Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2568/XVII   DL N. 91 DEL 24-GIU-14
Serie: Progetti di legge    Numero: 209
Data: 29/07/2014
Descrittori:
AGRICOLTURA   AMBIENTE
DECRETO LEGGE 2014 0091   EDILIZIA SCOLASTICA UNIVERSITARIA E PER LA RICERCA
RISPARMIO ENERGETICO     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici
X-Attività produttive, commercio e turismo
XIII-Agricoltura

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

 

Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria (D.L. Competitività)

D.L. 91/2014 – A.C. 2568

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 209

 

 

 

29 luglio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Ha partecipato alla redazione del dossier il seguente Ufficio:

 

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

§  La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D14091.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§  Articolo 1, commi 1-2 (Semplificazioni dei controlli sulle imprese agricole. Istituzione del registro unico dei controlli) 3

§  Articolo 1, commi 3-4 (Diffida per le infrazioni in materia agroalimentare) 6

§  Articolo 1, commi 4-bis e 4-ter (Coordinamento delle attività di vigilanza sulla pesca e informazioni sul traffico marittimo) 8

§  Articolo 1-bis (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni) 10

§  Articolo 1-ter (Istituzione del sistema di consulenza aziendale in agricoltura) 22

§  Articolo 1-quater (Istituzione del Servizio integrato per la tutela del patrimonio agroalimentare italiano) 26

§  Articolo 2 (Semplificazioni per il settore vitivinicolo) 27

§  Articolo 3, commi 1-6 (Crediti di imposta per lo sviluppo del commercio elettronico e di nuovi prodotti a favore delle imprese agricole) 32

§  Articolo 3, commi 7-9 (Norme in materia di etichettatura dei prodotti agroalimentari) 38

§  Articolo 3, comma 10 (Fondo finanziamento programmi nazionali distribuzione derrate alimentari agli indigenti) 40

§  Articolo 4, commi 1-7 (Nuove norme sulla produzione di mozzarella di bufala campana e sulla tracciabilità del latte bufalino) 42

§  Articolo 4, comma 8 (Sanzioni penali per violazione di divieti di coltivazione) 49

§  Articolo 5 (Disposizioni per l'incentivo all'assunzione di giovani lavoratori agricoli e la riduzione del costo del lavoro in agricoltura) 53

§  Articolo 6 (Rete del lavoro agricolo di qualità) 57

§  Articolo 6-bis (Disposizioni per i contratti di rete) 61

§  Articolo 7, commi 1 e 2 (Detrazioni per l’affitto di terreni agricoli a giovani agricoltori) 64

§  Articolo 7, commi 3 e 4 (Ulteriori misure di fiscalità agricola) 66

§  Articolo 7-bis (Interventi a sostegno delle imprese agricole condotte da giovani) 68

§  Articolo 7-ter (Disposizioni penali urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare) 76

§  Articolo 7-quater (Disposizioni per l’agricoltura biologica) 78

§  Articolo 7-quinquies (Esercizio del diritto di prelazione o di riscatto agrari) 81

§  Articolo 7-sexies (Disposizioni in materia di limite per il trasferimento di denaro contante) 82

§  Articolo 8 (Disposizioni finanziarie) 83

§  Articolo 8-bis (Contributo per il recupero di pneumatici fuori uso) 86

§  Articolo 9, commi 1-10 (Interventi urgenti per l'efficientamento energetico degli edifici scolastici e universitari pubblici) 88

§  Articolo 9, comma 10-bis (Segnaletica luminosa stradale) 99

§  Articolo 10, commi 1-7 bis, 9, 11 e 13 (Misure straordinarie per accelerare l'utilizzo delle risorse e l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale) 100

§  Articolo 10, commi 8 e 8-bis (Modifica dei criteri di nomina del collegio dei revisori dei conti dell’ISPRA) 108

§  Articolo 10, comma 10 e 11-bis (Modifiche al decreto legislativo n. 49 del 2010 in materia di valutazione e gestione dei rischi di alluvioni) 110

§  Articolo 10, comma 12  (Indagini sui terreni e investimenti in infrastrutture irrigue nella regione Campania ) 112

§  Articolo 10, comma 12-bis  (Interconnessione diretta al SISTRI ) 116

§  Articolo 10 commi 13-bis, 13-ter e 13-quater (Stanziamenti per interventi di ricostruzione colpiti da eventi meteorologici nel territorio della regione Liguria) 117

§  Articolo 10-bis (Accordi di programma per l’utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico) 119

§  Articolo 11, commi 1-3, 12, 12-bis e 13 (Misure urgenti in materia di specie animali, controllo delle specie alloctone e difesa del mare) 120

§  Articolo 11, commi 1-bis, 4 e 8 (Misure in materia di aree protette e zone di protezione ecologica marina extraterritoriale) 125

§  Articolo 11, comma 2-bis (Sanzioni relative all’immissione in commercio di particolari tipi di shoppers) 130

§  Articolo 11, comma 5 (Differimento delle sanzioni relative a sistemi antincendio contenenti sostanze lesive dell’ozono) 132

§  Articolo 11, comma 6 (Modalità di adozione delle linee guida per la misurazione dei livelli di elettrosmog) 133

§  Articolo 11, commi 7, 9, 10 e 11 (Norme in materia di impianti termici civili) 134

§  Articolo 11, comma 12-ter (Fissazione di valori limite di emissione per le turbine a gas) 140

§  Articolo 12, commi 1-4 (Misure urgenti per garantire l'alta qualificazione e la trasparenza degli organi di verifica ambientale e per accelerare la spesa per la programmazione unitaria 2007/2013) 141

§  Articolo 12, comma 4-bis (Collaborazione delle autorità ambientali della Rete Nazionale) 145

§  Articolo 12-bis (Requisiti acustici passivi degli edifici) 146

§  Articolo 12-ter  (Disciplina in materia di inquinamento acustico, delle aviosuperfici, degli eliporti e dei luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile) 149

§  Articolo 12-quater (Soppressione della Commissione in materia di inquinamento acustico ferroviario e trasferimento delle funzioni) 151

§  Articolo 12-quinquies (Semplificazione in materia di valutazione di impatto ambientale incidente su attività di escavo di fondali marini e relativa movimentazione) 153

§  Articolo 13, commi 1-3 quinquies (Procedure semplificate per le operazioni di bonifica e di messa in sicurezza, nonché per la caratterizzazione dei materiali di riporto) 155

§  Articolo 13, commi 4 e 4-ter (Procedure semplificate di recupero e utilizzo di rifiuti in “lista verde e di materie prime secondarie) 165

§  Art. 13, comma 4-bis (Modifiche alla disciplina dei sistemi collettivi per la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) 171

§  Articolo 13, commi 5, lett. a) - b), e 6 (Gestione dei rifiuti militari e bonifica delle aree demaniali destinate ad uso esclusivo delle forze armate) 173

§  Art. 13, comma 5, lettera b-bis) (Classificazione dei rifiuti) 177

§  Articolo 13, comma 7 (Deroga ai limiti di emissione degli scarichi in acque superficiali e in fognatura per particolari impianti) 179

§  Articolo 13, comma 8 (Qualificazione per l’esecuzione di opere di smantellamento e messa in sicurezza di impianti nucleari) 181

§  Articolo 13, comma 9 (Finanziamento delle bonifiche dei beni contenenti amianto) 182

§  Articolo 14, comma 1 (Ordinanze contingibili e urgenti adottabili nella regione Lazio) 183

§  Articolo 14, commi 2 e 2-bis (Semplificazione del SISTRI e concessione del servizio) 187

§  Articolo 14, comma 3 (Proroga delle gestioni comunali relative ai rifiuti in atto nella Regione Campania) 190

§  Articolo 14, comma 3-bis e 8-ter (Compostaggio dei rifiuti provenienti dalla Campania e dal Lazio) 191

§  Articolo 14, comma 3-ter  (Disciplina transitoria per lo stoccaggio di rifiuti e per l’esercizio di particolari tipologie di impianti nella Regione Campania) 192

§  Articolo 14, comma 4 (Commissario straordinario per la realizzazione di un termovalorizzatore in Provincia di Salerno) 193

§  Articolo 14, comma 8), lettera a) (Definizione dei parametri di qualità delle acque irrigue) 196

§  Articolo 14, comma 8, lettere b) e b-sexies) (Combustione di materiale vegetale) 197

§  Articolo 14, comma 8, lettera b-bis) (Esclusione dalla disciplina sui rifiuti di particolari operazioni connesse ad eventi atmosferici) 200

§  Art. 14, comma 8, lettera b-ter)  (Utilizzo dei materiali derivanti da operazioni di dragaggio) 202

§  Articolo 14, comma 8, lettera b-quater) (Disposizioni in materia di responsabilità della gestione dei rifiuti) 205

§  Articolo 14, comma 8, lettera b-quinquies) (Individuazione dei beni in polietilene) 206

§  Articolo 14, comma 8-bis (Registro di carico/scarico degli imprenditori agricoli produttori iniziali di rifiuti pericolosi) 207

§  Articolo 14, comma 8-quater (Esclusione dell’amianto dai parametri considerati nell’esecuzione dei test di cessione) 208

§  Articolo 14, commi 8-quinquies e 8-sexies (Miscelazione di oli usati e rifiuti speciali) 209

§  Articolo 15 (Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011 in materia di valutazione di impatto ambientale. Procedura di infrazione 2009/2086 e procedura di infrazione 2013/2170) 211

§  Articolo 15-bis (Semplificazioni in materia di rifiuti) 222

§  Articolo 16, commi 1-3-bis (Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio. Modifiche al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 32, recante attuazione della direttiva 2007/2/CE, che istituisce un'infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea) 224

§  Articolo 16, commi 4, 5 e 5-bis (Infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (INSPIRE) e partecipazione del pubblico ai piani o ai programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica) 232

§  Articolo 17 (Modifiche al decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, recante attuazione della direttiva 2008/56/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino -- Procedura d'infrazione 2013/2290 -- Modifiche alla Parte Terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, -- Procedura d'infrazione 2007/4680) 245

§  Articolo 17-bis (Disposizioni in materia di società cooperative di consumo e loro consorzi e delle banche di credito cooperativo) 254

§  Articolo 18 (Credito d'imposta per investimenti in beni strumentali nuovi) 260

§  Articolo 18-bis (Misure a favore della riqualificazione degli esercizi alberghieri composti da una o più unità immobiliari) 268

§  Articolo 19 (Modifiche alla disciplina ACE- aiuto crescita economica) 269

§  Articolo 19-bis (Nuove disposizioni in materia di Agenzia per le imprese) 274

§  Articolo 20, commi 1 - 1-bis (Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili) 276

§  Articolo 20, comma 1-ter (Assunzioni di personale Consob) 286

§  Articolo 20, comma 2 (Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili - Principi contabili internazionali) 288

§  Articolo 20, commi 3-8-quinquies (Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili - Modifiche al Libro V, Titolo V, del Codice civile) 292

§  Articolo 20, comma 7-bis (Procedure di iscrizione nel registro delle imprese) 299

§  Articolo 21, commi 1 e 2 (Misure a favore delle emissioni di obbligazioni societarie) 300

§  Articolo 21, comma 2-bis (Compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società quotate) 302

§  Articolo 21-bis (Attività di consulenza finanziaria) 305

§  Articolo 22, commi 1-7 (Misure a favore del credito alle imprese) 307

§  Articolo 22, comma 3-bis (Partecipazione a banche di credito cooperativo) 316

§  Articolo 22, commi 5-bis – 5-decies (Sgr di fondi immobiliari quotati) 318

§  Articolo 22, comma 6-bis (Cancellazione di segnalazioni dei ritardi di pagamento) 321

§  Articolo 22, commi 7-bis e 7-ter (Restituzione di somme a Poste italiane S.p.A.) 324

§  Articolo 22, commi 7-quater e 7-quinquies (Cessione dei crediti certificati da parte di pubbliche amministrazioni) 326

§  Articolo 22-bis (Semplificazioni nelle operazioni promozionali) 328

§  Articolo 22-ter (Semplificazioni in materia di attività imprenditoriali, commerciali e artigianali) 329

§  Articolo 22-quater (Modifiche all’articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201) 332

§  Art. 22-quinquies  (Misure a favore del credito per le imprese sottoposte a commissariamento straordinario e per la realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria) 333

§  Articolo 22-sexies (Regime fiscale delle operazioni di raccolta effettuate dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A.) 342

§  Articolo 23 (Riduzione delle bollette elettriche a favore dei clienti forniti in media e bassa tensione) 344

§  Articolo 24 (Disposizioni in materia di esenzione da corrispettivi e oneri del sistema elettrico per reti interne e sistemi efficienti di produzione e consumo) 349

§  Articolo 25 (Modalità di copertura di oneri sostenuti dal Gestore dei Servizi Energetici GSE S.p.A.) 354

§  Articolo 26 (Interventi sulle tariffe incentivanti dell'elettricità prodotta da impianti fotovoltaici) 356

§  Articolo 27 (Rimodulazione del sistema tariffario dei dipendenti del settore elettrico) 361

§  Articolo 28 (Riduzione dei costi del sistema elettrico per le isole minori non interconnesse) 362

§  Articolo 29 (Rimodulazione del sistema tariffario elettrico delle Ferrovie dello Stato) 365

§  Articolo 30 (Semplificazione amministrativa e di regolazione a favore di interventi di efficienza energetica del sistema elettrico e impianti a fonti rinnovabili) 369

§  Articolo 30, comma 2-novies (Tassazione combustibili impianti cogenerativi) 376

§  Articolo 30-bis (Interventi urgenti per la regolazione delle gare d’ambito del gas naturale) 377

§  Articolo 30-ter (Misure urgenti di semplificazione per l’utilizzo delle fonti rinnovabili nell’ambito della riconversione industriale del comparto bieticolo-saccarifero) 379

§  Articolo 30-quater (Progetti a vantaggio dei consumatori del servizio idrico integrato) 382

§  Articolo 30-quinquies (Bonus idrocarburi) 383

§  Articolo 30-sexies (Modifica alla Tabella 3 allegata alla legge 24 dicembre 2007, n. 244) 385

§  Articolo 31 (Modifiche all'articolo 120 del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, relativo alla decorrenza delle valute e calcolo degli interessi - Anatocismo) 386

§  Articolo 32 (Garanzia dello Stato in favore di SACE per operazioni non di mercato) 389

§  Articolo 32-bis (Esenzione IVA per prestazioni del servizio postale universale) 393

§  Articolo 33 (Semplificazione e razionalizzazione dei controlli della Corte dei conti) 395

§  Articolo 33-bis (Disposizioni in materia di società tra professionisti) 400

§  Articolo 34 (Abrogazioni e invarianza finanziaria) 403

§  Articolo 34, comma 1-bis (Esenzione bollo per volontari del soccorso alpino) 405

§  Articolo 34-bis (Disposizioni interpretative su esenzioni di accisa) 406

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1, commi 1-2
(Semplificazioni dei controlli sulle imprese agricole.
Istituzione del registro unico dei controlli)

 

 

I commi 1 e 2 intervengono in materia di semplificazioni dei controlli sulle imprese agricole e di istituzione del registro unico dei controlli ispettivi, riproponendo, con talune lievi modifiche, il contenuto dell’articolo 1, comma 1 e 2, del DDL 1328 “Collegato agricolo”, attualmente all’esame del Senato.

 

Il comma 1 dispone che i controlli ispettivi nei confronti delle imprese agricole[1] devono essere effettuati in modo coordinato dagli organi competenti - tenuto conto del Piano nazionale integrato pluriennale dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante (PNI o MANCP), previsto dall’articolo 41 del Reg. (CE) n. 882/2004[2] e predisposto dal Ministero della Salute[3], nonché delle Linee guida in materia di controlli, oggetto dell’Intesa tra le Regioni, le province autonome e gli enti locali del 24 gennaio 2013 - evitando sovrapposizioni e duplicazioni, garantendo l'accesso all'informazione sui controlli ed utilizzando i dati contenuti nel registro unico del controlli ispettivi, istituito dal successivo comma 2.

 

Si impone, altresì, l’obbligo di verbalizzazione dei controlli ispettivi esperiti nei confronti delle imprese agricole, e di notifica del relativo verbale anche nei casi di riscontrata regolarità. In quest’ultimo caso, o nel caso di regolarizzazione successiva al controllo ispettivo eseguito, gli adempimenti relativi alle annualità sulle quali sono stati effettuati i controlli non possono essere oggetto di contestazioni in successive ispezioni, salvo che si tratti di comportamenti omissivi o irregolari dell'imprenditore, ovvero nel caso emergano atti, fatti o elementi non conosciuti al momento dell'ispezione.

La disposizione in commento si applica agli atti e documenti esaminati dagli ispettori ed indicati nel verbale del controllo ispettivo.

 

Il comma 2 dispone l’istituzione presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il registro unico dei controlli ispettivi sulle imprese agricole e agroalimentari.

L’istituzione del registro avviene con decreto di natura non regolamentare del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’interno.

 

Ai fini dell’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 del coordinamento dei controlli e dell’inclusione dei dati nel predetto registro, si dispone che i dati sui controlli effettuati da parte di organi di polizia, dai competenti organi di vigilanza e di controllo nonché dagli organismi privati autorizzati allo svolgimento dei predetti compiti (ulteriore categoria aggiunta nel corso dell’esame presso il Senato del provvedimento) devono essere resi disponibili tempestivamente in via telematica e rendicontati annualmente alle altre pubbliche amministrazioni, secondo le modalità da definirsi, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, con Accordo sancito in sede di Conferenza Unificata Stato città ed autonomie locali[4].

La rendicontazione annuale avviene anche ai fini della successiva riprogrammazione ai sensi dell’articolo 42 del Reg. CE n. 882/2004[5].

 

È infine contenuta nel comma una clausola di salvaguardia finanziaria volta a prevedere che all’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 e 2 si provvede nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, secondo le modalità previste con il sopra citato Accordo.

 

Si segnala che il 4 luglio 2014 è stata pubblicata sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali una Circolare del 2 luglio 2014 che fornisce le prime indicazioni applicative relative alle norme in materia agricola contenute nel D.L. n. 91/2014 in esame.

In particolare, per ciò che attiene alle misure qui in commento, la Circolare precisa che nelle more dell’adozione delle norme secondarie attuative, l’attività di controllo degli Uffici dell’ICQRF continuerà a svolgersi secondo le modalità consuete, ma con le seguenti indicazioni: notifica in ogni caso alle imprese agricole del verbale dell’ispezione amministrativa svolta, anche per constata regolarità. Inoltre, per “imprese agricole” devono intendersi le imprese condotte da imprenditori agricoli, ex art. 2135 cc..

 


 

Articolo 1, commi 3-4
(Diffida per le infrazioni in materia agroalimentare)

 

 

Il comma 3 dispone che per le violazioni alle norme in materia agroalimentare (originariamente il testo del decreto-legge limitava l’applicazione del disposto a quelle di lieve entità; durante l’esame presso il Senato tale specifica è stata soppressa), per le quali è prevista l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, l’organo di controllo, nel caso in cui accerti violazioni sanabili, diffida l'interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione della diffida stessa e ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose dell’illecito amministrativo.

Nel corso dell’esame presso il Senato è stato specificato che l’istituto della diffida deve intendersi applicabile solo al primo accertamento di una violazione sanabile. E’ stato conseguentemente soppresso il disposto secondo il quale, in caso di reiterazione specifica delle violazioni suddette, accertata con provvedimento esecutivo nei tre mesi successivi alla diffida, la stessa non è più applicabile.

 

E’ stato, inoltre, aggiunto un periodo che specifica cosa debba intendersi per violazioni sanabili: si tratta di errori e omissioni formali, che comportano una mera operazione di regolarizzazione, ovvero di violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono sanabili.

 

Si osserva che l’istituto della diffida, già previsto dall’articolo 43 della legge n. 82/2006 per le infrazioni minori nel settore vitivinicolo, viene ora esteso dalla norma in esame a tutte le infrazioni in materia agroalimentare.

 

Il testo originario del decreto prevedeva, inoltre che la diffida si applicasse anche ai prodotti già posti in vendita al consumatore finale, con esclusione delle violazioni relative alle norme in materia di sicurezza alimentare; tale disposto è stato soppresso nel corso dell’esame del provvedimento presso il Senato.

 

In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute all’interno della diffida entro il termine indicato, l’organo di controllo procede alla contestazione, ai sensi della legge sugli illeciti amministrativi, legge n. 689/1981 (articolo 14).

In tale ipotesi, è esclusa l’applicazione del pagamento in misura ridotta, previsto dalla medesima legge (articolo 16).

 

Nel corso dell’esame presso il Senato è stato, poi, aggiunto un nuovo comma 3-bis il quale dispone l’abrogazione dell’art. 7 del D.Lgs n. 225/2005 e del comma 4 dell’art. 12 del D.L.gs 75/2010 i quali, nell’ambito, rispettivamente, della normativa sulla commercializzazione dell’olio d’oliva e dell’impiego di fertilizzanti, prevedono già l’applicazione dell’istituto della diffida.

In ragione della norma generale introdotta dai commi in commento, tali disposizioni vengono, quindi, abrogate.

 

Ai sensi del comma 4, per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali è prevista l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, se già consentito il pagamento in misura ridotta, la somma dovuta è ridotta del trenta per cento se il pagamento volontario è effettuato in breve tempo: entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione.

Nel corso dell’esame al Senato, è stata aggiunto un ulteriore periodo, secondo il quale la disposizione di cui sopra si applica anche alle violazioni contestate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legge, purché l’interessato effettui il pagamento e trasmetta la relativa quietanza all’autorità competente e all’organo che ha accertato la violazione entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame.

 

 


 

Articolo 1, commi 4-bis e 4-ter
(Coordinamento delle attività di vigilanza sulla pesca
e informazioni sul traffico marittimo)

 

 

I commi 4-bis e 4-ter dell’articolo 1, introdotti al Senato, prevedono che il Comando generale della Capitanerie di porto predisponga un programma triennale ed un piano annuale di coordinamento per la vigilanza sulle attività della pesca e dispongono che gli armatori delle navi possano avere informazioni sul traffico marittimo in possesso del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto.

Piano di coordinamento delle attività di vigilanza sulla pesca (comma 4-bis, primo periodo)

In particolare, il comma 4-bis prevede che il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, in attuazione delle direttive dei Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti, predisponga un programma triennale ed un piano annuale di coordinamento per l’ottimale impiego delle risorse disponibili per l’esercizio delle attività di vigilanza nel settore della pesca. Lo scopo è di razionalizzare l’attività di vigilanza, l’applicazione della disciplina tecnica e l’esercizio della relativa filiera, nonché di conseguire il miglioramento dell’efficacia dell’azione di tutela dell’ambiente marino e costiero e di sicurezza della navigazione, del trasporto marittimo e dei porti, ferme restando le attribuzioni dell’autorità competente ai sensi dell’articolo 22, comma 1, del decreto legislativo n. 4/2012 (Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura).

 

Si tratta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali - Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura, che in qualità di autorità competente ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1224/2009, coordina le attività di controllo sulla pesca e l’acquacoltura, avvalendosi del Corpo delle capitanerie di porto quale Centro di controllo nazionale della pesca.

Si ricorda altresì che l’articolo 4, comma 8-ter, del D.L. n. 150 del 2013 ha ulteriormente differito al 31 dicembre 2014 il termine per l’emanazione del regolamento governativo di riforma delle Capitanerie di porto e provveduto a rifinanziare alcune attività delle Capitanerie di porto.

Richiesta di informazioni sul traffico marittimo delle navi (comma 4-bis, secondo periodo)

Il comma 4-bis, secondo periodo prevede che, nell’ambito delle attività del comma 4-bis, le informazioni sul traffico marittimo di cui agli articoli 6-ter, comma 2, e 9-bis del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196, in possesso del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera possano essere rese disponibili agli armatori che ne facciano richiesta.

Si tratta delle informazioni sul traffico marittimo definite di tipo LRIT (il sistema di identificazione e tracciamento a grande distanza delle navi di cui alla regola V/19-1 della Convenzione SOLAS per la salvaguardia della vita umana in mare) e trasmesse dalle navi attraverso la partecipazione all'European LRIT Data Center e di quelle della rete AIS nazionale (il sistema di identificazione delle navi rispondente alle norme di funzionamento definite dall'IMO) per la ricezione e la diffusione di informazioni sul traffico marittimo per finalità connesse alla sicurezza della navigazione, tutte disciplinate dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 196 che ha dato attuazione alla direttiva 2002/59/CE istituendo un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale ed è poi stato modificato dal successivo D.Lgs. n. 18 del 2011 in attuazione della successiva direttiva 2009/17/CE.

La possibilità di richiedere tali informazioni viene ammessa limitatamente alle navi iscritte nelle matricole e nei registri (articolo 146 del codice della navigazione), ovvero nel Registro internazionale (articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457), per gli armatori che ne assumano l’esercizio ai sensi dell’articolo 265 del Codice della Navigazione (che individua i requisiti per conseguire il titolo di capitano superiore di macchina), secondo le previsioni di cui all’articolo 34, comma 46, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (che prevede la destinazione degli introiti derivanti da convenzioni stipulate dal Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera per l'implementazione dei servizi al bilancio dello Stato per essere interamente riassegnati al fondo per le esigenze delle Capitanerie di Porto) e con modalità e procedure fissate con il decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti per l'erogazione dei servizi AIS.

 

A tal fine, l'autorizzazione di spesa di cui all’articolo 2, comma 99, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007, relativa allo sviluppo e all’ammodernamento della componente aeronavale e del sistema di comunicazione delle capitanerie di porto), è incrementata per l’importo di 8 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2016 al 2020.

Il comma 4-ter reca quindi la copertura finanziaria di tali oneri, pari ad 8 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2016 al 2020, mediante corrispondente riduzione dell’accantonamento del Fondo speciale di conto capitale relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 


 

Articolo 1-bis
(Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni)

 

 

L’articolo, introdotto nel corso dell’esame in sede referente del decreto legge presso il Senato, reca una serie di semplificazioni in materia agricola.

Semplificazioni amministrative per gli agricoltori che utilizzano depositi petroliferi (comma 1)

Il comma 1 dispone che gli imprenditori agricoli che utilizzano depositi di prodotti petroliferi di capienza non superiore a 6 metri cubi, anche muniti di erogatore, ai sensi dell'articolo 14, commi 13-bis e 13-ter, del D.Lgs. n. 99/2004 non sono tenuti agli adempimenti procedurali sulla disciplina della prevenzione degli incendi previsti dal regolamento di cui al D.P.R. n. 151/2011[6].

Si ricorda che l’articolo 4, comma 13-bis, del D.lgs. n. 99/2004, dispone che i depositi di prodotti petroliferi impiegati dall’imprenditore agricolo nell'esercizio delle proprie attività e ubicati all'interno delle aziende agricole, ancorché attrezzati come impianti per il rifornimento delle macchine agricole, e quelli impiegati nell'esercizio delle attività agromeccaniche, ubicati all'interno delle medesime imprese agromeccaniche, non sono soggetti alle disposizioni sulla distribuzione e lo stoccaggio di carburanti di cui al D.Lgs. n. 32/1998 (ora D.Lgs. n. 249/2012).

Il successivo comma 13-ter dispone che ai depositi di cui sopra, qualora essi abbiano capacità geometrica non superiore a 25 metri cubi, continuano ad applicarsi quanto previsto dal:

§  D.M. 27 marzo 1985 il quale include i depositi di capienza inferiore a 25 metri cubi nell'elenco dei depositi e industrie pericolosi soggetti alle visite e controlli di prevenzione incendi previsti dal D.M. 16 febbraio 1982. Si osserva in proposito che tale il D.M. 16 febbraio 1982 è stato abrogato dal D.P.R. n. 151/2011. La disciplina in esso contenuta è ora prevista nell’allegato 1 del medesimi D.P.R. n. 151, il quale reca l’Elenco delle attività soggette alle visite e ai controlli di prevenzione incendi.

§  D.M. 19 marzo 1990, che reca specifiche norme per il rifornimento di carburanti, a mezzo di contenitori-distributori mobili, per macchine in uso presso aziende agricole, cave e cantieri.

Si segnala che il comma 1 ripropone con talune modifiche il contenuto dell’articolo 1, comma 4 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, all’esame del Senato.

Semplificazioni degli adempimenti sull’igiene degli alimenti (comma 2)

Ai sensi del comma 2, si considera assolto l'obbligo di registrazione presso l'autorità territorialmente competente in materia igienico-sanitaria, previsto dall’articolo 6 del regolamento (CE) n. 852/2004[7], sull'igiene dei prodotti alimentari qualora le imprese agricole siano in possesso per l'esercizio dell'attività di autorizzazioni o nulla osta sanitario, di registrazione o di comunicazione inizio attività d'impresa.

Si segnala che il comma 2 ripropone nel contenuto l’articolo 1, comma 3 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, all’esame del Senato.

Esenzione dall’obbligo di tenuta del fascicolo aziendale per coloro che producono olio destinato all’autoconsumo (comma 3)

Il comma 3 integra l'articolo 16 della legge n. 9/2013 sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, con un due nuovi commi 3-bis-3-ter.

L'articolo 16 rende obbligatori l’istituzione e l’aggiornamento del fascicolo aziendale da parte di tutti i produttori di oli vergini, extravergini e lampanti e fissa inoltre le sanzioni in caso di inadempienza[8]. Il fascicolo deve essere costituito per tutti i soggetti pubblici e privati, identificati dal Codice Fiscale (CUAA), esercenti attività agricola, agroalimentare o forestale, che intrattengano a qualsiasi titolo rapporti con la Pubblica Amministrazione centrale o regionale. Il fascicolo è gestito dalla società SIN (partecipata al 51% da AGEA).

Per agevolare i controlli sulla commercializzazione dell'olio di oliva, il D.M. 10 novembre 2009 ha introdotto l’obbligo - per i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso - di tenere un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale vanno annotate le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell'olio extra vergine di oliva e dell'olio di oliva vergine.

In particolare, il nuovo comma 3-bis esenta dall'obbligo di tenere e aggiornare il fascicolo aziendale gli olivicoltori che producono olio destinato all'autoconsumo o comunque in quantità inferiore ai 250 kg all'anno.

Ai sensi del nuovo comma 3-ter, quanto previsto dal comma 3-bis e dai restanti commi dell’articolo 16 sulla tenuta del fascicolo aziendale non si applicano agli oli legalmente prodotti fuori dal territorio nazionale.

 

Si segnala che il comma 3 ripropone quanto contenuto nell’articolo 1, comma 5 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, attualmente all’esame del Senato.

Riduzione dei termini per i procedimenti amministrativi concernenti l’esercizio dell’attività agricola (comma 4)

Il comma 4 modifica l'articolo 14, comma 6, del D.Lgs. n. 99/2004[9], riducendo da 180 a 60 giorni, il termine entro il quale deve essere adottato - da parte della pubblica amministrazione nonché da parte degli enti pubblici economici procedenti - il provvedimento relativo alle istanze, concernenti l'esercizio dell'attività agricola, presentate per il tramite dei Centri autorizzati di assistenza agricola (CAA)[10].

I Centri abilitati di assistenza agricola, ai sensi della disposizione istitutiva recata dall'articolo 3-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 165/1999[11], sono società di capitali destinate a fornire attività di assistenza agli agricoltori, soprattutto nei loro rapporti con la pubblica amministrazione, ed in particolare:

§  nella elaborazione delle dichiarazioni di coltivazione e di produzione, delle domande di ammissione a benefìci comunitari, nazionali e regionali e controllare la regolarità formale delle dichiarazioni immettendone i relativi dati nel sistema informativo attraverso le procedure del SIAN,

§  nella tenuta e conservazione delle scritture contabili

I CAA sono costituiti dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, o da loro associazioni, da associazioni dei produttori e dei lavoratori, da associazioni di liberi professionisti e dagli enti di patronato e di assistenza professionale, che svolgono servizi analoghi, promossi dalle organizzazioni sindacali.

Requisiti minimi di garanzia e di funzionamento dei CAA sono fissati dal decreto 27 marzo 2008 ("Riforma dei centri autorizzati di assistenza agricola"), emanato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

Si segnala che il comma 4 ripropone il contenuto nell’articolo 3 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, attualmente all’esame del Senato.

Modalità di riparto della produzione agricola tra imprese aderenti a contratti di rete (comma 5)

Il comma 5 dispone che per le piccole e medie imprese agricole (così definite ai sensi del Reg.(CE) n. 800/2008[12]), nei contratti di rete, formati da imprese agricole singole ed associate, la produzione agricola derivante dall'esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l'attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete.

 

Si ricorda che le reti di impresa rappresentano forme di coordinamento di natura contrattuale tra imprese, particolarmente destinate alle PMI che vogliono incrementare la loro capacità competitiva senza ricorrere a fusioni o a unioni sotto il controllo di un unico soggetto.

Il D.L. n. 5/2009, all'articolo 3, commi 4-ter – espressamente richiamato nel testo del comma 5 in esame - e successivi commi, disciplina i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle imprese partecipanti e alle modalità di esecuzione dei contratti stessi.

Semplificazioni amministrative per i magazzini di deposito all’ingrosso di burro (comma 6)

Il comma 6 abroga l’articolo 6 della legge n. 1526/1956[13] al fine di eliminare, per i magazzini di deposito all’ingrosso di burro, la prescritta iscrizione presso le Camere di commercio e l’obbligo di preventiva comunicazione di gestione dei medesimi magazzini all'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari -ICQRF presso il Mipaaf, sia la comunicazione di chiusura e cancellazione dei depositi stessi alle medesime di Commercio.

 

L’articolo 6 dispone l’obbligo di regolare iscrizione dei magazzini di deposito all'ingrosso di burro presso le competenti Camere di commercio, industria ed agricoltura. Chiunque intenda gestire magazzini per l'esercizio del commercio all'ingrosso o per la conservazione del burro deve darne preventiva comunicazione all'Istituto incaricato della vigilanza competente per territorio, specificando la precisa ubicazione dei magazzini stessi. I titolari, gestori di magazzini devono comunicare preventivamente alla Camera di commercio, industria ed agricoltura ed all'Istituto di vigilanza competenti ogni trasferimento o chiusura dei magazzini stessi.

Dematerializzazione dei registri di carico e scarico di prodotti agroalimentari (commi 7-12)

Il comma 7 dispone la dematerializzazione e la realizzazione dei registri dei prodotti vitivinicoli nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), prevedendo che, in sede attuativa della misura in esame, vengano adottate modalità ulteriormente semplificate di compilazione dei registri dematerializzati, ivi compresi termini più favorevoli, per le aziende vitivinicole che producono meno di mille ettolitri di vino l'anno, prevalentemente con uve di produzione aziendale.

 

Il comma 7 richiama le disposizioni di cui all'articolo 38, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 436/2009[14], relativo alla disciplina europea sulla tenuta dei registri vitivinicoli, delle quali costituisce attuazione. In particolare, l’articolo 38, per ciò che concerne la costituzione dei dispone che essi sono: a) creati da un sistema informatico secondo le modalità adottate dalle autorità competenti degli Stati membri; il contenuto dei registri informatizzati è il medesimo dei registri cartacei; oppure b) costituiti da fogli fissi numerati in ordine progressivo; oppure

c) costituiti da appropriati elementi di contabilità moderna, riconosciuta dagli organismi competenti, a condizione che in essi figurino le indicazioni che devono essere contenute nei registri.

 

I commi 8-11 dispongono la dematerializzazione nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) dei seguenti registri di carico e scarico:

§  dei registri di carico e scarico relativi agli sfarinati e paste alimentari, nonché delle relative materie prime, destinati all’esportazione (comma 8).

Si tratta dei registri di cui all'articolo 12, comma 3, del D.P.R. n. 187/2001.Tale comma dispone che vanno annotati in un apposito registro di carico e scarico: le singole materie prime di base con requisiti diversi da quelli prescritti dalle norme contenute nel medesimo D.P.R. n. 187; nonché le sostanze delle quali non è autorizzato l'impiego per la produzione degli sfarinati e delle paste alimentari ai sensi dello stesso D.P.R. che, invece, si intendono utilizzare per la fabbricazione degli sfarinati e delle paste alimentari destinati all’esportazione. articolo ed i prodotti le cui caratteristiche e modalità di tenuta sono stabilite con decreto del MIPAAF.

§  dei registri di carico e scarico relativi alla materia prima impiegata nella produzione del burro e ai tipi di burro ottenuti, di cui all'articolo 1, sesto comma, della legge n. 1526/1956.

Per coordinamento normativo con la previsione in esame, si modifica il citato articolo 1 della legge n. 1526/1956, abrogandone il settimo comma, il quale attualmente dispone la preventiva vidimazione del registro dal Capo dell'istituto di vigilanza per la repressione delle frodi del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, competente per territorio, o da un funzionario da esso delegato, nonché si elimina – al sesto comma del citato articolo 1 - l’obbligo di annotazione giornaliera sul medesimo registro (comma 9).

§  dei registri di carico e scarico per i produttori, importatori e grossisti di saccarosio, glucosio e isoglucosio di cui al comma 1 dell'articolo 28 della legge n. 82/2006 impiegati nel settore vitivinicolo.

Si consideri in proposito che l’articolo 2, lettera g) del decreto-legge già modifica l’articolo 28 della legge n. 82/2006, rimuovendo l’obbligo per i produttori, importatori e grossisti di saccarosio, glucosio e iso glucosio di far sì che i registri di carico e scarico siano composti da fogli progressivamente numerati (comma 10).

§  dei registri di carico e scarico per il latte in polvere (comma 11). A tal fine, vengono sostituiti gli articoli 2 e 3 della legge n. 138/1974, con una nuova disciplina secondo la quale:

-      le informazioni relative all'introduzione sul territorio nazionale di latte in polvere, registrate nei sistemi informativi del Ministero della salute, devono essere messe a disposizione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – ICQRF (nuovo articolo 2);

L’attuale articolo 2 della legge n. 138 obbliga invece chi importa latte in polvere di comunicare, all'atto dello sdoganamento, alla dogana e, a mezzo lettera raccomandata, all'istituto di vigilanza del MIPAAF competenti per territorio, la destinazione, ad uso zootecnico o ad uso alimentare umano, del latte stesso.

-      i produttori, gli importatori, i grossisti e gli utilizzatori di latte in polvere o altri latti comunque conservati devono tenere aggiornato un registro di carico e scarico e tale registro è dematerializzato nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) (nuovo articolo 3).

L’attuale articolo 3 della legge n. 138 dispone che i produttori, gli importatori, i grossisti e gli utilizzatori di latte in polvere o altri latti comunque conservati devono tenere aggiornato un registro di carico e scarico con fogli progressivamente numerati e vidimati, prima dell'uso, dall'istituto di vigilanza del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, competente per territorio.

Tali registri devono essere conservati per un periodo non inferiore a tre anni dalla data dell'ultima registrazione ed essere esibiti ad ogni richiesta degli addetti alla vigilanza. Coloro che detengono soltanto latti chiusi in confezioni originali di peso non superiore ad 1 chilogrammo, sono esentati dall'obbligo del registro di carico e scarico di cui al presente articolo.

 

Il comma 12 contiene una clausola di invarianza finanziaria secondo la quale all'attuazione dei commi da 7 a 11 si provvede con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di natura non regolamentare - da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame - nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Fino all'entrata in vigore dei decreti attuativi, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti.

Abrogazione art. 59-bis del D.L. n. 83/2012 sui sistemi di sicurezza contro le contraffazioni dei prodotti agricoli e alimentari (comma 13)

Il comma 13 abroga l'articolo 59-bis del D.L. n. 83/2012, relativo ai sistemi di sicurezza contro le contraffazioni dei prodotti agricoli e alimentari, il quale demanda al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze, l’adozione di un regolamento – che avrebbe dovuto essere emanato entro il 12 febbraio 2013 - per la definizione delle modalità per l'integrazione dell'etichettatura dei prodotti agricoli e alimentari con sistemi di sicurezza realizzati dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, basati prioritariamente su elementi elettronici o telematici, anche in collegamento con banche dati.

Semplificazioni per l’agricoltura in zone di montagna (commi 14 e 15)

Il comma 14 dispone l’esonero dall’obbligo di disporre del titolo di conduzione - ai fini della costituzione del fascicolo aziendale[15] - per i soggetti iscritti all’anagrafe delle aziende agricole che operano su terreni agricoli contraddistinti da particelle fondiarie di estensione inferiore a 5.000 metri quadrati, site in comuni montani, ricompresi nell'elenco delle zone svantaggiate di montagna delimitate ai sensi dell’art. 32 del reg. UE n.1305/2013.

Il comma dunque elimina la previsione dell’obbligo di inserire nel fascicolo aziendale il titolo di conduzione per quelle particelle di terreni di montagna al di sotto dei 5.000 metri quadri.

 

Il comma 15 demanda alle regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano l’individuazione di percorsi preferenziali per la pastorizia transumante nell'ambito dei ripari, degli argini e delle loro dipendenze, nonché delle sponde, scarpe e banchine dei corsi d'acqua e dei pubblici canali e loro accessori.

Ciò in deroga a quanto previsto:

§  dall'articolo 96, primo comma, lettera i), R.D. n. 523/1904, che vieta in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori;

§  dall'articolo 134, primo comma, lettera f), R.D. n. 368/1904, che vieta nelle opere di bonificazione a chi non ne ha ottenuta regolare concessione o licenza il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e sulle loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe e banchine dei corsi d'acqua e loro accessori e delle strade; e l'abbeveramento di animali e bestiame d'ogni specie, salvo dove esistono abbeveratoi appositamente costruiti.

 

Quanto sopra è disposto a condizione che ciò non costituisca rischio per la tenuta delle predette opere e tenendo in considerazione le condizioni meteorologiche e idrografiche, le modalità di costruzione, e di manutenzione delle medesime, il carico e il tipo di bestiame e ogni altra caratteristica dei percorsi.

Semplificazioni in materia di controlli sanitari (comma 16)

Il comma 16 reca una norma di interpretazione autentica di quanto previsto alla sezione 6 dell'Allegato A al D.Lgs. n. 194/2008, relativo ai controlli sanitari ufficiali eseguiti dalle autorità competenti per la verifica della conformità alla normativa sui mangimi e gli alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (titolo II del Reg. (CE) n. 882/2004).

Si ricorda che l’allegato A riporta le tariffe applicabili per i controlli sanitari ufficiali effettuati negli stabilimenti nazionali e la Sezione 6 fa riferimento a specifiche tipologie di stabilimenti che svolgono la loro attività prevalente all’ingrosso, tra i quali i depositi alimentari.

Secondo il comma 16 in esame le parole: "depositi alimentari" si interpretano nel senso che non sono considerati tali gli stabilimenti utilizzati dalle cooperative di imprenditori agricoli e dai consorzi agrari per la fornitura di servizi agli imprenditori agricoli.

Semplificazioni per l’immatricolazione e l’utilizzo delle macchine agricole (comma 17 e comma 21)

Il comma 17 riconosce la possibilità alle organizzazioni professionali agricole ed agromeccaniche maggiormente rappresentative a livello nazionale - nell'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione delle macchine agricole - di attivare le procedure di collegamento al sistema operativo di prenotazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai fini dell'immatricolazione e della gestione delle situazioni giuridiche inerenti la proprietà delle macchine agricole.

L’articolo 107, comma 1, del codice della Strada (decreto legislativo n. 285/1992) prevede che le macchine agricole siano soggette all'accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore e della corrispondenza alle prescrizioni tecniche ed alle caratteristiche disposte a norma di legge. Recentemente, l’art. 45 del D.L. n. 69/2013 ha previsto che l’accertamento di tali dati di identificazione possa avvenire non solo da parte del Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma anche da parte delle strutture o degli enti in possesso dei requisiti, da definire con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole.

Si ricorda che per le macchine agricole è stata prevista la revisione obbligatoria secondo le nuove disposizioni introdotte dal D.L. n. 179/2012, che ha sostituito l’articolo 111, comma 1 del Codice della strada. Le nuove disposizioni prevedono che con decreto da emanare entro il 31 dicembre 2014 (il termine per l’adozione era fissato originariamente al 28 febbraio 2013, ma è stato differito in sede di conversione dall’art. 5, co. 2 del D.L. n. 150/2013), si debba disporre la revisione obbligatoria delle macchine agricole soggette ad immatricolazione a norma dell'articolo 110 del codice della strada, al fine di accertarne lo stato di efficienza e la permanenza dei requisiti minimi di idoneità per la sicurezza della circolazione. Con il medesimo decreto deve essere disposta, a far data dal 1° gennaio 2015, la revisione obbligatoria delle macchine agricole in circolazione soggette ad immatricolazione in ragione del relativo stato di vetustà e con precedenza per quelle immatricolate antecedentemente al 1° gennaio 2009. Dovranno inoltre essere stabiliti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i criteri, le modalità ed i contenuti della formazione professionale per il conseguimento dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole (cfr. il successivo comma 21).

 

Il comma 17 demanda quindi ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. la definizione delle modalità tecniche di collegamento con il Centro elaborazione dati del Ministero stesso e le relative modalità di gestione.

Il comma 21 elimina la necessità dell’apposita abilitazione, richiesta agli operatori per l’utilizzo di macchine agricole, per i soggetti titolari da almeno due anni di una patente A1, ovvero B, ovvero C1, di cui Codice all'articolo 124, comma 1, del Codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992).

 

Per quanto riguarda l’abilitazione degli operatori questa è prevista in generale per l’utilizzo delle attrezzature di lavoro dall'articolo 73, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008, citato nel testo, in base al quale, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuate le particolari attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione e le condizioni considerate equivalenti alla specifica abilitazione. In attuazione di tale previsione è stata adottato l’Accordo CSR del 22 febbraio 2012, n. 53, nel quale si fa riferimento, tra l’altro ai trattori agricoli e forestali. Peraltro una norma specifica è stata recentemente introdotta nell’ art. 111 del Codice della Strada dove si è espressamente previsto che con apposito decreto ministeriale, da emanarsi entro il 31 dicembre 2014, siano stabiliti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i criteri, le modalità ed i contenuti della formazione professionale per il conseguimento dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole.

 

Si ricorda che l’articolo 124, comma 1, del Codice della Strada dispone inoltre che per guidare macchine agricole, escluse quelle con conducente a terra, nonché macchine operatrici, escluse quelle a vapore, che circolano su strada, occorre avere ottenuto una delle patenti di cui all'articolo 116, comma 3, e precisamente:

a)  della categoria A1, per la guida delle macchine agricole o dei loro complessi che non superino i limiti di sagoma e di peso stabiliti dall'articolo 53, comma 4, e che non superino la velocità di 40 km/h;

b)  della categoria B, per la guida delle macchine agricole, diverse da quelle di cui alla lettera a), nonché delle macchine operatrici;

c)  della categoria C1, per le macchine operatrici eccezionali.

Speciali regole sono state introdotte con decreto ministeriale 14 febbraio 2014 per la guida di macchine agricole da parte di soggetti portatori di handicap e titolari di patenti speciali.

Interventi in materia di protezione contro l'introduzione e diffusione di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali (comma 18)

Il comma 18 interviene sulla disciplina relativa alle misure di protezione contro l'introduzione e la diffusione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali, contenuta nel D.Lgs. n. 214/2005, ed in particolare modifica l’articolo 19, relativo all’autorizzazione rilasciata dai Servizi fitosanitari regionali competenti ad una serie di soggetti.

Il comma in esame dispone che la predetta autorizzazione è rilasciata, quale condizione per l’esercizio dell’attività degli stessi, a coloro che commercializzano – anziché come attualmente previsto dalla norma che applicano - il marchio di cui all'ISPM 15 della FAO, relativo alla regolamentazione internazionale del materiale da imballaggio in legno.

 

Conseguentemente, il medesimo comma 18 modifica la relativa norma sanzionatoria – contenuta all'articolo 54, comma 11 del medesimo D.Lgs. al fine di prevedere che essa si applica a chiunque commercializzi imballaggi con il marchio IPPC/FAO senza la specifica autorizzazione.

Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dal comma 11 è costituita dal del pagamento di una somma da 1.500 euro a 9.000 euro.

 

Si ricorda che nell’ambito della normativa internazionale per le misure fitosanitarie, opera il ISPM n. 15. La norma internazionale FAO per le misure fitosanitarie n. 15 sugli orientamenti per la regolamentazione del materiale da imballaggio in legno negli scambi internazionali comprende misure fitosanitarie concernenti il materiale da imballaggio in legno, in forma di casse, gabbie, fusti per imballaggio, palette, piattaforme di carico, spalliere di palette e paglioli, destinate a ridurre il rischio di introduzione e/o diffusione di parassiti da quarantena associati al materiale da imballaggio in legno grezzo di conifere o altro, utilizzato negli scambi internazionali.

Il materiale da imballaggio in legno contemplato nella norma in esame comprende il pagliolo, ma esclude il materiale da imballaggio in legno prodotto utilizzando legname lavorato tale da essere privo di organismi nocivi (es. legno compensato).

Le misure fitosanitarie comprendono una serie di procedure ufficiali unitamente ai trattamenti e marcatura del materiale da imballaggio in legno. L’apposizione del marchio rende superfluo l’utilizzo di un certificato fitosanitario, in quanto indica che le misure fitosanitarie accettate a livello internazionale sono state applicate.

Consorzi di tutela per le bevande spiritose (comma 19)

Il comma 19 consente la costituzione e il riconoscimento da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di un consorzio di tutela per le bevande spiritose.

 

Ciò è disposto al fine di assicurare la piena integrazione - per ciascuna indicazione geografica (IG) di cui all'allegato III del Regolamento (CE) n. 110/2008 relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all'etichettatura e alla protezione delle IG delle bevande spiritose - con la disciplina nazionale in materia di indicazioni geografiche dei prodotti agroalimentari e dei vini in esecuzione dei relativi Regolamenti europei.

 

Si ricorda in proposito che la disciplina relativa ai regimi di qualità dei prodotti agricoli ed alimentari, che in sede europea è considerata quale complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell’ambito della politica agricola comune (PAC), è contenuta in primis nel Regolamento (UE) n. 1151/2012, entrato in vigore il 3 gennaio 2013, che ha abrogato i previgenti Regolamenti (CE) n. 509/2006 e (CE) n. 510/2006, concernenti i prodotti DOP e IGP, e a Specialità Tradizionali.

La disciplina sulla tutela della qualità dei prodotti prevista dal Regolamento n. 1151/2012 non si applica, per esplicita previsione dello stesso provvedimento (articolo 2):

§  ai vini e ai prodotti vitivinicoli, per i quali trovano specifica applicazione le norme sulla tutela della qualità relative al Regolamento (UE) n. 1308/2013, fatta eccezione che per gli aceti di vino. Tali norme sono descritte nel capitolo successivo;

§  alle bevande spiritose, per le quali trova applicazione la disciplina sulla protezione delle indicazioni geografiche contenuta nel Regolamento (CE) n. 110/2008.

 

Quanto alle bevande spiritose (quali rum, whisky etc.), per «indicazione geografica», ai sensi dell’articolo 15 del Reg. n. 110/2008, si intende un’indicazione che identifichi una bevanda spiritosa come originaria del territorio di un paese, o di una regione o località di detto territorio, quando una determinata qualità, la rinomanza o altra caratteristica della bevanda spiritosa sia essenzialmente attribuibile alla sua origine geografica. Le indicazioni geografiche devono essere registrate nell’allegato III del medesimo Regolamento e quando sono contenute in tale allegato non possono diventare generiche.

 

Con decreto di natura non regolamentare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono emanate disposizioni generali in materia di costituzione e riconoscimento dei consorzi di tutela.

Norma di interpretazione autentica sulle competenze degli iscritti nell'albo degli agrotecnici (comma 19)

Il comma 20 reca una norma di interpretazione autentica dell’articolo 11, della legge n. 251/1986, relativo alle competenze degli iscritti nell'albo professionale degli agrotecnici, ed in particolare, del comma 1, lettera c) di tale articolo, il quale dispone che l’iscrizione all’albo consente l'assistenza tecnico-economica agli organismi cooperativi ed alle piccole e medie aziende compresa la progettazione e direzione di piani aziendali ed interaziendali, anche ai fini della concessione dei mutui fondiari, nonché le opere di trasformazione e miglioramento fondiario

 

Ai sensi dell’articolo 20, tale norma si interpreta nel senso che sono anche di competenza degli iscritti nell'albo degli agrotecnici le attività di progettazione e direzione delle opere di trasformazione e miglioramento fondiario, sia agrario che forestale.

 


 

Articolo 1-ter
(Istituzione del sistema di consulenza aziendale in agricoltura)

 

 

L’articolo in esame prevede l’istituzione di quadro nazionale omogeneo in materia di consulenza aziendale in agricoltura, previsto come sistema dall’articolo 12 del Reg. (UE) n. 1306/2013, sul finanziamento, sulla gestione e sul monitoraggio della politica agricola comune.

 

L’articolo 12 del Reg. (UE) n. 1306/2013 dispone che gli Stati membri istituiscono un sistema di consulenza aziendale sulla conduzione del terreno e dell'azienda per i beneficiari dei contributi PAC (cd. "sistema di consulenza aziendale").

Il sistema è finalizzato in sostanza ad aiutare i predetti beneficiari al rispetto degli obblighi previsti all’interno del sistema di condizionalità agli aiuti dal medesimo Reg. 1306/2013. Il meccanismo della condizionalità comporta, infatti, una serie di oneri amministrativi a carico dei beneficiari e delle amministrazioni nazionali, perché devono essere tenuti registri, effettuati controlli e, se necessario, applicate sanzioni.

Il sistema di consulenza è dunque funzionale rispetto all’osservanza di tali obblighi e deve essere gestito da organismi pubblici designati e/o organismi privati selezionati.

Ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 12, il sistema di consulenza aziendale contempla come minimo:

a)  gli obblighi a livello di azienda risultanti dai criteri di gestione obbligatori e dalle norme per il mantenimento del terreno in buone condizioni agronomiche e ambientali, ai sensi di quanto previsto dal medesimo Regolamento (titolo VI, capo I e allegato II).

b)  le pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente e per il mantenimento della superficie agricola stabilite ai fini dei pagamenti diretti nell’ambito PAC dal relativo Reg. UE n. 1307/2013 (Titolo III, capo 3) e articolo 4, par. 1, lett. c));

c)  misure a livello di azienda previste dai programmi di sviluppo rurale volte all'ammodernamento aziendale, al perseguimento della competitività, all'integrazione di filiera, all'innovazione e all'orientamento al mercato nonché alla promozione dell'imprenditorialità;

d)  i requisiti a livello di beneficiari adottati dagli Stati membri per attuare le misure di base in materia di protezione delle acque, previste l'articolo 11, par. 3, Dir.2000/60/CE;

e)  i requisiti a livello di beneficiari che sono stati adottati dagli Stati membri sul corretto uso dei prodotti fitosanitari, di cui all'art. 55 del Reg. (CE) n. 1107/2009, in particolare sull'obbligo di difesa fitosanitaria a basso apporto di pesticidi, cui all'articolo 14 della direttiva 2009/128/CE.

 

Il sistema di consulenza aziendale può inoltre contemplare in particolare:

a)  la promozione delle conversioni aziendali e la diversificazione della loro attività economica;

b)  la gestione del rischio e l'introduzione di idonee misure preventive contro i disastri naturali, gli eventi catastrofici e le malattie degli animali e delle piante;

c)  i requisiti minimi previsti dalla normativa nazionale per dar luogo ai pagamenti agro-climatici- ambientali e per il sostegno all’agricoltura biologica nell’ambito del FEASR (indicati all'art. 28, par. 3, e all'art. 29, par. 2, del relativo Reg. (UE) n. 1305/2013);

d)  le informazioni relative alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all'adattamento ai medesimi, alla biodiversità e alla protezione delle acque di cui all'allegato I del presente regolamento.

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, il sistema di consulenza deve contemplare almeno gli ambiti operativi, sopra indicati e commentati, previsti dalla normativa europea citata e gli aspetti concernenti la competitività dell’azienda agricola, zootecnica e forestale, incluso il benessere e la biodiversità animale, nonché i profili sanitari delle pratiche zootecniche.

 

Ai sensi del comma 3, lo svolgimento dell’attività di consulenza deve essere chiaramente separato dall’attività di controllo dei procedimenti amministrativi e tecnici per l’erogazione di finanziamenti pubblici all’agricoltura.

Ai sensi del comma 4, i consulenti che operano nel sistema, devono possedere qualifiche adeguate ovvero ricevere una adeguata formazione di base e di aggiornamento, in relazione agli ambiti operativi del sistema stesso.

 

Il comma 5 demanda ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali la definizione:

§  dei criteri che garantiscono il rispetto del principio di separatezza delle due funzioni di consulenza e controllo, sopra indicate;

§  le procedure omogenee per la realizzazione delle attività di formazione e aggiornamento dei consulenti;

§  le modalità di accesso al sistema di consulenza aziendale che tenga conto delle caratteristiche specifiche di tutti i comparti produttivi del settore agricolo, zootecnico e forestale;

§  l’istituzione, presso il MIPAAF, del Registro unico nazionale degli organismi di consulenza e del sistema di certificazione di qualità nazionale sull’efficacia ed efficienza dell’attività di consulenza svolta. L’istituzione deve avvenire nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il decreto deve essere adottato di concerto con il Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame.

 

Ai sensi del comma 6, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano selezionano gli organismi di consulenza aziendale.

 

E’ richiamato a tal fine, l’articolo 15, par. 3, del Reg. (UE) n. 1305/2013. Tale regolamento, per il periodo di programmazione 2014-2020, contiene la disciplina di sostegno europeo allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Tale sostegno europeo, per l’Italia ammonta – nel periodo di programmazione 2014-2020- a complessivi 10,4 miliardi di euro ai quali si aggiunge il cofinanziamento nazionale (pari ad ulteriori 10,4 miliardi di euro), ripartiti per obiettivi tematici.

In particolare, il Titolo III, capo I, indica le misure di sviluppo rurale oggetto di sostegno, e tra queste, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 13 e dell’allegato VI del medesimo regolamento, rientrano anche i “Servizi di consulenza, di sostituzione e di assistenza alla gestione delle aziende agricole”, secondo importi massimi di sostegno fissati nell’Allegato II del medesimo Regolamento.

L’articolo 15 dispone al paragrafo 1 che il sostegno è concesso allo scopo di:

a)  aiutare gli agricoltori, i giovani agricoltori, gli altri gestori del territorio e le PMI insediate nelle zone rurali ad avvalersi di servizi di consulenza per migliorare le prestazioni economiche e ambientali, il rispetto del clima e la resilienza climatica della loro azienda agricola, impresa e/o investimento;

b)  promuovere l'avviamento di servizi di consulenza aziendale, di sostituzione e di assistenza alla gestione delle aziende agricole, nonché di servizi di consulenza forestale, compreso il sistema di consulenza aziendale di cui al Reg. (UE) n. 1306/2013;

c)  promuovere la formazione dei consulenti.

Il beneficiario del sostegno di cui alle lettere a) e c) è il prestatore di servizi di consulenza o di formazione e il sostegno è concesso all'autorità o all'organismo selezionato per avviare il servizio di consulenza aziendale, di sostituzione, di assistenza alla gestione delle aziende agricole o di consulenza forestale.

 

Infine, il comma 7 attribuisce ai Centri autorizzati di assistenza agricola (CAA) una ulteriore competenza, che consiste nell’accertare ed attestare fatti o circostanze di ordine meramente tecnico concernenti situazioni o dati certi relativi all’esercizio dell’attività di impresa.

Il comma dispone che tale competenza è svolta dai CAA a prescindere dalla convenzione tra gli organismi pagatori[16] e i CAA circa le competenze a questi delegate dai predetti organismi contenute nell’articolo 3-bis del D.Lgs. n. 165/1999.

Tale articolo viene pertanto novellato dal comma in esame attraverso l’aggiunta di una nuova lettera c-bis).

 

Si ricorda che l’ articolo 3-bis della legge n. 165/1999 dispone che gli organismi pagatori, fatte salve le specifiche competenze attribuite ai professionisti iscritti agli ordini e ai collegi professionali, possono, con apposita convenzione, incaricare «Centri autorizzati di assistenza agricola» (CAA) ad effettuare, per conto dei propri utenti e sulla base di specifico mandato scritto, le seguenti attività:

a)  tenere ed eventualmente conservare le scritture contabili;

b)  assisterli nella elaborazione delle dichiarazioni di coltivazione e di produzione, delle domande di ammissione a benefìci comunitari, nazionali e regionali e controllare la regolarità formale delle dichiarazioni immettendone i relativi dati nel sistema informativo attraverso le procedure del SIAN;

c)  interrogare le banche dati del SIAN ai fini della consultazione dello stato di ciascuna pratica relativa ai propri associati.

 

 


 

Articolo 1-quater
(Istituzione del Servizio integrato per la tutela del
patrimonio agroalimentare italiano)

 

 

L’articolo 1-quater, introdotto nel corso dell’esame al Senato, dispone l’istituzione presso il sistema delle Camere di commercio di un Servizio telematico integrato, a domanda individuale, rivolto a imprese e loro associazioni, consorzi, istituzioni ed enti pubblici territoriali, per il monitoraggio dei marchi di qualità delle produzioni agroalimentari italiane e la loro prima tutela. Il sistema si avvale dell’assistenza tecnico-legale sui mercati esteri (comma 1).

 

Per l’erogazione del servizio l’Unioncamere – la quale cura la piattaforma telematica di accesso e offerta - si avvale delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, della rete delle Camere di commercio italiane all’estero, degli uffici consolari, dell’ICE - Agenzia e delle ambasciate italiane (comma 2).

 

L’Unioncamere assicura il monitoraggio delle attività in corso realizzando le opportune iniziative per la messa in efficienza degli strumenti di tutela tecnico-legale all’estero.

 

I costi sostenuti dal Sistema camerale per l’erogazione del servizio telematico integrato sono a carico dei soggetti richiedenti.

 

In proposito, si ricorda che la legge di riordino delle Camere di Commercio prevede che al finanziamento del sistema camerale si provveda anche tramite i proventi derivanti dalla gestione di attività e dalla prestazione di servizi (legge 580/1993, articolo 18, comma 1, lettera b). Si segnala peraltro che, nel testo del D.L. 90/2014 in corso di conversione, è stato approvato in Commissione alla Camera un emendamento che prevede la fissazione da parte del MiSE di queste tariffe.

 


 

Articolo 2
(Semplificazioni per il settore vitivinicolo)

 

 

L’articolo 2, al comma 1, apporta modifiche varie alla legge 20 febbraio 2006, n. 82 che contiene norme per l’attuazione della normativa comunitaria concernente l’Organizzazione comune di mercato del vino (OCM vino), consentendo una serie di semplificazioni per gli operatori vitivinicoli.

Si ricorda in proposito che è in corso di esame presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, il progetto di legge A.C. 2236, recante “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”, il quale, tra l’altro, propone modifiche alla legge n. 82/2006, vertendo sugli stessi ambiti qui in esame.

 

In particolare, il comma 1, interviene sulla legge n. 82/2006:

§  operando una semplificazione delle procedure per la produzione di taluni prodotti vitivinicoli, quali la produzione di mosto cotto, eliminando a tale proposito la previa autorizzazione da parte dell’ufficio territoriale dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del MIPAAF e sostituendola con una previa comunicazione entro il quinto giorno antecedente alla lavorazione (lettera a) che novella l’articolo 3, comma 2 della legge)

§  estendendo alla preparazione di bevande spiritose[17] il regime già previsto (comunicazione preventiva di lavorazione) per la preparazione di bevande aromatizzate con l’utilizzo di saccarosio, alcol etilico e altri prodotti consentiti dalla normativa UE, (lettera b), punti 1 e 2, che modifica l’articolo 5, comma 1 della legge).

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge n. 82/2006, che la norma qui in esame ora estende anche alle bevande spiritose, la preparazione di mosti di uve fresche mutizzati con alcol, di vini liquorosi, di vini aromatizzati, di bevande aromatizzate a base di vino, di cocktail aromatizzati di prodotti vitivinicoli e di spumanti può essere fatta anche in stabilimenti dai quali si estraggono mosti o vini nella cui preparazione non è consentito l'impiego di saccarosio, dell'acquavite di vino, dell'alcol e di tutti quei prodotti invece consentiti dalla normative europea in materia di sostanze aromatizzate, ora contenuta nel nuovo Regolamento UE 251/2014 (che ha abrogato il Reg. UE. 1601/91)[18]. Ciò, soltanto a condizione che le lavorazioni siano preventivamente comunicate, entro il quinto giorno antecedente alla lavorazione, al competente ufficio periferico dell'Ispettorato centrale repressione frodi. Il saccarosio, l'acquavite di vino, l'alcol e gli altri prodotti consentiti dal citato regolamento UE, devono essere conservati in magazzini controllati dal predetto ufficio periferico, salvo che tali prodotti siano sottoposti alla vigilanza dell'autorità finanziaria; anche in tale caso, tuttavia, l'ufficio periferico può controllare i prodotti immagazzinati.

§  consentendo la detenzione, nei locali di un’impresa agricola che produce mosti o vini (il testo del decreto-legge prevedeva che i locali fossero intercomunicanti con quelli in cui si estraggono mosti o vini ottenuti dalla medesima impresa; al Senato tale specifica è stata soppressa) delle seguenti sostanze: acquavite, alcol e altre bevande spiritose; zuccheri in misura superiore a 10 Kg e soluzioni; sciroppi, bevande e succhi diversi dal mosto e dal vino, aceti, nonché sostanze zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall'uva fresca; uve passite o secche o sostanze da esse derivanti[19]. La detenzione – altrimenti vietata secondo la normativa vigente - è consentita solo a condizione che tali prodotti siano ottenuti esclusivamente dall’attività di coltivazione, silvicoltura e allevamento svolte dall’impresa oppure impiegati nella preparazione di alimenti costituiti prevalentemente da prodotti agricoli ottenuti dalle medesime attività. In tali casi la detenzione è soggetta ad una preventiva comunicazione da inviarsi, anche per via telematica – secondo una specifica aggiunta nel corso dell’esame presso il Senato - al competente ufficio dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (lettera c) che introduce il nuovo comma 3-bis dell’articolo 6);

§  semplificando l’istituzione da parte delle distillerie dei centri di raccolta temporanei fuori fabbrica dei sottoprodotti della vinificazione, eliminando in proposito la previa autorizzazione da parte del competente ufficio periferico dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi del MIPAAF e sostituendola con una previa comunicazione, da inviarsi al predetto ufficio (lettera d), punto 1) che novella il comma 3 dell’articolo 14);

§  eliminando il limite dei cinque giorni entro i quali comunicare la detenzione di vinacce destinate ad altri usi industriali, diversi dalla distillazione (compresa l'estrazione dell'enocianina) all'ufficio periferico dell'Ispettorato centrale repressione frodi competente in base al luogo di detenzione delle vinacce (lettera d), punto 2) che novella il comma 4 dell’articolo 14);

§  prevedendo che per gli aceti di vino preparati con metodo artigianale, a lunga maturazione, il limite dell’1,5 per cento in volume è elevato a 4 per cento in volume (lettera d)-bis, introdotta nel corso dell’esame al Senato che aggiunge un nuovo comma 3-bis all’articolo 16). In sostanza, si consente di considerare come aceto i preparati con volume alcolico fino al 4 per cento se prodotti con metodo tradizionale e artigianale;

§  apportando talune semplificazioni al regime delle sostanze ammesse per uso enologico:

-      si conferma che è consentito detenere negli stabilimenti enologici, vendere per uso enologico e impiegare in enologia soltanto le sostanze espressamente permesse dalle vigenti norme nazionali e comunitarie, ma viene soppresso l’ulteriore vincolo per cui le sostanze ammesse devono rispondere alle caratteristiche di purezza determinate con decreto del MIPAAF (lettera e), punto 1) che modifica il comma 1 dell’articolo 25);

-      si abroga la previsione che demanda ad un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro della salute, la definizione delle norme sulla produzione, confezionamento, conservazione ed etichettatura di sostanze destinate ad uso enologico e la previsione che demanda al Mipaaf il rilascio dell’autorizzazione alla produzione e alla commercializzazione dei citati preparati (lettera e), punto 2) che abroga i commi 2 e 3 dell’articolo 25).

La relazione illustrativa afferma che in tal modo viene meno una disciplina, in tema di autorizzazione alla produzione delle sostanze impiegate in enologia già considerate ammissibili dal legislatore europeo, per la quale il MiPAAF non aveva mai proceduto alla disciplina attuativa

-      per coordinamento normativo, viene adeguata la norma sanzionatoria delle violazione delle prescrizioni in materia di sostanze ammesse, eliminando il richiamo ai decreti ministeriali soppressi (lettera h), punto 1, che sostituisce il comma 11 dell’articolo 35).

-      abrogando la norma sui prodotti per l’igiene della cantina e la relativa norma che ne sanziona la violazione (lettera f) che abroga l’articolo 26 e lettera h), punto 2, che abroga il comma 12 dell’art. 35).

La norma sui prodotti per l’igiene della cantina, contenuta nell’articolo 26 ora abrogato, demandava ad un decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro della salute, l’individuazione delle sostanze e dei prodotti utilizzabili per la pulizia e per il risanamento dei recipienti di prodotti vinosi, nonché degli attrezzi, delle pareti, dei pavimenti e degli accessori di cantina. Mentre, il comma 12 dell’art. 35, anch’esso abrogato, stabiliva che la violazione di quanto previsto dall’articolo 26 fosse punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da 150 euro a 1.500 euro.

§  modificando la disciplina dei registri di carico e scarico per i produttori, importatori e grossisti di saccarosio, glucosio e isoglucosio, al fine di rimuovere l’obbligo che il registro sia composto da fogli progressivamente numerati sui quali sono annotate le relative operazioni (lettera g) che modifica l’articolo 28).

La misura in esame va letta in combinato disposto con quanto ora previsto dalla norma del provvedimento in esame, come introdotto al Senato, il quale prevede la dematerializzazione del registro di cui sopra e dei registri dei prodotti vitivinicoli.

§  abrogando la disciplina della diffida per le infrazioni minori, prevista dall’articolo 43.

Tale abrogazione è motivata dall’introduzione di una nuova disciplina sulla diffida estesa a tutti gli illeciti agroalimentari puniti con sanzioni amministrative pecuniarie, di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legge in esame.

Nel corso dell’esame presso il Senato sono stati aggiunti all’articolo 2 in esame due ulteriori commi:

§  il comma 1-bis prevede che per i titolari di stabilimenti enologici con una produzione inferiore a 50 ettolitri, l’obbligo di tenuta del registro può considerarsi assolto con la presentazione della dichiarazione di produzione e di giacenza;

Secondo quanto previsto dall’art. 36 del reg. CEE 436/2009, le persone che detengono prodotti del settore vitivinicolo per l'esercizio della loro professione sono soggette all'obbligo di tenere i “registri” che indichino le entrate e le uscite del prodotto.

§  il comma 1-ter modifica la normativa in vigore (articolo 8, D.Lgs. n. 61/2010) nella parte relativa al divieto di utilizzo delle denominazioni DOCG, DOC e IGT per i vini ottenuti da vitigni non classificati idonei alla coltivazione o che derivano da ibridi interspecifici tra la vitis vinifera e le altre specie americane o asiatiche. Tale divieto resta riferito alle denominazioni DOCG e DOC mentre per le IGT si specifica che è consentito l’uso non solo delle varietà in osservazione (già previsto) ma anche delle varietà di vite iscritte nel Registro nazionale delle varietà di vite da vino.

 

La disciplina dell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo
nel nuovo Regolamento (UE) 1308/2012

La normativa generale della Organizzazione Comune del Mercato del vino è inserita nella generale disciplina dell’Organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (cd. OCM Unica), di cui al nuovo Regolamento (UE) 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, il quale sostituisce il precedente Regolamento n. 1234/2007, delegando la Commissione all’adozione di una serie di regole applicative.

Per quanto specificamente concerne i prodotti vitivinicoli e i profili in questa sede più propriamente attinenti, il nuovo regolamento UE mantiene l’impianto sostanziale della normativa precedente, tranne che per taluni limitati, ma rilevanti, aspetti.

Gestione degli impianti viticoli

Il nuovo regolamento pone fine al divieto di impianto di nuovi vigneti, in ragione del conseguimento degli obiettivi principali della riforma del 2008 dell’OCM vino, dati dalla riduzione dell'eccedenza strutturale nella produzione vinicola e dal progressivo miglioramento della competitività del settore. Il nuovo sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli, contenuto nella Parte II, Titolo I, Capo III del Regolamento, che trova applicazione dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2030 (articolo 61), prevede che gli Stati membri mettano a disposizione ogni anno autorizzazioni per nuovi impianti in misura pari all'1% della superficie vitata totale nel loro territorio. Viene comunque consentito di applicare percentuali inferiori o di limitare il rilascio di autorizzazioni a livello regionale per specifiche zone ammissibili alla produzione di vini DOP, alla produzione di vini IGP, oppure per zone senza un'indicazione geografica, con comunicazione motivata da notificarsi alla Commissione (articoli 62-63)[20].

Agli Stati membri che attuano il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli sopra descritto o un programma di sostegno nazionale è fatto obbligo, a decorrere al 1° gennaio 2016, di tenere lo schedario viticolo contenente le informazioni aggiornate sul potenziale produttivo. Ciò ai sensi articolo 145, che sostituisce la precedente disciplina sullo schedario viticolo contenuta nell’articolo 185-bis del Reg. CE 1234/2007.

Sulla base dello schedario viticolo, entro il 1° marzo di ogni anno gli Stati membri che prevedono nei rispettivi programmi di sostegno la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti sono tenuti a presentare alla Commissione un inventario aggiornato del rispettivo potenziale produttivo.

Dal 1° gennaio 2016, le modalità delle comunicazioni alla Commissione sulle superfici vitate sono stabilite dalla Commissione con atti di esecuzione e per agevolare la sorveglianza del potenziale produttivo da parte degli Stati membri, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati circa il contenuto dello schedario viticolo e alle esenzioni.

