Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Documento di economia e finanza 2016
Riferimenti:
DOC LVII, N. 4     
Serie: Documentazione di finanza pubblica    Numero: 12
Data: 26/04/2016
Descrittori:
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 


Documento di economia e finanza 2016

Doc. LVII, n. 4

 

 

aprile 2016

 

 

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Documentazione di finanza pubblica n. 12

 

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INDICE

Finalità e struttura  del Documento di economia e finanza. 5

PARTE I – IL QUADRO MACROECONOMICO.. 10

1. La congiuntura internazionale. 10

2. Lo scenario macroeconomico nazionale. 19

2.1 I risultati nel 2015. 19

2.2 Le prospettive dell’economia italiana per il 2016 e per
il triennio successivo
. 27

3. Confronti internazionali 44

PARTE II – LA FINANZA PUBBLICA.. 46

1. Gli andamenti di finanza pubblica. 46

1.1   Il consuntivo 2015. 52

L’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni 52

Le entrate. 53

Le spese. 57

1.2 Le previsioni tendenziali per il periodo 2016-2019. 60

L’indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni 60

Le entrate. 62

Le spese. 68

1.3 L’analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori 71

2. Percorso programmatico di finanza pubblica. 74

2.1 L'aggiornamento del piano di rientro verso l'OMT e la Relazione
ex L. n. 243 del 2012
. 76

2.2 La regola della spesa. 81

2.3 I margini di flessibilità del patto di stabilità e crescita. 86

2.4 Gli indicatori di finanza pubblica. 94

2.5 I saldi per sottosettore. 99

2.6 Spesa per interessi, fabbisogno e debito. 100

La spesa per interessi 100

Il fabbisogno del settore pubblico. 103

Il debito pubblico. 110

2.7 La regola del debito e gli altri fattori rilevanti 117

3. Sensitività e sostenibilità delle finanze pubbliche. 123

3.1 Scenari di breve periodo. 123

3.2 Scenari di medio periodo (2016-2027) 128

3.3 Scenari di lungo periodo. 136

PARTE III: ANALISI DEL PROGRAMMA NAZIONALE
DI RIFORMA
.. 153

1. Introduzione. 153

2. Le raccomandazioni dell'Unione europea, analisi della crescita e Rapporto sugli squilibri macroeconomici 154

2.1 Le raccomandazioni dell'Unione europea. 154

2.2 L'analisi annuale sulla crescita. 156

2.3 Il rapporto sugli squilibri macroeconomici 157

3. Le politiche pubbliche nel programma nazionale di riforma. 161

3.1 Sistema fiscale. 161

3.2 Riforme istituzionali 165

3.3 Pubblica amministrazione e semplificazioni 166

3.4 Revisione della spesa. 170

3.5 Privatizzazioni 176

3.6 Sanità e politiche sociali 179

3.7 Scuola, università, ricerca. 184

3.8 Giustizia. 192

3.9 Infrastrutture e trasporti 200

3.10 Competitività. 216

3.11 Le politiche per la concorrenza e l’apertura dei mercati 224

3.12 La politica di coesione. 228

3.13 Lavoro. 238

3.14 Settore bancario e misure finanziarie per la crescita. 241

3.15 Ambiente. 253

 


FINALITÀ E STRUTTURA
DEL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA

Il Documento di economia e finanza (DEF) costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, che traccia, in una prospettiva di medio-lungo termine, gli impegni, sul piano del consolidamento delle finanze pubbliche, e gli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, adottati dall’Italia per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo e per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo, occupazione, riduzione del rapporto debito-PIL e per gli altri obiettivi programmatici prefigurati dal Governo per l’anno in corso e per il triennio successivo.

Il DEF viene trasmesso alle Camere affinché si esprimano su tali obiettivi e sulle conseguenti strategie di politica economica contenute nel Documento. Dopo il passaggio parlamentare, il Programma di Stabilità e il Programma nazionale di riforma vanno inviati al Consiglio dell’Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile.

Secondo quanto dispone l’articolo 7 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) il Documento, che s’inquadra al centro del processo di coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri dell’UE - il Semestre europeo deve essere infatti presentato al Parlamento, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, entro il 10 aprile di ciascun anno, al fine di consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici di politica economica in tempo utile per l’invio al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea, entro il successivo 30 aprile[1], del Programma di Stabilità e del Programma Nazionale di Riforma (PNR).

In particolare, il semestre europeo prevede le seguenti fasi:

§  gennaio: presentazione da parte della Commissione dell’Analisi annuale della crescita; peraltro, è ormai invalsa la prassi di anticipare la presentazione delle indagini annuali all'autunno, contestualmente alla Relazione della Commissione sul meccanismo di allerta per la prevenzione degli squilibri macroeconomici. Tale prassi è stata confermata anche per il semestre 2016, per il quale entrambi i documenti[2] sono stati approvati il 26 novembre 2015;

§  febbraio/marzo: il Consiglio europeo elabora le linee guida di politica economica e di bilancio a livello UE e a livello di Stati membri. Per il 2016 tali linee sono contenute nelle Raccomandazioni del Consiglio (2016/C96/01)[3] sulla politica economica della zona euro approvate l’8 marzo 2016;

§  dalla metà alla fine di aprile: gli Stati membri sottopongono contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR, elaborati nell’ambito della nuova Strategia per la crescita e l’occupazione UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell’ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;

§  inizio giugno: sulla base dei PNR e dei PSC, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri;

§  giugno: il Consiglio ECOFIN e, per la parte che gli compete, il Consiglio Occupazione e affari sociali, approvano le raccomandazioni della Commissione europea, anche sulla base degli orientamenti espressi dal Consiglio europeo di giugno;

§  seconda metà dell’anno: gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute. In base alla disciplina del regolamento (UE) n. 473/2013 (uno dei due atti che compongono il c.d. Two-pack), la Commissione europea opera, di norma entro il mese di novembre, una valutazione del documento programmatico di bilancio di ciascuno Stato membro. Nell’indagine annuale sulla crescita dell’anno successivo, la Commissione dà conto dei progressi conseguiti dai Paesi membri nell’attuazione delle raccomandazioni stesse.

 

Quanto alla struttura del DEF, questa è disciplinata dall’articolo 10 della legge di contabilità, nel quale si dispone che sia composta di tre sezioni e di una serie di allegati.

In particolare, la prima sezione espone lo schema del Programma di Stabilità, che deve contenere tutti gli elementi e le informazioni richiesti dai regolamenti dell'Unione europea e, in particolare, dal nuovo Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi di politica economica da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico.

La sezione espone gli obiettivi e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica per il triennio successivo; l’indicazione degli obiettivi programmatici per l'indebitamento netto, per il saldo di cassa e per il debito delle PA, articolati per i sottosettori della PA, accompagnata anche da un'indicazione di massima delle misure attraverso le quali si prevede di raggiungere gli obiettivi. La sezione contiene, inoltre, le previsioni di finanza pubblica di lungo periodo e gli interventi che si intende adottare per garantirne la sostenibilità.

 

La seconda sezione, Analisi e tendenze della finanza pubblicariporta, principalmente, l'analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche nell'anno precedente; le previsioni tendenziali a legislazione vigente, almeno per il triennio successivo, dei flussi di entrata e di uscita del conto economico e del saldo di cassa; l'indicazione delle previsioni a politiche invariate per i principali aggregati del conto economico della PA riferite almeno al triennio successivo; le informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei principali settori di spesa, con particolare riferimento a quelli relativi al pubblico impiego, alla protezione sociale e alla sanità, nonché sul debito delle amministrazioni pubbliche e sul relativo costo medio; le informazioni, infine, sulle risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate, con evidenziazione dei fondi nazionali addizionali.

 

La terza sezione reca, infine, lo schema del Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, contiene gli elementi e le informazioni previsti dai regolamenti dell'Unione europea e dalle specifiche linee guida per il Programma nazionale. In tale ambito sono indicati:

§  lo stato di avanzamento delle riforme avviate, con indicazione dell'eventuale scostamento tra i risultati previsti e quelli conseguiti;

§  gli squilibri macroeconomici nazionali e i fattori di natura macroeconomica che incidono sulla competitività;

§  le priorità del Paese, con le principali riforme da attuare, i tempi previsti per la loro attuazione e la compatibilità con gli obiettivi programmatici indicati nel Programma di stabilità;

§  i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini di crescita dell'economia, di rafforzamento della competitività del sistema economico e di aumento dell'occupazione.

 

Inoltre, in conseguenza della decisione, risultante dal nuovo quadro programmatico di finanza pubblica del DEF in esame, di posporre di un anno, dal 2018 al 2019, il conseguimento dell’Obiettivo di Medio Periodo del pareggio di bilancio in termini strutturali (Medium Term Objective, MTO), unitamente al Documento di Economia e Finanza 2016 è stata trasmessa alle Camere anche la Relazione prescritta dall’articolo 6, comma 5, della legge di attuazione del pareggio di bilancio n. 243 del 2012[4].

Si rammenta che tale articolo prevede, ai commi da 1 a 3, che qualora il Governo al fine di fronteggiare eventi eccezionali, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenti alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico.

Il successivo comma 5 dispone inoltre che il piano di rientro possa essere aggiornato al verificarsi di ulteriori eventi eccezionali ovvero qualora in relazione all’ andamento del ciclo economico il Governo intenda apportarvi modifiche.

È questa la fattispecie cui fa riferimento la Relazione in esame, che aggiorna il piano di rientro previsto nella precedente Relazione (Doc. LVII, n. 2-bis- Allegato III). presentata nello scorso mese di settembre unitamente alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e Finanza 2015, nella quale il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali era stato previsto nel 2018, con un allungamento di un anno rispetto a quanto stabilito nel DEF 2015, ivi riferito all’anno 2017. Tale Relazione è stata approvata da ciascuna Camera (a maggioranza assoluta dei propri componenti, come prescrive l’articolo 6 della legge n. 243/2012) in data 8 ottobre 2015, rispettivamente con risoluzione n. 6/00163 alla Camera e con risoluzione n. 6/00127 presso il Senato.

Si ricorda che, oltre che in occasione della presentazione della Nota di aggiornamento 2015, la Relazione ex articolo 6 della legge n.243 suddetta è stata altresì presentata:

a.       in occasione del posticipo dell’obiettivo del pareggio di bilancio operato con il Documento di Economia e Finanza 2014, che recava la Relazione con la quale si posponeva il raggiungimento dell'obiettivo di medio periodo (MTO) dal 2015 al 2016. Sulla base di tale relazione ciascuna delle due Camere, con propria risoluzione del 17 aprile 2014 (rispettivamente n. 6-00050 al Senato e n. 6-00064 alla Camera) ha autorizzato lo scostamento in questione, unitamente al piano di rientro;

b.      in occasione della Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2014, con Relazione che aggiornava il piano di rientro verso il MTO, prevedendosi il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale nel 2017, anziché nel 2016 come previsto dal DEF 2014. La Relazione è stata approvata presso ciascuna Camera, con apposita risoluzione 6‑00062, n. 100 al Senato e 6-00082 presso la Camera.

 

Rispetto al percorso prefigurato nella Nota di aggiornamento 2015 la Relazione in esame espone un più graduale piano di rientro all’Obiettivo di Medio Termine, prevedendosi ora nel DEF 2016 misure che comportano un incremento dell’indebitamento netto nominale di 0,4 punti di PIL nel 2017, 0,3 punti nel 2018 e 0,3 punti nel 2019 rispetto agli andamenti tendenziali del saldo. Analogamente anche il deficit strutturale risulta incrementato per il medesimo triennio, rispettivamente di 0,3, 0,7 e 0,3 punti percentuali di PIL, con un disavanzo strutturale che verrebbe a situarsi prossimo al pareggio nel 2019. Per le motivazioni dell’aggiornamento del Piano ed una più dettagliata illustrazione della tempistica del percorso programmatico delineato nella relazione in oggetto si rinvia al paragrafo 2.1 L'aggiornamento del piano di rientro verso l'OMT e la Relazione ex L. n. 243 del 2012 del presente dossier.

 

Sulla base di quanto prevedono sia alcune norme della legge n. 196 del 2009 che ulteriori disposizioni che prescrivono la presentazione in allegato al DEF di alcuni specifici documenti, al DEF 2016 sono allegati:

§  il rapporto sullo stato di attuazione della riforma della contabilità e finanza pubblica, di cui all’articolo 3 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 - Allegato I);

§  il documento sulle spese dello Stato nelle regioni e nelle province autonome, di cui al comma 10 dell’articolo 10 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 - Allegato II);

§  la relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, di cui al comma 9 dell’articolo 10 della legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 4 - Allegato III);

§  la relazione sui fabbisogni annuali di beni e servizi della pubblica amministrazione e sui risparmi conseguiti con il sistema delle convenzioni Consip, di cui all'articolo 2, comma 576, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Doc. LVII, n. 4 - Allegato IV);

§  la relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, di cui al comma 7 dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 e all'articolo 7 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Doc. LVII, n. 4 - Allegato V);

§  un documento concernente strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica (Doc. LVII, n. 4 - Allegato VI).


 

Parte I – Il quadro macroeconomico

1. La congiuntura internazionale

Il DEF 2016, nella prima sezione relativa al Programma di Stabilità, evidenza come nel 2015 il ritmo di crescita dell'economia mondiale abbia mostrato un rallentamento rispetto al 2014, nonostante il sostegno fornito dal calo dei corsi petroliferi. Anche la crescita del commercio mondiale ha mostrato nel 2015 un andamento stagnante.

La modesta crescita del PIL e del commercio globale è legata al deterioramento delle prospettive economiche globali, su cui ha pesato in particolare la flessione dei mercati, ed in taluni casi l’entrata in recessione di importanti paesi emergenti, che si è intensificata a seguito del perdurante declino dei prezzi delle materie prime e dell’inasprimento delle condizioni finanziarie.

Secondo i dati forniti dalla Commissione europea a febbraio[5], riportati nel DEF 2016, la crescita del PIL mondiale si sarebbe realizzata ad un tasso del 3,0 per cento, rispetto al 3,3 dell’anno precedente, con il commercio mondiale in aumento del 2,6 per cento, in decelerazione rispetto al 3,4 per cento del 2014 e molto al di sotto della media di lungo periodo.

In questo quadro, le prospettive di crescita dell’economia globale si mantengono moderate anche negli anni a venire, al 3,3 per cento nel 2016 e al 3,5 per cento nel 2017.

Rispetto a tali andamenti riportati nel DEF - corrispondenti come detto alle ultime previsioni disponibili della Commissione Europea di febbraio - le nuove proiezioni elaborate del Fondo monetario internazionale il 12 aprile scorso, nel nuovo World Economic Outlook, limitano ulteriormente le prospettive di crescita globale.

Tabella 1 - Andamento del PIL e del commercio mondiale

(variazioni percentuali)

 

2014

2015

2016

2017

PIL mondiale

3,4

3,1

3,2

3,5

Commercio internazionale

3,5

2,8

3,1

3,8

Fonte: FMI, WEO (12 aprile 2016).

 

La moderata ripresa dell’economia mondiale nel 2015 è caratterizzata dalla tenuta delle maggiori economie avanzate, mentre molte economie emergenti si trovano ad affrontare una prospettiva molto difficile.

Negli Stati Uniti, nel 2015 la crescita del PIL è stata pari a quella dell’anno precedente (2,4 per cento) con un’ulteriore contrazione del tasso di disoccupazione (sceso su valori minimi, al 4,9 per cento). L’inatteso rallentamento dell’economia mondiale a fine 2015 e la scarsa dinamica degli investimenti hanno spinto la Federal Reserve, dopo la stretta monetaria di dicembre, a lasciare il tasso di riferimento invariato tra lo 0,25 e lo 0,50 per cento e a rivedere al ribasso l’entità degli ulteriori aumenti previsti nel breve termine.

In Giappone, il PIL è aumentato dello 0,5 per cento, in accelerazione rispetto al 2014 (0,0 per cento), grazie al contributo positivo del settore estero e dei consumi pubblici. La politica monetaria della Banca del Giappone rimane estremamente accomodante e caratterizzata da tassi su depositi negativi (-0,1 per cento) e un Quantitative Easing pari a 80 trilioni di yen annui.

Per quel che riguarda le principali economie emergenti, il quadro congiunturale rimane complessivamente debole, con andamenti assai differenziati tra paesi: all’acuirsi della recessione in Brasile e alle incertezze derivanti dal processo di riequilibrio in corso in Cina si contrappone l’evoluzione positiva della situazione economica in India e l’attenuarsi della caduta del prodotto in Russia. Nel complesso, l’andamento della crescita nei mercati emergenti continua a risultare ancora rallentato rispetto ai ritmi del passato.

Le osservazioni di fondo contenute nel documento governativo corrispondono, in sostanza, alle considerazioni contenute nel recente WEO di aprile 2016 dell’FMI, secondo il quale la ripresa dell’economia globale continua, ma con un ritmo lento e sempre più fragile. Negli ultimi mesi si è assistito ad una perdita di slancio della crescita nelle economie avanzate e a continue turbolenze nelle economie dei mercati emergenti e nei paesi a basso reddito. Per quel che riguarda, in particolare, le principali economie emergenti, si rileva un quadro abbastanza diversificato, con alti tassi di crescita in Cina e nella maggior parte dei paesi emergenti dell’Asia, ma le condizioni macroeconomiche sono gravi in Brasile, in Russia, ancora in una recessione, e in una serie di altri paesi esportatori di materia prime.

Analoghe considerazioni sono state avanzate dalla Banca Centrale europea, nel Bollettino economico di marzo 2016, che mette in evidenza il rallentamento dell’economia mondiale sul finire dell’anno. Gli andamenti sia nelle economie avanzate sia nelle economie emergenti hanno subito un pronunciato rallentamento nel quarto trimestre del 2015. Tra le principali economie avanzate, esclusa l’area dell’euro, solo il Regno Unito sembra avere mantenuto una crescita robusta e protratta nella seconda metà del 2015. Anche le economie emergenti hanno evidenziato una perdita di slancio nel quarto trimestre. Secondo la BCE, tre fattori fondamentali hanno influenzato le prospettive mondiali: l’inasprimento delle condizioni finanziarie nelle economie emergenti; l’incertezza, riguardo alle prospettive per la Cina; la perdurante debolezza dei prezzi delle materie prime.

Secondo le previsioni riportate nel DEF 2016, si prospetta una crescita ancora moderata dell’economia internazionale ed una espansione del commercio mondiale del 3,0 per cento nel 2016 e del 3,8 per cento nel 2017.

Tabella 2 - Prospettive dello scenario internazionale

(variazioni percentuali)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

Commercio internazionale

3,2

2,5

3,0

3,8

4,6

4,8

Prezzo del petrolio
(Drent FOB dollari/Barile)

99,0

52,3

39,4

45,7

48,1

49,8

Cambio dollaro/euro

1,329

1,110

1,095

1,094

1,094

1,094

Fonte:  DEF 2016 (aprile 2016). Per il 2014, dati FMI.

 

Sebbene le prospettive per l’economia mondiale siano ancora orientate verso una moderata ripresa, i rischi associati allo scenario internazionale sono ancora principalmente al ribasso.

Le previsioni di crescita dell’economia globale si inseriscono, infatti, - sottolinea il DEF - in uno scenario internazionale caratterizzato da andamenti disomogenei sia nei paesi avanzati, la cui ripresa è ancora fragile e si accompagna a tassi di inflazione eccezionalmente bassi, sia in quelli emergenti, per alcuni dei quali si è ampliata la vulnerabilità rispetto alla volatilità dei flussi di capitali internazionali e degli elevati livelli di debito interno. Inoltre, la caduta del prezzo del petrolio e le difficoltà incontrate dal settore manifatturiero cinese (caratterizzato da un notevole eccesso di capacità produttiva) hanno dato luogo a spinte deflattive i cui effetti non si sono ancora del tutto esauriti.

Secondo le proiezione dell’FMI di aprile, la crescita del PIL mondiale nel 2016 è prevista al 3,2 per cento, sostanzialmente in linea con lo scorso anno, ma in diminuzione rispetto alla medesima previsione del WEO di gennaio 2016 (-0,2 punti percentuali). La ripresa sembra rafforzarsi nel 2017 (3,5 per cento, -0,1 rispetto al WEO di inizio anno), principalmente grazie al recupero delle economie emergenti. Il FMI, tuttavia, avverte che l’aumento dell’incertezza nel contesto congiunturale attuale rende tangibile il rischio di scenari di crescita più debole. La ripresa della crescita prevista per il 2017 si basa, infatti, sulle ipotesi di una graduale normalizzazione delle condizioni nelle economie attualmente in sofferenza; di un riequilibrio dell'economia cinese; di una ripresa dell'attività di esportazione; di una crescita nelle economie emergenti e in via di sviluppo. Il rischio di deflazione nelle economie avanzate, il protrarsi dei bassi prezzi del petrolio, l’incertezza sull’andamento dell’economia cinese, shock di origine non economica (conflitti geopolitici, terrorismo, flussi di rifugiati) potrebbero avere ricadute significative sull'attività economica mondiale.

Anche secondo la BCE, l’attività economica mondiale dovrebbe continuare ad espandersi a un ritmo graduale, sorretta dalle perduranti prospettive di una tenuta della crescita nei maggiori paesi avanzati (sostenuta da tassi di interesse ancora bassi, miglioramenti nei mercati del lavoro e un più positivo clima di fiducia dei consumatori) e dall’attesa moderazione delle gravi recessioni in alcune grandi economie emergenti. In particolare, la graduale attenuazione della profonda recessione in Russia e in Brasile dovrebbe sostenere la crescita globale.

Con riferimento al 2017, le proiezioni macroeconomiche formulate nel marzo 2016 dagli esperti della BCE sono più ottimistiche, prevedendo un aumento della crescita del PIL mondiale (esclusa l’area dell’euro) al 3,2% nel 2016, per passare al 3,8 e 3,9, rispettivamente, nel 2017 e nel 2018. Questi valori rappresentano comunque una revisione al ribasso della crescita mondiale rispetto all’esercizio di dicembre 2015. I rischi per le prospettive dell’attività mondiale rimangono orientati verso il basso, specialmente per le economie emergenti.

 

Tra i rischi al rialzo vanno considerati – sottolinea il DEF - le basse quotazioni del greggio, che potrebbero stimolare la domanda interna dei paesi importatori di petrolio per un periodo più prolungato, e il pieno dispiegarsi di effetti espansivi delle politiche monetarie, al momento al di sotto delle attese.

Un graduale aumento del prezzo del petrolio e delle materie prime potrebbe inoltre facilitare una più rapida ripresa da parte dei paesi produttori dando un maggiore impulso alla domanda mondiale. La ripresa dei corsi azionari e la riduzione della volatilità dei mercati finanziari, infine, potrebbero fungere da catalizzatore per l’efficacia delle manovre monetarie espansive.

Secondo l’analisi della BCE, la caduta dei corsi del petrolio tra la seconda metà del 2014 e gli inizi del 2015, dovuta in larga parte agli andamenti dell’offerta, ha esercitato un effetto netto positivo sul PIL globale principalmente attraverso due canali: 1) una redistribuzione del reddito dai paesi produttori a quelli consumatori di petrolio, con una più elevata propensione marginale alla spesa; 2) i guadagni di redditività derivanti dai minori costi degli input energetici, che hanno stimolato gli investimenti e quindi l’offerta totale nei paesi importatori netti di greggio. Tuttavia, anche se i bassi corsi petroliferi potrebbero ancora esercitare effetti positivi sui paesi importatori di materie prime come conseguenza dell’aumento del reddito reale, si prevede che l’impatto favorevole del calo delle quotazioni del petrolio sull’attività sia sostanzialmente compensato dall’indebolimento della domanda estera. Infine, si rileva che, dopo essere scesi sui valori minimi da 12 anni a fine gennaio, i prezzi del petrolio hanno successivamente registrato un lieve recupero.

Nel WEO dell’FMI si confermano le medesime osservazioni circa la spinta offerta dai perduranti bassi prezzi del petrolio per una accelerazione della crescita mondiale, posto che una serie di fattori negativi hanno di fatto smorzato l'impatto positivo derivante dal prezzo del petrolio in declino. Primo fra tutti, il ribasso della domanda interna nei paesi esportatori emergenti e in via di sviluppo, che è stato molto considerevole. Secondo, l’aumento limitato dei consumi privati nei paesi avanzati importatori di petrolio in risposta al maggior reddito disponibile – ad un livello molto inferiore rispetto ai passati episodi di calo del prezzo del petrolio - forse a causa della continua riduzione della leva finanziaria in alcune di queste economie. Terzo, la debolezza degli investimenti, dovuta ad una tendenza all'aumento dell'efficienza energetica, che comporta un ridimensionamento delle aspettative di crescita a medio termine anche nelle economie avanzate. Infine, l’andamento dell’inflazione che in molte economie avanzate è sceso al di sotto dei target e in molti casi declina ancora – in particolare nei paesi con alto debito e bassa crescita.

 

Anche per quel che concerne l’Area dell’euro, la ripresa economica sta proseguendo, anche se a ritmi inferiori a quelli attesi agli inizi dell’anno sulla scia dell’indebolimento del contesto esterno.

La crescita del PIL dell’1,6 per cento nel 2015, in accelerazione rispetto all’anno precedente (0,9 per cento), è principalmente attribuibile alla ripresa dei consumi privati e degli investimenti fissi, i quali, tuttavia, restano nel complesso comunque su livelli inferiori rispetto a precedenti periodi di ripresa del ciclo. Il tasso di disoccupazione per l’area nel complesso, sebbene in diminuzione, si è mantenuto ancora su livelli elevati (10,3 per cento a gennaio 2016).

Secondo il DEF la domanda interna potrebbe essere sostenuta da una più rapida ripresa del settore delle costruzioni, che nel corso della crisi ha riassorbito gran parte degli squilibri che si erano accumulati in precedenza.

Su tale punto, la BCE evidenzia, nel Bollettino di marzo, come il valore aggiunto dei servizi abbia di nuovo superato il livello pre-crisi (favorito dalla ripresa dei consumi privati), mentre ciò non è ancora avvenuto per l’industria e per le costruzioni. Per le costruzioni, che hanno subito una pesante flessione a causa delle ampie correzioni del mercato immobiliare dopo la crisi del 2008-2009 in diversi paesi, il valore aggiunto si è stabilizzato da su livelli molto bassi. Nel quarto trimestre del 2015, la crescita del valore aggiunto ha continuato a rafforzarsi nel settore dei servizi e ha segnato un certo recupero in quello delle costruzioni, mentre il valore aggiunto nell’industria (al netto delle costruzioni) è diminuito, come mostra il grafico seguente.

Figura 1 - Valore aggiunto lordo reale dell’area dell’euro per attività economica (indice: 1° trim. 2008 = 100)

Fonte: Eurostat.

 

Il DEF ricorda, inoltre, che nell’Area dell’euro la politica di bilancio ha assunto un tono meno restrittivo, anche per far fronte all’emergenza umanitaria causata dalla guerra in Siria e all’ondata di immigrazione da Medio Oriente ed Africa.

A ciò si aggiunge - osserva il DEF - che l’orientamento fortemente espansivo della Banca centrale europea (BCE), che pure ha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria, non ha ancora conseguito i risultati sperati in termini di crescita reale e di inflazione. Quest’ultima rimane prossima allo zero, mentre la crescita economica non è sufficientemente alimentata dalla ripresa del credito.

Al fine di combattere con maggiore decisione le tendenze deflazionistiche e rendere più agevole la concessione di credito all’economia reale, la Banca centrale europea ha recentemente portato a zero il tasso di interesse di rifinanziamento sulle operazioni principali; ridotto allo 0,25 per cento quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale; fissato a -0,40 per cento quello sui depositi. Ha poi anche dato l’avvio a quattro nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO II) con maturità pari a quattro anni e il cui tasso di rifinanziamento potrà giungere ad essere pari al tasso sui depositi.

Infine, il Quantitative Easing (QE) è stato aumentato a 80 miliardi mensili con la novità che gli acquisti potranno riguardare anche bond emessi da imprese non finanziarie purché abbiano natura di investimenti non speculativi.


 

 

In seguito alla revisione al ribasso delle stime di crescita dell’Area euro, il Consiglio direttivo della BCE, nel perseguimento del proprio obiettivo di stabilità dei prezzi, ha messo in atto un nutrito pacchetto di interventi che punta a fornire un ulteriore stimolo monetario. Questa serie di misure (dettagliate in un comunicato e illustrate di seguito) è stata calibrata per conseguire un ulteriore allentamento delle condizioni di finanziamento, stimolare l’offerta di nuovi crediti e quindi rafforzare il vigore della ripresa dell’area euro e accelerare il ritorno dell’inflazione a livelli inferiori ma prossimi al 2%).

In primo luogo, dal 16 marzo i principali tassi d’interesse sono stati tagliati: il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema dallo 0,05% allo 0,00%, quello sui depositi presso la banca centrale è ridotto di 10 punti base (da -0,30 a -0,40%) e il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale dallo 0,30 allo 0,25 per cento.

A partire da aprile, poi, è stata ampliata ancora la dimensione del programma di acquisto di titoli per finalità di politica monetaria da 60 a 80 miliardi mensili (Quantitative Easing, QE) Nel programma di Qe inoltre sono stati inseriti i bond denominati in euro emessi da società non bancarie situate nell’area dell’euro. L’ulteriore incremento dell’intervento mira ad arrestare la fase di deflazione che interessa l’Eurozona e a favorire il ripristino di normali condizioni di funzionamento del mercato creditizio in molti paesi dell’area euro.

Infine, a partire da giugno 2016 viene introdotta una nuova serie di quattro operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (Targeted Longer-Term Refinancing Operations, TLTRO II), ciascuna con scadenza a quattro anni. Il tasso di interesse applicato a queste operazioni potrà essere ridotto fino a raggiungere un livello pari al tasso sui depositi presso la banca centrale (-0,40%).

 

Con riferimento alle prospettive di crescita dell’Area dell’euro, nel Bollettino di marzo 2016 la Banca Centrale Europea osserva che la ripresa economica dell’area dovrebbe proseguire anche se in misura meno intensa di quanto previsto.

Questo ritmo più lento riflette l’indebolimento della crescita mondiale, l’apprezzamento del tasso di cambio effettivo dell’euro e la maggiore incertezza, che si riflette nella più elevata volatilità dei mercati finanziari.

Nondimeno, alcuni fattori positivi dovrebbero sostenere il procedere della ripresa economica. L’orientamento accomodante della politica monetaria della BCE, maggiormente rafforzato lo scorso dicembre dall’annuncio di misure aggiuntive, seguita a trasmettersi all’economia. I consumi privati sarebbero sorretti nel 2016 dall’ulteriore brusco calo osservato di recente per i prezzi del petrolio e dai continui miglioramenti in atto nel mercato del lavoro. La ripresa mondiale dovrebbe contribuire anche a un graduale incremento degli investimenti, dovuto in parte a effetti di accelerazione. La domanda interna beneficerà altresì di un certo allentamento di bilancio, connesso in parte all’afflusso di rifugiati.

 

Secondo quanto esposto nel Bollettino di marzo della BCE, il profilo dell’inflazione complessiva nell’orizzonte temporale di proiezione dovrebbe essere fortemente influenzato da quello della componente energetica dello IACP. Dato l’ulteriore brusco calo delle quotazioni del petrolio negli ultimi mesi, la componente energetica dell’indice registrerebbe tassi di variazione negativi nel 2016, per poi tornare in territorio positivo nel 2017, tenuto conto dei forti effetti base al rialzo e degli incrementi ipotizzati per i prezzi del greggio.

Nel contempo si ritiene che l’inflazione al netto degli alimentari e dell’energia aumenterà gradualmente negli anni a venire, via via che il miglioramento delle condizioni nel mercato del lavoro e la riduzione della capacità produttiva inutilizzata si traducono in un amento di salari e margini di profitto. Inoltre, l’impatto ritardato del forte deprezzamento dell’euro e gli effetti indiretti dei rincari ipotizzati per l’energia e le materie prime non energetiche, congiuntamente al venir meno degli effetti al ribasso derivanti dalle loro passate diminuzioni, dovrebbero sostenere un aumento dello IAPC al netto di alimentari ed energia. Il grafico che segue mostra congiuntamente gli andamenti del PIL e dell’inflazione.

 

PIL in termini reali dell’area dell’euro IAPC dell’area dell’euro

(variazioni percentuali sul trimestre precedente) (variazioni percentuali sui dodici mesi)

Fonte: Proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate dagli esperti della BCE nel marzo 2016, pubblicato sul sito Internet della BCE il 10 marzo 2016.

 

Questi sviluppi positivi si riflettono nelle proiezioni macroeconomiche per l’Area dell’euro formulate dagli esperti della BCE che prevedono un incremento della crescita del PIL in termini reali dell’1,4 per cento nel 2016, dell’1,7 nel 2017 e dell’1,8 nel 2018.

Per la BCE, i rischi per le prospettive di crescita dell’area dell’euro rimangono tuttavia orientati verso il basso e sono connessi in particolare alle maggiori incertezze riguardo all’evoluzione dell’economia mondiale, oltre che a rischi geopolitici di più ampia portata.

 

L’FMI – che ha rivisto al ribasso le prospettive di crescita della zona dell’Euro (di 0,2 punti percentuali per il 2016 e di 0,1 punti per il 2017, rispetto alle previsioni di gennaio) – indica una modesta ripresa nell' area dell'euro nel 2016 e 2017, rispettivamente all’1,5 e all’1,6 per cento, destinata a rimanere intorno all'1,5 per cento anche nel medio termine. Secondo l’FMI, gli effetti dell’indebolimento della domanda esterna potrebbero infatti essere compensati dagli effetti favorevoli di prezzi più bassi dell’energia, da una modesta espansione fiscale e dalle condizioni finanziarie di sostegno. La crescita potenziale dovrebbe rimanere tuttavia debole, a seguito dei lasciti della crisi (alto debito pubblico e privato, bassi investimenti, ed elevata disoccupazione di lunga durata), degli effetti dell'invecchiamento e del fattore di crescita della produttività troppo lento.


 

2. Lo scenario macroeconomico nazionale

Il DEF 2016 espone l’analisi del quadro macroeconomico italiano relativo all’anno 2015 e le previsioni per l’anno in corso e per il periodo 2017-2019, che riflettono i segnali di graduale ripresa dell’economia, nonostante gli elementi di difficoltà e di fragilità che ancora caratterizzano le prospettive di crescita globali.

2.1 I risultati nel 2015

Con riferimento al 2015, il DEF evidenzia come l’economia italiana sia tornata a crescere, dopo tre anni di contrazione del prodotto interno lordo (-2,8 punti percentuali nel 2012, -1,7 nel 2013 e -0,3 nel 2014), registrando un tasso dello 0,8 per cento in termini reali.

La crescita del prodotto è risultata di poco inferiore a quanto previsto a settembre scorso nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 (+0,9 per cento[6]) e nel Documento Programmatico di Bilancio, presentato ad ottobre 2015, a causa del rallentamento dell’andamento del PIL nella seconda metà dell’anno, rispetto alla fase di crescita sostenuta registrata nel primo semestre, in connessione con l’inatteso indebolimento del contesto esterno, dovuto al rallentamento delle grandi economie emergenti e alle perduranti difficoltà dell’Eurozona.

In base al Comunicato ISTAT[7], nel IV trimestre 2015 il prodotto interno lordo ha registrato una variazione positiva dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, al di sotto delle attese, confermando la tendenza - registrata nel corso dell’anno - ad un progressivo rallentamento della crescita congiunturale (+0,4, +0,3 e +0,2 per cento, rispettivamente, nel I, II e III trimestre del 2015).

Tutti i principali aggregati della domanda interna hanno però segnato un aumento significativo rispetto al III trimestre, con un incremento dello 0,3% dei consumi finali nazionali e dello 0,8% degli investimenti fissi lordi. Nell’ambito dei consumi finali, si è osservata una dinamica in decelerazione per la spesa delle famiglie residenti e delle ISP (+0,3% da +0,5% nel terzo trimestre) e un rafforzamento di quella delle amministrazione pubbliche (+0,6% nel quarto trimestre da +0,2% nel terzo). La crescita congiunturale degli investimenti è stata determinata da un aumento significativo dei mezzi di trasporto (+8,7%) e dalla ripresa degli investimenti in costruzioni, che nel IV trimestre registrano una crescita positiva (+0,9%), che non si vedeva dal III trimestre 2007, in piccola parte controbilanciato da una flessione della spesa per macchine, attrezzature e prodotti vari (-0,1%).

Anche le importazioni e le esportazioni sono aumentate rispetto al terzo trimestre, con incrementi rispettivamente dell’1,0% e dell'1,3.

Nel complesso tuttavia l’andamento dell’attività economica dell’Italia nell’ultimo trimestre dell’anno è risultato inferiore a quello registrato nell’Area dell’euro (+0,3 per cento rispetto al terzo trimestre) e nei principali paesi europei.

 

Nonostante il rallentamento registrato nell’ultima fase dell’anno, il PIL nel 2015 è tornato in territorio positivo, registrando, come si è prima detto, un +0,8 per cento a fronte della contrazione dello 0,3 per cento registrata nel 2014.

Secondo i dati al momento disponibili, la crescita è risultata inferiore a quella registrata nei maggiori paesi sviluppati, per i quali i dati indicano un aumento del PIL in volume nel 2015 del 2,4% negli Stati Uniti, del 2,2% nel Regno Unito, dell’1,7% in Germania e dell’1,2% in Francia.

Nel complesso, tuttavia, il PIL in volume resta ancora al di sotto del livello registrato nel 2000, come evidenziato nel grafico che segue:

Figura 2 - Andamento del PIL in volume

Fonte: ISTAT, Comunicato “Conti economici trimestrali” (4 marzo 2016).

 

Sul risultato positivo del 2015 ha inciso in maniera rilevante - si osserva nel DEF - il recupero della domanda interna, in continua espansione durante l’anno, il cui contributo positivo alla crescita del PIL è stato pari a 0,5 punti percentuali, ponendosi a fine anno su livelli di crescita tendenziale superiori all’1,5 per cento.

Un apporto negativo è invece disceso dalla domanda estera netta (-0,3 punti percentuali, che si sostituisce a un valore positivo cumulato di 4,8 punti nel quadriennio 2011-2014). In particolare, l’apporto negativo delle esportazioni nette deriva innanzitutto dall’intensa ripresa delle importazioni e, in misura minore, da un parziale affievolimento della dinamica delle esportazioni, penalizzate dall’indebolimento del ciclo internazionale.

In sostanza - sottolinea il DEF - l’andamento positivo della domanda interna è stato, nel corso dell’anno, più che compensato dapprima da un calo dell’export, legato al rallentamento delle grandi economie emergenti, e successivamente, nel quarto trimestre, da un calo della produzione, da riconnettersi probabilmente anche all’impatto economico ed emotivo degli attacchi terroristici di Parigi e all’andamento dell’economia e dei mercati finanziari in Cina, Russia e Brasile.

Anche la Banca d’Italia, nel Bollettino economico di gennaio 2016, ha rilevato che si sta indebolendo la spinta alla crescita fornita dalle esportazioni - che, dopo aver sostenuto l’attività negli ultimi quattro anni, sono ora frenate, come nel resto dell’area dell’euro, dal calo della domanda dei paesi extraeuropei – e come ad essa si va gradualmente sostituendo quella della domanda interna, in particolare per consumi e ricostituzione delle scorte.

Con riferimento ai risultati del 2015, il Comunicato dell’ISTAT del 1 marzo 2016 rileva che nel 2015 si è registrato, dal lato della domanda interna, in termini di volume, una variazione positiva sia dei consumi finali nazionali dello 0,5% sia degli investimenti fissi lordi dello 0,8%.

Tabella 3 - Conto economico delle risorse e degli impieghi - anni 2014-2015

(variazioni percentuali)

 

2014

2015

PIL

-0,3

0,8

Importazioni

3,2

6,0

Consumi finali nazionali

0,2

0,5

- spesa delle famiglie residenti e I.S.P.

0,6

0,9

- spesa delle P.A.

-1,0

-0,7

Investimenti fissi lordi

-3,4

0,8

- costruzioni

-5,0

-0,5

- macchinari, attrezzature

-3,2

1,1

- mezzi di trasporto

0,4

19,7

Esportazioni

3,1

4,3

Fonte: ISTAT, “PIL e indebitamento AP – Anni 2013-2015” (1 marzo 2016).

 

Per quanto concerne i consumi, la spesa delle famiglie residenti è cresciuta in volume dello 0,9%, segnando un ulteriore recupero rispetto alla crescita del 2014 (+0,6%). Sul punto il DEF evidenzia come nel 2015 l’accelerazione dei consumi privati sia stata sostenuta dall’aumento della propensione al consumo, in particolare di beni durevoli, sostenuta dal recupero del reddito disponibile in termini reali e dalle migliori condizioni del mercato del lavoro. Al contrario, le misure di contenimento della spesa per redditi e per consumi intermedi nelle Pubbliche Amministrazioni, hanno comportato una ulteriore flessione dei consumi pubblici (-0,7 per cento in termini reali). Il DEF sottolinea come la dinamica della spesa delle PA si mostri ininterrottamente negativa dal 2011.

Quanto alle famiglie, nel 2015 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è aumentato dello 0,9%. Esso tuttavia nell’ultimo trimestre dell’anno ha registrato una riduzione dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, rimanendo comunque in aumento dell’1,1% rispetto al corrispondente periodo del 2014. Tenuto conto dell’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici è aumentato nel 2015 dello 0,8%. Anche in tal caso tale dato ricomprende un andamento in controtendenza dell’ultimo trimestre dell’anno, quando esso si è ridotto dello 0,7% rispetto al trimestre precedente (restando comunque in aumento dello 0,9% rispetto al quarto trimestre del 2014). Quanto al potere di acquisto delle famiglie consumatrici esso nel quarto trimestre del 2015, misurato al netto dell’andamento dell’inflazione, ha subito un calo (-0,7%) rispetto al trimestre precedente, a riflesso di una flessione del reddito lordo disponibile (-0,6%). Tale calo è stato compensato da un ribasso della propensione al risparmio che ha reso possibile la prosecuzione della tendenza positiva dei consumi (+0,4%).

La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici nel 2015 è risultata pari all’8,3%, invariata rispetto al 2014. Nel quarto trimestre del 2015 essa è stata pari all’8,1%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,3 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2014.

 

Per quanto concerne gli investimenti fissi lordi, nel 2015, si è verificata una inversione di tendenza, con una crescita dello 0,8% a fronte della flessione del 3,4 per cento registrata nell’anno precedente. Il recupero ha riguardato soprattutto gli investimenti in mezzi di trasporto (+19,7%) e in macchinari e attrezzature (+1,1%), mentre la componente delle costruzioni registra, ancora, nel 2015, per l’ottavo anno consecutivo, un valore negativo (-0,5%). Il DEF sottolinea tuttavia come anche tale comparto manifesti una ripresa a partire dalla seconda metà dell’anno, confermata dal dato positivo registrato dall’ISTAT nel IV trimestre del 2015 (+0,9% rispetto al trimestre precedente), dopo un andamento congiunturale costantemente negativo dal terzo trimestre 2007.

Il recupero del settore delle costruzioni è peraltro confermato dalla progressiva attenuazione della caduta tendenziale dei prezzi delle abitazioni, rilevata nel recente Comunicato ISTAT[8]. Nel IV trimestre 2015, sulla base delle stime preliminari, l'indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie, sia per fini abitativi sia per investimento, diminuisce dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 0,9% nei confronti dello stesso periodo del 2014, rispetto ad una ben più ampia diminuzione (del -2,3%) che si era osservata nel terzo trimestre 2015. Questo dato evidenzia una tendenza al progressivo ridimensionamento del ribasso in media d’anno dei prezzi delle abitazioni, in atto ormai da quattro anni. In media, nel 2015, i prezzi delle abitazioni sono diminuite del 2,4% rispetto al 2014 (quando la variazione media annua era stata del -4,4% e prima ancora, nel 2013, del -5,7%). Viene inoltre rilevato che il ridimensionamento del calo in media d’anno dei prezzi delle abitazioni si è manifestato in presenza di segnali di ripresa delle compravendite, in graduale risalita rispetto ai recenti livelli storicamente molto bassi (+6,5% è l'incremento registrato per il 2015 dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle Entrate per il settore residenziale). Sulla base di tali prime risultanze, l’Istat osserva, nella Nota mensile di marzo 2016, che le stesse potrebbero supportare l’ipotesi di una inversione ciclica nel settore delle costruzioni.

 

Per quanto concerne le esportazioni, la loro dinamica si è mantenuta positiva (+4,3%), nonostante il rallentamento del commercio mondiale nel secondo semestre 2015, supportate anche dalla competitività derivante dal deprezzamento dell’euro. Le importazioni hanno mostrato una dinamica più sostenuta, registrando una crescita del 6,0%. L’apporto del volume delle esportazioni nette alla crescita del PIL è stato dunque negativo.

Sul punto il DEF sottolinea come il consistente aumento delle importazioni nel 2015 possa essere dovuto anche a fattori di natura temporanea, quali le esigenze dell’export (importazione di beni intermedi e ricostituzione delle scorte) e le caratteristiche della ripresa dei consumi, essendo i beni durevoli e semi-durevoli in buona misura prodotti all’estero. Quanto all’andamento delle esportazioni, il DEF rimarca come la caduta del prezzo del petrolio, che sostiene la domanda interna nei paesi consumatori come l’Italia, riduce al tempo stesso i consumi e le importazioni dei paesi produttori, verso cui le esportazioni italiane erano cresciute molto fino al 2014. Nel complesso, nonostante il rallentamento del commercio e della produzione industriale mondiali, il commercio con l’estero registra in Italia dati positivi. Il saldo commerciale nel 2015 è risultato in avanzo per il terzo anno consecutivo, per circa 45,2 miliardi, in miglioramento rispetto a quello registrato lo scorso anno (41,9 miliardi), risultando – illustra il DEF - tra i più elevati dell’Unione europea, dopo la Germania e i Paesi Bassi.

Tale risultato – precisa ancora il DEF - è l’effetto della crescita, in valore, sia delle esportazioni (3,8%) che delle importazioni (3,3%). In volume, le esportazioni complessive di merci sono cresciute dell’1,8%. I flussi commerciali sono risultati più dinamici verso l’area europea, anche a causa del rallentamento dell’economia cinese e delle forti contrazioni dell’export verso la Russia. Al di fuori dell’Europa, il dato maggiormente positivo ha riguardato il mercato nord americano: le esportazioni verso gli Stati Uniti, in particolare, sono cresciute del 9,5%.

 

A livello settoriale, la crescita del PIL è riconducibile ad aumenti in volume nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (+3,8%), nell’industria in senso stretto (+1,3%), con al suo interno una crescita del valore aggiunto della manifattura dell’1,5% e un calo dello 0,7% nelle costruzioni. Nel settore dei servizi si è registrato un incremento dello 0,4%.

Per l’industria in senso stretto, l’ISTAT, nel Comunicato di febbraio[9], rimarca tuttavia come, dopo i risultati positivi di settembre-ottobre, la produzione industriale abbia mostrato un calo sia a novembre sia a dicembre. Nella media del trimestre ottobre-dicembre 2015 la produzione è diminuita dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Nella media del 2015 la produzione è cresciuta dell’1,0% rispetto all’anno precedente.

 

Andamento del credito

Il DEF rileva un graduale miglioramento delle condizioni del credito nel 2015, osservando come l’andamento dei prestiti a famiglie ed imprese si sia chiuso con una variazione nulla, dopo un periodo triennale di contrazione, ed i tassi d’interesse siano risultati in continua discesa.

Tale evoluzione si presenta peraltro lievemente differenziata tra imprese e famiglie, in quanto queste ultime hanno visto un miglioramento già a partire da giugno del 2015 (+0,1 per cento) proseguendo fino a raggiungere a dicembre una variazione tendenziale pari allo 0,8 per cento, grazie principalmente all’aumento di prestiti per l’acquisto di abitazioni (che, si rammenta, da dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare hanno registrato nell’anno un incremento del 6,5% dei volumi compravenduti). Più lenta la ripresa del credito al consumo. I tassi d’interesse sono diminuiti, posizionandosi a fine 2015 su livelli storicamente bassi (2,49 per cento rispetto al 2,83 per cento del dicembre 2014).

Per le imprese non finanziarie permane invece, in media annua, una variazione ancora negativa, del 2,3 per cento, dato che comunque registra un’attenuazione progressiva della flessione del credito. Sono inoltre costantemente diminuiti i tassi di interesse sui nuovi prestiti praticati alle imprese, che passano dal 2,56 per cento registrato a dicembre del 2014 all’1,74 per cento osservato a dicembre 2015.

La complessiva tendenza positiva del settore trova evidenza, rileva il DEF, nella Bank Lending Survey, relativa al quarto trimestre del 2015, che conferma la tendenza all’allentamento dei criteri di offerta dovuta soprattutto alla pressione concorrenziale tra le banche, al minore rischio percepito, ai più contenuti costi di provvista e ai ridotti vincoli di bilancio degli intermediari. Le indagini rilevano inoltre un’espansione della domanda di prestiti da parte delle imprese, sostenuta dal basso livello dei tassi di interesse e dal maggiore fabbisogno per investimenti fissi, scorte e capitale circolante. Segnali analoghi vengono anche rilevati per le famiglie.

La ripresa graduale delle dinamiche di prestito è osservata anche dalla Banca Centrale Europea nel Bollettino economico di marzo 2016, in cui si rileva che il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari al settore privato è rimasto sostanzialmente stabile nel quarto trimestre del 2015 e a gennaio 2016, come nel grafico che segue.

Figura 3 - Tassi di interesse alle imprese non finanziarie e alle famiglie (var. %)

Fonte: Banca d’Italia

 

Pur rimanendo debole, il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti alle società non finanziarie (SNF) ha raggiunto un valore sensibilmente superiore rispetto al punto di minimo registrato nel primo trimestre del 2014, con un miglioramento che è comune ai principali paesi, benché i tassi di crescita dei prestiti restino negativi in alcuni di essi. Anche per quanto riguarda le famiglie il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti alle famiglie è migliorato leggermente nel quarto trimestre 2015 e a gennaio 2016 come espone il grafico che segue.

Figura 4 - Prestiti delle IFM alle SNF in alcuni paesi dell’area dell’euro (variazioni percentuali sui dodici mesi)

Tali tendenze, precisa la BCE, sono state supportate dalle considerevoli riduzioni dei tassi sui prestiti bancari che ha interessato l’intera area dell’euro dall’estate del 2014 (legate alle misure straordinarie di politica monetaria della BCE), nonché da miglioramenti sia dell’offerta sia della domanda dei prestiti bancari. Su tale aspetto la BCE segnala come nonostante i recenti segnali di stabilizzazione, i tassi compositi sui prestiti bancari alle SNF e alle famiglie sono diminuiti in misura notevolmente maggiore rispetto ai tassi di riferimento del mercato a partire dal giugno 2014. Tale andamento è stato determinato da diversi fattori, tra cui il calo dei costi compositi della provvista bancaria: da quando la BCE ha annunciato il proprio pacchetto di allentamento del credito a giugno 2014, le banche hanno progressivamente trasferito il calo dei costi della provvista sotto forma di tassi di prestito inferiori

Ciononostante, il consolidamento dei bilanci bancari e la presenza di livelli ancora molto elevati di prestiti in sofferenza in alcuni paesi continuano a ostacolare la crescita del credito.

 

Quanto al mercato del lavoro, il DEF rileva come l’occupazione complessiva misurata in ULA (unità di lavoro standard) abbia registrato nel 2015 un aumento dello 0,8 per cento, da riconnettersi all’impatto positivo delle riforme varate dal Governo. Il miglioramento dell’occupazione si è riflesso sul tasso di disoccupazione, che si è ridotto di 0,8 punti percentuali attestandosi all’11,9 per cento.

Nel Comunicato ISTAT di marzo 2016[10], si rileva come il risultato positivo della crescita 2015 sia accompagnato da un miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, rilevato da gran parte degli indicatori, con aumenti congiunturali sia dell’input di lavoro impiegato, sia del tasso di occupazione. In questa fase congiunturale, si rileva una divaricazione tra l’andamento positivo dell’occupazione dipendente e la debolezza persistente di quella indipendente; inoltre, all’interno del lavoro dipendente, cresce in misura significativa l’occupazione a tempo indeterminato, in un contesto di progressiva estensione della ripresa della domanda di lavoro anche da parte dell’industria dopo la forte ripresa già registrata nel settore dei servizi.

Nel complesso, l’incremento dell’occupazione nell’ultimo anno risulta diffuso sul territorio ed è più accentuato nel Mezzogiorno, ripartizione che nel corso della crisi ha registrato le perdite più consistenti. Anche il tasso di disoccupazione diminuisce soprattutto nelle regioni meridionali. Le differenze permangono elevate.

 

Quanto al mercato del lavoro, si rinvia all’approfondimento riportato più avanti.

 

Con riferimento, infine, all’evoluzione dei prezzi, nel 2015 l’inflazione è stata prossima allo zero; l’indice armonizzato dei prezzi al consumo è aumentato solo dello 0,1 per cento rispetto allo 0,2 registrato nel 2014.

Per contro, il deflatore del PIL è aumentato dello 0,8 per cento, riflettendo il miglioramento delle ragioni di scambio.

L’orientamento fortemente espansivo della Banca centrale europea (BCE) – rileva il DEF - non ha ancora conseguito i risultati sperati in termini di crescita reale e di inflazione.

2.2 Le prospettive dell’economia italiana per il 2016 e per il triennio successivo

Per quel che concerne le previsioni, si ricorda che il DEF presenta due scenari di previsioni macroeconomiche, uno tendenziale e l’altro programmatico, che, fermo restando le assunzioni relative al quadro internazionale, coerenti con le più recenti previsioni delle principali istituzioni internazionali, differiscono per le assunzioni relative alle riforme economiche. In particolare, le previsioni del quadro tendenziale incorporano gli effetti sull’economia delle azioni di politica economica, delle riforme e della politica fiscale messe in atto precedentemente alla presentazione del Documento stesso. Il quadro programmatico, invece, include l’impatto sull’economia delle politiche economiche prospettate all’interno del Programma di Stabilità e del Piano Nazionale delle Riforme, che saranno concretamente definite nella Nota di aggiornamento che sarà presentata a settembre 2016 e adottate con la prossima legge di stabilità.

Le due previsioni coincidono per l’anno in corso, mentre si differenziano gradualmente negli anni successivi (si veda più avanti la Tabella 10 - Il quadro macroeconomico tendenziale e programmatico ).

Si ricorda inoltre che le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche presentate nel DEF sono sottoposte alla validazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, secondo quanto previsto dalla legge n. 243/2012 di attuazione del principio del pareggio del bilancio. Lo scenario macroeconomico tendenziale ha già ottenuto la validazione dell’Ufficio, il 1° aprile 2016.

 

La validazione delle previsioni macroeconomiche

Nel rispetto dei regolamenti europei[11], le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche presentate nel DEF sono sottoposte alla validazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), secondo quanto previsto dalla legge n. 243/2012 di attuazione del principio del pareggio del bilancio[12]. Lo scenario macroeconomico tendenziale ha già ottenuto la validazione dell’Ufficio, comunicata al Ministro dell’economia e delle finanze il 1° aprile 2016.

Nel validare le previsioni tendenziali in quanto, precisa l’Ufficio “esse si collocano nell’intervallo accettabile sullo stato delle informazioni attualmente disponibili”, è stata allegata una nota esplicativa. Questa, nell’affermare che il quadro economico tendenziale esposto nel DEF è sostanzialmente in linea con le stime dei previsori del panel UPB, osserva come tale allineamento si verifichi, prevalentemente, in prossimità del limite superiore delle stime dell'insieme dei previsori medesimi, segnalando l'emergere di fattori di rischio per lo scenario previsivo del quadro, costituiti:

§  da una stima di crescita del PIL che nel 2017 è al di sotto del limite più elevato dell’intervallo delle stime del panel , ma nel 2016 e 2018 si colloca invece al limite più elevato: ciò per effetto di una più elevata dinamica delle spese per consumi delle famiglie, da cui consegue una previsione del contributo della domanda finale alla crescita del PIL più elevata, nei due anni suddetti, rispetto ai valori massimi dell’UPB;

§  da una ipotesi di inflazione anche essa prossima ai valori massimi del panel, che, unitamente alla stima della crescita sopradetta, concorre a determinare un aumento del PIL nominale che si colloca al limite più alto dell’intervallo previsivo UPB;

§  da un tasso di cambio dell’euro la cui invarianza è assunta per tutto il periodo di previsione, anziché per il solo biennio 2016-2017 come nelle valutazioni della Commissione UE, in contrasto con le aspettative di graduale apprezzamento della moneta che, se si realizzassero, inciderebbero negativamente sulla crescita e sull’inflazione iscritte nel quadro tendenziale del DEF.

Il quadro macroeconomico tendenziale

Il DEF conferma per il 2016 la fase di moderata ripresa dell’economia italiana iniziata nel 2015, in previsione di una graduale stabilizzazione della domanda interna.

Il documento mette in evidenza come il contributo alla ripresa dell’economia italiana venga soprattutto dalla domanda interna. Si prevede, infatti, una ripresa graduale dei consumi, favorita dagli incrementi di reddito disponibile legati alla stabilità dei prezzi e ai guadagni dell’occupazione, e degli investimenti, in conseguenza delle migliorate condizioni finanziarie e del cambiamento di clima delineato dagli indicatori di fiducia. Il clima di incertezza che caratterizza l’economia mondiale dovrebbero invece riflettersi sull’andamento delle esportazioni, determinandone un rallentamento.

 

Gli andamenti congiunturali più recenti, sottolinea il DEF, segnalano tendenze positive per il quadro macroeconomico di inizio 2016, prospettando una accelerazione della crescita del prodotto interno lordo già nel primo trimestre 2016.

In particolare, dopo l’inaspettato calo registrato negli ultimi due mesi del 2015, la ripresa della produzione industriale suggerisce che l’attività economica ha continuato ad espandersi nei primi mesi dell’anno.

Inoltre, nel medio termine, il complesso delle misure espansive ulteriormente implementate dalla BCE dovrebbe favorire una ripartenza del credito al settore privato e, conseguentemente, l’espansione dei consumi e degli investimenti, e una graduale risalita dell’inflazione al consumo verso l’obiettivo di medio termine, anche in considerazione del venir meno della spinta deflattiva fornita dal comportamento del prezzo dei beni energetici.

I livelli degli indicatori di fiducia, in particolare l’indice dei consumatori - che si sono portati nel corso degli ultimi mesi su livelli storicamente elevati - si mantengono positivi, sebbene leggermente inferiori ai livelli massimi registrati a gennaio.

 

I dati congiunturali diffusi dall’ISTAT relativi ai primi mesi dell’anno confermano i segnali di una ripresa che appare tuttavia ancora incerta. Gli indicatori congiunturali qualitativi confermano i segnali di debolezza dal lato dell’offerta, mentre dal lato della domanda, alle incertezze legate all’evoluzione del commercio mondiale, si accompagnano la stabilità della crescita dei consumi e i primi segnali di ripresa degli investimenti.

Il Comunicato dell’11 aprile scorso, relativo alla produzione industriale, indica che a febbraio 2016 l'indice destagionalizzato della produzione industriale – che era aumentato a gennaio più delle attese (+1,9 su dicembre 2015) – è diminuito dello 0,6% rispetto a gennaio. Nella media del trimestre dicembre 2015-febbraio 2016, comunque, la produzione è aumentata dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Corretto per gli effetti di calendario, a febbraio 2015, l’indice risulta peraltro aumentato in termini tendenziali dell’1,2%. Anche il fatturato dell'industria, al netto della stagionalità, ha registrato a gennaio, in base al Comunicato del 24 marzo, un incremento dell'1,0% rispetto a dicembre 2015, con variazioni positive sia sul mercato interno (+1,2%) sia su quello estero (+0,4%). Nella media degli ultimi tre mesi, tuttavia, l’indice complessivo è diminuito dello 0,6%. Segnali positivi giungono dagli ordinativi dell’industria, aumentati sia in gennaio (+0,7% su base congiunturale) sia, in misura più marcata, nella media degli ultimi tre mesi (+2,1%), grazie in particolare all’apporto positivo del mercato interno (+3,1%) (Comunicato del 24 marzo 2016).

Indicazioni contrastanti giungono dalla produzione nelle costruzioni. Dopo il recupero registrato alla fine del 2015, con il ritorno ad un saggio di crescita tendenziale positivo dello 0,9%, a gennaio la produzione mostra un calo dell’1,5% rispetto a dicembre 2015. Nella media degli ultimi tre mesi (novembre 2015–gennaio 2016), tuttavia, l'indice è aumentato dell'1,9% rispetto al trimestre precedente (Comunicato ISTAT del 17 marzo 2016). Segnali a supporto dell’ipotesi di una inversione ciclica vengono, inoltre, dalle compravendite immobiliari, in particolare quelle residenziali, che hanno mostrato segnali di consolidamento nel corso del 2015 - come già ricordato nel paragrafo relativo ai risultati 2015 – e dalla stabilizzazione dei prezzi delle abitazioni.

Per quanto attiene al clima di fiducia, dopo la vistosa contrazione registrata in febbraio, la fiducia dei consumatori è marginalmente risalita a marzo, grazie al miglioramento dei giudizi sulla componente economica e corrente, passando a 115,0 da 114,5 del mese precedente. L’indice del clima di fiducia delle imprese, invece, a marzo diminuisce a 100,1 da 103,2. In particolare, il clima di fiducia sale lievemente nella manifattura, mentre mostra un calo nei servizi, nelle costruzioni e nel commercio al dettaglio (Comunicato ISTAT, 29 marzo 2016).

A gennaio, l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana, sebbene in decelerazione, conferma le indicazioni a supporto di un miglioramento dell’attività economica nel primo trimestre (ISTAT, Nota mensile, di marzo 2016).

 

Nonostante le prospettive favorevoli del primo trimestre, in relazione alle sopraggiunte difficoltà del contesto internazionale ed europeo, il DEF fissa le stime tendenziali di crescita del PIL per il 2016 all’1,2 per cento, al ribasso rispetto alla crescita dell’1,6 per cento prevista in termini programmatici a settembre 2015, nella Nota d aggiornamento del DEF.

Per gli anni successivi, si prevede una crescita tendenziale del PIL che si mantiene stabile al medesimo livello di quest’anno intorno all’1,2 per cento fino al 2018, accelerando all’1,3 per cento nel 2019, ponendosi al di sotto delle previsioni programmatiche elaborate a settembre scorso nella Nota di aggiornamento del precedente DEF.

Tabella 4 - Confronto sulle previsioni di crescita del PIL

(variazioni percentuali)

 

Consuntivo

Nota aggiornamento DEF 2015
Previsioni programmatiche

settembre 2015

DEF 2016
Previsioni tendenziali
aprile 2016

 

2015

2016

2017

2018

2019

2016

2017

2018

2019

PIL

0,8

1,6

1,6

1,5

1,3

1,2

1,2

1,2

1,3

Fonte: nostra elaborazione

La revisione delle stime di crescita del PIL nel 2016 risente, principalmente, del profilo di crescita dell’economia italiana nel 2015 che nella seconda metà dell’anno è risultato più contenuto rispetto alle attese, nonché del peggioramento dello scenario internazionale, in particolare, il perdurante rallentamento dei paesi emergenti, in primis la Cina, e le turbolenze sui mercati finanziari, legate sia al crollo dei prezzi del petrolio sia alla percezione del maggior rischio sui titoli bancari europei.

Il DEF sottolinea peraltro il rischio di una valutazione di consenso che potrebbe rivelarsi esagerata circa l’effettivo peggioramento dell’economia mondiale, soprattutto nei maggiori paesi avanzati, conseguente ai cambiamenti economici e geopolitici quali la caduta del tasso di crescita della Cina e del prezzo del petrolio. Tuttavia, le nuove previsioni sono più caute rispetto al futuro andamento delle esportazioni e, in minor misura, degli investimenti poiché i rischi economici e geopolitici internazionali – si dichiara nel DEF - non possono essere ignorati.

Sono state invece sostanzialmente confermate, nonostante il minor trascinamento dal 2015, le previsioni di crescita dei consumi delle famiglie formulate a settembre.

 

Nel DEF sono analiticamente illustrate – nel FOCUS relativo alla “Revisione delle stime di crescita” riportato nella Sezione I relativa al Programma di stabilità, - le motivazioni di base che giustificano una revisione al ribasso del tasso di crescita dell’economia rispetto alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF e nel Documento programmatico di bilancio (DPB).

Le nuove stime di crescita del 2016 sono state influenzate: da un effetto “meccanico” di trascinamento proveniente dal 2015 e dalle mutate prospettive dello scenario internazionale, rispetto a quanto ipotizzabile in autunno.

Gli impatti sulla crescita del peggioramento del quadro internazionale sono riportati in una apposita tabella, in cui si mostrano gli scostamenti dei valori di PIL attribuibili alle principali esogene e il valore totale. In maniera sintetica si mostra che nella revisione al ribasso delle nuove stime di crescita tendenziale di breve periodo la variazione del cambio dell’euro ha un effetto rilevante, in termini di riduzione di competitività, analogo a quello prodotto dalla domanda mondiale pesata sull’Italia. Positivo è, naturalmente, l’impatto della riduzione del prezzo del greggio, che aumenta il reddito disponibile delle famiglie.

Tabella 5 - Effetto stimato sul PIL delle esogene internazionali (impatto su tassi di crescita previsti)

(variazioni percentuali)

 

2016

2017

2018

2019

Prezzo del petrolio

0,5

-0,1

-0,1

0,0

Domanda mondiale pesata per l’Italia

-0,3

-0,1

0,0

0,0

Tasso di cambio nominale effettivo, prezzo dei manufatti

-0,3

-0,2

0,0

0,1

Tassi di interesse

0,0

0,1

0,1

0,0

Totale

-0,1

-0,3

0,0

0,1

Fonte: nostra elaborazione

Secondo quanto illustrato nel DEF, dunque, le revisioni intervenute nello scenario internazionale di riferimento concorrono a rivedere leggermente verso il basso le nuove previsioni di crescita del PIL per il biennio 2016-2017. Nel complesso, sottolinea il DEF, la nuova stima di crescita è prudenziale, in quanto gli impatti relativi ai consumi privati ne avrebbero giustificato una previsione più ottimistica, soprattutto per il 2016.

 

Nelle previsioni tendenziali, il PIL in termini nominali è previsto crescere del 2,2 per cento nel 2016. Negli anni successivi, mentre il tasso di crescita reale rimarrebbe intorno al livello del 2016, quello nominale accelererebbe col crescere dell’utilizzo delle risorse produttive e con il recupero del prezzo del petrolio e delle materie prime (2,8 per cento nel 2017-2018 e 3,0 per cento nel 2019).

 

Si ritiene utile, infine, riportare un confronto tra le previsioni di crescita recate nel DEF 2016 e quelle elaborate dai principali istituti di ricerca nazionali e internazionali nei primi mesi dell’anno, che stimano per il 2016 una crescita del PIL tra 1,0–1,1 punti percentuali, lievemente inferiore rispetto a quella del Governo. La Commissione europea e la Banca d’Italia presentano stime più alte, in relazione con le prospettive più favorevoli presenti a inizio anno. Per il 2017, le previsioni più recenti degli istituti si presentano, in media, anch’esse leggermente inferiori rispetto a quelle del Governo.

Tabella 6 - Previsioni degli istituti nazionali e internazionali sulla crescita del PIL italiano

(variazioni percentuali)

 

2016

2017

GOVERNO (aprile ’16)

1,2

1,2

CER (marzo ’16)

1,1

0,9

PROMETEIA (marzo ’16)

1,0

1,1

REF.IRS (gennaio ’16)

1,0

1,3

BANCA D’ITALIA (gennaio ’16)

1,5

1,4

FMI - WEO (12 aprile ‘16)

1,0

1,1

OCSE – Interim Economic Outlook (18 febbraio ‘16)

1,0

1,4

COMMISSIONE UE – Winter Forecast (4 febbraio ‘16)

1,4

1,3

Fonte: nostra elaborazione

Analisi delle componenti del quadro macroeconomico tendenziale

La tabella che segue riporta le previsioni tendenziali per gli anni 2016-2019 dei principali indicatori del quadro macroeconomico complessivo esposto nel DEF 2016, a raffronto con i dati di consuntivo del 2015.

 

Tabella 7 - Il quadro macroeconomico tendenziale

(variazioni percentuali)

 

Consuntivo

Previsioni tendenziali

 

2015

2016

2017

2018

2019

PIL

0,8

1,2

1,2

1,2

1,3

Importazioni

6,0

2,5

3,2

4,3

4,0

Consumi finali nazionali

0,5

1,2

0,8

0,9

1,2

- spesa delle famiglie e I.S.P

0,9

1,4

1,0

1,3

1,4

- spesa delle P.A.

-0,7

0,4

-0,1

-0,4

0,8

Investimenti fissi lordi

0,8

2,2

2,5

2,8

2,5

- macchinari, attrezzature e vari*

1,1

2,2

3,6

3,7

2,9

- mezzi di trasporto

19,7

14,3

2,4

2,1

2,1

- costruzioni

-0,5

1,0

1,5

2,0

2,1

Esportazioni

4,3

1,6

3,8

3,7

3,5

 

PIL nominale (miliardi di euro)

1.636,4

1.671,6

1.715,8

1.764,8

1.818,4

* Tale voce ricomprende gli investimenti in macchinari e attrezzature, in trasporti e in beni immateriali.

Fonte: DEF 2016, Sezione I: Programma di stabilità, Tab. II.1.

Come si evince dalla tabella, tutti i principali indicatori macroeconomici manifestano nell’anno 2016 un valore positivo rispetto al 2015, salvo gli indicatori del commercio con l’estero, che scontano gli effetti negativi del peggioramento del quadro economico internazionale.

Come già ricordato, pur risentendo del trascinamento negativo dal 2015, gli indicatori congiunturali più recenti consentono al Governo – sottolinea il DEF - di prevedere un andamento favorevole dell’economia.

Nel medio termine, inoltre, il complesso delle misure espansive implementate a marzo dalla BCE dovrebbe favorire un ulteriore allentamento delle condizioni di offerta del credito al settore privato alimentando la crescita economica, ed in particolare rafforzando l’espansione di consumi e investimenti.

In particolare, nelle nuove stime di crescita del Governo, l’andamento dei consumi privati accelera nel 2016 (+1,2 per cento), mantenendosi positivo anche negli anni successivi, favoriti dall’aumentato potere d’acquisto in termini di reddito reale. In tale ambito, i consumi delle famiglie e delle I.S.P. (Istituzioni sociali private) manifestano un ulteriore incremento di 1,4 punti percentuali nel 2016, rispetto alla crescita già manifestata nel 2015, con un andamento che si mantiene sostenuto al di sopra all’1,0 per cento in tutto il periodo (+1,0, +1,3 e +1,4 per cento, rispettivamente, nel triennio 2017-2019).

Il DEF sottolinea che le previsioni di crescita dei consumi delle famiglie formulate in settembre sono state sostanzialmente confermate. Malgrado vi sia stata una flessione degli indicatori di fiducia dei consumatori durante i mesi invernali, gli andamenti recenti sembrano coerenti con un andamento nel complesso moderatamente espansivo e assai dinamico in alcune componenti dei consumi durevoli, quali gli acquisti di autovetture. Le registrazioni di nuove autovetture hanno registrato una crescita media tendenziale del 21,0 per cento nel primo trimestre del 2016, dopo essere salite del 17,2 nel quarto trimestre del 2015.

Anche gli investimenti fissi lordi, in recupero già nel 2015 dopo gli andamenti fortemente negativi degli anni passati, sono previsti in ulteriore crescita nel 2016. La crescita prosegue a ritmi sostenuti anche nel periodo successivo, sebbene le nuove previsioni siano nel complesso più caute di quanto ipotizzato a settembre

In particolare, nel DEF si evidenzia l’andamento particolarmente positivo degli investimenti in macchinari, grazie alle migliorate condizioni finanziarie. Le indagini attualmente disponibili – afferma il DEF - indicano che gli investimenti fissi lordi dovrebbero crescere nel 2016, non solo nella componente dei mezzi di trasporto, ma anche in quelle quantitativamente più rilevanti delle costruzioni e dei macchinari, attrezzature e prodotti della proprietà intellettuale. Nel medio periodo la crescita degli investimenti si avvicinerebbe al 3 per cento annuo.

Per quanto concerne le esportazioni che hanno costituito l’unico apporto positivo alla crescita del PIL negli ultimi anni – esse continuerebbero a manifestare un andamento positivo nell’anno in corso, sebbene ad un ritmo moderato (+1,6 per cento), per ritornare ad una crescita media del 3,6 per cento nel periodo successivo.

Tenendo conto dell’insoddisfacente crescita del commercio mondiale, il DEF riporta previsioni più caute sull’andamento delle esportazioni e delle importazione. Segnali favorevoli – sostiene il DEF - provengono dai dati di commercio estero, che a febbraio hanno registrato una ripresa delle esportazioni verso i paesi extra-UE.

Gli ultimi dati ISTAT disponibili[13] sembrano confermare questa tendenza. A febbraio 2016 sia le esportazioni (+2,5%) che le importazioni (+0,6%) sono in aumento congiunturale. Il surplus commerciale è di 3,9 miliardi (+3,5 miliardi a febbraio 2015). L’aumento congiunturale dell’export coinvolge entrambe le principali aree di sbocco, con incrementi del 3,3% verso i mercati extra Ue e dell’1,8% verso quelli europei. Il segnale positivo a livello mensile è tuttavia attenuato dalla contenuta flessione congiunturale dell’export nell’ultimo trimestre (-0,7%), diffusa a tutti i raggruppamenti di prodotti, a eccezione dei beni di consumo non durevoli (+0,8%).

 

Il grafico seguente indica l’andamento delle principali variabili del quadro macroeconomico a partire dal 2007 sino alla fine del periodo di previsione indicato del DEF 2016.

Figura 5 - Conto economico delle risorse e degli impieghi – Previsioni tendenziali

 (var. % a prezzi costanti)

2013-2015 obiettivi Governo

 

Quanto alla dinamica dei prezzi, si prospetta una ripresa graduale dell’inflazione al consumo rispetto al 2015, anno in cui l’inflazione è stata prossima a zero e l’inflazione armonizzata al consumo è cresciuta solo dello 0,1 per cento.

Su tale andamento – sostiene il DEF - ha inciso la forte riduzione dei prezzi dei beni importati. Le misure espansive di QE implementate dalla Banca Centrale Europea non hanno ancora conseguito i risultati sperati in termini di risalita dell’inflazione al consumo verso l’obiettivo statutario.

Tabella 8 - Andamento dei prezzi

(variazioni percentuali)

 

Consuntivo

Previsioni Tendenziali

 

2015

2016

2017

2018

2019

Deflatore del PIL

0,8

1,0

1,4

1,7

1,7

Inflazione IPCA (al netto energetici importati)

0,3

1,1

1,3

1,5

-

Inflazione programmata

0,2

0,2

1,5

-

-

Fonte: DEF 2016

 

Già a partire dalla seconda metà del 2016 – afferma il DEF – si prevede una tendenza al rialzo della dinamica dei prezzi anche per il solo venire meno della spinta deflattiva fornita dal comportamento del prezzo dei beni energetici. Il deflatore del PIL è stimato in aumento nell’anno in corso, pari all’1,0 per cento (rispetto allo 0,8 del 2015) e poi in crescita nel triennio successivo fino all’1,7 per cento a fine periodo.

