del 1997 emettendo una nota di credito (art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972) oppure mediante una richiesta di rimborso (art. 21 del d.lgs. n. 546/1992).

Come segnalato dalla relazione illustrativa, le suddette considerazioni si applicherebbero per analogia anche allo spirare del termine di 180 giorni previsto dalla nuova lettera b-bis).

 

Il comma 3 abroga l'art. 26, comma 5, della legge n. 125 del 2014. Tale comma 5 reca la disciplina attualmente vigente sulla non imponibilità ai fini dell'IVA delle cessioni in oggetto.

 

L'articolo 26, comma 5, stabilisce che le cessioni di beni a favore di amministrazione e soggetti della cooperazione sono da considerarsi non imponibili agli effetti dell'IVA ai sensi dell'articolo 8-bis del DPR n. 633/1972. Tale articolo 8-bis reca l'elenco delle operazioni non ricomprese nell'articolo 8 ma comunque assimilate alle cessioni all'esportazione non imponibili.


Articolo 7
(Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU)

 

L’articolo 7 estende il regime fiscale agevolato per le navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche a favore dei soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi, adibite esclusivamente a traffici commerciali, iscritte in registri di Paesi dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.

 

Le misure agevolative oggetto di estensione sono le seguenti:

-     credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (articolo 4, comma 1, della legge n. 457 del 1997);

-     concorrenza nella misura del 20 per cento del reddito prodotto con navi iscritte nel Registro Internazionale a formare il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF e all’IRES (articolo 4, comma 2, della legge n. 457 del 1997);

-     esclusione dalla base imponibile IRAP del valore della produzione realizzato mediante l’utilizzo di navi iscritte al Registro Internazionale (articolo 12, comma 3 del D.Lgs. n. 446 del 1997);

-     regime forfetario, opzionale, di determinazione del reddito armatoriale: c.d. tonnage tax (articolo 155, comma 1, del TUIR).

 

Il comma 1 prevede che la suddetta estensione avviene a decorrere dal periodo d’imposta nel quale entra in vigore il decreto ministeriale attuativo previsto dal comma 3.

 

Il comma 2 prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino a condizione che sia rispettato quanto stabilito dalle seguenti disposizioni:

 

-       gli articoli 1, comma 5, e 3 del DL n. 457 del 1997;

Si tratta delle norme che pongono i limiti al cabotaggio pe le navi iscritte al Registro Internazionale. Il comma 5 dell’art. 1, vieta infatti il cabotaggio per tali navi, ma prevede un'attenuazione di tale riserva generale, che consente il servizio di cabotaggio delle navi iscritte al Registro internazionale per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda con i seguenti limiti:

·       un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i requisiti di nazionalità dell'equipaggio di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c): sostanzialmente sono richiesti 6 ufficiali di nazionalità UE compreso il comandante;

·       sei viaggi di cabotaggio al mese, oppure viaggi illimitati ma ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine, se sono rispettati i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e del comma 1-bis , cioè se l'equipaggio è interamente di cittadinanza comunitaria oppure extracomunitario qualora sia stata utilizzata la deroga del comma 1-bis, cioè in presenza di specifici accordi sindacali nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore,

·        per le navi traghetto ro-ro (roll on roll off, ossia che traghettano mezzi gommati) e ro-ro pax (roll on roll off passengers, ossia che traghettano mezzi gommati e/o passeggeri), adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e/o insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato, solamente qualora sia imbarcato esclusivamente personale italiano o comunitario (tale previsione è stata introdotta dal D.Lgs. n. 221 del 2016).

L’art. 3 del DL 457/1997 prevede che le condizioni economiche, normative, previdenziali ed assicurative dei marittimi italiani o comunitari imbarcati sulle navi iscritte nel Registro internazionale sono disciplinate dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento e dai contratti collettivi dei singoli Stati membri. Il rapporto di lavoro del personale non comunitario non residente nell'Unione europea, imbarcato a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale, è invece regolamentato dalla legge scelta dalle parti e comunque nel rispetto delle convenzioni OIL in materia di lavoro marittimo

 

-       l’articolo 317 del Codice della navigazione, che disciplina la composizione e la forza minima dell'equipaggio;

L’art. 317 dispone che sia il comandante del porto a provvedere all'applicazione delle disposizioni di legge riguardanti la determinazione del numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina, e dei relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima dell'intero equipaggio.

 

-       l’articolo 426 del regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (D.p.r. 15 febbraio 1952, n. 328), che disciplina i poteri del comandante del porto relativamente alla formazione degli equipaggi

L’art. 426 prevede che nella formazione dell'equipaggio della nave, spetti esclusivamente al comandante del porto, che ha facoltà di negare le spedizioni alla nave il cui equipaggio non sia composto in conformità alle norme:

1. accertare che l'equipaggio comprenda il numero di marittimi di stato maggiore e di bassa forza, ritenuto indispensabile alla sicurezza della navigazione;

2. vigilare che sia garantita l'osservanza delle leggi sul lavoro applicabili ai marittimi e delle norme sulle condizioni per l'igiene e abitabilità dei locali destinati all'equipaggio;

3. vigilare sull'osservanza delle tabelle di armamento stabilite, secondo i casi, dal Ministero o nei contratti collettivi d'arruolamento.

 

Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’attuazione delle disposizioni previste dai commi 1 e 2. Tale decreto deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge in esame.

 

Il comma 4  individua le coperture finanziarie degli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 20 milioni di euro per il 2018 e a 11 milioni di euro a decorrere dal 2019. A tali oneri si provvede mediante riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (articolo 41-bis della legge n . 234 del 2012).

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7060/14/TAXU, pone la questione della compatibilità con il diritto dell’UE delle vigenti disposizioni concernenti i regimi di determinazione del reddito imponibile delle imprese marittime (art. 4 del decreto legge 457/1997 e artt. da 155 a 161 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito, TUIR).

In particolare, la Commissione rileva che il requisito dell'immatricolazione della nave nel Registro internazionale italiano (RII) ai fini della concessione dei benefici fiscali di cui alle disposizioni richiamate potrebbe costituire una condizione discriminatoria nei confronti dei soggetti esercenti attività di traffico marittimo internazionale stabiliti in altri Stati dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE), ponendosi dunque come una restrizione contraria alla libertà di stabilimento, quale garantita dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e dall’art. 31 dell’Accordo SEE. Inoltre, ad avviso della Commissione, l'applicazione di misure fiscali di vantaggio ai soli esercenti navi immatricolate nel RII potrebbe dissuadere lo stabilimento in Italia da parte di soggetti residenti in altri Stati dell'UE o dello SEE esercenti l'attività di traffico marittimo internazionale nella misura in cui probabilmente le navi da essi utilizzate sono registrate nel Registro navale dei rispettivi Stati. La legislazione italiana, infatti, instaura una differenza di trattamento fiscale in funzione della nazionalità del mezzo di esecuzione della prestazione che, in quanto tale, potrebbe costituire una restrizione contraria alla libertà di prestazione dei servizi, quale garantita dall’art. 56 del TFUE e 36 dell’Accordo SEE.

L’art. 7 del DDL in esame dovrebbe consentire la chiusura del caso EU-Pilot 7060/14/TAXU, dal momento che estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche nei confronti di soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.

Peraltro, si può osservare che le modalità di attuazione della nuova normativa sono rinviate ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della Legge europea.

 

 

 


Articolo 8
(Disposizioni relative al riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera. Sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 giugno 2001, causa C-212/99, e del 18 luglio 2006, causa C-119/04 e Caso EU Pilot 2079/11/EMPL)

 

L’articolo 8 stanzia risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. 120/1995 (L. 236/1995), con il quale è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la nuova figura del “collaboratore esperto linguistico”.

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione intende risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL – richiamato anche nella rubrica dell’articolo – nell’ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'art. 26, co. 3, ultimo capoverso, della L. 240/2010 – che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori – con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione, pur ritenendo che l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza di una definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, si è interrogata sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (più ampiamente, v. infra par. Procedure di contenzioso).

 

Nello specifico, l’articolo 8 prevede che, a decorrere dal 2017, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO)[13] è incrementato di € 8.705.000[14] destinati, a titolo di cofinanziamento, alla copertura degli oneri derivanti dai contratti integrativi di sede perfezionati dalle università statali italiane e volti a superare il contenzioso in atto, nonché a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera.

Al riguardo, la relazione illustrativa e l’analisi tecnico-normativa fanno presente che, sui circa 500 ex lettori in servizio nelle università statali, circa 260 hanno un contenzioso pendente con gli atenei dai quali dipendono.

La relazione tecnica, a sua volta, evidenzia che l’onere complessivo pari a € 8.705.000 annui è calcolato moltiplicando il costo massimo pro capite per l’adeguamento stipendiale (pari a € 33.480) per le 260 unità interessate.

 

Le risorse sono destinate esclusivamente alle università che perfezionano i contratti integrativi di sede – definiti, a livello di singolo ateneo, secondo uno schema-tipo da emanare con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge – entro il 31 dicembre 2017. Lo stesso decreto definisce i criteri di ripartizione delle stesse risorse.

Al relativo onere si provvede, quanto a € 8.705.000 per il 2017 e a decorrere dal 2019, e quanto a € 5.135.000 per il 2018, mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis della L. 234/2012). Per la quota non coperta, per il 2018, a valere sul citato fondo, pari a € 3.570.000, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, del fondo speciale di parte corrente relativo al MEF.

 

Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 28 del DPR 382/1980 aveva previsto la possibilità per le università di assumere – con contratto di diritto privato di durata massima pari ad un anno accademico, rinnovabile per un massimo di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di specifici accordi internazionali, lettori di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza, accertata dalla facoltà interessata, in numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti con finanziamenti a tale scopo predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il CUN.

Tale disciplina è stata censurata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 55 del 23 febbraio 1989, nella parte in cui non consentiva il rinnovo annuale per più di cinque anni dei suddetti contratti.

Ulteriori censure, sotto diversi profili, sono derivate dalle sentenze della Corte di Giustizia europea del 30 maggio 1989 (causa 33/88) e del 2 agosto 1993 (cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91), nonché dalla procedura di infrazione n. 92/4660.

E’ stato conseguentemente approvato il citato D.L. 120/1995 (L. 236/1995), il cui art. 4 ha dettato una nuova disciplina, abrogando contestualmente l’art. 28 del DPR 382/1980.

Nello specifico, la nuova disciplina – rimettendo, tra l’altro, gli oneri a carico dei bilanci dei singoli atenei, anche a seguito dell’intervenuta autonomia finanziaria degli stessi (art. 5, L. 537/1993) – ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (CEL) – in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti .

Sempre in base all’art. 4 citato, le università avevano l'obbligo di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui all'art. 28 del DPR 382/1980, in servizio nell'a.a. 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell'incarico, salvo che la mancata rinnovazione fosse dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale così assunto conservava i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti.

 

Con sentenza del 26 giugno 2001 (causa C-212/99), la Corte di giustizia europea ha però stabilito che l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 39 del Trattato CE “con riferimento alla prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da alcune università pubbliche [Università degli studi della Basilicata, di Milano, Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli], prassi che si traduce nel mancato riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, in quanto “ai collaboratori linguistici non è stata riconosciuta, in termini di trattamento economico e previdenziale, l'anzianità di servizio che avevano acquisito come lettori di lingua straniera prima dell'entrata in vigore della L. 236/1995”[15]. Ne è derivata la condanna alle spese.

In seguito a tale condanna, la Commissione europea ha chiesto all’Italia di dare adempimento alla sentenza sopra citata, e da ultimo, con parere motivato del 30 aprile 2003, le ha concesso un termine di 2 mesi dalla notifica dello stesso, per adottare gli strumenti necessari.

 

L’intervento normativo in esecuzione della sentenza è stato effettuato nel 2004. In particolare, l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 (L. 63/2004) ha attribuito ai collaboratori esperti linguistici presso le sei università sopra indicate, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell'art. 28 del DPR 382/1980, un trattamento economico, proporzionale all'impegno orario assolto - tenendo conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore -, corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli. La richiamata equiparazione è stata disposta ai soli fini economici, con esclusione dell’esercizio da parte dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente.

 

Il 4 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea chiedendo l’accertamento del persistente inadempimento dell’Italia nei confronti della sentenza 26 giugno 2001 e il pagamento di una penale giornaliera.

La Corte di giustizia europea, con sentenza 18 luglio 2006 (causa C-119/04), ha accertato l'inadempimento dei suddetti obblighi – con riferimento alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore del D.L. 2/2004 – per la mancata attuazione da parte dell'Italia dei provvedimenti richiesti dalla esecuzione della pronuncia del 26 giugno 2001, nel termine di due mesi assegnato dal parere motivato della Commissione del 30 aprile 2003. Ha, peraltro, escluso la permanenza del suddetto inadempimento, alla data dell'esame dei fatti, nel quadro normativo stabilito dal D.L. 2/2004.

 

Nel frattempo, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con le sentenze 21856/2004 e 5909/2005, ha esteso l’ambito di applicazione del D.L. 2/2004, in particolare affermando che: “la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle università specificatamente indicate non può interferire sul valore di ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee, ed in particolare alla citata sentenza del 26 giugno 2001, che la normativa stessa intende eseguire. Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina deve essere riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera ancorché dipendenti da università diverse da quelle contemplate” (Cass. n. 5909/2005)[16].

 

Da ultimo, l’art. 26, co. 3, della L. 240/2010 ha disposto che l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 si interpreta nel senso che ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell'art. 28 del DPR 382/1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell'art. 4 del D.L. 120/1995.

Inoltre, ha disposto che, a decorrere da quest'ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l'importo corrispondente alla differenza tra l'ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal D.L. 2/2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 120/1995. Ha, infine, previsto l’estinzione dei giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della legge[17] [18].

 

Al riguardo, l’analisi tecnico-normativa fa presente che, a fronte di quanto previsto dall’art. 26, co. 3, della L. 240/2010, molti ex lettori hanno avviato un contenzioso nei confronti degli atenei dai quali dipendono, reclamando il diritto a conservare una retribuzione e una progressione economica corrispondente a quelle dei ricercatori confermati anche per i periodi successivi al 1994 (anno di instaurazione del nuovo rapporto di lavoro quali collaboratori esperti linguistici).

Sempre l’analisi tecnico-normativa evidenzia che il contenzioso, in alcuni casi, si è risolto con pronunce sfavorevoli per le università (Cassazione, sezione lavoro: 28 settembre 2016, n. 19190; 15 ottobre 2014, n. 21831; 5 luglio 2011, n. 14705).

Al riguardo, nella risposta del 16 dicembre 2014 all'interrogazione discussa nella 7^ Commissione del Senato n. 3-00189, il rappresentante del Governo ha rimarcato che “il contenzioso è particolarmente delicato per quelle università (tra le quali l’università di Catania) che hanno, in un primo momento, riconosciuto ai lettori lo stipendio del ricercatore universitario anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in CEL e poi, con l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, hanno modificato tale trattamento economico procedendo al recupero delle somme già percepite dagli interessati”.

 

Con riguardo alla estinzione dei giudizi, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con ordinanza n. 79/2017, ha rimesso una serie di ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, a seguito dei diversi orientamenti giurisprudenziali maturati nel corso del tempo, che l’ordinanza riassume.

In particolare, ha evidenziato che la stessa Cassazione – a partire dalla sentenza n. 2941 del 7 febbraio 2013 – ha applicato la disciplina generale ex art. 310 c.p.c., stabilendo che, ove la controversia sia pendente in Cassazione, con l’estinzione si determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito. Ciò ha poi riguardato anche fattispecie in cui le sentenze di appello avevano accolto le pretese dei lettori anche in termini più favorevoli rispetto alle previsioni di legge. Peraltro, l’ordinanza evidenzia come recenti sentenze della stessa Cassazione (da ultimo la n. 10190/2016) hanno circoscritto l’estinzione ai soli processi in cui rilevi l’assetto dato dal legislatore alla materia. In tali casi l’estinzione – riguardando il giudizio e non il processo – dovrebbe investire anche le pronunce rese nel frattempo, siano esse favorevoli o sfavorevoli ai lettori, sì da evitare disparità di trattamento.

Inoltre, l’ordinanza evidenzia che non appaiono omogenee le posizioni assunte dalla Cassazione nel corso del tempo, circa la resistenza del giudicato alla sopravvenienza della nuova normativa che ha trasformato la figura del lettore.

 

Procedure di contenzioso

Il 22 dicembre 2014 la Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 240 del 30 dicembre 2010, che stabilisce l'automatica estinzione dei giudizi pendenti relativi al trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione rileva l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza del fatto che, in seguito alla definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, tali giudizi sarebbero effettivamente privati della loro ragion d'essere.

Al riguardo, la Commissione ritiene che ragioni di economia processuale, ed in particolare l'esigenza di evitare un inutile dispendio di risorse pubbliche e garantire una deflazione del contenzioso, assicurando in tal modo il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, possano in linea di principio giustificare un intervento del legislatore quale quello in questione. Tuttavia, si interroga sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva che deriva dalla contestata disposizione.

La Commissione ritiene pertanto necessario ottenere chiarimenti da parte delle autorità italiane circa:

·     il numero di procedimenti interessati dall'applicazione della disposizione contestata, al fine di valutare se l'automatica estinzione dei procedimenti sia effettivamente necessaria a perseguire gli obiettivi di economia processuale;

·     quali siano le conseguenze concrete prodotte dall'applicazione della norma contestata sui diritti sostanziali e processuali delle parti nei procedimenti interessati;

·     con riguardo alle modalità della declaratoria di estinzione, se in tale caso l'estinzione avvenga in modo automatico ovvero debba essere pronunciata dal giudice a seguito di una valutazione delle circostanze da effettuarsi caso per caso;

·     se la declaratoria di estinzione debba essere pronunciata per "cessazione della materia del contendere", ovvero per altri motivi;

·     se sia soggetta ad un obbligo di motivazione, se sia subordinata ad una valutazione del giudice circa l'eventuale esistenza di pretese residuali (incluse eventuali domande di risarcimento dei danni) e se sia impugnabile (e in caso affermativo, con quali mezzi e a quali condizioni);

·     se l'impossibilità di conseguire una pronuncia nel merito, che sembra derivare dall'estinzione del giudizio, abbia in concreto effetti pregiudizievoli per le parti, con particolare riguardo all'obiettivo di ottenere una celere ed effettiva soddisfazione delle pretese economiche fondate sull'articolo 26, comma 3, della legge 240/2010. In tale contesto, le autorità italiane sono in particolare invitate a fornire informazioni dettagliate a proposito dei seguenti elementi: l'esistenza di garanzie circa il rimborso delle spese legali di avvio del procedimento e degli altri costi sostenuti per intentare l'azione giudiziaria; l'esistenza di garanzie circa la possibilità di ottenere il risarcimento di eventuali danni.

L’art. 8 del DDL legge europea mira alla chiusura dei contenziosi attuali, pur non modificando direttamente la norma contestata (articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n 240/2010). Infatti, per superare il contenzioso in atto e prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso, la norma prevede che agli ex lettori di madrelingua sarà almeno attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione. Tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici di qualsiasi funzione docente.

 


Articolo 9
(Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129)

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame in Commissione, ha ad oggetto l’etichettatura delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, prevedendo attività di controllo - già svolte in attuazione delle previsioni contenute nel DPR n. 180 del 1988, che ha recepito la direttiva 83/417/CEE, poi abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203 -  sulle indicazioni obbligatorie da riportare nelle etichettature dei prodotti (che sono le stesse di quelle previste nella direttiva 83/417/CEE) e i controlli sul rispetto dei tenori previsti negli allegati della direttiva; ciò per la verifica del fatto che i prodotti siano conformi ai nuovi parametri di tenori stabiliti dalla direttiva (UE) 2015/2203: il tenore massimo di umidità della caseina al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare, ridotto al 2%.

 

L’articolo 9, riguardante la sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseina, prevede disposizioni di diretta attuazione della direttiva 2015/2203/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio.

 

Il presente articolo adegua la normativa vigente alle nuove disposizioni attualmente in vigore, anche in tema di etichettatura, contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011; ma, soprattutto, esso è volto a dare recepimento alla direttiva (UE) 2015/2203, avente lo scopo di:

·    allineare i poteri conferiti alla Commissione dalla nuova distinzione introdotta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE); la proposta è intesa a delineare il conferimento dei poteri alla Commissione nel nuovo contesto giuridico creato dal trattato di Lisbona;

·    tener conto della nuova legislazione adottata nel frattempo, segnatamente per quanto riguarda l'alimentazione umana (la direttiva 2000/13/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002, il regolamento (CE) n. 882/2004, il regolamento (CE) n. 1332/2008 ed il regolamento (CE) n. 1333/2008);

·    adeguare i requisiti di composizione dei prodotti interessati alle norme internazionali pertinenti adottate dal Codex Alimentarius. Tale adeguamento implica due modifiche: il tenore massimo di umidità della caseina alimentare aumenta dal 10% al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare è ridotto dal 2,25% al 2%.

 

Obiettivo della direttiva, oggetto del presente recepimento, è dunque quello di facilitare la libera circolazione delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela della salute, nonché allineare le disposizioni vigenti nei singoli Stati alla legislazione generale dell'Unione ed a quella internazionale.

L’articolo 21 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 170/2016) aveva autorizzato il Governo a dare attuazione alla predetta direttiva mediante regolamento; ma, considerata l’esigenza di dettare anche una disciplina sanzionatoria (al fine di adeguare l’importo delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 8 del D.P.R. n. 180 del 1988), si è ritenuto necessario adottare, mediante recepimento diretto, un provvedimento di  rango primario.

 

Il comma 1 definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ossia la produzione e la commercializzazione delle caseine e dei caseinati destinati all’alimentazione umana e alle loro miscele.

 

Le caseine e i caseinati destinati all’alimentazione umana sono una categoria di lattoproteine ossia di proteine ottenute dalla coagulazione del latte.

Nel settore alimentare sono utilizzate come coadiuvanti tecnologici in molti alimenti, ad esempio, nel vino, nei dolciumi, nelle caramelle e vengono altresì impiegate quali ingredienti nei salumi dove fungono da collante.

Nel panorama caseario europeo, è permesso l'utilizzo di caseine e di caseinati, come alternativa al latte, nella produzione di formaggi entro un massimo del 10 per cento dell'intera produzione.

La caseina viene prodotta solo quando il latte viene lavorato per la produzione di burro e sono pochi, quindi, i produttori che possono permettersi impianti completi.

L'uso della caseina è esteso anche ad una larga parte dell'industria, per la sua proprietà di eccellente collante ecologico; si utilizza, ad esempio, nella produzione di gomma, guarnizioni, produzione di fuochi artificiali e patinatura di carta.

Fino a pochi anni fa, la Commissione europea finanziava i produttori di caseina e caseinati per gli alti costi di produzione; attualmente, invece, tali finanziamenti non vengono più erogati.

I caseinati sono invece quei prodotti ottenuti mediante essiccazione delle caseine non neutralizzanti.

I produttori utilizzano i caseinati perché il loro costo è più basso rispetto al latte, in quanto i caseinati vengono prodotti in paesi come Argentina, Nuova Zelanda e Australia, dove il costo del latte è inferiore a quello europeo e tale, dunque, da rendere più conveniente un prodotto per ottenere il quale occorre sostenere costi industriali importanti: acidificazione del latte, separazione ed essiccazione delle caseine.

 

Il comma 2 introduce, secondo le indicazione della direttiva, la definizione di «caseina acida alimentare”, di «caseina presamica alimentare e di «caseinati alimentari”.

Il comma 3 descrive le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti o etichette in caratteri ben visibili, chiaramente leggibili ed indelebili.

Il comma 4 individua quali indicazioni devono obbligatoriamente figurare in lingua italiana, potendo anche essere riportate in altra lingua.

Il comma 5 contempla, come indicato nella direttiva, la possibilità di deroga per alcune delle indicazioni obbligatorie (quali la indicazione del tenore di proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di prodotti espressa in chilogrammi, il nome o ragione sociale dell’operatore del settore alimentare e l’indicazione del Paese di origine nel caso di provenienza da un Paese terzo), che potrebbero essere inserite solo nel documento di accompagnamento.

Il comma 6 prevede che, quando il tenore minimo di proteine del latte, stabilito all'allegato I, sezione I, lettera a), punto 2, all'allegato I, sezione II, lettera a), punto 2, e all'allegato II, lettera a), punto 2, della direttiva (UE) 2015/2203 risulta superato, è possibile indicarlo in modo adeguato sugli imballaggi, sui recipienti o sulle etichette dei prodotti.

 

In merito agli allegati, si rappresenta che nell’articolo si rinvia al contenuto degli allegati della stessa direttiva, considerato che gli articoli 5 e 6 della direttiva prevedono che, al fine di tener conto della evoluzione delle norme internazionali applicabili e del progresso tecnico, la Commissione ha il potere di adottare atti delegati al fine di modificare le norme stabilite agli allegati I e II, i quali stabiliscono, in particolare, i fattori essenziali di composizione delle caseine, i contaminanti, le impurità, i coadiuvanti tecnologici, le colture batteriche, gli ingredienti autorizzati e le caratteristiche organolettiche delle caseine.

 

Il comma 7 detta una disposizione riguardante lo smaltimento delle scorte: in sede referente la Commissione ha modificato le regole di commercializzazione dei lotti di prodotto, fabbricati anteriormente all’entrata in vigore della legge proposta, e delle etichette non conformi a quanto sancito dallo stesso. Ora sarà possibile la loro commercializzazione fino ad esaurimento delle scorte e comunque entro e non oltre 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ma dovrà trattarsi, nel caso delle predette etichette, solo di quelle stampate anteriormente alla data dell'entrata in vigore della legge. La medesima Commissione, in sede referente, ha accolto l'emendamento aggiuntivo di un comma 7-bis, ai sensi del quale resta salva, in ogni caso, la possibilità di utilizzare etichette e materiali di confezionamento non conformi: ciò a condizione che siano integrati con le informazioni obbligatorie previste dall'articolo in commento, mediante l’apposizione di etichette adesive inamovibili.

 

I commi 8, 9, 10, 11 e 12 introducono norme sanzionatorie riguardanti le prescrizioni in materia di sicurezza e di commercializzazione di tali prodotti, prevedendo tre ipotesi di illecito amministrativo, facendo salve le ipotesi in cui le condotte descritte integrino una fattispecie di illecito penale.

 

Si prevede, in particolare, che integri un illecito amministrativo la condotta di colui che:

1)    utilizza - per la preparazione di alimenti - caseine o caseinati che non rispondono ai requisiti previsti dalla direttiva, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro mille ad euro diecimila;

2)    denomina le caseine o i caseinati, commercializzati per usi diversi, in modo tale da indurre in errore il consumatore sul loro effettivo uso, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

3)    pone in commercio, con le denominazioni indicate nel comma 2 ovvero con altre denominazioni similari che possono indurre in errore l’acquirente, prodotti non rispondenti ai requisiti stabiliti dall’art. 9 in commento, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

4)    pone in commercio i prodotti di cui al comma 2, con una denominazione comunque diversa da quelle prescritte dal medesimo articolo in esame, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentocinquanta ad euro duemilacinquecento;

5)    viola le disposizioni stabilite nel comma 3 dello stesso articolo relative alle indicazioni obbligatorie che devono essere apposte su imballaggi, recipienti, etichette o documenti, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro cinquecento ad euro cinquemila.

 

I commi 13 e 14 individuano le Autorità competenti ad accertare le violazioni - in conformità alle previsioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193 - e ad irrogare le sanzioni previste (con la procedura della legge n. 689/1981, capo primo, sezione seconda). A livello nazionale, le autorità competenti ad effettuare tali attività sono il Ministero della salute, per la parte relativa alla sicurezza alimentare e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la parte relativa ai controlli qualitativi e quantitativi. A livello territoriale, le autorità competenti sono le regioni, le province autonome e le ASL. Le amministrazioni svolgeranno tali attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 15 detta una specifica clausola di invarianza finanziaria. In effetti, in merito ai controlli in materia di sicurezza alimentare, già la citata normativa prevede che le autorità competenti siano il Ministero della salute, le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le aziende sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze: secondo la relazione tecnica, «trattasi, pertanto, di attività istituzionali delle medesime, fronteggiabili con le risorse disponibili a legislazione vigente. Le attività di controllo di competenza del Ministero della salute sono già coperte dalle risorse previste dal capitolo di spesa 5010 del Ministero della salute “Spese per il potenziamento ed il miglioramento dell'efficacia della programmazione e dell'attuazione del piano nazionale integrato dei controlli”, mentre i controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono coperti con le risorse finanziarie già destinate al funzionamento e all’operatività dell’Ispettorato centrale repressione frodi (Missione 1 “Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca” Programma 1.4 “Vigilanza, prevenzione e repressione frodi nel settore agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale”, capitoli n. 2460 e n. 2461 “Spese per acquisti di beni e servizi” e pertinenti piani gestionali)».

 

Il comma 16 dispone l’abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio1988, n. 180 con il quale era stata recepita la direttiva 83/417/CEE, ora abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203.

 

La direttiva 83/417/CEE del Consiglio del 25 luglio 1983, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988 n. 180, prevedeva il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri per talune lattoproteine (caseine e caseinati), destinate all’alimentazione umana. La suddetta direttiva armonizzava, a livello europeo, le caratteristiche di composizione e di fabbricazione delle suddette caseine, al fine di fornire una regolamentazione uniforme delle stesse. Dall'entrata in vigore della direttiva erano intervenuti vari cambiamenti, in particolare, lo sviluppo di un ampio quadro normativo nel settore del diritto alimentare e l'adozione di una norma internazionale relativa ai prodotti alimentari a base di caseina, da parte della Commissione europea, di cui oggi occorre tenere conto.

 

Procedure di contenzioso

L'articolo 9 è finalizzato all’archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio 2017 (SG-Greffe(2017)D/1429) per mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).

 


Articolo 9-bis
(Modifica dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU Pilot 8443/16/MOVE)

 

L’articolo 9-bis, inserito nel corso dell’esame in Commissione, chiarisce che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, può essere prorogato per un periodo non superiore a tre mesi.

L’intervento legislativo è attuato mediante una novella alle disposizioni sanitarie di cui all’articolo 12, comma 5, del D.Lgs. 71/2015, che consentono la proroga della validità del certificato medico dei lavoratori marittimi nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio. La disposizione in esame chiarisce che il certificato medico rimane in vigore fino all'arrivo nel successivo porto di scalo dove sia disponibile un medico, a condizione che il periodo in questione non superi i tre mesi.

 

Il sopra richiamato decreto legislativo n. 71 ha attuato la direttiva 2012/35/UE modificativa della direttiva 2008/106/CE in materia di requisiti minimi della formazione della gente di mare. La disposizione in esame è volta a risolvere, per gli aspetti di competenza del Ministero della salute, il Caso EU Pilot 8443/16/MOVE, avviato dalla Commissione europea nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot. La Commissione ha, infatti, eccepito che la disposizione di cui al sopra richiamato comma 5, art. 71 del D.Lgs. 71/2015 non sia conforme all’articolo 11, par. 6, della direttiva 2008/106/CE e alla regola I/9.6 sugli standard medici previsti dalla Convenzione STCW[19] perché non chiarisce sufficientemente che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, non può essere prorogata per un periodo superiore a tre mesi.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8443/16/MOVE, avrebbe rilevato una serie di carenze nell’attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.

In particolare, la Commissione invita le autorità italiane a fornire chiarimenti sui seguenti punti:

·     modulo di allineamento relativo agli ufficiali di coperta e agli ufficiali di macchina: non è chiaro se siano incluse nella bozza di programma una serie di competenze, tra cui: "mantenere una guardia di navigazione sicura", "mantenere la nave nelle condizioni di sicurezza in mare", "garantire la conformità alle disposizioni di prevenzione dell'inquinamento";

·     corsi di livello direttivo: la Commissione intende verificare se i programmi dei suddetti corsi siano conformi alle norme previste dalla  Convenzione internazionale sui requisiti minimi di formazione per la gente di mare (Standards of Training, Certification and Watchkeeping, STCW);

·     corsi di specializzazione: le autorità italiane dovrebbero fornire chiarimenti circa la conformità alla direttiva 2008/106/CE e alla Convenzione STCW del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 novembre 2016, relativo ai requisiti per il rilascio dei titoli per la navigazione nazionale costiera: in particolare, il decreto esclude le persone che prestano servizio esclusivamente a bordo di navi operanti in viaggi costieri (Near  Coastal Voyages, NCV) nazionali dall'obbligo di conformarsi alla direttiva (nonché alla convenzione STCW), rilasciando loro certificati (''titoli") contemplati esclusivamente da disposizioni nazionali. La direttiva, invece, non distingue tra “viaggi internazionali” e “nazionali” nell’ambito dell’area NCV;

·     programma relativo agli ufficiali di coperta in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": le autorità italiane dovrebbero fornire documenti e informazioni del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca MIUR, atti a dimostrare il completamento del programma da parte di tutte le scuole;

·     programma relativo agli ufficiali di macchina in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": si ritiene necessario verificare che tale programma sia stato aggiornato al fine di includervi la voce "manutenzione e riparazione, quali smontaggio, regolazione e rimontaggio di macchinari e attrezzature";

·     corsi non riconosciuti dall’amministrazione: le autorità italiane sono invitate a fornire chiarimenti comprovanti che le università interessate abbiano allineato i propri programmi, in particolare quelli della corso di laurea in “Scienze nautiche e aeronautiche” alle prescrizioni della citata direttiva;

·     prove pratiche non effettuate in materia di addestramento nella lotta antincendio: le autorità italiane dovrebbero fornire la versione ufficiale del decreto che disciplina i corsi di addestramento antincendio di base e avanzato;

·     norme sanitarie: la normativa italiana (articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 71/2015) stabilisce che, se il periodo di validità di un certificato medico scade durante il viaggio, il certificato continua ad essere valido fino al prossimo porto di scalo dove sia disponibile un medico ivi autorizzato. Tuttavia questa disposizione non è conforme all'articolo 11, paragrafo 6 della direttiva 2008/*106/CE e alla regola I/9.6 della convenzione STCW, in base ai quali tale periodo di validità non può superare i tre mesi;

·     convalida dei certificati di competenza: le autorità italiane dovrebbero fornire adeguate prove del fatto che i certificati di competenza per ufficiali di macchina di livello direttivo, qualora non sia stata impartita una formazione pratica relativa a/funzionamento  e alla manutenzione di alcuni tipi di apparato motore di propulsione, riportino tali limitazioni nella convalida.

Al riguardo si segnala che la misura inserita nella disposizione riguarda unicamente la sola questione relativa alle norme sanitarie.

 

 


Articolo 9-ter
(Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele)

 

L’articolo 9-ter, inserito nel corso dell’esame in Commissione, introduce un nuovo illecito amministrativo, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 60.000 euro, a carico di chiunque viola le disposizioni in materia di pubblicità previste dal Regolamento (CE) n. 1272/2008 (Regolamento CLP) sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio di sostanze e miscele.

 

In particolare, il comma 1 della disposizione inserisce l’articolo 10-bis nel decreto legislativo n. 186 del 2011[20], che detta la disciplina sanzionatoria recata dal Regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio di sostanze e miscele. Più precisamente, l’introdotto articolo 10-bis dispone le sanzioni amministrative pecuniarie, da 10.000 a 60.000 euro, comminate per le violazione delle prescrizioni in materia di pubblicità di cui all’art. 48, paragrafi 1 e 2, primo periodo, del Regolamento (CE) n. 1272/2008, in base alle quali:

·      la pubblicità delle sostanze classificate come pericolose deve menzionare le classi o le categorie di pericolo;

·      la pubblicità di una miscela classificata come pericolosa o contenente una sostanza classificata come pericolosa (di cui all’articolo 25, paragrafo 6 dello stesso Regolamento CLP), che permetta a una persona di concludere un contratto d'acquisto senza aver prima preso visione dell'etichetta deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell'etichetta.

L’illecito amministrativo trova applicazione “salvo che il fatto costituisca reato” (clausola di riserva penale).

 

Si ricorda che il Regolamento CLP detta i criteri per la classificazione e le norme relative all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, stabilendo, tra l’altro, l’obbligo per i fornitori di etichettare ed imballare le sostanze e le miscele classificate come pericolose in conformità allo stesso regolamento, prima di immetterle sul mercato. Inoltre, prevede norme volte ad evitare l’esposizione accidentale alle sostanze chimiche pericolose fornite al pubblico e l’avvelenamento dei consumatori, con particolare riferimento ai minori.

Per quanto qui interessa, la violazione punita è quella relativa alle prescrizioni in materia di pubblicità previste all’articolo 48, par. 1 e 2, primo periodo, del richiamato regolamento (CE) n. 1272/2008. Al par. 1, tale norma prevede, infatti, che qualsiasi pubblicità per una sostanza classificata come pericolosa deve menzionarne le classi o le categorie di pericolo. Inoltre, ogni pubblicità per una miscela classificata come pericolosa a cui si applica l’art. 25, par. 6 del medesimo regolamento (obbligo di etichettatura con indicazioni supplementari) che comporti la conclusione di un contratto d’acquisto, senza che la persona interessata allo stesso abbia preventivamente preso visione dell’etichetta, deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell’etichetta (par. 2).

La ratio della norma, che appare rivolta a chiunque operi nel commercio a distanza di sostanze chimiche e miscele, è quella di una maggiore responsabilizzazione per comportamenti non conformi al principio di precauzione per la sicurezza dei consumatori e per la tutela della salute.

 

Il comma 2 dell’art. 9-ter reca la clausola di invarianza finanziaria.

Gli interventi, infatti, a legislazione vigente, rientrano già nel “Piano   nazionale del controlli sui prodotti chimici[21] (emanato annualmente) previsti dall’Accordo Stato-regioni del 29 ottobre 2009 e pertanto tutte le risorse necessarie risulterebbero già strutturate e disponibili senza oneri aggiuntivi.

 

 

 

 

 


Articolo 10
(Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU Pilot 7304/15/ENVI)

 

L’articolo 10, modificato in sede referente, integra le disposizioni, dettate dall’art. 78-sexies del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006, d’ora in avanti Codice), relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque - al fine di garantire l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo, nonché la valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee - onde pervenire al superamento di alcune delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI.

A tal fine, viene previsto che le autorità di bacino distrettuali promuovano intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza.

La norma precisa altresì che l’intercomparabilità, che le intese dovranno perseguire a livello di distretto idrografico, dovrà riguardare i dati del monitoraggio:

·      delle sostanze prioritarie di cui alle tabelle l/A e 2/A dell’allegato 1 (nel corso dell’esame in Commissione è stato precisato che l’allegato in questione è quello alla parte terza del Codice);

Si ricorda che la tabella 1/A dell’allegato 1 alla parte terza del Codice indica gli standard di qualità ambientale nella colonna d'acqua e nel biota per le sostanze dell'elenco di priorità, mentre la successiva tabella 2/A indica gli standard di qualità ambientale nei sedimenti nei corpi idrici marino-costieri e di transizione.

·      e delle sostanze non prioritarie di cui alla tabella l/B del medesimo allegato 1.

Nella tabella 1/B sono definiti gli standard di qualità ambientale per alcune delle sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 (che fornisce un elenco indicativo dei principali inquinanti).

 

Nel corso dell’esame in Commissione è stato inserito un periodo che, ai fini del monitoraggio e della valutazione dello stato di qualità delle acque, prevede che le autorità di bacino distrettuali promuovano altresì intese (con i medesimi soggetti di cui sopra, vale a dire con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza) finalizzate all’adozione di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

Si fa notare che l’assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee è una delle questioni poste dalla Commissione all’attenzione delle autorità italiane.

 

Per garantire il raggiungimento delle finalità indicate, viene altresì previsto che l’ISPRA provveda alla pubblicazione sul proprio sito web, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, dell’elenco dei laboratori del sistema agenziale dotati delle metodiche analitiche disponibili a costi sostenibili, conformi ai requisiti di cui al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice (v. infra).

 

L’articolo 78-sexies è stato inserito nel cd. Codice dell’ambiente dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, recante “Attuazione della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE e recepimento della direttiva 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/CE, specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque”.

Il testo vigente del comma 1 dell’art. 78-sexies del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) affida all’ISPRA il compito di verificare che i requisiti minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi siano basati su una incertezza di misura definita conformemente ai criteri tecnici riportati al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice.

Il successivo comma 2 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientali per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i requisiti minimi di prestazione citati, le ARPA e le APPA assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili.

Le disposizioni dettate dall’art. 78-sexies consentono di recepire il disposto dell’art. 4 della direttiva 2009/90/CE.

In base al paragrafo 1 dell’art. 4, gli Stati membri verificano che i criteri minimi di efficienza per tutti i metodi di analisi siano basati su un'incertezza di misura pari o inferiore al 50% (k = 2) stimata al livello degli standard di qualità ambientale pertinenti e su un limite di quantificazione pari o inferiore al 30% rispetto agli standard di qualità ambientale pertinenti.

Il recepimento delle soglie indicate da tale articolo è operato dalla nuova lettera A. 2.8.-bis (anch’essa inserita nel testo del Codice dal citato D.Lgs. 219/2010) che, nel disciplinare i “requisiti minimi di prestazione per i metodi di analisi e calcolo dei valori medi”, prescrive, tra l’altro, le seguenti prestazioni minime dei metodi di misurazione:

·     alle concentrazioni dello standard di qualità (SQA-MA ed SQA-CMA) l'incertezza estesa associata al risultato di misura non deve essere superiore al 50% del valore dello standard di qualità. L'incertezza estesa sarà ottenuta … ponendo il fattore di copertura k uguale a 2;

·     il limite di quantificazione dei metodi deve essere uguale od inferiore al 30% dei valori dello standard di qualità (SQA-MA);

·     per quanto riguarda la valutazione dell'incertezza di misura, per i metodi che includono i dati di precisione … il laboratorio che li adotta deve “verificare che l'incertezza estesa (k=2) ottenuta dal dato di riproducibilità del metodo sia inferiore al 50% del valore dello standard di qualità”.

 

Il paragrafo 2 dell’articolo 4 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientale per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i criteri minimi di efficienza stabiliti al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili che non comportino costi eccessivi.

Occorre inoltre ricordare che, secondo il 1° considerando della medesima direttiva, “occorre garantire la qualità e la comparabilità dei risultati analitici ottenuti dai laboratori incaricati dalle autorità nazionali competenti di effettuare il monitoraggio chimico delle acque, come previsto dall'articolo 8 della direttiva 2000/60/CE”.

Il richiamato articolo 8 della direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli Stati membri provvedono a elaborare programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico e prevede l’adozione di specifiche tecniche e metodi uniformi per analizzare e monitorare lo stato delle acque.

 

La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni del D.Lgs. 219/2010 hanno “attribuito alle regioni, attraverso le agenzie regionali dell’ambiente (ARPA e APPA), la facoltà di scelta delle migliori tecniche disponibili (MTD) per il monitoraggio delle sostanze chimiche. In alcuni casi, però, l’applicazione di diverse metodiche analitiche sullo stesso corpo idrico comune a più regioni ha portato a risultati analitici diversi e incoerenti tra le diverse regioni ricadenti nel medesimo distretto”.

Per tale motivo, quindi, e per garantire il rispetto del requisito dell’intercomparabilità previsto dalla normativa europea, sono dettate le disposizioni dell’articolo in esame.

 

L’art. 2, comma 1, dello Statuto approvato con D.M. Ambiente 27 novembre 2013 ha attribuito, tra l’altro, all’ISPRA, compiti di controllo, di monitoraggio e di valutazione con riferimento alla tutela delle acque. Il comma 4 dell’art. 2 dello statuto prevede altresì che l’ISPRA garantisce, attraverso il coordinamento del sistema agenziale, anche l’accuratezza delle misurazioni e il rispetto degli obiettivi di qualità e di convalida dei dati, provvedendo, fra l’altro, all’approvazione di sistemi di misurazione, all’adozione di linee guida e all’accreditamento dei laboratori.