Rimane confermata, nel nuovo Regolamento la disciplina relativa:

§  all’obbligo degli Stati membri di designare una o più autorità incaricate di controllare l'osservanza delle norme dell'Unione nel settore vitivinicolo, ed in particolare di designare i laboratori autorizzati a eseguire analisi ufficiali nel settore vitivinicolo (articolo 146, identico all’art. 185-quinquies del Reg. CE n. 1234/2007).

§  all’obbligo di mettere in circolazione nella Comunità i prodotti del settore vitivinicolo solo scortati da un documento di accompagnamento ufficiale, nonché l’obbligo per i produttori di detenere un registro di entrata e di uscita dei prodotti (articolo 147, analogo all’art. 185-quater del Reg. CE n. 1234/2007).

 

 


 

Articolo 3, commi 1-6
(Crediti di imposta per lo sviluppo del commercio elettronico e di nuovi prodotti a favore delle imprese agricole)

 

Il comma 1 riconosce un credito d’imposta nella misura del 40 per cento delle spese per nuovi investimenti finalizzati alla realizzazione e l’ampliamento di infrastrutture informatiche per il potenziamento del commercio elettronico da parte delle imprese che producono prodotti agricoli ed agroalimentari. Nel corso dell’esame presso il Senato è stato approvato un emendamento che ha esteso le disposizioni in esame anche ai prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

Il credito di imposta è riconosciuto nel periodo d’imposta al 31 dicembre 2014 e per l’anno 2015 e 2016, non può comunque essere superiore a 50.000 euro.

Per il medesimo credito è riconosciuto il limite di spesa di 500.000 euro per l’anno 2014 e di 2 milioni di euro per l’anno 2015 e di 1 milione di euro per l’anno 2016, secondo la modifica introdotta al Senato (ai sensi di quanto previsto dal comma 5, lettera a)).

Il testo originario della norma stanzia invece 500.000 euro per l’anno 2014 e 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016.

 

Per l’individuazione della platea dei beneficiari della misura la norma fa riferimento:

-      alle imprese che producono i prodotti agricoli

-      alle imprese di pesca e di acquacoltura, secondo quanto introdotto nel corso dell’esame al Senato;

-      alle piccole e medie imprese come definite dal Reg. (CE) n.800/2008[21] che producono prodotti agroalimentari non compresi nel predetto Allegato I.

Le predette imprese possono esser costituite anche sotto forma di cooperative o di consorzi.

Come detto, il credito di imposta è riconosciuto per investimenti in infrastrutture informatiche per il potenziamento del commercio elettronico.

 

L'Allegato I al TFUE, al quale il testo del decreto-legge demanda, contiene una lista di denominazioni di prodotti alimentari previsto dall'articolo 38 del Trattato, il primo articolo del Titolo III dedicato a "Agricoltura e pesca". L'articolo citato prevede che l'Unione europea stabilisca una politica comune dell'agricoltura e della pesca e che la politica comune debba accompagnare il funzionamento e lo sviluppo del mercato interno - comprendente l'agricoltura, la pesca e il commercio dei prodotti agricoli, che esplicitamente comprendono i prodotti della pesca - del settore. L'Allegato I elenca, quindi, quei prodotti cui si applica la disciplina dettata dal Trattato stesso sull'agricoltura e la pesca.

Si ricorda, al riguardo, che nell’ambito dell’Accordo di partenariato 2014-2020  è previsto, come obiettivo tematico 2, il miglioramento dell’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In considerazione, infatti, dell’importanza per le aree rurali di una politica di copertura della banda larga, viene confermato l’obiettivo, già considerato nella precedente programmazione dei fondi relativi allo sviluppo rurale, relativamente al completamento della dotazione infrastrutturale per la connessione veloce. Il raggiungimento dei risultati in questo ambito è considerato prioritario anche ai fini dell’identificazione dei domini come elementi di forza del tessuto produttivo della conoscenza dei prodotti di qualità.

Il Fondo europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (FEASR) è chiamato a concorrere per garantire i seguenti target:

·        infrastrutture che garantiscano una connettività superiore a 30Mbps per la banda larga;

·        infrastrutture che garantiscano una connettività superiore a 100 MBps per la banda ultra-larga.

L’ammontare delle risorse del FEASR (escluso il cofinanziamento nazionale) destinate a tale obiettivo è di 136,5 milioni euro.

 

Si ricorda, inoltre, che uno specifico strumento per la concessione alle micro, piccole e medie imprese di finanziamenti a tasso agevolato per investimenti, anche tramite leasing, in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per investimenti in hardware, software e tecnologie digitali, è contenuto nel D.L. 69/2013, articolo 2 (cd. Decreto del Fare) e attuato con il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico,  adottato di concerto con il Ministro dell’ Economia e delle Finanze del 27 novembre 2013 (pubblicato in G.U. 24 gennaio 2014).

Lo strumento, come detto, è rivolto alle PMI, operanti in tutti i settori produttivi, inclusi agricoltura e pesca, che realizzano gli investimenti (anche mediante operazioni di leasing finanziario). Nel dettaglio, il meccanismo prevede che Cassa depositi e prestiti attraverso l’utilizzo delle risorse in gestione separata finalizzate ad interventi di rilancio dell’economia[22]  costituisca un plafond destinato alle banche e agli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario (purché garantiti da banche) perché questi forniscano, fino al 31 dicembre 2016, finanziamenti alle imprese per i predetti investimenti. Gli istituti finanziatori aderiscono a tal fine ad una apposita convenzione stipulata tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), CDP S.p.A. e ABI.

L'importo massimo  del plafond da parte di CDP è fissato dal D.L. n. 69/2013 in 2,5 miliardi di euro incrementabili, sulla base delle risorse disponibili ovvero che si renderanno disponibili con successivi provvedimenti legislativi, fino a 5 miliardi secondo gli esiti del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti effettuato dalla CDP e comunicato trimestralmente al Ministero dello sviluppo economico ed al Ministero dell'economia e delle finanze.

A gennaio 2014 l’intervento in questione è stato reso operativo con la messa a  disposizione da parte di CDP del Plafond “Beni Strumentali”, da 2,5 miliardi di euro, dedicato esclusivamente al finanziamento, attraverso il sistema bancario, dell’acquisto di beni strumentali da parte delle Piccole e medie imprese[23]. La Convenzione CDP-MISE-ABI è stata stipulata il 14 febbraio 2014.

Le PMI finanziate attraverso le risorse della provvista messa a disposizione da CDP possono avere accesso ad un contributo statale che copre parte degli interessi sui finanziamenti bancari per gli investimenti realizzati, erogato direttamente dal Ministero dello sviluppo economico[24]. Il contributo è pari all’ammontare degli interessi, calcolati su un piano di ammortamento convenzionale con rate semestrali, al tasso del 2,75% annuo per cinque anni[25].

La linea di provvista risulta allo stato attiva e su essa le PMI, a partire dal prossimo 31 marzo, potranno richiedere finanziamenti agli Istituti aderenti, affiancati da una contribuzione pubblica, erogata direttamente dal Ministero dello sviluppo economico.

Si consideri che le modalità di concessione delle agevolazioni di cui all’articolo 2 del D.L. n. 69/2013 è oggetto di modifiche ad opera dell’articolo 18, comma 9-bis del provvedimento in esame.

 

Il comma 2 dispone che il credito d'imposta va indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta per il quale è concesso ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi di quanto previsto dal D. Lgs. n, 241/1997 (articolo 17).

L’articolo 17, al comma 1 dispone che i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche. La compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal giorno sedici del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge. Il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti indicati nel comma 2 del medesimo articolo.

 

Il credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito e del valore della produzione ai fini IRAP e non rileva ai fini del rapporto tra l’ammontare dei ricavi e gli altri proventi, rilevante ai fini del calcolo della deducibilità, di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del TUIR (D.Lgs. n. 917/1986).

L’articolo 61 dispone che gli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.

La parte di interessi passivi non deducibile ai sensi del comma 1 del presente articolo non dà diritto alla detrazione dall’imposta prevista

L’articolo 109, al comma 5 dispone che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.

 

Infine, il comma 2 demanda ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottarsi di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la definizione delle condizioni, termini e modalità di applicazione del credito d’imposta di cui al comma 1 e di quanto previsto dal medesimo comma 2 anche con riguardo alla fruizione del beneficio al fine del rispetto del limite di spesa previsto e del suo monitoraggio.

 

Si rammenta un credito di imposta analogo è contenuto all'articolo 8 del disegno di legge A.S. n. 1328 (cd. collegato agricolo).

 

Il comma 3 riconosce un credito d’imposta nella misura del 40 per cento delle spese per nuovi investimenti per lo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie, nonché per la cooperazione di filiera, sostenute dalle imprese che producono prodotti agricoli e agroalimentari.

Il credito di imposta è riconosciuto nel periodo d’imposta al 31 dicembre 2014 e per l’anno 2015 e 2016, non può comunque essere superiore a 400.000 euro.

Il medesimo credito è riconosciuto entro il limite di spesa di 4,5 milioni di euro per l’anno 2014, di 12 milioni per il 2015 e di 9 milioni per il 2016 (ai sensi di quanto previsto dal successivo comma 5, lettera b)).

Tali importi sono stati modificati nel corso dell’esame presso il Senato, in quanto originariamente il testo del decreto prevedeva 4,5 milioni di euro per l’anno 2014, 9 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016.

 

Il beneficio anche in questo caso spetta, al pari di quanto stabilito al comma 1:

-      alle imprese che producono i prodotti agricoli;

-      alle imprese di pesca e di acquacoltura , secondo quanto introdotto nel corso dell’esame al Senato;

-      alle piccole e medie imprese come definite dal Reg. (CE) n.800/2008 che producono prodotti agroalimentari non compresi nell’Allegato I.

 

La finalità dell’agevolazione consiste nell’incentivare la creazione di nuove reti di imprese o lo svolgimento di nuove attività da parte di reti di impresa già esistenti.

Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 3 del D.L. 5/2010 ha disciplinato i distretti produttivi e le reti di imprese, disponendo che con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.

Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese.

L’art. 45 del D.L. n. 83/2012 ha introdotto talune semplificazioni burocratiche sulla forma contrattuale (prevedendo che possa essere redatto anche come atto firmato digitalmente) e sulle modalità di iscrizione presso il Registro delle imprese delle eventuali modifiche intervenute, prevedendo, infine, che ai contratti in esame non si applichino le norme sui contratti agrari.

L’art. 36 del D.L. 179/2012 ha infine, previsto:

-      al comma 2-bis l’istituzione presso ISMEA di un fondo mutualistico nazionale, alimentato con i contributi volontari degli agricoltori, la cui finalità deve essere la stabilizzazione dei redditi;

-      al comma 2-ter che un fondo di mutualità possa anche essere previsto con i contratti di rete sottoscritti da imprenditori del comparto agricolo con l’assistenza delle organizzazioni professionali di categoria, allo scopo di stabilizzare le relazioni contrattuali tra i contraenti;

-      al comma 5 che per gli adempimenti pubblicitari richiesti dal D.L. n. 5/09 il contratto di rete nel settore agricolo può essere sottoscritto dalle parti con l'assistenza di una o più organizzazioni professionali agricole.

 

Il comma 4 ricalca pedissequamente quanto previsto dal comma 2 circa le modalità di indicazione del credito di imposta in sede di dichiarazione dei redditi e circa la sua utilizzabilità esclusivamente in compensazione e il fatto che esso non concorre alla formazione del reddito e del valore della produzione ai fini IRAP. Allo stesso modo che per il credito di imposta di cui al comma 1, le modalità applicative della misura sono rimesse ad apposito decreto attuativo del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze.

 

Infine, ai sensi del comma 6, sia il credito di imposta per nuovi investimenti in infrastrutture informatiche ai fini dello sviluppo dell’e-commerce, di cui al comma 1, sia il credito di imposta per lo per lo sviluppo di nuovi prodotti, nonché per la cooperazione di filiera sono subordinati all'autorizzazione della Commissione europea (ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, TFUE).

 

 


 

Articolo 3, commi 7-9
(Norme in materia di etichettatura dei prodotti agroalimentari)

 

 

I commi da 7 a 9 recano disposizioni volte a sbloccare l’attuazione della legge sull’etichettatura e a prevedere una procedura finalizzata a dare piena attuazione alle norme previste dal regolamento (UE) n. 1169/2011 che entreranno in vigore il 13 dicembre 2014.

 

In particolare, il comma 7 interviene sulla legge n. 4/2011, recante norme in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, ed in particolare:

·      modifica il comma 3 dell’articolo 4, relativo all’adozione di decreti interministeriali del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e del Ministro dello sviluppo economico attuativi dell’obbligo, introdotto dallo stesso articolo 4, di indicare nell’etichetta il luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e sulla tracciabilità dei prodotti agricoli di origine o di provenienza del territorio nazionale.

Si sopprime, in particolare, il secondo periodo del comma 3 il quale disponeva che in sede di prima applicazione, il procedimento per l’adozione dei predetti decreti fosse attivato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa n. 4/2011.

Vengono infatti introdotti nuovi termini per l’adozione dei predetti decreti, i quali peraltro dovranno conformarsi alla nuova disciplina europea, nel frattempo intervenuta, data dal Regolamento UE n. 1169/2011, che si applicherà a decorrere dal 13 dicembre 2014.

In particolare, il successivo comma 9 dispone che i decreti attuativi della disciplina sull’etichettatura dei prodotti dovranno essere adottati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame, con le modalità già previste dal comma 7: d’intesa con la Conferenza unificata, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale nel settore agroalimentare, acquisiti i pareri delle competenti parlamentari commissioni.

·        nuovo comma 4-bis, all’articolo 4, il quale dispone che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali indice una consultazione pubblica tra i consumatori per comprendere in quale misura le informazioni relative all’origine dei prodotti alimentari e della materia prima agricola siano in grado di indirizzare le scelte dei consumatori. A tal fine, lo stesso dicastero agricolo svolge ricerche, in collaborazione con il Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (CRA), per individuare, su scala territoriale, i legami tra la qualità di taluni prodotti e la loro relativa provenienza.

 

Il comma 8 prevede che la consultazione pubblica debba svolgersi entro un mese dall’entrata in vigore del decreto legge. 

 

 


 

Articolo 3, comma 10
(Fondo finanziamento programmi nazionali distribuzione derrate alimentari agli indigenti)

 

 

Il comma 10 interviene sull’art. 58 del D.L. n. 83/2012 nella parte in cui istituisce presso l’Agenzia per l’erogazioni in agricoltura (AGEA) il Fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione delle derrate alimentari agli indigenti.

La modifica è volta ad inserire quale ulteriore finalità del Fondo quella legata all’efficientamento della filiera della produzione e dell’erogazione.

La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (A.S. 1541) specifica che tale novella consente l’introduzione, tra le finalità del Tavolo permanente di coordinamento istituito presso il Dicastero agricolo ai sensi del decreto interministeriale n.18476 del 17 dicembre 2012, quella di coordinare la gestione dei c.d. “sprechi alimentari” al fine di poterli destinare agli indigenti. La lotta agli sprechi costituisce peraltro una delle tematiche affrontate in sede di Expo 2015.

 

L’art. 58 dispone, infatti, al comma 1, l’istituzione del Fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti.

Con il successivo Decreto interministeriale del 17 dicembre 2012, adottato ai sensi del comma 2 dell’articolo 58, di concerto con il Ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, sono stati precisati, all’articolo 2, sia l’ambito di applicazione che le finalità, disponendo le modalità per la gestione del fondo, gli indirizzi e gli strumenti per favorire ed incrementare il recupero delle derrate alimentari e la successiva distribuzione agli indigenti, l’istituzione di un tavolo permanente di coordinamento tra istituzioni, organizzazioni caritatevoli e operatori della filiera agroalimentare nonché di un sistema di informativo presso AGEA a supporto della gestione dei dati.

Il fondo è sostenuto da risorse finanziarie pubbliche, nazionali e comunitarie e da erogazioni liberali di denaro da parte di soggetti privati, e gestito da AGEA attraverso propri provvedimenti e nei limiti della disponibilità del fondo stesso (comma 4), sulla base degli atti ministeriali di indirizzo e dopo aver acquisito il parere del tavolo permanente di coordinamento (la cui istituzione è stata prevista dal predetto decreto del 17 dicembre 2012) che si esprime relativamente alle modalità gestionali del fondo e delle erogazioni liberali di derrate alimentari, di beni e servizi.

Nell’istituire - decreto interministeriale n.18476 del 17 dicembre 2012- il tavolo presieduto da un rappresentate di questo Ministero e composto da rappresentanti di altri Ministeri e da un rappresentate di ogni organizzazione caritatevole riconosciuta ed iscritta all’albo di AGEA, nonché da un rappresentante dell’ANCI, è stato coinvolto anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per poter definire misure operative efficaci e condivise.

Si ricorda, inoltre, che la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), all’articolo 1, comma 224, ha disposto che il fondo è rifinanziato per 10 milioni di euro per l’anno 2014.

Con la riforma del bilancio dell’Unione europea, come affermato dal Ministro Martina in data 14 arile 2014, in risposta all'interrogazione n. 4-01543 presentata presso l’Aula del Senato, il finanziamento del fondo sarà effettuato, oltre che con le risorse nazionali, a valere sul Fondo sociale europeo, che è gestito dal Ministero del lavoro e che, pertanto, è già coinvolto nei tavoli di discussione relativi alla prossima programmazione 2014-2017, al fine di concordare i necessari atti amministrativi attuativi della nuova normativa europea che disciplina gli aiuti agli indigenti.

 

Gli incrementi del fondo disposti da privati beneficiano comunque, ai sensi del predetto articolo 58, delle agevolazioni fiscali di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 460/97, previste per gli enti non commerciali e le organizzazioni non lucrative di utilità sociale. Le medesime agevolazioni si applicano, secondo il comma 3, alle derrate attribuite al programma da parte degli operatori della filiera agroalimentare.

L’attribuzione, sempre a titolo di liberalità, avviene secondo le modalità stabilite da AGEA, che è anche il soggetto responsabile dell’attuazione del programma (comma 4).

 

Si ricorda inoltre che, con il Reg UE n.223/2014 è stato istituito il Fondo di aiuti europei per gli indigenti (FEAD) con il quale vengono sostenuti gli interventi promossi dai paesi dell'UE per fornire agli indigenti un'assistenza materiale, tra cui generi alimentari, abiti e altri articoli essenziali per uso personale, come scarpe, sapone e shampoo. La Commissione approva i programmi nazionali per il periodo 2014-2020, sulla cui base le autorità nazionali adottano le singole decisioni che portano all'erogazione dell'assistenza  Le autorità nazionali possono sia acquistare direttamente il cibo e i beni e fornirli alle organizzazioni, oppure finanziare le organizzazioni affinché provvedano agli acquisti. In quest'ultimo caso, le organizzazioni partner possono distribuire direttamente il cibo e i beni, oppure chiedere aiuto ad altre organizzazioni. Le organizzazioni possono essere enti pubblici oppure organizzazioni non governative selezionate dalle autorità nazionali sulla base di criteri oggettivi e trasparenti definiti a livello nazionale. Per il periodo 2014-2020 sono stati stanziati per il FEAD oltre 3,8 miliardi di euro; i paesi dell'UE sono tenuti a contribuire al rispettivo programma nella misura di almeno il 15% mediante cofinanziamenti nazionali.

In merito alla problematica relativa allo spreco alimentare, si ricorda che il 3 giugno 2014 l’Assemblea della Camera ha approvato la Mozione Fiorio 1-00482 con la quale si impegna il Governo, tra l’altro,  ad utilizzare i finanziamenti previsti dal Fondo per gli aiuti europei agli indigenti (FEAD) per la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del programma di distribuzione di alimenti agli indigenti finora svolto da AGEA in concorso con le organizzazioni caritative.

 


 

Articolo 4, commi 1-7
(Nuove norme sulla produzione di mozzarella di bufala campana e sulla tracciabilità del latte bufalino)

 

 

L’articolo 4, commi da 1 a 3 e 7 recano nuove disposizioni sulla produzione della  Mozzarella di bufala campana a denominazione di origine protetta, e sulla tracciabilità dei latte di bufala e dei prodotti trasformati derivanti dall’utilizzo di latte bufalino, sostitutive dalla disciplina attualmente vigente in materia.

I commi da 4 a 6 dispongono sanzioni varie per chi viola gli obblighi introdotti dalla nuova disciplina.

 

L’articolo interviene sulla disciplina delle modalità di produzione della mozzarella di bufala campana a denominazione di origine protetta, prima contenuta nell'articolo 4-quinquiesdecies del D.L. n. 171/2008 (legge n. 205/2008), il quale imponeva, a decorrere dal 1 luglio 2014, che la produzione della mozzarella di bufala campana DOP fosse effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari[26].

In particolare, l’articolo 4-quinquiesdecies viene abrogato (comma 7), e sostituito con una nuova disciplina la quale impone che la produzione della “Mozzarella di Bufala campana” DOP deve avvenire in uno spazio in cui è lavorato esclusivamente latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana. In tale spazio può avvenire anche la produzione di semilavorati e di altri prodotti purché realizzati esclusivamente con latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della Mozzarella di Bufala Campana DOP (MBC DOP).

La produzione di prodotti realizzati anche o esclusivamente con latte differente da quello da allevamenti inseriti nell’areale di controllo della MBC DOP deve essere effettuata in uno spazio differente (comma 1).

 

Si ricorda che - sulla base delle norme europee che disciplinano l’attribuzione del Disciplinare di produzione della MBC DOP denominazioni d’origine, consentendo la tutela del prodotto conforme ad un disciplinare di produzione sull’intero territorio comunitario - la “mozzarella di bufala campana”, dopo un primo riconoscimento con il D.P.R. 10 aprile 1993 che ne ha assicurato la protezione sul territorio nazionale, ha ottenuto la più ampia tutela in ambito UE con l’approvazione del Reg. CE n. 1107/96, modificato dal Reg. CE n. 103/2008 che ha rivisto il disciplinare di produzione.

Il disciplinare, pur in presenza di più puntuali specifiche in merito al metodo di ottenimento del prodotto, la cui zona geografica di provenienza è stata ampliata, non contempla specifiche limitazioni in ordine alla utilizzazione degli impianti anche per produzioni non rientranti nella DOP.

 

Si segnala comunque al riguardo che nella pubblicazione della domanda di modifica al disciplinare in G.U.U.E. il 25 aprile 2007- nel corso dell'iter che ha portato al Reg. 103/2008 - si prevede tra l'altro che "ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna i prodotti in entrata e i prodotti in uscita. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, degli allevatori, dei produttori e dei confezionatori, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto".

Disposizioni aventi finalità analoghe a quelle sopra illustrate, specificamente dirette a consentire la realizzazione di più agevoli controlli per evitare l’utilizzo di materie prime non conformi al disciplinare, sono previste dal disciplinare di produzione del “parmigiano reggiano”, il quale richiede che “tutto il latte introdotto in caseificio sia conforme ai regolamenti di produzione del Parmigiano Reggiano", che indicano fra l’altro quale debba essere il metodo di alimentazione delle vacche da latte, e richiedono un periodo di quattro mesi per la conversione degli allevamenti non conformi.

 

Inoltre, si segnala che presso la XIII Commissione agricoltura della Camera sono in corso di esame due proposte di legge che incidono sulla stessa materia dell’articolo qui in esame[27].

Infine, si ricorda che presso la XIII Commissione della Camera dei deputati si è tenuto nell’anno 2013 un ciclo di audizioni informali su questioni di interesse del comparto della mozzarella di bufala campana DOP, che ha visto l'intervento dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, dell'Assessore all’agricoltura della Regione Campania e di varie associazioni di categoria, quali Confagricoltura, Confindustria Campania e il Consorzio per la tutela del formaggio mozzarella di bufala campana DOP[28].

 

 

L’articolo in esame abroga il preesistente sistema di tracciabilità delle quantità di latte bufalino prodotto, previsto dall’articolo 7 della legge n. 4/2011 (comma 7), sostituendolo con la previsione di un più ampio sistema di tracciabilità che impone agli allevatori bufalini ed ai trasformatori e intermediari di latte di bufala l’obbligo di adottare, nelle rispettive attività, sistemi idonei a garantire la rilevazione e la tracciabilità del latte prodotto quotidianamente, dei quantitativi di latte di bufala trasformato e delle quantità di prodotto derivante dalla trasformazione del latte di bufala utilizzato (comma 2).

Si demanda ad un decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge, la definizione delle modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui all’articolo in esame (comma 3).

Durante l’esame presso il Senato è stato previsto che il decreto dovrà stabilire le modalità per la separazione delle produzioni, impedendo ogni contatto tra latte proveniente dagli allevamenti certificati e gli altri tipi di latte nonché tra mozzarella di bufala campana DOP e prodotti ottenuti con altro tipo di latte.

 

L’articolo 7 della legge n. 4/2011 aveva previsto che gli allevatori bufalini fossero tenuti ad adottare strumenti per la rilevazione, certa e verificabile, della quantità di latte prodotto giornalmente da ciascun animale. Le modalità applicative sono state rinviate ad un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, sentite le regioni interessate che è stato, poi, emanato il 14 gennaio 2013.

Quanto agli obblighi di trasmissione, il D.M. citato ha previsto che entro i primi 10 giorni lavorativi di ciascun mese dell'anno l'allevatore, direttamente o tramite organismi da lui delegati, trasmette al SIAN i dati relativi primo giorno del mese in corso, nonché il numero totale delle bufale in produzione e la quantità di latte di massa prodotto per l'intero mese precedente. Il primo giorno lavorativo di ogni settimana di ciascun mese dell'anno l'allevatore, direttamente o tramite organismi da lui delegati, trasmette al SIAN la quantità di latte di massa prodotto nella settimana precedente (articolo 5)[29].

 

In ordine alla tracciabilità della provenienza del latte acquistato dai caseifici, si ricorda che l'articolo 26, comma 5, della nuova disciplina europea in materia di etichettatura e fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, Regolamento UE n. 1169/2011, che entrerà in vigore il 13 dicembre 2014, prevede che la Commissione UE presenti, entro il 13 dicembre 2014, al Parlamento europeo e al Consiglio, una relazione sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza del latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari.

 

 

L’articolo 4 prevede sanzioni per :

·        chiunque viola l’obbligo di produrre MBC DOP in uno spazio in cui è lavorato esclusivamente latte proveniente dall’areale DOP  e il relativo obbligo di produrre in uno spazio differente i prodotti realizzati anche o solo con latte differente, previsto dal comma 1.

Tali violazioni sono punite con una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 13.000 e alla sanzione accessoria della chiusura dello stabilimento nel quale si è verificata la violazione per un periodo da un minimo di dieci ad un massimo di trenta giorni, salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del presente comma. Nel corso dell’esame al Senato è stata, inoltre, inserita la sanzione accessoria della pubblicazione dell’ordinanza di ingiunzione, a cura e spese dell’interessato, su due quotidiani a diffusione nazionale.

Si applica inoltre la sanzione accessoria della sospensione del diritto di utilizzare la DOP dalla data dell’accertamento della violazione fino a quando l’organo di controllo non abbia verificato la rimozione della causa che ha dato origine alla sanzione e l’avvenuta pubblicità della stessa, attraverso la pubblicazione, a cura e spese dell’interessato, su due quotidiani a diffusione nazionale.

Nel caso di accertamento della reiterazione delle violazioni di sopra, avvenuto nei sei mesi successivi all’adozione del provvedimento esecutivo, è disposta la chiusura dello stabilimento è disposta per un periodo da un minimo di trenta ad un massimo di novanta giorni e gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie sono raddoppiati.

Si prevede inoltre che la sanzione della chiusura dello stabilimento nel quale si è verificata la violazione è inoltre disposta anche a carico di coloro che utilizzano latte o cagliata diversi da quelli della Mozzarella di Bufala Campana DOP nella produzione di Mozzarella di Bufala Campana DOP.

In tali casi la chiusura dello stabilimento è disposta per un minimo di 10 giorni ad un massimo di 30 giorni (termini modificati durante l’esame presso il Senato; il testo del decreto-legge originario prevedeva la chiusura per un minimo di un giorno ad un massimo di dieci giorni).

In caso di reiterazione è prevista la chiusura da un minimo di trenta ad un massimo di novanta giorni (anche in tal caso è stata apportata dal Senato una variazione in quanto originariamente era stato prevista una durata di trenta giorni) (comma 4).

La Circolare del MIPAAF del 2 luglio 2014 precisa che le fattispecie sanzionatorie di cui al comma 4 qui in esame, essendo previste sanzioni accessorie, non si applica la diffida di cui all’art. 1, comma 3, del decreto legge.

 

Durante l’esame presso il Senato è introdotta la previsione dell’applicazione della procedura di cui all’art. 19 della legge n. 689/1981 anche nel caso di opposizione all’inibizione all’uso della denominazione protetta.

L’articolo richiamato prevede che quando si è proceduto a sequestro, gli interessati possono, anche immediatamente, proporre opposizione. Sull'opposizione la decisione è adottata con ordinanza motivata emessa entro il decimo giorno successivo alla sua proposizione. Se non è rigettata entro questo termine, l'opposizione si intende accolta. Anche prima della conclusione del procedimento amministrativo, l'autorità competente può disporre la restituzione della cosa sequestrata, previo pagamento delle spese di custodia, a chi prova di averne diritto e ne fa istanza, salvo che si tratti di cose soggette a confisca obbligatoria. Quando l'opposizione al sequestro viene rigettata, il sequestro cessa di avere efficacia se non è emessa ordinanza-ingiunzione di pagamento o se non è disposta la confisca entro due mesi dal giorno in cui è pervenuto il rapporto e, comunque, entro sei mesi dal giorno in cui è avvenuto il sequestro.

 

·        chiunque viola l’obbligo di adottare sistemi idonei di tracciabilità del latte prodotto, dei quantitativi di latte di bufala trasformato e delle quantità di prodotto derivante dalla trasformazione del latte di bufala di cui al comma 2.  In tal caso è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 750 ad euro 4.500.

Qualora la violazione riguarda prodotti inseriti nel sistema di controllo delle denominazioni protette di cui al Reg. (UE) n. 1151/2012 sul regime europeo di qualità dei prodotti agricoli e alimentari[30], si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 13.000.

Per tali violazioni, è inoltre fatta salva l’applicazione delle norme penali vigenti.

Si ricorda in proposito che l’articolo 517-quater del codice penale disciplina il reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, prevedendo la reclusione fino a due anni e la multa fino a euro 20.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte[31].

 

Era originariamente previsto ma è stato soppresso durante l’esame presso il Senato che gli addetti al controllo, nel caso di prima violazione, procedano a diffidare il responsabile ad adempiere alle prescrizioni previste entro un termine massimo di quindici giorni. Decorso inutilmente tale termine, gli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente comma sono raddoppiati (comma 5).

 

E’ stato, inoltre, inserito un nuovo comma 5-bis secondo il quale alle violazioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano esclusivamente le disposizioni sanzionatorie previste dai commi 4 e 5 .

Il Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, è designato quale autorità competente all'applicazione delle predette sanzioni, sia per le violazioni del comma 1 che per le violazioni del comma 2 (comma 6).

 


 

Articolo 4, comma 8
(Sanzioni penali per violazione di divieti di coltivazione)

 

 

Il comma 8 sanziona penalmente la violazione dei divieti di coltivazione previsti dal Reg. UE 178/2002, in materia di sicurezza alimentare nel territorio dell’UE. Il fine della misura, si rileva nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione presentato al Senato, è quello di rendere effettivi i divieti ed i limiti imposti per la coltivazione di OGM sul territorio.

 

In particolare, il comma prevede che chiunque viola i divieti di coltivazione introdotti con atti adottati, anche in via cautelare, ai sensi della disciplina sul sistema di allarme rapido nell’UE in materia di sicurezza alimentare contenuta negli articoli 53 e 54 del Reg. (CE) n. 178/2002[32], è punito con la multa da 25.000 euro a 50.000 euro (il testo del decreto originario prevedeva la reclusione da 6 mesi a tre anni e  la multa da euro 10.000 a euro 30.000).

 

La disposizione in esame punisce la violazione di alcuni divieti di coltivazione con la sola pena pecuniaria della multa, mentre il testo originario del decreto-legge prevede la pena congiunta detentiva e pecuniaria (reclusione e multa). In merito si ricorda che è attualmente in corso di esercizio da parte del Governo una delega per la depenalizzazione di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria (art. 2, legge n. 67 del 2014) che non rientrino in alcune particolari materie.

 

L’autore del delitto è tenuto altresì a rimuovere, a propria cura e spese, secondo le prescrizioni del competente organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, le coltivazioni di sementi vietate ed alla realizzazione delle misure di riparazione primaria e compensativa nei termini e con le modalità definiti dalla Regione competente per territorio. E’ fatta salva l’ipotesi che il fatto costituisca più grave reato.

 

Si ricorda che la commercializzazione e sperimentazione di OGM in Europa sono disciplinate in primo luogo dalla direttiva 90/219/CE, attualmente rifusa nella 2009/41/CE, che regola l'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati in modo da limitare le possibili conseguenze negative sulla salute umana e sull'ambiente. Il provvedimento è stato recepito con il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 91.

La materia è inoltre regolata dalla Direttiva 2001/18/CE (che ha abrogato la precedente 90/220/CE), che disciplina l'immissione deliberata nell'ambiente, anche con la coltivazione, di organismi geneticamente modificati, inclusa la loro immissione in commercio e la messa a disposizione di terzi - dietro compenso o gratuitamente - all'interno della Comunità. L'importazione o la movimentazione delle materie prime agricole con OGM rientra nella immissione in commercio, e deve pertanto sottostare alle regole definite con la direttiva. Le disposizioni, recepite in Italia dal D.Lgs. 8 Luglio 2003, n. 224, rispetto alla precedente direttiva ribadiscono la validità del principio di precauzione, prevedono un’autorizzazione a tempo determinato, introducono norme più rigorose nella valutazione d’impatto ambientale.

Successivamente sono stati pubblicati nuovi Regolamenti sulla commercializzazione, tracciabilità ed etichettatura degli OGM: il Regolamento 1829/2003/CE, che si applica agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (più precisamente alimenti e mangimi prodotti "con" un OGM ma anche "da" un OGM), ha definito una procedura comunitaria per la valutazione delle sicurezza dei prodotti prima della immissione sul mercato. Il provvedimento sostanzialmente introduce un nuovo sistema di autorizzazione e vigilanza sia sugli alimenti che sui mangimi, nonché nuove disposizioni in materia di etichettatura; e il Regolamento 1830/2003/CE che ha istituito un quadro normativo per la tracciabilità dei prodotti contenenti OGM e degli alimenti e dei mangimi ottenuti da OGM.

Le disposizioni sanzionatorie delle violazioni dei detti regolamenti sono state approvate con il D.Lgs. 21 marzo 2005, n. 70 che ha ripartito tra il Ministero dell'Ambiente e le regioni e province autonome la competenza in merito all'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

Va segnalato che nel 2001, in attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE, è stato adottato il D.Lgs. 212/2001 sulla commercializzazione dei prodotti sementieri, che prevede, in apparente contrasto con la normativa comunitaria (ove si prevede che le varietà OGM autorizzate a livello europeo possano liberamente circolare su tutto il territorio comunitario), che la messa in coltura di prodotti sementieri contenenti OGM sia soggetta ad autorizzazione del Ministero delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell’Ambiente e della Salute, sulla base di un parere tecnico previamente espresso da una Commissione di esperti (12 membri) di nomina ministeriale e regionale (art.1, co. 2).

Il D.Lgs. n. 224/2003, basato sul principio di precauzione , stabilisce le misure volte a proteggere la salute umana, animale ed ambientale, relativamente alle attività di rilascio di OGM definiti come organismi, diversi dall'essere umano, il cui materiale genetico sia stato modificato in modo diverso da quanto si verifica in natura mediante accoppiamento o incrocio o con la ricombinazione genetica naturale), con riferimento alla:

§  emissione deliberata per scopi diversi dall'immissione sul mercato;

§  immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti.

L'autorità nazionale competente in materia è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, che agisce, per quanto di rispettiva competenza, d'intesa con i Ministri della salute, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole e forestali, delle attività produttive, e dell'istruzione.

Il dicastero dell'ambiente è pertanto l'organo competente alla verifica e rilascio dei provvedimenti autorizzativi, e chiunque intenda effettuare un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM, o una immissione sul mercato, è tenuto a presentargli preventivamente una notifica in quadruplice copia, accompagnata da:

a) un fascicolo tecnico con le informazioni dettagliate riportate all'allegato III;

b) la valutazione del rischio ambientale;

c) la valutazione del rischio per l'agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare.

Ricevuta la notifica, il dicastero dell'Ambiente effettua un’istruttoria preliminare, quindi trasmette copia della notifica ai Ministeri della Salute e delle Politiche agricole e forestali, all'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici) ed alle Regioni e Province Autonome competenti.

E' prevista anche una procedura di consultazione ed informazione pubblica.

Si provvede poi allo scambio di informazioni con la Commissione europea e le autorità competenti degli altri Stati membri, mentre al notificante ed alla Commissione europea viene inviata la relazione di valutazione. Si rilascia poi al notificante l'autorizzazione scritta all'emissione, e si stabiliscono i requisiti di etichettatura ed imballaggio.

Qualora necessario, gli organi di competenza possono, con provvedimento d'urgenza, limitare o vietare temporaneamente l'immissione sul mercato, l'uso o la vendita sul territorio nazionale di un OGM.

Il dicastero dell'Ambiente invia alla Commissione europea una sintesi di ogni notifica ricevuta nonché delle decisioni definitive adottate nei confronti delle stesse, includendovi le eventuali ragioni per le quali una notifica sia stata respinta.

Lo stesso dicastero trasmette una volta l'anno alla Commissione un elenco degli OGM il cui rilascio sia stato autorizzato mediante le procedure differenziate semplificate, quindi degli OGM il cui rilascio non sia stati autorizzato.

Presso il Ministero dell'Ambiente è istituito un pubblico registro informatico dove sono annotate le localizzazioni degli OGM emessi; e un sistema analogo è istituito anche presso le Regioni e le Province Autonome, in modo da consentire il monitoraggio di eventuali loro effetti.

Chiunque coltivi OGM deve pertanto non solo comunicare alle Regioni e Province competenti per territorio la localizzazione delle coltivazione, ma è anche tenuto a conservare per dieci anni le informazioni relative agli OGM coltivati ed alla loro localizzazione. Contestualmente deve inoltre apporre adeguati cartelli di segnalazione che indichino chiaramente la presenza di OGM.

Si osservi che il quadro legislativo dei paesi membri e dell’UE in materia di OGM è in evoluzione.

In particolare, in Francia, il 5 maggio scorso i due rami del Parlamento hanno definitivamente approvato una proposta di legge che mette al bando la coltivazione di mais OGM sul territorio nazionale. Ai fini della promulgazione e dell'entrata in vigore del testo, il provvedimento ha dovuto ricevere il vaglio di conformità del Consiglio costituzionale.  Con la pronuncia del 28 maggio 2014, il Consiglio Costituzionale francese ha dichiarato la legittimità della proposta di legge.

Inoltre, Il Consiglio ambiente del 12 giugno 2014 ha approvato, a larga maggioranza, con le sole astensioni di Belgio e Lussemburgo, la proposta di compromesso della presidenza greca sulla proposta di modifica alla Direttiva 2001/18/CE finalizzata a consentire agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione, in tutto o in parte del loro territorio, degli OGM che sono stati autorizzati o sono sotto autorizzazione a livello europeo.

La proposta dunque introduce la possibilità per gli Stati membri di vietare in tutto o parte del loro territorio la coltivazione degli OGM, anche per motivi diversi dalla tutela della salute e dell'ambiente.

L'iter presso le istituzioni proseguirà, nel semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Ue per la definizione dell'accordo in seconda lettura con il Parlamento europeo e la definitiva approvazione.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alla disposizione che prevede specifiche sanzioni per chiunque violi i divieti di coltivazione di OGM sul territorio previsti dagli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, si segnala che è attualmente all’esame delle Istituzioni dell’UE una proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio (COM(2010)375).

 

Sulla proposta, che permetterà agli Stati membri di decidere se coltivare o meno organismi geneticamente modificati sul proprio territorio, il 23 luglio 2014 il Consiglio Affari generali ha adottato la sua posizione in prima lettura.

 

 


 

Articolo 5
(Disposizioni per l'incentivo all'assunzione di giovani lavoratori agricoli e la riduzione del costo del lavoro in agricoltura)

 

I commi da 1 a 12 dell’articolo 5 riguardano una misura sperimentale di incentivo alle assunzioni da parte dei datori di lavoro imprenditori agricoli, mentre i successivi commi 13 e 14 consentono, per i produttori agricoli che rientrino nell’àmbito di applicazione dell'IRAP, alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo, con riferimento ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato.

 

I commi da 1 a 12 introducono uno specifico incentivo, in favore dei datori di lavoro imprenditori agricoli, al fine di promuovere l’occupazione stabile in agricoltura, in attesa dell’adozione di ulteriore risorse da realizzarsi anche attraverso la nuova programmazione comunitaria 2014-2020.

 

In particolare, si prevede:

·      che l’incentivo sia erogato ai fini dell’assunzione di giovani tra i 18 ed i 35 anni, nel limite di specifiche risorse, a favore dei datori di lavoro imprenditori agricoli che assumano tali soggetti con contratto di lavoro a tempo indeterminato (o a termine in presenza di specifici parametri, vedi infra) dei lavoratori che oltre all’età richiamata, ai sensi del comma 4, siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi o che siano privi di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado (comma 1);

·      l’istituzione, ai fini dell’erogazione del suddetto incentivo, del Fondo per gli incentivi all’assunzione di giovani lavoratori agricoli (nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali), con dotazione pari a 9 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018 (comma 2);

·      che ai fini della concessione dell'incentivo il contratto di lavoro a tempo determinato debba avere durata almeno triennale, debba garantire al lavoratore un periodo di occupazione minima di 102 giornate all'anno nonché essere redatto in forma scritta (comma 3);

·      che l’incentivo venga erogato a condizione che le assunzioni debbano essere effettuate tra il 1° luglio 2014 ed il 30 giugno 2015 e debbano portare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero di giornate lavorate nei singoli anni successivi all'assunzione e il numero di giornate lavorate nell'anno precedente l'assunzione (comma 5). Ai fine del computo dell’incremento, lo stesso comma dispone che i lavoratori part-time siano computati in base al rapporto tra le ore pattuite e l'orario normale di lavoro dei lavoratori a tempo pieno. L'incremento della base occupazionale, infine, deve essere considerato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto;

L’incremento occupazionale netto è valutato in base ai richiamati criteri. Si dovrebbe ritenere, anche in base all’attuazione di precedenti misure di incentivo analoghe, che l’incremento si verifichi anche nel caso di imprese agricole di nuova costituzione (in cui, cioè, la media di riferimento sia per definizione pari a zero).

·      che l’importo dell’incentivo sia pari ad un terzo della retribuzione lorda (imponibile ai fini della contribuzione previdenziale), per un periodo complessivo massimo di 18 mesi, e sia riconosciuto - esclusivamente mediante compensazione con i contributi previdenziali dovuti - secondo i seguenti criteri (comma 6): per i contratti a termine (lettera a)), le quote del beneficio, ciascuna pari a 6 mensilità, spettano a decorrere dal completamento, rispettivamente, del primo, del secondo e del terzo anno di assunzione; per i contratti a tempo indeterminato (lettera b)), l'intero incentivo, pari, come detto, a 18 mensilità, spetta a decorrere dal completamento del diciottesimo mese dal momento dell’assunzione. In ogni caso, il valore annuale dell'incentivo non può comunque superare (comma 6-bis), per ciascun lavoratore assunto, l'importo di 3.000 euro, nel caso di assunzione a tempo determinato, e di 5.000 euro, nel caso di assunzione a tempo indeterminato;

·      che all’incentivo si applichino le norme generali in materia di incentivi all'assunzione - relative soprattutto a fattispecie di esclusione del beneficio - di cui all'articolo 4, commi 12, 13 e 15, della L. 92/2012 (comma 7);

I richiamati commi dell’articolo 4 della L. 92/2012 ha posto alcune norme, relative all'applicazione di tutti gli istituti di incentivo all'occupazione, definendo, al contempo, determinate fattispecie di esclusione del riconoscimento degli incentivi stessi. Si precisa, inoltre, che ai fini della determinazione del diritto agli incentivi e della loro durata, si cumulano i periodi in cui il lavoratore abbia prestato l'attività, in favore dello stesso soggetto, a titolo di lavoro subordinato o somministrato. Infine, è stato stabilito che l’inoltro tardivo delle comunicazioni telematiche obbligatorie in materia producono la perdita di quella parte dell’incentivo relativa al periodo compreso tra la decorrenza del rapporto agevolato e la data della tardiva comunicazione;

·      l’obbligo, per l’I.N.P.S., di adeguare, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame (e cioè entro il 24 agosto 2014), le proprie procedute informatizzate (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) al fine di ricevere le domande di ammissione all’incentivo. Nello stesso termine, l’I.N.P.S. deve (con propria circolare) anche disciplinare le modalità attuative per l’erogazione dell’incentivo nonché le modalità di controllo per il rispetto dei parametri ai quali è condizionata l’erogazione dell’incentivo stesso (comma 8). Il riconoscimento dell’incentivo è effettuato in base all’ordine cronologico delle domande (comma 9), nel limite delle risorse indicate in precedenza; è infine previsto un monitoraggio delle minori entrate in relazione alla concessione dell’incentivo;

·      l’obbligo di alcuni adempimenti da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (comunicazione sintetica alla Commissione europea relativa alla configurazione dell’agevolazione quale aiuto di Stato, verifica della compatibilità delle disposizioni in esame con la nuova disciplina europea di esenzione stante la compatibilità dell’agevolazione con gli aiuti di Stato) (commi 10 e 11);

·      che a decorrere dalla data in cui è possibile presentare domanda di ammissione (e cioè dal 24 agosto 2014) per il suddetto beneficio (con riferimento alle assunzioni di lavoratori agricoli a tempo indeterminato) non trovi più applicazione l’incentivo previsto per la generalità dei datori di lavoro e relativa alla stipulazione - entro il 30 giugno 2014 - di contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni e che diano luogo ad un incremento occupazionale netto, di cui all’articolo 1 del D.L. 76/2013, salvaguardando comunque le domande presentate (per il beneficio in questione) prima della suddetta data ( comma 12).

Tale articolo ha introdotto, in via sperimentale, un incentivo per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o che siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. L’incentivo è pari a un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, copre un periodo di 18 mesi e non può comunque superare l’importo di 650 euro per ogni lavoratore assunto. Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto. Il medesimo incentivo è riconosciuto, per un periodo di 12 mesi, nel caso di trasformazione con contratto a tempo indeterminato. Alla trasformazione deve corrispondere l’assunzione, entro un mese, di un ulteriore lavoratore. Per il finanziamento dell’incentivo sono previste risorse statali pari a 500 milioni per le regioni del Mezzogiorno e a 294 milioni per le restanti regioni, nonché eventuali ulteriori finanziamenti a carico delle singole Regioni.

 

I commi 13 e 14, estendono le deduzioni per lavoro dipendente di cui all’articolo 11, comma 1 lettera) , numeri 2), 3) e 4 della D.Lgs. n. 446/1997 - nella misura del 50 per cento degli importi ivi previsti – per produttori agricoli soggetti ad IRAP[33] e – secondo quanto introdotto al Senato – per le società agricole[34],  nel caso di lavoratori a tempo determinato con un contratto di durata di almeno tre anni e con almeno 150 giornate lavorate all’anno.

 

Le deduzioni in oggetto sono dunque pari a:

1)   3.750 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente impiegato nel periodo di imposta, aumentate a 6.750 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni;

2)   fino a 7.500 euro, su base annua, per ogni lavoratore dipendente impiegato nel periodo d'imposta nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, aumentate a 10.500 euro per i lavoratori di sesso femminile nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni; tale deduzione è alternativa a quella di cui al numero 1), e può essere fruita nel rispetto dei limiti derivanti dall'applicazione delle regole europee sugli aiuti de minimis (Reg. UE 1408/2013);

3)   il 50 per cento dei contributi assistenziali e previdenziali relativi ai lavoratori assunti con il contratto a tempo determinato.

 

La disposizione si applica - previa autorizzazione della Commissione UE richiesta a cura del Mipaaf - a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, senza tuttavia incidere sull’acconto dovuto per il medesimo periodo d’imposta.

 

 


 

Articolo 6
(Rete del lavoro agricolo di qualità)

 

Il comma 1 prevede l’istituzione presso l’INPS – della “Rete del lavoro di qualità”–  alla quale possono partecipare le imprese agricole[35] in possesso dei seguenti requisiti:

a)    non avere riportato condanne penali per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (nel testo originario era previsto come ulteriore motivo di esclusione il non avere procedimenti penali in corso, durante l’esame presso il Senato tale causa di esclusione è stata soppressa);

b)    non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative per le violazioni di cui alla lettera a);

c)    essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi.

 

Si osserva che l’istituzione di una “Rete del lavoro agricolo di qualità” risponde ad una proposta elaborata nell’ambito della proposta unitaria di riforma del mercato agricolo dalle sigle sindacali del settore agricolo FAI-CISL, CGIL-FLAI e UILA[36]. Tale proposta è stata presentata, in prima battuta, il 26 febbraio 2014, presso l’INPS, dalle sigle sindacali del settore agricolo FAI-CISL, CGIL-FLAI e UILA[37] e successivamente depositata agli atti del Senato, in data 23 aprile 2014, in sede di Audizione informale dei rappresentanti dei sindacati agricoli sul Disegno di legge A.S. n. 1328 (cd. Collegato competitività settore agricolo).

Il comma 2 prevede che alla Rete di cui al comma 1 sovraintenda una cabina di regia composta da rappresentanti delle istituzioni centrali e territoriali, da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro e presieduta dal rappresentante dell’INPS.

Ai sensi del comma 5 la partecipazione alla cabina di regia è a titolo gratuito e ai componenti non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

La cabina di regia si avvale per il suo funzionamento delle risorse umane e strumentali messe a disposizione dall’INPS, il quale - ai sensi di quanto previsto dal successivo comma 8 - provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

La cabina di regia è in particolare composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle politiche agricole e forestali, del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’INPS e della Conferenza regioni e province autonome di Trento e di Bolzano. I membri sono designati entro 30 giorni dall’entrata in vigore del D.L. in esame.

Fanno parte della cabina di regia anche tre rappresentanti dei lavoratori subordinati e tre rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi dell'agricoltura nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del D.L., su designazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale (comma 2).

 

I compiti della cabina di regia  sono enunciati nel comma 4 e consistono, in particolare, nel:

a) deliberare sulle istanze di partecipazione alla Rete, entro 30 giorni dalla presentazione delle stesse;

b) escludere dalla Rete le imprese agricole che perdono i requisiti di cui al comma 1.

c) redigere e aggiornare l’elenco delle imprese agricole che partecipano alla Rete e curarne la pubblicazione sul sito internet dell’INPS;

d) formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.

 

Il comma 3 prevede le modalità di partecipazione alla Rete, disponendo che le imprese agricole – al fine di parteciparvi - presentino istanza in via telematica.

Si osserva che la norma non chiarisce a chi debba essere presentata l’istanza, anche se sembra presumibile, ai sensi del predetto comma 4, che essa debba essere presentata alla Cabina di regia.

Il comma 3 si limita infatti a prevedere che, entro trenta giorni dall’insediamento, la predetta cabina di regia definisce con apposita determinazione gli elementi essenziali dell’istanza.

Il comma 6, dispone che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’INPS - fermi restando gli ordinari controlli in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro - orientano l’attività di vigilanza nei confronti delle imprese non appartenenti alla Rete del lavoro agricolo di qualità, fatti salvi:

·        i casi di richiesta di intervento proveniente dal lavoratore, dalle organizzazioni sindacali, dall’Autorità giudiziaria o da autorità amministrative

·        e, secondo quanto introdotto al Senato, i casi di imprese che abbiano procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, di contratti collettivi, di sicurezza sui luoghi di lavoro e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Secondo dunque le modifiche introdotte all’articolo in sede di esame in prima lettura presso l’altro ramo del Parlamento, le imprese che abbiano procedimenti penali in corso possono dunque partecipare alla “Rete del lavoro di qualità”, ma – sebbene vi partecipino - rientrano tra le tipologie di imprese oggetto di vigilanza “prioritaria” dal parte del il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’INPS.

 

Quanto sopra è disposto con il fine di realizzare un più efficace utilizzo delle risorse ispettive disponibili.

 

In ragione del fatto che le imprese partecipanti alla rete del lavoro agricolo di qualità debbono essere in una condizione di regolarità contributiva e fiscale e non aver violato le norme a tutela della sicurezza del lavoratore e sono “controllate” in tal senso in via prioritaria dalla cabina di regia, il comma 6 in esame sembra istituire, nella sostanza, un canale di controllo prioritario per le imprese non iscritte alla rete che continua ad essere esercitato dal Ministero del lavoro e dall’INPS.

 

Il comma 7 fa comunque salva la possibilità che il Ministero del lavoro e l’INPS effettuino controlli sulla veridicità delle dichiarazioni in base alla disciplina vigente.


Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alla disposizione che istituisce una Rete del lavoro agricolo, finalizzata alla prevenzione del lavoro agricolo sommerso, si segnala che è attualmente all’esame delle Istituzioni dell’UE una proposta di decisione (COM(2014)221) relativa all’istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione per la prevenzione e la lotta al lavoro sommerso.

In particolare, la proposta prevede l’istituzione di una piattaforma per il rafforzamento della cooperazione per il contrasto del lavoro sommerso, composta dalle autorità nazionali, e dalla Commissione.

La proposta è attualmente all’esame della XI Commissione e, in sede consultiva, della XIV Commissione della Camera dei deputati, mentre la Commissione lavoro del Senato ha già approvato un’apposita risoluzione il 3 giugno 2014 (DOC. XVIII, n. 67).

 

 

 


 

Articolo 6-bis
(Disposizioni per i contratti di rete)

 

 

L’articolo 6-bis, al comma 1, dispone che le risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI), di cui al comma 354 e seguenti della legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), sono destinate anche al finanziamento agevolato di investimenti in ricerca ed innovazione tecnologica, effettuati da imprese agricole, forestali e agroalimentari che partecipano ad un contratto di rete, per le finalità proprie del medesimo contratto.

A tal fine, l’articolo 6-bis, al comma 1, introduce nella predetta legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005), un nuovo comma 361-bis.

 

Si osserva al riguardo che la legislazione vigente già include il finanziamento agevolato a valere sul FRI di interventi in ricerca e sviluppo nei confronti delle imprese agricole; sembra, quindi, che la portata innovativa del disposto in esame sia da riferirsi alla possibilità di richiedere tali finanziamenti le imprese in esame che partecipano ad un contratto di rete.

 

Le reti di impresa rappresentano forme di coordinamento di natura contrattuale tra imprese, particolarmente destinate alle PMI che vogliono incrementare la loro capacità competitiva senza ricorrere a fusioni o a unioni sotto il controllo di un unico soggetto.

Il D.L. n. 5/2009, all'articolo 3, commi 4-ter - espressamente richiamato dalla norma in esame - e successivi commi, disciplina i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle imprese partecipanti e alle modalità di esecuzione dei contratti stessi.

 

Con riferimento al Fondo rotativo, si ricorda che l'art. 1, comma 354, della legge finanziaria per il 2005, come successivamente modificato dall’articolo 3, comma 6 del D.L. n. 35/2005, ha disposto l’istituzione, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti Spa, di un Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati alle imprese in forma di anticipazione di capitali rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale.

Fondo è destinato alle imprese, anche associate in appositi organismi, anche cooperativi, costituiti o promossi dalle associazioni imprenditoriali e dalle Camere di commercio.

Si consideri che una quota delle risorse del FRI è specificamente destinata agli interventi in ricerca e sviluppo delle imprese.

Infatti, si ricorda che – ai sensi dell’articolo 30 del D.L. n. 83/2012 – per le finalità perseguite dal Fondo per la crescita sostenibile – tra quali rientra la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione di rilevanza strategica per il rilancio della competitività del sistema produttivo  - i relativi programmi e interventi possono essere agevolati anche a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca. In particolare, ai sensi del comma 3, le risorse non utilizzate del FRI al 31 dicembre di ciascun anno, sono destinate per le finalità di cui sopra, nel limite massimo del 70 per cento.

Tale norma sembra dunque incidere su quanto già previsto dal comma 1 del citato articolo 6 del D.L. n. 35/2005 secondo il quale una quota pari ad almeno il 30 per cento delle risorse finanziarie del FRI è destinata a sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppo delle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica. L’individuazione degli obiettivi e delle modalità di utilizzo di tale quota parte di risorse è affidata al Programma Nazionale della Ricerca (PNR), approvato annualmente dal CIPE, secondo specifiche priorità indicate nel comma 4 dell’articolo 6 del D.L. n. 35/2005[38].

 

Con apposite delibere del CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri in maniera non delegabile, da sottoporre al controllo preventivo della Corte dei conti, il FRI è ripartito per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente.

Ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi al finanziamento sono considerati prioritariamente i seguenti progetti di investimento:

a) interventi finalizzati ad innovazioni, attraverso le tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali;

b) programmi di innovazione ecocompatibile finalizzati al risparmio energetico secondo la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale;

c) realizzazione dei corridoi multimodali transeuropei n. 5, n. 8 e n. 10 e connesse bretelle di collegamento, nonché delle reti infrastrutturali marittime, logistiche ed energetiche comunque ad essi collegate;

c-bis) infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (legge obiettivo);

c-ter) infrastrutture nel settore energetico ed in quello delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero delle attività produttive;

c-quater) iniziative e programmi di ricerca e sviluppo realizzati nell'ambito dei progetti di innovazione industriale.

Con Delibera CIPE 15 luglio 2005, n. 76/2005 sono state fissate le modalità di funzionamento del fondo.

 

La dotazione iniziale del Fondo, alimentato con le risorse del risparmio postale, è stabilita in 6 miliardi di euro.

Le successive variazioni alla dotazione – dispone il comma 354 - sono disposte dalla Cassa depositi e prestiti Spa, in relazione alle dinamiche di erogazione e di rimborso delle somme concesse, e comunque nel rispetto dei limiti annuali di spesa sul bilancio dello Stato fissati ai sensi del comma 361[39].

 

Secondo quanto risulta dalle informazioni pubblicate sul sito istituzionale di CDP S.p.A., il CIPE stabilendo i criteri generali di erogazione dei finanziamenti agevolati, e ad un tasso di interesse minimo dello 0,50% annuo ha approvato lo schema di convenzione per la regolazione dei rapporti tra la CDP, i Ministeri titolari dei regimi di aiuto e i Soggetti abilitati a svolgere le istruttorie dei finanziamenti, ed ha ripartito i 6 miliardi di euro di dotazione iniziale del FRI (Del. CIPE n. 38/2008, successivamente integrata da Dell. CIPE n. 101/2010 e, da ultimo, dalla Del. CIPE n.93/2013).

 

Il comma 2 stabilisce che le imprese agricole, alimentari e forestali aderenti a contratti di rete, per le finalità ad esso connesse, possono accedere prioritariamente - a parità delle altre condizioni stabilite da ciascun documento di programmazione - alle risorse previste per i programmi di sviluppo rurale regionale e nazionale nell'ambito del nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari 2014-2020.

Con riferimento ai programmi di sviluppo rurale, si ricorda che per periodo di programmazione 2014-2020, è stato approvato il nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il quale fa parte - unitamente al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), al Fondo sociale europeo (FSE), al Fondo di coesione (FC) ed al futuro Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) - dei fondi contemplati nel Quadro Strategico Comune dell'Unione europea.

Il Regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio dispone la nuova disciplina relativa agli aiuti allo sviluppo rurale concessi a valere sul FEASR. L'Allegato I al Regolamento fissa gli stanziamenti complessivi FEASR per lo sviluppo rurale nell'Unione europea ripartiti per Stati membri destinatari. L'Italia è destinataria per il periodo 2014-2020 di circa 10,4 miliardi, ai quali  va aggiunta la quota di cofinanziamento nazionale, pari anch’essa a circa 10,4 miliardi di euro.

Si segnala che l’articolo 6-bis ripropone quanto contenuto nell’articolo 10 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, attualmente all’esame del Senato.

 

 


 

Articolo 7, commi 1 e 2
(Detrazioni per l’affitto di terreni agricoli a giovani agricoltori)

 

 

L’articolo in esame, al comma 1, interviene sull’articolo 16 del TUIR (D.P.R. n. 917/1986) relativo alle detrazioni per canoni di locazione al fine di:

·        introdurvi una detrazione per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola di età inferiore ai trentacinque anni, pari al 19 per cento delle spese sostenute per i canoni di affitto dei terreni agricoli, entro il limite di euro 80 per ciascun ettaro preso in affitto e fino a un massimo di euro 1.200 annui.

Il Senato ha aggiunto nel corso dell’esame che si deve trattare di terreni agricoli diversi da quelli di proprietà dei genitori.

E’ stato, poi, precisato nel corso dell’esame al Senato che, per chiedere la detrazione d’imposta in esame, occorre che il contratto di affitto sia redatto in forma scritta.

La detrazione spetta, nel rispetto della regola de minimis di cui al regolamento sugli aiuti di stato d’importanza minore per il settore agricolo Reg. (UE) n. 1408/2013[40] (nuovo comma 1-quinquies).

 

Con riguardo alle figure soggettive che hanno titolo per usufruire dei benefici in esame va anzitutto richiamato l’articolo 1 del D.Lgs. n. 99/2004, (come modificato dal D.Lgs.n. 101/2005), che ha introdotto in via generale nell’ordinamento nazionale, in luogo della figura di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP), la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), adeguandola alle nuove norme approvate con il regolamento CE n. 1257/1999. La norma prevede che la qualifica di IAP venga riconosciuta a chi, in possesso di specifiche conoscenze e competenze professionali, dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi da tali attività almeno il 50% del proprio reddito globale. Per i soggetti che operino nelle zone svantaggiate i requisiti suddetti sono ridotti al 25%. La qualifica di IAP può essere riconosciuta, a determinate condizioni, differenziate a seconda delle forme societarie, anche alle società che abbiano come unico oggetto sociale l’esercizio di attività agricole.

Per la definizione di coltivatore diretto va invece richiamata la legge n. 203 del 1982 che prevede che siano coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempreché tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell'impiego delle macchine agricole.

·        prevedere che anche per la detrazione di cui sopra, qualora essa sia di ammontare superiore all’imposta lorda diminuita, nell’ordine, delle detrazioni per carichi di famiglia e alle altre detrazioni (di cui agli articoli 12 e 13 del medesimo TUIR), è riconosciuto un ammontare pari alla quota di detrazione che non ha trovato capienza nella predetta imposta. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità per l’attribuzione del predetto ammontare.

 

Ai sensi del comma 2, quanto disposto dal comma 1 si applica a decorrere dal periodo d’imposta 2014, senza tuttavia incidere sull'acconto relativo all'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuto nel medesimo anno.

 

Secondo una analisi del Centro Studi di Confagricoltura su dati Unioncamere – riportata dalla medesima organizzazione nel corso dell’audizione presso il Senato sul D.L. in oggetto, il 2 luglio 2014 -, l’incidenza degli imprenditori agricoli ‘under 35’ sul totale degli imprenditori del settore iscritti al Registro delle Imprese è passata dal 7,57% del 2010 al 6,94% del 2013. Nello stesso intervallo temporale, la generalità delle imprese agricole è diminuita del 8,66%, mentre quelle condotte da giovani sotto i 35 anni hanno registrato una flessione pressoché doppia (-16,28%). Anche se parte di questo fenomeno è dovuta al superamento dell’età da parte dei conduttori, le imprese agricole condotte da ‘under 35’ iscritte alle Camere di Commercio rappresentano solo il 6,94% del totale.

 

 


 

Articolo 7, commi 3 e 4
(Ulteriori misure di fiscalità agricola)

 

 

I commi 3 e 4 recano misure di carattere fiscale che consistono nell'abrogazione delle agevolazioni per mancata coltivazione del terreno per un'intera annata agraria, e nella rivalutazione dei redditi dominicali e agrari ai fini della determinazione delle imposte sui redditi.

 

In particolare, il comma 3 prevede l'abrogazione dell’articolo 31, comma 1 del TUIR (D.P.R. 917/1986) il quale disponeva che, se un fondo rustico, costituito per almeno due terzi da terreni qualificati come coltivabili a prodotti annuali, non fosse stato coltivato, neppure in parte, per un'intera annata agraria e per cause non dipendenti dalla tecnica agraria, il reddito dominicale, per l'anno in cui si fosse chiusa l'annata agraria, si considerava pari al 30 per cento di quello determinato secondo le tariffe d’estimo ai sensi degli artt. 28 e ss. del TUIR (articolo 7, comma 3).

Non viene invece in alcun modo modificata  l’analoga disposizione (contenuta nel comma 2 dell’articolo 31 del TUIR) relativa alla perdita di raccolto derivante da eventi naturali.

 

L’abrogazione del comma 1 dell’articolo 31 incide anche su quanto disposto dal successivo articolo 35 del TUIR secondo il quale è nullo il reddito agrario in caso di mancata coltivazione dei terreni ai sensi dell’ articolo 31.

Si osserva che, per coordinamento normativo, sarebbe opportuno intervenire con una modifica dell’articolo 35 in questione al fine di rimuovere il riferimento in esso contenuto all’articolo 31, comma 1.

 

Infine, il comma 4 interviene sulla rivalutazione dei redditi dominicale e agrario ai soli fini della determinazione delle imposte sui redditi che, per i periodi d'imposta 2013, 2014 e 2015, il comma 512, articolo 1 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) aveva stabilito nella misura del 15 percento.

Attraverso una sostituzione del citato comma 512, il comma 4 porta dal 15 al 30 percento l’entità della predetta rivalutazione nel periodo d’imposta 2015, e la mette a regime, nella misura del 7 percento, a decorrere dal periodo d’imposta 2016.

La misura della rivalutazione del 15 percento è mantenuta ferma per il 2013 e 2014.

Per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, la rivalutazione è confermata al 5 per cento per i periodi di imposta 2013 e 2014 e invece portata al 10 per cento per il periodo di imposta 2015.

Ai fini della determinazione dell’acconto per gli anni 2013, 2015 ed il 2016, i contribuenti debbono tener conto delle rispettive nuove rivalutazioni.

Il comma 512 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012, nella sua formulazione previgente alle modifiche introdotte dal comma in esame, disponeva che, ai soli fini della determinazione delle imposte sui redditi, per i periodi d'imposta 2013, 2014 e 2015, i redditi dominicale e agrario fossero rivalutati del 15 per cento. Per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, la rivalutazione era pari al 5 per cento.

 

Rimane invariata la previsione che l'incremento si applica sull'importo risultante dalla rivalutazione operata dall'articolo 3, comma 50, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che, a sua volta, aveva già rivalutato i redditi dominicali e agrari, rispettivamente, dell'80 per cento e del 70 per cento.

 

Si ricorda, in estrema sintesi, che sono titolari di redditi fondiari le persone fisiche (articolo 26 del TUIR) che hanno il possesso dell’immobile a titolo di proprietà o altro diritto reale di godimento; tali redditi concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti possessori, nel periodo di imposta in cui si tale possesso si è verificato. Possono produrre redditi fondiari anche le società di persone, le s.r.l. e le cooperative che rivestono la qualifica di società agricole.

In particolare, il reddito dominicale è il tipo di reddito fondiario derivante dalla proprietà o da altro diritto reale di godimento sui terreni; esso è indipendente dalla circostanza che la coltivazione del terreno sia effettuata dal proprietario o da terzi, in quanto esso è imputato al proprietario / titolare di diritto reale sul terreno.

Il reddito agrario esprime invece (articolo 32 del TUIR) la redditività media derivante dall’esercizio di attività agricole; esso è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso.

 


 

Articolo 7-bis
(Interventi a sostegno delle imprese agricole condotte da giovani)

 

 

L'articolo 7-bis, introdotto durante l’esame al Senato, interviene in  riforma degli interventi a sostegno dei giovani imprenditori agricoli contenuta nel Capo III del Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000.

 

In particolare, l'articolo, al comma 1, sostituisce il Capo III, del Titolo I, del predetto D. Lgs. n. 185/2000, concernente le misure in favore della nuova imprenditorialità in agricoltura.

Gli articoli 9 e 10 di cui il predetto capo è composto, vengono sostituiti con 5 nuovi articoli, da 9 a 10-quater.  La rubrica del Capo viene rinominata in “Misure in favore dello sviluppo dell’imprenditorialità in agricoltura e del ricambio generazionale”.

Con tale intervento di riforma degli incentivi all’autoimprenditorialità agricola, il legislatore di fatto completa la riforma del Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000, già in parte realizzata con il Decreto legge n. 145/2013 (cd. “Destinazione Italia”), muovendosi in simmetria con essa.

 

L’articolo 7-bis riproduce, con talune differenze, il contenuto dell’articolo 13 del DDL A.S. 1328, cd. collegato agricolo, attualmente all’esame del Senato.

 

Il Titolo I del D.Lgs. n. 185/2000 è stato infatti oggetto di una significativa riforma ad opera dell’articolo 2, commi 1 e 1-bis D.L. n. 145/2013 (cd. “Destinazione Italia”), la quale non ha però inciso in modo sostanziale sul Capo III specificamente dedicato alla nuova imprenditorialità in agricoltura[41].

Il Capo III del D.Lgs. n. 185/2000, nella sua formulazione attualmente vigente, indica all’articolo 9, i soggetti beneficiari dei contributi per la nuova imprenditorialità in agricoltura, all’articolo 10 indica i progetti finanziabili.

In particolare, il comma 01 dell’articolo 9 dispone che le agevolazioni di cui al capo III siano concedibili su tutto il territorio nazionale nel rispetto di quanto previsto dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato per il settore agricolo e per quello della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli.

Il comma 1 considera ammissibili ai benefici i giovani imprenditori agricoli, anche organizzati in forma societaria, subentranti nella conduzione dell'azienda agricola, che presentino progetti per lo sviluppo o il consolidamento di iniziative nei settori della produzione, commercializzazione e trasformazione di prodotti in agricoltura.

Il comma 2 dispone quale requisito che i soggetti siano residenti, alla data del subentro, nei comuni ricadenti, anche in parte, nel territorio nazionale. Le società subentranti, alla data di presentazione della domanda, devono avere la sede legale, amministrativa ed operativa nel territorio nazionale e l'azienda agricola localizzata nei territorio nazionale. 

Le società subentranti devono essere amministrate da un giovane imprenditore agricolo ed essere prevalentemente composte da soggetti di età compresa tra i 18 e i 39 anni che abbiano la maggioranza assoluta numerica e delle quote di partecipazione.

Le agevolazioni concedibili possono assumere la forma di contributi a fondo perduto e di mutui a tasso agevolato.

Ai sensi dell’articolo 10 possono essere finanziati, secondo i criteri e gli indirizzi stabiliti dal CIPE e nei limiti posti dall'Unione europea, i progetti relativi ai settori della produzione, commercializzazione e trasformazione di prodotti in agricoltura.

Sono esclusi dal finanziamento i progetti che prevedono  investimenti superiori a due miliardi di lire (1.032.914 euro) al netto dell'IVA[42].

 

Il nuovo articolo 9 del D. Lgs. n. 185 come sostituito dall’articolo in esame – individua, al comma 1, le finalità del Capo III nel sostegno le imprese agricole a prevalente o totale partecipazione giovanile, per favorire il ricambio generazionale in agricoltura e il miglioramento delle condizioni per l'accesso al credito.

 

La nuova formulazione conferma dunque quanto previsto dalla normativa vigente, secondo la quale gli aiuti ai giovani imprenditori agricoli sono concedibili su tutto il territorio nazionale.

Al comma 2, si subordina la concessione delle misure di sostegno di cui al Capo III all’autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE[43].

 

Il nuovo articolo 10, al comma 1, stabilisce le tipologie dei benefici, consistenti in mutui agevolati a tasso zero.

 Per gli investimenti, si tratta di mutui della durata massima, comprensiva del periodo di preammortamento, di 10 anni e di importo non superiore al 75% della spesa ammissibile. Per il settore della produzione, i suddetti mutui hanno durata massima, compreso il periodo di preammortamento, di 15 anni.

 

Vengono dunque eliminati con la riforma qui in esame i contributi a fondo perduto.

 

Il comma 2 prevede che alle agevolazioni si applichino i massimali previsti dalle norme europee e che le medesime agevolazioni siano concesse nel rispetto la disciplina europea sugli aiuti di stato per il settore agricolo e per quello della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

Si ricorda in proposito che per il periodo di programmazione 2014-2020, la Commissione europea ha adottato, il 25 giugno 2014, il nuovo regolamento di esenzione (ABER – Regolamento che dichiara alcune categorie di aiuti nei settori agricolo e forestale e nelle zone rurali compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE e che abroga il regolamento (CE) n. 1857/2006, il quale è stato operativo fino al 30 giugno scorso) e gli Orientamenti dell’Unione europea per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali 2014-2020. Entrambi sono in procinto di esse pubblicati in Gazzetta ufficiale.

Per gli aiuti cd. de minimis nel settore agricolo con il Reg. (UE) 18 dicembre 2013, n. 1408/2013. Si tratta di quegli aiuti di piccolo ammontare concessi da uno Stato membro a un'impresa unica agricola (di importo  complessivo non superiore a 15.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari) che per la loro esiguità e nel rispetto di date condizioni soggettive ed oggettive non devono essere notificati alla Commissione, in quanto non ritenuti tali da incidere sugli scambi tra gli Stati membri e dunque non suscettibili di provocare un’alterazione dalla concorrenza tra gli operatori economici[44].

 

Il comma 3 introduce la previsione secondo la quale i mutui sono assistiti dalle garanzie previste dall’articolo 44 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), acquisibili nell’ambito degli investimenti da realizzare.