Figura 6 - Dinamica dei prezzi

(var. % tendenziali, dati grezzi)

Fonte: ISTAT, “Nota mensile – marzo 2016”, 5 aprile 2016.

 

Secondo i dati congiunturali dei primi mesi del 2016 forniti dall’ISTAT, in marzo il rimbalzo congiunturale dei prezzi degli energetici e i rincari stagionali di alcune voci dei servizi, hanno contribuito al rallentamento della caduta dell’inflazione al consumo. Nel mese di marzo 2016, secondo le stime preliminari, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% su base mensile e registra una diminuzione su base annua pari a -0,2% (era -0,3% a febbraio). Anche l'indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta del 2,0% su base mensile mentre diminuisce dello 0,3% su base annua (era -0,2% a febbraio). L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, aumenta dello 0,1% rispetto al mese precedente e diminuisce dello 0,3% nei confronti di marzo 2015.

La Commissione europea, nel Winter Forecast di febbraio 2016 prevede che l’inflazione resti ancora molto bassa anche nel 2016, a causa pressioni salariali sempre limitate e di prezzi dell'energia in diminuzione.

La Commissione sottolinea come l'inflazione IPCA (cioè l’indice armonizzato europeo), in calo dalla metà del 2012, si sia sostanzialmente stabilizzata attorno allo 0,1% nel 2015, ad un livello percentuale inferiore a quella della zona euro, per effetto dei prezzi dell'energia spinta. L’indice armonizzato è atteso intorno allo 0,3% nel 2016 e in salita all’1,7% nel 2017. Parte di tale crescita discende peraltro dall’aumento dell'IVA previsto dalla legge di stabilità 2016.

Secondo la Commissione, la politica monetaria espansionistica annunciata di recente dalla Banca centrale europea dovrebbe diminuire notevolmente il rischio di una spirale deflazionistica.

Mercato del lavoro

Per quanto concerne il mercato del lavoro, il 2015 si chiude con risultati positivi, confermando, in miglioramento, l’evoluzione favorevole che si era già manifestata nel 2014, dopo un periodo negativo che datava dal 2009 (con un isolato intervallo manifestatosi nel 2011). L’occupazione manifesta infatti un incremento dell’0,8 per cento (nel 2014 era aumentata dello 0,4 per cento), cui si associa una crescita del tasso di occupazione dal 55,7 per cento dell’anno precedente al 56,3 per cento, nonché una diminuzione del tasso di disoccupazione, ora situato all’11,9 per cento (12,7 per cento nel 2014). In consistente diminuzione anche il costo del lavoro per unità di prodotto CLUP), che scende dall’1,2 dell’anno precedente allo 0,6 del 2015, anche per l’operare – come rilevato dall’Istat nella sua Nota del marzo 2016 sul mercato del lavoro alle misure sugli sgravi contributivi introdotte dalla legge di stabilità 2016.

Figura 7 - Occupati (scala sinistra) e tasso di disoccupazione (scala destra) - I trim. 2010 – IV trim. 2015

dati destagionalizzati, valori assoluti in migliaia di unità e valori percentuali

Fonte: ISTAT, Comunicato “Il mercato del lavoro – IV trimestre 2015”, 10 marzo 2016.

 

Per quanto concerne in particolare i risultati 2015, il DEF segnala come la migliore performance ha interessato i lavoratori di età compresa tra 50 e 64 anni (+4,6 per cento nel 2015). Per le altre fasce di età si sono registrate diminuzioni, che vanno dal -0,3 per cento tra i giovani di 15-24 anni, al -0,6 per la fascia 25-34 anni, (fasce per le quali si sono tuttavia manifestati segnali di recupero nella seconda parte dell’anno) fino al -1,1 per cento nella fascia 35-49 anni. In termini di ripartizione geografica si nota un recupero dell’occupazione nel Mezzogiorno (+1,5 per cento), circa 3 volte superiore al Nord (+0,5 per cento). All’incremento occupazionale hanno continuato a contribuire maggiormente i lavoratori dipendenti con contratto a tempo determinato (+4,6 per cento) che quelli a tempo indeterminato (+0,7 per cento). L’occupazione indipendente ha invece fatto registrare una lieve contrazione (-0,4 per cento). Rimane estremamente elevato il tasso di disoccupazione giovanile, che tuttavia si è ridotto di 2,4 punti percentuali, scendendo al 40,4 per cento nella media del 2015. Gli ultimi tre mesi del 2015 hanno mostrato tuttavia una lieve decelerazione (+1,0 per cento su base annua rispetto al +1,2 del trimestre precedente). La dinamica reddituale si è attestata su ritmi moderati. I redditi da lavoro dipendente pro-capite sono cresciuti in media annua di appena lo 0,5 per cento, mentre la produttività del lavoro, misurata sulle ULA, è diminuita dello 0,2 per cento; conseguentemente, il CLUP ha segnato un aumento dello 0,6 per cento per l’economia nel suo complesso.

Tabella 9 - Il mercato dl lavoro

(variazioni percentuali)

 

Consuntivo

Previsioni Tendenziali

2015

2016

2017

2018

2019

Occupazione (ULA) *

0,8

0,8

0,7

0,7

0,6

Tasso di disoccupazione

11,9

11,4

10,9

10,4

9,9

Tasso di occupazione

56,3

57,0

57,4

57,8

58,1

CLUP

0,6

0,1

0,5

1,5

1,1

*Unità di lavoro standard – variazione %

 

Le previsioni tendenziali riportate nel DEF, esposte nella tabella sopra riportata, mantengono una variazione positiva dell’occupazione per tutto il periodo di previsione, che si riflette favorevolmente sugli indicatori occupazionali, con un tasso di disoccupazione che scende di 2 punti percentuali a fine periodo, posizionandosi a 9,9 punti percentuali, ed un tasso di occupazione che dovrebbe registrare un analogo andamento, salendo di 1,8 punti percentuali

Per quanto concerne in particolare i dati previsionali 2016, riportati in tabella, il DEF osserva come questi possano essere influenzati dalle modifiche apportate alla disciplina dell’esonero contributivo di cui alla legge n. 190/2014 che, com’è noto, risulta ridotto nell’importo (dal 100 al 40 per cento), nel massimale (da 8,060 a 3,250 euro annui) e nella durata (da 3 a 2 anni)[14]. Questo cambiamento potrebbe determinare nella prima parte del 2016 una attenuazione dei risultati positivi registrati a fine 2015, atteso che questi erano in parte legati alla accelerazione delle assunzioni per trarre pieno beneficio dall’incentivo. Ed in effetti nel DEF si segnala come i dati resi disponibili dall’INPS relativi a gennaio 2016 vadano in questa direzione, segnalando un indebolimento della spinta verso i contratti a tempo indeterminato, anche confermata dagli ultimi dati mensili dell’ISTAT sul mercato del lavoro. I dati sull’occupazione relativi ai mesi di gennaio e febbraio registrano infatti una variazione nulla rispetto al bimestre precedente. I dati mensili presi separatamente segnalano peraltro forti oscillazioni, al momento di non facile interpretazione come confermano le analisi Istat che seguono più avanti.

In ogni caso, il dato sul tasso di disoccupazione 2016 dell’11,4 per cento previsto nel DEF si riscontra anche nelle previsioni della Commissione europea (Winter Forecast del febbraio 2016) e nelle previsioni di aprile del Fondo Monetario Internazionale, che conferma anche la stima del 10,9 per cento prevista dal DEF per il 2017. Per tale anno una stima più elevata, cifrata nell’11,3 per cento, è invece prevista nella Relazione per l’Italia 2016 del febbraio 2016 – Documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea.

Figura 8 - Andamento dell’occupazione

(variazione percentuale)

 


 

 

Le recenti analisi Istat sul mercato del lavoro

Le più recenti analisi dell’Istat evidenziano come il settore del mercato del lavoro, dopo un andamento complessivamente positivo per tutto il 2015, pur in rallentamento nell’ultimo trimestre dell’anno e nuovamente in crescita nel gennaio 2016, abbia poi registrato una inversione di tendenza del successivo mese di febbraio.

Nella nota dell’Istituto rilasciata il 10 marzo 2016 (già in precedenza citata) si osservava come l’incremento dell’occupazione nel 2015 risultasse diffuso sul territorio, pur con una attenuazione al quarto trimestre 2015, in cui l’occupazione risultava stabile, dopo la crescita nei due trimestri precedenti. Tale andamento appare in miglioramento nel mese di gennaio 2016, i cui dati, al netto della stagionalità, registrano una crescita degli occupati (per oltre 70 mila unità) che tornano al livello di agosto, dopo le variazioni nulle di ottobre e novembre e il calo di dicembre.

Lo scenario cambia il mese successivo, quando nella nota sull’occupazione del 1° aprile l’Istituto rileva che, dopo il buon andamento di gennaio, a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4% (-97 mila persone occupate). Il calo occupazionale è determinato dai dipendenti (-92 mila i permanenti e -22 mila quelli a termine), mentre registrano un lieve recupero gli indipendenti (+17 mila). Per i dipendenti a tempo indeterminato si tratta del primo calo dall’inizio del 2015 e, dopo la forte crescita registrata a gennaio 2016 (+0,7%, pari a +98 mila), presumibilmente associata al meccanismo di incentivi introdotto dalla legge di stabilità 2015, tale calo riporta la stima dei dipendenti permanenti ai livelli di dicembre 2015. In aumento rispetto a gennaio, benché lieve (+0,3% pari a +7 mila) anche la stima dei disoccupati nonché, a conferma del quadro in peggioramento, del tasso di disoccupazione (per 0,1 punti percentuali), ora pari all’11,7%. A febbraio la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4% (+58 mila), ed il tasso di inattività sale al 36,0% (+0,2 punti percentuali).

Su base annua il numero di occupati rimane comunque in crescita dello 0,4% (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4%, pari a -136 mila) sia gli inattivi (-0,7%, -99 mila).

Nell’esporre l’inversione di tendenza registratasi nel mese di febbraio, l’Istat segnala peraltro, nella nota mensile di marzo, come segnali moderatamente positivi per l’evolversi nei prossimi mesi provengano dalle attese formulate dagli imprenditori a marzo (per il successivo trimestre), in miglioramento nel settore manifatturiero e nel commercio, stabili nelle costruzioni e nei servizi. Le retribuzioni contrattuali pro capite mostrano una progressiva decelerazione: nel mese di febbraio 2016, l’aumento tendenziale medio è stato pari dello 0,8%.

 


 

Figura 9 - Andamento del tasso di disoccupazione per i principali paesi della UE e per gli Stati Uniti


Fonte: rapporto del Fondo monetario internazionale aprile 2016 (WEO).

 

Nello scenario programmatico, in presenza di interventi volti alla promozione dell’attività economica e dell’occupazione, la maggior crescita rispetto al quadro tendenziale ed il conseguente miglioramento generale delle condizioni economiche si rifletterebbe positivamente sul mercato del lavoro: gli occupati (in termini di contabilità nazionale, ULA) crescerebbero mediamente di quasi 0,2 punti percentuali in più per ciascuno degli anni del periodo di previsione, ed il tasso di disoccupazione risulterebbe progressivamente inferiore dal 2017 in poi, posizionandosi al termine del periodo al 9,6 per cento, rispetto al 9,9 del quadro tendenziale.

Il quadro macroeconomico programmatico        

Nello scenario programmatico gli effetti delle politiche di bilancio determinerebbero una crescita del PIL superiore a quello tendenziale dal 2017 in poi, quando esso registrerebbe un incremento rispettivamente di 0,2 percentuali nel primo anno, di 0,3 punti percentuali nel secondo e di 0,1 punti percentuali nel 2019.

Tale risultato assume un profilo temporale lievemente diverso sul piano del PIL nominale, sulla cui evoluzione incide la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia che, si rammenta, rappresentano nel 2017 circa 0,9 punti PIL, e la cui disattivazione, impedendo la traslazione dei previsti aumenti di IVA ed accise ai prezzi, determinerebbe nel quadro programmatico un più basso deflatore dei consumi e del PIL. Quest’ultimo negli anni 2017 e 2018 sarebbe minore di quello tendenziale rispettivamente per 0,3 e poi 0,1 punti percentuali, venendo poi a sopravanzarlo nell’anno terminale del periodo di previsione, per il complessivo miglior andamento economico.

Come espone la tavola che segue, pertanto, l’incremento del PIL nominale programmatico risulterebbe pari nel 2017 al 2,5 per cento, anziché al 2,6 per cento di quello tendenziale, risultandone poi superiore sia nel 2018 (3,1% anziché 2,9) che nel 2019 (3,2 a fronte dell’incremento del 3,0 tendenziale)

La maggior vivacità della domanda interna connessa alla disattivazione delle clausole suddette si rifletterebbe inoltre sulle importazioni, che nel triennio 2017-2019 risulterebbero maggiori rispettivamente di 0,6, 0,3 e 0,2 punti rispetto al tendenziale, in presenza di esportazioni che rimarrebbero sostanzialmente ai medesimi livelli in entrambi gli scenari. Di conseguenza il contributo alla crescita della domanda estera netta sarebbe negativo per tutto il periodo di previsione, salvo il 2017 per il quale le esportazioni nette risulterebbero pressoché neutrali con un contributo cifrato intorno allo 0,1.

Tabella 10 - Il quadro macroeconomico tendenziale e programmatico

(variazioni percentuali)

 

Previsioni tendenziali

Previsioni Programmatiche

 

2016

2017

2018

2019

2015

2017

2018

2019

PIL

1,2

1,2

1,2

1,3

1,2

1,4

1,5

1,4

Importazioni

2,5

3,2

4,3

4,0

2,5

3,8

4,6

4,2

Consumi finali nazionali

1,2

0,8

0,9

1,2

1,2

1,0

1,2

1,4

- spesa delle famiglie e I.S.P

1,4

1,0

1,3

1,4

1,4

1,4

1,7

1,6

- spesa delle P.A.

0,4

-0,1

-0,4

0,8

0,4

-0,3

-0,5

0,8

Investimenti fissi lordi

2,2

2,5

2,8

2,5

2,2

3,0

3,2

2,4

- macchinari, attrezzature e vari*

2,2

3,6

3,7

2,9

2,2

3,9

4,1

2,8

- mezzi di trasporto

14,3

2,4

2,1

2,1

14,3

5,2

4,1

2,2

- costruzioni

1,0

1,5

2,0

2,1

1,0

1,9

2,2

2,1

Esportazioni

1,6

3,8

3,7

3,5

1,6

3,8

3,7

3,4

 

Occupazione (ULA)

0,8

0,7

0,7

0,6

0,8

0,8

0,9

0,7

Tasso di disoccupazione

11,4

10,9

10,4

9,9

11,4

10,8

10,2

9,6

 

Deflatore PIL

1,0

1,4

1,7

1,7

1,0

1,1

1,6

1,8

*Tale voce ricomprende gli investimenti in macchinari e attrezzature e in beni immateriali.

Fonte: DEF 2016, Sezione II: Analisi e tendenze della Finanza pubblica, Tab. I.1-1 e I.1-2.

 

Gli effetti delle politiche di bilancio che influenzano l’evoluzione del quadro programmatico rispetto allo scenario tendenziale ricomprendono anche le stime dell’impatto macroeconomico delle riforme strutturali vengono riportate nel Programma Nazionale di Riforma[15], nel quale, pur precisandosi che le stesse dovrebbero produrre effetti già a partire dal 2016, se ne fornisce un quadro – articolato per ciascuna delle riforme - ad iniziare dal 2020, precisandosi che vengono incluse soltanto le nuove riforme già varate dall’attuale Governo ovvero in corso di approvazione. Le principali aree interessate sono la PA, la competitività, il mercato del lavoro, la giustizia, l’istruzione e la riduzione del cuneo fiscale, come riportato nella tabella che segue:

Tabella 11 - PNR Effetti macroeconomici per ciascuna riforma strutturale

 

2020

2025

Lungo periodo

Pubblica Amministrazione

0,4

0,7

1,2

Competitività

0,4

0,7

1,2

Mercato del lavoro

0,6

0,9

1,3

Giustizia

0,1

0,2

0,9

Istruzione

0,3

0,6

2,4

Tax shift (totale)

0,2

0,2

0,2

di cui: Riduzione del cuneo fiscale (IRAP –IRPEF)

0,4

0,4

0,4

Aumento tassazione rendite finanziarie + IVA

-0,2

-0,2

-0,2

Revisione della spesa

-0,2

-0,3

0,0

Crediti deteriorati e procedure fall.ri

0,2

-

-

Finanza per la crescita

0,2

0,4

1,0

TOTALE

2,2

3,4

8,2

Fonte: Def 2016

Tabella 12 - Effetti macroeconomici delle misure di finanza pubblica per la crescita

 

2020

2025

Lungo periodo

PIL

0,2

0,4

1,0

Consumi

0,1

0,4

0,8

Investimenti

0,6

1,4

3,3

Fonte: Def 2016


 

3. Confronti internazionali

Nel recentissimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale presentato il 12 aprile scorso (Word economic outlook – aprile 2016), le previsioni per l’economia dell’Area dell’euro risultano riviste lievemente al ribasso, di 0,2 punti percentuali per il 2016 e di 0,1 punti per il 2016, rispetto alle previsioni di gennaio.

Nel complesso, nell’Area euro l’FMI prevede una crescita del prodotto pari all’1,5 per cento nel 2016 e all’1,6 nel 2017.

Per l’Italia il ritocco al ribasso delle previsioni è più consistente per il 2016 (3 decimi di punto in meno rispetto a gennaio), portando la crescita del PIL all’1 per cento nell’anno in corso. Per il 2017 il PIL è previsto aumentare dell’1,1 per cento (-0,1 rispetto al WEO di gennaio).

Tali stime di crescita sono più modeste di quanto prospettato dalla Commissione Europea nel Winter Forecast di febbraio 2016 ed anche di quanto previsto dal Governo nel DEF 2016.

Nonostante il recupero delle prospettive economiche, il tasso di crescita del PIL per l’Italia si mantiene ben al di sotto della media dell’Area euro.

Guardando ai singoli paesi dell’area, è previsto un aumento modesto in Germania (all’1,5 per cento nel 2016 e 1,6 per cento entro il 2017), in Francia (all’1,1 per cento nel 2016 e 1,3 per cento nel 2017). In Spagna si prevede un tasso di crescita più elevato della media europea nel biennio (al 2,6 per cento nel 2016, che si riduce 2,3 per cento nel 2017).

 

Nella tabella che segue sono riportate le previsioni di crescita del PIL dei principali paesi europei formulate dalla Commissione europea a febbraio 2016, nel Winter Forecast, e dal FMI nel recente Word economic outlook del 15 aprile 2016.

 

Tabella 13 - Prodotto interno lordo – Confronti internazionali

(variazioni %)

 

DEF 2016
aprile 2016

Commissione Europea
febbraio 2016

FMI- WEO
aprile 2016

 

2016

2017

2016

2017

2016

2017

Economie avanzate

Italia

1,2

1,2

1,4

1,3

1,0

1,1

Francia

 

 

1,3

1,7

1,1

1,3

Germania

 

 

1,8

1,8

1,5

1,6

Spagna

 

 

2,8

2,5

2,6

2,3

area euro

 

 

1,7

1,9

1,5

1,6

Regno Unito

 

 

2,1

2,1

1,9

2,2

Usa

 

 

2,7

2,6

2,4

2,5

Giappone

 

 

1,1

0,5

0,5

-0,1

Economie emergenti

cina

 

 

 

 

6,5

6,2

india

 

 

 

 

7,5

7,5

brasile

 

 

 

 

-3,8

0

russia

 

 

 

 

-1,8

0,8

Fonte: nostra elaborazione

Nell'Area dell'Euro – sottolinea il Fondo Monetario - la ripresa sebbene modesta dovrebbe continuare nel biennio 2016-2017, con l’indebolimento della domanda esterna controbilanciato dagli effetti positivi dei bassi prezzi dell’energia e dalle politiche espansive e di sostegno finanziario. Si prevede che la crescita potenziale resti moderata, a seguito dei lasciti della crisi (debito pubblico e privato elevato, bassi investimenti, alto tasso di disoccupazione di lunga durata).


 

Parte II – La finanza pubblica

1. Gli andamenti di finanza pubblica

Il Documento di Economia e Finanza (DEF) riporta l'analisi del conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente, integrato con le informazioni relative alla chiusura dell'esercizio 2015.

Le tabelle di seguito riportate espongono quindi i dati del DEF riferiti al consuntivo dell’esercizio 2015 e alle previsioni 2016-2019. In alcune tavole, in corrispondenza dei dati esposti nel DEF, sono riportati anche i consuntivi degli esercizi 2013 e 2014.

 

Limitatamente al consuntivo 2015 e al triennio 2016-2018 sono presentati, inoltre, elementi di raffronto con le stime formulate nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità 2016 (NTI).

Ai fini delle analisi contenute nel presente dossier si utilizza la versione della NTI aggiornata dopo l’approvazione della legge di stabilità per il 2016 e resa disponibile dalla Ragioneria Generale dello Stato[16].

Per quanto riguarda i dati riferiti al consuntivo 2015, le informazioni riportate nel DEF tengono conto dell’aggiornamento dei dati di preconsuntivo diffuso dall’ISTAT con i comunicati del 1° marzo e del 4 aprile 2016[17].

 

 


Tabella 14 - Conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente

(milioni di euro)


Tabella 15 - Conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente

(% del PIL)


Tabella 16 - Conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente – variazioni rispetto all’anno precedente

(milioni di euro)


Tabella 17 - Conto economico delle amministrazioni pubbliche a legislazione vigente – variazioni rispetto all’anno precedente

(variazioni in %)


Tabella 18 - Raffronto fra la Nota tecnico illustrativa (NTI) della legge di stabilità 2016 e il DEF 2016

(milioni di euro)

 


1.1Il consuntivo 2015

L’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni

I dati riferiti all’esercizio 2015 resi noti dall’ISTAT[18] attestano un indebitamento netto della PA per il 2015 pari, in valore assoluto, a 42.388 milioni, corrispondente al 2,6 per cento del PIL.

Il dato indica un miglioramento rispetto all’anno 2014: in tale esercizio l’indebitamento è infatti risultato pari a 48.936 milioni (3,0% del PIL).

 

Dal confronto fra il 2015 e il 2014 – limitando l’analisi dei soli aggregati che hanno subito le variazioni più rilevanti e osservando i dati in valore assoluto – emerge che concorrono al miglioramento del saldo principalmente: una riduzione degli interessi passivi (-5,9 mld) e delle altre uscite correnti (-4,6 mld) nonché un incremento delle entrate tributarie (+5,0 mld) e dei contributi sociali (+4,2 mld). Dette variazioni sono compensate solo parzialmente da un incremento delle prestazioni sociali (+6,1 mld) e delle spese in conto capitale (+6,5 mld).

Più in generale, osservando il recente andamento delle determinanti del saldo, si rileva che:

§  l’avanzo primario, dopo aver raggiunto l’1,9 per cento del PIL nel 2013 (30,6 miliardi), scende all’1,6 per cento nel 2014 (25,4 miliardi) rimanendo nel 2015 costante all’1,6 per cento del PIL, ma con un peggioramento in valore assoluto (26,1 miliardi);

§  la spesa per interessi si attesta al 4,2 per cento del PIL (68,4 miliardi), riducendosi ulteriormente rispetto al livello del 2014 (74,3 miliardi pari al 4,6 per cento del PIL) e del 2013 (77,6 mld pari al 4,8 per cento del PIL).

Gli andamenti delle predette voci sono esaminati distintamente nei successivi capitoli.

 

Il dato di consuntivo riportato dal DEF risulta sostanzialmente in linea, in valore assoluto rispetto alle stime della Nota tecnico-illustrativa della legge di stabilità 2016 (NTI)[19],. Infatti la NTI, pubblicata all’inizio dell’anno, valutava l’indebitamento netto in 42.820 milioni, con un’incidenza sul PIL sempre pari al 2,6%.

 

Le entrate

Rispetto all’anno 2014, nel 2015 le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche hanno registrato, in valore nominale, un incremento di 7,4 miliardi di euro (da 776,6 miliardi a 784,0 miliardi di euro). Tuttavia, poiché tale incremento risulta proporzionalmente inferiore a quello del PIL, l’andamento delle entrate rispetto al prodotto evidenzia una riduzione. Infatti, le entrate totali delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL registrano una contrazione, attestandosi al 47,9% del PIL (-0,3 per cento rispetto al 2014[20]).

Le entrate correnti registrano, rispetto al 2014, un incremento, in termini nominali, di circa 9,2 mld (+1,2%) determinato in via prevalente dall’aumento dei contributi sociali (+2%) e delle imposte dirette (+1,9%). Le imposte indirette evidenziano un andamento crescente, ma più contenuto, pari a circa lo 0,5%.

Il DEF afferma che la dinamica delle imposte dirette (che passano da 237,9 miliardi nel 2014 a 242,4 miliardi nel 2015) è imputabile in buona parte alle ritenute IRPEF sui redditi da lavoro dipendente; tale incremento, viene precisato, è determinato sia da un andamento favorevole dell’economia rispetto al 2014 sia, in parte, dalle nuove modalità di imputazione dei rimborsi dei crediti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi effettuate tramite sostituto d’imposta. A decorrere dal 2015[21], infatti, i sostituti d’imposta devono indicare, nel modello di versamento F24, il totale delle ritenute da versare e il totale delle compensazioni da operare a fronte dei rimborsi effettuati; nella previgente normativa, invece, veniva versato ed indicato direttamente il saldo tra le due voci.

Dati di raffronto sono ricavabili anche dal Bollettino delle entrate tributarie erariali (anno 2015) che peraltro utilizza criteri in parte non omogenei di contabilizzazione delle entrate. Il Bollettino evidenzia che il gettito relativo alle ritenute da lavoro dipendente nel settore privato risulta incrementato, nel 2015 rispetto al 2014, del 17,5% (passando da 64,8 mld a 76,2 mld) mentre quello del settore pubblico è rimasto sostanzialmente invariato (65 mld circa). Secondo quanto indicato nel medesimo Bollettino la nuova modalità di compensazione dei rimborsi comporta un incremento dell’IRPEF versata e un incremento delle compensazioni dello stesso ammontare (pari a 8.902 milioni, rispetto ad un incremento complessivo delle ritenute di lavoro dipendente pari ad oltre 11 miliardi di euro). Dai dati disponibili non è tuttavia possibile desumere in quale misura gli importi indicati concorrano a determinare la variazione netta di entrata registrata nel 2015 rispetto al 2014.

 

In merito all’andamento positivo dell’IRES, il DEF evidenzia che l’incremento di valore registrato nel 2015 rispetto al 2014 è in parte imputabile al maggiore acconto in autoliquidazione del 2015 rispetto al 2014, legato al venir meno degli effetti connessi con l’incremento, per il solo anno 2013, degli acconti IRES e al conseguente ridimensionamento dei saldi e degli acconti del 2014.

Il Bollettino delle entrate tributarie erariali (anno 2015) indica il gettito IRES relativo agli anni 2013, 2014 e 2015 pari, rispettivamente, a 40 mld, 32,3 mld e a 33,6 mld di euro.

 

Infine, il DEF evidenzia che anche il gettito derivante dai redditi da attività finanziarie ha mostrato incrementi sostenuti, continuando a beneficiare degli aumenti delle aliquote sostitutive introdotti negli anni passati.

Si ricorda che un primo incremento è stato introdotto dal decreto legge n. 66/2014, che ha disposto, con decorrenza 1° luglio 2014, la variazione dell’aliquota di imposta sostitutiva dal 20 al 26%. Inoltre, con decorrenza 1° gennaio 2015, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sul risultato netto dei fondi pensione è stata elevata dall’11,5 al 20% (articolo 1, comma 621, della legge n. 190/2014).

 

L’andamento delle imposte indirette (che passano da 248,2 miliardi nel 2014 a 249,3 nel 2015) è ascrivibile principalmente all’incremento del gettito IVA e delle entrate relative ai giochi, parzialmente compensato dalla contrazione del gettito IRAP e dell’accisa sui prodotti energetici.

Secondo quanto specificato dall’ISTAT, le imposte indirette per il 2015 includono le risorse affluite dal sistema bancario italiano al Fondo Nazionale di Risoluzione (pari a circa 2,3 miliardi di euro)[22] in relazione alle operazioni connesse alla risoluzione della crisi di alcuni istituti bancari.

Sarebbe utile acquisire elementi aggiuntivi in merito ai fattori sottostanti la variazione del gettito delle imposte indirette tra il 2014 e il 2015.

 

Il DEF segnala che la riduzione del gettito IRAP è imputabile all’introduzione della piena deducibilità del costo del lavoro ai fini della determinazione della base imponibile (articolo 1, comma 20, della legge n. 190/2014).

In base ai dati del Bollettino delle entrate (anno 2015), il gettito IRAP del settore privato è risultato pari a 20,9 mld nel 2014 e a 19,7 mld nel 2015.

 

Le entrate IVA includono, per la componente scambi interni, gli effetti positivi recati dalle disposizioni sul c.d. split payment e dall’estensione del reverse charge ad alcuni settori dell’economia. L’IVA sulle importazioni, invece, registra una contrazione imputabile al calo del prelievo sugli oli minerali, influenzato, a sua volta, dalla progressiva contrazione del prezzo del petrolio.

Dalla tabella V.4-5 della sezione II del DEF relativa agli incassi dello Stato, la quota di IVA relativa allo split payment viene indicata in misura pari a 6.406 milioni per l’anno 2015.

 

Le imposte in conto capitale registrano una contrazione, passando da 1.581 milioni nel 2014 a 1.074 milioni nel 2015.

Il DEF non fornisce ulteriori indicazioni in merito alle voci che contribuiscono al gettito 2015 delle imposte in conto capitale. Tuttavia, in sede di analisi del gettito stimato per il 2016, viene precisato che le previsioni per tale categoria di imposte includono le entrate attese dalla voluntary disclosure. Andrebbe pertanto chiarito se tale criterio di contabilizzazione sia stato utilizzato anche per le entrate riferite al 2015.

Nel rinviare a quanto più dettagliatamente indicato nell’approfondimento relativo alle clausole di salvaguardia, si segnala che nel corso dell’esame parlamentare del decreto legge n. 18/2016 (c.d. decreto banche cooperative) il Governo ha precisato che, in base alle richieste presentate al 30 novembre 2015 (n. 129.565 istanze), il volume complessivo delle entrate da voluntary disclosure era stimato in termini di competenza, in circa 3.835 milioni di euro (cfr resoconto V Commissione del 17 marzo 2016). Il prospetto relativo alle misure one-off contenuto nella sezione II del Documento in esame indica un gettito complessivo da voluntary disclosure pari a 3.612 milioni di euro, di cui 212 milioni riferiti al 2015.

 

La pressione fiscale per l’anno 2015, risulta pari al 43,5 per cento del PIL ed evidenzia:

§  rispetto al 2014, una lieve contrazione (-0,1 per cento);

§  rispetto alle previsioni contenute nella NTI 2016 una riduzione di 0,2 punti percentuali.

Il DEF evidenzia, inoltre, che, considerando i benefici recati dal c.d. bonus 80 euro, la pressione fiscale netta nel 2015 risulterebbe pari al 42,9 per cento.

Si osserva infatti che la legge di stabilità 2015, che ha reso permanente il bonus 80 euro, ha stimato infatti gli effetti finanziari in misura pari a 9.503 mln annui dal 2015, corrispondenti allo 0,58% in termini di PIL.

Poiché la predetta percentuale è in linea con le indicazioni fornite riguardo alla pressione fiscale al netto del bonus 80 euro, i dati previsionali in merito all’impegno finanziario complessivo dovuto a tale misura sembrerebbero suffragati dai dati di consuntivo. In proposito appare comunque utile acquisire una conferma.

Il valore della pressione fiscale indicato dal DEF dovrebbe inoltre includere, secondo quanto precisato dall’ISTAT (v. supra) gli effetti delle risorse versate dal sistema bancario al Fondo Nazionale di Risoluzione; tali somme, che rilevano soltanto ai fini del 2016, ammontano a circa 2,3 miliardi di euro e corrispondono, secondo quanto riportato nel medesimo comunicato ISTAT, a quasi 0,2 punti percentuali di pressione fiscale.

 

I risultati del 2015 riportati nel Documento sono inoltre oggetto di raffronto rispetto alle stime indicate nella NTI 2016 in relazione al medesimo anno.

Rispetto alle previsioni contenute nella NTI, le entrate tributarie evidenziano una contrazione di 3.799 milioni di euro mentre le altre entrate in conto capitale, le altre entrate correnti e i contributi sociali mostrano differenze più contenute (rispettivamente -905, -592 e +634 milioni). Più in dettaglio, il minor gettito tributario è imputabile ad una riduzione delle imposte dirette (-6.630 milioni), parzialmente compensata da un incremento delle imposte indirette (3.736 milioni).

L’analisi delle entrate tributarie distinte per settori (Bilancio dello Stato, Enti territoriali e Poste correttive) evidenzia un saldo negativo per il bilancio dello Stato (-3.522 milioni) ed uno positivo, anche se contenuto, relativo agli Enti territoriali (343 milioni). A questi si aggiungono le maggiori Poste correttive P.A. (- 620 milioni).

In riferimento alle minori entrate tributarie del bilancio dello Stato rispetto alla precedente stima, il DEF afferma che:

§  le minori entrate da imposte dirette (-1.829 milioni) sono ascrivibili essenzialmente a variazioni, inferiori alle attese, delle retribuzioni da lavoro dipendente e dei tassi di interesse;

§  le minori entrate da imposte indirette (-1.693 milioni) dipendono da una dinamica dei consumi e delle transazioni immobiliari meno favorevole rispetto a quanto già stimato.

Tra le voci che registrano una revisione al ribasso rispetto alle precedenti stime, il DEF indica, per le imposte dirette, le ritenute da lavoro dipendente (-846 milioni) e l’imposta sostitutiva sugli interessi e altri redditi da capitale (-728 milioni). Nell’ambito delle imposte indirette lo scostamento negativo è riferibile alle imposte di registro e ipotecarie nonché ai diritti catastali, all’imposta di consumo sul gas metano, all’imposta di bollo e alle entrate derivanti dai giochi. Segna invece uno scostamento positivo il gettito IVA (697 milioni) per effetto delle misure di split payment e reverse charge introdotte dalla legge di stabilità 2015.

Per quanto riguarda le Poste correttive P.A., il DEF afferma che lo scostamento (-620 milioni) è ascrivibile essenzialmente all’aumento delle compensazioni finanziarie derivante da un diverso meccanismo di contabilizzazione, introdotto dal d.lgs. n. 175/2014 in materia di semplificazione fiscale, in parte compensato dalle entrate straordinarie derivanti dai versamenti al Fondo Nazionale di Risoluzione.

Viene inoltre precisato che le innovazioni contabili introdotte dal SEC 2010 hanno comportato un diverso trattamento dei crediti per imposte anticipate (Deferred Tax Assets, DTA), che già dallo scorso anno non vengono più contabilizzati per cassa, tra le poste correttive che nettizzano le entrate tributarie del bilancio dello Stato (utilizzate in compensazione nel 2015 per circa 4,3 miliardi di euro, interamente “lordizzate”), bensì sono registrate tra le spese per l’intero ammontare nell’anno in cui si sono formate (principio della competenza). Per l’anno 2015 i crediti DTA sono stati pari a 4,9 miliardi.

Le spese

Le spese finali nel 2015 mostrano un incremento rispetto al precedente esercizio (+0,1 per cento), passando da 825.534 milioni a 826.429 milioni. Tale risultato si determina a fronte di un aumento della 10,7 per cento delle spese in conto capitale e di una riduzione della spesa per interessi (-7,9 per cento) mentre le spese correnti primarie rimangono sostanzialmente invariate. Le spese finali diminuiscono la loro incidenza sul PIL, passando dal 51,2 per cento del 2014 al 50,5 del 2015. La variazione complessiva è determinata dalla diminuzione per 0,7 punti di PIL della spesa corrente primaria (da 42,9 a 42,2 per cento) a fronte di una crescita dell’incidenza della spesa di parte capitale (dal 3,7 per cento al 4,1 per cento in rapporto al PIL) e di una corrispondente flessione (-0,4 punti) della spesa per interessi (da 4,6 a 4,2 per cento).

La dinamica della spesa primaria corrente è sostenuta da una variazione positiva delle prestazioni in denaro (1,9 per cento rispetto al 2014), cui concorrono un incremento della spesa pensionistica (0,8 per cento rispetto al 2014) e, in massima parte, un aumento della spesa per altre prestazioni sociali in denaro per circa 4,0 miliardi (5,6 per cento in più rispetto al 2014). Quest’ultimo incremento è condizionato dalla contabilizzazione in tale voce di spesa dei benefici concessi dall’art. 1 del decreto-legge n. 66/2014 (bonus 80 euro).

L’aumento che si registra nella spesa pensionistica non determina invece una significativa variazione della relativa incidenza sul PIL (che passa dal 15,9 al 15,8 per cento) ed è dovuto principalmente all’indicizzazione ai prezzi applicata dal 1° gennaio 2015 e ad altri fattori gestionali. In particolare il DEF segnala che l’indicizzazione è risultata pari all’0,2 per cento, con deindicizzazione parziale per prestazioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS.

Si riducono, invece, i redditi da lavoro dipendente (-1,1 per cento nel 2015), confermando il trend in atto dagli esercizi precedenti, che ha comportato una riduzione dell’incidenza in termini di PIL dal 10,2 per cento del 2014 al 9,9 per cento del 2015. Il risultato del 2015, secondo quanto evidenziato dal Documento in esame, è condizionato sia dalle misure limitative delle assunzioni nelle Amministrazioni pubbliche adottate negli ultimi anni e dalla conferma del blocco dei rinnovi contrattuali per il periodo 2010-2015, sia da interventi più specifici di razionalizzazione amministrativa e contenimento delle spese (relative ad esempio alle risorse per la contrattazione integrativa).

L’aggregato dei consumi intermedi fa registrare un incremento dei volumi di spesa (0,5 per cento) ed una leggera diminuzione, rispetto al precedente esercizio, dell’incidenza in termini di PIL (dall’8,2 per cento all’8,1 per cento) in conseguenza delle misure correttive adottate negli ultimi anni.

L’evoluzione della spesa corrente è influenzata anche dalla dinamica della spesa sanitaria che aumenta complessivamente dell’1,0 per cento (da 111.304 a 112.408 mln.), non modificando peraltro la propria incidenza sul PIL, che rimane pari a circa il 6,9 per cento.

Infine, la spesa in conto capitale registra un rialzo del 10,7 per cento nel 2015. L’incremento complessivo risulta determinato, secondo le informazioni del DEF, dall’incremento di tutte le componenti dell’aggregato di spesa: in particolare, gli investimenti fissi lordi crescono dell’1 per cento, i contributi agli investimenti del 19,1 per cento e gli altri trasferimenti in c/capitale del 34,7 per cento. Dalle informazioni contenute nel Documento si evince che tale incremento è anche conseguenza della revisione delle stime effettuate a seguito della contabilizzazione nella voce “Altri trasferimenti” di alcune operazioni relative al Fondo nazionale di risoluzione[23] e della classificazione quale spesa in conto capitale degli oneri conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale in materia di indicizzazione delle pensioni n. 70 del 2015 e del decreto legge n. 65/2015.

Relativamente alla diversa contabilizzazione delle operazioni del Fondo nazionale di risoluzione, si precisa che le risorse affluite dal sistema bancario al predetto Fondo (pari a circa 2,3 miliardi di euro) sono state registrate nell’ambito delle imposte indirette (nello specifico “altre imposte sulla produzione”), mentre le somme trasferite dal Fondo stesso alle banche commissariate (pari a 1,7 miliardi) sono state contabilizzate all’interno delle uscite in conto capitale.

Con riferimento agli oneri connessi alla sentenza della Corte costituzionale n. 70/2015 e al decreto legge n. 65/2015 in materia di indicizzazione delle pensioni, si ricorda che, con la Nota di aggiornamento al DEF 2015 del settembre 2015, è stata segnalata la rimodulazione per il 2015, tra spese correnti e spese in conto capitale, delle uscite ascrivibili al predetto provvedimento: in particolare, un importo pari a 2.650 milioni di euro è stato portato a riduzione delle spese correnti e, corrispondentemente, ad incremento delle spese di parte capitale. Tale modifica, come si legge nella documentazione a corredo della Nota di aggiornamento, è dovuta appunto alla classificazione tra le spese di parte capitale della quota di oneri per arretrati, relativa al D.L. 65/2015.

 

In termini percentuali rispetto al PIL si verifica un incremento dell’incidenza della spesa in conto capitale che passa dal 3,7 per cento del 2014 al 4,1 per cento del 2015.

Rispetto alle previsioni contenute nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità, la spesa finale nel 2015 risulta inferiore di circa 5,1 miliardi, per effetto di :

§  minori spese correnti primarie per circa 5,9 miliardi;

§  minori interessi passivi per circa 1,6 miliardi;

§  maggiori spese in conto capitale per circa 2,4 miliardi.

All’interno della spesa corrente primaria, si riducono in misura significativa, rispetto alle precedenti stime, la spesa per redditi da lavoro dipendente (circa 3,1 miliardi) la spesa per prestazioni sociali (circa 2,5 miliardi in meno) e quella per altre uscite correnti (circa 3,4 miliardi). Registra invece un incremento di circa 3,1 miliardi la spesa per consumi intermedi, imputabile alla revisione al rialzo del dato di preconsuntivo.

Il DEF segnala che la variazione del dato di preconsuntivo relativo ai redditi da lavoro dipendente rispetto alle precedenti stime è il riflesso di una riduzione particolarmente marcata di tale voce di spesa nelle amministrazioni locali. L’incremento della spesa per i consumi intermedi è invece effetto di maggiori spese sostenute sia a carico del bilancio dello Stato che degli enti territoriali, in questo ultimo caso per le prestazioni in materia di sanità.

Il DEF segnala altresì che lo scostamento tra risultati e stime per le altre spese correnti (-3.428 milioni) è ascrivibile principalmente alla minore contribuzione al bilancio comunitario (-2.607 milioni) e alle minori spese per trasferimenti diversi (-929 milioni). Il risultato di tale ultima voce risente anche della revisione al ribasso del valore 2014 nelle stime ISTAT.

La spesa per interessi è risultata inferiore alle previsioni per 1.591 milioni, per effetto di una dinamica dei tassi più favorevole. In proposito si rinvia alla specifica analisi sulla spesa per interessi riportata nel presente dossier.

Il DEF precisa, infine, che le spese in conto capitale risultano superiori alle stime per l’importo di 2.446 milioni, quasi interamente imputabile allo scostamento registrato nella voce “altre spese in conto capitale” (+2.093 milioni), a seguito della contabilizzazione, come accennato in precedenza, in tale aggregato di alcune operazioni relative al Fondo Nazionale di Risoluzione.

1.2 Le previsioni tendenziali per il periodo 2016-2019

Rispetto alle stime contenute nella Nota tecnico illustrativa alla legge di stabilità (NTI) 2016, riferite al triennio 2016-2018, il DEF presenta le nuove previsioni sulla base delle informazioni relative al 2015 diffuse dall’ISTAT, del nuovo quadro macroeconomico rappresentato nella Sezione I del DEF medesimo (che contiene il Programma di stabilità dell’Italia) e dell'impatto finanziario dei provvedimenti approvati fino al mese di marzo 2016. Sono inoltre presentate le previsioni relative all’esercizio 2019, non considerato nell’orizzonte previsionale della NTI.

L’indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni

Il DEF rappresenta l’andamento previsto dell’indebitamento netto nel periodo 2016-2019 ed effettua una revisione delle stime della NTI di febbraio. Di seguito si dà conto di questi elementi.

Andamento nel periodo 2016-2019

Il conto economico esposto dal DEF evidenzia per il 2016 un indebitamento netto pari al 2,3 per cento del PIL (39,3 mld).

Rispetto al 2015, nel 2016 si determina quindi una riduzione di tale saldo dello 0,3 per cento in termini di PIL, dovuta sia a un miglioramento del saldo primario (1,6 mld circa) sia a una minore spesa per interessi (-1,5 mld).

Concorre al miglioramento del rapporto indebitamento netto/PIL anche la crescita del PIL nominale, stimata per il 2016 al 2,2% rispetto al 2015.

Per gli anni successivi, si stima una riduzione progressiva dell’indebitamento netto, sia in valore assoluto sia in rapporto al PIL, fino a raggiungere, nell’esercizio 2019, un saldo positivo (accreditamento netto), come di seguito esposto:

§  2017: indebitamento netto di 24.585 mln (1,4% del PIL);

§  2018: indebitamento netto di 5.834 mln (0,3% del PIL);

§  2019: avanzo di 6.869 mln (0,4% del PIL).

In base al DEF, questo percorso di miglioramento del saldo è determinato dai seguenti fattori:

§  la spesa per interessi registra, in termini di incidenza sul PIL, una riduzione dal 3,8% nel 2017 al 3,6% nel 2018 e al 3,5% nel 2019;

§  il saldo primario (positivo in tutti gli esercizi) aumenta la propria incidenza rispetto al PIL dal 2,4% nel 2017 al 3,3% nel 2018, fino a raggiungere il 3,9% del 2019.

In particolare, rispetto all’esercizio 2018 il saldo di bilancio positivo del 2019 risulta attribuibile, sostanzialmente, a una riduzione delle spese (in rapporto al PIL si passa dal 47,5% del 2018 al 46,7% del 2019) in costanza di entrate (47,1% in entrambi gli anni).

Revisione delle stime e raffronto rispetto alla NTI

Con riferimento al triennio 2016-2018 è possibile operare un raffronto con le previsioni contenute nella NTI riferita al testo approvato della legge di stabilità 2016.

Relativamente all’esercizio in corso, l’indebitamento netto stimato dal DEF (pari, come visto, al 2,3 per cento del PIL) risulta in riduzione rispetto alle precedenti stime (2,4 per cento).

Tale variazione è ascrivibile a una riduzione delle spese stimate (-0,68%) di impatto maggiore rispetto alla riduzione della previsione di entrata (-0,60%). In particolare, i predetti effetti sono ascrivibili ai seguenti fattori:

§  0,52 punti a minori entrate tributarie;

§  0,07 punti a minori entrate contributive;

§  0,01 punti a minori entrate extratributarie;

§  0,41 punti a minori spese al netto degli interessi;

§  0,27 punti a minori spese per interessi.

 

L’aggiornamento delle stime per l’esercizio in corso si riflette in un aggiornamento della previsione di indebitamento netto anche nei due esercizi successivi (2017-2018).

Rispetto alle precedenti stime contenute nella NTI, il raffronto evidenzia un peggioramento atteso per il biennio, comunque sempre nel quadro di un progressivo percorso di riduzione del deficit. In rapporto al PIL, infatti, le previsioni risultano così aggiornate:

§  per il 2017 la previsione di indebitamento netto passa dall’1,1% (NTI) all’1,4% (DEF);

§  per il 2018 la previsione di indebitamento netto passa dallo 0,2% (NTI) allo 0,3% (DEF).

Tale revisione è determinata principalmente da una riduzione delle stime del saldo primario (in termini assoluti: -12,1 mld nel 2017 e -10,4 mld nel 2018), compensata solo parzialmente da una riduzione delle stime della spesa per interessi (-6,0 mld nel 2017 e -7,8 mld nel 2018).

Concorre alla revisione delle stime del rapporto indebitamento netto/PIL anche l’aggiornamento delle previsioni sul PIL (-18,7 mld nel 2017 e -28,0 mld nel 2018).

L’esercizio 2019, come detto, non è compreso nell’orizzonte previsionale della NTI. Si segnala, comunque, che la previsione – indicata nel DEF 2016 – di un saldo positivo corrispondente allo 0,4% del PIL è in linea rispetto al valore obiettivo dello 0,3% indicato nel Documento programmatico di bilancio presentato nell’ottobre 2015 (+0,3%).

Le entrate

Il Documento di economia e finanza 2016 stima per il periodo di previsione un andamento crescente, in valore assoluto, delle entrate finali, che passano da 789 miliardi nel 2016 a 856 miliardi nel 2019.

Il Documento segnala che le previsioni delle entrate tributarie considerano, oltre alle variazioni del quadro macroeconomico e all’impatto dei provvedimenti legislativi adottati sugli anni di riferimento, l’effetto di trascinamento dei risultati 2015 che operano una revisione al ribasso per 3.799 milioni di euro delle previsioni di entrate già contenute nella NTI 2016.

Rispetto alle stime contenute nella NTI, infatti, la previsione relativa alle entrate tributarie risulta ridimensionata per tutte le annualità considerate (dal 2015 al 2018). In particolare, la revisione al ribasso è pari a 8.773 milioni nel 2016, a 11.857 milioni nel 2017 e a 11.211 milioni nel 2018.

Le nuove stime indicano quindi, rispetto ai risultati 2015, un incremento delle entrate tributarie, per 2.442 milioni nel 2016, attribuibile, come chiarito dal DEF, all’effetto di miglioramento delle principali variabili macroeconomiche rispetto a quelle del 2015.

Le prospettive di miglioramento della congiuntura economica – sia pur ridimensionate rispetto a quelle incorporate nella NTI - producono effetti positivi anche sulle entrate previste per gli anni successivi. Le maggiori entrate previste nel 2017 rispetto al 2016 (15.045 milioni) sono ascrivibili per circa la metà al miglioramento del quadro congiunturale e per l’altra metà agli effetti, anche ad impatto differenziale, dei provvedimenti legislativi adottati in precedenza, secondo quanto precisato dal DEF.

Negli anni successivi la stima delle maggiori entrate tributarie prevede un’ulteriore crescita (15.018 milioni nel 2018 e 12.455 milioni nel 2019 rispetto all’anno precedente).

Si ricorda, in proposito, che le stime indicate per gli anni 2017, 2018 e 2019, essendo predisposte sulla base della vigente legislazione, includono gli effetti degli aumenti delle aliquote IVA e delle accise sugli oli minerali (clausola di salvaguardia) stimati in misura pari a circa 15,1 miliardi per il 2017 e a 19,6 milioni dal 2018. Sul punto si rinvia al successivo approfondimento.

Rispetto ai singoli settori di riferimento, il DEF evidenzia che per il bilancio dello Stato si stima un incremento delle entrate tributarie, nel 2016 rispetto al 2015, di circa 12,2 miliardi, ascrivibile essenzialmente al quadro macroeconomico.

La stima delle entrate degli enti territoriali, invece, evidenzia una flessione di circa 6,8 miliardi di euro per il 2016, attribuibile, in via prevalente, alle disposizioni contenute nella legge di stabilità 2016 in materia di esenzione TASI per l’abitazione principale e esenzione parziale IMU sui terreni agricoli.

Più in dettaglio, le previsioni delle imposte indirette registrano, nel 2016 rispetto al 2015, un incremento (3,8 miliardi) per il bilancio dello Stato e una contrazione (-7,9 miliardi) per le amministrazioni locali.

Tenuto conto che alle disposizioni in materia di IMU e TASI, contenute nella legge di stabilità 2016, è stato attribuito dalla relazione tecnica un effetto di gettito di 4,5 mld, sarebbe utile acquisire indicazioni in merito agli ulteriori fattori sottostanti la prevista riduzione di gettito per il 2016 nel sottosettore delle amministrazioni locali.

Ulteriori chiarimenti sarebbero utili in merito alla classificazione contabile delle entrate IMU/TASI. Ciò in quanto mentre per le amministrazioni locali tali entrate sembrerebbero incluse tra le imposte indirette, la quota IMU riservata allo Stato sembrerebbe contabilizzata per 3,8 mld circa tra le imposte dirette[24].

 

In termini di incidenza sul PIL, le stime relative alle entrate tributarie registrano nel 2016 una riduzione di 0,5 punti (da 30,1% nel 2015 a 29,6% nell’anno 2016). La predetta contrazione appare prevalentemente imputabile alle imposte indirette e ai contributi sociali i quali evidenziano nel 2016 una riduzione, in termini di PIL, rispettivamente, di 0,5 e di 0,3 punti percentuali rispetto al 2015. In termini nominali le previsioni di entrata da imposte indirette si riducono di circa 4 miliardi rispetto al 2015. Il DEF evidenzia che le stime riflettono le misure contenute nella legge di stabilità 2016 e la proroga delle decontribuzioni per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Negli anni 2017 e 2018 le entrate tributarie aumentano di 0,1 punti percentuali di PIL in ciascun anno (passando dal 29,6% nel 2016 al 29,8% nel 2018). Il DEF chiarisce che le stime incorporano la clausola a garanzia dei saldi di finanza pubblica (c.d. clausola di salvaguardia) che produrrà un incremento delle aliquote IVA (ordinaria e ridotta) nonché, dal 2018, un incremento delle aliquote di accisa sugli oli minerali. I predetti aumenti opereranno qualora non siano introdotte misure compensative di spesa o entrata. Il DEF ricorda che il maggior gettito derivante dalle predette misure è stimato pari a 15,1 mld nel 2017 e 19,6 mld per ciascun anno del 2018 e 2019 nella relazione tecnica della legge di stabilità 2016.

 

Più in particolare, nel 2017 le stime prevedono, rispetto all’anno precedente, una crescita delle entrate tributarie del 3%, sostenuta da un incremento delle imposte indirette (7,9%). solo parzialmente compensato dalla flessione delle imposte dirette e delle imposte in conto capitale. Nel 2018 sono invece stimati incrementi dei contributi sociali (4,2% in più rispetto al 2017) determinati dalla crescita dei redditi da lavoro dipendente sottostante le previsioni del quadro macroeconomico, nonché dal venir meno delle misure di decontribuzione per le nuove assunzioni.

Con riferimento all’anno 2019, alla stima dell’incremento delle entrate tributarie (+2,4% rispetto al 2018 in valore nominale) contribuiscono in pari misura le imposte dirette e quelle indirette. Le previsioni di entrata dei contributi sociali evidenziano un ulteriore incremento del 4,3% rispetto al 2018. In termini di PIL le entrate tributarie e contributive sono stimate, nel loro complesso, ad un livello sostanzialmente stabile, rispettivamente, prossimo al 29,6% e al 13,3%. In proposito, il DEF chiarisce che la più attenuata crescita delle imposte indirette sembrerebbe imputabile anche al venir meno degli effetti finanziari attribuiti all’applicazione del reverse charge nel settore energetico, che la legge di stabilità 2015 ha introdotto, con effetti provvisori, fino al 2018.

In generale, il DEF afferma che nell’ambito del gettito tributario si osserva una ricomposizione in favore delle imposte indirette, la cui incidenza sul PIL cresce dal 14,7 nel 2016 al 15,5 per cento nel 2019, mentre la quota delle imposte dirette sul PIL si riduce dal 14,7 al 14 per cento.

Le previsioni concernenti la pressione fiscale evidenziano una riduzione per gli anni 2016 e 2017 (da 43,5% nel 2015 a, rispettivamente, 42,8% e 42,7%) ed un incremento al 42,9% negli anni 2018 e 2019.

Tra le misure introdotte nel corso del 2015 che contribuiscono alla riduzione della pressione fiscale, il DEF individua quelle relative all’IMU per alcune categorie di soggetti e per i terreni agricoli, alle start up innovative, e all’ampliamento delle agevolazioni per i redditi derivanti dalle opere di ingegno (c.d. patent box). Inoltre, le stime indicate scontano gli effetti positivi introdotti dalla legge di stabilità 2016, tra i quali gli interventi sulle clausole di salvaguardia[25], la riduzione al 24% dell’aliquota IRES a decorrere dal 2017, le agevolazioni fiscali per le spese di riqualificazione e ristrutturazione edilizia (esteso all’acquisto mobili e alle giovani coppie), le agevolazioni IMU sugli imbullonati, le agevolazioni IRAP per il settore agricolo e i superammortamenti.

 

Le clausole di salvaguardia

La “clausola di salvaguardia” è disciplina dall’articolo 17 della legge di contabilità e finanza pubblica[26], che la prevede in tutti i casi in cui gli oneri associati ad un provvedimento legislativo non siano configurati entro un limite massimo di spesa, ma siano oggetto di una valutazione che dia luogo ad una specifica previsione di spesa. In tali ipotesi, viene introdotta nel testo del provvedimento legislativo una clausola che preveda, da un lato, l’obbligo di monitorare i reali effetti finanziari che il provvedimento produce e, dall’altro lato, l’attivazione automatica di forme di compensazione finanziaria di eventuali effetti che eccedano le originarie previsioni di spesa. La clausola di salvaguardia deve essere automatica ed effettiva, consentendo quindi l’attivazione di ulteriori forme di copertura finanziaria (minori spese o maggiori entrate) nel caso in cui la copertura originaria (riferita alla stima o valutazione originaria degli oneri) non risulti sufficiente.

A titolo esemplificativo si esaminano, di seguito, talune clausole previste dalla normativa vigente.

Voluntary disclosure

In riferimento all’anno 2016, particolare rilievo assume la clausola di salvaguardia, introdotta dalla legge di stabilità 2016, in relazione alle entrate attese dalla procedura volontaria finalizzata all’emersione e al rientro di capitali detenuti all’estero (c.d. voluntary disclosure). La legge n. 186/2014, che ha disciplinato la procedura, stabilisce che le risorse così acquisite, inizialmente non scontate ai fini dei saldi di finanza pubblica, devono essere versate ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato.

Le entrate relative alla voluntary disclosure sono state utilizzate, fino alla legge di stabilità 2016, come di seguito indicato:

il decreto legge n. 192/2014, al fine di neutralizzare l’operatività di precedenti clausole di salvaguardia, ha stabilito l’utilizzo prioritario di una quota delle risorse attese dalla disciplina sul rientro dei capitali. Tale quota, in particolare, risulta pari a 671,1 milioni per l’anno 2015 e 17,8 milioni per l’anno 2016;

il decreto legge n. 153/2015 ha disposto la proroga dal 30 settembre 2015 al 30 novembre 2015 del termine entro il quale i contribuenti possono presentare l’istanza di regolarizzazione. A tale misura, sono stati ascritti dal medesimo decreto-legge effetti positivi di gettito pari a 728 milioni per l’anno 2015.

La legge di stabilità 2016 ha quantificato ulteriori entrate attese dalla disciplina in esame per l’anno 2016 (scontandole ai fini dei saldi di finanza pubblica) per 2.000 milioni di euro, precisando che, qualora dal monitoraggio delle predette entrate dovesse emergere un andamento tale da non consentire la realizzazione integrale dell’importo indicato, si dovrà provvedere con l’incremento della misura delle accise (sui carburanti, sugli alcolici e sui tabacchi).

Successivamente alla legge di stabilità 2016, l’importo originario indicato nella stessa (2.000 milioni di euro) è stato elevato dapprima a 2.100 milioni (dal D.L. n. 191/2015 che ha utilizzato gli ulteriori 100 milioni per la copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento) e successivamente a 2.320 milioni (dal D.L. n. 18/2016 che ha utilizzato gli ulteriori 220 milioni per la copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento). Pertanto, complessivamente, le entrate della voluntary disclosure scontate dai predetti provvedimenti risultavano pari a 1.400 milioni per l’anno 2015 e a 2.339 milioni per l’anno 2016. Qualora non dovesse realizzarsi il gettito indicato per l’anno 2016, dovranno applicarsi incrementi di accise come stabilito dalla legge di stabilità 2016.

In proposito si segnala che, in base ai dati forniti dal Governo nel corso dell’esame del D.L. n. 18/2016 (cd decreto banche di credito cooperativo), al 30 novembre 2015 risultano presentate n. 129.565 istanze di collaborazione volontaria e il volume complessivo delle entrate, stimato in termini di competenza, ammonta a circa 3.835 milioni di euro. (Cfr. Resoconto V Commissione Camera del 17 marzo 2016).

Il prospetto relativo alle misure one-off contenuto nella sezione II del Documento in esame indica la previsione di gettito complessivo da voluntary disclosure in 3.612 milioni di euro, di cui 212 milioni riferiti al 2015.

Aumento aliquote IVA ed accise

La definizione di clausola di salvaguardia è stata poi estesa ad altre disposizioni che prevedono meccanismi suscettibili di produrre, a determinate scadenze, variazioni automatiche di entrate o di spese, non necessariamente subordinate alla verifica di scostamenti rispetto a determinate previsioni di spesa, ma poste a garanzia del conseguimento di più generali obiettivi fiscali.

Situazione ante legge di stabilità 2016

La legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) e la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) hanno introdotto disposizioni relative a clausole di salvaguardia che prevedono l’attivazione di meccanismi automatici per la realizzazione di effetti di maggior gettito fiscale nelle misure indicate nella seguente tabella.

Disciplina vigente

La legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) è intervenuta sulla materia disponendo la completa disattivazione, per l’anno 2016, delle clausole di salvaguardia previste e la sterilizzazione di tali clausole per circa 11 miliardi nel 2017 e circa 9,4 miliardi dal 2018 attraverso:

l’abrogazione del comma 430 della legge di stabilità 2014, che prevedeva tagli alle agevolazioni fiscali in modo tale da assicurare effetti positivi per la finanza pubblica pari a 3.272 milioni per il 2016 e a 6.272 milioni dal 2017;

la rimodulazione degli incrementi di aliquote IVA (ordinaria e ridotta). In particolare, sono state confermate, per l’anno 2016, le aliquote del 22% e del 10% (per le quali era invece previsto l’incremento, rispettivamente, al 24% e al 12%); nel 2017 l’aliquota ordinaria viene elevata 24% (in luogo del previsto 25%) e l’aliquota ridotta viene incrementata, come previsto, al 13%; dal 2018 l’aliquota ordinaria viene elevata al 25% (in luogo del previsto 25,5%);

la riduzione, da 700 milioni a 350 milioni, dell’obiettivo di maggior gettito da realizzare dal 2018 mediante aumento delle accise sui carburanti;

la soppressione della clausola di salvaguardia prevista dal comma 632 della legge di stabilità 2015, in base alla quale, in caso di mancata autorizzazione europea all’applicazione del reverse charge alla grande distribuzione, gli effetti positivi ascritti (728 mln annui dal 2015) si sarebbero dovuti realizzare mediante incremento delle accise sui carburanti.

Pertanto, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità, le entrate scontate ai fini dei saldi di finanza pubblica e quindi incorporate nelle previsioni contenute nel DEF in esame, sono quelle relative agli incrementi delle aliquote IVA sopra illustrate. A tali modifiche sono ascritte le previsioni di maggior gettito indicate nella seguente tabella.

 

Il DEF evidenzia quindi che, in assenza di misure compensative di spesa o di entrata, il maggior gettito tributario derivante dalla clausola a garanzia dei saldi di finanza pubblica rimodulata dalla legge di stabilità 2016 è stimato pari a 15,1 miliardi nel 2017 e a 19,6 miliardi a decorrere dal 2018; in termini di PIL le clausole di salvaguardia rappresentano circa lo 0,9% nel 2017 e l’1,1% dal 2018.

Il DEF afferma inoltre che, con riferimento al 2017, l’intendimento del Governo è quello di attuare, nella prossima legge di stabilità, una manovra alternativa alle clausole che sarà composta da un insieme articolato di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione. Gli interventi, prosegue il DEF, si amplierebbero nel biennio 2018-2019, in particolare quelli riguardanti la revisione della spesa. Si continuerà inoltre lo sforzo organizzativo e normativo volto ad aumentare il gettito fiscale a parità di aliquote.

In particolare, il DEF ricorda che nell’ambito delle tax expenditures, l’attuazione della delega fiscale ha previsto annualmente la predisposizione di uno specifico Rapporto programmatico di ricognizione delle agevolazioni in essere. Questo costituirà la base per valutare in autunno gli interventi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali, che dovranno poi essere resi operativi nella manovra di finanza pubblica. Tale ricognizione sarà essenziale per rendere operative le innovazioni introdotte con la revisione del processo annuale di bilancio.

Si segnala in proposito che secondo quanto affermato dalla Corte dei conti (Rapporto 2016 sul coordinamento della finanza pubblica, marzo 2016), il sistema fiscale prevede circa 800 tipologie di agevolazioni e/o esenzioni che determinano una perdita di gettito potenziale dell’ordine di 300 miliardi di euro l’anno.

Le spese

Il DEF 2016 stima per il periodo di previsione un andamento crescente, in valore assoluto, delle spese finali che passano da 828,7 milioni del 2016 a 848,9 milioni del 2019. In termini di PIL tuttavia l’incidenza delle spese si riduce da 49,6 per cento del 2016 al 48,4 del 2017 fino ad attestarsi al 46,7 per cento al termine del periodo di previsione.

Contribuiscono a tale evoluzione gli interessi passivi, che riducono la propria incidenza sul PIL dal 4 per cento del 2016 al 3,5 per cento del 2019. Tale spesa si riduce anche in valore assoluto in ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, per poi stabilizzarsi al termine del periodo di previsione.

In merito a tale voce di spesa si rinvia allo specifico capitolo contenuto nel presente dossier.

La spesa corrente primaria è caratterizzata da variazioni annue positive (1,5 per cento nell’anno in corso, 0,4 per cento nel 2017, 1,1 nel 2018, 1,8 per cento nel 2019). A tale andamento corrisponde tuttavia una riduzione della relativa incidenza sul PIL, che passa dal 42,2 per cento del 2015 al 39,9 per cento nel 2019.

Rispetto alle precedenti previsioni contenute nella NTI, si registrano minori spese finali per circa 11,4 miliardi nel 2016, 9,3 miliardi nel 2017 e 10,3 miliardi nel 2018. Il miglioramento è dovuto alla revisione in diminuzione delle previsioni di spesa per interessi (per circa 4,5 miliardi nel 2016, 6,0 miliardi nel 2017 e 7,8 miliardi nel 2018) ed a un parallelo miglioramento delle previsioni relative alla spesa corrente primaria, che diminuisce di 4,9 miliardi nel 2016, di 6,0 miliardi nel 2017 e di 6,1 miliardi nel 2018. Non assumono invece il medesimo segno nei diversi anni le revisioni delle stime riferite alle spese in conto capitale, che diminuiscono di 1,9 miliardi nel 2016 per poi aumentare di 2,7 miliardi nel 2017 e di 3,7 miliardi nel 2018.

Con riguardo ai diversi aggregati di spesa, per i redditi da lavoro dipendente si prevede una moderata crescita delle retribuzioni per l’anno 2016 (1,4 per cento) ed una riduzione delle medesime per gli anni 2017 e 2018 (rispettivamente -0,8 e -0,2 per cento), mentre nel 2019 è attesa una crescita dello 0,2 per cento da attribuire, fra l’altro, alla corresponsione dell’IVC del nuovo triennio contrattuale 2019-2021.

 

Rispetto a quanto ipotizzato nella Nota tecnico illustrativa la spesa per redditi da lavoro dipendente diminuisce di circa 2,5 miliardi nel 2016, di 3,1 miliardi nel 2017 e di 3,2 miliardi nel 2018.

Alla luce di tali dati la revisione delle stime per l’aggregato sembrerebbe per la maggior parte conseguenza della revisione del dato di preconsuntivo 2015 che evidenzia una riduzione per circa 3,1 miliardi. Tale flessione sembra riflettersi sugli esercizi successivi, salvo un parziale recupero (per circa 0,6 miliardi) nel 2016. In proposito sarebbero peraltro utili elementi in ordine ai fattori sottostanti tale revisione.

 

Nelle nuove previsioni, la riduzione dell’incidenza di tale voce di spesa rispetto al prodotto (dal 9,9 per cento del 2015 al 8,9 per cento del 2019) viene conseguita, come evidenziato dal DEF, nonostante: gli effetti di spesa conseguenti l’istituzione del Fondo “La buona scuola” (legge di stabilità 2015), le risorse fin ad ora stanziate per il rinnovo del contratto 2016-2018 e la considerazione, come accennato in precedenza, dell’indennità di vacanza contrattuale da corrispondere con riferimento al triennio 2019-2021, nonché l’attribuzione al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico del cosiddetto “Bonus di 80 euro[27]”.

 

Si prevede inoltre una riduzione della spesa per consumi intermedi nel 2016 (-1,0 per cento), seguita da una crescita pari all’1,0 per cento nel 2017, da una sostanziale stabilità dell’aggregato nel 2018 e da un incremento del 2,8 per cento nel 2019. L’andamento di tale voce di spesa si mantiene comunque al di sotto della dinamica del PIL nominale evidenziando, conseguentemente, un’incidenza sul prodotto che si riduce dal 7,9 per cento dell’esercizio 2016 al 7,5 per cento del 2019, probabilmente, come riferito dal DEF, in conseguenza delle norme di contenimento adottate.

Rispetto a quanto ipotizzato nella Nota tecnico illustrativa della legge di stabilità, la spesa per consumi intermedi aumenta, di 1,3 miliardi nel 2016, di 1,6 miliardi nel 2017 e di 1,4 miliardi nel 2018.

La revisione annua è inferiore all’aumento del dato di preconsuntivo registrato nel 2015, pari a 3,1 miliardi: sarebbero quindi utili elementi ulteriori riguardo ai fattori sottostanti tale aggiornamento delle stime, al fine di verificare in quale misura le nuove previsioni risentano della variazione registrata a consuntivo.

 

L’andamento della spesa sanitaria indicato nel quadro tendenziale sconta una crescita dello 0,9 per cento nell’anno 2016, dell’1,2 per cento annuo nel biennio 2017-2018 e del 2 per cento nell’anno 2019. Tale previsione comporta una lieve riduzione dell’incidenza dell’aggregato sul PIL, che passa dal 6,8 per cento del 2016 al 6,5 per cento nel 2019.

 

La spesa per prestazioni sociali in denaro è stimata in aumento per l’intero periodo previsionale: dopo un incremento del 2,1 per cento nel 2016 rispetto all’esercizio precedente, la dinamica si dimostra più contenuta per il 2017, dando luogo ad una variazione percentuale annua dell’1,6 per cento, per poi evidenziare una più elevata crescita nel 2018 (2,5 per cento) e nel 2019 (2,3 per cento). L’incidenza sul PIL si attesta invece a fine periodo sul 19,9 per cento, in riduzione rispetto al dato relativo al 2016 (20,3 per cento).

All’interno dell’aggregato, per quanto concerne, in particolare, la componente della spesa pensionistica, le previsioni tengono conto, secondo quanto riportato dal DEF, oltre che dei fattori legislativi, del numero di pensioni di nuova liquidazione, dei tassi di cessazione stimati, della indicizzazione delle pensioni in essere ai prezzi, delle ricostituzioni degli importi delle pensioni in essere e degli arretrati liquidati.

In merito alla spesa per altre prestazioni sociali in denaro, il DEF evidenzia un “aumento della spesa per liquidazioni di fine rapporto a fronte di una contenuta dinamica di altre componenti di spesa”.

Per quanto attiene alle differenze rispetto alla NTI 2016, analizzando la ripartizione dell’aggregato delle prestazioni sociali tra “spesa pensionistica” e “altre prestazioni in denaro”, si evidenzia che mentre la prima voce registra, rispetto alle precedenti stime, una contenuta flessione nel 2016 e riduzioni invece consistenti (circa 2,9 miliardi) nel 2017 e nel 2018, per le altre prestazioni sociali la revisione è più accentrata nel primo anno (-2,5 miliardi) per poi ridursi negli esercizi successivi (-1,6 miliardi nel 2017 e -1,8 circa nel 2018).

La variazione delle stime, secondo quanto affermato nel DEF, deriva, in parte, dalla revisione del dato 2015 di consuntivo e per la restante quota, sostanzialmente, da una minore indicizzazione delle prestazioni ai prezzi, tenuto conto delle aggiornate dinamiche di questi ultimi.

 

Le previsioni tendenziali mostrano infine un andamento complessivamente decrescente della spesa in conto capitale non solo in termini percentuali, ma anche in valore assoluto: a fine periodo l’aggregato si attesta su un valore pari a 59,6 miliardi, inferiore di circa 0,8 miliardi rispetto al valore previsto per il 2016. L’andamento descritto viene confermato dalla dinamica della spesa in termini di PIL, che dal 3,6 per cento del 2016 scende al 3,3 per cento a fine periodo.

Rispetto a quanto ipotizzato nella Nota tecnica illustrativa della legge di stabilità, la spesa in conto capitale è rivista in riduzione per 1,9 miliardi nel 2016 e in aumento nel biennio 2017 e 2018 rispettivamente di 2,7 e 3,7 miliardi di euro.

1.3 L’analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori

Il Documento riporta, come di consueto, la disaggregazione del conto economico per sottosettori della PA, con riferimento sia agli esercizi di consuntivo, sia alle previsioni tendenziali. Di seguito si analizza in particolare la componente relativa alle amministrazioni locali.

I risultati conseguiti da tale sottosettore indicano nel 2015 una flessione della incidenza sul PIL sia delle spese, che passano dal 14,8 per cento nel 2014 al 14,6 per cento, sia delle entrate, che si riducono dal 14,9 al 14,7 per cento sul PIL. In valori assoluti, si registra una contenuta flessione delle spese (circa 726 mln) a fronte di una riduzione di 455 milioni delle entrate. Il saldo complessivo di bilancio registra valori positivi (accreditamento netto) che aumentano da 1,8 mln del 2014 a 2,1 mln del 2015.

Sempre con riferimento agli enti locali, si rileva che le componenti della spesa che registrano una flessione sono, per la parte corrente, quelle relative ai redditi da lavoro dipendente, ai consumi intermedi e ai trasferimenti a soggetti diversi dalle PA. Per quanto concerne le spese di conto capitale si registra un incremento degli investimenti fissi lordi più che compensativo delle diminuzioni registrate sulle altre voci del medesimo aggregato.

Sul lato dell’entrata incidono sulla variazione delle entrate tributarie (-2,3 miliardi) soprattutto le imposte indirette, che evidenziano una flessione del gettito per 2,5 miliardi. Si registra un aumento di importo pressoché corrispondente per i trasferimenti da altre amministrazioni pubbliche (+ 2,1 miliardi).

L’andamento riscontrato si riflette anche nelle previsioni tendenziali, per gli anni 2016-2019, con una progressiva flessione dell’incidenza sul PIL delle spese (dal 14,1 per cento del 2016 al 13,2 per cento del 2019), mentre le entrate variano dal 14,2 al 13,3 in termini di PIL con un saldo che resta sempre attivo, passando da 1,8 miliardi del 2016 a 2,2 miliardi nel 2019.

Di seguito si riporta l’analisi grafica delle principali componenti della spesa primaria della PA e dei suoi sottosettori, espressa in valori assoluti.

Figura 10 - Spesa consolidata della PA - Valori assoluti

(milioni di euro)

Nota: le scale dei grafici sono tra loro diverse.

Gli andamenti raffigurati mostrano che l’evoluzione crescente, in valore assoluto, della spesa complessiva è pressoché integralmente spiegata dalla sua componente previdenziale, con un modesto contributo della spesa corrente delle amministrazioni locali e centrali. La spesa in conto capitale segnala una riduzione soprattutto a causa della spesa delle amministrazioni centrali, mentre si registra un miglioramento annuo in valori assoluti, per le amministrazioni locali, fino al 2018.

Di seguito gli stessi importi sono rappresentati in termini di incidenza sul PIL.