La relazione illustrativa sottolinea che l’elenco dei laboratori dotati delle metodiche analitiche conformi ai requisiti di cui al citato paragrafo A.2.8.-bis verrà reso disponibile mediante la pubblicazione dello stesso in una sezione dedicata del sito di ISPRA, attraverso il Sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane (SINTAI).

Sul sito del SINTAI si legge che l'ISPRA, per gli specifici compiti assegnati in materia di tutela delle acque, ha progettato, realizzato e messo in opera il SINTAI, attraverso il quale tutte le attività relative alla gestione delle informazioni vengono espletate. In particolare nel SINTAI sono disponibili tutti i dati prodotti dal sistema delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente e trasmessi all'ISPRA dalle regioni e province autonome.

Si fa infine notare che la messa a disposizione delle informazioni tramite il sistema SINTAI è contemplata anche dall’art. 78-ter del D.lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 1 del D.Lgs. 219/2010), che disciplina l’inventario dei rilasci da fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite.

 

Si ricorda che la legge n. 132 del 28 giugno 2016, entrata in vigore il 14 gennaio 2017, è volta a istituire il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA), di cui fanno parte l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell'ambiente, nonché a intervenire sulla disciplina dell'ISPRA.

L’art. 4, comma 2, dispone che l'ISPRA, fermi restando i compiti e le funzioni ad esso attribuiti dalla normativa vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adegua la propria struttura organizzativa e tecnica al perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge e prevede, tra l’altro, l’adeguamento dello statuto dell’ISPRA - entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 14 maggio 2017) - “per la parte relativa alle funzioni conferite dalla presente legge”.

 

Procedure di precontenzioso

Secondo la Commissione europea, vi sarebbero numerosi esempi di cattiva o incompleta applicazione della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

In particolare, la Commissione europea avrebbe chiesto di ricevere chiarimenti e informazioni in merito alle seguenti questioni.

Insufficiente coordinamento nell'implementazione della direttiva

La Commissione europea avrebbe sollevato dubbi sull’esistenza di un adeguato meccanismo di coordinamento che assicuri che gli obiettivi della direttiva siano perseguiti nell’intero distretto idrografico, come previsto dall’articolo 3, comma 4, della direttiva. Ad avviso della Commissione europea, la valutazione dei Piani di gestione dei bacini idrografici (RBMPs) mostrerebbe significative differenze nell'implementazione della direttiva all'interno dei diversi distretti di bacino idrografico italiani, con importanti differenze nell'approccio seguito dalle regioni per l'implementazione di alcuni punti chiave delle direttiva, come ad esempio la valutazione delle pressioni e degli impatti, i programmi di monitoraggio, le modalità con le quali sono stati stabiliti gli obiettivi e i programmi delle misure.

Incompleto monitoraggio ed incompleta valutazione dello stato della qualità delle acque

La valutazione da parte della Commissione europea dei RBMPs avrebbe rilevato importanti carenze nei programmi di monitoraggio finalizzati alla definizione dello stato di qualità delle acque, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva, che prevede che gli Stati elaborino programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico.

In particolare, vi sarebbero le seguenti carenze nei programmi di monitoraggio:

·      il metodo della fauna ittica, che è un indice di qualità per la classificazione dello stato ecologico dei corsi d'acqua, dei laghi e delle acque di transizione, non sarebbe stato elaborato né “intercalibrato" per consentire la comparabilità dei diversi metodi per la valutazione della qualità delle acque. Secondo la Commissione non vi sarebbero garanzie che una metodologia comune sarà applicabile (da tutte le regioni) in tempo per il secondo ciclo dei Piani di gestione dei bacini idrografici;

·      non sarebbero stati effettuati adeguati monitoraggi né valutazioni degli inquinanti specifici. L'Italia, con il D.M. 260/2010, ha adottato una lista di 51 inquinanti specifici, ma dalle informazioni delle Autorità Italiane risulterebbe che non tutte le regioni abbiano iniziato il monitoraggio di queste sostanze;

·      non sarebbe stata fissata una metodologia per la definizione del buon potenziale ecologico per tutti i corpi idrici artificiali e fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato chimico. La definizione di una metodologia che fissi gli obiettivi per i corsi d'acqua artificiali e fortemente modificati è considerata di fondamentale importanza per l'Italia, dato il loro considerevole numero (1638, circa il 20% del totale dei corpi idrici superficiali);

·      fino ad ora non sarebbero state intraprese azioni in merito alla determinazione delle pressioni quantitative sulle acque sotterranee, (con particolare riferimento alle regioni Sicilia, Calabria e Basilicata), essenziale per la valutazione dello stato delle acque sotterranee e per determinare se gli obiettivi ambientali per le acque sotterranee possono essere raggiunti;

·      il monitoraggio delle sostanze prioritarie, ossia delle sostanze chimiche con un rischio significativo per l’ambiente acquatico per le quali l’UE riconosce priorità di intervento, sarebbe incompleto in diverse regioni italiane;

·      lo standard di qualità delle acque stabilito dall’Italia per il mercurio potrebbe non essere sufficientemente protettivo.

Assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee

Secondo la Commissione europea, vi sarebbe la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee nella maggior parte dei Distretti di bacino idrografico; pertanto, le autorità italiane dovrebbero chiarire quando tale metodologia sarà stabilita.

Mancanza di giustificazione delle esenzioni

La Commissione europea sottolinea che gli obiettivi ambientali della direttiva in esame sono vincolanti e che i Piani di Bacino dovrebbero includere giustificazioni per l'applicazione delle esenzioni. Ad avviso della Commissione, i Piani di Bacino italiani non includerebbero tali giustificazioni, nonostante l'applicazione delle esenzioni sia significativa sia per i corpi idrici superficiali che per quelli sotterranei.

Identificazione di programmi di misure

La valutazione effettuata dai servizi della Commissione sui Piani di Bacino italiani avrebbe rilevato una mancanza di collegamento tra le analisi delle pressioni e il programma delle misure. La direttiva in esame prevede che gli Stati Membri stabiliscano un programma di misure per il raggiungimento degli obiettivi, tenendo conto dei risultati delle analisi delle pressioni e degli impatti, che costituiscono la base per identificare il gap esistente per il raggiungimento dello stato di qualità ambientale in ciascun corpo idrico.

Prezzi dell'acqua in agricoltura

Secondo la Commissione europea, l'incentivazione dei prezzi in Italia sarebbe molto debole, specialmente nel settore agricolo. Infatti, non ci sarebbe un meccanismo in atto che assicuri un uso efficiente dell'acqua in agricoltura: non è richiesta alcuna misurazione dei volumi di acqua prelevati e il prezzo dell'acqua in agricoltura non è legato al volume di acqua utilizzato. Pertanto, la politica dei prezzi attuale non fornirebbe adeguati incentivi per gli utilizzatori affinché usino l'acqua in modo efficiente. Pertanto, le autorità italiane dovrebbero spiegare come vengono assicurati il meccanismo di incentivazione dei prezzi e il recupero dei costi finanziari, ambientali e della risorsa nel settore agricolo.

Altre questioni legate al settore agricolo

Le autorità italiane dovrebbero, infine, chiarire se saranno introdotte nuove misure vincolanti per gli agricoltori nei Programmi di Misure nel secondo ciclo dei Piani di gestione, relative, in particolare: alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento diffuso dovuto a azoto, fosforo e inquinanti organici, fitofarmaci; alla prevenzione e riduzione dell’erosione dei sedimenti e del suolo; alla protezione della struttura morfologica dei corsi d’acqua. Inoltre, le autorità italiane sono invitate a chiarire i limiti dei nutrienti (nitrati e fosfati) fissati per il buono stato dei corsi d’acqua.

 

Come affermato nella relazione del Governo, la disposizione è finalizzata a superare solo una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relative alla non corretta applicazione, a livello nazionale, della direttiva 2009/90/CE. In particolare, l’intervento è volto ad assicurare l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico (previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/60/CE), dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali. Per effetto della modifica apportata in sede referente, la disposizione mira altresì a rispondere ad un’ulteriore contestazione del caso EU Pilot 7304/15/ENVI circa la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

 

 

 

 

 


Articolo 11
(Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici)

 

L’articolo 11, modificato in sede referente, interviene, al comma 1, sulla disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti (riferiti al contenuto di fosforo e azoto) devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell’impianto ma, più in generale, al carico inquinante generato dall’agglomerato urbano. Nel corso dell’esame in Commissione, è stato inserito il comma 2-bis, che esclude effetti derivanti dalla modifica di cui al comma 1 su quanto disposto dall’articolo 92 del cd. Codice dell’Ambiente, che disciplina le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, e sulla sua applicazione in relazione ai limiti di utilizzo delle materie agricole contenenti azoto nelle medesime aree.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica la tabella 2 dell’allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), la quale fissa limiti di emissione (riferiti al contenuto di fosforo e di azoto) per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, graduati in ragione delle diverse potenzialità dell’impianto di trattamento delle acque medesime.

La tabella 2 (che si riporta di seguito) prevede infatti limiti più severi per potenzialità impiantistiche superiori a 100.000 abitanti equivalenti (A.E.) e limiti meno stringenti per potenzialità comprese tra 10.000 e 100.000 A.E.

Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Parametri (media annua)

Potenzialità impianto in A.E.

 

10.000 - 100.000

> 100.000

 

Concentrazione

% di riduzione

Concentrazione

% di riduzione

Fosforo totale (P mg/L)

≤ 2

80

≤ 1

80

Azoto totale (N mg/L)

≤ 15

70-80

≤ 10

70-80

La modifica in esame consiste nella sostituzione del titolo della seconda colonna “Potenzialità impianto in A.E.” con la dicitura “Carico generato dall’agglomerato in A.E.”, al fine appunto di riferire i limiti riportati dalla tabella non più alla potenzialità dell’impianto, bensì al carico generato dall’agglomerato.

 

Secondo la relazione illustrativa ciò implica quindi una estensione del campo di applicazione della norma, poiché i controlli sulla qualità degli scarichi dovranno essere effettuati sulla “totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10.000 A.E., i cui scarichi recapitano in aree sensibili”. Pertanto, sempre secondo la relazione, si potrebbe avere “limitatamente ad alcune situazioni territoriali, ossia agglomerati con carico generato maggiore di 10.000 abitanti equivalenti e scarico in area sensibile, un aumento del numero degli impianti di depurazione da sottoporre a monitoraggio” che “si tradurrebbe in un aumento del numero di campioni da prelevare e sottoporre ad analisi per verificare il rispetto dei valori limite”.

Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 91/271/CEE, gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello standard “per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti”. La relazione illustrativa sottolinea quindi che “secondo la direttiva, dunque, per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, l’elemento discriminante per l’applicazione dei limiti di emissione previsti non è la potenzialità dell’impianto, bensì il carico inquinante generato dall’agglomerato, espresso in abitanti equivalenti”.

La medesima relazione ricorda che il riferimento nella Tabella 2 alla potenzialità dell’impianto in A.E. - che è stato contestato (benché solo informalmente) dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (procedure d’infrazione 2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059) - ha “determinato, in diversi casi, una non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE”.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che le eventuali ulteriori attività di monitoraggio e controllo – come specificate nel corso dell’esame in sede referente - derivanti dall’estensione operata dal comma 1, sono svolte con le risorse disponibili a legislazione vigente, nei limiti delle disponibilità di bilancio degli organi di controllo e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

La relazione illustrativa chiarisce che gli eventuali oneri connessi alle ulteriori attività, “trattandosi di attività che rientrano nella gestione degli impianti di depurazione, saranno coperti con i proventi derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Si ricorda, in proposito, che la richiamata norma dispone, tra l’altro, che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga».

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto il comma 2-bis, che prevede che dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare effetti sulle materie disciplinate ai sensi dell’articolo 92 del citato decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, né conseguenze sull’applicazione del medesimo articolo 92 in relazione ai limiti di utilizzo di materie agricole contenenti azoto, in particolare degli effluenti zootecnici e dei fertilizzanti, nelle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.

L’articolo 92 del D.lgs. 152/06 disciplina l’individuazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, secondo i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I alla parte terza del medesimo decreto legislativo. In particolare, l’Allegato 7/A-I considera zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi.

Ai fini di una prima individuazione sono state designate quali zone vulnerabili determinate aree elencate nel medesimo Allegato 7/A-III.

Ogni quattro anni sono aggiornati, rispettivamente, i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I con decreto del Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza Stato-regioni, e l’elenco delle zone vulnerabili da parte delle regioni, sentita l’Autorità di Bacino (commi 1-5).

Nelle zone individuate devono essere attuati specifici programmi di azione per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999 (pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999) (comma 6).

I Programmi di azione sono obbligatoriamente definiti dalle regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui al citato Allegato 7/A-IV (comma 7). Le regioni riesaminano e, se del caso, rivedono i citati programmi d'azione obbligatori per lo meno ogni quattro anni (comma 8-bis).

Con il decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali del 19 aprile 1999 (codice di buona pratica agricola), emanato ai sensi della Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, sono stati definiti specifici obiettivi al fine di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo l'impatto ambientale dell'attività agricola attraverso una più attenta gestione del bilancio dell'azoto.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 112, comma 2, del cd. Codice dell’Ambiente prevede che le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con un decreto del Ministro delle politiche agricole, di concerto con i Ministri dell'ambiente, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del Codice. Conseguentemente, è stato emanato il D.M. 25 febbraio 2016 che, nel Titolo V, contiene le norme per l’utilizzazione agronomica in zone vulnerabili da nitrati.

In tale ambito, l’art. 35 del medesimo D.M. 25 febbraio 2016 stabilisce che le previsioni del citato Allegato 7 alla Parte Terza del Codice dell’Ambiente siano integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo Titolo V, e che i programmi di azione regionali previsti dall’art. 92 del d.lgs. 152/2006, siano conformi alle disposizioni di cui al medesimo Titolo V, che integra l'Allegato 7, parte A-IV della Parte Terza del medesimo decreto.

 

Procedure di contenzioso

La modifica prevista dall’articolo 11 mira a garantire una corretta applicazione dell'articolo 5 della direttiva 91/271/CEE che prevede che il trattamento più spinto del secondario per le aree sensibili debba essere applicato a tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti (A.E).

Come si evince anche dalla relazione del Governo, la norma riguarda una questione - il riferimento nella citata Tabella 2 del decreto legislativo 152/2016 alla “Potenzialità impianto in A.E.” – che non è oggetto di una procedura di infrazione, ma che è stata contestata solo informalmente dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059), sulle quali la norma non incide.

 

In particolare, nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2034, il 10 aprile 2014 la Corte di giustizia europea (Causa C-85/13) ha dichiarato che l’Italia, avendo omesso di adottare le disposizioni necessarie per garantire che in alcuni agglomerati[22] aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili» ai sensi della direttiva 91/271, come modificata dal regolamento n. 1137/2008, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente, conformemente all’articolo 5 di detta direttiva è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti.

 

Tale sentenza segue quella del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) relativa alla procedura di infrazione 2004/2034, con la quale la Corte europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per non avere predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti entro il termine del 31 dicembre 2010, come previsto dalla direttiva 91/271/CE.

Poiché l’Italia non ha dato esecuzione alla sentenza del 2012, l’8 dicembre 2016 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia, ex art. 260 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), chiedendo contestualmente che venga comminata una sanzione forfettaria di 62.699.421,40 euro, ed una sanzione giornaliera pari a 346.922,40 euro qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emetterà la sentenza.

 

Con riferimento ad ulteriori agglomerati urbani risultanti non conformi alla direttiva 91/271/CEE, è in corso un’altra procedura di infrazione (2014/2059), nell’ambito della quale la Commissione europea ha inviato il 26 marzo 2015 un parere motivato ex art. 258 TFUE. Con riferimento all’articolo 5, la Commissione contesta nuovamente la mancanza o l’insufficienza di informazioni relative agli impianti serventi aree sensibili e bacini drenanti di aree sensibili.

 

 

 


Articolo 11-bis
(Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell’uso di borse di plastica in materiale leggero. Procedura di infrazione n. 2017/0127)

 

L’articolo 11-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, reca una disciplina volta alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica (c.d. shoppers) in materiale leggero, allo scopo di attuare la direttiva (UE) 2015/720. Le disposizioni riproducono quelle contenute nello schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 357), che non è stato definitivamente adottato.

Si ricorda che la delega per l’emanazione del citato schema di decreto è stata conferita dall’art. 4 della legge 12 agosto 2016, n. 170 (legge di delegazione europea 2015), che ha disciplinato le modalità e i termini per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, inclusa nell’allegato B della medesima legge, e dettato princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega per il suo recepimento, che si aggiungono ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'art. 1, comma 1, della legge medesima, in quanto compatibili.

Lo schema di decreto legislativo, sul quale le competenti Commissioni parlamentari hanno espresso il parere, è stato notificato alla Commissione europea (v. infra). Essendo nel frattempo scaduti i termini per l’esercizio della delega e in considerazione del mancato recepimento della direttiva, è stata aperta la procedura di infrazione 2017/0127.

Si segnala altresì che una nuova delega per il recepimento della direttiva (UE) 2015/720 è contenuta nell’art. 12 del disegno di legge di delegazione europea 2016 (Atto Senato n. 2834).

 

L’articolo 11-bis integra le finalità della disciplina degli imballaggi, al fine di favorire livelli sostenuti di riduzione dell’utilizzo di borse di plastica, introduce nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica, necessarie per l’applicazione della nuova disciplina, in cui rientrano quelle riguardanti le borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero, nonché le borse di plastica biodegradabili e compostabili. Ulteriori disposizioni riguardano: le informazioni che devono essere rese ai consumatori; l’apposizione di diciture identificative delle borse commercializzabili da parte dei produttori; gli obblighi di relazione alla Commissione europea circa l’utilizzo di borse di plastica; l’organizzazione di campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull’impatto delle borse di plastica sull’ambiente; l’introduzione di una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica e di sanzioni per chi viola tali disposizioni. Sono infine abrogate le norme vigenti per finalità di coordinamento con l’introduzione della nuova disciplina.

Di seguito si dà conto delle disposizioni previste dall’articolo in esame, che si configurano, in gran parte, come modifiche e integrazioni alla disciplina sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio contenuta all’interno del titolo II (Gestione degli imballaggi), costituito dagli articoli 217-226, della parte IV del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

Per una ricostruzione articolata della normativa vigente si rinvia invece alle premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” contenuta nel dossier relativo al citato Atto del Governo n. 357.

Comma 1, lettera a)
(Nuove finalità della disciplina relativa agli imballaggi)

La lettera a) aggiunge, alle finalità sottese alla disciplina degli imballaggi (contenuta nel titolo II della parte IV del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente) quella di favorire livelli sostenuti di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica, che integra più specificamente l’obiettivo collegato alla prevenzione e alla riduzione dell’impatto sull'ambiente degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.

Tale precisazione viene introdotta mediante una modifica integrativa all’art. 217, che contempla ulteriori finalità cui deve tendere la disciplina della gestione degli imballaggi, vale a dire: assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato, nonché per evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza e garantire il massimo rendimento possibile di imballaggi e rifiuti di imballaggio.

La modifica recata dalla lettera in esame corrisponde all’obiettivo, previsto dalla direttiva 2015/720/UE, in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’art. 1, punto 2), della direttiva 2015/720/UE).

A differenza della direttiva, la norma in esame fa riferimento alla finalità della riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in generale, e non solo a quelle in materiale leggero.

 

Un’ulteriore modifica recata dalla lettera in esame (sempre riferita all’art. 217 del D.lgs. 152/2006), di carattere formale, integra il riferimento alla direttiva 2015/720/UE tra le modificazioni apportate alla direttiva 94/62/CE.

Comma 1, lettera b)
(Nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica)

La lettera b) aggiunge nuove definizioni, relative agli imballaggi in plastica, a quelle contemplate dall’art. 218 del D.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che si rendono necessarie ai fini dell’applicazione della nuova disciplina sulla gestione degli imballaggi (nuove lettere da dd-bis) a dd-octies) del comma 1 dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006).

Tali definizioni corrispondono per lo più a quelle recate dai punti 1-bis), 1-ter), 1-quater), 1-quinquies) e 1-sexies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotti dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Definizione di “plastica”

La nuova lettera dd-bis) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di plastica, intesa come un polimero a cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze e che può funzionare come componente strutturale principale delle borse.

Tale definizione è identica a quella prevista dal punto 1-bis) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per la definizione di polimero la norma rinvia a quella contenuta nell’art. 3, punto 5), del regolamento (CE) n. 1907/2006 (concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, c.d. regolamento REACH), di carattere prettamente chimico: in base a tale definizione, infatti, un polimero è una sostanza le cui molecole sono caratterizzate dalla sequenza di uno o più tipi di unità monomeriche. Tali molecole devono essere distribuite su una gamma di pesi molecolari in cui le differenze di peso molecolare siano principalmente attribuibili a differenze nel numero di unità monomeriche.

Borse di plastica e borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero e commercializzazione delle stesse

Le successive lettere dd-ter), dd-quater e dd-quinquies) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, introdotte dalla lettera in esame, definiscono le borse di plastica, nonché le sottocategorie delle borse di plastica in materiale leggero (con spessore inferiore a 50 micron, pari a 0,05 millimetri) e ultraleggero (con spessore inferiore a 15 micron, pari a 0,015 millimetri) riproducendo le analoghe definizioni recate dai punti 1-ter), 1-quater e 1-quinquies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotte dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per quanto riguarda la definizione di “borse di plastica”, si fa notare che la norma in esame fa riferimento a borse “fornite ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti”, mentre la definizione della direttiva riguarda le borse “fornite ai consumatori nei punti vendita di merci e di prodotti”. Si segnala, in proposito, che tale riferimento ai punti vendita è presente nella lettera dd-octies). Tale lettera infatti, nel definire la commercializzazione delle borse di plastica (attività su cui poi incideranno le misure introdotte dai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del d.lgs. 152/2006), riguarda la fornitura di borse di plastica (contro pagamento o a titolo gratuito) da parte di produttori e distributori, nonché da parte dei commercianti nei punti vendita di merci e prodotti.

 

In merito alla definizione di borse di plastica in materiale ultraleggero si fa notare che essa, in linea con la direttiva, restringe il proprio ambito a quelle “richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi” (la direttiva precisa inoltre “se ciò contribuisce a prevenire la produzione di rifiuti alimentari”; tale parte della norma europea non è riprodotta nella definizione in esame).

La norma sembra far riferimento, in particolare, ai sacchetti di plastica che nei supermercati vengono utilizzati per la frutta e la verdura e ai guanti di plastica usati per riporre tali prodotti nei sacchetti.

 

Si ricorda che, in base alla disciplina degli imballaggi dettata dal D.lgs 152/2006, con il termine di “imballaggio” si intende il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all'utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo.

L’espressione “imballaggio primario” (o imballaggio per la vendita) fa invece riferimento ad un imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore.

Il punto 2) dell'allegato E alla parte quarta del D.lgs. 152/2006 riporta i criteri interpretativi per la definizione di imballaggio ai sensi della direttiva 2004/12/CE ed una serie di esempi illustrativi di quali materiali debbano intendersi imballaggi in base a tali criteri.

Borse di plastica oxo-degradabili

La successiva lettera dd-sexies) riguarda invece le borse di plastica oxo-degradabili, definite come quelle borse di plastica composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti.

Nel 18° considerando della direttiva 2015/720/UE viene sottolineato che “alcune borse di plastica sono indicate dai produttori come «oxo-biodegradabili» o «oxo-degradabili». In tali borse, nella plastica convenzionale sono incorporati degli additivi. Per effetto della presenza di detti additivi, col tempo la plastica si scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. È quindi fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo dal momento che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti ma potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento”.

Si tratta di una posizione che sembra confermare quanto già in precedenza affermato dalla Commissione europea in risposta all’interrogazione parlamentare E-004217/2011.

Borse di plastica biodegradabili e compostabili

La nuova lettera dd-septies) dell’art. 218, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di borse di plastica biodegradabili e compostabili, la cui commercializzazione è sempre consentita. Tale definizione fa riferimento alle borse di plastica certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002. Si tratta di una definizione che non trova corrispondenza nella direttiva 2015/720/UE e che è riferita alle borse di plastica di qualsiasi spessore.

Nella relazione illustrativa allo schema di decreto n. 357 si sottolinea che tale definizione, benché “non esplicitamente enunciata all'articolo l, paragrafo l, della direttiva”, è “indispensabile per una corretta attuazione della nuova disciplina europea”. In proposito, la relazione richiama, in primo luogo, il 16° considerando della direttiva stessa, secondo cui  “la norma europea EN 13432 relativa ai «Requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi» stabilisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per essere considerato «compostabile»: poter essere riciclato attraverso un processo di recupero organico comprendente il compostaggio e la digestione anaerobica” e “la Commissione dovrebbe chiedere al Comitato europeo di normazione di definire una norma distinta per gli imballaggi da compostaggio domestico”. E’, altresì, richiamato il 17° considerando in base al quale “è importante che a livello di Unione vi sia un riconoscimento delle etichette o dei marchi per le borse di plastica biodegradabili e compostabili”.

La direttiva 2015/720/UE fa riferimento ai concetti di biodegradabilità e compostabilità in due punti, peraltro richiamati nella relazione illustrativa dello schema al fine di giustificare l’inserimento della definizione di “borse di plastica biodegradabili e compostabili”.  L’articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 2), a proposito delle misure che gli Stati membri adottano per conseguire una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, ossia delle borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron, specifica, tra l’altro, che tali misure possono variare in funzione delle loro proprietà di compostabilità. L’articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 3), prevede che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione adotta un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali borse. Al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale atto di esecuzione, gli Stati membri assicurano che le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.

Si ricorda che l’art. 2 del D.L. 2/2012 ha escluso dal divieto di commercializzazione i “sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002”. La norma tecnica UNI EN 13432:2002 (intitolata “Imballaggi - Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi”) è la versione ufficiale in lingua italiana della norma tecnica europea EN 13432 (del settembre 2000) che specifica i requisiti e i procedimenti per determinare le possibilità di compostaggio e di trattamento anaerobico degli imballaggi e dei materiali di imballaggio.

L’Allegato II della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, recante i requisiti essenziali concernenti la composizione, la riutilizzabilità e la recuperabilità (in particolare la riciclabilità degli imballaggi), alle lettere c) e d) del punto 3 reca rispettivamente i seguenti requisiti per la recuperabilità degli imballaggi:

-    imballaggi recuperabili sotto forma di composti: si tratta dei rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost, che devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti;

-    imballaggi "biodegradabili": si tratta dei rifiuti di imballaggio biodegradabili di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.

In base a quanto previsto dal paragrafo 2 dell’articolo 9 della citata direttiva, dalla data indicata nell'articolo 22, paragrafo 1, gli Stati membri presumono che siano soddisfatti tutti i requisiti essenziali in essa definiti, compreso l'Allegato II, quando gli imballaggi sono conformi:

a)  alle pertinenti norme armonizzate, i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, prevedendo inoltre che gli Stati membri pubblicano i numeri di riferimento delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate;

b)  alle pertinenti norme nazionali di cui al paragrafo 3, se, per i settori cui si riferiscono tali norme, non esistono norme armonizzate.

Il paragrafo 3 del medesimo articolo 9 prevede che gli Stati membri comunicano alla Commissione i testi delle norme nazionali che considerano conformi ai requisiti di cui all’articolo 9.

Si segnala che, con decisione della Commissione europea del 28 giugno 2001, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 12 luglio 2001, n. L 190, il riferimento alla norma armonizzata EN 13432:2000 dal titolo “Imballaggi – requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione – schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”. Si tratta di una norma tecnica che nasce da un mandato specifico della Commissione europea al CEN (Comitato europeo di normalizzazione)  , che rientra tra gli organismi europei di normalizzazione di cui all’allegato I della direttiva 22 giugno 1998, n. 98/34/CE, relativa alla procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione.

Sui contenuti della norma tecnica citata, in risposta all’interrogazione 4/07537, pubblicata nell’allegato della seduta del 24 settembre 2015, il Ministro dell’ambiente ha richiamato un parere in merito alla nozione di «biodegradabilità» dei sacchi per asporto merci e alla valenza della norma UNI EN 13432:2002 emesso dall’ISPRA. Detto parere ha evidenziato che la norma armonizzata UNI EN 13432:2002, cui si riferisce il decreto ministeriale 18 marzo 2013 (attuativo dell’art. 2 del D.L. 2/2012) per individuare le sole tipologie di sacchetti monouso commercializzabili, «fornisce indicazioni sulla verifica della biodegradabilità dell'imballaggio, nonché della sua capacità di andare incontro a disintegrazione, solo in termini di biodegradazione controllata, di tipo aerobico o anaerobico, presso impianti di trattamento».

Altresì «la capacità di subire una degradazione per effetto di un processo di compostaggio rappresenta un elemento di valutazione della sua biodegradabilità in determinate condizioni, ma non può essere inteso come un criterio di valutazione assoluta. Una plastica può essere infatti biodegradabile ma non compostabile, ovvero potrebbe richiedere tempi di disintegrazione e degradazione più lunghi rispetto a quelli previsti dal processo di compostaggio (...). La norma UNI EN 13432:2002 individua quindi la biodegradabilità del materiale in riferimento ad una specifica modalità di trattamento dello stesso e non nei termini più generali di degradazione in qualsiasi condizione ambientale, quale ad esempio lo smaltimento incontrollato».

Lo stesso Ministro ha ricordato che ISPRA conclude il proprio parere affermando che «quanto riportato nella norma UNI EN 13432.2002, pur rappresentando un criterio di valutazione della biodegradabilità in determinate condizioni e non un criterio assoluto di valutazione della stessa, può comunque costituire un valido approccio di verifica, tenuto conto che l'imballaggio monouso biodegradabile e compostabile è tipicamente destinato, al termine del suo ciclo di vita, agli impianti di trattamento biologico o meccanico-biologico dei rifiuti» e precisando che «gli unici criteri di verifica della biodegradabilità dei sacchi monouso per l'asporto di merci risultano essere quelli stabiliti alla norma UNIEN 13432:2002».

Comma 1, lettera c)
(Informazione ai consumatori)

La lettera c) modifica il comma 3 dell'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, introducendovi nuove disposizioni.

La norma novellata mira a responsabilizzare gli operatori economici - in omaggio ai principi generali "chi inquina paga" e di responsabilità condivisa - facendo sì che essi forniscano agli utenti degli imballaggi, ed in particolare ai consumatori, informazioni: sui sistemi di restituzione, raccolta e recupero disponibili; sul ruolo degli utenti medesimi nel processo di riutilizzazione, recupero e riciclaggio; sul significato dei marchi apposti sugli imballaggi; sugli elementi significativi dei programmi di gestione per imballaggi e rifiuti.

La proposta in esame intende integrare le informazioni che devono essere rese, introducendo i seguenti ulteriori elementi:

1)    l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo (nuova lettera d-bis);

2)    la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili (nuova lettera d-ter);

3)    l'impatto delle borse "oxo-degradabili" (nuova lettera d-quater).

L'articolo 3, par. 1-sexies, della direttiva 94/62/CE definisce le borse di plastica oxo-degradabili come quelle "composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti". La medesima definizione è inserita nel D.Lgs. 152/2006, ad opera del comma 1, lett. b), dell'articolo in esame (nuova lettera dd-sexies) dell'art. 218, comma 1).

L'art. 20-bis, par. 2, della direttiva 94/62/CE rinvia a una relazione della Commissione UE, da elaborare entro il 27 maggio 2017, l’esame dell'impatto dell'uso delle borse di plastica oxo-degradabili sull'ambiente. Il medesimo articolo autorizza anche la Commissione, ove opportuno, a presentare una proposta legislativa in materia. Nel par. 18 delle premesse alla direttiva 2015/720, si specifica che la relazione della Commissione potrebbe comprendere una serie di misure volte a limitare l'utilizzo, o a ridurre l'impatto nocivo, delle borse medesime.

Si ricorda in proposito che il Parlamento europeo, nella propria risoluzione del 14 gennaio 2014 su una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente (2013/2113(INI), par. 7) ha chiesto la proibizione o il graduale ritiro dal mercato, entro il 2020, delle plastiche oxo-biodegradabili in virtù del pericolo che esse costituiscono sia per la salute umana che per l'ambiente.

Comma 1, lettera d)
(Identificazione dei produttori)

La lettera d) aggiunge un ulteriore comma 3-bis all'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale i produttori delle borse di plastica ammesse alla commercializzazione devono apporre su di esse i propri elementi identificativi.

I produttori di  borse di plastica - di cui ai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inseriti dall’articolo in esame – dovranno altresì apporvi "diciture idonee ad attestare che le borse prodotte rientrino in una delle tipologie commercializzabili", fatte salve le certificazioni previste nei predetti articoli.

In particolare, si prevede l'applicazione del disciplinare delle etichette o dei marchi - previsto dall'articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE - alle borse biodegradabili e compostabili.

Di tale disciplinare è prevista l'adozione da parte della Commissione europea entro il 27 maggio 2017 tramite un atto di esecuzione.

Il documento in questione avrà la finalità di garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e di fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle loro proprietà di compostaggio.

L'articolo 8-bis, par. 2, della medesima direttiva 94/62/UE  incarica gli Stati membri di assicurare che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione del disciplinare le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente ad esso.

Comma 1, lettera e)
(Obbligo di relazione sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera e) aggiunge un nuovo articolo 220-bis al D.Lgs. 152/2006, al fine di far fronte all'obbligo, che grava sugli Stati membri ai sensi dell'articolo 4, par. 1-bis, comma 5 della direttiva 94/62/CE, di riferire alla Commissione europea sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero.

La metodologia per il calcolo dell'utilizzo annuale avrebbe dovuto essere adottata tramite un atto di esecuzione della Commissione europea entro il 27 maggio 2016, che non sembrerebbe essere stato adottato come risulta dal sito della Commissione europea.

 

Il comma 1 della nuova norma incarica il Consorzio nazionale degli imballaggi (CONAI) di acquisire dai produttori e dai distributori di borse di plastica i dati necessari ad elaborare una relazione annuale.

Si evidenzia che il testo dell'articolo 220-bis fa riferimento ad una "relazione annuale", mentre l’articolo 4, paragrafo 1-bis della direttiva 94/62/CE prevede che si riferisca "sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero".

In realtà, l'articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 5, della direttiva 94/62/CE specifica che i dati sull'utilizzo annuale di buste di plastica vanno forniti alla Commissione europea contestualmente a quelli sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ex articolo 12 della medesima direttiva. Quest'ultimo specifica -  al paragrafo 5 - che i dati "sono forniti con le relazioni nazionali" relative all'attuazione della direttiva 94/62/CE[23].

 

Il Consorzio nazionale degli imballaggi è stato istituito dall'art. 224 del D.Lgs. 152/2006, con la finalità di raggiungere gli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e di garantire il necessario coordinamento dell'attività di raccolta differenziata. Al consorzio - che ha personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro - partecipano in forma paritaria i produttori assieme agli utilizzatori.

 

Il Consorzio dovrà quindi comunicare i dati in questione alla Sezione nazionale del Catasto rifiuti per via telematica, utilizzando il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) istituito dalla L. 70/1994. Del modello medesimo, peraltro, la norma in esame prevede un'ulteriore modifica, al fine di inserirvi i dati relativi alle borse di plastica.

Si ricorda che la procedura espressamente prevista dall'articolo 6, comma 2-bis, della citata legge n. 70 del 1994, prevede che modifiche ed integrazioni al modello unico di dichiarazione ambientale siano disposte con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Al riguardo, si rileva che, sul piano della formulazione, può essere opportuno prevedere esplicitamente l'adozione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri finalizzato alla modifica in parola ai sensi della previsione normativa in materia.

 

Il Catasto dei rifiuti è disciplinato dall'art. 189 del D.Lgs. 152/2006. E' articolato in una Sezione nazionale, che ha sede a Roma presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e in Sezioni regionali o delle province autonome di Trento o Bolzano presso le corrispondenti Agenzie per la protezione dell'ambiente. E' incaricato di assicurare un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato dei dati acquisiti tramite il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI, v. art. 188-bis del medesimo decreto) in maniera tale che la tracciabilità dei rifiuti sia garantita dalla loro produzione sino alla destinazione finale.

 

In relazione all'ambito applicativo della norma, si prevede che le informazioni raccolte riguardano le buste di plastica la cui definizione è contenuta nel comma 1, lettera b) dell'articolo in esame (a cui si rinvia): borse di plastica (articolo 218, comma 1, lettera dd-ter);  borse di plastica in materiale leggero (articolo 218, comma 1, lettera dd-quater); borse di plastica in materiale ultraleggero (articolo 218, comma1, lettera dd-quinquies); borse di plastica oxo-degradabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-sexies); borse di plastica biodegradabili e compostabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-septies).

 

Il comma 2 specifica che i dati così forniti saranno elaborati dall'ISPRA in attuazione della metodologia di calcolo dell'utilizzo annuale pro capite di borse di plastica e dei modelli di segnalazione adeguati dalla Commissione europea ai sensi del citato articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE.

Dal 27 maggio 2018 i dati relativi all'utilizzo annuale di borse di plastica in materiale leggero saranno comunicati alla Commissione europea con la relazione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio in conformità all'articolo 12 della medesima direttiva.

Si ricorda che l'articolo 12 incarica gli Stati membri di costituire, laddove non esistano ancora, basi di dati armonizzate sugli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio (par. 1), da allegare alle relazioni nazionali (par. 5).

Comma 1, lettera f)
(Campagne informative del CONAI sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera f) integra le funzioni del Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), al fine di aggiungere alla tipologia delle campagne di informazione che tale organismo è chiamato a organizzare in accordo con le pubbliche amministrazioni (articolo 224, comma 3, lett. g), specifiche campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull'impatto delle borse di plastica sull'ambiente.

In particolare, si prevede la diffusione di informazioni riguardanti: l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo; la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili; l'impatto delle borse "oxo-degradabili".

Al riguardo, si fa infatti riferimento al novellato articolo 219 del codice dell'ambiente, per effetto del comma 1, lettera c), dell'articolo in esame.

Comma 1, lettera g)
(Misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica)

La lettera g) introduce una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica (nuovi articoli 226-bis) e 226-ter) del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente).

Divieti di commercializzazione delle borse di plastica (nuovo art. 226-bis del D.Lgs. 152/2006)

Il comma 1 dell’art. 226-bis riprende i divieti di commercializzazione già previsti (ma di fatto mai applicati), per alcuni tipi di borse di plastica, dalla legislazione nazionale vigente (art. 2, comma 2, del D.L. 2/2012).

Si ricorda che il criterio di delega contemplato dalla lettera a) del comma 2 dell’art. 4 della L. 170/2016 prevedeva che venisse garantito il medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie delle borse di plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti.

La direttiva 2015/720/UE, che all’art. 1, punto 2), introduce il paragrafo 1-bis dell’articolo 4 nella direttiva 94/62/CE, nel prevedere l’adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie per una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, ossia delle borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron, dispone che tali misure possono comprendere il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione in deroga all'articolo 18 (il quale vieta agli Stati membri di ostacolare l'immissione sul mercato, nel loro territorio, di imballaggi conformi alle norme dell’UE), purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie.

Secondo la relazione illustrativa allo schema n. 357, tale possibilità di introdurre restrizioni alla commercializzazione deve ritenersi consentita per qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, in base a quanto stabilito dall'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE” (introdotto dal punto 2) dell’art. 1 della direttiva 2015/720/UE). Tale paragrafo prevede che gli Stati membri possono adottare misure tra cui (such as nella versione inglese della direttiva, telles ques nella versione francese della direttiva) strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, fatto salvo quanto prevede l’articolo 15 della direttiva 94/62/CE che consente l’adozione di misure per la promozione degli obiettivi della direttiva da parte del Consiglio o degli Stati membri. La medesima relazione illustrativa precisa che “l'esclusione prevista nel testo originario della direttiva, per cui, sempre rispetto ai sacchi sopra i 50 micron, potevano adottarsi misure di riduzione, ma "with the exception of marketing restrictions", è stata successivamente eliminata e non compare nella versione finale della direttiva europea. A seguito delle modifiche concordate è stata consolidata la versione finale dell'articolo l-ter della direttiva, successivamente validata in sede di trilogo, con la eliminazione della eccezione che escludeva la possibilità per gli Stati Membri di mantenere o introdurre divieti di commercializzazione (ovvero marketing restrictions nella versione inglese) per le borse di plastica con spessore superiore ai 50 micron”. Si fa presente, peraltro, che nel testo della proposta di direttiva approvato dalla Commissione (COM(2013)0761) la disposizione di cui al comma 1-ter non era presente.

 

Dai divieti introdotti restano escluse le borse di plastica biodegradabili e compostabili, cioè – in base alla definizione recata dalla lettera b) dell’articolo in esame – le borse di plastica certificate da organismi accreditati e conformi ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità stabiliti dal Comitato europeo di normazione, ed in particolare  dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002, in linea con quanto già previsto dalla normativa vigente.

Si ricorda che l’art. 2, comma 1, del D.L. 2/2012 esclude dal divieto di commercializzazione i sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati.

 

La seguente tabella schematizza i differenti regimi di commercializzazione delineati dalla norma in esame, che riprendono nella sostanza quelli previsti (seppur mai applicati) dalla legislazione vigente:


Borse di plastica

Spessore (della singola parete)
e caratteristiche

Commercializzazione consentita?

Borse biodegradabili e compostabili

qualunque spessore, certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma EN 13432 recepita con la norma nazionale UNI EN 13432:2002

Borse in materiale leggero

spessore < 50 micron e fornite per il trasporto (lett. b) dell'articolo in esame, capoverso art. 218, comma 1, lett. dd-quater)

ƒ Borse riutilizzabili con maniglia esterna alla dimensione utile del sacco

● spessore > 200 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

● spessore > 100 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

Borse riutilizzabili con maniglia interna alla dimensione utile del sacco

● spessore > 100 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

● spessore > 60 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

Altre borse di plastica non rispondenti alle caratteristiche
     indicate ai punti 3) e 4) della presente tabella

 

A differenza della normativa vigente la norma in esame non fa riferimento all’uso (alimentare o meno) delle borse di plastica, ma al tipo di esercizio che le fornisce come imballaggio per il trasporto, distinguendo tra esercizi che commercializzano (anche) generi alimentari (come ad esempio i supermercati) ed esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

 

Il successivo comma 2 del nuovo art. 226-bis dispone che le borse di plastica commercializzabili, sulla base dei criteri dettati dal comma 1, non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o dalla fattura d'acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite.

Si consideri che il citato paragrafo 1-bis dell’articolo 4 della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE, prevede, tra l’altro, che le misure adottate dagli Stati membri (per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero) includono, tra le opzioni, l’adozione di strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia.

Riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero (nuovo art. 226-ter del D.Lgs. 152/2006)

I commi 1 e 2 dell’art. 226-ter perseguono la riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero, prevedendo che siano commercializzabili solo le borse di plastica “biodegradabili e compostabili” e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile.

Tale obiettivo viene perseguito in maniera progressiva fissando un contenuto di minimo di materia prima rinnovabile (MPR) sempre più elevato al passare del tempo, secondo quanto previsto dal comma 2:

·   dal 1° gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 40%;

·   dal 1° gennaio 2020, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 50%;

·   dal 1° gennaio 2021, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 60%.

 

Si ricorda, anche in relazione a tale disposizione, il disposto dell’art. 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE) in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, che possono comprendere, tra l’altro, restrizioni alla commercializzazione (purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie). Il successivo paragrafo 1-ter consente agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.

 

Il comma 3 contempera i vincoli alla commercializzazione introdotti dai commi precedenti con gli obblighi derivanti dalla normativa a tutela della salute dei consumatori relativa all'utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti.