L’articolo 44 del TUB dispone che i finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio, anche a breve termine, possono essere assistiti dal privilegio speciale previsto dall'articolo art. 46 del medesimo TUB[45].  In particolare, i finanziamenti a breve e medio termine sono assistiti da privilegio legale sui seguenti beni mobili dell'impresa finanziata: a)  frutti pendenti, prodotti finiti e in corso di lavorazione; b)  bestiame, merci, scorte, materie prime, macchine, attrezzi e altri beni, comunque acquistati con il finanziamento concesso; c)  crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni indicati nelle lettere precedenti. Il privilegio legale si colloca nel grado immediatamente successivo ai crediti per le imposte sui redditi immobiliari (di cui al n. 2) dell'art. 2778 cc.).

In caso di inadempimento, il giudice del luogo in cui si trovano i beni sottoposti ai privilegi può, su istanza della banca creditrice, assunte sommarie informazioni, disporne l'apprensione e la vendita. Ove i finanziamenti di credito agrario e di credito peschereccio siano garantiti da ipoteca su immobili, si applica la disciplina prevista per le operazioni di credito fondiario.

 

Il nuovo articolo 10-bis indica i soggetti beneficiari delle agevolazioni: possono beneficiare degli incentivi le imprese, in qualsiasi forma costituite, che siano subentranti nella conduzione di un’intera azienda agricola, esercitante esclusivamente l’attività agricola ex art. 2135 c.c.[46]. Le imprese subentranti devono:

a) essere costituite da non più di sei mesi alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

b) esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile;

c) amministrate e condotte da un giovane imprenditore agricolo di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, ovvero, nel caso di società composte per oltre la metà numerica dei soci e di quote di partecipazione, da giovani imprenditori agricoli di età compresa tra i 18 e 40 anni.

 

L'azienda agricola oggetto di subentro deve esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 cc. da almeno due anni alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

 

I nuovi requisiti soggettivi previsti sembrano per taluni aspetti più restrittivi rispetto a quelli vigenti: in particolare, si prevede che debba trattarsi di imprese subentranti costituite da non più di sei mesi, e di imprese che esercitano l'attività agricola in via esclusiva. Dall’altro lato, però, si innalza da 39 a 40 anni il limite di età degli imprenditori giovanili.

Si rileva, al riguardo, che la scelta appare conforme a quanto attualmente previsto nella disciplina sulla PAC 2014-2020, ed in particolare dal Reg. UE 1307/2013 (articolo 50) in cui è definito giovane agricoltore una persona fisica di età non superiore a 40 anni.

 

La nuova disciplina non reca più quanto previsto attualmente per cui - per l'accesso alle agevolazioni - le imprese devono avere la sede legale, amministrativa ed operativa nel territorio nazionale e che i giovani imprenditori agricoli devono essere residenti nel territorio nazionale.

Il comma 2 estende le agevolazioni di cui al Capo III alle imprese che presentino progetti per lo sviluppo o il consolidamento di iniziative nei settori della produzione e della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, attive da almeno due anni alla data di presentazione della domanda di agevolazione.

Tali imprese devono però esercitare esclusivamente l'attività agricola ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile e amministrate e condotte da un giovane imprenditore agricolo di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni (vedi supra, lettere b) e c)).

 

L’articolo 10-ter concerne i progetti finanziabili.

Sono finanziabili le iniziative che prevedano investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro -  in luogo dell’attuale milione di euro circa al netto dell’IVA -  nei settori della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

L'articolo dispone altresì che le iniziative devono essere finanziate, nei limiti delle risorse di cui al successivo articolo 10-quater, secondo i criteri e le modalità che saranno stabiliti con decreto ministeriale attuativo del Ministro delle politiche agricole da adottarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame, e nei limiti posti dall'Unione europea.

 

Per ciò che concerne le risorse finanziarie disponibili, l’articolo 10-quater stabilisce che la concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle risorse di cui al punto 2 della delibera del CIPE n. 62 del 2 agosto 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 261 del 7 novembre 2002.

Le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale ed europea.

 

Si ricorda che il punto 2 della delibera del CIPE n. 62/2002 aveva impegnato Sviluppo Italia S.p.A. a destinare 85 milioni di euro al finanziamento delle iniziative volte a favorire l’imprenditorialità giovanile agricola ( iniziative prima disciplinate dall'art. 3, comma 9, del D.L. n. 67/1997 poi dagli articoli 9 e 10 del D.Lgs. n. 185/2000), utilizzando a tal fine le risorse di cui al Fondo di cui all’articolo 25 del D. Lgs. n. 185/2000[47] derivanti dal recupero dei mutui contratti dai giovani agricoltori.

Successivamente a tale delibera, ai sensi dell’articolo 4, commi 42-44 della legge n. 350/2003, la competenza in materia di attuazione degli investimenti agevolati per i giovani agricoltori è stata trasferita da Sviluppo Italia (ora INVITALIA) all’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare ISMEA.

Il trasferimento delle relative risorse finanziarie è avvenuto con Decreto del Ministro per le politiche agroalimentari e forestali del 28 dicembre 2006, il quale ha previsto che le risorse di cui al punto 2 della delibera, pari a 50 milioni di euro venissero trasferite sul conto corrente (infruttifero) di tesoreria centrale dello Stato presso la Banca d'Italia intestato ad ISMEA (numero di pertinenza 178, conto 22054, ISMEA per l'attuazione del decreto ministeriale 28 dicembre 2006).

Tale dotazione è stata incrementata con delibera CIPE n. 37 del 23 marzo 2012, la quale ha assegnato 5 milioni di euro a favore di ISMEA per il finanziamento delle misure agevolative dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego nel settore agricolo[48]. Alla data del 23 luglio 2014, sulla base dell’interrogazione effettuata presso la Ragioneria generale dello Stato, il predetto conto di tesoreria reca una disponibilità di 24,4 milioni di euro circa.

 

Per ciò che attiene alle risorse europee, si ricorda che la PAC 2014-2020 dedica apposite finalizzazioni ai giovani agricoltori. Si ricorda, in particolar modo, il Reg. (UE) n. 1305/2013. Tale regolamento, per il periodo di programmazione 2014-2020, contiene la disciplina  di sostegno europeo allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). Tale sostegno europeo, per l’Italia ammonta – nel periodo di programmazione 2014-2020- a complessivi 10,4 miliardi di euro ai quali si aggiunge il cofinanziamento nazionale (pari ad ulteriori 10,4 miliardi di euro), ripartiti per obiettivi tematici.

In particolare, l’articolo 7 dispone che – per contribuire alla realizzazione delle priorità dell'Unione in materia di sviluppo rurale - gli Stati membri possono inserire nei programmi di sviluppo rurale dei sottoprogrammi tematici che rispondano a specifiche esigenze. Tali sottoprogrammi tematici possono riguardare, tra l'altro i giovani agricoltori.

L’allegato IV del Reg. UE n. 1305 – che contiene un elenco indicativo di misure e interventi di particolare rilevanza per i sottoprogrammi tematici - indica per i Giovani agricoltori le seguenti misure di sostegno da realizzarsi attraverso le risorse FEASR:

·        aiuto all'avviamento di attività imprenditoriale per i giovani agricoltori che si insediano per la prima volta in un'azienda agricola

·        Investimenti in immobilizzazioni materiali

·        Trasferimento di conoscenze e azioni di informazione

·        Servizi di consulenza, di sostituzione e di assistenza alla gestione delle aziende agricole

·        Cooperazione

·        Investimenti in attività extra-agricole.

Nello specifico, il Titolo III, capo I, indica le misure di sviluppo rurale oggetto di sostegno, e tra queste, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 17 e dell’allegato VI del medesimo regolamento rientrano gli investimenti in immobilizzazioni a favore di giovani agricoltori secondo aliquote massime di sostegno fissate nell’Allegato II del medesimo Regolamento. Rientrano altresì i giovani agricoltori nella misura di sostegno allo sviluppo delle aziende agricole e delle imprese (aiuto all’avviamento), contenuta nell’articolo 19.

 

Il comma 1, lettera b) dell’articolo 7-bis interviene sull'articolo 24, comma 1, del medesimo D. Lgs. n. 185, con finalità di coordinamento normativo con quanto previsto alla lettera a), cpv. 10-ter, al fine di sopprimere la previsione che demanda la definizione dei criteri e delle modalità di concessione delle agevolazioni  dal citato Capo III ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Infine, il comma 2 dispone che alle domande di accesso alle agevolazioni presentate prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame continua ad applicarsi la disciplina previgente.

 

 


 

Articolo 7-ter
(Disposizioni penali urgenti per garantire la
sicurezza agroalimentare
)

 

 

L’articolo 7-ter, inserito durante l’esame al Senato, modifica il codice penale e il codice di procedura penale per inasprire la repressione del delitto di contraffazione alimentare, previsto dall’art. 517-quater del codice penale.

 

In particolare, il comma 1 interviene sull’art. 517-quater del codice penale, che punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 euro le condotte di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Con l’aggiunta di un ulteriore comma, il disegno di legge di conversione stabilisce che la condanna per questo delitto comporti sempre l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere, nonché l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

 

Il comma 2 sostituisce l’art. 518 del codice penale, che attualmente impone la pubblicazione della sentenza di condanna che riguardi i delitti di aggiotaggio (art. 501 c.p.), di frode contro le industrie nazionali (art. 514 c.p.), di frode commerciale (art. 515 c.p.), di vendita di sostanze alimentari non genuine (art. 516 c.p.) e di vendita di prodotti industriali con segno mendaci (art. 517 c.p.).

La disposizione approvata dal Senato aggiunge alle condanne che comportano la pubblicazione della sentenza, anche la condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.).

 

Il comma 3 modifica invece il codice di procedura penale (art. 51, comma 3-bis), per attribuire alla competenza della procura distrettuale, cioè all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel cui ambito ha sede il giudice competente, la competenza ad esercitare l’azione penale per il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Dall’inserimento di tale delitto (art. 416, finalizzato a commettere il delitto previsto dall’art. 517-quater) nel catalogo dell’art. 51, comma 3-bis, conseguirebbe la presunzione di adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. L’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale prevede infatti che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, sia applicata la custodia cautelare in carcere, a meno che non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

Questa conseguenza non è peraltro adottata dall’articolo in commento che, con il comma 4, novella proprio l’art. 275 c.p.p. sui presupposti della custodia cautelare, per escludere l’automatismo in presenza di indagini per associazione a delinquere finalizzata alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

 

 


 

Articolo 7-quater
(Disposizioni per l’agricoltura biologica)

 

 

L’articolo 7-quater, introdotto nel corso dell’esame al Senato, opera uno snellimento degli adempimenti burocratici in capo agli operatori nel settore dell’agricoltura biologica, disponendo l’istituzione presso il MIPAAF del Sistema informativo per il biologico (SIB), il quale, mediante l’infrastruttura del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), è preposto a gestire i procedimenti amministrativi degli operatori e degli organismi di controllo.

Prevede inoltre l’istituzione dell’Elenco pubblico degli operatori dell’agricoltura biologica, sulla base delle informazioni contenute nel SIB.

 

In particolare, il comma 1, dispone l’abrogazione degli articoli da 6 a 9 del D. Lgs. n. 220/1995[49].

Gli articoli abrogati recano – in attuazione degli articoli 8 e 9 del Reg. CEE n. 2092/91 - la disciplina delle modalità con le quali notificare l’inizio attività da parte degli operatori del settore biologico e dispongono l’istituzione, presso le regioni e province autonome degli "elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica", nonché l’istituzione presso il MiPAAF dell'elenco nazionale degli operatori e degli organismi di controllo autorizzati.

In particolare, l'articolo 6 dispone che gli operatori del settore biologico sono  tenuti a notificare l'inizio dell'attività alle regioni o alle province autonome in cui è ubicata l'azienda. L'articolo 7 prevede che la modulistica riguardante l'attività di produzione, i programmi, le relazioni di ispezione ed i registri aziendali è redatta conformemente ai modelli di cui all'allegato V de Reg.CEE. L'articolo 8 dispone che regioni e province autonome istituiscano gli "elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica". L'articolo 9 dispone l'istituzione, presso il MIPAAF, dell'elenco nazionale degli operatori e degli organismi di controllo autorizzati.

 

La disciplina abrogata è in sostanza destinata ad essere sostituita da quella contenuta nei successivi commi dell’articolo in esame, semplificando gli adempimenti burocratici per gli operatori del biologico  ed adeguandoli alla più recente normativa europea.

 

Si ricorda in proposito che il Reg. CEE n. 2092/91 è stato abrogato dal Reg. (CE) n. 834/2007, il quale costituisce, attualmente, la normativa europea sulla produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici[50].

In particolare, gli articoli 8 e 9 del Regolamento CE 2092/91 che contenevano norme sul Sistema di controllo dei prodotti biologici, sono stati sostituiti degli  articoli 27-31 del Reg. (CE) n. 834/2007.

Tali nuove norme confermano che gli operatori del settore devono notificare la loro attività all'autorità competente dello Stato membro in cui è esercitata e prevedono che le autorità di controllo e gli organismi di controllo devono tenere un elenco aggiornato dei nomi e degli indirizzi degli operatori soggetti al loro controllo, nonché mettere a disposizione del pubblico con le modalità opportune, compresa la pubblicazione su Internet, gli elenchi aggiornati (articolo 92-ter, Reg. n.889/2008)[51].

 

Il comma 2 istituisce, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio statale, il Sistema informativo per il biologico (SIB) presso il Ministero delle politiche agricole, previo parere della Conferenza unificata (art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281). Esso, mediante l'infrastruttura del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN), è finalizzato a gestire i procedimenti amministrativi degli operatori e degli organismi di controllo.

Il SIAN è il sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo, agroalimentare e forestale[52] messo a disposizione dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e dall'Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura per assicurare lo svolgimento dei compiti relativi alla gestione degli adempimenti previsti dalla PAC - Politica agricola comune, con particolare riguardo ai regimi di intervento nei diversi settori produttivi.

 

Il comma 3 prevede che entro sessanta giorni dalla data in vigore del provvedimento in esame un decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali definisca i modelli per la notifica dell'attività di produzione con metodo biologico, i programmi annuali di produzione, le relazioni di ispezione dell'attività di produzione, i registri aziendali, favorendo il ricorso all'uso dei sistemi informativi.

 

Il comma 4 prevede che il Ministero delle politiche agricole, basandosi sulle informazioni contenute nel SIB, istituisca l'elenco pubblico degli operatori dell'agricoltura biologica.

 

Le regioni dotate di propri sistemi informatici per la gestione dei procedienti relativi all’agricoltura biologica, ai sensi del comma 5, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato-regioni e province autonome, devono attivare una cooperazione che garantisca il flusso delle informazioni tra il SIB e i sistemi regionali. In mancanza, verrà utilizzato il SIB.

 

Si segnala che l’articolo in esame è identico all’articolo 6 del DDL 1328 “Collegato agricolo”, attualmente all’esame del Senato e che presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera sono in corso di esame la proposta di legge C.302, recante “Disposizioni per lo sviluppo e la competitività della produzione agricola e agroalimentare con metodo biologico" nonché la proposta di regolamento UE COM (2014) 180 che modifica la normativa europea in materia di produzione con metodo biologico.

 

 


 

Articolo 7-quinquies
(Esercizio del diritto di prelazione o di riscatto agrari)

 

 

L’articolo in esame, aggiunto nel corso dell’esame al Senato, estende alle società cooperative che hanno almeno la metà degli amministratori e dei soci come coltivatori diretti, il diritto di prelazione per l’acquisto del fondo goduto a titolo di locazione.

 

Più in particolare, la legge 26 maggio 1965, n.590, reca disposizioni per lo sviluppo della proprietà coltivatrice e prevede, all’articolo 8 che, nel caso si voglia vendere o concedere in enfiteusi fondi già locati a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, l'affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione, a determinate condizioni, per l’acquisto del fondo stesso.

L’articolo 7 della legge n.817 del 1971 ha, poi, apportato talune modifiche puntuali all’art. 8 della legge del 1965, prevedendo un termine di quattro anni rispetto ai due iniziali per l’esercizio del diritto di prelazione ed estendendo il diritto in esame anche al mezzadro o al colono il cui contratto fosse stato stipulato dopo l’entrata in vigore della legge 756/1964 nonché  al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non fossero insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti.

Quanto alle cooperative alle quali si estende il diritto di prelazione, esse sono quelle individuate dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n.228 del 2001 che ha equiparato agli imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.

 

Si ricorda che l’articolo 4, comma 2 del DDL A.S. 1328, cd. collegato agricolo, all’esame del Senato, contiene disposizioni che intervengono in materia di diritto di prelazione e di riscatto agrari.

 

 


 

Articolo 7-sexies
(Disposizioni in materia di limite per il trasferimento di denaro contante)

 

 

L’articolo 7-sexies, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, stabilisce che per l’acquisto di beni e servizi nei settori del commercio al minuto e delle agenzie di viaggi da parte di cittadini dell’Unione europea (o di Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo) non residenti in Italia il limite per il trasferimento di denaro contante è quello vigente nel Paese di residenza dell’acquirente.

 

Si ricorda che incidendo sull'articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 (contrasto al riciclaggio) l'articolo 12 del D. L. 201/2011 ha disposto il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro.

Successivamente sono stati disciplinati dei casi in cui è possibile derogare al generale divieto di utilizzo del contante dai 1.000 euro. In particolare l’articolo 3 del D.L. n. 16 del 2012 prevede che gli operatori del settore del commercio al minuto e le agenzie di viaggio e turismo possono vendere beni e servizi a cittadini stranieri (non UE e non SEE) non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, utilizzando un'apposita procedura.

Fanno parte dello Spazio economico europeo Islanda, Liechtenstein e Norvegia.

 

Con la norma in esame, per i cittadini europei (UE e SEE) si prevede che il limite dell’uso del contante nei settori del commercio al minuto e delle agenzie di viaggio sia quello previsto nel Paese di residenza dell’acquirente. Nondimeno, per gli acquisti di importo pari o superiore a 1.000 euro, devono essere seguite le procedure previste per i cittadini extra Ue non residenti in Italia (stabilite dall’articolo 3, commi 1, 2 e 2-bis, del D.L. n. 16 del 2012).

In sintesi le procedure citate prevedono che i commercianti e le agenzie che vogliano usufruire della deroga al limite dell’uso del contante per i loro clienti debbano comunicarlo preventivamente all’Agenzia delle entrate. Inoltre devono acquisire la fotocopia del passaporto dell’acquirente e devono versare il contante incassato in un conto corrente nel primo giorno feriale successivo. Infine ogni operazione di acquisto con contante oltre i 1.000 euro deve essere comunicata all’Agenzia delle entrate.

 

Da un sommario esame preliminare, tra i principali Pesi europei che prevedono limiti all’uso del contante si segnalano la Spagna con un limite a 2.500 euro, la Francia (3.000 euro), il Belgio (15.000 euro), la Danimarca (13.400 euro), la Romania (2.300 euro) e la Slovenia (15.000 euro). La Germania non prevede limiti all’uso del contante.


 

Articolo 8
(Disposizioni finanziarie)

 

 

Il comma 1 incrementa lo stanziamento del Fondo per interventi strutturali di politica economica di 800.000 euro a decorrere dall'anno 2018.

 

Il Fondo per interventi strutturali di politica economica (ISPE) è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282/2004, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari.

La dotazione del Fondo ISPE (cap. 3075/Economia) risulta rideterminata nel bilancio 2014-2016 (legge n. 148/2013 e D.M. di ripartizione in capitoli del 27 dicembre 2013) in 44,3 milioni per il 2014, in 360,5 milioni nel 2015 e in 173,6 milioni nel 2016. Sugli stanziamenti indicati dalla legge di bilancio 2014-2016, hanno, peraltro, già inciso in senso riduttivo, numerosi interventi legislativi.

 

Il comma 2 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri relativi ad alcuni articoli del provvedimento in esame – nello specifico, articolo 3, commi 1 e 3 (credito d'imposta per le spese per nuovi investimenti sostenuti da imprese per il potenziamento commercio elettronico e per lo sviluppo di nuovi prodotti agricoli), articolo 5, commi 2 (l'incentivo all'assunzione di giovani lavoratori agricoli) e 13 (deduzione ai fini IRAP dei costi per i lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato), articolo 7, commi 1 e 2 (Detrazioni per l'affitto di terreni agricoli ai giovani), e dal comma 1 del presente articolo (incremento del Fondo per interventi strutturali).

Tali oneri, a seguito delle modifiche approvate nel corso dell’esame al Senato, sono quantificati pari a 5 milioni di euro per l'anno 2014, 67,4 milioni per l'anno 2015, 50,6 milioni per l'anno 2016, 37,6 milioni per l'anno 2017, 33,9 milioni per l'anno 2018, e a 29,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019.

Rispetto al testo iniziale[53], nel corso dell’esame al Senato gli oneri complessivi sono stati ridotti di 1,5 milioni di euro per l’anno 2015 e di 3 milioni di euro per l’anno 2016 ed aumentati di 4,5 milioni di euro per l’anno 2018, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 3, comma 5 (aumento dei limiti di spesa per l’anno 2015 per la concessione dei crediti di imposta disciplinati dall’articolo, nello specifico +1 milione di euro nel 2015 per la concessione del credito d’imposta per nuovi investimenti per il potenziamento del commercio elettronico e +3 milioni nel 2015 per il credito d’imposta finalizzato a investimenti per lo sviluppo di nuovi prodotti) e all’articolo 5 (riduzione di 5,5 milioni di euro nell’anno 2015 e di 3 milioni nel 2016 ed aumento di 4,5 milioni nel 2018 della dotazione del fondo per l'incentivo all'assunzione di giovani lavoratori agricoli).

A tali oneri si provvede:

-   quanto a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 e a 4,5 milioni per l'anno 2018, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente;

-   quanto a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa ad interventi in agricoltura di cui all’articolo 4 della legge n. 499/1999, come da ultimo rifinanziata in legge di stabilità (Tabella E).

La legge n. 499/1999 contiene misure volte ad assicurare una programmazione economico-finanziaria per gli interventi in ambito agricolo, agroalimentare, agroindustriale e forestale[54].

All’articolo 4 della legge sono indicate le attività di competenza del Ministero delle politiche agricole, per l’espletamento delle quali le relative risorse sono annualmente rifinanziate attraverso la tabella E della legge di stabilità.

La legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), Tabella E, ha rifinanziato la legge (le cui risorse sono iscritte sul Capitolo 7810/Mipaaf), per un importo pari a 30 milioni di euro nel 2014.

Si segnala che, per l’anno 2014 e 2015, l’autorizzazione di spesa in questione è stata rifinanziata anche da ulteriori norme, quali l’articolo 46-bis dal D.L. n. 69/2013 per 5 milioni di euro per il 2014 e di 15 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2015-2016, nonché dall’articolo 16, comma 7 del D.L. n. 66/2014 per 4,8 milioni di euro per l’anno 2014. I finanziamenti operati da tali due decreti legge hanno specifica destinazione, essendo stati finalizzati dal legislatore al rilancio del settore agricolo e alla realizzazione delle iniziative in campo agroalimentare connesse all'evento Expo Milano 2015, nonché per la partecipazione all'evento medesimo.

-   quanto a 11,3 milioni per l'anno 2015, a 5,6 milioni per l'anno 2016, a 2,2 milioni per l'anno 2017 e a 4,5 milioni di euro per l’anno 2018, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica;

-   quanto a 13,3 milioni di euro per l'anno 2015 e 7,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016 mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'abrogazione dell’agevolazione fiscale di cui all’articolo 31, comma 1 del TUIR, sul reddito agrario (prevista nei casi di mancata coltivazione del terreno per un'intera annata agraria), disposta dall’articolo 7, comma 3, del presente decreto,

-   quanto a 36,3 milioni di euro per l'anno 2015, 28,4 milioni di euro per l'anno 2016 e 21,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017 mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla rivalutazione del 15 per cento dei redditi dominicali e agrari, disposta dall'articolo 7, comma 4, del presente decreto.

 

La Tabella che segue indica gli oneri complessivi e le risorse utilizzate a copertura per i primi anni dal 2014 al 2018 ai sensi dell’articolo in esame, come indicati nel prospetto relativo recante gli effetti finanziari delle norme del provvedimento:

milioni di euro

Art./comma

2014

2015

2016

2017

2018

 

ONERI

5,0

65,9

47,6

37,6

38,4

3, co. 1

Credito d'imposta per nuovi investimenti sostenuti da imprese per potenziamento commercio elettronico

0,5

2,0

1,0

-

-

3, co. 3

Credito d’imposta per nuovi investimenti sostenuti da imprese per lo sviluppo di nuovi prodotti

4,5

12,0

9,0

--

-

5, co. 2

Incentivi per nuove assunzioni di giovani lavoratori agricoli

-

-

9,0

9,0

9,0

5, co. 13

Deduzioni IRAP lavoratori impiegati nel settore agricolo

-

33,3

18,0

18,0

18,0

7, co. 1-2

Detrazioni per canoni di affitto di terreni agricoli ai giovani (minori entrate)

-

18,6

10,6

10,6

10,6

8, co. 1

Rifinanziamento Fondo interventi strutturali di politica economica

 

 

 

 

0,8

8

COPERTURA

5,0

65,9

47,6

37,6

38,4

a)

Fondo speciale di parte corrente

-

-

6,0

6,0

4,5

b)

Riduzione autorizzazione di spesa per interventi in agricoltura (art. 4, L. n. 499/1999)

5,0

5,0

-

-

-

c)

Fondo interventi strutturali di politica economica

-

11,3

5,6

2,2

4,5

d)

Maggiori entrate – Abrogazione agevolazioni IRPEF reddito agrario

-

13,3

7,6

7,6

7,6

e)

Maggiori entrate –Incremento coefficienti di rivalutazione per i redditi dominicali e agrario

-

36,3

28,4

21,8

21,8

 

Il comma 3 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 


 

Articolo 8-bis
(Contributo per il recupero di pneumatici fuori uso)

 

 

L'articolo 8-bis integra la disciplina del contributo ambientale per la gestione di pneumatici fuori uso (contenuta nell’art. 228, comma 2, del D.Lgs. 152/2006), stabilendo che esso:

§  è parte integrante del corrispettivo di vendita;

§  è assoggettato ad IVA;

§  è applicato dal produttore o dall’importatore in base all’importo vigente alla data dell’immissione del pneumatico nel mercato nazionale del ricambio;

§  rimane invariato in tutte le successive fasi di commercializzazione del pneumatico;

§  deve essere riportato in modo chiaro e distinto nelle fatture. In proposito, la norma prevede che ciascun rivenditore ha l’obbligo di indicare in modo chiaro e distinto in fattura il contributo all'atto dell'acquisto del pneumatico.

 

La disposizione in commento è finalizzata a superare le incertezze sorte in fase applicativa (per esempio con riferimento all’applicazione dell’IVA), dovute all’assenza di indicazioni precise da parte della vigente normativa.

Si ricorda che una disposizione pressoché identica a quella in esame è contenuta nell’art. 20 del c.d. collegato ambientale (A.C. 2093) e, ancora prima, era stata inclusa nel disegno di legge , A.S. 3162–B) della XVI legislatura, che non ha concluso il proprio iter.

 

Il contributo ambientale per la gestione di Pneumatici Fuori Uso (PFU)

Il contributo ambientale per la gestione di PFU è stato istituito, a carico degli utenti finali, dal comma 2 del citato articolo 228, che ne ha disposto l’indicazione in fattura in tutte le fasi della commercializzazione, al fine di far fronte agli oneri derivanti dall'obbligo di cui al comma 1.

Il comma 1 dell’articolo 228 dispone, infatti, che al fine di garantire il perseguimento di finalità di tutela ambientale secondo le migliori tecniche disponibili, ottimizzando, anche tramite attività di ricerca, sviluppo e formazione, il recupero di PFU e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione è fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di PFU pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione di PFU.

Al fine di dare attuazione alle disposizioni dettate dall’articolo 228 è stato emanato il D.M. Ambiente 11 aprile 2011, n. 82 (Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso), il cui articolo 5 ha disciplinato le modalità di determinazione del contributo. Tali modalità sono state successivamente modificate dal D.L. 5/2012, che ha introdotto nel testo dell’articolo 228 un nuovo comma 3-bis, che ha affidato la determinazione del contributo a produttori e importatori di pneumatici o alle loro eventuali forme associate, diversamente da quanto previsto dal citato D.M. che ne attribuiva la competenza al Ministero dell'ambiente. Sono state pubblicate le linee guida per la determinazione del contributo ambientale per l’anno 2014.

Con riferimento all’applicazione o meno dell’IVA, pur in assenza di precise indicazioni normative, secondo il consorzio Ecopneus (creato dai sei principali produttori di pneumatici operanti in Italia) il contributo deve essere assoggettato all’imposta[55].

 

 


 

Articolo 9, commi 1-10
(Interventi urgenti per l'efficientamento energetico
degli edifici scolastici e universitari pubblici)

 

 

L’articolo 9 disciplina la possibilità di concedere finanziamenti a tasso agevolato, nel limite di 350 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (cd. Fondo Kyoto), al fine di realizzare interventi di incremento dell’efficienza energetica degli edifici scolastici, inclusi gli asili nido, e universitari, nonché degli edifici dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM).

In particolare, il finanziamento può essere concesso anche a fondi immobiliari chiusi (commi 1, 3 e 4) e l'accesso al finanziamento avviene sulla base di una diagnosi energetica dell'edificio accompagnata da un attestato di prestazione energetica ai sensi della normativa vigente (comma 5).

Gli interventi devono migliorare il parametro di efficienza energetica dell'edificio di almeno due classi in 3 anni  (comma 6).

La durata del finanziamento è al massimo ventennale o decennale in caso di audit energetico. L’importo finanziabile previsto è pari a un milione di euro, se il finanziamento riguarda solo l’impianto, e due milioni, se il finanziamento investe impianti e riqualificazione dell'intero edificio, compreso l'involucro (comma 7).

Si dispone, infine, riguardo al coordinamento di tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica, inclusi quelli previsti dall’articolo in commento, che deve essere assicurato anche mediante un’apposita struttura di missione

 

La concessione di finanziamenti a tasso agevolato

 

In particolare, il comma 1 prevede la concessione di finanziamenti a tasso agevolato, nel limite di 350 milioni di euro, per interventi di incremento dell'efficienza energetica degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica e all’istruzione universitaria, nonché di edifici dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM). Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che, nell’ambito degli edifici pubblici adibiti all’istruzione scolastica, sono inclusi gli asili nido.

 

Al riguardo si ricorda che, in base all’art. 3 della L. 23/1996, alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici da destinare a sedi di scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado provvedono i comuni, mentre per quelli da destinare a sedi di scuole di istruzione secondaria di secondo grado provvedono le province.

Si ricorda, altresì, che la legge 1044/1971, che ha definito il Piano quinquennale per l'Istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato, indica i Comuni o i consorzi di Comuni quali soggetti responsabili per la costruzione e la gestione degli asili nido (art. 4). A tal fine, i comuni o i consorzi di comuni possono richiedere l'erogazione dei contributi statali secondo le norme stabilite dalla regione di appartenenza.

 La legislazione più recente, nell’individuare le funzioni fondamentali dei comuni, in occasione dell’attuazione del federalismo fiscale, inserisce tra le funzioni fondamentali dei comuni provvisoriamente individuate le “funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica” e le “funzioni del settore sociale”[56].

 

La norma prevede che i finanziamenti agevolati possono essere concessi a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (cd. Fondo Kyoto istituito dall’articolo 1, comma 1110, della legge n. 296 del 2006), avvalendosi della Cassa depositi e prestiti S.p.A. quale gestore del fondo stesso. Per una disamina delle funzioni e della dotazione finanziaria del Fondo si rinvia al relativo box nella presente scheda di commento.

Durante l’esame al Senato la disposizione è stata integrata prevedendo che la Cassa depositi e prestiti S.p.A. eroga i finanziamenti tenendo conto di quanto stabilito dal decreto di cui al comma 8 dell’articolo in commento, seguendo l’ordine cronologico di presentazione delle domande.

 

Il comma 2 prevede che i finanziamenti di cui al comma 1 vengano concessi in deroga all'articolo 204 del D.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), che prevede una specifica disciplina per l'assunzione di mutui da parte degli enti locali.

L'articolo 204 prevede, in sintesi, che l'ente locale può assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento solo se l'importo annuale degli interessi, sommato a quello di altre forme di finanziamento, non supera l'8 per cento delle entrate relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l'assunzione dei mutui. Inoltre i contratti di mutuo con enti diversi dalla Cassa depositi e prestiti, dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica e dall'Istituto per il credito sportivo, devono, a pena di nullità, essere stipulati in forma pubblica e contenere determinate clausole e condizioni, relativamente alle rate e alla durata, alla decorrenza dell'ammortamento, alla natura della spesa da finanziare e al del tasso di interesse.

 

Il comma 3 prevede che per i finanziamenti di cui al comma 1 si applica la riduzione del 50 per cento del tasso di interesse di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 17 novembre 2009.

Conseguentemente, il tasso d’interesse applicato risulta pari allo 0,25%.

 

L'articolo 1 del citato decreto ministeriale prevede, infatti, che il saggio di interesse sui finanziamenti da concedersi a valere sulle risorse del Fondo Kyoto è fissato nella misura dello 0,50%.

 

I finanziamenti ai fondi di investimento immobiliari chiusi

 

Il comma 4 prevede che i finanziamenti a tasso agevolato di cui al comma 1 possano essere concessi anche a fondi di investimento immobiliare chiusi, istituiti dall'art. 33 del D.L. 98/2011, che presentino progetti di investimento, dimostrando la convenienza economica e l'efficacia nei settori di intervento.

Durante l’esame al Senato, la possibilità di erogare finanziamenti a tasso agevolato anche a fondi immobiliari chiusi è stata consentita nel limite delle risorse ivi previste. Inoltre, la possibilità di erogare finanziamenti a valere sulle risorse del Fondo Kyoto è stata estesa anche alle società EsCO, ovvero quelle società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l'efficienza energetica, sulla base di accordi con i clienti (come definite dal d.lgs. 115/2008).

 

L’articolo 33, commi 1, 8-bis, 8-ter e 8-quater, e l'articolo 33-bis del decreto-legge n. 98 del 2011 ha previsto la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari (sostanzialmente di due tipi: Fondo di fondi e Fondo a gestione diretta), con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti. A tale fine, è stata costituita, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 19 marzo 2013, una Società di gestione del risparmio (INVIMIT SGR S.p.A., Investimenti immobiliari italiani, in proposito si veda anche il box alla fine della scheda) per l’istituzione e gestione dei suddetti fondi d’investimento immobiliare. L’articolo 3, comma 2-bis, del D.L. 133/2013 ha chiarito che i fondi immobiliari gestiti da INVIMIT operano in regime di libera concorrenza. Il capitale della società (8 milioni di euro) è interamente detenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La INVIMIT, nella Relazione sulla gestione del bilancio dicembre 2013, evidenzia che nel primo Fondo dei Fondi, che sarà sottoscritto integralmente da INAIL per un impegno complessivo di circa 1.400 milioni di euro, ci saranno due comparti, di cui il comparto A investirà in Fondi immobiliari chiusi promossi da Enti territoriali ai sensi dell’articolo 33, comma 1, del D.L. 98/2011 e gestiti da Società di Gestione del Risparmio  selezionate da tali Enti. Gli assi di investimento relativi a questo comparto, per il 2014, sono:

(i) fondi immobiliari chiusi destinati alla rigenerazione del patrimonio scolastico, istituiti ai sensi dell’art. 53 del D.L. 5/2012 (L. 33/2012), come novellato   dal D.L. 179/2012 (L. 221/2012) (v. infra);

(ii) fondi immobiliari chiusi destinati alla riqualificazione ed efficientamento energetico dei patrimoni immobiliari degli Enti locali coerentemente con gli obiettivi della Strategia Europa 2020.

Attraverso tali fondi immobiliari si intendono promuovere progetti di “rigenerazione del patrimonio scolastico” (progetto Scuola) e di “riqualificazione ed efficientamento energetico del patrimonio Immobiliare pubblico” (progetto Energia), attribuendo ad un gestore professionale di fondi (società gestione del risparmio - SGR) il coordinamento, la gestione e la riconversione o la nuova costruzione di edifici scolastici, coerentemente con le linee guida per l’edilizia scolastica emanate dal MIUR l’11 aprile 2013.

Si ricorda peraltro che, in base alle disposizioni contenute nel citato art. 53 del D.L. 5/2012 (modernizzazione del patrimonio immobiliare scolastico e riduzione dei consumi e miglioramento dell'efficienza degli usi finali di energia), come modificato dall’art. 11, co. da 4 a 4-octies, del D.L. 179/2012, il MIUR ha emanato la Direttiva del 26 marzo 2013, con la quale è stata bandita l’assegnazione di risorse fino a 38 milioni di euro a valere sui residui di stanziamento provenienti dall’esercizio finanziario 2012, in qualità di contributi di cofinanziamento agli enti locali e alle regioni per interventi di edilizia scolastica, da realizzarsi tramite lo strumento del fondo immobiliare.

Come si rileva dalla richiamata Relazione sulla gestione dell’INVIMIT per il 2013, al bando hanno partecipato circa 450 enti territoriali, di cui circa 20 sono stati ammessi al finanziamento fino ad un massimo del 25% dell’intervento proposto.

Due decreti ministeriali del 5 febbraio 2014 hanno avviato la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare per la valorizzazione e la dismissione del patrimonio pubblico. Ai fondi comuni di investimento saranno trasferiti immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali, diritti reali immobiliari, l'intero patrimonio immobiliare da reddito dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e una parte del patrimonio immobiliare dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL).

Le modalità di costituzione e di partecipazione dei fondi riguardanti il patrimonio immobiliare di INPS e INAIL saranno definite in accordo con INVIMIT, la quale, con oneri a condizioni di mercato, contribuirà all'individuazione degli immobili e dei diritti reali immobiliari da conferire o trasferire, gestirà i fondi costituiti e provvederà alla selezione delle parti terze, inclusi eventuali altri soggetti cui affidare l'attività di collocamento delle quote emesse. Con successivi decreti saranno individuati gli immobili e i diritti reali immobiliari oggetto di conferimento o trasferimento ai fondi.

 

 

L'accesso e la revoca dei finanziamenti

 

I commi 5 e 6 condizionano l'accesso e la revoca dei finanziamenti a tasso agevolato in base, rispettivamente, ai seguenti due elementi:

-      la presentazione di diagnosi energetica comprensiva di certificazione energetica, in base alla normativa vigente (comma 5);

-      il conseguimento da parte degli interventi effettuati di un miglioramento del parametro di efficienza energetica dell'edificio di almeno due classi in un periodo massimo di tre anni, certificato da un professionista abilitato[57] che non sia stato coinvolto nelle fasi antecedenti di progettazione, direzione lavori e collaudo dell’intervento realizzato (comma 6).

 

La previsione della certificazione energetica degli edifici, che rientra nelle misure per la tutela dell'ambiente e delle risorse naturali e per un contenimento delle emissioni clima alteranti, mira a promuovere il miglioramento del rendimento energetico, grazie alla informazione dei consumi energetici richiesti per mantenere un determinato clima interno

Le prime disposizioni in materia risalgono alla legge n. 10 del 1991(35) , volta a favorire e ad incentivare, tra l’altro, l'uso razionale dell'energia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.

Successivamente le disposizioni sono state riviste ed integrate dai decreti legislativi n. 192 del 2005(36) e n. 311 del 2006(37) con i quali si è provveduto al recepimento nell’ordinamento della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia che ha introdotta nell’Unione europea la certificazione energetica degli edifici, intesa soprattutto come strumento di trasformazione del mercato immobiliare, finalizzato a sensibilizzare gli utenti sugli aspetti energetici all'atto della scelta dell'immobile.

Il decreto legislativo n. 192 del 2005, disciplinante - fra l’altro - la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e l'applicazione di requisiti minimi in materia, ha stabilito (in attuazione dell'art. 7 della direttiva 2002/91/CE) i criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, prevedendone l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione. In particolare ha previsto che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore (cioè entro l'8 ottobre 2006), gli edifici di nuova costruzione dovessero essere dotati, al termine della costruzione, di un attestato di certificazione energetica, con validità massima di 10 anni dal rilascio, comprendente i dati relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentano ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell'edificio.

Con il decreto legislativo n. 311 del 2006, recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 192 del 2005, l’obbligo della certificazione energetica è stato esteso gradualmente a tutti gli edifici preesistenti all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 192 del 2005, purché oggetto di compravendita o locazione. L’attestato di prestazione energetica ha una durata di 10 anni e attribuisce all’edificio una specifica classe di efficienza energetica (“A+” indica la classe di maggior efficienza e “G” quella più scadente); esso deve essere rilasciato da un certificatore qualificato che sia terzo indipendente rispetto alla proprietà o al costruttore.

Il decreto-legge n. 63 del 2013(38) interviene sul decreto legislativo n. 192 del 2005 indicando le nuove regole per l'efficienza del patrimonio edilizio e rendendo obbligatorio l'attestato di prestazione energetica (APE), che sostituisce il tradizionale attestato di certificazione energetica (ACE).

Il decreto legislativo n. 192 del 2005 disciplina in modo specifico la certificazione energetica per quanto concerne gli edifici e anche, in particolare, per gli edifici scolastici. Infatti per quanto concerne gli edifici utilizzati da pubbliche amministrazioni e aperti al pubblico con superficie utile totale superiore a 500 m2, ove l'edificio non ne sia già dotato, è fatto obbligo al proprietario o al soggetto responsabile della gestione, di produrre l'attestato di prestazione energetica e di affiggere l'attestato di prestazione energetica con evidenza all'ingresso dell'edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al pubblico. A partire dal 9 luglio 2015, la soglia di 500 m2 di cui sopra, è abbassata a 250 m2. Per gli edifici scolastici tali obblighi ricadono sugli enti proprietari.

 

 

 

 

La durata dei finanziamenti

 

Il comma 7 fissa la durata dei finanziamenti e gli importi massimi di spesa per gli interventi sugli edifici.

La durata dei finanziamenti previsti non potrà essere superiore a venti anni.

Durante l’esame parlamentare al Senato sono stati sostituiti il secondo e il terzo periodo del comma 7 prevedendo che, per gli interventi di efficienza energetica relativi esclusivamente ad analisi, monitoraggio, audit e diagnosi:

-        la durata massima del finanziamento è fissata in dieci anni;

-        l’importo del finanziamento non può essere superiore a trentamila euro per singolo edificio.

L’importo di ciascun intervento, comprensivo di progettazione e certificazione, non può essere superiore a un milione di euro, per interventi relativi esclusivamente agli impianti e a due milioni di euro per interventi relativi agli impianti e alla qualificazione energetica a pieno edificio, comprensivo dell’involucro.

 

Il testo originario prevede che, per gli interventi di efficienza energetica relativi esclusivamente ad analisi, monitoraggio, audit, diagnosi, certificazione e progettazione, la durata massima del finanziamento è fissata in dieci anni per un importo non superiore a cinquecentomila euro. Si prevede, inoltre, che l'importo di ciascun intervento non può superare un milione di euro se riguarda gli impianti, e due milioni di euro per interventi relativi agli impianti e alla qualificazione energetica a pieno edificio, comprensivo dell'involucro.

 

I criteri dei finanziamenti e la struttura di missione

 

Il comma 8 demanda ad un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (nel corso dell’esame al Senato è stato soppresso il riferimento all’emanazione del decreto da parte del Ministro dell'economia e delle finanze), di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, la fissazione dei criteri e delle modalità di concessione, di erogazione e di rimborso dei finanziamenti a tasso agevolato, nonché le caratteristiche di strutturazione dei fondi e delle operazioni che si intendono realizzare, ai fini della compatibilità delle stesse operazioni con gli equilibri di finanza pubblica.

Durante l’esame al Senato, il comma 8 è stato modificato introducendo la finalità, in relazione all’emanazione del suddetto decreto ministeriale, del raggiungimento entro il 2020 degli obiettivi stabiliti in sede europea dal Pacchetto-clima-energia (si veda in proposito il box riguardante il cd Fondo Kyoto).

Il comma 10 prevede che il coordinamento di tutti gli interventi in materia di edilizia scolastica, inclusi quelli previsti dall’articolo in commento, è assicurato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in raccordo con i Ministeri competenti, anche mediante apposita struttura di missione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Della struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri era stata data notizia nel comunicato stampa del 4 luglio 2014, relativo al “piano da un miliardo” per la realizzazione di interventi per #scuolenuove, #scuolesicure e #scuolebelle.

 

Ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 303 del 1999 (Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) il Presidente del Consiglio per lo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione di specifici programmi può istituire, con proprio decreto, apposite strutture di missione, la cui durata temporanea, comunque non superiore a quella del Governo che le ha istituite è specificata dall'atto istitutivo.

 

Il comma 9 reca, infine. una clausola di invarianza finanziaria al fine di precisare che dall’attuazione dell’articolo in commento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il Fondo rotativo Kyoto

 

Il Fondo rotativo Kyoto (legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, commi 1110, 1111 1113, 1114, 1115) è istituito per il finanziamento delle misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dell’11 dicembre 1997, reso esecutivo dalla legge 1° giugno 2002, n. 120.

Successivamente l’aggiornamento degli obiettivi del Protocollo è stato condotto in ambito internazionale nella 18a conferenza delle Parti dell'UNFCCC (COP 18), a Doha nel dicembre 2012, e nella 19a conferenza COP UNFCCC a Varsavia nel novembre 2013.

L’Unione Europea dal 2013 ha adottato, nell’ambito della strategia Europea 2020 che contiene gli interventi per una crescita sostenibile nel prossimo decennio, la strategia Clima-Energia (20-20-20), per i seguenti obiettivi da conseguire entro il 2020:

- 20% di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990;

- 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili;

- 20% di incremento dell’efficienza energetica.

Nel 2014 la Commissione europea ha comunicato una serie di proposte per il pieno conseguimento dei suddetti obbiettivi e per aumentarne il livello nell’ambito del pacchetto clima ed energia al 2030.

Le misure nazionali previste per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei livelli di emissione di gas a effetto serra sono contenute nella delibera n. 123/2002, aggiornata poi da altri atti, dei quali il più recente è la delibera CIPE n. 17/2013 emanata per l’aggiornamento del piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas a effetto serra, che tra l’altro ribadisce la necessità di intervenire per l’efficienza energetica degli  edifici pubblici. Da ultimo negli Allegati al DEF 2014 è presente lo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Per quanto concerne l’aspetto finanziario, il Fondo rotativo per l'attuazione del Protocollo di Kyoto, istituito presso la Cassa depositi e prestiti dall'articolo 1, comma 1110, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, (legge finanziaria 2007) presenta una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009 e l’articolo 57 del decreto-legge n. 83 del 2012, attuato con la circolare n. 5505 del 18 gennaio 2013, ha allargato la destinazione delle risorse del Fondo ad ulteriori settori riconducibili alla cosiddetta green economy (ricerca, sviluppo e produzione di biocarburanti, mediante bioraffinerie, installazione di tecnologie nel "solare", nelle biomasse e nella geotermia tanto per citarne alcuni) e alla protezione del territorio e prevenzione dei rischi idrogeologico e sismico, prevedendo finanziamenti destinati a progetti per l’assunzione a tempo indeterminato di giovani con età non superiore a trentacinque anni (nel caso di assunzioni superiori a tre unità, almeno un terzo dei posti è riservato a giovani laureati con età non superiore a 28 anni). Si segnala, infine, che l’articolo 1, comma 8, del decreto legge n. 129 del 2012  prevede che i finanziamenti a tasso agevolato di cui all’articolo 57, comma 1, possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del Sito di interesse nazionale di Taranto. Per tale finalità, nell’ambito del Fondo rotativo è destinata una quota di risorse fino a un importo massimo di 70 milioni di euro.

 

 

INVIMIT SGR S.p.A.

 

Con il D.L. n. 98 del 2011 (successivamente modificato) è stata disciplinata la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti.

Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 (G.U. n. 125 del 30/5/13) è stata istituita la Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.a.) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione. In primo luogo la SGR, con capitale sociale pari a 8 milioni di euro, istituisce e gestisce uno o più fondi d’investimento immobiliare (“Fondo nazionale”, comma 1), che perseguano, in particolare, i seguenti obiettivi strategici: partecipare in fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, promossi da regioni, province e comuni, anche in forma consorziata, e da altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti (cosiddetto “Fondi di fondi”) (commi 1 e 2); investire direttamente nell’acquisto di immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni, in ottica di razionalizzazione degli usi governativi (comma 1); partecipare, sulla base dell’eventuale emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, a fondi titolari di diritti di concessione o d’uso su beni indisponibili e demaniali (comma 1); acquistare immobili di proprietà degli enti territoriali ad uso ufficio o già inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio (comma 8-bis).

Gli enti territoriali, sulla base di puntuali analisi di fattibilità, promuovono la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (“Fondi territoriali”, comma 2), a cui possono essere apportati beni immobili e diritti. A tali fondi degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. n. 85 del 2010 (federalismo demaniale).

I fondi istituiti dalla SGR possono altresì investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni ovvero partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione. Le azioni della SGR possono essere trasferite con D.M. a titolo gratuito all’Agenzia del Demanio; la SGR può avvalersi in via transitoria del personale dell’Agenzia.

Il D.L. n. 95 del 2012 ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio, prevedendo la costituzione di altre tipologie di fondi immobiliari, con l’obiettivo esplicito di conseguire la riduzione del debito pubblico. Il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”, comma 8-ter), nonché diritti reali immobiliari. Le risorse derivanti dalla cessione delle quote dei fondi sono riassegnate al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato e destinate al pagamento dei debiti dello Stato. A differenza del fondo di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 33 (“Fondo nazionale”) che dovrebbe prevalentemente operare come “fondo di fondi”, tale fondo agirebbe come “Fondo diretto” al quale possono essere trasferiti o conferiti: immobili statali non utilizzati per finalità istituzionali, nonché diritti reali immobiliari; immobili di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, previa delibera; beni demaniali valorizzabili, individuati dall’Agenzia del demanio, per i quali è prevista, a seguito di richiesta, la cessione gratuita a comuni, province e regioni; beni immobili di regioni, province e comuni e di enti o società interamente partecipate dai predetti enti.

Il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”, comma 8-quater), anch’esso Fondo diretto.

Il MEF l'11 ottobre 2013 ha comunicato che la Banca d'Italia, sentita la Consob, ha autorizzato la società Invimit (Investimenti Immobiliari Italiani) alla gestione collettiva del risparmio.

L’articolo 33-bis del D.L. n. 98 del 2011 prevede ulteriori strumenti per la gestione degli immobili pubblici, quali società, consorzi o fondi immobiliari, promossi e partecipati dall’Agenzia del demanio. Tali iniziative sono volte alla valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, non solo di proprietà dello Stato e degli enti vigilati, ma soprattutto degli enti territoriali. Alle società promosse dall'Agenzia del demanio per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ai sensi dell’articolo 33-bis, si applica il trattamento fiscale previsto per le Società di investimento immobiliare quotate.

Si ricorda che da ultimo l'articolo 56-bis del D.L. n. 69 del 2013 ha rinnovato la procedura di trasferimento di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato, prevedendo nel periodo dal 1° settembre 2013 al 30 novembre 2013 la possibilità per gli enti territoriali di fare richiesta all'Agenzia del demanio di attribuzione di tali beni, eccetto le tipologie specificamente indicate. Non possono essere trasferiti i beni in uso per finalità dello Stato o per quelle in materia di razionalizzazione degli spazi e di contenimento della spesa; i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità; i beni per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione ai sensi dell'art. 33 D.L. 98/2011.

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alle disposizioni volte ad aumentare l’efficienza energetica degli edifici pubblici, si segnala che, lo scorso 2 luglio, la Commissione europea ha presentato una comunicazione “Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia” (COM(2014)445) che reca una serie di proposte per ridurre l’impatto ambientale degli edifici ristrutturati e di nuova costruzione, migliorando l’efficienza delle risorse e aumentando le informazioni disponibili circa le prestazioni ambientali degli edifici.

Tali proposte consentirebbero ad architetti, fabbricanti di prodotti da costruzione, costruttori e a tutti coloro che vogliono affittare o acquistare un immobile l’accesso a informazioni di migliore qualità circa gli aspetti ambientali e sanitari coinvolti. in collaborazione con le parti interessate e le autorità nazionali, la Commissione elaborerà un quadro con un numero limitato di indicatori per valutare l’efficienza ambientale degli edifici. Lo scopo è fornire uno strumento che possa essere utilizzato in tutta Europa dai privati ma anche dalle autorità pubbliche. Saranno inoltre adottate misure per migliorare direttamente le prestazioni ambientali degli edifici.

La comunicazione, insieme a quelle sui rifiuti e l’economia circolare, l’occupazione verde e il piano d’azione verde per le PMI, pubblicate contestualmente dalla Commissione, promuovono una rinnovata agenda in materia di efficienza energetica per i prossimi anni.

Nel novembre dello scorso anno, inoltre, la Commissione, con la comunicazione “Attuazione della direttiva sull’efficienza energetica — orientamenti della Commissione” (COM(2013)762), ha esplicitato la sua intenzione di assistere gli Stati membri perché tale direttiva (direttiva EED - 2012/27/UE), di natura eminentemente tecnica, sia attuata nel modo migliore e nei tempi più brevi possibile.

Partendo dal presupposto che l’efficienza energetica si basa su una pluralità di azioni su piccola scala e che la direttiva sull’efficienza energetica contiene disposizioni complesse e dettagliate, spesso di carattere estremamente tecnico, la Commissione ha predisposto sette documenti di lavoro che illustrano in che modo, a giudizio dei servizi della Commissione, alcune disposizioni della direttiva devono essere intese e applicate al meglio.

La piena e corretta attuazione della direttiva EED sarà fondamentale per conseguire entro il 2020 l’obiettivo del 20% di efficienza energetica stabilito dall'Unione, che a sua volta contribuirà al quadro per le politiche dell'energia e del clima con orizzonte 2030 (COM(2014)15), attualmente in discussione presso le istituzioni europee (il Consiglio europeo lo ha discusso più volte, da ultimo lo scorso 13 giugno).

 

Si segnala infine che, lo scorso 23 luglio, la Commissione ha presentato una comunicazione sull’efficienza energetica (COM(2014)520) che, nel quadro energia/clima al 2030, fissa al 30 per cento l’obiettivo di risparmio energetico nel 2030 e, nel contempo, fornisce gli elementi necessari a valutare lo stato di avvicinamento ai target 2020.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

E’ attualmente in corso la procedura di infrazione n. 2012/368, promossa dalla Commissione europea per il mancato recepimento da parte dell’Italia della direttiva 2010/31/UE, sulla prestazione energetica nell'edilizia (parere motivato ex art. 258 del TFUE).

Nella lettera che reca la comunicazione del parere motivato del 24 gennaio 2013, la Commissione contesta all’Italia di non avere ottemperato ai doveri di comunicazione previsti dalla direttiva 2010/31/UE relativi alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate per conformarsi alla direttiva. Pertanto, la Commissione, non disponendo di altri elementi di informazione che le consentano di concludere che l’Italia abbia adottato le misure necessarie, deve supporre che l’Italia non abbia adottato alcuna disposizione.

 

Si segnala che, con la finalità di recepire la direttiva 2010/31/UE, l’Italia ha adottato il decreto-legge n. 63/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 90/2013). Tuttavia, la procedura di infrazione non risulta essere stata archiviata.

 

 


 

Articolo 9, comma 10-bis
(Segnaletica luminosa stradale)

 

 

Il comma 10-bis dell’articolo 9, introdotto nel corso dell’esame al Senato, integra le prescrizioni in materia di caratteristiche dei semafori attraverso una modifica dell’articolo 234 del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992).

In particolare, si dispone l’obbligo, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e nel momento in cui necessitino di sostituzione, di sostituire le lampade ad incandescenza, nei semafori[58], con lampade a basso consumo energetico, ivi comprese le lampade realizzate con tecnologia a LED.

Si prevede inoltre che i semafori debbano essere dotate di lampade con marcatura CE e attacco normalizzato E27, che ne assicurino l'accensione istantanea. La norma dispone inoltre che la loro sostituzione debba essere eseguita utilizzando la struttura ottica della lanterna semaforica già esistente, ove ciò sia tecnicamente possibile senza apportarvi modifiche. E’ richiesto che le lampade realizzate con tecnologia a LED, in caso di rottura anche di un solo componente, si spengano automaticamente in modo da garantire l'uniformità del segnale luminoso durante il loro funzionamento.

 

Si ricorda che in base all’art. 167 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada (D.P.R. n. 495 del 1992) l'illuminazione delle luci semaforiche deve essere realizzata con dispositivi idonei a garantire un solido fotometrico di chiara visibilità, uniforme e privo di fenomeni di abbagliamento. Pertanto la previsione della sostituzione con lampade a basso consumo, in quanto lampade aventi la caratteristica di aumentare la propria intensità luminosa progressivamente a partire dal momento dell’accensione, potrebbe non essere compatibile con la previsione dell’accensione immediata e con la necessità di chiara e uniforme visibilità.

 

La disposizione riprende il contenuto dell’articolo 1-quater del decreto-legge n. 126/2013, non convertito.

 


 

Articolo 10, commi 1-7 bis, 9, 11 e 13
(Misure straordinarie per accelerare l'utilizzo delle risorse e l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale)

 

 

I commi da 1 a 7, 9 e 11, recano una serie di disposizioni, che incidono sulla disciplina per l’utilizzo delle risorse finanziarie e la realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. In sintesi si prevede: l’immediato subentro dei Presidenti delle regioni nelle funzioni dei Commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali (comma 1); la possibilità per i Presidenti della Regione di avvalersi di una serie di soggetti pubblici per l’espletamento di alcune funzioni (comma 4); la sostituzione di tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta ed ogni altro provvedimento necessario all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza del territorio (comma 6); la trasformazione dell’Ispettorato generale (competente in materia di difesa de suolo), presso il Ministero dell’ambiente in una Direzione generale (comma 7); la fissazione del termine per il completamento dei lavori al 31 dicembre 2015 e la previsione di modalità di monitoraggio (comma 9); l’istituzione di una apposita struttura di missione (comma 11). 

Il comma 13 reca, infine, la clausola di invarianza finanziaria al fine di prevedere che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Ulteriori disposizioni inserite nel corso dell’esame al Senato prevedono la possibilità di stipulare apposite convenzioni con i conduttori di aziende agricole ubicate su terreni al di sopra di 1.000 metri di altitudine per la realizzazione di opere minori di pubblica utilità (comma 7-bis).

 

La nomina dei Presidenti delle regioni a Commissari straordinari delegati (commi 1, 2 e 2 bis)

 

Il comma 1 prevede che, a decorrere dall'entrata in vigore del decreto (25 giugno 2014), i Presidenti delle Regioni, nei territori di loro competenza, subentrano nelle funzioni degli esistenti Commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali, per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi, individuati negli specifici accordi di programma sottoscritti tra le Regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), per la mitigazione del rischio idrogeologico.

 

I piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico sono stati previsti dall’articolo 2, comma 240 della legge 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) e risultano contenuti negli Accordi di programma, sottoscritti dalla regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzati alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico.

 

In sostanza, la disposizione di cui al comma 1 del presente articolo è volta ad anticipare al 25 giugno 2014 il subentro dei Presidenti di regione nelle funzioni dei commissari straordinari, istituiti dall’articolo 17, comma 1, del decreto-legge 195/2009, per la mitigazione del rischio idrogeologico in determinate zone del territorio nazionale.

Infatti, il medesimo comma 1 dell’articolo 17, modificato dall’articolo 6, comma 1, lettera 0a, del decreto-legge 136 del 2013 prevede la cessazione dalle funzioni dei commissari straordinari il 31 dicembre 2014, cioè non oltre il periodo di durata pari a cinque anni, a partire dall’entrata in vigore del decreto-legge medesimo (31 dicembre 2009.). Il comma 1-bis dell’articolo 136 ha previsto, inoltre, che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, i Presidenti delle regioni sarebbero subentrati ai commissari straordinari.

Il comma 1 dell’articolo 11 prevede, inoltre, che, entro 15 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, i citati commissari straordinari in carica completano tutte le operazioni necessarie per il subentro dei Presidenti di regione.

Per lo svolgimento delle suddette funzioni non sono previsti compensi a favore dei Presidenti delle regioni.

I Presidenti delle regioni, in caso di dimissioni o di impedimento, sono sostituiti da un commissario ad acta, nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che esercita i poteri previsti, fino all'insediamento del nuovo Presidente della regione o alla cessazione della causa di impedimento (comma 2).

Nel corso dell’esame al Senato, è stato inserito il comma 2-bis, che consente al Presidente delle Regione di delegare un apposito soggetto attuatore il quale opera sulla base di specifiche indicazioni ricevute dal Presidente della Regione. Viene, altresì, previsto che il soggetto attuatore, se dipendente di società a totale capitale pubblico o di società dalle stesse controllate, anche in deroga ai contratti collettivi nazionali di lavoro delle società di appartenenza, venga collocato in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio, dalla data del provvedimento di conferimento dell’incarico e per tutto il periodo di svolgimento dello stesso. Per tale disposizione è prevista una specifica clausola di invarianza finanziaria.

 

 

Gli obblighi dei Presidenti delle regioni (commi 3 e 9)

 

Il comma 3 dispone che i Presidenti delle regioni, entro trenta giorni dall’effettivo subentro ai commissari straordinari, devono ultimare gli adempimenti per i quali l’articolo 1, comma 111, della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014) aveva fissato il termine finale del 30 aprile 2014.

Questi adempimenti riguardano, in particolare, la finalizzazione delle risorse disponibili presso le contabilità speciali per le misure contro il dissesto idrogeologico, a favore di interventi immediatamente cantierabili previsti negli accordi di programma, e la presentazione, tramite il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di specifica informativa al CIPE con l’indicazione del relativo cronoprogramma e dello stato di attuazione degli interventi già avviati.

I Presidenti delle regioni devono inoltre completare entro il 31 dicembre 2015 gli interventi, per i quali entro il 30 giugno 2014 sono trasferite le relative risorse statali o regionali (comma 9).

Come stabilito dal citato articolo 1, comma 111, della legge di stabilità 2014, resta confermato il termine del 31 dicembre 2014 per la revoca del previsto finanziamento statale, in caso di mancata pubblicazione del bando o di mancato affidamento dei lavori.

In questi casi, le risorse revocate sono rifinalizzate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per altri interventi contro il dissesto idrogeologico, fermo restando il vincolo territoriale di destinazione delle risorse, rimodulando i singoli accordi di programma, nel caso esistano progetti immediatamente cantierabili compatibili con le finalità della norma.

I Presidenti delle regioni devono inoltre rendere noti, con cadenza almeno trimestrale, i dati relativi allo stato di avanzamento dei lavori in un sistema on line, con modalità stabilite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (comma 9).

 

I poteri dei Presidenti delle regioni (commi 5 e 6)

 

Nell’esercizio delle funzioni, attribuite ai Commissari straordinari dal comma 1 del presente articolo, per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, il Presidente della regione è titolare dei poteri di autorizzazione e approvazione dei progetti, nonché dei poteri di sostituzione e di deroga attribuiti ai commissari delegati dall'articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009 (comma 5).

 

Si segnala che, secondo quanto previsto dall’articolo 17 del D.L. 195/2009, i commissari straordinari possono avvalersi dei poteri di sostituzione e di deroga di cui all’ art. 20, comma 4, del decreto-legge n. 185/2008. In particolare, i commissari, con riferimento ad ogni fase dell’investimento e ad ogni atto necessario per la sua esecuzione, hanno i poteri, anche sostitutivi, degli organi ordinari o straordinari e provvedono in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto comunque della normativa comunitaria sull’affidamento di contratti relativi a lavori, servizi e forniture, nonché dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico.

 

In base a quanto previsto dal comma 6, le autorizzazioni rilasciate dal Presidente regionale ai sensi del comma 5 sostituiscono tutti i visti, i pareri, le autorizzazioni, i nulla osta necessari per l'esecuzione degli interventi, le dichiarazioni di pubblica utilità e costituiscono, eventualmente, variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale.

Sono comunque fatti salvi i pareri e gli atti di assenso di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

Tali pareri o atti di assenso devono essere comunque rilasciati entro trenta giorni dalla richiesta, decorsi i quali, in mancanza del parere, si provvede alla conclusione del procedimento limitatamente agli interventi previsti dal pertinente accordo di programma.

 

La procedura in caso di occupazioni di urgenza e di eventuali espropriazioni (comma 6)

 

Nel corso dell’esame al Senato al comma 6 è stato aggiunto un periodo, che prevede, in caso di occupazioni di urgenza e di eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l’esecuzione delle opere e degli interventi, la riduzione della metà dei termini di legge previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

 

Di seguito si riportano alcune disposizioni del D.P.R. 327/2001 concernenti le tempistiche delle procedure ordinarie e di urgenza.

L’art. 8 disciplina le fasi del procedimento espropriativo ordinario, mentre l’articolo 9, comma 1 stabilisce che un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità ed ha la durata di cinque anni. Entro tale termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.

L’art. 20, comma 1 del D.P.R. prevede una procedura ordinaria di esproprio, per cui, divenuto efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità, entro i successivi trenta giorni il promotore dell'espropriazione compila l'elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari, ed indica le somme che offre per le loro espropriazioni. Il comma 2 stabilisce inoltre che ove lo ritenga opportuno in considerazione dei dati acquisiti e compatibile con le esigenze di celerità del procedimento, l'autorità espropriante invita il proprietario e, se del caso, il beneficiario dell'espropriazione a precisare, entro un termine non superiore a venti giorni ed eventualmente anche in base ad una relazione esplicativa, quale sia il valore da attribuire all'area ai fini della determinazione della indennità di esproprio.

L’art. 49 disciplina l'occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio, e in tale ambito l'autorità espropriante può disporre l'occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell'articolo 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti.

Queste disposizioni si applicano, in quanto compatibili, nel caso di frane, alluvioni, rottura di argini e in ogni altro caso in cui si utilizzano beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità.

L’art. 22 stabilisce che, qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di urgenza, tale da non consentire l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 20, il decreto di esproprio può essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità. Nel decreto si dà atto della determinazione urgente dell'indennità e si invita il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, a comunicare se la condivide.

Il decreto di esproprio può altresì essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità, nei seguenti casi:

a) per gli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo);

b) allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a 50.

Ancora più accelerata è la procedura determinata nell’articolo 22-bis che stabilisce, qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 20, che può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, un decreto motivato che determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione, e che dispone anche l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari.

Tale procedura viene applicata anche nei casi previsti alle lettere a) e b) dell’articolo 20.

 

Le strutture utilizzate per l’esecuzione degli interventi (comma 4)

 

Il Presidente della regione per lo svolgimento di una serie di attività relative a lavori, servizi e forniture (attività di progettazione, procedure di affidamento dei lavori, attività di direzione dei lavori e di collaudo, attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all'affidamento e all'esecuzione dei lavori, ivi inclusi servizi e forniture) può avvalersi delle strutture e degli uffici regionali, degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni, dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche, nonché della società ANAS S.p.A., dei consorzi di bonifica e delle autorità di distretto. Nel corso dell’esame al Senato, è stato previsto che il Presidente della regione si avvalga anche delle strutture commissariali già esistenti, non oltre il 30 giugno 2015, e delle società a totale capitale pubblico o società da esse controllate

Le relative spese sono ricomprese nell'ambito degli incentivi per la progettazione di cui all'articolo 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) e dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice dei contratti).

 

Il codice dei contratti pubblici introduce, all'articolo 92, comma 5, l'incentivo a favore dei progettisti, stabilendo in particolare che una somma non superiore al 2% dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all'articolo 93, comma 7 (cioè sugli stanziamenti destinati a coprire gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori, alla vigilanza e ai collaudi, a studi e ricerche connessi, nonché gli oneri relativi alla progettazione dei piani di sicurezza), è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata e assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione con decreto ministeriale, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori.

Il regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti di cui al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 prevede all'articolo 16 la definizione dei quadri economici che recano una specifica articolazione dei costi complessivi in relazione alla tipologia e categoria dell'intervento.

 

Si segnala che nel corso dell’esame del decreto legge n. 90 del 2014 è stata introdotta, nel corso dell’esame presso la Commissione di merito, una modifica al Codice dei contratti pubblici finalizzata all'abrogazione degli incentivi per la progettazione contemplati dai commi 5 e 6 dell’art. 92 del medesimo Codice e la contestuale introduzione di una nuova disciplina attraverso la costituzione di un fondo denominato "Fondo per la progettazione e l'innovazione" presso ogni amministrazione. 

 

La Direzione generale del Ministero dell'ambiente per il coordinamento delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico (comma 7)

 

Il comma 7 prevede la trasformazione dell’ispettorato generale, istituito dall'articolo 17, comma 2, del decreto-legge n. 195 del 2009 presso il Ministero dell’Ambiente, trasformandolo in una Direzione generale, che subentra nelle funzioni, esercitate dal medesimo ispettorato generale per conto del Ministero dell’Ambiente, sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Dipartimento della protezione civile per i profili di competenza.

Si prevede, pertanto, l’istituzione, presso il Ministero dell’Ambiente, di una Direzione generale, individuata dai regolamenti di organizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per lo svolgimento dell’attività di coordinamento delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nonché per l’attività di verifica, avente la medesima dotazione organica vigente del soppresso ispettorato.

Quanto sopra previsto, avviene per effetto della modifica normativa al citato articolo 17, comma 2 del decreto-legge n. 195 del 2009.

 

Il Ministero dell'Ambiente, ai sensi dell’articolo 58, comma 3, lettera a) del D.lgs 152/2006 esercita tra le competenza assegnate dalla legge, anche quelle relative a programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo, che comunque devono essere esercitate previo parere della Conferenza unificata (sentenza Corte cost. n. 232 del 2009).

 

La definizione del finanziamento degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e la struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri (comma 11)

 

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto, per le parti di competenza, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono stabiliti i criteri, le modalità, entità delle risorse per il finanziamento degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.

Per tali finalità, la Presidenza del Consiglio può avvalersi di un’apposita struttura di missione.

 

Con il D.P.C.M. 27 maggio 2014 è stata istituita presso Ia Presidenza del Consiglio del ministiri — Segretariato generate – la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, posta alle dirette dipendenze del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Segretario del Consiglio dei ministri. La principale finalità della struttura di missione è imprimere un’accelerazione all’attuazione degli interventi in materia di dissesto idrogeologico, nonché per lo sviluppo di infrastrutture idriche. La struttura di missione opera fino alla scadenza del mandato del Governo in carica.

Con D.P.C.M. 18 giugno 2014 è stato assegnato al dott. Erasmo D’Angelisl’incarico dirigenziale di livello generale di coordinatore della suddetta struttura di missione.

Il coordinatore della struttura di missione ha il compito di curare:

-           I’impulso, il coordinamento, il monitoraggio e il controllo in ordine alle funzioni di programmazione, progettazione e realizzazione degli interventi in materia di dissesto idrogeologico nonché per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, siano essi di prevenzione o di messa in sicurezza post-eventi, con particolare riferimento a quelli previsti negli accordi di programma Stato-Regioni nonché in tutti gli altri accordi fra pubbliche amministrazioni in cui vi sia allocazione di risorse statali, facenti capo, nelle materie sopra indicate, agli Enti ed Organi preposti;

-           l’impulso, il coordinamento il monitoraggio e il controllo in ordine alla corretta, efficace ed efficiente utilizzazione deIle risorse attualmente disponibili per le finalità sopraindicate in base a linee di finanziamento nazionaIi ed europee, anche presenti nelle contabilità speciali e nei fondi europei finalizzati ad ovviare a! dissesto idrogeologico ed alla realizzazione del necessari interventi;

-           l’acquisizione dagli enti ed organi preposti il cronoprogramrna delle attività delle opere di competenza. degli stessi nonché referti trimestrali sullo stato di attuazione delle opere e degli interventi.

 

Convenzioni con aziende agricole ubicate su fondi al di sopra di 1000 metri di altitudine (comma 7-bis)

 

Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, prevede che i Comuni possano stipulare apposite convenzioni con i conduttori di aziende agricole ubicate su terreni al di sopra di 1.000 metri di altitudine affinché siano svolte, con attrezzature private, piccole opere di pubblica utilità nelle aree limitrofe al fondo (piccole manutenzioni stradali, servizi di spalatura neve, regime delle acque superficiali). La convenzione dovrà essere pubblicata all’albo pretorio comunale.

 

Si ricorda, al riguardo che l’articolo 15 del D.L.gs n.228 del 2001 prevede già in generale la possibilità di stipulare convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e gli imprenditori agricoli. Viene, infatti, previsto, che al fine di favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, le pubbliche amministrazioni, ivi compresi i consorzi di bonifica, possono stipulare convenzioni con gli imprenditori agricoli. Le convenzioni sono chiamate a definire le prestazioni delle pubbliche amministrazioni che possono consistere anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Si prevede, infine, che le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d'appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50.000 euro nel caso di imprenditori singoli, e 300.000 euro, nel caso di imprenditori in forma associata

 

 


 

Articolo 10, commi 8 e 8-bis
(Modifica dei criteri di nomina del collegio dei revisori dei conti dell’ISPRA)

 

 

Il comma 8 dell’articolo 10, modificato nel corso dell’esame al Senato, interviene sui criteri di nomina del collegio dei revisori dei conti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).  Attraverso una modifica del primo periodo dell'articolo 17, comma 35-octies, del decreto-legge n. 78 del 2009, si prevede infatti che i due componenti supplenti del collegio dei revisori abbiano una comprovata esperienza in materia contabile amministrativa.

Un’ulteriore modifica del predetto articolo 17, attraverso la sostituzione dell’ultimo periodo, prevede, inoltre, che uno dei componenti effettivi del collegio dei revisori sia designato dal Ministro dell’economia e delle finanze tra i dirigenti di quel Ministero.