Figura 11 - Spesa consolidata della PA - Incidenza sul PIL

(percentuale)

Nota: le scale dei grafici sono tra loro diverse.

 

I grafici evidenziano che la componente della spesa primaria che riduce meno la propria incidenza sul PIL nel periodo di osservazione è quella previdenziale. Le restanti componenti di spesa registrano una dinamica tendenziale di riduzione, più accentuata per le amministrazioni centrali.


 

2. Percorso programmatico di finanza pubblica

Il Documento di economia e finanza 2016 aggiorna il quadro programmatico di finanza pubblica per il quadriennio 2016-2019 e, in particolare, il piano di rientro verso l'Obiettivo di Medio Termine, già autorizzato con le risoluzioni delle Camere sulla Relazione al Parlamento 2015[28] adottate in data 8 ottobre 2015 e, ulteriormente aggiornato con la Comunicazione al Parlamento 2015, deliberata dal Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2015, (sul punto cfr. anche la premessa al presente dossier).

 

L'analisi del quadro programmatico, oggetto di questa sezione, si avvale di un insieme di indicatori che dipende dalle regole europee e si articola nelle variabili rilevanti per la decisione di politica di bilancio[29].

 

La fissazione degli obiettivi di saldo strutturale, ossia corretto per il ciclo economico e per le misure una tantum, riflette l’impegno del Paese al raggiungimento dell'obiettivo di medio termine (OMT) concordato in sede europea; tale obiettivo si affianca alla riduzione programmatica del debito pubblico.

 

Le variabili utilizzate per l’analisi della finanza pubblica corretta
per il ciclo: alcuni elementi definitori

La governance economica europea definisce gli obiettivi di finanza pubblica in termini nominali e strutturali.

Per ottenere il saldo strutturale (indebitamento netto o saldo primario), occorre in primo luogo depurare il saldo nominale dalla sua componente ciclica: se negativa, tale componente migliora il saldo in termini strutturali; viceversa in caso di componente ciclica positiva.

La componente ciclica del saldo di bilancio è data dal prodotto tra l’output gap e la stima della sensibilità al ciclo del saldo di bilancio. La metodologia concordata in sede europea per il calcolo della componente ciclica è cambiata. A decorrere dal 2013, invece di misurare l’impatto di variazioni della crescita del PIL sul livello assoluto del saldo di bilancio, si prende in considerazione la variazione del saldo (in percentuale del PIL) rispetto a variazioni della crescita. A livello aggregato il nuovo parametro (basato sul concetto di semi-elasticità) è pari a 0,55 per l’Italia, non significativamente diverso rispetto a quello in precedenza applicato (0,5, in base al concetto di sensitività); mutano tuttavia le sue componenti, cioè le elasticità ponderate delle entrate e delle spese, che si posizionano ora su valori, rispettivamente, prossimi a zero e a 0,5[30]. Il valore del parametro corrispondente alla somma delle elasticità ponderate delle entrate e delle spese viene periodicamente aggiornato in sede europea sulla base degli andamenti registrati nell’arco di un decennio.

Il saldo corretto per il ciclo va poi depurato delle misure una tantum, sottraendo sia le entrate che le spese identificate come straordinarie. In caso di prevalenza delle prime sulle seconde il saldo strutturale risulterà peggiore del saldo corretto per il solo ciclo, viceversa in caso di prevalenza delle spese sulle entrate.

Va infine osservato come variazioni nelle stime del PIL (effettivo e potenziale) e dell’output gap determinano, a parità di parametro relativo alla sensibilità del bilancio al ciclo e di valore nominale dell’indebitamento netto o del saldo primario una variazione nel saldo strutturale. Ciò si verifica con riferimento non solo agli esercizi di previsione, ma anche per i valori di consuntivo.

In termini di dibattito, non solo scientifico, è utile sapere che le diverse istituzioni internazionali utilizzano metodologie diverse per la correzione dei saldi per gli effetti del ciclo ciò da luogo a differenze spesso non trascurabili sotto il profilo delle raccomandazioni circa le decisioni di politica di bilancio[31]. Ovviamente con riferimento all'analisi della finanza pubblica dei paesi europei assumono valore di cogenza unicamente le elaborazioni definite in sede comunitaria. È bene rilevare infine che, come ha osservato la BCE, "indipendentemente dal metodo utilizzato, la stima di una variabile inosservabile quale la posizione ciclica è sempre soggetta a una notevole incertezza, che si traduce fra l’altro in consistenti revisioni, anche dopo un prolungato periodo di tempo"[32].

PIL potenziale e output gap

Il PIL potenziale rappresenta il livello teorico massimo di produzione che un paese può raggiungere senza causare tensioni inflazionistiche. Esso esprime, pertanto, i fattori fondamentali dell’economia e la componente strutturale della crescita. La differenza tra il livello del PIL effettivo e quello del PIL potenziale, espressa in percentuale del PIL potenziale stesso, viene denominata output gap.

Il PIL potenziale non è direttamente osservabile, ma viene stimato secondo la metodologia approvata dall’Ecofin e utilizzata dagli Stati membri dell’UE per il calcolo degli indicatori strutturali di finanza pubblica riportati nei Programmi di stabilità[33]. Tale metodologia è basata sulla funzione di produzione e dipende quindi non solo dalle ipotesi del quadro macroeconomico, ma anche dei parametri utilizzati per la stima del tasso di disoccupazione strutturale (NAWRU) e della Total factor productivity (TFP)[34].

Per quanto riguarda il NAWRU, i parametri sono stati più volte rivisti dalla Commissione, alla luce degli effetti sul mercato del lavoro della prolungata recessione. Il NAWRU è stato pertanto rideterminato verso l’alto, determinando una riduzione nel tasso di crescita del PIL potenziale. In altri termini questo significa che il tasso di disoccupazione di equilibrio, tale da non generare pressioni inflazionistiche sui salari è stato stimato in crescita negli anni della crisi, con una dinamica che ha fatto sì che al crescere della disoccupazione crescesse anche il NAWRU. Ciò comporta, a sua volta, un più contenuto valore dell’output gap e della componente ciclica, con effetti sul calcolo dei saldi di bilancio in termini strutturali.

È altresì intuitivo rilevare che, a parità di metodologia, riforme strutturali che incidessero sul costo del lavoro e/o sulla produttività di tale fattore avrebbero l’effetto di ridurre stabilmente il tasso di disoccupazione di equilibrio, poiché la metodologia utilizza sia i valori del PIL effettivamente registrati a consuntivo negli anni precedenti, sia il valore del PIL atteso nel periodo di previsione, ne derivano due conseguenze: i) difficilmente il calcolo del PIL potenziale è in grado di cogliere appieno i punti di inversione del ciclo e gli effetti di cambiamenti strutturali; ii) la variazione del valore atteso del PIL per il periodo di previsione o le modifiche riguardanti i dati di consuntivo (conseguenti anche a revisioni contabili) determinano una revisione del PIL potenziale, e quindi dell’output gap, anche negli anni in cui non si è verificata alcuna variazione nella crescita effettiva (o attesa). Tali revisioni influiscono, a loro volta, sul calcolo degli indicatori strutturali di finanza pubblica (cfr. infra).

2.1 L'aggiornamento del piano di rientro verso l'OMT[35] e la Relazione ex L. n. 243 del 2012

Il Governo, come anticipato in Premessa, accompagna la presentazione del DEF con una Relazione al fine di chiedere un aggiornamento del piano di rientro verso l’obiettivo di medio periodo e rinviare il sostanziale pareggio di bilancio al 2019, dunque, entro l'ultimo anno dell'orizzonte di programmazione del DEF.

Il DEF coerentemente aggiorna gli obiettivi programmatici per il quadriennio 2016-2019.

L'aggiornamento del percorso di avvicinamento all'OMT prevede un incremento dell'indebitamento netto nominale programmatico rispetto al nuovo tendenziale di 0,4 punti percentuali di PIL nel 2017, 0,6 punti percentuali nel 2018 e 0,3 punti percentuali nel 2019, conferendo così un'intonazione moderatamente espansiva alla politica di bilancio.

 

La Tabella 19 riporta invece l'entità dello scostamento sia in termini percentuali che assoluti rispetto alla dinamica programmatica prospettata nella nota di aggiornamento dello scorso autunno.

Tabella 19 – Revisione degli obiettivi di indebitamento netto programmatico

Fonti: elaborazioni su Nota di aggiornamento del DEF 2015, DEF 2016 e Relazione al Parlamento 2016 (ai sensi dell'art. 6, co. 5, L. 243/2012)

In termini strutturali, nel confronto tra quadro tendenziale e programmatico, tale variazione si traduce in un incremento del deficit pari a 0,3 punti percentuali nel 2017, 0,7 punti percentuali nel 2018 e 0,3 punti percentuali nel 2019.

Più in dettaglio l'indebitamento netto programmatico sul Pil, calcolato secondo la metodologia dell'Unione europea, si attesterà all'1,2 per cento, nel 2016, all'1,1 per cento nel 2017, allo 0,8 nel 2018 e allo 0,2 nel 2019.

 

Il percorso di rientro definito dal Governo prevede che dal 2017 venga operata una riduzione dell'indebitamento netto strutturale di 0,1 punti percentuali di PIL, di 0,3 punti di PIL nel 2018 e di 0,6 punti nel 2019, portando così il valore dell'indicatore a -0,2 per cento e, dunque, all'interno del range previsto dalle regole europee per il conseguimento dell'OMT che prevedono uno scostamento massimo di ¼ di punto di PIL[36].

 

Quanto al percorso di avvicinamento all'OMT e alle correzioni strutturali da realizzare nel biennio 2017-2018, il Governo ritiene che riduzioni più consistenti dell'indebitamento netto strutturale, quali quelle richieste dall'applicazione della cd. Matrice[37] pari a oltre 0,5 punti percentuali di PIL, sarebbero controproducenti per la crescita economica e che un calo complessivo di 0,4 punti nel biennio in esame (e di 1,4 punti di PIL in termini di disavanzo nominale) costituisca già uno sforzo fiscale importante.

 

Eventi eccezionali e scostamenti dall'OMT (art. 6, L. 243/2012)

Il posticipo dell’obiettivo del pareggio di bilancio si riflette tuttavia sulle regole di bilancio stabilite, in coerenza con i principi europei, dalla legge di attuazione del pareggio di bilancio n. 243 del 2012, in cui si prevede (articolo 6) l’eventualità di scostamenti temporanei del saldo strutturale dagli obiettivi programmatici in presenza di eventi eccezionali. Al riguardo al comma 2 viene chiarito che per eventi eccezionali debbano intendersi periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea; eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese.

Il citato articolo al comma 3 chiarisce inoltre che il Governo, qualora ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico per fronteggiare tali eventi eccezionali, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari[38], una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione.

 

Nella Relazione, il Governo argomenta l'opportunità di discostarsi dal percorso di rientro verso l'OMT elencando una serie di presupposti configurati come "eventi eccezionali" rilevanti ai sensi del citato art. 6 e che di seguito vengono brevemente sintetizzati.

§  La perdita di «slancio della ripresa durante la seconda metà dell'anno passato», sia per effetto «del rallentamento della crescita internazionale» sia dei «danni economici e psicologici degli atti terroristici in Europa».

§  la deflazione dei prezzi al consumo in Italia, anche a causa dell'ulteriore discesa del prezzo del petrolio; elemento che se considerato alla luce degli stimoli di politica monetaria e, per certi versi della timida ripresa del PIL, dovrebbe rappresentare un ulteriore elemento a conferma dell'eccezionalità della situazione contingente.

Tale quadro ha indotto il Governo a rivedere al ribasso le previsioni di crescita per il triennio 2016-2018, con riferimento al 2016 il Pil reale è stato stimato dall'1,6 all'1,2 per cento.

Ulteriori elementi posti a presupposto dell'intervento quali:

§  il PIL ancora al disotto dei livelli pre-crisi di quasi nove punti percentuali;

§  la gravità della contrazione subita dall’economia italiana durante la crisi, con un gap di prodotto di quasi 20 punti rispetto al trend pre-crisi[39];

§  la presenza di persistenti e risalenti problemi strutturali dell'economia italiana, testimoniati anche dai bassi tassi di crescita già negli anni pre-crisi.

 

Per quanto riguarda la coerenza della Relazione con le prescrizioni dell'articolo 6 della Legge n. 243/2012 si osserva quanto segue.

Coerentemente al dettato normativo la relazione indica la misura e la durata dello scostamento precisando che gli obiettivi di indebitamento netto sono rivisti, in senso peggiorativo, per il 2017 di 0,4 punti percentuali di PIL, per il 2018 di 0,6 punti percentuali di PIL, per il 2019 di 0,3 punti percentuali di PIL.

 

Le finalità alle quali destinare le risorse, pur non elencate nella Relazione, sono in parte desumibili dalla lettura del DEF, dove in particolare si legge che «L’intendimento del Governo nell’impostazione della prossima Legge di Stabilità è quello di sterilizzare le clausole attuando una manovra del tutto diversa. Essa verrà definita nei prossimi mesi e garantirà il raggiungimento di un indebitamento netto pari all’1,8 per cento del PIL nel 2017 attraverso un mix di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione. Ciò ferma restando la prosecuzione, compatibilmente con gli equilibri di bilancio, del processo di riduzione del carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie e delle imprese.

Nel biennio 2018-2019 si amplierebbero in particolare le misure riguardanti la spending review. Si continuerà inoltre lo sforzo organizzativo e normativo volto ad aumentare il gettito fiscale a parità di aliquote attraverso il contrasto all’evasione e il miglioramento della fedeltà fiscale.»

A riguardo si rammenta che l'art. 6, comma 3 della citata Legge 243/2012 prevede invece espressamente che la «relazione [...] indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi» eccezionali.

 

Da ultimo, in coerenza con quanto previsto dal citato comma 3, art. 6, la Relazione definisce il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico[40], riprendendo il percorso fin dal 2017, (cfr. Tabella 20 ).

Tabella 20 – Percorso di avvicinamento all'OMT

(in percentuale del PIL)

Fonti: DEF 2016, sezione I.

Si ricorda in questa sede che ai fini della valutazione della coerenza di tale percorso con le regole europee è opportuno valutare sia le correzioni del saldo strutturale[41], sia il rispetto della regola della spesa[42]: tale analisi è svolta nel paragrafo "2.2 La regola della spesa".

 

Nella Figura 12 vengono messe a confronto gli obiettivi di saldo strutturale indicati negli ultimi tre Documenti di economia e finanza (2014, 2015, 2016) e nella Nota di aggiornamento 2015. Si ricorda in particolare che, già in sede di presentazione del DEF 2014, il quadro programmatico posponeva il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale di tre anni – dal 2013 al 2016 – rispetto all'obiettivo contenuto nel DEF 2013, e di due anni – dal 2014 al 2016 – rispetto alla raccomandazione del Consiglio europeo del luglio 2013. Successivamente, con la Nota di aggiornamento al DEF 2014, per effetto del peggioramento delle condizioni di crescita dell'economia italiana l'obiettivo è stato ulteriormente prorogato al 2017[43], termine spostato in avanti di un anno con la nota di aggiornamento dello scorso autunno. Da ultimo, come anticipato in premessa con il presente DEF l'obiettivo di sostanziale pareggio viene portato al 2019, dunque, entro l'ultimo anno dell'orizzonte di programmazione del DEF.

Figura 12 – saldo strutturale programmatico (2014-2019)

Fonti: elaborazioni su DEF 2016, Nota di aggiornamento del DEF 2015, DEF 2015, DEF 2014

La Relazione dà inoltre conto della dinamica del rapporto debito/PIL al lordo dei sostegni agli altri paesi dell'area dell'euro precisando che esso scenderebbe da un valore pari al 132,4 per cento, al 123,8 per cento nel 2019, (tale profilo verrà approfondito meglio nei paragrafi successivi dedicati al debito e al rispetto della regola del debito).

2.2 La regola della spesa

Come è noto le modifiche del Patto di stabilità e crescita del 2011 hanno introdotto un vincolo sull'evoluzione della spesa, esso è stato recepito anche nell'ordinamento nazionale con l'articolo 5 della legge n. 243 del 2012 di attuazione del principio di pareggio del bilancio.

Il tasso di crescita dell'aggregato di spesa di riferimento per la regola è calcolato secondo l'ipotesi di politiche invariate e non incorpora, pertanto, l'effetto delle misure programmate dal Governo. Le spese da escludere nel calcolo dell'aggregato di spesa di riferimento che deve rispettare la regola sono indicate nella tabella seguente. Il tasso di crescita limite (benchmark) è fissato dalla Commissione europea[44].

Tabella 21 - Spese da escludere dalla regola della spesa

2015

2016

2017

2018

2019

Livello (1)

In % del PIL

In % del PIL

Spese per programmi UE pienamente coperte da fondi UE

4.300

0,3

0,2

0,1

0,1

0,1

Componente ciclica della spesa per sussidi di disoccupazione (2)

2.621

0,2

0,1

0,1

0,0

0,0

Entrate discrezionali (3)

-3.214

-0,2

-0,5

0,3

0,3

0,3

Incrementi di entrata già individuati per legge

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

 

 

 

 

 

 

 

(1)     Valori in milioni.

(2)     La componente ciclica della spesa per sussidi di disoccupazione è stata calcolata con la metodologia attualmente utilizzata dalla Commissione Europea, sulla base dell’unemployment gap.

(3)   Sono comprese le entrate discrezionali contributive.

Fonte: DEF 2016 (Doc. LVII, n. 4), pag. 58 dello stampato.

La tabella seguente indica i passaggi e gli importi necessari per calcolare il tasso di crescita dell'aggregato di spesa di riferimento nonché il relativo limite massimo consentito dalla regola (benchmark).

Tabella 22 - Applicazione della regola della spesa(1)

(in percentuale del PIL)

2014

2015

2016

2017

2018

2019

1.      Totale spesa

825.534

826.429

828.712

830.062

837.775

849.512

2.      Spese finanziate da UE

5.500

4.300

2.600

1.900

2.500

2.500

3.      Componente ciclica dei sussidi di disoccupazione

3.069

2.621

2.186

1.463

634

-82

4.      Interessi

74.340

68.440

66.911

65.186

64.075

64.002

5.      Investimenti fissi lordi

36.871

37.256

38.014

38.633

39.780

40.622

6.      Investimenti fissi lordi - media sugli ultimi 4 anni

40.476

38.468

37.645

37.694

38.421

39.262

7.      Step 1: Aggregato di spesa di riferimento (1-2-3-4-5+6)

746.230

752.280

756.647

760.573

769.207

781.732

8.      Variazioni Entrate discrezionali

8.118

-3.214

-9.187

4.311

4.542

4.682

9.      Step 2: Aggregato di spesa di riferimento

738.112

755.494

765.834

756.262

764.665

777.050

10.    Step 3: Tasso di crescita dell'aggregato di spesa in termini nominali

0,0

1,2

1,8

-0,1

0,5

1,0

11.    Step 4: Tasso di crescita dell'aggregato di spesa in termini reali

-1,5

0,4

0,5

-1,3

-0,7

-0,2

12.    Benchmark (limite massimo alla crescita dell’aggregato di spesa)

0,0

-0,5

0,6

-1,3

-0,3

0,0

Impatto della deviazione dell'aggregato di spesa dal limite massimo in termini di saldo strutturale su 1 anno (<-0,5%)

0,2

-0,4

0,0

0,0

0,2

0,1

Impatto della deviazione dell'aggregato di spesa dal limite massimo in termini di saldo strutturale (media su due anni) (<-0,25%)

0,8

-0,1

-0,2

0,0

0,1

0,1

 

 

 

 

 

 

 

(1)  L'aggregato di spesa di riferimento è coerente con i valori presentati nel conto della PA, sottraendo al totale delle spese a politiche invariate l’ammontare della spesa per interessi, delle spese finanziate con fondi UE, la componente ciclica delle indennità di disoccupazione e considerando la spesa media per investimenti (calcolata sull’anno in corso e i precedenti tre anni). Sono inoltre sottratte le misure discrezionali sulle entrate e i contributi sociali. Il tasso di crescita della spesa di riferimento è stato deflazionato negli anni 2011-2015 come richiesto dal Vademecum on the Stability and Growth Pact (sezione 1.3.2.3); per il 2016 e gli anni seguenti si è utilizzato il deflatore medio delle 2015 Spring e Autumn Forecast. Il benchmark del 2016 è stato ottenuto considerando la media decennale del tasso di crescita del potenziale delle 2015 Spring Forecast della Commissione Europea. Per gli anni 2017-2019, è stato considerato il tasso di crescita potenziale medio centrato sull’anno in corso delle 2016 Winter Forecast. Relativamente alla definizione del margine di convergenza per gli anni 2017-2019, si è proceduto considerando il livello della spesa primaria dell’anno in corso riportato dalle 2016 Winter Forecast.

Nota: i tassi di crescita dell'aggregato di spesa nella linea 10 sono ricavati considerando il valore attuale in linea 9 al netto dell'impatto della variazione delle discretionary tax measures rispetto al valore dell'aggregato di spesa in termini nominali dell'anno precedente riportato alla riga 7. In linea con la pratica decisa a livello europeo, le deviazioni passate vengono congelate. Pertanto, la deviazione su un anno e su due anni del 2014 è stata tenuta costante rispetto all’assessment ex post effettuato dalla Commissione.

Fonte: DEF 2016 (Doc. LVII, n. 4), Sezione I.

Nel 2015, in corrispondenza di condizioni cicliche definibili[45] come particolarmente avverse, cd. very bad times (output gap pari a -3,6 per cento del PIL potenziale, -3,4% nello scenario programmatico), l’aggiustamento richiesto del saldo strutturale e il margine di convergenza della regola di spesa dovrebbero garantire un miglioramento di 0,25 punti percentuali di PIL in termini strutturali. Mentre su base annua, il deficit strutturale si è ridotto in linea con quanto richiesto, esso registra una deviazione di circa 0,1 punti percentuali di PIL in media su due anni. Per quanto riguarda la regola di spesa, la deviazione su base annua sarebbe di 0,4 punti di PIL (inferiore alla soglia di 0,5 che farebbe scattare l’allarme per una deviazione significativa) e di 0,1 punti percentuali su due anni.

Per il 2016, in presenza di condizioni avverse, cd. bad times a fronte di un obiettivo di miglioramento strutturale dello 0,5 per cento del Pil e in considerazione del limite massimo di flessibilità conseguente all’attivazione cumulata della clausola delle riforme e degli investimenti (-0,75 per cento), l'indebitamento netto strutturale può aumentare di 0,25 punti percentuali di PIL rispetto al 2015. L’aggregato spesa può invece aumentare dello 0,6 per cento in termini reali.

A fronte di tali parametri, nel 2016 è possibile riscontrare deviazioni non significative del saldo strutturale di 0,4 punti percentuali di PIL su base annua e di 0,2 punti percentuali di PIL sulla media del 2015 e del 2016. In relazione alla regola della spesa si registrerebbe una deviazione nulla su base annua e dello 0,2 per cento sulla media dei due anni, dunque, entrambe compatibili con il rispetto della regola.

Nel 2017 la riduzione del saldo strutturale richiesta è superiore a 0,5 punti percentuali di PIL, rilevandosi un pieno rispetto della regola (deviazioni nulle). L’aggregato spesa è atteso ridursi dell’1,3 per cento in termini reali.

 

La regola della spesa

I regolamenti europei che costituiscono il c.d. six pack[46] hanno introdotto nell'ambito del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita (PSC) un vincolo alla crescita della spesa (expenditure benchmark), diretto a rafforzare il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine, parametrato al tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale.

Le specifiche riguardanti l'attuazione del PSC e le linee guida su il formato e il contenuto dei programmi di stabilità e convergenza sono definite all'interno del cd. Codice di condotta.

Quest'ultimo stabilisce che il tasso di crescita di medio periodo del PIL potenziale sia calcolato come media delle stime dei precedenti 5 esercizi, della stima per l'esercizio corrente e delle proiezioni per i 4 esercizi successivi.

Il calcolo del benchmark viene aggiornato periodicamente e comunicato agli Stati membri: per quanto riguarda l’Italia, il valore relativo al 2014 è pari a 0, al 2015 è pari a -0,5 per cento, al 2016 è pari a 0,6, al 2017 è pari a -1,3, al 2018 è pari a -0,3 e infine al 2019 è pari a zero.

 

Tabella 23 - Limite massimo alla crescita dell'aggregato di spesa (2013-2019)

 

Fonte: DEF 2016 (Doc. LVII, n. 4), pag. 61 dello stampato.

 

L'aggregato di spesa pubblica sottoposto a valutazione è individuato nel totale della spesa delle Amministrazioni Pubbliche[47] diminuito della spesa per interessi, della spesa nei programmi europei per la quota coperta da fondi comunitari e della componente legata al ciclo delle spese non discrezionali per indennità di disoccupazione[48]. L'aggregato deve essere poi depurato dalla volatilità intrinseca della spesa per investimenti, prevedendo che il valore iscritto in ciascun esercizio sia sostituito da un valore medio calcolato sulla base della spesa per l'esercizio in corso e quella relativa ai tre esercizi precedenti. Deve inoltre essere aggiunta la stima delle maggiori spese, rispetto a quelle iscritte nel tendenziale a legislazione vigente, secondo lo scenario a politiche invariate.

Al valore della spesa così ottenuto devono essere sottratte le entrate derivanti da misure discrezionali, considerando l’incremento rilevato (o atteso) nell’anno t rispetto all’esercizio precedente (t-1). A queste si aggiungono (purché non ricomprese nella precedente voce o già scontate nei tendenziali) le eventuali maggiori entrate derivanti da innalzamenti automatici di imposte e/o tasse previsti dalla legislazione a copertura di poste specifiche di spesa[49].

Poiché il PIL potenziale è stimato in termini reali, la spesa così determinata è deflazionata con il deflatore del PIL quale risulta dalle previsioni della Commissione, in particolare si utilizzano le medie dei valori del deflatore del PIL indicati per ciascun anno dalle previsioni della Commissione pubblicate nell’anno precedente (media previsioni Spring e Autumn). Per gli anni successivi a quelli per i quali si dispongono le previsioni della Commissione, si utilizzano i valori del deflatore indicati dai Governi nell’aggiornamento annuale dei Programmi di stabilità.

Il limite massimo per la variazione della spesa è diverso a seconda della posizione di ciascuno Stato rispetto all'OMT, in quanto è diretto a garantire la coerenza con il percorso di convergenza concordato.

Per gli Stati membri che hanno già raggiunto l'OMT, la crescita della spesa pubblica non deve essere più elevata del parametro medio relativo al PIL potenziale. Eventuali dinamiche di crescita superiori possono essere consentite soltanto se compensate da misure discrezionali dal lato delle entrate di pari ammontare.

Per gli Stati che non hanno ancora raggiunto l'OMT, il tasso di crescita della spesa deve essere inferiore a quello del PIL potenziale e coerente con un miglioramento del saldo strutturale di almeno 0,5 punti in termini di PIL.

Per i paesi che non hanno raggiunto l’OMT, il calcolo del benchmark (L = lower rate) si basa sulla seguente formula, in cui R è il tasso di riferimento pari al tasso di crescita del PIL potenziale, P la quota (in percentuale del PIL) della spesa al netto degli interessi e -50/P il c.d. shortfall (L = R – 50/P). Lo shortfall è applicato anche nell’anno di raggiungimento dell’OMT in quanto considerato “strumentale” rispetto all’obiettivo medesimo.

Il rispetto del benchmark viene valutato ex post nell’ambito del giudizio sull’avvicinamento o raggiungimento dell’OMT. Uno scostamento nella dinamica della spesa dal valore di riferimento non ha conseguenze se il Paese ha già raggiunto l’OMT e questo non sia pregiudicato.

Per un Paese che non abbia raggiunto l’OMT e che presenti una deviazione del saldo di bilancio rispetto al percorso di avvicinamento pari o superiore allo 0,5 per cento del PIL in un anno (o cumulativamente in due anni), lo scostamento viene considerato significativo se la spesa al netto delle misure discrezionali sulle entrate ha un impatto sul saldo pari ad almeno allo 0,5 per cento del PIL in un anno (o cumulativamente in due anni).

2.3 I margini di flessibilità del patto di stabilità e crescita

Flessibilità richiesta nei documenti programmatici del 2015

Il Documento in esame ricorda che, in coerenza con la Comunicazione della Commissione europea sulla Flessibilità nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC) del gennaio 2015, nei documenti programmatici presentati nel 2015 è stato previsto il ricorso a margini di flessibilità per l’adozione di un percorso di miglioramento del saldo strutturale più graduale rispetto a quello previsto nell’ambito del Patto di stabilità e crescita. Complessivamente, per il 2016, gli scostamenti richiesti - indicati nel DEF 2015 e nella relativa Nota di aggiornamento e riportati nel Documento programmatico di bilancio 2016 dell’ottobre scorso - riguardavano:

§  il ricorso alla clausola delle riforme strutturali nella misura complessiva dello 0,5 per cento del PIL;

§  l’attivazione della clausola degli investimenti nella misura dello 0,3 per cento del PIL;

§  la richiesta di un ulteriore spazio di flessibilità per tenere conto delle spese relative all’emergenza immigrazione ove la Commissione europea avesse accolto la richiesta del Governo di riconoscere la natura eccezionale dei costi relativi all’accoglienza degli immigrati.

Parere della Commissione sul DPB 2016 e Posizione comune del febbraio 2016

Il parere della Commissione europea sul Documento programmatico di bilancio presentato dall’Italia[50] evidenzia che in sede di valutazione del Programma di stabilità da presentare nell’aprile 2016 e nel contesto della "valutazione globale" di un'eventuale deviazione dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di bilancio a medio termine, la Commissione terrà conto delle considerazioni esposte riguardo all'eventuale ammissibilità dell'Italia a godere di margini di flessibilità nell'ambito del patto di stabilità e crescita.

Viene comunque osservato che i criteri di ammissibilità riferiti alla clausola sugli investimenti sono soddisfatti e che gli ulteriori margini di flessibilità connessi con la clausola delle riforme saranno valutati in occasione appunto della presentazione dei PSC e PNR del 2016. Per quanto riguarda la richiesta di un margine di manovra pari a 0,2 punti percentuali di PIL per far fronte ai costi relativi all'accoglienza degli immigrati, la Commissione rileva che, sebbene tale fenomeno sia configurabile come un evento eccezionale non soggetto al controllo del Governo ai sensi dell'art. 5, par. 1, e dell'art. 6, par. 3, del regolamento (CE) n. 1466/97, i dati del Documento programmatico di bilancio non prevedono costi aggiuntivi per il 2016 rispetto al 2015. La valutazione dell'impatto sul bilancio sarà pertanto effettuata basandosi sui dati di osservazione trasmessi dalle autorità italiane.

 

La Posizione comune approvata dal Consiglio ECOFIN nel febbraio 2016 [51] ha introdotto alcuni elementi di novità rispetto alla Comunicazione della Commissione in materia di flessibilità del gennaio 2015. In particolare:

§  è stata precisata l’applicabilità della Clausola per gli investimenti a progetti di investimento cofinanziati dai diversi Fondi strutturali e di investimenti europei. Il Documento in esame precisa che alcuni di questi risultano già considerati nella richiesta dell’Italia, anche se non esplicitamente menzionati nella precedente Comunicazione della Commissione UE del gennaio 2015;

§  è stata indicata una misura massima dello 0,5 per cento del PIL alla deviazione dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine consentita per la Clausola degli investimenti, in analogia a quanto previsto per la Clausola delle riforme;

§  è stato previsto un limite massimo dello 0,75 per cento alla deviazione complessiva che si ottiene cumulando le due clausole.

Clausola delle riforme strutturali

Con particolare riferimento alla Clausola delle riforme strutturali, la comunicazione della Commissione UE del 13 gennaio 2015 ha chiarito le tipologie di riforme che possono essere considerate nell’ambito del Patto e ha precisato le condizioni che rendono possibile l’attivazione della clausola[52]. Viene tra l’altro prescritto che: la deviazione temporanea consentita per effetto dell’applicazione della clausola non deve superare lo 0,5% del PIL; l’obiettivo di medio termine dovrebbe comunque essere raggiunto entro i quattro anni coperti dal programma di stabilità; la deviazione dall’obiettivo a medio termine non dovrebbe determinare il superamento del valore di riferimento del 3% del PIL fissato per il disavanzo.

Nel DEF 2015[53] il Governo ha previsto l’utilizzo, nel 2016, degli spazi di flessibilità derivanti dall’attivazione della cosiddetta clausola delle riforme strutturali, per un importo pari allo 0,4 per cento del PIL nel 2016. La Nota di aggiornamento al DEF 2015, nel confermare tale indirizzo prevedeva un’ulteriore richiesta di flessibilità per il 2016 per 0,1 punti percentuali di PIL in relazione all’applicazione della medesima Clausola.

Il Documento in esame conferma tale intenzione e dà conto delle principali linee di riforma per il periodo di programmazione nonché dell’impatto finanziario delle misure contenute nel Programma nazionale delle riforme.

Clausola degli investimenti

In ordine alla Clausola sugli investimenti pubblici, la Comunicazione della Commissione UE del 13 gennaio 2015 afferma che nel braccio preventivo del Patto alcuni investimenti sono considerati equivalenti a importanti riforme strutturali e possono giustificare, a determinate condizioni, una deviazione temporanea dello Stato membro dall’Obiettivo a medio termine o dal percorso di avvicinamento ad esso. La Comunicazione chiarisce i profili applicativi della clausola con riferimento alle condizioni prescritte ed alle diverse tipologie di spesa. Una prima categoria di spese oggetto di considerazione è rappresentata dai contributi degli Stati membri al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), i quali, secondo la Comunicazione, non avranno alcuna incidenza nel braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita. Saranno infatti considerati spese una tantum, in quanto tali prive di effetti sul percorso di avvicinamento all’OMT, che è definito facendo riferimento al saldo strutturale.

Riguardo invece alle altre spese di investimento - compresi i cofinanziamenti di Stati membri per progetti di investimento finanziati anche dal FEIS - la comunicazione precisa che questi potranno essere considerati ai fini dell'applicazione della clausola sugli investimenti, a condizione che siano rispettati i seguenti requisiti:

§  crescita del PIL negativa o significativamente al di sotto del potenziale;

§  rispetto del valore di riferimento del 3% fissato per il disavanzo, mantenendo un opportuno margine di sicurezza;

§  finalizzazione delle spese a progetti cofinanziati dall’UE nel quadro della politica strutturale e di coesione, delle reti transeuropee e del meccanismo per collegare l’Europa, nonché al cofinanziamento di progetti di investimento finanziati anche dal FEIS;

§  effetti a lungo termine positivi, diretti e verificabili sul bilancio;

§  effettivo incremento del livello nazionale di investimenti pubblici totali;

§  temporaneità della deviazione e conseguimento dell’Obiettivo a medio termine entro i quattro anni coperti dal programma di stabilità o di convergenza.

 

Il Documento in esame, nel ricordare che la Commissione, nella Opinione espressa sul DBP italiano a novembre 2015, ha già verificato la coerenza con i requisiti di eleggibilità per l’applicazione della flessibilità sugli investimenti, evidenzia che il Governo Italiano ritiene che tali criteri continuino ad essere soddisfatti. Infatti :

§  in merito alla condizione relativa al rispetto dei parametri del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita, il DEF evidenzia che nello scenario programmatico il deficit strutturale è stimato allo 0,6 per cento del PIL nel 2015 (a fronte di un deficit dello 0,3 nel DBP 2016), mentre secondo le Winter Forecast della Commissione esso si colloca all’1,0 per cento. Entrambe le stime assicurano una distanza dall’obiettivo di medio termine inferiore all’1,5 per cento del PIL, come richiesto dalle regole europee;

§  il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine, pur essendo stato posticipato dal 2018 al 2019, rimane all’interno del periodo di previsione del Programma di Stabilità;

§  nel 2016, l’anno di attivazione delle clausole, il deficit strutturale è stimato all’1,2 per cento del PIL, un livello inferiore del cosiddetto safety margin (margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3% stabilita nel braccio correttivo del Patto[54]) pari all’1,7 per cento del PIL per l’Italia;

§  riguardo all’output gap, che in base ai criteri di ammissibilità non deve essere superiore a -1,5 per cento del prodotto potenziale, il DEF stima tale valore pari al -2,3 per cento mentre le previsioni della Commissione (Winter Forecast) lo collocano all’-1,5 per cento del potenziale;

§  in merito al carattere aggiuntivo rispetto agli investimenti finanziati interamente da risorse nazionali, il DEF evidenzia che le stime a legislazione vigente indicano una crescita del 2 per cento degli investimenti fissi lordi della PA. Un andamento simile è previsto nelle Winter Forecast (+1,13 per cento).

 

In un apposito Focus il Documento in esame riporta quindi informazioni di dettaglio relative al Piano investimenti inviate alle istituzioni europee lo scorso mese di febbraio. Tale approfondimento evidenzia che al 5 febbraio 2016 risultano in corso procedure che corrispondono a un ammontare di spesa nazionale cofinanziata pari a 4,4 miliardi, di cui 2,6 miliardi per progetti e opere di investimento già finanziati, a fronte della spesa nazionale su progetti cofinanziati dall’Unione Europea di 5,2 miliardi considerata per la Clausola investimenti.

Spese connesse all’immigrazione

Nel Documento programmatico di bilancio dell’ottobre 2015, in coerenza con quanto previsto nella Nota di aggiornamento del DEF, veniva riportata la richiesta di un ulteriore margine di flessibilità per la spesa collegata all’emergenza dei rifugiati pari a circa 3,3 miliardi di euro (0,2 per cento del PIL) per il 2016[55].

 

Il Documento in esame evidenzia che:

§  la Commissione europea ha annunciato già nelle Winter Forecast un attento monitoraggio della situazione relativa alle spese per rifugiati sulla base dei dati forniti dalle autorità degli Stati Membri interessati al fine di determinare gli importi eleggibili anche ai fini del calcolo dell’indebitamento strutturale. L’informazione sarà utilizzata per valutare ex post le possibili deviazioni dagli obiettivi 2015 e 2016 riconducibili a costi addizionali legati all’emergenza rifugiati;

§  l’esclusione dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita soltanto della maggiore spesa per l’emergenza migranti negli anni 2015 e 2016, rispetto a quella sostenuta l’anno precedente, penalizza l’Italia che sta spendendo ogni anno dal 2014 in poi da 2 a 2,5 volte la spesa media del triennio 2011-2013;

§  in assenza di una definizione stringente a livello europeo sulla nozione di ‘spesa per i rifugiati’ l’Italia ha proceduto - cosi come altri paesi - a una stima autonoma che tiene conto della spesa per l’accoglienza, per il soccorso in mare e per i riflessi immediati su sanità e istruzione;

§  la stima della spesa connessa alla crisi dei rifugiati è stata quindi aggiornata per tenere conto delle successive evoluzioni e approfondimenti effettuati sui dati. A tal fine nel Documento viene riportato il seguente prospetto delle spese per l’immigrazione dal quale emerge un impatto sul bilancio dell’emergenza migranti, in termini di indebitamento netto e al netto dei contributi dell’Unione Europea, quantificabile in 2,6 miliardi per il 2015 e 3,3 miliardi per il 2016 (nello scenario costante ossia in assenza di un ulteriore acuirsi della crisi). La variazione della spesa sul PIL è dello 0,03 per cento nel 2015 rispetto all’anno precedente e dello 0,04 per cento nel 2016 rispetto al 2015.

Tabella 24 Stima della spesa sostenuta per la crisi migranti. Anni 2011-2016 (DEF 2016)

 

2011

2012

2013

2014

2015

2016

 

milioni di euro

 

 

 

 

Totale scenario costante

922

899

1.356

2.205

2.736

3.431

Totale scenario di crescita

-

-

-

-

2.736

4.227

 

in % sul totale

 

 

 

 

Soccorso in mare

32,8

22,5

35.4

44,5

28,6

25,4

Accoglienza

36,2

43,6

41,5

33,1

51,2

58,3

Sanità e istruzione

31,0

34,0

23,1

22,4

20,2

16,3

 

in % sul totale

 

 

 

 

Corrente

95,7

93,0

78,7

84,6

90,7

87,7

Capitale

4,3

7,0

21,3

15,4

9,3

12,3

 

in % del PIL

 

 

 

 

Contributi UE

94

65

101

160

120

112

Totale al netto dei contributi UE (scenario costante)

828

834

1.255

2.045

2.615

3.319

Impatto totale sul disavanzo nominale al netto dei contributi UE (% del PIL)

0,05

0,05

0,08

0,13

0,16

0,20

Nota: I dati non comprendono la spesa relativa all’emergenza Nord Africa, aperta nel 2011 e chiusa il 1° gennaio 2013. Lo scenario di crescita considera una presa in carico di circa mille minori aggiuntivi l’anno a un costo medio di 45 euro al giorno, di circa 62 mila persone aggiuntive nelle strutture di accoglienza governativa e temporanee a un costo medio di 32,5 euro al giorno e di circa 3,5 mila richiedenti asilo e rifugiati aggiuntivi nel sistema di protezione a un costo medio di 35 euro al giorno.

Fonte: Elaborazioni MEF-RGS

 

Il DEF precisa che, rispetto ai dati presentati lo scorso ottobre nel Documento programmatico di bilancio, è stata rivista l’intera serie storica per tenere conto dei seguenti elementi: calcolo degli effetti sull’indebitamento al netto degli oneri riflessi (fiscali e contributivi), migliore delimitazione alle spese strettamente connesse all’accoglienza, revisione della spesa sanitaria per tenere conto del numero effettivo di richiedenti asilo, dati di preconsuntivo per il 2015 e aggiornamento del fabbisogno previsto per il 2016 in base alle presenze di fine anno nei centri di accoglienza.

Nella tabella che segue è riportato un raffronto tra i dati di spesa riferiti agli anni 2014-2016, contenuti nel Documento programmatico di bilancio dell’ottobre scorso, e i dati aggiornati contenuti nel Documento in esame.

Per il triennio 2011-2013 il raffronto è limitato ai valori medi in quanto il Documento programmatico di bilancio non indicava i livelli di spesa annua.

Tabella 25 - Raffronto DPB 2016-DEF 2016 (Media 2011-2013 e anni 2014, 2015, 2016)

(milioni di euro)

 

Media

2011-2013

2014

2015

2016

 

DPB

DEF

(Diff

DEF DPB)

DPB

DEF

(Diff.

DEF-DPB)

DPB

DEF

(Diff.

DEF-DPB)

DPB

DEF

(Diff.

DEF-DPB)

Totale scenario costante

1326,88

1.059

-267,88

2.668,84

2.205

-463,84

3.326,53

2.736

-590,53

3.302,33

3.431

128,67

Totale scenario di crescita

 

 

 

-

-

 

3.326,53

2.736

-590,53

3.994,29

4.227

232,71

Totale al netto dei contributi UE (scenario costante)

1.240,14

972

-268,14

2.508,65

2.045

-463,65

3.206,34

2.615

-591,34

3.190,27

3.319

128,73

Fonte: Elaborazioni su dati contenuti nel DEF 2016 e nel DPB 2015

Dal raffronto emerge un incremento rispetto alla stima di ottobre per il 2016 (128,7 milioni) ed una riduzione per il 2015 (-591,3 milioni) e il 2014 (-463,6 milioni). Si riduce altresì il dato riferito alla spesa media per il periodo 2011-2013 (-268 milioni circa). Quest’ultima revisione sembra imputabile soprattutto alla mancata inclusione nei dati aggiornati forniti dal DEF delle spese per l’emergenza immigrazione dal Nord Africa. Il DEF precisa infatti che, al fine di determinare il livello di spesa aggiuntiva derivante dall’emergenza, il raffronto è effettuato con la spesa media sostenuta in condizioni ordinarie, escludendo quindi gli effetti dei flussi registrati a seguito della ‘primavera araba’, che ha determinato un’ondata straordinaria di rifugiati tra fine 2011 e il 2012.

Dai dati riportati emerge che la spesa del 2016 al netto dei contributi UE supererebbe quella del 2015 di circa 0,7 miliardi e quella media del periodo 2011-2013 di circa 2,35 miliardi.

In termini cumulativi, la spesa effettuata a fronte dell’attuale crisi umanitaria rispetto a quella degli anni 2011-2013 è stimata dal DEF pari a circa 5 miliardi (5,063 miliardi secondo i dati riportati nelle precedenti tabelle).

Considerazioni del DEF 2016 sull’utilizzo dei margini di flessibilità

Complessivamente, in merito all’utilizzo dei margini di flessibilità insiti nel Patto di stabilità e crescita, il Documento in esame fa presente quanto segue:

§  in coerenza con la Comunicazione della Commissione Europea sulla Flessibilità nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC) del gennaio 2015, l’Italia ha richiesto per il 2016 0,5 punti di flessibilità per le riforme strutturali e 0,3 per gli investimenti pubblici. Si è inoltre domandata ulteriore flessibilità nella misura di 0,2 punti percentuali per tenere conto delle spese relative all’emergenza immigrazione;

§  nel luglio 2015, sulla base di una richiesta iniziale di flessibilità da parte dell’Italia pari a 0,4 punti percentuali, il Consiglio Europeo raccomandava all’Italia di migliorare il saldo strutturale nel 2016 in misura pari a 0,1 punti. Tale deviazione è stata accordata dal Consiglio Europeo nelle Raccomandazioni specifiche rivolte all’Italia nel Semestre Europeo 2015, in cui si raccomandava all’Italia di migliorare il saldo strutturale nel 2016 in misura pari a 0,1 punti percentuali di PIL;

§  successivamente il Consiglio ECOFIN ha deciso di porre un limite pari a 0,75 punti percentuali all’ammontare complessivo della clausola riforme e di quella degli investimenti;

§  qualora la richiesta di flessibilità da parte dell’Italia fosse pienamente accolta, secondo quanto indicato dal DEF, “la raccomandazione originaria del Consiglio si tradurrebbe in una variazione del saldo strutturale nel 2016 pari a -0,25 punti”. In rapporto a questo nuovo benchmark, la variazione nel percorso verso l’obiettivo di medio termine prevista dal Documento medesimo non costituirebbe una ‘deviazione significativa’ e quindi “risulterebbe compatibile con il ‘braccio preventivo’ del PSC.”, cfr. in particolare il paragrafo seguente.

2.4 Gli indicatori di finanza pubblica

Con riferimento al 2016, in corrispondenza di un indebitamento netto previsto al 2,3 per cento del PIL[56], il saldo strutturale dovrebbe attestarsi all’1,2 per cento del PIL, in peggioramento di 0,7 punti percentuali rispetto al 2015.

Sul punto si deve considerare che per il 2016 l’Italia ha richiesto, come ricordato sopra, 0,8 punti di flessibilità (0,5 punti per le riforme strutturali e 0,3 per gli investimenti pubblici). Alla luce del limite complessivo alla flessibilità complessiva accordabile a un Paese posto dalle istituzioni comunitarie a 0,75 punti percentuali, qualora la richiesta dell'Italia fosse pienamente accolta, la raccomandazione originaria del Consiglio dello scorso luglio 2015 (corrispondente a una correzione di 0,1 punti, a fronte di una richiesta di flessibilità originaria di 0,4 punti) si tradurrebbe in un peggioramento del saldo strutturale nel 2016 pari a 0,25 punti (derivante dalla somma tra l'ulteriore margine teorico di 0,35 punti e la correzione originaria di 0,1 punti). La citata variazione strutturale di 0,7 punti, discostandosi di 0,45 punti dal limite di 0,25 punti, non costituirebbe una "deviazione significativa" nella misura in cui collocandosi al di sotto del tetto di 0,5 punti percentuali sarebbe compatibile con le regole del "braccio preventivo" del PSC .

 

L'indebitamento netto è previsto ridursi nello scenario programmatico portandosi all’1,8 per cento del PIL nel 2017 e allo 0,9 nel 2018, e, infine, in posizione di leggero avanzo nel 2019 (0,1 per cento del PIL).

Tali valori descrivono un percorso di riduzione del deficit meno ambizioso di quanto prospettato nei due precedenti documenti programmatici, facendo registrare una forbice massima nei due anni del biennio 2017-2018 di 0,7 punti percentuali rispetto al precedente valore, e di soli 0,2 punti percentuali alla fine dell'orizzonte di previsione cfr. Tabella 26 .

Su base strutturale il documento precisa che, secondo le stime del Dipartimento del Tesoro basate sulla metodologia concordata in sede europea, il saldo migliorerebbe dal -1,2 per cento del PIL del 2016 al -1,1 per cento nel 2017 e quindi al -0,8 nel 2018 e al -0,2 per cento nel 2019, assicurando così il sostanziale conseguimento dell’Obiettivo di Medio Termine (pareggio di bilancio) [57].


Tabella 26 - Obiettivi programmatici della P.A. Rapporti sul PIL

(in percentuale del PIL)

Fonti: elaborazioni su DEF 2016, Nota di aggiornamento del DEF 2015 e DEF 2015


Anche in questo caso, come riportato in tabella in tutti gli anni dell'orizzonte di previsione si registra un peggioramento del saldo di bilancio strutturale rispetto al DEF 2015 e al suo aggiornamento autunnale.

 

Con riferimento al 2017, anno in cui dovrebbero diventare operative le clausole di salvaguardia pari a circa lo 0,9 per cento del PIL, il Governo dichiara di essere intenzionato a impostare la Legge di Stabilità per il 2017 al fine di attuare una manovra alternativa alle clausole. Manovra che verrà definita nei prossimi mesi, nel rispetto del nuovo obiettivo indebitamento netto pari all’1,8 per cento del PIL (più alto di 0,7 punti percentuali di Pil, rispetto al dato dell'ultima nota di aggiornamento e di 1 punto percentuale rispetto al Def dell'anno passato).

 

Gli obiettivi di indebitamento netto nominale del conto economico della pubblica amministrazione (tra parentesi i valori del Def dello scorso anno) sono pari a -3,0 per cento nel 2014, -2,6 per cento nel 2015, -2,3 (-1,8) per cento nel 2016, -1,8 (-0,8) per cento nel 2017, -0,9 (0) per cento nel 2018, per passare poi a un accreditamento netto pari allo 0,1 (0,4) per cento alla fine dell'orizzonte di riferimento (cfr. Tabella 26 e il Figura 13 ).

Figura 13 - Indebitamento netto programmatico: confronto tra DEF 2015, DPB 2015, Nota di aggiornamento del DEF 2014 e DEF 2014

(in percentuale del PIL)

Fonti: elaborazioni su DEF 2015, Nota di aggiornamento del DEF 2015 e DEF 2016

La stima della componente ciclica è stata rivista alla luce delle nuove previsioni macroeconomiche e risulta essere in miglioramento in tutti gli anni dell'orizzonte di previsione ad eccezione del 2018 dove è rimasta immutata.

 

La Figura 14 mostra l’evoluzione dell'indebitamento netto programmatico in relazione agli obiettivi strutturali e all’andamento stimato dell’output gap, cioè della misura del divario tra andamento economico effettivo e potenziale. Gli obiettivi nominali – dopo un picco nel 2014 – si riducono di entità, in conseguenza della progressiva chiusura attesa dell'output gap.

Figura 14 - Andamento del saldo nominale e strutturale in relazione all'output gap

(in percentuale del PIL)

Nota: il grafico presenta i valori del saldo nominale, strutturale e output gap a segni invertiti.

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

L’avanzo primario nominale viene mantenuto su livelli significativi in tutto il periodo di programmazione, collocandosi al 3,6 per cento nel 2015, al 2,8 per cento nel 2016 e nel 2018, al 2,7 per cento nel 2017, al 3,3 per cento nel 2019.

Gli interessi in rapporto al Pil sono nettamente decrescenti passando da 4,6 per cento nel 2014 a 3,5 punti di PIL nel 2019, dati in netto miglioramento rispetto ai precedenti documenti programmatici (cfr. Tabella 26 ).

 

Guardando al complesso dei dati in tabella (periodo 2015-2019) si registra un peggioramento del quadro di previsione rispetto allo scorso autunno, diretta conseguenza della scelta del Governo di richiedere una revisione del percorso di avvicinamento all'OMT a causa della presenza di eventi eccezionali come definiti dall'art. 6 della Legge 243 del 2012 al fine di conferire un'intonazione maggiormente espansiva alla politica di bilancio.

2.5 I saldi per sottosettore

Il DEF 2016 espone l’obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche; viene altresì indicato il saldo a legislazione vigente dei sottosettori della PA: amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza (Tabella 27 ), cfr. per un maggior dettaglio il paragrafo 1.3 L’analisi degli andamenti tendenziali per sottosettori .

Il DEF evidenzia che nell'intero periodo considerato le amministrazioni locali e gli enti di previdenza registrerebbero un indebitamento netto tendenziale stabile (pari a 0,1 punti di PIL). Il percorso di contenimento dell'indebitamento netto della PA viene pertanto riflesso nel saldo delle amministrazioni centrali, il quale passa dal -2,6 per cento del PIL nel 2016, al -1,7 nel 2017, al -0,5 per cento nel 2018, per poi passare al 0,2 per cento nel 2019.

La Tabella 27 mostra anche la variazione cumulata del saldo primario necessaria a ricondurre l'evoluzione dell'indebitamento netto della PA a legislazione vigente all'obiettivo programmatico.

 

Si rileva che - poiché il DEF 2016 non indica la ripartizione per sottosettore delle azioni di variazione richieste a partire dal 2016 - non è possibile desumere i saldi programmatici per sottosettore, sebbene tale articolazione sia richiesta dalla legge di contabilità (art. 10, comma 2, lett. e) della legge n. 196 del 2009). Si ricorda che la legge di contabilità richiede che i saldi programmatici siano articolati per sottosettore (art. 10, comma 2, lett. e), della legge n. 196 del 2009).

Tabella 27 - Indebitamento netto per sottosettore

(in percentuale del PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

Amministrazioni pubbliche (programmatico)

-3,0

-2,6

-2,3

-1,8

-0,9

0,1

Amministrazioni pubbliche (tendenziale)

-3,0

-2,6

-2,3

-1,4

-0,3

0,4

Correzione del saldo primario

-

0,0

-0,4

-0,6

-0,3

Amministrazioni centrali (tendenziale)

-

-2,9

-2,6

-1,7

-0,5

0,2

Amministrazioni locali (tendenziale)

-

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

Enti di previdenza (tendenziale)

-

0,1

0,1

0,1

0,1

0,1

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Nota: eventuali incongruenze tra le cifre sono dovute agli arrotondamenti.

2.6 Spesa per interessi, fabbisogno e debito

La spesa per interessi

Dai dati di consuntivo per il 2015, la spesa per interessi risulta pari nel 2015 a 68.440 milioni, con una riduzione rispetto al dato del 2014 di 5.900 milioni, pari a circa l’8 per cento.

Dal confronto con le precedenti stime si osserva una riduzione di 1.591 milioni rispetto al valore stimato per il 2015 nella Nota tecnico illustrativa.

 

Negli anni 2016 e 2017 le previsioni a legislazione vigente mostrano una spesa per interessi pari, in valore assoluto, rispettivamente a 66.911 milioni e a 65.186 milioni. L’andamento decrescente è confermato dalle previsioni riferite al 2018 e al 2019, esercizio nel quale l’aggregato di spesa raggiunge il valore di 64.002 milioni, stabilizzandosi su un livello sostanzialmente identico a quello del 2018.

In termini di incidenza sul PIL, la spesa si colloca, rispettivamente, al 4 e al 3,8 per cento nei due anni considerati, per passare al 3,6 per cento nel 2018 ed attestarsi ad un valore pari a 3,5 punti percentuali di PIL alla fine del periodo considerato (2019).

Rispetto alle precedenti stime, si osserva che la NTI aveva corretto al rialzo le previsioni del DEF 2015 soprattutto con riferimento agli esercizi 2017 e 2018. Le nuove previsioni assumono invece, per tutto il periodo considerato, valori inferiori sia a quelli del DEF 2015 sia a quelli della NTI: in particolare, rispetto a queste ultime previsioni, si registra una correzione di circa il 6,2 per cento nel 2016, l’8,4 per cento nel 2017 e il 10,9 per cento nel 2018. La correzione supera quindi in percentuale la revisione (pari al 2,3 per cento) operata sui dati di consuntivo 2015.

Per quanto riguarda il 2019, il più recente dato di raffronto con le previsioni in esame è quello contenuto nella Nota di Aggiornamento al DEF 2015 (settembre 2015), che espone un livello di spesa pari a 72.949 milioni, rispetto al quale la revisione operata dal Documento in esame risulta del 12,3 per cento.

Il Documento in esame precisa che nel 2015 la riduzione della spesa per interessi, calcolata in base al criterio di competenza economica SEC2010, pari a quasi 6 miliardi rispetto al 2014, riguarda per oltre 5 miliardi le Amministrazioni centrali: in particolare i titoli di Stato per circa 4 miliardi di euro e le giacenze presso la Tesoreria dello Stato di enti non facenti parte della PA per la restante parte.

Tabella 28 - Spesa per interessi: confronto tra DEF 2015, Nota di aggiornamento al DEF 2015, Nota tecnico illustrativa LS2016 e Documento di economia e finanzia 2016

(milioni di euro – in percentuale del PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

 

 

 

 

 

 

 

DEF 2015

(aprile 2015)

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

75.182

69.386

71.227

69.251

68.201

67.638

Variazione assoluta annua

- 2.760

- 5.796

1.841

- 1.976

- 1.050

- 563

Variazione %

-3,5

-7,7

2,7

-2,8

-1,5

-0,8

in % del PIL

4,7

4,2

4,2

4,0

3,8

3,7

PIL nominale

1.616.048

1.638.983

1.687.708

1.738.389

1.788.610

1.840.954

 

 

 

 

 

 

 

Nota di aggiornamento al DEF 2015 (settembre 2015)

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

 75.182

 70.031

 71.349

 71.163

 71.890

 72.949

Variazione assoluta annua

-2.760

-5.151

 1.318

-186

 727

 1.059

Variazione %

-3,5

-6,9

1,9

-0,3

1,0

1,5

in % del PIL

4,7

4,3

4,2

4,1

4,0

4,0

PIL nominale

1.616.300

1.635.144

1.681.893

1.732.988

1.784.568

1.834.700

 

 

 

 

 

 

 

NTI LS 2016

(gennaio 2016)

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

75.043

70.031

71.364

71.186

71.918

-

Variazione assoluta annua

- 2.899

- 5.012

1.333

- 178

732

-

Variazione %

-3,7

-6,7

1,9

-0,2

1,0

-

in % del PIL

4,6

4,3

4,3

4,1

4,0

-

PIL nominale

1.613.859

1.635.384

1.678.566

1.734.508

1.792.769

-

 

 

 

 

 

 

 

DEF 2016

(aprile 2016)

 

 

 

 

 

 

Spesa per interessi

74.340

68.440

66.911

65.186

64.075

64.002

Variazione assoluta annua

-3.228

-5.900

- 1.529

- 1.725

- 1.111

- 73

Variazione %

-4,2

-7,9

-2,2

-2,6

-1,7

-0,1

in % del PIL

4,6

4,2

4,0

3,8

3,6

3,5

PIL nominale

1.611.884

1.636.372

1.671.584

1.715.832

1.764.755

1.818.439

 

Fonte: Elaborazioni su dati MEF

Il Documento evidenzia per entrambi i casi, il ruolo della discesa dei tassi di interesse, dovuta in larga parte all’avvio del programma di acquisto di attività del settore pubblico sui mercati secondari (PSPP - Public Sector Purchase Programme) da parte della BCE, ma anche il contributo del calo dell’inflazione, sia europea che nazionale, considerato l’impatto di questa variabile sui relativi titoli indicizzati (BTP€i e BTP Italia).

Per gli anni 2016-2018, il Documento evidenzia che la spesa per interessi rispetto al PIL segue un percorso di riduzione progressiva, con una dinamica più contenuta rispetto alle riduzioni annue del periodo 2014-2015. Rispetto alla Nota di aggiornamento del settembre 2015, il Documento evidenzia che nel medesimo periodo 2016-2018 la riduzione media annua risulta attestarsi intorno a 0,37 punti percentuali di PIL, con una flessione invece più accentuata nel 2019, pari circa allo 0,5 per cento del PIL. La revisione della stima è riferita dal Documento in esame all’andamento previsto dei tassi di interesse e dell’inflazione attesa, caratterizzata da un incremento continuo - ma complessivamente modesto - sull’intero periodo, e dalla significativa riduzione del saldo di cassa del settore Pubblico, che consentirà di contenere i volumi di titoli in emissione.

In particolare, il Documento precisa che, alla base della significativa correzione delle stime della spesa per interessi, è innanzitutto il livello attuale e previsto dei tassi di interesse sulle emissioni future, così come desumibile dai tassi forward sui titoli governativi italiani: si tratta di livelli storicamente molto bassi, in particolare sulle scadenze di breve termine che attualmente presentano livelli prossimi allo zero se non negativi. La circostanza che quasi la metà delle emissioni di debito di ogni anno venga realizzata su queste scadenze – come rileva il DEF – rende evidente l’impatto sui conti pubblici di questa situazione di mercato, determinata in larga parte dalle scelte di politica monetaria non convenzionale adottate dalla Banca Centrale Europea nell’ultimo anno.

In proposito si ricorda che a marzo 2016[58] il Consiglio direttivo della BCE ha deciso: l’introduzione di un programma di acquisto di attività del settore societario quale componente aggiuntiva del programma di acquisto di attività (PAA); l’incremento a 80 miliardi di euro, a partire da aprile 2016, degli acquisti mensili effettuati nel complesso nell’ambito del PAA e una nuova serie di quattro operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (OMRLT II) a decorrere da giugno 2016.

Si segnala inoltre che, con Decisione del 10 marzo 2016, il Consiglio direttivo della BCE ha deliberato di ridurre di 5 punti base, allo 0,00%, il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema.

 

Inoltre, il Documento precisa che nei prossimi anni è prevista una riduzione, sebbene in misura contenuta, della pendenza della curva dei rendimenti che consentirà di proseguire nella strategia di allungamento delle scadenze del debito a costi ampiamente sostenibili. Infine, anche l’andamento previsto dell’inflazione, sia nazionale che europea, incorporato nelle previsioni e assunto in linea con le più recenti stime della BCE, contribuisce a rendere meno onerosi i titoli indicizzati a tali parametri.

Nella seguente tabella si riportano i dati forniti dal DEF riferiti alle ipotesi utilizzate riguardo all’andamento dei tassi di interesse a breve e a lungo termine.

Tabella 29 - Ipotesi utilizzate per i tassi di interesse

 

2015

2016

2017

2018

2019

 

 

 

 

 

 

Tasso di interesse a breve termine

n.d.

-0,15

0,0

0,31

0,75

Tasso di interesse a lungo termine

1,7

1,67

1,91

2,23

2,53

 

 

 

 

 

 

Fonte: PdS-DEF 2016

Nota: per tasso di interesse a breve termine si intende la media dei tassi previsti sui titoli di Stato a 3 mesi in emissione durante l’anno. Per tasso di interesse a lungo termine si intende la media dei tassi previsti sui titoli di Stato a 10 anni in emissione durante l’anno.

Il fabbisogno del settore pubblico

I risultati del 2015

Nel 2015 il settore pubblico[59] ha registrato incassi totali per 805.102 milioni e pagamenti totali per 857.095 milioni da cui scaturisce un fabbisogno pari a quasi 52 mld di euro. Considerando i pagamenti al netto della voce interessi passivi (76.824 milioni) si ottiene un saldo primario di segno positivo pari a poco meno di 25 miliardi di euro (24,83)

Nel confronto con il 2014, il fabbisogno registra un miglioramento (dal 4,4 per cento del PIL al 3,2 per cento) dovuto al deciso aumento degli incassi finali (38 miliardi), il cui effetto è stato in parte compensato dall'aumento anche dei pagamenti finali (20 miliardi circa).

 

La Tabella 30 consente un confronto del dato relativo al fabbisogno pubblico del 2015 con quello degli anni precedenti.

I pagamenti finali ammontano a circa 857 miliardi di euro, con un incremento di circa 20 miliardi (+2,4%) rispetto al livello registrato nel 2014 (837 miliardi) principalmente per effetto dei maggiori esborsi effettuati per pagamenti correnti (+16,7 miliardi).

In particolare, a fronte del netto calo registrato nelle erogazioni per interessi passivi (-7 miliardi, -8,4%) e della sostanziale stabilità della spesa per il personale, si è riscontrata una crescita delle altre voci di pagamenti correnti, in corrispondenza ai trasferimenti ad altri soggetti (+12.675 milioni,+3,4%)[60] e agli altri pagamenti correnti (poco meno di 6 miliardi,+14,3%).

Tabella 30 - Fabbisogno pubblico 2013-2015

 

milioni di euro

percentuale del PIL

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Incassi correnti

759.112

758.460

795.185

47,3

47,1

48,6

Incassi in conto capitale

7.207

6.675

4.957

0,4

0,4

0,3

Incassi partite finanziarie

3.665

1.748

4.961

0,2

0,1

0,3

TOTALE INCASSI

769.983

766.883

805.102

48,0

47,6

49,2

 

 

 

 

 

 

 

Pagamenti correnti

781.990

786.185

802.842

48,7

48,8

49,1

di cui interessi passivi

83.497

83.830

76.824

5,2

5,2

4,7

Pagamenti in conto capitale

46.512

42.154

44.121

2,9

2,6

2,7

Pagamenti partite finanziarie

14.467

8.675

10.133

0,9

0,5

0,6

TOTALE PAGAMENTI

842.969

837.014

857.095

52,5

51,9

52,4

 

 

 

 

 

 

 

Saldo di parte corrente

-22.878

-27.725

-7.657

-1,4

-1,7

-0,5

Saldo primario

10.511

13.699

24.831

0,7

0,8

1,5

Fabbisogno

-72.986

-70.131

-51.993

-4,5

-4,4

-3,2

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

Si è registrato un incremento anche per i pagamenti relativi all'acquisto di beni e servizi (+4.752 milioni,+3,6%), su cui ha inciso da un lato l’inclusione tra le amministrazioni centrali dei pagamenti effettuati dal Gestore dei Servizi Elettrici e dall’altro i risparmi realizzati dalle Amministrazioni locali.

I pagamenti in conto capitale si sono attestati a circa 44,1 miliardi, in aumento di circa 2 miliardi (+4,7%)[61], mentre quelli per partite finanziarie queste sono cresciute di circa 1,5 miliardi.

Quanto agli incassi finali questi aumentati di circa 38 miliardi rispetto al 2014, per effetto di maggiori incassi correnti (+38,5 miliardi), di minori incassi in conto capitale (2 miliardi) e di un aumento di quelli per partite finanziarie (+3 mld).

La Tabella 31 riporta l’analisi distinta del fabbisogno del settore pubblico mostrando il dettaglio delle Amministrazioni centrali e delle Amministrazioni locali[62]. I dati evidenziano un miglioramento del fabbisogno a livello di Amministrazioni centrali (da 75 miliardi del 2014 ai 60 miliardi del 2015), e un sensibile incremento, di quasi 4 miliardi, dell'attivo riferibile al comparto delle Amministrazioni locali dopo che nel 2014 si era registrata una flessione del medesimo saldo di circa 2 miliardi.

Tabella 31 - Fabbisogno pubblico 2013-2015 - Amministrazioni centrali e locali

(milioni di euro)

 

2013

2014

2015

Amministrazioni centrali

Incassi correnti

422.286

421.598

455.698

Incassi in conto capitale

3.121

3.725

2.234

Incassi partite finanziarie

5.032

3.037

3.395

TOTALE INCASSI

430.439

428.360

461.327

 

 

 

 

Pagamenti correnti

455.674

461.431

485.877

Pagamenti in conto capitale

28.409

23.634

23.536

Pagamenti partite finanziarie

25.625

18.168

12.126

TOTALE PAGAMENTI

509.708

503.233

521.539

 

 

 

 

Fabbisogno Amministrazioni centrali

-79.269

-74.873

-60.212

in percentuale del PIL

-4,9

-4,6

-3,7

 

Amministrazioni locali

Incassi correnti

228.105

231.717

235.117

Incassi in conto capitale

14.503

8.499

8.213

Incassi partite finanziarie

15.509

14.829

10.968

TOTALE INCASSI

258.117

255.044

254.299

 

 

 

 

Pagamenti correnti

220.348

223.375

216.172

Pagamenti in conto capitale

28.296

23.785

25.643

Pagamenti partite finanziarie

3.189

3.141

4.265

TOTALE PAGAMENTI

251.833

250.301

246.080

 

 

 

 

Fabbisogno Amministrazioni locali

6.283

4.743

8.219

in percentuale del PIL

0,4

0,3

0,5

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

Il comparto delle Amministrazioni centrali ha registrato nel 2015 un fabbisogno pari a 60,2 miliardi, in netta flessione - per quasi 15 miliardi di euro - rispetto al dato del 2014 (74,9 miliardi di euro). Il miglioramento è principalmente attribuibile ai miglioramenti registrati sia nel saldo di parte corrente (+9.655 milioni) che in quello relativo alle operazioni di carattere finanziario (+6.399 milioni), i cui effetti sono stati solo parzialmente compensati dal deterioramento dal saldo della gestione di parte capitale (-1.393 milioni). L’avanzo primario, pari a 13.163 milioni, è aumentato di ben 8.588 milioni rispetto al 2014[63].

In merito agli incassi di parte corrente risultano in aumento quelli tributari (+22.250 milioni, +6,0%), che a partire dal 2015 comprendono gli introiti relativi alla componente tariffaria A3 e subiscono gli effetti delle nuove disposizioni relative al modello di versamento delle imposte[64]. Tra i pagamenti di parte corrente, risultano in aumento gli acquisti di beni e servizi (+10.066 milioni, +65,6%), riconducibili principalmente all’operatività del GSE, i trasferimenti a famiglie (+5.760 milioni, +57,6%), prevalentemente connessi al riconoscimento dal mese di maggio 2014 del Bonus di 80 euro, e i trasferimenti alle Amministrazioni pubbliche (+2.346 milioni, +1,1%), nonostante il riversamento sui conti di tesoreria statale delle disponibilità liquide detenute dalle Camere di Commercio avvenuto nel 2015. Aumentano anche i trasferimenti a imprese (+5.356 milioni) per il motivo sopra riportato. Si contrae la spesa per interessi passivi (-6.073 milioni, -7,6%).

Tra le spese in conto capitale sono indicati in aumento i trasferimenti ad imprese (+2.096 milioni, +24,9%) riguardanti soprattutto il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, mentre si rileva la riduzione degli investimenti fissi lordi (-1.766 milioni, -20,1%)

Il miglioramento del saldo delle operazioni di carattere finanziario risente della flessione degli esborsi, che nel 2014 comprendevano circa 2.800 milioni relativi alla quota di sottoscrizione del capitale del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Inoltre, le anticipazioni fornite agli enti territoriali per i pagamenti dei debiti commerciali si sono ridotte da circa 12.400 milioni a 3.750 milioni di euro. In senso opposto hanno operato soprattutto il finanziamento alle Regioni per il rimborso anticipato di loro titoli obbligazionari (circa 2.800 milioni) e l’aumento dei depositi bancari (+1.200 milioni, a fronte di una riduzione di circa 600 nel 2014).

 

Il comparto delle Amministrazioni locali[65] evidenzia nel 2015 un saldo positivo pari a 8,2 miliardi, con un incremento di 3,5 miliardi rispetto al 2014.

Alla determinazione del saldo contribuisce un ammontare di incassi finali complessivi pari a 254.299 milioni (-746 milioni rispetto al 2014, -0,3%) e un ammontare di pagamenti finali complessivi pari a 246.080 milioni (-4.221 milioni rispetto al 2014, -1,7%)[66].

Dal lato dei pagamenti si registra, rispetto all’anno precedente, la riduzione delle spese per l’acquisto di beni e servizi (-5.741 milioni, -5,0%), dei trasferimenti correnti a imprese (-1.570 milioni), delle spese di personale (-1.249 milioni, -13,3%), l’aumento delle spese per investimenti fissi lordi (+1.537 milioni, +9,5%) e dei trasferimenti in conto capitale ad imprese (+176 milioni, +4,2%).

L’avanzo primario registra anch'esso un aumento, passando da 13.699 milioni nel 2014 a 24.831 milioni nel 2015.

Le disponibilità presso le contabilità speciali di tesoreria unica intestate a tutte le Regioni, presentano un aumento, rispetto al 1° gennaio 2015, pari a 1.767 milioni (passando da 13.973 a 15.740 milioni). Le giacenze dei conti correnti intestati a tutte le Regioni, presso la Tesoreria Statale, relativi all’IRAP - amministrazioni pubbliche, all’IRAP altri soggetti e all’Addizionale IRPEF hanno registrato una diminuzione complessiva, rispetto al 1°gennaio 2015, pari a 894 milioni.

Il Fabbisogno di cassa del settore pubblico: previsioni tendenziali 2016‑2019

Le previsioni del fabbisogno del settore pubblico, e della sua analisi per comparti, sono riportate nella Tabella 32 .

Per gli anni dal 2016 al 2019, il Documento di economia e finanza 2016 stima un fabbisogno del settore pubblico in costante miglioramento fino a raggiungere, nel 2019, il valore sostanziale azzeramento (in valore assoluto pari a 0,6 miliardi).

Per il 2016, in particolare, le previsioni indicano un fabbisogno del settore pubblico che si attesta a 52.398 milioni di euro, livello superiore di 403 milioni al consuntivo del 2015 (51.993 milioni di euro).

 

Tabella 32 - Fabbisogno pubblico tendenziale 2016-2019.

(milioni di euro)

 

2016

2017

2018

2019

Fabbisogno settore pubblico

Incassi correnti

805.038

822.494

848.251

871.118

Incassi in conto capitale

7.220

5.718

5.411

5.218

Incassi partite finanziarie

3.085

2.875

2.779

2.657

TOTALE INCASSI

815.343

831.087

856.441

878.992

Pagamenti correnti

810.499

810.139

817.091

822.311

Pagamenti in conto capitale

49.193

44.876

44.771

45.224

Pagamenti partite finanziarie

8.049

8.476

13.787

10.805

TOTALE PAGAMENTI

867.741

863.490

875.649

878.340

Fabbisogno

-52.398

-32.403

-19.208

652

in percentuale del PIL

-3,1

-1,9

-1,1

0,0

 

Comparto amministrazioni centrali

Incassi correnti

472.358

487.845

487.845

512.058

Incassi in conto capitale

3.546

2.192

1.882

1.712

Incassi partite finanziarie

3.395

3.127

3.067

2.989

TOTALE INCASSI

479.299

493.164

506.376

516.760

Pagamenti correnti

501.040

499.149

498.270

489.488

Pagamenti in conto capitale

26.540

24.538

25.451

24.827

Pagamenti partite finanziarie

7.345

5.138

5.162

5.341

TOTALE PAGAMENTI

534.925

528.825

528.883

519.616

Fabbisogno

-55.626

-35.661

-22.507

-2.857

in percentuale del PIL

-3,3

-2,1

-1,3

-0,2

 

Comparto amministrazioni locali

Incassi correnti

234.561

239.085

243.566

241.958

Incassi in conto capitale

9.292

8.822

8.933

8.664

Incassi partite finanziarie

5.716

3.153

3.161

3.152

TOTALE INCASSI

249.569

251.060

255.660

253.774

Pagamenti correnti

215.492

219.846

220.068

220.211

Pagamenti in conto capitale

26.366

25.024

24.149

25.120

Pagamenti partite finanziarie

4.483

2.932

8.145

4.934

TOTALE PAGAMENTI

246.340

247.803

252.362

250.265

Fabbisogno

3.228

3.257

3.298

3.509

in percentuale del PIL

0,2

0,2

0,2

0,2

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

Nel dettaglio delle previsioni in valore assoluto poste a raffronto con i dati del 2015, emerge per tale anno un incremento atteso di circa 10 miliardi degli incassi finali (da 805.102 milioni di euro a 815.343 milioni di euro) cui però si contrappone la previsione di un netto incremento, pressoché equivalente, previsto anche nei pagamenti finali (867.741 milioni di euro, contro 857.075 milioni registrati nell'anno 2015) con un saldo primario stimato in peggioramento (-1.195 milioni di euro).