A tal fine vengono fatti comunque salvi:

·    l’obbligo di conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti (c.d. MOCA), adottata in attuazione dei regolamenti (UE) 10/2011 (con specifico riferimento alle materie plastiche), (CE) 1935/04 (relativo alla disciplina generale) e (CE) 2023/06 (relativo alle buone pratiche di fabbricazione);

·    nonché il divieto di utilizzare la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare (previsto dall’art. 13 del D.M. 21 marzo 1973).

Il D.M. Sanità 21 marzo 1973 (recante “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale” e pubblicato nella G.U. 20 aprile 1973, n. 104, S.O.) vieta l’impiego, per la preparazione di oggetti in materia plastica destinati a venire in contatto con alimenti, di materie plastiche di scarto e di oggetti di materiale plastico già utilizzati.

 

Il comma 4 disciplina le modalità per la determinazione, da parte degli organismi accreditati, del contenuto minimo di materia prima rinnovabile che le borse di plastica in materiale ultraleggero devono possedere per poter essere commerciabili.

La norma prevede che tale contenuto sia calcolato come rapporto tra la percentuale del carbonio di origine biologica presente nella borsa ed il carbonio totale presente nella stessa, utilizzando lo standard internazionale vigente in materia di determinazione del contenuto di carbonio a base biologica nella plastica ovvero lo standard UNI CEN/TS 16640.

 

Il comma 5, in analogia con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 226-bis per le borse di plastica, introduce il divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ultraleggere.

Si consideri che il paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE consente agli Stati membri di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero dalle misure volte ad assicurare i target annuali di utilizzo delle borse di plastica e dagli strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti. 

Comma 1, lettera h)
(Sanzioni)

La lettera h), novellando l'articolo 261 del d.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente), stabilisce le sanzioni comminate a chi violi le disposizioni contenute negli articoli 226-bis e 226-ter  di nuova introduzione. In particolare, si prevede l'aggiunta di tre ulteriori commi all'art. 216 del D.Lgs. 152/2006[24]:

1)    il nuovo comma 4-bis, che prevede l'introduzione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione delle disposizioni in materia di commercializzazione delle borse di plastica (articolo 226-bis) o di riduzione della commercializzazione delle borse in materiale ultraleggero (articolo 226-ter). In particolare, si prevede il pagamento di una somma da 2.500 a 25.000 euro, sulla scorta di quanto prevede il comma 4 dell’articolo 2 del decreto legge n. 2 del 2012, che viene abrogato dal comma 3 dell’articolo in esame;

2)    il nuovo comma 4-ter, ai sensi del quale la sanzione amministrativa è aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda:

Ø  ingenti quantitativi di buste di plastica;

Ø  oppure un valore di queste ultime superiore al dieci per cento del fatturato del trasgressore;

Ø  nonché qualora i produttori utilizzino diciture o altri mezzi finalizzati ad eludere gli obblighi posti dagli articoli 226-bis e 226-ter.

Anche la disciplina vigente (recata dall’art. 2 del D.L. n. 2 del 2012) dispone che le predette sanzioni si applichino nel caso in cui la violazione dei divieti riguardi quantità ingenti di sacchetti per l’asporto, mentre – a differenza della norma in esame – la fattispecie relativa al superamento del valore della merce rispetto al fatturato del trasgressore è riferita a una percentuale del 20%.

Al riguardo si evidenzia come la prima delle fattispecie aggravanti citate, faccia riferimento ad un paramento – come il riferimento a 'ingenti quantitativi' di buste di plastica – che assume carattere generico.

La relazione illustrativa dell'Atto del Governo n. 357 specifica che si è fatto ricorso all'espressione "ingenti quantitativi" in analogia al vigente articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ai sensi del quale: "Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni".

La relazione rileva che una formula analogamente "aperta" è, inoltre, altresì utilizzata in alcuni articoli del codice penale: la "rilevante gravità" del danno patrimoniale (articolo 61, comma 7) o la "speciale tenuità" del danno o del lucro (articolo 62, comma 4).

3)    il comma 4-quater specifica che le sanzioni introdotte nei due commi precedenti sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 e che gli organi di polizia amministrativa, d'ufficio o previa denunzia, provvedono all'accertamento delle violazioni. Viene esplicitamente fatto salvo il disposto dell'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981.

Il capo I (articoli 1-43) della L. 698/1981 ("Modifiche al sistema penale") è dedicato alle Sanzioni amministrative e vi viene dettato il quadro di riferimento entro cui inquadrare le sanzioni medesime. In particolare l'art. 13 autorizza gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle norme per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro a:

- assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica (comma 1);

- procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti in cui il codice di procedura penale consente il sequestro della polizia giudiziaria (comma 2).

Ai sensi del comma 4 gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria - oltre a poter anch'essi accertare violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro - possono altresì procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo in cui le perquisizioni dovranno essere effettuate. Tale possibilità è prevista "quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova.

Sono fatti comunque salvi gli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti (comma 5).

 

Comma 2
(Disposizioni finanziarie)

La norma reca la clausola di invarianza finanziaria delle disposizioni dettate dall'articolo in esame.

Comma 3
(Disposizioni finali)

La norma dispone l'abrogazione, a decorrere dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, della disciplina vigente relativa al divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci (che tuttavia non ha mai trovato una concreta applicazione), contenuta nelle seguenti disposizioni:

·     commi 1129, 1130 e 1131 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006.

·     art. 2 del decreto-legge n. 2 del 2012.

Per un esame dei contenuti delle disposizioni abrogate, si rinvia alla disamina contenuta nella premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” al dossier relativo allo schema n. 357.

 

Procedure di contenzioso

Con riferimento alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, l'articolo 4 della legge di delegazione europea 2015 (n. 170 del 2016) ha conferito la delega il Governo ad adottare, entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore (avvenuta il 16/09/2016), uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE.

Lo schema di decreto legislativo relativo alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 9 novembre 2016 e notificato alla Commissione europea, ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535, che impone agli Stati membri di informare la Commissione di ogni progetto di regolamentazione tecnica, prima della sua adozione.

Dalla data di notifica, decorre il termine di tre mesi – prorogabile di ulteriori tre mesi - per l'esame del testo notificato e l'eventuale emanazione di pareri circostanziati, durante il quale lo Stato membro notificante non può adottare la regolamentazione tecnica in questione (stand still).

Il termine di stand still ha comportato l'infruttuosa decorrenza del termine per l'esercizio della delega di cui all’articolo 4 della legge di delegazione 2015. Il rinnovo di tale delega al 31 dicembre 2017 è contenuto nel disegno di legge di delegazione 2016, all’esame del Senato.

Risulterebbe che la Commissione europea ha notificato al Governo un parere circostanziato con il quale verrebbero illustrate le ragioni per le quali le misure di restrizione alla commercializzazione delle borse di plastica con spessore superiore ai 50 micron, contemplate nello schema di decreto legislativo notificato, si porrebbero in contrasto con quanto consentito dalla direttiva sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio. L’adozione del parere circostanziato, oltre a prorogare di tre mesi il termine di astensione obbligatoria (dal 20 febbraio al 18 maggio 2017), comporta  anche l’obbligo di riferire alla Commissione europea sul seguito che il Governo intende dare al parere prima dell’adozione del provvedimento.

Risulterebbe che il Ministero dell’Ambiente, al fin di evitare l’aggravamento della procedura d’infrazione (vedi di seguito), avrebbe valutato due ipotesi: la riproposizione della delega legislativa (come avvenuto con il disegno di legge di delegazione 2016) ovvero l’introduzione in un atto di normazione primaria dei contenuti dello schema di decreto legislativo approvato nel novembre 2016 (come avvenuto con l’articolo aggiuntivo in esame dell’VIII Commissione).

Nel frattempo, per il mancato recepimento della direttiva 2015/720 nei termini previsti (27 novembre 2016), è stato comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, con lettera di costituzione in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, in data 23 gennaio 2017. L'Italia è stata quindi invitata a trasmettere le proprie risposte nel termine di due mesi, entro il 24 marzo 2017, alla Commissione europea, in ordine al recepimento della direttiva 2015/720.

Il 14 giugno 2017 la Commissione europea ha emesso un parere motivato ex art. 258 TFUE.

 

 


Articolo 12
(Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234)

 

L'articolo 12 reca modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"). La ratio di queste modifiche - specifica la relazione illustrativa - è, da un lato, assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea, dall'altro garantirne il corretto e tempestivo recepimento.

In particolare, la lettera a) propone - mediante l'inserimento di una nuova lettera e-bis) del comma 7 dell'articolo 29 - che nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione europea sia inserito l'elenco delle direttive dell'UE che delegano alla Commissione europea il potere di adottare atti di cui all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cd. "direttive deleganti").

 

Si ricorda che ai sensi dell'articolo 290 del TFUE "un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere". Il controllo spetta al legislatore dell'Unione (Parlamento europeo e Consiglio), in considerazione del fatto che con la delega il legislatore medesimo ha conferito alla Commissione il potere di elaborare atti che avrebbe potuto adottare esso stesso. L'art. 290, par. 2, prevede le seguenti forme di controllo, attivabili appunto dal Parlamento europeo o dal Consiglio:

1)    diritto di revoca: provvedimento eccezionale, che priva in maniera generale ed assoluta la Commissione dei poteri delegati e può essere motivato, ad esempio, dal sopraggiungere di elementi tali da rimettere in causa il fondamento medesimo della delega;

2)    diritto di obiezione (o "opposizione"), censura specifica rivolta contro un atto preciso.

Nell'aprile 2016 la questione degli atti delegati è stata oggetto di una Convenzione d'intesa, allegata all'Accordo interistituzionale "Legiferare meglio". Anche al fine di arginare le ricorrenti accuse di eccessiva riservatezza del processo di formazione degli atti delegati, si è prevista: la partecipazione all'elaborazione di esperti delegati dagli Stati membri (articoli 4-7); la possibilità, per Parlamento europeo e Consiglio, di partecipare con propri esperti (articolo 11); la divulgazione periodica di elenchi indicativi degli atti delegati previsti (articolo 9).

Peraltro le Commissioni permanenti del Senato della Repubblica hanno in più occasioni rilevato, nelle proprie risoluzioni, elementi di criticità nell'applicazione pratica del sistema di delega, relativi a:

1)     indeterminatezza temporale: lo schema di deleghe prive di scadenza temporale, anche se modificabili ricorrendo a opposizione o revoca, è ricorrente nelle proposte legislative della Commissione europea. Sin dal 2010 la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) ha rilevato l'incongruenza di questa impostazione con il disposto letterale del TFUE. Si ricorda, ad esempio, la risoluzione Doc XVIII, n. 66, della XVI Legislatura[25]. Nella citata Convenzione d'intesa sugli atti delegati è esplicitamente stabilito: "L'atto di base può autorizzare la Commissione ad adottare atti delegati per un periodo determinato o indeterminato" (articolo 16). Nel caso di deleghe a tempo determinato - prosegue l'articolo 17 - "l'atto di base dovrebbe prevedere in linea di principio il rinnovo automatico e tacito della delega per periodi di autentica durata". Resta aperta la questione se un accordo tra le istituzioni comunitarie possa, ed in che misura, modificare il dettato del TFUE;

2)    incidenza su elementi essenziali del documento legislativo in via di approvazione (indeterminatezza della portata). Il TFUE vieta esplicitamente di incidere, tramite delega legislativa, su elementi essenziali del documento legislativo. Nel gennaio 2013 l'eccessiva ampiezza della delega è stato uno dei motivi alla base dell'adozione di un parere motivato sulla sussidiarietà da parte della 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica (si veda la risoluzione di cui al Doc XVIII, n. 183 della XVI Legislatura). Recentemente anche la 9a Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha di nuovo rilevato l'indeterminatezza della portata in un parere motivato ai sensi del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona (Doc XVIII, n. 185, 1° marzo 2017).

L'informativa della quale la disposizione prevede l'inserimento nella legge di delegazione europea andrebbe a colmare una lacuna informativa, in quanto gli atti delegati, non avendo natura legislativa, non sono oggetto di trasmissione ai Parlamenti nazionali ai sensi dei Protocolli 1 e 2 allegati ai Trattati.

Questa trasmissione, negli auspici del Governo, dovrebbe consentire di individuare, con il necessario anticipo, gli atti sui quali intensificare la collaborazione Governo-Parlamento e che dovrebbero essere recepiti nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo.

La lettera b), infatti, consente una formula di recepimento diversa -  con la formula del decreto ministeriale - per gli atti delegati aventi un contenuto meramente tecnico.

La norma prevede infatti di inserire - in fine del comma 6 dell'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - il rinvio alla disciplina di cui all'articolo 36 "per il recepimento degli atti delegati dell'Unione europea che recano meri adeguamenti tecnici".

L'articolo 36, a sua volta, stabilisce il ricorso al decreto del Ministro competente per materia per dare attuazione alle norme dell'Unione europea non autonomamente applicabili.

Spetta al Ministro che emana il decreto darne "tempestiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari europei".

Nella relazione illustrativa si specifica ulteriormente che gli atti a cui si fa riferimento sono di contenuto tecnico e spesso si limitano a modificare gli Allegati di atti vigenti. Per questo motivo il termine per il loro recepimento è tipicamente molto breve: sette mesi in media, con casi in cui il termine è stato fissato a quindici giorni. Seguire anche per questi atti la via del recepimento parlamentare - che prevede l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti - potrebbe determinare il rischio, a detta della relazione illustrativa, dell'apertura di una procedura di infrazione. Il Governo calcola infatti che il meccanismo della delega legislativa richieda in media sei mesi per il suo completamento.

 

 

 


Articolo 12-bis
(Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE)

 

L’articolo 12-bis, introdotto dalla XIV Commissione nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni ai fini dell’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE per l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori e ai componenti di sicurezza per ascensori.

Si ricorda che la direttiva 2014/33/UE è parte di un pacchetto di provvedimenti adottati a livello europeo per l'adeguamento della legislazione relativa ad alcuni prodotti al nuovo quadro normativo generale comune in materia di certificazione di conformità e commercializzazione dei prodotti, costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008 e dalla decisione n. 768/2008/UE. La citata direttiva ha proceduto alla rifusione delle norme contenute nella Direttiva 95/16/CE, che nel tempo ha subito modifiche e necessita di ulteriori aggiornamenti e modificazioni. Il D.P.R. n. 162/1999 reca il Regolamento contenente norme per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE, relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori, nonché per l'esercizio degli ascensori, c.d. “Regolamento ascensori”).

L'ambito di applicazione della direttiva riguarda gli ascensori quali prodotti finiti solo dopo essere stati installati in modo permanente in edifici o costruzioni e i componenti di sicurezza per ascensori nuovi prodotti da un fabbricante nell'Unione oppure componenti di sicurezza nuovi o usati importati da un Paese terzo. A tal fine essa ha introdotto:

1. misure volte ad affrontare il problema della non conformità, tra cui l'enunciazione di dettagliati obblighi essenziali di sicurezza e di corretta prassi costruttiva anche nella fase della progettazione;

2. il principio per cui gli operatori economici sono responsabili della conformità dei prodotti, in funzione del rispettivo ruolo che rivestono nella catena di fornitura; qualsiasi operatore economico che immetta sul mercato un ascensore o componente con il proprio nome o marchio commerciale oppure lo modifichi, così da incidere sulla conformità alla Direttiva, è considerato il fabbricante e si deve assumere i relativi obblighi;

3. norme concernenti la tracciabilità durante l'intera catena di distribuzione, in modo che ogni operatore economico sia in grado di informare le autorità in merito al luogo di acquisto del prodotto e al soggetto al quale è stato fornito;

4. misure volte a garantire la qualità dell'operato degli "organismi di valutazione della conformità"(OVC), con l'indicazione di criteri stringenti relativi in particolare alla loro indipendenza ed alla competenza nello svolgimento della loro attività;

5. Il sistema di valutazione della conformità viene completato dal sistema di accreditamento degli organismi di valutazione della conformità di cui al Regolamento CE n. 765/2008.

Il D.P.R. n. 23/2017 ha novellato il D.P.R. n. 162/1999, attuativo della precedente direttiva nella medesima materia (la citata Direttiva 95/16/CE), introducendo modifiche alle disposizioni vigenti riferite ai requisiti degli ascensori e dei relativi componenti di sicurezza, agli adempimenti degli operatori privati interessati e alle relative procedure e alla disciplina dei compiti ed adempimenti riferiti alle amministrazioni pubbliche.

Si ricorda, in proposito, che il D.P.R. n. 162/1999 era stato già modificato dal D.P.R n.214/2010 per la parziale attuazione della direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori, nonché dal D.P.R. n. 8/2015 per chiudere la procedura di infrazione 2011/4064 ai fini della corretta applicazione della direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi nonché della relativa licenza di esercizio.

Più in dettaglio, l’art. 12-bis, al co. 1, prevede che il certificato di abilitazione di cui all’art. 15, co. 1, del D.P.R. n. 162/1999:

§  è valido su tutto il territorio nazionale;

Al riguardo, si ricorda che l’art. 15, co. 1, del citato D.P.R. n. 162/1999, come modificato dal D.P.R. n. 23/2017, dispone che, ai fini della conservazione dell'impianto e del suo normale funzionamento, il proprietario o il suo legale rappresentante sono tenuti ad affidare la manutenzione di tutto il sistema degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento rispondenti alla definizione di ascensore la cui velocità di spostamento non supera 0,15 m/s a persona munita di certificato di abilitazione o a ditta specializzata, ovvero a un operatore comunitario dotato di specializzazione equivalente che debbono provvedere a mezzo di personale abilitato.

§  è rilasciato dal Prefetto in seguito all’esito favorevole di una prova teorico-pratica innanzi ad un’apposita commissione esaminatrice, nominata dal Prefetto. La commissione si compone di cinque funzionari – almeno uno quali, oltre al presidente, fornito di laurea in ingegneria – in possesso di adeguate competenze tecniche e così designati:

1.    uno dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (che presiede la commissione);

2.    uno dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

3.    uno dal Ministero dello sviluppo economico;

4.    uno dall’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro (INAIL);

5.    uno da un’Azienda sanitaria locale, ovvero dall’ARPA, ove le disposizioni regionali di attuazione del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) attribuiscano a tale Agenzia le competenze in materia.

All’esame teorico pratico sono presenti almeno tre membri della commissione, compreso il presidente.

Ai sensi dell’art. 15, co.1, del citato D.P.R. n. 162/1999, il certificato di abilitazione è rilasciato dal prefetto, in seguito all'esito favorevole di una prova teorico - pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice ai sensi degli articoli 6, 7 (di cui il co. 2 della norma in commento dispone l’abrogazione, v. infra), 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 1767/1951. Numerose, però, sono state le criticità manifestatesi nel settore a seguito della soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario)[26]. Tale D.L. ha infatti previsto che, a decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano.

La norma in commento riproduce quasi integralmente il testo dell’art. 2, co. 1, lettera i), dell’A.G. n. 335, ossia dell’originario schema di D.P.R., recante modifiche al regolamento di cui al D.P.R. n. 162/1999, per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE[27]. La commissione esaminatrice, come delineata dallo schema di decreto nella versione originaria, era composta, anziché da 5, da 4 membri, in quanto nel testo definitivo è stato inserito anche un membro designato dal MISE.

Al riguardo, si ricorda che il parere espresso, in data 12 ottobre 2016, su tale A.G. dalla X Commissione della Camera dei deputati faceva esplicito riferimento alla rivitalizzazione, contenuta nel citato art. 2, co. 1, lettera i), della possibilità di costituire le commissioni d'esame, con riproduzione ed aggiornamento delle relative disposizioni che ne regolano la composizione ed il funzionamento[28].

Il Consiglio di Stato[29] ha però evidenziato l'assenza di base legale di tale rivitalizzazione, sottolineando come la norma in questione non rientri né nel contenuto obbligatorio della direttiva, né in quello facoltativo: l'assenza di una base legale, ad avviso del Consiglio di Stato, non può essere sanata da considerazioni di carattere sistematico, atteso che la disposizione, oltre a disporre l'abrogazione di alcune norme regolamentari, istituisce un nuovo organismo collegiale, non previsto da fonti primarie in conflitto con la legislazione vigente in materia[30].

Di qui l’esigenza, evidenziata nel predetto parere della X Commissione, di provvedere “ad accelerare il ripristino di organi o istituzioni competenti in materia di rilascio dei menzionati certificati di abilitazione”[31].

 

Si rammenta altresì che l’art. 03 del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) ha demandato alle future leggi regionali e delle province autonome, per lo svolgimento delle attività di interesse regionale e delle attività tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale, l’istituzione rispettivamente Agenzie regionali e provinciali, attribuendo ad esse o alle loro articolazioni territoriali anche l'attrezzatura e la dotazione finanziaria dei servizi delle unità sanitarie locali..

Il comma 2 disciplina lo svolgimento delle sessioni d’esame, la cui data e la cui sede di svolgimento sono determinate dal prefetto del capoluogo di regione, il quale può disporre apposite sessioni di esame che raccolgono tutte le domande presentate nella regione, al fine di razionalizzare le procedure finalizzate al rilascio del certificato di abilitazione. Il prefetto, nell’esercizio di tale potere, tiene conto del numero e della provenienza delle domande pervenute, previe intese con gli altri Prefetti della regione.

Il comma 3  dispone l’abrogazione degli artt. 6 e 7 del D.P.R. n. 1767/1951, dedicati, rispettivamente, alla commissione per l'abilitazione del personale di manutenzione, nominata dal prefetto, e alla domanda di abilitazione per il personale di manutenzione.

Sulla soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012), v. supra.

Si evidenzia al riguardo che l’originario schema di D.P.R. (A.G. n. 335), all’art. 2, co. 1, lett. i), faceva altresì salvi gli effetti degli artt. 8 e 9, dedicati, rispettivamente, alla prova teorico-pratica da sostenersi dinanzi alla commissione e al certificato di abilitazione. Tale riferimento non compare più nella versione definitiva, dovendo le relative disposizioni ritenersi assorbite dalle norme di cui all’art. 1 della norma in commento.

Il comma 4 autorizza il Governo ad emanare un regolamento di modifica del D.P.R. n. 162/1999, sulla base delle previsioni recate dai precedenti commi dell’articolo, disponendo l’abrogazione dei co. 1 e 2 dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.

 

 

 


Articolo 13
(Modifiche alla legge 21 luglio 2016, n. 145 in materia di
trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna)

 

L’articolo 13, modificato in sede referente, novella l’articolo 17 della legge n. 145 del 2016 (Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali) inserendovi due ulteriori commi finalizzati a disciplinare il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE), come le missioni istituite nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune o gli uffici dei Rappresentanti speciali UE.

 

La disposizione in commento era presente, sebbene non nella forma della novella all’articolo 17 della legge n. 145/2016, nella formulazione originaria del disegno di legge europea 2017 (AC 4505).

 

Il comma 1 dispone che all’articolo 17 della legge 21 luglio 2016, n. 145 dopo il comma 1 siano inseriti due ulteriori commi.

 

Il nuovo comma 2 dell’articolo 17 prevede che l’indennità di missione, corrisposta dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale al personale estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio di azione esterna, si calcola in conformità ai commi 2, 3, 4 e 6 dell’articolo 5 della medesima legge n. 145/2016.

 

La relazione introduttiva al disegno di legge europea 2017, in riferimento a tale disposizione, evidenzia come l’intervento normativo di cui al comma 1 si è reso necessario in ragione dell’innovazione normativa sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali introdotta dalla richiamata legge 145 del 2016.

In precedenza, come da ultimo con il decreto-legge 16 maggio 2016, n. 67, il trattamento delle figure esterne alla Pubblica Amministrazione impegnate - attraverso il Servizio di azione esterna della UE - in iniziative e missioni nell’ambito della Politica europea di sicurezza e difesa comune, ovvero negli uffici dei Rappresentanti speciali dell’Unione europea, è stato regolato nella misura dell’80% dell’indennità di servizio all’estero, quale prevista dall’articolo 171 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18 recante ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri.

La nuova normativa quadro sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali ha previsto tra l’altro, all’articolo 5, che l’indennità di missione al personale partecipante - nell’ambito delle risorse afferenti al fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di cui all’articolo 4 della medesima legge 145 del 2016 - venga ricalcolata in base al comma 2 dello stesso articolo 5, “al netto delle ritenute, detraendo  eventuali indennità e contributi corrisposti allo stesso titolo agli interessati direttamente dagli organismi internazionali”. Il comma 2 dell’articolo 5 prevede dunque che l'indennità di missione sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per la località di  destinazione, nella misura del 98 per cento o nella misura intera, incrementata del 30 per cento se il personale non usufruisce a qualsiasi titolo di vitto e alloggio gratuiti.

In base al successivo comma 3, con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del fondo per le missioni internazionali a favore delle missioni deliberate - secondo la procedura stabilita agli articoli 2 e 3 della nuova normativa quadro, si può stabilire, per alcuni teatri operativi di particolare disagio ambientale, che la relativa indennità sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per una località diversa da quella di destinazione, tuttavia situata nel medesimo continente. Il comma 4 prevede poi che durante i periodi di riposo o di recupero fruiti in costanza di missione, ma al di fuori del teatro operativo, al personale interessato è corrisposta un’indennità giornaliera pari alla diaria di missione estera percepita.

Infine, il comma 6 prevede la non applicazione del primo comma dell’articolo 28 del decreto-legge 223 del 2006 - recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. La non applicazione in questione sottrae alla riduzione del 20 per cento il trattamento economico del personale estraneo alla Pubblica Amministrazione impegnato in missione nel Servizio europeo per l’azione esterna.

 

Il nuovo comma 3 dell’articolo 17 della legge 145 del 2016 subordina la corresponsione del trattamento di missione previsto al precedente nuovo comma 1 all’autorizzazione effettiva, da parte dell’Italia, della partecipazione ad iniziative e missioni del Servizio europeo per l’azione esterna: tale autorizzazione, sulla scorta degli articoli 2 e 3 della legge 145 del 2016, è disposta con deliberazione del Consiglio dei Ministri e autorizzazione delle Camere mediante appositi atti di indirizzo.

 

Si ricorda che con l’articolo 4 del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1 - “Disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa” - sono state dettate disposizioni finalizzate, da parte dell’Italia, a contribuire all’entrata in funzione, a partire dall’aprile 2010, del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE - v. infra), chiamato ad assistere l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della UE, secondo quanto previsto dal Trattato di Lisbona.

 

E’ opportuno rilevare che la formulazione originaria dell’art. 17 disciplinava puntualmente il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE). Nel corso dell’esame presso la XIV Commissione, è stato approvato un emendamento, presentato dalla relatrice, che recepisce l’osservazione inserita nella relazione adottata il 21 giugno scorso dalla Commissione Difesa in merito al disegno di legge europea 2017, intesa ad introdurre direttamente nella legge n. 145/2016 attraverso una novella, la norma di cui all'articolo 13.

 

Si segnala infine che la relazione tecnica al disegno di legge europea 2017, in riferimento all’articolo 13, esclude oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, stante il carattere ordinamentale della norma. Si rileva tuttavia come le nuove modalità di calcolo dell’indennità di missione potrebbero comportare scostamenti, ancorché lievi, nell’entità delle somme che il MAECI dovrà corrispondere al personale estraneo alla Pubblica Amministrazione, ma ciò avverrà solo dopo la deliberazione di ciascuna specifica missione, e dopo il riparto delle relative risorse a valere sul già richiamato fondo per le missioni internazionali.

 

 

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

 

Ai sensi dell’articolo 27 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:

- guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;

- assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;

- presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea;

- rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.

L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.

Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.

L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE. Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:

- allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);

- commercio (Cecilia Malmström);

- cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);

- aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).

A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc) migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).

L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.

Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel Žbogar), diritti umani (Stavro sLambrinidis); Afghanistan (Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar Wigemark); Caucaso del Sud crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel (Michel Dominique Reveyrand-de Menthon); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini); Asia Centrale(Peter Burian).

 

Il Servizio europeo per l’azione esterna

 

Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’articolo 27 del TUE con il compito di:

- assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;

- gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;

- collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.

Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:

- a Bruxelles - personale esperto trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;

- una rete di "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso 143 paesi terzi e organizzazioni internazionali.

Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2017 è pari a circa 650 milioni di euro.

 

 

 

 

Agenzia europea per la difesa

 

L’Agenzia europea per la difesa (European Agency defense - EDA) istituita a Bruxelles nel 2004, ha i seguenti compiti:

- migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;

- promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti;

- rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;

- promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.

Fanno parte dell’Agenzia 27 Stati membri (tutti ad eccezione della Danimarca).

La struttura decisionale dell'EDA è composta da:

- il capo dell'agenzia, responsabile dell'organizzazione e del funzionamento complessivo, è l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini;

- il tavolo di governo: prende le decisioni sul conto dell'agenzia; è composto dai Ministri della difesa degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione europea;

- il Direttore generale: è il capo del personale ed è responsabile della supervisione e della coordinazione delle unità; attualmente è Jorge Domecq.

Per il 2017 l’EDA dispone di un bilancio di 31 milioni di euro.


Articolo 13-bis
(Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea)

 

L’articolo 13-bis, inserito durante l’esame in Commissione, estende la possibilità di avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione anche per la realizzazione e monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea, per la durata degli interventi ed alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Il comma 1, in particolare, dispone che per la realizzazione ed il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ai sensi dell’art. 6 comma 2 della legge n. 125 del 2014 (Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo) le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari possono, nei limiti del predetto finanziamento e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione, per la durata degli interventi e alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo dall’art. 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 (Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo). L’applicazione delle disposizioni del comma in commento agli interventi nei Paesi nei quali l’Agenzia ha proprie sedi è limitata fino al subentro della medesima Agenzia nella responsabilità degli interventi stessi.

 

Il citato articolo 6 della legge 125/2014 disciplina la partecipazione dell'Italia alla definizione delle politiche europee e ai programmi di sviluppo dell'Unione europea (c.d. cooperazione delegata), imponendo l’armonizzazione delle politiche nazionali di cooperazione con quelle dell'Unione europea e la partecipazione alla cooperazione indiretta (comma 2), facendo ricorso di norma all’Agenzia per la cooperazione.

I commi 3 e 4 assegnano la responsabilità delle relazioni in materia di aiuto allo sviluppo con l'Unione europea e con gli strumenti finanziari europei competenti, nonché della definizione e dell'attuazione delle politiche del Fondo europeo di sviluppo (FES) al Ministro degli affari esteri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base degli indirizzi contenuti nel documento triennale di programmazione e di indirizzo di cui all’articolo 12 della medesima legge n. 125/2014.


 

La cooperazione delegata

 

Con l’espressione “cooperazione delegata” si indica, nel quadro del “Codice di condotta dell'UE sulla divisione del lavoro nell'ambito della politica di sviluppo”, una modalità di gestione che consente alla Commissione europea di delegare fondi ad uno Stato membro per l'esecuzione di programmi di cooperazione a seguito della firma di appositi “accordi di delega” e, a loro volta, agli Stati membri di trasferire risorse alla Commissione stessa attraverso la firma di “accordi di trasferimento”, il tutto al fine di favorire una maggiore concentrazione ed efficacia degli aiuti in quei Paesi partner e settori nei quali più evidente è il valore aggiunto di un donatore specifico, in un'ottica di reciprocità e massimizzazione dell'efficacia dell'aiuto.

 

 

Il richiamato articolo 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 recante Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo prevede che l’Agenzia realizzi e monitori in loco le iniziative di cooperazione all’estero mediante:

a)  il proprio personale destinato alle sedi all'estero;

b)  l'invio in missione di dipendenti propri o di altre amministrazioni pubbliche;

c)  personale non appartenente alla pubblica amministrazione mediante l'invio in missione o la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato, disciplinati dal diritto locale, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano.

 

Il comma 2 dell’articolo 13-bis in commento stabilisce che il controllo della rendicontazione degli interventi di cui al precedente comma 1 può essere effettuato da un revisore legale o da una società di revisione legale, entrambi da individuarsi nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (di cui al Dlgs. 18 aprile 2016, n. 50) con oneri a carico del finanziamento dell’Unione europea.

 

Attualmente, a norma dell’art. 4, comma 2 del decreto ministeriale 3 febbraio 2014, al controllo della rendicontazione delle spese in gestione delegata provvede un collegio di tre revisori, uno dei quali, con funzione di presidente, designato dal MAECI tra il proprio personale con qualifica dirigenziale o equiparata, e gli altri designati dal Ministero dell'economia e delle finanze tra dirigenti della Ragioneria generale dello Stato. Ai fini dell’esecuzione degli interventi di cooperazione delegata, il comma 2 mira a rafforzare gli strumenti a disposizione del MAECI per assicurare il controllo sulla rendicontazione prescritto dall'articolo 60, paragrafo 5, comma secondo, del Regolamento (UE, EURATOM) 966/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell'Unione e che, al predetto articolo 60, disciplina la gestione indiretta. Il corretto e tempestivo svolgimento di tale controllo, d’altronde, è essenziale ai fini dell'attuazione degli interventi, condizionando la regolare erogazione dei finanziamenti da parte dell'Unione europea. Il comma 2 in commento consente al MAECI di ricorrere, all'occorrenza, anche a revisori o a società di revisione legali individuati nel rispetto del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e con oneri a carico del finanziamento dell'Unione europea.

 

 

 


Articolo 14
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

L'articolo 14 reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge, fatta eccezione per l'articolo 4 (disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato), l'articolo 7 (agevolazioni fiscali per le navi iscritte nel Registro internazionale di altri Stati membri) e l'articolo 8 (trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera).

 

Si ricorda che l’articolo 14, nella formulazione originaria, includeva - tra le eccezioni alla clausola di invarianza finanziaria - l’articolo 5 del disegno di legge in materia di rimborsi IVA. Per effetto della soppressione dell’articolo, in recepimento della condizione posta dalla V Commissione Bilancio nel parere sul provvedimento in esame (vedi scheda), il riferimento all’articolo 5 è stato espunto dal testo.

 

Va rammentato che l'articolo 17, comma 6-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 prescrive, per siffatte clausole di neutralità finanziaria, che la relazione tecnica debba riportare la valutazione  degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli  elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza  pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti  nel  bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione, fermo restando che, in ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.

 

 



[1]    Si ricorda che il disegno di legge originario (C. 4505) conteneva 14 articoli, miranti a definire 3 procedure di infrazione e 3 casi di pre-contenzioso (EU-Pilot), a superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito di un caso EU-Pilot, a garantire la corretta attuazione di 2 direttive già recepite nell'ordinamento interno, nonché ad apportare alcune modifiche alla legge n. 234 del 2012.

[2]    Questa direttiva modifica la Direttiva 2001/82/CE (v. infra).

[3]    “Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo”. Si ricorda, che la Banca Dati è stata costituita dal 2005 presso il Ministero della Salute.

[4]    In particolare, i considerando 2) e 23) stabiliscono, rispettivamente, che le normative in materia di produzione e di distribuzione dei medicinali veterinari devono avere come scopo essenziale la tutela della sanità pubblica e che i distributori di medicinali veterinari siano opportunamente autorizzati dagli Stati membri a tenere adeguati registri. L’art. 65, par. 3, della Direttiva, inoltre, prevede che il titolare dell'autorizzazione di distribuzione conservi una documentazione dettagliata, che contenga per ogni operazione in entrata od uscita, almeno le seguenti informazioni: a) data; b) identificazione precisa del medicinale veterinario; c) numero del lotto e di fabbricazione; data di scadenza; d) quantità ricevuta o fornita; e) nome ed indirizzo del fornitore o del destinatario. Almeno una volta all'anno deve essere eseguita una verifica approfondita. Le registrazioni sono tenute a disposizione della competente autorità a fini di ispezione per almeno tre anni. Analoghi obblighi sono previsti per i venditori al dettaglio (art. 66, par. 2), i veterinari (art. 70, par. 1, lett. f)) e addirittura per i proprietari o i responsabili di animali – cui vengono somministrati medicinali veterinari – successivamente destinati alla produzione di alimenti (art. 69, par. 1 e 2). Inoltre, è previsto che gli Stati membri tengono un registro dei produttori e dei distributori autorizzati a possedere sostanze attive che possano essere utilizzate nella fabbricazione dei medicinali veterinari con proprietà anabolizzanti, antiinfettive, antiparassitarie, antinfiammatorie, ormonali o psicotrope. Tutte le transazioni commerciali riguardanti le sostanze che possono venire impiegate per la fabbricazione di medicinali veterinari devono essere registrate in modo dettagliato e devono essere disponibili per i controlli a fini d'ispezione per almeno tre anni (art. 68, par. 2). Infine, il titolare della AIC è chiamato a registrare in modo dettagliato tutti i presunti effetti collaterali negativi verificatisi a seguito dell’uso del medicinale ad uso veterinario, sia nella UE, sia in un paese terzo (art. 75).

[5]    In base alle informazioni contenute nella relazione illustrativa, le attività di aggiornamento della banca dati del Ministero della salute saranno realizzate a valere sulla contabilità speciale 5965 relativa al progetto/intervento “Malattie animali” del Fondo di rotazione per le politiche europee.

[6]    Sul punto la sezione del sito del Ministero della salute “Sperimentazione tracciabilità farmaci veterinari”.

[7]    Articolo 50, Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, del DL.269/2003 (L. 326/2003).

[8]    Dm 2 novembre 2011 e DL. 179/2012 (L. 221/2012), art. 13 e 13-bis.

[9]    In base ai dati forniti dalla relazione tecnica, i soggetti coinvolti sono 8 ASL, 24 veterinari liberi professionisti, 25 grossisti e farmacie e 59 allevamenti (11 avicoli, 41 bovini e 7 suini) di cui 49 in regione Lombardia e 10 in regione Abruzzo.  Nel corso del 2016, altre Regioni e Province autonome (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Sardegna, Umbria, Veneto e Valle D’Aosta) hanno manifestato la volontà di aderire alla sperimentazione.

[10]   Peraltro la Commissione europea, nel chiarire le differenze tra le due fattispecie, richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione circa la descrizione della condotta di “propaganda”, mettendone in luce i contorni più restrittivi rispetto a quelli dell’”istigazione”.

[11]   E' opportuno ricordare che tale decreto è stato adottato su impulso della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia, sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia).

[12]   Fra le leggi speciali che disciplinano la concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di determinate forme di reati intenzionali violenti si segnalano le seguenti:

   legge del 13 agosto 1980, n. 466 – recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);

   legge del 20 ottobre 1990, n. 302 – recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1 e da 3 a 5);

   decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 – recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);

   legge dell’8 agosto 1995, n. 340 – recante norme per l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);

   legge del 7 marzo 1996, n. 108 – recante disposizioni in materia di usura (articoli 14 e 15);

   legge del 31 marzo 1998, n. 70 – recante benefici per le vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);

   legge del 23 novembre 1998, n. 407 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 2);

   legge del 23 febbraio 1999, n. 44 – recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);

   decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);

   legge del 22 dicembre 1999, n. 512 – recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (articolo 4);

   decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;

   legge dell’11 agosto 2003, n. 228 – recante misure contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti-tratta e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;

   decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003 (articolo 1);

   legge del 3 agosto 2004, n. 206 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo 1);

   legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – (legge finanziaria 2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati e ai loro familiari;

    legge del 20 febbraio 2006, n. 91 – recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;

   decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;

   decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 – recante misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.

[13]   Le risorse del FFO sono allocate sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 – Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017–2019, per il 2017 il cap. 1694 reca uno stanziamento pari a € 6.981.890.720.

[14]   Per effetto dell’incremento ora disposto, le risorse allocate sul cap. 1694 per il 2017 diverrebbero, dunque, pari a € 6.990.595.720.

[15]   “L'esame dell'ambito normativo nazionale fa emergere che, certo, l'art. 4, terzo comma, della legge n. 236 prevede esplicitamente la conservazione dei diritti quesiti da parte degli ex lettori di lingua straniera in relazione ai precedenti rapporti di lavoro. Tuttavia, una valutazione delle prassi amministrative e contrattuali poste in essere da alcune università pubbliche italiane consente di concludere nel senso dell’esistenza di situazioni discriminatorie” (cfr. n. 31 della sentenza).

[16]   Tale posizione è stata ribadita, più recentemente, con sentenza 21004/2015.

[17]  Con ordinanza 38/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, ultimo periodo, della L 240/2010, sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La stessa Corte, con successiva ordinanza 99/2013, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

[18]   Per completezza, si ricorda che il Presidente della Repubblica, nella lettera al Presidente del Consiglio che ha accompagnato la promulgazione della L. 240/2010, ha sottolineato l’opportunità che l’articolo 26, “nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale” (che ha sempre riconosciuto, nel settore pubblico, il diritto alla ricongiunzione di tutti i servizi prestati ai fini della definizione dei diritti pensionistici: ad es., v. le sentenze 305/1995, 496/2002 e 191/2008).

[19]   Convenzione internazionale sugli Standard di addestramento, Certificazione e Tenuta della guardia per i marittimi, 1978.

 

[20]   D.Lgs. 27 ottobre 2011, n. 186, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio di sostanze e miscele, che modifica ed abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che modifica il regolamento (CE) n. 1907/2006.

[21]   Qui il Piano nazionale dei controlli sui prodotti chimici 2017.

[22]   Pescasseroli, Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, Udine, Frosinone, Francavilla Fontana, Trinitapoli, Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro e Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto

[23]   Più in dettaglio l'obbligo di relazione sull'attuazione della direttiva 94/62/CE è stabilito dall'articolo 17 della direttiva medesima, in base al quale gli Stati membri presentano una relazione alla Commissione sulla sua attuazione, con inizio a partire dal triennio 1995-1997.

[24]   Inserito all'interno del Capo I ("Sanzioni") del Titolo VI ("Sistema sanzionatorio e disposizioni transitorie e finali"), l'articolo 261 è rubricato "Imballaggi".

[25]   Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di valutazione n. 49/2013, curata nel luglio 2013 dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica. 

[26]   Il Consiglio di Stato, nell’adunanza della commissione speciale del 12 novembre 2013 aveva già espresso un giudizio sfavorevole al mantenimento della commissione, della quale sottolineava la non infungibilità. La competenza in materia di rilascio dei certificati di abilitazione era quindi stata attribuita alle prefetture, molte delle quali, però, non potendo disporre in altro modo delle necessarie professionalità tecniche in grado di svolgere tale esame, avevano sospeso il rilascio delle abilitazioni, con notevoli ripercussioni negative sull'attività di manutenzione degli ascensori, nonché situazioni di incertezza normativa.

[27]   Il citato D.P.R. n. 23/2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 15 marzo 2017

[28]   La norma prevedeva che i componenti fossero in possesso di adeguate competenze tecniche e che almeno due di essi, tra cui il presidente, fossero laureati in ingegneria.

[29]   Nel parere n. 1852 del 6 settembre 2016.

[30]   Il D.P.R. n. 23/2017, pertanto, alla luce delle osservazioni espresse dal Consiglio di Stato, non contempla, nella versione definitiva, le disposizioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. i), dell’A.G. n. 335 relative alla “rivitalizzazione” della commissione esaminatrice, alla sua composizione e al suo funzionamento.

[31]   Il sottosegretario allo sviluppo economico, in occasione della risposta a un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta Crippa 4-06728) presso la X Commissione della Camera dei deputati, aveva già fatto riferimento a un “eventuale intervento normativo risolutivo del problema, ove ritenuto opportuno e necessario”, in occasione delle successive ulteriori modifiche al D.P.R. n. 162/1999.