 

L’articolo 17, comma 35-octies del D.L. 78/2009 prevede che il collegio dei revisori dei conti venga nominato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e sia formato da tre componenti effettivi e due supplenti.

L’ultimo periodo, sostituito dalla norma in commento, prevede che uno dei componenti effettivi, con funzioni di presidente, è designato dal Ministro dell’economia e delle finanze tra i dirigenti di livello dirigenziale generale del Ministero dell’economia e delle finanze e gli altri due sono designati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Per questi ultimi due membri designati dal Ministro dell’ambiente, la norma previgente stabiliva che almeno uno fosse scelto tra i dirigenti di livello dirigenziale generale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da collocare fuori ruolo per la durata del mandato, con contestuale indisponibilità di posti di funzione dirigenziale equivalenti sul piano finanziario. Il testo originario del decreto legge, che viene sostituito dalla norma in commento, prevede, invece, che al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare è concessa la facoltà, in luogo della previgente obbligatorietà, di scegliere uno dei due membri effettivi del collegio dei revisori dei conti, che può nominare il Ministero medesimo, tra i dirigenti di livello dirigenziale generale del Ministero.

 

Il comma 8-bis prevede, infine, che, entro venti giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sono nominati i nuovi componenti del collegio dei revisori dei conti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in base alla nuova disciplina introdotta dal decreto legge. Il testo originario del decreto prevede, invece, che i soggetti titolari dei corrispondenti incarichi alla data di entrata in vigore del decreto legge conservano l'incarico dirigenziale generale fino alla data di cessazione dello stesso. La finalità della norma, secondo quanto da essa esplicitamente previsto, è il conseguimento di un risparmio di spesa.


 

Articolo 10, comma 10 e 11-bis
(Modifiche al decreto legislativo n. 49 del 2010 in materia di valutazione e gestione dei rischi di alluvioni)

 

 

Il comma 10 dell’articolo 10 dispone l’esclusione dalla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) della parte dei piani di gestione del rischio di alluvioni per il distretto idrografico di riferimento, di competenza delle regioni, in coordinamento tra loro, nonché con il Dipartimento nazionale della protezione civile, riguardante il sistema di allertamento, nazionale, statale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile, con particolare riferimento al governo delle piene.

La norma in esame è identica all’articolo 6 dell’A.C. 2093 (collegato ambientale alla legge di stabilità 2014), in corso di esame presso la Camera dei deputati.

 

Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 152 del 2006, la valutazione ambientale strategica (VAS), ossia la valutazione ambientale di piani e programmi, è il processo che comprende, secondo le disposizioni di cui al titolo II della seconda parte del decreto, lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio.

La verifica di assoggettabilità di un piano o programma, secondo quanto prevede la definizione di cui alla lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 5 del citato decreto è la verifica attivata allo scopo di valutare, ove previsto, se piani, programmi ovvero le loro modifiche, possano aver effetti significativi sull'ambiente e debbano essere sottoposti alla fase di valutazione considerato il diverso livello di sensibilità ambientale delle aree interessate.

 

In particolare, la norma integra il primo periodo del comma 1-bis dell'articolo 9 del decreto legislativo 23 febbraio 2010 n. 49, attuativo della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, al fine di specificare che i piani di gestione del rischio di alluvioni che sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica (VAS) sono quelli di cui all’articolo 7, comma 3, lettera a), del medesimo decreto. Tale disposizione prevede che le autorità di bacino distrettuali, sulla base delle mappe della pericolosità da alluvione, predispongano piani di gestione, coordinati a livello di distretto idrografico, secondo le modalità e gli obiettivi definiti ai commi 2 e 4 del medesimo articolo 7, per le zone ove possa sussistere un rischio potenziale significativo di alluvioni o si ritenga che questo si possa generare in futuro (articolo 5, comma 1, del d.lgs. 49/2010) e per quelle già individuate prima del 22 dicembre 2010 (articolo 11, comma 1, del d.lgs. 49/2010). Detti piani sono predisposti nell'ambito delle attività di pianificazione di bacino di cui agli articoli 65, 66, 67, 68 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che raggruppa in un testo unico le norme in materia ambientale), facendo salvi gli strumenti di pianificazione già predisposti nell'ambito della pianificazione di bacino in attuazione della normativa previgente.

 

Il comma 1-bis dell’articolo 9 del d.lgs. 49/2010, introdotto dall’articolo 19, comma 1, lettera d), della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013), prescrive che i piani di gestione del rischio di alluvioni, di cui all’articolo 7 del medesimo decreto, sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) di cui all’articolo 12 del d.lgs. 152/2006, qualora definiscano il quadro di riferimento per la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV[59] alla parte seconda del d.lgs. 152/2006, oppure possano comportare un qualsiasi impatto ambientale sui siti designati come zone di protezione speciale (ZPS) per la conservazione degli uccelli selvatici e su quelli classificati come siti di importanza comunitaria (SIC) per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica.

 

Il riferimento specifico ai piani di gestione di cui all’articolo 7, comma 3, lettera a), del d.lgs. 49/2010 è volto, come già anticipato, ad escludere dalla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) la parte del piano di gestione del rischio alluvionale per il distretto idrografico di riferimento, relativa al sistema di allertamento nazionale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile, i cui indirizzi operativi sono dettati dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio 2004, con particolare riferimento al governo delle piene. In proposito, merita segnalare che l’articolo 6, comma 4, lettera c), del d.lgs. 152/2006 esclude dall’ambito di applicazione di tale decreto i piani di protezione civile in caso di pericolo per l'incolumità pubblica

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stato inserito il comma 11-bis, che proroga, dal 22 giugno 2015 al 22 dicembre 2015, il termine entro il quale si prevede l’ultimazione e la pubblicazione dei Piani di gestione del rischio di alluvioni da parte delle Autorità di bacino, come stabilito dall’articolo 7, comma 8, del citato decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49.

 

L’articolo 7, comma 8, del d.lgs. 49/2010 ha anticipato il suddetto termine al 22 giugno 2015, anziché entro il 22 dicembre 2015 come previsto dal’articolo 7, comma 5 della direttiva 2007/60/CE.

 


 

Articolo 10, comma 12
(Indagini sui terreni e investimenti in infrastrutture irrigue nella regione Campania )

 

 

Il comma 12 modifica talune disposizioni del decreto legge n. 136/2013, volte a far fronte alla grave situazione di emergenza ambientale nel territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta, interessato dal fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, denominato "Terra dei fuochi", al fine di: ridefinire i termini delle indagini dirette sui terreni destinati all’agricoltura, da modulare a seconda del livello di rischio e prevedendo la possibilità di ulteriori analisi in caso di emersione di elementi nuovi (lett. a e b); attribuire carattere di priorità , nell’assegnazione di contributi e finanziamenti europei, agli investimenti in infrastrutture irrigue e di bonifica, finalizzati a privilegiare l'uso collettivo della risorsa idrica, al fine di limitare il prelievo privato di acque da falde superficiali e profonde nelle province di Napoli e Caserta (lett. c).

 

I terreni da sottoporre ad indagini dirette

La lettera a) del comma 12 modifica il comma 6 dell’articolo 1 del D.L. n. 136/2013, intervenendo dunque sulla disciplina relativa a quei terreni per i quali, sulla base delle indagini condotte per la mappatura, non sia possibile procedere all'indicazione della destinazione degli stessi, ma siano necessarie indagini supplementari dirette.

Per tali terreni, le indagini dirette da svolgere secondo un ordine di priorità definito nei decreti interministeriali, non devono più essere svolte entro i 90 giorni successivi all’emanazione dei medesimi decreti che individuano la destinazione dei terreni, bensì, come precisato durante l’esame al Senato:

-           entro 120 giorni (90 giorni nel testo originario) successivi alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (dei predetti decreti) per i terreni classificati, sulla base delle indagini, nelle classi di rischio più elevate;

-           entro i successivi 210 giorni (180 giorni nel testo originario) per i terreni restanti.

Inoltre, viene introdotta la previsione in base alla quale - nelle more dello svolgimento delle indagini - può essere disposto, con i medesimi decreti, il divieto di commercializzazione dei prodotti derivanti dai terreni rientranti nelle classi di rischio più elevato in base al principio di precauzione contenuto nell’articolo 7 del Reg.(CE) n. 178/2002, il quale stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.

 

La modifica, afferma la relazione illustrativa, si rende necessaria in relazione ai risultati dell’indagine condotta dal gruppo di lavoro costituito con la direttiva dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d’intesa con il Presidente della Regione Campania del 23 dicembre 2013.

Tale relazione, presentata il 10 marzo 2014, ha segnalato l’esigenza di esaminare, oltre ai 51 siti classificati nei primi tre livelli di rischio, considerati più urgenti, anche altri 1.335 siti, indicando anche una tempistica, dovuta a ragioni tecniche, non compatibile con i 90 giorni originariamente previsti dall’articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 136 del 2013.

Si ricorda infatti al riguardo che l’articolo 1 del D.L. n. 136 regolamenta le indagini tecniche per la mappatura dei terreni della regione Campania destinati all’agricoltura (commi 1-4). In esito alle predette indagini, si prevede l’indicazione dei terreni che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli da destinare solo a particolari produzioni agroalimentari (commi 5-6)[60].

A conclusione delle attività di indagine, il comma 6 stabilisce che, entro 15 giorni dalla presentazione delle relazioni, con distinti decreti interministeriali, vengono individuati i terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare ma esclusivamente a colture diverse in considerazione delle capacità fito depurative, ovvero da destinare a solo a determinate produzioni agroalimentari.

Il medesimo comma 6 prevede che, qualora sulla base delle indagini non sia possibile procedere all'indicazione della destinazione dei terreni, con i decreti in questione possono essere altresì indicati i terreni da sottoporre ad indagini dirette. Il termine fissato per lo svolgimento di tali indagini, prima della modifica apportata dal comma qui in esame, era fissato in novanta giorni successivi all'emanazione del decreto.

 

I terreni agricoli non oggetto di indagine

 

La lettera b) introduce un nuovo comma 6.1, secondo il quale le indagini finalizzate alle mappature dei terreni possono essere estese, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente, con direttiva dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con il Presidente della Regione Campania, ai terreni agricoli che non sono stati oggetto di indagine, in quanto coperti da segreto giudiziario, ovvero oggetto di sversamenti resi noti successivamente alla chiusura delle indagini stesse.

Nelle direttive ministeriali sono indicati i termini per lo svolgimento delle nuove indagini sui terreni la presentazione delle relative relazioni. Entro i quindici giorni dalla presentazione delle relazioni sono emanati i decreti in cui si individua la destinazione dei terreni in base a quanto stabilito dal comma 6 dell’articolo 1 del D.L. 136/2013.

 

Con il decreto interministeriale 11 marzo 2014 si è preso atto delle risultanze della mappatura dei terreni agricoli della Campania effettuata a partire dalle informazioni disponibili al mese di novembre 2013 e, nel rispetto del principio di precauzione, è stata vietata la vendita dei prodotti ortofrutticoli coltivati nei terreni maggiormente a rischio, vale a dire quelli classificati dalla mappatura con livello di rischio 3, 4 o 5, indicati negli allegati A, B e C del decreto.

L'immissione sul mercato delle singole colture è stata invece consentita qualora siano stati effettuati controlli ufficiali con esito favorevole.

Il divieto di vendita opera fino all'emanazione di nuovi decreti che devono essere adottati sulla base di informazioni più aggiornate di quelle finora utilizzate.

Per questo motivo il decreto dell’11 marzo ha prescritto l'effettuazione di indagini dirette, anche relative alle acque di falda, per acquisire informazioni più aggiornate.

I risultati delle nuove indagini devono poi essere trasmessi ai Ministri competenti ai fini dell'adozione di nuovi decreti che devono stabilire (in attuazione del comma 6 dell'art. 1 del decreto-legge n. 136 del 2013) i terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare ma esclusivamente a colture diverse in considerazione delle capacità fitodepurative oppure destinati solo a determinate produzioni agroalimentari.

Per gli specifici interventi previsti nel D.L. 136/2013 si veda il seguente approfondimento  e per la relazione antecedente al citato decreto interministeriale 11 marzo 2013 sulla mappatura dei terreni agricoli dei Ministeri delle politiche agricole e della salute, entra qui.

 

Gli investimenti per le infrastrutture irrigue e di bonifica per privilegiare l'uso collettivo della risorsa idrica in agricoltura

 

La lettera c) del comma 12 introduce infine all'articolo 2 del decreto-legge n. 136 del 2013, un nuovo comma 5-ter che prevede l’assegnazione di contributi e finanziamenti europei, prioritariamente, per investimenti in infrastrutture irrigue e di bonifica, finalizzati a privilegiare l'uso collettivo della risorsa idrica, al fine di limitare il prelievo privato di acque da falde superficiali e profonde nelle province di Napoli e Caserta.

Il nuovo comma fa salva la disciplina relativa al quadro per l'azione comunitaria in materia di acque recata dalla direttiva 2000/60/CE, attuata dal decreto legislativo 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che, nella Parte terza, disciplina, la qualità delle acque e degli scarichi, e, in particolare, all’articolo 166, nella sezione III (gestione delle risorse idriche), Titolo IV, gli usi delle acque irrigue e di bonifica.

 

Nel comma 4-bis dell’art. 166, introdotto dall’ art. 1, comma 6-sexies del D.L. n. 136 del 2013, è prevista l’emanazione di un regolamento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentiti i competenti istituti di ricerca, per la definizione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, dei parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Questo regolamento non è ancora stato emanato. Con il regolamento si provvede, altresì, alla verifica ed eventualmente alla modifica delle norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue previste dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2003, n. 185.

 

 


 

Articolo 10, comma 12-bis
(Interconnessione diretta al SISTRI )

 

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 12-bis, che aggiunge all'articolo 1 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, il comma 6-septies, al fine di consentire l’interconnessione diretta al SISTRI da parte del Corpo forestale dello Stato al fine di contrastare le attività illecite nella gestione dei rifiuti, con particolare riferimento al territorio campano.

La disciplina delle modalità di interconnessione è demandata a un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e alimentari, che deve essere emanato entro 60 giorni dalla entrata in vigore della disposizione.

 

Il “sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti” (SISTRI) è stato istituito con il D.M. 17 dicembre 2009, in attuazione dell'art. 14-bis del decreto-legge 78/2009, per introdurre strumenti di garanzia per la tracciabilità dei rifiuti pericolosi, dalla produzione alla destinazione finale.

Tra le finalità del SISTRI si annovera quella di garantire una maggior efficacia all’azione di contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata nell’ambito dello smaltimento illecito dei rifiuti.

Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.M. 52/2011 come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a), del D.M. n. 219  del 2011 è l'Arma dei Carabinieri che gestisce i processi ed i flussi di informazioni contenuti nel SISTRI.

Tra i soggetti obbligati ad aderire al SISTRI ci sono i Comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti urbani del territorio della Regione Campania (articolo 188-ter, comma 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006).

L’articolo 1, comma 1, lettera d), del D.M. 24 aprile 2014, recante le disposizioni attuative dell’articolo 188-ter, comma 3, ha specificato le categorie e gli ulteriori soggetti obbligati ad aderire al SISTRI, tra i quali gli enti e le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento dei rifiuti urbani nella regione Campania:

L’articolo 5 del D.M. 24 aprile 2014 disciplina in particolare,l'avvio dell'operatività del SISTRI riguardo ai rifiuti urbani della regione Campania, prevedendo, salvo diversa determinazione del Comune, gli adempimenti per chi effettua la raccolta e il trasporto ovvero organizza il trasporto dei rifiuti urbani prodotti nella regione Campania (compilazione della scheda SISTRI, dispositivo USB e black box per ciascun veicolo).

 

 


 

Articolo 10 commi 13-bis, 13-ter e 13-quater
(Stanziamenti per interventi di ricostruzione colpiti da eventi meteorologici nel territorio della regione Liguria)

 

 

Il comma 13-ter dell’articolo 10, inserito nel corso dell’esame al Senato, è volto a destinare risorse finanziarie, nel limite di 6 milioni di euro per l’anno 2014, agli interventi di ricostruzione conseguenti agli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 20 al 24 ottobre, dal 25 al 26 dicembre 2013, dal 4 al 5 e dal 16 al 20 gennaio 2014, nel territorio della regione Liguria.

 

Lo stato di emergenza in conseguenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 25 al 26 dicembre 2013, dal 4 al 5 e dal 16 al 20 gennaio 2014 è stato dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2014. Per l'attuazione dei primi interventi si provvede nel limite di 13 milioni di euro, a valere sul Fondo per le emergenze nazionali di cui all'articolo 5, comma 5-quinquies della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

 

In particolare, il comma 13-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, al fine di provvedere alla copertura finanziaria delle predette risorse, modifica la lettera b) del comma 347 dell’articolo unico della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), che ammette - in sede di prima attuazione - al finanziamento del Fondo per la ricostruzione e la messa in sicurezza nei territori colpiti da eventi emergenziali di cui al comma 346 del medesimo articolo, tra l’altro, i comuni delle province di Genova e La Spezia colpiti dagli eccezionali eventi alluvionali verificatisi nei giorni dal 20 al 24 ottobre 2013. La modifica si traduce, per un verso, nella soppressione del riferimento alle predette province e, per l’altro, nella riduzione dello stanziamento destinato agli eventi di cui alla lettera b) del comma 347 (tra i quali sono inclusi anche quelli delle province di Genova e La Spezia) per un importo pari a 6 milioni di euro (da 20 a 14 milioni di euro). La soppressione del riferimento alle province di Genova e La Spezia è presumibilmente motivato dal fatto che non è stato dichiarato lo stato di emergenza ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, commi 1 e 1-bis, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, per gli eventi alluvionali che hanno colpito tali province nei giorni dal 20 al 24 ottobre 2013. Si consideri, in proposito, che in conseguenza di quanto disposto dall’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 74 del 2014, le risorse inutilizzate provenienti dal Fondo per la ricostruzione e la messa in sicurezza nei territori colpiti da eventi emergenziali pregressi - istituito dall’articolo 1, comma 346, della legge di stabilità 2014 - confluiscono nel citato Fondo per le emergenze nazionali.

 

I commi 346 e 347 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 hanno previsto l’istituzione, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, di un Fondo per la ricostruzione e la messa in sicurezza nei territori colpiti da eventi emergenziali, con una dotazione pari a 26,5 milioni di euro per l'anno 2014.

Le risorse di tale fondo sono finalizzate ad interventi in conto capitale per la ricostruzione e messa in sicurezza dei territori interessati da eventi emergenziali pregressi, per i quali il rientro alla disciplina ordinaria (in base alla L. n. 225/1992) è già avvenuto o avverrà nel corso del 2014.

 

Da ultimo, il comma 13-quater inserito nel corso dell’esame al Senato, specifica che ai maggiori oneri di cui al comma 13-ter si provvede a valere sui risparmi di spesa di cui al comma 13-bis.

 

 


 

Articolo 10-bis
(Accordi di programma per l’utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico)

 

 

L’articolo 10-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, è volto ad introdurre una disciplina generale in materia di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico a partire dalla programmazione 2015.

Nello specifico, si prevede che le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che definisce, altresì, la quota di cofinanziamento regionale.

Gli interventi sono individuati, su proposta della Regione, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita l’Autorità di bacino interessata, ove istituita, e il Dipartimento della Protezione civile nazionale, che valuta gli aspetti di rischio per l’incolumità delle persone.

L’attuazione degli interventi è assicurata dal Presidente della regione con i compiti, le modalità, la contabilità speciale ed i poteri di cui all’articolo 10 del presente decreto, e segnalatamente ai commi da 1 a 7 alla cui scheda di commento si rinvia.

 

Si rammenta che, nell’ambito del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC, ex FAS) sono disciplinate dall’articolo 1, comma 8 e seguenti della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013). L’analogo ciclo di interventi a valere sui fondi strutturali dell’Unione europea (fondi propri e cofinanziamento nazionale) è considerato nell’Accordo di partenariato in corso di approvazione definitiva.

 


 

Articolo 11, commi 1-3, 12, 12-bis e 13
(Misure urgenti in materia di specie animali, controllo delle specie alloctone e difesa del mare)

 

 

I commi da 1 a 3 dell’articolo 11 recano misure volte rispettivamente a: promuovere intese e accordi per la conservazione di specie di particolare interesse a rischio di estinzione; provvedere agli oneri di funzionamento della Commissione scientifica CITES; prevedere la responsabilità del proprietario del carico, in caso di dolo o colpa, in relazione a eventi che determinano danni all’ambiente marino. I commi 12 e 12-bis recano norme concernenti il controllo delle specie alloctone e l’inserimento delle nutrie tra le specie non tutelate.

 

Piani di azione per la conservazione di specie animali di particolare interesse a rischio di estinzione (comma 1)

 

Il comma 1 prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare promuova intese ed accordi con gli altri ministri competenti, con le regioni e con altri soggetti pubblici e privati, finalizzati allo sviluppo e all'attuazione di piani di azione per la conservazione di specie animali di particolare interesse a rischio di estinzione, anche per ottemperare alla normativa dell'unione europea, ai regolamenti nazionali vigenti e alla Strategia nazionale per la Biodiversità, adottata in base alla Convenzione Internazionale sulla Diversità biologica e ratificata con la legge n. 124 del 1994.

 

L'attuazione della Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB) e della legge nazionale di ratifica è avvenuta, con l'intesa in Conferenza Stato-Regioni del 7 ottobre 2010 che ha adottato la Strategia Nazionale per la Biodiversità, che prevede azioni inerenti alle seguenti tematiche: Biodiversità e servizi eco sistemici, Biodiversità e cambiamenti climatici e Biodiversità e politiche economiche, con l'istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità (D.M. Ambiente 5 marzo 2010), che principalmente coordina, monitora, e valuta, l'efficacia delle azioni per l’attuazione della citata Strategia, e, con il D.M. ambiente 6 giugno 2011 sono stati successivamente istituiti il Comitato paritetico, l'Osservatorio nazionale per la biodiversità, nonché il Tavolo di consultazione. Di recente, nel febbraio 2014, si è svolta la Conferenza nazionale su “Biodiversità in Italia: stato di conservazione e monitoraggio”.

Da ultimo, nell’intesa del 10 luglio 2014, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato i primi documenti prodotti dal Comitato paritetico per la Biodiversità ed ha espresso l’accordo sul Rapporto sull’attuazione della Strategia Nazionale per la Biodiversità (periodo 2011-2012), l’accordo su “Linee Guida per il recupero, soccorso, affidamento e gestione delle tartarughe marine” e l’intesa su “Prime indicazioni programmatiche fino al 2015

 

Oneri di funzionamento della Commissione scientifica CITES (comma 2)

 

Il comma 2, che riproduce quanto previsto dall’articolo 3 dell’A.C. 2093 (collegato ambientale alla legge di stabilità 2014), in corso di esame presso la Commissione ambiente della Camera, prevede che agli oneri di missione della Commissione scientifica CITES si faccia fronte con un'assegnazione di risorse annua pari a 20.000 euro.

In particolare, il comma 1 integra l’articolo 12, comma 23, secondo periodo del decreto legge n. 95 del 2012, al fine di escludere gli oneri di missione dalla richiamata disposizione, che ha previsto la gratuità della partecipazione alla stessa Commissione, senza diritto alla corresponsione di compensi, comunque denominati, gettoni di presenza e rimborsi spese.

Alla copertura degli oneri si provvede mediante una corrispondente riduzione, a decorrere dall'entrata in vigore della disposizione, dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 6, comma 1, della legge 31 luglio 2002, n.179 (disposizioni in materia ambientale), riguardante l’attuazione di un programma di comunicazione ambientale.

 

L’articolo 6, comma 1, della legge 179/2002, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica e gli imprenditori alle esigenze e ai problemi relativi all'ambiente e di promuovere iniziative per la tutela delle risorse ambientali, ha autorizzato la spesa di 3,4 milioni di euro per l'esercizio finanziario 2002 e di 2,7 milioni di euro a decorrere dall'esercizio finanziario 2003 per l'attuazione di un programma di comunicazione ambientale. Tale autorizzazione di spesa è stata ridotta di 10.000 euro a decorrere dall’anno 2010 dal comma 2 dell’articolo 17 del D.L. 195/2009, per lo svolgimento dell'attività di coordinamento delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione degli interventi urgenti nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico.

Si ricorda che l’Italia è uno Stato parte della Convenzione sul commercio internazionale di specie animali e vegetali in via di estinzione, meglio nota come Convenzione di Washington o CITES, firmata a Washington il 3 marzo 1973, ratificata con la legge n. 874/1975. L’Unione europea ha attuato la Convenzione con il regolamento CEE 338/97 del Consiglio e con quello della Commissione CEE 865/2006. Ai sensi dell'articolo IX, comma 1, della citata Convenzione di Washington e dell’articolo 13, comma 2, del citato regolamento CEE 338/97, ogni Stato parte della Convenzione ed ogni Stato membro dell’UE si deve dotare di una apposita autorità scientifica che svolga le funzioni previste dalla Convenzione stessa e dai regolamenti europei. L'autorità scientifica italiana denominata Commissione scientifica CITES è stata prevista dall’articolo 4, comma 5, della legge n. 150/1992 e la sua composizione è stata determinata con l’articolo 12-bis del decreto-legge n. 2/1993. Tale articolo ha anche stabilito, al comma 2, il compenso dei componenti della Commissione. Ad essi spetta un compenso ed un trattamento di missione nella misura determinata con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La composizione della Commissione CITES, istituita con D.M. 27 aprile 1993, a seguito della riorganizzazione del Ministero dell’ambiente con D.P.R. n. 140/2009, è stata ridefinita con D.M. 25 febbraio 2010.

L’articolo 12, comma 23, del citato D.L. 95/2012 sottrae la Commissione scientifica CITES alla disciplina prevista dall'articolo 68 del D.L. n. 112/2008 e dall'articolo 29, comma 2, lett. e-bis), e comma 2-bis, del D.L. n. 223/2006, sul riordino degli organi di amministrazioni pubbliche anche mediante soppressione o accorpamento delle strutture. Si stabilisce, inoltre, la gratuità della partecipazione alla Commissione, senza diritto a compensi, comunque denominati, gettoni di presenza e rimborsi spese.

 

Responsabilità del proprietario del carico in caso di inquinamento del mare per avarie o incidenti in caso di dolo o colpa (comma 3)

 

Il comma 3, modificato nel corso dell’esame al Senato, integra l’articolo 12 della legge n. 979 del 1982 (Disposizioni per la difesa del mare), che dispone la responsabilità anche del proprietario del carico, per dolo o colpa nel caso di eventi che hanno determinato danni all’ambiente marino, attraverso il recupero delle spese, sostenute dall’autorità marittima per l’adozione delle misure necessarie, valutate sul valore del carico. Il testo iniziale del decreto fa riferimento al dolo o alla colpa grave del proprietario.

La norma dispone, in particolare, che, quando l'autorità marittima fa eseguire, attraverso lo strumento della diffida o senza nei casi di urgenza, le misure ritenute necessarie per prevenire il pericolo d'inquinamento e per eliminare gli effetti già prodotti, causati da avarie o da incidenti ad un mezzo o impianto situato sulla piattaforma continentale o sulla terraferma, e suscettibili di arrecare, attraverso il versamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, danni all'ambiente marino, al litorale o agli interessi connessi, le spese sostenute siano recuperate, nei limiti del valore del carico, anche nei confronti del proprietario del carico stesso quando, in relazione all’evento, si dimostri il dolo o la colpa del medesimo.

 

Ai sensi dell’articolo 12 della legge n. 979 del 1982:

-          il comandante, l'armatore o il proprietario di una nave o il responsabile di un mezzo o di un impianto situato sulla piattaforma continentale o sulla terraferma, nel caso di avarie o di incidenti agli stessi, suscettibili di arrecare, attraverso il versamento di idrocarburi o di altre sostanze nocive o inquinanti, danni all'ambiente marino, al litorale o agli interessi connessi, sono tenuti ad informare senza indugio l'autorità marittima più vicina al luogo del sinistro, e ad adottare ogni misura che risulti al momento possibile per evitare ulteriori danni ed eliminare gli effetti dannosi già prodotti (primo comma);

-          l'autorità marittima rivolge ai soggetti di cui sopra immediata diffida a prendere tutte le misure ritenute necessarie per prevenire il pericolo d'inquinamento e per eliminare gli effetti già prodotti. Nel caso in cui tale diffida resti senza effetto, o non produca gli effetti sperati in un periodo di tempo assegnato, l'autorità marittima farà eseguire le misure ritenute necessarie per conto dell'armatore o del proprietario, recuperando, poi, dagli stessi le spese sostenute (secondo comma);

-          nei casi di urgenza, l'autorità marittima farà eseguire per conto dell'armatore o del proprietario le misure necessarie, recuperandone, poi, le spese, indipendentemente dalla preventiva diffida a provvedere (terzo comma).

 

Il controllo delle specie alloctone (comma 12)

 

Il comma 12 modifica la legge n. 157 del 1992 sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, ed in particolare l’articolo 2, relativo alla tutela di alcune specie di fauna selvatica, inserendovi il comma 2-bis, il quale stabilisce che la gestione e la tutela delle specie alloctone effettuata dalle regioni o province autonome, è finalizzata - sempre, e non più ove possibile ai sensi della modifica  introdotta al Senato - all'eradicazione o comunque al controllo delle popolazioni, fatta eccezione per le specie alloctone che saranno individuate con decreto del Ministero dell'ambiente, di concerto con il Ministro delle politiche agricole e sentito l'ISPRA.

 

Le nutrie tra le specie non tutelate (comma 12-bis)

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stato aggiunto il comma 12-bis che modifica il comma 2 dell'articolo 2 della citata legge n. 157 del 1992, al fine di inserire le nutrie tra le specie animali non soggette alla tutela della medesima legge 157/1992.

 

L'articolo 2 della legge n. 157 del 1992 stabilisce, al comma 1, che fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della legge, le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale e indica poi le specie particolarmente protette.

Il successivo comma 2 esclude invece dalla suddetta tutela: le talpe, i ratti, i topi propriamente detti, le arvicole.

La tutela della fauna selvatica, come previsto all’articolo 1, comma 3, è svolta dalla regioni a statuto ordinario che provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformità alla legge, alle convenzioni internazionali ed alle direttive comunitarie e dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome che provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti.

In merito alla disciplina comunitaria e nazionale sulla biodiversità e sugli habitat naturali si veda l’approfondimento presente in questa scheda per il commento al comma 1, e nello specifico sulle specie alloctone, il documento del Ministero dell’ambiente su “La strategia nazionale per la biodiversità” e il database comunitario che riporta le informazioni sulle specie aliene presenti in Europa.

 

Si ricorda, al riguardo che presso la XIII Commissione Agricoltura della Camera dei deputati è all’esame la proposta di legge A.C. 116, recante modifica all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, e altre disposizioni per il contenimento della propagazione delle nutrie e dei piccioni.

 

Il comma 13 specifica che dall’attuazione dell’articolo 11 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento ai commi 1 e 2 (protezione degli animali in via di estinzione), si segnala che è all’esame delle istituzioni dell’UE la proposta di decisione (COM(2013)867) sull’adesione dell’Unione europea alla convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES).

La convenzione, entrata in vigore nel 1975, è volta a garantire che il commercio internazionale di esemplari di flora e fauna selvatiche non ne minacci la sopravvivenza. L'importazione, l'esportazione, la riesportazione e l'introduzione via mare delle specie contemplate dalla convenzione devono essere autorizzate mediante un sistema di licenze.

Con riferimento al comma 12, che reca disposizioni per il contrasto delle specie alloctone invasive, si segnala che lo scorso aprile il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura la proposta di regolamento COM(2013)620, che prevede l’istituzione di un quadro d’azione unionale per prevenire, ridurre al minimo e mitigare gli effetti negativi delle specie esotiche invasive sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici, puntando nel contempo a limitare i danni sociali ed economici.

 


 

Articolo 11, commi 1-bis, 4 e 8
(Misure in materia di aree protette e zone di protezione ecologica marina extraterritoriale)

 

 

Il comma 1-bis dell’articolo 11 interviene sulla disciplina relativa all’istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale, al fine di prevedere l’applicabilità di quanto disposto dal Regolamento UE n. 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca (PCP) nel periodo di programmazione 2014-2020. Il comma 4 disciplina con una specifica procedura la nomina del direttore del Parco nazionale delle Cinque Terre, mentre il comma 8 dispone in merito al trasferimento o alla delega delle funzioni statali per la governance del Parco nazionale dello Stelvio alla Regione Lombardia e alle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Zone di protezione ecologica marina extraterritoriale (comma 1-bis)

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto il comma 1-bis, il quale interviene sulla disciplina – di cui alla legge n. 61/2006 - relativa all’istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale, al fine di prevedere che alle attività di pesca (in tali zone) si applichi quanto disposto dal Regolamento UE n. 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca (PCP) nel periodo di programmazione 2014-2020.

A tal fine, il comma 1-bis sostituisce il comma 3 dell’articolo 2 della citata legge n. 61, il quale attualmente esclude le attività di pesca dall’ambito di applicazione della legge medesima.

 

Si ricorda che la Parte III, Titolo I del Reg. UE 1308/2013 (articoli 6-8) disciplina le misure per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine.

In particolare, l’articolo 6 dispone – al fine di conseguire gli obiettivi della PCP relativamente alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche marine, che l'Unione adotti le misure per la conservazione degli habitat. La Commissione a tal fine consulta i competenti organismi consultivi ed i competenti organismi scientifici.

Le misure di conservazione sono adottate tenendo conto dei pareri scientifici, tecnici ed economici disponibili, i pareri dei consigli consultivi e le raccomandazioni comuni degli Stati membri.

Gli Stati membri si coordinano tra di loro prima di adottare misure nazionali in materia di conservazione e gestione degli stock ittici e per la salvaguardia o il miglioramento dello stato di conservazione degli ecosistemi marini nella zona delle 12 miglia nautiche dalle proprie linee di base.

Ciò è consentito dall’articolo 20 del medesimo Reg. n. 1308/2013, purché l'Unione non abbia adottato misure di conservazione e di gestione specificamente per questa zona o che affrontino specificamente il problema individuato dallo Stato membro interessato. Le misure dello Stato membro sono compatibili con gli obiettivi enunciati della PCP e sono vincolanti almeno quanto le misure previste nel diritto dell'Unione. Quando le misure di conservazione e di gestione che uno Stato membro deve adottare rischiano di avere conseguenze sui pescherecci di altri Stati membri, tali misure sono adottate solo previa consultazione della Commissione, degli Stati membri in questione e dei consigli consultivi interessati in merito al progetto di misure corredato di una relazione dalla quale si evinca, altresì, che tali misure non sono discriminatorie. Ai fini di tale consultazione lo Stato membro che chiede la consultazione può fissare un termine ragionevole che, tuttavia, non può essere inferiore a due mesi.

Qualora la Commissione UE ritenga che una misura  adottata non rispetti le condizioni sopra indicate, essa può, presentando le pertinenti motivazioni, chiedere allo Stato membro interessato di modificare o abrogare la misura in questione.

 

La nomina del direttore del Parco nazionale delle Cinque Terre (comma 4)

 

Il comma 4 prevede la nomina del direttore dell’Ente Parco nazionale delle Cinque Terre con decreto del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge.

Per quanto concerne i criteri di nomina, la norma dispone che il direttore deve essere scelto:

-          in una rosa di tre candidati motivatamente proposta dal Presidente dell'Ente;

-          dopo una procedura pubblica di selezione effettuata avuto riguardo alle attitudini, alle competenze e alle capacità professionali necessarie per l'attribuzione dello specifico incarico.

Alla selezione possono partecipare dirigenti pubblici, funzionari pubblici con almeno dieci anni di anzianità nella qualifica, nonché esperti anche tra coloro che abbiano già svolto funzioni di direttore di parchi nazionali o regionali per almeno due anni.

 

L’art. 9, comma 11, della legge n. 394 del 1991 (legge-quadro sulle aree protette) stabilisce che il direttore del parco è nominato, con decreto, dal Ministro dell‘ambiente, scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti a un albo di idonei all'esercizio dell’attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell‘ambiente, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli.

Il presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni.

 

Si segnala che la disposizione in commento introduce una disciplina derogatoria rispetto a quella contemplata dal comma 11 dell’articolo 9 in via generale per la nomina dei direttori dei parchi sia con riferimento alla proposta della terna dei nomi (da parte del Presidente dell’ente in luogo del Consiglio direttivo), sia con riferimento alla selezione dei candidati. A quest’ultimo riguardo, infatti, si segnala che, in ottemperanza a quanto previsto dalla predetta disposizione, con il decreto ministeriale 10 agosto 1999 è stato istituito, presso il Ministero dell'ambiente, l'albo degli idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco, nell’ambito dei quali il consiglio direttivo propone una terna di nomi e che per l’iscrizione a tale albo si prevede unicamente un procedura concorsuale a cui si accede con determinati requisiti (diploma di laurea, anche equiparato al servizio reso per almeno quattro anni in qualità di direttore di Ente parco nazionale o regionale).

 

Il comma 4 stabilisce inoltre che il Presidente del parco provvede a stipulare con il direttore nominato un apposito contratto di diritto privato per una durata non superiore a cinque anni e, se dipendente pubblico, è posto in aspettativa dalla amministrazione di appartenenza, senza assegni.

Si specifica infine nella norma in esame che l’atto di nomina è finalizzato a conseguire con immediatezza i necessari livelli di operatività e consentire lo svolgimento stabile delle primarie funzioni attribuite al Parco nazionale delle Cinque Terre in tema di salvaguardia degli ecosistemi naturali e di promozione della sostenibilità, nella specifica cornice di vulnerabilità territoriale messa a rischio da ricorrenti eventi alluvionali.

 

 

Il trasferimento delle funzioni statali per il Parco nazionale dello Stelvio (comma 8)

 

Il comma 8, integralmente sostituito durante l’esame al Senato, dispone in merito al trasferimento o alla delega delle funzioni statali per la governance del Parco nazionale dello Stelvio. In particolare, la norma prevede l’attribuzione delle funzioni statali relative al Parco nazionale dello Stelvio:

-          alla Regione Lombardia, per la parte lombarda del Parco nazionale dello Stelvio, che, conseguentemente, partecipa all'intesa relativa al predetto Parco, di cui all'articolo 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014);

-          alle province autonome di Trento e di Bolzano, per la parte del Parco nazionale dello Stelvio situata nella Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol, provvedendosi con norma di attuazione dello Statuto ai sensi dell'articolo 107 del medesimo statuto (d.P.R. 670/1972).

Le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono stabilite dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione. Queste ultime sono emanate (e modificate) attraverso una procedura pattizia tra Stato e Regione (in questo caso Provincia autonoma) che vede il testo della norma al fuori del circuito parlamentare, in genere nell'ambito di una commissione paritetica composta da rappresentanti dello Stato e dell'ente interessato. La procedura è specifica per ciascuna ente e per le due province autonome è stabilita appunto dall'art. 107 del D.P.R. 670/1972.

Quanto alla materia in questione, le norme di attuazione sono contenute agli articoli 1 e 3 del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste) che attribuiscono alle due Province le funzioni esercitate dallo Stato in materia, fra l'altro, di parchi per la protezione della flora e della fauna, comprese quelle concernenti il parco nazionale dello Stelvio.

 

Il nuovo comma 8 prevede, fino alla sottoscrizione della predetta intesa e comunque non oltre centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto:

-          la proroga delle funzioni e dei mandati del Direttore del Parco in carica e del Presidente in carica o operante in regime di prorogatio;

-          l’attribuzione ai medesimi Direttore del Parco e Presidente delle funzioni demandate agli organi centrali del Consorzio, ad eccezione di quelle dei revisori dei conti;

-          un Comitato paritetico nominato, in caso di mancato raggiungimento della predetta intesa entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, dal Presidente del Consiglio dei ministri, entro i successivi trenta giorni;

Il comitato è composto da un rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da un rappresentante di ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano e da un rappresentante della Regione Lombardia e ai componenti del comitato paritetico non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.

 

Il comma 8 prevede altresì che in caso di mancata costituzione del Comitato paritetico ovvero in assenza della definizione dell'intesa entro i trenta giorni successivi alla costituzione del Comitato:

-          si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione dei Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano e del Presidente della Regione Lombardia.

Si prevede, infine, che dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 8 originario dispone la partecipazione della Regione Lombardia all’intesa tra lo Stato e le province autonome di Trento e di Bolzano, prevista dall’articolo 1, comma 515, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), per il Parco nazionale dello Stelvio.

 

Il Parco nazionale dello Stelvio (PNS) è stato istituito con la legge 24 aprile 1935 n. 740 e il regolamento di esecuzione è stato approvato con il D.P.R. 30 giugno 1951 n.1178.

Il D.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), che ha previsto, all'art.1, che le attribuzioni dell'amministrazione dello Stato in materia, fra l'altro, di parchi per la protezione della flora e della fauna siano esercitate per il rispettivo territorio, dalle province di Trento e Bolzano con l'osservanza delle norme dello stesso decreto, ha disposto, al successivo art. 3, che fra le funzioni esercitate dalle province di Trento e Bolzano, ciascuna per il rispettivo territorio, ai sensi dell'art. 1 dello stesso decreto, siano comprese quelle concernenti il parco nazionale dello Stelvio e che la gestione unitaria del parco sia attuata mediante la costituzione di apposito consorzio fra lo Stato e le due province, le quali, per la parte di propria competenza, provvedono con legge, previa intesa fra i tre enti (quarto comma).

II primo comma dell'art. 35 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette), che detta norme transitorie per l'adeguamento ai principi della stessa legge, ha previsto, con riferimento al Parco nazionale dello Stelvio, che vi si provveda in base a quanto stabilito dall'art. 3 del citato D.P.R. 279/1974 e che le intese ivi previste vadano assunte anche con la regione Lombardia e debbano essere informate ai principi generali della stessa legge.

In attuazione delle disposizioni normative di cui all'art. 3, quarto comma, del D.P.R. 279/1974 e dell'art. 35, primo comma, della L. 394/1991, il 27 marzo 1992, fra il Ministero dell'Ambiente la Provincia autonoma di Trento, la Provincia autonoma di Bolzano e la Regione Lombardia è stata raggiunta la prescritta intesa per la costituzione del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio (CPNS), che è stata, quindi, recepita dallo Stato, con il D.P.C.M. 26 novembre 1993, dalla Provincia autonoma di Trento, con la legge provinciale 30 agosto 1993 n. 22, dalla Provincia autonoma di Bolzano con la legge provinciale 3 novembre 1993 n. 19, e dalla Regione Lombardia con la legge regionale 10 giugno 1996 n. 12.

Con il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 73 è stato quindi, emanato il regolamento recante riordino degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che, all'art. 1, ha riordinato gli enti parco, avuto riguardo, in particolare, al relativi organi, ed, all'art. 2, ha previsto, con specifico riferimento al Consorzio del Parco nazionale dello Stelvio ed all'Ente parco nazionale del Gran Paradiso, che al riordino dei relativi organi collegiali si provveda "previe intese con le regioni e le province autonome interessate, ai sensi dell'articolo 35, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n, 394, e dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1994, n. 10 (Istituzione del parco nazionale dell'arcipelago de La Maddalena e altre disposizioni in materia di parchi nazionali)", prescrivendo, inoltre, che l'Intesa debba essere raggiunta entro Il termine perentorio di 30 giorni dalla prima convocazione di un apposito incontro.

Allo stato, non è intervenuto il riordino degli organi collegiali del Consorzio previsto dalla suddetta disposizione normativa.

Da ultimo, l'art. 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) ha previsto in particolare che mediante intese tra lo Stato e le province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro il 30 giugno 2014, siano definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti, in particolare, fra gli altri, al Parco nazionale dello Stelvio, e che con apposite norme di attuazione si provveda al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa prevedendo, inoltre, che, con i predetti accordi, sì individuino "gli standard minimi di servizio e di attività che lo Stato, per ciascuna delle funzioni trasferite o delegate, si impegna a garantire sul territorio provinciale o regionale con riferimento alle funzioni i cui oneri sono sostenuti dalle province o dalla regione, nonché I parametri e le modalità per la quantificazione e l'assunzione degli oneri" e che con apposite norme di attuazione si provveda al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa.


 

Articolo 11, comma 2-bis
(Sanzioni relative all’immissione in commercio di particolari tipi di shoppers)

 

 

Il comma 2-bis dell’articolo 11, introdotto durante l’esame al Senato, dispone l’entrata in vigore immediata (che ovviamente decorrerà dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge) della sanzione amministrativa pecuniaria prevista, dall’art. 2, comma 4, del D.L. 2/2012, per la commercializzazione:

§  di sacchi per l'asporto merci (shoppers) monouso realizzati con polimeri  non conformi alla norma tecnica armonizzata UNI EN 13432:2002 (dal titolo “Imballaggi – requisiti per imballaggi recuperabili attraverso compostaggio e biodegradazione – schema di prova e criteri di valutazione per l’accettazione finale degli imballaggi”);

§  nonché di shoppers riutilizzabili non conformi alle caratteristiche di spessore e di presenza di materiale riciclato fissate dal decreto interministeriale 18 marzo 2013.

Dal divieto di commercializzazione, secondo quanto stabilito da tale decreto, sono esclusi i sacchi riutilizzabili per l'asporto delle merci realizzati in carta, in tessuti di fibre naturali, in fibre di poliammide e in materiali diversi dai polimeri.

 

Il comma in esame elimina infatti quella parte del testo del comma 4 che prevedeva la decorrenza delle sanzioni a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione dei decreti attuativi previsti dall’art. 2.

 

Il citato comma 4 prevede che la sanzione citata consista nel pagamento di una somma da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto di commercializzazione degli shoppers succitati riguarda quantità ingenti oppure un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore.

 

Per comprendere le ragioni alla base della norma in esame appare utile ricostruire sin dall’inizio la vicenda normativa.

Le prime norme finalizzate a vietare la commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci sono state introdotte nell’ordinamento nazionale con l’art. 1, comma 1130, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006).

L'indeterminatezza di tale norma (su cui era intanto intervenuta la proroga per la sua attuazione, disposta dall'art. 23, comma 21-novies, del D.L. 78/2009) ne ha però impedito l'attuazione.

Sul punto è poi intervenuto l'articolo 2 del D.L. 2/2012, che ha previsto la proroga del termine relativo al divieto definitivo di commercializzazione delle tipologie di shoppers contemplate, fino all'emanazione di un decreto interministeriale di natura non regolamentare. Il comma 4 dell'art. 2 del D.L. 2/2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del citato divieto, prevedendone però l’applicazione solo a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione del predetto decreto interministeriale (secondo quanto stabilito dall'art. 34, comma 30, del D.L. 179/2012).

Tale decreto interministeriale, pur essendo stato emanato in data 18 marzo 2013 (e pubblicato nella G.U. del 27 marzo 2013), ha condizionato l’entrata in vigore del decreto medesimo alla positiva conclusione della procedura di comunicazione agli organi dell’UE (prevista dalla direttiva 98/34/CE).

 


 

Articolo 11, comma 5
(Differimento delle sanzioni relative a sistemi antincendio contenenti sostanze lesive dell’ozono)

 

 

Il comma 5, lettera b), prevede un differimento di 9 mesi (quindi fino al 12 gennaio 2015, v. infra) per l'applicazione delle sanzioni per la mancata eliminazione di sistemi di protezione antincendio contenenti sostanze lesive dell’ozono (nuovo comma 2-bis dell’art. 5 del D.Lgs. 108/2013).

L’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 13 settembre 2013, n. 108 (contenente la “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni derivanti dal Regolamento (CE) n. 1005/2009 sulle sostanze che riducono lo strato di ozono”) prevede la pena dell'arresto fino ad un anno e l'ammenda fino a 100.000 euro per chiunque detenga e non elimini, entro il 12 aprile 2014[61] i sistemi di protezione antincendio contenenti le sostanze lesive dell’ozono controllate ai sensi dell'articolo 3, punto 4), del citato regolamento.

Il citato punto 4) definisce «sostanze controllate» le sostanze elencate nell'allegato I al regolamento, inclusi i loro isomeri, sole o in miscela, vergini, recuperate, riciclate o rigenerate. Sono tali i clorofluorocarburi (CFC), gli halon, il tetracloruro di carbonio, il bromuro di metile, gli idroclorofluorocarburi (HCFC), ecc.[62]

Condizioni per usufruire del differimento delle sanzioni

Per beneficiare del differimento, i detentori di tali sistemi antincendio devono trasmettere una comunicazione, entro il 30 settembre 2014, ai Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, indicando l'ubicazione dell'impianto, la natura e la quantità delle sostanze, secondo il formato di cui all'allegato I introdotto dalla lettera a) del comma 5 in esame.

 


 

Articolo 11, comma 6
(Modalità di adozione delle linee guida per la misurazione dei livelli di elettrosmog)

 

 

Il comma 6 prevede che l'adozione delle linee guida finalizzate a consentire la misurazione e il rilevamento dei livelli di esposizione alle emissioni elettromagnetiche sia effettuata non necessariamente con un unico decreto dirigenziale, come invece disponeva la normativa previgente che viene così modificata (art. 14, comma 8, lettera d), del D.L. 179/2012).

 

Il comma 8 dell'articolo 14 conferma le disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 luglio 2003, di attuazione della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (L. 36/2001) ed introduce con le lettere a), b), c) e d) alcune disposizioni in materia di misurazione dei valori delle frequenze. In particolare (per quanto attiene alle modifiche operate dal comma in esame) la lettera d) demanda all'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e alle le agenzie per la protezione dell’ambiente regionali (ARPA) e delle province autonome di Trento e Bolzano (APPA) l'individuazione dei fattori di riduzione di potenza in Linee Guida, da approvare con decreto dirigenziale (d’ora in poi uno o più decreti dirigenziali) emanato dal Ministero dell'ambiente. Le Linee Guida sono soggette ad aggiornamento semestrale.

 


 

Articolo 11, commi 7, 9, 10 e 11
(Norme in materia di impianti termici civili)

 

 

I commi 7, 9, 10 e 11 dell’articolo 11 recano disposizioni in materia di impianti termici civili finalizzate a disciplinare il rispetto degli adempimenti relativi all'integrazione del libretto di centrale, a cura del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto, le caratteristiche tecniche degli impianti e gli obblighi di comunicazione delle dichiarazioni di installazione degli impianti alle autorità competenti (commi 7-9-11). Si introduce, inoltre, una disciplina transitoria per l’adeguamento degli impianti termici civili che erano assoggettati all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera (comma 10).

 

Le predette disposizioni contengono disposizioni volte a superare le criticità derivanti dall’applicazione dell’art. 34, comma 52, del D.L. 179/2012. Per tale motivo da un lato viene ripristinato il regime previgente all’entrata in vigore di tale disposizione, dall’altro vengono dettate norme transitorie per consentire agli operatori di poter effettuare quelle operazioni che l’incertezza creata dal citato comma 52 aveva indotto a sospendere: si tratta degli adempimenti relativi all'integrazione del libretto di centrale degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW), che devono essere assolti dai responsabili dell'esercizio e della manutenzione degli impianti, nonché di quelli connessi al rispetto delle caratteristiche tecniche degli impianti e degli obblighi di comunicazione delle dichiarazioni di installazione degli impianti alle autorità competenti.

Prima di entrare nello specifico di tali modifiche, per una migliore comprensione delle stesse, è opportuno preliminarmente dare conto delle recenti disposizioni che sono state adottate, prima del presente decreto-legge, in materia di impianti termici, e che rappresentano il quadro nel quale le predette modifiche si innestano. Si tratta in particolare:

- dell’articolo 9, comma 2, del D.L. 5/2012;

Il comma 1 dell'art. 9 del D.L. 5/2012 ha demandato a un decreto interministeriale (a tutt’oggi non emanato), l’approvazione di un modello di dichiarazione unica di conformità degli impianti, che sostituirà le dichiarazioni previste dalla normativa vigente; in particolare, con riferimento agli impianti termici rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 1 del D.M. 37/2008[63], la dichiarazione di cui all'art. 284 del D.Lgs. 152/2006.

Il successivo comma 2 ha disciplinato gli obblighi di tenuta della documentazione, stabilendo che la dichiarazione unica di conformità e la documentazione allegata siano conservate presso la sede dell'interessato ed esibite, a richiesta dell'amministrazione, per i relativi controlli.

§  e del già citato articolo 34, comma 52, del D.L. 179/2012.

Il comma 52 dell’art. 34 del D.L. 179/2012 reca modifiche all’art. 285 del d.lgs. 152/2006 in cui sono disciplinate le caratteristiche tecniche che devono essere rispettate dagli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW[64]).

Il testo dell’articolo 285 risultante dalle modifiche operate dal comma 52, in vigore dal 19 dicembre 2012, prevede l’adeguamento, entro il 1° settembre 2017, degli impianti termici civili autorizzati in base a disposizioni precedenti “purché sui singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali valvole termostatiche e/o ripartitori di calore”.

La stessa norma prevede altresì che il titolare dell’autorizzazione:

-  produca, quali atti autonomi, le dichiarazioni previste dall’art. 284, comma 1, del d.lgs. 152, nei novanta giorni successivi all’adeguamento;

-  effettui le comunicazioni previste dal medesimo art. 284 nei tempi ivi stabiliti.

Inoltre il titolare dell’autorizzazione è equiparato all’installatore ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 288 del D.Lgs. 152/2006.

 

Quanto illustrato evidenzia che entrambe le disposizioni richiamate incidono sulle modalità di effettuazione delle dichiarazioni e delle comunicazioni previste dall’art. 284. del D.Lgs. 152/2006.

In estrema sintesi il comma 1 dell’art. 284 prevede, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW), che l'installatore verifichi e dichiari che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche previste dall’art. 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di emissione di cui all'art. 286. Tali dichiarazioni, secondo il medesimo art. 284, devono essere espressamente riportate in un atto allegato alla dichiarazione di conformità. L’autorità che riceve la dichiarazione di conformità provvede ad inviare tale atto all’autorità competente.

Il comma 2 dell’art. 284 prevede, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW) in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del d.lgs. 152/2006, che il libretto di centrale deve essere integrato, a cura del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto, entro il 31 dicembre 2012:

-  da un atto in cui si dichiara che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'articolo 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di cui all'articolo 286;

-  con l'indicazione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all'articolo 286.

Lo stesso comma impone al responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto di inviare tali atti integrativi all'autorità competente entro 30 giorni dalla redazione.

 

Come si è visto l’art. 284 fa rinvio alle caratteristiche tecniche stabilite dal successivo art. 285. Tale impianto normativo è stato sostanzialmente applicabile fino al 19 dicembre 2012, cioè fino a quando (prima dell’entrata in vigore del citato comma 52) l’art. 285 ha richiamato le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'allegato IX alla parte V del Codice, pertinenti al tipo di combustibile utilizzato. Venendo meno il rinvio alle caratteristiche da rispettare tutto è divenuto più difficile.

Si ricorda in proposito che la citata parte II dell’allegato IX disciplina i requisiti tecnici e costruttivi dell’impianto, con riferimento alle caratteristiche dei camini, ai canali da fumo, ai dispositivi accessori e agli apparecchi indicatori.

 

Prima analizzare i singoli commi si fa infine notare che i commi 7, 9 e 11 riproducono le identiche disposizioni contenute, rispettivamente, nei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 8 dell’A.C. 2093 (c.d. collegato ambientale).

 

Proroga per l’integrazione del libretto di centrale (comma 7)

Il comma 7 dell'articolo in esame prevede che agli adempimenti relativi all'integrazione del libretto di centrale previsti dall'articolo 284, comma 2, si procede, ove non espletati in precedenza, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto-legge, quindi entro il 25 dicembre 2014.

Come si è già avuto modo di sottolineare, tra gli adempimenti integrativi che dovevano essere presentati entro il 31 dicembre 2012, ai sensi del citato comma 2, figura un atto in cui si dichiara che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'articolo 285, caratteristiche che però erano scomparse, in seguito all’entrata in vigore del comma 52 dell’art. 34 del D.L. 179/2012. Per tale ragione, viene inserita la proroga in esame.

Riscrittura dell’art. 285 del Codice per tener conto delle caratteristiche tecniche previste dall’allegato IX (comma 9)

Il comma 9 riscrive l’art. 285 del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), con una formulazione pressoché identica a quella vigente prima della conversione in legge del D.L. 179/2012, al fine di garantire il rispetto delle caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'allegato IX alla parte V del d.lgs. 152/2006; rispetto che non era garantito dal testo previgente l’entrata in vigore del presente decreto-legge, a causa della scomparsa di ogni riferimento al citato allegato.

Si ricorda ancora una volta che la citata parte II dell’allegato IX disciplina i requisiti tecnici e costruttivi dell’impianto, con riferimento alle caratteristiche dei camini, ai canali da fumo, ai dispositivi accessori e agli apparecchi indicatori.

Il seguente testo a fronte esplicita quanto affermato in precedenza:

 

Testo prima delle modifiche del D.L. 179/2012

(in vigore fino al 18/12/2012)

Testo previgente l’entrata in vigore del D.L. 91/2014

(in vigore dal 19/12/2012)

Testo vigente introdotto dal comma in esame

(in vigore dal 25/6/2014)

1. Gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'Allegato IX alla parte quinta del presente decreto pertinenti al tipo di combustibile utilizzato e le ulteriori caratteristiche tecniche previste dai piani e dai programmi di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa, ove necessarie al conseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell'aria.

1. Gli impianti termici civili che, prima dell'entrata in vigore della presente disposizione, sono stati autorizzati ai sensi del titolo I della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che, a partire da tale data, ricadono nel successivo titolo II, devono essere adeguati alle disposizioni del titolo II entro il 1° settembre 2017 purché sui singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali valvole termostatiche e/o ripartitori di calore. Il titolare dell'autorizzazione produce, quali atti autonomi, le dichiarazioni previste dall'articolo 284, comma 1, della stessa parte quinta nei novanta giorni successivi all'adeguamento ed effettua le comunicazioni previste da tale articolo nei tempi ivi stabiliti. Il titolare dell'autorizzazione è equiparato all'installatore ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 288.

1. Gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'allegato IX alla parte quinta del presente decreto pertinenti al tipo di combustibile utilizzato. l piani e i programmi di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa possono imporre ulteriori caratteristiche tecniche, ove necessarie al conseguimento e al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell'aria.

 

Disciplina transitoria per l’adeguamento degli impianti termici civili che erano assoggettati all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera (comma 10)

Il comma 10 prevede l’adeguamento degli impianti termici civili che, prima dell’entrata in vigore della disposizione, non rientravano nella disciplina speciale degli impianti termici civili (Titolo II della Parte V del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente), ma sono stati assoggettati all’autorizzazione generale alle emissioni in atmosfera (regolata dal Titolo I della medesima Parte V).

Tale adeguamento deve avvenire entro il 1° settembre 2017 purché sui singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali:

§  valvole termostatiche;

§  e/o ripartitori di calore;

§  e/o generatori con celle a combustibile con efficienza elettrica superiore al 48% (tale ultima caratteristica è stata aggiunta nel corso dell’esame al Senato)

 

Vengono altresì introdotti i seguenti obblighi per il titolare dell'autorizzazione:

§  produzione, quali atti autonomi, delle dichiarazioni previste dall'articolo 284, comma 1, del d.lgs. 152/2006 nei 90 giorni successivi all'adeguamento;

§  effettuazione delle comunicazioni previste da tale articolo 284 nei tempi ivi stabiliti.

 

Il comma in esame stabilisce altresì che il titolare dell'autorizzazione è equiparato all'installatore ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 288.

 

Si fa notare che il testo iniziale di tale comma riproduce il disposto del comma 52 dell’art. 34 del D.L. 179/2012 che sostituiva, anziché integrarlo, il testo dell’art. 285 del d.lgs. 152/2006.

I commi 9 e 10 dell'articolo in esame provvedono quindi, da un lato, a ripristinare il testo dell’art. 285 vigente prima del D.L. 179 e, dall’altro, a collocare le disposizioni transitorie in modo che integrino il dettato dell’art. 285.

Si fa altresì notare che la norma in esame fa riferimento agli impianti dotati di autorizzazione generale alle emissioni alla data del 25 giugno 2014 e che, a partire da tale data, ricadono nella disciplina degli impianti termici civili. In proposito, si ricorda che l’art. 3, comma 15, del D.Lgs. 128/2010 ha riscritto l’art. 282 del d.lgs. 152/2006, che delimita l’ambito di applicazione della disciplina relativa agli impianti termici civili, semplificando le varie soglie prima previste. Pertanto, dal 26 agosto 2010, data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 128/2010, rientrano nella disciplina dettata dal Titolo II della Parte V del Codice solo gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore a 3 MW, mentre gli altri impianti termici civili (cioè quelli con potenza termica nominale uguale o superiore a 3MW) sono assoggettati all’autorizzazione generale alle emissioni in atmosfera disciplinata dal Titolo I della medesima Parte.

 

Ciò premesso, andrebbe valutata l’opportunità di modificare la data indicata dal comma in esame, laddove fa riferimento al periodo antecedente all’entrata in vigore della disposizione, con quella dell’entra in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, che ha dettato la nuova disciplina per gli impianti termici civili.

 

Obblighi di comunicazione previsti per gli impianti termici civili non sostituiti dalla dichiarazione unica di conformità degli impianti (comma 11)

Il comma 11 chiarisce che restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 284 del d.lgs. 152/2006, ossia l’obbligo di trasmettere la dichiarazione di installazione degli impianti termici civili all'autorità competente per i controlli.

Tale obbligo viene aggiunto al comma 2 dell’art. 9 del D.L. 5/2012, che nel testo previgente prevedeva unicamente la conservazione della dichiarazione unica di conformità e della documentazione allegata presso la sede dell'interessato al fine di una eventuale esibizione, a richiesta dell'amministrazione, per i relativi controlli.

 


 

Articolo 11, comma 12-ter
(Fissazione di valori limite di emissione per le turbine a gas)

 

 

Il comma 12-ter dell’articolo 11, inserito nel corso dell’esame al Senato, modifica l’articolo 28 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46, che disciplina l’attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali per prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento. Tale articolo ha, tra l’altro, apportato una serie di modifiche alle sezioni da 1 a 4 dell’Allegato II, parte II, alla Parte Quinta del d.lgs. 152/2006, che stabiliscono i limiti di emissione per i grandi impianti di combustione in relazione a ossidi di zolfo (SO2)e di azoto (NOx), carbonio (CO) e polveri.

In particolare, il comma 12-ter sostituisce la tipologia di impianto “CCGT (Combined Cycle Gas Turbine – turbine a ciclo combinato a gas) per trasmissione meccanica” con quella di “turbine a gas per trasmissione meccanica (comprese le CCGT)”, inserita nella tabella B-bis della Sezione 4, in cui sono elencati i valori limite di emissione per gli impianti di combustione nuovi alimentati a combustibile gassoso.

 

Si segnala che nell’allegato si fa riferimento negli altri casi a turbine a gas (comprese le CCGT).

 


 

Articolo 12, commi 1-4
(Misure urgenti per garantire l'alta qualificazione e la trasparenza degli organi di verifica ambientale e per accelerare la spesa per la programmazione unitaria 2007/2013)

 

 

L'articolo 12 nei commi da 1 a 3 interviene sulla composizione della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, mentre al comma 4 detta misure derogatorie per consentire l'utilizzo delle contributi dell'Unione europea destinati dai Programmi nazionali, interregionali e regionali alla riqualificazione e alla messa in sicurezza di edifici pubblici, compresi gli interventi di efficientamento energetico.

Rinnovo della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale (commi 1-3)

Il comma 1, lettera a) riduce il numero dei componenti della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS da cinquanta a quaranta, sempre inclusi il presidente e il segretario, e introduce requisiti per la nomina degli stessi (nuovo primo periodo del comma 1 dell’art. 7 del D.L. 90/2008). Viene infatti previsto che i componenti debbano:

§  essere in possesso di diploma di laurea, non triennale;

§  avere un’adeguata esperienza professionale di almeno 5 anni. Tale requisito è stato modificato nel corso dell’esame al Senato. Il testo iniziale del decreto-legge non contempla l’aggettivo “adeguata”, ma prevede che l’esperienza professionale sia maturata nei rispettivi settori di congruente attività.

 

Il comma 1, lettera b), prevede l’emanazione di un apposito decreto del Ministro dell'ambiente finalizzato a ripartire le quaranta unità per profili di competenze ed esperienze e a stabilire i relativi criteri (nuovo secondo periodo del comma 1 dell’art. 7 del D.L. 90/2008).

Tale decreto, ai sensi del comma 2, primo periodo, dovrà essere adottato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Si fa notare che il testo previgente del secondo periodo del comma 1 dell’art. 7 del D.L. 90 conteneva la disciplina per il riordino della Commissione, che risulta superata.

Si ricorda infatti che l’art. 7, comma 1, del D.L. 90 aveva ridotto da 60 a 50 i componenti della Commissione VIA-VAS (istituita dall'articolo 9 del D.P.R. n. 90 del 2007) e, al secondo periodo, previsto l’emanazione di decreti ministeriali per il riordino della Commissione; decreti che sono già stati emanati da diverso tempo.

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, la norma in esame viene emanata “tenuto conto della prossima scadenza dei componenti dell'organismo in questione"[65].

 

Il comma 2, secondo periodo, disciplina il subentro dei nuovi componenti, stabilendo che i componenti in carica (alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge) cessano dalle loro funzioni al momento del subentro dei nuovi componenti nominati, con successivo decreto, secondo i criteri stabiliti dal decreto previsto dal comma 1, lettera b).

 

Il comma 3 disciplina le incompatibilità e il conflitto di interessi dei componenti della Commissione. Tale comma infatti estende ai componenti della Commissione il regime di incompatibilità:

§  di cui all'articolo 6-bis della legge n. 241/1990, riguardante l'obbligo di astensione e di segnalazione in caso di conflitto di interessi;

§  e di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013, riguardante le incompatibilità di incarichi presso la P.A. e presso gli enti privati in controllo pubblico.

 

Lo stesso comma prevede, inoltre, che in caso di violazione delle prescrizioni del D.Lgs. 39/2013, il componente responsabile, fermo restando ogni altro profilo di responsabilità, decada dall'incarico e che IL  Ministro dell'ambiente segnali la violazione all'ordine professionale di appartenenza.

Il citato articolo 6-bis della legge n. 241 del 1990 prevede che il responsabile del procedimento amministrativo e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

 

Si segnala che l’articolo 5 dell’A.C. 2093 (c.d. collegato ambientale), in corso di esame presso la Commissione ambiente della Camera, prevede l’istituzione della Commissione tecnica unificata per i procedimenti di VIA, VAS e AIA, disciplinandone nel dettaglio i compiti, la composizione, le modalità di selezione dei componenti, la durata in carica, il trattamento economico, nonché la copertura degli oneri connessi al suo funzionamento.

Poteri derogatori per riqualificazione e messa in sicurezza di edifici pubblici (comma 4)

Il comma 4, avente la finalità dichiarata di consentire l’immediato ed efficiente utilizzo delle risorse del Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) 2007/2013 dell'UE, destinate dai Programmi nazionali, interregionali e regionali alla riqualificazione e alla messa in sicurezza di edifici pubblici, compresi gli interventi di efficientamento energetico degli edifici stessi, attribuisce, sino al 31 dicembre 2015, ai soggetti responsabili di tali interventi, già titolari di interventi finanziati, in tutto o in parte, con risorse dell’Unione europea, poteri derogatori rispetto alla normativa vigente.

I poteri derogatori attribuiti sono quelli che l'art. 18, comma 8-ter, del decreto-legge n. 69 del 2013, ha concesso ai sindaci e ai presidenti delle province, per la messa in sicurezza delle scuole, e che sono stati definiti dal decreto del Presidente del Consiglio del 22 gennaio 2014, ove sono elencate le disposizioni, anche di rango primario, cui è possibile derogare.

 

Si segnala che la disposizione in esame, pur concernendo con tutta evidenza le risorse comunitarie relative al periodo di programmazione 2007-2013 in corso, fa tuttavia riferimento al documento programmatorio denominandolo “Quadro Comunitario di Sostegno (QCS)” (documento relativo alla programmazione delle risorse del precedente periodo 2000-2006, ormai esaurito) in luogo di “Quadro strategico nazionale (QSN)”, recante l’individuazione degli interventi e delle risorse del periodo di programmazione 2007-2013.

 

Si ricorda che nell'ambito dell'Unione Europea il quadro di riferimento per la programmazione delle risorse relative al periodo 2007-2013 è costituito dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 (QSN), approvato in via definitiva dalla Commissione europea con decisione del 13 luglio 2007. Tale Quadro espone, in un progetto unitario, la programmazione dei fondi strutturali e delle risorse aggiuntive nazionali per le aree del Mezzogiorno e del Centro-Nord, secondo un sistema teso all'unificazione della politica regionale comunitaria e di quella nazionale. Esso viene attuato attraverso i fondi strutturali della UE, il cofinanziamento nazionale di cui alla legge n. 183 del 1987 e ulteriori risorse specifiche, quali ad esempio il Fondo per lo sviluppo e la coesione (nuova denominazione del Fondo per le aree sottoutilizzate - FAS).

Il QSN si attua tramite i Programmi Operativi, documenti che declinano le priorità strategiche per settori e territori. Essi possono essere di carattere nazionale (PON), regionale (POR) e interregionale (POIN).

In base alle tematiche affrontate e ai soggetti istituzionali competenti, i Programmi operativi possono essere

·        nazionali (PON): in settori con particolari esigenze di integrazione a livello nazionale, la cui Autorità di Gestione è una Amministrazione Centrale (nella programmazione 2007-2013, 5 PON sono finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e 3 Fondo sociale europeo (FSE));

·        regionali (POR): multisettoriali, riferiti alle singole regioni gestiti dalle Amministrazioni Regionali. Per ciascuna Regione, nonché per le due Province autonome esiste un POR relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e un POR relativo al Fondo sociale europeo FSE;

·        interregionali (POIN): su tematiche in cui risulta particolarmente efficace un’azione fortemente coordinata fra Regioni che consenta di cogliere economie di scala e di scopo nell’attuazione degli interventi (Energia, Attrattori culturali naturali e turismo); gestiti dalle Regioni, con la partecipazione di centri di competenza nazionale o Amministrazioni centrali.

 

Premesso che la deroga introdotta dalla norma in esame fino al 31 dicembre 2015 sembra far riferimento all’utilizzo delle risorse finanziarie - comunitarie e cofinanziate - destinate alla riqualificazione e messa in sicurezza di edifici pubblici, programmate nell’ambito sia dei Programmi nazionali che di quelli interregionali e regionali, sarebbe opportuno un chiarimento in ordine alla circostanza che la suddetta deroga sia da riferirsi anche all’utilizzo delle risorse nazionali destinate alla medesime finalità, per le quali la deroga concessa dall’art. 18, comma 8-ter, del D.L. n. 69/2013 era limitata fino al 31 dicembre 2014.

 

 


 

Articolo 12, comma 4-bis
(Collaborazione delle autorità ambientali della Rete Nazionale)

 

 

Il comma 4-bis dell’articolo 12, inserito nel corso dell’esame al Senato, ai fini dell'accelerazione della spesa e della semplificazione delle procedure, prevede che le autorità ambientali componenti la Rete Nazionale cooperano sistematicamente con i soggetti responsabili delle politiche di coesione per il rispetto dei principi di sostenibilità ambientale nella programmazione, realizzazione e monitoraggio degli interventi.

Secondo quanto riportato in apposita sezione del sito del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (DPS)[66] la Rete Nazionale delle Autorità Ambientali e delle Autorità di Gestione rappresenta la sede di approfondimento metodologico e operativo sugli strumenti di integrazione della componente ambientale nella fase di attuazione degli interventi dei Fondi Strutturali. La Rete è stata istituita nel corso della programmazione 1994-1999, confermata dal QCS Ob.1 2000-2006 e attualmente finanziata (fino al 2015, con un contributo comunitario di 1,2 milioni di euro) nell’ambito dell’Obiettivo Operativo II.2 del Programma Operativo Nazionale (PON) “Governance e Assistenza Tecnica” 2007–2013.

La Rete Nazionale, coordinata dal Ministero dell’ambiente e dal DPS, riunisce i rappresentanti delle autorità ambientali nazionali e regionali, delle autorità di gestione nazionali e regionali, delle amministrazioni nazionali capofila di ciascun fondo, delle amministrazioni centrali titolari di linee di intervento incluse nell’ambito dei Programmi operativi regionali, dei servizi della Commissione europea, oltre all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), le Agenzie Regionali e Provinciali per la Protezione Ambientale (ARPA e APPA) e l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

Per il raggiungimento degli obiettivi di progetto la Rete svolge attività di informazione sui temi ambientali, nonché di coordinamento, formazione, condivisione di esperienze ed elaborazione di proposte, criteri e metodologie attinenti agli aspetti ambientali degli interventi cofinanziati.

Per l’approfondimento di problematiche specifiche nell’ambito della Rete vengono costituti Gruppi di Lavoro – a oggi sono attivi i gruppi “Attuazione dei Programmi Operativi”; “Cambiamenti climatici”; “Monitoraggio VAS” - aperti alla partecipazione dei componenti della Rete interessati, nonché di esperti esterni.

I coordinatori della Rete Nazionale partecipano inoltre ai lavori della Rete europea delle autorità ambientali per la politica di coesione (European Network of Environmental Authorities for the Cohesion Policy).

 

 


 

Articolo 12-bis
(Requisiti acustici passivi degli edifici)

 

 

L’articolo 12-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, detta una nuova disciplina in materia di requisiti acustici passivi degli edifici.

In particolare, il comma 1 dispone l’obbligo per gli edifici in cui sia rilevato in via giudiziaria il mancato rispetto dei valori limite dettati dalla normativa, di effettuare il risanamento attraverso appropriati interventi tecnici di adeguamento, al fine di rendere la destinazione degli edifici idonea al loro uso.