Tali dinamiche, se rapportate in percentuale del PIL previsto per il 2016, evidenziano che gli incassi finali risultano stimati in flessione (al 48,8%, dal 49,2% del 2015, per un -0,4%), così come i pagamenti finali (al 51,9%, contro il 52,4% del 2015), con un saldo primario che flette dello 0,1% (si attestano all'1,4% dall'1,5% segnato nel 2015).

 

In un orizzonte pluriennale esteso al successivo triennio 2017-2019, le stime degli incassi finali evidenziano una maggiore dinamica per questo aggregato facendo registrare una crescita nominale su base annua dell’1,9 per cento nel 2017, del 3 per cento nel 2018 e del 2,6 per cento nel 2019.

Tali incrementi attesi si riflettono interamente sugli incassi correnti che, a fronte di una aumento dell’1,2 per cento nel 2016, assumono un profilo di crescita più sostenuto nel triennio 2017-2019[67]. Le stime a legislazione vigente dei pagamenti finali prevedono invece una riduzione costante della loro incidenza sul PIL, che passa dal 51,9 per cento del 2016, al 48,3 per cento nel 2019.

In termini nominali, i pagamenti correnti al netto degli interessi assumono un andamento crescente nel quadriennio 2016-2019, con un incremento medio annuo pari allo 0,6 per cento[68].

Nel complesso, sull'intero orizzonte degli anni 2016-2019, il fabbisogno è atteso in aumento, in valore assoluto, nel 2016, rispetto alle ultime previsioni per il medesimo anno contenute nella NTI (42 miliardi), e poi in forte riduzione nel biennio 2017-2018, attestandosi, nelle citate annualità, rispettivamente, su di un valore assoluto pari a 32,4 e 19,2 miliardi, principalmente per effetto del previsto consistente aumento del gettito tributario connesso alla prevista ripresa economica. Dati, questi ultimi, comunque in aumento rispetto ai valor indicati, per le medesime annualità, indicati nella NTI del febbraio scorso (21,2 miliardi e 5,8 miliardi). Nel 2019, il Fabbisogno è invece previsto in valore sostanzialmente nullo.

Il debito pubblico

L’analisi del debito pubblico contenuta nel presente paragrafo si basa sui dati relativi al quadro programmatico del DEF (Sezione I - Programma di stabilità dell’Italia) riferiti al periodo 2016-2019[69]. Per gli anni 2014 e 2015 si è fatto riferimento, oltre che ai dati di consuntivo contenuti nel citato Documento, anche a quelli pubblicati recentemente da Banca d’Italia[70].

Il Documento in esame precisa che per debito consolidato delle Amministrazioni pubbliche si intende l’insieme delle passività di debito afferenti a tale settore registrate al valore nominale. Il calcolo di questo aggregato è basato sui criteri settoriali e metodologici del SEC2010[71] e della Procedura dei deficit eccessivi (EDP)[72]. Le passività finanziarie considerate sono quelle dei depositi e monete, dei titoli obbligazionari e dei prestiti.

 

Nella tabella che segue sono riportati i dati del debito delle Amministrazioni pubbliche per l’intero periodo di osservazione (2014-2019) in rapporto al PIL. I dati sono forniti, rispettivamente, al netto e al lordo degli effetti delle misure di sostegno adottate nell’area euro ai fini della stabilizzazione finanziaria per complessivi 58.232 milioni di euro, di cui 43.901 milioni sotto forma di prestiti bilaterali attraverso EFSF e 14.331 milioni mediante il contributo al capitale dell’ESM[73].

Tabella 33 - Debito delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL

(% PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

 

 

 

 

 

 

 

Debito/PIL netto misure sostegno

128,8

129,1

129,0

127,5

124,7

120,6

Impatto misure sostegno

3,7

3,6

3,5

3,4

3,3

3,2

Debito/PIL lordo misure sostegno

132,5

132,7

132,4

130,9

128,0

123,8

Variazione

3,5

 0,2

-0,3

-1,5

-2,9

-4,2

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

 

Nel confronto tra i dati del Programma di stabilità del DEF 2016 e quelli della Nota di aggiornamento al DEF 2015 le nuove previsioni, ad eccezione del 2015, mostrano un profilo costantemente superiore del rapporto debito/PIL, come riportato nella tabella che segue.

Tabella 34 - Debito delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL: confronto tra PdS-DEF 2016 e Nota di Aggiornamento 2015

(% PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

 

 

 

 

 

 

 

Nota aggiornamento DEF 2015

132,1

132,8

131,4

127,9

123,7

119,8

DEF 2016

132,5

132,7

132,4

130,9

128,0

123,8

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

 

 

 

 

 

 

 

Per il 2014 si evidenzia un incremento pari allo 0,4 per cento del dato di consuntivo riportato nel Documento rispetto ai valori indicati nella Nota di aggiornamento. Tale aumento è dovuto, in base al DEF 2016, alla revisione effettuata dall’ISTAT[74] sul PIL e alle elaborazioni della Banca d’Italia.

In particolare, si registra una revisione in diminuzione del PIL (di circa 0,3 per cento) che incorpora una più ampia revisione della serie storica degli anni 1995-2012 effettuata dall’ISTAT, insieme ad una revisione in aumento del debito (di circa 0,1 per cento).

 

Per l’anno 2015 il Documento colloca il rapporto debito/PIL ad un valore pari a 132,7 punti percentuali, in lieve aumento rispetto al 2014 (0,2 per cento), ma in riduzione rispetto al valore programmatico indicato nella Nota di aggiornamento al DEF 2015. Tale differenza è dovuta, da un lato, ad una crescita nominale del PIL più elevata a consuntivo (circa lo 0,08 per cento) e, dall’altro, ad una dinamica dello stock di debito risultata di poco inferiore rispetto a quella della Nota di aggiornamento (circa lo 0,05 per cento).

Con riferimento all’incremento di 0,2 punti percentuali rispetto al 2014, il DEF afferma che metà dell’aumento è dovuta alla classificazione del Fondo nazionale di risoluzione degli enti creditizi all’interno delle Amministrazioni pubbliche e l’altra metà ad un effetto di trascinamento dal 2014, derivante dalla revisione in aumento del debito di circa 0,1 punti percentuali.

La stima provvisoria del debito pubblico del 2015, pubblicata lo scorso marzo da Banca d’Italia, è stata di recente aggiornata[75]. Da tali dati risulta un ulteriore incremento di 1.800 milioni, di cui 1.550 riferiti alla predetta riclassificazione nella PA del Fondo istituito per il salvataggio di taluni istituti di credito (ai sensi dell’articolo 78 del decreto legislativo n. 180/2015).

Si evidenzia in proposito che nel corso dell’audizione del Capo del Dipartimento di Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d’Italia presso la VI Commissione Finanze della Camera dei deputati del 9 dicembre 2015, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano, è stato comunicato che il sistema bancario italiano ha “messo a disposizione del Fondo di Risoluzione un importo complessivamente pari a circa 3,6 miliardi di euro per far fronte alla copertura delle perdite residue (1,7 miliardi) e per capitalizzare le “banche ponte” (1,8 miliardi) e la società veicolo per la gestione delle attività deteriorate (140 milioni). La liquidità necessaria per far fronte al complessivo intervento del Fondo di Risoluzione è stata anticipata da primari gruppi bancari italiani con un finanziamento a tassi di mercato e con scadenza massima a 18 mesi. Il finanziamento verrà in gran parte (circa 2,3 miliardi) rimborsato già nei prossimi giorni, grazie ai contributi ordinari e straordinari versati dalle banche italiane al Fondo di Risoluzione. Per la parte residua, il finanziamento verrà restituito mediante le risorse ricavate dal realizzo delle partecipazioni detenute dal Fondo. Nell’ipotesi, presumibilmente remota, che tali risorse siano insufficienti a restituire il finanziamento, il Fondo di Risoluzione potrà richiedere ulteriori contributi alle banche ai sensi del D.L. n. 183 del 2015; solo in ultima, del tutto improbabile, istanza, si potrà attingere a una controgaranzia rilasciata a condizioni di mercato dalla Cassa Depositi e Prestiti”[76].

Al riguardo sarebbero utili ulteriori elementi riguardo all’impatto verificatosi nel 2015 e all’eventuale incidenza sulla previsione di debito per il 2016 delle operazioni effettuate a valere sul Fondo di risoluzione.

 

Per analizzare il contributo dei diversi fattori all’andamento futuro del debito, il DEF fornisce l’evoluzione del tasso di crescita del rapporto debito/PIL scomposto nelle tre componenti: saldo primario, snow-ball effect e stock flow adjustment.

Il saldo primario, a differenza delle altre componenti, riflette le decisioni di politica economica. A parità di ogni altra condizione, la presenza di un saldo primario positivo tende a ridurre il rapporto debito/PIL o quanto meno ne evita il deterioramento. Lo snow-ball effect viene calcolato come differenza tra il tasso d’interesse sul debito pubblico e la crescita del PIL nominale, determinando, in caso di prevalenza di quest’ultimo, e a parità di altri fattori, un contributo alla riduzione del rapporto debito/PIL. Lo stock flow adjustment riflette operazioni finanziarie e da privatizzazioni, con una componente che registra altresì le poste di raccordo tra dati di cassa e di competenza economica.

 

Nella tabella che segue è riportata un’analisi delle componenti che determinano la variazione del rapporto debito/PIL: il segno algebrico delle singole componenti indica l’effetto, ad incremento o a riduzione del rapporto, esercitato dalle medesime.

Tabella 35 - Determinanti della variazione del rapporto debito/PIL

(% PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

Rapporto debito/PIL

132,5

132,7

132,4

130,9

128,0

123,8

Variazione rapporto debito/PIL

3,5

0,2

-0,3

-1,5

-2,9

-4,2

Fattori determinanti

 

 

 

 

 

 

Saldo primario (segno “-“ indica l’avanzo)

-1,6

-1,6

-1,7

-2,0

-2,7

-3,6

Snow ball effect

4

2,2

1,2

0,6

-0,2

-0,5

 

di cui: interessi

4,6

4,2

4,0

3,8

3,6

3,5

Stock flow adjustment

1,1

-0,4

0,2

-0,1

0,0

-0,1

 

di cui:

 

 

 

 

 

 

 

-

differenza tra cassa e competenza

0,9

0,2

0,4

0,1

0,1

-0,1

-

accumulazione netta di asset finanziari (*)

0,2

-0,1

-0,2

-0,2

-0,1

-0,1

 

di cui: Introiti da privatizzazioni

-0,2

-0,4

-0,5

-0,5

-0,5

-0,3

-

effetti di valutazione del debito

-0,4

-0,1

0

0,2

0,2

0,3

-

altro (**)

0,4

-0,4

-0,1

-0,3

-0,2

-0,2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016

(*) include gli effetti dei contributi per GLF e programma ESM

(**) la voce altro residuale rispetto alle precedenti comprende: variazioni delle disponibilità liquide del MEF; discrepanze statistiche; riclassificazione Eurostat, contributi a sostegno dell’area Euro previsti dal programma EFSF.

Dal 2016 prende avvio una fase di discesa del rapporto debito/PIL, che prevede, in tale anno, una riduzione di 0,3 punti percentuali rispetto al 2015. Tale dinamica è dovuta ad un sensibile incremento dell’avanzo primario, che supera l’effetto combinato delle altre due componenti, determinando appunto la riduzione del rapporto.

Per il 2016 si dovrebbe quindi registrare un valore pari al 132,4 per cento, dato superiore di circa 1 punto percentuale di PIL rispetto alla stima per il medesimo anno contenuta nella Nota di aggiornamento del DEF dello scorso settembre. Il Documento riferisce che la differenza rispetto alle precedenti stime è spiegabile, per metà, dalla revisione al ribasso della stima del PIL e, per l’altra metà, dal più elevato stock finale del debito.

In particolare, il maggior livello del debito è principalmente dovuto al peggioramento della previsione del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, per circa lo 0,9 per cento del PIL, in parte mitigato da altri fattori, quali: i) emissioni sopra la pari e rivalutazione per effetto dell’inflazione, che contribuirebbero a ridurre il fabbisogno in misura maggiore rispetto a settembre (per circa lo 0,28 per cento); ii) svuotamento del Fondo Nazionale di Risoluzione dovuto alla vendita al mercato delle banche per le quali il fondo è stato istituito, che avverrà entro la fine dell’anno.

Gli introiti da privatizzazioni per l’anno in corso, pari allo 0,5 per cento del PIL, sono indicati immutati rispetto alle previsioni dello scorso settembre e non incidono sulla nuova stima del rapporto debito/PIL del 2016.

Per il 2017 la riduzione prevista dal Documento è più consistente rispetto a quella prevista per l'anno in corso, dal momento che il rapporto dovrebbe attestarsi ad un livello pari al 130,9 per cento, corrispondente ad una riduzione di circa 1,5 punti percentuali di PIL rispetto all’anno precedente. Il miglioramento atteso sarebbe imputabile innanzitutto alla prevista rilevante contrazione del fabbisogno del settore pubblico nel medesimo anno, per circa lo 0,8 per cento di PIL, a cui si aggiungerebbe una riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro, per circa 0,3 punti percentuali di PIL, rispetto ai livelli degli anni 2015-2016.

Confrontando la presente stima (130,9 per cento) con quella contenuta nella Nota di aggiornamento del settembre scorso (127,9 per cento), il rapporto si attesta su un valore comunque superiore di 3 punti percentuali. Tale differenza è spiegata per un punto percentuale dal più alto livello del rapporto ereditato dall’anno precedente, per 1,6 punti dal più basso livello del PIL nominale e per 0,4 punti da uno stock di debito superiore alle precedenti stime.

Nel 2018 la discesa del rapporto debito/PIL è prevista ancora rilevante, in quanto si attesta al 128 per cento, con una riduzione di quasi 3 punti percentuali rispetto al 2017. I due fattori principali a supporto di questa tendenza sono, da un lato, un ulteriore calo del fabbisogno del settore pubblico (per circa 0,8 punti percentuali di PIL) e, dall’altro, la crescita nominale del PIL, che nel 2018 dovrebbe risultare sopra il 3 per cento. Si registra quindi una componente snow-ball, che contribuisce alla riduzione del rapporto (con un valore, seppure di poco, negativo), per effetto di una crescita nominale del PIL maggiore degli interessi (tasso implicito), a fronte di un avanzo primario più elevato dell’anno precedente.

Nel confronto con la Nota di aggiornamento al DEF 2015, la nuova stima del rapporto nel 2018 si attesta su un dato superiore di circa 4,3 punti percentuali di PIL. Oltre ai 3 punti di PIL acquisti dall’anno precedente, questo aumento è attribuibile, secondo il DEF, alla crescita nominale di circa 0,3 punti, più bassa della precedente previsione, e ad una dinamica più accentuata dello stock del debito per circa 0,9 punti percentuali.

Nel 2019 la discesa del rapporto debito/PIL dovrebbe essere ancora più consistente, toccando 123,8 punti di PIL, un valore inferiore di 4,2 punti percentuali rispetto al 2018 e di quasi 9 punti percentuali rispetto al 2015.

A ciò dovrebbe concorrere l'effetto combinato di una riduzione del fabbisogno del settore pubblico, per circa 1,3 punti percentuali di PIL, che si accompagnerebbe ad una conferma della crescita nominale lievemente al di sopra del 3 per cento.

Tali fattori, sottolinea il Documento, dovrebbero più che compensare una stima maggiormente contenuta delle entrate da privatizzazioni, poste allo 0,3 cento di PIL rispetto allo 0,5 per cento del biennio precedente, ed una previsione più alta dell’impatto sul debito della risalita dell’inflazione attraverso i titoli indicizzati, stimata pari a circa 0,3 per cento di PIL.

Se si analizzano le variabili determinanti della dinamica del rapporto debito/PIL dal 2018 al 2019, si osserva che, per la prima volta nel periodo di osservazione, le tre componenti concorrono tutte alla riduzione del rapporto: al contributo dell’avanzo primario (-3,6 per cento) si sommano gli effetti delle altre due componenti, snow-ball (-0,5 per cento) e, seppure di modesta entità, stock flow adjustment (-0,1 per cento).

Il Documento sottolinea, inoltre, che al netto delle quote di pertinenza dell’Italia dei prestiti a Stati Membri dell'UEM, bilaterali o attraverso l'EFSF, e del contributo al capitale dell'ESM, il rapporto debito/PIL nel 2019 è stimato scendere al 120,6 per cento di PIL.

 

Gli strumenti di sostegno UE: l'EFSF e l'ESM

La nozione di debito pubblico conteggiata ai fini del rispetto dei parametri del "Fiscal Compact" è valutata al lordo e al netto delle emissioni riconducibili al finanziamento nazionale degli strumenti EFSF ed ESM adottati in sede europea al fine di assicurare sostegno finanziario agli Stati UE che si trovino in crisi di solvibilità. Il primo strumento, istituito per tutelare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro a seguito della decisione del Consiglio della UE del 9 maggio 2010 e giuridicamente costituito come società per azioni, con sede legale in Lussemburgo è stato l'European Financial Stability Facility (EFSF) poi sostituito dallo European Stability Mechanism (ESM) nel fornire nuovo sostegno ai paesi dell’area dell’euro in difficoltà. Noto col nome di Fondo salva-stati, l’EFSF è autorizzato a intervenire come prestatore per i Paesi in difficoltà finanziaria, operando sui mercati primari e secondari del debito. L’intervento sul mercato secondario può essere però programmato solo in seguito ad un’analisi da parte della BCE che deve riconoscere l’esistenza di circostanze finanziarie di carattere eccezionale tali da mettere a rischio la stabilità finanziaria. Lo strumento può intervenire anche attraverso operazioni di ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie, per mezzo di prestiti ai loro governi, e può compiere attività volte a prevenire il verificarsi di situazioni di instabilità. Per raccogliere i fondi necessari per finanziare i prestiti ai paesi della Zona Euro in difficoltà finanziaria l'EFSF emette obbligazioni a breve, medio e lungo termine. Tale strumento di sostegno rimane tuttavia ancora in attività per la gestione dei programmi ai quali ha già preso parte (quelli a favore di Irlanda, Portogallo e Grecia). Ad oggi, la provvista complessiva delle risorse necessarie al suo finanziamento avviene attraverso l’emissione e il collocamento sul mercato di obbligazioni supportate dalla garanzia dei paesi dell’area dell’euro, secondo la quote di partecipazione nel capitale della BCE. La capacità finanziaria iniziale, pari a circa 250 miliardi, è stata poi innalzata a 440, con l’accordo raggiunto dal Consiglio europeo del 25 marzo 2011, congiuntamente all’aumento delle garanzie da 440 a 780 miliardi.

L'istituzione dell' European Stability Mechanism (ESM) è stata invece concordata dal Consiglio europeo del 28-29 ottobre 2010, e portata a termine l’11 luglio 2011 con la sottoscrizione del Trattato che lo istituisce, da parte dei 17 paesi allora appartenenti all’area dell’euro, poi emendato il 2 febbraio 2012. È divenuto operativo nell’ottobre 2012 e per l'appunto ha sostituito gradualmente lo European Financial Stability Facility (EFSF). Lo European Stability Mechanism (ESM) è il meccanismo di salvataggio permanente a cui è riconosciuto il potere di emettere titoli simili a quelli emessi dall’EFSF in passato per i prestiti a Irlanda e Portogallo (garantiti dai paesi dell’Eurozona, in proporzione alle quote nella BCE). Il Fondo inoltre può anche acquistare Eurobond sul mercato primario e secondario e nel caso di insolvenza di uno Stato finanziato essendo riconosciutogli il diritto di prelazione rispetto ai creditori privati. In definitiva, l’ESM concede sostegno finanziario ai paesi membri dell’area dell’euro che ne faranno richiesta a condizioni non di favore e previa un’approfondita analisi che verifichi la loro solvibilità. L’Euro Summit del 29 giugno 2012 ha previsto l'ampliamento delle finalità di utilizzo dei fondi dell’ESM, includendovi la ricapitalizzazione diretta degli istituti bancari, una volta realizzata l’integrazione a livello europeo della vigilanza sugli istituti di credito. La capacità di prestito dell’ESM è ad oggi di circa 500 miliardi, garantita da un capitale iniziale di circa 700 miliardi, di cui circa 80 miliardi conferiti dai singoli paesi in proporzione, salvo alcune correzioni, alla partecipazione al capitale della Banca centrale europea e 624,3 miliardi sotto forma di capitale richiamabile. La capacità di intervento dell’ESM disponibile alla data del 1° aprile 2016 è pari a 371,98 miliardi, al netto dei programmi di assistenza finanziaria nei confronti della Grecia, della Spagna e di Cipro. Dal marzo 2015 anche la Lituania partecipa all’ESM e completerà il piano dei pagamenti del capitale nel 2018.

 

Nella tabella che segue è riportata la ripartizione del debito al lordo e al netto dei sostegni finanziari all’area dell’euro per sottosettori.

Tabella 36 - Debito programmatico delle Amministrazioni pubbliche per sottosettori

(milioni di euro - % PIL)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

 

 

 

 

 

 

 

Debito P.A. lordo sostegni UEM

2.136.015

2.171.403

2.213.790

2.242.481

2.259.106

2.255.817

Sostegni finanziari UEM

60.329

58.231

58.232

58.231

58.232

58.232

Debito P.A. netto sostegni UEM

2.075.686

2.113.172

2.155.558

2.184.250

2.200.874

2.197.585

%PIL

 128,8

 129,1

 129,0

 127,5

 124,7

 120,6

Amministrazioni centrali

1.988.203

2.030.047

2.075.661

2.107.610

2.127.533

2.127.754

%PIL

 123,3

 124,1

 124,2

 123,0

 120,5

 116,8

Amministrazioni locali

140.073

139.910

136.681

133.424

130.125

126.615

%PIL

 8,7

 8,5

 8,2

 7,8

 7,4

 6,9

Enti previd. e assistenza

213

117

117

117

117

117

 %PIL

 0,01

 0,01

 0,01

 0,01

 0,01

 0,01

Fonte: DEF 2016

Nota: il debito delle amministrazioni centrali, locali e degli enti di previdenza è da considerarsi al lordo degli interessi non consolidati.

 

Come evidenziato nella Tabella 36 , la dinamica riferita all’andamento del debito della PA risulta determinata pressoché integralmente dalla componente delle amministrazioni centrali. Nel periodo di programmazione 2016-2019 la componente attribuibile alla amministrazioni locali registra anch’essa una riduzione, in termini di PIL, dall’8,2 per cento del 2016 al 6,9 per cento del 2019.

2.7 La regola del debito e gli altri fattori rilevanti

Nel 2016, al termine di un periodo triennale di transizione (2013-2015) avviato con l’uscita dalla procedura per disavanzi eccessivi avvenuta nel 2012[77], per l’Italia la regola del debito è entrata a regime.

Il rispetto della regola del debito viene ora valutato basandosi interamente su dati "storici" notificati dall’Istat.

Come si illustrerà meglio più avanti sia con riferimento al 2016 che al 2017 si osserva un gap nel raggiungimento del benchmark forward looking per il rispetto della regola del debito.

Tuttavia il Governo ritiene che, anche in questa fase, continuino a persistere una serie di fattori rilevanti che giustificano la deviazione del rapporto debito/PIL rispetto alla dinamica prevista dalla regola, (cfr. infra per un'analisi di tali fattori).

 

La regola del debito

Il quadro di riforma della governance economica dell'UE, adottato nel novembre 2011 (six pack) e richiamato nel fiscal compact, rafforza il controllo della disciplina di bilancio attraverso l'introduzione di una regola numerica che specifica il ritmo di avvicinamento del debito al valore soglia del 60 per cento del PIL, la regola è stata recepita a livello nazionale con la legge di attuazione del principio dell’equilibrio di bilancio in Costituzione (L. n. 243/2012)

In particolare, l'articolo 2 del regolamento 1467/97 stabilisce che, per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60 per cento, il tasso di riduzione debba essere pari a 1/20 all'anno nella media dei tre precedenti esercizi (criterio backward looking). In caso negativo, viene chiesto di valutare: a) se il mancato rispetto è riconducibile alla posizione dell'economia, depurando cioè dall’effetto del ciclo sia il numeratore che il denominatore del rapporto; b) se il limite stesso è rispettato nei due anni successivi all’anno di riferimento (cosiddetto forward-looking benchmark).

Se anche in questo caso la regola non risulta rispettata, possono essere valutati i cd. fattori rilevanti. In particolare, la Commissione sarà chiamata in questo caso a redigere un rapporto ex articolo 126, comma 3 del TFUE, nel quale al benchmark numerico si aggiungono valutazioni “qualitative” relative a un certo insieme di “altri fattori rilevanti”. L’analisi di tali fattori rappresenta, quindi, un passo obbligato nelle valutazioni che inducono ad avviare una procedura per disavanzi eccessivi a causa di una mancata riduzione del debito a un “ritmo adeguato”.

 

Anche nel periodo di transizione la variazione del saldo strutturale (tendenziale e programmatico) conseguita dal Governo non ha garantito l’aggiustamento fiscale minimo (MLSA) necessario al rispetto della regola.

 

Si segnala che, rispetto al prospetto riportato nell'ultima Nota di aggiornamento del DEF, i valori dell'aggiustamento cumulato aggiuntivo vengono rivisti in senso peggiorativo, erano pari al 1,6% (scenario tendenziale) e al 1,2% (scenario programmatico) con un differenziale rispettivamente di 0,4 e 0,7 punti percentuali[78].

Nella Tabella 37 - Minimum Linear Structural Adjustment (MLSA) - viene evidenziato che l’aggiustamento cumulato aggiuntivo necessario al rispetto della regola in tale fase ammontava a circa 2 punti percentuali di PIL, (valori in grassetto in corrispondenza del 2015).

 

Tabella 37 - Minimum Linear Structural Adjustment (MLSA)

2013

2014

2015

 

Scenario a legislazione vigente

Minimum linear structural adjustment (a)

0,8

0,8

0,8

Variazione ereditata dall'anno precedente (b)

0,4

1,4

Variazione programmata del saldo strutturale (c)

0,4

-0,2

0,2

Ulteriore variazione necessaria(d)=(a)+(b)-(c)

0,4

1,4

2,0

 

Scenario Programmatico

Minimum linear structural adjustment (a)

0,9

0,9

0,9

Variazione ereditata dall'anno precedente (b)

0,5

1,5

Variazione programmata del saldo strutturale (c)

0,4

-0,1

0,2

Ulteriore variazione necessaria(d)=(a)+(b)-(c)

0,5

1,5

2,1

Fonte: DEF 2016

Tornando alla valutazione del rispetto della regola a partire da quest'anno e per il 2017, si prende a riferimento il benchmark più favorevole, come consentito dalle regole, che nel caso dell'Italia è il forward looking, e si procede a verificare la convergenza del rapporto debito/PIL verso di esso (cfr. Tabella 38 , Figura 15 , Figura 16 ).

Tabella 38 - Rispetto della regola del Debito: configurazione Forward Looking

Scenario tendenziale

Scenario programmatico

2016

2017

2016

2017

Debito nell'anno t+2 (% del PIL)

127,3

123,5

128

123,8

Gap rispetto al benchmark forward looking (% del PIL)

2,5

0,3

3

0,2

 

 

 

 

 

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Nel 2016 (sulla base delle previsioni del 2018) la regola non risulta rispettata, sia nello scenario a legislazione vigente sia in quello programmatico. Il rapporto debito/PIL, infatti, si colloca rispettivamente al 127,3 per cento, con un gap 2,5 punti percentuali rispetto al benchmark e al 128 per cento, con un differenziale ancora più ampio di 3 punti percentuali. Tali differenziali sono essenzialmente imputabili al peggioramento delle previsioni di crescita del PIL nominale rispetto a quanto ipotizzato nel Documento programmatico di bilancio 2016, (-0,3 punti percentuali).

Con riferimento al 2017, si osserva un assottigliamento del gap rispetto al benchmark forward looking grazie al maggior tasso di crescita del PIL rispetto a quanto previsto nello scorso DPB (+0,1 punti percentuali), al contributo positivo dell’effetto snowball e al contributo dell'avanzo primario, che seppure rivisto al ribasso rispetto alle precedenti previsioni si colloca al 3,6% nel 2019. Nello scenario a legislazione vigente, il rapporto debito/PIL al 2019 (123,5%) è di 0,3 punti percentuali sopra il benchmark, mentre nello scenario programmatico tale rapporto (123,8%) risulterebbe solamente di 0,2 punti percentuali sopra il benchmark forward looking.

Figura 15 - Sentiero di aggiustamento e regola del debito nello scenario tendenziale

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Figura 16 - Sentiero di aggiustamento e regola del debito nello scenario programmatico

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Appurata l'esistenza di una deviazione dal sentiero di aggiustamento, come precisato nel box, la Commissione provvederà a valutare l’esistenza di eventuali fattori rilevanti per evitare l’apertura di una Procedura per Disavanzi Eccessivi ai sensi dell’art. 126(3) del TFUE. A riguardo il Governo rammenta che, nel Rapporto ex art. 126(3) del febbraio 2015 relativo alla deviazione riscontrata per gli anni 2014 e 2015[79], nel tener conto delle considerazioni del Governo stesso[80], la Commissione aveva concluso che lo sforamento osservato non era rilevante e non era necessario aprire una Procedura per Disavanzi Eccessivi. I fattori rilevanti considerati erano: 1) le condizioni economiche avverse (in particolare bassa inflazione e bassa crescita potenziale) che rendevano il rispetto della regola particolarmente gravoso; 2. l'aspettativa che il rispetto del percorso di aggiustamento verso l'OMT sarebbe stato raggiunto; 3. l’avvio di riforme strutturali in grado di aumentare la crescita potenziale e quindi la sostenibilità del debito pubblico nel medio periodo.

 

Il Governo ritiene con riferimento al mancato rispetto della regola per gli anni 2016 e 2017 sia possibile far valere l'effetto mitigante dei fattori rilevanti al fine di scongiurare l'apertura di una procedura di infrazione ai sensi dell'art. 126(3) del Trattato.

Elenco di fattori riportato nel documento è sintetizzabile come segue:

  1)          Rischi di deflazione e stagnazione, confermati anche dalle ultime previsioni di inverno della Commissione;

  2)          l’insufficiente coordinamento del consolidamento fiscale nell’Area dell’Euro, in cui una politica di bilancio eccessivamente restrittiva potrebbe aggravare le tendenze deflazionistiche;

  3)          l'ampiezza dei moltiplicatori fiscali nelle fasi successive alle recessioni che, a seguito di una marcata stretta fiscale, potrebbero riportare il Paese in recessione e peggiorarne le prospettive di medio termine;

  4)          i costi di breve periodo delle riforme strutturali, in ultimo riguardo al sistema bancario con effetti positivi di medio e lungo termine ma che nell’immediato hanno incontrato alcune difficoltà di implementazione;

  5)          l’impatto ritardato sul rapporto debito/PIL delle politiche attualmente perseguite dalla Banca Centrale Europea che, mirando ad una riduzione dei tassi di interesse, favoriscono principalmente paesi la cui struttura del debito pubblico è caratterizzata da una bassa vita media dei titoli sul mercato;

  6)          le criticità esistenti riguardo alla metodologia per il calcolo dell’output gap, che spesso forniscono risultati sottostimati e contrastanti con l’intuizione macroeconomica e che potrebbero produrre un’indicazione distorta circa la reale compliance delle finanze pubbliche italiane con i requisiti del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita;

  7)          gli alti costi dell’immigrazione e della crisi dei rifugiati, sostenuti dall’Italia;

  8)          il mantenimento, da parte dell’Italia, di ampi avanzi primari negli ultimi anni, nonostante l’esistenza di condizioni cicliche molto sfavorevoli, e il rispetto nel corso del 2015 e del 2016 del braccio preventivo del Patto di Stabilità e Crescita;

  9)          l’ottima valutazione sulla sostenibilità di lungo periodo fornita anche dall’indicatore S2, che per l’Italia è migliore di quelli rilevati per tutti gli altri paesi UE (cfr. anche capitolo seguente su analisi di sensitività).

 


 

3. Sensitività e sostenibilità delle finanze pubbliche

Il Documento di economia e finanza 2016 fornisce un'analisi di sensitività delle previsioni programmatiche al fine di valutare l'impatto sulla sostenibilità delle finanze pubbliche.

In pratica l'analisi di sensitività ha l'obiettivo di quantificare come cambiano i risultati degli indicatori di finanza pubblica in particolare in confronto con lo scenario di base, in presenza di ipotesi alternative circa i valori dei parametri rilevanti del modello di previsione (es. tasso di crescita del PIL, tasso di interesse, ecc.). Viene ipotizzato uno shock su uno o più parametri (una variazione inattesa di natura temporanea o permanente), che determina uno scenario alternativo rispetto a quello di base, in genere più ottimistico e più pessimistico, rispetto al quale vengono analizzate le conseguenze in termini di sostenibilità delle finanze pubbliche.

L'analisi di sensitività viene condotta distinguendo tre orizzonti temporali: breve, medio e lungo periodo, i paragrafi seguenti riportano le principali risultanze.

3.1 Scenari di breve periodo

L'analisi di scenario di breve periodo, riferita al quadriennio 2016-2019, è condotta sia descrivendo l’impatto che avrebbe uno shock sulla curva dei rendimenti sulla spesa per interessi, sia ipotizzando effetti simultanei di differenti tassi di crescita del PIL e diverse dinamiche della curva dei rendimenti. Da ultimo viene analizzato il rischio fiscale per le finanze pubbliche relativamente all'anno 2016.

Sensitività ai tassi di interesse

La sensitività ai tassi di interesse analizza gli effetti di un incremento dei tassi di interesse sui titoli di nuova emissione in grado di determinare un incremento immediato dell’intera curva dei rendimenti dei titoli di Stato di 1 punto percentuale sulla spesa per interessi negli anni 2016-2019. Il Documento anticipa che analisi più approfondite sulla gestione del debito pubblico e l’andamento dei mercati nel 2015 verranno incluse nel prossimo Rapporto Annuale sul Debito Pubblico.

L'analisi è operata sullo stock di titoli di Stato domestici (circa il 97,1% del totale), applicando uno shock sui tassi (come sopra definito) sulla composizione attuale e su quella futura impiegata per le previsioni della spesa per interessi e del rapporto debito/PIL dello scenario programmatico.

In estrema sintesi, la composizione dello stock di debito 2015, con riferimento alla durata vede confermata la tendenza verso una riduzione delle componenti a breve termine, in favore di quelle di medio lungo termine, in relazione alla natura dei tassi, rispetto al 2014, si osserva una stabilizzazione della componente a tasso variabile (CCTeu e CCT), un lieve incremento di quella indicizzata all’Euribor a 6 mesi, conseguenza della riduzione di quella indicizzata ai BOT 6 mesi (non più offerta con nuove emissioni), un leggero incremento dei titoli agganciati all’indice IPCA europeo, così come di quelli (BTP Italia) indicizzati all’indice FOI al netto tabacchi[81].

Il DEF inoltre dà conto che, per effetto delle politiche di emissione del debito poste in essere negli ultimi anni, è stato possibile conseguire una riduzione dei rischi a cui è esposto lo stock di debito, in termini di rischio di rifinanziamento e di tasso di interesse testimoniata rispettivamente dalla vita media complessiva dei titoli di Stato al 31 dicembre 2015 che sale a 6,52 anni dai 6,38 anni del 2014 e dall’Average Refixing Period[82] che si colloca a 5,42 anni rispetto ai 5,3 anni (2014).

Figura 17 - Spesa per interessi in percentuale del PIL e costo medio ponderato all'emissione

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Nella Figura 17 si osserva come negli ultimi quattro anni la spesa per interessi in rapporto al PIL si sia progressivamente ridotta passando da oltre il 5 per cento al 4,2 per cento e come il costo medio ponderato dell'emissione si sia ridotto in maniera significativa collocandosi ad appena lo 0,7 per cento, per effetto del programma di acquisto di asset pubblici avviato dalla BCE e del calo dell'inflazione (di cui hanno beneficiato i titoli indicizzati).

 

Per quanto riguarda le previsioni per gli anni 2016-2019, in considerazione del livello attuale dei tassi di interesse[83] e delle stime sull'andamento futuro degli stessi[84] nonché delle previsioni di inflazione[85] e della attesa riduzione del saldo di cassa del Settore Pubblico, viene stimato che l’aggregato spesa per interessi possa continuare a contrarsi sia in valore assoluto che in rapporto al PIL.

Con riferimento a quest'ultimo indicatore si stima che questo si collochi al 4 per cento del PIL nel 2016, al 3,8 per cento nel 2017, al 3,6 per cento nel 2018 e al 3,5 nel 2019. Rispetto alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2015 dell'autunno scorso, la revisione al ribasso è particolarmente significativa e pari in media allo 0,37 per cento del PIL, con differenziale massimo di circa 0,5 punti di PIL nel 2019, in conseguenza dell'accumularsi dei risparmi provenienti dagli anni precedenti.

 

Per quanto riguarda gli effetti dello shock sui tassi di interesse il documento evidenzia che questo determinerebbe un incremento della spesa per interessi in rapporto al PIL pari allo 0,13 per cento nel 2016; allo 0,28 per cento nel 2017; 0,40 per cento nel 2018 e 0,50 per cento nel 2019, a fronte rispettivamente di un incremento dello 0,29; 0,4; 0,49[86] quantificato attraverso l'analogo esercizio condotto nel DEF dello scorso anno.

Simulazioni stocastiche della dinamica del debito

Nel documento viene inoltre condotta una simulazione che considera simultaneamente l’incertezza insita nelle previsioni relative alla curva dei rendimenti e ai tassi di crescita del PIL.

Trascurando in questa sede gli aspetti metodologici[87] e al costo di una qualche semplificazione, l'analisi condotta prevede una simulazione probabilistica che integra l'andamento del rapporto debito/PIL (scenario programmatico) con la serie storica dei tassi di interesse a breve e lungo termine, e del PIL nominale degli ultimi 25 anni. In pratica viene osservato come varia l'indicatore per effetto di shock di natura sia temporanea che permanente su tassi di interesse e sul PIL simulati avendo a riferimento l'andamento di questi parametri osservato nel periodo (1990-2015).

Graficamente il risultato è rappresentato da una linea di riferimento (scenario di base o base line) e da bande che delimitano aree cui viene associata una maggiore o minore probabilità con cui si verificherà un certo evento (valore del rapporto debito/PIL ad un certo anno), cfr. figure seguenti.

Figura 18 - Proiezioni stocastiche del rapporto debito/PIL con shock temporanei​/​permanenti

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

I risultati dell'esercizio sopra descritto di cui dà conto il DEF mostrano come, nel caso di shock temporanei, il rapporto debito/PIL si attesti intorno a un valore mediano pari a circa il 124 per cento nel 2019, con una differenza tra il 10° e il 90° percentile della distribuzione del debito pari a circa 24 punti percentuali, a testimonianza della elevata incertezza registrata sui risultati, che si dimostra tuttavia più bassa di quella osservata nell'esercizio di cui dà conto il DEF 2015 (29 per cento) a fronte di un dato mediano del 120 per cento sul PIL. Quanto alla tendenza alla riduzione del rapporto debito/PIL si osserva che, tale eventualità si verifica a partire dai primi 60 percentili dal 2016, dall’80° percentile dal 2017, oltre il 90° percentile dal 2018, nondimeno per gli shock più forti (sopra al 90° percentile) il rapporto tende a stabilizzarsi dopo aver raggiunto un picco intorno al 139 per cento.

Nel caso di shock permanente la distribuzione dei valori del rapporto debito/PIL intorno allo scenario centrale è decisamente più ampia e la base line si colloca di poco al di sotto di un valore mediano, la dinamica del debito è tuttavia non decrescente solo a partire dal novantesimo percentile.

Analisi complessiva dei rischi fiscali a breve termine

L'ultima analisi dello scenario di breve periodo svolge una analisi complessiva dei rischi fiscali, basata sul livello dell’indicatore S0 e di due sotto indici.

L'indicatore S0 è costruito per identificare i rischi legati alla sostenibilità fiscale nell’anno successivo a quello in corso, ed è stato introdotto dalla Commissione europea dopo la recente crisi[88]. Si tratta in particolare di un indicatore che utilizza una serie di variabili fiscali e finanziarie selezionate sulla base della loro capacità di prevedere situazioni di stress fiscale cd. early warning. Le variabili in questione sono suddivise in due sotto-gruppi: uno di natura fiscale e un'altro di natura macro-finanziaria. La metodologia sviluppata dalla Commissione Europea e descritta nel lavoro di Berti et al.[89]. L'analisi viene condotta mettendo a confronto il valore dell’indicatore complessivo (S0) e di quelli dei sotto-indici con le rispettive soglie. L'interpretazione dei risultati è relativamente semplice e prevede che un valore dell'indicatore superiore alla soglia indica un potenziale rischio nel breve periodo di natura complessiva (S0) ovvero concentrato, nelle aree fiscali o macro-finanziaria (sotto-indici). Se uno dei sotto-indici segnala un rischio ma l’indicatore S0 si mantiene sotto la soglia significa che il rischio nel breve periodo non è particolarmente alto, cfr. Figura 19 .

Figura 19 - L'indicatore S0 e sottocomponenti

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Considerato che il valore soglia dell'indicatore S0 è pari allo 0,43, mentre il valori soglia dei due sotto-indicatori (fiscale e macro-finanziario) sono pari rispettivamente a 0,35 e 0,45, la figura seguente evidenzia che, con riferimento al 2015, il rischio fiscale complessivo per il 2016 sia sostanzialmente contenuto.

L’indice S0 si riduce infatti dal picco 2012 portandosi allo 0,19, ampiamente sotto soglia, anche le sottocomponenti sono sotto soglia in particolare la componente fiscale è pari a 0,32, mentre quella macro-finanziaria si attesta su un valore di 0,14.

In considerazione del fatto che le soglie ottimali sono comuni a tutti i paesi dell’UE sottoposti a sorveglianza multilaterale, il DEF dà conto anche di un'analisi puntuale rispetto alle 28 variabili che compongono l’indicatore S0 evidenziando con una heat map (tavola IV.1 del DEF) che, nel breve periodo, potrebbero emergere alcune di criticità di natura fiscale in relazione al rapporto debito pubblico su PIL, al fabbisogno lordo sul PIL e al rapporto di vecchiaia a 20 anni; e di natura macro-finanziaria rispetto al debito a breve delle famiglie in rapporto al PIL e al PIL pro capite in parità di potere di acquisto.

3.2 Scenari di medio periodo (2016-2027)

Nel Documento di economia e finanza vengono illustrati i risultati degli scenari deterministici di proiezione del rapporto debito/PIL nel medio periodo (fino al 2027).

In sostanza si tratta di esercizi di simulazione che, a differenza dei modelli stocastici (probabilistici), non tengono conto delle variazioni delle variabili di input e dunque dell'incertezza associata ai valori considerati. Le variabili di input (PIL, curva dei rendimenti dei titoli di stato, avanzo primario e inflazione) assumo, dunque, valori fissi.

Confronto tra scenario base, bassa crescita e alta crescita

L'esercizio estrapola l'andamento del rapporto debito/PIL sotto ipotesi differenti e congiunte di tasso di crescita del PIL, curva dei rendimenti e avanzo primario di bilancio, valori di cui si tiene conto per stimare endogenamente il tasso di interesse[90]. Si assume inoltre che grazie al Quantitative Easing (QE) l’inflazione possa tornare a convergere tra il 2019 al 2022 verso il target del 2 per cento[91].

Tabella 39 - Sintesi degli shock macro-fiscali

 

 

Scenario di:

 

 

alta crescita

riferimento/base

(baseline)

bassa crescita

PIL

a) (2016-2019)

 

 

b) (2020-2027)

 

a) +0,5 pp l'anno rispetto a proiezioni baseline

 

b) convergenza del PIL al valore pre-crisi (2007) per NAWRU (7,8%) e valore medio degli anni pre-crisi per la TFP (0,5%)

 

a) scenario base del DEF

 

b) convergenza a parametri strutturali dello scenario OGWG T+10, usato dalla Commissione

 

a) -0,5 pp l'anno rispetto al baseline

 

b) convergenza a valori medi degli anni di crisi per NAWRU (10 %), e per la TFP (0,05%)

Curva dei rendimenti

a) (2016-...)

 

 

 

 

 

b) (... -2027)

 

 

a) curva dei rendimenti dello scenario base fino a inizio 2018 (fine del QE). Riduzione di 40 bp fino al 2021

 

b) dal 2021 convergenza a valori della curva dei rendimenti dello scenario di riferimento

 

 

a) curva dei rendimenti scenario DEF programmatico (2016-2019)

 

 

b) dal 2019 curva dei rendimenti costante

 

 

a) Aumento della curva dei rendimenti di +100 bp nel periodo 2016-2018

 

 

b) dal 2019 lo shock viene riassorbito gradualmente per convergere su valori dello scenario base

Avanzo primario

 

a) (2016-2019)

 

 

 

 

b) (2020-2027)

 

 

a) rideterminazione avanzo primario sulla base delle elasticità (analisi di sensitività)

 

b) avanzo primario strutturale costante al livello del 2019 (4,1%)

 

 

a) avanzo primario dello scenario DEF programmatico

 

 

b) avanzo primario strutturale costante al livello del 2019 (3,2%)

 

 

a) rideterminazione avanzo primario sulla base delle elasticità (analisi di sensitività)

 

b) avanzo primario strutturale costante al livello del 2019 (2,4%)

Inflazione

a) (2016-2019)

 

 

 

b) (2020-2027)

 

a) aumento deflatore come da scenario di alta crescita

 

b) convergenza al 2% tra il 2019 e il 2022

 

a) scenario base

 

 

 

b) convergenza al 2% tra il 2019 e il 2022

 

a) riduzione del deflatore come da scenario di bassa

 

b) convergenza al 2% tra il 2019 e il 2022

 

 

 

 

Pp: punti percentuali

Bp: basis point (punto base)

NAWRU: Non-Accelerating Wage Rate of Unemployment è il tasso di disoccupazione in coincidenza del quale nel sistema economico non si osservano spinte inflazionistiche sui salari

TFP: total factor productivity (produttività totale dei fattori) rappresenta il contributo del progresso tecnologico alla crescita economica

OGWG: output gap working group (Gruppo di lavoro sugli output gap), il gruppo costituito nell’ambito del Comitato di Politica Economica (Economic and Policy Committee) del Consiglio Europeo.

QE: quantitative easing della BCE

Fonte: elaborazione su DEF 2016, sezione I.

La composizione e la struttura per scadenza definita nel quadro programmatico del DEF (2015-2019) viene assunta come punto di partenza.

La Tabella 39 illustra le ipotesi (in termini di shock applicati alle variabili considerate) alla base dei tre scenari considerati: alta crescita, bassa crescita e di riferimento (o baseline), quest'ultimo si colloca in posizione sostanzialmente intermedia tra i due.

 

In relazione alle ipotesi formulate nella simulazione si osserva che con riferimento allo scenario di bassa crescita l'ipotesi di uno shock temporaneo (limitato al periodo 2016-2018) sulla curva dei rendimenti che viene riassorbito gradualmente a partire dal 2019 per convergere ai valori della curva dei rendimenti dello scenario base, andrebbe valutata al fine di tener conto degli eventuali effetti di medio termine sui rendimenti associati al possibile maggior premio per il rischio riferibile a un contesto di bassa crescita.

 

La Figura 20 illustra come in tutti gli scenari sia ipotizzabile una tendenza alla riduzione del rapporto debito/PIL nel medio-periodo, ovviamente tale dinamica diventa meno pronunciata via via che si passa dallo scenario ad alta crescita a quello di bassa crescita.

Figura 20 – Proiezione di medio termine del rapporto debito/PIL negli scenari di alta e bassa crescita

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Nel dettaglio nello scenario di riferimento, l'indicatore converge a un valore inferiore al 100 per cento (97,7%) nel 2027, più basso del dato pre-crisi del 2007 (99,7%). Per quanto riguarda il rispetto della regola del debito nella sua configurazione forward looking (T+2) questa verrebbe sostanzialmente rispettata, al netto di un gap di 0,2 punti percentuali, nel 2017 (previsioni 2019) e pienamente raggiunto nel 2018 (proiezioni 2020).

Nello scenario di alta crescita, il rapporto è atteso ridursi in maniera ancora più significativa collocandosi al 2027 all'81,8 per cento del PIL (circa 16 punti percentuali sotto il corrispondente livello dello scenario base), la regola del debito verrebbe rispettata, sempre nella configurazione forward looking fin dal 2016 (proiezioni al 2018).

Infine, nello scenario di bassa crescita il rapporto debito/PIL si porterebbe a fine periodo al 117,7 per cento del PIL nel 2027 (20 punti percentuali sopra il livello dello scenario base). A questo scenario è associato il mancato rispetto della regola del debito lungo tutto l’orizzonte di previsione.

 

La Tabella 40 riporta i valori delle principali variabili macroeconomiche e di finanza pubblica nei tre scenari considerati per il periodo 2016-2019 e i valori di convergenza al 2027.

 

A riguardo, al fine di disporre di un maggiore dettaglio informativo, potrebbe essere utile riportare anche i valori riferiti agli anni dal 2020 al 2026.

Tabella 40 – Sensitività alla crescita (valori percentuali)

 

 

2015

2016

2017

2018

2019

2027

Tasso di crescita del PIL nominale

SMC

1,5

2,8

3,1

3,7

3,8

3,3

SB

1,5

2,2

2,5

3,1

3,2

2,9

smc

1,5

1,6

1,9

2,5

2,6

2,2

Tasso di crescita del PIL reale

SMC

0,8

1,7

1,9

2

1,9

1,3

SB

0,8

1,2

1,4

1,5

1,4

0,9

smc

0,8

0,7

0,9

1

0,9

0,2

Tasso di crescita del PIL potenziale

SMC

-0,4

0,1

0,5

0,7

0,8

1,3

SB

-0,2

-0,2

0,2

0,4

0,5

0,9

smc

0

-0,4

-0,1

0,1

0,3

0,2

Output gap

SMC

-3,5

-2

-0,6

0,7

1,7

0

SB

-3,6

-2,3

-1,1

-0,1

0,7

0

smc

-3,5

-2,6

-1,6

-0,8

-0,2

0

Indebitamento netto

SMC

-2,6

-2,2

-1,3

0

1,4

1,6

SB

-2,6

-2,3

-1,8

-0,9

0,1

0,4

smc

-2,6

-2,9

-2,9

-2,6

-2

-1,1

Indebitamento netto corretto per il ciclo

SMC

-0,7

-1,1

-1

-0,4

0,5

1,6

SB

-0,7

-1,1

-1,2

-0,9

-0,3

0,4

smc

-0,7

-1,5

-2

-2,1

-1,9

-1,1

Avanzo primario

SMC

1,6

2

2,7

3,8

5

4,1

SB

1,6

1,7

2

2,7

3,6

3,2

smc

1,6

1,3

1,3

1,7

2,2

2,4

Avanzo primario corretto per il ciclo

SMC

3,5

3,1

3

3,4

4,1

4,1

SB

3,5

2,9

2,6

2,8

3,2

3,2

smc

3,5

2,7

2,2

2,1

2,4

2,4

Tasso di Interesse implicito

SMC

3,2

3,1

3

2,9

2,8

2,8

SB

3,2

3,1

2,9

2,9

2,8

2,8

smc

3,2

3,1

3,1

3,1

3,1

2,8

Debito Pubblico

SMC

132,7

131,3

128,3

123,5

117,1

81,8

SB

132,7

132,4

130,9

128

123,8

97,7

smc

132,7

133,8

134,4

133,6

131,8

117,7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SMC: scenario di maggiore crescita

SB: Scenario di base

smc: Scenario di minore crescita

Fonte: DEF 2016, sezione I.

L’evoluzione del debito nel medio periodo in un contesto di bassa crescita e inflazione

Al fine di tener conto dei rischi di deflazione o di bassa inflazione che nonostante il quantitative easing non sono stati ancora pienamente scongiurati, nel documento viene illustrato un ulteriore esercizio di simulazione che abbandona l'ipotesi di convergenza dell'inflazione al target del 2 per cento nel periodo 2019-2022, e costruisce due scenari deterministici alternativi a quello di “bassa crescita”[92].

Il primo (“fallimento del QE”) assume che l’Italia e l’Europa cadano in una spirale deflattiva. L'ipotesi è che il tasso di variazione del deflatore del PIL si riduca rispetto a quello dello scenario di bassa crescita, restando negativo fino a tutto il 2018, dal 2019, torna positivo convergendo verso l’1,0 per cento nel 2022 e si mantenga su tale livello fino alla fine dell'orizzonte di previsione. Conseguentemente, l’avanzo primario si riduce ulteriormente e permanentemente di ¼ per cento per ciascun punto di inflazione in meno rispetto allo scenario di riferimento[93]. Si segnala che la tabella seguente riporta un impatto pari a 1/5 per cento (0,2).

Il secondo scenario alternativo formula un'ipotesi di decoupling (disaccoppiamento), in cui per effetto di un mix di deflazione (o bassa inflazione) e politiche strutturali che aumentano la competitività dell'Italia, il livello dei prezzi del nostro Paese si collochi permanentemente al di sotto di quello medio europeo che converge al target del 2 per cento.

La Tabella 41 riporta le ipotesi dello scenario di bassa crescita e dei due scenari ad esso alternativi.

Tabella 41 – Scenari di deflazione: descrizione delle ipotesi di lavoro

 

Scenario di fallimento QE

Scenario bassa crescita

Scenario di decoupling vs inflazione euro area e svalutazione nominale

PIL

a) (2016-2019)

a) -0.5 pp l'anno rispetto a proiezioni baseline nel periodo 2016-2019

 b) (2020-2027)

b) convergenza a valori medi degli anni di crisi per NAWRU (10 %), e per la TFP (0,05%)

b) convergenza a parametri strutturali come OGWG T+10 dello scenario base

Curva dei rendimenti

a) (2016-2018)

a) aumento della curva dei rendimenti (+100 bp) nel periodo 2016-2018

 b) (2019-2027)

b) nel 2019 graduale convergenza ai valori della curva dei rendimenti dello scenario di riferimento

b) nel 2019 graduale convergenza ai valori curva dei rendimenti scenario base

 

 

 

c) aumento spesa per interessi dovuta al rimborso quote debito indicizzato a inflazione Euro Area

Avanzo primario

a) (2016-2019)

a) rideterminazione avanzo primario sulla base delle elasticità (analisi di sensitività) nel periodo 2016-2019

b) impatto deflazione su avanzo primario: -0,2% permanente per 1 punto percentuale di riduzione deflatore del PIL

 (NP)

(Come scenario di fallimento QE)

c) (2020-2027)

c) Avanzo primario strutturale costante al livello del 2019

Inflazione

a) (2016-2019)

a) riduzione del deflatore come da scenario di bassa crescita

b) (2016-2019)

b) Ipotesi di deflazione - ulteriore riduzione deflatore del PIL rispetto allo scenario di bassa crescita del 1 % nel 2016 e di 1,5% nel 2017-2018 e di 1,25% nel 2019. (Deflatore negativo nel 2016- 2018 e poi aumento graduale)

 (NP)

(Come scenario di fallimento QE)

c) (2019-2027)

c) convergenza al 1% tra il 2019 e il 2021 costante successivamente

c) convergenza al 2% tra il 2019 e il 2021

(Come scenario di fallimento QE)

Per lo scenario baseline si confronti la Tabella 39 - Sintesi degli shock macro-fiscali

NP: non previsto

Pp: punti percentuali

Bp: basis point (punto base)

NAWRU: Non-Accelerating Wage Rate of Unemployment è il tasso di disoccupazione in coincidenza del quale nel sistema economico non si osservano spinte inflazionistiche sui salari

TFP: total factor productivity (produttività totale dei fattori) rappresenta il contributo del progresso tecnologico alla crescita economica

OGWG: output gap working group (Gruppo di lavoro sugli output gap), il gruppo costituito nell’ambito del Comitato di Politica Economica (Economic and Policy Committee) del Consiglio Europeo.

QE: quantitative easing della BCE

Fonte: elaborazione su DEF 2016, sezione I.

La Tabella 42 presenta i principali risultati delle tre simulazioni.

Tabella 42 - Scenari di deflazione: principali risultati

 

 

2015

2016

2017

2018

2019

2027

Tasso di crescita del PIL nominale

SBC

1,5

1,6

1,9

2,5

2,6

2,2

SFQE

1,5

0,5

0,4

0,9

1,4

1,2

SD

1,5

0,5

0,4

0,9

1,4

1,2

Tasso di crescita del PIL reale

SBC

0,8

0,7

0,9

1

0,9

0,2

SFQE

0,8

-0,4

-0,1

0,1

0,3

0,2

SD

0,8

0,7

0,9

1

0,9

0,2

Avanzo primario

SBC

1,6

1,3

1,3

1,7

2,2

2,4

SFQE

1,6

1,1

0,8

0,9

1,2

1,3

SD

1,6

1,1

0,8

0,9

1,2

1,2

Tasso di Interesse implicito

SBC

3,2

3,1

3,1

3,1

3,1

2,8

SFQE

3,2

3,1

3

2,9

3

2,7

SD

3,2

3,1

3

3,1

3,1

3,1

Debito Pubblico

SBC

132,7

133,8

134,4

133,6

131,8

117,7

SFQE

132,7

135,3

138,4

140,2

140,8

144,8

SD

132,7

135,3

138,5

140,6

141,4

147,1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SBC: Scenario di bassa crescita;  SFQE: Scenario Fallimento QE; SD: Scenario Decoupling

Fonte: DEF 2016, sezione I.

La Figura 21 evidenzia come il percorso di riduzione del rapporto debito/PIL sia pesante condizionato dal ritorno dell'inflazione su valori pari o quanto meno prossimi al target del 2 per cento.

Figura 21 - Debito/PIL negli scenari di deflazione

Fonte: DEF 2016, sezione I.

Difatti, in entrambi gli scenari alternativi di deflazione, malgrado la presenza di consistenti avanzi primari e l'effetto mitigante della quota di debito indicizzato all’inflazione che attenua la tendenza all’aumento dello stock complessivo, l'indicatore in esame mostri una tendenza crescente, ancorché non esplosiva.

3.3 Scenari di lungo periodo

L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sulla sostenibilità fiscale

Il DEF 2016 completa l’analisi di sensitività recando uno studio di sostenibilità delle finanze pubbliche nel lungo periodo.

In coerenza con le indicazioni metodologiche definite a livello europeo in ambito EPC-AWG[94], l’Italia elabora tradizionalmente le previsioni di medio-lungo periodo relative a cinque componenti di spesa pubblica connesse all’invecchiamento (cd. spesa age-related):

§  la spesa pubblica per pensioni;

§  la spesa sanitaria;

§  la spesa per l’assistenza di anziani e disabili a lungo termine (d’ora in poi Long-Term Care, LTC);

§  la spesa per l’istruzione;

§  la spesa per ammortizzatori sociali.

Come illustrato nelle pagine seguenti con maggior grado di dettaglio, emerge che, stante le ipotesi demografiche e macroeconomiche assunte[95]:

§  un flusso netto annuo di immigrati pari, mediamente, a quasi 310.000 unità, con un profilo crescente per i primi 15 anni e decrescente successivamente;

§  un livello della speranza di vita al 2060 pari a 85,5 anni per gli uomini e a 89,7 anni per le donne;

§  un tasso di fecondità totale al 2060 pari a 1,61;

le spese legate all'invecchiamento risultano sostanzialmente sotto controllo, con criticità emergenti nei settori della LTC e della sanità, compensate dai più favorevoli andamenti stimati in termini di ammortizzatori sociali, pensioni e scuola.

 

Sul punto si osserva che il recente rapporto "Noi Italia" pubblicato dall'ISTAT evidenzia che dal 2011 il flusso di nuovi ingressi di cittadini non comunitari verso il nostro Paese risulta in flessione. Durante il 2014 sono stati rilasciati 248.323 nuovi permessi, quasi il 3% in meno rispetto all'anno precedente. Il decremento riguarda, in particolare, proprio i permessi per motivi di lavoro, mentre aumentano i permessi per asilo/motivi umanitari. Si ricorda che già il "Quarto rapporto annuale sugli immigrati nel mercato del lavoro in Italia" aveva evidenziato per il 2012 (ultimo anno disponibile) circa 264.000 ingressi (di cui solo 71.000 per motivi di lavoro, meno della metà del corrispondente dato del 2007).

Si osserva inoltre come anche altre ipotesi dello scenario di base potrebbero presentare degli elementi di forte aleatorietà, nella misura in cui, secondo le stime del 2015, per la prima volta negli ultimi 10 anni, la speranza di vita alla nascita registra una inversione di tendenza, con un decremento di 0,2 punti per gli uomini e 0,3 per le donne. Inoltre, si consideri anche che il tasso di fecondità totale continua a diminuire, attestandosi su 1,37 figli in media per donna.

 

Per quanto riguarda le variabili macroeconomiche, sono state adottate ipotesi di crescita, sia a prezzi costanti che a prezzi correnti, coerenti con il quadro macroeconomico del DEF 2016 prima descritto. Nel lungo periodo, sono state confermate le ipotesi strutturali dello scenario EPC-WGA baseline 2015, che prevedono un tasso di variazione medio annuo della produttività reale del lavoro crescente fino all’1,7 per cento nel 2035 e costante per il quindicennio successivo. Successivamente, la produttività si attesterebbe intorno all’1,5 per cento fino alla fine del periodo di previsione. Sul fronte occupazionale, il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 è previsto crescere dal 56,3 del 2015 (55,7 del 2014) al 60,3 per cento del 2060. L’interazione delle suddette ipotesi con le dinamiche demografiche determina un tasso di crescita del PIL reale che si attesta, nel periodo 2015-2060, attorno all’1,5 per cento medio annuo. A partire dal 2020, il deflatore del PIL e il tasso di inflazione sono assunti pari al 2 per cento.

Ne scaturiscono, tenendo conto del quadro normativo aggiornato, i valori riportati nella seguente tabella:

Tabella 43 - Spesa pubblica per pensioni, sanità, assistenza agli anziani, istruzione e indennità di disoccupazione (2010-2060)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Complessivamente, nel periodo 2015-2060, la spesa age related in rapporto al PIL è stabile e si attesta intorno ad una media del 28 per cento del PIL. In dettaglio, negli anni successivi al 2015, la spesa si riduce di un punto percentuale di PIL fino al 2020 per poi risalire gradualmente e raggiungere il picco a circa il 28,5 per cento del PIL intorno al 2045, per poi ripiegare fino a convergere a circa il 27 per cento del PIL nel 2060.

 

In relazione ai valori appena indicati, andrebbero fornite le motivazioni alla base del valore relativo al 2060, che - come già nel DEF 2015 - risulta stimato in miglioramento di circa 1,3 punti percentuali rispetto all'omologo dato riportato nel DEF 2014 (28,3 per cento).

 

In particolare, per quanto riguarda la spesa sanitaria, la previsione sconta le misure introdotte con la legge di stabilità per il 2016, cioè le disposizioni in materia di rinnovi contrattuali e, soprattutto, la manovra di contenimento della spesa sanitaria per il 2016 di ammontare pari a 1.783 milioni di euro. Inoltre, è stato previsto un contributo del settore sanitario relativamente alla manovra complessiva a carico delle Regioni. Tale contributo è stato definito dall’intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio e ammonta a 3,5 mld di euro nel 2017 e 5 mld di euro nel 2018.

Estendendo l'analisi al lungo periodo il DEF evidenzia, dopo la fase iniziale di contenimento della dinamica della spesa, un profilo crescente a partire dal 2020, con una sostanziale stabilizzazione della spesa intorno al 7,5 per cento del PIL a partire dal 2045.

 

Tale profilo di spesa ricalca quello delineato nel DEF 2015.

 

Relativamente alla spesa per ammortizzatori sociali, la previsione tiene conto sia del rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga per il 2016 sia degli effetti del potenziamento delle tutele previsti dai decreti attuativi del Jobs Act. Il livello di tali poste rispetto al PIL dovrebbe stabilizzarsi su valori leggermente inferiori all'1% per il prossimo quinquennio, per poi flettere e stabilizzarsi su valori intorno allo 0,6% a partire dal 2035.

 

Il DEF non ne fa menzione, ma si ritiene che il miglioramento che dovrebbe registrarsi a partire dal 2020 sia ascrivibile al miglioramento degli indici rilevanti (tasso di crescita del PIL e tassi di disoccupazione).

 

Per quanto riguarda le spese per il finanziamento del sistema scolastico e relativamente al costo del personale, la previsione tiene conto dello stanziamento previsto con la Legge di Stabilità per il 2016 in materia di rinnovi contrattuali e di quello contenuto nella precedente legge di stabilità e finalizzato prioritariamente alla realizzazione di un piano straordinario di assunzioni (Fondo “la buona scuola”). Il rapporto spesa per istruzione/PIL presenta un andamento gradualmente decrescente che si protrae per circa un quindicennio, determinato essenzialmente dal calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche. Il rapporto riprende a crescere leggermente nella parte finale del periodo di previsione attestandosi al 3,6 per cento nel 2060.

 

Con riferimento alla spesa pensionistica, la previsione recepisce le disposizioni della Legge di Stabilità del 2016 in materia di salvaguardie (c.d. settima salvaguardia), di prolungamento di un anno della sperimentazione relativa alla cosiddetta “opzione donna” e di estensione al biennio 2017-2018 delle disposizioni di deindicizzazione per le pensioni di importo complessivamente superiore a tre volte il trattamento minimo Inps, introdotte nel 2013. In virtù delle riforme già attuate il rapporto fra spesa pensionistica e PIL decresce fino a raggiungere il 15,3 per cento del PIL nel 2020, riprendendo a crescere per sfiorare il 16 per cento nel 2035 e infine ripiegando rapidamente nella fase finale del periodo di previsione, attestandosi al 14 per cento circa nel 2060.

Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico italiano

La previsione dell’andamento di medio-lungo periodo della spesa pensionistica in rapporto al PIL recepisce le ipotesi di fecondità e flusso migratorio netto sottostanti lo scenario centrale elaborato dall’Istat, con base 2011. Le ipotesi di mortalità sono state riviste per tener conto della stima relativa alla speranza di vita alla nascita registrata nel 2015 recentemente comunicata dall'ISTAT. Per quanto riguarda il quadro macroeconomico, il tasso di crescita reale del PIL si attesta, nel lungo periodo, attorno all’1,5 per cento medio annuo. Il tasso di occupazione aumenta di 9-10 punti percentuali, nella fascia di età 15-64 anni, rispetto al valore del 2010, raggiungendo circa il 66%. Per il periodo 2015-2019, le ipotesi di crescita sono coerenti con quelle delineate nel presente documento nell’ambito del quadro macroeconomico tendenziale.

La previsione, a normativa vigente, sconta gli effetti delle misure contenute negli interventi di riforma adottati, compreso l'adeguamento dei coefficienti di trasformazione e dei requisiti di accesso al pensionamento in funzione della speranza di vita.

Dopo la crescita del triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL risente negativamente dell’ulteriore fase di recessione degli anni successivi (segnatamente della contrazione del PIL per il triennio 2012-2014).

A partire dal 2015-2016, in presenza di un andamento di crescita più favorevole e di un rafforzamento del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL decresce per un periodo di circa quindici anni, attestandosi al 15 per cento circa in prossimità del 2030, per l’effetto del contenimento esercitato sia dall’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento che dall’introduzione del sistema di calcolo contributivo, i quali superano abbondantemente gli effetti negativi indotti dalla transizione demografica.

Nei quindici anni successivi, il rafforzamento delle tendenze negative delle dinamiche demografiche e gli effetti sugli importi di pensione conseguenti al posticipo del pensionamento degli anni precedenti sopravanzano gli effetti di contenimento esercitati dal quadro normativo. La crescita del rapporto fra spesa pensionistica e PIL si protrae fino al 2044, quando raggiunge il 15,5 per cento. Nella parte finale del periodo di previsione, il rapporto decresce significativamente attestandosi al 13,7 per cento nel 2060. Il decremento è dovuto essenzialmente al completamento del passaggio dal sistema di calcolo misto a quello contributivo, che determina un’attenuazione della dinamica degli importi di pensione di nuova liquidazione (anche per effetto della revisione dei coefficienti di trasformazione), nonché alla progressiva eliminazione delle coorti dei pensionati nati negli anni del baby boom.

L’andamento previsto mostra come il processo di riforma del sistema pensionistico attuato nel corso degli ultimi due decenni riesca, in misura sostanziale, a compensare i potenziali effetti di medio-lungo periodo della transizione demografica sulla spesa pubblica per pensioni, come anche evidenziato in sede internazionale.

Al riguardo, si evidenzia che il quadro appena delineato sconta esplicitamente un "tasso di occupazione [che] aumenta di 9-10 punti percentuali, nella fascia di età 15-64 anni, rispetto al valore del 2010". Tale assunto (partendo dal valore del 2010 – pari al 56,9 per cento – lascia presumere che il tasso di occupazione atteso per il 2060 si dovrebbe attestare sopra al 66%) sembra in evidente discrasia con le variabili macroeconomiche assunte nello scenario di lungo periodo e, come detto, confermate nelle ipotesi strutturali dello scenario EPG-WGA, che ipotizza un tasso di occupazione nella fascia di età in questione in crescita dal 55,7 del 2014 al 60,3 per cento del 2060. Stante la rilevanza del parametro in esame sull'ammontare del rapporto pensioni/PIL (sia pur in modo non univoco come potrebbe emergere ictu oculi) un chiarimento appare necessario, trattandosi di scenari notevolmente diversi.

Inoltre si segnala che le previsioni indicate nel box appena analizzato (contenuto nella seconda sezione del DEF e qui sopra riprodotto) appaiono divergere da quelle formulate nella sezione I e descritte nel paragrafo che precede il suddetto box. Infatti, mentre nelle tendenze di medio-lungo periodo si afferma che il periodo di crescita del rapporto spesa pensionistica/PIL dovrebbe avviarsi nel 2030 e concludersi intorno al 2045, la sezione I riporta valori di picco leggermente più elevati (circa mezzo punto percentuale) e anticipati di circa un decennio (2035), in rapporto ad una fase di crescita destinata ad iniziare già nel 2020. La discrasia meriterebbe un chiarimento.

 

Grazie al complessivo processo di riforma attuato a partire dal 2004, l'età media al pensionamento (tenendo in considerazione sia l'età del pensionamento di vecchiaia che i requisiti per il pensionamento anticipato) aumenta da 60-61 durante il periodo 2006-2010 a circa 64 anni nel 2020, a 67 nel 2040 e poi a circa 68 nel 2050. Cumulativamente, la minore incidenza della spesa in rapporto al PIL derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004 ammonta a circa 60 punti percentuali del PIL al 2050. Tali risultati sono da ascrivere per circa 1/3 alla riforma introdotta con il decreto-legge n. 201 del 2011 (estensione del metodo contributivo di calcolo, innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi richiesti per il pensionamento, con ulteriore accelerazione del processo in rapporto alle variazioni dell'aspettativa di vita, maggiormente rilevanti anche nella rideterminazione dei coefficienti di trasformazione) e per circa 2/3 a precedenti interventi.

Figura 22 - Spesa pubblica per pensioni in rapporto al PIL sotto differenti ipotesi normative

(rapporto spesa per pensioni su PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Sempre in relazione a tale processo di riforma la sottostante figura descrive le implicazioni sul rapporto debito/PIL dei vari interventi normativi adottati dal 2004 sino al 2011 sulla base di un esercizio controfattuale che ridetermina il livello iniziale del debito e dell’avanzo primario nell’ipotesi di assenza della riforma pensionistica considerata.

Tutti gli interventi di riforma presi in considerazione, dal 2004 al più recente, hanno comportato effetti strutturali e determinato, complessivamente, una progressiva riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL rispetto alle previsioni a legislazione previgente, impattando pertanto sul valore attuale dei flussi di spesa.

Figura 23 - Debito in rapporto al PIL sotto differenti ipotesi normative in materia di pensioni

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

I risultati mostrano che nello scenario che sconta l’assenza di qualsiasi riforma nell'ultimo decennio il rapporto debito/PIL, dopo una fase di ulteriore aumento provocato dal progressivo pensionamento delle generazioni del baby boom, comincerebbe a ridursi solo dopo il 2040 attestandosi, tuttavia, su livelli permanentemente più alti rispetto a quelli dello scenario di riferimento, che invece incorpora gli effetti finanziari di tutte le riforme successivamente implementate.

 

La LTC (rappresentata per l'80% dalle indennità di accompagnamento e valutata sulla base del citato scenario base e della dinamica di crescita del PIL) presenta, dopo una fase iniziale di sostanziale stabilità, un profilo crescente in termini di PIL che si protrae per l’intero periodo di previsione, attestandosi all’1,5 per cento nel 2060.

 

Pur non trattandosi di valori particolarmente elevati in assoluto, la crescita del rapporto sul PIL appare rilevante, attingendo il valore del 50% (è infatti stimata pari all'1 per cento per il 2015).

Gli indicatori di sostenibilità fiscale

Gli indicatori di medio e lungo periodo (S1 e S2) consentono di valutare l’impatto delle passività implicite (per esempio, le pensioni ancora non erogate ma che sono riferibili a contribuzione in corso di versamento da parte di lavoratori in attività) connesse all’invecchiamento della popolazione sulla sostenibilità fiscale di medio-lungo periodo.

L’indicatore di medio periodo, S1, individua la variazione del saldo primario strutturale in termini cumulati fino al 2020 tale da garantire, se mantenuta costante negli anni successivi, di raggiungere un livello di debito/PIL pari al 60 per cento entro il 2030, e ripagare i costi di invecchiamento.

L'indicatore di lungo periodo, S2, individua la variazione del saldo primario strutturale che, se immediatamente realizzata e mantenuta, consente di conservare l’equilibrio intertemporale di bilancio su un orizzonte infinito.

Entrambi gli indicatori sono basati sulle previsioni di crescita e di saldi di bilancio programmatici del Programma di Stabilità 2016, e incorporano le proiezioni a medio-lungo termine delle spese connesse all'invecchiamento. Più alti e positivi i valori degli indicatori di sostenibilità S1 e S2, maggiore è l’aggiustamento fiscale necessario e quindi il rischio di sostenibilità.

La tabella riporta i risultati degli indicatori S1 e S2 e delle rispettive componenti per gli ultimi documenti programmatici e per il recente 2015 Fiscal Sustainability Report della Commissione europea.

Figura 24 - Indicatori di sostenibilità

(punti di PIL)

Fonte: DEF 2016 , Sezione I.