NormalSegreteria

Casella di testo: LEGGE EUROPEA 2017

Casella di testo: A.C. 4505-A

Casella di testo: luglio 2017

 

Casella di testo: Schede di lettura


 

 

 

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Dossier n. 498/2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

 

§  Introduzione. 1

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE) 11

§  Articolo 2 (Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari per il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE) 14

§  Articolo 2-bis (Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT) 19

§  Articolo 3 (Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST) 24

§  Articolo 4 (Disciplina transitoria di accesso al fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione  n. 2011/4147) 32

§  Articolo 5 (Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080 - SOPPRESSO) 38

§  Articolo 6 (Non imponibilità ai fini IVA di cessioni all'esportazione nei confronti di amministrazioni e soggetti della cooperazione allo sviluppo) 40

§  Articolo 7 (Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU) 43

§  Articolo 8 (Disposizioni relative al riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera. Sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 giugno 2001, causa C-212/99, e del 18 luglio 2006, causa C-119/04 e Caso EU Pilot 2079/11/EMPL) 47

§  Articolo 9 (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129) 54

§  Articolo 9-bis (Modifica dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU Pilot 8443/16/MOVE) 60

§  Articolo 9-ter (Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele) 63

§  Articolo 10 (Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU Pilot 7304/15/ENVI) 65

§  Articolo 11 (Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici) 72

§  Articolo 11-bis (Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell’uso di borse di plastica in materiale leggero. Procedura di infrazione n. 2017/0127) 77

§  Articolo 12 (Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234) 96

§  Articolo 12-bis (Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE) 99

§  Articolo 13 (Modifiche alla legge 21 luglio 2016, n. 145 in materia di trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna) 103

§  Articolo 13-bis (Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea) 108

§  Articolo 14 (Clausola di invarianza finanziaria) 111

 

 


Introduzione

Il disegno di legge europea 2017 recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017" (C. 4505), è stato presentato alla Camera dei deputati il 19 maggio 2017, in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. 

 

Nell’ambito della sessione comunitaria, il 1° giugno 2017 è stato avviato l’esame in sede referente del disegno di legge europea, che si è concluso nella seduta del 5 luglio, con l’approvazione di alcune proposte emendative.

In particolare, sono state apportate modificazioni al testo degli articoli 2, 4, 9, 10, 11, 13 e 14, è stato soppresso l’articolo 5 del disegno di legge e, infine, sono stati inseriti gli articoli aggiuntivi 2-bis, 9-bis, 9-ter, 11-bis, 12-bis e 13-bis. 

Più precisamente, sono stati introdotti 6 nuovi articoli che hanno ad oggetto:

-      le sanzioni amministrative per le violazioni del regolamento 2012/53/UE, come modificato dal regolamento 2015/2120/UE relativo al roaming, su cui sono state avanzate richieste di chiarimenti all’Italia nell’ambito del caso Eu Pilot  8925/16/CNECT (art. 2-bis);

-      la validità dei certificati sanitari della gente di mare, di cui al decreto legislativo n. 71 del 2015 in materia di norme sanitare per la gente di mare, al fine di rispondere alle contestazioni del caso Eu Pilot 8443/16/MOVE circa il non corretto recepimento della direttiva 20008/106/CE (art. 9-bis);

-      ulteriori misure sanzionatorie, integrative del decreto legislativo n. 186 del 2011, per le violazioni in materia di pubblicità del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele (art. 9-ter);

-      la diretta attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE, concernente la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, in merito alla quale pende nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2017/0127 per mancato recepimento nei termini (scadenza: 27 novembre 2016) (art. 11-bis);

-      l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l’esercizio degli ascensori, con specifico riferimento ai certificati di abilitazione (art. 12-bis);

-      specifiche misure per consentire la realizzazione e garantire il monitoraggio degli interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ad opera delle rappresentanze diplomatiche o degli uffici consolari (art. 13-bis).

 

 

 

La legge europea

 

La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea.

L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.

Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.

L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;

d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.

Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).

La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento degli atti dell'Unione europea (ad esempio direttive o decisioni quadro) che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).

Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta.

Da ultimo, si evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2). Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale"

 

Il disegno di legge europea 2017, come modificato in Commissione (C. 4505-A), si compone di 19 articoli che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarlo al diritto europeo.

 

L’articolato contiene disposizioni di natura eterogenea che intervengono, nei seguenti ambiti settoriali: libera circolazione delle merci (artt.1-2-bis); giustizia e sicurezza (artt. 3 e 4); fiscalità (artt. 6 e 7); lavoro (art. 8); tutela della salute (artt. 9-9-ter); tutela dell’ambiente (artt. 10-11-bis); altre disposizioni (artt. 12-14).

 

Il provvedimento è volto a: consentire la definizione di 3 procedure di infrazione e di 5 casi EU Pilot, superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito di 1 caso EU Pilot, garantire la completa e corretta attuazione di direttive già recepite nell’ordinamento interno, introdurre sanzioni per la violazione di norme regolamentari europee, nonché apportare alcune modifiche ordinamentali alla legge n. 234 del 2012[1].

 

In particolare, le seguenti disposizioni sono volte a consentire l’archiviazione di 3 procedure di infrazione pendenti nei confronti dell’Italia.

- procedura di infrazione n. 2011/4147: l’articolo 4 introduce una disciplina transitoria del fondo per l'indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, che estende la possibilità di accedere al fondo a chiunque sia stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005, per completare l’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2004/80/CE.

- procedura di infrazione n. 2017/0129: larticolo 9 interviene sulla disciplina relativa alla sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseine e i caseinati, di cui alla direttiva 2015/2203/UE, prevedendo nuove definizioni e fissando le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti, etichette o documenti commerciali. La procedura di contenzioso si fonda sul mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).

- procedura di infrazione n. 2017/0127: l’articolo 11-bis, inserito in Commissione, detta la disciplina attuativa della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE, concernente la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. Il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 27 novembre 2016; conseguentemente, nei confronti dell’Italia è stato avviato il contenzioso per mancato recepimento nei termini. 

 

Altre disposizioni sono finalizzate a superare le contestazioni mosse all’Italia nell’ambito di 5 casi EU Pilot ed a prevenire il formale avvio di procedure di contenzioso da parte della Commissione europea:

- EU Pilot 8925/16/CNECT: l’articolo 2-bis, inserito in Commissione, introduce un apparato sanzionatorio per la violazione di alcune disposizioni del regolamento n. 2012/531/UE, relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’UE e del regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso ad un’Internet aperta.

- EU Pilot 8184/15/JUST: l’articolo 3 integra le disposizioni penali contro particolari forme ed espressioni di razzismo e xenofobia - negazionismo punendo espressamente le condotte di minimizzazione, approvazione o giustificazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Per dare completa attuazione alla decisione quadro 2008/913/GAI, inoltre, viene introdotta la responsabilità amministrativa anche per le società e gli enti in relazione a tali fattispecie criminose e, in generale, ai reati di razzismo e xenofobia.

- EU Pilot 7060/14/TAXU: per quanto concerne le navi, l’articolo 7 estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII), anche nei confronti di soggetti residenti e non, con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.

- EU Pilot 2079/11/EMPL: l’articolo 8 prevede disposizioni relative al trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera in servizio presso le Università statali. Sono altresì stanziate risorse aggiuntive sul Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali da destinare alla chiusura dei contenziosi in essere, nonché per prevenire quelli futuri, in attuazione delle sentenze della Corte di Giustizia UE del 26 giugno 2001 (C-212/99) e del 18 luglio 2006 (C-119/04), che stabiliscono il diritto dei lettori al trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito commisurato all'impegno orario assolto.

- EU Pilot 8443/16/MOVE: l’articolo 9-bis, inserito in Commissione,  fissa un termine per il rinnovo dei certificati sanitari della gente di mare, di cui al decreto legislativo n. 71 del 2015, al fine di rispondere alle contestazioni circa il non corretto recepimento della direttiva 20008/106/CE.

Inoltre, al fine di sanare una delle contestazioni avanzate nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relativo alla tutela delle acque e monitoraggio delle sostanze chimiche, l’articolo 10 stabilisce specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque, in modo da assicurare l'intercomparabilità dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali.

 

Il disegno di legge europea 2017, come modificato in Commissione, contiene altresì disposizioni che mirano a fornire una completa o corretta attuazione di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale, o a consentire il conseguimento degli obiettivi fissati dalle medesime:

-    per completare l’adeguamento alla direttiva 98/5/CE, larticolo 1 dispone, per l'iscrizione degli "avvocati stabiliti" nell'albo speciale dei patrocinanti innanzi alle giurisdizioni superiori, l'esercizio della professione per almeno 8 anni in uno o più Stati membri, con l'aggiunta dell'ulteriore requisito della proficua frequenza alla Scuola superiore dell'avvocatura.

-    all’articolo 2 si introducono misure in materia di tracciabilità dei farmaci veterinari, al fine di agevolare il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE, quali: l'informatizzazione dei meccanismi di registrazione dei dati di produzione, commercializzazione e distribuzione all'interno della Banca dati del Ministero della salute e la sostituzione del modello cartaceo di ricetta con un modello informatizzato.

-    l’articolo 6 modifica il regime di non imponibilità ai fini IVA delle cessioni all'esportazione effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell'apposito elenco che provvedono al trasporto ed alla spedizione dei beni all'estero in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo. Tale norma mira a garantire l’attuazione della direttiva 2006/112/CE.

- per dare corretta attuazione alla direttiva 91/271/CEE in materia di acque reflue urbane, l’articolo 11 modifica la tabella dei limiti di emissione degli scarichi idrici, con l'effetto di estendere i controlli sulla qualità degli scarichi alla totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10 mila abitanti equivalenti.

- l’articolo 12-bis, inserito in Commissione, dispone l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori nonché per l’esercizio degli ascensori.

 

Come anticipato, nel corso dell’esame in Commissione è stata introdotto nel disegno di legge europea 2017 l’articolo 9-ter recante disposizioni sanzionatorie per la violazione delle norme in tema di pubblicità del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele.

 

Completano il contenuto del disegno di legge all’esame dell’Assemblea, altre disposizioni aventi ad oggetto:

-    all’articolo 12, puntuali modifiche alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, con specifico riguardo alla informativa parlamentare sugli atti delegati adottati dalla Commissione europea (art. 29, comma 7) e al recepimento degli atti delegati a contenuto tecnico mediante decreto ministeriale (art. 31, comma 6);

-    all’articolo 13, il trattamento economico del personale estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna (SEAE), tenuto conto del nuovo regime normativo di partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali introdotto dalla legge n. 145 del 2016;

-    all’articolo 13-bis, inserito in Commissione, le misure per la realizzazione e il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ad opera delle rappresentanze diplomatiche o degli uffici consolari;

-    all’art. 14, la clausola di invarianza finanziaria del provvedimento, fatte salve le disposizioni riguardanti la disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato (art. 4), le agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri di Paesi UE o SEE (art. 7) ed il trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera (art. 8).

 

Le procedure di infrazione

Le procedure di infrazione sono disciplinate dagli articoli 258-260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

L'articolo 258 disciplina le fattispecie in cui la Commissione europea, incaricata dall'articolo 17 del Trattato sull'Unione europea di vigilare sull'applicazione del diritto dell'Unione,  ritenga che vi sia stata una violazione del diritto UE ad opera di uno Stato membro.

La procedura prevede preliminarmente una fase pre-contenziosa, durante la quale la Commissione indirizza allo Stato membro interessato:

1)  una lettera di messa in mora, atto di apertura formale della procedura di infrazione. La Direzione generale competente in materia vi identifica la violazione contestata e pone un termine entro il quale lo Stato può comunicare osservazioni ed argomentazioni di risposta;

2)  un parere motivato, nel caso in cui non pervenga alcuna risposta o quest'ultima sia considerata insoddisfacente. Nel parere si constata la sussistenza della violazione e si invita lo Stato, entro un termine preciso, ad adottare le misure necessarie.

Nel caso in cui lo Stato non si conformi al parere della Commissione può aprirsi la fase contenziosa vera e propria (articolo 258, par. 2), che ha luogo di fronte alla Corte di giustizia. In caso di accertamento, con sentenza, che effettivamente vi è stata un'infrazione del diritto dell'Unione, lo Stato membro interessato dovrà prendere tutti i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza. Qualora ciò non avvenga, la Commissione ha la facoltà di adire nuovamente la Corte di giustizia, chiedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria (articolo 260, paragrafo 2).

Si segnala inoltre che dall'aprile 2008 è attivo "EU Pilot", un sistema di comunicazione tra Commissione europea e Stati membri - basato su un sito Internet - che permette la condivisione informale di informazioni e fornisce agli Stati membri la possibilità di risolvere eventuali infrazioni senza ricorrere alla procedura formale di contestazione prevista dai Trattati.

Qualora la Commissione europea - di propria iniziativa o su segnalazione esterna - ritenga opportuno verificare che il diritto dell'Unione sia applicato in maniera corretta, può inviare una richiesta alle autorità nazionali dello Stato interessato attraverso EU Pilot. Lo Stato membro dispone di un periodo di dieci settimane per rispondere e la Commissione, dal canto suo, effettua una valutazione nelle dieci settimane successive. Nel caso in cui la risposta ricevuta non sia considerata soddisfacente, la Commissione ha facoltà di dare inizio alle procedure di infrazione regolate dai Trattati.

Statistiche della Commissione europea, aggiornate all’anno 2015, confermano un tasso di risoluzione dei casi EU Pilot - in termini di casi chiusi a seguito di risposte soddisfacenti dei Governi nazionali - pari al 75 per cento.

 

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Disposizioni in materia di avvocati stabiliti. Completo adeguamento alla direttiva 98/5/CE)

 

L’articolo 1 modifica la disciplina per l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori riallineandola a quella dettata dalla legge professionale forense per gli avvocati che abbiano conseguito il titolo in Italia.

L’intervento adegua la normativa nazionale alla direttiva 98/5/CE, sul diritto di stabilimento degli avvocati europei in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale (cd. avvocati stabiliti). La direttiva, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, prevede la possibilità di stabilire specifiche disposizioni per l’accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati (art. 5, par. 3).

E’ “avvocato stabilito” il cittadino di uno degli Stati membri dell'Unione europea che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato con il titolo professionale di origine e che è iscritto nella sezione speciale dell'albo degli avvocati (art. 3, comma 1, lettera d), del D.lgs. 96/2001).

Si ricorda che il riconoscimento del titolo di avvocato, così come di altri titoli professionali conseguiti nella UE, per l'esercizio della professione in Italia, è previsto dal decreto legislativo n. 206 del 2007, che ha attuato la cd. direttiva qualifiche 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. L’art. 22, comma 2, del citato decreto stabilisce che il riconoscimento della professione forense è subordinato al superamento di una prova attitudinale, la cui disciplina è recata dal relativo regolamento di attuazione (DM n. 191/2003), previsto all'art. 9 del D.Lgs. 115/1992, attuativo della precedente direttiva (ora sostituito dal D.Lgs. n. 206/2007). 

In particolare, l’articolo 1 riformula il comma 2 dell’art. 9 del D.Lgs. n. 96 del 2001, di recepimento della direttiva europea del 98/5/CE, che attualmente stabilisce che l'avvocato stabilito che voglia iscriversi nella sezione speciale dell'albo dei cassazionisti (ferma restando l'intesa con un avvocato abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni) deve farne domanda al Consiglio Nazionale Forense (CNF) dimostrando di aver esercitato la professione nell’Unione europea per almeno 12 anni, compresi quelli eventualmente già esercitati come avvocato stabilito.

 

Con le modifiche introdotte, la disciplina per l’accesso al patrocinio presso le giurisdizioni superiori da parte degli avvocati stabiliti è uniformata a quella dettata dall’art. 22, comma 2, della legge professionale forense (L. n. 247 del 2012) per gli avvocati abilitati in Italia.

Si ricorda che l’art. 22, comma 2, della legge 247/2012 individua solo uno dei due canali di accesso al patrocinio per le giurisdizioni superiori. Il comma 1 dello stesso articolo prevede che l’avvocato con anzianità di almeno 5 anni d’iscrizione all’albo circondariale forense che abbia superato l'apposito esame annuale per l'iscrizione all'albo speciale per le giurisdizioni superiori (disciplinato dalla legge n. 1003 del 1936 e dalle sue norme di attuazione, R.D. n. 1482 del 1936) può chiedere al CNF l’iscrizione nell'albo speciale.

L’articolo 1, comma 1 del disegno di legge europea:

·    riduce da 12 a 8 anni il periodo minimo di esercizio della professione forense in ambito UE da parte dell’avvocato stabilito ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale dell’albo per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori;

·    aggiunge, agli stessi fini, l’obbligo della lodevole e proficua frequenza della Scuola superiore dell’avvocatura;

 

Si osserva come la sussistenza dell’ulteriore requisito della frequentazione lodevole e proficua della Scuola superiore dell’avvocatura sembra derivare dal semplice superamento della verifica finale di idoneità prevista al termine del corso presso la Scuola (cfr. ultra, Regolamento n. 1/2015 del Consiglio nazionale forense). Detto regolamento non prevede, infatti, specifiche valutazioni di merito inerenti alla prova finale.

 

·    sopprime la disposizione secondo cui alle deliberazioni del Consiglio nazionale forense in materia di iscrizione e cancellazione dalla sezione speciale dell'albo si applica la disposizione di cui all'art. 35 del RDL n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni.

Quest’ultima disposizione del RDL del 1933, come integrata dall’art. 7 del D.Lgs.C.P.S. n. 597/1947, prevede: l’obbligo di motivazione delle deliberazioni in materia di iscrizione e cancellazione dall'albo speciale dei cassazionisti; la comunicazione di tali deliberazioni all'interessato ed al Pubblico Ministero presso la Corte suprema di cassazione con lettera raccomandata A/R.; la possibilità dell’interessato e del P.M. di proporre ricorso entro 30 gg. dalla comunicazione al CNF.

 

Il Regolamento C.N.F 20 novembre 2015, n. 1 stabilisce che l’iscrizione nell’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al CNF dagli avvocati che, avendo maturato una anzianità di iscrizione all’albo di otto anni, successivamente abbiano lodevolmente e proficuamente frequentato il corso organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale Forense, per il tramite della Fondazione Scuola Superiore dell’Avvocatura, sezione “Scuola Superiore dell’Avvocatura per Cassazionisti”. Il regolamento prevede un test selettivo di accesso, superato il quale si accede al corso trimestrale di 100 ore (in ragione, di regola, di 10 ore a settimana) avente ad oggetto diritto processuale civile, diritto processuale penale, giustizia amministrativa, giustizia costituzionale ed orientamenti recenti delle giurisdizioni superiori.

Il corso si articola in un modulo comune (20 ore) ed in un modulo specialistico (80 ore) a scelta, al termine del quale si svolge la verifica finale di idoneità, che ha luogo in Roma, a cadenza annuale. La verifica si articola in una sola prova scritta, consistente nella scelta tra la redazione di un ricorso per cassazione in materia penale o civile o un atto di appello al Consiglio di Stato. La prova è valutata da una Commissione composta da 15 componenti effettivi e 15 supplenti, scelti tra membri del CNF, avvocati iscritti all’Albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, professori universitari di ruolo in materie giuridiche e magistrati addetti alla Corte di cassazione o magistrati del Consiglio di Stato. Nella valutazione della prova, la Commissione tiene conto della maturità del candidato, dell’apprendimento delle materie oggetto del corso, oltre che dell’effettiva padronanza delle tecniche di redazione degli atti di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 in esame detta, poi, una disciplina transitoria secondo cui – alla data di entrata in vigore della legge europea - conservano l’iscrizione nella sezione speciale gli avvocati stabiliti già iscritti, mentre possono chiederla quelli che, alla stessa data, ne abbiano maturato i requisiti.

Anche qui si tratta di un riallineamento all’analoga disciplina transitoria prevista dall’art. 22, comma 3, della legge professionale forense.

 

Quest’ultima disposizione ha stabilito, infatti, che gli avvocati che, alla data di entrata in vigore della legge, fossero iscritti nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori conservassero l'iscrizione. Allo stesso modo potevano chiedere l'iscrizione coloro che alla data di entrata in vigore della presente legge avessero maturato i requisiti per detta iscrizione secondo la previgente normativa.

Tale possibilità è stata più volte prorogata; da ultimo, l’art. 10, comma 2-ter del DL 244 del 2016 (Proroga e definizione di termini) – modificando il citato art. 22 della legge 247/2012 – ha previsto che possono altresì chiedere l'iscrizione nell'albo dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori gli avvocati che maturino i requisiti secondo la previgente normativa entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 2 febbraio 2018).

 

 


Articolo 2
(Disposizioni in materia di tracciabilità dei medicinali veterinari per il conseguimento degli obiettivi della direttiva 2001/82/CE)

 

L’articolo 2 disciplina, al comma 1 (modificato in sede referente), la tracciabilità dei farmaci ad uso veterinario mediante ricetta sanitaria elettronica, fissando la data del 1° gennaio 2018 quale termine a partire dal quale la prescrizione di medicinali ad uso veterinario deve avvenire obbligatoriamente mediante ricetta elettronica. Inoltre, nel corso dell’esame referente, è stato introdotto il comma 1-bis che comporta l’obbligo, a decorrere dalla stessa data, di redigere le ricette dei mangimi medicati (vale a dire modificati con miscele autorizzate) esclusivamente secondo il modello di ricetta elettronica.

 

L’intervento legislativo viene attuato novellando gli articoli 89 e 118 del Codice dei medicinali veterinari (D. lgs. n. 193/2006), attuativo della Direttiva 2004/28/CE[2]. Più in dettaglio:

·    la lett. a) aggiunge i commi 2-bis e 2-ter all’articolo 89 del D. Lgs. 193/2016:

- il comma 2-bis obbliga i soggetti componenti la filiera a registrare informaticamente i dati (nel testo “informazioni”) relativi alla produzione, distribuzione e commercializzazione dei farmaci veterinari, mediante il loro inserimento nella Banca Dati centrale, istituita dal DM salute del 15 luglio 2004[3] per la tracciabilità dei farmaci destinati all’uso umano. I soggetti interessati sono: produttori, depositari, grossisti, farmacisti, titolari di autorizzazioni all’immissione in commercio – vendita diretta o al dettaglio - dei medicinali ad uso veterinario, nonché i medici veterinari (attraverso la prescrizione del medicinale veterinario).

Durante l’esame in Commissione, sono stati introdotti quali soggetti

interessati anche le parafarmacie

I dati da inserire nella Banca Dati sono:

a)    l’inizio attività di vendita, ogni sua variazione intervenuta successivamente all’immissione in commercio e alla sua cessazione, nonchè i dati relativi alla produzione e commercializzazione dei medicinali veterinari. Durante l’esame in Commissione, è stata prevista l’introduzione dei dati relativi all’acquirente.

b)    I dati concernenti la produzione e la commercializzazione dei medicinali veterinari. Durante l’esame in Commissione è stato precisato che la Banca Dati Centrale deve essere alimentata esclusivamente con i dati delle ricette elettroniche ed è stato posto l’obbligo, in capo al medico veterinario, di inserire i dati identificativi del titolare dell’allevamento presso il quale vengono utilizzati i medesimi farmaci ad uso veterinario.

 

-       il comma 2-ter stabilisce la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica recati dal precedente comma, per l’attività di tenuta ed aggiornamento della banca dati.

Come indicato anche nella relazione illustrava, il sistema informatizzato di registrazione dei dati relativi alla produzione, commercializzazione e distribuzione dei medicinali veterinari agevola il conseguimento degli obiettivi di tutela della salute pubblica già previsti dal codice comunitario dei medicinali veterinari (Direttiva 2001/82/CE)[4].

In proposito si sottolinea che la tracciabilità dei dati riguardanti i medicinali ad uso veterinario verrà garantita attraverso l’ampliamento della banca dati istituita per la tracciabilità del farmaco ad uso umano, già funzionante presso il Ministero della salute[5]. Questa banca dati comprenderà pertanto anche il settore dedicato alla raccolta dei dati relativi ai medicinali veterinari, alimentato finora su base volontaria[6]. Peraltro, all’interno del documento “Agenda per la Semplificazione 2015-2017” elaborato dal Governo, nell’ambito delle misure di semplificazione delle imprese, si rileva l’azione mirata 5.11. in materia, per quanto qui interessa, di sanità veterinaria (da realizzare entro dicembre 2017), che prevede, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo del passaporto bovino e per l’appunto, tramite la digitalizzazione, la tracciabilità dei medicinali veterinari.

 

·    la lett. b) dell’articolo in esame aggiunge il comma 1-bis all’articolo 118, indicando la data del 1° gennaio 2018 quale termine a partire dal quale la prescrizione di medicinali ad uso veterinario deve avvenire obbligatoriamente mediante ricetta elettronica. Anteriormente a tale data, viene data la semplice facoltà, in alternativa all’utilizzo del modello previsto in base alla normativa vigente, nel caso di prescrizione a carattere obbligatorio.

Il modello di ricetta medico veterinaria ed i casi in cui tale modello è obbligatorio sono stabiliti nell'allegato III del sopra citato D.Lgs 193/2006, suscettibile di essere modificato per assicurarne la compatibilità comunitaria.

Si segnala che il progetto “ricetta elettronica veterinaria” rientra nella realizzazione dell’obiettivo strategico, definito dalla Direttiva generale per l’attività amministrativa e la gestione – 2015, finalizzato al risanamento finanziario e al contenimento della spesa pubblica, da realizzarsi, in particolare, tramite il potenziamento degli strumenti informatizzati (cruscotti) per l'analisi dei dati del sistema tessera sanitaria[7] attraverso il monitoraggio delle prescrizioni effettuate dai medici rispetto alle prestazioni erogate, anche in base agli esiti dell'avvio del processo di dematerializzazione della ricetta medica[8].

Inoltre, in base a informazioni dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani (ANMVI), si rileva l’avvio di una fase sperimentale dal settembre del 2015, da parte di un gruppo di lavoro coordinato dalle Regioni Lombardia e Abruzzo[9], in collaborazione con il Centro Sistemi Informativi dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) di Teramo e la Direzione Generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari.

Non trascurabile è, infine, la considerazione che l’interoperabilità della predetta banca dati con il nuovo sistema informativo sanitario (NSIS), potrebbe assicurare un più efficace sistema di farmacosorveglianza ed un quadro più preciso del consumo di antibiotici finalizzato al contrasto del fenomeno dell’antibioticoresistenza animale.

 

A seguito dell’esame in Commissione, è stato introdotto, nel corpo dell’articolo in parola, il comma 1-bis, che modifica il D.Lgs n. 90/1993 attuativo della direttiva 90/167/CEE con la quale sono stabilite le condizioni di preparazione, immissione sul mercato ed utilizzazione dei mangimi medicati.

In particolare, viene introdotto il comma 1-bis all’articolo 8 del sopra richiamato D.Lgs. n. 90/1993, con il quale si introduce la possibilità di utilizzare la ricetta elettronica, in alternativa allo schema di ricetta attualmente rilasciata sulla base delle specifiche prescrizioni del veterinario abilitato, per la consegna di mangimi medicati agli allevatori o detentori di animali. Le nuove modalità di redazione della ricetta elettronica sono quelle sopra esaminate (v. ante comma 2-bis, articolo 89 del codice dei medicinali veterinari - D. lgs. n. 193/2006).

L’obbligo dell’utilizzo esclusivo della ricetta elettronica per tali mangimi è previsto a decorrere dal 1° gennaio 2018.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

La Commissione europea ha presentato, il 10 settembre 2014, la proposta di regolamento relativo ai medicinali veterinari (COM(2014) 558) che è volta ad abrogare e sostituire la direttiva 2001/82 recante il codice relativo ai medicinali veterinari.

La proposta intende istituire, tutelando nel contempo la sanità pubblica e animale, la sicurezza alimentare e l'ambiente, un corpus legislativo aggiornato e proporzionato, adeguato alle specificità del settore veterinario, in particolare al fine di:

     aumentare la disponibilità dei medicinali veterinari;

     ridurre gli oneri amministrativi;

     stimolare la competitività e l'innovazione;

     migliorare il funzionamento del mercato interno;

     affrontare il rischio per la sanità pubblica rappresentato dalla resistenza agli antimicrobici (AMR - Antimicrobial Resistance).

Nello specifico, la proposta di regolamento contiene disposizioni concernenti: l’autorizzazione all’immissione in commercio; i medicinali veterinari omeopatici; la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione; la fornitura e l’impiego; i controlli; le restrizioni e le sanzioni; la rete di regolamentazione.

La proposta prevede, in particolare, una rete europea operativa tra le autorità competenti degli Stati membri, l’Agenzia europea per i medicinali e la Commissione europea volta a garantire che:

     i medicinali veterinari siano disponibili sul mercato dell'Unione;

     essi siano valutati adeguatamente prima di essere autorizzati per l'impiego;

     la loro sicurezza ed efficacia siano monitorate costantemente.

Oltre all’istituzione di una singola banca dati per tutti i medicinali veterinari autorizzati nell'Unione, nella quale le autorità competenti dovranno caricare i dati relativi alle autorizzazioni nazionali all'immissione in commercio, la proposta prevede anche un sistema di registrazione e segnalazione dell'impiego di antimicrobici.

All’interno dell’Agenzia europea per i medicinali è istituito un Comitato per i medicinali veterinari che, a sua volta, potrà costituire gruppi di lavoro permanenti – come quello incaricato di fornire consulenze scientifiche alle imprese – e temporanei.

Per dare agli interessati il tempo sufficiente per adeguarsi alla nuova normativa, la proposta dispone che il futuro regolamento si applicherà a decorrere da due anni dalla sua pubblicazione.

La proposta di regolamento è al momento all’esame del Consiglio dell’UE. Il Parlamento europeo si è espresso in prima lettura, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, adottando emendamenti alla proposta, con la risoluzione del 10 marzo 2016.

 

 


Articolo 2-bis
(Modifiche all’art.98 del D.Lgs. n. 259/2003 - Codice comunicazioni elettroniche- Caso EU Pilot 8925/16/CNECT)

 

L’articolo 2-bis, inserito nel corso dell’esame in Commissione,  modifica il Codice delle comunicazioni elettroniche per introdurre nell’ordinamento nazionale le sanzioni per la violazione delle disposizioni europee relative al roaming nelle reti pubbliche di comunicazioni mobili ed al c.d. Internet aperto.

Si tratta in particolare di introdurre all’articolo 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche, le sanzioni, nell’ambito delle reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, necessarie ad attuare:

-   l’art. 18 del regolamento 2012/531/UE, che disciplina il roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili nell'Unione, che prevede l’obbligo degli Stati membri di comunicare alla Commissione (il termine era il 30 giugno 2013) le sanzioni adottate per la violazione delle sue disposizioni e di prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro attuazione;

-   l’art. 6 del regolamento 2015/2120/UE relativo all’accesso ad un Internet aperta, che modifica anche il precedente regolamento del 2012 (in questo caso il termine per comunicare le sanzioni era fissato al 30 aprile 2016).

In entrambi i casi è richiesto che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive.

In relazione a tali obblighi, formalmente in relazione al regolamento 2015/2120/UE, è stata aperta, ad ottobre 2016, la procedura EU Pilot 8925/16/CNECT (vedi di seguito).

 

L’articolo 2-bis, comma 1, introduce pertanto i nuovi commi 16-bis, 16-ter, 16-quater, all’art. 98 (sanzioni) del D. Lgs. n. 259 del 2003.

Il nuovo comma 16-bis prevede in particolare che l’AGCOM, in caso di violazioni, irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria da 120.000 € a 2,5 milioni €, che ordini l’immediata cessazione delle violazioni e che condanni anche l’operatore al rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando il termine entro cui adempiere, che non deve superare i trenta giorni.

L’importo delle sanzioni amministrative è analogo a quello previsto in via generale dal comma 11 dell’art. 98 del Codice delle comunicazioni elettroniche per le violazioni ad ordini e diffide dell’Autorità in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico. Si ricorda che a tali sanzioni amministrative, irrogabili dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, non si applicano, per espressa previsione del comma 17-bis dell’art. 98, le disposizioni sul pagamento in misura ridotta di cui all'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

Si ricorda anche che in base all’art. 2, comma 20, lett. d) della legge n. 481 del 1995, istitutiva delle Autorità per i servizi di pubblica utilità, le Autorità possono ordinare agli operatori la cessazione dei comportamenti lesivi dei diritti degli utenti e ordinare anche la corresponsione di un indennizzo.

 

Il comma 16-bis prevede inoltre che qualora l’AGCOM ritenga che sussistano motivi di urgenza per il rischio di un danno notevole per il funzionamento del mercato o per la tutela degli utenti, ha facoltà di adottare, sentiti gli operatori interessati e nelle more dell’adozione del provvedimento definitivo, provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato. Tale facoltà è sostanzialmente prevista per le medesime ipotesi di violazione per le quali sono previste le sanzioni con procedura ordinaria, descritte nella tabella che segue. Le sanzioni sono previste per la violazione dei seguenti articoli del regolamento 2012/531/UE, come modificato dal regolamento 2015/2120/UE e dal regolamento 2017/920/UE:

 

Regolamento 2012/531/UE

Oggetto

Art. 3, par. 1,2,5,6 e 7

Accesso all'ingrosso al roaming (diritto di accesso , offerta di riferimento da parte degli operatorii mobili sufficientemente dettagliata, possibilità di chiedere di includere anche elementi non contemplati dall'offerta di riferimento)

Art. 4, par. 1, 2 e 3

Vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (divieto per i fornitori di precludere ai clienti l'accesso ai servizi di dati in roaming regolamentati forniti direttamente sulla rete ospitante da un fornitore alternativo di roaming e diritto dei clienti di cambiare fornitore di roaming in qualsiasi momento)

art. 5, par. 1

Attuazione della vendita separata di servizi di dati in roaming al dettaglio regolamentati (i fornitori nazionali adempiono in modo che i clienti in roaming possano utilizzare servizi di dati in roaming separati regolamentati e soddisfano tutte le richieste ragionevoli di accesso alle infrastrutture e ai relativi servizi di sostegno)

Art. 6-bis

Abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 6-ter, par. 1

Possibilità dei fornitori di applicare una politica di utilizzo corretto ai servizi di roaming al dettaglio

Art. 6-quater, par. 1 e 2

Sostenibilità dell'abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio (autorizzazione ad applicare un sovrapprezzo nella misura necessaria per recuperare i costi della fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati)

Art. 6-sexies, par. 1, 3 e 4

Fornitura di servizi di roaming al dettaglio regolamentati (requisiti per l’applicazione di  un sovrapprezzo)

Art. 7, par. 1, 2 e 3

Tariffe medie all'ingrosso che l'operatore di una rete ospitante può applicare al fornitore di roaming per le chiamate in roaming regolamentate, a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 9

Tariffe all'ingrosso per gli SMS in roaming regolamentati

Art. 11

Divieto di modifica delle caratteristiche tecniche degli SMS in roaming regolamentati

Art. 12

Tariffe medie all'ingrosso per servizi di dati in roaming regolamentati a decorrere dal 15 giugno 2017

Art. 14

Trasparenza delle tariffe al dettaglio per le chiamate e gli SMS in roaming

Art. 15, par. 1,2,3, 5 e 6

Trasparenza e meccanismi di salvaguardia per servizi di dati in roaming al dettaglio

Art. 16, par. 4

Vigilanza e applicazione da parte delle autorità nazionali di regolamentazione che hanno il potere di esigere che le imprese soggette agli obblighi del regolamento forniscano tutte le informazioni per la sua attuazione e applicazione

Il nuovo comma 16-ter prevede analogamente che l’AGCOM, irroghi una sanzione amministrativa pecuniaria, da 120.000 € a 2,5 milioni € e ordini l’immediata cessazione delle violazioni, nel caso di violazione dei seguenti articoli del regolamento 2015/2120/UE, relativo ad un’Internet aperta :

 

Art. 3

Salvaguardia dell'accesso a un'Internet aperta (tra cui: il diritto di accedere a informazioni e contenuti e di diffonderli, di utilizzare e fornire applicazioni e servizi e utilizzare apparecchiature terminali, indipendentemente dalla sede dell'utente finale o del fornitore o dalla localizzazione, dall'origine o dalla destinazione delle informazioni, dei contenuti, delle applicazioni o del servizio; il principio secondo il quale gli accordi tra i fornitori e gli utenti finali sulle condizioni e sulle caratteristiche commerciali e tecniche dei servizi di accesso a Internet non limitino l'esercizio dei diritti degli utenti finali e i fornitori di servizi di accesso a Internet, nel fornire i servizi, trattano tutto il traffico allo stesso modo, senza discriminazioni, restrizioni o interferenze).

Art. 4, par. 1 e 2

Misure di trasparenza per assicurare l'accesso a un'Internet aperta (caratteristiche minime dei contratti che includono servizi di accesso a Internet; obbligo di procedure trasparenti, semplici ed efficienti per trattare i reclami degli utenti finali relativi ai diritti e agli obblighi).

Art. 5, par. 2

Vigilanza e applicazione (i fornitori di comunicazioni elettroniche al pubblico e di accesso a Internet, devono rendere disponibile all’autorità nazionale di regolamentazione le informazioni sugli obblighi di cui agli articoli 3 e 4, in particolare la gestione della capacità della loro rete e del traffico, e la motivazione delle misure di gestione del traffico eventualmente applicate).

Anche in questi casi , qualora riscontri ad un sommario esame violazioni relative all’art. 3 e 4, l’AGCOM può adottare provvedimenti temporanei per far sospendere la condotta con effetto immediato, a tutela del funzionamento del mercato o degli utenti.

L’art.16-quater prevede che l’AGCOM possa disporre la pubblicazione dei provvedimenti adottati a spese dell’operatore, sui mezzi ritenuti più idonei, anche su uno o più quotidiani a diffusione nazionale.

Il comma 2 dell’articolo 2-bis reca la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall'attuazione delle disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e secondo la quale le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente.

 

Procedure di contenzioso

Nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, la Commissione europea ha inviato al Governo italiano una richiesta di informazioni (EU Pilot 8925/16/CNECT) relativa all'implementazione del regolamento (UE) 531/2012, come modificato dal regolamento (UE) 2015/2021 (cd. regolamento roaming). Al fine di assicurare una transizione agevole verso l'abolizione dei sovrapprezzi di roaming al dettaglio in vigore dal 15 giugno 2017, a partire dal 30 aprile 2016, sono divenute applicabili le modifiche al regolamento (UE) 531/2012 apportate dal regolamento (UE) 2015/2120, in base alle quali, a partire da tale data, si applica di default una nuova regolamentazione dei prezzi al dettaglio: gli operatori possono continuare ad applicare un sovrapprezzo per il roaming, ma nei limiti degli attuali prezzi massimi all'ingrosso regolamentati (0,05€ al minuto per le chiamate effettuate, 0,02€ per SMS inviato, 0,05€ per MB di traffico dati e 0,0114€ al minuto per le chiamate ricevute, purché la somma totale non superi rispettivamente 0,19€ per minuto di chiamate effettuate, 0,06€ per SMS inviato e 0,20€ per MB di traffico dati). Il regime transitorio è stato applicato fino alla definitiva abolizione del sovrapprezzo applicato al traffico roaming, avvenuta il 15 giugno 2017, a seguito della revisione dei mercati roaming all'ingrosso.

A seguito di varie email e lettere inviate alla Commissione europea dai cittadini italiani, sarebbe emerso che in Italia alcuni principali operatori (in particolare TIM, Wind e H3G) avrebbero adottato tariffe di roaming che non rispetterebbero le disposizioni del regolamento roaming.

Nei vari scambi di corrispondenza che hanno avuto luogo tra la Commissione e le autorità italiane, i servizi della Commissione avrebbero evidenziato l'importanza di garantire una supervisione tempestiva da parte delle autorità italiane competenti dei diversi piani tariffari di roaming adottati dagli operatori nel periodo transitorio, cosi come l'adozione delle misure volte a garantire la corretta applicazione del regolamento roaming.

In particolare, la Commissione avrebbe chiesto i seguenti chiarimenti:

·      fornire un'indicazione precisa delle misure adottate dall’Italia al fine di garantire che le sanzioni applicabili in caso di violazioni del regolamento roaming siano implementate e siano efficaci, proporzionate e dissuasive;

·      descrivere tutte le misure a disposizione delle autorità italiane, oltre alle sanzioni, volte a garantire la cessazione delle violazioni del regolamento roaming;

·      fornire una descrizione completa della procedura applicabile alle violazioni del regolamento roaming da parte degli operatori;.

·      fornire informazioni quantitative sui ricavi degli operatoli italiani TIM, Wind e H3G per la fornitura di servizi roaming ai loro clienti, nonché la quantificazione dell’indebito vantaggio di cui gli operatori hanno beneficiato in conseguenza della violazione del regolamento roaming;

·      fornire informazioni complete sullo stato di avanzamento dei procedimenti sanzionatori in corso contro TIM, Wind e H3G;

·      indicare che tipo di provvedimenti urgenti le autorità italiane potrebbero adottare o hanno già adottato al fine di garantire l'immediata cessazione della violazione del regolamento roaming da parte degli operatori;

·      indicare se e in che modo le autorità italiane intendono garantire che qualsiasi effetto negativo sarà rimosso con effetto retroattivo;

·      fornire un'indicazione precisa delle norme nazionali relative all'accesso a un'Internet aperta.

 

Sul tema è intervenuta anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che ha rilevato che attualmente manca nell’ordinamento italiano una norma che preveda una sanzione specifica in caso di violazione delle disposizioni contenute nel regolamento roaming, pertanto ha segnalato al Governo la necessità di un tempestivo intervento normativo, che contenga anche l’attribuzione all’autorità del potere di adottare misure urgenti volte a garantire l’immediata cessazione della violazione. Medio tempore l’autorità ha fatto ricorso ad un meccanismo sanzionatorio indiretto, mediato dall’adozione di una diffida la cui inosservanza è punita con una sanzione pecuniaria. Allo stato, risultano aperti tre procedimenti sanzionatori nei confronti delle società Telecom Italia spa, Wind telecomunicazioni Spa e H3G Spa per inottemperanza alle diffide impartite.


Articolo 3
(Disposizioni per la completa attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale – Caso EU Pilot 8184/15/JUST)

 

L’articolo 3 modifica la legge n. 654 del 1975 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale) e il decreto legislativo n. 231 del 2001 (sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).

Secondo il Governo, l’intervento consente di sanare il caso EU Pilot 8184/15/Just, attuando i contenuti della decisione quadro 2008/913/GAI sulla lotta contro talune forme ed espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

 

La decisione quadro 2008/913/GAI

 

La decisione quadro 2008/913/GAI ha previsto il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari dei paesi dell'UE per quanto riguarda i reati ispirati a talune manifestazioni di razzismo e xenofobia, che devono costituire un reato in tutti i paesi dell'UE ed essere passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.

La decisione quadro si applica ad ogni reato commesso:

·     sul territorio dell'Unione europea (UE), anche tramite un sistema di informazione;

·     da un cittadino di un paese dell'UE o per conto di una persona giuridica avente sede in un paese dell'UE; a tale riguardo, la decisione quadro propone criteri per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche.

Sono considerati reati penali, determinati atti commessi, quali: pubblico incitamento alla violenza o all'odio rivolto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito sulla base della razza, del colore, la religione, l’ascendenza, la religione o il credo o l’origine nazionale o etnica; il reato di cui sopra commesso mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale; l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana in pubblico dei crimini di genocidio o contro l'umanità, i crimini di guerra, quali sono definiti nello Statuto della Corte penale internazionale (articoli 6, 7 e 8), quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Saranno passibili di sanzione i base alla decisione quadro anche l'incitamento o la partecipazione nel commettere gli atti suddetti.

Riguardo a tali reati, i paesi dell'UE è previsto per gli Stati membri l’obbligo di stabilire: sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive; pene detentive della durata massima di almeno un anno.

Analoghe sanzioni dovranno riguardare le persone giuridiche e comprendere ammende penali e non penali. Inoltre gli enti possono essere sanzionati mediante: l'esclusione dal beneficio di agevolazioni o sovvenzioni pubbliche; l'interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di un’attività commerciale; il collocamento sotto sorveglianza giudiziaria; il provvedimento di liquidazione giudiziaria. La decisione quadro stabilisce che l'avvio delle indagini o dell'azione legale per reati di razzismo e xenofobia non deve essere subordinato a una denuncia o un'accusa a opera della vittima. In ogni caso, la motivazione razzista o xenofoba deve essere considerata circostanza aggravante o, in alternativa, il tribunale deve poter considerare tale motivazione nel decidere quale sanzione infliggere.