L’obbligo previsto è volto, secondo quanto prevede esplicitamente la norma, alla puntuale applicazione della disciplina contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 1997 relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici.

Il comma 2 stabilisce che:

- l’obbligo previsto e le conseguenti spese per il suddetto risanamento sono a carico prioritariamente del costruttore o venditore che vi provvede direttamente;

- in via sostitutiva, il suddetto obbligo è trasferito all'acquirente con la garanzia totale della copertura finanziaria da parte del costruttore o venditore, a seguito di un accordo tra le parti e della presentazione di idonea documentazione giustificativa che evidenzi sia il raggiungimento degli obiettivi di risanamento sia le risorse finanziarie associate.

Il comma 3 prevede una tolleranza di 3 dB (decibel) dei valori limite contenuti nel citato decreto Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 1997, ai fini dell'accertamento strumentale del rispetto dei valori limite di legge, nelle more dell'adozione delle indicazioni progettuali previste dall'articolo 3, comma 1, lettera f), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 (legge quadro sull'inquinamento acustico).

Infine, il comma 3 dispone che nell'accertamento giudiziale del mancato rispetto dei valori limite dei requisiti acustici passivi degli edifici sia contemplata una stima del costo massimo ammissibile relativo agli interventi di risana mento acustico da eseguire.

 

La legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull'inquinamento acustico) fissa i principi cardine in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico, cui si devono adeguare Regioni e Province autonome, chiamate però a dare un contributo attuativo alla disciplina.

La nuova disciplina è applicabile a tutte le attività che introducono rumore nell'ambiente abitativo e nell'ambiente esterno, rumore che ecceda la normale tollerabilità e possa provocare, pertanto, fastidio o disturbo alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo o dell'ambiente esterno, o che possa interferire con le attività che si svolgono all'interno degli ambienti danneggiando la fruibilità degli stessi.

In particolare, l’articolo 3, comma 1, lettera f), prevedeva l’emanazione di un decreto ministeriale (ex Lavori pubblici, di concerto con Ministero dell’ambiente e del Ministero dei Trasporti) riguardante i Criteri per la progettazione, l'esecuzione e la ristrutturazione delle costruzioni edilizie e delle infrastrutture, che non risulta emanato.

Si ricorda che per i Comuni che non hanno disposto la zonizzazione acustica si applicano i limiti di accettabilità ex Dm 1° marzo 1991.

 

Il Dpcm 5 dicembre 1997 ha introdotto una serie di valori, distinti per categoria di edificio, relativi agli indici  di valutazione del potere fonoisolante apparente di partizioni fra ambienti (R'W), dell'isolamento acustico standardizzato di facciata (D2m,nT,W), del livello di rumore di calpestio normalizzato (Ln,W). Sono introdotti anche limiti massimi di rumorosità per gli impianti a funzionamento sia continuo che discontinuo.

La legge comunitaria 2008 (legge 88/2009) aveva stabilito che, in attesa del riordino della disciplina di settore, i parametri di isolamento acustico del Dpcm 5 dicembre 1997 non si applicassero nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi. La disciplina trovava applicazione successivamente alla data di entrata in vigore della legge 88/2009.

La legge comunitaria 2009 (legge 96/2010), modificando la norma della legge 88/2009, ha stabilito che la norma “si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato”. La norma, pertanto, eliminava qualsiasi riferimento alla data di entrata in vigore della legge.  

La Corte Costituzionale, con sentenza 29 maggio 2013, n. 103, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione in quanto “seppure formulata quale norma di interpretazione autentica, essa non interviene ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in questa contenuto, «riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario», al fine di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo» in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» a tutela della certezza del diritto e degli altri principi costituzionali richiamati”. La Corte, inoltre, sottolinea che “la norma impugnata, oltre a ledere il legittimo affidamento sorto nei soggetti suddetti, contrasta con il principio di ragionevolezza, in quanto produce disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili in assenza di alcuna giustificazione, e favorisce una parte a scapito dell’altra, incidendo retroattivamente sull’obbligo dei privati, in particolare dei costruttori-venditori, di rispettare i requisiti acustici degli edifici stabiliti dal d.P.C.M. 2 dicembre 1997, di attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera e), della legge n. 447 del 1995”.

 

 

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alle disposizioni in materia requisiti acustici passivi degli edifici (articolo 12-bis), si segnala che il 25 aprile 2013 la Commissione ha avviato nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2013/2022 per la non corretta attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale (mappe acustiche strategiche). Non avendo il Governo provveduto all’invio della relativa documentazione, ai sensi dell’articolo 14, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, non risulta possibile dare conto dei contenuti di tale procedura e verificarne l’attinenza con la disposizione in esame.


 

Articolo 12-ter
(Disciplina in materia di inquinamento acustico, delle aviosuperfici, degli eliporti e dei luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stato introdotto l’articolo 12-ter che modifica diverse disposizioni in materia di inquinamento acustico delle aviosuperfici, degli eliporti e dei luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile, già oggetto di modifica da parte dell’articolo 25, comma 11-quater del D.L. n. 69 del 2013.

Da una parte, i commi 1 e 2 introducono l’applicazione anche per le attività degli eliporti della disciplina sull’inquinamento acustico e l’esclusione per gli eliporti medesimi, come per le infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali e marittime, dell’applicazione dei valori limite differenziali di immissione degli ambienti abitativi

Per altro verso, i commi 3 e 4 escludono l’assimilazione delle emissioni sonore prodotte dalle attività riguardanti le aviosuperfici e i luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile a quelle previste per le attività motoristiche e aeroportuali degli aeromobili, come invece disposto dall’art. 25, comma 11-quater del D.L. 69/2013.

 

In particolare, il comma 1 inserisce le emissioni sonore derivanti dagli eliporti nella disciplina sull’inquinamento acustico, attraverso una modifica all'articolo 11, comma 1, della legge quadro sull'inquinamento acustico (26 ottobre 1995, n. 447).

Il comma 2 prevede la non applicazione agli eliporti, come per le infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali e marittime, dei valori limite differenziali di immissione degli ambienti abitativi, in conseguenza della modifica recata all’articolo 4, comma 3 del D.P.C.M. 14 novembre 1997 sulla determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore.

Il comma 3 prevede che le attività relative alle aviosuperfici e ai luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile non siano assimilate, per le emissioni sonore prodotte, alle attività motoristiche, disciplinate dal regolamento di cui al D.P.R. 3 aprile 2001, n. 304, in conseguenza della novella apportata dalla norma all’articolo 1, comma 1, del citato D.P.R.

Il comma 4 prevede la non applicazione alle attività relative alle aviosuperfici e ai luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile dei criteri di misura del rumore emesso dagli aeromobili nelle attività aeroportuali in conseguenza della modifica dell'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 31 ottobre 1997 sulla metodologia di misura del rumore aeroportuale.

 

Le modifiche dell’articolo 25, comma 11-quater del D.L. 69/2013

 

Il comma 11-quater ha inserito nella disciplina sull’inquinamento acustico:

§  le emissioni sonore derivanti dalle attività delle aviosuperfici, cioè di quelle aree idonee alla partenza e all'approdo di aeromobili, che non appartengano al demanio aeronautico[67];

§  le emissioni sonore derivanti dai luoghi in cui si svolgono attività sportive di discipline olimpiche in forma stabile.

Secondo quanto comunicato per le vie brevi dagli uffici del Coni, le discipline olimpiche si riconducono esclusivamente alle Federazioni sportive riconosciute a tal fine dallo stesso Comitato olimpico.

In particolare, la norma modifica l’art. 11, comma 1, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447 del 1995, che prevede l’emanazione di regolamenti di esecuzione distinti per sorgente sonora avente origine dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo, dagli autodromi, dalle piste motoristiche di prova e per attività sportive, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, nonché dalle nuove localizzazioni aeroportuali[68], inserendo come sorgente sonora le attività delle aviosuperfici e le attività sportive delle discipline olimpiche in forma stabile.

Conseguentemente:

§  le due attività vengono di fatto assimilate, per le emissioni sonore prodotte, alle attività motoristiche, disciplinate dal regolamento di cui al D.P.R. 3 aprile 2001, n. 304, in conseguenza della novella apportata dalla norma all’articolo 1, comma 1, del citato D.P.R.;

§  non si applicano alle due attività, come per le infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali e marittime, i valori limite differenziali di immissione, relativi agli ambienti abitativi, a seguito di una modifica all’art. 4, comma 3 del D.P.C.M. 14 novembre 1997 (determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore);

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera f), della legge 447/1995 per valore limite di immissione si intende il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori. Ai sensi della lettera b) del comma 3 del medesimo articolo 2, i valori limite differenziali sono determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo.

§  sono applicati anche alle due attività, i criteri di misura del rumore emesso dagli aeromobili nelle attività aeroportuali in conseguenza della modifica dell'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 31 ottobre 1997 sulla metodologia di misura del rumore aeroportuale.

 


 

Articolo 12-quater
(Soppressione della Commissione in materia di inquinamento acustico ferroviario e trasferimento delle funzioni)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stato aggiunto l’articolo 12-quater che sopprime la Commissione competente in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario e prevede il trasferimento delle relative funzioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS.

La Commissione che viene soppressa compie le valutazioni necessarie per procedere ad interventi diretti sui ricettori per il rispetto di specifici valori limite del rumore ferroviario sia per le infrastrutture di nuova realizzazione con velocità di progetto superiore a 200 km/h (art. 4, comma 6) sia per le infrastrutture esistenti e di nuova realizzazione con velocità di progetto non superiore a 200 km/h (art. 5, comma 4).

In particolare la Commissione esprime valutazione per il rispetto di specifici limiti (art. 4, comma 5 e art. 5, comma 3) di emissioni notturne per ospedali, case di cura e case di riposo e per tutti gli altri ricettori e di emissioni diurne per le scuole.

Di seguito si riporta la definizione di “ricettore” (ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera e), del D.P.R. 1998, n. 459): qualsiasi edificio adibito ad ambiente abitativo comprese le relative aree esterne di pertinenza, o ad attività lavorativa o ricreativa; aree naturalistiche vincolate, parchi pubblici ed aree esterne destinate ad attività ricreative ed allo svolgimento della vita sociale della collettività; aree territoriali edificabili già individuate dai vigenti piani regolatori generali e loro varianti generali, vigenti al momento della presentazione dei progetti di massima relativi alla costruzione delle nuove infrastrutture ovvero esistenti.

Nello specifico, il comma 1 sopprime la Commissione prevista agli articoli 4 comma 6, e 5, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 1998, n. 459 (Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario) istituita con il D.M. 24 aprile 2001, per la valutazione degli interventi diretti sui ricettori di cui agli articoli 4, comma 5, e 5, comma 3, dello stesso decreto.

Il comma 2 prevede il trasferimento dei compiti di valutazione della Commissione soppressa:

-          al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per le competenze relative all'approvazione dei piani degli interventi di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle infrastrutture dei trasporti per le infrastrutture esistenti;

-          alla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS per le infrastrutture di nuova realizzazione.

Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 12-quinquies
(Semplificazione in materia di valutazione di impatto ambientale incidente su attività di escavo di fondali marini e relativa movimentazione)

 

 

L’articolo 12-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, interviene sulla disciplina autorizzativa delle seguenti attività:

§  immersione in mare di materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi (che deve essere autorizzata secondo le procedure dettate dal comma 2 dell’art. 109 del D.Lgs. 152/2006);

§  movimentazione dei fondali marini derivante dall'attività di posa in mare di cavi e condotte (che deve essere autorizzata secondo la procedura delineata dal comma 5, primo periodo, dell’art. 109 del D.Lgs. 152/2006).

 

La lettera b) del comma 1 prevede che qualora l’intervento da autorizzare sia assoggettato a VIA (valutazione di impatto ambientale) nazionale o regionale, allora non devono essere più attivate le procedure autorizzative speciali previste dai commi 2 e 5 dell’art. 109.

 

La lettera b) stabilisce altresì che siano svolte nell'ambito delle attività istruttorie relative alla procedura di VIA le verifiche tecniche finalizzate:

§  ad accertare le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche dei sedimenti marini movimentati;

§  a valutare la significatività dei possibili impatti ambientali connessi alla loro movimentazione per la posa di cavi e condotte.

 

Per lo svolgimento di tali attività, in assenza di una disciplina normativa specifica, le regioni (o le province da esse delegate) hanno fatto riferimento alle linee guida riportate nel “Manuale per la Movimentazione dei Sedimenti Marini” redatto da ICRAM-APAT (versione aggiornata 2007).

 

Le altre disposizioni dell'articolo in esame hanno il principale effetto di ricollocare al di fuori dell’art. 109 le norme contenute nel secondo periodo del comma 5 di tale articolo (che pertanto viene soppresso).

Rispetto al testo vigente di tale periodo, il comma 2 fa riferimento, anziché alle reti energetiche di interesse nazionale, alla rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica (anche se poi, quando si parla di connessioni con reti di altri Stati il comma 2 continua a far riferimento generico alle “reti energetiche”).

Per la movimentazione di fondali marini derivante dalla posa di condotte o cavi facenti parte della citata rete, il comma 2 conferma gli iter autorizzativi previsti per tale caso particolare, specificando però che essi si applicano solamente se le attività in questione non sono soggette a VIA, in linea con la semplificazione operata dalla lettera b) del comma 1.

 

L’articolo in esame contiene disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art. 4 del ddl collegato ambientale (A.C. 2093), in corso di esame presso la Commissione ambiente della Camera.

 


 

Articolo 13, commi 1-3 quinquies
(Procedure semplificate per le operazioni di bonifica e di messa in sicurezza, nonché per la caratterizzazione dei materiali di riporto)

 

 

Il comma 1 introduce una procedura semplificata, su istanza e a spese dei soggetti interessati, per l’effettuazione degli interventi di bonifica dei siti contaminati finalizzati a ridurre la contaminazione a livelli non superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (nuovo articolo 242-bis del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente)[69].

Il comma 2 estende l'ambito di applicazione del nuovo procedimento semplificato ai procedimenti ordinari di bonifica in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Il comma 3 modifica la disciplina transitoria applicabile alle procedure di bonifica avviate prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 152/2006 con istruttoria non conclusa alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Per tali procedure viene prescritta l’applicazione delle norme della parte quarta del citato decreto.

Ulteriori disposizioni inserite nel corso dell’esame al Senato, contengono una serie di modifiche puntuali alla disciplina relativa alla caratterizzazione e alla bonifica delle matrici materiali di riporto (comma 3-bis), alle modalità di valutazione delle “concentrazioni attese in falda” (comma 3-ter), alle concentrazioni soglia di contaminazione per i composti organo-stannici (comma 3-quater), alle procedura da seguire per la bonifica della rete di distribuzione dei carburanti (comma 3-quinquies).

Gli obiettivi della procedura semplificata

Il nuovo art. 242-bis del d.lgs. 152/2006 consente di assoggettare alla nuova procedura semplificata gli interventi di bonifica dei siti contaminati finalizzati a ridurre la contaminazione a livelli non superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC).

Nel corso dell’esame al Senato la rubrica dell’articolo 242-bis è stata modificata al fine di eliminare il riferimento alla “messa in sicurezza” poiché all’interno del nuovo articolo 242-bis non si fa riferimento a tale operazione.

 

Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), secondo la definizione riportata all’art. 240, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006, corrispondono ai “livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio sito specifica”.

Qualora invece la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori CSC allora – come chiarisce l’art. 240, comma 1, lettera f), del citato decreto legislativo – il sito viene considerato “non contaminato”.

Le CSC sono individuate nell’Allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006, che elenca le CSC nel suolo e nel sottosuolo in relazione alla specifica destinazione d'uso (a verde pubblico, privato e residenziale oppure ad uso commerciale e industriale) dei siti da bonificare, nonché le CSC nelle acque sotterranee.

Si ricorda brevemente la differenza tra CSR e CSC, richiamando le pertinenti definizioni contenute nell’art. 240 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente).

Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) – di cui si è già riportata la definizione – sono i limiti tabellari considerati come valori soglia, uguali su tutto il territorio nazionale, al di sotto dei quali il sito si considera “non contaminato”.

Le concentrazioni soglia di rischio (CSR) sono invece i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l'applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell'Allegato 1 alla parte IV del Codice e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione.

Per valutare se un sito è potenzialmente contaminato si controlla, ai sensi della lettera d) del comma 1 dell’art. 240, il rispetto dei valori di CSC. Se le soglie CSC sono superate allora occorre effettuare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle CSR. Se quindi le CSR sono superate occorrerà procedere alla bonifica del sito al fine di riportarlo in una condizione che garantisca il rispetto delle CSC o dei valori di CSR (solitamente superiori a quelli di CSC) determinate a seguito dell'analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica.

Quanto al piano di caratterizzazione, in estrema sintesi si tratta di un documento progettuale che definisce le attività di indagine, le modalità di esecuzione delle stesse e le sostanze contaminanti da ricercare, in funzione delle conoscenze storiche di un sito e delle attività/impianti potenzialmente critici presenti. Esso deve essere elaborato secondo rigide procedure e rispondere a precisi requisiti indicati nell'allegato 2 al Titolo V della Parte Quarta del D.Lgs. 152/2006.

 

Fase 1) Avvio della procedura mediante istanza del soggetto interessato

Il comma 1 del nuovo articolo 242-bis del Codice prevede che l'operatore interessato ad effettuare, a sue spese, bonifiche del suolo, possa avviare la procedura mediante la presentazione di uno specifico progetto alle amministrazioni competenti (che sono quelle indicate negli articoli 242 e 252 del Codice, vale a dire, rispettivamente, Regioni ed enti locali oppure, nel caso di siti di interesse nazionale, il Ministero dell'ambiente).

Contenuti del progetto

Il comma 1 dell’art. 242-bis dispone che il progetto deve essere completo:

§  degli interventi programmati sulla base dei dati dello stato di contaminazione del sito;

§  del cronoprogramma di svolgimento dei lavori.

 

All'operatore privato è attribuita la responsabilità della veridicità e della completezza dei dati e delle informazioni forniti.

 

Fase 2) L’autorizzazione regionale

Il comma 2 dell’art. 242-bis prevede che la realizzazione e l'esercizio degli impianti e delle attività previste dal progetto di bonifica debbano essere oggetto di autorizzazione da parte della Regione nel cui territorio ricade la maggior parte degli impianti o delle attività stesse. A tal fine l'operatore deve presentare alla medesima regione gli elaborati tecnici esecutivi.

 

Al riguardo, andrebbe valutata l’opportunità di coordinare il comma 2 con il comma 1 dell’articolo 242-bis, atteso che, nel caso dei siti di interesse nazionale (SIN) l’operatore è tenuto a presentare il progetto al Ministero dell’ambiente e gli elaborati tecnici alla regione.

 

Ricevuti gli elaborati la regione deve:

a)      convocare, entro i successivi 30 giorni, un'apposita conferenza di servizi;

b)      adottare, entro i 90 giorni successivi alla convocazione, la determinazione conclusiva, che sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato.

 

Fase 3) Esecuzione della bonifica

Ricevuta la comunicazione dell'autorizzazione da parte della regione, l'operatore che intende procedere alla bonifica ha 30 giorni di tempo per comunicare la data di avvio dell'esecuzione dei lavori:

§  all'amministrazione competente (cioè quella titolare del procedimento di cui agli artt. 242 o 252 del Codice ambientale);

§  e all'ARPA territorialmente competente (la comunicazione all’ARPA, non prevista dal testo iniziale, è stata introdotta durante l’esame al Senato).

 

Per concludere l'esecuzione della bonifica l'operatore ha 18 mesi di tempo (solo 12 nel testo iniziale, così modificato dal Senato), prorogabili di non più di 6 mesi.

 

Al riguardo, andrebbe valutata l’opportunità di modulare il termine a seconda della diversa complessità che possono assumere le opere di bonifica, sulla scorta di quanto avviene nella procedura ordinaria.

 

Si ricorda in proposito che l’art. 242, comma 7, dispone, tra l’altro, che con il provvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione.

 

Decorso tale termine, salvo motivata sospensione, deve essere avviato il procedimento ordinario di bonifica, vale a dire quello disciplinato dagli articoli 242 o 252 del d.lgs. 152/2006.

 

Priorità per il riutilizzo in situ dei materiali trattati

Il comma 2-bis, inserito dal Senato nel testo del nuovo art. 242-bis, stabilisce che nella selezione della strategia di intervento dovranno essere privilegiate modalità tecniche che minimizzino il ricorso allo smaltimento in discarica, privilegiando in particolare (nel rispetto della gerarchia dei rifiuti dettata dalla parte quarta del d.lgs. 152/2006) il riutilizzo in situ dei materiali trattati.

Particolari prescrizioni per le acque di falda

Il comma 5 del nuovo art. 242-bis stabilisce che resta fermo l'obbligo di adottare le misure di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, se necessarie, secondo le procedure ordinarie di cui agli articoli 242 o 252.

Fase 4) Verifica dei risultati raggiunti sulla base del piano di campionamento di collaudo effettuato sulla base del piano di caratterizzazione

Il comma 3 del nuovo articolo 242-bis prevede che, una volta ultimati gli interventi di bonifica, l'interessato presenti alle amministrazioni competenti (quelle titolari del procedimento di cui agli artt. 242 o 252 del Codice) un piano di caratterizzazione, al fine di valutare il raggiungimento dei valori di CSC della matrice suolo per la specifica destinazione d'uso.

Entro i successivi 45 giorni l'autorità titolare del procedimento deve provvedere all’approvazione del piano di caratterizzazione.

In via sperimentale, per i procedimenti avviati fino al 31 dicembre 2017, è previsto il silenzio-assenso dell’amministrazione: decorso inutilmente il citato termine di quarantacinque giorni, il piano, infatti, si intenda approvato.

 

L'esecuzione del piano di caratterizzazione è effettuata in contraddittorio con l'ARPA (agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) territorialmente competente, che procede alla validazione dei dati sul conseguimento dell'obiettivo di riduzione della contaminazione e li comunica (entro 45 giorni) all'autorità competente per il procedimento.

Il piano di campionamento di collaudo finale e i relativi costi

Nel corso dell’esame al Senato il comma 4 del nuovo art. 242-bis è stato riscritto con la finalità principale di riferire la norma non ai risultati della caratterizzazione ma a quelli del piano di campionamento di collaudo finale, al fine di chiarire che i commi 3 e 4 fanno riferimento a due distinte fasi consequenziali: il comma 3 disciplina la presentazione e l’approvazione del piano di caratterizzazione, sulla base del quale viene effettuato il campionamento di collaudo finale, i cui risultati, ai sensi del comma 4, sono utilizzati per validare, in modo positivo o negativo, l’esito della bonifica.

Lo stesso comma 4 prevede che i costi dei controlli sul piano di campionamento finale e della relativa validazione sono a carico dell'operatore interessato.

Esito positivo (certificazione dell’avvenuta bonifica del suolo)

La validazione operata dall’ARPA del rispetto dei valori CSC nei suoli costituisce certificazione dell'avvenuta bonifica del suolo (comma 4 del nuovo art. 242-bis).

Il comma 6 del nuovo art. 242-bis stabilisce che, in tal caso, il sito può essere utilizzato secondo la destinazione d'uso prevista dagli strumenti urbanistici. Solo in presenza di acque di falda contaminate è necessario valutare i rischi sanitari eventuali e adottare una procedura ordinaria come previsto dagli articoli 242 e 252 del Codice dell'ambiente.

Esito negativo (integrazioni al progetto e passaggio alla procedura ordinaria)

Qualora venga riscontrato il mancato rispetto delle CSC nella matrice suolo, l’ARPA comunica le difformità:

§  all'operatore;

§  e all'autorità titolare del procedimento di bonifica (tale destinatario è stato inserito nel corso dell’esame al Senato).

 

Ricevuta la comunicazione, l’operatore dovrà presentare entro 45 giorni le necessarie integrazioni al progetto di bonifica, che sarà istruito con le procedure ordinarie previste agli articoli 242 o 252 (comma 4 del nuovo art. 242-bis).

 

Considerazione, nelle attività di bonifica, dei “valori di fondo” (comma 1, capoverso artt. 242-ter e 242-quater)

Il nuovo articolo 242-ter del d.lgs. 152/2006, introdotto nel corso dell’esame al Senato, stabilisce che non è necessaria la bonifica del sito (quindi non deve essere applicata nessuna delle procedure di bonifica previste dagli articoli 242, 242-bis e 252 del Codice) nel quale tutti i superamenti riscontrati nelle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione) sono determinati dai “valori di fondo”.

Tale norma rende esplicito quanto implicitamente poteva già desumersi dalla definizione di CSC dettata dall’art. 240, comma 1, lettera b), del Codice, se combinata con il disposto della lettera d) del medesimo articolo, che considera come “potenzialmente contaminato” un sito nel quale vi siano uno o più superamenti delle CSC.

Secondo la citata lettera b) le CSC sono i “livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5 alla parte quarta del presente decreto”.

La stessa lettera specifica che nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più CSC, allora le CSC vengono sostituite dai valori di fondo esistenti.

 

Il successivo art. 242-quater, anch’esso inserito nel corso dell’esame al Senato, attribuisce alle Agenzie regionali per la protezione dell'Ambiente (ARPA) il compito di predisporre il censimento e la mappatura dei valori di fondo esistenti nei suoli, sulla base degli esiti delle analisi di caratterizzazione dei suoli effettuate (in contraddittorio dalle varie Agenzie Provinciali per la protezione dell'Ambiente) nell'ambito dei procedimenti già conclusi e suddivisi per aree omogenee (comma 1 dell’art. 242-quater).

 

Qualora in sede di censimento si rilevino valori superiori alle CSC, tali valori si considerano pari ai “valori di fondo” e pertanto sostituiscono le CSC contemplate per la bonifica dei siti ad uso “verde pubblico, privato e residenziale”, vale a dire le CSC indicate nella colonna A della tabella 1 dell’Allegato V al Titolo V della Parte IV del Codice (comma 2 dell’art. 242-quater).

Tale sostituzione opera a condizione che i valori rilevati, che superano le CSC, siano inferiori alle CSR (concentrazioni soglia di rischio).

 

Il comma 3 dell’art. 242-quater impone alle ARPA e ai dipartimenti provinciali per la protezione dell'ambiente di effettuare l'aggiornamento del censimento e della mappatura dei valori di fondo a conclusione di ogni accertamento eseguito sul territorio.

 

Si osserva che allart. 242-quater andrebbero precisati i riferimenti ai soggetti incaricati delle attività di mappatura: insieme alle Agenzie regionali per la protezione dell'Ambiente (ARPA) vanno considerate anche le agenzie provinciali di Trento e Bolzano (APPA). Quando poi si stabilisce che le ARPA effettuano il censimento in contradditorio con le Agenzie provinciali, occorrerebbe più propriamente fare riferimento ai dipartimenti provinciali per la protezione dellambiente in cui sono articolate le ARPA.

Caratterizzazione e bonifica delle matrici materiali di riporto (commi 3-bis e 3-ter)

Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, contiene una serie di modifiche puntuali alla disciplina relativa alle matrici materiali di riporto introdotta dall’art. 3 del D.L. 2/2012.

L’analisi del testo a fronte riportato nel seguito evidenzia che:

§  le modifiche al comma 2 sono finalizzate a collocare la disciplina interamente all’interno della normativa sulle bonifiche. Per tale motivo viene eliminato il riferimento all’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del Codice, che invece riguarda le condizioni per l’esclusione dalla disciplina sui rifiuti. Il nuovo testo è quindi finalizzato ad imporre sempre:

-  l’esecuzione del test di cessione sulle matrici materiali di riporto, al fine di accertare eventuali contaminazioni;

-  nonché il rispetto della normativa in materia di bonifiche.

§  le modifiche al comma 3 sono finalizzate a delineare meglio la procedura da seguire nel caso in cui le matrici materiali di riporto non risultino conformi ai limiti del test di cessione. Viene quindi precisato che l’obbligo di rimozione/bonifica non scatta immediatamente (come prevede il testo attualmente vigente) ma solo nel caso in cui le “concentrazioni attese in falda” superino le “CSC nelle acque sotterranee” (in merito alle modalità di valutazione di tali “concentrazioni attese in falda” si veda il relativo paragrafo, riportato dopo il testo a fronte). Viene inoltre precisato che qualora si proceda alla bonifica dovranno essere attivate le procedure di bonifica previste dal Titolo V della parte IV del Codice. Alla fine del comma viene poi esplicitato quanto era solamente implicito nel testo vigente e cioè che la bonifica o la messa in sicurezza permanente devono perseguire l’obiettivo di tutelare anche le acque sotterranee e non solo la salute.

 

Art. 3, commi 2-3, D.L. 2/2012

Testo vigente

Nuovo testo risultante dalle modifiche

operate dal comma 3-bis in esame

2.  Fatti salvi gli accordi di programma per la bonifica sottoscritti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione che rispettano le norme in materia di bonifica vigenti al tempo della sottoscrizione, ai fini dell'applicazione dell'articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006,

le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

2.  Fatti salvi gli accordi di programma per la bonifica sottoscritti prima della data di entrata in vigore della presente disposizione che rispettano le norme in materia di bonifica vigenti al tempo della sottoscrizione,

 

 

le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per accertare eventuali rischi di contaminazione delle acque sotterranee e altresì

devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

3.  Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

3.  Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione potenziale e come tali, qualora le concentrazioni attese in falda, valutate mediante modelli di lisciviazione e dispersione in falda, superino i limiti della Tabella 2 dell'Allegato 5 al Titolo V, Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, devono essere rimosse o in alternativa, attivando le procedure di cui al Titolo V, Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,

devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute e per le acque sotterranee.

 

Modalità di valutazione delle “concentrazioni attese in falda”

La valutazione delle “concentrazioni attese in falda” deve avvenire mediante:

§  modelli di lisciviazione e dispersione in falda (nuovo comma 3 dell’art. 3 del D.L. 2/2012, v. testo a fronte);

§  procedure tecnico-operative fissate dall’ISPRA entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. Fino all'adozione delle predette procedure restano ferme, con gli opportuni adeguamenti, le procedure di valutazione relative ai terreni (comma 3-ter).

 

CSC per i composti organo-stannici (comma 3-quater)

Il comma 3-quater si limita a stabilire che le CSC indicate al punto 13 della tabella 1 dell'Allegato 5 al Titolo V della Parte IV del Codice fanno riferimento non più allo “Stagno", come prevede il testo vigente, ma ai "Composti organo-stannici".

Procedura da seguire per la bonifica della rete di distribuzione dei carburanti (comma 3-quinquies)

Il comma 3-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede che le procedure semplificate previste (dall’art. 252, comma 4, del Codice) per la bonifica della rete di distribuzione carburanti si applichino anche al di fuori dei siti inquinati di interesse nazionale (SIN).

L’art. 252, che disciplina le bonifiche nei SIN[70], al comma 4 ha demandato al Ministero dell'ambiente l’adozione di procedure semplificate per le operazioni di bonifica relative alla rete di distribuzione carburanti. Tali procedure semplificate non sono però state ancora adottate.

Si ricorda inoltre che, all’esterno del perimetro dei SIN, trova applicazione l’art. 249, che per la bonifica delle aree contaminate di ridotte dimensioni stabilisce l’applicazione delle procedure semplificate riportate nell'Allegato 4 alla parte IV del Codice. Tale allegato 4 esplicita chiaramente che le procedure in esso contemplate si applicano anche alla rete di distribuzione carburanti.

 

Ciò premesso, la norma in esame sembra quindi finalizzata a ricondurre tutte le bonifiche relative alla rete di distribuzione carburanti ad ununica procedura: quella già prevista, sebbene non ancora definita, per i SIN. Sembrerebbe opportuno, pertanto, un intervento di coordinamento con le norme dellallegato 4. Un tale intervento di coordinamento appare ancora più necessario analizzando il disposto dellart. 252, il cui comma 4 non indica le modalità e i termini di emanazione della nuova disciplina semplificata.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

L’accordo di partenariato relativo ai fondi strutturali e di investimento dell’UE per il periodo 2014-2020, trasmesso dal Governo alla Commissione europea il 22 aprile, contempla nell’ambito dell’Obiettivo tematico 6 “Tutelare l’ambiente e promuovere l’uso efficiente delle risorse” specifici stanziamenti per interventi di bonifica di aree inquinate.

In particolare, si prevede la destinazione di complessivi 293 milioni di euro del FESR per la “restituzione all’uso produttivo di aree inquinate”. Tali stanziamenti sosterrebbero, nel rigoroso rispetto del principio "chi inquina paga", interventi di recupero dei siti inquinati al fine di arginare i rischi per la salute pubblica e incentivarne il riutilizzo per finalità produttive, riducendo il consumo di suolo, e per la realizzazione di impianti per lo smaltimento dell'amianto.

Gli stanziamenti sarebbero così ripartiti:

§  233 milioni per le regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia);

§  18 milioni per le regioni in transizione;

§  42 per le regioni più sviluppate.

 

A tali stanziamenti dovrebbe aggiungersi una quota di cofinanziamento nazionale (statale e regionale) di ammontare non precisato nell’accordo ma, presumibilmente, corrispondente agli stanziamenti UE.

 

 


 

Articolo 13, commi 4 e 4-ter
(Procedure semplificate di recupero e utilizzo di rifiuti in “lista verde e di materie prime secondarie)

 

 

Il comma 4 dell’articolo 13 reca disposizioni volte ad assoggettare alle procedure semplificate di recupero dei rifiuti le attività di trattamento disciplinate dai regolamenti europei, che fissano le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste – EOW), e a definire il regime di autorizzazioni da applicare agli enti e alle imprese che effettuano operazioni di recupero di materia prima secondaria (MPS) da specifiche tipologie di rifiuti alle quali sono applicabili i predetti regolamenti. Tali disposizioni sono inserite attraverso due nuovi commi, 8-quater e 8-sexies, all’articolo 216 del d.lgs. 152/2006 (che reca in un unico testo norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente). Ulteriori disposizioni recate dal comma 4 attengono, per un verso, all’applicazione delle procedure semplificate anche al mero controllo dei rifiuti, per verificare se soddisfino i criteri dell’EOW (comma 8-sexies, all’articolo 216 del d.lgs. 152/2006) e, per l’altro, all’l’utilizzo dei rifiuti contemplati dall’”elenco verde” del Regolamento UE n. 1013/2006 negli impianti industriali in possesso di dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) (comma 8-septies, all’articolo 216 del d.lgs. 152/2006).

Il comma 4-ter consente l’utilizzo di materie prime secondarie per recuperi ambientali, rilevati, sottofondi e piazzali.

 

Procedure autorizzative semplificate per le attività di trattamento contemplate dai regolamenti dell’UE sull’end of waste (comma 4, capoverso 8-quater e capoverso 8-quinquies)

Il comma 4, riscritto durante l’esame al Senato, introduce norme finalizzate a sottoporre alle procedure semplificate (di cui agli artt. 214 e 216 del D.Lgs. 152/2006) le attività di trattamento disciplinate dai regolamenti che disciplinano la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) emanati dall’UE (nuovi commi 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies dell’art. 216 del D.Lgs. 152/2006).

Si fa notare che una disposizione analoga al capoverso 8-quater è contenuta nell’art. 12 dell’A.C. 2093 (c.d. collegato ambientale).

Condizioni per l’applicazione delle procedure semplificate

Il nuovo comma 8-quater prevede l’applicazione delle procedure semplificate a condizione che siano rispettati tutti i requisiti, i criteri e le prescrizioni soggettive e oggettive previsti dai c.d. regolamenti end of waste (EOW), con particolare riferimento:

a) alla qualità e alle caratteristiche dei rifiuti da trattare;

b) alle condizioni specifiche da rispettare nello svolgimento delle attività;

c) alle prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano trattati senza pericolo per l'uomo e senza usare procedimenti/metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente con specifico riferimento agli obblighi minimi di monitoraggio;

d) alla destinazione dei rifiuti che cessano di essere considerati rifiuti agli utilizzi individuati.

 

Nel testo iniziale del decreto-legge viene altresì stabilito che restano ferme le quantità massime stabilite dai decreti del Ministro dell'ambiente del 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269. Tale previsione è stata soppressa nell’ambito della riscrittura del comma 4 operata dal Senato. Questa è l’unica modifica sostanziale al comma 8-quater, poiché le altre modifiche sono unicamente finalizzate a correggere le imprecisioni presenti nel testo.

Con riferimento ai citati decreti ministeriali, si ricorda che con essi sono stati individuati i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero (D.M. Ambiente 5 febbraio 1998); i rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate (D.M. 12 giugno 2002, n. 161); nonché i rifiuti pericolosi provenienti dalle navi che è possibile ammettere alle procedure semplificate (D.M. 17 novembre 2005, n. 269).

Con tali decreti, emanati prima dell’adozione del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006), sono stati individuati i tipi e le quantità di rifiuti che potevano essere ammessi alle procedure di trattamento semplificate.

L’efficacia di tali decreti, nonché di altre disposizioni, viene fatta salva dal comma 3 dell’art. 184-ter del Codice ambientale, nelle more dell’emanazione dei nuovi decreti nazionali sull’end of waste, che dovranno essere emanati ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

 

L’attuale regolamentazione dell’end of waste (EOW)

L’art. 6 della direttiva 2008/98/CE disciplina le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (in inglese end of waste, indicato sovente con l’acronimo EOW). Tale articolo trova il suo omologo nella disciplina nazionale all’art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006.

Il paragrafo 1 dell’art. 6 dispone che taluni rifiuti specifici cessano di essere tali quando siano sottoposti a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

Lo stesso paragrafo prevede che i criteri includano, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengano conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.

Il paragrafo 2 dell’art. 6 prevede l’adozione di regolamenti finalizzati all'adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e a specificare il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri. Lo stesso paragrafo dispone che criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri, almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, i pneumatici e i rifiuti tessili.

Per quanto riguarda lo stato della regolamentazione adottata a livello europeo si segnala che, ad oggi, i regolamenti EOW emanati risultano i seguenti:

§  regolamento 333/2011/UE sui rottami ferrosi (G.U. dell’UE dell'8 aprile 2011), entrato in vigore il 28 aprile 2011 ed applicabile a decorrere dal 9 ottobre 2011;

§  regolamento 1179/2012/UE sui rottami vetrosi (G.U. dell’UE dell'11 dicembre 2012), entrato in vigore il 31 dicembre 2012 ed applicabile a decorrere dall'11 giugno 2013;

§  regolamento 715/2013/UE sui rottami di rame (G.U. dell’UE del 26 luglio 2013), entrato in vigore il 15 agosto 2013 ed applicabile dal 1° gennaio 2014.

 

Si segnala altresì che il paragrafo 4 del medesimo articolo prevede che, se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario, in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possano decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. In tali casi è previsto l’obbligo di notifica alla Commissione. Tale disposizione è stata recepita dall’art. 184-ter, comma 2, in base al quale in mancanza di criteri comunitari, provvede con propri decreti il Ministro dell’ambiente, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto.

In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il D.M. Ambiente 14 febbraio 2013, n. 22 (“Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni”), pubblicato nella G.U. 14 marzo 2013, n. 62.

 

Si osserva che la norma fa riferimento ai soli regolamenti dell’UE adottati a norma del paragrafo 2 dell’art. 6 della direttiva 2008/98, ma andrebbe valutato se considerare anche le norme nazionali adottate ai sensi del successivo paragrafo 4, in linea con quanto disposto dall’art. 184-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

Applicazione delle procedure semplificate anche al mero controllo dei rifiuti (capoverso 8-quinquies)

Il nuovo comma 8-quinquies dell’art. 216 del Codice, introdotto durante l’esame al Senato, stabilisce che:

§  l'operazione di recupero può consistere nel mero controllo sui materiali di rifiuto per verificare se soddisfino i criteri dell’EOW;

Con riferimento a tale disposizione si fa notare che essa è analoga a quella dettata dal comma 2 dell’art. 184-ter del Codice (che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto). Tale comma dispone infatti che “l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti” per verificare se soddisfano i criteri dell’EOW.

§  anche tale particolare operazione di recupero è sottoposta alle procedure semplificate disciplinate dagli artt. 214 e 216 del Codice, qualora ricorrano le medesime condizioni contemplate dal precedente comma 8-quater.

 

Adeguamento delle attività di recupero di materie prime secondarie rientranti nel campo di applicazione dei regolamenti EOW (capoverso 8-sexies)

Soggetti obbligati

Il nuovo comma 8-sexies dell’art. 216 del Codice, introdotto durante l’esame al Senato, impone l’adeguamento delle attività di recupero di materie prime secondarie (MPS) attualmente esercitate ai sensi delle seguenti norme:

§  D.M. Ambiente 5 febbraio 1998 (individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero);

§  D.M. 12 giugno 2002, n. 161 (individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate);

§  D.M. 17 novembre 2005, n. 269 (individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate);

§  Art. 9-bis del D.L. 172/2008, che in via transitoria, ha fatto salve le semplificazioni previste dagli accordi e dai contratti di programma in materia di rifiuti stipulati tra le amministrazioni pubbliche e i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria.

 

L’efficacia dei citati decreti – con i quali sono stati individuati i tipi e le quantità di rifiuti che potevano essere ammessi alle procedure di trattamento semplificate – viene fatta salva dal comma 3 dell’art. 184-ter del Codice ambientale, nelle more dell’emanazione dei nuovi decreti nazionali sull’end of waste, che devono essere emanati ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

 

L’obbligo di adeguamento riguarda gli enti e le imprese che recuperano MPS derivanti da rifiuti rientranti nell’ambito di applicazione dei regolamenti EOW.

 

Si segnala che una disposizione analoga al capoverso 8-sexies è contenuta nell’art. 12 dell’A.C. 2093 (c.d. collegato ambientale).

 

Normativa cui adeguarsi

Gli enti e le imprese che svolgono le citate attività devono, entro 6 mesi dall’entrata in vigore dei regolamenti EOW:

§  adeguarle alle norme dei regolamenti end of waste e alle procedure autorizzatorie semplificate di cui al comma 8-quater;

§  oppure dotarsi dell’autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, disciplinata dall’art. 208 del Codice.

 

Relativamente al termine di sei mesi dall’entrata in vigore dei regolamenti “end of waste”, fissato nella norma, si segnala che i regolamenti adottati e precedentemente indicati sono già entrati in vigore e che, pertanto, andrebbe valutata l’opportunità di una modifica del predetto termine per l’adeguamento delle attività.

 

Disposizioni transitorie

Fino alla scadenza del succitato termine è autorizzata la continuazione dell’attività nel rispetto delle normative che ne hanno finora regolato l’esercizio (i decreti ministeriali succitati 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, 17 novembre 2005, e l’art. 9-bis del D.L. 172/2008).

Viene altresì stabilito che restano in ogni caso ferme le quantità massime stabilite dalle norme testé citate.

Si ricorda ancora una volta che l’efficacia dei citati decreti ministeriali viene fatta salva dal comma 3 dell’art. 184-ter del Codice ambientale, nelle more dell’emanazione dei nuovi decreti nazionali sull’end of waste, che dovranno essere emanati ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

Si rammenta altresì che le quantità massime di rifiuti impiegabili rappresentano una condizione da rispettare, ai sensi dell’art. 216, per l’esercizio in forma semplificata delle operazioni di recupero.

 

Utilizzo negli impianti industriali dotati di AIA dei rifiuti in “lista verde” (comma 4, capoverso 8-septies)

Il nuovo comma 8-septies dell’art. 216 del Codice, introdotto durante l’esame al Senato, consente l’utilizzo dei rifiuti contemplati dall’”elenco verde” del Regolamento UE n. 1013/2006 negli impianti industriali in possesso di dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA).

La stessa norma sottolinea che la finalità è quella di perseguire un uso più efficiente delle risorse e di un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione.

Il Regolamento (CE) n. 1013/2006 prevede, per il controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti destinati a recupero o smaltimento, differenti procedure a seconda della pericolosità dei rifiuti. Il regolamento suddivide i rifiuti in due differenti liste: la “lista verde” (contenuta nell’allegato III al Regolamento), che elenca i rifiuti meno pericolosi, e la “lista ambra” (allegato IV).

Condizioni per l’utilizzo

Per poter utilizzare tali rifiuti occorre:

§  rispettare il relativo documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques Reference Document - BREF[71]);

§  comunicarlo, 45 giorni prima dell'avvio dell'attività, all'autorità ambientale competente.

Unici adempimenti in materia di rifiuti che rimangono da osservare

Se le condizioni sono soddisfatte allora la norma prevede che i rifiuti saranno assoggettati al rispetto delle norme riguardanti esclusivamente il trasporto dei rifiuti e il formulario di identificazione.

 

Utilizzo di materie prime secondarie per recuperi ambientali, rilevati, sottofondi e piazzali (comma 4-ter)

Il comma 4-ter, inserito durante l’esame al Senato, consente - nell’effettuazione di opere che riguardano recuperi ambientali, rilevati e sottofondi (stradali, ferroviari e aeroportuali), nonché piazzali - l’utilizzo delle materie prime secondarie (MPS):

§  indicate al punto 7.1.4 dell’allegato l, suballegato 1, del D.M. Ambiente 5 febbraio 1998 (MPS per l’edilizia);

§  prodotte esclusivamente dai rifiuti oppure acquisite/da acquisire da impianti autorizzati con le procedure semplificate disciplinate dagli artt. 214 e 216 del Codice.

 

Si ricorda che il citato punto 7.1.4 definisce le caratteristiche delle MPS stabilendo che debbano essere “MPS per l'edilizia” con caratteristiche conformi all'allegato C della Circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio 15 luglio 2005, n. UL/2005/5205 (pubblicata nella G.U. n. 171/2005), recante indicazioni per l'operatività nel settore edile, stradale e ambientale, della normativa relativa agli acquisti verdi della P.A.

L’allegato C disciplina la composizione dei materiali e prevede, quale criterio di eco compatibilità degli stessi, il rispetto del test di cessione previsto dal D.M. 5 febbraio 1998.

 

Tale norma opera, per espressa previsione, in attesa dell’emanazione dei decreti nazionali sull’EOW (prevista dall’art. 184-ter, comma 2, del Codice).

Viene altresì precisato che resta fermo il disposto dell’art. 5, comma 1, lettera c), del D.L. 43/2013.

Tale lettera c) ha dettato, limitatamente alle opere in corso di realizzazione e da realizzare da parte di Expo 2015 S.p.A., una disciplina analoga a quella che qui viene ad avere valenza generale.

 


 

Art. 13, comma 4-bis
(Modifiche alla disciplina dei sistemi collettivi per la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)

 

 

Il comma 4-bis dell’articolo 13, introdotto durante l’esame al Senato, modifica in più punti l’articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, che disciplina i sistemi collettivi per la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Le modifiche sono volte a: assicurare la libertà dell’adesione al consorzio; disciplinare la forma dei contratti stipulati e lo statuto-tipo; garantire la capacità finanziaria minima e la regolarità fiscale e contributiva dei sistemi collettivi; prevedere obblighi di rappresentanza di quote di mercato.

 

Il d.lgs. 49/2014 ha recentemente recepito la direttiva 2012/19/UE innovando la disciplina in materia di RAEE.

Gli articolo 9 e 10 del citato D.Lgs 49/2014 stabiliscono che i produttori delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) possono adempiere i propri obblighi o individualmente o aderendo a un sistema collettivo organizzato come Consorzio senza fine di lucro vigilato dal Ministero dell’ambiente. Ogni sistema collettivo deve garantire il ritiro dei RAEE dai centri comunali di raccolta su tutto il territorio nazionale secondo le indicazioni del Centro di coordinamento.

 

Nello specifico, la lettera a) modifica il comma 1 del citato articolo 10 del d.lgs. 49/2014, specificando che l’adesione ai sistemi collettivi è libera e parimenti non può essere ostacolata la fuoriuscita dei produttori da un consorzio per l’adesione ad un altro, nel rispetto del principio di libera concorrenza.

 

La lettera b) modifica il comma 4 del citato articolo 10 del d.lgs. 49/2014, stabilendo, per i contratti stipulati dai sistemi collettivi inerenti la gestione dei RAEE, la forma scritta a pena di nullità.

 

La lettera c) inserisce il comma 4-bis nel citato articolo 10 del d.lgs. 49/2014, che stabilisce per ciascun sistema collettivo l’obbligo di dimostrare di possedere una capacità finanziaria minima proporzionata alla quantità di RAEE da gestire, al Comitato di Vigilanza e controllo, prima dell’inizio dell’attività o entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione in caso di sistemi collettivi esistenti.

 

La lettera d) inserisce il comma 5-bis nel citato articolo 10 del d.lgs. 49/2014 al fine di disciplinare la forma dello statuto-tipo, che deve assicurare che i sistemi collettivi siano dotati di adeguati organi di controllo, quali il collegio sindacale, l’organismo di vigilanza ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ed una società di revisione indipendente, al fine di verificare periodicamente la regolarità contabile e fiscale.

La lettera e) integra il comma 9 del citato articolo 10 del d.lgs. 49/2014 specificando che annualmente ciascun sistema collettivo inoltra al Comitato di vigilanza e controllo un’autocertificazione attestante la regolarità fiscale e contributiva, la cui trasparenza e pubblicità sono assicurati dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Comitato di Vigilanza e controllo.

 

La lettera f) inserisce i seguenti commi 10-bis e 10-ter nell’articolo 10 del d.lgs. 49/2014 con riguardo alle condizioni di rappresentanza nel mercato.

In particolare, il comma 10-bis prevede l’obbligo per ciascun sistema collettivo di rappresentare una quota di mercato di AEE (apparecchiature elettriche ed elettroniche), immessa complessivamente sul mercato nell’anno solare precedente dai produttori che lo costituiscono, almeno superiore al tre per cento, in almeno un raggruppamento;

Il comma 10-ter prevede l’adeguamento al suddetto obbligo da parte dei sistemi collettivi esistenti alla data dell’entrata in vigore della presente  disposizione, entro il 31 dicembre dell’anno solare successivo a quello dell’approvazione dello statuto-tipo.

Il comma 10-ter prevede altresì una clausola di salvaguardia nel caso in cui un sistema collettivo non raggiunga, per la prima volta dopo la costituzione dello stesso, la quota di mercato di cui al comma precedente. In tal caso, il sistema collettivo ha l’obbligo di comunicazione al Comitato di vigilanza e controllo e ha la facoltà di proseguire le attività di gestione dei RAEE fino al 31 dicembre dell’anno solare successivo.

Fermo restando l’obbligo di comunicazione di cui al precedente periodo, i successivi casi di mancato raggiungimento della suddetta quota di mercato sono valutati dal Comitato di vigilanza e controllo in conformità all’articolo 35, che - tra i compiti affidati al Comitato di vigilanza e controllo - prevede nel merito: la raccolta dei dati relativi ai prodotti immessi sul mercato e alle garanzie finanziarie dei produttori; il calcolo delle rispettive quote di mercato dei produttori e le ispezioni nei confronti dei produttori che non effettuano le suddette comunicazioni.


 

Articolo 13, commi 5, lett. a) - b), e 6
(Gestione dei rifiuti militari e bonifica delle aree demaniali destinate ad uso esclusivo delle forze armate)

 

Il comma 5 modifica la disciplina relativa alla gestione dei rifiuti e alle bonifiche dei siti inquinati da materiali derivanti da sistemi d'arma, mezzi, materiali e infrastrutture destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale (comma 5, lettera a e comma 6). Viene, altresì, introdotta una disciplina di dettaglio in materia di bonifica e messa in sicurezza delle aree militari (comma 5, lettera b).

Rifiuti e bonifiche riguardanti i settori della difesa e della sicurezza nazionale (comma 5, lettera a) e comma 6)

Il comma 5, lettera a), riscrive la disciplina di rango primario relativa alla gestione dei rifiuti e alle bonifiche dei siti inquinati da materiali derivanti da sistemi d'arma, mezzi, materiali e infrastrutture destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale, prevedendo l’emanazione di una nuova disciplina regolamentare sostitutiva di quella attualmente vigente (nuovo comma 5-bis dell’art. 184 del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente).

La disciplina regolamentare attualmente vigente è quella emanata in attuazione del previgente comma 5-bis dell’art. 184 del Codice. Si tratta del D.M. 6 marzo 2008, con cui si è provveduto all’individuazione dei sistemi d'arma, dei mezzi, dei materiali e delle infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale, nonché del D.M. 22 ottobre 2009, con cui sono state dettate le procedure per la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti e delle infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare e alla sicurezza nazionale.

 

Il nuovo comma 5-bis si differenzia dal testo previgente soprattutto per una elencazione più dettagliata del campo di applicazione della disciplina regolamentare. Viene infatti chiarito che nel campo di applicazione rientrano il trattamento e lo smaltimento delle acque reflue navali e oleose di sentina delle navi militari da guerra, delle navi militari ausiliarie e del naviglio dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza e del Corpo delle Capitanerie di porto - Guardia costiera iscritti nel quadro e nei ruoli speciali del naviglio militare dello Stato.

Un’ulteriore modifica riguarda l’ampliamento dei soggetti coinvolti nella procedura di adozione delle nuove norme regolamentari, attraverso la previsione anche del concerto dei Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze.

Scompare invece, rispetto al testo previgente, dalle competenze attribuite alle norme regolamentari, la determinazione dei criteri di individuazione delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) applicabili ai “siti appartenenti al Demanio Militare e alle aree in esclusivo alle Forze Armate, tenuto conto delle attività effettivamente condotte nei siti stessi o nelle diverse porzioni di essi”. Tale ultima modifica è giustificata dall’introduzione di una specifica disciplina per la bonifica delle aree militari introdotta dalla lettera b) del comma 5 dell'articolo in esame.

Norme transitorie per trattamento e smaltimento delle acque reflue e oleose di sentina delle navi militari

Nelle more dell'adozione della nuova disciplina regolamentare prevista dalla lettera a) dell'articolo in esame, il comma 6 stabilisce l’applicazione delle norme del citato D.M. 22 ottobre 2009 anche al trattamento delle acque reflue navali e oleose di sentina delle navi militari (il comma fa riferimento alle stesse navi elencate dalla lettera a) del comma 5).

 

Relativamente alla gestione delle acque reflue navali e oleose di sentina delle navi militari si ricorda che l’art. 3, comma 1, del D.M. 22 ottobre 2009 disciplina la gestione dei rifiuti delle navi militari prevedendo che “alle navi militari da guerra, alle navi militari ausiliarie e al naviglio dell'Arma dei carabinieri iscritti nel quadro e nei ruoli speciali del naviglio militare dello Stato” si applichino le norme di cui all'art. 2 del medesimo decreto (che definiscono le speciali procedure gestionali dei rifiuti) “tenendo, altresì, conto delle disposizioni del decreto del Ministro della difesa adottato in data 19 marzo 2008 … e delle disposizioni di cui ai commi seguenti”.

Il citato D.M. 19 marzo 2008, lo si ricorda, disciplina le misure necessarie per il conferimento da parte delle navi militari da guerra e ausiliarie dei rifiuti e dei residui del carico negli appositi impianti portuali, ai sensi del D.Lgs. 182/2003, che rappresenta la normativa di carattere generale relativa alla gestione dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico, che per espressa previsione non si applica alle navi militari.

L’art. 3, comma 2, di tale D.M. prevede, altresì, l’emanazione di istruzioni tecniche per il naviglio di appartenenza dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e delle Capitanerie di porto.

Riguardo alla qualificazione delle acque reflue navali e oleose di sentina quali rifiuti vale la pena ricordare le definizioni dettate dall’art. 2 del D.Lgs. 182/2003 secondo cui sono considerati rifiuti:

§  i rifiuti prodotti a bordo di una nave, comprese le acque reflue e i residui diversi dai residui del carico, ivi comprese le acque di sentina;

§  i residui del carico, intesi come i resti di qualsiasi materiale che costituisce il carico contenuto a bordo della nave nella stiva o in cisterne e che permane al termine delle operazioni di scarico o di pulizia, ivi comprese le acque di lavaggio (slop) e le acque di zavorra, qualora venute a contatto con il carico o suoi residui; tali resti comprendono eccedenze di carico-scarico e fuoriuscite.

 

Bonifica e messa in sicurezza delle aree militari (comma 5, lettera b))

Il comma 5, lettera b) dell'articolo in esame introduce una disciplina di dettaglio in materia di bonifica e messa in sicurezza delle aree militari (nuovo articolo 241-bis del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente).

I parametri di riferimento per la bonifica delle aree militari

Il comma 1 del nuovo art. 241-bis stabilisce che per l'individuazione delle misure di prevenzione, di messa in sicurezza e per le bonifiche (nonché dell'istruttoria dei relativi progetti), da realizzare nelle aree del demanio destinate ad uso esclusivo delle forze armate per attività connesse alla difesa nazionale, si applicano le CSC (concentrazioni di soglia di contaminazione) che il Codice dell'ambiente prevede (alla colonna b) della tabella 1 dell’allegato 5 al Titolo V della parte Quarta) per i siti ad uso commerciale e industriale.

Il successivo comma 2 stabilisce poi che gli obiettivi di intervento nelle medesime aree devono individuarsi mediante l’analisi di rischio sito specifica, che dovrà tenere conto dell'effettivo utilizzo e delle caratteristiche ambientali anche delle aree limitrofe.

In merito alla terminologia si rinvia a quanto riportato nel commento ai commi 1-3 dell'articolo in esame.

 

Il comma 3 del nuovo articolo 241-bis stabilisce che, in caso di declassificazione del sito da uso militare a destinazione residenziale, dovranno essere applicati i valori di CSC previsti (dalla tabella 1, colonna a), dell'Allegato 5 succitato) per i “siti ad uso verde pubblico e privato e residenziale”.

 

Il comma 4 del nuovo articolo 241-bis dispone che le CSC delle sostanze specifiche delle attività militari non incluse nella Tabella 1 dell'Allegato 5, sono definite dall'Istituto Superiore di Sanità sulla base delle informazioni tecniche fornite dal Ministero della difesa.

Utilizzo di organismi strumentali e modalità attuative

Il comma 5 del nuovo articolo 241-bis consente al Ministero della Difesa di avvalersi, con apposite convenzioni, di organismi strumentali dell'Amministrazione centrale che operano nel settore (delle bonifiche) per svolgere le attività di progettazione e realizzazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza all’interno delle aree militari.

Il medesimo comma prevede che lo stesso Ministero definisca con propria determinazione le modalità di attuazione relative alla progettazione e realizzazione degli interventi di bonifica.

Si ricorda, in proposito, che le procedure di bonifica delle aree in questione sono attualmente definite dall'articolo 6 del D.M. 22 ottobre 2009, che indica quali condotte i comandanti militari devono seguire per l'espletamento delle attività di prevenzione, messa in sicurezza e bonifica.

 


 

Art. 13, comma 5, lettera b-bis)
(Classificazione dei rifiuti)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stata introdotta al comma 5 dell’articolo 13, la lettera b-bis), che elenca i principi di classificazione dei rifiuti e le modalità per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso.

La norma modifica l’Allegato D, alla Parte Quarta, del D.Lgs 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente) recante l’elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 ed inserisce in premessa la Classificazione dei rifiuti.

 

Il nuovo catalogo dei rifiuti, introdotto con la Decisione della Commissione n. 2000/532/CE, modificata ed integrata dalle successive Decisioni della Commissione n. 2001/118/CE e 2001/119/CE e dalla Decisione del Consiglio n. 2001/573/CE, contiene i codici CER dei rifiuti, pericolosi e non pericolosi, urbani.

Questo catalogo prevede un’articolazione in sezioni e in sottosezioni, suddivise in categorie di rifiuti associate ad un codice CER (assoluto o speculare, di cui il caso speculare presenta due categorie CER: uno pericoloso ed uno non pericoloso).

I codici CER sono caratterizzati, per le sezioni, da codici a due cifre, per le sottosezioni, da codici a quattro cifre e, per le categorie, da codici a sei cifre.

L’elenco è rivisto periodicamente, sulla base delle nuove conoscenze ed in particolare di quelle prodotte dall'attività di ricerca, e se necessario modificato in conformità dell'articolo 39 della direttiva 2008/98/CE.

 

La classificazione dei rifiuti prevede l’applicazione dei seguenti principi per distinguere i rifiuti pericolosi da quelli non pericolosi.

 

I principi generali per la classificazione dei rifiuti

 

In primo luogo, si specifica che la classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella Decisione 2000/532/CE.

Il rifiuto classificato con codice CER pericoloso “assoluto” è pericoloso senza alcuna ulteriore specificazione; tuttavia, le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15 (caratteristiche di pericolo per i rifiuti: si va da H1 “Esplosivo” a , H 15 Rifiuti suscettibili, dopo eliminazione, di dare origine in qualche modo ad un'altra sostanza) possedute dal rifiuto, devono essere determinate, al fine di procedere alla sua gestione.

 

Il rifiuto classificato con codice CER non pericoloso “assoluto”, è non pericoloso, senza ulteriore specificazione.

 

 

Il rifiuto “ambiguo” con codici CER speculari

 

Il rifiuto classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, al fine di stabilire la sua pericolosità o meno, richiede la determinazione delle proprietà di pericolo possedute, attraverso lo svolgimento delle seguenti indagini:

a)    individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l'analisi del rifiuto;

b)    determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso: la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; le fonti informative europee ed internazionali; la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;

c)    stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante: comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le fasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.

 

I principi di precauzione

 

Una specifica regola, in applicazione del principio di precauzione, è quella in base alla quale è necessario fare riferimento ai composti peggiori nel caso in cui, a seguito delle rilevazioni delle analisi chimiche, non siano noti i composti specifici del rifiuto.

Nel caso in cui le sostanze presenti in un rifiuto non siano note o non siano determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possano essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.

Da ultimo, si precisa che la classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione.

 


 

Articolo 13, comma 7
(Deroga ai limiti di emissione degli scarichi in acque superficiali e in fognatura per particolari impianti)

 

 

Il comma 7 stabilisce che i limiti di emissione relativi al parametro n. 6 «solidi sospesi totali» fissati (dalla tabella 3 dell’allegato 5 alla parte del D.Lgs. 152/2006) per lo scarico di acque reflue industriali in acque superficiali e in fognatura, non valgono per gli scarichi in mare delle installazioni assoggettate ad AIA (autorizzazione integrata ambientale).

Si ricorda che le installazioni assoggettate ad AIA sono indicate nell’allegato VIII alla parte seconda del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006). Si tratta, in estrema sintesi, degli impianti industriali di maggiori dimensioni (impianti di combustione con potenza termica di almeno 50 MW; raffinerie; cokerie; impianti di produzione e lavorazione dei metalli di dimensione significativa; industrie dei prodotti minerali di dimensione significativa; impianti chimici; impianti per la gestione di rifiuti di dimensione significativa; altri impianti di potenziale significativo impatto, tra cui cartiere, concerie, macelli, allevamenti intensivi). Dai dati trasmessi dal Ministero dell'ambiente[72] risulta che il numero degli impianti assoggettati ad AIA è di poco inferiore alle 6.000 unità.

Condizioni per l’applicazione della deroga

La deroga si applica agli impianti per i quali le “conclusioni sulle BAT” prevedono livelli di prestazione non compatibili con i valori limite previsti dal Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).

In tali casi viene previsto che le AIA rilasciate possano prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione, comunque in conformità ai documenti europei sulle BAT.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 152/2006, con il termine BAT (best available techniques, vale a dire “migliori tecniche disponibili”) si indica “la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l'idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione e delle altre condizioni di autorizzazione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l'impatto sull'ambiente nel suo complesso” (lettera l-ter) del comma 1 dell’art. 5).

Con l’espressione “conclusioni sulle BAT” si fa invece riferimento ad un documento adottato dall’UE e contenente le “conclusioni sulle migliori tecniche disponibili, la loro descrizione, le informazioni per valutarne l'applicabilità, i livelli di emissione associati alle migliori tecniche disponibili, il monitoraggio associato, i livelli di consumo associati e, se del caso, le pertinenti misure di bonifica del sito” (lettera l-ter.2) del comma 1 dell’art. 5).

 

 

Si osserva che la norma indica i documenti di riferimento sulle BAT (BREF), ma poi fa riferimento alla lettera l-ter.2) che invece si riferisce alle BATC.


 

Articolo 13, comma 8
(Qualificazione per l’esecuzione di opere di smantellamento e messa in sicurezza di impianti nucleari)

 

 

Il comma 8, considerato il carattere di specificità delle lavorazioni che richiedono il trattamento di materiali e rifiuti radioattivi, prevede l’emanazione di un decreto interministeriale che provveda all’individuazione:

§  di un’apposita categoria di lavorazioni specificatamente riferita alla realizzazione di opere di smantellamento e messa in sicurezza di impianti nucleari;

§  nonché delle modalità atte a comprovare il possesso dei requisiti di ordine speciale necessari per la qualificazione nella categoria citata.

Termini e modalità di emanazione del decreto interministeriale

Il decreto previsto dal comma 8 dovrà essere emanato:

§  entro 30 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge;

§  dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico e della salute.

 

L’emanazione di tale decreto viene prevista nelle more dell'adozione delle disposizioni regolamentari previste dall'art. 12, comma 5, del D.L. 28 marzo 2014, n. 47. Il termine per l’adozione di tali norme regolamentari scade il 28 maggio 2015.

Con riferimento alle norme dettate dal citato art. 12 si ricorda che i commi da 1 a 7 di tale articolo contengono disposizioni in materia di qualificazione delle imprese che hanno affidato lavorazioni in subappalto, al fine di colmare il vuoto normativo conseguente all’annullamento di alcune norme del D.P.R. 207/2010 (regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici) da parte del D.P.R. 30 ottobre 2013. Le disposizioni, in sintesi, provvedono a ridurre il numero delle categorie cosiddette “superspecialistiche” (comma 1) e delle categorie a qualificazione obbligatoria (comma 2), riproducendo di fatto nella sostanza le norme del decreto ministeriale 24 aprile 2014, che hanno individuato le categorie di lavorazioni che richiedono l’esecuzione da parte di operatori economici in possesso di specifica qualificazione e che pertanto vengono "legificate". Ulteriori norme recate dall’articolo 12 attengono all’applicabilità delle nuove disposizioni, all’abrogazione di alcune norme del Regolamento su cui incidono le disposizioni medesime, alla salvaguardia dei rapporti giuridici, dei bandi e degli avvisi pubblicati nei mesi passati.

In particolare il comma 5 prevede l’emanazione entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione (quindi entro il 28 maggio 2015) di disposizioni regolamentari sostitutive di quelle annullate dal citato D.P.R. 30 ottobre 2013. Lo stesso comma stabilisce che alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni regolamentari cesseranno di avere efficacia le disposizioni dettate dai precedenti commi dell’art. 12.


 

Articolo 13, comma 9
(Finanziamento delle bonifiche dei beni contenenti amianto)

 

 

Il comma 9 specifica che la dotazione aggiuntiva destinata dalla legge di stabilità 2014 (L. 147/2013) al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il finanziamento di interventi di messa in sicurezza del territorio e della bonifica di siti inquinati riguarda anche la bonifica dei beni contenenti amianto.

Tale dotazione aggiuntiva, determinata dall'art. 1 comma 6 della citata legge di stabilità in 54,8 miliardi di euro, risulta iscritta nel bilancio statale secondo la seguente articolazione annuale: 50 milioni per l'anno 2014; 500 milioni per l'anno 2015, 1.000 milioni per l'anno 2016; per gli anni successivi la quota annuale è demandata alla legge di stabilità.

Riduzioni della citata dotazione sono state operate dall’art. 22-bis, comma 4, del D.L. 66/2014 e dagli artt. 18, comma 9, e 19, comma 3, lett. a), del presente decreto-legge.


 

Articolo 14, comma 1
(Ordinanze contingibili e urgenti adottabili nella regione Lazio)

 

 

Il comma 1, sostituito nel corso dell’esame al Senato, introduce una speciale disciplina per l’adozione, nella Regione Lazio, di ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti, derogatoria della disciplina generale contenuta nell’art. 191 del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente).

Nel testo iniziale del decreto-legge la citata disciplina assume invece valenza generale. Il comma 1 del testo iniziale è infatti strutturato in modo da apportare le modifiche all’interno del citato articolo 191, al fine di delineare una nuova disciplina di adozione delle ordinanze valida su tutto il territorio nazionale.

 

Rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 191, che consente l’adozione (da parte del Presidente della Regione o della Provincia o del Sindaco) di ordinanze contingibili e urgenti in materia di gestione dei rifiuti, il comma in esame consente, al Presidente della Giunta regionale del Lazio o al sindaco di uno dei comuni della Regione medesima di emanare ordinanze contingibili ed urgenti:

§  in tutti i casi di eccezionale ed urgente gravità, nonché di grave e concreto pericolo per la tutela della salute pubblica e dell'ambiente;

Si fa notare che il testo del comma 1 dell’art. 191, vigente prima dell’entrata in vigore del D.L. 91/2014 richiede, quale presupposto per l’emanazione, che vi siano situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, mentre non contempla le situazioni di pericolo ancora allo stato potenziale.

§  per consentire il ricorso a forme, anche speciali, di gestione dei rifiuti, compresa la requisizione in uso degli impianti (da intendersi impianti per la gestione dei rifiuti) e l'avvalimento temporaneo del personale che vi è addetto senza costituzione di rapporti di lavoro con l'ente pubblico e senza nuovi o maggiori oneri a carico di quest'ultimo.

Si fa notare che il testo previgente dell’art. 191, comma 1, stabilisce che le ordinanze possono consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti. Ciò evidenzia come il testo in esame consenta quindi di intervenire in maniera più ampia e non solamente in particolari forme di gestione da concepire al di fuori dell'ordinario ciclo dei rifiuti.

Quanto alla requisizione, essa è disciplinata fondamentalmente dall'articolo 835 del codice civile ove si prevede che, quando ricorrono gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili, possa essere disposta la requisizione dei beni mobili o immobili, attribuendo al proprietario una giusta indennità. Lo stesso articolo stabilisce che le norme relative alle requisizioni sono determinate da leggi speciali.

In generale, si ricorda che si distingue tra requisizione in proprietà, che riguarda i beni mobili ed ha effetti definitivi, e requisizione in uso, che può interessare anche i beni immobili ed ha effetti limitati al tempo necessario per l'utilizzo del bene.

 

 

Il comma in esame chiarisce che le ordinanze sono adottate, nei limiti delle rispettive competenze, in attuazione dell’art. 191 del Codice.

Si ricorda in proposito che il testo del comma 4 dell’art. 191, non modificato dal decreto-legge in esame, prevede che le ordinanze contingibili e urgenti adottate dalle autorità locali possono essere reiterate per un periodo non superiore a 18 mesi “per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti”. Di conseguenza nel caso la forma di gestione non sia speciale la reiterazione citata sembra non potersi applicare.

 

Quanto alle finalità della norma, la stessa sottolinea che lo scopo è quello di prevenire procedure d’infrazione o condanne della Corte di Giustizia dell’UE per violazione della normativa europea, in particolare in materia di rifiuti e discariche.

 

Si fa notare che l’art. 17 dell’A.C. 2093 prevede una serie di modifiche all’art. 191, che riguardano gli obblighi di comunicazione delle ordinanze adottate, i termini (semestrali) di efficacia, nonché l’impossibilità, per tali ordinanze, di derogare alla normativa europea in materia.

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

In materia di smaltimento dei rifiuti, si segnala che, lo scorso 2 luglio, la Commissione europea ha presentato, nell’ambito di un pacchetto di misure specificamente dedicato all’economia verde, una comunicazione sull’economia circolare e la proposta di direttiva per la revisione delle direttive sui rifiuti.

La comunicazione (COM(2014)398) sull’economia circolare mira a tracciare un quadro finalizzato alla transizione verso un’economia basata sull’uso efficiente delle risorse e prevede, tra gli altri interventi, la modernizzazione della politica in materia di rifiuti e dei suoi obiettivi, trasformandoli in una risorsa.

In particolare, si prevede l’aumento della percentuale di rifiuti urbani riutilizzati e riciclati ad almeno il 70% entro il 2030; l’aumento della percentuale di rifiuti di imballaggio riciclati all’80% entro il 2030, con obiettivi intermedi di 60% entro il 2020 e 70% entro il 2025, con obiettivi per determinati materiali; il divieto del collocamento in discarica dei rifiuti riciclabili di plastica, metallo, vetro, carta e cartone e dei rifiuti biodegradabili entro il 2025, l’impegno degli Stati membri di abolire quasi completamente il collocamento in discarica entro il 2030 ; la promozione dello sviluppo di mercati delle materie prime secondarie di qualità, anche valutando l’opportunità di introdurre criteri di fine vita per determinati materiali; l’individuazione di un metodo di calcolo da applicare ai materiali riciclati per garantire un riciclaggio di qualità.

 

La Commissione, inoltre, auspica la semplificazione e il miglioramento della legislazione sui rifiuti a livello nazionale, nonché la riduzione delle disparità esistenti;

 

La proposta di direttiva (COM(2014)397) modifica le direttive sui rifiuti attualmente in vigore (in particolare, la 2008/98/CE sui rifiuti; la 94/62/CE sugli imballaggi; la 1999/31/CE sulle discariche; 2000/53/CE sui veicoli fuori uso; 2006/66/CE sulle pile ed accumulatori; 2012/19/UE sui rifiuti elettrici ed elettronici) in linea con gli obiettivi della tabella di marcia per l’impiego efficiente delle risorse e con quelli del settimo programma d’azione per l’ambiente.

Tra tali obiettivi, si ricordano la piena attuazione della gerarchia dei rifiuti in tutti gli Stati membri, una produzione minore di rifiuti in termini assoluti e pro capite e l’elaborazione di una strategia globale per combattere gli sprechi alimentari, in modo da assicurare un riciclaggio di alta qualità e il ricorso ai rifiuti riciclati come fonte di materie prime per l’Unione, limitare il recupero energetico ai materiali non riciclabili e collocare in discarica unicamente i rifiuti non recuperabili.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento al comma 1, che riguarda i poteri contingibili ed urgenti che gli enti locali e territoriali possono esercitare per affrontare situazioni di crisi in tema di rifiuti, con particolare riferimento ai rifiuti solidi urbani, si segnala che, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2011/4021 - avviata nel maggio 2012 per la non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE)) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali - il 13 giugno 2013 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia nei confronti dell’Italia (C-323/13).