Per il 2016, il documento segnala un peggioramento del valore di S1 rispetto ai documenti precedenti. La scomposizione di S1 per sotto-componenti mostra che il valore relativo alla misura dello sforzo necessario a stabilizzare il rapporto debito/PIL al livello di partenza si mantiene negativo (e pari a -2,3 punti di PIL). Pertanto, limitatamente a questa componente, gli obiettivi programmatici sarebbero sufficienti a stabilizzare il debito al livello del 2019, controbilanciando sia le tendenze all’aumento che possono scaturire dalle spese connesse all’invecchiamento sia le spese per interessi. Per contro, la componente che incide negativamente sull’indicatore è quella che misura l’aggiustamento necessario per ridurre il rapporto debito/PIL dal suo livello iniziale al 60 per cento nel 2030. Tale componente presuppone un aumento del saldo primario strutturale pari al 5,0 per cento del PIL.

Il valore complessivo dell’indicatore è 2,9, di poco superiore alla soglia di 2,5, al di sopra della quale un paese è considerato ad alto rischio nel medio periodo.

Si segnala che nel “Fiscal sustainability Report 2015” della Commissione tale indicatore è pari a 4,2, come si evince dalla tabella seguente, recante i valori degli indicatori in questione per i principali paesi europei, desunti dal citato report.

Tabella 44 - Indicatori S1 S2

 

S1

S2

Austria

1,3

2,7

Francia

4,4

0,6

Germania

-0,8

1,7

Gran Bretagna

3,3

3,2

Italia

4,2

-0,9

Olanda

0,6

4,5

Polonia

1

3,5

Spagna

2,5

0,1

Svezia

-1,3

2,3

S1>2,5=Stato ad alto rischio di sostenibilità nel medio periodo

S2<2=Stato a basso rischio di sostenibilità nel lungo periodo

Fonte: Fiscal sustainability Report 2015

 

Per contro, il valore complessivo dell’indicatore S2 è pari a -1,5, inferiore alla soglia di 2, sotto alla quale un paese è considerato a basso rischio nel lungo periodo. Nel citato rapporto sulla sostenibilità di bilancio l’S2 per l’Italia è pari a -0,9.

Nel complesso si evince che, a fronte di rischi di sostenibilità nel medio periodo fra i più elevati nel contesto europeo, la situazione della finanza pubblica nel lungo periodo appare la più solida in Europa, in virtù delle riforme implementate negli ultimi vent’anni, volte a stabilizzare le principali componenti di spesa.

Per quanto riguarda le sotto-componenti di S2, il valore relativo alla componente che misura lo sforzo necessario a stabilizzare il rapporto debito/PIL al livello del 2019, si mantiene negativo (pari a -1,6 punti di PIL) coeteris paribus, segnalando la capacità delle finanze pubbliche italiane, date le condizioni di bilancio previste nel 2019, di fare fronte al cumulo della spesa per interessi in rapporto al PIL (snow-ball effect) attesa nel lungo periodo. La componente che misura l’ulteriore aggiustamento necessario a far fronte all’aumento delle spese legate all’invecchiamento della popolazione, comune sia all’indicatore S2 che a S1, si mantiene su valori prossimi allo zero, segnalando il fatto che tali costi, a seguito delle riforme effettuate, sarebbero pienamente sotto controllo.

L’analisi di sensitività della dinamica del debito nel lungo periodo

L’analisi di sensitività presentata di seguito ha, da un lato, lo scopo di valutare la robustezza dei risultati a fronte dell’incertezza che li caratterizza e, dall’altro, di verificare sotto quali ipotesi di riforma e in base a quali condizioni di bilancio, la sostenibilità del debito nel lungo periodo possa essere garantita o, viceversa, messa a repentaglio.

Pertanto, si discutono diversi scenari alternativi che replicano le ipotesi sottostanti gli esercizi di sensitività presentati nell’ultimo rapporto metodologico relativo al 2015 Ageing Report della Commissione Europea. In linea con la metodologia utilizzata dalla Commissione Europea, lo scenario di base assume per la proiezione del rapporto debito/PIL fino al 2060 che le entrate fiscali si mantengano costanti in rapporto al PIL al livello programmato per il 2019 lungo tutto l’orizzonte di previsione. La spesa pubblica, invece, varia in funzione della dinamica delle spese connesse con l’invecchiamento della popolazione descritte sopra. Il deflatore del PIL converge al 2,0 per cento dal 2022, anno in cui si chiude l’output gap, e il tasso di interesse reale, partendo dal livello del 2019, converge al 3,0 per cento in dieci anni.

Le proiezioni di lungo periodo del debito/PIL nello scenario di riferimento presentano una dinamica decrescente che prevede che solo nel 2058 il debito cali al di sotto della soglia del 60 per cento del PIL.

Lo scenario di base viene confrontato con i risultati derivanti da altre simulazioni che presentano shocks di natura demografica, macroeconomica e fiscale. Inoltre, si presentano i risultati relativi ad uno scenario di rischio in cui l’impatto dei fattori non demografici imprime un’ulteriore pressione sulla dinamica attesa della spesa sanitaria e per l’assistenza agli anziani e ai disabili a lungo termine (LTC).

In fondo al paragrafo si fornisce una tabella riepilogativa delle principali simulazioni svolte, nella quale viene indicato l'anno in cui, per ciascuno scenario, il rapporto debito/PIL raggiunge il livello target del 60%.

Simulazioni rispetto alle variabili demografiche

L’esercizio ipotizza due scenari alternativi per il periodo 2020-2060: i) una diminuzione del 20 per cento del flusso netto medio annuo di immigrati rispetto all'ipotesi base dal 2021; e ii) un aumento del 20 per cento, sempre dal 2021.

L’evoluzione del debito pubblico nei due scenari alternativi è confrontata con quella dello scenario di riferimento nella Figura 25 .

Figura 25 - Sensitività del debito pubblico a un aumento/riduzione del flusso netto di immigrati

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Coeteris paribus, le conseguenze sulla sostenibilità della finanza pubblica derivanti da una diminuzione del flusso migratorio del 20 per cento rispetto a quello ipotizzato nello scenario di base contribuirebbe a rallentare il rientro del rapporto debito/PIL, che si attesterebbe su livelli di poco inferiori all'80 per cento nel 2060.

 

Si fa presente che il quadro delineato in corrispondenza di una diminuzione del 20 per cento del flusso migratorio sembra sensibilmente peggiore di quello prospettato nel DEF 2015 nel medesimo scenario.

Simulazioni rispetto alle variabili macroeconomiche

La prima simulazione sconta gli effetti di un tasso di crescita della produttività del lavoro costantemente superiore/inferiore di 0,25 punti percentuali dal 2025 rispetto allo scenario base. L'impatto di tali variazioni risulta trascurabile nel breve/medio periodo, ma su un orizzonte più lungo accelera o rallenta significativamente la riduzione del rapporto debito/PIL, che si attesterebbe su un valore di circa l'84 per cento in caso di bassa produttività e di circa il 26 per cento nel caso di alta produttività.

Figura 26 - Sensitività alle ipotesi macroeconomiche, maggiore e minore crescita della produttività

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

La seconda simulazione ipotizza un aumento/riduzione graduale dal 2021 del tasso di variazione della produttività totale dei fattori (TFP), fino al 20 per cento a decorrere dal 2035, coerentemente – nell'ipotesi della riduzione – con una possibile perdita permanente di capacità produttiva causata dalla recente crisi economica. Nel caso di alta TFP, il rapporto debito/PIL presenterebbe un andamento particolarmente favorevole, mentre nel caso di bassa TFP il debito/PIL presenta un profilo stabile o in leggera crescita e molto superiore al baseline, anche se negli anni finali dell'orizzonte di previsione il profilo è previsto tornare a decrescere leggermente, fino a raggiungere un valore di poco superiore al 90 per cento.

Figura 27 - Sensitività alle ipotesi macroeconomiche, maggiore e minore crescita della produttività totale dei fattori

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Simulazioni rispetto a uno scenario di rischio nella spesa sanitaria

Mutuando dalla Commissione Europea la metodologia del cosiddetto scenario di rischio, che si differenzia da quello di base per alcune ipotesi più stringenti relativamente ai fattori non demografici, risulta che anche in tale caso nel medio periodo peggiorerebbe solo lievemente l’andamento del rapporto debito/PIL, che si manterrebbe al di sotto del 90 per cento dopo il 2041, per convergere al 70 per cento nel 2060.

Figura 28 - Sensitività del debito pubblico alle ipotesi della spesa sanitaria nel risk scenario

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

Si rappresenta che nel DEF 2015 all'analoga ipotesi in esame era correlato un quadro di finanza pubblica che vedeva comunque il rapporto debito/PIL attestarsi al 60 per cento fin dal 2035. Il notevole peggioramento del rapporto andrebbe motivato.

 

Si ritiene opportuno riprodurre nella seguente tabella le indicazioni fornite dalle predette tabelle in ordine agli anni in cui si raggiungerebbe il livello del 60% del rapporto debito/PIL in relazione ai vari scenari sopra descritti. La tabella evidenzia inoltre (dati tra parentesi) il risultato della simulazione contenuta nel DEF dell'anno passato.

Tabella 45 - Riepilogo delle simulazioni

 

Scenario migliore

Scenario base

Scenario peggiore

Flussi immigrati

(+20%, base ‑20%)

2050 (2042)

(2044)

>2060 (2051)

Produttività lavoro

(+0,25%, base -0,25%)

2049 (2039)

2058 (2044)

>2060 (2053)

Produttività totale dei fattori

(+20%, base ‑20%)

2049 (2039)

2058 (2044)

>2060 (2053)

Rischio sanitario

 

2057 (2044)

>2060 (2048)

Fra parentesi i corrispondenti valori desumibili dal DEF 2015

>2060: target non raggiunto

Fonte: nostra elaborazione su dati del DEF 2016

Simulazioni rispetto all'avanzo primario

Questa simulazione valuta la robustezza dei risultati di sostenibilità delle finanze pubbliche a fronte di un peggioramento dell’avanzo primario nel 2019. A tale fine, il valore nello scenario di base, pari al 3,6 per cento del PIL nel 2019 è, di volta in volta, diminuito di 1,0 punto percentuale, scendendo rispettivamente al 2,6 e all’1,6 per cento.

Figura 29 - Sensitività del debito pubblico all'avanzo primario strutturale

(in percentuale del PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.

La dinamica del debito pubblico si modifica significativamente a seguito del peggioramento dell’avanzo primario al 2019, in particolare per livelli al di sotto del 3,0 per cento del PIL. Si osserva infatti che, per un livello iniziale dell’avanzo primario pari al 2,6 per cento del PIL, il debito presenta un profilo sostanzialmente piatto, con un rapporto sul PIL che si attesterebbe intorno al 110 per cento nel 2060. Valori dell’avanzo primario al di sotto del 2,0 per cento del PIL porterebbero il rapporto debito/PIL a crescere significativamente fino a raggiungere il 160 per cento nel 2060. Da queste simulazioni appare evidente come la sostenibilità del debito richiede il mantenimento di ampi avanzi primari nel corso del tempo.

 

Al riguardo, pur evidenziando che nel 2015 il DEF svolgeva la sua analisi sull'avanzo assumendo un valore di partenza leggermente superiore, si rappresenta che gli scenari alternativi delineati nel presente documento appaiono chiaramente più allarmanti di quelli definiti nel 2015. Basti pensare che nell'ipotesi di un avanzo primario inferiore al 2 per cento, a fronte di un rapporto debito/PIL indicato pari al 120 per cento nel 2060 dal DEF 2015, il documento in esame prospetta che l'omologo valore si attesti al 160 per cento, con evidenti, gravi riflessi sulla sua sostenibilità. Il netto peggioramento del quadro in tale sfavorevole scenario necessita di un chiarimento.

 

In merito alle presenti simulazioni, andrebbe poi considerata l'ipotesi dell'emergere contestuale di più di uno scenario negativo, eventualità che non può a rigore considerarsi trascurabile, anche alla luce del fatto che gli scenari sopra delineati non sembrano essere caratterizzati da completa indipendenza reciproca.

Garanzie concesse dallo Stato

Al 31 dicembre 2015 le garanzie concesse dallo Stato sono ammontate a 36,8 miliardi, pari al 2,3 per cento del PIL, con un calo di circa 6,5 miliardi di euro rispetto l’anno precedente. In particolare, le garanzie concesse ad istituti di credito a seguito della crisi finanziaria sono scese a 6,4 miliardi, pari allo 0,4 per cento del PIL, riducendosi di circa 17 miliardi a seguito del miglioramento della situazione patrimoniale delle istituzioni finanziare.

L'ammontare complessivo può essere sintetizzato nei seguenti termini:

Tabella 46 - ammontare complessivo delle garanzie concesse dallo Stato

 

Debito residuo garantito al 31/12/2015

Debito residuo garantito al 31/12/2014

Fondo centrale garanzia PMI

16.960

13.800

Obblighi FFSS spa verso TAV spa

1.834

1.986

Garanzie assunte dalle amm. locali

3.591

3.824

Garanzie sulle obbligazioni bancarie

6.421

23.375

Garanzie sulle obbligazioni C.DD.PP. spa

1.500

 

Fondo garanzia prima casa

112

 

Fondo garanzia in favore di SACE

6.022

 

Garanzie a favore dell'ILVA

400

 

Totale

36.840

42.985

 

Nel confronto con i principali partner europei lo stock di garanzie pubbliche dell'Italia risulta tra i più bassi. Il trend decrescente, peraltro comune alla maggior parte dei paesi UE, riflette il progressivo venir meno delle garanzie rivolte al sistema finanziario, anche nei paesi più colpiti in tale settore (Irlanda, Austria, Grecia e Spagna).

Figura 30 - Garanzie pubbliche nei Paesi UE

(% sul PIL)

Fonte: DEF 2016, Sezione I.


 

Parte III: Analisi del programma nazionale di riforma

1. Introduzione

La terza sezione del DEF 2016 reca il Programma Nazionale di riforma (PNR) che, in coerenza con il Programma di Stabilità, definisce gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità delineati dalla nuova Strategia “Europa 2020”. In tale ambito sono indicati:

§  le priorità del Paese, con le principali riforme da attuare, e i tempi previsti per la loro attuazione (parte I La strategia di riforma dell'Italia e Appendice A Cronoprogramma del Governo);

§  lo scenario macroeconomico e i prevedibili effetti delle riforme proposte in termini macroeconomici e finanziari (parte II Scenario macroeconomico e impatto delle riforme e Appendice B Tavole di sintesi dell'impatto macroeconomico delle riforme);

§  l'azione del Governo, lo stato di avanzamento delle riforme avviate, in relazione alle raccomandazioni formulate dal Consiglio UE al termine del “semestre europeo” 2015, nonché il piano per il Mezzogiorno (parte III: Le risposte di policy alle principali sfide economiche e Appendice C Sintesi delle misure in risposta alle raccomandazioni del Consiglio 2015);

§  le iniziative più rilevanti al fine del raggiungimento degli obiettivi nazionali previsti dalla Strategia Europa 2020 (parte IV Progressi nei target della strategia Europa 2020 e Appendice D Sintesi delle misure per il raggiungimento dei target della strategia Europa 2020).

Completano la sezione due parti sui fondi strutturali nella programmazione 2014-2020 e sulle interlocuzioni istituzionali con regioni e province autonome e con le parti sociali (Parte V Fondi strutturali e Parte VI Interlocuzioni istituzionali e coinvolgimento degli stakeholder).


 

2. Le raccomandazioni dell'Unione europea, analisi della crescita e Rapporto sugli squilibri macroeconomici

2.1 Le raccomandazioni dell'Unione europea

Il Consiglio dell'Unione europea del 14 luglio 2015 ha adottato, sulla base delle proposte della Commissione, una raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia e formulato un parere sul programma di stabilità 2015 del nostro Paese.

In particolare, raccomanda che l'Italia adotti provvedimenti nel 2015 e nel 2016 in sei ambiti di intervento:

1)          Sostenibilità finanze pubbliche - richiede di: conseguire un aggiustamento di bilancio verso l'obiettivo di bilancio a medio termine pari ad almeno lo 0,25 % del PIL nel 2015 e allo 0,1 % del PIL nel 2016, adottando le necessarie misure strutturali sia nel 2015 che nel 2016, tenuto conto dello scostamento consentito per l'attuazione di importanti riforme strutturali; assicurare che la revisione della spesa costituisca parte integrante del processo di bilancio; attuare in modo rapido e accurato il programma di privatizzazioni e ricorrere alle entrate straordinarie per compiere ulteriori progressi al fine di assicurare un percorso adeguato di riduzione del rapporto debito pubblico/PIL; attuare la legge delega di riforma fiscale entro settembre 2015, con particolare riguardo alla revisione delle agevolazioni fiscali e dei valori catastali e alle misure per migliorare il rispetto della normativa tributaria;

2)          Infrastrutture e coesione - raccomanda di: adottare il piano strategico nazionale della portualità e della logistica previsto, in particolare per contribuire alla promozione del trasporto intermodale mediante migliori collegamenti; assicurare la piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale in modo da determinare un sensibile miglioramento della gestione dei fondi dell'UE;

3)          Pubblica amministrazione - richiede di: adottare e attuare le leggi in discussione intese a migliorare il quadro istituzionale e a modernizzare la pubblica amministrazione; riformare l'istituto della prescrizione entro la metà del 2015; fare in modo che le riforme adottate per migliorare l'efficienza della giustizia civile contribuiscano a ridurre la durata dei procedimenti;

4)          Sistema finanziario - richiede di introdurre entro la fine del 2015 misure vincolanti per risolvere le debolezze che permangono nel governo societario delle banche, dare attuazione alla riforma concordata delle fondazioni e adottare provvedimenti per accelerare la riduzione generalizzata dei crediti deteriorati;

5)          Mercato del lavoro - richiede di adottare i decreti legislativi riguardanti la configurazione e il ricorso alla cassa integrazione guadagni, la revisione degli strumenti contrattuali, l'equilibrio tra attività professionale e vita privata e il rafforzamento delle politiche attive del mercato del lavoro; promuovere, di concerto con le parti sociali e conformemente alle prassi nazionali, un quadro efficace per la contrattazione di secondo livello; nell'ambito degli sforzi per ovviare alla disoccupazione giovanile, adottare e attuare la prevista riforma della scuola e ampliare l'istruzione terziaria professionalizzante;

6)          Semplificazione e concorrenza - richiede di attuare l'«Agenda per la semplificazione 2015-2017» al fine di snellire gli oneri amministrativi e normativi; adottare misure finalizzate a favorire la concorrenza in tutti i settori contemplati dal diritto della concorrenza e intervenire in modo deciso sulla rimozione degli ostacoli che ancora permangono; garantire la rettifica entro la fine del 2015 dei contratti di servizi pubblici locali che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti «in-house».

 

Le raccomandazioni specifiche per Paese sono integrate dalle raccomandazioni per la zona euro (pubblicate questa volta in novembre anziché contestualmente alle raccomandazioni specifiche).

Le quattro raccomandazioni riguardano:

1)          il perseguimento di politiche che sostengano la ripresa, promuovano la convergenza, favoriscano la correzione degli squilibri macroeconomici e migliorino la capacità di aggiustamento. A tal fine, gli Stati membri con un forte debito privato ed estero dovrebbero attuare riforme per migliorare la produttività, incentivare la creazione di posti di lavoro, aumentare la competitività e ottimizzare il contesto imprenditoriale. I paesi con forti eccedenze delle partite correnti dovrebbero attuare in via prioritaria misure che contribuiscano a fare convergere i risparmi verso l’economia nazionale, dando così impulso agli investimenti nazionali;

2)          attuare riforme che combinino i) contratti lavorativi flessibili e affidabili che promuovano le transizioni sul mercato del lavoro ed evitino un mercato del lavoro a due livelli; ii) strategie complete di apprendimento permanente; iii) politiche efficaci per aiutare i disoccupati a reinserirsi nel mercato del lavoro, iv) sistemi moderni di protezione sociale che sostengano le persone in difficoltà e incentivino l’integrazione nel mercato del lavoro e v) mercati dei prodotti e dei servizi aperti e competitivi. Ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, in particolare per i lavoratori a basso reddito, in maniera neutra dal punto di vista del bilancio al fine di incentivare la creazione di posti di lavoro;

3)          mantenere il previsto orientamento prevalentemente neutro delle politiche di bilancio nel 2016. In vista del 2017, ridurre il debito pubblico al fine di ripristinare riserve di bilancio evitando la prociclicità, nel pieno rispetto del patto di stabilità e crescita. Differenziare lo sforzo di bilancio compiuto dai singoli Stati membri tenendo conto della loro posizione rispetto ai requisiti previsti dal patto di stabilità e crescita e delle loro esigenze di stabilizzazione, nonché degli effetti di ricaduta nei vari paesi della zona euro. A tal fine, discutere gli orientamenti di bilancio della zona euro in tempi utili per l’elaborazione e la presentazione dei programmi di stabilità e dei documenti programmatici di bilancio;

4)          agevolare la graduale riduzione dei prestiti in sofferenza delle banche e migliorare le procedure di insolvenza di imprese e famiglie. Negli Stati membri con un forte debito privato ed estero, promuovere una riduzione ordinata dell’indebitamento, anche agevolando la risoluzione del debito insostenibile.

2.2 L'analisi annuale sulla crescita

Nell'Analisi annuale sulla crescita per il 2016, la Commissione illustra le principali caratteristiche del proprio programma individuando le priorità in materia di politiche macroeconomiche. Per il 2016 sono individuate tre priorità: rilanciare gli investimenti, proseguire le riforme strutturali per modernizzare le economie, attuare politiche di bilancio responsabili.

Rilanciare gli investimenti

Tra le priorità la Commissione ha inserito il miglioramento dell'ambiente regolatorio e finanziario; il completamento dell'Unione bancaria per rafforzare la stabilità finanziaria; la realizzazione dell'Unione dei mercati dei capitali al fine di aumentare e diversificare le fonti di finanziamento e di sostenere l'economia reale; l'alleggerimento della mole di debiti che limita i finanziamenti e le decisioni di investimento; la definizione delle scelte di investimento deve essere rinnovata per estendersi oltre le infrastrutture e includere il capitale umano e i connessi investimenti di natura sociale.

Continuare nel percorso delle riforme per modernizzare le economie di paesi UE

Le riforme devono puntare a una maggiore produttività e una crescente convergenza; le politiche del mercato del lavoro devono trovare un equilibrio tra flessibilità e sicurezza; misure specifiche devono essere implementate per affrontare la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata; infine la realizzazione di mercati dei beni e dei servizi più integrati e competitivi assume una particolare importanza nella misura in cui può stimolare l'innovazione e la creazione di posti di lavoro.

Gestire responsabilmente le finanze pubbliche

Le priorità di questo pilastro delineate dalla Commissione sono: il sostegno a politiche di consolidamento di bilancio pro-crescita ed eque; la definizione di sistemi fiscali più giusti e più efficaci nonché in grado di affrontare il problema dei disincentivi alla creazione di posti di lavoro; infine, in considerazione delle future sfide demografiche, i sistemi di protezione sociale dovrebbero essere modernizzati per rispondere più efficientemente ai rischi connessi con il calo delle nascite e l'allungamento delle speranze di vita, restando così finanziariamente sostenibili.

2.3 Il rapporto sugli squilibri macroeconomici

Nel novembre 2015 è stata pubblicata anche la Relazione 2016 sul meccanismo di allerta (COM (2015) 691) che avvia il quinto ciclo annuale della procedura per gli squilibri macroeconomici (introdotta dal regolamento (UE) n. 1176/2011) e ha lo scopo di individuare gli Stati membri che dovrebbero essere sottoposti ad ulteriori esami approfonditi al fine di stabilire se presentino squilibri tali da richiedere un intervento politico. Rispetto al quadro di valutazione consolidato negli anni precedenti, la relazione 2016 introduce tre nuovi indicatori in materia di occupazione: il tasso di attività, la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata. Si tratta di variabili che la Commissione considera particolarmente rilevanti per le conseguenze sociali della crisi attraversata dall'UE e perché sviluppi negativi e prolungati dell'occupazione e della situazione sociale possono ripercuotersi sfavorevolmente sulla crescita potenziale del PIL in vari modi, rischiando di aggravare gli squilibri macroeconomici.

In tale quadro generale, pur constatando i progressi compiuti dagli Stati membri nella correzione degli squilibri, la Commissione osserva come le vulnerabilità associate a livelli elevati di indebitamento rimangano una fonte di giustificata preoccupazione, come anche il permanere di avanzi delle partite correnti elevati in alcuni Stati membri anche per il periodo 2015-2017, la cui ragione principale va riscontrata in un eccesso di risparmio interno rispetto agli investimenti a livello di zona euro. Positiva è la valutazione sul livello di convergenza delle condizioni del mercato del lavoro (dopo anni di modelli fortemente differenziati), che tuttavia è accompagnato dal permanere di un disagio sociale accentuato, specie in alcuni paesi.

La Commissione quindi, dopo aver proceduto a un esame più particolareggiato dell'accumulo e della correzione degli squilibri nei singoli Stati membri, e dei rischi connessi, ritiene giustificato un esame approfondito:

§  per tutti gli Stati membri per i quali erano già stati riscontrati squilibri nel precedente ciclo di esami approfonditi, vale a dire: Belgio, Bulgaria, Germania, Francia, Croazia, Italia, Ungheria, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Spagna, Slovenia, Finlandia, Svezia e Regno Unito;

§  per due Stati membri che non erano ancora stati oggetto di procedura, vale a dire Estonia e Austria.

Per gli Stati membri che beneficiano di assistenza finanziaria (Grecia e Cipro), la sorveglianza degli squilibri e il monitoraggio delle misure correttive saranno condotti nel contesto dei rispettivi programmi di assistenza.

 

Nel febbraio 2016 è stato pubblicato l'esame approfondito sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici relativo all'Italia, riportato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione, "Relazione per paese relativa all'Italia 2016".

Per quanto riguarda la valutazione dei progressi dell'Italia nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche per paese del 2015 viene rilevato che, nel corso dell'ultimo anno, importanti riforme hanno riguardato: il mercato del lavoro; la governance nel settore bancario e il problema dei crediti deteriorati; l'istruzione; la riduzione degli oneri amministrativi; infine, per riformare la PA è stata approvata una legge delega. Viene rilevato poi che il pieno effetto di queste riforme potrà concretarsi solo nel tempo, ma i primi segnali sono positivi. Dall'altro canto viene notato che gli obiettivi della spending review sono stati ridimensionati; l'abolizione dell'imposta sulla prima casa non è in linea con le raccomandazioni del Consiglio di spostare la pressione fiscale dai fattori produttivi ai consumi e agli immobili; inoltre, non è stato dato seguito alla revisione dei valori catastali e delle agevolazioni fiscali. Le parti sociali non hanno trovato un accordo sulla riforma della contrattazione collettiva. In relazione ai termini di prescrizione non è completato l'iter sulla revisione sistematica.

Quanto all'avvicinamento agli obiettivi nazionali della strategia Europa 2020, l'Italia li ha raggiunti o ha compiuto progressi verso il loro conseguimento relativamente alla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, all'aumento della quota delle energie rinnovabili, al miglioramento dell'efficienza energetica, alla riduzione dell'abbandono scolastico e all'incremento del tasso di istruzione terziaria. Sono invece necessari ulteriori sforzi per quanto riguarda l'aumento del tasso di occupazione, gli investimenti in ricerca e sviluppo e la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale.

Tabella 47 - Livelli dei target Europa 2020

Target

Indicatore

Livello

corrente

Obiettivo Italia

al 2020

Italia -Medio termine

Tasso di

oc­cupazione

20-64

Tasso di occupa­zione totale

59,9% (2014)

60,5% (2015)

67-69%

63%

Spesa in ricerca e sviluppo

Spesa in R&S ri­spetto al PIL

1,27% (2012)

1,31% (2013)

1,29% (2014)[1]

1,53%

1,40%

Abbandoni scolastici

Abbandoni scola­stici

14,7% (Italia)

19,4% (Area conver­genza)

16%

17,3%

(2015)

Istruzione universitaria

Istruzione terziaria

23,9% (2014)

25,3% (2015)

26-27%

23,6%

(2015)

Contrasto alla povertà

Numero di poveri, deprivati material­mente o apparte­nenti a famiglie a bassa intensità di lavoro

18.194.000 (2012)

17.326.000 (2013)

17.146.000 (2014)

Diminuzione di 2.200.000 poveri, deprivati materialmente o appartenenti a famiglie a bassa intensità di lavoro

 

Emissioni di gas ad effetto serra

Emissioni di gas a effetto serra per i settori non ETS

344,8 (2005)[2]

272,5 (2013)

264,1 (2014)

Riduzione al 2020 del 13% ri­spetto al livello del 2005, con traiettoria lineare a partire dal 2013 (308,2 MtCO2eq nel 2013 e 294,4 MtCO2eq nel 2020)

 

Fonti

rinnovabili

Quota di energia da fonti rinnovabili

12,88% (2011)

15,44% (2012)

16,74% (2013)

17,07% (2014)

17,30% (2015 - stima preliminare)

17%

 

 

 

 

 

 

Target

Indicatore

Livello corrente[3]

Obiettivo Italia

al 2016[4]

Ob. Italia

al 2020[5]

Efficienza energetica

Efficienza energe­tica (risparmio an­nuale sugli usi fi­nali)

7,57 Mtep/anno (2013)

10,88 Mtep/anno

15,5 Mtep/anno

 

 

 

 

 

[1]     Stima ISTAT su dati di previsione forniti da imprese, istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit.

[2]   Nel 2005 le emissioni effettive non -ETS sono state pari a 352,9 poiché secondo la direttiva ETS 2003/87/UE i settori rientranti nel campo di applicazione della direttiva erano inferiori a quelli disciplinati dalla direttiva ETS 2009/29/UE.

[3]   Risparmi cumulati sugli usi finali conseguiti nel periodo 2005-2013.

[4]   Obiettivo di efficienza energetica previsto dalla Direttiva 32/2006/CE.

[5]   Target di efficienza fissato dalla Strategia energetica nazionale e confermato dal D.Lgs. 102/2014 di recepimento della Direttiva 27/2012/UE.

Fonte: DEF 2016, sezione III.

Nella Comunicazione della Commissione: Semestre europeo 2016: valutazione dei progressi in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e risultati degli esami approfonditi, pubblicata in marzo, per quanto riguarda il nostro Paese si afferma che: «l’Italia presenta squilibri macroeconomici eccessivi. L’elevato debito pubblico e la prolungata debolezza della dinamica della produttività comportano, per il futuro, rischi di rilevanza transfrontaliera. Nonostante la crescita moderata dei salari, la competitività rimane debole, poiché la dinamica della produttività ha subito un deterioramento, il che limita l’adeguamento del costo unitario del lavoro. La lentezza della risoluzione dei crediti deteriorati grava sui bilanci delle banche. L’elevata disoccupazione di lunga durata incide negativamente sulle prospettive di crescita. La riduzione del debito pubblico richiederebbe avanzi primari più elevati e una crescita nominale sostenuta per il futuro. Sono state adottate politiche volte a riformare le istituzioni del mercato del lavoro e ad affrontare i problemi dei crediti deteriorati, della pubblica amministrazione, della giustizia e dell’istruzione. Permangono delle carenze a livello di politiche, soprattutto per quanto riguarda le privatizzazioni, il quadro della contrattazione collettiva, la revisione della spesa pubblica, le misure di apertura del mercato, l’imposizione fiscale e la lotta contro la corruzione.»

 


 

3. Le politiche pubbliche nel programma nazionale di riforma

3.1 Sistema fiscale

La raccomandazione n. 2 suggeriva di attuare la delega fiscale entro il settembre 2015, con particolare riguardo alla revisione delle agevolazioni fiscali e dei valori catastali e alle misure per migliorare il rispetto della normativa tributaria.

La Relazione della Commissione UE del febbraio 2016 rileva come la tassazione italiana risenta di una serie di problemi, i più urgenti dei quali sono il basso livello di adempimento degli obblighi fiscali, la riforma complessiva, che tarda ad essere attuata, delle agevolazioni fiscali (in particolare per quanto riguarda le aliquote ridotte dell'imposta sul valore aggiunto) e del vecchio sistema dei valori catastali, la necessità di alleviare il carico fiscale che grava sul lavoro e di riformare la tassazione ambientale.

La Relazione afferma che in Italia il carico fiscale sul lavoro, nonostante i recenti sforzi per ridurlo, è molto elevato rispetto alla media dell'UE. In linea con le raccomandazioni del Consiglio del 2016 per la zona euro, l'Italia ha adottato una serie di misure, per lo più attuate mediante le leggi di stabilità del 2015 e del 2016, volte a ridurre il cuneo fiscale nel periodo 2015-2016. Anche la pressione fiscale sul capitale in Italia è superiore alla media dell'UE, ma è destinata a diminuire: si prevede per il 2016 un incentivo agli investimenti per le imprese, grazie alla possibilità di dedurre il 140% degli importi spesi; per il 2017 una riduzione di 3,5 punti percentuali dell'aliquota dell'imposta sul reddito delle società (IRES), che passerà dal 27,5% al 24%.

La Relazione evidenzia, invece, che permangono problemi significativi per quanto riguarda il regime d'imposta sugli immobili, acuiti da provvedimenti recenti: l'abolizione della tassa sulla prima casa è considerato dalla Commissione un passo indietro nel processo di conseguimento di una più efficiente struttura impositiva che sposti il carico fiscale dai fattori produttivi ai beni immobili. Permangono incertezze anche per quanto riguarda la riforma del sistema catastale, un prerequisito fondamentale per un'equa ed efficace tassazione degli immobili. Mentre il bonus di 80 euro dovrebbe avere un impatto positivo a livello sociale e sul cuneo fiscale del lavoro, l’effetto risultato dell'abolizione della TASI è più controverso, soprattutto se valutato rispetto ad usi alternativi delle stesse risorse.

Un altro punto evidenziato dalla Relazione riguarda l'adempimento degli obblighi tributari che, nonostante alcuni progressi, rimane basso anche a causa delle carenze del modello tributario. In Italia il livello relativamente basso di adempimento degli obblighi fiscali assume forme diverse, tra cui la sottodichiarazione dei redditi, l'evasione fiscale e la frode dell'IVA, cui si aggiunge il peso significativo dell'economia sommersa.

 

Il Governo nel DEF 2016 ricorda che in attuazione della delega fiscale sono stati adottati undici decreti legislativi con l’intento di migliorare il quadro delle norma tributarie e il rapporto tra fisco e contribuenti, semplificando l’assolvimento degli obblighi tributari e favorendo l’emersione spontanea delle basi imponibili. In tal senso si segnalano, in particolare, i decreti che hanno previsto:

§  semplificazioni fiscali, con l’introduzione della dichiarazione precompilata per i lavoratori dipendenti e per i pensionati (Decreto legislativo n.175 del 2014);

§  la ridefinizione dell’abuso del diritto, estesa a tutti i tributi e corredata di adeguate garanzie procedimentali e l'introduzione del regime di adempimento collaborativo, secondo le linee proposte dall'OCSE e la previsione della gestione e del controllo interno dei rischi fiscali da parte dei contribuenti (Decreto legislativo n.128 del 2015);

§  il rafforzamento del ruolo del fisco a sostegno delle imprese con attività internazionali e, in particolare, la riduzione dei vincoli alle operazioni transfrontaliere e il miglioramento del sistema degli interpelli preventivi (Decreto legislativo n. 147 del 2015);

§  la revisione del contenzioso tributario e degli interpelli (Decreto legislativo n. 156 del 2015);

§  la revisione delle sanzioni penali e amministrative, secondo criteri di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti (Decreto legislativo n. 158 del 2015);

§  l'efficientamento della riscossione (Decreto legislativo n. 159 del 2015).

Con riferimento alle semplificazioni fiscali il Governo ricorda che da quest’anno la dichiarazione precompilata conterrà una consistente quota di spese sanitarie e un numero maggiore di oneri deducibili e detraibili: tale evoluzione farà crescere il numero delle dichiarazioni accettate con effetti positivi sull'attività di controllo dell'Agenzia delle Entrate. È inoltre in via di predisposizione un decreto correttivo del decreto legislativo n.175 del 2014 che introdurrà ulteriori significative semplificazioni degli obblighi dichiarativi, di comunicazione e di versamento in materia di tributi erariali e locali.

L'emersione spontanea di basi imponibili è favorita dagli interventi in materia di fatturazione elettronica. Per i fornitori delle pubbliche amministrazioni la fatturazione elettronica è divenuta obbligatoria dal 31 marzo 2015. Con il decreto attuativo della delega fiscale in materia di trasmissione telematica delle operazioni IVA e dei corrispettivi (decreto legislativo n. 127 del 2015), a decorrere dal 1° gennaio 2017 i contribuenti che decideranno di avvalersi delle procedure automatizzate di fatturazione o di registrazione dei corrispettivi beneficeranno di importanti semplificazioni negli adempimenti fiscali.

Per quanto riguarda le misure di contrasto all'evasione fiscale, nel 2016 entreranno in vigore le nuove regole per definire una metodologia stabile e imparziale di rilevazione, calcolo e pubblicazione dei risultati delle strategie di contrasto all'evasione fiscale (decreto legislativo n. 160 del 2015). Si evidenzia che nel 2015 l'Agenzia delle entrate ha recuperato 14,9 miliardi dalle attività di contrasto all'evasione: dato in costante aumento negli ultimi dieci anni. Risultati importanti sono derivati dalle misure introdotte dalla legge di stabilità 2015 per contrastare evasione e frodi IVA: l'introduzione del meccanismo di split payment per i fornitori della PA e l'estensione del reverse charge alle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento relative a edifici.

Un contributo rilevante all'emersione di base imponibile sottratta al fisco è derivato dalla voluntary disclosure (legge 15 dicembre 2014, n. 186). Le richieste di adesione sono state 129mila, per circa 60 miliardi di imponibile emerso e un gettito stimato di circa 3,8 miliardi (al netto degli interessi). Tali istanze, in corso di verifica, porteranno all'emissione di circa 500mila accertamenti entro la fine del 2016.

In risposta ai rilievi della Commissione europea, il Governo afferma che il riordino delle spese fiscali (tax expenditures) avverrà nel quadro delle procedure di bilancio: la Nota di aggiornamento al DEF conterrà gli indirizzi programmatici che - una volta approvata la Nota dal Parlamento mediante apposita risoluzione - diventeranno vincolanti per il Governo ai fini della predisposizione della manovra di bilancio. Pertanto il monitoraggio delle spese fiscali sarà propedeutico al loro riordino. L'azione di riordino delle spese fiscali sarà volta a eliminare o rivedere quelle non più giustificate sulla base delle mutate esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica. Il Governo si avvarrà di una Commissione di esperti istituita dal Ministro delle economia e delle finanze, composta da quindici esperti nelle materie economiche, statistiche, fiscali o giuridico-finanziarie.

 

Due aspetti che erano ricompresi nell’ambito di operatività della legge delega fiscale ma che non hanno trovato attuazione, riguardano la revisione dei valori catastali e il settore dei giochi. Entrambi sono stati interessati da alcuni interventi contenuti nella legge di stabilità 2016.

Con riferimento alla revisione dei valori catastali, il DEF afferma che sono necessarie preliminari operazioni di allineamento delle base dati, per valutare in modo accurato gli effetti di gettito e distributivi sui contribuenti. In prima battuta, con la legge di stabilità 2016 il Governo ha inteso privilegiare interventi in aree particolarmente critiche attinenti al processo di determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione produttiva e industriale (c.d. “imbullonati”).

Il Governo ricorda che, a legislazione vigente, sono attivabili, su richiesta degli enti locali, le procedure correnti e straordinarie legate all'accatastamento delle unità immobiliari negli archivi catastali e alla determinazione e accertamento della relativa rendita. Per gli immobili a destinazione residenziale è in vigore la possibilità di interventi mirati di revisione annuale del classamento delle unità immobiliari urbane, ossia la revisione del classamento delle unità immobiliari private site in microzone comunali e l’aggiornamento del classamento catastale per intervenute variazioni edilizie.

Più in generale, per quanto riguarda la tassazione immobiliare, il DEF inquadra le recenti modifiche apportate ai tributi locali (in particolare IMU e TASI) dalla legge di stabilità 2016 nella strategia di alleggerimento del carico fiscale per cittadini e imprese.

Viene ricordata l’eliminazione della TASI (ad opera della citata legge di stabilità 2016, legge n. 2018 del 2015) sulle abitazioni principali (tranne le abitazioni “di lusso”) a partire dal 2016; essa si aggiunge all’eliminazione dell’IMU sui medesimi immobili, decorrente già dal 2014.

Il DEF stima che gli effetti dell’abolizione della TASI sulle abitazioni principali abbiano un effetto positivo sui consumi dal 2016, che – tenendo conto della crescita stimata dei consumi dello 0,25 per cento negli anni 2017-2018 - avrebbe un effetto costante sul PIL dello 0,1 per cento (rispetto allo scenario di base) negli anni 2016- 2019.

Vengono ricordate inoltre le modifiche, operate della legge di stabilità 2016, alle esenzioni IMU per i terreni agricoli (articolo 1, comma 10, lettere c) e d) e comma 13).

Il DEF menziona altresì la disciplina del leasing immobiliare, introdotta dalla medesima legge di stabilità 2016 che ne disciplina gli aspetti civilistici e fiscali. Si tratta di una forma di finanziamento alternativa al contratto di mutuo, in favore delle persone fisiche, finalizzata all'acquisto o alla costruzione di un immobile da adibire ad abitazione principale. Sono previste specifiche agevolazioni fiscali (deducibilità ai fini Irpef e riduzione dell'imposta di registro) connesse a tali contratti.

 

Sempre con la legge di Stabilità 2016 è stato avviato il riordino del settore dei giochi pubblici intervenendo su aspetti fondamentali come il livello di tassazione (aumento del PREU per gli apparecchi), le modalità di tassazione (passaggio al regime della tassazione sul margine per alcuni giochi), la maggiore controllabilità degli apparecchi da divertimento e la pubblicità, disciplinata secondo le linee di indirizzo dell'Unione Europea.

 

Per quanto riguarda il contenzioso tributario, dopo aver agito sulla disciplina del processo in attuazione della delega fiscale, il Governo intende anche promuovere una riforma complessiva della giustizia tributaria per garantire ai cittadini una giurisdizione più efficiente e tempi del giudicato più celeri, mediante misure che rafforzino la professionalità dei giudici tributari. Si segnala che, in linea con le azioni dell'Agenda digitale italiana ed europea, è stato avviato a dicembre 2015 il processo tributario telematico nelle Regioni pilota di Toscana e Umbria, ed è prevista nel giro di due anni la sua estensione graduale in tutte le altre Regioni d' Italia.

 

Si segnala che le più recenti misure fiscali a sostegno della crescita economica, in particolare quelle volte ad alleggerire il prelievo sulle imprese e sui fattori produttivi, sono illustrate nel paragrafo dedicato alla finanza per la crescita.

3.2 Riforme istituzionali

Il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4) reca menzione - come già i Documenti riferiti al 2014 e al 2015 - delle riforme istituzionali.

La sezione III del Documento, dedicata al Programma nazionale di riforma, rammenta (pp. 383-384 e 466) i due salienti momenti dell'intrapreso mutamento dell'architettura istituzionale - la riforma costituzionale e la riforma della legge elettorale - altresì inserendoli nel "cronoprogramma per le riforme" (p. 518).

Siffatta strategia di riforma mira ad un "rafforzamento della capacità istituzionale".

La riforma costituzionale è stata approvata dalla Camera il 12 aprile 2016, così giungendo all'ultimo passaggio dell'iter parlamentare, in attesa si pronunzi su di essa il corpo referendario, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.

La riforma costituzionale, la quale pone fine al bicameralismo paritario e interviene sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regione, è detta migliorativa "della capacità decisionale del Parlamento preservando al contempo l'equilibrio fra istituzioni democratiche".

Il Senato - si legge nel Documento - "sarà un organo elettivo di secondo grado", con alcune competenze, rimanendo fermo che la Camera dei deputati "sarà il principale organo legislativo", esclusiva titolare del rapporto fiduciario con il Governo.

L'istituto del 'voto a data certa' "assicurerà una corsia preferenziale ai disegni di legge di particolare rilevanza per il Programma di Governo".

Il riassetto delle competenze tra Stato centrale e territorio "consentirà una più efficace conduzione della politica economica nel rispetto delle autonomie regionali e locali".

In tal modo è perseguito, secondo il Documento "un rinnovamento istituzionale che incrementi la capacità decisionale della democrazia parlamentare".

L'altra rilevante riforma, quella della legge elettorale per la Camera dei deputati (legge 6 maggio 2015, n. 52), è stata seguita dalla rideterminazione dei collegi plurinominali in essa previsti (con il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122).

Secondo la dicitura del Documento di economia e finanza 2016 "la nuova legge elettorale coniuga le esigenze di rappresentatività con quelle di stabilità istituzionale".

Il Documento altresì menziona, sotto la 'voce' riforme istituzionali, una nuova disciplina in materia di conflitto di interessi. La Camera dei deputati ha, per questo riguardo, approvato il 25 febbraio 2016 uno specifico disegno di legge, del quale è in corso presso il Senato l'esame in sede referente, congiuntamente ad alcuni altri disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla medesima materia.

Il "cronoprogramma" del Documento prevede un'approvazione del provvedimento entro la fine del 2016.

3.3 Pubblica amministrazione e semplificazioni

La raccomandazione n. 3 indirizzata dal Consiglio europeo nel 2015 invitava il Governo ad adottare e attuare le leggi in discussione intese a migliorare il quadro istituzionale e a modernizzare la pubblica amministrazione.

La Relazione della Commissione UE del febbraio 2016 rileva come dai confronti internazionali disponibili (Banca mondiale - Indicatori mondiali della governance 2015) emerga che l’efficienza e l’efficacia del settore pubblico italiano sono inferiori alla media dell’UE. I dati rivelano anche un andamento negativo: il punteggio dell’Italia per l’efficienza della pubblica amministrazione è progressivamente diminuito, passando da 0,67 nel 2004 a 0,42 nel 2009 e a 0,38 nel 2014. L’Unione presenta una simile tendenza al ribasso, ma a un ritmo più lento. L’Italia presenta inoltre la variazione più ampia a livello UE per differenze interregionali in termini di qualità e imparzialità del servizio pubblico.

La Relazione individua diversi fattori responsabili della scarsa performance delle pubbliche amministrazioni italiane: l’eccessiva durata delle procedure burocratiche; il non chiaro riparto di competenze tra amministrazioni centrali e locali, con conseguenti sovrapposizioni e conflitti intraistituzionali; mancanza di trasparenza. Vi è inoltre un problema di età (solo il 10% dei dipendenti è di età pari o inferiore a 35 anni) e di qualità (solo il 18% in possesso di laurea) dei pubblici dipendenti.

La Relazione sottolinea come la scarsa efficienza della pubblica amministrazione italiana incida negativamente sul contesto imprenditoriale e sulla produttività. Secondo la relazione 2015-2016 sulla competitività globale del Forum economico mondiale, l’inefficienza della burocrazia pubblica è considerata il principale ostacolo all'attività commerciale e imprenditoriale in Italia.

Nella Relazione si dà inoltre conto dell’adozione di un’ampia legge per la riforma della pubblica amministrazione, che mira a porre rimedio a gran parte delle inefficienze evidenziate, agevolando l’accesso del pubblico a documenti e dati, migliorando l’assunzione, la gestione e la mobilità del personale e semplificando e accelerando i procedimenti amministrativi. A tale riguardo, richiede l’adozione dei decreti attuativi entro tempi ravvicinati, in dettaglio indicati.

Il Governo nel DEF 2016, alla sezione del PNR 2016 (paragrafo III.4), ricorda l’importanza strategica dell’approvazione ad agosto 2015 della legge delega di riforma della pubblica amministrazione (legge 7 agosto 2015, n. 124), definita già nel PNR 2015 come asse principale per l’ammodernamento strutturale e l’efficientamento del settore pubblico. Sottolinea, inoltre, che, oltre a prevedere 13 deleghe, la legge contiene alcune misure-applicative, già entrate in vigore, quali la definizione del meccanismo del silenzio assenso tra amministrazioni e la ridefinizione dei limiti ai poteri di autotutela decisoria (artt. 3 e 6, L. 124/2015).

Per quanto riguarda l’attuazione della legge delega, è stato emanato il primo decreto legislativo, relativo all’abrogazione di disposizioni di legge che prevedono l’adozione di provvedimenti non legislativi di attuazione (D.Lgs. 10/2016).

L’Esecutivo ricorda che il Consiglio dei Ministri ha approvato in via preliminare undici decreti attuativi (gennaio 2016), su cui devono rendere parere il Consiglio di Stato, la Conferenza unificata e le Commissioni parlamentari competenti per materia. Gli schemi di decreto intervengono in materia di:

§  licenziamento, intervenendo in particolare sulla disciplina prevista per la fattispecie di illecito disciplinare denominata falsa attestazione della presenza in servizio;

§  razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato;

§  revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblica e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;

§  riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche;

§  testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale;

§  modifica e integrazione del codice dell’amministrazione digitale (CAD);

§  segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e introduzione di moduli standardizzati e uniforme per le istanze, comunicazioni e segnalazioni alle pubbliche amministrazioni;

§  riordino della disciplina in materia di conferenza dei servizi;

§  semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi in particolari settori considerati strategici per lo sviluppo;

§  dirigenza sanitaria, in particolare sulla istituzione presso il Ministero della salute di un elenco nazionale di quanti hanno i requisiti per la nomina a direttore generale delle Aziende sanitarie italiane;

§  riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali.

I testi degli 11 schemi sono disponibili sul sito del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.

Quattro dei decreti citati (in materia di: trasparenza e anticorruzione, SCIA, conferenza di servizi e licenziamento disciplinare) sono attualmente all’esame delle Camere per il parere.

Il Governo dichiara inoltre che è in corso la preparazione di un secondo pacchetto di provvedimenti relativi, in particolare, al nuovo quadro giuridico per la dirigenza e al nuovo testo unico del pubblico impiego.

Per quanto concerne la tempistica, il cronoprogramma del Governo stima che l’approvazione definitiva degli undici schemi approvati in via preliminare avverrà entro agosto 2016.

Entro la stessa data, il Governo conta di approvare in via preliminare ulteriori schemi riguardanti: la trasparenza e la prevenzione della corruzione e la semplificazione ed accelerazione dei procedimenti amministrativi; la riforma della dirigenza pubblica; la riforma della Camere di Commercio; il riordino delle procedure dei giudizi innanzi alla Corte dei Conti; la riorganizzazione dell’amministrazione statale centrale.

Per quanto riguarda, invece, la riforma del pubblico impiego, si stima di adottare il decreto entro febbraio 2017.

Il cronoprogramma è per la maggior parte affine alle indicazioni contenute nella Relazione della Commissione UE del febbraio 2016 che tuttavia chiedeva l’adozione entro febbraio 2016 del decreto sulle norme per la semplificazione e la trasparenza, nonché l’adozione definitiva di tutti gli altri decreti attuativi (tranne il pubblico impiego) prima di agosto 2016.

 

Per quanto riguarda le politiche di semplificazione, che il Governo considera essenziali per recuperare il ritardo competitivo dell’Italia, la raccomandazione n. 6 suggeriva di attuare l’Agenda per la semplificazione 2015-2017, al fine di snellire gli oneri amministrativi e normativi.

Si ricorda in proposito che con l’Agenda per la semplificazione per il 2015-2017, il Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Città Metropolitane si sono assunti un comune impegno ad assicurare l'effettiva realizzazione degli obiettivi individuati, nonché alla definizione di alcuni interventi di settore. L’Agenda individua cinque settori strategici di intervento: cittadinanza digitale; welfare e salute; fisco; edilizia e impresa.

Nel DEF 2016 il Governo riferisce che al 15 marzo 2016 risultano raggiunte circa il 90 per cento delle scadenze previste dall’Agenda e dalla pianificazione di dettaglio delle attività. In particolare, sottolinea come nel processo in corso assumano particolare rilevanza l’adozione della modulistica standardizzata e semplificata per l’edilizia e l’avvio della semplificazione della modulistica per le attività di impresa.

Tra gli obiettivi dell’Agenda il Governo ricorda quello della diffusione del sistema pubblico di identità digitale (SPID), previsto dall’articolo 17-ter del D.L. 21 giugno 2013, n.69, che consente l’accesso in sicurezza a tutti i siti web – pubblica amministrazione e privati – che erogano servizi online (es: INPS, Agenzia delle entrate, Comuni, Scuole, ASL, Banche, etc.). Nello intenzioni, lo SPID è il primo pilastro sul quale basare l’accessibilità online ai servizi ed alle comunicazioni di interesse di ciascun cittadino. A tale proposito, nel PNR contenuto nel DEF 2016, il Governo riferisce l’operatività dello SPID a partire dal 16 marzo 2016, limitata all’accessibilità ai servizi online di INPS e Regione Toscana. Entro giugno 2016 si stima l’accessibilità dei servizi di Agenzia delle entrate, INAIL, Equitalia, nonché di tre comuni e di sei Regioni. Il percorso di implementazione durerà ventiquattro mesi.

Lo stato di avanzamento delle altre azioni in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione è riportato nel paragrafo dedicato all’Agenda digitale (infra, par. 3.9).

Il cronoprogramma del Governo stima che gli interventi di attuazione dell’Agenda per la semplificazione proseguiranno fino a dicembre 2017 e saranno mirati al raggiungimento di quattro obiettivi specifici, legati all’attuazione della legge delega di riforma della pubblica amministrazione: taglio dei tempi della conferenza di servizi; ricognizione, semplificazione e standardizzazione dei procedimenti amministrativi; SCIA unica; semplificazione della modulistica.

Quanto agli effetti prevedibili in termini di crescita, il Governo stima che le riforme proposte nella pubblica amministrazione e in materia di semplificazioni determineranno un incremento pari allo 0,4 per cento del PIL nel 2020, allo 0,8 per cento nel 2030 e all’1,2 per cento nel lungo periodo (confermando così le previsioni contenute nel DEF 2015).

3.4 Revisione della spesa

Analogamente a quanto previsto nei precedenti documenti di programmazione finanziaria e di bilancio, anche il Documento di Economia e Finanza 2016 ribadisce come l’attività di revisione della spesa continui a costituire un elemento qualificante della politica di bilancio, con l’obiettivo di migliorare il controllo della spesa pubblica superando – all’interno di un processo di ridisegno delle norme e delle prassi di formazione delle decisioni di bilancio avviato negli ultimi anni – la logica incrementale della spesa, che si traduce nella tendenza delle amministrazioni a concentrarsi sulla richiesta di stanziamenti aggiuntivi a quelli degli esercizi precedenti.

Come rilevato nel DEF, l’evoluzione degli aggregati di finanza pubblica evidenzia la significatività dei risultati ottenuti negli ultimi anni nel campo della revisione della spesa, che ha concorso in misura importante al percorso di consolidamento delle finanze pubbliche in atto. L’esame dell’andamento della spesa corrente al netto interessi, che costituisce l’aggregato su cui incide l’attività di revisione, evidenzia negli ultimi anni un percorso discendente, passando dal 42,6 per cento del PIL nel 2013 al 42,2 per cento del 2015. Tale percorso è previsto continuare nell’anno in corso, in cui si attesterebbe al 42,0 per cento e, successivamente, accentuarsi per tutto il periodo di previsione, attestandosi al 39,9 per cento del PIL nel 2019. Va anche segnalato come al netto della spesa per prestazioni sociali - che risente delle fasi cicliche dell’economia e dei fattori legati all’invecchiamento demografico, sui quali la spending review non può avere sostanziali effetti - la spesa corrente primaria sia rimasta stabile per tutto il periodo di crisi 2009-2015, con una variazione media annua prossima allo zero o negativa pur in presenza della rilevante contrazione del tasso di espansione dell’economia determinato dalla prolungata congiuntura economica.

Il contenimento della spesa ha fornito, inoltre, un apporto rilevante alla riduzione del deficit di bilancio, atteso che il saldo di indebitamento dal 3 per cento del 2014 si attesterebbe nel 2016 al 2,3 per cento, il livello più basso da nove anni, continuando poi in tale profilo discendente per tutto il periodo previsivo e passando anzi in territorio positivo nel 2019.

In tale percorso la revisione della spesa rientra – con un ruolo centrale, ed inclusiva anche della revisione delle spese fiscali - nel mix di strumenti che il Governo intende impiegare per la disattivazione delle clausole di salvaguardia nel 2017 (anno in cui ammonterebbero a circa 0,9 punti di PIL). Le misure di spending review verrebbero poi ulteriormente ampliate – secondo quanto afferma il DEF nel tratteggiare la politica di bilancio per gli anni successivi – nel biennio 2018-2019.

Secondo il Documento, i risparmi associati a interventi di razionalizzazione della spesa, in termini di indebitamento netto, riguardano tutti i livelli di governo e risultano così quantificati:

Tabella 48 - Risparmi da spending review

(miliardi di euro)

2014

2015

2016

2017

2018

Risparmi da Spending review

3,6

18

25

27,6

28,7

 

In una prima fase, la revisione della spesa è stata condotta da Commissari straordinari nominati dal Governo, attraverso un’azione mirata soprattutto al contenimento delle spese per l’acquisto di beni e servizi[96]. Successivamente, è stato avviato un processo di collaborazione tra le amministrazioni di spesa e il MEF per l’individuazione di aree di razionalizzazione e interventi scarsamente efficaci, anche tramite l’analisi dei singoli capitoli di bilancio.

Nel dettaglio, tali risparmi derivano dai seguenti provvedimenti:

Tabella 49 - Gli interventi legislativi di riduzione della spesa

 

In particolare, per quanto riguarda le misure di revisione della spesa contenute nella legge di stabilità, le voci di risparmio più rilevanti sono rappresentate dai tagli agli stanziamenti dei Ministeri, dal contributo delle autonomie territoriali e dalle disposizioni sulla razionalizzazione dell’acquisto di beni e servizi[97].

 

Ai fini del conseguimento degli importanti obiettivi di risparmio affidati alla spending review, la riduzione del numero dei centri di spesa e e-procurement rimangono due aspetti fondamentali della strategia di razionalizzazione dei processi e dei costi di acquisto da parte delle Amministrazioni Pubbliche[98].

Tra le misure già attuate, il DEF segnala come particolarmente rilevante l’avvio del Tavolo Tecnico dei Soggetti Aggregatori, che ha tra i suoi compiti quello di elaborare fabbisogni di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni e favorire la pianificazione coordinata delle iniziative, per aumentare la quota di acquisti realizzata in forma aggregata. La Legge di Stabilità 2016 prosegue sul solco già tracciato e introduce vincoli più stringenti per spingere le amministrazioni a utilizzare in misura sempre maggiore le convenzioni Consip per i loro acquisti, prevedendo l’obbligo di giustificare acquisti al di fuori delle convenzioni.

Si segnala, inoltre, la pubblicazione del D.P.C.M. 24 dicembre 2015[99] con cui sono state individuate le categorie di beni e servizi e le relative soglie di obbligatorietà.

Essenziale, ai fini della riqualificazione della spesa, è anche la razionalizzazione della spesa ICT, che impatta su costi di gestione, investimenti per la semplificazione dei processi, innovazione strategica di lungo termine. A tal fine, secondo il DEF, andranno messe in atto ulteriori misure di rafforzamento, oltre a quelle previste dalla Legge di Stabilità 2016 e si dovrà dare impulso, in particolare, all’azione di Consip, laddove - nonostante gli obblighi di legge già esistenti – sia possibile ottimizzare il ricorso a procedure autonome.

Il MEF, in qualità di responsabile del Programma di razionalizzazione degli acquisti della PA, avvalendosi di Consip, dovrà agire come “acquirente unico” e successivamente come “pagatore unico”. Il nuovo Programma richiederà un quadro normativo, responsabilità definite, misure organizzative e di processo, coordinamento istituzionale e adeguate fonti di finanziamento. Ulteriori strumenti necessari per utilizzare al meglio la leva del procurement pubblico, anche come strumento di politica industriale, potranno essere: il ricorso a strumenti negoziali evoluti (es. dialogo competitivo) che stimolino ricerca e investimento, soprattutto per beni o servizi di carattere strategico; la definizione di una strategia nazionale sul pre-commercial procurement, raccordata con il ruolo già assegnato ad Agenzia per l’Italia digitale per l’ICT; l’incentivazione allo sviluppo (imprese) e all’utilizzo (amministrazioni) di nuovi prodotti/servizi, ricorrendo anche a Fondi UE gestiti da istituzioni italiane; il coinvolgimento dei Soggetti Aggregatori in fase di start-up nella domanda pubblica; lo sviluppo di un marketplace di soluzioni innovative ad alto contenuto tecnologico; l’ulteriore diffusione di elementi green nelle acquisizioni di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni (fino a proposte di “economia circolare”); l’individuazione di forme innovative di acquisto, offrendo strumenti di pay per use. Nell’ambito delle misure di razionalizzazione e risparmio relative all’IT, rileva il progetto, appena realizzato, di unificazione dei cinque Centri di Elaborazione Dati del Dipartimento Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi (DAG) del MEF. Il progetto, avviato nel 2013, si inserisce tra le iniziative di spending review ed ha consentito di ridurre sensibilmente i costi di gestione IT da 12,5 milioni (2013) a 8,6 milioni, con un risparmio del 31,2 per cento. Se si considera che senza questo intervento i costi nel 2015 avrebbero raggiunto i 15 milioni, i risparmi ottenuti sono ancora più consistenti. La riduzione degli spazi e delle attrezzature si è tradotta in un calo della spesa elettrica del 67 per cento, oltre al taglio dei costi gestionali.

 

Nei prossimi anni la revisione della spesa sarà supportata dalla riforma del bilancio dello Stato, che permetterà una revisione sistematica e strutturale della spesa, in cui il quadro delle risorse emergerà con diversi mesi di anticipo rispetto alla legge di Bilancio, grazie alla definizione degli obiettivi di spesa dei Ministeri già nel DEF e alla loro conferma in appositi D.P.C.M., entro maggio di ogni anno. A febbraio 2016 il Governo ha approvato due schemi di decreti legislativi per la revisione della struttura del bilancio dello Stato e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa[100]., sui quali le Commissioni bilancio di Camera e Senato hanno espresso il relativo parere nelle giornate del 12 e del 13 aprile.

In particolare, per quanto attiene il rafforzamento del processo di programmazione finanziaria e del ruolo allocativo del bilancio, si dispone, quindi, che siano assegnati a ciascuna amministrazione specifici obiettivi di spesa entro il mese di maggio, coerenti con le priorità e gli obiettivi programmatici indicati dal Governo nel Documento di Economia e Finanza. Le amministrazioni centrali dovranno definire la propria programmazione finanziaria tenendo conto della legislazione vigente, dei miglioramenti dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse conseguibili attraverso procedure amministrative e delle eventuali proposte normative volte a raggiungere i risultati attesi. Queste proposte saranno valutate ai fini del loro inserimento nel disegno di legge di Stabilità e oggetto di discussione parlamentare durante l’iter di approvazione della manovra finanziaria. In tal modo la proposta complessiva per la definizione della manovra di bilancio non sarà più la somma delle singole proposte o richieste di ciascuna amministrazione di spesa, ma sarà definita entro limiti o obiettivi assegnati, che rappresenteranno i confini entro i quali la programmazione andrà delimitata.

Inoltre, il DEF rimanda ad un disegno di legge parlamentare la definizione delle modalità operative per l’ultimo passo della riforma prevista dalla legge attuativa del principio del pareggio di bilancio (articolo 15, legge n. 243/2012): la legge di Stabilità non costituirà infatti più uno strumento separato rispetto alla legge di Bilancio, ma si avrà un unico provvedimento di natura sostanziale. Tale confluenza mira a superare il tradizionale schema normativo in materia di finanza pubblica e a rafforzare il ruolo allocativo del bilancio, concentrando l’attenzione del decisore politico sull’insieme delle entrate e delle spese pubbliche piuttosto che sulla loro variazione al margine.

 

Per quanto concerne gli enti territoriali, i costi e i fabbisogni standard - introdotti com’è noto dal decreto legislativo n. 216 del 2016, nell’ambito dell’attuazione della delega sul federalismo fiscale di cui alla legge n. 42 del 2009 - rimangono il cardine per individuare i parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali degli enti medesimi, al fine di assicurare anche nella finanza decentrata un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.

Tra le novità più rilevanti, nel 2016, vi è inoltre, l’avvio a regime della riforma contabile delle regioni, e degli enti locali, ivi compresi i loro organismi ed enti strumentali, che costituisce un passaggio fondamentale nel percorso di risanamento dei conti pubblici, diretto a favorire il coordinamento della finanza pubblica, il consolidamento dei conti delle amministrazione pubbliche, nonché le attività connesse alla revisione della spesa pubblica e alla determinazione dei fabbisogni e costi standard.

Tale riforma è stata realizzata attraverso l’emanazione del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, integrato e corretto dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126.

Il nuovo ordinamento contabile degli enti territoriali, in vigore dal 1° gennaio 2015, si stabilizzerà a regime dal 2016, attraverso il bilancio consolidato, la contabilità economico-patrimoniale e l’estensione delle proprie regole a tutte le autonomie speciali.

La riforma assume una rilevanza fondamentale per le Regioni, poiché rappresenta il primo ordinamento contabile unico del comparto, che richiede a tutti gli enti territoriali e ai loro enti e organismi strumentali una profonda revisione del proprio sistema contabile. Si prevede, inoltre, la trasmissione diretta in uno standard digitale unico alla Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP) dei relativi bilanci di previsione e dei rendiconti della gestione, secondo la struttura del piano dei conti integrato. Il processo di attuazione della riforma è favorito dall’istituzione, presso il MEF, della ‘Commissione per l’armonizzazione contabile degli enti territoriali’ (Commissione ARCONET[101]), con il compito di promuovere l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali e dei loro organismi ed enti strumentali.

La disciplina contabile degli enti territoriali delineata dagli articoli da 9 a 12 della legge n.243 del 2012, attuativa del principio del pareggio di bilancio, costituisce l’oggetto di un recente disegno di legge approvato dal Governo a marzo 2016, che introduce modifiche nella legge n. 243/2012 medesima al fine di adeguare i vincoli di finanza pubblica di regioni ed enti locali alla riforma di contabilità degli enti stessi, sostituendo i quattro saldi di riferimento delle Regioni e degli Enti locali con un unico saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, nella fase sia di previsione sia di rendiconto. Vengono inoltre disciplinate le operazioni di indebitamento e l’utilizzo dell’avanzo degli esercizi precedenti per operazioni di investimento. Infine si demanda a legge dello Stato il concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico attraverso versamenti al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, tenuto conto del ciclo economico.

Il disegno di legge di modifica della legge 24 dicembre 2012, n. 243, recante disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione in materia di bilanci delle Regioni e degli enti locali, è stato approvato nel Consiglio dei ministri del 25 marzo 2016, ed è in corso di presentazione alle Camere.

 

Il DEF rileva, infine, l’importanza delle azioni messe in campo nel settore degli immobili pubblici. A tal fine, il modello di Federal Building, gestito dall’Agenzia del Demanio e già avviato in 18 città italiane, permetterà di concentrare in poli logistici territoriali unitari gli uffici pubblici centrali e periferici, progressivamente in ogni provincia, anche utilizzando cespiti messi a disposizione dal Ministero della Difesa, con conseguente abbattimento dei costi di affitto e dei consumi e offrendo, al tempo stesso, un migliore servizio ai cittadini. Sarà così perseguito l'obiettivo di riduzione del 30 per cento degli spazi e del 50 per cento delle locazioni passive rispetto a fine 2014. Sempre in un’ottica di risparmio, proseguirà l’attenzione al tema dell’efficientamento energetico, anche mediante l'avvio delle prime gare Consip rivolte direttamente alle ESCO. A tal fine l’Agenzia ha comunicato alle Amministrazioni i primi indicatori di performance, allineati alle best practice, cui le stesse dovranno adeguarsi nei futuri esercizi, e per monitorare il progressivo avvicinamento agli stessi ha già avviato la nuova raccolta delle informazioni di costo e consumo del 2015 per gli immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato.


 

3.5 Privatizzazioni

Come già previsto nei precedenti documenti programmatici, anche nel DEF 2016 il programma di privatizzazioni continua a costituire uno degli strumenti che contribuiscono all’azione di consolidamento dei conti pubblici, operando in particolare ai fini della riduzione del debito pubblico. Il processo di privatizzazione avviato negli ultimi anni - e, congiuntamente, anche quello delle dismissioni immobiliari - è pertanto previsto proseguire per tutti gli anni del periodo di previsione, sia per concorrere alla stabilizzazione del rapporto debito/PIL, sia per aprire il capitale delle società al mercato e, per questa via, accelerare la modernizzazione di molte delle società partecipate.

Nel 2015 il gettito a favore dell'erario è stato equivalente a più dello 0,4 per cento del PIL, pari a oltre 6,5 miliardi, risultando quindi sostanzialmente in linea con le previsioni della Nota di aggiornamento 2015 dello scorso settembre. Il programma per i prossimi anni prevede proventi da privatizzazioni pari allo 0,5 per cento del PIL l'anno nel 2016, 2017 e 2018, e allo 0,3 per cento nel 2019.

Tra le operazioni di privatizzazioni concluse nel 2015 rientrano la cessione al mercato di una quota del capitale di ENEL e il collocamento in Borsa di azioni di Poste Italiane nella misura del 33,2 per cento del capitale. Per il 2016 sono state fissate le modalità per l'alienazione di una quota fino al 49 per cento del capitale sociale di ENAV. Altre operazioni verranno attuate in corso d'anno in funzione degli obiettivi di gettito. La privatizzazione delle Ferrovie dello Stato o sue componenti rientra nel programma di medio periodo del Governo.

Per quanto riguarda la dismissione di immobili pubblici, nel 2015 le vendite di immobili da parte degli enti territoriali, che detengono la gran parte degli immobili pubblici, hanno garantito introiti di 946 milioni, superando l'obiettivo di 500 milioni. Per il 2016 si prevedono introiti per 1.150 milioni, mentre per i successivi tre anni sono previsti 900 milioni annui.

Lo strumento delle privatizzazioni, al quale si fa espresso riferimento anche nella Raccomandazione n. 1 della Commissione, rientra nell’ambito delle misure volte alla sostenibilità delle finanze pubbliche, con particolare intervento alle politiche volte alla riduzione del debito.

Nel percorso di riduzione del debito esposto nel quadro programmatico del DEF, che nel quadriennio 2016-2019 è previsto decrescere di quasi 9 punti percentuali di PIL (dal 132,7 del 2015 al 123,8 per cento del 2019) è infatti previsto un significativo concorso dei proventi da privatizzazioni, pari, coerentemente con quanto previsto nel Programma nazionale di riforma, allo 0,5 per cento del PIL l'anno nel 2016, 2017 e 2018, e allo 0,3 per cento nel 2019.

Va rammentato come il conseguimento degli obiettivi programmatici affidati allo strumento in esame non sia risultato esente da difficoltà negli ultimi anni, riscontrando talvolta risultati inferiori alle previsioni e comportando la necessità nei successivi documenti programmatici di riconsiderarne in diminuzione gli importi attesi. Tale circostanza non si è prodotta nel 2015, anno in cui sia il DEF che la Nota di aggiornamento hanno iscritto nei saldi un risultato atteso di poco superiore allo 0,4 per cento di PIL, come ora confermato a consuntivo dal DEF 2016 in esame.

In tal senso si esprime anche la Relazione per paese relativa all'Italia 2016 prodotta lo scorso mese di febbraio, che costituisce l’annuale documento di lavoro dei servizi della Commissione, comprensivo dell'esame approfondito sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici. La Relazione ribadisce infatti che i proventi da privatizzazioni contribuiscono (unitamente ad altri strumenti, quali la riduzione della riserva di liquidità) a frenare la dinamica del debito.

I risultati del 2015 in termini di debito hanno beneficiato di proventi da privatizzazioni per circa 6,6 miliardi di euro (pari allo 0,4% del PIL), tra cui il rimborso dei Monti bond da parte della Banca Monte dei Paschi di Siena (1 miliardo di EUR), la cessione della partecipazione del Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale dell'ENEL (2,2 miliardi) e l'offerta pubblica iniziale di Poste Italiane (3,2 miliardi). Il documento dei servizi della Commissione conferma l’importanza del contributo delle privatizzazioni alla riduzione del debito, alla luce del programma del Governo di ricavarne nel periodo 2016-2018 proventi annui pari allo 0,5% del PIL. Osserva tuttavia che la privatizzazione di una quota fino al 40% del gruppo Ferrovie dello Stato (FS) è stata tuttavia rinviata a dopo il 2016.

Con riferimento a tale operazione il Governo ha approvato lo schema di DPCM relativo al collocamento sul mercato azionario di una quota fino al 40 per cento del capitale sociale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., fatta salva l'assegnazione allo Stato della proprietà dell'infrastruttura ferroviaria. L'alienazione della quota pubblica si dovrà realizzare - anche in più fasi -mediante un'offerta pubblica di vendita sui mercati finanziari rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia (inclusi i dipendenti del Gruppo Ferrovie dello Stato) e a investitori istituzionali italiani e internazionali. In vista della quotazione, sono state predisposte dalla capogruppo Ferrovie operazioni di valorizzazione di attività collegate al business della Società: in particolare, è stata ceduta la Rete elettrica a Terna ed è in corso l'operazione di privatizzazione, attraverso bando pubblico, di Grandi Stazioni Retail, società risultante dalla scissione della società Grandi Stazioni che gestisce le principali stazioni italiane.

Sempre in relazione a tale privatizzazione di FS, in occasione della discussione sulle mozioni in materia svoltasi in Aula al Senato il 13 aprile 2016, il Governo ha precisato che d'accordo con il gruppo dirigente di FS ha deciso di rinviare al 2017 la privatizzazione, procedendo prima ad un riassetto e alla definizione di un piano industriale. Poiché il DEF prevede che nel 2016 le privatizzazioni contribuiscano per lo 0,4 per cento del PIL alla riduzione del volume del debito, il Governo dovrà trovare una soluzione alternativa.

Nel corso della discussione il Governo ha anche precisato anche che le privatizzazioni non hanno solo lo scopo di fare cassa e che gli obiettivi del Governo sono anche il rafforzamento patrimoniale delle società pubbliche e l'investimento del risparmio privato sul capitale di rischio delle imprese.

Quanto alle dismissioni immobiliari il DEF ricorda che è in corso un piano di valorizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico, volto anche esso, unitamente alle privatizzazioni societarie, al reperimento di risorse a riduzione del debito. Tale piano coinvolge diversi attori istituzionali: l’Agenzia del Demanio, l’Invimit SGR, la Cassa depositi e prestiti (CDP Group real Estate) e gli enti pubblici proprietari degli immobili.

Per dare un maggiore impulso ai processi di valorizzazione e dismissione è stata avviata, dal MEF e dall'Agenzia del Demanio, l'iniziativa 'Proposta Immobili 2015' , che ha portato alla selezione di portafogli di proprietà di enti locali e di altri enti pubblici da inserire in percorsi di regolarizzazione, valorizzazione e dismissione. Complessivamente, sono state presentate 230 candidature, per un totale di 739 asset, con un valore dichiarato di circa 2,7 miliardi. Visto l'elevato livello di partecipazione e la necessità riscontrata di dare supporto agli enti nell'implementazione di strategie di proposta al mercato, l'iniziativa proseguirà anche nel 2016.