 

La prima modifica, introdotta dal comma 1 dell’articolo 3 del disegno di legge, amplia il campo di applicazione dell’aggravante di “negazionismo” di cui al comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

Tale ultima disposizione è stata introdotta dalla recente legge n. 115 del 2016 (la relazione al d.d.l. riferisce erroneamente di un intervento sul citato art. 3, come da ultimo modificato dalla legge n. 85 del 2006, anziché dalla legge 115 del 2016) che ha inteso sanare, se non totalmente, i rilievi della Commissione Europea espressi nel citato caso EU Pilot 8184/15/JUST.

L’art. 3 della legge n. 654 del 1975 punisce:

·     con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;

·     con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi

Il comma 3 dello stesso articolo vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La partecipazione o l’assistenza all’attività di tali organizzazioni è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Pene maggiori (reclusione da uno a sei anni) sono previste per i promotori e per chi dirige le organizzazioni.

Il comma 3-bis stabilisce una maggior pena (reclusione da due a sei anni) se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale , ratificato ai sensi della legge n. 232 del 1999.

Il comma 1 dell’art. 3 in esame integra la formulazione del citato comma 3-bis, prevedendo la sanzionabilità con la reclusione da 2 a 6 anni – oltre che della negazione – anche della minimizzazione in modo grave, dell’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra.

Il criterio della gravità verrà quindi in evidenza tanto ai fini della sussistenza del reato (“minimizzazione in modo grave”) quanto per la valutazione agli effetti della pena da parte del giudice (art. 133 c.p., primo comma, n. 2): gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato).

Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa, va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio), il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). La legge punisce: inoltre, gli atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime; la deportazione a fini di genocidio; il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori; chi costringe persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la appartenenza al gruppo; l’accordo per commettere genocidio.

Il comma 2 dell’articolo 3 in esame aggiunge, poi, un nuovo articolo 25-terdecies al decreto legislativo n. 231 del 2001 che aggiunge al catalogo dei delitti che comportano la responsabilità delle persone giuridiche anche i reati di razzismo e xenofobia aggravati dal negazionismo, di cui al citato comma 3-bis dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975.

In particolare, si prevede in relazione alla commissione di tale reato l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote.

Si ricorda che l'importo di una quota va da un minimo di 258 ad un massimo di 1.549 euro e che il suo importo, allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione, è stabilito dal giudice in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente (artt. 10 e 11, D.Lgs. 231 del 2001).

Lo stesso comma 2 stabilisce che:

·      la condanna per negazionismo comporta l’applicazione all’ente le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito; divieto di contrattare con la PA, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

·      la stabile utilizzazione dell’ente (o di una sua unità organizzativa) al fine di commettere o agevolare il negazionismo è sanzionato con l’interdizione definitiva dell’esercizio dell’attività. Si ricorda che l’art. 16, comma 3, del d.lgs. 231 già prevede che, se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità, è sempre disposta l'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività e non si applicano le disposizioni previste dall'articolo 17 (quest’ultimo, a sua volta, prevede la inapplicabilità delle sanzioni interdittive nel caso di riparazione delle conseguenze del reato).

Si valuti se la disposizione introdotta dal disegno di legge sulla interdizione dall’esercizio dell’attività non risulti superflua, in considerazione di quanto già disposto in tal senso dall’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231 del 2001.

 

L’attività parlamentare

Si segnala, in materia, la trasmissione al Senato del disegno di legge AS 2471, approvato dalla Camera il 6 luglio 2016 (AC 3084), di Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, riguardante la criminalizzazione degli atti di razzismo e xenofobia commessi a mezzo di sistemi informatici, fatto a Strasburgo il 28 gennaio 2003.

Il provvedimento novella l’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 654/1975 e nello specifico:

·      prevede che il delitto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi possa essere commesso con qualsiasi mezzo, anche informatico o telematico;

·      è ampliato l’ambito della descritta fattispecie penale, in cui viene compresa anche la distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione di materiale razzista o xenofobo.

 

Nella corrente legislatura si ricorda poi l’istituzione della Commissione “Jo Cox” sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio (10 maggio 2016), presieduta dalla Presidente della Camera e composta che da un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni ed esperti, con il compito di condurre attività di studio e ricerca su tali temi, anche attraverso lo svolgimento di audizioni.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8184/15/JUST, avrebbe rilevato una serie di carenze individuate nel quadro legislativo italiano di recepimento della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio sulla lotta contro alcune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

Le leggi notificate dall’Italia ai fini del recepimento sono, in particolare, la legge n. 962 del 1967 sulla prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, la legge n. 654 del 1975 sulla ratifica e attuazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (e successive modifiche), e il Codice penale.

Gli addebiti contestati dalla Commissione europea concernerebbero vari profili  della decisione quadro, costituendo, a seconda dei casi, fattispecie di mancato recepimento, recepimento incompleto, e recepimento incorretto.

Apologia, negazione o minimizzazione grossolana dei crimini come definiti  dallo Statuto militare internazionale allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945

L’articolo 1, paragrafo 1, lettera d) della decisione quadro prevede che siano puniti l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti  all’articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.

Secondo la Commissione europea il recepimento di questa disposizione richiederebbe l’esistenza di una norma in ambito nazionale che penalizzi tali comportamenti quando sono posti in essere in modo atto a istigare alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo o di un suo membro: la Commissione europea avrebbe rilevato l’inesistenza di una disposizione simile nella legislazione italiana.

Apologia, negazione, o minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra

L’articolo 1, paragrafo1, lettera c).della decisione quadro richiede agli Stati membri che siano resi punibili l’apologia, la negazione o alla minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro

La Commissione europea avrebbe contestato all’Italia il recepimento incompleto della disposizione in quanto la norma di recepimento  indicata dalle autorità italiane (articolo 8, comma 2 della legge 962 del 1967, farebbe riferimento unicamente al comportamento di chi pubblicamente fa apologia, e solo in relazione al reato di genocidio, mentre, contrariamente a quanto previsto dalla decisione quadro, non includerebbe la condotta di pubblica negazione, né la minimizzazione grossolana, e non fa riferimento ai reati contro l’umanità e i crimini di guerra.

 

Responsabilità delle persone giuridiche e relative sanzioni

Gli articoli 5 e 6 della decisione quadro garantiscono che le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati ivi previsti, nonché soggette a sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive (la responsabilità e le sanzioni non devono essere necessariamente di natura penale), indipendentemente dall’accusa o condanna di persone fisiche.

Le indicazioni delle autorità italiane circa le previsioni esistenti in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai fini del recepimento di tali disposizioni non sarebbero state ritenute sufficienti dalla Commissione europea, che avrebbe quindi contestato il mancato recepimento della disposizione europea.

Competenza giurisdizionale nei casi in cui i comportamenti che integrano le fattispecie di reato siano commessi a mezzo di sistemi informatici

L’articolo 9, paragrafo 2 della decisione quadro obbliga ciascuno Stato membro ad adottare le misure necessarie per garantire che la propria competenza giurisdizionale si estenda ai casi in cui le fattispecie di reato in essa previste siano poste in essere mediante un sistema di informazione, precisando altresì i criteri che sovraintendono a tale delimitazione di giurisdizione  (presenza fisica, sul territorio dello Stato membro in questione, dell’autore del comportamento, a prescindere dal fatto che il comportamento implichi o no l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo territorio; uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul territorio dello Stato membro in questione, indipendentemente dal fatto che l’autore ponga in essere o no il comportamento allorché è fisicamente presente su tale  territorio).

La Commissione europea avrebbe rilevato il mancato recepimento di tale disposizione, nutrendo dubbi circa la rilevanza delle disposizioni generali italiane in materia di giurisdizione (articoli 6 e 9 del Codice penale).

 

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio

L’articolo 1, paragrafo 1 lettera a) obbliga gli Stati membri a adottare le misure necessarie affinché sia resa punibile l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica.

La Commissione europea avrebbe contestato l’incorretto recepimento di tale disposizione, poiché la norma a tal fine indicata dalle autorità italiane (articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 654 del 1975) configurerebbe una condotta maggiormente restrittiva di quella richiesta dalla decisione quadro.

In particolare la condotta della “istigazione pubblica all’odio” sarebbe recepita (dalla legge italiana) nel comportamento di “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”; la Commissione europea avrebbe rilevato che la decisione quadro richiede agli Stati membri di sanzionare l’istigazione pubblica all’odio in quanto tale e non la propaganda di tale istigazione[10].

La Commissione europea avrebbe inoltre rilevato che, contrariamente a quanto disposto nella decisione quadro, l’articolo 3, comma 1 della legge n. 654 del 1975 non farebbe espresso riferimento né  ad “individui” né a “gruppi”.

Sebbene la modalità di formulazione della disposizione italiana potrebbe suggerire in ogni caso un ampio campo di applicazione (tale da ricomprendere sia individui sia gruppi), la Commissione ritiene che per sostenere tale interpretazione occorrerebbe il supporto in tal senso della giurisprudenza o dei lavori preparatori relativi alla norma indicata, elementi non forniti dalle autorità italiane.

La Commissione europea, avrebbe infine sottolineato il numero limitato di condanne per espressioni di odio razziale e xenofobo sulla base della citata disposizione italiana, nonostante i gravi incidenti che - sulla base delle informazioni in suo possesso - si sarebbero registrati in Italia. Secondo la Commissione ciò dimostrerebbe le difficoltà che le autorità giudiziarie starebbero incontrando nell’impiego della citata disposizione italiana ai fini del perseguimento della condotta descritta alla lettera a) del paragrafo 1 dell’articolo 1 della decisione quadro, confermando ulteriormente il proprio convincimento del recepimento incorretto della disposizione europea nell’ordinamento italiano.

 

Istigazione pubblica alla violenza o all’odio mediante diffusione e distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale

La disposizione italiana testé illustrata è stata indicata dalle autorità italiane anche ai fini del recepimento dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), che prevede la punibilità dell’istigazione pubblica alla violenza e all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica,  perpetrate mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale. La Commissione europea avrebbe anche in questo caso rilevato (per le medesime considerazioni indicate nel precedente paragrafo) il non incorretto recepimento della disposizione europea, aggiungendo che il termine “propaganda” utilizzato dalla disposizione italiana nei riguardi dell’istigazione all’odio non includerebbe esplicitamente la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale, così come previsto dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b) della decisione quadro.

Potrebbe risultare opportuno, alla luce della legge n. 115 del 2016, recante “Modifica all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7, e 8 dello statuto della Corte penale internazionale” - peraltro richiamata dalla relazione introduttiva -, acquisire l’avviso del Governo sull’idoneità delle misure proposte a risolvere pienamente i rilievi avanzati dalla Commissione europea, anche in considerazione del fatto che l’intervento normativo non sembra prospettare misure inerenti alla questione relativa alla competenza giurisdizionale nei casi in cui i reati citati siano commessi a mezzo di sistemi informatici. 

 

 


Articolo 4
(Disciplina transitoria di accesso al fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti. Procedura di infrazione
n. 2011/4147)

 

L'articolo 4, come modificato in sede referente, oltre ad apportare modifiche alle disposizioni della legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge europea 2015/2016) in materia di accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, estende l'ambito di applicazione della disciplina anche alle fattispecie precedenti alla sua entrata in vigore.

 

Gli articoli da 11 a 16 della legge n. 122/2016  hanno introdotto norme volte a risolvere la procedura di infrazione n. 2011/4147, per dettagli sulla quale si rinvia alla fine della presente scheda.

 

L'articolo in esame modifica in primo luogo gli articoli da 12 a 14 della legge n. 122 del 2016.

Il comma 01, introdotto nel corso dell'esame in sede referente interviene:

·    sull'articolo 12, relativo alle condizioni per l'accesso all'indennizzo:

o  abrogandone la lettera a) del comma 1 che prevede, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

o  modificandone la lettera b) del comma 1, al fine di condizionare l'accesso all'indennizzo al fatto che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato, salvo l'ipotesi in cui lo stesso abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto;

o  prevedendo, attraverso una modifica alla lettera e) del comma 1, fra le condizioni di accesso all'indennizzo che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme superiori a 5.000 euro (la formulazione vigente non prevede tale limite) erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.

 

 

·    sull'articolo 13, relativo alla domanda di indennizzo:

o  modificandone per coordinamento la lettera b) del comma 1, la quale prevede che la domanda di indennizzo debba essere corredata anche dalla documentazione attestante l'infruttuoso esperimento dell'azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore del reato, salvo l'ipotesi in cui lo stesso abbia chiesto ed ottenuto l'ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato;

o  intervenendo sul comma 2 per prevedere che il termine di sessanta giorni entro il quale la domanda di indennizzo deve essere presentata decorra anche dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale (attualmente tale termine decorre dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l'autore del reato ovvero dall'ultimo atto dell'azione esecutiva infruttuosamente esperita).

 

·    sull'articolo 14, relativo al Fondo per l'indennizzo in favore delle vittime:

o  incrementandone la dotazione attraverso una modifica al comma 2. Si prevede che il Fondo sia alimentato da un contributo annuale dello Stato pari a 2.600.000 euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 e a 4.000.000 euro a decorrere dall'anno 2018;

o  modificandone il comma 4, il quale prevede che in caso di disponibilità finanziarie insufficienti nell'anno di riferimento a soddisfare gli aventi diritto, è possibile per gli stessi un accesso al Fondo in quota proporzionale e l'integrazione delle somme non percepite dal Fondo medesimo entro i successivi diciotto mesi ("negli anni successivi" nella formulazione vigente), senza interessi, rivalutazioni ed oneri aggiuntivi.

 

La disposizione si propone inoltre di completare l’adeguamento della normativa nazionale alle previsioni della direttiva 2004/80/CE, modificando l’ambito di operatività ratione temporis della nuova disciplina.

A ben vedere, la disciplina dettata dalla legge europea 2015-2016 è applicabile alle fattispecie successive alla sua entrata in vigore (23 luglio 2016), mentre la direttiva 2004/80/CE fa obbligo agli Stati membri di applicare le disposizioni almeno ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005 (articolo 18).

 

Più nel dettaglio, il comma 1 dell'articolo estende la disciplina relativa all’accesso al fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti a chiunque è stato vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005.

Il comma 2 introduce un termine di decadenza di centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge in esame per la presentazione della domanda di indennizzo. Tale domanda deve essere presentata nel rispetto delle medesime condizioni e modalità di accesso all’indennizzo previste dalla legge n. 122/2016 (vedi supra).

 

Il comma 3, come modificato dalla Commissione, prevede che gli oneri derivanti dall’applicazione della disposizione, quantificati in 26 milioni di euro per l’anno 2017 e in 1.400.000 euro annui a decorrere dall'anno 2018 gravino rispettivamente: sul fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’articolo 41-bis della legge 24 dicembre 2012, n. 234, introdotto dall’articolo 28 della legge 29 luglio 2015, n. 115.- legge europea 2014 e sul fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 (legge conv. n. 307 del 2004).

 

L'articolo 28 della legge europea 2014 - aggiungendo l'articolo 41-bis alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea- ha previsto l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze di un fondo, denominato "Fondo per il recepimento della normativa europea", volto a consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea.

 

Per quanto concerne la quantificazione degli oneri, nella relazione, si osserva come essa sia stata compiuta considerando i dieci anni (2006-2015) precedenti all’entrata in vigore della legge n. 122/2016 - in ragione del fatto che il diritto all’indennizzo è soggetto, ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile, all’ordinario termine prescrizionale di dieci anni- e tenendo conto della stima annuale degli oneri, determinata sulla base dei dati ISTAT inerenti le vittime di delitti intenzionali violenti.

Ai sensi del comma 4, come modificato dalla Commissione, con riguardo agli oneri di cui al comma precedente trovano applicazione i commi da 12 a 12-quater dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) per la copertura finanziaria delle leggi e, in particolare, quelle relative al monitoraggio degli oneri e alle misure per gli eventuali scostamenti.

 

Il comma  5, infine, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 


 

Procedure di contenzioso

La procedura di infrazione n. 2011/4147  è stata avviata dalla Commissione europea per il non corretto recepimento della direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato. L’Italia ha provveduto a dare attuazione a tale direttiva con il decreto legislativo n. 204 del 2007[11].Le misure previste dal provvedimento sono state ritenute tuttavia non del tutto adeguate dalla Commissione europea. Il decreto legislativo del 2007, infatti, se da un lato, ha trasposto in maniera corretta la direttiva nella parte concernente l’istituzione del sistema di cooperazione per l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile, dall'altro, non ha proceduto alla istituzione di un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reato, ritenendo adeguati i sistemi di indennizzo e risarcimento contemplati già dall'ordinamento per alcune tipologie di reato (quali quelli di stampo mafioso o terroristico). La Commissione quindi, considerando solo parziale la trasposizione della direttiva ad opera del decreto legislativo n. 204, ha ritenuto di adire nuovamente la Corte di giustizia (causa C- 601/14) al fine di ottenere una ulteriore pronuncia di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano.

Le contestazioni della Commissione europea, accolte peraltro dalla Corte di Lussemburgo (vedi infra), toccavano in particolare il parziale recepimento dell'obbligo imposto dall'articolo 12, paragrafo 2 della direttiva 2004/80/CE. Tale disposizione impone infatti agli Stati membri di dotarsi di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, senza lasciare alcun margine di discrezionalità agli Stati quanto all'ambito di copertura del sistema stesso, destinato pertanto a dover corrispondere all'intera categoria dei reati intenzionali violenti. Secondo le istituzioni europee l'Italia non avrebbe con il decreto legislativo del 2007 correttamente trasposto tale parte della direttiva, non avendo esteso il sistema nazionale d’indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile.

Proprio per far fronte alla nuova procedura di infrazione le disposizioni della legge europea 2015-2016 – facendo salve le provvidenze già previste da altre disposizioni di legge per determinati reati, se più favorevoli[12] -  hanno riconosciuto il diritto all’indennizzo, a carico dello Stato, in favore delle vittime di reati dolosi commessi con violenza alla persona e, comunque, del reato di intermediazione illecita e sfruttamento al lavoro, ad eccezione dei reati di percosse e lesioni semplici. Sono state fissate le condizioni per l’accesso all’indennizzo, si è previsto che l’indennizzo è destinato a rifondere le sole spese mediche e assistenziali - ad eccezione dei casi di violenza sessuale e omicidio, in cui esso è comunque elargito - e si è stabilito che il relativo onere finanziario gravi sul Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura, appositamente ridenominato ed esteso alle vittime dei reati intenzionali violenti.

La Corte di Giustizia, con sentenza dell’11 ottobre 2016, pronunciata a seguito del ricordato ricorso C-601/14, ha statuito che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure per garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE. A ben vedere la Corte non ha potuto tener conto delle nuove norme di attuazione della direttiva, contenute nella legge europea, in quanto intervenute successivamente alla proposizione del ricorso, mentre l’inadempimento si è cristallizzato con l’adozione del parere motivato. Le disposizioni della legge europea 2015-2016 sono attualmente al vaglio della Commissione europea, alla quale sono state ritualmente notificate, al fine della valutazione circa la chiusura della procedura di infrazione.

 

 


Articolo 5
(Disposizioni in materia di rimborsi IVA. Procedura di infrazione 2013/4080 - SOPPRESSO)

 

L’articolo 5 è stato soppresso durante l’esame del provvedimento in Commissione, così recependo la condizione posta dalla Commissione V Bilancio nel parere sul provvedimento in esame.

Detto articolo intendeva modificare la disciplina dei rimborsi IVA, al fine di consentire l’archiviazione della procedura di infrazione 2013/4080, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE: in particolare, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso IVA continua ad essere tenuto a prestare idonea garanzia a tutela delle somme erogate, si prevedeva il versamento di una somma forfetaria, a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, in misura pari allo 0,15 per cento dell’importo garantito per ogni anno di durata della garanzia. Gli oneri derivanti dalle disposizioni in esame erano valutati in 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2018, con copertura mediante corrispondente riduzione del Fondo per il recepimento della normativa europea.

 

La Commissione V Bilancio ha rilevato la necessità di aggiornare le stime alla base della quantificazione degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo soppresso sulla base degli ultimi dati disponibili. La soppressione dell’articolo 5 è apparsa necessaria per assicurare il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, posto che il Fondo per il recepimento della normativa europea, del quale era previsto l'utilizzo, non recherebbe le occorrenti disponibilità volte a fronteggiare tale maggiore onere. In mancanza della quantificazione del maggiore onere derivante dal citato aggiornamento dei dati e della individuazione della relativa copertura finanziaria, la Commissione Bilancio ha ritenuto necessario sopprimere l’articolo.

Procedura di contenzioso

Il 26 settembre 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2013/4080) per violazione degli artt. 179 e 183 della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in merito alla disciplina del rimborso IVA.

La citata direttiva prevede che, ove i beni e/o i servizi, acquistati da un operatore, siano da esso finalizzati all'esercizio della propria attività imprenditoriale di cessione/prestazione di servizi, il medesimo operatore possa detrarre dal debito IVA da cui è gravato per legge (cd. IVA a debito), la stessa IVA che gli è stata scaricata dal soggetto da cui ha acquistato detti beni/servizi strumentali (cd. IVA a credito). Se l'ammontare dell'IVA a credito eccede quello dell'IVA a debito, l'art. 183 della direttiva 2006/112CE consente al contribuente di riportare tale eccedenza ad un periodo di imposta successivo, o di ottenerne il rimborso. Al riguardo, nella sentenza C-107/10 la Corte di Giustizia ha precisato che un rimborso procrastinato di oltre tre mesi, rispetto al momento in cui si ingenera il relativo diritto, sarebbe inaccettabile. Ora, dal combinato disposto degli artt. 30 e 38 bis del D.P.R. 26/10/72, n. 633, risulta che la previsione di un periodo non eccedente i suddetti tre mesi, per il rimborso di cui si tratta, sarebbe concesso in Italia non a tutti gli aventi diritto al rimborso stesso, ma solo a quelli, tra loro, che:

·      prestino una cauzione in titoli di Stato o una fideiussione triennale, a garanzia di un'eventuale restituzione dei rimborsi al Fisco, ove gli stessi risultino, in seguito, indebiti;

·      ovvero siano contribuenti cd. "virtuosi", cioè muniti di una serie di requisiti, compreso quello dell'anzianità di almeno 5 anni della propria attività.

Al riguardo, la Commissione osserva che il termine finale di 3 mesi concerne categorie troppo ristrette di contribuenti (laddove dovrebbe coinvolgere la totalità dei medesimi) e, in relazione alle stesse, risulta subordinata alla sussistenza di requisiti troppo onerosi (una fideiussione triennale). Per gli altri contribuenti non rientranti nelle categorie suddette, quindi, il termine del rimborso sarebbe, illegittimamente, prolungato oltre il trimestre. Peraltro, la Commissione osserva che, anche per i contribuenti virtuosi o prestanti cauzione, il termine di tre mesi rimarrebbe, di fatto, non rispettato.

In tema di rimborso dell’IVA, il legislatore italiano è intervenuto con il citato art. 13 del decreto legislativo 175/2014 in cui, tra le altre cose, viene generalizzata l'esecuzione dei rimborsi senza prestazione di garanzia o particolari adempimenti, salvo casi specifici, e vengono specificate le ipotesi nelle quali al contribuente è richiesta la prestazione di idonea garanzia, che comunque sostituisce il visto di conformità.

Nelle ultime comunicazioni, trasmesse per le vie brevi, la Commissione europea chiede alle autorità italiane la trasmissione dei dati statistici relativi ai rimborsi IVA per il secondo semestre 2015 e il primo semestre 2016, nonché rassicurazioni circa l’adozione della norma inerente il rimborso del costo delle garanzie richieste per ottenere il rimborso dell’IVA.

 


Articolo 6
(Non imponibilità ai fini IVA di cessioni all'esportazione nei confronti di amministrazioni e soggetti della cooperazione allo sviluppo)

 

L’articolo 6 modifica la disciplina concernente la non imponibilità ai fini IVA delle cessioni di beni effettuate nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo, destinati ad essere trasportati o spediti fuori dell'Unione europea in attuazione di finalità umanitarie.

 

In particolare, l'articolo 6, comma 1, introduce la nuova lettera b-bis) nell'articolo 8, primo comma,  del "decreto IVA" (DPR n. 633 del 1972), riconducendo le cessioni di beni - e relative prestazioni accessorie - effettuate nei confronti delle amministrazioni dello Stato e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo (soggetti iscritti nell'elenco di cui all'art. 26, co. 3, della legge n. 125 del 2014), alle cessioni all'esportazione non imponibili ai fini IVA.

 

La disposizione in esame intende attuare quanto previsto dall' art. 146, par. 1, lett. c) della direttiva 2006/112/CE (relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto). Tale norma consente di esentare dall'IVA le cessioni di beni ad organismi riconosciuti che li esportano fuori dall'Unione nell'ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative condotte al di fuori del territorio UE.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 26, comma 2, della legge n. 125 del 2014 ("Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo") sono soggetti della cooperazione allo sviluppo:

a)  organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e nell'aiuto umanitario;

b)  organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) statutariamente finalizzate alla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale;

c)  organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo;

d)  le organizzazioni e le associazioni delle comunità di immigrati che mantengano con le comunità dei Paesi di origine rapporti di cooperazione e sostegno allo sviluppo o che collaborino con soggetti provvisti dei requisiti di cui al presente articolo e attivi nei Paesi coinvolti;

e)  le imprese cooperative e sociali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, qualora i loro statuti prevedano la cooperazione allo sviluppo tra i fini istituzionali;

f)    le organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 26, sulla base di parametri e criteri fissati dal Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo (previsto dall'articolo 21 della legge), vengono verificate le competenze e l'esperienza dalle organizzazioni e dagli altri soggetti di cui al comma 2, ai fini dell'iscrizione in apposito elenco dei soggetti della cooperazione pubblicato e aggiornato periodicamente dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Con la novella in esame si applica l'esenzione ai fini IVA alle spedizioni o trasporti al di fuori dell'UE effettuate dal cessionario (o per suo conto) entro 180 giorni dalla consegna. La prova dell’avvenuta esportazione dei beni è data dalla documentazione doganale.

Le modalità della cessione o spedizione in oggetto sono fissate da un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

L'articolo 8, primo comma, lett. b), stabilisce che costituiscono cessioni non imponibili le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio dell'UE, entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto. L'esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall'Ufficio doganale o dall'Ufficio postale su un esemplare della fattura. Sono inoltre contemplate alcune eccezioni. La novella pone quindi un termine più ampio rispetto a quello stabilito dall'art. 8, co. 1, lett. b) in via generale. Riguardo ai termini temporali cfr. oltre.

 

Il comma 2 novella l'articolo 7 del D.Lgs. n. 471 del 1997 ("Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi"). Tale articolo 7 fissa la sanzione amministrativa (dal cinquanta al cento per cento del tributo) nei confronti di chi effettua, senza addebito d'imposta, le cessioni all'esportazione - ai sensi dell'articolo 8, primo comma, lettera b) del D.P.R. n. 633 del 1972 - qualora il trasporto o la spedizione fuori del territorio dell'Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto, di 90 gionri. La sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell'imposta.

Con la modifica in esame si intende estendere tale disciplina sanzionatoria alle cessioni che sono oggetto della disposizione in esame (includendo nel testo dell'articolo 7 il richiamo alla lettera b-bis) di cui si propone l'introduzione), applicabile qualora i beni in questione non dovessero essere effettivamente esportati, in frode alla legge. Si ribadisce che la lett. b-bis) pone il termine di 180 giorni.

 

Con la risoluzione n. 98/E del 10 novembre 2014, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcuni chiarimenti riguardo alle cessioni all’esportazione anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza del 19/12/2013 - procedimento C-563/12). Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia coinvolgeva una società ungherese alla quale, in sede di verifica, è stato disconosciuto il diritto di qualificare alcune operazioni come cessione all’esportazione esenti IVA, sulla base del fatto che la spedizione delle merci verso i Paesi terzi era avvenuta dopo il decorso del termine dei 90 giorni previsto dalla legislazione nazionale (termine analogo a quello previsto dalla legislazione italiana). Secondo la Corte, gli Stati membri possono prevedere "termini ragionevoli" per l’effettuazione dell’operazione ai fini delle esenzioni, senza essere perentori. Risulta quindi illegittima una previsione nazionale che preveda che il superamento del termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dall’esenzione.

Conseguentemente la risoluzione 98/E afferma che, ferma la compatibilità con la direttiva del termine di 90 giorni, "risulta aderente al tessuto comunitario anche la procedura di regolarizzazione prevista dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, da attuare, da parte del cedente nazionale, allo spirare del  suddetto termine di 90 giorni, laddove non abbia la prova che il bene è uscito dal territorio nazionale. Diversamente, non è in linea con la decisione della Corte la soluzione di negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione". Sarà quindi possibile recuperare l’IVA nel frattempo versata ai sensi del citato articolo 7, comma 1, del decreto n. 471 del 1997 emettendo una nota di credito (art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972) oppure mediante una richiesta di rimborso (art. 21 del d.lgs. n. 546/1992).

Come segnalato dalla relazione illustrativa, le suddette considerazioni si applicherebbero per analogia anche allo spirare del termine di 180 giorni previsto dalla nuova lettera b-bis).

 

Il comma 3 abroga l'art. 26, comma 5, della legge n. 125 del 2014. Tale comma 5 reca la disciplina attualmente vigente sulla non imponibilità ai fini dell'IVA delle cessioni in oggetto.

 

L'articolo 26, comma 5, stabilisce che le cessioni di beni a favore di amministrazione e soggetti della cooperazione sono da considerarsi non imponibili agli effetti dell'IVA ai sensi dell'articolo 8-bis del DPR n. 633/1972. Tale articolo 8-bis reca l'elenco delle operazioni non ricomprese nell'articolo 8 ma comunque assimilate alle cessioni all'esportazione non imponibili.


Articolo 7
(Agevolazioni fiscali per le navi iscritte nei Registri dei Paesi dell’Unione europea o dello SEE. Caso EU-Pilot 7060/14/TAXU)

 

L’articolo 7 estende il regime fiscale agevolato per le navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche a favore dei soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi, adibite esclusivamente a traffici commerciali, iscritte in registri di Paesi dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo.

 

Le misure agevolative oggetto di estensione sono le seguenti:

-     credito d’imposta in misura corrispondente all’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta sulle retribuzioni corrisposte al personale di bordo imbarcato, da valere ai fini del versamento delle ritenute alla fonte relative a tali redditi (articolo 4, comma 1, della legge n. 457 del 1997);

-     concorrenza nella misura del 20 per cento del reddito prodotto con navi iscritte nel Registro Internazionale a formare il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF e all’IRES (articolo 4, comma 2, della legge n. 457 del 1997);

-     esclusione dalla base imponibile IRAP del valore della produzione realizzato mediante l’utilizzo di navi iscritte al Registro Internazionale (articolo 12, comma 3 del D.Lgs. n. 446 del 1997);

-     regime forfetario, opzionale, di determinazione del reddito armatoriale: c.d. tonnage tax (articolo 155, comma 1, del TUIR).

 

Il comma 1 prevede che la suddetta estensione avviene a decorrere dal periodo d’imposta nel quale entra in vigore il decreto ministeriale attuativo previsto dal comma 3.

 

Il comma 2 prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino a condizione che sia rispettato quanto stabilito dalle seguenti disposizioni:

 

-       gli articoli 1, comma 5, e 3 del DL n. 457 del 1997;

Si tratta delle norme che pongono i limiti al cabotaggio pe le navi iscritte al Registro Internazionale. Il comma 5 dell’art. 1, vieta infatti il cabotaggio per tali navi, ma prevede un'attenuazione di tale riserva generale, che consente il servizio di cabotaggio delle navi iscritte al Registro internazionale per le navi da carico di oltre 650 tonnellate di stazza lorda con i seguenti limiti:

·       un viaggio di cabotaggio mensile quando il viaggio di cabotaggio segua o preceda un viaggio in provenienza o diretto verso un altro Stato, se si osservano i requisiti di nazionalità dell'equipaggio di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c): sostanzialmente sono richiesti 6 ufficiali di nazionalità UE compreso il comandante;

·       sei viaggi di cabotaggio al mese, oppure viaggi illimitati ma ciascuno con percorrenza superiore alle cento miglia marine, se sono rispettati i criteri di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), e del comma 1-bis , cioè se l'equipaggio è interamente di cittadinanza comunitaria oppure extracomunitario qualora sia stata utilizzata la deroga del comma 1-bis, cioè in presenza di specifici accordi sindacali nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori del settore,

·        per le navi traghetto ro-ro (roll on roll off, ossia che traghettano mezzi gommati) e ro-ro pax (roll on roll off passengers, ossia che traghettano mezzi gommati e/o passeggeri), adibite a traffici commerciali tra porti appartenenti al territorio nazionale, continentale e/o insulare, anche a seguito o in precedenza di un viaggio proveniente da o diretto verso un altro Stato, solamente qualora sia imbarcato esclusivamente personale italiano o comunitario (tale previsione è stata introdotta dal D.Lgs. n. 221 del 2016).

L’art. 3 del DL 457/1997 prevede che le condizioni economiche, normative, previdenziali ed assicurative dei marittimi italiani o comunitari imbarcati sulle navi iscritte nel Registro internazionale sono disciplinate dalla legge regolatrice del contratto di arruolamento e dai contratti collettivi dei singoli Stati membri. Il rapporto di lavoro del personale non comunitario non residente nell'Unione europea, imbarcato a bordo delle navi iscritte nel Registro internazionale, è invece regolamentato dalla legge scelta dalle parti e comunque nel rispetto delle convenzioni OIL in materia di lavoro marittimo

 

-       l’articolo 317 del Codice della navigazione, che disciplina la composizione e la forza minima dell'equipaggio;

L’art. 317 dispone che sia il comandante del porto a provvedere all'applicazione delle disposizioni di legge riguardanti la determinazione del numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina, e dei relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima dell'intero equipaggio.

 

-       l’articolo 426 del regolamento per l’esecuzione del Codice della navigazione (D.p.r. 15 febbraio 1952, n. 328), che disciplina i poteri del comandante del porto relativamente alla formazione degli equipaggi

L’art. 426 prevede che nella formazione dell'equipaggio della nave, spetti esclusivamente al comandante del porto, che ha facoltà di negare le spedizioni alla nave il cui equipaggio non sia composto in conformità alle norme:

1. accertare che l'equipaggio comprenda il numero di marittimi di stato maggiore e di bassa forza, ritenuto indispensabile alla sicurezza della navigazione;

2. vigilare che sia garantita l'osservanza delle leggi sul lavoro applicabili ai marittimi e delle norme sulle condizioni per l'igiene e abitabilità dei locali destinati all'equipaggio;

3. vigilare sull'osservanza delle tabelle di armamento stabilite, secondo i casi, dal Ministero o nei contratti collettivi d'arruolamento.

 

Il comma 3 demanda ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’attuazione delle disposizioni previste dai commi 1 e 2. Tale decreto deve essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge in esame.

 

Il comma 4  individua le coperture finanziarie degli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 20 milioni di euro per il 2018 e a 11 milioni di euro a decorrere dal 2019. A tali oneri si provvede mediante riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (articolo 41-bis della legge n . 234 del 2012).

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 7060/14/TAXU, pone la questione della compatibilità con il diritto dell’UE delle vigenti disposizioni concernenti i regimi di determinazione del reddito imponibile delle imprese marittime (art. 4 del decreto legge 457/1997 e artt. da 155 a 161 del Testo Unico delle Imposte sul Reddito, TUIR).

In particolare, la Commissione rileva che il requisito dell'immatricolazione della nave nel Registro internazionale italiano (RII) ai fini della concessione dei benefici fiscali di cui alle disposizioni richiamate potrebbe costituire una condizione discriminatoria nei confronti dei soggetti esercenti attività di traffico marittimo internazionale stabiliti in altri Stati dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE), ponendosi dunque come una restrizione contraria alla libertà di stabilimento, quale garantita dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e dall’art. 31 dell’Accordo SEE. Inoltre, ad avviso della Commissione, l'applicazione di misure fiscali di vantaggio ai soli esercenti navi immatricolate nel RII potrebbe dissuadere lo stabilimento in Italia da parte di soggetti residenti in altri Stati dell'UE o dello SEE esercenti l'attività di traffico marittimo internazionale nella misura in cui probabilmente le navi da essi utilizzate sono registrate nel Registro navale dei rispettivi Stati. La legislazione italiana, infatti, instaura una differenza di trattamento fiscale in funzione della nazionalità del mezzo di esecuzione della prestazione che, in quanto tale, potrebbe costituire una restrizione contraria alla libertà di prestazione dei servizi, quale garantita dall’art. 56 del TFUE e 36 dell’Accordo SEE.

L’art. 7 del DDL in esame dovrebbe consentire la chiusura del caso EU-Pilot 7060/14/TAXU, dal momento che estende il vigente regime fiscale agevolato relativo ai soggetti esercenti navi iscritte al Registro Internazionale Italiano (RII) anche nei confronti di soggetti residenti e non residenti con stabile organizzazione in Italia che utilizzano navi iscritte in Registri di Paesi UE o SEE.

Peraltro, si può osservare che le modalità di attuazione della nuova normativa sono rinviate ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della Legge europea.

 

 

 


Articolo 8
(Disposizioni relative al riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera. Sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 giugno 2001, causa C-212/99, e del 18 luglio 2006, causa C-119/04 e Caso EU Pilot 2079/11/EMPL)

 

L’articolo 8 stanzia risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. 120/1995 (L. 236/1995), con il quale è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la nuova figura del “collaboratore esperto linguistico”.

Secondo la relazione illustrativa, la disposizione intende risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL – richiamato anche nella rubrica dell’articolo – nell’ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'art. 26, co. 3, ultimo capoverso, della L. 240/2010 – che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori – con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione, pur ritenendo che l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza di una definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, si è interrogata sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (più ampiamente, v. infra par. Procedure di contenzioso).

 

Nello specifico, l’articolo 8 prevede che, a decorrere dal 2017, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO)[13] è incrementato di € 8.705.000[14] destinati, a titolo di cofinanziamento, alla copertura degli oneri derivanti dai contratti integrativi di sede perfezionati dalle università statali italiane e volti a superare il contenzioso in atto, nonché a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera.

Al riguardo, la relazione illustrativa e l’analisi tecnico-normativa fanno presente che, sui circa 500 ex lettori in servizio nelle università statali, circa 260 hanno un contenzioso pendente con gli atenei dai quali dipendono.

La relazione tecnica, a sua volta, evidenzia che l’onere complessivo pari a € 8.705.000 annui è calcolato moltiplicando il costo massimo pro capite per l’adeguamento stipendiale (pari a € 33.480) per le 260 unità interessate.

 

Le risorse sono destinate esclusivamente alle università che perfezionano i contratti integrativi di sede – definiti, a livello di singolo ateneo, secondo uno schema-tipo da emanare con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge – entro il 31 dicembre 2017. Lo stesso decreto definisce i criteri di ripartizione delle stesse risorse.

Al relativo onere si provvede, quanto a € 8.705.000 per il 2017 e a decorrere dal 2019, e quanto a € 5.135.000 per il 2018, mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea (art. 41-bis della L. 234/2012). Per la quota non coperta, per il 2018, a valere sul citato fondo, pari a € 3.570.000, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per il medesimo anno, del fondo speciale di parte corrente relativo al MEF.

 

Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 28 del DPR 382/1980 aveva previsto la possibilità per le università di assumere – con contratto di diritto privato di durata massima pari ad un anno accademico, rinnovabile per un massimo di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di specifici accordi internazionali, lettori di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza, accertata dalla facoltà interessata, in numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti con finanziamenti a tale scopo predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il CUN.

Tale disciplina è stata censurata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 55 del 23 febbraio 1989, nella parte in cui non consentiva il rinnovo annuale per più di cinque anni dei suddetti contratti.

Ulteriori censure, sotto diversi profili, sono derivate dalle sentenze della Corte di Giustizia europea del 30 maggio 1989 (causa 33/88) e del 2 agosto 1993 (cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91), nonché dalla procedura di infrazione n. 92/4660.

E’ stato conseguentemente approvato il citato D.L. 120/1995 (L. 236/1995), il cui art. 4 ha dettato una nuova disciplina, abrogando contestualmente l’art. 28 del DPR 382/1980.

Nello specifico, la nuova disciplina – rimettendo, tra l’altro, gli oneri a carico dei bilanci dei singoli atenei, anche a seguito dell’intervenuta autonomia finanziaria degli stessi (art. 5, L. 537/1993) – ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (CEL) – in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti .

Sempre in base all’art. 4 citato, le università avevano l'obbligo di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui all'art. 28 del DPR 382/1980, in servizio nell'a.a. 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell'incarico, salvo che la mancata rinnovazione fosse dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale così assunto conservava i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti.

 

Con sentenza del 26 giugno 2001 (causa C-212/99), la Corte di giustizia europea ha però stabilito che l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 39 del Trattato CE “con riferimento alla prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da alcune università pubbliche [Università degli studi della Basilicata, di Milano, Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli], prassi che si traduce nel mancato riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, in quanto “ai collaboratori linguistici non è stata riconosciuta, in termini di trattamento economico e previdenziale, l'anzianità di servizio che avevano acquisito come lettori di lingua straniera prima dell'entrata in vigore della L. 236/1995”[15]. Ne è derivata la condanna alle spese.

In seguito a tale condanna, la Commissione europea ha chiesto all’Italia di dare adempimento alla sentenza sopra citata, e da ultimo, con parere motivato del 30 aprile 2003, le ha concesso un termine di 2 mesi dalla notifica dello stesso, per adottare gli strumenti necessari.

 

L’intervento normativo in esecuzione della sentenza è stato effettuato nel 2004. In particolare, l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 (L. 63/2004) ha attribuito ai collaboratori esperti linguistici presso le sei università sopra indicate, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell'art. 28 del DPR 382/1980, un trattamento economico, proporzionale all'impegno orario assolto - tenendo conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore -, corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli. La richiamata equiparazione è stata disposta ai soli fini economici, con esclusione dell’esercizio da parte dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente.

 

Il 4 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea chiedendo l’accertamento del persistente inadempimento dell’Italia nei confronti della sentenza 26 giugno 2001 e il pagamento di una penale giornaliera.

La Corte di giustizia europea, con sentenza 18 luglio 2006 (causa C-119/04), ha accertato l'inadempimento dei suddetti obblighi – con riferimento alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore del D.L. 2/2004 – per la mancata attuazione da parte dell'Italia dei provvedimenti richiesti dalla esecuzione della pronuncia del 26 giugno 2001, nel termine di due mesi assegnato dal parere motivato della Commissione del 30 aprile 2003. Ha, peraltro, escluso la permanenza del suddetto inadempimento, alla data dell'esame dei fatti, nel quadro normativo stabilito dal D.L. 2/2004.

 

Nel frattempo, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con le sentenze 21856/2004 e 5909/2005, ha esteso l’ambito di applicazione del D.L. 2/2004, in particolare affermando che: “la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle università specificatamente indicate non può interferire sul valore di ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee, ed in particolare alla citata sentenza del 26 giugno 2001, che la normativa stessa intende eseguire. Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina deve essere riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera ancorché dipendenti da università diverse da quelle contemplate” (Cass. n. 5909/2005)[16].

 

Da ultimo, l’art. 26, co. 3, della L. 240/2010 ha disposto che l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 si interpreta nel senso che ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell'art. 28 del DPR 382/1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell'art. 4 del D.L. 120/1995.

Inoltre, ha disposto che, a decorrere da quest'ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l'importo corrispondente alla differenza tra l'ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal D.L. 2/2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 120/1995. Ha, infine, previsto l’estinzione dei giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della legge[17] [18].