In particolare, la Commissione ritiene che i rifiuti stoccati presso le discariche del Lazio non subiscano il trattamento prescritto dalla normativa europea, non essendo sufficiente la frantumazione e lo sminuzzamento prima dell’interramento, come invece affermato dalle autorità italiane. Infatti, in base alla direttiva 1999/31/CE e alla direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), per prevenire o ridurre gli effetti negativi sull’ambiente e qualunque rischio che ne derivi per la salute umana, il trattamento deve comprendere anche una corretta selezione dei diversi flussi di rifiuti.

 

Con riferimento ai commi 4, 5, 6 e 7 in materia di gestione di rifiuti in Campania, si segnala che, come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge, le disposizioni sono volte ad accelerare le attività necessarie per conformare la gestione dei rifiuti nella regione Campania alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 marzo 2010, pronunciata nella causa C 297/08 (in esito alla procedura di infrazione n. 2007/2195).

La sentenza ha statuito che l’Italia ha violato gli obblighi comunitari di corretta gestione dei rifiuti nella regione Campania, in particolare per la mancanza di una rete integrata di gestione dei rifiuti nella regione. Dal momento che, come precisato nella relazione illustrativa del disegno di legge, il Programma attuativo per la realizzazione degli interventi necessari ad adempiere agli obblighi stabiliti nella citata sentenza, predisposto e approvato dalla regione Campania, non è stato rispettato, il 10 dicembre 2013, la Commissione europea ha nuovamente deferito lo Stato italiano innanzi alla Corte di Giustizia per mancata esecuzione della medesima sentenza (causa C-323/13).

Il programma attuativo reca misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento. Tuttavia, dall'estate 2011 le autorità locali hanno dirottato grandi quantità di rifiuti verso impianti in altre regioni, soluzione questa di natura meramente temporanea. Pur riconoscendo i progressi fatti, ad esempio sotto il profilo della raccolta differenziata, la Commissione sottolinea i ritardi che hanno portato all'arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche, con il rischio che molte delle installazioni previste non siano pronte per la fine del 2016. Altri fattori preoccupanti sono, ad avviso della Commissione, i circa sei milioni di tonnellate di rifiuti imballati e stoccati presso vari siti in Campania, in attesa di un inceneritore che deve ancora essere costruito, e il basso tasso di raccolta differenziata nella provincia di Napoli: pur essendo la città della Campania che produce più rifiuti, Napoli ha un tasso di raccolta differenziata solo di circa il 20%.

In caso di condanna, la Commissione richiede all’Italia il versamento di sanzioni pecuniarie consistenti in una somma forfettaria di 28.089,6 euro al giorno (quantificabile su base annua in circa 10.252.704 euro) per il periodo intercorso tra la prima e la seconda sentenza e in una penalità di mora di 256.819,20 euro al giorno (vale a dire 85.606,4 euro al giorno per ogni categoria di installazione) dovuta dal giorno in cui verrà pronunciata la seconda sentenza fino al completo adempimento (quantificabile su base annua in circa 93.739.008 euro).

 


 

Articolo 14, commi 2 e 2-bis
(Semplificazione del SISTRI e concessione del servizio)

 

 

Il comma 2 disciplina le modalità per adottare un intervento di semplificazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI, mentre il comma 2 bis fissa al 31 dicembre 2015 il termine finale di efficacia del contratto per la concessione del servizio di realizzazione, gestione e manutenzione del SISTRI disponendo, nel contempo l’avvio delle procedure di affidamento della nuova concessione del servizio medesimo.  Viene, altresì, disciplinato il pagamento dei costi di produzione consuntivati alla concessionaria del servizio.

Misure di semplificazione

Il comma 2 richiede l’effettuazione - entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge e senza ulteriori oneri per la finanza pubblica - di un intervento di semplificazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) che preveda, in via prioritaria:

§  l'applicazione dell'interoperabilità;

§  e la sostituzione dei dispositivi token usb.

 

La norma stabilisce che l’intervento in questione deve avvenire ai sensi dell'art. 188-bis, comma 4-bis, del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), che dispone la semplificazione periodica del SISTRI mediante decreto del Ministro dell'ambiente.

In base al comma 4-bis, con tale decreto ministeriale si procede periodicamente, sulla base dell'evoluzione tecnologica e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria, alla semplificazione e all'ottimizzazione del SISTRI, anche alla luce delle proposte delle associazioni rappresentative degli utenti, ovvero delle risultanze delle rilevazioni di soddisfazione dell'utenza. Tali semplificazioni e l'ottimizzazione:

- sono adottate previa verifica tecnica e della congruità dei relativi costi da parte dell'Agenzia per l'Italia Digitale e sono finalizzate;

- sono finalizzate ad assicurare un'efficace tracciabilità dei rifiuti e a ridurre i costi di esercizio del sistema, laddove ciò non intralci la corretta tracciabilità dei rifiuti nè comporti un aumento di rischio ambientale o sanitario, anche mediante integrazioni con altri sistemi che trattano dati di logistica e mobilità delle merci e delle persone ed innovazioni di processo che consentano la delega della gestione operativa alle associazioni di utenti, debitamente accreditate dal Ministero dell'ambiente, e ad assicurare la modifica, la sostituzione o l'evoluzione degli apparati tecnologici, anche con riferimento ai dispositivi periferici per la misura e certificazione dei dati.

Al fine della riduzione dei costi e del miglioramento dei processi produttivi degli utenti, il comma 4-bis prevede altresì che il concessionario del sistema informativo, o altro soggetto subentrante, può essere autorizzato dal Ministero dell'ambiente, previo parere del Garante per la privacy, a rendere disponibile l'informazione territoriale, nell'ambito della integrazione dei sistemi informativi pubblici, a favore di altri enti pubblici o società interamente a capitale pubblico, opportunamente elaborata, anche al fine di fornire servizi aggiuntivi agli utenti, senza nuovi o maggiori oneri per gli stessi. Sono comunque assicurate la sicurezza e l'integrità dei dati di tracciabilità.

Lo stesso comma 4-bis stabilisce infine che con il decreto ministeriale di semplificazione sono altresì rideterminati i contributi da porre a carico degli utenti in relazione alla riduzione dei costi conseguita o determinate le remunerazioni dei fornitori delle singole componenti dei servizi.

Si rammenta che il SISTRI “previa autorizzazione del Ministero dell’ambiente, espone, alle imprese iscritte che faranno esplicita richiesta di autorizzazione, delle interfacce” per fornire una serie di servizi di interoperabilità. Tali servizi consentono l’interfacciamento fra il sistema SISTRI e gli applicativi di gestione ambientale già presenti presso le aziende iscritte al SISTRI. Nell'ambito del SISTRI le imprese che utilizzino software gestionali in grado di tracciare le operazioni e che abbiano accreditato il software gestionale al servizio di interoperabilità, possono richiedere al SISTRI il rilascio di un “dispositivo USB per l’interoperabilità” inteso quale “dispositivo USB abilitato alla firma delle schede SISTRI per tutte le unità locali o operative, nonché per tutte le categorie di iscrizione che operano attraverso un software gestionale[73].

Per una ricognizione generale delle norme sul SISTRI si rinvia invece alla scheda “Tracciabilità dei rifiuti (SISTRI)”.

 

Il comma 2-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, alla lettera a) proroga al 31 dicembre 2014 il termine per l’emanazione del primo dei decreti ministeriali di semplificazione e ottimizzazione periodica del SISTRI previsti dall’art. 188-bis, comma 4-bis, del Codice.

Si è già accennato al fatto che tale comma 4-bis prevede che con appositi decreti del Ministero dell’ambiente si proceda periodicamente, sulla base dell'evoluzione tecnologica e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria, alla semplificazione e all'ottimizzazione del SISTRI.

Il testo vigente del comma 8 dell’art. 11 del D.L. 101/2013 prevede che, in sede di prima applicazione, alle citate semplificazioni si proceda entro il termine del 3 marzo 2014. Lo stesso comma dispone che tale data può essere differita, per non oltre 6 mesi, con decreto del Ministro dell'ambiente, qualora ciò si renda necessario al fine di rendere operative le semplificazioni e l'ottimizzazione introdotte.

In attuazione di tale disposizione l’art. 3, comma 4, del D.M. Ambiente 24 aprile 2014 (Disciplina delle modalità di applicazione a regime del SISTRI del trasporto intermodale nonché specificazione delle categorie di soggetti obbligati ad aderire) ha prorogato il termine suddetto al 3 settembre 2014.

Contratto di concessione del servizio SISTRI (comma 2-bis, lettere b) e c))

La lettera b) del comma 2-bis, fissa al 31 dicembre 2015 il termine finale di efficacia del contratto stipulato dal Ministero dell’ambiente con la Selex Service Management S.p.A. per la concessione del servizio di realizzazione, gestione e manutenzione del SISTRI.

La stessa lettera prevede che entro il 30 giugno 2015 il Ministero dell'ambiente provveda all’avvio delle procedure per l'affidamento della nuova concessione del servizio nel rispetto:

-  dei criteri e modalità di selezione fissati dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006) e dalle norme comunitarie di settore;

-  nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico.

 

All'attuale società concessionaria del SISTRI (la Selex) è garantito l'indennizzo dei costi di produzione consuntivati sino al 31 dicembre 2015, alle seguenti condizioni:

  previa valutazione di congruità dell'Agenzia per l'Italia Digitale;

  nei limiti dei contributi versati dagli operatori alla predetta data.

 

La successiva lettera c) impone al Ministero dell’ambiente di procedere, previa valutazione di congruità dell'Agenzia per l'Italia Digitale, al pagamento alla Selex degli ulteriori costi di produzione consuntivati, fino alla concorrenza delle risorse collocate nel capitolo 7082 del Ministero, al netto di quanto già versato.

L’art. 14-bis del D.L. 78/2009 ha previsto l’emanazione di uno o più decreti del Ministero dell'ambiente per disciplinare in maniera dettagliata il SISTRI e quindi, in tale ambito, anche l’entità dei contributi da utilizzare per la copertura degli oneri del sistema. Lo stesso articolo ha stabilito che tali contributi siano versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, al capitolo 7082 dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente.

Il comma 10, dell’art. 11 del D.L. 101/2013, ha imposto al Ministero dell’ambiente di procedere, sulla base dell'attività di audit dei costi e della conseguente valutazione di congruità dall'Agenzia per l'Italia Digitale, al versamento alla società concessionaria dei citati contributi collocati nel cap. 7082. Lo stesso comma ha però posto una serie di condizioni, prevedendo che il pagamento:

non ecceda il 30% dei costi della produzione consuntivati al 30 giugno 2013;

avvenga sino alla concorrenza delle risorse riassegnate nel citato capitolo alla data del 31 ottobre 2013;

avvenga al netto di quanto già versato dal Ministero sino alla predetta data, per lo sviluppo e la gestione del sistema.


 

Articolo 14, comma 3
(Proroga delle gestioni comunali relative ai rifiuti in atto nella Regione Campania)

 

 

Il comma 3 dispone l'ulteriore proroga, fino al 31 dicembre 2014, della gestione da parte dei comuni della regione Campania delle attività di raccolta, di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata.

 

Tale comma è stato modificato nel corso dell’esame al Senato al fine di formulare correttamente la modifica legislativa nonché di prorogare di un ulteriore mese il termine, dato che il testo iniziale del decreto-legge prevede la proroga fino al 30 novembre prossimo.

 

Tale proroga viene operata mediante una modifica del termine (stabilito dall’art. 1, comma 1, del D.L. 1/2013 e prorogato fino al 30 giugno 2014 dall’art. 10, comma 2, del decreto-legge n. 150 del 2013) di scadenza della fase transitoria (prevista dall’art. 11, comma 2-ter, del D.L. 195/2009) durante la quale, nel territorio della Regione Campania, le sole attività di raccolta, di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata continuano ad essere gestite dai comuni, in luogo del subentro in tali funzioni da parte delle province, come previsto dal comma 2 del medesimo articolo 11.

Si ricorda che l’art. 11 del D.L. 195/2009, nell’ambito della legislazione emanata per fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania, al comma 2, ha previsto il subentro delle amministrazioni provinciali, anche per il tramite di specifiche società provinciali, nei contratti in corso con soggetti privati svolgenti in tutto o in parte le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti. Lo stesso comma 2 ha consentito alle amministrazioni provinciali, in alternativa, di affidare il servizio in via di somma urgenza, nonché prorogare i contratti in cui sono subentrate per una sola volta e per un periodo non superiore ad un anno con abbattimento del per cento del corrispettivo negoziale inizialmente previsto.

L’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 2013 ha altresì disposto che, a partire dalla scadenza del termine della citata fase transitoria, si applicheranno, anche sul territorio della Regione Campania, le disposizioni di cui all’art. 14, comma 27, lettera f), del decreto-legge n. 78/2010, che considera funzioni fondamentali dei comuni “l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi”.

 

 


 

Articolo 14, comma 3-bis e 8-ter
(Compostaggio dei rifiuti provenienti dalla Campania e dal Lazio)

 

 

Il comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, differisce al 31 dicembre 2015 il termine entro il quale - per le esigenze della Regione Campania e nelle more del completamento degli impianti di compostaggio nella regione stessa - gli impianti di compostaggio in esercizio sul territorio nazionale possono aumentare la propria autorizzata capacità ricettiva e di trattamento sino all'8%.

Con la stessa decorrenza cessano gli effetti delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri all'uopo adottate.

Si ricorda che il citato termine, previsto dall'art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 195 del 2009, inizialmente fissato al 31 dicembre 2011, è stato da ultimo prorogato fino al 30 giugno 2014 dall’art. 10, comma 3, del D.L. 150/2013.

 

La stessa finalità, e con la stessa scadenza temporale, è perseguita dal comma 8-ter, anch’esso introdotto nel corso dell’esame al Senato.

Rispetto al precedente comma 3-bis, il comma 8-ter:

§  estende le disposizioni anche alla Regione Lazio;

§  specifica che la norma è limitata ai rifiuti biodegradabili di cucine e mense (vale a dire quelli con codice CER 20.01.08);

I rifiuti biodegradabili di cucine e mense (codice CER 20.01.08) sono un sottoinsieme delle frazioni oggetto di raccolta differenziata (CER 20.01) dei “Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) inclusi i rifiuti della raccolta differenziata” a cui è associato il codice CER 20.

§  impone alle regioni Campania e Lazio di provvedere alla realizzazione dei nuovi impianti di compostaggio entro e non oltre il 31 dicembre 2014.

 

 


 

Articolo 14, comma 3-ter
(Disciplina transitoria per lo stoccaggio di rifiuti e per l’esercizio di particolari tipologie di impianti nella Regione Campania)

 

 

Il comma 3-ter dell’articolo 14, inserito nel corso dell’esame al Senato, autorizza, per un periodo non superiore a 6 mesi (andrebbe valutata lopportunità di specificare che si tratta di sei mesi decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto) lo stoccaggio dei rifiuti in attesa di smaltimento, il deposito temporaneo e l’esercizio degli impianti dei rifiuti aventi i codici CER 19.12.10, 19.12.12, 19.05.01, 19.05.03, 20.03.01 e 20.03.99, di cui:

§  all’articolo 8, comma 2, del D.L. 90/2008 (che ha dettato una disposizione pressoché identica a quella in esame, ma la cui validità è cessata alla scadenza dello stato di emergenza, intervenuta il 31 dicembre 2009);

§  e all’articolo 10, comma 1, del D.L. 195/2009.

Il primo periodo del citato comma 1, cui la norma in esame sembra riferirsi (il secondo periodo fa infatti riferimento al collaudo delle discariche), dispone l'evacuazione e l’esecuzione delle successive fasi gestorie dei rifiuti allocati presso le aree di deposito e di stoccaggio temporaneo del territorio campano, a prescindere dalla destinazione dei rifiuti, entro il termine massimo di tre anni a decorrere dalla fine dello stato d’emergenza, per i rifiuti in attesa di trattamento e recupero.

 

Con riferimento ai codici CER contemplati dalla norma in esame, se ne riporta il significato previsto dal Codice dell’ambiente:

Codice CER

(Allegato D alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006)

Descrizione

19.05.01

parte di rifiuti urbani e simili non compostata

19.05.03

compost fuori specifica

19.12.10

rifiuti combustibili (CDR: combustibile derivato da rifiuti)

19.12.12

 

altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, non contenenti sostanze pericolose

20.03.01

rifiuti urbani non differenziati

20.03.99

rifiuti urbani non specificati altrimenti

 

 

La norma chiarisce che trattasi di una disposizione transitoria dettata nelle more del funzionamento a regime del sistema di smaltimento dei rifiuti della regione Campania e sino al completamento degli impianti di recupero e trattamento degli stessi.


 

Articolo 14, comma 4
(Commissario straordinario per la realizzazione di un termovalorizzatore in Provincia di Salerno)

 

 

Il comma 4 dell’articolo 14, modificato nel corso dell’esame al Senato, prevede la nomina, con decreto del Ministro dell'ambiente, di un commissario straordinario per la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione dei rifiuti in Provincia di Salerno.

Rispetto al testo iniziale, che riguarda la realizzazione del termovalorizzatore previsto dal bando di gara che la Provincia di Salerno ha fatto pubblicare in data 2 novembre 2010 nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, il testo approvato dal Senato fa riferimento generico ad un impianto di termovalorizzazione in provincia di Salerno.

Il riferimento viene operato richiamando norme (D.L. 90/2008 e D.L. 195/2009) che in passato avevano previsto la realizzazione di un tale impianto in quella provincia.

Si fa notare che la norma non indica un termine per l’emanazione del decreto ministeriale.

 

Con la lettera di messa in mora C(2011) 6707 la Commissione UE ha invitato l'Italia a conformarsi alle prescrizioni della sentenza della Corte di Giustizia UE del 2010 (causa C-297/08) che ha condannato l’Italia per violazione della "direttiva rifiuti", per non avere adottato tutte le misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti nella regione Campania ovvero di non aver creato una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento idonei a consentire l’autosufficienza in materia di smaltimento di rifiuti, determinando un pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente.

Nella relazione, redatta dalla Regione Campania nel gennaio 2012, in riscontro alla citata lettera di messa in mora (Procedura di infrazione 2007/2195), tra le iniziative indicate per conformarsi alle richieste dell’UE figura la realizzazione del termovalorizzatore di Salerno.

In proposito nella relazione si legge che “la Provincia di Salerno, in ottemperanza a quanto previsto all’art. 10, comma 4, del D.L. 195/2009 … ha bandito una gara europea per la progettazione, costruzione e gestione dell’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti della provincia di Salerno con una capacità di trattamento pari a 300.000 t/a. Tale impianto - realizzato interamente con risorse finanziarie a carico del soggetto privato aggiudicatario della gara essendosi fatto ricorso all’appalto in concessione - andrà a trattare la frazione secca indifferenziata e le frazioni residuali non valorizzabili della raccolta differenziata e avrà valenza regionale”.

Le procedure di gara, iniziate il 2 novembre 2010, si sono concluse con l’aggiudicazione, in data 28 luglio 2011, al Raggruppamento Temporaneo d’Impresa (RTI) Daneco Impianti – RCM Costruzioni – ACMAR. Il ricorso presentato dalla seconda classificata presso il TAR del Lazio ha comportato però la sospensione della procedura. Tale circostanza ha quindi contribuito a determinare il mancato rispetto del cronoprogramma previsto per adempiere agli obblighi stabiliti nella citata sentenza della Corte di Giustizia. Di conseguenza, in data 14 gennaio 2014, la Commissione UE ha nuovamente deferito lo Stato italiano innanzi alla Corte di Giustizia per mancata esecuzione della suddetta sentenza. In caso di condanna, secondo quanto relazionato dal Governo, lo Stato italiano rischia pesantissime sanzioni pecuniarie che possono essere quantificate in una somma forfettaria di circa 10,3 milioni di euro all'anno per il periodo intercorso tra la prima e la seconda sentenza e a una penalità di mora di 256.819,20 euro al giorno dovuta dal giorno in cui verrà pronunciata la seconda sentenza fino al completo adempimento (circa 93,7 milioni di euro all'anno)[74].

La sentenza del TAR Salerno n. 491/2014 ha provveduto a rigettare il ricorso. Ciononostante, come relazionato dal Governo, la stazione appaltante non ha ancora provveduto alla stipula del contratto.

Eventuali modifiche alle caratteristiche dell’impianto disposte dal commissario

Nell’ambito della riscrittura del comma 4 operata dal Senato è stato inserito un periodo che consente al commissario di disporre eventuali modifiche alle caratteristiche tecnologiche e al dimensionamento dell'impianto.

Lo stesso comma stabilisce che il commissario dovrà disporre le eventuali modifiche:

§  entro 6 mesi dalla nomina;

§  sulla base di uno studio aggiornato sulla produzione dei rifiuti con riferimento al bacino di utenza e dello stato della raccolta differenziata raggiunta ed in proiezione previsionale alla data di attivazione dell'impianto.

Compiti del Commissario

Il Commissario straordinario:

§  garantisce, attraverso opportuni atti amministrativi e convenzionali, la partecipazione di rappresentanti dei comuni interessati (vale a dire del comune sede dell’impianto e dei comuni confinanti e contigui) ad organismi preposti alla vigilanza nella realizzazione e gestione dell'impianto (tale compito è stato inserito nell’ambito della riscrittura del comma 4 operata al Senato);

§  esercita tutte le funzioni di stazione appaltante, compresa la direzione dei lavori, e, in particolare, stipula il contratto con il soggetto aggiudicatario in via definitiva dell'affidamento della concessione per la progettazione, costruzione e gestione di detto termovalorizzatore e provvede a tutte le altre attività necessarie alla realizzazione delle opere.

 

Nel testo del comma 4, come riscritto dal Senato, non compare più la previsione iniziale che attribuisce al Commissario i poteri sostitutivi degli organi ordinari e straordinari e derogatori della normativa vigente, secondo quanto previsto all'art. 20, comma 4, del D.L. 185/2008, e all'art. 13 del D.L. 67/1997.

 

Nel corso dell’esame al Senato sono stati soppressi i commi 5, 6 e 7 che:

§  consentono al Commissario di avvalersi del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata e degli uffici delle amministrazioni interessate alla realizzazione dell'opera, con oneri a carico delle risorse stanziate per la realizzazione dell'opera (comma 5);

§  disciplinano la durata dell’incarico ed escludono compensi per il Commissario ad eccezione di quello per l'eventuale direzione dei lavori, gravante sulle risorse stanziate per la realizzazione dell'opera (commi 6 e 7).

 


 

Articolo 14, comma 8), lettera a)
(Definizione dei parametri di qualità delle acque irrigue)

 

 

La lettera a) del comma 8 modifica l'articolo 166, comma 4-bis, del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente) in tema di usi delle acque irrigue e di bonifica, includendo il concerto del Ministero della salute, ai fini dell’emanazione del decreto di definizione dei parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica.

 

Il citato comma 4-bis all’articolo 166 prevede l’adozione di un regolamento del Ministro dell'ambiente e del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e sentiti i competenti istituti di ricerca, per la definizione, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione, dei parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Con il medesimo regolamento si provvede, altresì, alla verifica ed, eventualmente, alla modifica delle norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue di cui al decreto ministeriale 12 giugno 2003, n. 185[75].


 

Articolo 14, comma 8, lettere b) e b-sexies)
(Combustione di materiale vegetale)

 

 

La lettera b) del comma 8, modificata nel corso dell’esame al Senato, considera normali pratiche agricole consentite le attività di raggruppamento e abbruciamento di paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso (vale a dire i materiali indicati dall’art. 185, comma 1, lett. f) che avvengono nel rispetto di tutte le seguenti condizioni:

§  i materiali raggruppati o bruciati devono essere in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a 3 metri steri[76] per ettaro;

§  le attività devono essere effettuate nel luogo di produzione ;

§  le attività devono essere finalizzate al reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti.

 

Rispettate le citate condizioni, le attività suddette vengono quindi escluse dalla disciplina sui rifiuti dettata dalla Parte quarta del d.lgs. 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente).

 

Si segnala che la citata lettera f), dell’art. 185 fa però riferimento anche alle materie fecali (se non contemplate da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento) e che, conseguentemente, viene incluso nelle normali pratiche agricole anche l’abbruciamento di materie fecali.

 

Il comma in esame prescrive che la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata nei periodi, dichiarati dalle regioni, di massimo rischio per gli incendi boschivi.

 

La lettera b-sexies) del comma 8, inserita nel corso dell’esame al Senato, esclude, per l’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato, l’applicazione delle sanzioni contenute nell’articolo 256-bis del Codice dell’ambiente, riguardante la combustione illecita di rifiuti.

 

Le nuove lettere b) e b-sexies) introducono una disciplina diversa rispetto a quella dettata dal testo iniziale della lettera b), che si limitava ad escludere tutte le sanzioni (sia dell’art. 256, per smaltimento illecito dei rifiuti, che dell’art. 256-bis) applicabili alla combustione di sfalci e potature alle condizioni indicate.

La nuova lettera b-sexies) esclude l’applicazione del citato art. 256-bis all’abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato. Non si interviene invece sull’applicazione delle sanzioni dell’art. 256 per lo smaltimento non autorizzato dei medesimi materiali.

La nuova disciplina non solo esclude le predette sanzioni, ma esclude il raggruppamento e l’abbruciamento dei materiali in questione dalla disciplina sui rifiuti. Attività che però rientrano, secondo la direttiva 2008/98/CE, a tutti gli effetti tra le operazioni di gestione dei rifiuti.

Nello specifico, la disposizione in commento introduce specifiche eccezioni alla normativa vigente prevista dal comma 1, lettera f), dell’art. 185, ai sensi del quale paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti (dettata dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006) solo se “utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Tale norma, che è stata introdotta in recepimento della direttiva rifiuti 2008/98/CE (art. 2, paragrafo 1, lett. f), implica che, nei casi in essa non contemplati, tali materiali si configurano come rifiuti, e quindi non possono essere bruciati liberamente.

Si ricorda che l’articolo 256 del d.lgs. 152/2006[77] punisce infatti l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, stabilendo che chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione, è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi.

Nelle fattispecie suscettibili di essere incluse nello smaltimento illecito dei rifiuti è inclusa anche la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale, che rappresenta peraltro una pratica agricola particolarmente diffusa. Per tale motivo, alcune regioni hanno adottato iniziative volte a ricondurre la pratica della bruciatura dei residui vegetali a pratica agronomica.

Pene più severe sono previste dal successivo art. 256-bis, introdotto dal decreto-legge D.L. 136/2013 (che reca tra l’altro disposizioni sulla cd. “Terra dei fuochi”), secondo cui chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni.

Si applica invece la sola sanzione amministrativa pecuniaria (da 300 a 3.000 euro) qualora vengano bruciati i rifiuti (urbani) vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali.

 

Si ricorda che ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. b), rientrano tra i rifiuti urbani “i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”.

 

Si segnala che andrebbe valutata la compatibilità della norma in commento con la disciplina europea alla luce del quadro normativo di riferimento di cui si è dato testé conto.

 

Riguardo alle condizioni contemplate dalla norma, il nuovo testo non prevede più l’emanazione di un’ordinanza del Sindaco destinata a disciplinare aree, periodi e orari. Al contrario contiene una condizione aggiuntiva che richiede il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti.

 

Si ricorda che una disposizione analoga a quella che compare nel testo iniziale del decreto-legge è contenuta nell'art. 29 del disegno di legge n. 2093 (collegato ambientale alla legge di stabilità 2014), all'esame della Commissione Ambiente, che prevede norme per consentire ai comuni di disciplinare i casi in cui è possibile la combustione di residui vegetali agricoli e forestali (ivi compresi sfalci e potature) in piccoli cumuli e quantità (anche tale norma pone il limite giornaliero di tre metri steri per ettaro).


 

Articolo 14, comma 8, lettera b-bis)
(Esclusione dalla disciplina sui rifiuti di particolari operazioni connesse ad eventi atmosferici)

 

 

La lettera b-bis) del comma 8 dell’articolo 14, inserita nel corso dell’esame al Senato, esclude dalle attività di gestione dei rifiuti (definite dall’art. 183, comma 1, lett. n) del D.Lgs. 152/2006) le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse mareggiate e piene.

Viene precisato che l’esclusione opera anche qualora i citati materiali/sostanze siano frammisti ad altri materiali di origine antropica.

 

Si fa notare che la norma in esame modifica la definizione di “(attività di) gestione”.

Si ricorda, infatti che la vigente lettera n) del comma 1 dell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente), include nelle attività di «gestione» la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario.

A sua volta la successiva lettera o) include nelle attività di «raccolta» il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.

 

Al riguardo si rileva che la disposizione, esclude dalla gestione le operazioni di prelievo, cernita ecc. preliminari alla raccolta; tuttavia la raccolta, per la definizione dettata dalla successiva lettera o) del comma 1 dell’articolo 183 include proprio tali operazioni.

Condizioni per l’esclusione

L’esclusione opera:

§  solo se le citate operazioni sono effettuate presso il medesimo sito nel quale detti eventi hanno depositato i citati materiali/sostanze;

§  e per il tempo tecnico strettamente necessario.

 

La finalità della norma in esame appare quella di consentire una più spedita rimozione dei materiali portati dalle piene, dalle mareggiate o altri eventi atmosferici, consentendo l’utilizzo anche di soggetti non iscritti all’albo dei gestori ambientali.

Si ricorda che l’iscrizione all’albo rappresenta un requisito necessario per lo svolgimento, tra le altre, delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti (art. 212, comma 5, del D.Lgs. 152/2006).

Si ricorda, infine, che ai sensi dell’art. 184, comma 2, lett. d), rientrano tra i rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua”. Alcune circolari regionali hanno regolamentato le operazioni in questione, prevedendo che tali attività devono essere svolte secondo particolari modalità atte a garantire “un’elevata protezione dell’ambiente e consentire il permanere in situ del maggior quantitativo possibile di risorsa naturale”[78].


 

Art. 14, comma 8, lettera b-ter)
(Utilizzo dei materiali derivanti da operazioni di dragaggio)

 

 

La lettera b-ter) del comma 8 dell’articolo 14, introdotta nel corso dellesame al Senato, introduce una disciplina dettagliata per lutilizzo dei materiali derivanti da operazioni di dragaggio (nuovo art. 184-quater del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dellambiente).

 

Condizioni per l’end of waste dei materiali dragati (comma 1)

Il comma 1 del nuovo art. 184-quater detta le seguenti condizioni che, se rispettate, determinano la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), per i materiali dragati sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati (viene specificato che le operazioni di recupero possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione):

a)      non superano i valori delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) dettati, per il suolo, dalle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del Codice, con riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo, o, in caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, rispondono ai requisiti tecnici del settore in cui sono utilizzati e non determinano emissioni superiori/diverse a quelle consentite per l’impianto;

b)      è certo il sito di destinazione e sono utilizzati direttamente, anche a fini del riuso o rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate e in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali. In caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo devono invece essere rispettati i requisiti tecnici del settore e la conformità quantitativa/qualitativa delle emissioni.

 

Test di cessione per l’utilizzo in un sito (comma 2)

Al fine di escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee, in base al comma 2 i materiali di dragaggio destinati all’utilizzo in un sito devono essere sottoposti a test di cessione secondo le metodiche e i limiti di cui all’Allegato 3 del D.M. Ambiente 5 febbraio 1998.

Tale allegato disciplina i criteri per la determinazione del test di cessione, tra cui i valori limite per una serie di sostanze inquinanti.

L’Autorità competente può derogare alle concentrazioni limite di cloruri e di solfati qualora i materiali di dragaggio rispettino le seguenti condizioni:

§  siano destinati ad aree prospicienti il litorale;

§  e siano compatibili con i livelli di salinità del suolo e della falda.

 

Dichiarazione di conformità (comma 3)

Il comma 3 obbliga il produttore o il detentore a predisporre una dichiarazione di conformità che deve essere presentata, 30 giorni prima dell’inizio delle operazioni di conferimento:

§  all’Autorità competente per il procedimento di recupero;

§  e all'ARPA nel cui territorio è localizzato il sito di destinazione o il ciclo produttivo di utilizzo.

 

Lo stesso comma disciplina il contenuto della dichiarazione la quale deve contenere: dati del produttore, o del detentore e dell’utilizzatore; tipologia e quantità dei materiali oggetto di utilizzo; attività di recupero effettuate; sito di destinazione; altre modalità di impiego previste; attestazione che sono rispettati i criteri di cui al presente articolo.

Tutti i soggetti che intervengono nel procedimento di recupero e di utilizzo dei materiali di cui al presente articolo conservano una copia della dichiarazione per almeno un anno dalla data del rilascio, mettendola a disposizione delle autorità competenti che la richiedano.

 

Controllo della dichiarazione di conformità (comma 4)

Il controllo della dichiarazione di conformità deve essere effettuato, entro 30 giorni dalla presentazione, dall’Autorità competente per il procedimento di recupero.

 

Esito positivo del controllo

Qualora sia verificato il rispetto dei requisiti e delle procedure disciplinate dal presente articolo i materiali cessano di essere rifiuti.

La documentazione richiesta per il trasporto non è quindi più quella contemplata dalla normativa sui rifiuti. Il comma 5 prevede che tali materiali siano accompagnati:

§  dalla dichiarazione di conformità;

§  dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto (disciplinati dagli articoli 6 e 7-bis del D.Lgs. 286/2005, di liberalizzazione regolata dell'esercizio dell'attività di autotrasportatore).

 

Esito negativo del controllo

Se vengono rilevate difformità o violazioni, l’autorità competente ordina il divieto di utilizzo dei materiali di cui al comma 1 che restano assoggettati al regime dei rifiuti.

 

Si segnala che andrebbe valutata, al comma 5, l’opportunità di fare riferimento “ai materiali che cessano di essere rifiuti ai sensi dei commi 1 e 2”, atteso che il comma 1 disciplina le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto, mentre il comma 2 disciplina l’utilizzo dei materiali di dragaggio.

 


 

Articolo 14, comma 8, lettera b-quater)
(Disposizioni in materia di responsabilità della gestione dei rifiuti)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stata introdotta al comma 8, la lettera b- quater), che modifica l’articolo 188 comma 3 lettera b) del D.Lgs 152 del 2006, stabilendo che la provincia è l’unico soggetto competente anche a ricevere la documentazione relativa al trasporto transfrontaliero di rifiuti.

La norma sopprime una specifica disposizione prevista per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti, inserita tra le condizioni che consentono l’esclusione della responsabilità del produttore per la gestione dei rifiuti.

In particolare, l’art. 188, comma 3, lettera b), prevede, per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti, che la mancata ricezione del formulario previsto dall’art. 193 da parte del produttore sia comunicata alla regione e non alla provincia, come previsto negli altri casi.

 

La responsabilità del produttore-detentore è individuata dall’articolo 188, commi 1, 2 e 3 del Dlgs 152/2006.

 Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni di smaltimento, nonché dei precedenti detentori o del produttore dei rifiuti.

Il produttore o detentore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità:

a) autosmaltimento dei rifiuti;

b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;

c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;

Il comma 3 dell’articolo 188 prevede che la responsabilità dei soggetti non iscritti al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) che, ai sensi dell’ art. 212, comma 8, raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi è esclusa:

a) a seguito del conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;

b) a seguito del conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla Provincia della mancata ricezione del formulario.

Per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti tale termine è elevato a sei mesi e la comunicazione deve essere effettuata alla Regione. Questa parte della disposizione è quella che viene soppressa dalla norma in commento

 


 

Articolo 14, comma 8, lettera b-quinquies)
(Individuazione dei beni in polietilene)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stata introdotta al comma 8, la lettera b-quinquies), che sostituisce il comma 2 dell’articolo 234 del D.Lgs 152/2006 (cd. Codice dell’ambiente), al fine di modificare la disciplina per l’individuazione di bene in polietilene e specificare alcun tipologie di questi beni, in fase di prima attuazione e fino all’emanazione di un decreto contenente l’elenco completo.

Il nuovo comma 2 dell’articolo 234 - che disciplina l’istituzione e i compiti del Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene – precisa che per beni in polietilene devono intendersi i beni composti interamente da polietilene, da individuarsi con decreto del Ministro dell’ambiente delle tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.

L’elenco di beni in polietilene viene verificato con cadenza triennale dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sulla base dei risultati conseguiti in termini di raccolta e ridda dei rifiuti dei predetti beni nonché degli impatti ambientali generati dagli stessi.

In fase di prima attuazione e fino all’emanazione del predetto decreto, per beni in polietilene si intendono i teli e le reti ad uso agricolo, di cui la norma provvede a fornire un’elencazione:  film per copertura di serre e tunnel; film per lo copertura di vigneti e frutteti; film per pacciamatura; film per insilaggio; film per la protezione di attrezzi e prodotti agricoli; film per pollai; le reti ombreggianti, di copertura e di protezione.

 

Il comma 2 dell’articolo 234 stabilisce che un decreto del Ministro dell'ambiente delle tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, definisce i beni in polietilene, che possono essere considerati beni di lunga durata per i quali deve essere versato un contributo per il riciclo in misura ridotta in ragione del lungo periodo di impiego o per i quali non deve essere versato tale contributo in ragione di una situazione di fatto di non riciclabilità a fine vita.

In attesa del decreto, tali beni di lunga durata restano esclusi dal versamento di tale contributo.


 

Articolo 14, comma 8-bis
(Registro di carico/scarico degli imprenditori agricoli produttori iniziali di rifiuti pericolosi)

 

 

In base al comma 8-bis dellarticolo 14, inserito durante lesame al Senato, per gli imprenditori agricoli produttori iniziali di rifiuti pericolosi è possibile sostituire il registro di carico/scarico con la conservazione della scheda SISTRl in formato fotografico digitale inoltrata dal destinatario (smaltitore o recuperatore). Larchivio informatico è accessibile on-line sul portale del destinatario, in apposita sezione, con nome dellutente e password dedicati (nuovo comma 1-quinquies dellart. 190 del D.Lgs. 152/2006, c.d. Codice dellambiente).

 

Il destinatario (solitamente lo smaltitore o il recuperatore) è infatti obbligato, ai sensi dellart. 188-ter del Codice ad aderire al SISTRI.

La definizione di imprenditore agricolo utilizzata dalla norma in esame è quella dellart. 2135 c.c. che include in tale categoria chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Si ricorda che lart. 190, comma 1-ter, del Codice, consente ali imprenditori agricoli produttori iniziali di rifiuti pericolosi di adempiere all'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico con una delle due seguenti modalità:

a) con la conservazione progressiva per tre anni del formulario di identificazione dei rifiuti (FIR), relativo al trasporto dei rifiuti, o della copia della scheda SISTRI;

b) con la conservazione per tre anni del documento di conferimento di rifiuti pericolosi prodotti da attività agricole, rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta di detti rifiuti nell'ambito del circuito organizzato di raccolta.


 

Articolo 14, comma 8-quater
(Esclusione dell’amianto dai parametri considerati nell’esecuzione dei test di cessione)

 

 

Il comma 8-quater dell’articolo 14, inserito durante l’esame al Senato, esclude l’amianto dai parametri considerati nell’esecuzione del test di cessione disciplinato dal D.M. 5 febbraio 1998.

Un test di cessione è una prova simulata di rilascio di contaminanti effettuata ponendo in contatto per un tempo definito un solido (solitamente un rifiuto) con un lisciviante (solitamente una soluzione acquosa).

All’interno del D.M. 5 febbraio 1998 il test di cessione viene disciplinato dall’art. 9 e dall’allegato 3 e viene utilizzato per valutare l’ammissibilità dei rifiuti non pericolosi alle procedure semplificate di recupero.

L’allegato 3 contiene una tabella con valori limite per una serie di sostanze pericolose. Nel caso dell’amianto il valore limite considerato è pari a 30 mg/l.

L’esecuzione del test di cessione non è però limitata all’ambito normativo del D.M. 5 febbraio 1998. Sono infatti numerose le disposizioni che prevedono l’applicazione del test di cessione secondo le modalità fissate dal citato D.M. Alcune di queste si ritrovano anche nell'articolo in esame (cfr. comma 8, lettera b-quater).

 

 

 

Articolo 14, commi 8-quinquies e 8-sexies
(Miscelazione di oli usati e rifiuti speciali)

 

 

I commi 8-quinquies e 8-sexies dell’articolo 14, introdotti nel corso dell’esame al Senato, contengono disposizioni finalizzate a superare le restrizioni che il D.Lgs. 205/2010, attuativo della direttiva quadro sui rifiuti 208/98/CE, ha introdotto nella disciplina relativa al divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi dettata dall’art. 187 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente).

Tali commi riproducono le norme contenute nell’art. 5 del disegno di legge della XVI legislatura C. 4240-B che non ha concluso il proprio iter.

La riscrittura dell’art. 187 del Codice ambientale operata dall’art. 15, comma 1, del D.Lgs. 205/2010 non si è limitata a confermare il divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi già contemplato dal testo previgente, ma anche previsto:

§  chiarito che la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose;

§  aggiunto ulteriori condizioni da rispettare per poter derogare al medesimo art. 187 e procedere alla miscelazione (tali condizioni sono che la miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili e che sia effettuata da ente o impresa autorizzata).

Un’altra modifica apportata dal D.Lgs. 205/2010 consiste in un accentuazione della portata del divieto. Il nuovo testo del comma 1 dell’art. 187, oltre a confermare il divieto di miscelare rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, prevede, infatti, il divieto di miscelare “rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità”. Il testo previgente invece vietava solamente la miscelazione con altre categorie di rifiuti pericolosi (indicate nell’allegato G) o con altri rifiuti, sostanze o materiali. Tale disposizione è scomparsa dal testo del Codice, così come l’allegato G.

Si fa notare che quest’ultima modifica restrittiva (divieto di miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità) non trova corrispondenza nel disposto dell’art. 18 della direttiva 2008/98/CE. Il paragrafo 1 di tale articolo prevede che è vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi.

 

In particolare, il comma 8-quinquies consente agli esercenti di impianti di recupero/smaltimento in possesso di autorizzazioni in essere alla data di entrata in vigore della nuova disciplina relativa alla miscelazione dei rifiuti pericolosi, che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali secondo le modalità previgenti, di continuare ad operare la miscelazione secondo tali modalità fino alla revisione delle medesime autorizzazioni.

 

Il comma 8-sexies modifica la disciplina di gestione degli oli usati al fine di consentire, a partire dalla fase del deposito temporaneo, la miscelazione degli oli usati, in deroga al divieto previsto dall’art. 187, comma 1 (nuovo comma 2 dell’art. 216-bis del Codice).

Tale miscelazione dovrà però avvenire nel rispetto delle condizioni che l’art. 187, comma 2, richiede per effettuare la miscelazione in deroga al comma 1 dell’art. 187 (assenza di maggiori impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente; miscelazione effettuata da un’impresa autorizzata; conformità con le migliori tecniche disponibili).

Nella relazione illustrativa che accompagnava l’A.C. 4240/XVI veniva sottolineato che la modifica restrittiva operata dal D.Lgs. 205/2010 ha “rivoluzionato le modalità di gestione dei rifiuti creando confusione e disagi ad alcune categorie di operatori, con gravissime ripercussioni su alcuni settori come quello del recupero degli oli usati” impossibilitati a “garantire la separazione dei lubrificanti, già raccolti dalle officine meccaniche, secondo le caratteristiche di pericolosità di ciascun lubrificante”.

 

 


 

Articolo 15
(Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011 in materia di valutazione di impatto ambientale. Procedura di infrazione 2009/2086 e procedura di infrazione 2013/2170)

 

 

L'articolo 15, modificato nel corso dell’esame al Senato, modifica in più punti la disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA) ed alla valutazione ambientale strategica (VAS), contenute nella parte seconda e nei relativi allegati del decreto legislativo n. 152 del 2006 (c.d. Codice ambientale), al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2086. Le modifiche alla disciplina vigente riguardano: la definizione di “progetto”; i progetti soggetti a verifica di assoggettabilità alla VIA (screening); l’accesso alle informazioni ed alla partecipazione al pubblico ai processi decisionali in materia di VIA e VAS e il contenuto degli allegati del citato decreto legislativo.

La riscrittura operata nel corso dell’esame, oltre che a correggere una serie di imprecisioni, apporta due sole modifiche sostanziali al testo iniziale del decreto-legge:

§  viene eliminato il coinvolgimento dei Ministeri dello sviluppo economico e dei beni culturali, semplificando quindi l’iter di emanazione del decreto ministeriale previsto dalla lettera c) del comma 1 (v. infra);

§  viene eliminato il comma 4 che disciplina i casi in cui devono essere sottoposti a screening “postumo”, anche a seguito di annullamento dell'autorizzazione in sede giurisdizionale, impianti già autorizzati e in esercizio per i quali lo screening era stato escluso sulla base delle soglie individuate nell'Allegato IV alla parte seconda del Codice e nella legislazione regionale di attuazione.

 

L’articolo in esame contiene disposizioni analoghe a quelle dettate dall’art. 22 del disegno di legge "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013-bis", in corso di esame presso il Senato (A.S. 1533), che si propone di superare le procedure di infrazione n. 2009/2086 e n. 2013/2170.

 

Nuova definizione di progetto
(lettere a) e b) del comma 1)

Il comma 1, lettera a), modifica, integrandola, la definizione di “progetto” contenuta nell’articolo 5, comma 1, lettere g) e h), del Codice ambientale, da un lato trasponendo integralmente la definizione recata dall’art. 1, paragrafo 2, lett. a), della direttiva 2011/92/UE[79], dall’altro riprendendo quanto stabilito dal testo previgente con riferimento ai contenuti informativi dei progetti.

La nuova definizione di "progetto" fa quindi ora riferimento, in linea con la direttiva, alla realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull'ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo.

Quanto ai contenuti del progetto, riprendendo la previgente formulazione della norma, la lettera a) richiede, ai fini della valutazione ambientale, che gli elaborati del progetto preliminare e del progetto definitivo siano predisposti con un livello informativo e di dettaglio almeno equivalente a quello richiesto per gli appalti e le concessioni di lavori pubblici (art. 93, commi 3 e 4, del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006).

Poiché la nuova definizione unifica le due precedenti definizioni di progetto (preliminare e definitivo) contenute nelle citate lettere g) ed h), la lettera b) del comma 1 dispone quindi l’abrogazione della lettera h) del comma 1 dell’articolo 5.

Progetti soggetti a verifica di assoggettabilità alla VIA (“screening")
(lettere c) e d) del comma 1; commi 2, 3 e 5)

Con le lettere c) e d) del comma 1 vengono introdotte nuove disposizioni, sostitutive di quelle introdotte dall’articolo 23 della legge 97/2013, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva capace di superare in maniera definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l’articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/92/UE[80].

Prima di proseguire occorre soffermarsi sulle disposizioni della direttiva e sui profili di non conformità della disciplina nazionale in vigore prima della pubblicazione del presente decreto-legge.

Le norme della direttiva europea e i profili di non conformità del testo previgente del Codice ambientale

Il paragrafo 2 dell’art. 4 della direttiva 2011/92/UE prevede che gli Stati membri debbano determinare se sottoporre o meno a VIA una serie di progetti (elencati nell’allegato II della direttiva) o conducendo un esame caso per caso oppure fissando delle soglie e/o dei criteri. Attraverso tali soglie o criteri gli Stati membri hanno la facoltà di definire quali progetti, rientranti nell’allegato II, debbano essere assoggettati a procedura di VIA.

L’articolo 4, paragrafo 3, della citata direttiva stabilisce invece che, nel fissare le soglie, gli Stati devono tenere in considerazione i criteri dettati dall’allegato III della direttiva. Al riguardo la Commissione europea, nell’ambito della richiamata procedura d’infrazione, ha criticato il fatto che la normativa italiana prendesse in considerazione solo alcuni di tali criteri (in particolare la “dimensione del progetto” e le “zone classificate o protette dalla legislazione degli Stati membri”, v. infra) senza tenere conto di tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva.

In effetti un esame delle disposizioni del Codice ambientale evidenzia che:

§  i progetti sottoposti a screening, elencati nell’allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono grosso modo gli stessi previsti dall’allegato II della direttiva, ma, a differenza della direttiva, l’allegato IV contempla sovente delle soglie dimensionali minime per sottoporre il progetto a verifica di assoggettabilità;

§  l’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che per i progetti di cui all'allegato IV relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione, che ricadono, anche parzialmente, all'interno di aree naturali protette come definite dalla legge n. 394 del 1991, la fase di screening sia saltata e si proceda direttamente alla VIA;

§  l’articolo 6, comma 9, prevedeva (prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in esame), in capo alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, non l’obbligo ma solo la facoltà di modificare le soglie previste in sede statale e di fissare criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Ciò non ha garantito che le soglie fissate dal D.Lgs. 152/2006, in maniera giudicata (dalla Commissione europea) non conforme al diritto dell’Unione, venissero modificate dalle regioni e dalle province autonome.

 

Al fine di superare le criticità sollevate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione, l’articolo 23 della legge n. 97 del 2013 ha introdotto nuove disposizioni, invece che intervenire direttamente sulle norme del Codice. Tali nuove disposizioni hanno previsto una procedura in due fasi per addivenire, da parte delle regioni, alla definizione di soglie e criteri per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base delle linee guida definite (nella prima delle due fasi) a livello statale.

Le disposizioni dettate dalle lettere c) e d) in commento sostituiscono la citata procedura con una procedura che prevede un’unica fase, delegificando l’individuazione delle soglie e dei criteri, che viene direttamente demandata ad un decreto ministeriale (il coinvolgimento delle regioni viene garantito prevedendo che in sede di emanazione del citato decreto venga acquisita l’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni).

Le nuove norme in esame intervengono direttamente sul testo del Codice ambientale.

Definizione, con decreto interministeriale, di ulteriori criteri per l’assoggettamento a screening

La lettera c) del comma 1 integra, infatti, il disposto dell’articolo 6, comma 7, lettera c), del D.Lgs. 152/2006, prevedendo che, per i progetti elencati nell’allegato IV, siano emanate con decreto interministeriale disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto prevista nell’allegato IV per l’assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri stabiliti nell’Allegato V.

La stessa lettera c) introduce, inoltre, un periodo che stabilisce che il decreto interministeriale deve anche dettare, alle regioni e alle province autonome, le modalità di adeguamento dei criteri e delle soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali.

La successiva lettera d) riscrive il comma 9 dell’articolo 6 del Codice ambientale, stabilendo che le soglie fissate dal decreto interministeriale non sono da considerarsi sostitutive bensì integrative delle soglie attualmente previste dall'Allegato IV del medesimo Codice.

Modalità e termini per l’emanazione del decreto interministeriale

Relativamente alle modalità di emanazione del decreto citato, la lettera c) del comma 1 stabilisce che esso venga adottato dal Ministro dell'ambiente:

-  di concerto il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per i profili connessi ai progetti di infrastrutture di rilevanza strategica;

-  previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni;

-  previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

 

Nell’ambito della riscrittura operata dal Senato dalla lettera c) è stato eliminato il coinvolgimento del Ministro dei beni culturali ed il parere del Ministro per lo sviluppo economico.

 

Il comma 2 prevede il decreto interministeriale dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.

Disciplina transitoria nelle more dell’emanazione del decreto interministeriale

La lettera c) del comma 1 stabilisce che, in attesa dell'entrata in vigore del decreto interministeriale in questione, lo screening è effettuato caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti all'allegato V del Codice.

Un’ulteriore norma transitoria è contenuta nel comma 3 e riguarda l’applicazione delle disposizioni dell’art. 6, comma 8, del Codice ambientale, relative al dimezzamento delle soglie dimensionali per particolari progetti. Tali disposizioni continuano ad applicarsi, ma solamente fino all’entrata in vigore del decreto interministeriale.

Il citato comma 8 prevede il dimezzamento delle soglie dimensionali, ove previste, per i progetti (di cui agli allegati III e IV) ricadenti all'interno di aree naturali protette. Lo stesso comma prevede che le medesime riduzioni si applichino anche per i progetti di cui all'allegato II, punti 4-bis) e 4-ter), relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale.

La cessazione dell’applicazione del citato comma 8 si spiega in ragione del fatto che tale disposizione risulterebbe in contrasto con il decreto interministeriale che dovrà definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto e non più limitatamente al solo criterio dimensionale finalizzato alla tutela delle aree naturali protette.

Abrogazione della precedente disciplina

Il comma 5 dispone l’abrogazione dell’articolo 23 della legge n. 97 del 2013, la cui disciplina è sostituita da quella delineata dalle lettere c) e d) testé commentate.

Pubblicità delle procedure di VIA e VAS
(lettere e), f), g), h) ed i) del comma 1)

Le lettere da e) ad i) del comma 1 introducono modifiche agli articoli 12, 17, 20, 24 e 32 del Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) relativamente all’accesso alle informazioni ed alla partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia di VIA e VAS.

In particolare, la lettera e) riscrive il comma 5 dell’articolo 12 del Codice al fine di prevedere la pubblicazione integrale sul sito web dell'Autorità competente del risultato (comprensivo delle motivazioni) della verifica di assoggettabilità a VAS.

Il testo vigente si limita invece a prevedere che tale risultato (comprensivo delle motivazioni) deve essere reso pubblico.

La successiva lettera f) riscrive il comma 1 dell’articolo 17 del Codice precisando che la pubblicazione della decisione finale della procedura di VAS (nonché delle altre informazioni contemplate dall’articolo 17: parere dell’autorità competente; dichiarazione di sintesi; misure di monitoraggio) deve sempre essere effettuata solamente sui siti web delle autorità interessate.

Il testo previgente prevedeva invece che la decisione finale fosse pubblicata nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della Regione, mentre per le altre informazioni contemplate dall’articolo 17 la pubblicazione sui siti web delle autorità interessate era contemplata come una delle modalità di pubblicazione.

Con riferimento alle lettere e) e f) si ricorda che la disciplina europea in materia di VAS è contenuta nella direttiva 2001/42/CE e che tale direttiva non impone la pubblicazione tramite internet, ma demanda agli Stati membri la determinazione delle “specifiche modalità per l'informazione e la consultazione delle autorità e del pubblico” (art. 6, comma 5, della direttiva 2001/42/CE).

È pur vero che l’art. 6, paragrafo 2, della direttiva 2011/92/UE prevede, in materia di VIA, che il pubblico sia “informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata come i mezzi di comunicazione elettronici, se disponibili”.

Si richiama altresì l’art. 32, comma 1, della L. 69/2009, come modificato dall’art. 9, comma 6-bis, del D.L. 179/2012, in base al quale “gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati”.

 

La lettera g) riscrive il comma 2 dell’articolo 20 del Codice ambientale modificando le modalità di pubblicazione:

§  della notizia dell’avvenuta trasmissione all'autorità competente, da parte del proponente, del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale dei progetti sottoposti a screening di VIA;

§  nonché dei citati documenti progettuali.

 

Rispetto al testo previgente, che prevedeva la pubblicazione nella G.U. (per i progetti di competenza statale) o nel Bollettino Ufficiale della Regione (per i progetti di rispettiva competenza), nonché all'albo pretorio dei comuni interessati, il testo previsto dalla norma prevede unicamente la pubblicazione sul sito web dell’autorità competente.

La norma conferma quanto disposto dal testo previgente in merito al deposito di copia integrale degli atti presso i Comuni ove il progetto è localizzato e, nel caso di progetti di competenza statale, anche presso la sede delle Regioni e delle Province autonome interessate.

Viene invece ampliata, rispetto al testo previgente, la pubblicità del progetto preliminare, prevedendo la pubblicazione in formato digitale dell’intero progetto e non, come disponeva il testo previgente, dei soli principali elaborati del progetto medesimo. Tale disposizione è però contemperata da una norma che esclude la pubblicazione di eventuali dati coperti da segreto industriale.

 

Viene altresì stabilito che la notizia dell’avvenuta trasmissione all’autorità competente del progetto preliminare e dello studio preliminare ambientale deve dare conto della procedura e della data di avvio della medesima.

Tale innovazione in merito all’obbligo di informare sulla procedura e sulla data di avvio sono introdotte anche al comma 3 dell’articolo 24 del Codice ambientale (relativo alla procedura di consultazione in materia di VIA) ad opera della successiva lettera h).

 

Analoghi obblighi di pubblicità sui siti web sono previsti per i progetti "transfrontalieri" (articolo 32, del D.Lgs. 152/2006). Infatti la lettera i) integra il comma 1 del citato art. 32, introducendo, per le consultazioni transfrontaliere in materia di VIA-VAS, l’obbligo di dare evidenza pubblica alla notifica mediante pubblicazione sul sito web dell’autorità competente.

Si ricorda che il testo dell’articolo 32 prevede al comma 1, primo periodo (non modificato dalla lettera in esame), che in caso di piani, programmi, progetti e impianti che possono avere impatti rilevanti sull'ambiente di un altro Stato, o qualora un altro Stato così richieda, il Ministero dell'ambiente provveda alla notifica dei progetti e di tutta la documentazione concernente il piano, programma, progetto o impianto.

Modifiche agli allegati
(lettere l), m), n), o), p), q) ed r) del comma 1)

Le lettere da l) ad r) del comma 1 contengono disposizioni di modifica degli allegati alla parte seconda del Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) i quali delimitano il campo di applicazione delle valutazioni ambientali nazionali e regionali, elencando i piani e i progetti che vi sono sottoposti.

 

La lettera l) aggiunge, ai progetti sottoposti a VIA statale, quelli relativi ad impianti destinati al trattamento ed allo stoccaggio di residui radioattivi (non compresi tra quelli già individuati nel punto 3 dell'Allegato II), qualora disposto all’esito dello screening.

Si ricorda che, ai sensi del punto 3 dell'allegato II, sono già sottoposti a VIA statale gli impianti destinati al trattamento di residui altamente radioattivi, nonché gli impianti destinati esclusivamente allo stoccaggio (previsto per più di dieci anni) di residui radioattivi in un sito diverso da quello di produzione.

Con la norma introdotta dalla lettera l) saranno assoggettati a VIA statale, qualora così disposto dalla fase di screening, p.es. anche gli impianti di trattamento di residui non altamente radioattivi, nonché gli impianti ove avviene esclusivamente uno stoccaggio, per meno di dieci anni, di residui radioattivi.

 

La lettera n) modifica il punto 10), terzo trattino, dell’Allegato II (che elenca i progetti sottoposti a VIA statale) alla parte seconda del Codice, eliminando l’aggettivo “extraurbane”. In tal modo risultano sottoposte a VIA le opere relative a tutte le strade (non solo extraurbane, ma anche urbane) a quattro o più corsie, in linea con quanto previsto dall’Allegato I, n. 7), lettera c), della direttiva 2011/92/UE che fa riferimento generico alla costruzione di “nuove strade a quattro o più corsie”.

 

Le lettere m) ed o) si limitano a meglio precisare le disposizioni di cui ai punti 7-ter) e 17) dell’Allegato II alla parte seconda del Codice, relative ad opere connesse allo stoccaggio di CO2, facendo rinvio alle pertinenti definizioni recate dall’art. 3 del decreto legislativo n. 162 del 2011 con cui è stata recepita la direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CO2).

 

La lettera p) aggiunge la costruzione di strade urbane di scorrimento o di quartiere tra le opere assoggettate a screening di VIA elencate nell’Allegato IV alla parte seconda del Codice.

La modifica non sembra presentare problemi di compatibilità con la direttiva, il cui allegato II, al numero 10), lettera e), fa generico riferimento alla “costruzione di strade”.

 

La lettera q) modifica l'Allegato IV, che elenca i progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità, operando una riscrittura della lettera o) del punto 7 relativa alle opere sui corsi d'acqua.

Rispetto al testo previgente, che assoggettava a screening le "opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione e interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale", il nuovo testo si limita a contemplare le opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d'acqua. Vengono quindi esclusi gli interventi di bonifica e quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale.

La modifica sembra consentire una maggiore aderenza alla direttiva, il cui allegato II, al numero 10), lettera f), si riferisce solamente alla costruzione di vie navigabili interne, nonché ad opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d'acqua.

 

 

La lettera r) modifica l'Allegato IV che elenca i progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità, sostituendo la lettera n) del punto 8, al fine di assoggettare allo screening tutti i depositi di fanghi, compresi quelli provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, con capacità superiore ai 10.000 metri cubi.

Il testo previgente limitava invece lo screening ai depositi di fanghi, con capacità superiore ai 10.000 metri cubi, non disciplinati dal Codice. Erano quindi esclusi, ad es., quelli relativi a fanghi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che, ai sensi dell’art. 127 del Codice, “sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione”.

La modifica in esame appare in linea con il disposto della direttiva la quale, all’allegato II, al numero 11), lettera d), fa generico riferimento a “depositi di fanghi”.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 28 marzo 2014, la Commissione ha emesso nei confronti dell’Italia un parere motivato nell’ambito della procedura di infrazione n. 2009/2086, avviata per la non conformità alla direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale (VIA), come modificata dalle direttive 97/11/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE, della normativa italiana con particolare riferimento alle disposizioni contenute nella parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006 - come modificato dal D.Lgs. 4/2008.

In conformità alla giurisprudenza della Corte, la procedura di infrazione continua il suo corso anche se le direttive cui si fa riferimento sono state abrogate dalla direttiva 2011/92/UE, che reca i medesimi obblighi da parte degli Stati membri.

La procedura di infrazione n. 2009/2086, era stata avviata il 14 aprile 2009 con l’invio all’Italia di una lettera di messa in mora, che considerava non correttamente recepite le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening)[81]. Successivamente, il 27 febbraio 2012, la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare.

Le osservazioni contenute nel parere motivato del 28 marzo 2014 tengono conto del rinvio all’emanazione di apposite linee guida recato dall’articolo 23 della legge n. 97/2013 (legge europea 2013) che, ad avviso delle autorità italiane, avrebbero consentito di superare i rilievi della Commissione. La Commissione osserva che alla data del 28 marzo 2014, le linee guida non risultavano emanate e che, pur prendendo atto della volontà delle autorità italiane di superare i rilievi oggetto della procedura di infrazione, esplicitata dal disegno di legge europea bis inviato alla Commissione, non è garantita l’approvazione del testo entro termini ristretti.

I rilievi contenuti nel parere motivato del 28 marzo 2014 riguardano i seguenti punti:

§  il decreto legislativo n. 152/2006 dà una definizione di “progetto” che, a differenza della definizione data dalla direttiva (articolo 1, par. 2, lett. a), non consente di sapere quali progetti debbano essere sottoposti alla VIA, sollevando, in tal modo, potenziali questioni di certezza del diritto;

§  le disposizioni relative alla disciplina del c.d. screening o verifica di assoggettabilità a VIA, come definita dall’articolo 4, paragrafi da 1 a 3 della direttiva, in combinato con gli allegati I e II (elenco dei progetti cui si applica la direttiva) e III (criteri di selezione dei progetti cui si applica la procedura di screening), non risultano correttamente recepite dal momento che la legislazione italiana (allegati II, III, o IV del Dlgs 152/2006 modificato) fissa per i progetti cui si applica la direttiva, elencati all’allegato II, soglie dimensionali al di sotto delle quali si presuppone che i progetti siano tali da non avere in nessun caso impatti notevoli sull’ambiente.

Richiamando una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, la Commissione sottolinea, al contrario, come gli Stati membri, anche nel caso in cui decidano di stabilire soglie per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, hanno l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri elencati nell’allegato III della direttiva (art 4, par. 3 della direttiva), che dunque non possono considerarsi automaticamente assorbiti dalla fissazione di soglie, determinate, peraltro, tenendo conto prevalentemente di soli criteri di tipo dimensionale. In particolare, la Commissione ribadisce che uno Stato membro il quale, sulla base dell’articolo 4(2) della direttiva, stabilisce soglie e/o criteri che tengono conto solo della dimensione dei progetti, senza prendere in considerazione gli altri criteri elencati nell’allegato III della direttiva, eccede i limiti della discrezionalità di cui dispone ai sensi degli articolo 2(1) e 4(2) della direttiva stessa;

§  sulla base dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo n. 152/2006, le regioni possono, da un lato, definire una variazione, in diminuzione o in aumento, delle soglie per la verifica di assoggettabilità alla VIA di determinate tipologie progettuali o aree predeterminate e, dall’altro, determinare, anche per particolari situazioni ambientali e territoriali, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità. Ad avviso della Commissione, pur trattandosi di una possibilità e non di un obbligo, vi è la possibilità che si escluda dalla VIA un maggior numero di progetti rispetto a quelli esclusi applicando le soglie nazionali. Come precisato anche dalla Corte di giustizia, uno Stato membro che stabilisce soglie o criteri ad un livello che permetta, in pratica, di escludere a priori tutti i progetti rientranti in una certa tipologia dall’obbligo di effettuare la VIA eccede i limiti della discrezionalità, pure contemplata dalla direttiva;

§  la normativa italiana non fornisce una corretta trasposizione delle disposizioni relative alla consultazione del pubblico (in particolare, l’articolo 6, par. 2, lett. b ed f). Infatti, il decreto legislativo n. 152/2006 non prevede né che il progetto sia assoggettato alla VIA né che il pubblico sia informato delle eventuali procedure di consultazione trasnsfrontaliere. Inoltre esso risulta carente nell’enumerazione delle informazioni che possono essere messe a disposizione del pubblico, indicate nella direttiva;

§  la non conforme trasposizione degli allegati I e II (che elencano le categorie di progetti a cui la direttiva si applica) comporta, ad avviso della Commissione, un’indebita restrizione del campo di applicazione della direttiva (escludendo, ad esempio, le strade urbane, i siti di stoccaggio di biossido di carbonio, di residui radioattivi, i progetti di opere di canalizzazione e di regolazione dei corsi d’acqua che non incidono sul regime delle acque, i depositi di fanghi derivanti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane).

Con il parere motivato, la Commissione riprende un ulteriore profilo di non conformità della normativa italiana con la direttiva (punto 10, lettera f, dell’Allegato II), inizialmente sollevato nella lettera di messa in mora complementare inviata all’Italia il 21.11.2013, nell’ambito della procedura di infrazione n. 2013/2170, relativa ai lavori di disostruzione dell'alveo del fiume Piave. Tale ultima procedura, in relazione alla quale le autorità italiane hanno inviato alla Commissione il testo dell’emendamento al disegno di legge europea bis in esame, viene di fatto assorbita e trattata come CTS (cas traité sous) nell’ambito della procedura di infrazione n. 2009/2086.

 

Si segnala che è attualmente all’esame del Senato in seconda lettura il disegno di legge europea bis, approvato dalla camera in prima lettura l’11 giugno 2014, che reca, all’articolo 22, disposizioni volte al superamento dei rilievi della Commissione (AS 1533).


 

Articolo 15-bis
(Semplificazioni in materia di rifiuti)

 

 

Durante l’esame al Senato, è stato introdotto l’articolo 15-bis, che prevede un decreto del Ministero dell’ambiente per l’adozione di misure di semplificazione per le operazioni di trattamento degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggi non pericolosi provenienti da imprese.

 

Le misure di semplificazione per il trattamento degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio non pericolosi

 

Il comma 1 dell’art. 15-bis prevede un decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare da emanarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, per l’adozione delle misure necessarie al fine di semplificare le operazioni di trasporto, stoccaggio e preparazione per il riutilizzo degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio non pericolosi, prodotti nell’ambito delle attività delle imprese.

Il decreto è emanato ai sensi di quanto previsto all’articolo 180-bis del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 che in particolare prevede uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata per la definizione di modalità operative per la costituzione e il sostegno di misure logistiche, compresa la definizione di procedure autorizzative semplificate.

 

I principi e criteri direttivi del decreto per il trasporto e il deposito dei rifiuti di imballaggio

 

La lettera a) del comma 1 prevede una procedura semplificata per l’iscrizione in un'apposita sezione dell'Albo nazionale dei gestori ambientali, dei mezzi per il trasporto dei rifiuti di imballaggio non pericolosi tra diverse unità locali della medesima impresa, eseguito anche da soggetti terzi, con la condizione di utilizzare i medesimi mezzi impiegati per la consegna degli imballaggi pieni.

L'art. 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006 ha costituito, presso il Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, l'Albo nazionale gestori ambientali. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono istituite sezioni speciali del Comitato nazionale per ogni singola attività soggetta ad iscrizione all'Albo, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e ne vengono fissati composizione e competenze.

La lettera b) prevede l’assenza di autorizzazione per il deposito dei rifiuti presso il luogo o i luoghi di raggruppamento iscritti nell'apposita sezione dell'Albo nazionale gestori ambientali.

La condizione prevista è il rispetto dei limiti quantitativi e temporali e delle ulteriori condizioni per il deposito temporaneo dei rifiuti definiti all'art. 183, comma 1, lettera bb) del d.lgs. 152/2006, ad eccezione del requisito concernente il luogo di produzione dei rifiuti, il quale si intende stabilito presso il luogo indicato dall’impresa nell’ambito della procedura di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali.

In particolare, il deposito temporaneo, ai sensi della lettera bb), comma 1 dell’art. 183, prevede che i rifiuti siano raggruppati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, rispettano inoltre la seguente condizione:

1) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi.

In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

 

La lettera c) prevede un documento semplificato di trasporto, in sostituzione del formulario di identificazione dei rifiuti di cui all’articolo 193 del d.lgs. 152/2006, per il trasporto dei rifiuti di cui al presente comma.

L’articolo 193 del d.lgs. 152/2006 prevede che per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti e non sono obbligati o non aderiscono volontariamente al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), i rifiuti devono essere accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati:

a)  nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore;

b)  origine, tipologia e quantità del rifiuto;

c)  impianto di destinazione;

d)  data e percorso dell'istradamento;

e)  nome ed indirizzo del destinatario.


 

Articolo 16, commi 1-3-bis
(Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio.
Modifiche al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 32, recante attuazione della direttiva 2007/2/CE, che istituisce un'infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea)

 

 

L’articolo 16 contiene interventi di adeguamento dell’ordinamento a rilievi mossi a livello europeo alla normativa interna relativa alla protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio (legge n. 157/1992) e all’infrastruttura per l’informazione ambientale georeferenziata (cd. informazione territoriale) (D. Lgs. n. 32/2010).

Il decreto legge in esame – con tale articolo - di fatto anticipa la vigenza, nonché implementa, talune misure già contenute in materia dal DDL europea 2013-bis (articoli 20 e 21), attualmente all’esame in seconda lettura del Senato (A.S. 1533).

 

Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Procedura di infrazione 2014/2006, Caso EU-Pilot [82] 4634/13/ENVI, Caso EU-Pilot 5391/13/ENVI

 

L’articolo 16, commi da 1 a 3-bis modificano in vario modo sulla legge n. 157/1992.

 

In particolare, il comma 1, interamente sostituito nel corso dell’esame al Senato, interviene sulla disciplina della cattura temporanea e dell’inanellamento di cui all’articolo 4, comma 3 della legge n. 157/1992, al fine di prevedere che l'autorizzazione alla gestione degli impianti che svolgono l'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo degli uccelli debba essere data dalle regioni nel rispetto delle condizioni e delle modalità che definiscono l'attività di caccia in deroga di cui all’articolo 19-bis[83].

 

Il comma 1 in esame – come riscritto nel corso dell’esame al Senato -  corrisponde a quanto previsto dall’articolo 20 del già richiamato DDL europea 2013-bis (A.S. 1533). L'intervento normativo è contenuto in tale articolo è esplicitamente finalizzato a superare i rilievi della Commissione europea nell'ambito della procedura d'infrazione 2014/2006 in materia di divieto delle attività di cattura di uccelli a fini di richiamo mediante reti.

 

Si segnala che il comma 1, nella formulazione oeriginaria del D.L. precedente alle modifiche apportate dal Senato, vieta tout court la cattura degli uccelli ai fini di richiamo, salvo nei casi previsti dall'articolo 19-bis (lettera a) che modifica il citato comma 3 dell’articolo 4 della legge n. 157). Ed, in conseguenza di tale divieto, abroga la norma (contenuta nel comma 4 dell’articolo 4 della medesima legge n. 157) che consentiva la  cattura per la cessione a fini di richiamo solo per esemplari appartenenti alle seguenti specie: allodola; cesena; tordo sassello; tordo bottaccio; merlo; pavoncella e colombaccio, e imponeva di liberare immediatamente dopo l’inanellamento gli esemplari appartenenti ad altre specie (lettera b)). Contemporaneamente il medesimo comma 1, nella formulazione originaria del D.L., esplicita (con una novella al comma 2 dell’articolo 5) che le specie sopradette (allodola; cesena; tordo sassello; tordo bottaccio; merlo; pavoncella e colombaccio) sono quelle per le quali le regioni  emanano le norme relative alla costituzione e gestione del patrimonio di richiami vivi, non più di cattura (lettera a)).

Tutto questo impianto normativo modificatorio e abrogatorio viene dunque soppresso attraverso la riformulazione del comma 1 in esame intervenuta al Senato.

Alla luce di tali considerazioni sembrerebbe necessario inserire una norma di coordinamento che permetta di far rivivere quelle norme (art. 4, comma 4 della L. 157/1992) che sono state abrogate con la normativa introdotta con il testo iniziale del decreto-legge in esame.

 

Il comma 1, come riformulato dal Senato, ripristina quanto previsto dal comma 3 dell’art. 4 della legge n.157/1992, nella formulazione previgente alle modifiche apportate dal D.L., nella parte in cui prevedeva che l’attività di cattura per l’inanellamento e per la cessione ai fini di richiamo potesse essere svolta esclusivamente da impianti della cui autorizzazione fossero titoalri le province, gestiti da personale qualificato e valutato idoneo dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica[84].