Inoltre la Presidenza del Consiglio del Ministri, attraverso l'ICE, ha avviato il progetto 'Vetrina Immobili PA', per la realizzazione di un applicativo web dedicato alla presentazione di offerte d'investimento in immobili pubblici, destinate a operatori italiani ed esteri. Si segnala inoltre l’iniziativa 'Valore Paese', gestita dall’Agenzia del Demanio, al fine di valorizzare a fini turistico-culturali e per lo sviluppo dei territori beni di particolare valore storico-artistico e paesaggistico.

Si ricorda, infine, che nel corso del 2015 è proseguito il processo di trasferimento del patrimonio immobiliare pubblico statale agli enti territoriali, previsto dal federalismo demaniale (a norma del decreto legislativo n. 85 del 2010), con il passaggio di circa il 60 per cento dei beni potenzialmente trasferibili. Al 31 dicembre 2015, il numero complessivo di beni trasferiti ammontava a 3.496, per un valore complessivo di circa 887 milioni. Si evidenzia che sul finire del 2015 sono stati riaperti i termini della procedura di trasferimento di beni immobili dallo Stato agli enti territoriali: gli enti territoriali possano fare richiesta all'Agenzia del demanio di attribuzione di tali beni, eccetto le tipologie specificamente indicate, entro il 31 dicembre 2016.

3.6 Sanità e politiche sociali

Sanità

In tema di sanità la terza sezione del DEF (Programma nazionale di riforma) espone, in primo luogo, le principali misure adottate.

Dopo aver ricordato che per il 2016 il fabbisogno sanitario nazionale standard è fissato al livello di 111 miliardi, con un conseguente effetto migliorativo dell’indebitamento netto di circa 1,8 miliardi, il Documento precisa che una quota del finanziamento al Servizio sanitario nazionale pari a 0,8 miliardi è subordinata all’adozione dei nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea).

Vengono poi citati gli interventi previsti dalla legge di stabilità per il 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208), tra i quali quelli (commi da 521 a 536 dell'art. 1) concernenti:

§  l'attivazione, da parte degli enti del Servizio sanitario nazionale, di un sistema di monitoraggio delle attività assistenziali e della loro qualità;

§   l'introduzione dell'obbligo di adozione e di attuazione di un piano di rientro per le aziende ospedaliere o ospedaliero-universitarie e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici che presentino un determinato disavanzo o un mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure;

§  un'estensione dell'istituto del piano di rientro, a decorrere dal 2017, alle aziende sanitarie locali ed ai relativi presìdi ospedalieri.

 

Viene poi prevista la riprogrammazione delle risorse per l’edilizia sanitaria (0,3 miliardi nel 2016 e 0,6 miliardi in ciascuno degli anni 2017 e 2018).

 

Riguardo agli interventi in corso di attuazione il Documento si sofferma su alcuni aspetti

In tema di revisione della spesa, a partire dal 2016, entro il 30 giugno di ogni anno, le Regioni dovranno individuare gli enti del SSN che presentino una o entrambe le condizioni seguenti:

§  una situazione di disequilibrio economico;

§  un livello non adeguato di erogazione dei livelli essenziali di assistenza.

In tali casi l’ente dovrà presentare un piano di rientro aziendale di durata non superiore a tre anni che deve essere approvato e verificato trimestralmente dalla Regione: nei casi di esito negativo della verifica è prevista la decadenza automatica dei direttori generali.

Viene poi sottolineato l’impegno del Governo – sia tramite l’azione delle strutture commissariali attivate nelle Regioni in deficit, che con l’attuazione del Piano di rientro - a mantenere e consolidare i risultati qualitativi raggiunti nel settore dell’assistenza sanitaria ed a migliorare la razionalità della spesa nelle Regioni sottoposte a piano di rientro.

Verrà inoltre completata l’attivazione del fascicolo sanitario elettronico, attraverso l’implementazione del ‘nodo nazionale di fascicolo, che possa svolgere funzioni suppletive nelle more dell’attivazione dei nodi regionali permettendo, nel contempo, un efficiente monitoraggio della spesa sanitaria ed una ottimale interazione tra le strutture di ricovero e cura ed i cittadini.

Saranno poi sviluppate le azioni necessarie alla creazione dell’infrastruttura tecnologica per l’assegnazione del Codice Unico Nazionale dell’Assistito (CUNA) che consentirà di seguire il percorso sanitario del cittadino nei diversi setting assistenziali del SSN.

Inoltre, tra i decreti legislativi finalizzati a dare attuazione alla delega contenuta nella legge di riforma della pubblica amministrazione (L. 124/2015), va menzionato in questa sede quello in materia di dirigenza sanitaria, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nel gennaio 2016, che prevede l’istituzione di un elenco nazionale di coloro che hanno i requisiti per la nomina a direttore generale delle ASL e il cui operato è poi sottoposto a valutazione.

Nell’Appendice A alla Sezione III del DEF (Cronoprogramma del Governo) in tema di sanità, tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 viene citato quello sulla responsabilità professionale, attualmente all’esame del Senato (A.S. 2224). Mentre viene considerato già attuato il rafforzamento del Patto per la salute 2014-2016.

 

Alcuni dati sulle previsioni di spesa sono esposti nella Sezione II (Analisi e tendenze della finanza pubblica) del Documento di economia e finanza 2016. Viene chiarito che le previsioni, effettuate sulla base della legislazione vigente e del quadro macroeconomico elaborato per il periodo di riferimento, scontano per il 2016 la manovra di 1.783 milioni prevista dalla legge di stabilità 2016 e, per gli anni 2017 e successivi, il contributo del settore sanitario alla complessiva manovra a carico delle regioni introdotto dalla medesima legge. Tale contributo è stato definito in sede di Intesa Stato-Regioni dello scorso 11 febbraio in 3.500 milioni per il 2017ed in 5.000 milioni a decorrere dal 2018.

Per il 2016 è prevista una spesa sanitaria per un importo pari a 113.376 milioni, con un tasso di crescita dello 0,9%.. Nel dettaglio si prevede per i redditi da lavoro dipendente, un livello di spesa pari a 35.375 milioni, per i consumi intermedi un livello di spesa pari a 31.543 milioni, per le prestazioni sociali in natura corrispondenti a beni e servizi prodotti da produttori market, un livello di spesa pari a 39.903 milioni.[102].

Per quanto attiene alle singole componenti costituenti l’aggregato, per l’assistenza farmaceutica convenzionata è prevista una spesa di 8.323 milioni, per la medicina di base una spesa di 6.713 milioni per le altre prestazioni (ospedaliere, specialistiche, riabilitative, integrative ed altra assistenza) è prevista una spesa di 24.867 milioni. Infine, per le altre componenti di spesa è previsto un livello di spesa pari a 6.555 milioni.

Nel periodo 2017-2019 è previsto che la spesa sanitaria cresca ad un tasso medio annuo dell’1,5% , mentre nello stesso arco temporale il PIL nominale cresce in media del 2,8%. Il rapporto spesa sanitaria e PIL decresce e si attesta, alla fine dell’arco temporale considerato, ad un livello pari al 6,5%.

I dati sopra illustrati scontano una serie di fattori e di stime specificamente enunciati.

Politiche sociali

In tema di politiche sociali la Sezione III del documento espone le principali misure adottate dal Governo.

In materia di lotta alla povertà vengono ricordate in primo luogo le misure contenute nella legge di stabilità 2016 destinate alle famiglie povere con minori a carico e segnatamente l’istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Tale Fondo, al quale è assegnata la somma di 600 milioni di euro per il 2016 e di un miliardo a decorrere dal 2017, è destinato a finanziare un’apposita legge di delega di riforma organica delle politiche assistenziali.

Inoltre le risorse del Fondo per il 2016 sono destinate all’estensione della Carta acquisti sperimentale su tutto il territorio nazionale, al finanziamento dell’assegno di disoccupazione e alla sperimentazione di un apposito programma di sostegno per l’inclusione attiva. Le risorse stanziate per gli anni successivi al 2016 sono destinate all’introduzione di un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà e alla razionalizzazione degli strumenti esistenti.

 

La legge di stabilità 2016 (commi 386-390 della legge 208/2015) ha disegnato una serie di interventi per il contrasto alla povertà e ha previsto, al comma 388, uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà, correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta.

Molto sinteticamente, la legge di stabilità ha previsto:

§  la definizione di un Piano nazionale triennale per la lotta alla povertà e all'esclusione;

§  l'istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

§  l'avvio di una misura nazionale di contrasto alla povertà, intesa come rafforzamento, estensione e consolidamento della Carta acquisti sperimentale – SIA;

§  lo stanziamento di risorse certe per la Lotta alla povertà e la loro quantificazione per il 2016 e gli anni successivi. Più in particolare, per il 2016, la stabilità stanzia 380 milioni, ai quali si aggiungono i 220 milioni della messa a regime dell'Asdi, destinata ai disoccupati poveri che perdono diritto all'indennità di disoccupazione. Tali risorse, alle quali si aggiungono fondi europei , devono essere impegnate nel 2016 per un Programma di sostegno per l'inclusione attiva, garantendo in via prioritaria interventi per nuclei familiari in modo proporzionale al numero di figli minori o disabili, tenendo conto della presenza, all'interno del nucleo familiare, di donne in stato di gravidanza accertata. I criteri e le procedure di avvio del Programma, a cui sono legate le risorse stanziate per il 2016, devono essere definiti con decreto. Le risorse stanziate annualmente a decorrere dal 2017, pari a un miliardo per anno, devono garantire l'attuazione del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale come disegnato dalla legge delega ora in esame e dai decreti legislativi da questa discendenti;

Nelle more della definizione del Piano nazionale triennale per la lotta alla povertà e all'esclusione, il Sostegno per l'Inclusione Attiva (SIA), come previsto dal comma 387 della stabilità 2016, dovrà essere esteso a tutto il territorio nazionale.

§  il riordino della normativa in materia di trattamenti assistenziali di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all'estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni sociali.

 

Il 28 gennaio 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega (c.d. Social act) recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali collegato alla legge di stabilità 2016 (A.C. 3594) ora all'esame delle Commissioni riunite XI e XII della Camera. Viene prevista l’approvazione del Parlamento entro fine luglio 2016.

Il disegno di legge adotta un approccio organico a sostegno delle famiglie in difficoltà, specie quelle con minori a carico, introducendo una misura nazionale di contrasto alla povertà basata sul principio di inclusione attiva e che comporta la predisposizione per i beneficiari di un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa sostenuto dalla offerta di servizi alla persona. Finalità del provvedimento, ispirato al principio di universalismo selettivo, è quella di razionalizzare le diverse prestazioni di natura previdenziale ed assistenziale, superandone il carattere frammentario. E’ previsto un ruolo attivo degli attori sociali e delle fondazioni di origine bancaria che parteciperanno insieme al Governo alla realizzazione di un fondo contro la povertà educativa, che finanzierà progetti rivolti ai minori privi di mezzi per migliorare l’accesso all’istruzione di qualità o a strumenti formativi.

 

Nella Parte IV del Documento (Progressi nei target della strategia Europa 2020) il disegno di legge citato viene collegato all’attuazione dell’obiettivo n. 8 – Contrasto alla povertà – della strategia Europa 202, che è quello di ridurre di 20 milioni il numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale nell’Unione europea. L'obiettivo europeo richiede al livello nazionale di sottrarre 2.200.000 persone a condizioni di povertà o deprivazione entro il 2020. A tal fine il Governo ha introdotto uno specifico Fondo per la lotta alla povertà ed esclusione sociale che si accompagnerà ad una riforma organica delle politiche assistenziali. Nel 2014 l’indicatore sintetico di povertà o esclusione mostra un valore del 28,3 per cento. Le persone gravemente deprivate sono l’11,6 per cento.

 

Il Documento menziona poi la proposta di legge recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare (c.d. “Dopo di noi”), attualmente all’esame del Senato (A.S. 2232) che disciplina misure di assistenza cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, in quanto mancanti di entrambi i genitori o poiché gli stessi non sono in grado di sostenere la responsabilità della loro assistenza, e agevola le erogazioni di soggetti privati e la costituzione di trust in favore dei citati soggetti.

 

A completamento di quanto sopra esposto nell’Appendice A alla Sezione III del DEF (Cronoprogramma del Governo), tra i provvedimenti da approvare entro il 2016 viene citato:

§  in tema di mercato del lavoro e delle politiche sociali il disegno di legge di delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, all’esame della Camera in seconda lettura (A.C. 2617-B), del quale è prevista l’approvazione entro maggio 2016;

§  in tema di povertà e inclusione sociale il già citato disegno di legge delega recante norme relative al contrasto alla povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali collegato alla legge di stabilità 2016 (A.C. 3594) all’esame della Camera e di cui è prevista l’approvazione entro giugno 2016, nonché la sopracitata proposta di legge recante disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare (c.d. “Dopo di noi”), attualmente all’esame del Senato (A.S. 2232) e della quale viene prevista l’approvazione entro luglio 2016.

3.7 Scuola, università, ricerca

Le politiche di riforma indicate nel PNR 2016 – che, in generale, rivisita e amplia l’approccio e gli obiettivi del 2015, allineandoli con l’Analisi annuale della crescita della Commissione europea e le Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea sulla politica economica sia alla zona euro che all’Italia – partono dal presupposto che, per sostenere la produttività nel medio e lungo termine, è necessario, tra l’altro, continuare a sviluppare il capitale umano – che include il miglioramento dell’istruzione, lo sviluppo della ricerca tecnologica, la promozione della scienza e della cultura – facendone vera priorità della politica nazionale.

In particolare, il PNR, nel delineare un complesso di misure da adottare nel breve termine, pone particolare enfasi sulla concreta attuazione delle riforme.

 

Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che tra le priorità per il 2016 individuate dall'Analisi annuale della crescita della Commissione europea del 26 novembre 2015 (COM(2015) 690 final) è stato incluso il rilancio degli investimenti, i quali “devono andare oltre le infrastrutture tradizionali e comprendere il capitale umano e i relativi investimenti sociali”.

In particolare, investimenti intelligenti nel capitale umano dell’Europa e riforme orientate a garantire sistemi di istruzione e formazione di qualità, con conseguente miglioramento dei risultati, sono indicati quale parte degli sforzi necessari per rilanciare l'occupazione e la crescita sostenibile[103].

Si ricorda, inoltre, che, nell’ambito della Raccomandazione sulla politica economica della zona euro del 26 novembre 2015 (COM(2015) 692 final), il Consiglio dell’UE ha raccomandato agli Stati membri di adottare individualmente e collettivamente, nel periodo 2016-2017, provvedimenti finalizzati ad attuare riforme che, tra l’altro, combinino strategie complete di apprendimento permanente e politiche efficaci per aiutare i disoccupati a reinserirsi nel mercato del lavoro.

Scuola

Nell’ambito delle Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia (COM(2015) 262 final), del 13 maggio 2015, la Raccomandazione n. 5 faceva riferimento, tra l’altro, nell’ambito degli sforzi per ovviare alla disoccupazione giovanile:

§  all’adozione ed attuazione della già prevista riforma della scuola;

§  al rafforzamento dell’istruzione terziaria professionalizzante.

 

Il documento della Commissione europea contenente la Relazione per paese relativa all'Italia del 26 febbraio 2016, comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (SWD(2016) 81 final), pur evidenziando che in Italia i tassi di istruzione e il livello delle competenze della popolazione adulta sono inferiori alla media dell’UE e che le prospettive di carriera degli insegnanti sono limitate, ha sottolineato che, nel dar seguito alle raccomandazioni specifiche per paese formulate nel 2015, qualche progresso è stato compiuto.

In particolare, la Relazione si sofferma sull’approvazione, con la L. 107/2015, della riforma del sistema nazionale di istruzione, in rapporto alla quale sottolinea, anzitutto, la maggiore autonomia conferita alle scuole, l’assunzione di 85.000 docenti, l’introduzione di elementi basati sul merito nella retribuzione degli insegnanti.

La Commissione li ritiene segnali positivi, “a condizione che l’autonomia scolastica sia accompagnata da maggiori responsabilità dei dirigenti e che le future assunzioni avvengano solo tramite concorsi pubblici, che il governo si è impegnato a realizzare”.

Inoltre, la Relazione evidenzia positivamente che la riforma potenzia l’apprendimento basato sul lavoro nelle scuole secondarie di secondo grado e incentiva l’istruzione terziaria professionalizzante, intervenendo sugli Istituti tecnici superiori. Quanto al sistema di apprendistato, la Relazione dà conto della recente riorganizzazione (operata con il D.Lgs. 81/2015) – che consentirà di conseguire titoli di studio integrandoli nei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale –, ma evidenzia preoccupazioni circa la mancata previsione di criteri qualitativi per le aziende che offrono apprendisti.

 

Il PNR, stimando un impatto sul PIL conseguente alla riforma dell’istruzione pari allo 0,3% nel 2020, allo 0,6% nel 2025 e al 2,4% nel lungo periodo, sottolinea i seguenti, ulteriori, interventi previsti dalla L. n. 107/2015:

§  il Piano nazionale Scuola Digitale, con riferimento al quale evidenzia che sono state individuate risorse pari a 1, 1 mld, che tra ottobre 2015 e aprile 2016 state avviate 14 delle 35 azioni previste, e che “l’attuazione rectius: avvio – dell’intera politica sarà completata entro dicembre 2016”;

In particolare, sottolinea che ad aprile 2016 è stato avviato un intervento per la produzione di risorse educative aperte a favore dello sviluppo di competenze digitali, che è in corso la prima fase dei percorsi formativi - che riguarderà 80.000 unità di personale scolastico -, che si sta costruendo uno schema di formazione dedicato ai migliori docenti e dirigenti scolastici denominato “eccellenze digitali”, per promuovere esperienze formative intensive all’estero nei luoghi dell’innovazione, e che è stata istituita la figura dell’animatore digitale in ogni scuola[104].

§  il Piano nazionale della formazione per il personale docente, per il quale evidenzia che, complessivamente, sono disponibili circa € 400 mln, provenienti, oltre che dalle risorse stanziate dalla L. 107/2015 e da ulteriori risorse nazionali, dai Fondi strutturali, nell’ambito del PON 2014-2020;

§  la definizione di nuovi parametri per l’assegnazione del Fondo di funzionamento per le scuole, che si applicheranno dall’a.s. 2016/2017;

La L. 107/2015 ha incrementato il Fondo per il funzionamento di € 123,9 mln nel 2016 ed € 126 mln annui dal 2016 al 2021, prevedendo, altresì, che i criteri di riparto del Fondo dovevano essere ridefiniti con decreto ministeriale.

Il 18 novembre 2015 il MIUR ha comunicato la registrazione da parte della Corte dei conti del decreto, evidenziando che i nuovi parametri tengono conto dei nuovi indirizzi delle scuole secondarie superiori e prevedono l’aumento della quota per alunno assegnata alle scuole, l’aumento delle risorse integrative previste per gli alunni diversamente abili, gli incentivi destinati alle scuole capofila di Reti per la formazione del personale, l’acquisizione di beni e di servizi e per il supporto amministrativo-contabile, risorse aggiuntive per le scuole con corsi serali, per le scuole ospedaliere e carcerarie, una quota aggiuntiva per le classi terminali, a supporto degli esami di Stato.

La L. 208/2015 ha poi previsto un ulteriore incremento del Fondo, per € 23,5 mln per il 2016.

§  le iniziative in materia di integrazione degli alunni stranieri;

Nel mese di settembre 2015 è stata inviata alle scuole una circolare con raccomandazioni e proposte operative elaborate dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura (ricostituito con DM n. 718 del 5 settembre 2014), e sono stati emanati due bandi (pubblicati sui siti degli Uffici scolastici regionali) che mettono a disposizione 500.000 euro per il potenziamento dell'italiano come lingua seconda, con particolare attenzione agli studenti di recente immigrazione, e ulteriori 500.000 euro per progetti di accoglienza e di sostegno linguistico e psicologico dedicati a minori stranieri non accompagnati.

§  le disposizioni in materia di edilizia scolastica, in particolare con la redazione, per la prima volta, di un piano del fabbisogno nazionale 2015-2017. Ricorda, altresì, la disponibilità – da agosto 2015 – dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, le risorse ulteriori stanziate con la L. di stabilità 2016, e la recente emanazione del D.L. n. 42/2016, attualmente all’esame del Parlamento, che prevede la proroga degli interventi di mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti a sede di istituzioni scolastiche ed educative statali (c.d. “Scuole Belle”);

La programmazione nazionale per il triennio 2015-2017 è stata predisposta con DM 29 maggio 2015, n. 322[105].

§  gli interventi per la valutazione delle scuole, in particolare con la pubblicazione del rapporto di autovalutazione di ogni scuola[106] e l’avvio della fase di valutazione esterna[107];

§  l’introduzione di nuovi criteri di valutazione dei dirigenti scolastici, che deve essere coerente con l'incarico triennale e con il profilo professionale e connessa alla retribuzione di risultato;

§  con riferimento a tali figure, ricorda, inoltre, che con la legge di stabilità 2016 è stata modificata la procedura per il reclutamento (affidata al MIUR, sentito il MEF – e non più alla Scuola nazionale dell’amministrazione – per tutti i posti vacanti nel triennio);

§  l’avvio della sperimentazione del sistema duale che, a seguito del D.Lgs. n. 81/2015, consentirà di poter conseguire, attraverso un contratto di apprendistato, un titolo di studio.

In particolare, il PNR evidenzia che, a seguito dell’Accordo in Conferenza unificata del 24 settembre 2015, sono stati sottoscritti vari protocolli di intesa fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e gli Assessorati regionali alla formazione. La sperimentazione consentirà in un biennio a circa 60.000 ragazzi di conseguire i titoli di studio in parte tramite un contratto di apprendistato di primo livello, in parte attraverso l’introduzione dell’alternanza rafforzata di 400 ore annue, dal secondo anno del percorso di istruzione e formazione professionale. Al momento, Italia Lavoro sta completando la selezione di 300 centri di formazione professionale che realizzeranno la sperimentazione[108].

Con riguardo all’attuazione della L. n. 107/2015, il PNR indica le scadenze di:

§  maggio 2016 per l’emanazione del DM relativo al Piano nazionale della formazione per il personale docente. Al riguardo, anticipa che le priorità del triennio 2016-2018 sono individuate in competenze digitali e innovazione didattica, competenze linguistiche, innovazione metodologica e didattica per competenze, alternanza scuola-lavoro, imprenditorialità, inclusione e disabilità, integrazione e cittadinanza globale, valutazione e competenze di base;

§  giugno 2016 per l’emanazione del decreto relativo alla Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro;

§  luglio 2016 per l’emanazione di tutti i decreti legislativi ivi previsti.

Gli ambiti cui si riferiscono i decreti legislativi riguardano:

§  sistema nazionale di istruzione e formazione;

§  formazione iniziale e accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria;

§  promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione;

§  revisione dei percorsi dell’istruzione professionale nonché raccordo con percorsi dell’istruzione e formazione professionale;

§  sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni;

§  effettività del diritto allo studio;

§  promozione e diffusione della cultura e sostegno della creatività;

§  istituzioni e iniziative scolastiche italiane all’estero;

§  valutazione e certificazione delle competenze degli studenti.

Università

La Relazione della Commissione europea evidenzia, innanzitutto, che la spesa pubblica italiana per l’istruzione terziaria è stata una delle più basse dell'UE (0,4% del PIL e 0,7% della spesa pubblica complessiva nel 2013). Peraltro, tra il 2009 e il 2013 il finanziamento pubblico complessivo per l'istruzione superiore ha subito ingenti tagli, e nel periodo 2008-2014 il numero dei docenti di ruolo è diminuito del 17%. La situazione è poi aggravata dalla questione dell'invecchiamento del corpo docente: l'Italia registra una delle percentuali più basse dell'UE di docenti che hanno meno di 40 anni (16% nel 2013); l'età media è di 52 anni e circa il 17% del corpo docente attivo nel 2013 potrebbe andare in pensione entro il 2018.

Al riguardo, nel ricordare le disposizioni in materia introdotte dalla legge di stabilità 2016 – che, in particolare, ha previsto un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia, ha destinato risorse all’assunzione di ricercatori con contratti triennali non rinnovabili (c.d. tipo B), ha svincolato, in particolari condizioni, l’assunzione di ricercatori c.d. tipo A dalle limitazioni derivanti dalla disciplina del turn-over – osserva che tali misure costituiscono “un primo passo positivo, anche se di portata piuttosto limitata e non sufficiente a far fronte alla problematica dell'invecchiamento del personale docente”.

La Relazione evidenzia, altresì, che anche il sostegno agli studenti registra una delle percentuali più basse nell'UE: solo l'8% degli studenti del primo ciclo riceve sovvenzioni pubbliche, e un quarto degli studenti che ne avrebbero diritto non riceve sovvenzioni per mancanza di fondi.

 

Al contrario, ricorda favorevolmente la maggiore attenzione posta alla qualità dell'istruzione superiore nell’ambito dell'assegnazione dei finanziamenti pubblici.

In tale contesto si inquadra anche l’avvio del terzo ciclo di valutazione della qualità dei prodotti della ricerca (VQR), relativo al periodo 2011-2014.

 

Per l’università, il PNR non indica nuove misure da adottare, mentre ricorda la definitiva approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2016, del regolamento che innova la procedura per il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari.

Ricorda, inoltre, l’istituzione in via sperimentale del “Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta”, destinato al reclutamento per “chiamata diretta” di professori universitari di prima e di seconda fascia.

Ricerca

La Relazione della Commissione evidenzia alcune delle debolezze strutturali che incidono sul sistema italiano della ricerca.

In particolare, oltre alle perduranti carenze di finanziamento della R&S, soprattutto per le piccole imprese giovani e innovatrici che non dispongono di sufficienti risorse interne per finanziare i propri progetti, sottolinea come negli ultimi anni molti ricercatori italiani hanno lasciato il paese a causa della mancanza di prospettive di carriera e di retribuzioni concorrenziali.

Stigmatizza, inoltre, la scarsa cooperazione tra università e imprese che caratterizza il sistema italiano di ricerca e innovazione, e osserva che ciò rallenta il trasferimento di conoscenze dalle università e da altri istituti pubblici di ricerca alle imprese e la ripartizione dei rischi connessi alle attività di R&S.

Nel 2012 la quota pubblica di R&S finanziata dalle imprese rappresentava solo lo 0,014% del PIL, a fronte della media UE pari allo 0,051%.

Inoltre, pur riconoscendo che il paese ha adottato una serie di iniziative strategiche volte a sostenere il sistema, evidenzia che la loro frammentazione continua a destare preoccupazioni. In particolare, il riferimento è allo stanziamento di ulteriori fondi per l'assunzione di nuovi ricercatori negli enti di ricerca, disposto dalla L. di stabilità 2016, nonché all’entrata in vigore della proroga del credito d'imposta per le attività di R&S per il periodo 2015-2019, di cui, tuttavia, paventa la possibile limitata efficacia, a causa della natura temporanea e della scarsa prevedibilità dovuta alle frequenti modifiche avvenute in passato.

Da ultimo, osserva che il programma nazionale di ricerca 2014-2020, presentato per la prima volta nel febbraio 2014, non è stato ancora approvato e, pertanto, non è ancora operativo[109].

 

Al riguardo, il PNR evidenzia che il Programma nazionale per la ricerca 2015-2020 – denominato, nel documento anche Piano Nazionale di Ricerca 2015-2020 – sarà pubblicato entro il 2016.

Inoltre, anticipa che il Piano intende incentivare la competitività industriale e promuovere lo sviluppo del Paese attraverso la programmazione di 2,5 miliardi per il triennio 2015-2017 (4,7 miliardi per l’intero periodo 2015-2020) in settori considerati strategici per il sistema della ricerca italiana. Sono previste, inoltre, per lo stesso triennio 2015-2017 ulteriori risorse per 3,8 miliardi (9,4 miliardi per l’intero arco temporale 2015-2020), provenienti dai Programmi operativi regionali e dal Programma Quadro Horizon 2020.

Il Piano è organizzato intorno a 6 pilastri: l’internazionalizzazione, il capitale umano, il sostegno selettivo alle infrastrutture di ricerca, le partnership pubblico-private, il Mezzogiorno, l’efficienza e qualità della spesa. Sono poi declinate 12 aree di specializzazione.

Prevede, inoltre, misure che mirano a rafforzare la capacità del Paese di attrarre un numero crescente di ricercatori italiani e stranieri di eccellenza, rivolte, in particolare, ai vincitori di grant ERC (European Research Council). Si tratta, tra l’altro, della semplificazione delle procedure per la realizzazione dei progetti in Italia, di finanziamenti aggiuntivi e della previsione di consolidamento delle carriere attraverso chiamate dirette nei ruoli delle università e degli enti di ricerca italiani.

Sempre nello stesso ambito, il PNR evidenzia le nuove risorse messe a disposizione con il nuovo bando PRIN 2015 (circa 92 mln di euro per finanziare la ricerca di base delle università e degli enti vigilati dal MIUR).

Gli obiettivi della strategia Europa 2020

I target indicati in materia dalla Strategia Europa 2020 sono i seguenti:

§  Obiettivo n. 2: aumentare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo al 3% del PIL;

§  Obiettivo n. 6: ridurre entro il 2020 il tasso di abbandono scolastico a un valore inferiore al 10%;

§  Obiettivo n. 8: aumentare al 40% la popolazione tra i 30 e i 34 anni in possesso di un diploma di istruzione universitaria.

 

Gli obiettivi italiani indicati dal PNR 2016 (confermando sostanzialmente gli obiettivi nazionali fissati dal PNR 2015) prevedono di raggiungere nel 2020:

§  un livello di spesa in ricerca e sviluppo pari all’1,53% del PIL, a fronte di un valore registrato per il 2013 pari a 1,31% (nel 2012 era pari all’1,27%);

In particolare, la spesa per R&S è aumentata rispetto al 2012 nel settore delle università e delle istituzioni private non profit (+3,3%) e in quello delle imprese (+3,4%), mentre ha registrato una diminuzione nelle istituzioni pubbliche (-3,4%). Il numero di personale impegnato in attività di ricerca è aumentato (+2,7% rispetto al 2012), così come il numero dei ricercatori (+4,9% rispetto al 2012), in tutti i settori.

§  un livello di abbandoni scolastici inferiore al 16% del totale dei 18-24enni. Si tratta di un obiettivo già raggiunto nel 2015, nel quale il valore registrato è pari al 14,7% (nel 2009 era pari al 19,2%);

Nello specifico, il PNR evidenzia che l’Italia risulta tra i Paesi con le più forti disparità tra tassi di abbandono maschili e femminili: l’incidenza degli abbandoni scolastici è più elevata tra gli uomini (17,5% contro 11,8% delle donne). Disparità si registrano anche tra popolazione italiana (12,8%) e popolazione straniera (34,1%).

Le regioni che nel 2015 hanno registrato performance migliori della media italiana e hanno raggiunto il target europeo del 10% sono Marche, Umbria, Veneto, Friuli-Venezia Giulia (che detiene il valore più basso: 6,9%) e la Provincia autonoma di Bolzano. Il fenomeno dell’abbandono scolastico continua a interessare in misura più sostenuta il Mezzogiorno, con punte del 24,3% in Sicilia e del 22,9% cento in Sardegna.

§  un livello di istruzione terziaria pari al 26-27%, a fronte di un livello registrato nel 2015 del 25,3% (nel 2014 era pari al 23,9%).

In particolare, il PNR ricorda che, nel 2014 (ultimo anno disponibile a livello europeo), 16 Paesi hanno raggiunto o superato l’obiettivo stabilito dalla Strategia Europa 2020. La media UE è pari al 37,9%, con un incremento dell’1,1% rispetto al 2013.

Con riguardo all’Italia, nel 2015, a fronte di un’incidenza media della popolazione 30-34enne in possesso di un titolo di studio terziario pari al 25,3%, gli uomini registrano un valore pari al 20,0% (con un incremento rispetto al 2014 dell’1,2%), le donne al 30,8% (+ 1,7%).

Molise, Umbria e Lazio registrano la quota più elevata di laureati tra 30 e 34 anni, superiore al 30%. Per contro, significative flessioni negative si registrano in Liguria (dal 31,3% al 26,2%) e in Puglia (dal 21,2% al 18,6%).

3.8 Giustizia

La giustizia riveste un ruolo significativo nel quadro delle riforme strutturali indicate dal DEF, a partire dalla riduzione dei margini di incertezza dell'assetto giuridico per alcuni settori, sia dal punto di vista della disciplina generale, sia dal punto di vista degli strumenti che ne assicurano l'efficacia (ad esempio, la riforma della giustizia civile). La giustizia rientra infatti tra le aree di intervento per le riforme strutturali, suscettibile di produrre effetti macroeconomici: l’impatto degli interventi di riforma in materia di giustizia consiste in un incremento del PIL rispetto allo scenario base pari allo 0,1 per cento nel 2020 e allo 0, 2 per cento nel 2025. Nel lungo periodo l’effetto stimato sul prodotto è pari allo 0,9 per cento.

La strategia di riforma in materia persegue, più in generale, l'obiettivo di rendere la giustizia italiana più equa ed efficiente uniformandola agli standard europei.

Gli ambiti affrontati sono i seguenti:

§  giustizia civile;

§  riforme ordinamentali e organizzative;

§  settore penale;

§  rafforzamento delle misure per la prevenzione dei fenomeni delinquenziali.

 

Nel DEF 2016, per ogni ambito sono individuate alcune azioni, per ciascuna delle quali sono specificate descrizione, finalità e tempi di realizzazione.

Con riguardo alla giustizia civile, il DEF dà atto in primo luogo dei risultati positivi conseguiti in seguito agli interventi realizzati negli ultimi due anni. Il miglioramento dell'efficienza della giustizia civile ha rappresentato uno dei fattori che hanno favorito "il clima di investimento", funzionale alla crescita economica del Paese. Tali significativi passi avanti sono stati colti, tuttavia, solo parzialmente dagli ultimi aggiornamenti degli indicatori internazionali di clima d’investimento, in ragione del fisiologico ritardo temporale fra interventi legislativi e manifestarsi degli effetti attesi. Le indagini sul clima d’affari dell’Italia continuano a sottolineare come uno dei maggiori ostacoli all’investimento si concentri proprio nella lentezza della giustizia.

Fra gli interventi volti a migliorare l'efficienza della giustizia civile realizzati nell'ultimo biennio si segnalano espressamente: l'introduzione del processo telematico; l'allargamento della sfera di applicazione degli accordi stragiudiziali accompagnato dalla previsione a regime di incentivi fiscali per la negoziazione assistita e per l'arbitrato.

Tali misure hanno determinato positivi risultati soprattutto in termini di riduzione dell’arretrato.

L’analisi svolta nell’ambito dei lavori dell’”Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull’economia delle riforme della giustizia” -concentrata su circa 2 milioni di cause complesse - ha dimostrato che, anche se in lieve miglioramento, la performance complessiva della giustizia civile continua a essere lontana dai riferimenti europei. Nell’ultimo anno si sono osservati alcuni miglioramenti nei Tribunali, sia nell’anzianità̀ delle cause giacenti (-14 per cento di cause contenziose ultra-triennali rispetto al 2014) sia nella durata media nazionale (-5 per cento). Anche le Corti di Appello mostrano i primi recuperi di efficienza in termini di riduzione dell’arretrato (-8,2 per cento). La variabilità della performance tra i 140 tribunali italiani è molto alta e conferma un Nord del Paese allineato ai benchmark europei e un Sud molto distante. Nel 2015 in un solo anno l’arretrato delle cause civili si è ridotto da 5,6 a 4,2 milioni. Inoltre, sono state iscritte 200.000 cause in meno rispetto all’anno precedente. In questo senso, si cominciano a riscontrare gli effetti degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e anche un diverso approccio ad alcune materie. Ad esempio l’intera materia famiglia ha visto nel 2015 una riduzione di 35.000 procedimenti iscritti in Tribunale (-9 per cento rispetto all’anno precedente).

Per quanto riguarda il Tribunale delle Imprese, la percentuale di cause definite entro un anno è arrivata all’80 per cento, rispetto al 46 per cento di fine 2013.

 

In continuità con le misure adottate, per il superamento delle criticità ancora presenti, le azioni per il 2016 interessano l’ampia e organica riforma del processo civile (il disegno di legge delega, collegato alla legge di stabilità 2016, approvato dalla Camera (AC 2953), è attualmente all'esame del Senato (AS 2284), che non ne ha ancora avviata la trattazione). Secondo il cronoprogramma si dovrebbe giungere alla definitiva approvazione del provvedimento nel mese di ottobre.

Il provvedimento in particolare reca un'ampia delega al Governo per la riforma organica del processo civile secondo parametri di maggiore efficienza e specializzazione, e muovendosi sostanzialmente lungo tre linee direttrici: la specializzazione dell'offerta di giustizia, attraverso l'ampliamento delle competenze del tribunale delle imprese e l'istituzione del tribunale della famiglia e della persona (con contestuale soppressione del tribunale per i minorenni); l'accelerazione dei tempi del processo civile, attraverso l'estensione del rito sommario di cognizione in primo grado, la riforma del procedimento per dichiarare l'inammissibilità dell'appello, l'affermazione in ogni fase del principio di sinteticità degli atti; l'adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico.

Parallelamente alla riforma del processo civile il Governo intende perseguire la riforma della disciplina delle crisi di impresa e dell’insolvenza, con l’obiettivo di aumentare le opportunità di risanamento delle crisi aziendali, limitandone i danni al tessuto economico circostante. Lo scorso 11 marzo è stato presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge n. 3671 recante un'ampia delega proprio per la riforma della suddetta disciplina.

Tale provvedimento, la cui approvazione, sulla base del cronoprogramma è prevista per il mese di ottobre, si inserisce nel quadro del più ampio processo di riforma inaugurato con il decreto legislativo n. 30 del 2015 in materia fallimentare, civile e processuale civile e di funzionamento dell’amministrazione giudiziaria che introduceva importanti misure per accrescere la rapidità e l’efficienza delle procedure concorsuali e di esecuzione forzata. Con il nuovo disegno di legge delega l’Esecutivo si propone di delineare un intervento organico di riforma del diritto dell’insolvenza e delle relative procedure concorsuali, anche per allineare l’Italia alle moderne normative vigenti nella maggior parte dell’Unione europea. I principali elementi che caratterizzano la delega possono essere riassunti come segue: previsione di una procedura di allerta e di composizione assistita della crisi, in linea con le indicazioni della Commissione Europea, secondo cui il debitore deve avere accesso ad un quadro di ristrutturazione preventiva, che gli consenta di ristrutturare precocemente la propria impresa al fine di evitare l’insolvenza; semplificazione delle regole processuali con la riduzione delle incertezze interpretative e applicative e creazione di un unico ‘procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza’; individuazione del tribunale competente e valorizzazione della specializzazione dei magistrati addetti alla materia; introduzione in luogo della procedura di fallimento, della liquidazione giudiziale, più rapida e snella; previsione di norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie e innalzamento delle soglie per l'accesso alla procedura; introduzione di una specifica regolamentazione delle situazioni di crisi ed insolvenza dei gruppi di imprese, in linea con quanto previsto dal Regolamento europeo sull’insolvenza transfrontaliera (Regolamento n. 848/15/UE).

 

Sempre in materia civile, con riguardo agli strumenti di conciliazione (mediazione, negoziazione assistita e arbitrato) i primi riscontri riguardanti il 2015 dell’introduzione di nuove forme negoziali per la risoluzione delle controversie, indicano un trend positivo: i dati su un campione di 3019 accordi andati a buon fine attestano un buon utilizzo dei nuovi strumenti, specie della negoziazione assistita, con particolare incidenza in materia di separazione, divorzio e modifica delle relative condizioni (essi rappresentano da soli il 75 per cento di tutti gli accordi di negoziazione conclusi con successo). Per incoraggiare il ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, sono proseguiti gli interventi di agevolazione, in particolare con misure di incentivazione fiscale sia della negoziazione assistita sia dell’arbitrato. La constatazione dei limiti legati alla eterogeneità degli strumenti negoziali di risoluzione alternativa della controversie, ha indotto il Governo a procedere alla istituzione di un'apposita Commissione di studio. L’obiettivo della Commissione è quello di armonizzare e razionalizzare un quadro normativo che attualmente sviluppa forme eterogenee di strumenti negoziali, a causa dei ripetuti interventi legislativi sulla materia, adottati per favorire la formazione e lo sviluppo di una cultura della conciliazione, agevolandone l’uso e abbattendone i costi. La Commissione è chiamata ad elaborare, entro il 30 settembre 2016, un’ipotesi di disciplina organica e di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato.

Con riguardo alle riforme ordinamentali e organizzative, nella premessa si rileva come al fine di migliorare l’efficienza della giustizia così da agevolare le decisioni di investimento delle imprese si sia proceduto, fra le altre misure, anche alla ridefinizione e alla razionalizzazione della geografia dei tribunali. Sempre in relazione alle riforme ordinamentali le azioni individuate riguardano sostanzialmente la riforma organica della magistratura onoraria. Il relativo disegno di legge delega, già approvato dal Senato (A.S. 1738) è attualmente all'esame della Commissione giustizia della Camera (A.C. 3672). Secondo il cronoprogramma l’approvazione della riforma è prevista per giugno 2016.

La riforma riguarda le principali figure di magistrato onorario ovvero i giudici di pace, i giudici onorari di tribunale e i vice procuratori onorari. I principali profili di novità del disegno di legge delega appaiono i seguenti: l’introduzione di uno statuto unico della magistratura onoraria in ordine alle modalità di accesso, alla formazione e al tirocinio, alla durata e decadenza dell'incarico, alla revoca e alla dispensa dal servizio, alle incompatibilità, ai trasferimenti, alla responsabilità disciplinare, alla disciplina delle indennità; la riorganizzazione dell’ufficio del giudice di pace, posto sotto il coordinamento del presidente del tribunale; l’unificazione della magistratura giudicante onoraria mediante il superamento della distinzione tra giudice di pace e GOT e l’istituzione del giudice onorario di pace (GOP); l’istituzione di una specifica struttura organizzativa dei VPO presso le Procure; la rideterminazione del ruolo e delle competenze dei magistrati onorari (in particolare, l’utilizzo, a regime, dei giudici onorari di pace nell'ufficio del processo presso i tribunali ordinari nonché, in limitate ipotesi, come componenti del collegio; l’aumento delle competenze, soprattutto civili, dell’ufficio del giudice di pace).

Per quanto concerne le misure di tipo organizzativo si segnala lo spostamento, dagli enti di area vasta, di un contingente di 1.000 unità di personale amministrativo, per supportare il processo di digitalizzazione degli uffici giudiziari ed attuare il trasferimento al Ministero della Giustizia delle spese obbligatorie per il funzionamento degli uffici Nel biennio 2016-2017, grazie anche a disposizioni precedenti, un contingente complessivo di oltre 4.000 unità di personale amministrativo sarà destinato, secondo le previsioni, agli uffici giudiziari.

Agli interventi di carattere organizzativo, devono essere altresì ricondotti da un lato l’istituzione dell’ufficio per il processo e dall’altro- strettamente connesso alla riforma del processo civile- il potenziamento dei tirocini formativi, attraverso l’utilizzo di essi anche in Cassazione. In prospettiva si rileva la necessità di assicurare nuovi criteri di accesso alla magistratura, onde favorire l’ingresso di neo laureati e innovare complessivamente la disciplina dei tirocini per le professioni legali.

 

Relativamente al settore penale, il programma di riforma per il 2016 comprende modifiche alla normativa penale sostanziale e processuale e alla prescrizione del reato, nonché misure di contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti.

Indubbia centralità nell’azione riformatrice della giustizia penale riveste il disegno di legge- AS 2067, già approvato dalla Camera dei deputati (AC 2798) e attualmente all'esame del Senato. In base al cronoprogramma il testo dovrebbe essere definitivamente licenziato nel mese di agosto.

La proposta, che mira ad accrescere l’efficienza del sistema giudiziario penale e a rafforzare al contempo le garanzie della difesa e i diritti delle persone coinvolte nel processo, si compone di 35 articoli, suddivisi in 5 Titoli. Il Titolo I introduce modifiche al codice penale ed è a sua volta composto da due capi. Il Capo I (articoli 1-6) riguarda l'estinzione del reato per condotte riparatorie e modifiche ai limiti di pena per i delitti di scambio elettorale politico mafioso, furto e rapina. Il Capo II (articoli 7-9) reca delega il Governo per la riforma del regime della procedibilità per taluni reati, per il riordino di alcuni settori del codice penale e per una revisione della disciplina del casellario giudiziale. Il Titolo II reca modifiche al codice di procedura penale ed è composto da tre Capi. Il Capo I (articoli 10-12) interviene sulla disciplina della incapacità dell'imputato a partecipare al processo, delle indagini preliminari e dell'archiviazione. Il Capo II (articoli 13-20) riguarda i riti speciali, l'udienza preliminare, l'istruzione dibattimentale e la struttura della sentenza di merito. Il Capo III (articoli 21-25) riguarda la semplificazione delle impugnazioni. Il Titolo III (articoli 26-28) modifica le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e la normativa di organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero. Il Titolo IV (articoli 29-33) reca delega il Governo per la riforma del processo penale e dell'ordinamento penitenziario.

Per completare il processo di adattamento dell’ordinamento nazionale agli obblighi assunti in sede internazionale in materia di cooperazione giudiziaria particolare importanza riveste il disegno di legge- AS 1949 recante oltre che la ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, del 2000, anche delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale.

Le misure organizzative e gli investimenti digitali che hanno interessato l’intero settore della giustizia sono destinati a trovare progressiva applicazione anche con riguardo al processo penale.

Tra gli interventi a sostegno dei procedimenti penali si segnalano anche i provvedimenti previsti nello schema di decreto legislativo, attualmente all’esame parlamentare per il prescritto parere, (AG 288) volto a semplificare, attraverso modifiche al decreto legislativo n. 32 del 2014, la disciplina del conferimento dell’incarico all’interprete e al traduttore, alleggerendo le incombenze dei soggetti coinvolti e permettendo risparmi sui costi di spostamento.

Con riguardo al diritto penale sostanziale particolare importanza rivestono i decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2016 aventi l’obiettivo di ridurre le condotte penalmente rilevanti mediante la depenalizzazione di alcune fattispecie di minor allarme sociale e l’abrogazione di talune ipotesi di reato. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno, le norme in questione prevedono l’istituzione di adeguate sanzioni pecuniarie civili nelle ipotesi di depenalizzazione.

Fra le azioni in materia penale si segnala inoltre la riforma dell’istituto della prescrizione. Il disegno di legge AS 1844, già approvato dalla Camera e attualmente all’esame della Commissione giustizia del Senato: determina un aumento del termine di prescrizione per i reati di corruzione; stabilisce che la decorrenza della prescrizione per taluni reati concernenti i minori decorra dal raggiungimento della maggiore età della vittima; introduce nuove ipotesi di sospensione dei termini di prescrizione, tra cui quelle conseguenti a condanna non definitiva; precisa che anche l’interrogatorio reso alla polizia giudiziaria determina l’interruzione del corso della prescrizione; stabilisce che la sospensione ha effetto solo per gli imputati nei cui confronti si sta procedendo. L’azione riformatrice in materia di diritto penale sostanziale ha poi interessato la disciplina dei reati ambientali (legge n. 68 del 2015). Infine, nel più ampio programma di contrasto al terrorismo internazionale, si inserisce il disegno di legge per il contrasto al terrorismo che, approvato dal Consiglio dei Ministri a fine luglio 2014, è attualmente all’esame delle Commissioni riunite 2° e 3° del Senato, ed è stato approvato dalla Camera dei Deputati a fine gennaio 2016 (AS 2223). A questo si affianca il DPR, di recente approvazione, concernente il regolamento sull’istituzione, le modalità di funzionamento e di organizzazione della Banca dati del DNA e del Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Il regolamento disciplina lo scambio dei dati sul DNA per le finalità di cooperazione transfrontaliera soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera e per finalità di collaborazione internazionale di polizia.

Con riguardo alle misure di contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti è all'esame del Senato il disegno di legge - AS 1687, di iniziativa governativa, il quale introduce rilevanti modifiche ai codici penale e di procedura penale, al codice civile e ad altri testi normativi per rafforzare l'azione di contrasto al fenomeno della illecita accumulazione di ricchezza e di capitali ad opera della criminalità organizzata, anche e soprattutto di natura mafiosa. Altre modifiche alla legislazione penale sono state apportate, anche tramite emendamenti inseriti in diversi disegni di legge. Rientrano tra queste: la disciplina dei reati di falso in bilancio (articoli 9-12 della legge n. 69 del 2015) e di autoriciclaggio, le modifiche in materia di reati di corruzione (articoli 1-6 e 8 della citata legge n. 69), l’inasprimento delle pene per i reati di associazione di tipo mafioso (articolo 5 della legge n. 69 e legge n. 62 del 2014 con riguardo al reato di scambio elettorale politico-mafioso).

Fra le riforme ancora da attuare si inserisce la modifica della disciplina relativa al procedimento di prevenzione patrimoniale. È attualmente all'esame della Commissione giustizia del Senato il disegno di legge - AS 2134, già approvato dalla Camera il quale reca ampie modifiche al cd. Codice antimafia, intervenendo, fra le altre, anche sulla disciplina della gestione dei beni sequestrati e confiscati e inserendo gli indiziati dei reati contro la pubblica amministrazione (dal peculato alla concussione, alle varie forme di corruzione) tra i soggetti destinatari delle misure di prevenzione. Per quanto concerne proprio la questione relativa alla gestione dei beni confiscati l’azione si sostanzia nel rafforzamento delle strutture e degli strumenti preposti alla valorizzazione e alla riutilizzazione dei beni a favore dei cittadini e dell’economia nazionale. Il processo di valorizzazione implica uno stretto coordinamento tra le Amministrazioni interessate per garantire un forte presidio sia nella fase di definizione della strategia nazionale, sia in quella di pianificazione operativa degli interventi, sia nella cruciale fase del monitoraggio e verifica dei risultati. La fase propedeutica, avviata nel 2015 e da completare nel 2016, è quella della definizione della strategia nazionale per la valorizzazione e riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, che indicherà le linee direttrici su cui si svilupperà l’azione. Definita la componente strategica, l’azione sarà concentrata, nel corso del 2016, sulla pianificazione degli interventi operativi, attraverso la predisposizione di specifiche proposte progettuali. Tra gli obiettivi principali dell’azione di rafforzamento, figura quello del potenziamento strutturale dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

I citati interventi di potenziamento delle competenze dell’Agenzia Nazionale, coerenti con quanto previsto dal Programma nazionale di riforma già contenuto nel DEF 2015, sono stati anticipati dalla legge di stabilità 2016 (L. 208 del 2015). Una ulteriore misura prevista dallo stesso disegno di legge AS 2134, e già in vigore con la legge di stabilità 2016, ha istituito un fondo (10 mln di euro all’anno per il triennio 2016-2018) per la continuità del credito bancario alle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.

Il contrasto ai fenomeni delinquenziali si sostanzia anche nel rafforzamento delle misure di politica di prevenzione, attraverso interventi volti ad una maggiore responsabilizzazione del tessuto imprenditoriale. In tale contesto si inserisce in primo luogo il disegno di legge – AS 2208 - approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 21 gennaio 2016 - concernente la tutela dei lavoratori, pubblici o privati, che segnalino o denuncino reati o altre condotte illecite di cui siano venuti a conoscenza nell'àmbito del proprio rapporto di lavoro. L’azione del Governo in materia di criminalità economica si sostanzia altresì nella istituzione di una Commissione di studio per la modifica del decreto legislativo recante la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica” (decreto legislativo n. 231 del 2001), con l’obiettivo di effettuare una ricognizione, a quindici anni dall’entrata in vigore del predetto decreto legislativo, per contrastare e prevenire la criminalità economica, considerata importante elemento di distorsione dei mercati e di freno della crescita. La Commissione ha il compito di formulare proposte di modifica normativa e, più in generale, di rilanciare le politiche di prevenzione.


 

3.9 Infrastrutture e trasporti

Gli obiettivi programmatici e le misure adottate o in corso in materia di infrastrutture e trasporti sono riportati in una specifica sezione del PNR e nell’allegato al DEF recante le strategie per le infrastrutture di trasporto e la logistica, che verranno trattati congiuntamente di seguito.

Infrastrutture

Le nuove strategie infrastrutturali sono delineate nell’allegato al Documento di economia e finanza denominato “Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica”. Si tratta di un allegato differente da quello di cui la normativa vigente prevede sia corredato il DEF: l’articolo 10, comma 8, della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) prevede, infatti, la presentazione dell’aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”) e lo stato di avanzamento relativo all'anno precedente (cd. Allegato infrastrutture). E’ lo stesso allegato a precisare che, nelle more dell’adozione della nuova programmazione, non si prevede l’elaborazione di un nuovo Allegato infrastrutture al DEF e che è, altresì, escluso l’aggiornamento della Tabella “Opere prioritarie del Programma infrastrutture strategiche”, riportata nell’Allegato 3 al DEF 2015. In appendice all’allegato al DEF 2016 è, pertanto, riportato l’elenco delle venticinque opere prioritarie del DEF 2015, i cui costi (70.937 milioni di euro) e disponibilità (48.001 milioni di euro) sono identici a quelli di tale allegato, con il relativo stato di avanzamento al 31 dicembre 2015 riguardante la quota contrattualizzata e lo stato di avanzamento lavori (SAL), sulla base dei dati pubblicati sul sito Opencantieri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT).

In considerazione dell’imminente approvazione definitiva dello schema di decreto legislativo, recante il nuovo Codice degli appalti pubblici e delle concessioni (Atto del Governo n. 283), d’ora in avanti Codice, che provvede ad abrogare i commi da 1 a 5 dell’articolo 1 della citata legge n . 443 del 2001 e contiene una nuova disciplina riguardante le infrastrutture e gli insediamenti prioritari, come precisa lo stesso allegato, sono definite le “linee strategiche di indirizzo”, che rappresentano il primo passo verso l’adozione del documento pluriennale di pianificazione (DPP) per il triennio 2017-2019, che è uno degli strumenti sui quali si baserà la nuova programmazione.

Tali linee strategiche si prefiggono quattro obiettivi, di seguito citati testualmente:

1)  la realizzazione di infrastrutture utili, snelle e condivise, attraverso una pianificazione nazionale unitaria, la programmazione e il monitoraggio degli interventi, nonché il miglioramento della qualità della progettazione;

2)  lo sviluppo urbano sostenibile, attraverso la cd. “cura del ferro”, l’accessibilità alle aree urbane e metropolitane, la qualità e l’efficienza del trasporto pubblico locale, la sostenibilità del trasporto urbano e le tecnologie per città intelligenti;

3)  la valorizzazione del patrimonio esistente, attraverso la programmazione degli interventi di manutenzione, il miglioramento del servizio e della sicurezza, l’efficientamento e il potenziamento tecnologico, l’incentivo allo sviluppo di sistemi intelligenti di trasporto (ITS) e l’efficienza del trasporto aereo;

4)  l’integrazione modale e l’intermodalità, attraverso l’accessibilità ai nodi e l’interconnessione alle reti, il riequilibrio della domanda verso mobilità sostenibili, la promozione dell’intermodalità.

Dei citati obiettivi e dei relativi interventi adottati e in corso si parlerà nel prosieguo.

La Commissione europea, nel documento sugli squilibri macroeconomici, evidenzia che gli investimenti in infrastrutture di trasporto sono scesi rapidamente da un picco dell'1,6% del PIL nel 2006 allo 0,5% nel 2013 e che la qualità delle infrastrutture di trasporto italiane è ancora bassa nonostante un certo miglioramento.

La riforma degli appalti pubblici e delle concessioni

La nuova disciplina degli appalti pubblici e delle concessioni rappresenta l’intervento di maggiore impatto sulle politiche infrastrutturali in quanto è destinata a riformare in modo sostanziale e complessivo la normativa sui contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, dalla programmazione alla progettazione, dall’affidamento all’esecuzione. Specifiche disposizioni riguardano, inoltre, il partenariato pubblico-privato (PPP) e l’introduzione di procedure di dibattito pubblico (articolo 22 dello schema) per le grandi opere infrastrutturali aventi impatto rilevante sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio.

Lo schema di decreto legislativo, in un unico provvedimento, in attuazione della legge delega n. 11 del 2016, recepisce le direttive europee 2014/24/UE, 2014/25/UE e 2014/23/UE, sugli appalti pubblici nei settori ordinari e speciali e sull’aggiudicazione delle concessioni, e reca un complessivo riordino della normativa vigente in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

L’adozione della nuova disciplina rientra tra le misure in risposta alla raccomandazione n. 6 del Consiglio del 2016, laddove richiede di garantire la rettifica, entro la fine del 2015, dei contratti di servizi pubblici locali che non ottemperano alle disposizioni sugli affidamenti in house. La Commissione europea, nel documento sugli squilibri macroeconomici, evidenzia che il sistema degli appalti pubblici presenta ancora una serie di carenze strutturali e che la riforma degli appalti contribuirebbe a garantire una maggiore conformità alle norme europee e a individuare misure concrete per superare i problemi sistemici del paese.

La nuova disciplina prevede un rafforzamento dei poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) alla quale sono affidati i compiti di vigilanza e di regolazione del settore. In luogo dell’attuale regolamento di attuazione ed esecuzione, di cui al D.P.R. n. 207 del 2010, si prevede, in primo luogo, l’adozione di linee guida di carattere generale proposte dall’ANAC e adottate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. All’ANAC, inoltre, sono attribuiti i compiti di promozione dell'efficienza e della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti, anche attraverso la predisposizione di documenti quali linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile.

Il nuovo Codice, inoltre, ridefinisce i livelli di progettazione prevedendo, in luogo del progetto preliminare, il progetto di fattibilità tecnica ed economica che individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire (articolo 23, comma 5, dello schema). Si prevede, altresì, che la progettazione in materia di lavori pubblici sia intesa ad assicurare, tra l’altro, la razionalizzazione delle attività di progettazione e delle connesse verifiche attraverso il progressivo uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (articolo 23, comma 1, lettera h).

Sullo schema di decreto si sono espressi, come prescritto dalla legge delega, il Consiglio di Stato, la Conferenza unificata e le competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato. L’VIII Commissione (ambiente) della Camera e l’8a Commissione (lavori pubblici) del Senato hanno espresso un articolato parere di identico contenuto.

Lo schema di decreto dovrebbe entrare in vigore il 18 aprile 2016, in corrispondenza con il termine di recepimento delle tre direttive. Tale tempistica è riportata nel cronoprogramma delle riforme.

Verso una nuova pianificazione infrastrutturale

Il nuovo Codice dedica una specifica sezione alla disciplina delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, che si basa sull’adozione di due strumenti di pianificazione e programmazione:

§  il piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che contiene le linee strategiche delle politiche della mobilità delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese;

§  il documento pluriennale di pianificazione (DPP), che contiene l'elenco degli interventi relativi al settore dei trasporti e della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata meritevole di finanziamento, da realizzarsi in coerenza con il piano generale dei trasporti e della logistica.

La nuova programmazione è volta a ricondurre in una logica unitaria i piani e i programmi di competenza del Ministero delle infrastrutture e prioritari e a ricondurre alla disciplina ordinaria la pianificazione e la realizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture prioritari, ai fini dell’espresso superamento della cd.“legge obiettivo”.

Il documento precisa che, nelle more dell’adozione dei nuovi strumenti di pianificazione e di programmazione sopra richiamati, “ferma restando la vigenza dell’Allegato infrastrutture approvato dal Consiglio dei Ministri nell’aprile 2015”, sul quale è in corso la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), che tale allegato “costituirà il Quadro generale per gli investimenti in materia di trasporti”.

In proposito, si osserva che, mentre il documento in esame precisa che resta ferma la vigenza dell’Allegato infrastrutture al DEF 2015, l’articolo 201, comma 9, dello schema precisa che, fino all’approvazione del primo DPP, valgono come programmazione degli investimenti in materia di trasporti i piani, comunque denominati, in relazione ai quali sussiste un impegno assunto con i competenti organi dell’Unione europea non esplicitando il riferimento a tali piani né se in tali piani debba intendersi ricompreso il predetto Allegato.

 

Si segnala che sull'aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche (PIS), allegato al DEF 2015, è in corso la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS). Un aggiornamento del documento allegato al DEF 2015 è stato presentato nel Consiglio dei ministri del 13 novembre 2015.

 

Ai fini della prima individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, nell’ambito del primo DPP di cui si prevede l’adozione entro un anno dalla data di entrata in vigore del nuovo Codice, si prevede una ricognizione di tutti gli interventi già compresi negli strumenti di pianificazione e di programmazione esistenti. Secondo quanto si evince dal grafico, che illustra la road map verso il primo DPP, la ricognizione ovvero la mappatura (a cui fa riferimento il documento e che è in corso presso il MIT) delle opere si dovrebbe articolare in due fasi in cui:

§  si sottopongono a una revisione del progetto (project review) le venticinque opere prioritarie elencate nell’Allegato al DEF 2015 e le opere con obbligazioni giuridicamente vincolanti (OGV) – ossia gli interventi per i quali sia già intervenuta l’approvazione del contratto all’esito della procedura di affidamento della realizzazione delle opera (sulla base della definizione riportata nell’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 200 dello schema di decreto legislativo del nuovo Codice - ricomprese nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS);

§  si sottopongono a una valutazione, finalizzata a selezionare le priorità, le altre opere senza obbligazioni giuridicamente vincolanti del PIS e le nuove opere proposte dagli enti territoriali e dagli altri enti competenti.

In esito alle due tipologie di attività si dovrebbero definire gli interventi che saranno inseriti nel primo DPP.

 

Si osserva che il documento, laddove fa riferimento al PIS, non esplicita se la ricognizione/mappatura debba riguardare gli interventi ricompresi nell’11° Allegato infrastrutture approvato con delibera del CIPE 26/2014 considerato che è questo l’ultimo Allegato che ha perfezionato l’iter istruttorio ai sensi della legge n. 443 del 2001. Tale documento reca una serie di interventi in corso e già oggetto di deliberazione del CIPE in relazione all’approvazione di progetti preliminari e definitivi.

 

Il nuovo Codice provvede all’istituzione di due strumenti di finanziamento delle infrastrutture prioritarie, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in cui confluiscono talune risorse disponibili a legislazione vigente specificamente individuate:

a) il Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture prioritarie e la project review delle opere già finanziate;

b) il Fondo da ripartire per la realizzazione delle infrastrutture prioritarie.

Nell’allegato al DEF 2016, si precisa che, in sede di prima assegnazione delle risorse del Fondo per la realizzazione delle infrastrutture prioritarie, sono conservati gli impegni già assunti e le assegnazioni effettuate con delibera CIPE, fatta salva la possibilità di riprogrammazione e di revoca secondo le modalità e le procedure stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Nella prospettiva della nuova programmazione l’allegato al DEF segnala che sono in corso di predisposizione, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le linee guida standardizzate per la valutazione degli investimenti in opere pubbliche di propria competenza e che, al fine di armonizzare i dati per il monitoraggio degli interventi consultabili sul sito Opencantieri del MIT, si è deciso di integrare i dati del Ministero con le informazioni disponibili presso il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri (DIPE).

Il PNR ricorda che un contributo importante agli investimenti infrastrutturali è previsto anche con riguardo alla realizzazione dei progetti finanziati nell’ambito del Piano per gli Investimenti per l’Europa, cd Piano Juncker, e del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Si segnalano, per l’Italia, ventinove iniziative tra accordi di finanziamento e progetti infrastrutturali per un importo complessivo pari a circa 1,7 miliardi di euro. I progetti in materia di infrastrutture e innovazione sono pari a circa 1,4 miliardi.

Le politiche abitative

L’allegato al DEF 2016, recante le strategie per le infrastrutture di trasporto e la logistica, dedica una specifica sezione alle misure adottate in materia di politiche abitative, nell’ambito degli interventi destinati alle aree urbane, e riguardanti:

§  il rifinanziamento del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione negli anni 2014 e 2015 (ad opera del D.L. 47/2014);

§  l’istituzione del Fondo inquilini morosi incolpevoli, finanziato fino al 2020 dall’articolo 1 del D.L. n. 47/2014;

§  il Programma di recupero e razionalizzazione degli immobili previsto dal D.L. n. 47/2014 e rifinanziato con successive disposizioni;

§  il recupero dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata per incrementare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (attivato con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 30 gennaio 2015).

Per una disamina di tali misure si rinvia al tema web politiche abitative.

 

Nell’ambito degli interventi destinati alle aree urbane, il PNR include, tra le misure adottate nel 2015, quelle riguardanti il Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate (istituito dai commi 431-434 della legge di stabilità 2015) e, tra quelle in avanzamento da adottare entro il 2016, l’attuazione del Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia" (istituito dai commi da 974 a 978 della legge di stabilità per il 2016).

Con il D.P.C.M. 15 ottobre 2015 (recante "Interventi per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate", pubblicato nella G.U. n. 249 del 26 ottobre 2015), sono state definite, in attuazione del comma 431 della legge di stabilità 2015, le modalità e la procedura di presentazione dei progetti, la documentazione da allegare ai progetti, nonché i criteri di selezione dei progetti medesimi.

L’Agenda digitale

Con riferimento all’attuazione dell’Agenda digitale che, come riportato nel Programma nazionale di riforma ha un orizzonte quinquennale (2015-2020) definito, nel marzo 2015, dalla Strategia italiana per la banda ultralarga e dalla Strategia italiana per la crescita digitale, il DEF 2016 dà conto dei principali interventi programmati in tale ambito. Viene definita, a tale proposito, prioritaria l’approvazione del decreto legislativo contenente il nuovo codice dell’amministrazione digitale (in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 124 del 2015). Tra gli interventi già in essere e di cui è prevista l’implementazione è ricordato il decreto legislativo n. 33 del 2016 volto a semplificare le modalità di utilizzo delle infrastrutture fisiche per la realizzazione delle reti a banda ultralarga e a favorire la realizzazione del “catasto delle infrastrutture” individuato quale strumento essenziale per lo sviluppo della banda ultralarga nella citata Strategia.

 

Con riferimento alla strategia italiana per la banda ultra larga si ricorda che nella seduta della Conferenza Stato-regioni dell'11 febbraio 2016 è stato siglato l'Accordo quadro, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281 e della Delibera CIPE 6 agosto 2015, n.65 tra il Governo, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano per lo sviluppo della banda ultra larga sul territorio nazionale verso gli obiettivi EU 2020. L'accordo quadro stabilisce che i 2,2 miliardi previsti dalla delibera 65-2015 del CIPE, che ha approvato il programma operativo del Piano Banda Ultra Larga, saranno utilizzati "secondo una ripartizione territoriale che tiene conto del fabbisogno stimato per gli interventi pubblici nelle aree bianche dei Cluster C e D" e "tenendo conto delle altre risorse disponibili per il finanziamento del piano Banda Ultra in ciascuna Regione". Dei 2,2 miliardi saranno inizialmente ripartiti 1.6 miliardi che si aggiungono a 1,187 miliardi di fondi FESR e FEASR e a 233 milioni di PON imprese e competitività per un totale di circa 3 miliardi. Per rispettare l'equilibrio complessivo (80/20) nella distribuzione delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, già previsto dalla delibera CIPE di agosto, un'ulteriore delibera CIPE assegnerà alle sole regioni del Mezzogiorno 1.184.022.398 euro utilizzabili anche per altre opere infrastrutturali. Infratel spa, società in house del Mise, agirà in qualità di soggetto attuatore degli interventi previsti dall'accordo. Per gli interventi nelle "aree bianche" (a fallimento di mercato) si procederà con un intervento diretto, cioè con la costruzione di una rete che rimarrà pubblica (Stato-Regioni) e che coprirà 7.300 comuni in tutto il territorio nazionale.

 

Quanto agli ulteriori interventi previsti si tratta principalmente di sviluppi di iniziative concernenti le attività previste per l’implementazione dell’Agenda digitale già definiti negli anni precedenti (sviluppo del sistema pubblico per l’identità digitale, proseguimento della migrazione dei dati ai fini della costituzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, prosecuzione delle attività dirette alla diffusione del Fascicolo sanitario elettronico, creazione dell’infrastruttura tecnologica per l’assegnazione del codice unico nazionale dell’assistito – CUNA, ecc.).

Nel settore giudiziario si prevede l’avvio del processo amministrativo digitale e si ricorda che, a dicembre 2015, nelle regioni pilota è stato avviato il processo tributario telematico prevedendo nel corso di due anni l’ estensione dello stesso sull’intero territorio nazionale.

 

Con riferimento al raggiungimento degli obiettivi del piano banda ultralarga (che intende assicurare il raggiungimento degli obiettivi europei in termini di connessioni a banda ultralarga a 100 Mbps prefiggendosi obiettivi ancor più ambiziosi con riferimento alla connessione a 30 Mbps) la relazione della Commissione europea afferma che non appare certo il raggiungimento dell’obiettivo del raggiungimento di collegamenti a 30 Mbps per il 100% della popolazione entro il 2020. Quanto alla situazione italiana in essere non migliorano significativamente al momento le posizioni dell’Italia con riferimento al numero di abbonamenti con velocità di connessione a 30 Mbps o superiore (l’Italia passa dal ventiseiesimo al venticinquesimo posto) mentre, pur registrandosi un aumento delle famiglie per le quali è disponibile una connessione ad alta velocità (dal 36 al 44 per cento), l’Italia resta al ventiseiesimo posto nell’Unione europea.

 

Per ulteriori approfondimenti sull’attuazione dell’Agenda digitale nazionale si rinvia al dossier di monitoraggio sull’attuazione dell’Agenda digitale.

Trasporti

Nell’apposito allegato al DEF dedicato alle strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica, di nuova introduzione quest’anno, sono descritte le strategie concernenti le diverse modalità di trasporto e si sottolinea il cambio di impostazione legato alla nuova disciplina del codice degli appalti ed al collegato superamento della Legge Obiettivo per la definizione degli investimenti infrastrutturali (cfr. la relativa scheda del presente dossier).

Per quanto concerne le politiche per i trasporti, il Programma Nazionale di Riforma 2016 evidenzia come il rilancio degli investimenti infrastrutturali sia collocato dalla recente Analisi Annuale della Crescita, tra le tre priorità per la politica economica dell’UE.

 

L’elemento di maggiore novità delle politiche infrastrutturali consiste nell’importanza che viene data alla garanzia dei livelli minimi di accessibilità anche nelle aree più periferiche, obiettivo che si va ad aggiungere al collegamento con il Mediterraneo e con le reti TEN-T. Per il completamento della rete core entro il 2020 si evidenzia la necessità di uno sforzo specifico per l’efficientamento dei collegamenti ferroviari e stradali e per i collegamenti di ultimo miglio a porti e aeroporti.

Il documento propone, innovando rispetto ai precedenti DEF, di ripartire quindi dall’obiettivo di garantire l’accessibilità ai principali poli del sistema nazionale (aree urbane e metropolitane, poli manifatturieri, centri turistici e culturali) per poi connettersi, tramite questi, ai corridoi europei.

Le criticità, più che nella carenza di infrastrutture, vengono individuate nello squilibrio modale e nella scarsa capacità di intercettare la domanda, sia per problemi di accessibilità ai nodi (porti, aeroporti, interporti, piattaforme logistiche) che per la difficoltà dei collegamenti c.d. di ultimo miglio.

Un secondo obiettivo viene individuato quindi nel riequilibro modale a favore di modalità di trasporto sostenibili, ferroviarie e marittime e la riduzione delle quote modali di mobilità su gomma, che verrà perseguito mediante l'incentivazione di misure ad hoc mirate all'incremento dell'offerta e della qualità dei servizi.

Viene fissato altresì un target di accessibilità consistente in un +30% popolazione servita dall'alta velocità entro il 2030 ed in un massimo 2h per accedere a porti ed aeroporti della rete core.

La politica infrastrutturale avrà poi un terzo obiettivo di rilievo: puntare sulle aree urbane e sulla qualità della vita al fine di migliorare l'accessibilità e la mobilità interna, garantendo contestualmente adeguati collegamenti alle periferie ed alle aree marginali, puntando sui sistemi di trasporto metropolitano.

Trasporto pubblico locale

Nell’allegato al DEF dedicato alle strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica, si evidenzia il forte ritardo accumulato dall’Italia nello sviluppo delle reti di trasporto collettivo, urbane e metropolitane, particolarmente nella dotazione di linee ferroviarie metropolitane, con una media nelle città italiane, di 20,3 km di rete metropolitana per milione di abitanti, rispetto ai 54,3 Km per milione della media dei paesi europei, con punti di distanza particolarmente forti rispetto a città come Parigi (99 km/mln) e Madrid (92 km/mln). Anche per le linee di tram si registrano solo 42,2 km di rete per milione di abitanti in Italia, contro i 130,7 km/mln della media europea.

Anche il parco mezzi risulta più vecchio rispetto alla media dei paesi europei (es. l'età media degli autobus italiani è di 11 anni contro i 7,7 in Europa) elemento che comporta il maggior uso dell'autovettura in Italia (pari al 62% contro il 43% della media europea nelle città con oltre 250.000 abitanti). Il TPL è infatti utilizzato da solo il 22% delle persone, mentre in Europa la media è del 32%.

 

In base alla nuova impostazione strategica evidenziata nell’allegato al DEF 2016, si prevede un forte rilancio del trasporto pubblico locale, con il seguente target per la mobilità sostenibile entro il 2030: ripartizione modale della mobilità urbana pari al 40% di trasporto pubblico, al 10% di mobilità ciclo-pedonale e ad un +20% km di tram/metro per abitante. Le azioni previste sono:

§  Cura del ferro nelle aree urbane;

§  Accessibilità alle aree urbane e metropolitane;

§  Qualità ed efficienza del TPL;

§  Sostenibilità del trasporto urbano;

§  Tecnologie per città intelligenti.

 

Anche la relazione della Commissione europea evidenzia che le carenze sono particolarmente evidenti nel trasporto pubblico locale. La situazione è giudicata critica per i servizi di trasporto locale e regionale - gestiti prevalentemente da società in-house o da imprese pubbliche - che spesso sono inefficienti e di scarsa qualità.

Il programma nazionale di riforma 2015 aveva annunciato una riforma del settore per il 2016.

Secondo il quadro di valutazione dei mercati dei beni di consumo nella valutazione del trasporto urbano, l'Italia è risultata il fanalino di coda dell'UE nel 2015.

 

Il DEF 2015 aveva annunciato la predisposizione di un disegno di legge di riforma del trasporto pubblico locale volto a razionalizzare l’erogazione dei sussidi nel settore ed a garantire che gli affidamenti avvengano con procedure competitive (mentre gli affidamenti in house dovrebbero rappresentare una categoria residuale). Tali disposizioni sono in buona parte contenute nello schema di decreto legislativo avente ad oggetto i servizi pubblici locali approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 20 gennaio 2016. Si annunciava inoltre l’intenzione di affrontare “con spirito di apertura al mercato” il tema del trasporto pubblico non di linea e dei servizi legati alla mobilità innovativa e alla sharing economy e l’approvazione entro la fine del 2015 dei costi-standard nel settore del trasporto pubblico locale (in materia l’art. 1, co. 83, della legge di stabilità 2014, L. n. 147/2013 prevede l’approvazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata).