 

Al riguardo, l’analisi tecnico-normativa fa presente che, a fronte di quanto previsto dall’art. 26, co. 3, della L. 240/2010, molti ex lettori hanno avviato un contenzioso nei confronti degli atenei dai quali dipendono, reclamando il diritto a conservare una retribuzione e una progressione economica corrispondente a quelle dei ricercatori confermati anche per i periodi successivi al 1994 (anno di instaurazione del nuovo rapporto di lavoro quali collaboratori esperti linguistici).

Sempre l’analisi tecnico-normativa evidenzia che il contenzioso, in alcuni casi, si è risolto con pronunce sfavorevoli per le università (Cassazione, sezione lavoro: 28 settembre 2016, n. 19190; 15 ottobre 2014, n. 21831; 5 luglio 2011, n. 14705).

Al riguardo, nella risposta del 16 dicembre 2014 all'interrogazione discussa nella 7^ Commissione del Senato n. 3-00189, il rappresentante del Governo ha rimarcato che “il contenzioso è particolarmente delicato per quelle università (tra le quali l’università di Catania) che hanno, in un primo momento, riconosciuto ai lettori lo stipendio del ricercatore universitario anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in CEL e poi, con l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, hanno modificato tale trattamento economico procedendo al recupero delle somme già percepite dagli interessati”.

 

Con riguardo alla estinzione dei giudizi, la Corte di Cassazione sezione Lavoro, con ordinanza n. 79/2017, ha rimesso una serie di ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, a seguito dei diversi orientamenti giurisprudenziali maturati nel corso del tempo, che l’ordinanza riassume.

In particolare, ha evidenziato che la stessa Cassazione – a partire dalla sentenza n. 2941 del 7 febbraio 2013 – ha applicato la disciplina generale ex art. 310 c.p.c., stabilendo che, ove la controversia sia pendente in Cassazione, con l’estinzione si determina il passaggio in giudicato della sentenza di merito. Ciò ha poi riguardato anche fattispecie in cui le sentenze di appello avevano accolto le pretese dei lettori anche in termini più favorevoli rispetto alle previsioni di legge. Peraltro, l’ordinanza evidenzia come recenti sentenze della stessa Cassazione (da ultimo la n. 10190/2016) hanno circoscritto l’estinzione ai soli processi in cui rilevi l’assetto dato dal legislatore alla materia. In tali casi l’estinzione – riguardando il giudizio e non il processo – dovrebbe investire anche le pronunce rese nel frattempo, siano esse favorevoli o sfavorevoli ai lettori, sì da evitare disparità di trattamento.

Inoltre, l’ordinanza evidenzia che non appaiono omogenee le posizioni assunte dalla Cassazione nel corso del tempo, circa la resistenza del giudicato alla sopravvenienza della nuova normativa che ha trasformato la figura del lettore.

 

Procedure di contenzioso

Il 22 dicembre 2014 la Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 2079/11/EMPL, ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n. 240 del 30 dicembre 2010, che stabilisce l'automatica estinzione dei giudizi pendenti relativi al trattamento economico degli ex lettori, con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.

In particolare, la Commissione rileva l'automatica estinzione dei giudizi pendenti potrebbe essere vista come logica conseguenza del fatto che, in seguito alla definizione in via legislativa della questione oggetto di controversia, tali giudizi sarebbero effettivamente privati della loro ragion d'essere.

Al riguardo, la Commissione ritiene che ragioni di economia processuale, ed in particolare l'esigenza di evitare un inutile dispendio di risorse pubbliche e garantire una deflazione del contenzioso, assicurando in tal modo il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, possano in linea di principio giustificare un intervento del legislatore quale quello in questione. Tuttavia, si interroga sulla necessità e la proporzionalità della restrizione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva che deriva dalla contestata disposizione.

La Commissione ritiene pertanto necessario ottenere chiarimenti da parte delle autorità italiane circa:

·     il numero di procedimenti interessati dall'applicazione della disposizione contestata, al fine di valutare se l'automatica estinzione dei procedimenti sia effettivamente necessaria a perseguire gli obiettivi di economia processuale;

·     quali siano le conseguenze concrete prodotte dall'applicazione della norma contestata sui diritti sostanziali e processuali delle parti nei procedimenti interessati;

·     con riguardo alle modalità della declaratoria di estinzione, se in tale caso l'estinzione avvenga in modo automatico ovvero debba essere pronunciata dal giudice a seguito di una valutazione delle circostanze da effettuarsi caso per caso;

·     se la declaratoria di estinzione debba essere pronunciata per "cessazione della materia del contendere", ovvero per altri motivi;

·     se sia soggetta ad un obbligo di motivazione, se sia subordinata ad una valutazione del giudice circa l'eventuale esistenza di pretese residuali (incluse eventuali domande di risarcimento dei danni) e se sia impugnabile (e in caso affermativo, con quali mezzi e a quali condizioni);

·     se l'impossibilità di conseguire una pronuncia nel merito, che sembra derivare dall'estinzione del giudizio, abbia in concreto effetti pregiudizievoli per le parti, con particolare riguardo all'obiettivo di ottenere una celere ed effettiva soddisfazione delle pretese economiche fondate sull'articolo 26, comma 3, della legge 240/2010. In tale contesto, le autorità italiane sono in particolare invitate a fornire informazioni dettagliate a proposito dei seguenti elementi: l'esistenza di garanzie circa il rimborso delle spese legali di avvio del procedimento e degli altri costi sostenuti per intentare l'azione giudiziaria; l'esistenza di garanzie circa la possibilità di ottenere il risarcimento di eventuali danni.

L’art. 8 del DDL legge europea mira alla chiusura dei contenziosi attuali, pur non modificando direttamente la norma contestata (articolo 26, comma 3, ultimo capoverso, della legge n 240/2010). Infatti, per superare il contenzioso in atto e prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso, la norma prevede che agli ex lettori di madrelingua sarà almeno attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione. Tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici di qualsiasi funzione docente.

 


Articolo 9
(Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/2203 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio. Procedura di infrazione n. 2017/0129)

 

L’articolo 9, modificato nel corso dell’esame in Commissione, ha ad oggetto l’etichettatura delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, prevedendo attività di controllo - già svolte in attuazione delle previsioni contenute nel DPR n. 180 del 1988, che ha recepito la direttiva 83/417/CEE, poi abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203 -  sulle indicazioni obbligatorie da riportare nelle etichettature dei prodotti (che sono le stesse di quelle previste nella direttiva 83/417/CEE) e i controlli sul rispetto dei tenori previsti negli allegati della direttiva; ciò per la verifica del fatto che i prodotti siano conformi ai nuovi parametri di tenori stabiliti dalla direttiva (UE) 2015/2203: il tenore massimo di umidità della caseina al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare, ridotto al 2%.

 

L’articolo 9, riguardante la sicurezza dei prodotti alimentari a base di caseina, prevede disposizioni di diretta attuazione della direttiva 2015/2203/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle caseine e ai caseinati destinati all'alimentazione umana e che abroga la direttiva 83/417/CEE del Consiglio.

 

Il presente articolo adegua la normativa vigente alle nuove disposizioni attualmente in vigore, anche in tema di etichettatura, contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011; ma, soprattutto, esso è volto a dare recepimento alla direttiva (UE) 2015/2203, avente lo scopo di:

·    allineare i poteri conferiti alla Commissione dalla nuova distinzione introdotta dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE); la proposta è intesa a delineare il conferimento dei poteri alla Commissione nel nuovo contesto giuridico creato dal trattato di Lisbona;

·    tener conto della nuova legislazione adottata nel frattempo, segnatamente per quanto riguarda l'alimentazione umana (la direttiva 2000/13/CE, il regolamento (CE) n. 178/2002, il regolamento (CE) n. 882/2004, il regolamento (CE) n. 1332/2008 ed il regolamento (CE) n. 1333/2008);

·    adeguare i requisiti di composizione dei prodotti interessati alle norme internazionali pertinenti adottate dal Codex Alimentarius. Tale adeguamento implica due modifiche: il tenore massimo di umidità della caseina alimentare aumenta dal 10% al 12% e il tenore massimo di grassi del latte della caseina acida alimentare è ridotto dal 2,25% al 2%.

 

Obiettivo della direttiva, oggetto del presente recepimento, è dunque quello di facilitare la libera circolazione delle caseine e dei caseinati destinati all'alimentazione umana, garantendo, al contempo, un elevato livello di tutela della salute, nonché allineare le disposizioni vigenti nei singoli Stati alla legislazione generale dell'Unione ed a quella internazionale.

L’articolo 21 della legge di delegazione europea 2014 (legge n. 170/2016) aveva autorizzato il Governo a dare attuazione alla predetta direttiva mediante regolamento; ma, considerata l’esigenza di dettare anche una disciplina sanzionatoria (al fine di adeguare l’importo delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 8 del D.P.R. n. 180 del 1988), si è ritenuto necessario adottare, mediante recepimento diretto, un provvedimento di  rango primario.

 

Il comma 1 definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ossia la produzione e la commercializzazione delle caseine e dei caseinati destinati all’alimentazione umana e alle loro miscele.

 

Le caseine e i caseinati destinati all’alimentazione umana sono una categoria di lattoproteine ossia di proteine ottenute dalla coagulazione del latte.

Nel settore alimentare sono utilizzate come coadiuvanti tecnologici in molti alimenti, ad esempio, nel vino, nei dolciumi, nelle caramelle e vengono altresì impiegate quali ingredienti nei salumi dove fungono da collante.

Nel panorama caseario europeo, è permesso l'utilizzo di caseine e di caseinati, come alternativa al latte, nella produzione di formaggi entro un massimo del 10 per cento dell'intera produzione.

La caseina viene prodotta solo quando il latte viene lavorato per la produzione di burro e sono pochi, quindi, i produttori che possono permettersi impianti completi.

L'uso della caseina è esteso anche ad una larga parte dell'industria, per la sua proprietà di eccellente collante ecologico; si utilizza, ad esempio, nella produzione di gomma, guarnizioni, produzione di fuochi artificiali e patinatura di carta.

Fino a pochi anni fa, la Commissione europea finanziava i produttori di caseina e caseinati per gli alti costi di produzione; attualmente, invece, tali finanziamenti non vengono più erogati.

I caseinati sono invece quei prodotti ottenuti mediante essiccazione delle caseine non neutralizzanti.

I produttori utilizzano i caseinati perché il loro costo è più basso rispetto al latte, in quanto i caseinati vengono prodotti in paesi come Argentina, Nuova Zelanda e Australia, dove il costo del latte è inferiore a quello europeo e tale, dunque, da rendere più conveniente un prodotto per ottenere il quale occorre sostenere costi industriali importanti: acidificazione del latte, separazione ed essiccazione delle caseine.

 

Il comma 2 introduce, secondo le indicazione della direttiva, la definizione di «caseina acida alimentare”, di «caseina presamica alimentare e di «caseinati alimentari”.

Il comma 3 descrive le indicazioni obbligatorie che i prodotti, aventi ad oggetto caseine e caseinati, devono riportare su imballaggi, recipienti o etichette in caratteri ben visibili, chiaramente leggibili ed indelebili.

Il comma 4 individua quali indicazioni devono obbligatoriamente figurare in lingua italiana, potendo anche essere riportate in altra lingua.

Il comma 5 contempla, come indicato nella direttiva, la possibilità di deroga per alcune delle indicazioni obbligatorie (quali la indicazione del tenore di proteine per le miscele contenenti caseinati alimentari, la quantità netta di prodotti espressa in chilogrammi, il nome o ragione sociale dell’operatore del settore alimentare e l’indicazione del Paese di origine nel caso di provenienza da un Paese terzo), che potrebbero essere inserite solo nel documento di accompagnamento.

Il comma 6 prevede che, quando il tenore minimo di proteine del latte, stabilito all'allegato I, sezione I, lettera a), punto 2, all'allegato I, sezione II, lettera a), punto 2, e all'allegato II, lettera a), punto 2, della direttiva (UE) 2015/2203 risulta superato, è possibile indicarlo in modo adeguato sugli imballaggi, sui recipienti o sulle etichette dei prodotti.

 

In merito agli allegati, si rappresenta che nell’articolo si rinvia al contenuto degli allegati della stessa direttiva, considerato che gli articoli 5 e 6 della direttiva prevedono che, al fine di tener conto della evoluzione delle norme internazionali applicabili e del progresso tecnico, la Commissione ha il potere di adottare atti delegati al fine di modificare le norme stabilite agli allegati I e II, i quali stabiliscono, in particolare, i fattori essenziali di composizione delle caseine, i contaminanti, le impurità, i coadiuvanti tecnologici, le colture batteriche, gli ingredienti autorizzati e le caratteristiche organolettiche delle caseine.

 

Il comma 7 detta una disposizione riguardante lo smaltimento delle scorte: in sede referente la Commissione ha modificato le regole di commercializzazione dei lotti di prodotto, fabbricati anteriormente all’entrata in vigore della legge proposta, e delle etichette non conformi a quanto sancito dallo stesso. Ora sarà possibile la loro commercializzazione fino ad esaurimento delle scorte e comunque entro e non oltre 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ma dovrà trattarsi, nel caso delle predette etichette, solo di quelle stampate anteriormente alla data dell'entrata in vigore della legge. La medesima Commissione, in sede referente, ha accolto l'emendamento aggiuntivo di un comma 7-bis, ai sensi del quale resta salva, in ogni caso, la possibilità di utilizzare etichette e materiali di confezionamento non conformi: ciò a condizione che siano integrati con le informazioni obbligatorie previste dall'articolo in commento, mediante l’apposizione di etichette adesive inamovibili.

 

I commi 8, 9, 10, 11 e 12 introducono norme sanzionatorie riguardanti le prescrizioni in materia di sicurezza e di commercializzazione di tali prodotti, prevedendo tre ipotesi di illecito amministrativo, facendo salve le ipotesi in cui le condotte descritte integrino una fattispecie di illecito penale.

 

Si prevede, in particolare, che integri un illecito amministrativo la condotta di colui che:

1)    utilizza - per la preparazione di alimenti - caseine o caseinati che non rispondono ai requisiti previsti dalla direttiva, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro mille ad euro diecimila;

2)    denomina le caseine o i caseinati, commercializzati per usi diversi, in modo tale da indurre in errore il consumatore sul loro effettivo uso, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

3)    pone in commercio, con le denominazioni indicate nel comma 2 ovvero con altre denominazioni similari che possono indurre in errore l’acquirente, prodotti non rispondenti ai requisiti stabiliti dall’art. 9 in commento, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento ad euro cinquemila;

4)    pone in commercio i prodotti di cui al comma 2, con una denominazione comunque diversa da quelle prescritte dal medesimo articolo in esame, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentocinquanta ad euro duemilacinquecento;

5)    viola le disposizioni stabilite nel comma 3 dello stesso articolo relative alle indicazioni obbligatorie che devono essere apposte su imballaggi, recipienti, etichette o documenti, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro cinquecento ad euro cinquemila.

 

I commi 13 e 14 individuano le Autorità competenti ad accertare le violazioni - in conformità alle previsioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193 - e ad irrogare le sanzioni previste (con la procedura della legge n. 689/1981, capo primo, sezione seconda). A livello nazionale, le autorità competenti ad effettuare tali attività sono il Ministero della salute, per la parte relativa alla sicurezza alimentare e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la parte relativa ai controlli qualitativi e quantitativi. A livello territoriale, le autorità competenti sono le regioni, le province autonome e le ASL. Le amministrazioni svolgeranno tali attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 15 detta una specifica clausola di invarianza finanziaria. In effetti, in merito ai controlli in materia di sicurezza alimentare, già la citata normativa prevede che le autorità competenti siano il Ministero della salute, le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le aziende sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze: secondo la relazione tecnica, «trattasi, pertanto, di attività istituzionali delle medesime, fronteggiabili con le risorse disponibili a legislazione vigente. Le attività di controllo di competenza del Ministero della salute sono già coperte dalle risorse previste dal capitolo di spesa 5010 del Ministero della salute “Spese per il potenziamento ed il miglioramento dell'efficacia della programmazione e dell'attuazione del piano nazionale integrato dei controlli”, mentre i controlli di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono coperti con le risorse finanziarie già destinate al funzionamento e all’operatività dell’Ispettorato centrale repressione frodi (Missione 1 “Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca” Programma 1.4 “Vigilanza, prevenzione e repressione frodi nel settore agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale”, capitoli n. 2460 e n. 2461 “Spese per acquisti di beni e servizi” e pertinenti piani gestionali)».

 

Il comma 16 dispone l’abrogazione del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio1988, n. 180 con il quale era stata recepita la direttiva 83/417/CEE, ora abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2203.

 

La direttiva 83/417/CEE del Consiglio del 25 luglio 1983, recepita con il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988 n. 180, prevedeva il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri per talune lattoproteine (caseine e caseinati), destinate all’alimentazione umana. La suddetta direttiva armonizzava, a livello europeo, le caratteristiche di composizione e di fabbricazione delle suddette caseine, al fine di fornire una regolamentazione uniforme delle stesse. Dall'entrata in vigore della direttiva erano intervenuti vari cambiamenti, in particolare, lo sviluppo di un ampio quadro normativo nel settore del diritto alimentare e l'adozione di una norma internazionale relativa ai prodotti alimentari a base di caseina, da parte della Commissione europea, di cui oggi occorre tenere conto.

 

Procedure di contenzioso

L'articolo 9 è finalizzato all’archiviazione della procedura di infrazione n. 2017/0129, allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE, avviata dalla Commissione europea il 24 gennaio 2017 (SG-Greffe(2017)D/1429) per mancato recepimento della direttiva entro il termine in essa contenuto (22 dicembre 2016).

 


Articolo 9-bis
(Modifica dell’articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71, in materia di norme sanitarie per la gente di mare – Caso EU Pilot 8443/16/MOVE)

 

L’articolo 9-bis, inserito nel corso dell’esame in Commissione, chiarisce che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, può essere prorogato per un periodo non superiore a tre mesi.

L’intervento legislativo è attuato mediante una novella alle disposizioni sanitarie di cui all’articolo 12, comma 5, del D.Lgs. 71/2015, che consentono la proroga della validità del certificato medico dei lavoratori marittimi nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio. La disposizione in esame chiarisce che il certificato medico rimane in vigore fino all'arrivo nel successivo porto di scalo dove sia disponibile un medico, a condizione che il periodo in questione non superi i tre mesi.

 

Il sopra richiamato decreto legislativo n. 71 ha attuato la direttiva 2012/35/UE modificativa della direttiva 2008/106/CE in materia di requisiti minimi della formazione della gente di mare. La disposizione in esame è volta a risolvere, per gli aspetti di competenza del Ministero della salute, il Caso EU Pilot 8443/16/MOVE, avviato dalla Commissione europea nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot. La Commissione ha, infatti, eccepito che la disposizione di cui al sopra richiamato comma 5, art. 71 del D.Lgs. 71/2015 non sia conforme all’articolo 11, par. 6, della direttiva 2008/106/CE e alla regola I/9.6 sugli standard medici previsti dalla Convenzione STCW[19] perché non chiarisce sufficientemente che il periodo di validità del certificato medico dei lavoratori marittimi, nel caso in cui il medesimo scada durante il viaggio, non può essere prorogata per un periodo superiore a tre mesi.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 8443/16/MOVE, avrebbe rilevato una serie di carenze nell’attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.

In particolare, la Commissione invita le autorità italiane a fornire chiarimenti sui seguenti punti:

·     modulo di allineamento relativo agli ufficiali di coperta e agli ufficiali di macchina: non è chiaro se siano incluse nella bozza di programma una serie di competenze, tra cui: "mantenere una guardia di navigazione sicura", "mantenere la nave nelle condizioni di sicurezza in mare", "garantire la conformità alle disposizioni di prevenzione dell'inquinamento";

·     corsi di livello direttivo: la Commissione intende verificare se i programmi dei suddetti corsi siano conformi alle norme previste dalla  Convenzione internazionale sui requisiti minimi di formazione per la gente di mare (Standards of Training, Certification and Watchkeeping, STCW);

·     corsi di specializzazione: le autorità italiane dovrebbero fornire chiarimenti circa la conformità alla direttiva 2008/106/CE e alla Convenzione STCW del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 novembre 2016, relativo ai requisiti per il rilascio dei titoli per la navigazione nazionale costiera: in particolare, il decreto esclude le persone che prestano servizio esclusivamente a bordo di navi operanti in viaggi costieri (Near  Coastal Voyages, NCV) nazionali dall'obbligo di conformarsi alla direttiva (nonché alla convenzione STCW), rilasciando loro certificati (''titoli") contemplati esclusivamente da disposizioni nazionali. La direttiva, invece, non distingue tra “viaggi internazionali” e “nazionali” nell’ambito dell’area NCV;

·     programma relativo agli ufficiali di coperta in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": le autorità italiane dovrebbero fornire documenti e informazioni del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca MIUR, atti a dimostrare il completamento del programma da parte di tutte le scuole;

·     programma relativo agli ufficiali di macchina in "Trasporti e logistica. Conduzione del mezzo": si ritiene necessario verificare che tale programma sia stato aggiornato al fine di includervi la voce "manutenzione e riparazione, quali smontaggio, regolazione e rimontaggio di macchinari e attrezzature";

·     corsi non riconosciuti dall’amministrazione: le autorità italiane sono invitate a fornire chiarimenti comprovanti che le università interessate abbiano allineato i propri programmi, in particolare quelli della corso di laurea in “Scienze nautiche e aeronautiche” alle prescrizioni della citata direttiva;

·     prove pratiche non effettuate in materia di addestramento nella lotta antincendio: le autorità italiane dovrebbero fornire la versione ufficiale del decreto che disciplina i corsi di addestramento antincendio di base e avanzato;

·     norme sanitarie: la normativa italiana (articolo 12, comma 5, del decreto legislativo 71/2015) stabilisce che, se il periodo di validità di un certificato medico scade durante il viaggio, il certificato continua ad essere valido fino al prossimo porto di scalo dove sia disponibile un medico ivi autorizzato. Tuttavia questa disposizione non è conforme all'articolo 11, paragrafo 6 della direttiva 2008/*106/CE e alla regola I/9.6 della convenzione STCW, in base ai quali tale periodo di validità non può superare i tre mesi;

·     convalida dei certificati di competenza: le autorità italiane dovrebbero fornire adeguate prove del fatto che i certificati di competenza per ufficiali di macchina di livello direttivo, qualora non sia stata impartita una formazione pratica relativa a/funzionamento  e alla manutenzione di alcuni tipi di apparato motore di propulsione, riportino tali limitazioni nella convalida.

Al riguardo si segnala che la misura inserita nella disposizione riguarda unicamente la sola questione relativa alle norme sanitarie.

 

 


Articolo 9-ter
(Disposizioni sanzionatorie per la violazione dell’articolo 48 del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio di sostanze e miscele)

 

L’articolo 9-ter, inserito nel corso dell’esame in Commissione, introduce un nuovo illecito amministrativo, punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 60.000 euro, a carico di chiunque viola le disposizioni in materia di pubblicità previste dal Regolamento (CE) n. 1272/2008 (Regolamento CLP) sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio di sostanze e miscele.

 

In particolare, il comma 1 della disposizione inserisce l’articolo 10-bis nel decreto legislativo n. 186 del 2011[20], che detta la disciplina sanzionatoria recata dal Regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio di sostanze e miscele. Più precisamente, l’introdotto articolo 10-bis dispone le sanzioni amministrative pecuniarie, da 10.000 a 60.000 euro, comminate per le violazione delle prescrizioni in materia di pubblicità di cui all’art. 48, paragrafi 1 e 2, primo periodo, del Regolamento (CE) n. 1272/2008, in base alle quali:

·      la pubblicità delle sostanze classificate come pericolose deve menzionare le classi o le categorie di pericolo;

·      la pubblicità di una miscela classificata come pericolosa o contenente una sostanza classificata come pericolosa (di cui all’articolo 25, paragrafo 6 dello stesso Regolamento CLP), che permetta a una persona di concludere un contratto d'acquisto senza aver prima preso visione dell'etichetta deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell'etichetta.

L’illecito amministrativo trova applicazione “salvo che il fatto costituisca reato” (clausola di riserva penale).

 

Si ricorda che il Regolamento CLP detta i criteri per la classificazione e le norme relative all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, stabilendo, tra l’altro, l’obbligo per i fornitori di etichettare ed imballare le sostanze e le miscele classificate come pericolose in conformità allo stesso regolamento, prima di immetterle sul mercato. Inoltre, prevede norme volte ad evitare l’esposizione accidentale alle sostanze chimiche pericolose fornite al pubblico e l’avvelenamento dei consumatori, con particolare riferimento ai minori.

Per quanto qui interessa, la violazione punita è quella relativa alle prescrizioni in materia di pubblicità previste all’articolo 48, par. 1 e 2, primo periodo, del richiamato regolamento (CE) n. 1272/2008. Al par. 1, tale norma prevede, infatti, che qualsiasi pubblicità per una sostanza classificata come pericolosa deve menzionarne le classi o le categorie di pericolo. Inoltre, ogni pubblicità per una miscela classificata come pericolosa a cui si applica l’art. 25, par. 6 del medesimo regolamento (obbligo di etichettatura con indicazioni supplementari) che comporti la conclusione di un contratto d’acquisto, senza che la persona interessata allo stesso abbia preventivamente preso visione dell’etichetta, deve menzionare il tipo o i tipi di pericoli che sono indicati nell’etichetta (par. 2).

La ratio della norma, che appare rivolta a chiunque operi nel commercio a distanza di sostanze chimiche e miscele, è quella di una maggiore responsabilizzazione per comportamenti non conformi al principio di precauzione per la sicurezza dei consumatori e per la tutela della salute.

 

Il comma 2 dell’art. 9-ter reca la clausola di invarianza finanziaria.

Gli interventi, infatti, a legislazione vigente, rientrano già nel “Piano   nazionale del controlli sui prodotti chimici[21] (emanato annualmente) previsti dall’Accordo Stato-regioni del 29 ottobre 2009 e pertanto tutte le risorse necessarie risulterebbero già strutturate e disponibili senza oneri aggiuntivi.

 

 

 

 

 


Articolo 10
(Disposizioni in materia di tutela delle acque. Monitoraggio delle sostanze chimiche. Caso EU Pilot 7304/15/ENVI)

 

L’articolo 10, modificato in sede referente, integra le disposizioni, dettate dall’art. 78-sexies del cd. Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006, d’ora in avanti Codice), relative ai metodi di analisi utilizzati per il monitoraggio dello stato delle acque - al fine di garantire l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico, dei risultati del monitoraggio medesimo, nonché la valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee - onde pervenire al superamento di alcune delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI.

A tal fine, viene previsto che le autorità di bacino distrettuali promuovano intese con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza.

La norma precisa altresì che l’intercomparabilità, che le intese dovranno perseguire a livello di distretto idrografico, dovrà riguardare i dati del monitoraggio:

·      delle sostanze prioritarie di cui alle tabelle l/A e 2/A dell’allegato 1 (nel corso dell’esame in Commissione è stato precisato che l’allegato in questione è quello alla parte terza del Codice);

Si ricorda che la tabella 1/A dell’allegato 1 alla parte terza del Codice indica gli standard di qualità ambientale nella colonna d'acqua e nel biota per le sostanze dell'elenco di priorità, mentre la successiva tabella 2/A indica gli standard di qualità ambientale nei sedimenti nei corpi idrici marino-costieri e di transizione.

·      e delle sostanze non prioritarie di cui alla tabella l/B del medesimo allegato 1.

Nella tabella 1/B sono definiti gli standard di qualità ambientale per alcune delle sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 (che fornisce un elenco indicativo dei principali inquinanti).

 

Nel corso dell’esame in Commissione è stato inserito un periodo che, ai fini del monitoraggio e della valutazione dello stato di qualità delle acque, prevede che le autorità di bacino distrettuali promuovano altresì intese (con i medesimi soggetti di cui sopra, vale a dire con le regioni e le province autonome ricadenti nel distretto idrografico di competenza) finalizzate all’adozione di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e di inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

Si fa notare che l’assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee è una delle questioni poste dalla Commissione all’attenzione delle autorità italiane.

 

Per garantire il raggiungimento delle finalità indicate, viene altresì previsto che l’ISPRA provveda alla pubblicazione sul proprio sito web, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, dell’elenco dei laboratori del sistema agenziale dotati delle metodiche analitiche disponibili a costi sostenibili, conformi ai requisiti di cui al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice (v. infra).

 

L’articolo 78-sexies è stato inserito nel cd. Codice dell’ambiente dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 10 dicembre 2010, n. 219, recante “Attuazione della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE e recepimento della direttiva 2009/90/CE che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/CE, specifiche tecniche per l'analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque”.

Il testo vigente del comma 1 dell’art. 78-sexies del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) affida all’ISPRA il compito di verificare che i requisiti minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi siano basati su una incertezza di misura definita conformemente ai criteri tecnici riportati al paragrafo A.2.8.-bis della sezione A "Stato delle acque superficiali" della parte 2 "Modalità per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici" dell'allegato 1 alla parte terza del Codice.

Il successivo comma 2 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientali per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i requisiti minimi di prestazione citati, le ARPA e le APPA assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili.

Le disposizioni dettate dall’art. 78-sexies consentono di recepire il disposto dell’art. 4 della direttiva 2009/90/CE.

In base al paragrafo 1 dell’art. 4, gli Stati membri verificano che i criteri minimi di efficienza per tutti i metodi di analisi siano basati su un'incertezza di misura pari o inferiore al 50% (k = 2) stimata al livello degli standard di qualità ambientale pertinenti e su un limite di quantificazione pari o inferiore al 30% rispetto agli standard di qualità ambientale pertinenti.

Il recepimento delle soglie indicate da tale articolo è operato dalla nuova lettera A. 2.8.-bis (anch’essa inserita nel testo del Codice dal citato D.Lgs. 219/2010) che, nel disciplinare i “requisiti minimi di prestazione per i metodi di analisi e calcolo dei valori medi”, prescrive, tra l’altro, le seguenti prestazioni minime dei metodi di misurazione:

·     alle concentrazioni dello standard di qualità (SQA-MA ed SQA-CMA) l'incertezza estesa associata al risultato di misura non deve essere superiore al 50% del valore dello standard di qualità. L'incertezza estesa sarà ottenuta … ponendo il fattore di copertura k uguale a 2;

·     il limite di quantificazione dei metodi deve essere uguale od inferiore al 30% dei valori dello standard di qualità (SQA-MA);

·     per quanto riguarda la valutazione dell'incertezza di misura, per i metodi che includono i dati di precisione … il laboratorio che li adotta deve “verificare che l'incertezza estesa (k=2) ottenuta dal dato di riproducibilità del metodo sia inferiore al 50% del valore dello standard di qualità”.

 

Il paragrafo 2 dell’articolo 4 dispone che, in mancanza di standard di qualità ambientale per un dato parametro o di un metodo di analisi che rispetti i criteri minimi di efficienza stabiliti al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che il monitoraggio sia svolto applicando le migliori tecniche disponibili che non comportino costi eccessivi.

Occorre inoltre ricordare che, secondo il 1° considerando della medesima direttiva, “occorre garantire la qualità e la comparabilità dei risultati analitici ottenuti dai laboratori incaricati dalle autorità nazionali competenti di effettuare il monitoraggio chimico delle acque, come previsto dall'articolo 8 della direttiva 2000/60/CE”.

Il richiamato articolo 8 della direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) stabilisce che gli Stati membri provvedono a elaborare programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico e prevede l’adozione di specifiche tecniche e metodi uniformi per analizzare e monitorare lo stato delle acque.

 

La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni del D.Lgs. 219/2010 hanno “attribuito alle regioni, attraverso le agenzie regionali dell’ambiente (ARPA e APPA), la facoltà di scelta delle migliori tecniche disponibili (MTD) per il monitoraggio delle sostanze chimiche. In alcuni casi, però, l’applicazione di diverse metodiche analitiche sullo stesso corpo idrico comune a più regioni ha portato a risultati analitici diversi e incoerenti tra le diverse regioni ricadenti nel medesimo distretto”.

Per tale motivo, quindi, e per garantire il rispetto del requisito dell’intercomparabilità previsto dalla normativa europea, sono dettate le disposizioni dell’articolo in esame.

 

L’art. 2, comma 1, dello Statuto approvato con D.M. Ambiente 27 novembre 2013 ha attribuito, tra l’altro, all’ISPRA, compiti di controllo, di monitoraggio e di valutazione con riferimento alla tutela delle acque. Il comma 4 dell’art. 2 dello statuto prevede altresì che l’ISPRA garantisce, attraverso il coordinamento del sistema agenziale, anche l’accuratezza delle misurazioni e il rispetto degli obiettivi di qualità e di convalida dei dati, provvedendo, fra l’altro, all’approvazione di sistemi di misurazione, all’adozione di linee guida e all’accreditamento dei laboratori.

La relazione illustrativa sottolinea che l’elenco dei laboratori dotati delle metodiche analitiche conformi ai requisiti di cui al citato paragrafo A.2.8.-bis verrà reso disponibile mediante la pubblicazione dello stesso in una sezione dedicata del sito di ISPRA, attraverso il Sistema informativo nazionale per la tutela delle acque italiane (SINTAI).

Sul sito del SINTAI si legge che l'ISPRA, per gli specifici compiti assegnati in materia di tutela delle acque, ha progettato, realizzato e messo in opera il SINTAI, attraverso il quale tutte le attività relative alla gestione delle informazioni vengono espletate. In particolare nel SINTAI sono disponibili tutti i dati prodotti dal sistema delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente e trasmessi all'ISPRA dalle regioni e province autonome.

Si fa infine notare che la messa a disposizione delle informazioni tramite il sistema SINTAI è contemplata anche dall’art. 78-ter del D.lgs. 152/2006 (inserito dall’art. 1 del D.Lgs. 219/2010), che disciplina l’inventario dei rilasci da fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite.

 

Si ricorda che la legge n. 132 del 28 giugno 2016, entrata in vigore il 14 gennaio 2017, è volta a istituire il Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA), di cui fanno parte l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e le agenzie regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano per la protezione dell'ambiente, nonché a intervenire sulla disciplina dell'ISPRA.

L’art. 4, comma 2, dispone che l'ISPRA, fermi restando i compiti e le funzioni ad esso attribuiti dalla normativa vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adegua la propria struttura organizzativa e tecnica al perseguimento degli obiettivi fissati dalla legge e prevede, tra l’altro, l’adeguamento dello statuto dell’ISPRA - entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (cioè entro il 14 maggio 2017) - “per la parte relativa alle funzioni conferite dalla presente legge”.

 

Procedure di precontenzioso

Secondo la Commissione europea, vi sarebbero numerosi esempi di cattiva o incompleta applicazione della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

In particolare, la Commissione europea avrebbe chiesto di ricevere chiarimenti e informazioni in merito alle seguenti questioni.

Insufficiente coordinamento nell'implementazione della direttiva

La Commissione europea avrebbe sollevato dubbi sull’esistenza di un adeguato meccanismo di coordinamento che assicuri che gli obiettivi della direttiva siano perseguiti nell’intero distretto idrografico, come previsto dall’articolo 3, comma 4, della direttiva. Ad avviso della Commissione europea, la valutazione dei Piani di gestione dei bacini idrografici (RBMPs) mostrerebbe significative differenze nell'implementazione della direttiva all'interno dei diversi distretti di bacino idrografico italiani, con importanti differenze nell'approccio seguito dalle regioni per l'implementazione di alcuni punti chiave delle direttiva, come ad esempio la valutazione delle pressioni e degli impatti, i programmi di monitoraggio, le modalità con le quali sono stati stabiliti gli obiettivi e i programmi delle misure.

Incompleto monitoraggio ed incompleta valutazione dello stato della qualità delle acque

La valutazione da parte della Commissione europea dei RBMPs avrebbe rilevato importanti carenze nei programmi di monitoraggio finalizzati alla definizione dello stato di qualità delle acque, ai sensi dell’articolo 8 della direttiva, che prevede che gli Stati elaborino programmi di monitoraggio dello stato delle acque al fine di definire una visione coerente e globale dello stato delle acque all'interno di ciascun distretto idrografico.

In particolare, vi sarebbero le seguenti carenze nei programmi di monitoraggio:

·      il metodo della fauna ittica, che è un indice di qualità per la classificazione dello stato ecologico dei corsi d'acqua, dei laghi e delle acque di transizione, non sarebbe stato elaborato né “intercalibrato" per consentire la comparabilità dei diversi metodi per la valutazione della qualità delle acque. Secondo la Commissione non vi sarebbero garanzie che una metodologia comune sarà applicabile (da tutte le regioni) in tempo per il secondo ciclo dei Piani di gestione dei bacini idrografici;

·      non sarebbero stati effettuati adeguati monitoraggi né valutazioni degli inquinanti specifici. L'Italia, con il D.M. 260/2010, ha adottato una lista di 51 inquinanti specifici, ma dalle informazioni delle Autorità Italiane risulterebbe che non tutte le regioni abbiano iniziato il monitoraggio di queste sostanze;

·      non sarebbe stata fissata una metodologia per la definizione del buon potenziale ecologico per tutti i corpi idrici artificiali e fortemente modificati, al fine di raggiungere un buono stato chimico. La definizione di una metodologia che fissi gli obiettivi per i corsi d'acqua artificiali e fortemente modificati è considerata di fondamentale importanza per l'Italia, dato il loro considerevole numero (1638, circa il 20% del totale dei corpi idrici superficiali);

·      fino ad ora non sarebbero state intraprese azioni in merito alla determinazione delle pressioni quantitative sulle acque sotterranee, (con particolare riferimento alle regioni Sicilia, Calabria e Basilicata), essenziale per la valutazione dello stato delle acque sotterranee e per determinare se gli obiettivi ambientali per le acque sotterranee possono essere raggiunti;

·      il monitoraggio delle sostanze prioritarie, ossia delle sostanze chimiche con un rischio significativo per l’ambiente acquatico per le quali l’UE riconosce priorità di intervento, sarebbe incompleto in diverse regioni italiane;

·      lo standard di qualità delle acque stabilito dall’Italia per il mercurio potrebbe non essere sufficientemente protettivo.

Assenza di metodologie per la valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee

Secondo la Commissione europea, vi sarebbe la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d'inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee nella maggior parte dei Distretti di bacino idrografico; pertanto, le autorità italiane dovrebbero chiarire quando tale metodologia sarà stabilita.

Mancanza di giustificazione delle esenzioni

La Commissione europea sottolinea che gli obiettivi ambientali della direttiva in esame sono vincolanti e che i Piani di Bacino dovrebbero includere giustificazioni per l'applicazione delle esenzioni. Ad avviso della Commissione, i Piani di Bacino italiani non includerebbero tali giustificazioni, nonostante l'applicazione delle esenzioni sia significativa sia per i corpi idrici superficiali che per quelli sotterranei.

Identificazione di programmi di misure

La valutazione effettuata dai servizi della Commissione sui Piani di Bacino italiani avrebbe rilevato una mancanza di collegamento tra le analisi delle pressioni e il programma delle misure. La direttiva in esame prevede che gli Stati Membri stabiliscano un programma di misure per il raggiungimento degli obiettivi, tenendo conto dei risultati delle analisi delle pressioni e degli impatti, che costituiscono la base per identificare il gap esistente per il raggiungimento dello stato di qualità ambientale in ciascun corpo idrico.

Prezzi dell'acqua in agricoltura

Secondo la Commissione europea, l'incentivazione dei prezzi in Italia sarebbe molto debole, specialmente nel settore agricolo. Infatti, non ci sarebbe un meccanismo in atto che assicuri un uso efficiente dell'acqua in agricoltura: non è richiesta alcuna misurazione dei volumi di acqua prelevati e il prezzo dell'acqua in agricoltura non è legato al volume di acqua utilizzato. Pertanto, la politica dei prezzi attuale non fornirebbe adeguati incentivi per gli utilizzatori affinché usino l'acqua in modo efficiente. Pertanto, le autorità italiane dovrebbero spiegare come vengono assicurati il meccanismo di incentivazione dei prezzi e il recupero dei costi finanziari, ambientali e della risorsa nel settore agricolo.

Altre questioni legate al settore agricolo

Le autorità italiane dovrebbero, infine, chiarire se saranno introdotte nuove misure vincolanti per gli agricoltori nei Programmi di Misure nel secondo ciclo dei Piani di gestione, relative, in particolare: alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento diffuso dovuto a azoto, fosforo e inquinanti organici, fitofarmaci; alla prevenzione e riduzione dell’erosione dei sedimenti e del suolo; alla protezione della struttura morfologica dei corsi d’acqua. Inoltre, le autorità italiane sono invitate a chiarire i limiti dei nutrienti (nitrati e fosfati) fissati per il buono stato dei corsi d’acqua.

 

Come affermato nella relazione del Governo, la disposizione è finalizzata a superare solo una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell’ambito del caso EU Pilot 7304/15/ENVI relative alla non corretta applicazione, a livello nazionale, della direttiva 2009/90/CE. In particolare, l’intervento è volto ad assicurare l’intercomparabilità, a livello di distretto idrografico (previsto all’articolo 3 della direttiva 2000/60/CE), dei dati di monitoraggio delle sostanze chimiche e, di conseguenza, dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici superficiali. Per effetto della modifica apportata in sede referente, la disposizione mira altresì a rispondere ad un’ulteriore contestazione del caso EU Pilot 7304/15/ENVI circa la mancanza di una metodologia di valutazione delle tendenze ascendenti e d’inversione della concentrazione degli inquinanti nelle acque sotterranee.

 

 

 

 

 


Articolo 11
(Corretta attuazione della direttiva 91/27l/CEE in materia di acque reflue urbane, con riferimento all’applicazione dei limiti di emissione degli scarichi idrici)

 

L’articolo 11, modificato in sede referente, interviene, al comma 1, sulla disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti (riferiti al contenuto di fosforo e azoto) devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell’impianto ma, più in generale, al carico inquinante generato dall’agglomerato urbano. Nel corso dell’esame in Commissione, è stato inserito il comma 2-bis, che esclude effetti derivanti dalla modifica di cui al comma 1 su quanto disposto dall’articolo 92 del cd. Codice dell’Ambiente, che disciplina le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, e sulla sua applicazione in relazione ai limiti di utilizzo delle materie agricole contenenti azoto nelle medesime aree.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame modifica la tabella 2 dell’allegato 5 alla Parte Terza del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), la quale fissa limiti di emissione (riferiti al contenuto di fosforo e di azoto) per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, graduati in ragione delle diverse potenzialità dell’impianto di trattamento delle acque medesime.

La tabella 2 (che si riporta di seguito) prevede infatti limiti più severi per potenzialità impiantistiche superiori a 100.000 abitanti equivalenti (A.E.) e limiti meno stringenti per potenzialità comprese tra 10.000 e 100.000 A.E.

Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Parametri (media annua)

Potenzialità impianto in A.E.

 

10.000 - 100.000

> 100.000

 

Concentrazione

% di riduzione

Concentrazione

% di riduzione

Fosforo totale (P mg/L)

≤ 2

80

≤ 1

80

Azoto totale (N mg/L)

≤ 15

70-80

≤ 10

70-80

La modifica in esame consiste nella sostituzione del titolo della seconda colonna “Potenzialità impianto in A.E.” con la dicitura “Carico generato dall’agglomerato in A.E.”, al fine appunto di riferire i limiti riportati dalla tabella non più alla potenzialità dell’impianto, bensì al carico generato dall’agglomerato.

 

Secondo la relazione illustrativa ciò implica quindi una estensione del campo di applicazione della norma, poiché i controlli sulla qualità degli scarichi dovranno essere effettuati sulla “totalità degli impianti di depurazione al servizio degli agglomerati superiori a 10.000 A.E., i cui scarichi recapitano in aree sensibili”. Pertanto, sempre secondo la relazione, si potrebbe avere “limitatamente ad alcune situazioni territoriali, ossia agglomerati con carico generato maggiore di 10.000 abitanti equivalenti e scarico in area sensibile, un aumento del numero degli impianti di depurazione da sottoporre a monitoraggio” che “si tradurrebbe in un aumento del numero di campioni da prelevare e sottoporre ad analisi per verificare il rispetto dei valori limite”.