 

I nuovi commi 1-bis e 1-ter introdotti nel corso dell’esame in prima lettura al Senato, prevedono che:

·        entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, con D.P.C.M., da adottarsi su proposta della Conferenza Stato-Regioni, previa acquisizione del parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, siano definiti:

a) i criteri per autorizzare mezzi e impianti di cattura conformi a quelli utilizzati in altri Paesi dell'Unione Europea e non proibiti dall'allegato IV della direttiva 2009/147/UE sulla conservazione degli uccelli selvatici[85];

b) le regole e le condizioni per l'esercizio dell'attività di controllo, con particolare riferimento al metodo di cattura selettivo e occasionale;

c) le modalità di costituzione di apposite banche dati regionali;

d) i criteri per l'impiego misurato e la definizione delle quantità (comma 1-bis).

·        entro sei mesi dall'adozione del predetto D.P.C.M., le Regioni adeguino la propria normativa alle disposizioni del medesimo decreto (comma 1-ter).

Secondo quanto riportato nella relazione al disegno di legge presentato al Senato di conversione del decreto-legge, la modifica è finalizzata a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU-Pilot 4634/13/ENVI(152) .

 

 

Il comma 2 dell’articolo in esame integra – attraverso l’aggiunta di un ultimo periodo al comma 1 dell’articolo 13 della legge n. 157/1992 - la disciplina dei mezzi per l’esercizio dell’attività venatoria, prevedendo che i caricatori dei fucili ad anima rigata a ripetizione semiautomatica non possono contenere più di due cartucce durante l’esercizio dell’attività venatoria e – secondo l’aggiunta introdotta in sede di esame in prima lettura – possono contenere fino a 5 cartucce limitatamente all’esercizio della caccia al cinghiale.

 

L’articolo 13 della legge n. 157 dispone, in particolare, al comma 1 che l'attività venatoria è consentita con l'uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40[86].

 

Il comma 3 interviene sui divieti contenuti nell’articolo 21 della legge n. 157 ed in particolare:

·        sul divieto di vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, al fine di specificare che tale divieto si riferisce agli uccelli – non più generalmente appartenenti alla fauna selvatica – ma agli uccelli anche se importati dall'estero, appartenenti a tutte le specie viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione europea. Rimane ferma l’esclusione da tale divieto delle seguenti specie: germano reale; pernice rossa; pernice di Sardegna; starna; fagiano; colombaccio (modifica alla lettera bb) del comma 1 dell’articolo 21);

·        sul divieto di commercio di esemplari vivi di specie di avifauna selvatica nazionale non proveniente da allevamenti. La modifica è volta a specificare che si tratta di allevamenti di specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell'Unione europea anche se importati dall'estero (modifica alla lettera cc) del comma 1 dell’articolo 21).

La relazione illustrativa afferma che il comma 3 è volto a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell'ambito della procedura d'informazione EU-Pilot 5931/13/ENVI.

 

Nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto un nuovo comma 3-bis il quale interviene sul divieto – previsto nella lettera m) del già citato articolo 21 della legge n. 157/1992 - di cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve. Il divieto è attualmente previsto salvo che nella zona faunistica delle Alpi, e - secondo quanto introdotto dal comma 3-bis in esame - per l’attuazione della caccia di selezione agli ungulati.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Art. 16, comma 1 (Protezione fauna omeoterma)

In relazione alle disposizioni che modificano la legge n. 157/1992 in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio, si segnala che la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione (n. 2014/2006), inviando in data 20 febbraio 2014, una lettera di messa in mora ex art. 258 TFUE per la violazione della direttiva n. 2009/147/CE (conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva Uccelli).

La procedura di infrazione segue una fase precontenziosa nell’ambito di una procedura Eu Pilot (1611/10/ENVI)[87].

Nella lettera di messa in mora la Commissione ricorda in via preliminare che, a norma dell’art. 8 e dell’allegato IV, della direttiva Uccelli, la cattura di tali animali mediante l’utilizzo di reti è vietata. Tuttavia, a norma dell’articolo 9 della direttiva medesima, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni dell’articolo 8 purché le deroghe soddisfino le condizioni stabilite dallo stesso articolo 9.

La legge n. 157/1992 in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio, che ha recepito la direttiva Uccelli, ha previsto il divieto dell’uso di animali vivi al di fuori dei casi tassativamente previsti e il divieto di usare reti. Le regioni hanno adottato leggi di recepimento della normativa nazionale e, in particolare, hanno introdotto la possibilità per le province di gestire impianti di cattura per fornire richiami vivi ai cacciatori. Le regioni in cui risultano attivati tali impianti sono la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, le Marche, la Provincia autonoma di Trento e il Friuli Venezia Giulia.

La Commissione europea, nella lettera di messa in mora, ha evidenziato la violazione da parte dell’Italia degli articoli 8, in combinato disposto con l’Allegato IV, e dell’articolo 9 della direttiva Uccelli per i seguenti motivi:

§  le regioni Veneto, Toscana e Lombardia hanno autorizzato la cattura tramite reti di sette specie di uccelli (Columba palumbus, Turdus pilaris, Turdus iliacus, Turdus merula, Vanellus vanellus, Alauda arvensis), nonostante il divieto posto dall’articolo 8, in combinato disposto con l’Allegato IV, della direttiva Uccelli;

§  le autorizzazioni non rispettano le condizioni di deroga tassativamente indicate dall’articolo 9 della direttiva medesima, come precisato anche dalla Corte di giustizia europea nella sentenza relativa alla causa C-118/94 (mancanza di soluzioni alternative; esistenza di almeno uno dei motivi tassativamente indicati dall’articolo 9 medesimo, volti alla limitazione rigorosa dei casi di deroga, e cioè, impieghi misurati, piccole quantità, condizioni rigidamente controllate, modalità di cattura rigidamente selettive; la possibilità di controllo da parte della Commissione). In particolare, le autorizzazioni basate sulle leggi regionali e i provvedimenti amministrativi adottati dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Toscana sono state concesse senza la dimostrazione della mancanza di soluzioni alternative e senza il rispetto delle condizioni indicate dall’articolo 9 della direttiva. Inoltre, il ricorso prolungato a tali pratiche, che si configura come un regime di cattura permanente, è in contraddizione con il carattere eccezionale dell’istituto della deroga;

§  la addotta mancanza di soluzioni alternative non è condivisibile, dal momento che la caccia può avvenire, ad avviso della Commissione, anche utilizzando richiami a bocca, come avviene, non solo in altri Stati membri, ma anche nella maggior parte delle regioni italiane. Inoltre, in caso di assoluta necessità, si potrebbe fare ricorso ad esemplari allevati in cattività, sistema non vietato dalla direttiva Uccelli. L’impossibilità di soddisfare la richiesta, addotta dalle autorità italiane, non è ritenuta un motivo valido, visto il mancato avvio, nel corso di più di trent’anni dal recepimento della direttiva, delle necessarie strutture di allevamento;

§  l’uso delle reti non consente la cattura selettiva degli uccelli né delle specie che si intendono catturare né di altre specie eventualmente catturate con tale sistema, nonostante gli accorgimenti utilizzati (presenza di personale specializzato, larghezza delle maglie delle reti), come affermato sia dall’ISPRA, in una relazione allegata alla documentazione inviata dalle autorità italiane, sia dalla giurisprudenza italiana[88];

§  non è configurabile neanche un uso misurato delle deroghe, ai sensi dell’articolo 9 della direttiva Uccelli, dal momento che nelle tre regioni esse sono autorizzate anche nei confronti di specie di uccelli (Pavoncella e Allodola) che, sulla base dei dati scientifici disponibili, presentano condizioni sfavorevoli in Italia e in Europa[89];

§  le deroghe, inoltre, non soddisfano l’esigenza posta dalla direttiva di condizioni rigidamente controllate. Infatti, gli atti autorizzativi non indicano né la localizzazione degli impianti di cattura né i periodi entro i quali può essere effettuata l’attività di cattura né la tipologia e la quantità (nonché le risorse) dei controlli da effettuare per garantire il rispetto delle condizioni[90];

§  la quantità di esemplari catturati nelle regioni in questione dipende unicamente dalle richieste dei cacciatori e dalla quantità di uccelli che possono essere detenuti e utilizzati da ciascun cacciatore (articolo 5 della legge n. 157/1992). Non risulta pertanto rispettata la condizione di piccola quantità, quantificabile, sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia fatta propria dalla Commissione, nell’1 per cento del tasso totale di mortalità annuale della popolazione della specie interessata alla deroga. Le condizioni adottate dalle regioni non permettono in alcun modo il controllo del quantitativo di uccelli vivi utilizzati e non esistono inoltre banche dati. La stessa ISPRA ha più volte espresso parere negativo sui provvedimenti regionali che, di volta in volta, hanno autorizzato le deroghe;

§  nei provvedimenti regionali non si fa riferimento alle condizioni di rischio in cui le deroghe possono essere applicate (ad esempio, le modalità di gestione del rischio di cattura di specie non oggetto di deroga o di quello connesso alla cattura di quantità superiori a quelle stabilite nel provvedimento di deroga);

§  i provvedimenti non fanno alcun riferimento ai controlli e alle loro modalità di effettuazione, senza la definizione di un programma di controlli rafforzati, adeguato alle condizioni di rischio (periodo della deroga, numero di impianti, localizzazione e controllabilità degli impianti, orari di esercizio, catture di specie non target, cattura di un numero di uccelli superiore a quello autorizzato, precedenti casi di frode e mercato nero di uccelli illegalmente catturati da questi impianti, ecc.).

Art. 16, comma 2 (Disposizioni in materia di fucili da caccia)

Il comma 2 reca - come indicato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge - disposizioni volte al superamento della procedura precontenziosa EU-Pilot 4634/13/ENVI.

Tale procedura è stata avviata dalla Commissione europea rilevando che l’articolo 13 della legge n. 157/1992 sarebbe in contrasto con il combinato disposto dell’articolo 5 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) e degli Allegati V e VI della direttiva medesima e con le analoghe disposizioni della Convenzione di Berna sulla protezione della vita selvatica in Europa[91].

In particolare, la norma italiana prevede che il limite di due cartucce nel caricatore, oltre al colpo in canna, è applicabile solo ai fucili con canna ad anima liscia e non anche alle carabine (fucili da caccia con canna ad anima rigata). Invece, l’Allegato VI della direttiva Habitat stabilisce il divieto di impiego di armi semiautomatiche con caricatore contenente più di due cartucce.

Anche il decreto legislativo n. 204/2010, emanato in attuazione della direttiva 2008/51/CE, non prevede alcuna limitazione di colpi per le carabine usate per la caccia, in particolare del camoscio alpino. Inoltre, l’allegato F del D.P.R. n. 357/97, pur vietando l’uso per la caccia delle armi con caricatore contenente più di due cartucce (più una in canna), non prevede, in caso di violazione, alcuna sanzione per i trasgressori.

Alla luce di quanto premesso, la Commissione chiede, tra l’altro, alle autorità italiane:

§  i provvedimenti che si intende adottare per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni della direttiva Habitat;

§  le modalità per la protezione del camoscio alpino e per la regolamentazione dell’attività venatoria nelle zone in cui vive tale specie.

Art. 16, comma 3 (Divieto di commercializzazione di specie ornitiche)

Si segnala che, in relazione all’applicazione della direttiva 79/409/CEE (direttiva Uccelli), la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia un procedura di precontenzioso (Eu-Pilot 5391/13/ENVI).

In particolare, alla Commissione risulterebbe un’intensificazione nel Nord Italia, a partire dal 2009, del vendita di passeri surgelati di provenienza tunisina (Passer hispaniolensis, Passer Italiae, Passerdomesticus). Si tratta di specie a cui si applica, sulla base dell’articolo 6 della direttiva Uccelli, il divieto di vendita, di detenzione per la vendita nonché di offerta in vendita. Di conseguenza gli ufficiali del Corpo Forestale dello Stato hanno ripetutamente compiuto sequestri di partite di passeri surgelati detenute da commercianti. Tutti i sequestri sono stati però annullati dai pubblici ministeri sulla base di alcune sentenze della Corte di Cassazione che, diversamente da come deliberato in casi simili dalla Corte di Giustizia UE (Causa C-202/94), non riconoscono che a tali esemplari, catturati e uccisi al di fuori dell'UE ma commercializzati all'interno dell'UE, debba applicarsi la direttiva uccelli.

Alla luce di tali premesse, pertanto, la Commissione chiede al Governo italiano di fornire chiarimenti circa il problema di compatibilità tra gli indirizzi della Corte di Cassazione e l'interpretazione della direttiva data dalla Corte di Giustizia UE. Inoltre, il Governo italiano è invitato a indicare quali iniziative intende adottare per assicurare che la giurisprudenza nazionale si allinei a quella della Corte UE. Infine, si chiedono informazioni su eventuali procedure in corso dinanzi ai tribunali nazionali sulle stesse tematiche.

 

 


 

Articolo 16, commi 4, 5 e 5-bis
(Infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea (INSPIRE) e partecipazione del pubblico ai piani o ai programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica)

 

 

L’articolo 16, commi 4 e 5, modifica la disciplina nazionale che istituisce un'infrastruttura per l'informazione territoriale nell’Unione europea (Inspire), al fine di consentire lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzo di dati geografici e ambientali interoperabili e dei servizi collegati a questi dati.

Durante l’esame al Senato è stato introdotto il comma 5-bis sulla partecipazione del pubblico nel procedimento relativo ai piani o ai programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica.

In particolare, con i commi 4 e 5, si modifica in più punti il d.lgs. n. 32/2010, attuativo della direttiva 2007/2/CE, (di seguito direttiva), che istituisce un'infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità Europea (Inspire), allo scopo di rispondere alle considerazioni e ai rilievi della Commissione europea nell’ambito della procedura EU Pilot 4467/13/ENVI. Le modifiche alla disciplina investono profili di carattere formale e sostanziale e riguardano: l’ambito di applicazione; i metadati; il Geoportale nazionale; l’interoperabilità dei set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi; l’accesso al pubblico dei servizi di rete; la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le autorità pubbliche; l’attività di monitoraggio e di rendicontazione.

I commi 4 e 5 e il comma 5-bis del’articolo 16 in esame sono identici rispettivamente a quanto previsto dagli articoli 21 e 17 dell’A.S. 1533, recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013 bis, all’esame del Senato

 

La direttiva Inspire (acronimo per Infrastructure for Spatial Information in Europe - Infrastruttura per l'Informazione Territoriale in Europa) reca le norme per l’istituzione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale nell’Unione europea, con la finalità di consentire lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzo di dati geografici e ambientali interoperabili e di servizi legati a tali dati. L’interesse principale della direttiva è, infatti, rivolto soprattutto alle politiche ambientali comunitarie e alle politiche o alle attività che possono avere ripercussioni sull’ambiente.

Inspire si fonda sulle infrastrutture per l'informazione territoriale create e gestite dagli Stati membri (art. 1). La direttiva è diretta soprattutto alle pubbliche amministrazioni che gestiscono la maggior parte dei dati territoriali. Si applica ai set di dati territoriali su cui uno Stato membro ha e/o esercita diritti giurisdizionali, che sono disponibili in formato elettronico, che sono detenuti da (o per conto di) un’autorità pubblica, oppure terzi (artt. 3 e 4). Gli Stati membri sono, inoltre, tenuti ad inviare alla Commissione una relazione sull’attuazione della direttiva comprendente, tra l’altro, anche un’analisi dei relativi costi/benefici, che deve essere aggiornata con cadenza triennale (art. 21). Anche la Commissione europea (art. 23) è tenuta a presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della direttiva entro il 15 maggio 2014 e successivamente ogni sei anni.

Per l'attuazione della direttiva, sono stati emanati il regolamento (CE) n. 1205/2008 (per quanto riguarda i metadati), la decisione 2009/442/CE (per quanto riguarda il monitoraggio e la rendicontazione), il regolamento (CE) n. 976/2009 (per quanto riguarda i servizi di rete), il regolamento (UE) n. 268/2010 (per quanto riguarda l'accesso ai set di dati territoriali e ai servizi ad essi relativi degli Stati membri da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari in base a condizioni armonizzate) e il regolamento (UE) n. 1089/2010 (per quanto riguarda l'interoperabilità dei set di dati territoriali e dei servizi di dati territoriali).

Le modifiche al testo del decreto legislativo richiamato sono confrontate nel prosieguo della trattazione con la normativa vigente e con le prescrizioni della direttiva.

 

Finalità e ambito di applicazione

(lettere a) - d) del comma 4)

 

Il comma 4, lettere a)-d), reca modifiche all’articolo 1 sulle finalità e sull’ambito di applicazione del d.lgs. 32/2010 (di seguito decreto), in relazione ai set di dati territoriali e alle condizioni previste per l’applicazione delle norme del decreto medesimo. In particolare:

- la lettera a), che modifica il comma 3, lettera b), numero 2, dell’articolo 1 del decreto, stabilisce che i set di dati territoriali, considerati per l’applicazione delle norme del decreto riguardano i dati detenuti da o per conto di terzi che possono accedere alla rete ai sensi dell’articolo 7 del decreto, in cui sono disciplinati i servizi di rete e la tipologia dei servizi offerti;

- la lettera b) inserisce al comma 3, con la nuova lettera c-bis), un’ulteriore condizione sui set di dati territoriali considerati, ai fini dell’applicazione del decreto. Si richiede, infatti, che i dati riguardino un territorio soggetto alla sovranità italiana, come indicato dalla direttiva;

- la lettera c), che sostituisce al comma 5 il riferimento ai dati di cui alla lettera c) con quelli di cui alla lettera b), riguarda la possibilità dell’autorità pubblica di intervenire sui set di dati territoriali, detenuti da terzi in base a diritti di proprietà intellettuale, solo previa autorizzazione dei terzi medesimi, come previsto dalla direttiva;

- la lettera d) modifica il comma 7 e prevede l’applicazione del decreto ai set di dati territoriali detenuti da o per conto dei comuni, soltanto nei casi in cui l'obbligo di raccolta o divulgazione da parte di tali enti è espressamente previsto da norme vigenti, come indicato dalla direttiva.

 

 

 

 

 

Definizioni

(lettera e) del comma 4)

 

Il comma 4, lettera e) inserisce all’articolo 2, comma 1, la lettera i-bis) recante la definizione di “terzi”, identica a quella prevista nella direttiva, ossia qualsiasi persona  fisica o giuridica diversa da una autorità pubblica.

 

Metadati e Geoportale nazionale

(lettere f), g), n) ed u) del comma 4)

 

Il comma 4, lettera f), inserisce all’articolo 4, comma 1, la previsione che i metadati siano creati in conformità con le disposizioni di esecuzione adottate a livello europeo.

L’art. 3, par. 6, della direttiva definisce i metadati come le informazioni che descrivono i set di dati territoriali e i servizi relativi ai dati territoriali e che consentono di ricercare, repertoriare e utilizzare tali dati e servizi.

Conseguentemente:

- la lettera g) abroga il comma 4 dell'articolo 4 del decreto che detta una disciplina in fase di prima applicazione, che prevede l’emanazione di decreti ministeriali e, in attesa dei medesimi decreti, il recepimento delle norme di esecuzione europee nell’Allegato IV del decreto medesimo;

- la lettera n) modifica l’articolo 8, comma 3, relativo allo sviluppo del Geoportale nazionale da parte del Ministero dell’Ambiente (ISPRA o altra struttura tecnica), che dovrà essere aggiornato, in coerenza con le regole tecniche definite dai decreti di cui all’articolo 59, comma 5, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e con le disposizioni di esecuzione adottate a livello europeo. In caso di disallineamento delle regole tecniche nazionali rispetto alle disposizioni di esecuzione europee si procede all’aggiornamento dei decreti, con le modalità previste all’articolo 59, comma 5, del suddetto decreto legislativo n. 82 del 2005;

- la lettera u) abroga l’Allegato IV recante le Regole tecniche riguardanti i metadati.

 

Ai sensi dell’art. 5, par. 4 della direttiva è stato emanato il regolamento 1205/2008 a cui si è conformato il D.M. 10 novembre 2011 recante le regole tecniche per la definizione del contenuto del Repertorio nazionale dei dati territoriali, nonché delle modalità di prima costituzione e di aggiornamento dello stesso, emanato ai sensi dell’art. 59, comma 5, del d.lgs. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale).

 

Interoperabilità dei set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi (lettere h) i), l)-m) del comma 4)

 

Il comma 4, lettera h), modifica l'articolo 6 inserendo il comma 1-bis, specificando che i servizi di conversione di cui al comma 1, lettera d), dell'articolo 7 sono combinati con gli altri servizi di cui al medesimo comma 1 in modo tale che tutti i servizi operino in conformità alle disposizioni di esecuzione adottate a livello europeo, come dispone l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva.

L’articolo 7 del decreto disciplina i Servizi di rete che a norma dell’art. 3 del medesimo decreto costituiscono parte dell’infrastruttura nazionale per l'informazione territoriale e del monitoraggio ambientale. In particolare, il comma 1 elenca i servizi erogati per i set di dati territoriali e del monitoraggio ambientale, nonché per i servizi ad essi relativi per i quali sono stati creati metadati a norma del decreto tra i quali, alla lettera d), sono inclusi i servizi di conversione che consentano di trasformare i set di dati territoriali, onde conseguire l'interoperabilità. I suddetti servizi sono gli stessi indicati all’articolo 11 par. 1 della direttiva.

Le disposizioni di esecuzione dell’articolo 7, par. 1 della direttiva stabiliscono modalità tecniche per l'interoperabilità e, se fattibile, l'armonizzazione dei set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi, intese a modificare elementi non essenziali della direttiva integrandola.

Il comma 4, lettera i), aggiunge all'articolo 6 il comma 3-bis e dispone che il Ministero dell'ambiente provvede affinché le  informazioni, inclusi i dati, i codici e le classificazioni tecniche, necessarie per garantire la conformità alle disposizioni di esecuzione europee siano messe a disposizione delle autorità pubbliche o dei terzi a condizioni che non ne limitino l'uso, come previsto dall’articolo 10, paragrafo 1 della direttiva.

Il Ministero dell’Ambiente provvede per quanto sopra disposto, sentita la Consulta nazionale per l'informazione territoriale e ambientale di cui all'articolo 11, attraverso la piattaforma di cui all'articolo 23, comma 12-quaterdecies, del D.L. 95/2012.

 

L’articolo 23, comma 12-quaterdecies, al fine di sostenere lo sviluppo delle applicazioni e dei servizi basati su dati geospaziali e per sviluppare le tecnologie dell'osservazione della terra anche a fini di tutela ambientale, di mitigazione dei rischi e per attività di ricerca scientifica, prevede che tutti i dati e le informazioni, acquisiti dal suolo, da aerei e da piattaforme satellitari nell'ambito di attività finanziate con risorse pubbliche, sono resi disponibili per tutti i potenziali utilizzatori nazionali, anche privati, nei limiti imposti da ragioni di tutela della sicurezza nazionale. La norma affida all’ISPRA la catalogazione e la raccolta dei dati geografici, territoriali ed ambientali generati da tutte le attività sostenute da risorse pubbliche. Con decreto del Presidente della Repubblica, sulla base di una intesa tra Presidenza del Consiglio - Dipartimento della protezione civile, Ministero della difesa, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e regioni, adottata dalla Conferenza Stato-regioni sono definite le modalità per la gestione della piattaforma e per l'accesso, l'interoperatività e la condivisione, anche in tempo reale, dei dati e delle informazioni in essa conservati, e gli obblighi di comunicazione e disponibilità dei dati acquisiti da parte di tutti i soggetti che svolgono tale attività con il sostegno pubblico, anche parziale.

 

Il comma 4, lettere l) e m), interviene sull’articolo 7, commi 4 e 5, del decreto, che prevede l’erogazione di determinati servizi per i set di dati territoriali e del monitoraggio ambientale, e dei servizi relativi ai metadati (vedi supra comma 1 lett. h) e lett. u).

In particolare, l’intervento della lettera m) all'articolo 7, comma 5 del decreto è volto a rendere disponibile a favore di terzi, su richiesta, il servizio svolto dall’ISPRA per la progressiva integrazione dei set di dati territoriali nell’ambito del Sistema informativo nazionale ambientale (S.I.N.A.) per il tramite della rete SINAnet.

L’art. 12, paragrafo 1, della direttiva definisce il servizio a cui i terzi possono accedere come la possibilità tecnica per collegare i rispettivi set di dati territoriali e servizi ad essi relativi alla rete.

 

Accesso al pubblico dei servizi di rete

(lettere o), p), e q) del comma 4)

 

Il comma 4, lettera o) modifica l'articolo 9, comma 4, lettera b), sulle limitazioni per l’accesso al pubblico dei servizi di rete, apportando correzioni di carattere formale.

La lettera p) modifica l'articolo 9, comma 5, sulla libertà di accesso del pubblico ai servizi di rete (vedi supra l’articolo 7 del decreto), inserendo nella disposizione, il comma 3 dell’art. 9, chiarendo in tal modo che il divieto di accesso ai servizi di rete, previsto in determinati casi, non è applicabile in caso di accesso alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente.

Il comma 3 dell’articolo 9 del decreto vieta l’accesso del pubblico ai set di dati territoriali e ai servizi ad essi relativi, qualora l'accesso a tali servizi possa recare pregiudizio alle relazioni internazionali, alla pubblica sicurezza o alla difesa nazionale.

La lettera q) modifica l'articolo 9, comma 8, primo periodo, in materia di applicazione di tariffe per i servizi forniti dalle pubbliche amministrazioni per l’accesso al pubblico dei dati territoriali. In particolare, per l’applicazione delle suddette tariffe, è inserita una ulteriore condizione - oltre a quella relativa al mantenimento di set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi – quando sono coinvolte quantità particolarmente consistenti di dati frequentemente aggiornati.

 

L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva prevede che gli Stati membri possono consentire ad un'autorità pubblica che fornisce un servizio ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 1, lettera b) di applicare tariffe quando tali tariffe garantiscono il mantenimento di set di dati territoriali e dei corrispondenti servizi ad essi relativi, in particolare quando sono coinvolte quantità particolarmente consistenti di dati frequentemente aggiornati.


 

Condivisione e riutilizzo dei dati tra autorità pubbliche

(lettere r) ed s) del comma 4)

 

Il comma 4, lettere r) e s), interviene sull’art. 10 del decreto, rispettivamente, per sostituire il comma 3 e aggiungere il comma 3-bis, in merito alla condivisione e al riutilizzo dei dati tra autorità pubbliche.

In particolare, come previsto dalla direttiva, il nuovo comma 3, introdotto dalla lettera r),  stabilisce che i set di dati territoriali ed i servizi ad essi relativi siano forniti agli Stati membri e alle istituzioni e organismi europei (nella norma vigente sono forniti solo a quest’ultimi organi), anche ai fini delle funzioni pubbliche che possono avere ripercussioni sull'ambiente, e non solo al fine di adempiere agli obblighi informativi in virtù della legislazione europea in materia ambientale, come previsto nella disposizione vigente.

Il comma 3-bis aggiunto dalla lettera s) prevede, come stabilito dalla direttiva, che le autorità pubbliche forniscono, su base reciproca ed equivalente, agli organismi istituiti da accordi internazionali di cui l'Unione europea e l'Italia sono parte, l'accesso ai set di dati territoriali ed ai servizi ad essi relativi. I set di dati territoriali ed i servizi ad essi relativi forniti sia ai fini delle funzioni pubbliche che possono avere ripercussioni sull'ambiente che al fine di adempiere agli obblighi informativi in virtù della legislazione europea in materia ambientale, non sono soggetti ad alcuna tariffa.

 

L’articolo 3, numero 9, della direttiva, come l'articolo 2, comma 1, lettera i), numeri 1) e 2) del decreto, definisce autorità pubblica:

a) ogni governo o altra amministrazione pubblica, compresi gli organi consultivi pubblici a livello nazionale, regionale o locale;

b) ogni persona fisica o giuridica svolgente funzioni di pubblica amministrazione ai sensi della legislazione nazionale, compresi incarichi, attività o servizi specifici connessi con l'ambiente.

 

Monitoraggio e rendicontazione

(lettera t) del comma 4)

 

Il comma 4, lettera t), modifica l'articolo 12, comma 5, del decreto specificando che i risultati del monitoraggio e della rendicontazione sono messi a disposizione del pubblico - tramite il sito internet del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – in via permanente, come stabilito dalla direttiva.


 

I diritti del pubblico

(comma 5)

 

Il comma 5 prevede sempre la partecipazione del pubblico per l’elaborazione e l’istituzione di un’infrastruttura per l’informazione territoriale nell’Unione europea.

In particolare, viene garantito l’accesso alle informazioni ambientali con le modalità di cui al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che attua la direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale, e che configura l’accesso all’informazione ambientale da parte del cittadino, come un diritto, specificandone le modalità.

L’art. 3 del citato d.lgs. n. 195/2005 prevede che l'autorità pubblica renda disponibile, secondo le disposizioni del presente decreto, l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse,  entro 30 giorni dalla data del ricevimento della richiesta ovvero entro 60 giorni dalla stessa data nel caso in cui l'entità e la complessità della richiesta sono tali da non consentire di soddisfarla entro il predetto termine di 30 giorni. L’art. 4 prevede l’istituzione pubblica e l’aggiornamento almeno annuale di appositi cataloghi pubblici per l'informazione ambientale, contenenti l'elenco delle tipologie dell'informazione ambientale detenuta, che possono essere sostituiti anche avvalendosi di uffici per le relazioni con il pubblico già esistenti.

L’art. 5 disciplina i casi di esclusione dal diritto di accesso ai dati e l’art. 6 le tariffe previste in determinati situazioni.

Infine, l’art. 8 prevede la predisposizione di un piano dell’autorità pubblica, per rendere l'informazione ambientale progressivamente disponibile in banche dati elettroniche facilmente accessibili al pubblico tramite reti di telecomunicazione pubbliche, da aggiornare annualmente.

Per approfondire entra nel portale dell’informazione ambientale del Ministero dell’ambiente.

 

La partecipazione del pubblico al procedimento di elaborazione, modifica e riesame di piani o programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica

(comma 5-bis)

 

Durante l’esame al Senato, è stato introdotto il comma 5-bis volto ad assicurare la partecipazione del pubblico al procedimento di elaborazione, modifica e riesame di piani o programmi non assoggettati alla valutazione ambientale strategica – VAS, (per i piani assoggettati alla VAS esiste già una disciplina specifica che garantisce la partecipazione del pubblico).

Il comma 5-bis novella in particolare l’articolo 3-sexies del decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell’ambiente) allo scopo di rispondere ai rilievi avanzati dalla Commissione europea, nell’ambito della procedura EU Pilot 1484/10/ENVI, e di un corretto recepimento dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2003/35/CE.

 

Passando nel dettaglio all’analisi del contenuto della norma, il comma 5-bis aggiunge sei nuovi commi al citato articolo 3-sexies del d.lgs. 152/2006. In particolare:

1) il comma 1-bis prevede che l'autorità competente all’elaborazione dei  piani o programmi , specificati nell’Allegato I della direttiva 2003/35/CE, a cui non si applica la procedura di valutazione ambientale nei casi indicati dall’articolo 6, comma 2, del D.Lgs. 152/2006, assicura la partecipazione del pubblico nell'ambito del procedimento di elaborazione, modifica e riesame dei predetti piani o programmi;

 

L’Allegato I della direttiva prevede la partecipazione del pubblico ai piani e ai programmi relativi ai rifiuti, alle pile ed agli accumulatori contenenti sostanze pericolose, alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, ai rifiuti pericolosi, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente.

L’articolo 2 della direttiva disciplina, al paragrafo 1, la partecipazione del pubblico ai piani e ai programmi specificamente indicati nell’Allegato I alla direttiva medesima, prevedendo che gli Stati membri garantiscano tempestive ed effettive opportunità di partecipazione del “pubblico”, intendendosi per “pubblico” una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone. L’articolo 2, paragrafo 2, prevede che gli Stati membri provvedono affinché:

 

a) il pubblico sia informato, attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata quali mezzi di comunicazione elettronici, se disponibili, di qualsiasi proposta relativa a tali piani o programmi o alla loro modifica o riesame, e siano rese accessibili al pubblico le informazioni relative a tali proposte, comprese tra l'altro le informazioni sul diritto di partecipare al processo decisionale e sull'autorità competente a cui possono essere sottoposti osservazioni o quesiti;

b) il pubblico possa esprimere osservazioni e pareri quando tutte le opzioni sono aperte prima che vengano adottate decisioni sui piani e sui programmi;

c) nell'adozione di tali decisioni, si tenga debitamente conto delle risultanze della partecipazione del pubblico;

d) dopo un esame delle osservazioni e dei pareri del pubblico, l'autorità competente faccia ragionevoli sforzi per informare il pubblico in merito alle decisioni adottate.

L’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva dispone che gli Stati membri definiscono il pubblico ammesso alla partecipazione ai fini di cui al paragrafo 2, includendo le organizzazioni non governative interessate che soddisfano i requisiti imposti dalla legislazione nazionale, quali quelle che promuovono la protezione dell'ambiente.

L’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva dispone che il medesimo articolo non si applica a piani e programmi di cui all'allegato I per i quali è attuata una procedura di partecipazione del pubblico ai sensi della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, o ai sensi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

L’articolo 6, del D.Lgs. 152/2006 stabilisce, al comma 2, i piani e programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale:

a) elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II (Progetti di competenza statale), III (Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano) e IV del decreto (Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano);

b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza nella pianificazione e programmazione territoriale ai sensi dell'articolo 5 del D.P.R.  8 settembre 1997, n. 357.

Il comma 3 dell’articolo 6 prevede inoltre che per i suddetti piani e programmi che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei medesimi piani e programmi, la valutazione ambientale è necessaria qualora l'autorità competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni riguardanti la verifica di assoggettabilità, di cui all'articolo 12, e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento.

 

2) il comma 1-ter dispone, nei casi disciplinati dal comma 1-bis, l’avviso mediante pubblicazione sul proprio sito web da parte dell’autorità competente, contenente l’indicazione del titolo del piano o del programma, l’autorità competente e le sedi ove può essere presa visione del piano o programma;

3) il comma 1-quater prevede che l’autorità competente mette, altresì, a disposizione del pubblico il piano o programma mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione sul proprio sito web;

3) il comma 1-quinquies stabilisce che, entro 60 giorni dalla pubblicazione dell’avviso di cui al comma 1-ter, chiunque può prendere visione del piano o programma e presentare proprie osservazioni o pareri in forma scritta;

4) il comma 1-sexies dispone che l’autorità competente tiene adeguatamente conto delle osservazioni del pubblico nell’adozione del piano o programma;

5) il comma 1-septies prevede che il piano o programma adottato è pubblicato sul sito web dell’autorità competente unitamente ad una dichiarazione di sintesi nella quale si da’ conto delle considerazioni che sono state alla base della decisione. Detta dichiarazione contiene, altresì, informazioni sulla partecipazione del pubblico.

Conseguentemente, il comma 5-bis aggiunge alla fine della rubrica, le seguenti parole “Disposizioni in materia di partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale, Caso EU Pilot 1484/10/ENVI)”.

L’articolo 3-sexies del d.lgs. 152/2006, introdotto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 4/2008, in attuazione della legge n. 241 del 1990 (in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e della Convenzione di Aarhus (ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108), consente l’accesso alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale, a prescindere dalla dimostrazione della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante.

Gli articoli 3-5 del decreto legislativo n. 195 del 2005 (attuativo della direttiva 2003/4 sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale, adottata per allineare la normativa europea alla Convenzione di Aarhus) disciplinano il diritto all’informazione ambientale, prevedendo in particolare che l'informazione ambientale venga resa disponibile dall'autorità pubblica a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse. In particolare, i casi di esclusione del diritto di accesso all'informazione ambientale sono disciplinati dall’articolo 5.

La Convenzione ONU/ECE sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (cd. Convenzione di Aarhus) è stata firmata il 25 giugno 1998 dall’Unione europea.

La direttiva 2003/35/CE (di seguito direttiva), che prevede la partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale, ha modificato le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE, relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia, ed è stata adottata in attuazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Art. 16, comma 4 (Infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europea)

Sulla disposizione che riguarda l’attuazione della direttiva 2007/2/CE (che istituisce un’infrastruttura per l’informazione territoriale nella Comunità europeaINSPIRE)[92], si segnala che è stata avviata dalla Commissione, con lettera del 17 gennaio 2013, la procedura EU Pilot 4467/13/ENVI[93].

In particolare, la Commissione europea ha richiesto chiarimenti in merito al mancato recepimento di alcune disposizioni della direttiva e l’incompleto o non corretto recepimento di altre.

Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge, lo scopo della direttiva 2007/2/CE è quello di creare, grazie a norme comuni di attuazione, integrate da misure comunitarie, una struttura condivisa che renda l’informazione ambientale georeferenziata (c.d. informazione territoriale) detenuta dai vari Stati membri compatibile ed utilizzabile in un contesto transfrontaliero, superando in tal modo i problemi relativi alla disponibilità, alla qualità, all’organizzazione ed alla accessibilità dei dati territoriali oggi disponibili all’interno della Comunità europea.

Il successivo 28 marzo 2013, le autorità italiane hanno fornito elementi di risposta.

In particolare, le autorità italiane propongono, da un lato, modifiche formali alla normativa di recepimento (in particolare, nel decreto legislativo n. 32/2010 e nel decreto ministeriale dell’10 novembre 2011), dall’altro modifiche sostanziali, specificando, ad esempio, il ruolo del Geoportale nazionale; le modalità di scambio delle informazioni tra le istituzioni, nazionali e comunitarie; il raccordo tra la normativa nazionale e i regolamenti comunitari attuativi di INSPIRE; le condizioni di accesso ai set di dati territoriali ed ai servizi relativi; l’attività di monitoraggio e reporting.

 

L’articolo esame recepisce le modifiche proposte e segnalate dalle autorità italiane alla Commissione europea.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Art. 16 comma 5-bis (Partecipazione del pubblico all’elaborazione di programmi ambientali)

Le disposizioni riguardanti la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale (che sono di contenuto analogo a quelle recate dall’articolo 17 del ddl europea bis, attualmente all’esame del Senato[94]) sono volte alla risoluzione della procedura Eu Pilot 1484/10/ENVI[95], con la quale la Commissione europea ha richiesto alle autorità italiane chiarimenti in merito al recepimento della direttiva 2003/35/CE relativa alla partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale.

In particolare, con una lettera del 29 ottobre 2010, cui il Governo italiano ha risposto il 16 febbraio 2011, la Commissione, dopo avere elencato le disposizioni del diritto dell’UE e i precedenti giurisprudenziali in materia, chiede come sia stata data attuazione alle seguenti previsioni della medesima direttiva:

§  controllo giurisdizionale in merito alla decisione amministrativa (art. 3.7 e 4.4 paragrafo 3): la Commissione chiede se la normativa italiana conferisce al pubblico la facoltà di impugnare le decisioni, le azioni o le omissioni in termini di legalità procedurale e sostanziale.

Le autorità italiane precisano che per il diritto di impugnazione occorre fare riferimento alle disposizioni generali del processo amministrativo (decreto legislativo n. 104/2010) nonché a quelle riguardanti il ricorso straordinario al Capo dello Stato;

§  possibilità di adire ad un giudice in merito alla partecipazione ad un procedimento specifico (art. 3.7 e 4.4): la Commissione chiede se gli individui e le organizzazioni non governative devono necessariamente avere partecipato al procedimento per poter adire il giudice e impugnare una decisione amministrativa.

Le autorità italiane sottolineano che, ai fini dell’impugnazione di una decisione amministrativa, il nostro ordinamento non prevede la previa partecipazione al procedimento di autorizzazione di impatto ambientale (AIA);

§  soddisfacimento dei requisiti di tempestività, onerosità non eccessiva, assistenza giudiziaria ed efficacia del provvedimento (art. 3.7, 4.4 paragrafo 5): la Commissione chiede all’Italia come garantisce l’accesso alla giustizia senza spese eccessivamente onerose; se la parte soccombente deve sostenere le spese processuali e a che cosa queste corrispondono; quali sono le norme che garantiscono un’efficace tutela giurisdizionale e quali sono i tempi e i medi del giudizio amministrativo.

A giudizio delle autorità italiane, le richieste della Commissione non attengono specificamente alle procedure inerenti l’AIA ma alle condizioni generali della giustizia amministrativa in Italia;

§  pubblicità delle informazioni pratiche sull’accesso alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale (art. 3.7 e 4.4 paragrafo 6): la Commissione chiede alle autorità italiane qual è la struttura del sistema adottato per garantire al pubblico un effettivo accesso alle informazioni.

Ad avviso delle autorità italiane, il nostro ordinamento soddisfa pienamente l’esigenza di pubblicità delle informazioni pratiche in esame, mediante la notifica al richiedente e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’avvenuto rilascio dell’AIA nonché mediante la messa a disposizione del pubblico, sia in forma cartacea sia tramite internet, degli atti dei procedimenti AIA, conclusi o ancora in corso;

§  recepimento degli altri articoli della direttiva, con particolare riferimento alla partecipazione del pubblico ai piani e ai programmi (art. 2 e allegato I).

Le autorità italiane rinviano al decreto legislativo n. 152/2006 e successive modificazioni, che ha provveduto alla trasposizione nell’ordinamento italiano dei restanti articoli della direttiva 2003/35/CE.

 


 

Articolo 17
(Modifiche al decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, recante attuazione della direttiva 2008/56/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino -- Procedura d'infrazione 2013/2290 -- Modifiche alla Parte Terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, -- Procedura d'infrazione 2007/4680)

 

 

L'articolo 17, modificato durante l’esame al Senato, interviene sulla disciplina nazionale per la salvaguardia dell’ambiente marino, contenuta nel decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190,  e sulla prevenzione dell’inquinamento dei bacini idrografici del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Nello specifico, l’articolo 17, con il comma 1, interviene, al fine di adeguare la normativa nazionale a rilievi mossi in sede europea attraverso la procedura d'infrazione comunitaria 2013/2290, modificando diversi articoli del decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190 di attuazione della direttiva 2008/56/CE per l’istituzione di un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino.

Con il comma 2, viene integrato l'articolo 117 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’ambiente), obbligando le autorità preposte all’individuazione di misure vincolanti per il controllo dell'inquinamento dei bacini idrografici e prevedendo, se necessario, nei relativi piani di gestione, misure che vietano l'introduzione di inquinanti nell'acqua ovvero stabiliscono obblighi di autorizzazione preventiva o registrazione.

Infine, con il comma 3 viene modificato l'Allegato I alla Parte terza del Decreto legislativo 152 del 2006, al fine di rendere definitivamente integrato nei piani regionali di monitoraggio della qualità ambientale delle acque superficiali e sotterranee, il controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi nelle aree protette.

In particolare, gli interventi ai commi 2 e 3 sono disposti in conseguenza della procedure d'infrazione 2013/2290 e 2007/4680, per la non corretta trasposizione della direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’Ambiente).


Tutela dell’Ambiente marino (modifiche al decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190)

 

Il Comitato tecnico

 

Durante l’esame al Senato, è stata introdotta al comma 1, la lettera 0a) che modifica in più punti l’articolo 5 del D.Lgs. 13 ottobre 2010 n. 190 sulla disciplina del Comitato Tecnico (di seguito Comitato) che coordina le attività previste per la tutela e il monitoraggio dell’ambiente marino.

In particolare, viene aggiunto il comma 5-bis, per cui il Comitato delibera a maggioranza dei componenti presenti.

Conseguentemente, il nuovo comma 6, che sostituisce il vigente comma 6, prevede che il Comitato, per semplificare il proprio funzionamento, adotta un regolamento interno, ma senza indicare il tipo di maggioranza necessaria per la sua adozione, diversamente da quanto disposto dal vigente comma 6, che indica necessariamente la maggioranza dei due terzi dei componenti designati.

Viene sostituito infine il comma 9, con un nuovo comma 9, per cui, in particolare, il Comitato riferisce periodicamente al Parlamento sulla attività svolta, diversamente dal comma sostituito che invece prevedeva una cadenza semestrale.

 

La disciplina del Comitato tecnico

 

L’art. 4 D.Lgs. 13 ottobre 2010 n. 190 stabilisce che il Ministero dell'ambiente esercita la funzione di Autorità competente per il coordinamento delle attività di tutela e monitoraggio dell’ambiente marino, previste dal decreto medesimo, avvalendosi di un apposito Comitato tecnico, istituito presso il Ministero dell'ambiente con apposito decreto, che opera senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Al Comitato Tecnico, ai sensi dell’articolo 5, oltre ai rappresentanti del MATTM, partecipano: un rappresentante per ciascuna Regione e Provincia autonoma; un rappresentante dell'Unione Province d'Italia; un rappresentante dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani.

Sono poi rappresentati i Ministeri interessati: Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; Ministero delle  infrastrutture e dei trasporti, Ministero della salute, Ministero della difesa, Ministero degli affari esteri, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero dello sviluppo economico e Dipartimento per gli affari regionali.

Per il supporto scientifico-tecnico delle attività di coordinamento, il MATTM si avvale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (ISPRA), con il quale ha sottoscritto un’apposita Convenzione.

 

Il monitoraggio delle acque

 

Il comma 1 dell’articolo 17, con la lettera a), integra l'articolo 6, comma 1, precisando che nella regione o sottoregione marina che l’Italia ha in comune con altri Stati membri, negli adempimenti di monitoraggio delle acque, previsti dagli articoli da 8 a 12 (valutazione iniziale, determinazione del buono stato ambientale, definizione dei traguardi ambientali, programmi di monitoraggio, programmi di misure), siano tenuti presenti gli impatti e le caratteristiche transfrontaliere.

L’articolo 6, comma 1, prevede che il Ministero dell'ambiente individua, ove necessario d'intesa con il Ministero degli affari esteri, le procedure finalizzate ad assicurare la cooperazione con gli Stati membri che hanno in comune con l'Italia una regione o sottoregione marina al fine di consentire che gli adempimenti previsti dagli articoli da 8 a 12 siano posti in essere in modo coerente e coordinato presso l'intera regione o sottoregione.

L'articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2008/56 prevede che gli Stati membri preparano la valutazione iniziale delle acque marine, di cui al paragrafo 1, sforzandosi, mediante il coordinamento stabilito in virtù degli articoli 5 e 6, di garantire che:

a) i metodi di valutazione siano coerenti in tutta la regione o sottoregione marina;

b) siano tenuti presenti gli impatti e le caratteristiche transfrontalieri.

 

Con la lettera b) si modifica l'articolo 8, comma 3, lettera b), precisando che la valutazione iniziale dello stato ambientale attuale e dell'impatto delle attività antropiche sull'ambiente marino deve comprendere anche gli aspetti qualitativi e quantitativi delle diverse pressioni.

L’articolo 8, comma 3, stabilisce che la valutazione iniziale deve includere:

a) un'analisi degli elementi, delle caratteristiche essenziali e dello stato ambientale attuale della regione marina, sulla base dell'elenco indicativo degli elementi riportati nella tabella 1 dell'allegato III;

b) un'analisi dei principali impatti e delle pressioni che influiscono sullo stato ambientale della regione o sottoregione marina, sulla base dell'elenco indicativo degli elementi di cui alla tabella 2 dell'allegato III, la quale tenga conto delle tendenze rilevabili e consideri i principali effetti cumulativi e sinergici, nonché delle valutazioni pertinenti, effettuate in base alla vigente legislazione comunitaria;

c) un'analisi degli aspetti socio-economici dell'utilizzo dell'ambiente marino e dei costi del suo degrado.

La modifica recepisce quanto previsto per la valutazione iniziale delle acque marine dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), punto ì, della direttiva 2008/56, che fa riferimento agli aspetti qualitativi e quantitativi delle diverse pressioni.

 

Con la lettera c) si integra l'articolo 9, comma 3, specificando che nel decreto emanato dal Ministero dell'ambiente, sentita la Conferenza unificata, che determina i requisiti del buono stato ambientale per le acque marine, bisogna tener conto, segnatamente, delle caratteristiche fisico chimiche, dei tipi di habitat, delle caratteristiche biologiche e dell'idromorfologia di cui alle tabelle 1 e 2 del medesimo allegato III, oltre che dei descrittori qualitativi di cui all'allegato I e delle pressioni e degli impatti di cui all'allegato III.

L’articolo 9 della direttiva 2008/56 specifica che gli Stati membri tengono conto degli elenchi indicativi di elementi riportati nella tabella 1 dell’allegato III e segnatamente delle caratteristiche fisico-chimiche, dei tipi di habitat, delle caratteristiche biologiche e dell’idromorfologia.

Con la lettera d) si integra l'articolo 10, comma 2, specificando che i traguardi ambientali in relazione alle acque marine, che il Ministero dell'ambiente individua con un decreto ministeriale, tengano conto, per quanto possibile, degli impatti e delle caratteristiche transfrontalieri sulle acque marine, oltre ad essere compatibili e integrati con gli altri traguardi ambientali vigenti.

L’articolo 10 della direttiva 2008/56 prevede che nello stabilire i suddetti traguardi e indicatori, gli Stati membri tengono conto del fatto che continuano ad essere applicabili alle acque in questione i pertinenti traguardi ambientali esistenti definiti a livello nazionale, comunitario o internazionale, garantendo che tali traguardi siano reciprocamente compatibili e che, per quanto possibile, si tenga anche conto degli impatti e delle caratteristiche transfrontalieri.

 

I programmi di monitoraggio

 

Con le lettere e) e f) si interviene sull'articolo 11, commi 1 e 4, precisando che il Ministero dell’Ambiente, con decreto, deve elaborare e attuare (invece di “definire” ed “elaborare”, come previsto in precedenza nei due commi 1 e 4) i programmi di monitoraggio coordinati, per la valutazione continua dello stato ambientale delle acque marine, in funzione dei traguardi ambientali previsti all’articolo 10, entro il 15 luglio 2014.

L’articolo 11 della direttiva 2008/56 specifica infatti che, sulla base della valutazione iniziale effettuata ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, gli Stati membri elaborano ed attuano, sulla scorta degli elenchi indicativi di elementi che figurano nell’allegato III e dell’elenco di cui all’allegato V, programmi di monitoraggio coordinati per la valutazione continua dello stato ecologico delle loro acque marine, in funzione degli traguardi ambientali definiti ai sensi dell’articolo 10.

Durante l’esame al Senato, è stata introdotta, la lettera e-bis), che all'articolo 11, dopo il comma 3, inserisce il comma 3-bis, per cui il Ministero dell’ambiente, in qualità di autorità competente, per l'attuazione dei Programmi di Monitoraggio, può stipulare appositi accordi con le Agenzie Regionali per l'Ambiente (ARPA)  anche in forma associata o consorziata, nonché con soggetti pubblici tecnici specializzati, anche in forma associata o consorziata.

Dall’attuazione della suddetta disposizione non devono derivare oneri per la pubblica amministrazione.

 

Con la lettera g) si modifica in larga parte l'articolo 12, comma 2, lettera a), che prescrive, ai fini dell'elaborazione dei programmi di misure finalizzati a conseguire o mantenere un buon stato ambientale, ciò che il Ministero dell'ambiente deve fare.

In particolare, al fine di procedere ad una ricognizione dei programmi di misure, il Ministero dell’ambiente deve tenere conto delle pertinenti misure prescritte dalla legislazione dell'Unione europea, dalla normativa relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque adottata a livello comunitario o da accordi internazionali, anche con finalità diverse da quelle ambientali, esistenti a livello regionale, nazionale, comunitario o internazionale in relazione alle acque marine, nonché delle autorità competenti alla relativa elaborazione ed attuazione, tenendo conto, in particolare, degli strumenti di pianificazione e di programmazione aventi rilievo per le acque marine previsti dalla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione, prevista dal decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, e dalla normativa relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque o da accordi internazionali;

 

Il controllo dell’inquinamento nei Bacini idrografici (modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

 

Il comma 2 dell’articolo 17 aggiunge all'articolo 117 (vedi box alla fine della scheda) del decreto legislativo n. 152 del 2006, che disciplina i Piani di gestione e il registro delle aree protette, il comma 2-ter, che consente alle Autorità competenti l’individuazione di misure vincolanti di controllo dell'inquinamento, qualora si evidenzino impatti antropici significativi da fonti diffuse, conseguenti:

a)     al rilevamento effettuato a cura delle Regioni, ai sensi dell'articolo 118 del decreto legislativo n. 152 del 2006, dei dati sulle caratteristiche del bacino idrografico per la valutazione dell'impatto antropico;

b)     ai risultati dell'attività di monitoraggio condotta dalle Regioni, ai sensi dell'articolo 120 del citato decreto legislativo, sulla stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.

In tali casi di inquinamento, si stabilisce, inoltre, che i piani di gestione prevedano, misure di controllo, da aggiornare e riesaminare periodicamente, per vietare l'introduzione di inquinanti nell'acqua o obblighi di autorizzazione preventiva o di registrazione in base a norme generali e vincolanti.

 

L'articolo 118 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che le regioni attuino appositi programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l'impatto antropico esercitato sul medesimo, nonché alla raccolta dei dati necessari all'analisi economica dell'utilizzo delle acque, le cui risultanze sono trasmesse al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). L'articolo 120 del medesimo decreto legislativo disciplina specificatamente il rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici e prevede che le regioni elaborino programmi per la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.

Il comma 1 dell’articolo 117 prevede che, per ciascun distretto idrografico è adottato un Piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del Piano di bacino distrettuale. Il Piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino. Le Autorità di bacino, ai fini della predisposizione dei Piani di gestione, devono garantire la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali competenti nello specifico settore.

 

Con il comma 3 si interviene sull'Allegato 1, alla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, che stabilisce i criteri di monitoraggio e di classificazione dei corpi idrici superficiali e sotterranei.

In tale ambito, la norma in esame, con la soppressione del termine previsto del 22 dicembre 2013, integra permanentemente il monitoraggio delle aree protette per il controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi (lettera A.3.7) nei piani di tutela delle acque effettuati dalle regioni (punto A.3).

La norma previgente stabiliva che per le aree protette, i programmi di monitoraggio esistenti per le acque a specifica destinazione, riguardanti il controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi, costituivano parte integrante del monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee fino al 22 dicembre 2013.

L'Allegato 1 alla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 contiene i criteri adottati dalle regioni per i programmi di verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all'interno di ciascun bacino idrografico.

Il punto A.3. disciplina il monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali e stabilisce tra l’altro che i programmi di monitoraggio per le aree protette di cui all’articolo 117 (Piani di gestione e registro delle aree protette) e all’Allegato 9 (aree protette, comma 1, punto ii: aree designate per la protezione di specie acquatiche significative dal punto di vista economico) si integrano con quelli già esistenti.

La lettera A.3.7. ha specificato che, per le suddette aree protette, i programmi di monitoraggio esistenti ai fini del controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi di cui all’articolo 79 del citato decreto legislativo, costituiscono fino al 22 dicembre 2013 parte integrante del monitoraggio di cui l'Allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.

I programmi di monitoraggio delle regioni hanno valenza sessennale al fine di contribuire alla predisposizione dei piani di gestione e dei piani di tutela delle acque. Il primo periodo sessennale è 2010-2015 (A.3.1.1).

L'articolo 79 del decreto legislativo n. 152 del 2006 disciplina gli obiettivi di qualità per specifica destinazione delle acque e prevede tra l’altro che sono a specifica destinazione funzionale le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci e le acque destinate alla vita dei molluschi (lettere c) e d) del comma 1).

Il medesimo articolo 79 stabilisce che le regioni, al fine di un costante miglioramento dell'ambiente idrico, stabiliscono per le acque a specifica destinazione - delle quali è predisposto un elenco da aggiornare periodicamente- programmi, che vengono recepiti nel Piano di tutela, per mantenere o adeguare la qualità di tali acque all'obiettivo specifico.

Si segnala che il testo dei commi 2 e 3 dell'articolo in esame coincide sostanzialmente con il testo dell'articolo 24 del disegno di legge" Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013-bis" (A.S. 1533) in corso di esame presso il Senato.


Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Art. 17, comma 1 8 (Politica per l’ambiente marino)

La Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora ex articolo 258 del TFUE nell’ambito della procedura di infrazione n. 2013/2290. La procedura è stata avviata nel gennaio 2013 per la non corretta trasposizione della direttiva n. 2008/56/CE (che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino - direttiva MSFD), recepita dal decreto legislativo n. 190/2010.

La direttiva MSFD istituisce un quadro all’interno del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire o mantenere un buono stato ecologico dell’ambiente marino entro il 2020[96].

L’apertura della procedura di infrazione è stata preceduta da una fase precontenziosa (Eu-Pilot n. 3709/12/ENVI) nell’ambito della quale, tuttavia, gli elementi forniti dalle autorità italiane non sono stati giudicati tali da superare i rilievi sollevati dalla Commissione.

I rilievi elencati nella lettera di costituzione in mora riguardano, in particolare:

§  i programmi di monitoraggio per la valutazione continua dello stato ecologico delle acque marine e il periodico aggiornamento dei traguardi (articoli 5 e 11 della direttiva): la Commissione europea eccepisce la mancanza nella normativa italiana di un obbligo esplicito di attuazione dei programmi di monitoraggio, dal momento che, prevedendosi solo l’elaborazione e l’avvio, non si garantisce la loro piena funzionalità;

§  l’analisi delle pressioni e degli impatti principali sull’ambiente marino (articolo 8 della direttiva): ad avviso della Commissione manca nella normativa italiana l’obbligo esplicito di considerare in tali analisi gli aspetti quantitativi e qualitativi delle pressioni, come invece esplicitato dalla direttiva;

§  la cooperazione con gli altri Stati membri e valutazione degli impatti transfrontalieri (articolo 8 della direttiva): i riferimenti recati dalla normativa italiana alla cooperazione con gli Stati membri che hanno in comune con l'Italia una regione o sottoregione marina, alla cooperazione regionale, alle convenzioni marittime regionali ed agli accordi internazionali, ad avviso della Commissione, non assorbono e non sostituiscono l'obbligo di tener conto degli impatti transfrontalieri sulle acque marine, espressamente previsto dalla direttiva;

§  le modalità di individuazione dei traguardi e degli indicatori ambientali (articoli 9 e 10 della direttiva): ad avviso della Commissione, la legislazione italiana, con riguardo alla procedura di individuazione dei traguardi ambientali, omette il riferimento, esplicitato invece dalla direttiva, alle caratteristiche fisico-chimiche, dei tipi di habitat, alle caratteristiche biologiche e dell’idromorfologia; anche il mancato riferimento agli impatti e alle caratteristiche transfrontaliere (articolo 10 della direttiva) configura, ad avviso della Commissione, una non corretta trasposizione della direttiva: infatti, i riferimenti della norma italiana ai vigenti strumenti normativi o di pianificazione e di programmazione esistenti a livello regionale, nazionale, comunitario o internazionale non assorbono e non sostituiscono l'obbligo, esplicitamente previsto dalla direttiva, di tener conto degli impatti e delle caratteristiche transfrontalieri sulle acque marine;

§  elaborazione di un programma nazionale di misure (articolo 13 della direttiva): la normativa italiana non appare conforme alla direttiva laddove, in relazione all’attività di ricognizione del Ministero dell’ambiente finalizzata all’elaborazione del programma, trascura il riferimento ai programmi esistenti, alla normativa prossima ventura relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, o da accordi internazionali, alle misure prescritte dalle direttive 2006/7/CE (relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione), 91/271/CEE (in materia di trattamento delle acque reflue urbane) e 2000/60/CE (che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque).

Art. 17, comma 2 (Quadro per l'azione comunitaria in materia di acque)

Lo scorso 27 gennaio 2014 la Commissione europea ha emesso un parere motivato complementare nell’ambito della procedura di infrazione n. 2007/4680, avviata nei confronti dell’Italia per la non conformità della Parte III del decreto legislativo n. 152/2006 con la direttiva 2000/60/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

La procedura è stata avviata con una lettera di messa in mora del 7 maggio 2010, alla quale le autorità italiane, con successive comunicazioni (8, 12, 13 e 29 luglio 2010; 14 febbraio e 29 luglio 2011) hanno fatto pervenire le loro risposte; non essendo stati i chiarimenti forniti ritenuti sufficienti dalla Commissione a superare tutti i rilievi sollevati, la Commissione stessa ha emesso un parere motivato il 26 marzo 2012.

I profili di non conformità della normativa italiana elencati nel parere motivato riguardavano i seguenti punti:

§  registri delle aree protette per ciascun distretto idrografico: la Commissione rileva che la mancata esplicita previsione dell’aggiornamento regolare di tali registri non è conforme alla direttiva;

§  requisiti minimi dei programmi di misure ed aggiornamento dei programmi: tali misure, previste dalla direttiva sotto forma di elenco, non risultano trasposte dal decreto legislativo ma risultano inserite, ma non integralmente, in diverse parti del decreto medesimo, in modo giudicato non conforme dalla Commissione (mancano, ad esempio, l’obbligo di compilare il registro delle estrazioni; il divieto della pratica del ravvenamento o dell’accrescimento artificiale dei corpi idrici sotterranei; misure esplicite riguardanti il controllo da sostanze inquinanti diverse dai nitrati e dai prodotti fitosanitari). Infine, il decreto legislativo non contiene alcuna previsione di revisione periodica dei programmi di misure;

§  piani di gestione dei bacini idrografici: contrariamente alla direttiva, l’obbligo di revisione periodica dei bacini idrografici previsto dal decreto legislativo è limitato ai piani di tutela delle acque adottati dalle regioni;

§  ottimizzazione dei programmi di monitoraggio: la normativa italiana non mette correttamente in relazione i programmi di misure relativi a corpi che rischiano di non conseguire gli obiettivi di qualità ambientale con l’ottimizzazione della progettazione dei programmi di monitoraggio;

§  caratterizzazione delle acque sotterranee: il mancato il riferimento nel decreto legislativo al ravvenamento, quale una delle pressioni a cui possono essere sottoposte le acque sotterranee, non è conforme alla direttiva, così come anche il rinvio generico alle misure di ripristino da adottare, laddove la direttiva fa riferimento ad un elenco specifico di misure;

§  monitoraggio delle acque sotterranee: la Commissione ritiene non conformi alla direttiva le disposizioni in materia di intervalli spaziali tra i siti di monitoraggio; di frequenza temporale del monitoraggio; la mancata esplicitazione del divieto di scarichi diretti ed indiretti;

§  interpretazione e presentazione dello stato quantitativo delle acque sotterranee: il decreto legislativo non prevede l’obbligo di fornire mappe relative allo stato delle acque sotterranee con le caratteristiche cromatiche indicate dalla direttiva;

§  mappe dello stato chimico delle acque sotterranee: il decreto legislativo non appare conforme alla direttiva con riferimento alle medie con cui calcolare la conformità al buono stato chimico e alle modalità di segnalazione sulle mappe delle tendenze delle concentrazioni di inquinanti.

 

Nel parere motivato complementare si osserva che, nonostante le modifiche introdotte dalla legge europea 2013 (n. 97/2013), la Commissione, da un lato, ritiene che non tutti i rilievi possano considerarsi superati e, dall’altro, ritiene necessario un ulteriore chiarimento relativamente alla trasposizione dell’articolo 11 della direttiva in materia di requisiti minimi dei programmi di misure che ogni Stato membro deve elaborare.

In particolare, laddove l’articolo 11 della direttiva riporta la lista delle misure di base di ciascun programma, il decreto legislativo n. 152/2006 fa riferimento “all’intero corpo normativo”. Inoltre, dagli ulteriori elementi forniti dalle autorità italiane si evince che la normativa italiana farebbe riferimento unicamente alle misure concernenti le fonti diffuse da nitrati di origine agricole e alle misure finalizzate al controllo dell’inquinamento da prodotti fitosanitari e non alle misure concernenti ogni tipo di fonte diffusa di inquinamento. Tale omissione non garantisce che tutte le pressioni e gli impatti sui corpi idrici siano adeguatamente affrontati dal programma di misure, come richiesto dall’articolo 11 della direttiva. Pertanto, il programma di misure non sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi ambientali posti dalla direttiva medesima (articolo 4).


 

Articolo 17-bis
(Disposizioni in materia di società cooperative di consumo e loro consorzi e delle banche di credito cooperativo)

 

 

L'articolo 17-bis, inserito nel corso dell’esame parlamentare, contiene norme volte ad ampliare la base imponibile delle società cooperative di consumo e loro consorzi e delle banche di credito cooperativo. Sono previste inoltre misure volte a migliorare i livelli di coinvolgimento dei soci nei processi decisionali delle cooperative di consumo con più di centomila soci.

 

Il comma 1 prescrive che per le società cooperative di consumo e i loro consorzi l’aumento del capitale sociale attraverso gli utili è esente da imposizione diretta, nel limite e alle condizioni prescritte dalla normativa europea sugli aiuti “de minimis.

Le cooperative di consumo hanno l'obiettivo di fornire beni al soci a condizioni più favorevoli di quelle presenti sul mercato, cioè al prezzo minore possibile salvaguardando l'aspetto qualitativo dei prodotti e dei servizi.

Per le cooperative di consumo a mutualità prevalente è soggetta ad Ires una quota di utili netti annuali pari al 65 per cento. Il comma 2 dell’articolo in esame prevede per le cooperative di consumo a mutualità non prevalente l’assoggettamento a Ires per il 77 per cento degli utili netti annuali.

Il vigente articolo 7, comma 3, della legge n. 59 del 1992 prevede che la quota di utili destinata ad aumento del capitale sociale delle società cooperative e dei loro consorzi non concorre a formare il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette. La norma in esame per le cooperative di consumo introduce il limite degli aiuti “de minimis”.

Si ricorda che, ai sensi del regolamento n. 1407/2013 l'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un'impresa unica non può superare 200.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. L'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un'impresa unica che opera nel settore del trasporto di merci su strada per conto terzi non può superare 100.000 euro nell'arco di tre esercizi finanziari. Gli aiuti «de minimis» non possono essere utilizzati per l'acquisto di veicoli destinati al trasporto di merci su strada.

L'articolo 108, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) contempla l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica. La norma de minimis prevede una deroga per le sovvenzioni di importo inferiore alle soglie citate.

 

Il comma 2, con riferimento alle società cooperative di consumo e loro consorzi a mutualità non prevalente, eleva la quota assoggettata a Ires dal 70 al 77 per cento.

Il comma 464 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004 prevede che per le società cooperative e loro consorzi diverse da quelle a mutualità prevalente non concorre a formare il reddito imponibile la quota del 30 per cento degli utili netti annuali, a condizione che tale quota sia destinata ad una riserva indivisibile prevista dallo statuto.

La norma in esame, aggiungendo un periodo a tale comma, prevede che per le società cooperative di consumo e loro consorzi a mutualità non prevalente la quota suddetta è rideterminata nella misura del 23 per cento.

Per tali cooperative rimane ferma la norma che assoggetta ad Ires il 10 per cento delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria. Considerando che la riserva minima obbligatoria consiste nel 30 per cento degli utili netti annuali, si tratta del 3 per cento dell'utile di bilancio.

 

 

Le vigenti agevolazioni fiscali delle cooperative

Per quanto riguarda le agevolazioni tributarie occorre distinguere a seconda del tipo di cooperativa. La legislazione in materia è stata modificata da ultimo con il D.L. n. 138 del 2011 (articolo 2, commi dal 36-bis al 36-quater). Per fornire un primo quadro sintetico si può dire che per le cooperative a mutualità prevalente (articolo 2511 e seguenti del c.c., come modificati dalla riforma del diritto societario del 2003) l’Ires si applica solo su una quota di utili netti annuali. Per le cooperative a mutualità prevalente la quota assoggettata a Ires è del 40%; per le cooperative di consumo la quota è del 65%; per le cooperative agricole e della piccola pesca la quota è del 20% (articolo 1, comma 460, della legge n. 311 del 2004, modificato dal D.L. 138 del 2011). A tutte queste quote va aggiunto, per tutte le cooperative senza distinzione legata alla condizione di prevalenza ovvero al settore di attività, un 3% che deriva dal fatto che è stato assoggettato ad Ires il 10 per cento delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria delle cooperative, ovvero il 30% degli utili annuali (articolo 6, comma 1, del D.L. n. 63 del 2002, modificato dal D.L. 138 del 2011; in precedenza vi era una esenzione totale delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria).

La restante quota di utili netti può beneficiare delle disposizioni specifiche per le cooperative, che prevedono che non concorrono a formare reddito imponibile le somme che sono destinate a: riserve indivisibili (art. 12 della legge 904 del 1977, ad eccezione del 10 per cento); rivalutazione gratuita delle quote o delle azioni (art. 7 della legge 59 del 1992; ora limitata dal comma 1 dell’articolo in esame per le cooperative di consumo); fondi mutualistici nella misura massima del 3 per cento degli utili netti conseguiti (art. 11 della legge 59 del 1992).

Le cooperative sociali, in presenza di specifiche condizioni, possono beneficiare dell’integrale esenzione da IRES.

Per le cooperative che non hanno il requisito della mutualità prevalente la quota assoggettata a Ires è del 70%, a condizione che la restante quota sia destinata ad una riserva indivisibile. A ciò si aggiunge un 3% che deriva dall’assoggettamento a Ires del 10 per cento delle somme destinate alla riserva minima obbligatoria.

Ulteriori agevolazioni tributarie per la cooperazione sono previste dal DPR n. 601 del 1973: a favore delle cooperative agricole e della piccola pesca (art. 10), delle cooperative di produzione e di lavoro (art. 11); è prevista la deducibilità di alcune somme dal reddito (art. 12); sono agevolati i finanziamenti dei soci (art. 13); sono infine disciplinate le condizioni di applicabilità delle agevolazioni (art. 14).

 

Il comma 3 prevede che le banche di credito cooperativo siano considerate cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente, con la conseguenza del diverso regime agevolativo ai fini Ires, nel caso in cui non ripristino l’operatività prevalente a favore dei soci. Pertanto la quota assoggettata a Ires passerebbe dal 40 al 70 per cento.

Si ricorda che l’articolo 35 del TUB prevede che le banche di credito cooperativo esercitano il credito prevalentemente a favore dei soci. La Banca d'Italia può autorizzare, per periodi determinati, le singole banche di credito cooperativo a una operatività prevalente a favore di soggetti diversi dai soci, unicamente qualora sussistano ragioni di stabilità.

La norma in esame stabilisce che qualora le banche di credito cooperativo non ripristino l’operatività prevalente a favore dei soci esse vengono considerate, ai fini delle disposizioni fiscali di carattere agevolativo, quali cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente, a decorrere dall’anno successivo a quello nel corso del quale è trascorso un anno dall’inizio del periodo di autorizzazione, relativamente ai periodi d’imposta in cui non è ripristinata l’operatività prevalente a favore dei soci.

Si osserva che la disposizione, nella parte in cui stabilisce la decorrenza, sembra prefigurare un’efficacia retroattiva della norma, mentre il comma 4 sembrerebbe introdurre una decorrenza a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto anche per le disposizioni in commento.

 

Il comma 4 disciplina la decorrenza delle disposizioni introdotte dai primi tre commi, prevedendo la loro applicazione a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

La norma destina, inoltre, le maggiori entrate derivanti dall’applicazione dei commi 1 e 2 (quantificate in 4,8 milioni di euro per il 2016 e in 2,7 milioni di euro a decorrere dal 2017) al Fondo per gli interventi strutturali di politica economica, istituito al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale.

 

I commi da 5 a 8 sono volti a migliorare i livelli di coinvolgimento dei soci nei processi decisionali delle cooperative di consumo con più di centomila soci.

Tali cooperative si sono sviluppate soprattutto nel settore dei beni alimentari. II vantaggio mutualistico viene generato dal fatto che i soci, per il tramite della cooperativa, fanno acquisti in comune, ottenendo delle condizioni di acquisto migliori, e la cooperativa vende loro, direttamente, prodotti a prezzi più competitivi senza coinvolgere altri intermediari.

In particolare si prevede che con decreto del Ministro dello sviluppo economico sono stabilite le misure che le cooperative di consumo, con numero di soci superiore a centomila, sono tenute ad adottare al fine di migliorare i livelli di coinvolgimento dei soci nei processi decisionali della società. Tali misure devono essere rivolte:

a)  ad aumentare la trasparenza dei dati finanziari e di bilancio della cooperativa, inclusa la nota integrativa, anche attraverso la loro pubblicazione integrale sul sito internet della società;

b)  a rafforzare l’informazione e la partecipazione dei soci alle assemblee anche attraverso la comunicazione telematica preventiva dell’ordine del giorno e la previsione della possibilità di formulare domande sugli argomenti da trattare;

c)  a rafforzare i diritti dei soci nei confronti dei consigli di amministrazione della cooperativa anche attraverso la previsione dell’obbligo di risposta ai soci e dell’obbligo di motivazione.

Il decreto ministeriale deve prevedere, inoltre, i casi di esclusione del socio che non ha tenuto alcun tipo di rapporto sociale o economico con la cooperativa nel rispetto di quanto disciplinato nello statuto, per un periodo significativo di almeno un anno.

Le società cooperative di consumo, con numero di soci superiore a centomila, sono tenute ad uniformare il proprio statuto alle disposizioni del decreto ministeriale entro il 31 dicembre 2015.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 17 giugno 2008 la Commissione europea ha inviato al Governo italiano una lettera per chiedere, sulla base delle disposizioni in materia di aiuti di Stato di cui all’art. 107, paragrafo 3, lettera c) del Trattato sul funzionamento del dell’UE[97], chiarimenti sui regimi fiscali preferenziali per le cooperative di consumo che operano nei settori della distribuzione e dei servizi bancari previsti dalla normativa italiana.

 

Le principali misure oggetto dell’esame della Commissione sono:

§  la deduzione dal reddito imponibile degli utili accantonati alle riserve indivisibili;

§  la deduzione dei ristorni dal reddito imponibile delle cooperative;

§  la riduzione fiscale degli interessi versati dalle cooperative ai membri per depositi a breve termine.