Trasporto ferroviario

Il DEF 2016 afferma che la strategia di investimenti per la rete ferroviaria costituisce una delle priorità del Governo in materia di trasporti e infrastrutture. A tal fine vengono citati gli investimenti previsti nei contratti di programma relativi alle ferrovie: 9 miliardi € destinati all’aggiornamento del Contratto di Programma con RFI ed altri 8 miliardi che vengono annunciati dal Governo per il 2016.

Per quanto riguarda i citati 9 mld € già stanziati, si tratta dei fondi previsti nello schema di aggiornamento 2015 del Contratto di programma 2012-2016 parte investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana (RFI) S.p.A., su cui il CIPE ha espresso il 23 dicembre 2015 parere favorevole, che prevede la contrattualizzazione di risorse finanziarie aggiuntive, relative alle disposizioni legislative intervenute nel periodo dalla seconda metà del 2014 al 2015, che non sono contrattualizzate nel CdP originario in quanto sottoscritto l’8/8/2014: si tratta principalmente del D.L. n. 133/2014 (c.d. Sblocca Italia, della legge di stabilità 2015, del D.L. n. 185/2015 e della legge di stabilità 2016). Il valore complessivo è di circa 8.971 milioni di euro, di cui 4.469 mln € per la prosecuzione e l’avvio di nuovi dei seguenti lotti costruttivi dei corridoi europei:

§  Linea AV Milano Verona, tratta Brescia Verona, Lotto 2 (1.500 mln€);

§  Linea AV Verona –Padova, sub tratta Verona Vicenza, lotto 1 (1.550 mln€);

§  Nuovo valico del Brennero lotto 3 (869 mln€);

§  Terzo Valico di giovi Lotto 3 (600 mln€).

§  A questi si aggiungono:

§  1.200 mln€ di investimenti in sicurezza per la prosecuzione dei piani di adeguamento agli standard Ue, in particolare per il rischio idrogeologico, sismico, la soppressione di passaggi a livello e le gallerie;

§  485 mln€ per l’upgrading tecnologico e per la regolarità di alcune linee: Torino-Padova, Bologna Padova e Salerno Battipaglia;

§  1.308 mln€ per le linee regionali del TPL (raddoppi, varianti, nuove linee), e 758 mln€ per il TPL nelle aree metropolitane (upgrading tecnologico delle stazioni e dei nodi di Roma, Firenze, Milano, Torino, Bologna);

§  264 mln€ per l’upgrading dei corridoi merci;

§  487 mln€ per altri interventi per la velocizzazione dei corridoi viaggiatori.

 

Si ricorda che gli stanziamenti per il settore ferroviario sono iscritti nel Bilancio dello Stato 2016, nel programma 13.8 dello Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, che reca stanziamenti di competenza pari a 3.623,5 milioni di euro per il solo settore ferroviario. Ulteriori stanziamenti a favore del gruppo Ferrovie dello Stato sono contenuti nello Stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e trasporti (Tab. 10) nell'ambito del Programma 13.5 "Sistemi ferroviari, Sviluppo e sicurezza del trasporto ferroviario" per il quale sono previsti a bilancio per il 2016, un totale di circa 592,952 milioni di euro.

Si ricorda altresì che il CIPE ha espresso parere favorevole con prescrizioni, anche sullo schema di Atto aggiuntivo ricognitivo al Contratto Trenitalia relativo ai servizi sottoposti a regime di obbligo di servizio pubblico di trasporto ferroviario di passeggeri di interesse nazionale a media e lunga percorrenza per il periodo 2009-2014, e annualità 2015.

 

Il Governo afferma che tali risorse saranno destinate a migliorare la sicurezza e le tecnologie di circolazione dei treni, a potenziare il trasporto passeggeri nelle aree metropolitane, regionali e lungo i corridoi europei.

Rimangono prioritari gli obiettivi di sicurezza, qualità ed efficientamento delle infrastrutture assicurando continuità ai programmi manutentivi del patrimonio infrastrutturale esistente, per i quali si prevede la programmazione degli interventi di manutenzione delle infrastrutture esistenti, il miglioramento del livelli di servizio e della sicurezza delle infrastrutture, il potenziamento tecnologico delle infrastrutture e incentivi per lo sviluppo di Sistemi di Trasporto Intelligenti.

 

Nell’ambito dell’obiettivo dell’accessibilità ai nodi e dell’interconnessione tra le reti tra gli interventi in corso indicati nell’allegato al DEF si ricorda che nel Contratto di Programma RFI 2012-2016 sono previsti interventi di potenziamento delle connessioni con i porti su i corridoi TEN-T, con particolare riferimento ai porti di Trieste, Genova, Livorno, La Spezia, Ancona e Taranto, nonché con i terminal intermodali di Milano-smistamento, interporto di Guasticce (LI), Bari Lamasinata, Gronda Merci Sud Milano, scalo merci di Modena Marzaglia, il passante merci nel nodo di Novara, il potenziamento dell'itinerario merci Tarvisio-Villa Opicina con la sistemazione del nodo di Udine.

Nel Contratto di Programma RFI sono inoltre previsti interventi di upgrading per il superamento dei "colli di bottiglia" nelle aree metropolitane (con specifico riferimento ai Nodi di Milano, Venezia, Firenze e Roma), nonché per l'attuazione dei "Piani Stazioni" oltre agli interventi per lo sviluppo delle aree metropolitane.

L’Allegato ricorda anche che l'Accordo di Partenariato sottoscritto dall'Italia con la Commissione Europea prevede, per il Sud Italia, l'istituzione di Aree Logistiche Integrate (ALI), che costituiranno, nelle Regioni meno sviluppate, il modello attraverso cui opereranno i Programmi Operativi FESR 2014-2020 per la programmazione infrastrutturale.

Le linee di azione per il riequilibrio della domanda verso modalità più sostenibili prevedono poi di:

§  incoraggiare la concorrenza sul mercato interno del trasporto ferroviario di passeggeri, garantendo che questo avvenga attraverso procedure trasparenti obbligatorie;

§  incentivare il trasferimento modale dalla gomma al ferro per il trasporto delle merci.

I dati del trasporto ferroviario

Nell’allegato al DEF dedicato alle strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica si evidenzia come, a fronte di un andamento tendenziale che ha visto un progressivo ridimensionamento sia del traffico merci che di quello passeggeri, il trasporto ferroviario abbia mantenuto la propria quota di traffico, e, in particolare nel comparto passeggeri, abbia visto una crescita dei traffici, dovuta in gran parte a servizi di trasporto ad Alta Velocità.

Al 31 dicembre 2013 l'estensione della rete ferroviaria è pari a 16.752 km. la percentuale delle linee elettrificate si pone con il 71% al di sopra della media europea, e, per un 'analoga percentuale, la rete italiana è dotata del Sistema Controllo Marcia Treno (SCMT), tecnologia armonizzata con lo standard europeo di interoperabilità tra le reti ferroviarie ERTMS. La percentuale di linee a doppio binario (45% del totale) è invece al di sotto dei principali Paesi europei.

Elementi di criticità emergono nel trasporto ferroviario delle merci per le caratteristiche qualitative dei moduli di terminal e stazioni che raramente consentono il transito dei treni fino a 700 metri di lunghezza, per le limitazioni al transito dei treni con 22 tonnellate per asse e ai limiti di sagoma che non consentono il trasporto dei container high cube senza l'utilizzo di carri ribassati.

La relazione della Commissione europea evidenzia che l’Italia con riferimento alla qualità della rete ferroviaria si colloca al 16° posto nell’Ue. Le regioni del Sud hanno una percentuale di linee ferroviarie elettrificate pari al 56%, mentre nelle regioni del Nord tale percentuale sale al 75%. Il divario riguarda anche le linee a doppio binario, che nelle regioni meno sviluppate corrispondono al 28% della rete totale, mentre in quelle più sviluppate sono pari al 48%. La differenza tra Nord e Sud continua a sussistere anche per quanto riguarda il Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS).

Secondo il quadro di valutazione dei mercati dei beni di consumo (di prossima pubblicazione), l'Italia si colloca al quart'ultimo posto tra gli Stati membri per quanto riguarda la valutazione dei servizi ferroviari da parte degli utenti (68,5 per l'Italia e 76,2 per l'UE), nonostante un netto miglioramento rispetto al 2013.

Il documento della Commissione europea ricorda anche che l'Autorità di regolazione dei trasporti ha consolidato ulteriormente le sue attività e nel corso del 2015 ha iniziato a svolgere pienamente il suo mandato, emanando importanti provvedimenti, anche in materia di canoni di accesso e utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria. L'assunzione di personale è ancora in corso.

Trasporto aereo

Anche le strategie concernenti il trasporto aereo sono descritte nell’allegato contenente le “Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica”. Gli aeroporti rappresentano, nell’ambito della strategia, i nodi delle rete di trasporto (unitamente ai porti, agli interporti, le piattaforme logistiche) rispetto ai quali si concentrerà l’attività del Governo al fine del conseguimento degli obiettivi di promozione dell’intermodalità e di miglioramento generale dell’accesso dai nodi alle reti di trasporto. La relazione della Commissione europea con riferimento alla qualità delle infrastrutture aeroportuali colloca l’Italia al ventunesimo posto. Per i servizi aerei l’Italia si colloca al diciannovesimo posto. In relazione agli interventi nel settore degli aeroporti il Governo ricorda l’avvenuta approvazione del Piano nazionale degli aeroporti (decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015).

Nell’ambito del piano sono individuati 38 aeroporti di interesse nazionale all’interno di 10 bacini territoriali e, all’interno di questo novero, 12 aeroporti qualificati di importanza strategica che sono stati individuati per ciascun bacino territoriale, con l’eccezione del bacino Centro Nord nel quale ne sono stati individuati due: l’aeroporto di Bologna ed il sistema aeroportuale Pisa/Firenze in base alle caratteristiche morfologiche del territorio e ai dati di traffico. La qualificazione di importanza strategica è stata attribuita considerando in primo luogo l’inserimento nel core network della rete transeuropea dei trasporti TEN-T e nel caso di più aeroporti core presenti nello stesso bacino, privilegiando i gate intercontinentali (che sono nel complesso tre Milano Malpensa, Roma Fiumicino e Venezia). Nel caso di mancanza di aeroporti core nel bacino si è scelto l’aeroporto della rete comprehensive della rete transeuropea con maggiori movimenti di traffico.

Nell’allegato contenente le “Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica” il risultato che si intende conseguire è quello di un miglioramento dell’efficienza nel trasporto aereo nell’ambito della strategia riguardante la valorizzazione del patrimonio esistente. Sono delineate pertanto le direttrici, attuative del Piano nazionale sopra ricordato, su cui fondare le condizioni di uno sviluppo organico del settore con l’obiettivo principale di favorire la specializzazione degli aeroporti e superare la conflittualità fra aeroporti prossimi incentivando la costituzione di sistemi e reti aeroportuali.

Trasporto marittimo

Con riferimento al trasporto marittimo la Relazione della Commissione europea individua le principali criticità riguardanti il sistema portuale sottolineando in particolare la mancanza di collegamenti intermodali con l’entroterra come la principale causa dell’inefficienza del sistema portuale italiano. L’Italia si pone infatti solo al ventesimo posto in relazione alla qualità delle infrastrutture portuali. Nel documento sono inoltre rappresentate criticità nel settore della concorrenza relativamente ai servizi portuali e tecnico nautici oltre a criticità nella governance del sistema.

Il trasporto marittimo è l’unico ambito, nel settore trasporti, per il quale la Commissione europea ha formulato un’apposita raccomandazione (la n. 2) chiedendo l’approvazione del Piano nazionale della portualità e della logistica.

L'articolo 29 del decreto-legge n. 133/2014 (cd. "Sblocca Italia") ha infatti previsto la predisposizione di un piano strategico nazionale della portualità e della logistica, che contempli anche la razionalizzazione, il riassetto e l'accorpamento delle autorità portuali esistenti, da effettuare comunque ai sensi di quanto già previsto dalla legge n. 84/1994 (la quale prevede la soppressione delle autorità portuali in caso di perdita di requisiti specifici in materia di volumi di traffici del porto). Il Piano è stato sottoposto alla Commissione trasporti della Camera dei deputati che ha espresso il proprio parere nella seduta del 5 agosto 2015. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 agosto 2015 è stato approvato il Piano strategico della portualità e della logistica ma come, ricorda la Commissione, la Corte Costituzionale con sentenza 17 novembre-11 dicembre 2015, n. 261 (Gazz. Uff. 16 dicembre 2015, n. 50 – Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata disposizione, nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni.

In relazione al Piano si segnala che il 31 marzo 2016, è stato fornito parere favorevole in sede di Conferenza Stato-regioni sul medesimo con ciò aprendo la strada alla definitiva approvazione ed entrata in vigore del Piano.

In sede attuativa si ricorda che, nella stessa giornata del 31 marzo 2016, la Conferenza Unificata ha espresso parere favorevole sullo schema di decreto legislativo di riforma della legge n. 84 del 1994 che prevede la creazione, al posto delle vecchie autorità portuali, di autorità portuali di sistema in numero minore (15 al posto delle attuali 24) e dispone altresì una modifica significativa sotto il profilo della governance (istituzione del comitato di gestione portuale connotato da un minor numero di componenti rispetto al precedente comitato portuale e del tavolo di partenariato della risorsa mare con funzioni consultive e partecipative) e una semplificazione della procedure.

Ulteriore intervento del quale dà conto l’Allegato riguarda l’approvazione dello schema di decreto legislativo concernente l’istituzione dello Sportello unico dei controlli doganali. Si richiamano infine gli ulteriori interventi posti in essere o proseguiti nel 2015 (implementazione dei fast corridor e sdoganamento in mare) volti a rafforzare la logistica nazionale favorendo l’intermodalità del trasporto.

Infine nell’ambito degli interventi adottati e in corso finalizzati all’obiettivo della valorizzazione del patrimonio esistente, l’allegato ricorda, tra le misure adottate, la disciplina riguardante i dragaggi contenuta nell’articolo 78 della legge 221/2015 (collegato ambientale) e che sono in corso di predisposizione due decreti ministeriali in attuazione dell’articolo 109 del d.lgs. 152/2006, che riguarda l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte, e dell’articolo 5-bis della legge 84/1984 in materia di dragaggio.

Trasporto stradale

Per quanto riguarda gli interventi relativi alla rete stradale nazionale, il PNR ricorda il Piano pluriennale degli investimenti di Anas 2015-2019, che riporta interventi nel quinquennio indicato pari a circa 15 miliardi di euro, di cui 6,3 miliardi di euro per il completamento di itinerari, 7,3 miliardi di euro per la manutenzione straordinaria e 1,4 miliardi per le nuove opere.

Si ricorda che il CIPE ha espresso parere favorevole con la delibera 6 agosto 2015, n. 63, sullo schema di Contratto di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ANAS S.p.A. relativo all'anno 2015, comprensivo del citato Piano pluriennale degli investimenti 2015-2019.

Tra le attività in corso, l’allegato segnala che nell’ultimo aggiornamento del contratto di programma ANAS, rispetto al 2015, è stato previsto un incremento di 1.100 milioni di euro per interventi di manutenzione e messa in sicurezza della rete stradale esistente.

Si ricorda inoltre che nella legge di stabilità 2016 la disciplina del contratto di programma è stata oggetto di modifica da parte dei commi da 868 a 874. In particolare, oltre a disciplinare i contenuti del contratto di programma, nonché le procedure per l'approvazione, il monitoraggio e l'aggiornamento del contratto medesimo, i commi citati prevedono di convogliare (a decorrere dal 1° gennaio 2016) tutte le risorse del bilancio dello Stato destinate ad ANAS S.p.A. in un apposito Fondo dello stato di previsione del MIT e, di qui, nel conto di tesoreria intestato alla medesima società per il pagamento delle obbligazioni relative ai quadri economici delle opere previste nella "parte investimenti" del contratto di programma, sulla base del loro avanzamento (commi 868 e 869).

Il comma 874 prevede l'applicazione di tale nuova disciplina relativa alla confluenza delle risorse in un unico fondo (quindi dei commi 868-869) alle opere già approvate o finanziate, nonché a quelle contenute nel contratto di programma 2015.

In attuazione di tale disposizione è stato istituito, nel bilancio dello Stato, all'interno dello stato di previsione del MIT, il capitolo 7002, in cui sono state convogliate tutte le risorse destinate ad ANAS S.p.A. Le risorse allocate in tale capitolo, come risulta dalla tabella E della legge di stabilità 2016, sono complessivamente pari a circa 10,2 miliardi di euro (poco più di 2 miliardi per ciascuno degli anni del triennio 2016-2018 e circa 4,1 miliardi per gli anni successivi).

3.10 Competitività

In linea con le osservazioni formulate a febbraio 2016 dalla Commissione UE nel Country report relativo all’Italia – osservazioni che si inseriscono nel quadro delle raccomandazioni formulate dalla stessa Commissione nell’ambito del ciclo di monitoraggio specifico degli squilibri macroeconomici del nostro Paese– il Governo dichiara di importanza cruciale, per sostenere la crescita del prodotto, il miglioramento della competitività del Paese e l’accelerazione degli investimenti, la componente della domanda che maggiormente ha subito l’impatto della grande crisi.

L’andamento dell’economia italiana è stato caratterizzato negli ultimi decenni da una dinamica modesta della produttività. Negli intendimenti del Governo, le riforme avviate e in corso di adozione delineate nel cronoprogramma (cfr. appendice A del PNR 2016) sono finalizzate a rilanciare tale dinamica nelle sue diverse componenti: produttività del lavoro, dipendente e autonomo, allineamento dei salari alla produttività, anche attraverso la valorizzazione della contrattazione decentrata; produttività del capitale, attraverso strumenti finalizzati a stimolare gli investimenti, la ricerca e lo sviluppo e le misure tese a facilitare l’accesso al credito; infine produttività totale dei fattori, con un pacchetto di riforme strutturali e liberalizzazioni, e politiche a favore delle start-up (cfr. infra).

Il Governo osserva che le misure già intraprese per stimolare gli investimenti fissi lordi devono essere supportate da riforme che migliorino ulteriormente il ‘clima d’investimento’ dell’Italia, con particolare riferimento alla propensione a investire in capitale di rischio.

Nel Country Report di febbraio 2016 la Commissione UE ha aggiornato l’esame approfondito condotto nell’ambito del monitoraggio degli squilibri macroeconomici a dicembre 2015 (Italia – “Review of progress on policy measures relevant for the correction of macroeconomic imbalances”), richiamando alcuni progressi compiuti dall’Italia nel perseguimento dell’obiettivo di aumentare la produttività e la competitività esterna del Paese, anche attraverso una riduzione del carico fiscale sui fattori produttivi e una rimozione degli ostacoli strutturali agli investimenti. La Commissione UE rileva, in sintesi, la necessità di contrastare il deterioramento della competitività del sistema industriale italiano ascrivibile ad una pluralità di fattori: la debole crescita della produttività, connessa tra l’altro alle caratteristiche del sistema produttivo nazionale, gli elevati oneri e adempimenti a carico delle imprese stesse, e gli effetti della crisi finanziaria, con la forte contrazione che hanno subito i crediti delle banche alle imprese.

Nella sostanza, afferma la Commissione UE, le debolezze strutturali continuano a frenare la capacità dell’Italia di crescere e reagire agli shock economici.

Ostacoli strutturali agli investimenti, produttività e competitività dell’Italia nel Country Report 2016 della Commissione UE

Il Rapporto della Commissione cita l’indicatore “Fare impresa” 2015 della Banca mondiale, per rilevare come in Italia il contesto sia meno favorevole all'attività imprenditoriale che nell'UE nel suo complesso.

 

 

L'Italia ottiene in particolare risultati peggiori rispetto alla media UE nell'accesso ai finanziamenti, nell'imposizione e nell'esecuzione dei contratti. Nonostante i recenti progressi, afferma la Commissione UE, permangono ostacoli agli investimenti, nei seguenti settori:

 

§  per i loro finanziamenti le imprese continuano a essere fortemente dipendenti dalle banche, settore in cui persistono vulnerabilità. Le riforme in corso e in programma sul regime di insolvenza e il nuovo piano di cartolarizzazioni potranno aiutare a ripulire i bilanci delle banche. I mercati dei capitali – afferma il rapporto - restano poco sviluppati, con i limiti soprattutto per le nuove imprese innovative. Per migliorare la capitalizzazione delle imprese e diversificare le fonti di finanziamento, la Commissione ricorda la disciplina dell'aiuto alla crescita economica (ACE) per ridurre la distorsione fiscale a favore del finanziamento del debito, nonché vari altri provvedimenti, quali, in primis, quelli sul Fondo centrale di garanzia per le PMI;

§  il carico fiscale sui fattori produttivi resta elevato. La Commissione richiama i recenti interventi per abbassare la pressione fiscale sul lavoro - perseguiti, in particolare, con le due ultime leggi di stabilità - e le norme, di cui alla legge di stabilità 2016, che prevede una riduzione dell'imposta sul reddito delle società a partire dal 2017 e incentivi fiscali sui nuovi investimenti; tuttavia, la frammentazione e l'incertezza degli incentivi fiscali a favore della R&S agiscono negativamente sugli investimenti privati nell'innovazione. La Commissione richiama il nuovo piano industriale di Cassa Depositi e Prestiti 2016-2020 teso a rilanciare gli investimenti delle imprese, mobilitando risorse (117 miliardi nel periodo di riferimento) da destinare soprattutto al venture capital, all'innovazione, allo sviluppo e all’internazionalizzazione;

§  la pubblica amministrazione mostra inefficienze, l'onere regolamentare resta elevato e il sistema giudiziario rimane lento. A tal proposito, la Commissione richiama la legge delega per la riforma della pubblica amministrazione italiana (legge n. 124/2015), i cui decreti attuativi dovranno essere adottati, per la maggior parte, entro agosto 2016, nonché il disegno di legge di riforma costituzionale (approvato dal Parlamento il 12 aprile 2016 in attesa di essere sottoposto a referendum).

Per ciò che attiene alla produttività, la Commissione evidenzia come essa ristagni dalla metà degli anni '90. In particolare, la produttività totale dei fattori è andata calando in Italia mentre è aumentata o è rimasta stabile negli altri grandi paesi della zona euro. Il divario di crescita della produttività interessa quasi tutti i settori dell'economia, ma nei servizi è più ampio. Inoltre, poiché le piccole imprese tendono ad avere una produttività minore rispetto alle grandi, la produttività aggregata in Italia risente della presenza di un'alta percentuale delle prime. Comunque, secondo la Commissione, l'andamento della produttività - che continua a trascinarsi a causa del ristagno della produttività totale dei fattori - è stato aggravato dalla crisi e risente del fatto che gli investimenti non siano ancora ripartiti dopo il netto calo registrato durante la crisi.

Secondo la Commissione, le riforme fondamentali avviate o programmate per quanto riguarda i mercati del lavoro (Jobs Act), il settore bancario (interessato negli ultimi tempi da numerosi interventi di riforma; in questa sede si ricordano il D.L. n. 3/2015 in tema di banche popolari e il D.L. n.18/2016 sulle banche di credito cooperativo; si rinvia al capitolo dedicato al settore bancario e alle misure finanziarie per la crescita per ulteriori approfondimenti), l'istruzione (Legge n. 107/2015), la pubblica amministrazione (Legge n. 124/2015) e la giustizia (si ricordano alcuni tra i principali recenti interventi, quali quelli del D.L. n. 90/2014 in materia di digitalizzazione della giustizia e costituzione dell’ufficio del processo, il D.L. n. 132/2014 sulla negoziazione assistita, il D.L. n. 83/2015 in materia di accelerazione delle procedure di esecuzione forzata, e l’A.C.3671 in materia riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, inoltre, si ricorda l’approvazione in prima lettura presso la Camera del DDL di delega per la riforma del processo civile e per una sua accelerazione, A.S. 2284) potrebbero contribuire a eliminare le strozzature che rallentano la crescita della produttività.

Negli ultimi decenni l'Italia ha visto diminuire la sua quota del mercato delle esportazioni, anche se l'erosione è cessata nel 2013. Il deterioramento della competitività di costo è stato uno dei principali fattori all'origine della perdita di quote del mercato delle esportazioni. I fattori di competitività non di costo, tra cui la specializzazione dei prodotti, e l'elevata percentuale di piccole imprese con una posizione competitiva debole sui mercati internazionali, continuano a dare un sostegno troppo limitato. La Commissione rileva che le riforme strutturali per favorire l'aumento della produttività contribuirebbero a migliorare la competitività di costo e non di costo. Tra le carenze riscontrate in termini di politiche annovera la mancata adozione di misure volte ad allineare meglio le retribuzioni alla produttività e a promuovere la crescita delle imprese.

 

Nel PNR 2016 vengono in dettaglio descritte le azioni intraprese a sostegno della competitività e della crescita, dando indicazione dell’impatto macroeconomico delle stesse misure nel medio lungo periodo. Nella valutazione dell’impatto sono incluse anche le riforme del Governo, varate o in corso di approvazione[110]

In particolare, il DEF 2016 ascrive alle riforme per la competitività un impatto pari ad un incremento di 0,4 punti percentuali di PIL nel 2020 rispetto allo scenario base e di 0,7 punti nel 2025. Le stime includono gli effetti delle misure per la concorrenza e l’apertura dei mercati (per le quali più diffusamente si rinvia al relativo paragrafo) contenute nel Disegno di legge annuale sulla concorrenza A.S. 2085, concernenti il settore assicurativo e i fondi pensione (articoli 2, 4, 10,11,13,16), le comunicazioni (articolo 18,22 e 24) e il settore energetico (articolo 28 e 33). Le stime includono altresì la Legge Delega per la riorganizzazione della P.A. (legge n. 124/2015, articoli 14 e 15) e le misure per le imprese del D.L. n. 91/2014 cd. competitività, (Capo III, credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi (articolo18), ampliamento di operatività dell'aiuto alla crescita economica (ACE) (articolo 19), misure a favore delle emissioni di obbligazioni societarie (articolo 21), interventi finalizzati alla riduzione delle bollette elettriche (articolo 23), e in materia di esenzione da corrispettivi e oneri del sistema elettrico (articolo 24), di riduzione dei costi del sistema elettrico per le isole minori non interconnesse (articolo 28), di gare d’ambito per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale (articolo 30-bis). Si tratta dunque di misure in corso di adozione, quali quelle relative al DDL concorrenza, e di misure (quali quelle del D.L. n. 91/2014) già richiamate nel cronoprogramma delle riforme contenuto nel DEF 2015 (cfr. Appendice B del PNR).

Il cronoprogramma delle riforme contenuto nel DEF 2016 prevede comunque l’adozione di nuove policy a sostegno della competitività e della tenuta dei sistema produttivo italiano sul mercato internazionale, annunciando, entro il 2016, l’adozione di un Piano per il rilancio del manifatturiero (cd. Piano manifattura Italia). Si tratta – afferma il DEF - di un pacchetto di provvedimenti per favorire la digitalizzazione delle imprese italiane, che include il rafforzamento del quadro normativo dedicato alla R&S, il sostegno all’integrazione e al consolidamento delle filiere industriali italiane, strumenti fiscali che favoriscono le fusioni e incorporazioni tra imprese e l’alta formazione.

Inoltre, l’Esecutivo intende perseguire la sua strategia di rafforzamento delle forme ‘aggregative’ delle imprese italiane. Le reti d’impresa rappresentano una modalità organizzativa che può aiutare a conseguire un vantaggio competitivo, consentendo di sopperire ai limiti connessi con le ridotte dimensioni del tessuto produttivo nazionale.

Viene richiamato in proposito l’intervento contenuto nella legge di stabilità 2016 per agevolare la costituzione di reti d’impresa e le unioni in associazione temporanea di imprese (Ati) o in raggruppamento temporaneo di imprese (Rti) che possono beneficiare dei fondi messi a disposizione dal MISE (articolo 1, comma 641).

Secondo i dati contenuti nel PNR, a marzo 2016 risultano stipulati 2699 contratti di rete, che coinvolgono 13.518 imprese. I numeri – si afferma - confermano il trend di forte crescita dei mesi scorsi.

È intenzione del Governo estendere le misure di agevolazione per le imprese in contratti di rete; introdurre incentivi per specifiche tipologie di reti (green e internazionali); e adottare strumenti di supporto ai ‘soggetti catalizzatori’, anche con semplificazioni normative. Il cronoprogramma prevede l’adozione di questo pacchetto entro il 2016.

Posto poi che la competitività delle imprese italiane è oggi insidiata dalla concorrenza sleale d’imprese illegali sul piano internazionale, il Governo annuncia l’adozione di un Piano Nazionale anti contraffazione, a tutela delle imprese che proteggono con marchi, brevetti e disegni i propri asset intangibili.

Tali misure, negli intendimenti del Governo, dovrebbero affiancare strumenti già attivati, quali il Piano Straordinario per il Made in Italy (articolo 30 del D.L. n. 133/2014 e legge di stabilità 2015, articolo 1, comma 202) di sostegno all’export e all’attrazione degli investimenti esteri, operativo per il periodo 2015-2017, implementato con ulteriori risorse nella legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 370).

 

Complementare al pacchetto di riforme strutturali per la competitività è il pacchetto di riforme di finanzia per la crescita per migliorare la propensione all’investimento delle imprese private, alle quali il PNR ascrive effetti pari a 0,2 punti percentuali di PIL nel 2020.

Il Governo osserva che la rigidità del credito rappresenta uno dei principali ostacoli nel cammino della ripresa e una forte limitazione al rilancio degli investimenti e dell’occupazione, anche per la peculiarità della struttura produttiva del Paese, caratterizzata da un ampio tessuto di piccole e medie imprese. Si è dunque inteso introdurre nuovi strumenti a disposizione delle imprese con il fine di favorire l’accesso al credito, promuovere gli investimenti produttivi e l’innovazione, incoraggiare la capitalizzazione e la quotazione in borsa e il panorama delle fonti di finanziamento alternative a quelle tradizionali: mini-bond, creditfunds, equity crowdfunding. Si tratta di interventi di carattere finanziario nonché di misure di carattere fiscale, per un’analisi delle quali si rinvia all’apposito paragrafo del presente dossier “Settore bancario e misure finanziarie per la crescita”.

Relativamente alle misure per l’innovazione, il Governo ricorda la costituzione della figura giuridica della PMI Innovativa (articolo 4 del D.L. n. 3/2015) con l’estensione di misure già previste a beneficio delle startup innovative a una platea di imprese più ampia: le PMI innovative, vale a dire tutte le PMI che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione, dalla formulazione dell’oggetto sociale e dal livello di maturazione (si rinvia al documento del MISE di febbraio 2016). Come funzionale all’obiettivo di finanziamento di progetti di impresa innovativi è richiamato il regolamento Consob in materia di equity crowdfunding.

Per ciò che concerne la disciplina sulle startup innovative (articolo 29 del D.L. n. 83/2012) è stato adottato il decreto del MEF (D.M. 25 febbraio 2016) che estende al 2016 le agevolazioni fiscali per chi investe in tali imprese, innalzando la soglia d’investimenti ammissibili a 15 milioni per ciascuna startup nell’intero periodo di permanenza dell’impresa nella sezione speciale del Registro delle imprese.

Il Governo inoltre ricorda l’entrata in operatività del credito d’imposta sulle spese in ricerca e sviluppo (art.3 del D.L. n. 145/2014, come modificato dalla legge di stabilità 2015, art.1, commi 37 e ss. e relativo D.M. attuativo 27 maggio 2015).

Sono poi richiamate le misure in materia di valorizzazione dei brevetti e delle altre opere dell’ingegno (cd. Patent box) sulle quali si rinvia al paragrafo “Settore bancario e misure finanziarie per la crescita”.

Il Governo annuncia un nuovo pacchetto di misureFinanza per la Crescita 2.0”: una serie di interventi volti a favorire gli investimenti in capitale di rischio da parte sia di investitori retail, sia istituzionali, nonché volte a facilitare le procedure per la quotazione azionaria delle piccole e medie imprese.

Il cronoprogramma delle riforme (Allegato A del PNR) indica, entro il 2016, il rafforzamento delle misure agevolative per le startup innovative e PMI innovative.

 

Relativamente agli incentivi agli investimenti produttivi, il Governo, come già fatto nel DEF 2015, richiama – oltre al già citato credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi, operativo fino al giugno 2015 (articolo18 del D.L. n. 91/2014) – gli interventi di revisione della cd. “Nuova Sabatini” (già introdotta dall’articolo 2 del D.L. n. 69/2013, e art. 1, comma 243 della legge di stabilità 2015), strumento già citato nel DEF 2015 e valutato positivamente dalla Commissione UE nel Country Report del precedente anno.

Le modifiche apportate a tale strumento di sostegno (articolo 8 del D.L. n. 3/2015) sono recentemente divenute operative (D.M. 25 gennaio 2016) e prevedono che i contributi statali a favore delle PMI che acquistano in beni strumentali possano essere concessi anche a fronte di finanziamenti erogati dalle banche e dalle società di leasing, a valere su una provvista diversa dall’apposito plafond (5 miliardi) della Cassa Depositi e Prestiti.

Il DEF 2016 fornisce alcuni dati circa l’operatività della cd. “Nuova Sabatini”, che a febbraio 2016 ha registrato 9.547 domande, con la prenotazione di 2,88 miliardi di finanziamenti CDP e di circa 223 milioni di contributi Mise. Le domande agevolate deliberate ammontano a 2,5 miliardi e i contributi Mise concessi sono pari a 196,6 milioni.

 

Sono poi richiamate le misure contenute nella legge di stabilità 2016 in materia di “superammortamenti”, sulle quali si rinvia paragrafo “Settore bancario e misure finanziarie per la crescita”.

Per quanto riguarda gli interventi in materia garanzie a sostegno degli investimenti delle imprese, il Governo evidenzia – sulla scorta di quanto rilevato dalla Commissione UE nel Country Report di febbraio 2016 - che il Fondo centrale di Garanzia per le PMI ha svolto un ruolo rilevante, prevedendone un rafforzamento con interventi correttivi, migliorativi . Il PNR richiama in proposito gli interventi già adottati nel D.L. n. 3/2015 (articolo 8-comma 2-bis e 8-bis) e con la legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 886) che è intervenuta per ampliare le garanzie che possono essere concesse a valere su di esso, destinando almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna.

 

Il DEF 2016 riporta che le richieste di accesso al Fondo sono cresciute nel 2015 del 17% rispetto al 2014.

 

Il PNR include nel quadro delle riforme strutturali finalizzate all’implementazione del sistema di garanzie agli investimenti, il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), fulcro del Piano Junker di investimenti per l'Europa, strumento di garanzia che estende l’operatività della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) (Regolamento UE 2015/2017).

Nell’ambito della ‘Finestra PMI’ del Feis sono state approvate complessivamente 21 operazioni per 318 milioni, a beneficio di oltre 44.000 imprese, mobilitando un totale di oltre 7 miliardi di investimenti. L’intervento si concretizza in accordi di finanziamento, stipulati tra il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) della BEI e le banche, che erogheranno nuovi prestiti alle PMI.

 

La Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, commi 822-830) ha attribuito a Cassa Depositi e Prestiti (CDP) la qualifica di istituto nazionale di promozione nell’ambito dei progetti per il Piano Juncker.

Il PNR rileva in proposito che a marzo 2016 il Fondo europeo per gli investimenti (Fei) e il Fondo centrale di Garanzia per le PMI hanno firmato un accordo, che usufruisce del sostegno del Feis. Si tratta di un contratto di controgaranzia che consente in sostanza al Fondo di Garanzia PMI di sostenere finanziamenti per oltre 1 miliardo a favore di 20mila PMI italiane nel corso dei prossimi dodici mesi. Con l’obiettivo di incentivare la crescita delle start-up innovative si introdotta una procedura semplificata di accesso al Fondo di Garanzia.

 

Sempre nell’ambito del sistema delle garanzie, il PNR cita il Protocollo d’intesa - siglato a dicembre 2015 da MEF, Cassa Depositi e Prestiti (CdP), Sace e Abi - grazie al quale le PMI beneficeranno di 1 miliardo che sarà concesso dalle banche a condizioni vantaggiose per finanziare investimenti in innovazione e internazionalizzazione, in presenza della garanzia CDP-SACE e della controgaranzia del piano Juncker.

 

Si ricorda, infine, che sono all’esame della VI Commissione finanze della Camera, le proposte di legge (abbinate) A.C. 3209, già approvata in prima lettura al Senato (A.S. 1259) e A.C. 1730, che contengono una delega al Governo per la riforma del sistema dei confidi al fine di favorire l'accesso al credito per le PMI e per i liberi professionisti, nonché l'A.C. 1121, che contiene norme per il rafforzamento e la patrimonializzazione dei confidi. Il cronoprogramma delle riforma contenuto nel PNR dà poi indicazione della tempistica di attuazione delle riforme in corso e di quelle, nuove, di cui annuncia la presentazione.


 

3.11 Le politiche per la concorrenza e l’apertura dei mercati

Un significativo filone di interventi volti all’obiettivo dello stimolo della competitività del sistema imprenditoriale è rappresentato, nel DEF 2016, dalle politiche per la concorrenza.

L’Unione Europea ha sottolineato l’importanza (Raccomandazione n. 6) di adottare misure finalizzate a favorire la concorrenza in tutti i settori contemplati dal diritto della concorrenza e intervenire in modo deciso sulla rimozione degli ostacoli che ancora permangono.

Già nel DEF 2015 il Governo sottolineava l’esigenza di dare nuovo impulso all’attuazione delle norme in materia di liberalizzazione delle attività economiche, indicando in particolare lo strumento della legge annuale sulla concorrenza quale strumento per porre in atto un’attività periodica di rimozione dei tanti ostacoli e freni, normativi e non, che restano nei mercati dei prodotti e dei servizi. Nel corso del 2015 il disegno di legge annuale per la concorrenza per il 2015 è stato approvato dalla Camera dei Deputati (A.C. 3012) ed è attualmente all’esame del Senato (A.S. 2085. Nel cronoprogramma il Governo fissava alla fine del 2015 l’implementazione delle predette misure.

La Commissione UE, nel Documento sugli squilibri macroeconomici di febbraio 2016, riconosce che lo strumento della legge annuale sulla concorrenza costituisce un significativo punto di partenza per mettere in moto un meccanismo positivo nell’ambito del quale gli ostacoli regolamentari alla concorrenza vengono periodicamente esaminati e rimossi. Evidenzia però che il disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente all’esame del Senato, avrebbe potuto esser più ambizioso per quanto riguarda la liberalizzazione di alcune professioni quali quelle di notaio, avvocato e farmacista. Inoltre il disegno di legge non copre molti settori rilevanti, che sono ancora eccessivamente protetti o regolamentati, tra cui, l'allocazione delle frequenze dello spettro radio, il settore sanitario, le centrali idroelettriche, i trasporti pubblici locali e i taxi, i porti e gli aeroporti.

Con riguardo al settore del commercio al dettaglio la Commissione evidenzia che il settore mostra segni di inefficienza. Più in particolare i grandi punti vendita al dettaglio sono ancora soggetti a regole speciali, in particolare per le nuove aperture; gli operatori storici godono di un'eccessiva protezione rispetto ai nuovi arrivati; vengono ancora applicate restrizioni molto rigide a promozioni, sconti e vendite sottocosto. Come previsto, il ricarico (mark-up) del settore del commercio al dettaglio è superiore a quello delle altre principali economie europee.

Con riguardo al contesto imprenditoriale segnala che le misure di apertura del mercato devono essere sostenute da un contesto più favorevole alle imprese. Infatti il paese resta caratterizzato da un sistema frammentato e stratificato di leggi e regolamenti che emanano da diversi livelli di governo. Un'ampia revisione della legislazione, prevista dall'articolo 1, D.L. n. 1/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 27/2012, in materia di liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese, non è mai stata attuata.

Con riguardo al disegno di legge annuale sulla concorrenza il Governo segnala che il provvedimento, approvato dalla Camera dei Deputati con numerose modifiche, verrà approvato entro giugno 2016. I settori interessati sono: assicurazioni, telecomunicazioni, servizi postali, energia, banche, servizi professionali (notai, avvocati, ingegneri), farmacie e trasporti.

 

Disegno di legge annuale sulla concorrenza 2015-Testo approvato il 7 ottobre 2015 dall'Assemblea della Camera

Assicurazioni e fondi pensione

Si interviene in primo luogo sulla disciplina dell'obbligo a contrarre (in materia di RC Auto). Sono previsti obblighi informativi degli intermediari e sconti obbligatori. Misure relative all'assegnazione delle classi di merito. Sono introdotte norme volte a contrastare la prassi dei cd. testimoni di comodo. Si affida all'IVASS il compito di procedere ad una verifica trimestrale sui sinistri inseriti nell'apposita banca dati dalle imprese di assicurazione. Si introducono norme in materia di risarcimento del danno non patrimoniale e si attribuisce valore probatorio delle cosiddette «scatole nere» e di altri dispositivi elettronici. Per contrastare le frodi assicurative sono estesi i casi nei quali le imprese di assicurazione possono rifiutare il risarcimento, denunciando la frode. Si inseriscono disposizioni per rendere trasparenti le procedure di risarcimento e per allineare la durata delle assicurazioni a copertura dei rischi accessori alla durata dell'assicurazione a copertura del rischio principale. Sono previste disposizioni per l’ultrattività della copertura per responsabilità civile derivante da attività professionale e, infine, vengono previsti nuovi poteri dell'IVASS per l'applicazione delle norme introdotte.

Con riguardo ai Fondi pensione si inseriscono alcune modifiche alla disciplina delle forme pensionistiche complementari, con riguardo ai profili del diritto all'anticipo della prestazione nel caso di cessazione dell'attività lavorativa.

 

Comunicazioni

Si eliminano una serie di vincoli per il cambio di fornitore di servizi di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche e si istituisce il Registro dei soggetti che usano indirettamente risorse nazionali di numerazione, si semplificano le procedure di migrazione dei clienti tra operatori di telefonia mobile; si inseriscono misure per favorire i pagamenti digitali) sono previste disposizioni per l’aggiornamento del registro delle opposizioni, e, infine sono previste disposizioni relative alla tariffazione delle chiamate verso numerazioni non geografiche.

Distribuzione cinematografica

Si attribuisce all'Autorità garante della concorrenza e del mercato il potere di adottare i provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi di fenomeni distorsivi della concorrenza.

 

Servizi postali

Si sopprime, a decorrere dal 10 giugno 2017, l'attribuzione in esclusiva alla società Poste italiane S.p.A. (quale fornitore del Servizio universale postale) dei servizi inerenti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari nonché dei servizi inerenti le notificazioni delle violazioni del codice della strada.

 

Energia

Si elimina, a partire dal 2018, il regime di "maggior tutela" che opera transitoriamente nei settori del gas e dell'energia elettrica. Si introduce una procedura finalizzata alla confrontabilità delle offerte di fornitura di energia elettrica e gas, anche con riferimento ai gruppi di acquisto, si inserisce una procedura di monitoraggio relativa alla realizzazione delle condizioni per la piena liberalizzazione dei mercati di vendita al dettaglio, nell’attesa della riforma viene prorogata la vigenza del bonus elettrico e gas per i clienti economicamente svantaggiati e per quelli che versano in gravi condizioni di salute, sono inserite misure per la trasparenza del mercato dell'energia elettrica e del gas e per aumentare concorrenza e per favorire la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti per autotrazione.

 

Ambiente

Nel corso dell'esame parlamentare, è stata inserita una norma che riguarda l'accesso da parte dei produttori al mercato di gestione autonoma degli imballaggi. Al fine di favorire l'accesso a tale mercato, viene sospeso l'obbligo di corrispondere il contributo ambientale a seguito del riconoscimento del progetto e fino al provvedimento definitivo che accerti il funzionamento o il mancato funzionamento del sistema, e ne dia comunicazione al Consorzio.

 

Servizi bancari

Si pone a carico degli istituti bancari e delle società di carte di credito l'obbligo di assicurare che l'accesso ai propri servizi di assistenza ai clienti, anche tramite chiamate da telefono mobile, avvenga a costi telefonici non superiori rispetto alla tariffazione ordinaria urbana. Si inseriscono strumenti per favorire il confronto tra servizi bancari. Si estende a tutte le polizze assicurative connesse o accessorie all'erogazione di mutui ovvero di credito al consumo l'obbligo, in capo all'intermediario o alla banca che eroga il credito, di presentare al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi, non riconducibili alle banche, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari stessi.

 

Servizi professionali

Sono state introdotte disposizioni relative alle società tra avvocati; in relazione alla professione notarile si modificano le disposizioni in materia di attività notarile, inoltre si consente al notaio di ampliare il proprio bacino di utenza territoriale. Si prevede che il registro delle successioni venga tenuto dal Consiglio nazionale del notariato. Si modifica la disciplina della società a responsabilità limitata semplificata, al fine di consentirne la costituzione anche mediante scrittura privata. Si prevede la sottoscrizione con modalità digitali, attraverso modelli standard tipizzati, dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata e la costituzione sulle stesse di diritti parziali. Si estende alle società di ingegneria, costituite in forma di società di capitali o cooperative, la disciplina generale per l’esercizio della professione in forma societaria. Infine è previsto che i professionisti siano obbligati a comunicare per iscritto o in forma digitale il grado di complessità dell’incarico, gli oneri ipotizzabili dal conferimento dello stesso alla sua conclusione, gli estremi della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale.

 

Sanità

Si consente l'ingresso di società di capitali nella titolarità dell'esercizio della farmacia privata e si rimuove il limite delle 4 licenze, attualmente previsto, in capo ad una stessa società. Infine si interviene nella disciplina degli orari e turni delle farmacie convenzionate con il SSN.

 

Servizi turistico ricettivi

È stata introdotta la nullità delle clausole contrattuali che vietano alle imprese ricettive di offrire prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli praticati da piattaforme di distribuzione telematiche.

 

Trasporti

Si prevede l'obbligo per i concessionari ed i gestori di servizi di linea di trasporto passeggeri su gomma o rotaia e di trasporto marittimo di informare i fruitori del servizio, entro la conclusione del medesimo, delle modalità per accedere alla carta dei servizi consentendo loro di prendere cognizione delle ipotesi che danno titolo a fruire di rimborsi e indennizzi. Si prevede inoltre che i velocipedi rientrino nelle tipologie di veicoli che possono effettuare servizi pubblici non di linea di noleggio con conducente.

 

Il Governo intende proseguire il percorso avviato con la prima legge annuale per la concorrenza rendendola uno strumento d'intervento regolare per migliorare il funzionamenti dei mercati. La seconda legge annuale sulla concorrenza sarà varata nel 2016 dopo la segnalazione da parte dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il provvedimento, attualmente allo studio, potrebbe intervenire sul settore delle comunicazioni, sanità, trasporti e servizi pubblici locali, in raccordo con la riforma della Pubblica Amministrazione.

3.12 La politica di coesione

Nell'ambito del potenziamento degli sforzi intesi al miglioramento della gestione dei fondi dell'UE, la Raccomandazione 2 segnala espressamente la necessità di assicurare la piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale

La necessità del rafforzamento della capacità amministrativa nella gestione dei fondi europei – soprattutto alla luce delle difficoltà e dei ritardi che hanno caratterizzato l’attuazione delle politiche di coesione nel precedente ciclo di programmazione 2007-2013, ha portato alla definizione di un nuovo quadro di governance istituzionale per le politiche di coesione, delineata dall’articolo 10 del D.L. n. 101/2013, che ha affidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri[111] e alla nuova Agenzia per la coesione territoriale, sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio, l'azione di programmazione, coordinamento, sorveglianza e sostegno della politica di coesione.

La piena operatività dell’Agenzia per la coesione territoriale, con l’istituzione di tutti gli organi previsti e la compiuta definizione dell’assetto organizzativo[112], fornisce pertanto risposta alla raccomandazione specifica formulata dal Consiglio UE all’Italia nel luglio 2015.

Tra i compiti assegnati all’Agenzia figura anche il monitoraggio sistematico e continuo dei programmi operativi e degli interventi della politica di coesione, attraverso specifiche attività di valutazione e verifica, ferme restando le funzioni di controllo e di monitoraggio attribuite alla Ragioneria generale dello Stato.

L’agenzia, inoltre, svolge azioni di sostegno e di assistenza tecnica alle amministrazioni che gestiscono programmi europei o nazionali, sia con riferimento alla formazione del personale delle amministrazioni interessate, che con l'intervento di qualificati soggetti pubblici di settore per l'accelerazione dei programmi medesimi; promuove, il miglioramento della qualità, della tempestività, dell'efficacia e della trasparenza delle attività di programmazione e attuazione degli interventi; può assumere le funzioni dirette di autorità di gestione per la conduzione di specifici progetti a carattere sperimentale nonché in presenza dell'attribuzione di compiti di accelerazione dei programmi ovvero di poteri sostitutivi.

Sotto questo profilo, l’Agenzia per la coesione territoriale rappresenta un elemento cardine per il miglioramento della gestione, finora carente, dei fondi dell'UE da parte dell'Italia, dovuta in gran parte a inefficienze di programmazione e gestione.

Nel suo primo anno di attività - ricorda il DEF - l’Agenzia per la coesione territoriale ha operato in accompagnamento alle Amministrazioni centrali e regionali impegnate nell’attuazione della programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, individuando misure di accelerazione della spesa ed intensificando l’attività delle task force istituite a supporto dei programmi delle Regioni Calabria, Campania, Sicilia e del MIT, in maggior ritardo d’attuazione.

 

Tale attività ha trovato riscontro nelle ultime fasi di attuazione dei programmi operativi attuativi della programmazione 2007-2013, ormai giunta a conclusione, che ha consentito la pressoché piena utilizzazione delle risorse programmate.

Secondo i dati presenti nel sistema di monitoraggio dei pagamenti gestito dalla Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale rapporti con l’Unione europea – IGRUE, il livello dei pagamenti complessivi, rendicontati al 31 dicembre 2015, ha raggiunto i 43,4 miliardi complessivi - rispetto alla dotazione finanziaria complessiva del settennio pari a 45,8 miliardi, dopo le ultime riprogrammazioni in favore del Piano di azione e coesione - corrispondenti a circa il 93% delle risorse programmate.

Tale risultato – sottolinea il DEF - evidenzia una forte accelerazione dell’attuazione, favorita dall’azione di sistema condotta in questi mesi dalle Amministrazioni centrali e regionali con il supporto dell’Agenzia per la coesione territoriale, in particolare per i Programmi che erano maggiormente in ritardo.

 

Stato di attuazione dei Fondi strutturali 2007-2013

Il ciclo di programmazione dei fondi strutturali dell’Unione europea per gli anni 2007-2013 è stato caratterizzato da significativi ritardi nell’utilizzo delle risorse, con il rischio di perderne le disponibilità per effetto del meccanismo del disimpegno automatico, qualora le risorse non siano spese entro la fine del 2015. Secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, al 31 dicembre 2015 i pagamenti hanno raggiunto l'importo di 43,4 miliardi complessivi, corrispondenti a circa il 93% delle risorse programmate (ridimensionate a 45,8 miliardi di euro - rispetto ai 60 miliardi inizialmente considerati dal QSN - a seguito degli aggiornamenti del Piano di Azione Coesione, cfr. ultra). Pertanto, le risorse che risultano non rendicontate al 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano a circa 3,3 miliardi di euro, la maggior parte delle quali nell'area della “Convergenza” (circa 3 miliardi).

I programmi dell’Obiettivo Convergenza, in particolare, che erano quelli che presentavano i maggiori ritardi nell’utilizzo delle risorse, hanno raggiunto una percentuale di pagamenti del 90,4%, per un totale di circa 28 miliardi di pagamenti su un totale di circa 31 miliardi di risorse programmate.

 

Tabella 50 - Programmazione 2007/2013 - Obiettivi - Attuazione al 31 dicembre 2015

 

Secondo i dati forniti dalla Ragioneria, i programmi che presentano maggiori ritardi di spesa sono: i POR Sicilia (con una spesa pari al 71% degli stanziamenti, del FESR e dell’83,5% degli stanziamenti del FSE), i POR Basilicata (spesa pari al 91%), e i POR Campania (92,6%). Tra i Programmi nazionali, il PON Istruzione ha raggiunto una pari all’82,4% delle risorse programmate, il PON Sicurezza per lo Sviluppo (83,4%), il PON Reti e mobilità (87,9%) e il PON Ricerca e competitività (con una spesa pari all’87,7%).

Nel complesso - come rilevato dal DEF nell’Allegato V “Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate” - per la quasi totalità dei programmi dei fondi strutturali FESR e FSE la quota del 90% in termini di pagamenti sulle risorse assegnate è stata ampiamente superata e gli impegni già registrati nel monitoraggio risultano superiori alle risorse assegnate; ciò consentirà pertanto di conseguire il pieno assorbimento delle risorse.

Si ricorda al riguardo che i progetti non conclusi alla data del 31 dicembre 2015 potranno comunque essere completati attraverso l’utilizzo delle risorse di cofinanziamento nazionale destinate all’attuazione dei programmi di azione e coesione complementari alla programmazione 2014-2020 (art. 1, comma 804, legge n. 208/2015 di stabilità per il 2016).

L’ultima fase del ciclo di programmazione 2007-2013 si concluderà il 31 marzo 2017, termine ultima per la definitiva certificazione delle spese, come previsto dai regolamenti comunitari[113].

Con riferimento alla spesa complessiva certificata all’Unione Europea, sul sito “Opencoesione” si riporta che al 31 dicembre 2015 essa è pari a 37,1 miliardi di euro (con un incremento di circa 1,3 miliardi rispetto alla precedente rilevazione del 31 ottobre 2015), pari all’81% della dotazione effettiva dei Programmi alla medesima data.

Tale dato è inferiore rispetto a quello dei dati di monitoraggio dei pagamenti alla stessa data - che registrano come sopra detto un ammontare dei pagamenti rendicontabili al 31 dicembre 2015 pari al 93% della dotazione effettiva dei programmi - a conferma del fatto che nella fase di chiusura della Programmazione 2007-2013 le Amministrazioni titolari di programmi operativi si sono maggiormente concentrate sull’esecuzione di pagamenti rimborsabili sul bilancio europeo del settennio 2007-2013 (in base alle regole di esecuzione del bilancio vigenti) - che potranno poi successivamente trasformarsi in certificazioni e richieste di rimborso secondo le regole previste per la chiusura dei programmi 2007-2013 - piuttosto che sulle certificazioni.

 

Si ricorda che per superare i ritardi nell'utilizzo delle risorse dei fondi strutturali europei stanziati per il periodo 2007-2013, a novembre 2011 è stato approvato il Piano di Azione Coesione, con l'obiettivo di accelerare l'attuazione dei programmi di spesa e, al contempo, di rafforzare l'efficacia degli interventi.

Il Piano, attuato attraverso la rimodulazione strategica delle risorse dei singoli programmi operativi – in particolare di quelli maggiormente in ritardo, le cui risorse sono state in parte rimodulate in favore di quelli maggiormente performanti - e la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, ha consentito il trasferimento delle relative risorse nazionali al di fuori dei programmi operativi stessi, evitando il disimpegno delle risorse comunitarie non utilizzate nell'ambito dei Programmi Operativi attuativi dei Fondi strutturali.

 

Il Piano di Azione coesione

La riprogrammazione delle risorse dei Fondi strutturali 2007-2013 realizzata mediante lo strumento del Piano di Azione Coesione (PAC), articolato in cinque fasi di programmazione, ha raggiunto l’ammontare complessivo di oltre 13,5 miliardi di euro, cui concorrono risorse nazionali derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi per circa 11,6 miliardi di euro e risorse riprogrammate attraverso rimodulazione interna ai medesimi Programmi, per circa 2 miliardi di euro.

La revisione delle scelte di investimento ha riguardato una serie di ambiti ritenuti di prioritario interesse strategico nazionale, quali istruzione, infrastrutture ferroviarie, Agenda Digitale, occupazione, con particolare attenzione ai giovani, inclusione sociale e contrasto alla povertà, potenziamento dei servizi di cura ad anziani e bambini, competitività del sistema produttivo, digitalizzazione del sistema giudiziario.

Va segnalato che la legge di stabilità 2015 (articolo 1, commi 121-122, legge n. 190/2014) ha utilizzato 3,5 miliardi delle risorse destinate agli interventi del Piano di azione coesione (nella misura di 1 miliardo per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e di 500 milioni per l'anno 2018) a copertura degli oneri connessi agli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato decorrenti dal 1° gennaio 2015, utilizzando a tal fine risorse del PAC che dal sistema di monitoraggio del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze risultavano non ancora impegnate alla data del 1° gennaio 2015.

Le risorse complessive destinate al PAC si sono pertanto ridotte a 8,1 miliardi.

Si segnala, peraltro, che anche la legge di stabilità per il 2016, ai commi 109 e 110, prevede l’utilizzo delle risorse del Piano di Azione Coesione, non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati - sulla base di una ricognizione da effettuarsi entro il 31 marzo 2016 - a copertura degli oneri connessi alla estensione del beneficio dell’esonero contributivo alle assunzioni a tempo indeterminato dell'anno 2017 per i datori di lavoro privati operanti nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

Lo stato di attuazione delle linee di intervento programmate attraverso il Piano di Azione Coesione - monitorato dal Sistema Informatico della Ragioneria Generale dello Stato, sulla base delle informazioni periodicamente inviate dalle Amministrazioni titolari degli interventi - evidenzia al 31 ottobre 2015, secondo le informazioni fornite dalla Ragioneria, impegni per circa 6,5 miliardi (pari all’80% delle risorse programmate) e pagamenti per 1,6 miliardi, pari al 19,2% delle risorse.

 

In relazione alla programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali e di investimento europei (SIE), nel corso del 2015 tutti i programmi operativi sono stati adottati dalla Commissione europea e sono in fase di avvio.

L’Agenzia, in particolare, è titolare di due Programmi Operativi: il PON Governance e Capacità istituzionale, volto al sostegno alla riforma della PA e il rafforzamento della capacità amministrativa negli ambiti tematici di intervento dei fondi, e il PON Città Metropolitane, volto a garantire il supporto all’attuazione della ‘Legge Delrio’ (legge n. 56/2014) e allo sviluppo dei territori delle 14 Città Metropolitane.

 

La programmazione dei Fondi 2014-2020

Nel 2014 si è concluso il negoziato con la Commissione europea per la definizione dell'Accordo di partenariato 2014-2020 (approvato con Decisione di esecuzione C(2014) 8021 final), che reca l'impianto strategico e la selezione degli obiettivi tematici su cui si concentrano gli interventi finanziati dai Fondi di investimento europei (SIE), relativi sia alla politica di coesione perseguita specificamente dai fondi strutturali (FESR e FSE), sia all’agricoltura e alla pesca (FEASR e FEAMP), nell’ambito di un quadro strategico comune.

Nell’Accordo sono state introdotte misure per ovviare alle carenze amministrative, in particolare è espressamente previsto che tutti i programmi operativi cofinanziati dall'UE debbano essere accompagnati da piani per il potenziamento amministrativo[114], volti a garantire che le amministrazioni dispongano del livello basilare di strutture e competenze necessario per gestire le risorse loro affidate. Essi comprendono misure per rafforzare l'amministrazione pubblica nel suo complesso in settori cruciali per una gestione corretta ed efficace dei fondi dell'UE quali gli appalti pubblici, gli aiuti di Stato e la prevenzione della corruzione.

Le risorse dei Fondi UE relative al ciclo di programmazione 2014-2020 sono ripartite tra 11 obiettivi tematici, individuati dall’articolo 9 del Regolamento UE n. 1303/2013. Escludendo le risorse del FEASR e del FEAMP (circa 11 miliardi complessivi), le risorse comunitarie assegnate all’Italia a titolo dei due Fondi strutturali per la politica di coesione del FSE e del FESR ammontano a oltre 32 miliardi, cui si aggiungono le risorse destinate all’occupazione giovanile (YEI) e al Fondo indigenti (FEAD), per circa 1,2 miliardi. A tali risorse comunitarie si affiancano oltre 24 miliardi di cofinanziamento nazionale, cui si aggiungono ulteriori 4,3 miliardi di cofinanziamento regionale.

Complessivamente – sottolinea il DEF nell’Allegato V “Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate” - tra risorse finanziarie comunitarie e di cofinanziamento nazionale, l’Accordo di partenariato dispone di circa 73 miliardi di euro, di cui circa 51 miliardi per programmi operativi propri della coesione ( FESR e FSE).

 

Una prima tranche di POR relativi al Fondo sociale europeo è stata approvata nel periodo 12-17 dicembre 2014 ed ha interessato i programmi FSE delle regioni Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto, nonché il programma operativo delle Provincia autonoma di Trento. Il 17 dicembre 2014 sono stati altresì approvati il PON “Scuola”, il PON “Inclusione sociale” e il PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione”.

Il 12 febbraio 2015 la Commissione europea ha adottato 11 Programmi operativi relativi al FESR delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio e delle due provincie autonome di Trento e di Bolzano, nonché il PON "Cultura e Sviluppo". Il 23 febbraio è stato quindi adottato il PON “Governance e capacità istituzionale”.

Il 23 giugno 2015 è stato approvato il PON “Imprese e competitività”.

Il 6 luglio 2015 è stato approvato il Programma operativo FSE della provincia autonoma di Bolzano; il 14 luglio 2015 sono stati approvati tre POR (Sardegna, Friuli Venezia-Giulia e Molise, quest’ultimo plurifondo) e due PON (“Città metropolitane” e “Ricerca e Innovazione”), mentre il 20 luglio 2015 la Commissione ha approvato il POR FSE della Campania. Il 29 luglio 2015 la Commissione europea ha adottato il PON “Infrastrutture e reti”. Nel mese di agosto sono stati adottati il POR plurifondo (FESR e FSE) della Puglia e i POR FESR dell’Abruzzo, della Basilicata, della Sicilia e del Veneto.

Il 21 ottobre 2015 sono stati adottati il PON “Legalità” e il POR plurifondo (FESR­ e FSE) della Calabria.

Da ultimo, il 3 dicembre 2015 è stato adottato il POR FESR della Campania.

 

Oggetto di programmazione, si ricorda, dovranno essere anche i nuovi Programmi complementari d’azione e coesione 2014-2020, che interessano in particolare i territori delle regioni meno sviluppate del Mezzogiorno e che, per oltre 7 miliardi di euro impegnano il Fondo di rotazione IGRUE per la parte non finalizzata al cofinanziamento dei programmi operativi comunitari. Le predette risorse potranno essere utilizzate anche per completare progetti della programmazione comunitaria 2007-2013 ai sensi della già citata disposizione della legge di stabilità per il 2016.

 

Nell’impostazione strategica della politica di coesione 2014-2020, il PNR sottolinea, infine, la rilevanza della Strategia nazionale per le aree interne del Paese, definite come quelle aree più lontane dai servizi di base, che interessano oltre il 60% del territorio nazionale ed il 7,6% della popolazione italiana[115]. La Strategia - sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali (circa 280 milioni messi a disposizione dalle ultime tre leggi di stabilità per il 2104, 2015 e 2016) - rappresenta una azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza tali aree.

I criteri generali per l'individuazione delle aree interne interessate sono definiti con l'Accordo di partenariato[116]. Il processo di selezione delle aree interne su cui concentrare gli interventi nel periodo di programmazione 2014-2020 è avvenuto attraverso una procedura di istruttoria pubblica, svolta da tutte le Amministrazioni centrali raccolte nel Comitato Nazionale Aree Interne e dalla Regione (o Provincia autonoma) interessata.

Nel 2015 sono state individuate 65 aree progetto in tutto il Paese, comprendenti 981 Comuni, con una superficie complessiva pari al 16 per cento del territorio nazionale e una popolazione residente al censimento 2011 di circa 1,9 milioni di abitanti. Le aree selezionate sono quelle in cui si è registrata una maggiore perdita di popolazione (4,6 per cento tra il 2000 e il 2011) e che presentano più seri problemi strutturali di accessibilità, in linea con quanto previsto dall’Accordo di Partenariato. Nell’ambito delle 65 aree progetto sono state individuate da parte delle amministrazioni regionali le aree pilota su cui è in corso il lavoro di definizione della Strategia, propedeutica alla stipula, da parte di tutte le parti interessate, dell’Accordo di partenariato quale strumento attuativo.

 

Per quanto riguarda, infine, la programmazione delle politiche di coesione nazionali, si ricorda che nel Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) - disciplinato dal D.Lgs. n. 88 del 2011 che ha così ridenominato il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) - sono iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici.

 

Nel bilancio di previsione per il triennio 2016-2018 (legge n. 209/2015 e relativo D.M. Economia di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli), a seguito delle disposizioni da ultimo recate dalla legge di stabilità per il 2016, il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell’economia - su cui sono iscritte le risorse del FSC - presenta una dotazione complessiva pari a 2.833 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni per il 2017 e di 3.118 milioni per il 2018, di cui la gran parte destinate agli interventi rientranti nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020. Ulteriori 29,1 miliardi di euro sono iscritti con riferimento agli anni 2019 e successivi[117].

Le risorse sono destinate a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto dell’80 per cento nelle regioni del Mezzogiorno e del 20 per cento nelle aree del Centro-Nord.

 

La parte delle politiche di coesione finanziate da risorse interamente nazionali – ricorda il DEF - rimane quella forse più rilevante per gli interventi di natura infrastrutturale con esiti di lungo periodo di grande rilievo prospettico, soprattutto nel Mezzogiorno. Il DEF elenca in particolare, i Contratti istituzionali di sviluppo (CIS) per le grandi direttrici ferroviarie del Sud (Bari-Napoli-Lecce-Taranto; Salerno-Reggio Calabria e dorsale ionica; Messina-Catania-Palermo) e dell’itinerario stradale Sassari-Olbia, definiti a valere primariamente, sebbene non solo, su risorse del FSC2007-2013 e del PAC 2007-2013 per un totale di investimento intorno ai 3 miliardi di euro.

A seguito delle nuove previsioni normative sulle modalità di programmazione del FSC, ridefinite dall’art. 1 comma 703, della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190/2014), l’utilizzo delle risorse del FSC 2014-2020 si è realizzato attraverso la cd. programmazione stralcio (cfr. sezione II.2 Fondo sviluppo e coesione 2014-2020), nell’attesa di una piena definizione della programmazione operativa collegata al ciclo comunitario 2014-2020. In ogni caso – sottolinea il DEF - sia con delibere del CIPE sia con interventi normativi sono stati finalizzati a interventi in vari settori e territori risorse del FSC 2014-2020 per circa 9 miliardi di euro (come illustrato nel riquadro che segue).

 

La programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione

L’impostazione del nuovo quadro di governance istituzionale per le politiche di coesione, ha determinato la ridefinizione, con la legge di stabilità 2015 delle procedure di programmazione e gestione delle risorse nazionali assegnate al Fondo per lo sviluppo e la coesione per il ciclo 2014-2020, riservando alla Presidenza del Consiglio (c.d. “Autorità politica per la coesione”) il compito di indicare le linee strategiche per l'impiego del Fondo, da realizzare in forma integrata con le risorse europee per lo sviluppo regionale.

In particolare, l’impiego delle risorse del FSC 2014-2020 dovrà essere attuato per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali in linea con la programmazione dei Fondi strutturali e di Investimento europei; l’incarico di definire specifici piani operativi per ciascuna area tematica nazionale è assegnato ad una nuova Cabina di regia, istituita con D.P.C.M. 25 febbraio 2016, composta da rappresentanti delle amministrazioni centrali e regionali.

La ripartizione della dotazione finanziaria del FSC tra le aree tematiche nazionali è effettuata con apposita delibera CIPE; nelle more della delibera di ripartizione, è prevista la definizione e l’approvazione da parte del CIPE, su proposta dall'Autorità politica per la coesione, di un piano stralcio per la realizzazione di interventi di immediato avvio dei lavori.

In tale contesto normativo- secondo quanto illustrato nel DEF nell’Allegato V “Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate” - il CIPE ha approvato diverse assegnazioni riconducibili a tale Piano stralcio, quali: 65,4 mln di euro ad interventi nei SIN di Piombino e di Trieste (rispettivamente 50 e 15,4 mln di euro); 450 milioni di euro per la realizzazione di interventi finalizzati a prevenire il rischio idrogeologico in aree metropolitane e urbane con un alto livello di popolazione esposta al rischio; oltre 100 milioni di euro sono stati assegnati al Ministero dell'Ambiente per finanziare la progettazione di interventi nello stesso ambito; 250 milioni di euro per il rifinanziamento dei contratti di sviluppo che favoriscono la realizzazione di investimenti di rilevanti dimensioni, proposti da imprese italiane ed estere nel settore industriale, turistico e della tutela ambientale; 2,2 miliardi di euro per la realizzazione del piano della Banda ultra larga, oltre 1,3 miliardi di euro a titolo di assegnazione programmatica per la medesima finalità; 38,69 milioni di euro per l’Area di Taranto.

Alle delibere del CIPE, si aggiungono le disposizioni normative che, nel corso del 2014, hanno inciso sull’ammontare complessivo delle risorse del FSC 2014/2020, per assicurare la copertura di misure per il riavvio della realizzazione di grandi opere infrastrutturali e per il rilancio della crescita, anche attraverso il sostegno, con il credito di imposta, degli investimenti in beni strumentali delle aziende; ovvero a favore di specifiche finalità, come il finanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (per 600 milioni di euro).

La legge di stabilità 2016 (legge n. n. 208/2015) ha previsto la finalizzazione di oltre 1,4 miliardi di euro per il credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno, 30 milioni di euro per contingenti esigenze di prevenzione e di controllo dei territori e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e 300 milioni di euro per l’emergenza ILVA di Taranto.

 

Al netto delle diverse deduzioni di legge e delle assegnazioni derivanti da delibere del CIPE, nonché delle risorse che il Governo intende destinare al Masterplan per il Mezzogiorno (pari a circa 13,4 miliardi di euro) - secondo quanto affermato dal DEF nell’Allegato V “Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate” - residua ad oggi una disponibilità sul FSC 2014-2020 di circa 17 miliardi di euro.

 

Un ruolo rilevante del FSC 2014-2020 è previsto per il cd. Masterplan per il Mezzogiorno, iniziativa lanciata dal Governo nell’estate 2015 che prevede la predisposizione di specifici Piani strategici e operativi per le 8 Regioni e le 7 Città Metropolitane del Mezzogiorno.

Il Masterplan, può contare - illustra il DEF - tra Fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, fondi di cofinanziamento regionale, Fondo Sviluppo e Coesione, su circa 95 miliardi di euro, da utilizzare attraverso un coordinamento stretto tra amministrazioni centrali e territoriali e un monitoraggio costante per migliorarne l’utilizzo. In particolare – si legge nel DEF - al Masterplan per il Mezzogiorno il Governo intende destinare circa 13,4 miliardi di euro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione della programmazione 2014-2020, finalizzati ai Patti per il Sud.

Il Masterplan costituisce il quadro di riferimento entro cui si collocheranno le scelte operative in corso di definizione nel confronto Governo-Regioni-Città Metropolitane sui Patti per il Sud.

Si tratta di 16 Patti per il Sud, uno per ognuna delle 8 Regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 7 Città Metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina), finalizzati a definire per ognuna di esse gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli e gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità.

3.13 Lavoro

Riguardo al settore del lavoro, il Documento ricorda che nel mese di settembre dello scorso anno sono stati emanati gli ultimi decreti legislativi previsti dalle discipline di delega in materia di lavoro (di cui alla L. 10 dicembre 2014, n. 183), decreti che, secondo il Documento, costituiscono "una riforma del lavoro di ampia portata e il cui impatto positivo è già evidente nei dati sull’occupazione a tempo indeterminato".

In particolare, in merito ai dati sull'occupazione, il Documento osserva che il tasso di occupazione per i soggetti compresi tra i 20 ed i 64 anni di età, nel 2015, è risultato pari al 60,5%, un valore di 0,6 punti percentuali superiore rispetto al tasso del 2014, ma inferiore di 2,4 punti rispetto al livello del 2008, "anno d'inizio della crisi", e notevolmente inferiore rispetto ai livelli del 67-69%, fissati dall'Unione europea come obiettivo per il 2020 per l'Italia. Il Documento osserva che, nel 2015, restano particolarmente bassi i valori dei tassi di occupazione (sempre con riferimento ai soggetti compresi tra i 20 ed i 64 anni di età) concernenti: le donne (50,6%); le regioni del Mezzogiorno (46,1%); le donne in queste ultime regioni (33,4%).

 

Riguardo agli interventi normativi, si ricorda che i decreti legislativi summenzionati sono i seguenti:

§  il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22, concernente una revisione della disciplina generale dei trattamenti di disoccupazione;

§  il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante la definizione di una disciplina, per i nuovi contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, di tutele crescenti dal licenziamento in relazione all’anzianità di servizio;

§  il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, concernente la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità delle lavoratrici ed a sostenere le cure parentali e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori;

§  il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante la revisione della disciplina delle tipologie dei contratti di lavoro e di quella in materia di attribuzione di mansioni e di variazioni delle stesse;

§  il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante la revisione della disciplina degli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro (cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, fondi di solidarietà bilaterali e contratti di solidarietà di tipo difensivo - la disciplina di questi ultimi confluisce, in base al medesimo decreto legislativo, nell'àmbito del trattamento straordinario di integrazione salariale e dei fondi suddetti -);

§  il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 149, recante l'istituzione di un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, denominata Ispettorato nazionale del lavoro, che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'INAIL, assorbendone (a regime) le relative attività;

§  il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150, recante riordino della disciplina in materia di servizi per l'impiego e di politiche attive per il lavoro. Il decreto, tra l'altro, istituisce l'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL); ad essa spettano, in via di sintesi, funzioni di coordinamento, a livello nazionale, dei servizi pubblici per l'impiego e delle politiche di attivazione dei disoccupati, di accreditamento dei servizi per l'impiego privati, di gestione diretta di alcuni programmi, di assistenza e consulenza nella gestione di alcune crisi aziendali, di determinazione delle modalità operative e dell'ammontare dell'assegno individuale di ricollocazione. Quest'ultimo istituto è introdotto dal medesimo decreto legislativo; l'assegno può essere "speso" dal soggetto (disoccupato e beneficiario di trattamento di disoccupazione) presso un centro per l'impiego o un soggetto accreditato, al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro. Il decreto istituisce, inoltre, il patto di servizio personalizzato tra il lavoratore disoccupato ed il centro per l'impiego, patto obbligatorio ai fini del mantenimento del trattamento di disoccupazione e che - osserva il Documento in esame - è inteso alla "costruzione di percorsi personalizzati e utili all’acquisizione delle competenze necessarie ad una effettiva collocazione e ricollocazione" nel mercato del lavoro;

§  il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, concernente la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti (relativi al rapporto di lavoro) a carico dei cittadini e delle imprese, nonché altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.

 

Questo percorso di riforma - prosegue il Documento - si completerà nell'anno in corso "con la piena operatività" delle Agenzie istituite dai decreti legislativi, l'ANPAL e l'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro (cfr. supra).

Il Documento ricorda altresì che è stato presentato alle Camere, nello scorso mese di febbraio, il disegno di legge governativo A.S. n. 2233, articolato in due parti, intese, rispettivamente, a porre un compiuto sistema di diritti e di tutele per i rapporti di lavoro autonomo e per il lavoro agile. Quest'ultimo è definito dal disegno di legge come una "modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato", in cui la prestazione è contraddistinta da: a) esecuzione della stessa in parte all’interno di locali aziendali ed in parte all’esterno ed entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla disciplina legislativa e dalla contrattazione collettiva; b) possibilità di impiego di strumenti tecnologici (per lo svolgimento dell’attività lavorativa); c) assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all’esterno dei locali aziendali.