Ai sensi dell’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 91/271/CEE, gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello standard “per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti”. La relazione illustrativa sottolinea quindi che “secondo la direttiva, dunque, per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, l’elemento discriminante per l’applicazione dei limiti di emissione previsti non è la potenzialità dell’impianto, bensì il carico inquinante generato dall’agglomerato, espresso in abitanti equivalenti”.

La medesima relazione ricorda che il riferimento nella Tabella 2 alla potenzialità dell’impianto in A.E. - che è stato contestato (benché solo informalmente) dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (procedure d’infrazione 2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059) - ha “determinato, in diversi casi, una non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE”.

 

Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che le eventuali ulteriori attività di monitoraggio e controllo – come specificate nel corso dell’esame in sede referente - derivanti dall’estensione operata dal comma 1, sono svolte con le risorse disponibili a legislazione vigente, nei limiti delle disponibilità di bilancio degli organi di controllo e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

La relazione illustrativa chiarisce che gli eventuali oneri connessi alle ulteriori attività, “trattandosi di attività che rientrano nella gestione degli impianti di depurazione, saranno coperti con i proventi derivanti dalla tariffa del servizio idrico integrato, a norma dell’articolo 154, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Si ricorda, in proposito, che la richiamata norma dispone, tra l’altro, che la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga».

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato introdotto il comma 2-bis, che prevede che dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non devono derivare effetti sulle materie disciplinate ai sensi dell’articolo 92 del citato decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, né conseguenze sull’applicazione del medesimo articolo 92 in relazione ai limiti di utilizzo di materie agricole contenenti azoto, in particolare degli effluenti zootecnici e dei fertilizzanti, nelle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola.

L’articolo 92 del D.lgs. 152/06 disciplina l’individuazione delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, secondo i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I alla parte terza del medesimo decreto legislativo. In particolare, l’Allegato 7/A-I considera zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi.

Ai fini di una prima individuazione sono state designate quali zone vulnerabili determinate aree elencate nel medesimo Allegato 7/A-III.

Ogni quattro anni sono aggiornati, rispettivamente, i criteri previsti nell’Allegato 7/A-I con decreto del Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza Stato-regioni, e l’elenco delle zone vulnerabili da parte delle regioni, sentita l’Autorità di Bacino (commi 1-5).

Nelle zone individuate devono essere attuati specifici programmi di azione per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento causato da nitrati di origine agricola, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999 (pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999) (comma 6).

I Programmi di azione sono obbligatoriamente definiti dalle regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui al citato Allegato 7/A-IV (comma 7). Le regioni riesaminano e, se del caso, rivedono i citati programmi d'azione obbligatori per lo meno ogni quattro anni (comma 8-bis).

Con il decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali del 19 aprile 1999 (codice di buona pratica agricola), emanato ai sensi della Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, sono stati definiti specifici obiettivi al fine di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo l'impatto ambientale dell'attività agricola attraverso una più attenta gestione del bilancio dell'azoto.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 112, comma 2, del cd. Codice dell’Ambiente prevede che le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con un decreto del Ministro delle politiche agricole, di concerto con i Ministri dell'ambiente, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del Codice. Conseguentemente, è stato emanato il D.M. 25 febbraio 2016 che, nel Titolo V, contiene le norme per l’utilizzazione agronomica in zone vulnerabili da nitrati.

In tale ambito, l’art. 35 del medesimo D.M. 25 febbraio 2016 stabilisce che le previsioni del citato Allegato 7 alla Parte Terza del Codice dell’Ambiente siano integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo Titolo V, e che i programmi di azione regionali previsti dall’art. 92 del d.lgs. 152/2006, siano conformi alle disposizioni di cui al medesimo Titolo V, che integra l'Allegato 7, parte A-IV della Parte Terza del medesimo decreto.

 

Procedure di contenzioso

La modifica prevista dall’articolo 11 mira a garantire una corretta applicazione dell'articolo 5 della direttiva 91/271/CEE che prevede che il trattamento più spinto del secondario per le aree sensibili debba essere applicato a tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti (A.E).

Come si evince anche dalla relazione del Governo, la norma riguarda una questione - il riferimento nella citata Tabella 2 del decreto legislativo 152/2016 alla “Potenzialità impianto in A.E.” – che non è oggetto di una procedura di infrazione, ma che è stata contestata solo informalmente dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione avviate sulle acque reflue urbane (2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059), sulle quali la norma non incide.

 

In particolare, nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2034, il 10 aprile 2014 la Corte di giustizia europea (Causa C-85/13) ha dichiarato che l’Italia, avendo omesso di adottare le disposizioni necessarie per garantire che in alcuni agglomerati[22] aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili» ai sensi della direttiva 91/271, come modificata dal regolamento n. 1137/2008, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente, conformemente all’articolo 5 di detta direttiva è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti.

 

Tale sentenza segue quella del 19 luglio 2012 (causa C-565/10) relativa alla procedura di infrazione 2004/2034, con la quale la Corte europea ha dichiarato l’inadempimento dell’Italia per non avere predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti entro il termine del 31 dicembre 2010, come previsto dalla direttiva 91/271/CE.

Poiché l’Italia non ha dato esecuzione alla sentenza del 2012, l’8 dicembre 2016 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia, ex art. 260 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), chiedendo contestualmente che venga comminata una sanzione forfettaria di 62.699.421,40 euro, ed una sanzione giornaliera pari a 346.922,40 euro qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emetterà la sentenza.

 

Con riferimento ad ulteriori agglomerati urbani risultanti non conformi alla direttiva 91/271/CEE, è in corso un’altra procedura di infrazione (2014/2059), nell’ambito della quale la Commissione europea ha inviato il 26 marzo 2015 un parere motivato ex art. 258 TFUE. Con riferimento all’articolo 5, la Commissione contesta nuovamente la mancanza o l’insufficienza di informazioni relative agli impianti serventi aree sensibili e bacini drenanti di aree sensibili.

 

 

 


Articolo 11-bis
(Disposizioni di attuazione della direttiva (UE) 2015/720 sulla riduzione dell’uso di borse di plastica in materiale leggero. Procedura di infrazione n. 2017/0127)

 

L’articolo 11-bis, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, reca una disciplina volta alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica (c.d. shoppers) in materiale leggero, allo scopo di attuare la direttiva (UE) 2015/720. Le disposizioni riproducono quelle contenute nello schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 357), che non è stato definitivamente adottato.

Si ricorda che la delega per l’emanazione del citato schema di decreto è stata conferita dall’art. 4 della legge 12 agosto 2016, n. 170 (legge di delegazione europea 2015), che ha disciplinato le modalità e i termini per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, inclusa nell’allegato B della medesima legge, e dettato princìpi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega per il suo recepimento, che si aggiungono ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'art. 1, comma 1, della legge medesima, in quanto compatibili.

Lo schema di decreto legislativo, sul quale le competenti Commissioni parlamentari hanno espresso il parere, è stato notificato alla Commissione europea (v. infra). Essendo nel frattempo scaduti i termini per l’esercizio della delega e in considerazione del mancato recepimento della direttiva, è stata aperta la procedura di infrazione 2017/0127.

Si segnala altresì che una nuova delega per il recepimento della direttiva (UE) 2015/720 è contenuta nell’art. 12 del disegno di legge di delegazione europea 2016 (Atto Senato n. 2834).

 

L’articolo 11-bis integra le finalità della disciplina degli imballaggi, al fine di favorire livelli sostenuti di riduzione dell’utilizzo di borse di plastica, introduce nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica, necessarie per l’applicazione della nuova disciplina, in cui rientrano quelle riguardanti le borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero, nonché le borse di plastica biodegradabili e compostabili. Ulteriori disposizioni riguardano: le informazioni che devono essere rese ai consumatori; l’apposizione di diciture identificative delle borse commercializzabili da parte dei produttori; gli obblighi di relazione alla Commissione europea circa l’utilizzo di borse di plastica; l’organizzazione di campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull’impatto delle borse di plastica sull’ambiente; l’introduzione di una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica e di sanzioni per chi viola tali disposizioni. Sono infine abrogate le norme vigenti per finalità di coordinamento con l’introduzione della nuova disciplina.

Di seguito si dà conto delle disposizioni previste dall’articolo in esame, che si configurano, in gran parte, come modifiche e integrazioni alla disciplina sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio contenuta all’interno del titolo II (Gestione degli imballaggi), costituito dagli articoli 217-226, della parte IV del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

Per una ricostruzione articolata della normativa vigente si rinvia invece alle premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” contenuta nel dossier relativo al citato Atto del Governo n. 357.

Comma 1, lettera a)
(Nuove finalità della disciplina relativa agli imballaggi)

La lettera a) aggiunge, alle finalità sottese alla disciplina degli imballaggi (contenuta nel titolo II della parte IV del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente) quella di favorire livelli sostenuti di riduzione dell'utilizzo di borse di plastica, che integra più specificamente l’obiettivo collegato alla prevenzione e alla riduzione dell’impatto sull'ambiente degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.

Tale precisazione viene introdotta mediante una modifica integrativa all’art. 217, che contempla ulteriori finalità cui deve tendere la disciplina della gestione degli imballaggi, vale a dire: assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato, nonché per evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, prevenire l'insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza e garantire il massimo rendimento possibile di imballaggi e rifiuti di imballaggio.

La modifica recata dalla lettera in esame corrisponde all’obiettivo, previsto dalla direttiva 2015/720/UE, in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero (paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’art. 1, punto 2), della direttiva 2015/720/UE).

A differenza della direttiva, la norma in esame fa riferimento alla finalità della riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in generale, e non solo a quelle in materiale leggero.

 

Un’ulteriore modifica recata dalla lettera in esame (sempre riferita all’art. 217 del D.lgs. 152/2006), di carattere formale, integra il riferimento alla direttiva 2015/720/UE tra le modificazioni apportate alla direttiva 94/62/CE.

Comma 1, lettera b)
(Nuove definizioni relative agli imballaggi in plastica)

La lettera b) aggiunge nuove definizioni, relative agli imballaggi in plastica, a quelle contemplate dall’art. 218 del D.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che si rendono necessarie ai fini dell’applicazione della nuova disciplina sulla gestione degli imballaggi (nuove lettere da dd-bis) a dd-octies) del comma 1 dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006).

Tali definizioni corrispondono per lo più a quelle recate dai punti 1-bis), 1-ter), 1-quater), 1-quinquies) e 1-sexies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotti dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Definizione di “plastica”

La nuova lettera dd-bis) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di plastica, intesa come un polimero a cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze e che può funzionare come componente strutturale principale delle borse.

Tale definizione è identica a quella prevista dal punto 1-bis) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per la definizione di polimero la norma rinvia a quella contenuta nell’art. 3, punto 5), del regolamento (CE) n. 1907/2006 (concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, c.d. regolamento REACH), di carattere prettamente chimico: in base a tale definizione, infatti, un polimero è una sostanza le cui molecole sono caratterizzate dalla sequenza di uno o più tipi di unità monomeriche. Tali molecole devono essere distribuite su una gamma di pesi molecolari in cui le differenze di peso molecolare siano principalmente attribuibili a differenze nel numero di unità monomeriche.

Borse di plastica e borse di plastica in materiale leggero e ultraleggero e commercializzazione delle stesse

Le successive lettere dd-ter), dd-quater e dd-quinquies) dell’art. 218 del D.Lgs. 152/2006, introdotte dalla lettera in esame, definiscono le borse di plastica, nonché le sottocategorie delle borse di plastica in materiale leggero (con spessore inferiore a 50 micron, pari a 0,05 millimetri) e ultraleggero (con spessore inferiore a 15 micron, pari a 0,015 millimetri) riproducendo le analoghe definizioni recate dai punti 1-ter), 1-quater e 1-quinquies) dell’art. 3 della direttiva 94/62/CE (introdotte dall’art. 1, punto 1), della direttiva 2015/720/UE).

Per quanto riguarda la definizione di “borse di plastica”, si fa notare che la norma in esame fa riferimento a borse “fornite ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti”, mentre la definizione della direttiva riguarda le borse “fornite ai consumatori nei punti vendita di merci e di prodotti”. Si segnala, in proposito, che tale riferimento ai punti vendita è presente nella lettera dd-octies). Tale lettera infatti, nel definire la commercializzazione delle borse di plastica (attività su cui poi incideranno le misure introdotte dai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del d.lgs. 152/2006), riguarda la fornitura di borse di plastica (contro pagamento o a titolo gratuito) da parte di produttori e distributori, nonché da parte dei commercianti nei punti vendita di merci e prodotti.

 

In merito alla definizione di borse di plastica in materiale ultraleggero si fa notare che essa, in linea con la direttiva, restringe il proprio ambito a quelle “richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi” (la direttiva precisa inoltre “se ciò contribuisce a prevenire la produzione di rifiuti alimentari”; tale parte della norma europea non è riprodotta nella definizione in esame).

La norma sembra far riferimento, in particolare, ai sacchetti di plastica che nei supermercati vengono utilizzati per la frutta e la verdura e ai guanti di plastica usati per riporre tali prodotti nei sacchetti.

 

Si ricorda che, in base alla disciplina degli imballaggi dettata dal D.lgs 152/2006, con il termine di “imballaggio” si intende il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all'utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo.

L’espressione “imballaggio primario” (o imballaggio per la vendita) fa invece riferimento ad un imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore.

Il punto 2) dell'allegato E alla parte quarta del D.lgs. 152/2006 riporta i criteri interpretativi per la definizione di imballaggio ai sensi della direttiva 2004/12/CE ed una serie di esempi illustrativi di quali materiali debbano intendersi imballaggi in base a tali criteri.

Borse di plastica oxo-degradabili

La successiva lettera dd-sexies) riguarda invece le borse di plastica oxo-degradabili, definite come quelle borse di plastica composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti.

Nel 18° considerando della direttiva 2015/720/UE viene sottolineato che “alcune borse di plastica sono indicate dai produttori come «oxo-biodegradabili» o «oxo-degradabili». In tali borse, nella plastica convenzionale sono incorporati degli additivi. Per effetto della presenza di detti additivi, col tempo la plastica si scompone in particelle minute che permangono nell'ambiente. È quindi fuorviante definire «biodegradabili» borse di questo tipo dal momento che potrebbero non essere una soluzione alla dispersione dei rifiuti ma potrebbero al contrario aumentare l'inquinamento”.

Si tratta di una posizione che sembra confermare quanto già in precedenza affermato dalla Commissione europea in risposta all’interrogazione parlamentare E-004217/2011.

Borse di plastica biodegradabili e compostabili

La nuova lettera dd-septies) dell’art. 218, inserita dalla lettera in esame, introduce la definizione di borse di plastica biodegradabili e compostabili, la cui commercializzazione è sempre consentita. Tale definizione fa riferimento alle borse di plastica certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002. Si tratta di una definizione che non trova corrispondenza nella direttiva 2015/720/UE e che è riferita alle borse di plastica di qualsiasi spessore.

Nella relazione illustrativa allo schema di decreto n. 357 si sottolinea che tale definizione, benché “non esplicitamente enunciata all'articolo l, paragrafo l, della direttiva”, è “indispensabile per una corretta attuazione della nuova disciplina europea”. In proposito, la relazione richiama, in primo luogo, il 16° considerando della direttiva stessa, secondo cui  “la norma europea EN 13432 relativa ai «Requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi» stabilisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per essere considerato «compostabile»: poter essere riciclato attraverso un processo di recupero organico comprendente il compostaggio e la digestione anaerobica” e “la Commissione dovrebbe chiedere al Comitato europeo di normazione di definire una norma distinta per gli imballaggi da compostaggio domestico”. E’, altresì, richiamato il 17° considerando in base al quale “è importante che a livello di Unione vi sia un riconoscimento delle etichette o dei marchi per le borse di plastica biodegradabili e compostabili”.

La direttiva 2015/720/UE fa riferimento ai concetti di biodegradabilità e compostabilità in due punti, peraltro richiamati nella relazione illustrativa dello schema al fine di giustificare l’inserimento della definizione di “borse di plastica biodegradabili e compostabili”.  L’articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 2), a proposito delle misure che gli Stati membri adottano per conseguire una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, ossia delle borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron, specifica, tra l’altro, che tali misure possono variare in funzione delle loro proprietà di compostabilità. L’articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, numero 3), prevede che, entro il 27 maggio 2017, la Commissione adotta un atto di esecuzione che stabilisce il disciplinare delle etichette o dei marchi per garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e per fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle proprietà di compostaggio di tali borse. Al più tardi 18 mesi dopo l'adozione di tale atto di esecuzione, gli Stati membri assicurano che le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente al disciplinare di cui a tale atto di esecuzione.

Si ricorda che l’art. 2 del D.L. 2/2012 ha escluso dal divieto di commercializzazione i “sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002”. La norma tecnica UNI EN 13432:2002 (intitolata “Imballaggi - Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione - Schema di prova e criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi”) è la versione ufficiale in lingua italiana della norma tecnica europea EN 13432 (del settembre 2000) che specifica i requisiti e i procedimenti per determinare le possibilità di compostaggio e di trattamento anaerobico degli imballaggi e dei materiali di imballaggio.

L’Allegato II della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, recante i requisiti essenziali concernenti la composizione, la riutilizzabilità e la recuperabilità (in particolare la riciclabilità degli imballaggi), alle lettere c) e d) del punto 3 reca rispettivamente i seguenti requisiti per la recuperabilità degli imballaggi:

-    imballaggi recuperabili sotto forma di composti: si tratta dei rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost, che devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti;

-    imballaggi "biodegradabili": si tratta dei rifiuti di imballaggio biodegradabili di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.

In base a quanto previsto dal paragrafo 2 dell’articolo 9 della citata direttiva, dalla data indicata nell'articolo 22, paragrafo 1, gli Stati membri presumono che siano soddisfatti tutti i requisiti essenziali in essa definiti, compreso l'Allegato II, quando gli imballaggi sono conformi:

a)  alle pertinenti norme armonizzate, i cui numeri di riferimento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, prevedendo inoltre che gli Stati membri pubblicano i numeri di riferimento delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate;

b)  alle pertinenti norme nazionali di cui al paragrafo 3, se, per i settori cui si riferiscono tali norme, non esistono norme armonizzate.

Il paragrafo 3 del medesimo articolo 9 prevede che gli Stati membri comunicano alla Commissione i testi delle norme nazionali che considerano conformi ai requisiti di cui all’articolo 9.

Si segnala che, con decisione della Commissione europea del 28 giugno 2001, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 12 luglio 2001, n. L 190, il riferimento alla norma armonizzata EN 13432:2000 dal titolo “Imballaggi – requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione – schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”. Si tratta di una norma tecnica che nasce da un mandato specifico della Commissione europea al CEN (Comitato europeo di normalizzazione)  , che rientra tra gli organismi europei di normalizzazione di cui all’allegato I della direttiva 22 giugno 1998, n. 98/34/CE, relativa alla procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione.

Sui contenuti della norma tecnica citata, in risposta all’interrogazione 4/07537, pubblicata nell’allegato della seduta del 24 settembre 2015, il Ministro dell’ambiente ha richiamato un parere in merito alla nozione di «biodegradabilità» dei sacchi per asporto merci e alla valenza della norma UNI EN 13432:2002 emesso dall’ISPRA. Detto parere ha evidenziato che la norma armonizzata UNI EN 13432:2002, cui si riferisce il decreto ministeriale 18 marzo 2013 (attuativo dell’art. 2 del D.L. 2/2012) per individuare le sole tipologie di sacchetti monouso commercializzabili, «fornisce indicazioni sulla verifica della biodegradabilità dell'imballaggio, nonché della sua capacità di andare incontro a disintegrazione, solo in termini di biodegradazione controllata, di tipo aerobico o anaerobico, presso impianti di trattamento».

Altresì «la capacità di subire una degradazione per effetto di un processo di compostaggio rappresenta un elemento di valutazione della sua biodegradabilità in determinate condizioni, ma non può essere inteso come un criterio di valutazione assoluta. Una plastica può essere infatti biodegradabile ma non compostabile, ovvero potrebbe richiedere tempi di disintegrazione e degradazione più lunghi rispetto a quelli previsti dal processo di compostaggio (...). La norma UNI EN 13432:2002 individua quindi la biodegradabilità del materiale in riferimento ad una specifica modalità di trattamento dello stesso e non nei termini più generali di degradazione in qualsiasi condizione ambientale, quale ad esempio lo smaltimento incontrollato».

Lo stesso Ministro ha ricordato che ISPRA conclude il proprio parere affermando che «quanto riportato nella norma UNI EN 13432.2002, pur rappresentando un criterio di valutazione della biodegradabilità in determinate condizioni e non un criterio assoluto di valutazione della stessa, può comunque costituire un valido approccio di verifica, tenuto conto che l'imballaggio monouso biodegradabile e compostabile è tipicamente destinato, al termine del suo ciclo di vita, agli impianti di trattamento biologico o meccanico-biologico dei rifiuti» e precisando che «gli unici criteri di verifica della biodegradabilità dei sacchi monouso per l'asporto di merci risultano essere quelli stabiliti alla norma UNIEN 13432:2002».

Comma 1, lettera c)
(Informazione ai consumatori)

La lettera c) modifica il comma 3 dell'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, introducendovi nuove disposizioni.

La norma novellata mira a responsabilizzare gli operatori economici - in omaggio ai principi generali "chi inquina paga" e di responsabilità condivisa - facendo sì che essi forniscano agli utenti degli imballaggi, ed in particolare ai consumatori, informazioni: sui sistemi di restituzione, raccolta e recupero disponibili; sul ruolo degli utenti medesimi nel processo di riutilizzazione, recupero e riciclaggio; sul significato dei marchi apposti sugli imballaggi; sugli elementi significativi dei programmi di gestione per imballaggi e rifiuti.

La proposta in esame intende integrare le informazioni che devono essere rese, introducendo i seguenti ulteriori elementi:

1)    l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo (nuova lettera d-bis);

2)    la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili (nuova lettera d-ter);

3)    l'impatto delle borse "oxo-degradabili" (nuova lettera d-quater).

L'articolo 3, par. 1-sexies, della direttiva 94/62/CE definisce le borse di plastica oxo-degradabili come quelle "composte da materie plastiche contenenti additivi che catalizzano la scomposizione della materia plastica in microframmenti". La medesima definizione è inserita nel D.Lgs. 152/2006, ad opera del comma 1, lett. b), dell'articolo in esame (nuova lettera dd-sexies) dell'art. 218, comma 1).

L'art. 20-bis, par. 2, della direttiva 94/62/CE rinvia a una relazione della Commissione UE, da elaborare entro il 27 maggio 2017, l’esame dell'impatto dell'uso delle borse di plastica oxo-degradabili sull'ambiente. Il medesimo articolo autorizza anche la Commissione, ove opportuno, a presentare una proposta legislativa in materia. Nel par. 18 delle premesse alla direttiva 2015/720, si specifica che la relazione della Commissione potrebbe comprendere una serie di misure volte a limitare l'utilizzo, o a ridurre l'impatto nocivo, delle borse medesime.

Si ricorda in proposito che il Parlamento europeo, nella propria risoluzione del 14 gennaio 2014 su una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente (2013/2113(INI), par. 7) ha chiesto la proibizione o il graduale ritiro dal mercato, entro il 2020, delle plastiche oxo-biodegradabili in virtù del pericolo che esse costituiscono sia per la salute umana che per l'ambiente.

Comma 1, lettera d)
(Identificazione dei produttori)

La lettera d) aggiunge un ulteriore comma 3-bis all'articolo 219 del D.Lgs. 152/2006, ai sensi del quale i produttori delle borse di plastica ammesse alla commercializzazione devono apporre su di esse i propri elementi identificativi.

I produttori di  borse di plastica - di cui ai nuovi articoli 226-bis e 226-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, inseriti dall’articolo in esame – dovranno altresì apporvi "diciture idonee ad attestare che le borse prodotte rientrino in una delle tipologie commercializzabili", fatte salve le certificazioni previste nei predetti articoli.

In particolare, si prevede l'applicazione del disciplinare delle etichette o dei marchi - previsto dall'articolo 8-bis della direttiva 94/62/CE - alle borse biodegradabili e compostabili.

Di tale disciplinare è prevista l'adozione da parte della Commissione europea entro il 27 maggio 2017 tramite un atto di esecuzione.

Il documento in questione avrà la finalità di garantire il riconoscimento a livello di Unione delle borse di plastica biodegradabili e compostabili e di fornire ai consumatori le informazioni corrette sulle loro proprietà di compostaggio.

L'articolo 8-bis, par. 2, della medesima direttiva 94/62/UE  incarica gli Stati membri di assicurare che al più tardi 18 mesi dopo l'adozione del disciplinare le borse di plastica biodegradabili e compostabili siano etichettate conformemente ad esso.

Comma 1, lettera e)
(Obbligo di relazione sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera e) aggiunge un nuovo articolo 220-bis al D.Lgs. 152/2006, al fine di far fronte all'obbligo, che grava sugli Stati membri ai sensi dell'articolo 4, par. 1-bis, comma 5 della direttiva 94/62/CE, di riferire alla Commissione europea sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero.

La metodologia per il calcolo dell'utilizzo annuale avrebbe dovuto essere adottata tramite un atto di esecuzione della Commissione europea entro il 27 maggio 2016, che non sembrerebbe essere stato adottato come risulta dal sito della Commissione europea.

 

Il comma 1 della nuova norma incarica il Consorzio nazionale degli imballaggi (CONAI) di acquisire dai produttori e dai distributori di borse di plastica i dati necessari ad elaborare una relazione annuale.

Si evidenzia che il testo dell'articolo 220-bis fa riferimento ad una "relazione annuale", mentre l’articolo 4, paragrafo 1-bis della direttiva 94/62/CE prevede che si riferisca "sull'utilizzo annuale di borse di plastica di materiale leggero".

In realtà, l'articolo 4, paragrafo 1-bis, comma 5, della direttiva 94/62/CE specifica che i dati sull'utilizzo annuale di buste di plastica vanno forniti alla Commissione europea contestualmente a quelli sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio ex articolo 12 della medesima direttiva. Quest'ultimo specifica -  al paragrafo 5 - che i dati "sono forniti con le relazioni nazionali" relative all'attuazione della direttiva 94/62/CE[23].

 

Il Consorzio nazionale degli imballaggi è stato istituito dall'art. 224 del D.Lgs. 152/2006, con la finalità di raggiungere gli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e di garantire il necessario coordinamento dell'attività di raccolta differenziata. Al consorzio - che ha personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro - partecipano in forma paritaria i produttori assieme agli utilizzatori.

 

Il Consorzio dovrà quindi comunicare i dati in questione alla Sezione nazionale del Catasto rifiuti per via telematica, utilizzando il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) istituito dalla L. 70/1994. Del modello medesimo, peraltro, la norma in esame prevede un'ulteriore modifica, al fine di inserirvi i dati relativi alle borse di plastica.

Si ricorda che la procedura espressamente prevista dall'articolo 6, comma 2-bis, della citata legge n. 70 del 1994, prevede che modifiche ed integrazioni al modello unico di dichiarazione ambientale siano disposte con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Al riguardo, si rileva che, sul piano della formulazione, può essere opportuno prevedere esplicitamente l'adozione di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri finalizzato alla modifica in parola ai sensi della previsione normativa in materia.

 

Il Catasto dei rifiuti è disciplinato dall'art. 189 del D.Lgs. 152/2006. E' articolato in una Sezione nazionale, che ha sede a Roma presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e in Sezioni regionali o delle province autonome di Trento o Bolzano presso le corrispondenti Agenzie per la protezione dell'ambiente. E' incaricato di assicurare un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato dei dati acquisiti tramite il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI, v. art. 188-bis del medesimo decreto) in maniera tale che la tracciabilità dei rifiuti sia garantita dalla loro produzione sino alla destinazione finale.

 

In relazione all'ambito applicativo della norma, si prevede che le informazioni raccolte riguardano le buste di plastica la cui definizione è contenuta nel comma 1, lettera b) dell'articolo in esame (a cui si rinvia): borse di plastica (articolo 218, comma 1, lettera dd-ter);  borse di plastica in materiale leggero (articolo 218, comma 1, lettera dd-quater); borse di plastica in materiale ultraleggero (articolo 218, comma1, lettera dd-quinquies); borse di plastica oxo-degradabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-sexies); borse di plastica biodegradabili e compostabili (articolo 218, comma 1, lettera dd-septies).

 

Il comma 2 specifica che i dati così forniti saranno elaborati dall'ISPRA in attuazione della metodologia di calcolo dell'utilizzo annuale pro capite di borse di plastica e dei modelli di segnalazione adeguati dalla Commissione europea ai sensi del citato articolo 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE.

Dal 27 maggio 2018 i dati relativi all'utilizzo annuale di borse di plastica in materiale leggero saranno comunicati alla Commissione europea con la relazione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio in conformità all'articolo 12 della medesima direttiva.

Si ricorda che l'articolo 12 incarica gli Stati membri di costituire, laddove non esistano ancora, basi di dati armonizzate sugli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio (par. 1), da allegare alle relazioni nazionali (par. 5).

Comma 1, lettera f)
(Campagne informative del CONAI sull'utilizzo delle borse di plastica)

La lettera f) integra le funzioni del Consorzio nazionale imballaggi (CONAI), al fine di aggiungere alla tipologia delle campagne di informazione che tale organismo è chiamato a organizzare in accordo con le pubbliche amministrazioni (articolo 224, comma 3, lett. g), specifiche campagne di educazione ambientale e di sensibilizzazione dei consumatori sull'impatto delle borse di plastica sull'ambiente.

In particolare, si prevede la diffusione di informazioni riguardanti: l'impatto delle borse di plastica sull'ambiente e le misure necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione del loro utilizzo; la sostenibilità dell'utilizzo di borse di plastica biodegradabili e compostabili; l'impatto delle borse "oxo-degradabili".

Al riguardo, si fa infatti riferimento al novellato articolo 219 del codice dell'ambiente, per effetto del comma 1, lettera c), dell'articolo in esame.

Comma 1, lettera g)
(Misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica)

La lettera g) introduce una serie di misure restrittive per la commercializzazione delle borse di plastica (nuovi articoli 226-bis) e 226-ter) del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente).

Divieti di commercializzazione delle borse di plastica (nuovo art. 226-bis del D.Lgs. 152/2006)

Il comma 1 dell’art. 226-bis riprende i divieti di commercializzazione già previsti (ma di fatto mai applicati), per alcuni tipi di borse di plastica, dalla legislazione nazionale vigente (art. 2, comma 2, del D.L. 2/2012).

Si ricorda che il criterio di delega contemplato dalla lettera a) del comma 2 dell’art. 4 della L. 170/2016 prevedeva che venisse garantito il medesimo livello di tutela ambientale assicurato dalla legislazione già adottata in materia, prevedendo il divieto di commercializzazione, le tipologie delle borse di plastica commercializzabili e gli spessori già stabiliti.

La direttiva 2015/720/UE, che all’art. 1, punto 2), introduce il paragrafo 1-bis dell’articolo 4 nella direttiva 94/62/CE, nel prevedere l’adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie per una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, ossia delle borse di plastica con uno spessore inferiore a 50 micron, dispone che tali misure possono comprendere il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici, nonché restrizioni alla commercializzazione in deroga all'articolo 18 (il quale vieta agli Stati membri di ostacolare l'immissione sul mercato, nel loro territorio, di imballaggi conformi alle norme dell’UE), purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie.

Secondo la relazione illustrativa allo schema n. 357, tale possibilità di introdurre restrizioni alla commercializzazione deve ritenersi consentita per qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, in base a quanto stabilito dall'articolo 4, paragrafo 1-ter, della direttiva 94/62/CE” (introdotto dal punto 2) dell’art. 1 della direttiva 2015/720/UE). Tale paragrafo prevede che gli Stati membri possono adottare misure tra cui (such as nella versione inglese della direttiva, telles ques nella versione francese della direttiva) strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore, fatto salvo quanto prevede l’articolo 15 della direttiva 94/62/CE che consente l’adozione di misure per la promozione degli obiettivi della direttiva da parte del Consiglio o degli Stati membri. La medesima relazione illustrativa precisa che “l'esclusione prevista nel testo originario della direttiva, per cui, sempre rispetto ai sacchi sopra i 50 micron, potevano adottarsi misure di riduzione, ma "with the exception of marketing restrictions", è stata successivamente eliminata e non compare nella versione finale della direttiva europea. A seguito delle modifiche concordate è stata consolidata la versione finale dell'articolo l-ter della direttiva, successivamente validata in sede di trilogo, con la eliminazione della eccezione che escludeva la possibilità per gli Stati Membri di mantenere o introdurre divieti di commercializzazione (ovvero marketing restrictions nella versione inglese) per le borse di plastica con spessore superiore ai 50 micron”. Si fa presente, peraltro, che nel testo della proposta di direttiva approvato dalla Commissione (COM(2013)0761) la disposizione di cui al comma 1-ter non era presente.

 

Dai divieti introdotti restano escluse le borse di plastica biodegradabili e compostabili, cioè – in base alla definizione recata dalla lettera b) dell’articolo in esame – le borse di plastica certificate da organismi accreditati e conformi ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità stabiliti dal Comitato europeo di normazione, ed in particolare  dalla norma tecnica UNI EN 13432:2002, in linea con quanto già previsto dalla normativa vigente.

Si ricorda che l’art. 2, comma 1, del D.L. 2/2012 esclude dal divieto di commercializzazione i sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati.

 

La seguente tabella schematizza i differenti regimi di commercializzazione delineati dalla norma in esame, che riprendono nella sostanza quelli previsti (seppur mai applicati) dalla legislazione vigente:


Borse di plastica

Spessore (della singola parete)
e caratteristiche

Commercializzazione consentita?

Borse biodegradabili e compostabili

qualunque spessore, certificate da organismi accreditati e rispondenti ai requisiti di biodegradabilità e di compostabilità, così come stabiliti dal Comitato europeo di normazione ed in particolare dalla norma EN 13432 recepita con la norma nazionale UNI EN 13432:2002

Borse in materiale leggero

spessore < 50 micron e fornite per il trasporto (lett. b) dell'articolo in esame, capoverso art. 218, comma 1, lett. dd-quater)

ƒ Borse riutilizzabili con maniglia esterna alla dimensione utile del sacco

● spessore > 200 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

● spessore > 100 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

Borse riutilizzabili con maniglia interna alla dimensione utile del sacco

● spessore > 100 micron e con almeno 30% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano generi alimentari;

● spessore > 60 micron e con almeno 10% di plastica riciclata, fornite, come imballaggio per il trasporto, in esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

Altre borse di plastica non rispondenti alle caratteristiche
     indicate ai punti 3) e 4) della presente tabella

 

A differenza della normativa vigente la norma in esame non fa riferimento all’uso (alimentare o meno) delle borse di plastica, ma al tipo di esercizio che le fornisce come imballaggio per il trasporto, distinguendo tra esercizi che commercializzano (anche) generi alimentari (come ad esempio i supermercati) ed esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari.

 

Il successivo comma 2 del nuovo art. 226-bis dispone che le borse di plastica commercializzabili, sulla base dei criteri dettati dal comma 1, non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o dalla fattura d'acquisto delle merci o dei prodotti trasportati per il loro tramite.

Si consideri che il citato paragrafo 1-bis dell’articolo 4 della direttiva 94/62/CE, introdotto dall’articolo 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE, prevede, tra l’altro, che le misure adottate dagli Stati membri (per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero) includono, tra le opzioni, l’adozione di strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti, salvo che siano attuati altri strumenti di pari efficacia.

Riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero (nuovo art. 226-ter del D.Lgs. 152/2006)

I commi 1 e 2 dell’art. 226-ter perseguono la riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero, prevedendo che siano commercializzabili solo le borse di plastica “biodegradabili e compostabili” e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile.

Tale obiettivo viene perseguito in maniera progressiva fissando un contenuto di minimo di materia prima rinnovabile (MPR) sempre più elevato al passare del tempo, secondo quanto previsto dal comma 2:

·   dal 1° gennaio 2018, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 40%;

·   dal 1° gennaio 2020, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 50%;

·   dal 1° gennaio 2021, possono essere commercializzate esclusivamente le borse biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di MPR non inferiore al 60%.

 

Si ricorda, anche in relazione a tale disposizione, il disposto dell’art. 4, paragrafo 1-bis, della direttiva 94/62/CE (introdotto dall’art. 1, punto 2) della direttiva 2015/720/UE) in base al quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, che possono comprendere, tra l’altro, restrizioni alla commercializzazione (purché dette restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie). Il successivo paragrafo 1-ter consente agli Stati membri di adottare misure, tra cui strumenti economici e obiettivi di riduzione nazionali, in ordine a qualsiasi tipo di borse di plastica, indipendentemente dal loro spessore.

 

Il comma 3 contempera i vincoli alla commercializzazione introdotti dai commi precedenti con gli obblighi derivanti dalla normativa a tutela della salute dei consumatori relativa all'utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti.

A tal fine vengono fatti comunque salvi:

·    l’obbligo di conformità alla normativa sull’utilizzo dei materiali destinati al contatto con gli alimenti (c.d. MOCA), adottata in attuazione dei regolamenti (UE) 10/2011 (con specifico riferimento alle materie plastiche), (CE) 1935/04 (relativo alla disciplina generale) e (CE) 2023/06 (relativo alle buone pratiche di fabbricazione);

·    nonché il divieto di utilizzare la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare (previsto dall’art. 13 del D.M. 21 marzo 1973).

Il D.M. Sanità 21 marzo 1973 (recante “Disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto con le sostanze alimentari o con sostanze d'uso personale” e pubblicato nella G.U. 20 aprile 1973, n. 104, S.O.) vieta l’impiego, per la preparazione di oggetti in materia plastica destinati a venire in contatto con alimenti, di materie plastiche di scarto e di oggetti di materiale plastico già utilizzati.

 

Il comma 4 disciplina le modalità per la determinazione, da parte degli organismi accreditati, del contenuto minimo di materia prima rinnovabile che le borse di plastica in materiale ultraleggero devono possedere per poter essere commerciabili.

La norma prevede che tale contenuto sia calcolato come rapporto tra la percentuale del carbonio di origine biologica presente nella borsa ed il carbonio totale presente nella stessa, utilizzando lo standard internazionale vigente in materia di determinazione del contenuto di carbonio a base biologica nella plastica ovvero lo standard UNI CEN/TS 16640.

 

Il comma 5, in analogia con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 226-bis per le borse di plastica, introduce il divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ultraleggere.

Si consideri che il paragrafo 1-bis dell’art. 4 della direttiva 94/62/CE consente agli Stati membri di escludere le borse di plastica in materiale ultraleggero dalle misure volte ad assicurare i target annuali di utilizzo delle borse di plastica e dagli strumenti atti ad assicurare che, entro il 31 dicembre 2018, le borse di plastica in materiale leggero non siano fornite gratuitamente nei punti vendita di merci o prodotti. 

Comma 1, lettera h)
(Sanzioni)

La lettera h), novellando l'articolo 261 del d.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell'ambiente), stabilisce le sanzioni comminate a chi violi le disposizioni contenute negli articoli 226-bis e 226-ter  di nuova introduzione. In particolare, si prevede l'aggiunta di tre ulteriori commi all'art. 216 del D.Lgs. 152/2006[24]:

1)    il nuovo comma 4-bis, che prevede l'introduzione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione delle disposizioni in materia di commercializzazione delle borse di plastica (articolo 226-bis) o di riduzione della commercializzazione delle borse in materiale ultraleggero (articolo 226-ter). In particolare, si prevede il pagamento di una somma da 2.500 a 25.000 euro, sulla scorta di quanto prevede il comma 4 dell’articolo 2 del decreto legge n. 2 del 2012, che viene abrogato dal comma 3 dell’articolo in esame;

2)    il nuovo comma 4-ter, ai sensi del quale la sanzione amministrativa è aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda:

Ø  ingenti quantitativi di buste di plastica;

Ø  oppure un valore di queste ultime superiore al dieci per cento del fatturato del trasgressore;

Ø  nonché qualora i produttori utilizzino diciture o altri mezzi finalizzati ad eludere gli obblighi posti dagli articoli 226-bis e 226-ter.

Anche la disciplina vigente (recata dall’art. 2 del D.L. n. 2 del 2012) dispone che le predette sanzioni si applichino nel caso in cui la violazione dei divieti riguardi quantità ingenti di sacchetti per l’asporto, mentre – a differenza della norma in esame – la fattispecie relativa al superamento del valore della merce rispetto al fatturato del trasgressore è riferita a una percentuale del 20%.

Al riguardo si evidenzia come la prima delle fattispecie aggravanti citate, faccia riferimento ad un paramento – come il riferimento a 'ingenti quantitativi' di buste di plastica – che assume carattere generico.

La relazione illustrativa dell'Atto del Governo n. 357 specifica che si è fatto ricorso all'espressione "ingenti quantitativi" in analogia al vigente articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ai sensi del quale: "Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni".

La relazione rileva che una formula analogamente "aperta" è, inoltre, altresì utilizzata in alcuni articoli del codice penale: la "rilevante gravità" del danno patrimoniale (articolo 61, comma 7) o la "speciale tenuità" del danno o del lucro (articolo 62, comma 4).

3)    il comma 4-quater specifica che le sanzioni introdotte nei due commi precedenti sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 e che gli organi di polizia amministrativa, d'ufficio o previa denunzia, provvedono all'accertamento delle violazioni. Viene esplicitamente fatto salvo il disposto dell'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981.

Il capo I (articoli 1-43) della L. 698/1981 ("Modifiche al sistema penale") è dedicato alle Sanzioni amministrative e vi viene dettato il quadro di riferimento entro cui inquadrare le sanzioni medesime. In particolare l'art. 13 autorizza gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle norme per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro a:

- assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica (comma 1);

- procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti in cui il codice di procedura penale consente il sequestro della polizia giudiziaria (comma 2).

Ai sensi del comma 4 gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria - oltre a poter anch'essi accertare violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro - possono altresì procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo in cui le perquisizioni dovranno essere effettuate. Tale possibilità è prevista "quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova.

Sono fatti comunque salvi gli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti (comma 5).

 

Comma 2
(Disposizioni finanziarie)

La norma reca la clausola di invarianza finanziaria delle disposizioni dettate dall'articolo in esame.

Comma 3
(Disposizioni finali)

La norma dispone l'abrogazione, a decorrere dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, della disciplina vigente relativa al divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci (che tuttavia non ha mai trovato una concreta applicazione), contenuta nelle seguenti disposizioni:

·     commi 1129, 1130 e 1131 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006.

·     art. 2 del decreto-legge n. 2 del 2012.

Per un esame dei contenuti delle disposizioni abrogate, si rinvia alla disamina contenuta nella premessa “Le norme nazionali sulla commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabile” al dossier relativo allo schema n. 357.

 

Procedure di contenzioso

Con riferimento alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, l'articolo 4 della legge di delegazione europea 2015 (n. 170 del 2016) ha conferito la delega il Governo ad adottare, entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore (avvenuta il 16/09/2016), uno o più decreti legislativi per l'attuazione della direttiva (UE) 2015/720, che modifica la direttiva 94/62/CE.

Lo schema di decreto legislativo relativo alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 9 novembre 2016 e notificato alla Commissione europea, ai sensi della direttiva (UE) 2015/1535, che impone agli Stati membri di informare la Commissione di ogni progetto di regolamentazione tecnica, prima della sua adozione.

Dalla data di notifica, decorre il termine di tre mesi – prorogabile di ulteriori tre mesi - per l'esame del testo notificato e l'eventuale emanazione di pareri circostanziati, durante il quale lo Stato membro notificante non può adottare la regolamentazione tecnica in questione (stand still).