Con riguardo all'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, il Documento segnala che "col nuovo anno ha preso avvio la seconda fase del programma" Garanzia per i Giovani (Youth Guarantee)[118], la quale "include una nuova misura, il superbonus per la trasformazione dei tirocini, previsto per i datori di lavoro che assumono con un contratto a tempo indeterminato un giovane tra i 16 e i 29 anni che abbia svolto, o stia svolgendo, un tirocinio extracurricolare nell’ambito della Garanzia Giovani"; la misura di tale beneficio - prevista da un minimo di 3.000 ad un massimo di 12.000 euro, erogati in dodici quote mensili di pari importo - può risultare più elevata rispetto alla misura ordinaria massima dello sgravio contributivo per un contratto a tempo indeterminato stipulato nel 2016 - pari, come prevede l'art. 1, comma 178, della legge di stabilità per il 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208), ad un totale di 6.500 euro, riconosciuti nell'arco di 24 mesi -.

Con riferimento alla contrattazione collettiva, il Documento, in primo luogo, ricorda:

§  il recente decreto ministeriale (del 25 marzo 2016) che ha attuato le norme della citata legge di stabilità per il 2016 concernenti il regime tributario sostitutivo (con aliquota IRPEF pari al 10%) per le seguenti due tipologie di emolumenti, se previsti dai contratti collettivi di lavoro, territoriali o aziendali (stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, limitatamente a quelli aziendali, stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria): i premi di risultato di ammontare variabile e le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell'impresa;

§  le norme dell'art. 1, comma 190, della medesima legge di stabilità per il 2016 che hanno modificato le nozioni di alcuni valori, somme e servizi percepiti o goduti dal lavoratore dipendente ed esclusi dall'imposizione IRPEF (cosiddetto welfare aziendale).

Il Documento afferma, inoltre, che "nel 2016 il Governo si concentrerà su una riforma della contrattazione aziendale con l'obiettivo di rendere esigibili ed efficaci i contratti aziendali e di garantire la pace sindacale in costanza di contratto", sulla base di un criterio di prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali "in materie legate all'organizzazione del lavoro e della produzione".

 

In merito, si ricorda che il D.Lgs. n. 81 del 2015 - che, come detto, ha operato una revisione della normativa delle tipologie dei contratti di lavoro e di quella in materia di attribuzione di mansioni e di variazioni delle stesse - ha, per molti profili degli istituti ivi disciplinati, riservato le determinazioni ai contratti collettivi, nazionali, territoriali o aziendali o consentito ulteriori o diverse determinazioni da parte di tali contratti (stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, limitatamente a quelli aziendali, stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria). In precedenza, l'art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, ha previsto che i contratti collettivi territoriali o aziendali (stipulati da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali aziendali) possano contenere specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati (a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle suddette rappresentanze sindacali) anche per le eventuali deroghe - in materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione - rispetto alle discipline legislative ed ai contratti nazionali (fermo restando il rispetto delle norme costituzionali, delle normative europee e di quelle poste dalle convenzioni internazionali). Secondo un certo indirizzo interpretativo, tale possibile portata della contrattazione di prossimità, di cui al citato art. 8 del D.L. n. 138, sarebbe circoscritta, per le materie oggetto del D.Lgs. n. 81, alle norme specifiche dello stesso che fanno riferimento (come detto) ai contratti collettivi.

 

Riguardo al settore pensionistico, il Documento afferma che il Governo valuterà "la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi".

3.14 Settore bancario e misure finanziarie per la crescita

Settore bancario

Con riferimento al settore bancario, la Raccomandazione n. 4 della Commissione UE ha sollecitato il Governo a introdurre misure vincolanti, entro la fine del 2015, per risolvere le debolezze nel governo societario delle banche, con particolare riguardo al ruolo delle fondazioni, nonché ad adottare provvedimenti per accelerare la riduzione generalizzata dei crediti deteriorati.

Anche nella Relazione della Commissione relativa all’Italia del 26 febbraio 2016, la Commissione sottolinea come i problemi insorti nel settore bancario italiano a seguito della crisi siano stati aggravati da problemi strutturali di lunga data tra cui la frammentazione settoriale, la scarsa efficienza in termini di costi e le carenze in materia di governo societario. La UE ha tuttavia osservato che il sostegno pubblico fornito al settore bancario durante la crisi è stato molto limitato rispetto ad altri paesi europei.

 

Il Documento di economia e finanza 2016 – in armonia con quanto asserito dalla Commissione UE nella richiamata Relazione – ricorda che, a fronte di una sostanziale solidità del sistema bancario italiano, persiste presso gli istituti di credito un elevato livello dei crediti in sofferenza. Si avverte dunque la necessità di accrescere la resilienza del settore. Stanti i limitati margini di manovra esistenti all’interno dell’attuale normativa europea sulla risoluzione degli enti creditizi, il Governo dunque afferma la necessità di rafforzare il sistema mediante riduzioni della durata delle procedure concorsuali e dei tempi di recupero dei crediti, nonché col rafforzamento dell’efficienza dei tribunali e la possibilità di accordi stragiudiziali.

 

In risposta alle sollecitazioni UE il Governo ricorda l’implementazione, nel corso di due anni, di un ampio e unitario disegno di riforma del sistema bancario italiano secondo tre principali temi:

§  il rafforzamento del governo societario delle banche;

§  il raggiungimento di un level playing field con gli altri istituti bancari europei;

§  il miglioramento della qualità e dell’efficienza dell’attività bancaria.

 

Le predette direttrici sono state sviluppate, rispettivamente, attraverso:

§  la riforma delle banche popolari, delle fondazioni bancarie e delle banche di credito cooperativo;

§  le disposizioni fiscali che riducono i tempi previsti per la deducibilità delle perdite su crediti da 5 a 1 anno;

§  l’insieme dei provvedimenti per facilitare lo smobilizzo dei crediti in sofferenza, che comprendono anche disposizioni per semplificare e migliorare le procedure concorsuali ed esecutive, nonché accelerare i tempi di recupero dei crediti (miglioramento della qualità ed efficienza dell’attività bancaria).

 

Si rammenta che anche il disegno di legge annuale per la concorrenza 2015, attualmente all’esame del Senato, contiene alcune disposizioni in materia bancaria volte a garantire una maggiore concorrenzialità del settore: le principali norme proposte riguardano i costi di assistenza telefonica per i servizi bancari, la confrontabilità delle spese addebitate per i servizi di pagamento e la trasparenza delle polizze assicurative connesse o accessorie all'erogazione di mutui o di credito al consumo.

 

Con riferimento al governo societario, la Commissione UE nella Relazione di febbraio 2016 rileva che il Governo ha adottato importanti iniziative per affrontare il problema delle carenze nel governo societario delle banche italiane e rendere il settore più forte.

In primo luogo, il decreto-legge n. 18 del 2016 (approvato definitivamente al Senato il 6 aprile 2016) ha recato una complessiva riforma del credito cooperativo. Si prevede, in sintesi, che l'esercizio dell'attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo (BCC) sia consentito solo agli istituti appartenenti ad un gruppo bancario cooperativo; la capogruppo, partecipata dalle BCC in via maggioritaria, svolge un ruolo di indirizzo e di controllo e ha poteri di nomina dei vertici delle società controllate. Le banche partecipanti stipulano con la capogruppo un contratto di coesione.

In merito si ricorda che le norme così introdotte sono destinate ad avere un’applicazione graduale. Viene fissato, in particolare, un termine di 18 mesi - decorrenti dall'entrata in vigore delle norme secondarie di attuazione emanate del Ministro dell'economia e delle finanze e della Banca d’Italia - per l'invio, da parte della potenziale banca capogruppo, alla Banca d'Italia della documentazione prevista dalla legge. Vi è inoltre un termine per la stipula del contratto di coesione, pari a 90 giorni dall'accertamento preventivo della Banca d'Italia dei requisiti previsti dal decreto. Si prevede inoltre una clausola di opting-in, in virtù della quale, entro 90 giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese di un nuovo Gruppo bancario cooperativo, una BCC può chiedere di aderire al gruppo costituito.

 

L’intervento sulle BCC è stato preceduto dalla riforma delle banche popolari, effettuata con il decreto-legge n. 3 del 2015. È stata prevista la trasformazione in S.p.A. delle banche popolari con un attivo, individuale o consolidato, superiore a 8 miliardi, entro il 27 dicembre 2016 (ossia 18 mesi dall’entrata in vigore del regolamento attuativo emanato della Banca d’Italia).

Le disposizioni di rango secondario, emanate nel giugno 2015 dalla Banca d’Italia, definiscono:

§  i criteri di determinazione del valore dell’attivo ai fini del rispetto della soglia massima di 8 miliardi di euro, stabilita dall’articolo 29 del testo unico bancario (TUB) per l’utilizzo del modello di banca popolare;

§  le condizioni di limitazione del rimborso delle azioni del socio uscente, anche in caso di recesso a seguito della trasformazione della banca popolare in società per azioni, necessarie in base alla disciplina europea per la computabilità delle azioni delle banche cooperative nel capitale di migliore qualità (CET1). Queste condizioni si applicano anche alle banche di credito cooperativo.

Esse sono entrate in vigore il giorno stesso dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 72 del 2015, che ha recepito la direttiva 2013/36/UE (CRD IV) sui requisiti di capitale degli istituti bancari, ovvero il 27 giugno 2015. Il cronoprogramma del Governo riferisce la riforma al mese di marzo 2015.

Il DEF rileva che alcune operazioni previste dalla riforma del 2015 sono già state realizzate, tra cui la trasformazione di Ubi Banca, e che è in corso un’ulteriore fusione di altre due importanti banche.

Il Documento di economia e finanza sembra riferirsi alla fusione di Banca Popolare di Milano e Banco Popolare, sulla quale si è espresso il Ministro dell’economia e delle finanze Padoan in una nota del 18 marzo 2016. Il Ministro ha espresso apprezzamento per questa operazione, in considerazione del fatto che da tale fusione “nascerà una banca più grande e più forte, in grado di affrontare il mercato nel quadro delle nuove norme europee di settore e quindi capace di erogare più risorse alle imprese, in una stagione in cui il finanziamento degli investimenti è cruciale per il rilancio dell’economia”. Si tratta della prima operazione di fusione nel segmento delle banche popolari.

 

Per quanto concerne invece le fondazioni bancarie, il processo di riforma è stato operato dalle fondazioni medesime, con il sostegno del MEF in qualità di Autorità di vigilanza. L’autoriforma prevede in particolare regole sulla diversificazione degli investimenti, limiti all’indebitamento e all’uso di derivati, regole di trasparenza e sul governo societario (limiti ai compensi e alla permanenza in carica per i componenti degli organi delle fondazioni, criteri per la composizione degli organi tra cui la diversità di genere e la professionalità, incompatibilità).

La Relazione della Commissione UE ricorda che ad esito dell’autoriforma le fondazioni dovranno ridurre la loro partecipazione nelle banche di riferimento, entro tre anni (nel caso delle banche quotate in Borsa) o entro cinque anni (nel caso delle banche non quotate). Il protocollo contiene inoltre disposizioni volte a rafforzare il governo societario delle fondazioni e a proteggerne la solidità finanziaria. La Commissione rileva inoltre che, a febbraio 2016, tutte le 88 fondazioni - tranne una - hanno firmato il protocollo o si sono già conformate alle sue disposizioni principali. Alla fine del 2015 oltre 30 fondazioni avevano già allineato il proprio statuto alle disposizioni del protocollo o avevano stabilito contatti con il ministero. Le altre dovrebbero garantire la conformità entro aprile 2016. Inoltre, alcune fondazioni hanno già effettuato dismissioni dalle banche di riferimento.

Si rammenta che la legge di stabilità 2016 ha assegnato alle fondazioni bancarie un ruolo specifico nella lotta contro la povertà educativa: esse parteciperanno alla realizzazione di un apposito Fondo per migliorare l’accesso all’istruzione di qualità o a strumenti formativi e di crescita individuale al di fuori della scuola.

 

Per quanto concerne la problematica dei crediti deteriorati, la Commissione Europea nella Relazione di febbraio 2016 ha osservato come, nonostante il recente rallentamento della crescita dello stock di crediti deteriorati delle banche italiane, essi continuano a influire sulla redditività degli istituti e ad assorbirne le risorse.

Circa due terzi dello stock lordo di crediti deteriorati sono detenuti dalle cinque principali banche italiane, con prevalenza nell'Italia meridionale e nelle isole rispetto al resto del paese. La Commissione UE ha inoltre rilevato che il deterioramento della qualità dei prestiti alle imprese è stato il principale fattore all'origine dell'aumento dei crediti deteriorati in Italia, in quanto più dell'80% dei crediti deteriorati riguarda le imprese (in particolare nei settori della costruzione, del commercio all'ingrosso e al dettaglio, delle attività immobiliari).

Il Governo ricorda che fanno parte del pacchetto di misure volte a migliorare l’efficienza del settore bancario le norme, contenute nel citato decreto-legge n. 18 del 2016, che introducono il meccanismo di Garanzia per la Cartolarizzazione delle Sofferenze – GACS presenti nei bilanci bancari; esso prevede la concessione di garanzie dello Stato nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza delle banche e, come precisato durante l’esame del provvedimento in sede parlamentare, anche degli intermediati finanziari.

La garanzia riguarda solo le tranche senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese. Il prezzo della garanzia è di mercato ed è crescente nel tempo. Lo Stato rilascerà la garanzia solo se i titoli avranno preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all’investment grade da un’agenzia di rating indipendente.

Il Governo nel DEF ribadisce che detto intervento non genera oneri per il bilancio dello Stato; si prevede anzi che le commissioni incassate siano superiori ai costi, e che vi sia pertanto un’entrata netta positiva.

Sempre allo scopo di favorire il recupero dei crediti, il decreto-legge introduce un’agevolazione temporanea (fino al 31 dicembre 2016) sui trasferimenti di immobili in esito a procedure esecutive e giudiziarie, con una riduzione delle imposte di registro e ipocatastali alla misura fissa di 200 euro (anziché del 9 per cento per valore di assegnazione), a specifiche condizioni.

Il Ministro dell’economia e delle finanze Padoan, in un’intervista del 13 aprile 2016 riportata sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze, ha chiarito alcuni aspetti relativi alle misure intraprese dagli investitori privati del fondo Atlante. Si tratta di un’operazione che coinvolge il settore privato, con un intervento parallelo alle nuove misure che il Governo intende approvare per accelerare le procedure fallimentari e concorsuali.

Il Ministro ha chiarito che il MEF e il Governo hanno svolto un ruolo da facilitatore in rapporto a tale fondo: esso, gestito da una Sgr privata, sarà finanziato da capitali privati su base esclusivamente volontaria. Il fondo avrà due obiettivi principali: contribuire ad alcune ricapitalizzazioni bancarie, con funzioni di backstop e di rete di protezione di ultima istanza, e avviare un meccanismo di acquisto e gestione dei crediti in sofferenza che, come fanno gli operatori di mercato, utilizzi anche l’effetto-leva ampliando il raggio d’azione rispetto ai capitali versati.

 

Il tema dei crediti deteriorati delle banche è strettamente connesso – come rilevato dalla Commissione UE - con le criticità delle procedure di fallimento e insolvenza previste dall’ordinamento nazionale, anche in termini quantitativi: l'aumento dei crediti deteriorati è coinciso con un aumento del numero di tali procedure. Il regime di insolvenza e i singoli mezzi di ricorso per la riscossione del debito applicati in Italia appaiano ancora deboli.

Il Governo è intervenuto a più riprese per riformare il quadro normativo in materia e definire una regolamentazione in linea con le richieste degli investitori internazionali in materia di insolvenza ed esecuzione forzata.

Con il decreto-legge n. 83 del 2015 è stata introdotta una prima revisione delle procedure concorsuali, in attesa della più ampia riforma della legge fallimentare. Tali interventi intendono ridurre i costi di recupero crediti e migliorare il prezzo potenziale dei crediti deteriorati in caso di cessione. Detto decreto ha anche introdotto disposizioni fiscali relative agli istituti di credito: con una modifica alla disciplina delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di assicurazione, ne viene consentita la deducibilità in un unico esercizio (rispetto ai precedenti 5 anni) ai fini delle imposte dirette; viene bloccata parzialmente l'applicazione delle disposizioni sui Deferred Tax Assets – DTA (che consentono di qualificare come crediti d'imposta le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio). In particolare, si prevede che esse non trovino applicazione per le attività per imposte anticipate, relative al valore dell'avviamento e delle altre attività immateriali, iscritte per la prima volta a partire dai bilanci relativi all'esercizio in corso al 27 giugno 2015.

La Relazione della Commissione UE rileva che la riforma del 2015 dovrebbe contribuire a ridurre il divario dei prezzi dei crediti deteriorati; afferma tuttavia che i suoi effetti devono ancora farsi sentire, mancando ancora un regime di ristrutturazione funzionale per una certa quota di crediti deteriorati.

Nel solco del processo di riforma inaugurato con il decreto-legge n. 83 del 2015, il 10 febbraio 2016 il Governo ha approvato un disegno di legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza (A.C. 3671) con l’obiettivo di affrontare tempestivamente i casi di crisi aziendale al fine di limitare le perdite del tessuto economico, sia nella dimensione strettamente imprenditoriale sia sul piano finanziario, o di risanare l’azienda, con benefici sul piano occupazione e più in generale tutelando il tessuto economico contiguo. Nel disegno di legge di riforma del diritto fallimentare:

§  viene eliminato il concetto di “fallimento” mettendo al centro i concetti di gestione della crisi e dell’insolvenza;

§  vengono semplificate le regole processuali, con lo scopo di ridurre le incertezze interpretative e applicative;

§  vengono inserite norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie (leggi Prodi e Marzano), sono innalzate le soglie per l'accesso alla procedura e si prevede che i commissari vengano scelti da un apposito albo, per contemperare la continuità produttiva e occupazionale delle imprese con la tutela dei creditori.

Con riferimento a queste ulteriori iniziative di riforma, la Commissione ha affermato l’importanza di garantire che tutti i parametri pertinenti, ad esempio la capacità del sistema giudiziario, il ruolo degli operatori della giustizia, le competenze dei portatori di interesse e gli aspetti comportamentali dei debitori e dei creditori, siano presi in considerazione per accelerare la ristrutturazione del debito.

Il DEF dedica una specifica analisi agli effetti macroeconomici dei tre provvedimenti varati dal Governo tra il 2015 e il 2016 per ridurre l’ammontare dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci delle banche e migliorare le procedure di insolvenza (decreti legge n. 83 del 2015 e 18 del 2016, nonché ddl di delega per la riforma delle procedure concorsuali); le misure dovrebbero complessivamente comportare un aumento del prodotto, rispetto allo scenario di base, che raggiungerebbe lo 0,2 per cento nel 2020.

 

Il DEF ricorda anche l’avvenuto recepimento delle direttive europee in materia di crisi e risoluzione degli istituti bancari.

Coi decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 2015 è stata infatti recepita nell’ordinamento la direttiva 2014/59/UE, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (direttiva BRRD - Bank Recovery and Resolution Directive). Essa appronta strumenti nuovi che le autorità possono impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto non solo a seguito del loro manifestarsi, ma anche in via preventiva o ai primi segnali di difficoltà. Si introducono una molteplicità di strumenti, anche preventivi, di intervento immediato e di "risoluzione" a posteriori della crisi. In particolare:

§  il decreto legislativo n. 181 del 2015 introduce nel Testo unico bancario le disposizioni relative ai piani di risanamento, alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, alle misure di intervento precoce; sono inoltre modificate le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa. Le stesse materie sono inserite nel Testo unico in materia di intermediazione finanziaria con riferimento alle società di intermediazione mobiliare (SIM);

§  il decreto legislativo n. 180 del 2015 reca la disciplina in materia di predisposizione di piani di risoluzione, avvio e chiusura delle procedure di risoluzione, adozione delle misure di risoluzione, gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e disciplina del fondo di risoluzione nazionale. Le Autorità preposte all'adozione delle misure di risoluzione delle banche potranno attivare una serie di misure, tra cui il temporaneo trasferimento delle attività e delle passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato, il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli ed il cd. bail-in, ossia la procedura che consente di svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.

Gli Stati membri devono applicare le disposizioni di recepimento a decorrere dal 1° gennaio 2015, ad eccezione delle disposizioni relative ad alcune procedure (c.d. bail-in) che devono essere applicate non più tardi del 1° gennaio 2016.

Si rammenta inoltre che il testo del decreto-legge n. 183 del 2015, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, è confluito nella legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi 842-854 della legge n. 208 del 2015): tali norme, nel quadro delle procedure di risoluzione delle crisi bancarie, hanno inteso consentire una tempestiva ed efficace risoluzione della Cassa di risparmio di Ferrara Spa, della Banca delle Marche Spa, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa e della Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa, tutte in amministrazione straordinaria. In particolare sono dettate misure e procedure specifiche ed eccezionali per la costituzione di quattro enti ponte, in corrispondenza delle summenzionate banche.

La legge di stabilità 2016 ha poi istituito un Fondo di solidarietà in favore degli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, coltivatori diretti o imprenditori agricoli che, alla data del 23 novembre 2015, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle predette banche poste in risoluzione. I provvedimenti attuativi di detto Fondo (uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia) avrebbero dovuto essere emanati entro il 1° aprile 2016, ma non risultano ancora adottati.

La Commissione UE nella Relazione di febbraio ha rilevato che gli interventi di risoluzione delle quattro banche citate ha comportato costi supplementari per il settore bancario, gravanti sulla redditività delle banche. In particolare, il Fondo di risoluzione nazionale è intervenuto nelle procedure di risoluzione dei predetti istituti con l’erogazione di risorse pari a 3,6 miliardi di euro, volte a coprire le restanti perdite subite e ricapitalizzare le banche ponte e la bad bank. In mancanza di fondi versati, il fondo di risoluzione ha contratto prestiti presso le principali banche italiane per finanziare l'operazione. Una parte di questi prestiti è già stata rimborsata grazie al pagamento anticipato dei contributi del settore al fondo di risoluzione per i prossimi tre anni. Pur essendo fiscalmente deducibili, i contributi "straordinari" versati dalle banche italiane rappresentano un ulteriore onere sui risultati finanziari del 2015 — soprattutto per le piccole banche — e significano anche che il fondo di risoluzione sta già attingendo alla sua futura capacità finanziaria.

Il DEF ricorda inoltre il recepimento (con il decreto legislativo n. 30 del 2016) della direttiva in materia di garanzia dei depositanti, in attuazione della direttiva 2014/49/UE. Le norme UE abbreviano a 7 giorni il termine per i rimborsi entro il 2024, aumentano le informazioni fornite ai depositanti e introducono meccanismi di finanziamento dei SGD ex ante, fissati in linea di massima allo 0,8% dei depositi coperti. Si prevede che il finanziamento dei fondi dei sistemi di garanzia venga assicurato dal settore bancario.

L’importo tutelato, ai sensi della direttiva UE e delle norme di recepimento, è pari a 100.000 euro per depositante.

Si rileva che il Documento di economia e finanza afferma che con il recepimento di detta direttiva “il regime di assicurazione dei depositi fino a 120.000 euro è stato maggiormente armonizzato”.

Finanza per la crescita

La Commissione UE, nella più volte citata Relazione, rileva come in Italia i mercati dei capitali continuano ad essere meno sviluppati rispetto ad altre economie avanzate, il che riduce le alternative ai prestiti bancari per le imprese. Le imprese italiane sono infatti ancora in gran parte dipendenti dal canale di finanziamento bancario e gravate da oneri fiscali elevati. In questa sede si rammentano i principali strumenti di natura finanziaria e fiscale a sostegno della crescita; si rinvia al paragrafo specificamente dedicato alla competitività per quanto invece concerne le altre misure, quali i Fondi di Garanzia, gli interventi di Cassa Depositi e Prestiti, i finanziamenti, la cd. “Nuova Sabatini”, i contratti di rete, la tutela del Made in Italy e gli interventi settoriali.

 

Per quanto riguarda gli incentivi ai canali di finanziamento alternativi a quello bancario, il Documento di economia e finanza enumera anzitutto le iniziative comprese nel pacchetto denominato ‘Finanza per la crescita’, tra cui si ricordano, in particolare le seguenti misure di natura finanziaria:

§  i cd. mini bond (strumenti finanziari delle piccole e medie imprese, disciplinati dal decreto-legge n. 83 del 2012) e i project bond (modificati dal decreto-legge n. 133 del 2014);

§  la nuova disciplina delle SIIQ, ovvero le società di investimento immobiliare quotate (decreto-legge n. 133 del 2014);

§   le norme in tema di equity crowdfunding, ossia le disposizioni che consentono la raccolta di capitali mediante portali online (decreto-legge n. 179 del 2012, estese dal decreto-legge n. 3 del 2015 alle PMI innovative. La Consob ha recentemente approvato la riforma del regolamento del 2013 in materia di equity crowdfunding al fine di semplificarne la disciplina, per ridurre i costi di raccolta ed ampliare la platea dei soggetti che possono contribuire a finanziare i progetti d'impresa innovativi - delibera n. 19520 del 24 febbraio 2016);

§  le semplificazioni per la quotazione delle PMI, l’introduzione nel Testo Unico Finanziario della disciplina della maggiorazione del voto, la possibilità per fondi di credito, assicurazioni e società di cartolarizzazione di concedere finanziamenti alle imprese (decreto-legge n. 91 del 2014)

§  l’ACE – aiuto per la crescita economica e le misure che ne hanno esteso l’applicazione (decreti-legge n. 201 del 2011, n. 147 del 2013 e n. 91 del 2014), tutte già operative da tempo.

 

Per quanto riguarda le misure fiscali volte ad alleggerire il carico tributario sulle imprese, il DEF rammenta anzitutto le norme del decreto-legge n. 3 del 2015 che hanno istituito e disciplinato la categoria della PMI Innovativa, alla quale si riconoscono una serie di semplificazioni e agevolazioni già previste per le start-up innovative, in particolare gli incentivi fiscali (in favore sia degli gli investitori che di coloro i quali intrattengono rapporti, anche di lavoro, con l'impresa) e le norme in materia di raccolta di capitale di rischio attraverso portali online (c.d. crowdfunding).

Con riferimento alle start-up innovative, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 26 febbraio 2016 estende al 2016 le agevolazioni fiscali per chi investe in queste imprese, innalzando la soglia d’investimenti ammissibili per ciascuna start-up innovativa. Anche per il 2016 alle persone fisiche è consentito detrarre da IRPEF il 19% dei conferimenti rilevanti effettuati, fino ad un massimo di 500.000 euro. I soggetti passivi IRES possono dedurre un importo pari al 20% della somma investita, per una cifra non superiore a 1,8 milioni. Le percentuali salgono rispettivamente al 25% e al 27% qualora le start up siano a vocazione sociale o sviluppino e commercializzino prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico.

Il Governo rammenta inoltre l’intento di stimolare la competitività mediante l’incentivo alla spesa in ricerca e sviluppo tramite il relativo credito d’imposta (introdotto originariamente dal decreto-legge n. 145 del 2013 e reso pienamente operativo dalla legge di stabilità 2015). L’agevolazione è fruibile da tutte le imprese ed è pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute nel periodo 2015-2019, innalzate al 50 per cento per le spese relative all’impiego di personale qualificato e a contratti di ricerca con università o altri enti equiparati e con start-up innovative.

Al fine di incentivare la valorizzazione dei brevetti e delle altre opere dell’ingegno è stato perfezionato il regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dai beni immateriali (patent box), introdotto dalla legge di stabilità 2015 e modificato dalla legge di stabilità 2016. Esso consiste nell'esclusione dal reddito del 50 per cento dei redditi derivanti dall'utilizzazione di alcune tipologie di beni immateriali (marchi e brevetti) nonché delle plusvalenze derivanti dalla loro cessione, se il 90 per cento del corrispettivo è reinvestito.

Il Governo riferisce che per l’anno di imposta 2015 sono state circa 4.500 le richieste di adesione al nuovo regime del patent box presentate dalle imprese, di cui circa 1.200 solo da imprese della Lombardia. La maggior parte delle domande proviene da aziende con fatturato compreso tra i 5 e i 50 milioni (circa 1.900 domande). Subito dopo si collocano le imprese con fatturato inferiore a 5 milioni (circa 1.400).

Al fine di agevolare gli investimenti, con la legge di stabilità 2016 è stato aumentato del 40 per cento l’ammortamento per l’acquisto di tutti i beni strumentali nuovi da parte di imprese e professionisti. Lo stesso provvedimento ha ridotto da dieci a cinque anni dei tempi di ammortamento fiscale dell’avviamento commerciale.

Il DEF elenca inoltre il complesso delle misure volte a incentivare l’internazionalizzazione delle imprese contenute, in particolare, nel decreto-legge n. 145 del 2013 e nel decreto-legge n. 91 del 2014.

Tra di esse viene citato l’articolo 8 del decreto-legge n. 269 del 2003, come novellato dal decreto-legge n. 145 del 2013 (cd. destinazione Italia) sul tema del ruling di standard internazionale.

In merito si segnala tuttavia che la disciplina del ruling è stata superata dalla nuova normativa sugli accordi tra imprese aventi attività estera ed amministrazione finanziaria, ad opera dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 147 del 2015, provvedimento che attua la delega fiscale (legge n. 23 del 2014) sotto il profilo dell’internazionalizzazione delle imprese. A tal fine, viene sostituita la previgente disciplina con una nuova procedura per la stipula di accordi preventivi con l'amministrazione finanziaria, ricondotta nell'alveo della disciplina generale dell'accertamento, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973.

La legge di stabilità 2016 ha confermato - sebbene con un decalage - le agevolazioni fiscali e finanziarie per il lavoro a tempo indeterminato per il 2016; ciò, oltre a costituire una maggiore tutela per i lavoratori, dovrebbe rappresentare uno stimolo agli investimenti in formazione e alla crescita della produttività. In sintesi il tasso di esenzione è stabilito al 40% per un periodo massimo di 2 anni e un importo massimo di 3.250 euro annui. Per le Regioni del Sud la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato è estesa al 2017.

Si estende la deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP, nel limite del 70 per cento per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno 120 milioni nel periodo d'imposta, a decorrere dal secondo contratto stipulato con lo stesso datore di lavoro nell'arco di due anni a partire dalla cessazione del precedente contratto.

La medesima legge di stabilità ha introdotto inoltre uno specifico incentivo per il Mezzogiorno fino al 2019: alle imprese che acquistano beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni del Sud Italia è attribuito un credito d'imposta - per il quale sono stati stanziati 617 milioni l'anno - nella misura massima del 20 per cento per le piccole imprese, del 15 per cento per le medie imprese e del 10 per cento per le grandi imprese.

 

Il Governo dedica un’apposita analisi macroeconomica alle sopraindicate misure fiscali e finanziarie, stimando un effetto positivo delle stesse: tali misure comporterebbero un aumento del PIL, rispetto allo scenario base, di 0,2 punti nel 2020, 0,4 punti nel 2025 e di un punto percentuale nel lungo periodo.

Si annuncia inoltre l’introduzione un nuovo pacchetto di misure, che il cronoprogramma fissa per il 2016, con le quali si intende sviluppare ulteriormente le direttrici di policy maturate nell’ambito dell’iniziativa ‘Finanza per la crescita’. In particolare, il nuovo pacchetto “Finanza per la Crescita 2.0” conterrà una serie di interventi volti a favorire gli investimenti in capitale di rischio da parte sia di investitori retail, sia istituzionali, nonché volte a facilitare le procedure per la quotazione azionaria delle piccole e medie imprese.

3.15 Ambiente

Nell'ambito dei dati economico finanziari per il quinquennio 2015-2019, in materia di minori entrate, tra le varie politiche che danno origine ai minori introiti per il bilancio dello stato afferenti a diverse aree di intervento, si fa riferimento anche alla materia ‘Energia e ambiente’, per misure di detrazioni fiscali; nell'ambito delle maggiori spese, si specifica che devono altresì essere considerate le risorse della Tabella E inserite nella misura n. 28 dell’area Energia e ambiente relativa a rifinanziamenti per mitigazione del rischio idrogeologico.

In materia di dati economico finanziari per il quinquennio 2015-2019, per il settore energia e ambiente, si riportano di seguito i dati di cui alla Tavola II.4, relativa all'impatto finanziario delle misure del Programma nazionale.

(in milioni di euro)

 

2015

2016

2017

2018

2019

Energia e ambiente*

 

 

 

 

 

Maggiori spese

501

658

238

74

12

Maggiori entrate

0

545

553

0

0

Minori spese

0

0

85

0

0

Minori entrate

0

106

1.103

927

11

* Al netto degli importi inseriti nella Tabella E allegata alla Legge di stabilità per il 2016.

 

Il PNR 2016 richiama ambiente e sostenibilità tra le politiche strutturali in materia di produttività e competitività esterna (par. III.3).

Si ricorda, in primo luogo, in materia di settore idrico, l’entrata in vigore, dal 1° gennaio del 2016, del nuovo quadro di regole approvato dall'Autorità di settore (AEEGSI) per la determinazione delle tariffe (metodo tariffario idrico 2016/2019), in un'ottica di facilitazione degli investimenti nel settore idrico, di sostenibilità delle tariffe, di miglioramento della qualità dei servizi e di razionalizzazione delle gestioni.

Con la delibera 664/2015/R/idr, giunta al termine di una procedura di consultazione dei soggetti interessati, l'Autorità di settore per il secondo periodo regolatorio del sistema idrico integrato (SII), di durata quadriennale, ha adottato il il 'Metodo Tariffario Idrico 2' che, in estrema sintesi, adotta i principi guida della selettività, responsabilizzazione, regolazione asimmetrica, volta a considerare le diverse esigenze di un settore caratterizzato da forte differenziazione a livello locale e nella governance dei soggetti gestori.

Si ricorda che in materia di servizi idrici, il collegato ambientale’[119] alla Legge di Stabilità 2016, ha istituito uno specifico Fondo di garanzia per gli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture idriche in tutto il territorio nazionale. Il Fondo è alimentato con una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato. Il PNR ricorda, inoltre, come il ‘collegato ambientale’contiene anche una serie di disposizioni in materia di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali, gestione dei rifiuti, bonifiche, distretti idrografici e danno ambientale.

In materia di gestione delle acque, si rileva altresì che è attualmente in corso di esame parlamentare il disegno di legge in materia di Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque (A.C. 2212-A), che interviene anche in materia di funzioni di regolazione e controllo dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico nonché in materia finanziamento del Servizio idrico integrato, prevedendo una nuova fonte di finanziamento per il Fondo per interventi nel settore idrico, anche, in particolare, mediante l'utilizzo dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie, previste dalla Parte Terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, cd. Codice dell'Ambiente.

 

Il cronoprogramma in materia di politiche ambientali richiamato nel PNR indica, anche nelle griglie di dettaglio, come in fase di avanzamento - e da concludere entro il 2016 - la normativa di cui al decreto legislativo sulla remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali, di attuazione del collegato ambientale già approvato.

Altresì al 2016 vengono indicate le riforme in materia di: bonifiche e danno ambientale, con interventi volti alla semplificazione delle bonifiche per i soggetti estranei alla contaminazione, e riforma del SIN (siti di interesse nazionale); gestione dei rifiuti, recante interventi sull'autorità di regolamentazione e progressivo passaggio dalla tassa alla tariffa, nonché riforma dei consorzi. Al novembre 2016 viene invece indicato il cronoprogramma della riforma in materia di distretti idrografici.

Tra le riforme di settore già realizzate, oltre all'avvenuta approvazione del collegato ambientale, il Programma nazionale richiama altresì le disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente[120].

 

Il Programma nazionale indica, inoltre, per la competitività e con la finalità di rilanciare gli investimenti verdi anche in un'ottica occupazionale, la previsione di una serie di misure per favorire la transizione verso un’economia più circolare volta a migliorare l'efficienza e la sostenibilità nell’uso delle risorse.

A livello europeo, il pacchetto sull'economia circolare[121] riguarda, in estrema sintesi, le nuove proposte inerenti una gestione dei rifiuti più efficiente e sostenibile, e fa riferimento, inizialmente, alla proposta presentata dalla Commissione europea nel luglio 2014, successivamente ritirata nel febbraio 2015 in vista dell'elaborazione della nuova strategia sull'economia circolare basata sugli esiti della consultazione pubblica realizzata in materia. Gli obiettivi delle proposte riprendono la tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse[122] e del Settimo programma d'azione per l'ambiente[123] che prevedono: la piena attuazione della gerarchia dei rifiuti in tutti gli Stati membri; la diminuzione in termini assoluti e pro capite dei rifiuti prodotti; la garanzia di un riciclaggio di elevata qualità e l'utilizzo di rifiuti riciclati quale fonte importante e affidabile di materie prime per l'Unione.

Il tema dell'economia circolare è stato oggetto di esame parlamentare in Italia, sia nella fase ascendente, con riferimento alle proposte di regolazione europea, sia di una procedura di consultazione pubblica dei soggetti portatori di interesse in materia.

In materia di economia circolare, il Programma rileva poi, coerentemente con la strategia europea, che si prevede la revisione della strategia nazionale di sviluppo sostenibile, l'estensione a tutte le gare di appalto dei criteri ambientali minimi, nonché la predisposizione di un piano d'azione nazionale su consumo e produzioni sostenibili e uno schema nazionale volontario di qualità ambientale.

 

Secondo quanto indicato dal programma, inoltre, è in fase di definizione un provvedimento legislativo (c.d. Green Act), volto al completamento dell’azione per la sostenibilità ambientale, contenente misure finalizzate alla decarbonizzazione dell’economia, all’efficienza nell’utilizzo delle risorse, alla protezione e al ripristino degli ecosistemi naturali e alla finanza per lo sviluppo. In relazione al Green Act il relativo cronoprogramma del DEF 2016 ne prevede la definizione entro il 2017.

Si rileva come il programma già allegato al DEF 2015 prospettasse l’adozione di un provvedimento legislativo, denominato Green Act, entro il mese di giugno 2015, volto a contenere misure in materia di efficienza energetica, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, con particolare riguardo alla rigenerazione urbana, nonché per l’uso efficiente del capitale naturale.

 

Infine, si fa riferimento nel Programma al disegno di legge contenente la riforma della governance dei Parchi e delle aree protette, attualmente in corso di esame parlamentare (A.S. 1034: ‘Nuove norme in materia di parchi e aree protette').

 

Nell'appendice al Programma nazionale di riforma, in relazione alla Raccomandazione n. 1 del Consiglio, si indica, nella lista delle misure, la misura del credito d’imposta del 50% per il periodo 2017-2019 delle spese sostenute dalle imprese che effettuano, nel 2016, interventi di bonifica dell'amianto su beni e strutture produttive.

Inoltre, in materia di politiche fiscali e raccolta differenziata, si indicano disposizioni volte a incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio, con la possibilità di riferire gli obiettivi di raccolta differenziata al livello di ciascun comune invece che a livello di ambito territoriale ottimale (ATO). Si indica poi la fissazione di un'addizionale del 20% a carico dei comuni che non abbiano raggiunto le percentuali di raccolta differenziata sul tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica (c.d. Ecotassa).

In relazione alla Raccomandazione n. 2 del Consiglio, si fa poi riferimento all'approvazione del Piano strategico nazionale della Portualità e della Logistica, evidenziando, tra gli obiettivi, anche innovazione e sostenibilità nell'ambito della riforma della governance del sistema mare.

In relazione alla raccomandazione relativa all'assicurazione di una piena operatività dell'Agenzia per la coesione territoriale nell'ottica di migliorare la gestione dei fondi dell'Unione europea, si indica nella lista delle misure la presentazione del Masterplan per il Mezzogiorno che, attraverso il sostegno finanziario dei fondi nazionali di coesione e dei fondi strutturali 2014-2020, individua interventi strategici nei settori dello sviluppo economico, delle infrastrutture, dell’ambiente, della cultura e dell’attrazione turistica.

 

Nella parte del programma nazionale dedicata all'analisi dei progressi nei target della Strategia Europa 2020 (par. IV), si fa riferimento all'obiettivo n. 3, relativo alla riduzione di emissioni di gas serra, consistente nella riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990. Al riguardo, si dà conto dei progressi realizzati, rinviando per il dettaglio all'allegato del DEF recante la Relazione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 2, comma 9, della legge n. 39 del 2011.

In particolare, si stima un livello corrente pari a 264,1 (valori in MtCO2eq) per il 2014, a fronte di un livello pari a 344,8 del 2005, con una riduzione al 2020 del 13% rispetto al 2005, e una traiettoria lineare a partire dal 2013.

In materia, si rileva, in estrema sintesi, che l'Allegato al DEF citato evidenzia che gli obiettivi stabiliti dal protocollo di Kyoto sono stati raggiunti dall'Italia, con una limitata quantità di eccedenza, traslata sul secondo periodo di riferimento (Tabella 1, Allegato recante Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni).

Si ricorda, inoltre, che dal 30 novembre al 12 dicembre 2015, si è svolta a Parigi la XXI Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro per la lotta contro i cambiamenti climatici che ha adottato l’Accordo di Parigi, ove si definisce quale obiettivo di lungo termine il contenimento dell’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C e il perseguimento degli sforzi di limitare l’aumento a 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. Ogni Paese al momento dell’adesione all’Accordo dovrà comunicare il proprio “contributo determinato a livello nazionale”(INDC–Intended Nationally Determined Contribution) con l’obbligo di perseguire misure domestiche per la sua attuazione. I Paesi che hanno già formulato un contributo determinato a livello nazionale con un obiettivo al 2030, come l’Unione europea, sono chiamati a confermare o aggiornare il proprio contributo entro il 2020.

 

In materia di fonti rinnovabili, il Programma nazionale rileva che nel 2014, a sei anni dalla scadenza stabilita dall’Europa, l’Italia ha raggiunto il target, facendo registrare il 17,1 per cento di consumi finali lordi coperti da tali fonti energetiche.

La strategia per il perseguimento del target nazionale è contenuta all’interno del Piano di Azione Nazionale (PAN)[124], in cui vengono descritti gli obiettivi e le principali azioni intraprese per coprire con energia prodotta da fonti rinnovabili il 17 per cento dei consumi lordi nazionali.

Il Programma evidenzia come in Italia, negli ultimi anni, si è assistito a una rapida crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, anche a seguito delle politiche di incentivazione, e si riportano ampiamente i dati di tale produzione energetica, che registra una crescita del 6,9 per cento rispetto al 2012 secondo i dati del Gestore Sevizi Energetici (GSE). Dal 2013 al 2014 il numero di impianti alimentati da fonti rinnovabili è aumentato del 9,7 per cento, da ascrivere in particolare alla crescita degli impianti fotovoltaici, che rappresentano il 36 per cento della potenza complessiva degli impianti a fonti rinnovabili. Si registra, inoltre, in continuo aumento anche il contributo della fonte eolica, mentre gli impianti a bioenergie registrano una potenza installata di 4 GW circa per circa 2.500 unità.

Si richiamano infine i livelli correnti in materia di efficienza energetica, pari a 7,57 (valori in Mtep/anno) a fronte di un obiettivo Italia per il 2020 pari a 15,5, confermato dal decreto legislativo n. 102 del 2014.

 

Nella Relazione per paese relativa all'Italia 2016 comprensiva dell'esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici della Commissione europea (Country Specific Recommendations report) si è rilevato che l'Italia ha raggiunto l'obiettivo del 2020 in materia di energie rinnovabili ed efficienza energetica, evidenziandosi come le tariffe di riacquisto e i certificati negoziabili per l'energia prodotta da fonti rinnovabili (certificati verdi) hanno permesso di conseguire risultati importanti.

Altresì, la Commissione rileva l'efficacia raggiunta dal programma di agevolazioni fiscali per l'efficienza energetica (detrazioni fiscali del 55% fino al 2013 aumentate al 65% nel 2014, mantenute nella legge di stabilità per il 2016) nel raggiungimento dell'obiettivo di incrementare gli investimenti a favore dell'efficienza energetica.

Rileva poi la Commissione come l'Italia presenti uno dei livelli più alti di tassazione ambientale nell'UE, mentre in materia di emissioni di gas a effetto serra, si evidenzia il buon andamento ed i risultati raggiunti dall''Italia rispetto all'obiettivo 2020. Richiami vengono invece sul piano della gestione dei rifiuti e dell'acqua, su cui si rilevano problemi ambientali sia in materia di infrastrutture idriche inesistenti o inefficienti, in particolare nel Sud dell'Italia, mentre nelle Regioni del Centro-Nord si focalizzano i temi, di rilevante impatto sul bilancio nazionale, della gestione carente del territorio, delle inondazioni e dell'inquinamento atmosferico. In particolare, si stimano costi economici delle inondazioni tra il 2002 e il 2013 per un importo pari a 11 miliardi di euro, così come impattante è il tema dell'inquinamento atmosferico in termini di danni alla salute umana.

 

In materia di attuazione legislativa delle riforme, il PNR ricorda comunque come rientri in tale lavoro di attuazione anche il continuo adeguamento alla normativa europea, nonché di riduzione del contenzioso, con l'impegno del Dipartimento Politiche europee nell'abbattimento del numero di procedure di infrazione pendenti.

 

Nell'ambito della Strategia 2020, il Programma nazionale dà altresì conto degli stanziamenti in materia di ricerca e sviluppo delle amministrazioni centrali e delle regioni e province autonome per obiettivo socio-economico, riportando - in materia di obiettivo socio economico 'Controllo e tutela dell’ambiente' - una componente pari, in composizione percentuale, a 3,4 per il 2012, a 2,7 per il 2013 e 2.9 per l'anno 2014 (Tavola IV.4).

 

 



[1]     La presentazione del Programma di stabilità e del Programma nazionale di riforma al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea entro il 30 aprile, già prevista dall’art. 9, co. 1, della legge n. 196/2009, è regolata dal Regolamento UE n. 473/2013, recante disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio e per la correzione dei disavanzi eccessivi negli Stati membri della zona euro, che fissa, all’articolo 4, un calendario comune di bilancio.

[2]     Rispettivamente (COM (2015) 690) con riguardo all’analisi della crescita e (COM (2015) 691) quanto al meccanismo di allerta

[3]     http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016H0311(01)&from=EN

[4]   Legge 24 dicembre 2012 “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione”.

[5]     Commissione europea, Winter Forecast 2016, febbraio 2016.

[6]     Si ricorda che la Nota di aggiornamento del DEF 2015, in considerazione del miglioramento delle prospettive di crescita registrate nella prima parte dell’anno, conteneva una revisione al rialzo degli indicatori del quadro macroeconomico, prevedendo, per il 2015, pur in un contesto internazionale meno favorevole di quanto previsto ad aprile, una crescita del PIL reale dello 0,9 per cento rispetto allo 0,7 per cento precedentemente indicata dal DEF di aprile.

[7]     Comunicato ISTAT, “Conti economici trimestrali” (4 marzo 2016).

[8]     Comunicato ISTAT “Prezzi delle abitazioni – IV Trimestre 2015”, del 4 aprile 2016.

[9]     Comunicato ISTAT, “Produzione industriale”, del 10 febbraio 2016.

[10]    Comunicato ISTAT, “Il mercato del lavoro – IV trimestre 2015”, del 10 marzo 2016.

[11]    Si veda, in particolare, il Reg. (EU) 473/2013, facente part del c.d.d Two-Pack.

[12]    La legge costituzionale n. 1/2012 ha previsto l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio. Il 15 settembre 2014 è stato siglato il Protocollo d’intesa tra il Ministero dell’economia e delle finanze e l’UPB che disciplina il processo di validazione delle previsioni macroeconomiche.

[13]    Comunicato ISTAT del 15 aprile 2016.

[14]    Fatta salva la possibilità di estenderne l’utilizzo per il Mezzogiorno alle assunzioni che saranno effettuate nel corso del 2017 (ex comma 110 della Legge n. 208/2015),allineandone in ogni caso la durata al termine degli incentivi precedenti.

[15]    PNR, paragrafo II.2

[16]    Nota tecnico – illustrativa alla Legge di Stabilità 2016 - quadro programmatico, consultabile al sito: http://www.rgs.mef.gov.it

[17]    Comunicati Istat “PIL e indebitamento Ap - Prodotto interno lordo, indebitamento netto e saldo primario delle Amministrazioni pubbliche”, del 1° marzo 2016 e “IV trimestre 2015 - Conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche”, del 4 aprile 2016.

[18]    Si vedano i comunicati Istat “PIL e indebitamento Ap - Prodotto interno lordo, indebitamento netto e saldo primario delle Amministrazioni pubbliche”, del 1° marzo 2016 e “IV trimestre 2015 - Conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche”, del 4 aprile 2016.

[19]    NTI – Conto economico delle amministrazioni pubbliche, quadro programmatico.

[20]    Il DEF riporta una riduzione di 0,2 per cento, probabilmente per l’effetto di arrotondamenti.

[21]    Articolo 15 del decreto legislativo n. 175 del 2014 (c.d. semplificazione fiscale).

[22]    Secondo quanto riportato nella Nota Istat, Conto economico trimestrale delle Amministrazioni Pubbliche, 4 aprile 2016, le risorse erogate dal medesimo Fondo Nazionale di risoluzione erogate (pari a circa 1,7 miliardi) sono state contabilizzate tra le uscite in conto capitale.

[23]    Articolo 78 del decreto legislativo n. 180/2015.

[24]    Cfr. DEF 2016, Sez. II, Bilancio dello Stato 2013-2015, tabella V.4-1.

[25]    Cfr. approfondimento le clausole di salvaguardia.

[26]    Legge n. 196/2009.

[27]    Di cui all’articolo 1, comma 972, della legge di stabilità 2016.

[28]    Relazione al Parlamento deliberata dal Consiglio dei ministri il 18 settembre 2015, contestualmente alla Nota di aggiornamento del DEF, in cui si richiedeva l'autorizzazione a fissare il livello di indebitamento netto al -1,1 per cento sul PIL per il 2017, al -0,2 per cento nel 2018 e al +0,3 per cento (avanzo) nel 2019, cui corrispondeva un saldo strutturale pari a ‑0,3 per cento nel 2017, e il pareggio strutturale di bilancio dal 2018.

[29]    Per una illustrazione delle regole di bilancio europee cfr. Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica, La governance economica europea, Elementi di documentazione n.3, giugno 2013.

[30]    European Commission, Directorate General for Economic and Financial Affairs, AA.VV., The cyclically adjusted budget balance in the EU fiscal framework: an update, in «Economic Paper» n. 478.

[31]    Per un approfondimento si vedano in particolare i contributi del Fondo monetario internazionale disponibili su http://www.imf.org/external/np/fad/strfiscbal/ e della Banca Centrale Europea nel Riquadro 6 Il saldo strutturale come indicatore della posizione di bilancio del Bollettino mensile BCE n. 9/2014:

      https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bollettino-bce/bol-bce-2014/Bollmensile-09-14.pdf

[32]    Banca centrale europea (BCE), Bollettino mensile n. 9/2014, op. cit.

[33]    Tale metodologia è stata approvata dal Consiglio ECOFIN e viene periodicamente discussa e rivista all’interno del Comitato di Politica Economica e dell’Output Gap Working Group (EPC-OGWG).

[34]    D'Auria et al., 2010, The production function methodology for calculating potential growth rates and output gaps, in «European Economy, Economic Papers», n. 420.

[35]    Si rammenta che l'Obiettivo di medio termine (OMT) è un obiettivo per il saldo di bilancio strutturale, cioè definito al netto della componente ciclica e degli effetti delle misure una tantum e temporanee, che uno Stato membro della UE si impegna a realizzare in un certo orizzonte temporale.

[36]    Cfr. Commissione europea, Vade Mecum on the Stability and Growth Pact - 2016 edition, European Economy Institutional Paper 021, marzo 2016.

[37]    Cfr. Commissione europea, Vade Mecum on the Stability and Growth Pact - 2016 edition, European Economy Institutional Paper 021, marzo 2016 e Servizio del bilancio del Senato della Repubblica, La comunicazione della Commissione europea sulla flessibilità, Nota breve n. 10, febbraio 2015.

[38]    La deliberazione, adottate a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, che autorizzano lo scostamento e approvano il piano di rientro.

[39]    Profilo che, a detta del Governo, «non emerge adeguatamente utilizzando la metodologia di calcolo del prodotto potenziale seguita dalla Commissione Europea, in base alla quale si ottiene un output gap per il 2016 di soli 1,5 punti percentuali (Winter Forecast), il quale si chiuderebbe già nel 2018 qualora si avverassero nei prossimi anni le previsioni di ripresa economica». Sul punto il Governo dichiara che continuerà «ad adoperarsi in sede tecnica per l'adozione di metodologie di calcolo del prodotto potenziale più flessibili».

[40]    Il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico viene definito in termini di miglioramento progressivo del saldo strutturale fino al conseguimento dell'obiettivo stesso. Nel definire questo percorso occorre quindi tener conto, oltre che del saldo di partenza e della distanza rispetto all’OMT, delle condizioni cicliche dell’economia, del livello del rapporto debito/PIL e dell’esistenza di rischi rispetto alla sostenibilità di medio periodo delle finanze pubbliche.

[41]    Cfr. paragrafo 3 della Nota breve n. 10, del febbraio 2015 (Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica) e l'allegato 2 della cd. Comunicazione sulla flessibilità della Commissione europea.

[42]    Cfr. Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica, Elementi di documentazione n.3, XVII legislatura.

[43]    Cfr. Servizio del bilancio del Senato della Repubblica e Servizio Studi – Dipartimento bilancio – della Camera dei deputati, Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 (Doc. LVII, n. 2‑bis), Documentazione di finanza pubblica n. 8, ottobre 2014; Servizio del bilancio del Senato della Repubblica, Servizio del bilancio dello Stato e Servizio Studi – Dipartimento bilancio – della Camera dei deputati, Documento di economia e finanza 2015 (Doc. LVII, n. 3), Documentazione di finanza pubblica n. 9, aprile 2015.

[44]    Cfr. l'approfondimento sulla regola della spesa per i dettagli sulle voci da inserire nell'aggregato di riferimento e sulla modalità di determinazione del tasso di crescita limite (benchmark).

[45]    La terminologia impiegata è quella della citata Matrice di cui alla Comunicazione della Commissione sulla flessibilità.

[46]    Articoli 5 e 6 del Regolamento (CE) 1466/1997 come modificato dal Regolamento (UE) 1175/2011. Le linee guida sono consultabili sul sito della Commissione, al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/economy_finance/economic_governance/sgp/pdf/coc/code_of_conduct_en.pdf

[47]    Il dato relativo alla spesa delle amministrazioni pubbliche, redatto ai sensi del Regolamento CE 1500/2000, differisce da quello contenuto nel Conto Economico delle Amministrazioni redatto in base alle regole di Contabilità Nazionale. Il raccordo tra le due versioni viene diffuso annualmente dall'Istat a distanza di alcuni mesi.

[48]    Secondo la metodologia contenuta in Mourre et al., The cyclically-adjusted budget balance used in the EU fiscal framework: an update, «European Economy – Economic papers», n. 478, marzo 2013, il livello di spesa per ammortizzatori sociali e sussidi di disoccupazione è moltiplicando per il prodotto tra l’output gap e la semielasticità di questa specifica spesa.

[49]    Cfr. Commissione, Documento del 27 giugno 2012, Complementary information on the functioning of the expenditure and debt benchmarks; v. anche Codice di condotta, Tavola 2c.

[50]    Parere della Commissione sul Documento Programmatico di Bilancio dell'Italia, Bruxelles, 16.11.2015, C(2015) 8105 final.

[51]   Cfr. Documento del Consiglio 14345/15.

[52]    In particolare, nella Comunicazione vengono prescritti i seguenti requisiti: le riforme devono risultare rilevanti per la crescita e la sostenibilità delle finanze pubbliche, devono comportare effetti positivi a lungo termine sul bilancio e sulla crescita, devono essere attuate integralmente e devono rientrare in un piano globale e dettagliato a medio termine, con scadenze definite e affidabili; le riforme devono inoltre determinare effetti a medio termine quantificati sia sul bilancio sia sulla crescita potenziale.

[53]    Premessa e sezione I - Programma di stabilità dell’Italia.

[54]   Per ciascuno Stato membro il safety margin coincide con il valore minimo dell’obiettivo di medio termine che consente di non superare la soglia del 3 per cento durante un ciclo economico ordinario. Tale valore minimo viene calcolato tenendo conto della variabilità della produzione riscontrata negli anni passati e della sensitività del bilancio alle fluttuazioni di prodotto.

[55]    In coerenza con tale impostazione, il testo originario del progetto di legge di stabilità prevedeva la possibilità di utilizzo, subordinatamente alla relativa autorizzazione europea, del margine di flessibilità dello 0,2% collegato all’emergenza migranti. Nel corso dell’esame in seconda lettura presso la Camera, il Governo, nella seduta del 13 dicembre 2015, a seguito dei gravi fatti di terrorismo e al fine di rafforzare conseguentemente l'apparato di sicurezza nazionale, ha annunciato l’intenzione di avvalersi dei margini finanziari consentiti nei limiti massimi indicati nella Relazione al Parlamento del 18 settembre 2015, pari per il 2016 ad un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche del 2,4% in rapporto al PIL. Veniva contestualmente presentato l’emendamento 1.1, il cui impatto complessivo, in base alla relazione tecnica allegata alla medesima proposta emendativa, risultava, in termini di indebitamento netto, neutrale per gli esercizi 2017 e 2018, mentre comportava un peggioramento del di 3.080,5 milioni di euro nel 2016.

[56]    Si ricorda che nella nota di aggiornamento era stato formulato un obiettivo di 2,2 per cento, poi portato al 2,4 per cento in connessione con gli interventi per la sicurezza e la cultura disposti in novembre dopo gli attentati in Francia.

[57]    Viene altresì precisato che le stime del Mef divergono unicamente nella previsione macroeconomica sottostante con particolare riferimento all'orizzonte temporale utilizzato (4 anni Mef, ovvero fino al 2019, limitato a 2 anni per la Commissione i.e. fino al 2017) e nella determinazione dei livelli superiori e inferiori (intervalli di variazione) delle varianze per il calcolo del NAWRU, il Mef impiega in questo caso una procedura di grid search per la loro selezione ottimale, (cfr. per un maggiore dettaglio il Focus contenuto nel DEF 2015). Tali differenze sono alla base degli scostamenti nelle stime degli indicatori strutturali tra le due istituzioni.

[58]    Cfr. Comunicato stampa della BCE del 18 marzo 2016.

[59]    Tale comparto rappresenta in termini soggettivi un universo quasi coincidente con quello delle amministrazioni pubbliche contenute nell’elenco (lista S13) elaborato dall’ISTAT per la costruzione del conto economico della pubblica amministrazione secondo le regole contabili europee.

[60]    La crescita dei trasferimenti ad altri soggetti è il risultato delle maggiori erogazioni a favore di famiglie (+10.029 milioni, +3,1%) e imprese (+3.710 milioni, +16,8%) e dei minori trasferimenti verso estero (-1.064 milioni, -5,6%). I maggiori trasferimenti a famiglie sono connessi sia ai pagamenti effettuati a partire da agosto per far fronte alla rivalutazione delle pensioni sancita dalla sentenza 70 del 2015 della Corte Costituzionale, sia al riconoscimento per l’intero periodo del Bonus di 80 euro, che nel 2014 è stato erogato solo a partire dal mese di maggio.

[61]    Il risultato registrato per i pagamenti in conto capitale è determinato in prevalenza dai maggiori trasferimenti in conto capitale a altri soggetti (+1.829 milioni,+12,0%), interamente a beneficio di imprese, e in misura minore agli altri pagamenti in conto capitale (+347 milioni). Gli investimenti fissi lordi fanno registrare una leggera contrazione (-209 milioni, -0,8%).

[62]    La tavola non riporta i dati relativi al comparto degli Enti di previdenza e assistenza sociale.

[63]    Per quanto riguarda il saldo corrente, tra gli incassi risultano in aumento quelli tributari (+22.250 milioni, +6,0%), che a partire dal 2015 comprendono gli introiti relativi alla componente tariffaria A3 e subiscono gli effetti delle nuove disposizioni relative al modello di versamento delle imposte . La variazione dei trasferimenti da imprese (+4.338 milioni) è in larga parte attribuibile alla imputazione, a partire dal 2015, sia negli incassi che nei pagamenti dell’attività della Cassa per i servizi energetici e ambientali (in precedenza si rappresentavano i flussi netti). I trasferimenti da estero (+1.634 milioni, +16,3%) scontano i maggiori finanziamenti erogati dall’Unione europea.

[64]    La variazione dei trasferimenti da imprese (+4.338 milioni) è in larga parte attribuibile alla imputazione, a partire dal 2015, sia negli incassi che nei pagamenti dell’attività della Cassa per i servizi energetici e ambientali (in precedenza si rappresentavano i flussi netti). I trasferimenti da estero (+1.634 milioni, +16,3%) scontano i maggiori finanziamenti erogati dall’Unione europea.

[65]    Comprende Regioni, Sanità, Comuni e Province.

[66]    Nel dettaglio, gli incassi tributari sono stati pari a 108.467 milioni (+305 milioni rispetto al 2014, +0,3%), i trasferimenti da altre amministrazioni pubbliche sono pari a 106.594 milioni (+2.813 milioni, +2,8%), gli incassi da partite finanziarie ammontano a 10.968 milioni (-3.860 milioni, -26%).

[67]    A guidare questi andamenti sono sia gli incassi tributari, sia gli incassi contributivi. In particolare, gli incassi tributari risultano in aumento dell’1,6% nel 2016, per poi evidenziare un consistente incremento a partire dal 2017, quando si prevede tra l’altro l’attivazione delle clausole di salvaguardia precedentemente indicate. Le previsioni relative agli incassi contributivi evidenziano una crescita contenuta nel 2016 (+0,7%), una graduale ripresa nel 2017 (+1,2%) e infine un andamento più consistente nel biennio 2018-2019 quando, anche in relazione all’esaurimento degli effetti degli interventi di esonero contributivo disposti dalle Leggi di Stabilità 2015 e 2016, si attende un incremento nominale annuo pari a circa il 4 per cento.

[68]    Nel 2016 i pagamenti per il personale in servizio sono previsti in rialzo dello 0,9 per cento, in ragione delle misure previste nell’ambito del piano sulla “Buona Scuola” e delle risorse fino ad ora stanziate per il rinnovo del contratto 2016-2018. Successivamente, i pagamenti tornerebbero a ridursi dello 0,9 per cento nel 2017 e dello 0,2 per cento nel 2018, per poi stabilizzarsi nel 2019. Le erogazioni per l’acquisto di beni e servizi registrerebbero una contrazione pari al 2,4 per cento nel 2016, per poi crescere in media dello 0,4 per cento nel biennio 2017-2018 e infine ridursi dello 0,3 per cento nel 2019. I trasferimenti correnti presentano un profilo crescente su tutto il periodo di previsione, con un tasso di crescita medio annuo pari al 1,7 per cento, dovuto principalmente all’incremento dei trasferimenti a famiglie, che includono le prestazioni di natura previdenziale e assistenziale.

[69]    Lo scenario dei tassi di interesse utilizzato per le stime si basa sulle previsioni implicite derivanti dai tassi forward sui titoli di Stato italiani del periodo di compilazione del Documento.

[70]    Supplemento al Bollettino statistico n. 20 del 15 aprile 2016 - Finanza pubblica, fabbisogno e debito.

[71]    Regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 549/2013.

[72]    Regolamenti CE nn. 479/2009, 679/2010 e 220/2014.

[73]    Per un esame più approfondito delle misure di sostegno adottate nell’area euro si veda il box “Gli strumenti di sostegno UE”.

[74]    Comunicato ISTAT “PIL e indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche” del 1° marzo 2016.

[75]    Supplemento al Bollettino statistico n. 20 del 15 aprile 2016 - Finanza pubblica, fabbisogno e debito.

[76]    Si veda il testo integrale dell’intervento al link: www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2015/Barbagallo-09122015.pdf.

[77]    Si ricorderà infatti che, durante il cosiddetto periodo di transitorio, al fine di garantire il rispetto della regola era necessario prevedere un aggiustamento fiscale strutturale “minimo” (Minimum linear structural adjustment - MLSA), cioè una correzione del saldo di bilancio che garantisca un progresso continuo e realistico verso il benchmark del debito, considerando la regola meno stringente.

[78]    Il differenziale è al netto della quota (0,2 punti percentuali) imputabile all'incremento del MLSA, che passa da 0,7% indicato nella tabella della nota di aggiornamento a 0,9% riportato nel DEF 2016.

[79]    Si veda a questo proposito il Rapporto della Commissione ai sensi dell’art. 126(3) del Trattato.

[80]    Cfr. MEF, 2015. Relevant Factors influencing the debt dynamic in Italy’.

[81]    Indice nazionale dei prezzi al consumo per le Famiglie degli Operai ed Impiegati.

[82]    Indicatore che misura il tempo medio con cui il debito recepisce i tassi di mercato. Per i titoli zero coupon o quelli a cedola fissa corrisponde alla vita residua. Per i titoli con cedola variabile corrisponde al tempo rimanente alla fissazione della cedola successiva.

[83]    Negli ultimi mesi tutti i titoli con scadenza residua inferiore o uguale a due anni registrano tassi negativi.

[84]    Desumibile dai tassi forward sui titoli governativi italiani.

[85]    Recentemente riviste al ribasso dalla Bce e a cui vengono allineate le stime del Governo.

[86]    Nel DEF 2015 il dato 2018 corrisponde all'ultimo anno del periodo considerato.

[87]    Per maggiori approfondimenti il documento rinvia al lavoro di Berti K., (2013), “Stochastic public debt projections using the historical variance-covariance matrix approach for EU countries”, Economic Papers 480.

[88]    La metodologia utilizzata per calcolare l'S0 di breve periodo si discosta da quella utilizzata per identificare rischi nel medio e lungo termine.

[89]    Berti, K., Salto, M. e Lequien, M., (2012), “An early-detection index of fiscal stress for EU countries”, European Economy Economic Papers n. 475.

[90]    Negli scenari considerati le variabili macroeconomiche interagiscono tra loro, così che, a titolo esemplificativo, a una crescita del PIL inferiore corrispondano avanzi primari più bassi e a questi siano associati costi di indebitamento più elevati.

[91]    Tale ipotesi verrà rilassata (cfr. sottoparagrafo seguente) per simulare gli effetti di uno scenario a bassa crescita e inflazione.

[92]    Per una definizione di modello deterministico vedi sopra nel presente paragrafo.

[93]    Il Documento supporta tale valutazione riportando i risultati di recenti studi empirici che mostrano che a fronte di una riduzione del tasso di inflazione del 2 per cento si può assistere, in media, a un peggioramento permanente del saldo primario di circa lo 0,4 per cento del PIL, (End N. et al., 2014, Sailing with no wind: The Impact of Deflation and Lowflation on Fiscal Aggregates, IMF research bulletin).

[94]    Economic Policy Committee – Working group on ageing.

[95]    Si tratta di quelle sottostanti lo scenario di base definito e concordato in ambito EPC-WGA, accordate agli ultimi aggiornamenti di finanza pubblica e al quadro macroeconomico di breve periodo.

[96]    Per approfondire l’evoluzione della normativa sulla revisione della spesa si rinvia al tema dell’attività parlamentare “Il controllo della spesa pubblica e la spending review”, redatto dal Servizio Studi della Camera dei Deputati.

[97]    Per un maggiore dettaglio si rinvia al focus “La spending review nella legge di stabilità per il 2016”, pubblicato sul sito della Camera.

[98]    Per l’evoluzione della normativa sui contratti pubblici si rinvia al tema dell’attività parlamentare “Contratti pubblici” pubblicato sul sito della Camera dei Deputati e curato dal Servizio Studi.

[99]    "Individuazione delle categorie merceologiche ai sensi dell'articolo 9, comma 3 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, unitamente all'elenco concernente gli oneri informativi”, pubblicato nella Gazz. Uff. 9 febbraio 2016, n. 32.

[100]  Per approfondimenti si rinvia al focus “Le deleghe per la revisione della struttura del bilancio e per il potenziamento del bilancio di cassa” pubblicato sul sito della Camera.

[101]  http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/e-GOVERNME1/ARCONET/index.html

[102]  La previsione di breve periodo della spesa sanitaria pubblica, inglobata nei conti delle Pubbliche Amministrazioni (PA) dei documenti di finanza pubblica, viene elaborata seguendo la stessa articolazione adottata per la spesa sanitaria pubblica di contabilità nazionale, nell’ambito del “Conto economico consolidato della sanità”. In particolare, essa prevede una prima disaggregazione in funzione del soggetto erogatore: la spesa sanitaria pubblica viene distinta nella componente erogata direttamente dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale (produttori non market) e quella erogata da soggetti privati convenzionati (produttori market). La prima componente è suddivisa per fattore di costo ed evidenzia distintamente la spesa per redditi da lavoro dipendente, quella per consumi intermedi e quella per una terza componente, residuale, che raccoglie le poste non classificabili in nessuna delle funzioni sopra elencate, etichettata come “altre componenti di spesa sanitaria”. La seconda componente, invece, è articolata per tipologia di prestazione.

[103]  Il documento evidenzia, infatti che, in ambito UE, circa il 20% della popolazione in età lavorativa dispone solo di competenze di base e il 39% delle imprese ha difficoltà a reperire personale che disponga delle competenze richieste, e che queste difficoltà si sono accentuate a seguito di anni di crisi e della rapida evoluzione dell'organizzazione del lavoro nell'era dell'economia digitale.

[104]  Qui la pagina dedicata sul sito del MIUR.

[105]  Qui la pagina del sito MIUR dedicata all’edilizia scolastica.

[106]  V. comunicato del 3 novembre 2015.

[107]  Qui maggiori specifiche sul procedimento di valutazione.

[108]  Qui il sito dedicato.

[109]  Il 31 gennaio 2014 l’allora Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva presentato al Consiglio dei Ministri il programma nazionale della ricerca 2014-2020, che da triennale diventava settennale, per allinearsi con il Programma Quadro europeo Horizon 2020. Il piano prevedeva un investimento da parte del MIUR di circa 900 milioni di euro l'anno e si articolava su tre assi prioritari: a) lo sviluppo e l'attrazione di capitale umano altamente qualificato, da inserire nel tessuto produttivo del Paese; b) l'identificazione di un numero limitato di importanti progetti tematici; c) la promozione, anche attraverso il trasferimento di conoscenza e competenze, della capacità d'innovare e di competere da parte del sistema delle imprese, in particolare delle piccole.

[110]  Le stime dell’impatto macroeconomico delle riforme strutturali sono condotte facendo riferimento allo scenario che considera solo le riforme più recenti, suscettibili di essere considerate ai fini dell’applicazione della clausola di flessibilità richiesta dall’Italia.

[111]  Con il trasferimento delle competenze del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (DPS) dal Ministero dello sviluppo economico alla Presidenza del Consiglio.

[112]  Lo Statuto dell’Agenzia è stato approvato con D.P.C.M. 9 luglio 2014; con il D.P.C.M. 15 dicembre 2014 è stato istituito il Dipartimento per le Politiche di Coesione (DPC) presso la Presidenza del Consiglio e disposto il trasferimento all’Agenzia di 210 unità di personale provenienti dall’ex Dipartimento per lo sviluppo e la coesione del MISE. Infine, con il D.P.C.M. 7 agosto 2015 è stato approvato il Regolamento di contabilità dell'Agenzia per la coesione territoriale.

[113]  Il 31 dicembre 2015 è il termine ultimo di ammissibilità della spesa rendicontabile alla Commissione per il ciclo 2007-2013 (con minime deroghe, ad esempio, per gli strumenti di ingegneria finanziaria), in base alle regole di esecuzione del bilancio comunitario vigenti, la cosiddetta dell’ “n+2”. Il 31 dicembre 2015 è pertanto la data ultima affinché i pagamenti effettivamente sostenuti dai beneficiari, sui progetti/operazioni, possano essere imputati a carico del bilancio UE. Rispetto all’eventuale disimpegno delle risorse dal bilancio europeo, questo può avvenire solo dopo l'istruttoria della Commissione Europea sui documenti presentati entro il 31 marzo 2017, data entro la quale è necessario inviare domanda di pagamento alla Commissione (ossia la certificazione).

[114]  Si tratta del Piano di Rafforzamento Amministrativo (PRA) che è stato richiesto a tutte le Regioni e Amministrazioni centrali titolari di programma.

[115]  Al fine di definire il concetto di aree interne, il territorio nazionale è stato suddiviso a livello comunale non in base ad un criterio minimo di popolazione, né secondo parametri altimetrici, ma secondo un criterio di capacità di offerta di alcuni servizi essenziali, che sono stati identificati nella presenza sul territorio di un istituto di scuola secondaria superiore, di una struttura ospedaliera sede di un DEA di primo livello e di una stazione ferroviaria classificata non inferiore a”Silver”. In base alla compresenza di questi tre requisiti sono stati individuati i “poli urbani” e i “poli intercomunali”, composti da quei comuni tra loro vicini nei quali erano presenti “congiuntamente” i tre servizi essenziali.
Conseguentemente, i comuni non rientranti nei poli sono stati classificati in base ad un indicatore di “accessibilità”, calcolato in termini di minuti di percorrenza per raggiungere il polo più prossimo: i limiti sono stati fissati in meno di 20 minuti (aree periurbane o di cintura), tra 20 e 40 minuti (aree intermedie), tra 40 e 75 minuti (aree periferiche) e oltre i 75 minuti (aree ultraperiferiche). I comuni con tempi di accessibilità superiori ai 20 minuti dal polo più vicino sono stati classificati “aree interne”.

[116]  L’Accordo di Partenariato 2014-2020 per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei è stato adottato il 29 ottobre alla Commissione europea.

[117]  Si ricorda che la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativamente al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 è stata autorizzata dall’articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147/2013), nell’importo complessivo di 54,8 miliardi di euro, da programmarsi nel rispetto della chiave di riparto che destina l'80 per cento delle risorse nelle aree del Mezzogiorno e il restante 20 per cento nelle aree del Centro nord.

[118]  Tale programma prevede che ogni giovane, entro quattro mesi dalla conclusione del suo ciclo di scuola o di università (o entro quattro mesi dalla perdita di un posto di lavoro), riceva l'offerta di un lavoro, di un tirocinio, di un modulo di formazione o di un nuovo percorso d'istruzione. Per tale programma, vi è uno stanziamento globale comunitario, destinato ai Paesi che, come l'Italia, hanno un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25 per cento. Dati sullo stato di attuazione del programma sono reperibili all’indirizzo http://www.lavoro.gov.it/ProgettiAzioni/GaranziaGiovani .

[119]  Legge 28 dicembre 2015, n. 221, ' ‘Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali’.

[120]  Legge 22 maggio 2015, n. 68.

[121]  Si vedano gli atti COM(2015)614, COM(2015)595, COM(2015)596, COM(2015)593, COM(2015)594

[122]  COM(2011)571

[123] Decisione 1386/2013/UE

[124]  Il PAN è stato previsto dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ove si è previsto che gli Stati membri predisponessero il National Renewable Energy Action Plan (NREAP).