Il termine di stand still ha comportato l'infruttuosa decorrenza del termine per l'esercizio della delega di cui all’articolo 4 della legge di delegazione 2015. Il rinnovo di tale delega al 31 dicembre 2017 è contenuto nel disegno di legge di delegazione 2016, all’esame del Senato.

Risulterebbe che la Commissione europea ha notificato al Governo un parere circostanziato con il quale verrebbero illustrate le ragioni per le quali le misure di restrizione alla commercializzazione delle borse di plastica con spessore superiore ai 50 micron, contemplate nello schema di decreto legislativo notificato, si porrebbero in contrasto con quanto consentito dalla direttiva sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio. L’adozione del parere circostanziato, oltre a prorogare di tre mesi il termine di astensione obbligatoria (dal 20 febbraio al 18 maggio 2017), comporta  anche l’obbligo di riferire alla Commissione europea sul seguito che il Governo intende dare al parere prima dell’adozione del provvedimento.

Risulterebbe che il Ministero dell’Ambiente, al fin di evitare l’aggravamento della procedura d’infrazione (vedi di seguito), avrebbe valutato due ipotesi: la riproposizione della delega legislativa (come avvenuto con il disegno di legge di delegazione 2016) ovvero l’introduzione in un atto di normazione primaria dei contenuti dello schema di decreto legislativo approvato nel novembre 2016 (come avvenuto con l’articolo aggiuntivo in esame dell’VIII Commissione).

Nel frattempo, per il mancato recepimento della direttiva 2015/720 nei termini previsti (27 novembre 2016), è stato comunicato l'avvio di una procedura di infrazione, con lettera di costituzione in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, in data 23 gennaio 2017. L'Italia è stata quindi invitata a trasmettere le proprie risposte nel termine di due mesi, entro il 24 marzo 2017, alla Commissione europea, in ordine al recepimento della direttiva 2015/720.

Il 14 giugno 2017 la Commissione europea ha emesso un parere motivato ex art. 258 TFUE.

 

 


Articolo 12
(Modificazioni alla legge 24 dicembre 2012, n. 234)

 

L'articolo 12 reca modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 234 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"). La ratio di queste modifiche - specifica la relazione illustrativa - è, da un lato, assicurare una maggiore partecipazione del Parlamento nazionale alla fase ascendente degli atti delegati dell'Unione europea, dall'altro garantirne il corretto e tempestivo recepimento.

In particolare, la lettera a) propone - mediante l'inserimento di una nuova lettera e-bis) del comma 7 dell'articolo 29 - che nella relazione illustrativa del disegno di legge di delegazione europea sia inserito l'elenco delle direttive dell'UE che delegano alla Commissione europea il potere di adottare atti di cui all'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cd. "direttive deleganti").

 

Si ricorda che ai sensi dell'articolo 290 del TFUE "un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all'atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere". Il controllo spetta al legislatore dell'Unione (Parlamento europeo e Consiglio), in considerazione del fatto che con la delega il legislatore medesimo ha conferito alla Commissione il potere di elaborare atti che avrebbe potuto adottare esso stesso. L'art. 290, par. 2, prevede le seguenti forme di controllo, attivabili appunto dal Parlamento europeo o dal Consiglio:

1)    diritto di revoca: provvedimento eccezionale, che priva in maniera generale ed assoluta la Commissione dei poteri delegati e può essere motivato, ad esempio, dal sopraggiungere di elementi tali da rimettere in causa il fondamento medesimo della delega;

2)    diritto di obiezione (o "opposizione"), censura specifica rivolta contro un atto preciso.

Nell'aprile 2016 la questione degli atti delegati è stata oggetto di una Convenzione d'intesa, allegata all'Accordo interistituzionale "Legiferare meglio". Anche al fine di arginare le ricorrenti accuse di eccessiva riservatezza del processo di formazione degli atti delegati, si è prevista: la partecipazione all'elaborazione di esperti delegati dagli Stati membri (articoli 4-7); la possibilità, per Parlamento europeo e Consiglio, di partecipare con propri esperti (articolo 11); la divulgazione periodica di elenchi indicativi degli atti delegati previsti (articolo 9).

Peraltro le Commissioni permanenti del Senato della Repubblica hanno in più occasioni rilevato, nelle proprie risoluzioni, elementi di criticità nell'applicazione pratica del sistema di delega, relativi a:

1)     indeterminatezza temporale: lo schema di deleghe prive di scadenza temporale, anche se modificabili ricorrendo a opposizione o revoca, è ricorrente nelle proposte legislative della Commissione europea. Sin dal 2010 la 14a Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) ha rilevato l'incongruenza di questa impostazione con il disposto letterale del TFUE. Si ricorda, ad esempio, la risoluzione Doc XVIII, n. 66, della XVI Legislatura[25]. Nella citata Convenzione d'intesa sugli atti delegati è esplicitamente stabilito: "L'atto di base può autorizzare la Commissione ad adottare atti delegati per un periodo determinato o indeterminato" (articolo 16). Nel caso di deleghe a tempo determinato - prosegue l'articolo 17 - "l'atto di base dovrebbe prevedere in linea di principio il rinnovo automatico e tacito della delega per periodi di autentica durata". Resta aperta la questione se un accordo tra le istituzioni comunitarie possa, ed in che misura, modificare il dettato del TFUE;

2)    incidenza su elementi essenziali del documento legislativo in via di approvazione (indeterminatezza della portata). Il TFUE vieta esplicitamente di incidere, tramite delega legislativa, su elementi essenziali del documento legislativo. Nel gennaio 2013 l'eccessiva ampiezza della delega è stato uno dei motivi alla base dell'adozione di un parere motivato sulla sussidiarietà da parte della 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato della Repubblica (si veda la risoluzione di cui al Doc XVIII, n. 183 della XVI Legislatura). Recentemente anche la 9a Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) ha di nuovo rilevato l'indeterminatezza della portata in un parere motivato ai sensi del Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona (Doc XVIII, n. 185, 1° marzo 2017).

L'informativa della quale la disposizione prevede l'inserimento nella legge di delegazione europea andrebbe a colmare una lacuna informativa, in quanto gli atti delegati, non avendo natura legislativa, non sono oggetto di trasmissione ai Parlamenti nazionali ai sensi dei Protocolli 1 e 2 allegati ai Trattati.

Questa trasmissione, negli auspici del Governo, dovrebbe consentire di individuare, con il necessario anticipo, gli atti sui quali intensificare la collaborazione Governo-Parlamento e che dovrebbero essere recepiti nell'ordinamento nazionale con decreto legislativo.

La lettera b), infatti, consente una formula di recepimento diversa -  con la formula del decreto ministeriale - per gli atti delegati aventi un contenuto meramente tecnico.

La norma prevede infatti di inserire - in fine del comma 6 dell'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 - il rinvio alla disciplina di cui all'articolo 36 "per il recepimento degli atti delegati dell'Unione europea che recano meri adeguamenti tecnici".

L'articolo 36, a sua volta, stabilisce il ricorso al decreto del Ministro competente per materia per dare attuazione alle norme dell'Unione europea non autonomamente applicabili.

Spetta al Ministro che emana il decreto darne "tempestiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari europei".

Nella relazione illustrativa si specifica ulteriormente che gli atti a cui si fa riferimento sono di contenuto tecnico e spesso si limitano a modificare gli Allegati di atti vigenti. Per questo motivo il termine per il loro recepimento è tipicamente molto breve: sette mesi in media, con casi in cui il termine è stato fissato a quindici giorni. Seguire anche per questi atti la via del recepimento parlamentare - che prevede l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti - potrebbe determinare il rischio, a detta della relazione illustrativa, dell'apertura di una procedura di infrazione. Il Governo calcola infatti che il meccanismo della delega legislativa richieda in media sei mesi per il suo completamento.

 

 

 


Articolo 12-bis
(Disposizioni per l’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE)

 

L’articolo 12-bis, introdotto dalla XIV Commissione nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni ai fini dell’integrale attuazione della direttiva 2014/33/UE per l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori e ai componenti di sicurezza per ascensori.

Si ricorda che la direttiva 2014/33/UE è parte di un pacchetto di provvedimenti adottati a livello europeo per l'adeguamento della legislazione relativa ad alcuni prodotti al nuovo quadro normativo generale comune in materia di certificazione di conformità e commercializzazione dei prodotti, costituito dal regolamento (CE) n. 765/2008 e dalla decisione n. 768/2008/UE. La citata direttiva ha proceduto alla rifusione delle norme contenute nella Direttiva 95/16/CE, che nel tempo ha subito modifiche e necessita di ulteriori aggiornamenti e modificazioni. Il D.P.R. n. 162/1999 reca il Regolamento contenente norme per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE, relativa agli ascensori ed ai componenti di sicurezza degli ascensori, nonché per l'esercizio degli ascensori, c.d. “Regolamento ascensori”).

L'ambito di applicazione della direttiva riguarda gli ascensori quali prodotti finiti solo dopo essere stati installati in modo permanente in edifici o costruzioni e i componenti di sicurezza per ascensori nuovi prodotti da un fabbricante nell'Unione oppure componenti di sicurezza nuovi o usati importati da un Paese terzo. A tal fine essa ha introdotto:

1. misure volte ad affrontare il problema della non conformità, tra cui l'enunciazione di dettagliati obblighi essenziali di sicurezza e di corretta prassi costruttiva anche nella fase della progettazione;

2. il principio per cui gli operatori economici sono responsabili della conformità dei prodotti, in funzione del rispettivo ruolo che rivestono nella catena di fornitura; qualsiasi operatore economico che immetta sul mercato un ascensore o componente con il proprio nome o marchio commerciale oppure lo modifichi, così da incidere sulla conformità alla Direttiva, è considerato il fabbricante e si deve assumere i relativi obblighi;

3. norme concernenti la tracciabilità durante l'intera catena di distribuzione, in modo che ogni operatore economico sia in grado di informare le autorità in merito al luogo di acquisto del prodotto e al soggetto al quale è stato fornito;

4. misure volte a garantire la qualità dell'operato degli "organismi di valutazione della conformità"(OVC), con l'indicazione di criteri stringenti relativi in particolare alla loro indipendenza ed alla competenza nello svolgimento della loro attività;

5. Il sistema di valutazione della conformità viene completato dal sistema di accreditamento degli organismi di valutazione della conformità di cui al Regolamento CE n. 765/2008.

Il D.P.R. n. 23/2017 ha novellato il D.P.R. n. 162/1999, attuativo della precedente direttiva nella medesima materia (la citata Direttiva 95/16/CE), introducendo modifiche alle disposizioni vigenti riferite ai requisiti degli ascensori e dei relativi componenti di sicurezza, agli adempimenti degli operatori privati interessati e alle relative procedure e alla disciplina dei compiti ed adempimenti riferiti alle amministrazioni pubbliche.

Si ricorda, in proposito, che il D.P.R. n. 162/1999 era stato già modificato dal D.P.R n.214/2010 per la parziale attuazione della direttiva 2006/42/CE relativa alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori, nonché dal D.P.R. n. 8/2015 per chiudere la procedura di infrazione 2011/4064 ai fini della corretta applicazione della direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi nonché della relativa licenza di esercizio.

Più in dettaglio, l’art. 12-bis, al co. 1, prevede che il certificato di abilitazione di cui all’art. 15, co. 1, del D.P.R. n. 162/1999:

§  è valido su tutto il territorio nazionale;

Al riguardo, si ricorda che l’art. 15, co. 1, del citato D.P.R. n. 162/1999, come modificato dal D.P.R. n. 23/2017, dispone che, ai fini della conservazione dell'impianto e del suo normale funzionamento, il proprietario o il suo legale rappresentante sono tenuti ad affidare la manutenzione di tutto il sistema degli ascensori, dei montacarichi e degli apparecchi di sollevamento rispondenti alla definizione di ascensore la cui velocità di spostamento non supera 0,15 m/s a persona munita di certificato di abilitazione o a ditta specializzata, ovvero a un operatore comunitario dotato di specializzazione equivalente che debbono provvedere a mezzo di personale abilitato.

§  è rilasciato dal Prefetto in seguito all’esito favorevole di una prova teorico-pratica innanzi ad un’apposita commissione esaminatrice, nominata dal Prefetto. La commissione si compone di cinque funzionari – almeno uno quali, oltre al presidente, fornito di laurea in ingegneria – in possesso di adeguate competenze tecniche e così designati:

1.    uno dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (che presiede la commissione);

2.    uno dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

3.    uno dal Ministero dello sviluppo economico;

4.    uno dall’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro (INAIL);

5.    uno da un’Azienda sanitaria locale, ovvero dall’ARPA, ove le disposizioni regionali di attuazione del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) attribuiscano a tale Agenzia le competenze in materia.

All’esame teorico pratico sono presenti almeno tre membri della commissione, compreso il presidente.

Ai sensi dell’art. 15, co.1, del citato D.P.R. n. 162/1999, il certificato di abilitazione è rilasciato dal prefetto, in seguito all'esito favorevole di una prova teorico - pratica, da sostenersi dinanzi ad apposita commissione esaminatrice ai sensi degli articoli 6, 7 (di cui il co. 2 della norma in commento dispone l’abrogazione, v. infra), 8, 9 e 10 del D.P.R. n. 1767/1951. Numerose, però, sono state le criticità manifestatesi nel settore a seguito della soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario)[26]. Tale D.L. ha infatti previsto che, a decorrere dalla data di scadenza degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, le attività svolte dagli organismi stessi sono definitivamente trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell'ambito delle quali operano.

La norma in commento riproduce quasi integralmente il testo dell’art. 2, co. 1, lettera i), dell’A.G. n. 335, ossia dell’originario schema di D.P.R., recante modifiche al regolamento di cui al D.P.R. n. 162/1999, per l'attuazione della direttiva 2014/33/UE[27]. La commissione esaminatrice, come delineata dallo schema di decreto nella versione originaria, era composta, anziché da 5, da 4 membri, in quanto nel testo definitivo è stato inserito anche un membro designato dal MISE.

Al riguardo, si ricorda che il parere espresso, in data 12 ottobre 2016, su tale A.G. dalla X Commissione della Camera dei deputati faceva esplicito riferimento alla rivitalizzazione, contenuta nel citato art. 2, co. 1, lettera i), della possibilità di costituire le commissioni d'esame, con riproduzione ed aggiornamento delle relative disposizioni che ne regolano la composizione ed il funzionamento[28].

Il Consiglio di Stato[29] ha però evidenziato l'assenza di base legale di tale rivitalizzazione, sottolineando come la norma in questione non rientri né nel contenuto obbligatorio della direttiva, né in quello facoltativo: l'assenza di una base legale, ad avviso del Consiglio di Stato, non può essere sanata da considerazioni di carattere sistematico, atteso che la disposizione, oltre a disporre l'abrogazione di alcune norme regolamentari, istituisce un nuovo organismo collegiale, non previsto da fonti primarie in conflitto con la legislazione vigente in materia[30].

Di qui l’esigenza, evidenziata nel predetto parere della X Commissione, di provvedere “ad accelerare il ripristino di organi o istituzioni competenti in materia di rilascio dei menzionati certificati di abilitazione”[31].

 

Si rammenta altresì che l’art. 03 del D.L. n. 496/1993 (L. n. 61/1994) ha demandato alle future leggi regionali e delle province autonome, per lo svolgimento delle attività di interesse regionale e delle attività tecniche di prevenzione, di vigilanza e di controllo ambientale, l’istituzione rispettivamente Agenzie regionali e provinciali, attribuendo ad esse o alle loro articolazioni territoriali anche l'attrezzatura e la dotazione finanziaria dei servizi delle unità sanitarie locali..

Il comma 2 disciplina lo svolgimento delle sessioni d’esame, la cui data e la cui sede di svolgimento sono determinate dal prefetto del capoluogo di regione, il quale può disporre apposite sessioni di esame che raccolgono tutte le domande presentate nella regione, al fine di razionalizzare le procedure finalizzate al rilascio del certificato di abilitazione. Il prefetto, nell’esercizio di tale potere, tiene conto del numero e della provenienza delle domande pervenute, previe intese con gli altri Prefetti della regione.

Il comma 3  dispone l’abrogazione degli artt. 6 e 7 del D.P.R. n. 1767/1951, dedicati, rispettivamente, alla commissione per l'abilitazione del personale di manutenzione, nominata dal prefetto, e alla domanda di abilitazione per il personale di manutenzione.

Sulla soppressione delle citate commissioni, in attuazione delle disposizioni relative alla riduzione degli organi collegiali delle amministrazioni pubbliche (D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012), v. supra.

Si evidenzia al riguardo che l’originario schema di D.P.R. (A.G. n. 335), all’art. 2, co. 1, lett. i), faceva altresì salvi gli effetti degli artt. 8 e 9, dedicati, rispettivamente, alla prova teorico-pratica da sostenersi dinanzi alla commissione e al certificato di abilitazione. Tale riferimento non compare più nella versione definitiva, dovendo le relative disposizioni ritenersi assorbite dalle norme di cui all’art. 1 della norma in commento.

Il comma 4 autorizza il Governo ad emanare un regolamento di modifica del D.P.R. n. 162/1999, sulla base delle previsioni recate dai precedenti commi dell’articolo, disponendo l’abrogazione dei co. 1 e 2 dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.

 

 

 


Articolo 13
(Modifiche alla legge 21 luglio 2016, n. 145 in materia di
trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio europeo di azione esterna)

 

L’articolo 13, modificato in sede referente, novella l’articolo 17 della legge n. 145 del 2016 (Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali) inserendovi due ulteriori commi finalizzati a disciplinare il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE), come le missioni istituite nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune o gli uffici dei Rappresentanti speciali UE.

 

La disposizione in commento era presente, sebbene non nella forma della novella all’articolo 17 della legge n. 145/2016, nella formulazione originaria del disegno di legge europea 2017 (AC 4505).

 

Il comma 1 dispone che all’articolo 17 della legge 21 luglio 2016, n. 145 dopo il comma 1 siano inseriti due ulteriori commi.

 

Il nuovo comma 2 dell’articolo 17 prevede che l’indennità di missione, corrisposta dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale al personale estraneo alla pubblica amministrazione selezionato per partecipare a iniziative e missioni del Servizio di azione esterna, si calcola in conformità ai commi 2, 3, 4 e 6 dell’articolo 5 della medesima legge n. 145/2016.

 

La relazione introduttiva al disegno di legge europea 2017, in riferimento a tale disposizione, evidenzia come l’intervento normativo di cui al comma 1 si è reso necessario in ragione dell’innovazione normativa sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali introdotta dalla richiamata legge 145 del 2016.

In precedenza, come da ultimo con il decreto-legge 16 maggio 2016, n. 67, il trattamento delle figure esterne alla Pubblica Amministrazione impegnate - attraverso il Servizio di azione esterna della UE - in iniziative e missioni nell’ambito della Politica europea di sicurezza e difesa comune, ovvero negli uffici dei Rappresentanti speciali dell’Unione europea, è stato regolato nella misura dell’80% dell’indennità di servizio all’estero, quale prevista dall’articolo 171 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18 recante ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri.

La nuova normativa quadro sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali ha previsto tra l’altro, all’articolo 5, che l’indennità di missione al personale partecipante - nell’ambito delle risorse afferenti al fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di cui all’articolo 4 della medesima legge 145 del 2016 - venga ricalcolata in base al comma 2 dello stesso articolo 5, “al netto delle ritenute, detraendo  eventuali indennità e contributi corrisposti allo stesso titolo agli interessati direttamente dagli organismi internazionali”. Il comma 2 dell’articolo 5 prevede dunque che l'indennità di missione sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per la località di  destinazione, nella misura del 98 per cento o nella misura intera, incrementata del 30 per cento se il personale non usufruisce a qualsiasi titolo di vitto e alloggio gratuiti.

In base al successivo comma 3, con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione del fondo per le missioni internazionali a favore delle missioni deliberate - secondo la procedura stabilita agli articoli 2 e 3 della nuova normativa quadro, si può stabilire, per alcuni teatri operativi di particolare disagio ambientale, che la relativa indennità sia calcolata sulla diaria giornaliera prevista per una località diversa da quella di destinazione, tuttavia situata nel medesimo continente. Il comma 4 prevede poi che durante i periodi di riposo o di recupero fruiti in costanza di missione, ma al di fuori del teatro operativo, al personale interessato è corrisposta un’indennità giornaliera pari alla diaria di missione estera percepita.

Infine, il comma 6 prevede la non applicazione del primo comma dell’articolo 28 del decreto-legge 223 del 2006 - recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale. La non applicazione in questione sottrae alla riduzione del 20 per cento il trattamento economico del personale estraneo alla Pubblica Amministrazione impegnato in missione nel Servizio europeo per l’azione esterna.

 

Il nuovo comma 3 dell’articolo 17 della legge 145 del 2016 subordina la corresponsione del trattamento di missione previsto al precedente nuovo comma 1 all’autorizzazione effettiva, da parte dell’Italia, della partecipazione ad iniziative e missioni del Servizio europeo per l’azione esterna: tale autorizzazione, sulla scorta degli articoli 2 e 3 della legge 145 del 2016, è disposta con deliberazione del Consiglio dei Ministri e autorizzazione delle Camere mediante appositi atti di indirizzo.

 

Si ricorda che con l’articolo 4 del decreto-legge 1° gennaio 2010, n. 1 - “Disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti per l'attivazione del Servizio europeo per l'azione esterna e per l'Amministrazione della Difesa” - sono state dettate disposizioni finalizzate, da parte dell’Italia, a contribuire all’entrata in funzione, a partire dall’aprile 2010, del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE - v. infra), chiamato ad assistere l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della UE, secondo quanto previsto dal Trattato di Lisbona.

 

E’ opportuno rilevare che la formulazione originaria dell’art. 17 disciplinava puntualmente il trattamento economico del personale esterno estraneo alla pubblica amministrazione che partecipa ad iniziative e missioni del Servizio di azione esterna dell’Unione europea (SEAE). Nel corso dell’esame presso la XIV Commissione, è stato approvato un emendamento, presentato dalla relatrice, che recepisce l’osservazione inserita nella relazione adottata il 21 giugno scorso dalla Commissione Difesa in merito al disegno di legge europea 2017, intesa ad introdurre direttamente nella legge n. 145/2016 attraverso una novella, la norma di cui all'articolo 13.

 

Si segnala infine che la relazione tecnica al disegno di legge europea 2017, in riferimento all’articolo 13, esclude oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, stante il carattere ordinamentale della norma. Si rileva tuttavia come le nuove modalità di calcolo dell’indennità di missione potrebbero comportare scostamenti, ancorché lievi, nell’entità delle somme che il MAECI dovrà corrispondere al personale estraneo alla Pubblica Amministrazione, ma ciò avverrà solo dopo la deliberazione di ciascuna specifica missione, e dopo il riparto delle relative risorse a valere sul già richiamato fondo per le missioni internazionali.

 

 

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

 

Ai sensi dell’articolo 27 del Trattato sull’Unione europea (TUE), l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza:

- guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e la attua in qualità di mandatario del Consiglio;

- assicura la coerenza dell’azione esterna dell’Unione;

- presiede il Consiglio dell’UE “Affari esteri” ed è uno dei Vicepresidenti della Commissione europea;

- rappresenta l’Unione europea per le materie che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune. Conduce a nome dell’Unione il dialogo politico con i paesi terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU.

L’Alto Rappresentante è nominato dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione, per un periodo di 5 anni. La sua nomina è sottoposta al voto collettivo di approvazione del Parlamento europeo sull’intera Commissione, ai sensi dell’art. 17 del TUE.

Federica Mogherini è stata nominata Alto Rappresentante dal Consiglio europeo con decorrenza dal 1° dicembre 2014.

L’Alto Rappresentante coordina il lavoro dei commissari con portafogli che hanno un impatto sulle relazioni esterne dell’UE. Si tratta in particolare dei Commissari europei responsabili per:

- allargamento e politica di vicinato (Johannes Hahn);

- commercio (Cecilia Malmström);

- cooperazione internazionale e politica di sviluppo (Neven Mimica);

- aiuti umanitari e gestione delle crisi (Christos Stylianides).

A tal fine, l’Alto Rappresentante presiede il gruppo di lavoro sull’azione esterna, che si riunisce su base mensile ed è composto dai suddetti commissari cui sono associati anche i seguenti commissari europei con portafogli aventi una dimensione esterna rilevante: azione per il Clima ed energia (Miguel Arias Cañete); Trasporti (Violeta Bulc) migrazione, affari interni e cittadinanza (Dimitris Avramopoulos).

L’Alto Rappresentante è inoltre supportato da Rappresentanti speciali dell’UE per specifiche regioni ed aree.

Attualmente vi sono 9 rappresentanti speciali competenti per: Corno d’Africa (Alexander Rondos); Kosovo (Samuel Žbogar), diritti umani (Stavro sLambrinidis); Afghanistan (Franz-Michael Skjold Mellbin); Bosnia Erzegovina (Lars-Gunnar Wigemark); Caucaso del Sud crisi in Georgia (Herbert Salber); Sahel (Michel Dominique Reveyrand-de Menthon); processo di pace in Medio Oriente (Fernando Gentilini); Asia Centrale(Peter Burian).

 

Il Servizio europeo per l’azione esterna

 

Il “Servizio europeo per l’azione esterna” (SEAE) è il servizio diplomatico dell’UE previsto dall’articolo 27 del TUE con il compito di:

- assistere l'Alto Rappresentante dell'UE nella gestione della politica estera e di sicurezza dell'UE;

- gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i paesi extra UE;

- collaborare con i servizi diplomatici nazionali dei paesi dell'UE, l'ONU e altre potenze mondiali.

Il Servizio europeo per l'azione esterna, guidato dall’Alto Rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è un organo funzionalmente autonomo, distinto dalla Commissione e dal segretariato del Consiglio, composto da:

- a Bruxelles - personale esperto trasferito dal Consiglio dell'UE, dalla Commissione europea e dai servizi diplomatici dei paesi dell'UE;

- una rete di "ambasciate" (delegazioni) dell'UE presso 143 paesi terzi e organizzazioni internazionali.

Il contributo finanziario per il funzionamento del SEAE nel bilancio dell’UE per il 2017 è pari a circa 650 milioni di euro.

 

 

 

 

Agenzia europea per la difesa

 

L’Agenzia europea per la difesa (European Agency defense - EDA) istituita a Bruxelles nel 2004, ha i seguenti compiti:

- migliorare le capacità di difesa dell’UE nel settore della gestione delle crisi;

- promuovere la cooperazione europea in materia di armamenti;

- rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea e creare un mercato europeo dei materiali di difesa che sia competitivo;

- promuovere le attività di ricerca al fine di rafforzare il potenziale industriale e tecnologico dell’Europa in questo settore.

Fanno parte dell’Agenzia 27 Stati membri (tutti ad eccezione della Danimarca).

La struttura decisionale dell'EDA è composta da:

- il capo dell'agenzia, responsabile dell'organizzazione e del funzionamento complessivo, è l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini;

- il tavolo di governo: prende le decisioni sul conto dell'agenzia; è composto dai Ministri della difesa degli Stati membri e da un rappresentante della Commissione europea;

- il Direttore generale: è il capo del personale ed è responsabile della supervisione e della coordinazione delle unità; attualmente è Jorge Domecq.

Per il 2017 l’EDA dispone di un bilancio di 31 milioni di euro.


Articolo 13-bis
(Interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea)

 

L’articolo 13-bis, inserito durante l’esame in Commissione, estende la possibilità di avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione anche per la realizzazione e monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea, per la durata degli interventi ed alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo.

 

Il comma 1, in particolare, dispone che per la realizzazione ed il monitoraggio di interventi di cooperazione allo sviluppo con finanziamento dell’Unione europea ai sensi dell’art. 6 comma 2 della legge n. 125 del 2014 (Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo) le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari possono, nei limiti del predetto finanziamento e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, avvalersi di personale non appartenente alla pubblica amministrazione, per la durata degli interventi e alle medesime condizioni previste per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo dall’art. 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 (Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo). L’applicazione delle disposizioni del comma in commento agli interventi nei Paesi nei quali l’Agenzia ha proprie sedi è limitata fino al subentro della medesima Agenzia nella responsabilità degli interventi stessi.

 

Il citato articolo 6 della legge 125/2014 disciplina la partecipazione dell'Italia alla definizione delle politiche europee e ai programmi di sviluppo dell'Unione europea (c.d. cooperazione delegata), imponendo l’armonizzazione delle politiche nazionali di cooperazione con quelle dell'Unione europea e la partecipazione alla cooperazione indiretta (comma 2), facendo ricorso di norma all’Agenzia per la cooperazione.

I commi 3 e 4 assegnano la responsabilità delle relazioni in materia di aiuto allo sviluppo con l'Unione europea e con gli strumenti finanziari europei competenti, nonché della definizione e dell'attuazione delle politiche del Fondo europeo di sviluppo (FES) al Ministro degli affari esteri, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sulla base degli indirizzi contenuti nel documento triennale di programmazione e di indirizzo di cui all’articolo 12 della medesima legge n. 125/2014.


 

La cooperazione delegata

 

Con l’espressione “cooperazione delegata” si indica, nel quadro del “Codice di condotta dell'UE sulla divisione del lavoro nell'ambito della politica di sviluppo”, una modalità di gestione che consente alla Commissione europea di delegare fondi ad uno Stato membro per l'esecuzione di programmi di cooperazione a seguito della firma di appositi “accordi di delega” e, a loro volta, agli Stati membri di trasferire risorse alla Commissione stessa attraverso la firma di “accordi di trasferimento”, il tutto al fine di favorire una maggiore concentrazione ed efficacia degli aiuti in quei Paesi partner e settori nei quali più evidente è il valore aggiunto di un donatore specifico, in un'ottica di reciprocità e massimizzazione dell'efficacia dell'aiuto.

 

 

Il richiamato articolo 11, comma 1 lett. c) del DM 22 luglio 2015 n. 113 recante Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo prevede che l’Agenzia realizzi e monitori in loco le iniziative di cooperazione all’estero mediante:

a)  il proprio personale destinato alle sedi all'estero;

b)  l'invio in missione di dipendenti propri o di altre amministrazioni pubbliche;

c)  personale non appartenente alla pubblica amministrazione mediante l'invio in missione o la stipula di contratti di diritto privato a tempo determinato, disciplinati dal diritto locale, nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano.

 

Il comma 2 dell’articolo 13-bis in commento stabilisce che il controllo della rendicontazione degli interventi di cui al precedente comma 1 può essere effettuato da un revisore legale o da una società di revisione legale, entrambi da individuarsi nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (di cui al Dlgs. 18 aprile 2016, n. 50) con oneri a carico del finanziamento dell’Unione europea.

 

Attualmente, a norma dell’art. 4, comma 2 del decreto ministeriale 3 febbraio 2014, al controllo della rendicontazione delle spese in gestione delegata provvede un collegio di tre revisori, uno dei quali, con funzione di presidente, designato dal MAECI tra il proprio personale con qualifica dirigenziale o equiparata, e gli altri designati dal Ministero dell'economia e delle finanze tra dirigenti della Ragioneria generale dello Stato. Ai fini dell’esecuzione degli interventi di cooperazione delegata, il comma 2 mira a rafforzare gli strumenti a disposizione del MAECI per assicurare il controllo sulla rendicontazione prescritto dall'articolo 60, paragrafo 5, comma secondo, del Regolamento (UE, EURATOM) 966/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell'Unione e che, al predetto articolo 60, disciplina la gestione indiretta. Il corretto e tempestivo svolgimento di tale controllo, d’altronde, è essenziale ai fini dell'attuazione degli interventi, condizionando la regolare erogazione dei finanziamenti da parte dell'Unione europea. Il comma 2 in commento consente al MAECI di ricorrere, all'occorrenza, anche a revisori o a società di revisione legali individuati nel rispetto del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e con oneri a carico del finanziamento dell'Unione europea.

 

 

 


Articolo 14
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

L'articolo 14 reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge, fatta eccezione per l'articolo 4 (disciplina transitoria del fondo indennizzo vittime di reato), l'articolo 7 (agevolazioni fiscali per le navi iscritte nel Registro internazionale di altri Stati membri) e l'articolo 8 (trattamento economico degli ex lettori di lingua straniera).

 

Si ricorda che l’articolo 14, nella formulazione originaria, includeva - tra le eccezioni alla clausola di invarianza finanziaria - l’articolo 5 del disegno di legge in materia di rimborsi IVA. Per effetto della soppressione dell’articolo, in recepimento della condizione posta dalla V Commissione Bilancio nel parere sul provvedimento in esame (vedi scheda), il riferimento all’articolo 5 è stato espunto dal testo.

 

Va rammentato che l'articolo 17, comma 6-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 prescrive, per siffatte clausole di neutralità finanziaria, che la relazione tecnica debba riportare la valutazione  degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli  elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza  pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti  nel  bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione, fermo restando che, in ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.

 

 



[1]    Si ricorda che il disegno di legge originario (C. 4505) conteneva 14 articoli, miranti a definire 3 procedure di infrazione e 3 casi di pre-contenzioso (EU-Pilot), a superare una delle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito di un caso EU-Pilot, a garantire la corretta attuazione di 2 direttive già recepite nell'ordinamento interno, nonché ad apportare alcune modifiche alla legge n. 234 del 2012.

[2]    Questa direttiva modifica la Direttiva 2001/82/CE (v. infra).

[3]    “Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo”. Si ricorda, che la Banca Dati è stata costituita dal 2005 presso il Ministero della Salute.

[4]    In particolare, i considerando 2) e 23) stabiliscono, rispettivamente, che le normative in materia di produzione e di distribuzione dei medicinali veterinari devono avere come scopo essenziale la tutela della sanità pubblica e che i distributori di medicinali veterinari siano opportunamente autorizzati dagli Stati membri a tenere adeguati registri. L’art. 65, par. 3, della Direttiva, inoltre, prevede che il titolare dell'autorizzazione di distribuzione conservi una documentazione dettagliata, che contenga per ogni operazione in entrata od uscita, almeno le seguenti informazioni: a) data; b) identificazione precisa del medicinale veterinario; c) numero del lotto e di fabbricazione; data di scadenza; d) quantità ricevuta o fornita; e) nome ed indirizzo del fornitore o del destinatario. Almeno una volta all'anno deve essere eseguita una verifica approfondita. Le registrazioni sono tenute a disposizione della competente autorità a fini di ispezione per almeno tre anni. Analoghi obblighi sono previsti per i venditori al dettaglio (art. 66, par. 2), i veterinari (art. 70, par. 1, lett. f)) e addirittura per i proprietari o i responsabili di animali – cui vengono somministrati medicinali veterinari – successivamente destinati alla produzione di alimenti (art. 69, par. 1 e 2). Inoltre, è previsto che gli Stati membri tengono un registro dei produttori e dei distributori autorizzati a possedere sostanze attive che possano essere utilizzate nella fabbricazione dei medicinali veterinari con proprietà anabolizzanti, antiinfettive, antiparassitarie, antinfiammatorie, ormonali o psicotrope. Tutte le transazioni commerciali riguardanti le sostanze che possono venire impiegate per la fabbricazione di medicinali veterinari devono essere registrate in modo dettagliato e devono essere disponibili per i controlli a fini d'ispezione per almeno tre anni (art. 68, par. 2). Infine, il titolare della AIC è chiamato a registrare in modo dettagliato tutti i presunti effetti collaterali negativi verificatisi a seguito dell’uso del medicinale ad uso veterinario, sia nella UE, sia in un paese terzo (art. 75).

[5]    In base alle informazioni contenute nella relazione illustrativa, le attività di aggiornamento della banca dati del Ministero della salute saranno realizzate a valere sulla contabilità speciale 5965 relativa al progetto/intervento “Malattie animali” del Fondo di rotazione per le politiche europee.

[6]    Sul punto la sezione del sito del Ministero della salute “Sperimentazione tracciabilità farmaci veterinari”.

[7]    Articolo 50, Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie, del DL.269/2003 (L. 326/2003).

[8]    Dm 2 novembre 2011 e DL. 179/2012 (L. 221/2012), art. 13 e 13-bis.

[9]    In base ai dati forniti dalla relazione tecnica, i soggetti coinvolti sono 8 ASL, 24 veterinari liberi professionisti, 25 grossisti e farmacie e 59 allevamenti (11 avicoli, 41 bovini e 7 suini) di cui 49 in regione Lombardia e 10 in regione Abruzzo.  Nel corso del 2016, altre Regioni e Province autonome (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Sardegna, Umbria, Veneto e Valle D’Aosta) hanno manifestato la volontà di aderire alla sperimentazione.

[10]   Peraltro la Commissione europea, nel chiarire le differenze tra le due fattispecie, richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione circa la descrizione della condotta di “propaganda”, mettendone in luce i contorni più restrittivi rispetto a quelli dell’”istigazione”.

[11]   E' opportuno ricordare che tale decreto è stato adottato su impulso della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese per la mancata adozione, dopo il 1° gennaio 2006 di qualsivoglia misura di attuazione e conclusasi con una sentenza di condanna (Corte di Giustizia, sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia).

[12]   Fra le leggi speciali che disciplinano la concessione, a carico dello Stato, di indennizzi a favore delle vittime di determinate forme di reati intenzionali violenti si segnalano le seguenti:

   legge del 13 agosto 1980, n. 466 – recante norme in ordine a speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche (articoli 3 e 4);

   legge del 20 ottobre 1990, n. 302 – recante norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articoli 1 e da 3 a 5);

   decreto legge del 31 dicembre 1991, n. 419 – recante istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive, convertito dalla legge del 18 febbraio 1992, n. 172 (articolo 1);

   legge dell’8 agosto 1995, n. 340 – recante norme per l’estensione dei benefici di cui agli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990, ai familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica (articolo 1 – che richiama gli articoli 4 e 5 della legge n. 302/1990);

   legge del 7 marzo 1996, n. 108 – recante disposizioni in materia di usura (articoli 14 e 15);

   legge del 31 marzo 1998, n. 70 – recante benefici per le vittime della cosiddetta «banda della Uno bianca» (articolo 1 – che richiama gli articoli 1 e 4 della legge n. 302/1990);

   legge del 23 novembre 1998, n. 407 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 2);

   legge del 23 febbraio 1999, n. 44 – recante disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura (articoli 3 e da 6 a 8);

   decreto del Presidente della Repubblica del 28 luglio 1999, n. 510 – regolamento recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (articolo 1);

   legge del 22 dicembre 1999, n. 512 – recante istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso (articolo 4);

   decreto legge del 4 febbraio 2003, n. 13 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2003;

   legge dell’11 agosto 2003, n. 228 – recante misure contro la tratta di persone, che istituisce il Fondo per le misure anti-tratta e uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, come modificata dall’articolo 6 del decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 24;

   decreto legge del 28 novembre 2003, n. 337 – recante disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero, convertito con modificazioni dalla legge n. 369/2003 (articolo 1);

   legge del 3 agosto 2004, n. 206 – recante nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (articolo 1);

   legge del 23 dicembre 2005, n. 266 – (legge finanziaria 2006), che, al suo articolo 1, paragrafi da 563 a 565, contiene disposizioni che prevedono la corresponsione di aiuti alle vittime del dovere, ai soggetti equiparati e ai loro familiari;

    legge del 20 febbraio 2006, n. 91 – recante norme in favore dei familiari superstiti degli aviatori italiani vittime dell’eccidio avvenuto a Kindu l’11 novembre 1961;

   decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006, n. 243 – regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati;

   decreto legge del 12 novembre 2010, n. 187 – recante misure urgenti in materia di sicurezza, convertito con modificazioni dalla legge n. 217/2010, tra cui, a norma del suo articolo 2-bis, l’istituzione di un «Fondo di solidarietà civile» a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.

[13]   Le risorse del FFO sono allocate sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 102065 del 27 dicembre 2016 – Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e per il triennio 2017–2019, per il 2017 il cap. 1694 reca uno stanziamento pari a € 6.981.890.720.

[14]   Per effetto dell’incremento ora disposto, le risorse allocate sul cap. 1694 per il 2017 diverrebbero, dunque, pari a € 6.990.595.720.

[15]   “L'esame dell'ambito normativo nazionale fa emergere che, certo, l'art. 4, terzo comma, della legge n. 236 prevede esplicitamente la conservazione dei diritti quesiti da parte degli ex lettori di lingua straniera in relazione ai precedenti rapporti di lavoro. Tuttavia, una valutazione delle prassi amministrative e contrattuali poste in essere da alcune università pubbliche italiane consente di concludere nel senso dell’esistenza di situazioni discriminatorie” (cfr. n. 31 della sentenza).

[16]   Tale posizione è stata ribadita, più recentemente, con sentenza 21004/2015.

[17]  Con ordinanza 38/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, ultimo periodo, della L 240/2010, sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La stessa Corte, con successiva ordinanza 99/2013, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26, comma 3, ultimo periodo, sollevata in riferimento agli articoli 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.

[18]   Per completezza, si ricorda che il Presidente della Repubblica, nella lettera al Presidente del Consiglio che ha accompagnato la promulgazione della L. 240/2010, ha sottolineato l’opportunità che l’articolo 26, “nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale” (che ha sempre riconosciuto, nel settore pubblico, il diritto alla ricongiunzione di tutti i servizi prestati ai fini della definizione dei diritti pensionistici: ad es., v. le sentenze 305/1995, 496/2002 e 191/2008).

[19]   Convenzione internazionale sugli Standard di addestramento, Certificazione e Tenuta della guardia per i marittimi, 1978.

 

[20]   D.Lgs. 27 ottobre 2011, n. 186, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio di sostanze e miscele, che modifica ed abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che modifica il regolamento (CE) n. 1907/2006.

[21]   Qui il Piano nazionale dei controlli sui prodotti chimici 2017.

[22]   Pescasseroli, Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, Udine, Frosinone, Francavilla Fontana, Trinitapoli, Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro e Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto

[23]   Più in dettaglio l'obbligo di relazione sull'attuazione della direttiva 94/62/CE è stabilito dall'articolo 17 della direttiva medesima, in base al quale gli Stati membri presentano una relazione alla Commissione sulla sua attuazione, con inizio a partire dal triennio 1995-1997.

[24]   Inserito all'interno del Capo I ("Sanzioni") del Titolo VI ("Sistema sanzionatorio e disposizioni transitorie e finali"), l'articolo 261 è rubricato "Imballaggi".

[25]   Per maggiori dettagli, si rinvia alla Scheda di valutazione n. 49/2013, curata nel luglio 2013 dall'Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell'Unione europea del Senato della Repubblica. 

[26]   Il Consiglio di Stato, nell’adunanza della commissione speciale del 12 novembre 2013 aveva già espresso un giudizio sfavorevole al mantenimento della commissione, della quale sottolineava la non infungibilità. La competenza in materia di rilascio dei certificati di abilitazione era quindi stata attribuita alle prefetture, molte delle quali, però, non potendo disporre in altro modo delle necessarie professionalità tecniche in grado di svolgere tale esame, avevano sospeso il rilascio delle abilitazioni, con notevoli ripercussioni negative sull'attività di manutenzione degli ascensori, nonché situazioni di incertezza normativa.

[27]   Il citato D.P.R. n. 23/2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 15 marzo 2017

[28]   La norma prevedeva che i componenti fossero in possesso di adeguate competenze tecniche e che almeno due di essi, tra cui il presidente, fossero laureati in ingegneria.

[29]   Nel parere n. 1852 del 6 settembre 2016.

[30]   Il D.P.R. n. 23/2017, pertanto, alla luce delle osservazioni espresse dal Consiglio di Stato, non contempla, nella versione definitiva, le disposizioni di cui all’art. 2, co. 1, lett. i), dell’A.G. n. 335 relative alla “rivitalizzazione” della commissione esaminatrice, alla sua composizione e al suo funzionamento.

[31]   Il sottosegretario allo sviluppo economico, in occasione della risposta a un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta Crippa 4-06728) presso la X Commissione della Camera dei deputati, aveva già fatto riferimento a un “eventuale intervento normativo risolutivo del problema, ove ritenuto opportuno e necessario”, in occasione delle successive ulteriori modifiche al D.P.R. n. 162/1999.