La valutazione preliminare della Commissione è giunta alle seguenti conclusioni:

§  in linea generale, si riconosce l'importanza e il contributo significativo delle cooperative all'economia e alla società in generale. La particolarità delle cooperative è di operare nell'interesse dei propri membri e di presentare un modello societario specifico. È quindi possibile distinguerle dalle imprese lucrative;

§  malgrado la loro specificità, risulta che, in taluni casi, le cooperative realizzino utili anche tramite attività con non membri e abbiano un comportamento sul mercato analogo a quello delle imprese lucrative. La Commissione ritiene che, in queste circostanze, un trattamento preferenziale a beneficio delle cooperative costituisca un aiuto di Stato. Gli aiuti possono tuttavia ritenersi compatibili se i loro effetti negativi per la concorrenza e gli scambi sono controbilanciati dagli effetti positivi in termini di contributo delle cooperative alla realizzazione di obiettivi sociali. Questo si ritiene sia il caso delle piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono la stragrande maggioranza delle cooperative.

 

In questa fase preliminare, la Commissione ritiene quindi che possano considerarsi aiuti di Stato:

a)  la deduzione dal reddito imponibile delle cooperative a mutualità prevalente degli utili accantonati alle riserve divisibili e indivisibili corrispondenti ai redditi realizzati da attività con non membri della cooperativa. Per le grandi cooperative e per le cooperative non mutualistiche, la deduzione è ritenuta nella sua totalità aiuto di Stato, dal momento che la cooperativa assomiglia di più ad un'impresa lucrativa e che i suoi membri non vi partecipano realmente. Queste deduzioni sono comunque considerate aiuti compatibili quando riguardano le riserve indivisibili obbligatorie o le riserve indivisibili delle PMI;

b)  la riduzione fiscale sugli interessi versati ai membri per depositi a breve termine, poiché essa non riguarda attività con i membri che partecipano alla cooperativa in quanto tale. Infatti, nel fornire prestiti ad interesse alla cooperativa, i membri agiscono in qualità di terzi prestatori e non condividono con questa i rischi economici.

 

Ad avviso della Commissione, non costituirebbe invece aiuto di stato la deduzione dal reddito imponibile dei ristorni distribuiti dalla cooperativa ai membri, poiché i ristorni sono generati unicamente dagli scambi tra i membri.

 

 


 

Articolo 18
(Credito d'imposta per investimenti in beni strumentali nuovi)

 

 

L’articolo 18 attribuisce - a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento e fino al 30 giugno 2015 - ai soggetti titolari di reddito d'impresa che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi compresi nella divisione 28 della tabella ATECO un credito d'imposta nella misura del 15 per cento delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti in detti beni strumentali realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti. Gli investimenti devono essere destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato. Il credito d'imposta non spetta per gli investimenti di importo unitario inferiore a 10.000 euro e va ripartito in tre quote annuali di pari importo. La fruizione del beneficio è subordinata alla regolarità degli adempimenti in materia di rischio di incidenti sul lavoro per le attività industriali; il beneficio è altresì revocato se l'imprenditore cede a terzi o destina i beni oggetto degli investimenti a finalità estranee all'esercizio di impresa prima del secondo periodo di imposta successivo all'acquisto.

 

Si ricorda che una disciplina analoga è stata prevista dall’articolo 5 del D.L. n. 98 del 2009 (c.d. Tremonti-ter). In quel caso, l’importo della detassazione è stato pari al 50 per cento del valore degli investimenti fatti a decorrere dal 1° luglio 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 78) fino al 30 giugno 2010.

La circolare n. 44 del 2009 dell’Agenzia delle entrate ha chiarito gli ambiti di applicazione della norma, le caratteristiche dei beni agevolabili, le modalità di fruizione della detassazione e le ipotesi di revoca, operando un raffronto con le precedenti analoghe agevolazioni (articolo 4 della legge n. 383 del 2001 "Tremonti-bis" e articolo 3 del D.L. n. 357 del 1994 "Tremonti").

 

Più in dettaglio, il comma 1 prevede che ai soggetti titolari di reddito d'impresa che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi compresi nella divisione 28 della tabella ATECO, sia attribuito un credito d'imposta nella misura del 15 per cento delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti in beni strumentali compresi nella suddetta tabella realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti; è data facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l'investimento è stato maggiore.

Rientrano nell'agevolazione i nuovi investimenti effettuati nel periodo compreso tra il 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto) e fino al 30 giugno 2015.

Il credito d'imposta è subordinato all'utilizzo del bene agevolato in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

 

Il vincolo di destinazione dei beni in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato italiano va valutato in relazione alla normativa comunitaria (si segnalano sul punto le sentenze della Corte di Giustizia europea C-287/10 Tankreederei e C-330/07 Jobra). Di conseguenza, sarebbe opportuno riferire i limiti di territorialità ai Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo (SEE), come prevedeva il comma 3-bis del citato articolo 5 del D.L. n. 78 del 2009 (c.d. Tremonti-ter).

 

L'agevolazione riguarda tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato titolari di reddito d'impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione e dal settore produttivo di appartenenza, nonché dall'adozione di particolari regimi d'imposta o contabili. Inoltre si applica anche alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti.

La norma agevolativa si applica esclusivamente agli investimenti in beni strumentali nuovi inclusi nella divisione 28 della tabella ATECO.

Si ricorda che le tabelle ATECO, elaborate dall’ISTAT al fine di individuare un’unica classificazione di riferimento a livello mondiale definita in ambito ONU, contengono un elenco delle attività economiche ed attribuiscono a ciascuna di esse un codice a sei cifre. Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 16 novembre 2007 ha adottato, con decorrenza 1° gennaio 2008, le predette tabelle ai fini fiscali, i cui codici devono essere utilizzati dal contribuente in ogni rapporto con l’Agenzia delle entrate.

In particolare, la divisione 28 – concernente le attività per le quali le prime due cifre del codice sono rappresentate dal numero 28 – riguarda la “fabbricazione di macchinari ed apparecchiature non classificate altrove e contiene 47 codici di attività (si veda la tabella pubblicata dall’Istat).

 

Il comma 2 attribuisce il credito d’imposta in esame anche alle imprese che hanno iniziato l'attività da meno di cinque anni. In tal caso la media degli investimenti nei beni strumentali che rileva ai fini dell'agevolazione è quella risultante dagli investimenti realizzati in tutti i periodi dì imposta precedenti a quello in corso o a quello successivo, fatta salva anche in tal caso la facoltà di escludere dal calcolo il valore più alto.

Per le imprese costituite dalla data di entrata in vigore del provvedimento sino al 30 giugno 2015, si prevede che il credito d'imposta si applichi con riguardo al valore complessivo degli investimenti realizzati in ciascun periodo d'imposta.

 

Sono esclusi gli investimenti di importo unitario inferiore a 10.000 euro (comma 3).

 

Ai sensi del comma 4 il credito d'imposta va ripartito e utilizzato in tre quote annuali di pari importo; la prima quota annuale è utilizzabile a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo di imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l'investimento: pertanto gli investimenti effettuati entro il 2014 potranno essere dichiarati e utilizzati, ai fini del beneficio, nella dichiarazione del 2016; quelli effettuati entro il 30 giugno 2015, nella dichiarazione del 2017.

Il credito d’imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di riconoscimento del credito e nelle dichiarazioni relative ai periodi d'imposta successivi in cui il credito è utilizzato; esso non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e non rileva ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR. Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, secondo le norme generali in materia di compensazione dei crediti tributari (articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997).

Si ricorda che l’articolo 61 del TUIR disciplina la percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa. Tale quota è pari al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.

L’articolo 109, comma 5, del TUIR prevede che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, siano deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito, sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96.

Si ricorda che ai sensi del citato articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

La norma prevede, infine, che il credito d’imposta non è soggetto al limite annuale di 250.000 euro, previsto per l’utilizzo annuale dei crediti d’imposta ai sensi dell’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

I fondi occorrenti per la regolazione contabile delle compensazioni esercitate ai sensi di tale previsione sono stanziati su apposito capitolo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per il successivo trasferimento sulla contabilità speciale n. 1778 "Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio".

 

Ai sensi del comma 5 la fruizione del beneficio è subordinata alla regolarità degli adempimenti in materia di rischio di incidenti sul lavoro per le attività industriali di cui al D.Lgs. n. 334 del 1999.

Il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, ha dato attuazione alla direttiva 96/82/CE, relativa al controllo dei pericoli di incidenti connessi con determinate sostanze pericolose. Il provvedimento prevede che i titolari di attività industriali che implicano l’uso di determinate sostanze pericolose (indicate nell’Allegato I) redigano un documento che definisce la propria politica di prevenzione degli incidenti (articolo 7), un rapporto di sicurezza (articolo 8) e un piano di emergenza interno (previa consultazione del personale che lavora nello stabilimento, ivi compreso il personale di imprese subappaltatrici a lungo termine) (articolo 11).

 

Il comma 6 stabilisce che il beneficio è revocato:

§   in caso di cessione dei beni oggetto dell’investimento ovvero di destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa prima del secondo periodo d’imposta successivo a quello dell’acquisto;

§  in caso di trasferimento dei beni oggetto degli investimenti in strutture produttive situate al di fuori dello Stato, anche appartenenti al soggetto beneficiario dell'agevolazione, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi (termine di cui all'articolo 43, comma 1, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, con riferimento alla notifica degli avvisi di accertamento).

 

In tali ipotesi il credito d'imposta indebitamente utilizzato deve essere versato entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sui redditi dovuta per il periodo d'imposta in cui si è verificata una delle due ipotesi sopra indicate (comma 7).

 

In caso di indebita fruizione del credito d'imposta (per il mancato rispetto delle condizioni richieste o per l'inammissibilità dei costi in base ai quali è stato determinato l'importo fruito), il comma 8 demanda all'Agenzia delle entrate il recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni.

 

Il comma 9 quantifica gli oneri connessi all’attuazione delle disposizioni recate dall’articolo in esame in 204 milioni di euro per il 2016, 408 milioni di curo per gli anni 2017 e 2018, e 204 milioni di euro per l'anno 2019, a cui si provvede mediante corrispondente riduzione della quota nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione, programmazione 2014-2020.

Il Ministro dell'economia e delle finanze è tenuto al monitoraggio di tali oneri.

La norma, inoltre, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità generale dello Stato (articolo 17, comma 12, legge n. 196 del 2009), dispone una specifica clausola di salvaguardia, nelle ipotesi in cui gli effetti finanziari derivanti dalla norma risultassero superiori rispetto alla previsione di spesa.

In particolare, qualora si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni, si stabilisce che il Ministro dell’economia e delle finanze provveda, con proprio decreto, alla riduzione della dotazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione in modo da garantire la compensazione degli effetti dello scostamento finanziario riscontrato su tutti i saldi di finanza pubblica. In tale ipotesi il CIPE provvede di conseguenza alla riprogrammazione degli interventi finanziati a valere sul Fondo.

Si prevede, infine, che il Ministro dell’economia riferisca alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e alla adozione delle misure correttive.

In merito all’inserimento della clausola di salvaguardia finanziaria, si ricorda che l’articolo 17 della legge di contabilità stabilisce che ciascuna legge che comporti nuovi o maggiori oneri deve indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia, da redigere secondo i criteri definiti al comma 12, per la compensazione degli effetti che possano eccedano le previsioni medesime. In ogni caso, la clausola di salvaguardia deve garantire la corrispondenza, anche dal punto di vista temporale, tra l'onere e la relativa copertura.

La clausola di salvaguardia deve essere effettiva e automatica e deve indicare le misure di riduzione delle spese o di aumenti di entrata nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni indicate dalle leggi al fine della copertura finanziaria. In tal caso, sulla base di apposito monitoraggio, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro competente, adotta le misure indicate nella clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione. La relazione espone le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per la quantificazione degli oneri autorizzati dalle predette leggi.

 

La misura in esame, comportando una riduzione dell’imposta, configura una “spesa fiscale” e rientra nel novero delle tax expenditures. Al riguardo si ricorda che la legge di delega fiscale (articolo 4 della L. n. 23 del 2014) ha demandato al Governo il compito di adottare decreti legislativi colti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono ingiustificate o superate, ferme restando determinate priorità socio-economiche.

Tale agevolazione sarà, inoltre, inserita nelle spese fiscali introdotte nel corso dell’esercizio (allegato B, nota integrativa della Tabella 1 - Stato di previsione delle entrate, del disegno di legge di bilancio) come previsto dall’articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009. Tale norma prevede che nell’ambito del disegno di legge di bilancio, gli allegati A e B alla nota integrativa della Tabella 1 (Stato di previsione delle entrate) recano gli effetti connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.

 

Le audizioni in Senato

Nel corso dell’esame del provvedimento al Senato sono state effettuate numerose audizioni. Con riferimento alla disposizione in esame diversi soggetti auditi, pur apprezzando l’intervento, hanno auspicato delle modifiche volte ad ampliarne l’ambito applicativo.

In particolare sono state avanzate richieste al fine di: estendere l’agevolazione anche agli investimenti di importo inferiore a 10 mila euro; estendere l’ambito temporale dell’agevolazione agli investimenti effettuati entro il 31 dicembre 2015; avvicinare il momento della fruizione del beneficio fiscale a quello in cui si effettua l’investimento (Confindustria, ANFIA).

È stato sottolineato che la limitazione degli investimenti unitari di importo superiore a 10 mila euro, nei fatti, esclude dall’agevolazione molti investimenti effettuati dalle piccole imprese che, sebbene di importo unitario basso, nell’insieme possono creare un impulso importante alla ripresa della domanda degli investimenti (Rete Imprese Italia).

E’ stato auspicato una portata più ampia della misura: non limitandola esclusivamente ad investimenti incrementali (Confapi); estendendola anche agli investimenti in beni immobili strumentali (ANCE), ovvero ai titolari di reddito agrario (Confagricoltura).

In senso opposto è stato proposto di circoscrivere gli incentivi fiscali a pochissimi settori normativamente predeterminati - l’innovazione tecnologica, l’efficienza energetica e l’occupazione - e di istituire un unico e complessivo plafond di spese agevolabili liberamente utilizzabile dalle imprese per quelle finalità senza ulteriori vincoli e a carattere permanente (Assonime).

Modifiche alla “nuova legge Sabatini”

Nel corso dell’esame del provvedimento al Senato sono state apportate alcune modifiche alla disciplina dei finanziamenti agevolati per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese (c.d. “nuova legge Sabatini” prevista dal D.L. “del Fare”).).

In relazione alle richieste di tali finanziamenti il comma 9-bis, prevede una semplificazione per l’accesso al Fondo di garanzia per le PMI.

L’articolo 2 del D.L. 69/2013, (Decreto del Fare), attuato con il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 27 novembre 2013, ha previsto un nuovo strumento in materia di finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte di piccole e medie imprese, rivolto alle Pmi che realizzano investimenti (anche mediante operazioni di leasing finanziario) in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché investimenti in hardware, software e tecnologie digitali.

Nel dettaglio, la misura prevede:

§  la costituzione presso Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) di un plafond di risorse (fino a un massimo di 2,5 miliardi di euro, eventualmente incrementabili con successivi provvedimenti fino a 5 miliardi) che le banche e gli intermediari finanziari, previa adesione a una o più apposite convenzioni tra il Mise ( sentito il Mef), l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) e Cdp, potranno utilizzare per concedere alle Pmi, fino al 31 dicembre 2016, finanziamenti di importo compreso tra 20.000 e 2 milioni di Euro a fronte degli investimenti sopra descritti;

§  la concessione da parte del Mise di un contributo in favore delle Pmi, che copre parte degli interessi a carico delle imprese sui finanziamenti bancari in relazione agli investimenti realizzati.

§  la possibilità di beneficiare della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, fino alla misura massima prevista dalla vigente normativa (80% dell’ammontare del finanziamento), sul finanziamento bancario.

 

La semplificazione consiste nell’attribuzione diretta ai soggetti intermediari richiedenti – e non più al Gestore del Fondo che presenta le proposte di delibera al Comitato - della valutazione economico-finanziaria e del merito creditizio dell’impresa beneficiaria del finanziamento.

Si ricorda che, in base alle disposizioni operative i “soggetti richiedenti” possono essere:

§  Banche e istituti di credito iscritte all'albo delle banche e succursali abilitate ad operare in Italia (decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 - T.U. bancario)

§  Intermediari finanziari iscritti nell'Albo ex art. 106 TUB

§  Società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo (S.F.I.S.)

§  Società di gestione del risparmio e Società di gestione armonizzate per le operazioni sul capitale di rischio.

L'ammissione al Fondo è regolata da particolari criteri di valutazione economico e finanziaria delle imprese. In base alle vigenti disposizioni sul Fondo di garanzia la valutazione economico-finanziaria e del merito creditizio dell’impresa è attualmente demandata al Gestore del Fondo (ossia il Raggruppamento Temporaneo di Impresa (RTI), aggiudicatario del servizio di gestione del Fondo, composto da MedioCredito Centrale S.p.A. quale mandataria e da Artigiancassa S.p.A., MPS Capital Services Banca per le Imprese S.p.A., Mediocredito Italiano S.p.A., Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane quali mandanti) che presenta le proposte di delibera al Comitato (l’organo, previsto dall’art. 15, comma 3, della legge 7 agosto 1997, n. 266, cui è affidata l’amministrazione del Fondo ai sensi dell’art. 47 del TUB e competente a deliberare in materia di concessione della garanzia e di gestione del Fondo).

 

La valutazione economico-finanziaria e del merito creditizio dell’impresa deve rispettare i limiti massimi di rischiosità dell’impresa finanziata, misurati in termini di probabilità di inadempimento. La definizione di tali limiti è demandata ad un decreto ministeriale (del MISE, di concerto con il MEF) per l’emanazione del quale non è previsto un termine.

La norma approvata dal Senato stabilisce inoltre che le modalità semplificate di accesso al Fondo di garanzia previste per i finanziamenti della “nuova legge sabatini” potranno essere estese anche agli altri interventi del Fondo (nel rispetto delle autorizzazioni di spesa vigenti per la concessione delle garanzie), previa definizione delle relative condizioni da parte dello stesso decreto ministeriale cui è rimessa l’individuazione dei limiti per la valutazione economico-finanziaria [(lettera a)].

 

L’ulteriore novità introdotta dal Senato prevede l’istituzione di una contabilità speciale nel Fondo per la crescita sostenibile – in luogo dell'ordinaria gestione in bilancio delle risorse che prevede il controllo preventivo da parte dell'Ufficio Centrale del Bilancio - per la concessione ed erogazione dei contributi statali alle PMI per gli investimenti realizzati nell’acquisto dei nuovi macchinari. [(lettera b)].

Come sopra ricordato il meccanismo della “nuova Sabatini” previsto dall’art. 2 del D.L. 69/2013 prevede altresì (comma 4) la concessione da parte del Mise di un contributo in favore delle Pmi, che copre parte degli interessi a carico delle imprese sui finanziamenti bancari in relazione agli investimenti realizzati.

Il comma 8, del citato art. 2 del D.L. 69/2013 specifica che le risorse per i contributi statali sono pari a 7,5 milioni di euro per l'anno 2014, di 21 milioni di euro per l'anno 2015, di 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, di 17 milioni di euro per l'anno 2020 e di 6 milioni di euro per l'anno 2021.

Si ricorda inoltre che il Fondo per la crescita sostenibile, istituito dall’articolo 23 del D.L. 83/2012, è destinato al finanziamento di programmi e interventi con un impatto significativo in ambito nazionale sulla competitività dell'apparato produttivo.

Con decreto interministeriale 8 marzo 2013 sono state definite le priorità, le forme e le intensità massime di aiuto concedibili dal Fondo.

 

 


 

Articolo 18-bis
(Misure a favore della riqualificazione degli esercizi alberghieri composti da una o più unità immobiliari)

 

 

L’articolo 18-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene in materia di esercizi alberghieri, demandando in particolare ad un’intesa tra lo Stato, le Regioni e le Autonomie Locali l’individuazione delle condizioni di esercizio dei condhotel. La disposizione in esame fornisce una specifica definizione di tale tipologia di struttura, la cui caratteristica principale è la composizione integrata tra camere destinate alla ricettività e unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il 40% della superficie totale degli immobili interessati.

L’articolo in esame demanda inoltre alla sopracitata intesa la definizione delle condizioni necessarie per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti, limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale.

Si ricorda che l’articolo 8 della L. 217/1983 disciplina il vincolo di destinazione. Più in particolare è previsto che le regioni, con specifiche leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le strutture ricettive, in conformità anche con le indicazioni derivanti dagli atti della programmazione regionale. Sono esclusi dal vincolo gli alloggi rurali, gli alloggi gestiti da affittacamere e le case e gli appartamenti per vacanze. Le regioni, con proprie leggi, fissano criteri e modalità per la rimozione del vincolo di destinazione, le sanzioni per i casi di inadempienza ed i necessari raccordi con le norme ed i piani urbanistici.

 

Va rilevato che una disciplina della definizione strutture alberghiere, con particolare riguardo ai condhotel, è contenuta nel disegno di legge di conversione del DL 83/2014, approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato (AS 1563). Con una modifica approvata nel corso dell’esame alla Camera è stato infatti integrato il testo originario del decreto legge 83/2014, demandandosi ad un decreto del MIBACT, da emanarsi entro 3 mesi, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, l’aggiornamento degli standard minimi e l’uniformità sul territorio nazionale dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche, ivi compresi i condhotel, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alla capacità ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali.

Va evidenziata l’opportunità di un coordinamento tra le disposizioni relative ai condhotel contenute nel decreto legge in esame e quelle contenute nel decreto legge 83/2014, approvato dalla Camera e in corso di esame presso il Senato.

 

 


 

Articolo 19
(Modifiche alla disciplina ACE- aiuto crescita economica)

 

 

L’articolo 19 prevede un rafforzamento dell’aiuto alla crescita economica (ACE), con una maggiorazione del 40 per cento, per le società che vengono ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati di Stati membri della UE o aderenti allo Spazio Economico Europeo; la disciplina si applica per il periodo di imposta in cui avviene l’ammissione alla quotazione e per i due successivi. Il rafforzamento dell’ACE per le imprese che decidono di quotarsi è volto ad agevolare il finanziamento mediante il capitale proprio attraverso un sussidio di natura fiscale.

Nel caso in cui l’agevolazione ACE non sia utilizzata interamente per incapienza degli utili, è previsto che l’impresa possa usufruire di un credito di imposta (pari al 27,5 per cento del valore non utilizzato nel caso di impresa soggetta a IRES) a valere sui debiti IRAP e fruibile in cinque anni. In tal modo, le imprese con reddito imponibile negativo o inferiore all’importo dell’agevolazione possono anticipare la fruizione del beneficio fiscale.

 

 

Più in dettaglio, il comma 1 modifica l'articolo 1 del D.L. n. 201 del 2011, con il quale, allo scopo di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, è stato istituito l’aiuto alla crescita economica – ACE, che consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.

 

L’ACE è la principale misura adottata negli ultimi anni a sostegno della capitalizzazione delle imprese. Introdotta dal D.L. 201/2011 con l’obiettivo di ridurre lo squilibrio fiscale tra il finanziamento con debito e quello con capitale proprio, l’ACE consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio. La legge di stabilità per il 2014 ha previsto l’innalzamento progressivo dell’aliquota da applicare agli incrementi patrimoniali per il calcolo degli importi deducibili.

L’ACE riguarda le società di capitali residenti nel territorio dello Stato; gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, esercenti in via esclusiva o principale attività commerciali; le società e gli enti non residenti relativamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. Le norme si applicano anche ad alcuni soggetti IRPEF, e in particolare al reddito d’impresa di persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria, con le modalità di applicazione recate dal D.M. 14 marzo 2012, che ha attuato la disciplina primaria.

L’articolo 1, comma 137, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) ha incrementato, per il triennio 2014 -2016, la quota di rendimento nozionale del nuovo capitale proprio deducibile dal reddito imponibile: l’aliquota è stato pertanto fissata ex lege per i primi sei periodi di imposta di applicazione dell’ACE, demandandone la fissazione con decreto ministeriale dal settimo periodo d’imposta di applicazione dell’agevolazione. In via transitoria, per il primo triennio di applicazione, l'aliquota è stata fissata al 3 per cento. Per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, al 31 dicembre 2015 e al 31 dicembre 2016 l'aliquota è stata fissata, rispettivamente, al 4 per cento, al 4,5 per cento e al 4,75 per cento.

Per una prima analisi degli effetti dell'ACE sulla capitalizzazione delle imprese, si segnala la risposta del Governo all'interrogazione in Commissione finanze n.5-03008 del 26 giugno 2014, dalla quale si evince che i settori che hanno avuto un beneficio maggiore sono risultati il settore finanziario e il settore manifatturiero.

 

La norma in esame (comma 1, lettera a)) inserisce all'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 un nuovo comma 2-bis, diretto a prevedere una maggiorazione del 40 per cento della variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell'esercizio precedente per le società le cui azioni vengono ammesse alla quotazione nei mercati regolamentati o, secondo le modifiche introdotte al Senato, in sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri della UE o aderenti allo Spazio Economico Europeo.

Tale disciplina si applica per il periodo di imposta in cui avviene l’ammissione alla quotazione e per i due successivi e l'incremento del 40 per cento riguarda la variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura di ciascun esercizio precedente a quelli in corso nei suddetti periodi d'imposta.

Per i periodi d'imposta successivi la variazione in aumento del capitale proprio è determinata senza tenere conto di tale incremento.

Rimane ferma l’applicazione dell’articolo 11 del D.M. 14 marzo 2012: in ciascun esercizio la variazione in aumento non può comunque eccedere il patrimonio netto risultante in bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie. Pertanto, la verifica del limite del patrimonio netto dovrà essere effettuata in raffronto alla variazione in aumento del capitale proprio, inclusa la maggiorazione calcolata per i periodi d’imposta agevolabili.

 

Ai sensi del comma 2, la misura si applica alle società ammesse a quotazione le cui azioni sono negoziate dalla data di entrata in vigore del presente decreto (ossia dal 25 giugno 2014). Il criterio per individuare la decorrenza della norma è stato modificato nel corso dell’esame al Senato: si è passati dal criterio dell’ammissione alla quotazione, a quello della negoziazione delle azioni.

Inoltre l’efficacia della norma è condizionata alla preventiva autorizzazione della Commissione europea al fine di verificarne la compatibilità con il mercato interno, ai sensi dell'articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

società la cui ammissione alla quotazione avviene dalla data di entrata in vigore del presente decreto

Pertanto il rafforzamento dell’ACE per le imprese che decidono di quotarsi non ha efficacia immediata: trattandosi di una misura riservata solo ad alcune imprese, si richiede un’autorizzazione preventiva della Commissione Europea.

Si ricorda che l’articolo 108 TFUE attribuisce alla Commissione un ruolo di controllo sui regimi di aiuti esistenti presso gli Stati membri (paragrafo 1) nonché di verifica dei progetti di nuovi aiuti o di modifica degli aiuti esistenti (paragrafo 3). Allorché riscontri un’incompatibilità dell’aiuto, essa può adottare una decisione con cui viene ordinato allo Stato di sopprimere o modificare la misura. Nel caso in cui lo Stato non si conformi alla decisione, la Commissione ha la possibilità di adire direttamente la Corte di giustizia senza attivare la procedura pre-contenziosa di infrazione.

 

La lettera b) del comma 1 modifica il comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, in virtù del quale la parte del rendimento nozionale che supera il reddito complessivo netto dichiarato va computata in aumento dell'importo deducibile dal reddito dei periodi d'imposta successivi.

In alternativa, la norma introduce la facoltà di fruire di un credito di imposta commisurato all’eccedenza del rendimento nozionale non utilizzato, applicando a tale eccedenza le aliquote di cui agli articoli 11 e 77 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) previste per i soggetti IRPEF ed IRES.

Il credito d'imposta è utilizzato in diminuzione dell'IRAP e viene ripartito in cinque quote annuali di pari importo.

Ai sensi del comma 2, tale facoltà è prevista a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014.

Si ricorda che, in virtù del richiamo all'articolo 77 del TUIR, ai fini della determinazione della misura del credito d’imposta, i soggetti IRES devono applicare l’aliquota del 27,5 per cento all’eccedenza (per la quale rinunciano al riporto a nuovo optando per il regime del credito d’imposta). I soggetti IRPEF devono invece applicare le aliquote corrispondenti agli scaglioni di reddito previste dall’articolo 11 del TUIR. In sostanza - come evidenziato dalla Relazione - si tratterebbe di calcolare il credito d’imposta nello stesso modo in cui si determina l’IRPEF ai sensi dell’articolo 11 del TUIR, distribuendo le eccedenze ACE secondo gli scaglioni di reddito previsti ai fini del calcolo dell’imposta

 

La Banca d’Italia, nel corso di un audizione al Senato, ha sottolineato che la norma potrebbe agevolare le imprese in fase di ristrutturazione per le quali le banche spesso condizionano l’erogazione di nuovi prestiti ad apporti di capitale da parte dei proprietari. Più in generale, la ripartizione su cinque anni del credito di imposta IRAP agevola le imprese con attese di utili bassi o negativi per diversi esercizi. Per le aziende incapienti, ma con fondate aspettative di una ripresa della redditività a breve termine potrebbe essere conveniente fruire dell’agevolazione in un’unica soluzione, appena si realizzano utili, anziché suddividere nei 5 anni il credito di imposta IRAP. Deve anche essere considerato che la deducibilità dall’IRAP dell’agevolazione prevista dall’ACE indebolisce gli incentivi a far emergere a fini fiscali il reddito d’impresa.

 

Il comma 3 quantifica gli oneri derivanti dall'articolo in commento in 27,3 milioni di euro nel 2015, 55,0 milioni di euro nel 2016, 85,3 milioni di euro nel 2017, 112,3 milioni di curo nel 2018, 140,7 milioni di euro nel 2019, 146,4 milioni di euro nel 2020 e 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021.

Per la copertura di tali oneri si provvede:

·        riducendo la quota nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione, programmazione 2014-2020, per l'importo di 27,3 milioni di euro nel 2015, 55,0 milioni di euro nel 2016, 85,3 milioni di euro nel 2017 e 112,3 milioni di euro nel 2018;

·        aumentando, a decorrere dal 1° gennaio 2019, l'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché l'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante (allegato I del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 - testo unico accise).Tale incremento di aliquote, disposto con provvedimento direttoriale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli da adottare entro il 30 novembre 2018 ed efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia, dovrà determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, a 146,4 milioni di euro nel 2020 e a 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021.

 

Le osservazioni della Consob e della Banca d’Italia nel corso delle audizioni al Senato.

Secondo la Consob, si tratta di un intervento che agisce sul lato dell’offerta di quotazione, costituendo un incentivo per le imprese a quotarsi. La struttura dell’intervento ha anche l’effetto di privilegiare - come suggerito - operazioni di IPO che comportino un ampliamento dei mezzi propri dell’impresa (OPS), anziché risolversi in una mera vendita sul mercato delle azioni (OPV).

Le analisi effettuate hanno rilevato come, ai fini di massimizzare l’utilità dell’intervento fiscale, sarebbe importante agire anche dal lato della domanda di quotazione, premiando coloro che intendano investire in una società neo-quotata. Potrebbe, ad esempio, essere prevista una detassazione dei capital gains collegati a questa operazione d’investimento. Corollario necessario perché l’operazione di rilancio e di sviluppo di un efficiente mercato azionario abbia successo, è infatti la presenza di un nucleo stabile di investitori di lungo termine e di asset managers specializzati nell’investimento in PMI quotate e quotande. Perché ciò si realizzi è necessario prevedere l’istituzione di un Fondo di Fondi che, con un orizzonte temporale di medio-lungo termine, acquisisca partecipazioni in veicoli d’investimento specializzati in società italiane di ridotta capitalizzazione.

La costituzione e la gestione del Fondo di Fondi potrebbe essere efficacemente affidata al Fondo Italiano d’Investimento, la SGR partecipata da Ministero dell’Economia, Cassa depositi e Prestiti, ABI, Confindustria e principali banche italiane, già pienamente operativa nel segmento delle PMI.

 

La Banca d’Italia ha segnalato di avere da tempo individuato nell’elevato grado di indebitamento e nella concentrazione dei debiti presso il settore bancario i due principali punti di debolezza della finanza d’impresa in Italia. Le aziende più indebitate hanno incontrato maggiori difficoltà a far fronte alla recessione e hanno contribuito in misura considerevole ad alimentare il bacino di crediti deteriorati che grava sui bilanci delle banche e che frena il finanziamento della ripresa. Dalle indagini che conduciamo periodicamente presso banche e imprese, l’elevato grado di indebitamento di queste ultime emerge come l’ostacolo principale all’accoglimento delle domande di nuovi finanziamenti.

Anche in risposta alle difficoltà di accesso al credito bancario negli ultimi anni è cresciuta la tendenza delle imprese, soprattutto quelle di maggiori dimensioni, a finanziarsi sui mercati. Nel 2013 la raccolta di capitale di rischio sul mercato ha raggiunto 1,4 miliardi, il valore più alto degli ultimi quattro anni. Le operazioni di nuova quotazione sono state 11, circa il doppio di quelle realizzate, in media, tra il 2008 e il 2012; altre 4 sono state effettuate nel primo quadrimestre dell’anno in corso. Sono segnali incoraggianti che devono essere consolidati e rafforzati. Sempre nel 2013 le emissioni lorde di obbligazioni da parte di imprese italiane sono state pari a 39 miliardi; ulteriori 10 miliardi sono stati collocati nel primo trimestre del 2014. Dal 2009 i collocamenti sono stati in media pari a 32 miliardi l’anno, circa 9 in più rispetto al periodo 2002-07.

Al fine di consentire un più ampio utilizzo degli incentivi, soprattutto da parte delle PMI, l’ambito di applicazione del provvedimento potrebbe essere esteso anche alle imprese che si quoteranno sui sistemi multilaterali di negoziazione, quale il mercato AIM della Borsa Italiana.

 

 

 


 

Articolo 19-bis
(Nuove disposizioni in materia di Agenzia per le imprese)

 

 

L’articolo 19-bis, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, interviene in materia di semplificazione delle procedure di attestazione della sussistenza dei requisiti per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa, tramite l’ampliamento delle facoltà e il potenziamento dell’efficienza delle Agenzie per le imprese.

L’articolo 38 del D.L. 25-6-2008 n. 112, nel dettare i principi e criteri direttivi per i regolamenti di delegificazione in materia di semplificazione dell’avvio dell’attività di impresa (Impresa in un giorno) ha introdotto (comma 3, lett. c) nell’ordinamento la figura delle Agenzie per le imprese, soggetti privati, dotati di personalità giuridica e costituiti anche in forma societaria, vigilate dal Ministero dello sviluppo economico. Le Agenzie accertano e attestano la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla normativa per l'esercizio dell'attività di impresa e, fatti salvi i procedimenti che comportano attività discrezionale da parte dell'amministrazione, in caso di istruttoria con esito positivo, rilasciano dichiarazioni di conformità che costituiscono titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività. Per l'esercizio delle attività di cui al Regolamento SUAP le Agenzie devono ottenere l'accreditamento. Le norme attuative sono contenute nel D.P.R. 9-7-2010 n. 159 che prevede altresì i requisiti per l’accreditamento.

 

La disposizione in commento (comma 1) demanda ad un regolamento di delegificazione  l’integrazione delle citate disposizioni in materia di Agenzia per le imprese, specificando che salvo per le determinazioni in via di autotutela e per l’esercizio della discrezionalità, le attività (sia istruttorie che di controllo) delle Agenzie per le imprese sostituiscono a tutti gli effetti quelle delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari.

Ulteriore novità consiste nell’ampliamento del ruolo delle Agenzie per il supporto organizzativo e gestionale allo svolgimento della conferenza di servizi. Al riguardo, il regolamento di delegificazione dovrà contemplare la possibilità per le Agenzie non solo di prestare la propria attività ai fini della convocazione, della predisposizione dei calendario e dei termini di conclusione dei lavori, ma anche ai fini della attivazione dei rimedi previsti dalla legge in caso di silenzio o dissenso delle amministrazioni.

Il regolamento deve essere emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, è adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico e dei Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza unificata e deve identificare anche le norme che sono abrogate (commi 1 e 2).

 

Tramite un’integrazione alla disciplina della SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) la disposizione in commento (comma 3) collega alla segnalazione corredata della dichiarazione di conformità delle Agenzie per le imprese il medesimo effetto del decorso del tempo (sessanta giorni in generale e 30 giorni per la SCIA edilizia) oltre il quale scatta il divieto per l’amministrazione di intervenire salvo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.

 La disciplina di cui all’art. 19, della legge 241/1990, in materia di SCIA, ai commi 3 e 4 specifica che entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione (30 per la SCIA edilizia) l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, può adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Oltre il suddetto termine all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza delle circostanze sopra elencate.

 

Infine è prevista una disposizione sulla trasparenza delle amministrazioni titolari di banche dati certificanti. Entro il 31 dicembre 2014 deve infatti essere garantito l’accesso per via telematica alle banche dati stesse, da parte delle amministrazioni procedenti e delle Agenzie per le imprese accreditate, nel rispetto delle vigenti norme in materia di protezione dei dati personali e accesso telematico ai dati delle pubbliche amministrazioni.

Si ricorda che il citato D.P.R. 9-7-2010 n. 159  all’articolo 3 prevede che le Agenzie, ai fini dell'accreditamento presentano istanza al Ministero dello sviluppo economico. L'istanza contiene l'indicazione dettagliata della o delle specifiche attività economiche per le quali l'Agenzia chiede l'accreditamento e l'ambito territoriale, almeno regionale, in cui l'Agenzia intende operare; è corredata della documentazione comprovante il possesso di una struttura tecnico amministrativa rispondente a criteri di competenza, indipendenza e terzietà, nonché, di copia dell'atto di stipula di una polizza assicurativa di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività per le quali viene richiesto l'accreditamento, valida per tutta la durata dell'accreditamento stesso.

 Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (comma 4).

 

 


 

Articolo 20, commi 1 - 1-bis
(Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili)

 

 

L’articolo 20 reca un complessivo sistema di semplificazione della quotazione delle imprese sui mercati finanziari, nonché misure civilistiche concernenti la contabilità delle imprese. Nel corso dell’esame al Senato sono state introdotte numerose modifiche riguardanti i diritti di voto.

 

In particolare, il comma 1 apporta modifiche e integrazioni al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF), finalizzate a favorire e semplificare l'accesso al mercato dei capitali di rischio delle imprese, in particolare di quelle piccole e medie.Tali modifiche sono dirette, in sintesi:

-        ad introdurre nel Testo unico la definizione di piccole e medie imprese con azioni quotate («PMI»), necessaria per applicare un nuovo regime agevolato per dette società di minori dimensioni;

-        a modificare - secondo quanto previsto al Senato - la regola di neutralizzazione nell’offerta pubblica di acquisto, ai sensi della quale non possono essere computate (oltre alle maggiorazioni di voto) le azioni a voto plurimo (che conferiscono quindi un solo voto);

-        ad introdurre per le società diverse dalle PMI – e senza rinvio allo statuto societario – l’obbligo dell’offerta pubblica di acquisto totalitaria per chiunque abbia la maggior partecipazione e questa sia superiore al venticinque per cento;

-        ad incentivare la quotazione delle piccole e medie imprese, prevedendo per le PMI la possibilità di modificare in via statutaria, entro un intervallo prestabilito, la soglia rilevante per le offerte pubbliche di acquisto (OPA) obbligatorie e  consentire alle PMI di prevedere nei propri statuti che nei primi cinque anni dall'inizio della quotazione non sia applicabile la disciplina dell'OPA da consolidamento;

-        a modificare la soglia delle partecipazioni rilevanti da comunicare alla Consob e alla società partecipata, che viene elevata dal 2 per cento al 5 per cento qualora l'emittente sia una PMI;

-        a novellare la disciplina dei limiti alle partecipazioni reciproche prevista per le società con azioni quotate;

-        ad introdurre nel TUF la disciplina della maggiorazione del voto, con la quale si rimette all'autonomia statutaria delle società la possibilità di prevedere azioni a voto maggiorato a beneficio degli azionisti di lungo periodo.

 

Si rammenta che il 19 luglio 2011 (XVI Legislatura) la VI Commissione Finanze della Camera ha concluso un'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari. Nel documento conclusivo, la Commissione ha rilevato che le potenzialità e le arretratezze dei mercati degli strumenti finanziari in Italia attengono principalmente alla debolezza dei mercati dei capitali ed alla scarsità dei canali a disposizione delle imprese per alimentare finanziariamente la propria capitalizzazione e le proprie prospettive di crescita. Tra le proposte operative formulate Commissione vi è stata quella di valorizzare e potenziare nuovi strumenti, aggiuntivi e non sostitutivi del capitale privato, di sostegno pubblico o misto pubblico - privato alla capitalizzazione delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni.

In attuazione delle predette proposte, l’articolo 32 del D.L. 83 del 2012 (successivamente modificato ed integrato) ha consentito alle società non emittenti strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di emettere cambiali finanziarie e obbligazioni a specifiche condizioni di legge.L’articolo 12 del decreto-legge n. 145 del 2013, per incentivare l’investimento di fondi pensione e compagnie assicurative in titoli obbligazionari, consente di computare tra gli attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione i titoli emessi nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate mediante la sottoscrizione e l'acquisto di obbligazioni, cambiali finanziarie e titoli similari, anche se non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentato o in sistemi multilaterali di negoziazione, anche se privi di rating. Inoltre le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari ed altre tipologie di attivi creditizi (in particolare i crediti alle PMI) sono qualificati come idonea garanzia di obbligazioni bancarie collateralizzate.

Disposizioni in materia di PMI

Più in dettaglio, la lettera a) del comma 1 interviene sull'articolo 1, comma 1, del TUF, al fine di introdurre nel Testo unico una lettera w-quater.1 che reca la definizione di piccole e medie imprese con azioni quotate (PMI).

Le PMI con azioni quotate vengono individuate in base ai seguenti parametri dimensionali, computati sulla base del bilancio approvato relativo all'ultimo esercizio, anche anteriore all'ammissione alla negoziazione delle proprie azioni:

-        un fatturato fino a 300 milioni di euro;

-        ovvero una capitalizzazione media di mercato nell'ultimo anno solare inferiore ai 500 milioni di euro.

 

Il parametro del fatturato va considerato alternativo a quello della capitalizzazione di mercato, in quanto più stabile nel tempo (è soggetto a variazioni rilevabili con frequenza almeno annuale) e conosciuto con assoluta certezza dalle società prima dell'inizio della procedura di ammissione a quotazione.

Si precisa che non sono più considerate PMI a fini TUF le imprese emittenti azioni quotate che abbiano superato entrambi i predetti limiti dimensionali per tre esercizi consecutivi.

 

Le lettere b), c) ed h) del comma 1 dell'articolo in esame recano disposizioni di coordinamento con le modifiche apportate dalla successiva lettera aa) (per cui si veda infra).

 

Le successive lettere da d) ad m) recano una serie di modifiche all'articolo 106 del TUF, dedicato alla disciplina dell’offerta pubblica di acquisto totalitaria: in particolare, al fine di incentivare la quotazione delle piccole e medie imprese, si prevede per le PMI la possibilità di modificare in via statutaria, entro un intervallo prestabilito, la soglia rilevante per le offerte pubbliche di acquisto (OPA) obbligatorie.

Il richiamato articolo 106 del TUF disciplina l’OPA successiva totalitaria, che impone, a chi ha acquisito a titolo oneroso (direttamente o indirettamente) una partecipazione societaria superiore al 30% del capitale sociale ordinario di una società per azioni quotata, di lanciare un'OPA sulla totalità delle azioni ordinarie residue.

Nella disciplina previgente, l'obbligo di OPA conseguiva al superamento della soglia fissa del 30 per cento con riferimento a tutte le società quotate, indipendentemente dalla loro dimensione.

 

Su tale quadro interviene la lettera e) del testo in esame che, inserendo all'articolo 106 del TUF un nuovo comma 1-bis, secondo le modifiche introdotte al Senato, introduce per le società diverse dalle PMI – e senza rinvio allo statuto societario – l’obbligo dell’offerta per chiunque abbia la maggior partecipazione e questa sia superiore al 25 per cento.

 

Il nuovo comma 1-ter (1-bis nel testo originario del decreto-legge) consente agli statuti delle PMI di individuare, con apposita clausola, una soglia più adeguata alle proprie caratteristiche per far scattare l’obbligo di OPA totalitaria, comunque compresa in un intervallo prestabilito tra il 25 e il 40 per cento del capitale sociale.

Se la modifica statutaria interviene quando i titoli della PMI sono già quotati, a tutela delle minoranze azionarie è previsto, per i soci che non abbiano concorso all'adozione della relativa deliberazione, il diritto di recesso (in relazione a tutti o parte dei loro titoli).

 

Con la modifica si intende consentire alle singole PMI di diminuire/aumentare la loro contendibilità, in funzione delle specifiche esigenze; ad esempio, le PMI potrebbero tutelarsi maggiormente contro il rischio di perdita del controllo prevedendo una soglia più bassa, ovvero individuare una soglia più alta per favorire l'ingresso nel capitale di altri soggetti.

 

La lettera g) reca le opportune modifiche di coordinamento necessarie a seguito dell'introduzione delle regole specifiche per l’OPA totalitaria nelle PMI, contenute nei commi 1-bis e 1-ter dell'articolo 106 sopra commentato.

 

La lettera l) inserisce all'articolo 106 del TUF un nuovo comma 3-quater intervenendo sulla disciplina dell'OPA da consolidamento, che viene integrata con specifiche regole per le PMI.

Il previgente articolo 106, comma 3, lettera b), del TUF (e la regolamentazione di attuazione dettata dalla Consob) prevedeva un obbligo di offerta per i soggetti che, detenendo una partecipazione superiore alla soglia del 30 per cento, acquistassero più del 5 per cento senza detenere la maggioranza dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria.

Con la modifica apportata dal testo in esame (nuovo comma 3-quater dell'articolo 106) si prevede che le PMI possono prevedere nei propri statuti che nei primi cinque anni dall'inizio della quotazione non sia applicabile la disciplina dell'OPA da consolidamento di cui al richiamato comma 3, lettera b).

In tal modo gli azionisti di controllo possono, in fase di offerta pubblica iniziale, collocare più del 50 per cento del capitale sul mercato (e aumentare pertanto la liquidità delle azioni), mantenendo allo stesso tempo la possibilità di riacquistare la quota di controllo nel quinquennio successivo alla quotazione senza incorrere nell'obbligo di OPA.

 

Anche le lettere n) ed o) del comma 1 dell'articolo in esame modificano l'articolo 109 del TUF (Concernente l’acquisto di concerto) a fini di coordinamento con le modifiche apportate dalla successiva lettera aa).

 

Le lettere p), v) e z) sono state soppresse nel corso dell’esame al Senato.

 

Si ricorda che la lettera p) novellava gli articoli 113-ter e 114 del TUF. Tali norme rispettivamente disciplinano le informazioni regolamentate (quelle che devono essere pubblicate dagli emittenti quotate) e le comunicazioni al pubblico (in particolare le informazioni privilegiate che riguardano direttamente detti emittenti e le società controllate, ossia le informazioni che, se rese pubbliche, potrebbero influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari). Le norme in commento intendono ridurre gli oneri delle società quotate connessi all'adempimento dell'obbligo di pubblicazione delle informazioni regolamentate sulla stampa quotidiana. Intervenendo sul comma 3 dell'articolo 113-ter e sul comma 1 dell'articolo 114 del TUF,veniva soppressa la previsione della necessità di pubblicazione delle informazioni tramite mezzi di informazione su giornali quotidiani nazionali. Disposizioni analoghe erano contenute nella lettera v)(che modificava l'articolo 122 del TUF) e nella lettera z) (incidente sull'articolo 125-bis del TUF).

 

Le lettere q), r) ed s) del comma 1 dell'articolo in esame apportano modifiche all'articolo 120 del TUF, in materia di obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti.

Le modifiche recate dalle lettere q) ed s) hanno essenzialmente fini di coordinamento con le modifiche apportate dalla successiva lettera aa) (a cui si rinvia).

 

La lettera r) interviene sul comma 2 dell'articolo 120, che obbliga chi partecipa  in un emittente azioni quotate avente l'Italia come Stato membro d'origine in misura superiore al due per cento del capitale a darne comunicazione sia alla società partecipata che alla Consob.

Per effetto della modifica apportata, la soglia delle partecipazioni rilevanti da comunicare alla Consob e alla società partecipata viene elevata dal 2 per cento al 5 per cento qualora l'emittente sia una PMI.

 

Le lettere t) ed u) del comma 1 dell'articolo in esame recano modifiche all'articolo 121 del TUF, in cui sono disciplinate le partecipazioni reciproche. Viene in particolare modificata la disciplina dei limiti alle partecipazioni reciproche prevista per le società con azioni quotate.

L'articolo 121 del TUF (così come l'articolo 2359-bis del codice civile) prevede una serie di limiti in materia di incroci azionari, con la finalità di prevenire possibili abusi derivanti da tali incroci. Il comma 2 dell'articolo 121 in particolare prevedeva, nella formulazione previgente, che il limite per le partecipazioni reciproche del due per cento fosse elevato al cinque per cento qualora il superamento del due per cento da parte di entrambe le società avesse luogo a seguito di un accordo preventivamente autorizzato dall'assemblea ordinaria delle società interessate.

Per effetto della modifica apportata detta soglia, a seguito di accordo preventivamente autorizzato dall'assemblea ordinaria delle società interessate, è innalzata al 10 per cento, nei casi previsti dal nuovo comma 2, secondo periodo, dell'articolo 120 del TUF (cfr supra) ovvero qualora l'emittente sia una PMI.

La maggiorazione del voto

La lettera aa) del comma 1 dell'articolo in esame introduce nel TUF un nuovo articolo 127-quinquies, rubricato "Maggiorazione del voto", con il quale, in estrema sintesi, si rimette all'autonomia statutaria delle società la possibilità di prevedere azioni a voto maggiorato a beneficio degli azionisti di lungo periodo.

L'uso di diverse classi di azioni con diritti di voto differenziati e di meccanismi di incremento del diritto di voto per gli azionisti stabili è prassi comune in Paesi come Francia, Olanda, Paesi nordici europei e Stati Uniti.

 

L'articolo 2351 del codice civile, dopo aver previsto che ogni azione attribuisce il diritto di voto, consente all'autonomia statutaria di prevedere la creazione di categorie di azioni senza diritto di voto, con voto limitato a particolari argomenti, con voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative; il valore di tali azioni non può comunque complessivamente superare la metà del capitale sociale. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti. Resta comunque vietata l'emissione di azioni con voto plurimo.

L'articolo 127-quater del TUF (aggiunto dall'articolo 3, comma 10, del D.Lgs. n. 27 del 2010), al fine di incentivare gli investitori di lungo periodo, ha previsto - in estrema sintesi - che gli statuti delle società quotate possano prevedere un dividendo maggiorato, non superiore al 10 per cento del dividendo ordinario, a beneficio degli azionisti, diversi dai soci di controllo, che abbiano detenuto in modo continuativo le azioni per un periodo individuato dagli stessi statuti, non inferiore ad un anno; gli statuti possono peraltro subordinare l'assegnazione della maggiorazione a condizioni ulteriori.

 

Più in dettaglio, il nuovo articolo 127-quinquies del TUF prevede, al comma 1, che gli statuti delle società da quotare e già quotate possano prevedere l'attribuzione di un diritto di voto maggiorato, fino ad un massimo di due voti, per le azioni detenute da uno stesso azionista, per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi dall'iscrizione in un apposito elenco, la cui tenuta è disciplinata dallo statuto.

Ai sensi del comma 2, lo statuto deve individuare le modalità per l'attribuzione del voto maggiorato e per l'accertamento dei relativi presupposti, mentre si rimette alla Consob la regolamentazione attuativa della disciplina in esame, finalizzata ad assicurare la trasparenza delle partecipazioni rilevanti e l'osservanza della disciplina in materia di OPA.

Le azioni a voto maggiorato non costituiscono una categoria speciale di azioni (comma 5) e in caso di successivo trasferimento delle stesse la maggiorazione del voto si estingue (comma 3).

Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che - oltre alla cessione delle azioni - anche la cessione diretta o indiretta di partecipazioni di controllo in società o enti che detengono azioni a voto maggiorato sopra soglia comporta la perdita della maggiorazione (viene meno la possibilità di una diversa previsione statutaria).

Lo stesso comma 3 del nuovo articolo 127-quinquies prevede altresì che, se lo statuto non dispone diversamente:

-        in caso di trasferimenti delle azioni per successione mortis causa o in caso di fusione e scissione del titolare delle azioni, il voto maggiorato viene conservato;

-        in caso di aumento di capitale a titolo gratuito ai sensi dell'articolo 2442 del codice civile, il diritto di voto maggiorato si estende alle azioni di nuova emissione.

 

Ai sensi del comma 4, lo statuto può prevedere che, anche in caso di aumenti di capitale mediante nuovi conferimenti, la maggiorazione del voto si estenda in misura proporzionale (secondo quanto precisato al Senato) alle azioni emesse in esecuzione di tali aumenti; analogamente, il progetto di fusione o di scissione di una società che prevede il voto maggiorato può stabilire che ai titolari del voto maggiorato siano assegnate in concambio azioni con lo stesso voto maggiorato.

 

La delibera di modifica statutaria con cui viene introdotto il voto maggiorato non attribuisce il diritto di recesso (comma 6).

La Consob in merito ha osservato che una scelta in tal senso rappresenta infatti un mutamento rilevante nella struttura proprietaria della società, che appare tale da richiedere, a tutela dei soci di minoranza, la previsione di un diritto di recesso.

 

Inoltre, per le società che non siano già quotate ma che abbiano avviato un procedimento di ammissione a quotazione (non derivante dalla fusione con una società già quotata) si prevede la possibilità di computare il periodo anteriore all'iscrizione nel già citato elenco, ai fini del possesso continuativo di almeno ventiquattro mesi (comma 7).

 

Infine, se non diversamente disposto dallo statuto, si deve tenere conto della maggiorazione del voto anche ai fini del computo dei quorum costitutivi e deliberativi che fanno riferimento ad aliquote di capitale; la maggiorazione del voto non ha invece effetto ai fini dell'esercizio dei diritti, diversi dal voto, attribuiti in forza del possesso di determinate aliquote del capitale (comma 8 del nuovo articolo 127-quinquies).

 

Attraverso il nuovo articolo 127-sexies, nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto il divieto per gli statuti di prevedere l’emissione di azioni a voto plurimo, salvaguardando le azioni a voto plurimo emesse anteriormente all’inizio delle negoziazioni in un mercato regolamentato e circoscrivendo la casistica in cui è possibile emettere tali azioni per le società che già lo abbiano fatto o per quelle risultanti dalla fusione o scissione delle precedenti (lettera aa-bis)).

 

Con l'introduzione delle norme in materia di voto maggiorato e voto plurimo sono altresì apportate - come già anticipato - a fini di coordinamento, una serie di modifiche al TUF. In particolare:

-        la lettera b) del comma 1 del testo in esame novella il comma 2 dell'articolo 104-bis (concernente la regola di neutralizzazione). Con la modifica in commento si precisa che nell'assemblea convocata per deliberare su eventuali misure difensive per offerte pubbliche di acquisto “ostili” le azioni a voto plurimo conferiscono solo un voto  e che i diritti di voto maggiorato assegnati ai sensi dell'articolo 127-quinquiesnon si computano.

Ai sensi della disciplina europea dell’OPA (articolo 11 della Direttiva 2004/25/CE), nell’ambito di un’OPA non si applicano all’offerente tutte le restrizioni (quali le limitazioni al trasferimento di titoli) che potrebbero impedire l’acquisto o l’esercizio del controllo della società, con il riconoscimento di equo indennizzo per le eventuali perdite subite a seguito dell’applicazione di detta clausola. In Italia l’articolo 104-bisdel TUFconsente alle società quotate di introdurre nello statuto la regola di neutralizzazione delle limitazioni al trasferimento dei titoli, che dunque non è imperativa. Essa è dunque applicabile solo nei confronti di quelle società che, in virtù della propria autonomia statutaria, ne abbiano prevista l’adozione.;

-        la lettera c) novella il comma 3 dell'articolo 105 (concernente disposizioni generali in materia di OPA obbligatorie e in particolare la potestà regolamentare della Consob di computare nelle partecipazioni rilevanti anche le ipotesi di voto maggiorato);

Tale previsione, a parere del Consob, è coerente con il modello di riferimento francese ma riduce la portata dell’innovazione introdotta, in quanto limita la possibilità per un azionista di controllo di cedere sul mercato quote importanti di capitale senza dover sopportare i costi di un’OPA. Tale OPA peraltro sarebbe di norma promossa ad un prezzo non particolarmente vantaggioso per gli azionisti di minoranza, in quanto, in assenza di acquisti, il corrispettivo sarebbe pari al prezzo di mercato e non incorporerebbe alcun premio di controllo.

L’Autorità di vigilanza ha ipotizzato, in alternativa all’obbligo di OPA, altri meccanismi di salvaguardia degli azionisti di minoranza, meglio adatti ad agire sul piano preventivo: ad esempio, al la previsione di quorum rafforzati per l’assunzione della delibera assembleare che introduce il voto maggiorato.

-        le lettere d), f), h) ed i) novellano l'articolo 106 (concernente l'OPA totalitaria). In particolare, si prevede che ai fini del raggiungimento delle soglie rilevanti per l’applicazione dell’OPA totalitaria rilevi anche la maggiorazione dei diritti di voto;

-        le lettere n) ed o) novellano l'articolo 109 (concernente l'acquisto di concerto), che obbliga solidalmente all’OPA totalitaria o “residuale” coloro che agiscono di concerto, ove vengano a detenere, a seguito di acquisti effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate dalla legge. Per effetto delle modifiche si precisa che tali obblighi sussistono in capo a coloro che agiscono di concerto, anche a seguito di maggiorazione -  anche a favore di uno solo di essi - dei diritti di voto, qualora essi vengano a disporre di diritti di voto in misura superiore alle percentuali indicate nell'articolo 106 per l’OPA totalitaria;

-        le lettere q) ed s) novellano l'articolo 120 (concernente gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, al fine di specificare che per l’operatività di detti obblighi rilevano anche le maggiorazioni di voto, anche per l’esercizio degli opportuni poteri regolamentari della CONSOB).In particolare, nel corso dell’esame al Senato, alla lettera q) è stato precisato che si intende per capitale il numero complessivo dei diritti di voto, anche con riguardo all’emissione di azioni a voto plurimo, oltre che alle azioni a voto maggiorato.

 

Da ultimo, la lettera bb) del comma 1dell'articolo in esame sopprime il comma 1 dell'articolo 134 del TUF.

Tale disposizione prevedeva la riduzione alla metà del termine previsto dall'articolo 2441, secondo comma, del codice civile per l'esercizio del diritto di opzione su azioni.

L’articolo 2441, secondo comma, viene modificato dal comma 6 dell’articolo 20 in esame, tra l’altro riducendo a metà (da 30 a 15 giorni) il termine per l'esercizio del diritto di opzione su azioni.

Di conseguenza, dal momento che i termini sono gli stessi per tutte le società (quotate e non) la disposizione di cui all’articolo 134, comma 1, appare ridondante.

Nell’audizione svolta al Senato in occasione dell’esame del provvedimento in commento, la Banca d’Italia ha sottolineato come, in linea di principio, la disponibilità di strumenti che, alterando il principio di proporzionalità tra diritti amministrativi e diritti agli utili, consentono di esercitare il controllo con un impegno finanziario limitato può contribuire a ridurre le remore alla quotazione dei proprietari di imprese “chiuse”. Ha rilevato che l’impiego di strumenti di separazione tra proprietà e controllo può comportare un aumento del costo del capitale.

Tale modalità non appare, a parere dell’Autorità, la più idonea a perseguire l’obiettivo di favorire l’accesso al mercato dei capitali di nuove imprese. Il legame tra maggiorazione dei diritti di voto e detenzione del titolo per un periodo prestabilito determina incertezza circa il peso relativo dei diritti di voto dei soci. Per altro verso, l’esclusione del diritto di recesso, pur in presenza di un’alterazione rilevante dei diritti esistenti, facilita l’impiego delle azioni a voto maggiorato da parte dei controllanti delle società già quotate per rafforzare la propria posizione.

A parere della Banca d’Italia sarebbe preferibile consentire l’emissione di una vera e propria categoria di azioni a voto multiplo con l’attribuzione del diritto di recesso; ciò, da un lato, darebbe certezza all’allocazione dei diritti di voto e accrescerebbe la trasparenza dello strumento,dall’altro garantirebbe una maggiore tutela agli azionisti di minoranza.

 

 

Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, reca le norme di prima applicazione della disciplina sul voto maggiorato (di cui all’introdotto articolo 127-quinquies del TUF).

In particolare, le delibere di modifica statutaria delle società quotate nel mercato italiano, iscritte nel registro delle imprese all’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, volte a consentire la creazione di azioni con voto maggiorato, sono prese con il voto favorevole della maggioranza del capitale rappresentato in assemblea, anche in prima convocazione.

 

 


 

Articolo 20, comma 1-ter
(Assunzioni di personale Consob)

 

 

Il comma 1-ter, anch’esso introdotto al Senato, autorizza la CONSOB a procedere all’assunzione di personale, in particolare mantenendo “fermo” quanto previsto dall’articolo 34, comma 57 del D.L. n. 179 del 2012.

La richiamata norma, in estrema sintesi, autorizza la CONSOB ad assumere, mediante nomina per chiamata diretta e con contratto a tempo determinato, non più di cinque persone che, per i titoli professionali o di servizio posseduti, risultino idonee all'immediato svolgimento dei compiti di istituto.

 

Più in dettaglio la norma in esame prevede che, entro 90 giorni dalla data di pubblicazione della legge di conversione del decreto legge n. 179 (stante il rinvio operato dalla disposizione in esame, tale termine si presume riferito all’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento) la CONSOB, - nell’ambito dell’autonomia del proprio ordinamento ed al fine di assicurare efficaci e livelli continuativi livelli di vigilanza per l’attuazione delle disposizioni introdotte dalle norme in commento (il comma 57 richiamato si riferisce a “quanto previsto ai sensi del presente articolo”) e per la tutela degli investitori, la salvaguardia della trasparenza e della correttezza del sistema finanziario - provveda alle “occorrenti iniziative attuative”.

A tale scopo, la CONSOB provvede anche adottando misure di contenimento della spesa ulteriori ed alternative alle vigenti disposizioni in materia di finanza pubblica, purché sia assicurato il conseguimento dei medesimi risparmi previsti a legislazione vigente.

L’Autorità inoltre può avvalersi anche della facoltà di assunzione di personale previste dal D.L. n. 35 del 2005, in particolare dall’articolo 2, commi 4-undecies e 4-terdecies di tale provvedimento.

Dunque l’Autorità potrà assumere, per ragioni di urgenza derivanti da indifferibili esigenze di servizio, mediante nomina per chiamata diretta e con contratto a tempo determinato, non più di cinque persone che, per i titoli professionali o di servizio posseduti, risultino idonee all'immediato svolgimento dei compiti di istituto (si tratta di un terzo del personale che può essere assunto ai sensi dell’articolo 2, comma 4-undecies del D.L. 35/2005), entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.

Gli oneri finanziari derivanti dall'applicazione del comma 4-undecies sono coperti rideterminando l'ammontare annuale del contributo dovuto all’Autorità dai soggetti sottoposti alla sua vigilanza ai sensi dell'articolo 40, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (comma 4-terdecies del D.L. 35/2005).

Le disposizioni affidano infine al collegio dei revisori dei conti il compito di verificare preventivamente che le misure previste siano idonee a garantire comunque i medesimi effetti di contenimento della spesa stabiliti a legislazione vigente ed attesta il rispetto di tale adempimento nella relazione al conto consuntivo. Resta in ogni caso precluso l’utilizzo degli stanziamenti preordinati alle spese in conto capitale per finanziare spese di parte corrente.

In data 24 febbraio 2012 si è insediato in Consob il Collegio dei revisori dei conti, istituito ai sensi dell’art. 2 della delibera n. 17914 del 1° settembre 2011. Ad esso è affidato il controllo di regolarità amministrativo-contabile dell’Istituto; in particolare:

§  effettua il riscontro degli atti della gestione finanziaria, svolge verifiche periodiche di cassa e di bilancio e formula proprie osservazioni;

§  esprime in apposita relazione il proprio parere sul progetto di bilancio di previsione nonché sul conto consuntivo, con particolare riguardo alla concordanza dei risultati esposti nel conto consuntivo stesso con le scritture contabili e alla regolarità delle procedure di gestione nonché su ogni altro documento inerente alla gestione economico-finanziaria dell’Istituto;

§  fornisce, a richiesta, pareri sulle materie di competenza;

§  vigila sull’osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari in materia contabile;

§  svolge ogni altra attività connessa o funzionale all’espletamento dei compiti sopra riportati.

I componenti del Collegio dei revisori dei conti restano in carica tre anni e possono essere confermati una sola volta.

 


 

Articolo 20, comma 2
(Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili - Principi contabili internazionali)

 

 

Il comma 2 dell’articolo 20 reca modifiche alla normativa nazionale (decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38) che disciplina l’utilizzo a fini fiscali dei princìpi contabili internazionali. Tali modifiche sono dirette, da un lato, a consentire l'utilizzo degli IAS/IFRS (International Accounting Standards/International Financial Reporting Standards) da parte delle c.d. società chiuse e, dall'altro, a definire il ruolo e le funzioni svolte dall'Organismo Italiano di Contabilità (OIC).

 

Più in dettaglio, la lettera a) del comma 2 dell'articolo 20 in esame modifica dell'articolo 4, comma 6, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, con il quale sono recate disposizioni per l'applicazione dei principi contabili internazionali nella redazione dei bilanci annuali o consolidati.

 

Si ricorda che i principi contabili internazionali, denominati "IAS/IFRS" (International Accounting Standards/ International Financial Reporting Standards), sono princìpi contabili approvati dall’International Accounting Standards Board (IASB) adottati ai sensi del regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002.

L’applicazione dei principi contabili internazionali in ambito europeo è diretta ad armonizzare l'informazione finanziaria presentata dalle società, a garantire un elevato livello di trasparenza e comparabilità dei bilanci e a garantire un efficiente funzionamento del mercato comunitario dei capitali e del mercato interno. Nel corso degli anni, con successivi Regolamenti della Commissione europea, sono stati approvati i criteri da applicare per la valutazione delle voci da iscrivere in bilancio. L’applicazione degli IAS è obbligatoria per alcuni soggetti (società quotate diverse dalle compagnie di assicurazione e società appartenenti a gruppi bancari) ed è opzionale per gli altri soggetti.

Con il D.Lgs. n. 38 del 2005, emanato in attuazione del regolamento CE n. 1606/2002, sono state introdotte disposizioni dirette ad armonizzare l’applicazione dei principi contabili internazionali con la normativa fiscale nazionale in materia di reddito d’impresa. Il provvedimento ha in particolare distinto tra soggetti obbligati a redigere il bilancio d'esercizio e consolidato sulla base dei principi contabili internazionali e soggetti cui è attribuita la facoltà di applicare tali principi per la redazione del bilancio.

Con riferimento ai bilanci di esercizio, per le società quotate, le società aventi strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, le banche e gli intermediari finanziari sottoposti a vigilanza da parte della Banca d’Italia (nonché le società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari, le SIM e le capogruppo dei gruppi di SIM, le SGR, gli intermediari iscritti all’albo, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento) è facoltativa l’adozione dei princìpi IAS fin dal 2005, mentre la loro applicazione è obbligatoria a decorrere dai bilanci relativi all’anno 2006.

Per le società di assicurazione l’obbligo di redazione concerne i bilanci di esercizio dal 2006, soltanto per le società che emettono strumenti finanziari quotati e che non redigono il bilancio consolidato.

Infine, per le società diverse dalle precedenti e diverse, inoltre, da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’articolo 2435-bis del codice civile è prevista la facoltà di redigere il bilancio d’esercizio conformemente ai princìpi IAS a partire dall’esercizio 2005, nel caso in cui queste siano incluse in un bilancio consolidato redatto secondo tali princìpi ovvero optino per l’applicazione dei medesimi nella redazione del proprio bilancio consolidato.

Negli altri casi, l’articolo 4, comma 6 del D. Lgs.. n. 38 del 2005, nella previgente formulazione, consentiva di usufruire di tale facoltà a decorrere dall’esercizio che sarebbe stato individuato con decreto interministeriale. Tale decreto non è stato emanato, limitando, dunque, il ricorso a tale possibilità.

Di conseguenza, con la modifica apportata dalla norma in esame - eliminando il riferimento al predetto decreto interministeriale – si consente alle società di redigere il bilancio d'esercizio in conformità ai principi contabili internazionali senza dover attendere la relativa disposizione autorizzativa.

La Relazione illustrativa sottolinea che questa disposizione riguarda le c.d. società chiuse, ovvero le società per azioni non quotate che non fanno ricorso al capitale di rischio. Si ritiene che l’uso degli IAS/IFRS favorirebbe il percorso di conoscibilità e visibilità internazionale delle società che intendano, o anche solo non escludano, accedere al mercato dei capitali di rischio, e il loro graduale adeguamento allo status di emittente quotato.

La Consob, audita al Senato sul provvedimento in esame, ha sottolineato che l’adozione dei principi contabili internazionali, che devono obbligatoriamente essere utilizzati per la redazione del bilancio delle società quotate, consente di avvicinare la struttura organizzativo-contabile delle società chiuse a quella delle quotate, rendendo più agevole la possibile quotazione o comunque l’accesso al mercato dei capitali.

 

La lettera b) del comma 2 in esame inserisce nel decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, gli articoli 9-bis e 9-ter dedicati, rispettivamente, al ruolo e alle funzioni e al finanziamento dell'Organismo Italiano di Contabilità (OIC).

 

Si ricorda che l'Organismo Italiano di Contabilità è una fondazione costituita il 27 novembre 2001, la cui struttura è formata da un collegio dei fondatori, un consiglio di sorveglianza, un consiglio di gestione, un comitato tecnico-scientifico e un collegio dei revisori. Alla stipula dell’atto costitutivo hanno partecipato, in qualità di fondatori, le organizzazioni rappresentative delle principali categorie di soggetti privati interessate alla materia. In particolare, gli attuali soci fondatori sono: per la professione contabile, l’Assirevi, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e il Consiglio nazionale dei ragionieri; per i preparers, l’Abi, l’Andaf, l’Ania, l’Assilea, l’Assonime, la Confagricoltura, la Confapi, la Confcommercio, la Confcooperative, la Confindustria e la Lega delle cooperative; per gli users, l’Aiaf, l’Assogestioni e la Centrale bilanci; per i mercati mobiliari, la Borsa italiana.

Ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto, il patrimonio della fondazione è costituito:

-      dal fondo di dotazione costituito dai conferimenti in denaro o beni mobili e immobili, o altre utilità impiegabili per il perseguimento degli scopi, effettuati dai fondatori o da terzi;

-      dai beni che potranno pervenire alla fondazione per testamento, donazione o ad altro titolo nonché da contributi da parte di privati, enti, istituzioni italiane, estere o sovranazionali, espressamente destinati ad incremento del patrimonio;

-      dagli avanzi della gestione annuale riportati a nuovo.

L’articolo 5 dello Statuto stabilisce che il fondo di gestione è costituito:

-      dalle rendite e dai proventi derivanti dal patrimonio della fondazione medesima;

-      da eventuali donazioni o disposizioni testamentarie, che non siano espressamente destinate al patrimonio;

-      da contributi derivanti da disposizioni di legge;

-      da eventuali contributi attribuiti da parte di privati, enti (pubblici e privati), istituzioni italiane, estere o sovranazionali, senza espressa destinazione al patrimonio;

-      dai contributi dei fondatori e degli aderenti;

-      dai ricavi delle attività istituzionali, accessorie, strumentali e connesse.

Nello svolgimento della sua attività l’OIC provvede a:

-      emanare i principi contabili per la redazione dei bilanci per i quali non è prevista l’applicazione dei principi contabili internazionali (settore privato, pubblico e non profit);

-      partecipare all’attività di elaborazione dei principi contabili internazionali, fornendo supporto tecnico agli organismi internazionali competenti e coordinando i propri lavori con le attività degli altri standard setter europei;

-      coadiuvare il legislatore nell’emanazione della normativa in materia contabile e connessa;

-      promuovere la cultura contabile.

Si ricorda inoltre che i commi 86, 87 e 88 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) hanno recato disposizioni in materia di finanziamento dell’OIC. In particolare, ai sensi del comma 86, il finanziamento deve essere effettuato mediante un incremento dei diritti di segreteria versati dalle imprese per il deposito dei bilancio presso il registro delle imprese tenuto nelle Camere di commercio.

Il comma 87 dispone che il collegio dei fondatori dell’OIC deve stabilire annualmente il fabbisogno di finanziamento dell’Organismo e le quote dello stesso da destinare all’International Accounting Standards Board (IASB(179) ) e all’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG(180) ).

Ai sensi del comma 88, il fabbisogno individuato dal collegio dei fondatori è comunicato al Ministro dello sviluppo economico il quale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, definisce la misura della maggiorazione del diritto camerale e individua le modalità di corresponsione delle relative somme all’OIC.

La richiamata legge finanziaria 2008, dettando norme per suo finanziamento, ha riconosciuto solo implicitamente l'OIC quale soggetto legittimato a rappresentare istituzionalmente le istanze italiane nel processo di formazione dei princìpi contabili e nella definizione delle regole di governance degli organismi a ciò preposti.

La disposizione in esame intende pertanto riconoscere esplicitamente all'OIC tale ruolo, con lo scopo di conferire all'Organismo una posizione di maggiore influenza nei tavoli negoziali ove sono trattate le diverse questioni, con particolare riferimento alla collaborazione con IASB e EFRAG.

 

Nello specifico, il nuovo articolo 9-bis del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, individua ruolo e funzioni dell'OIC.

L'OIC pertanto, coordinandosi con le autorità nazionali competenti in materia contabile:

-        emana i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile;

-        fornisce supporto all'attività del Parlamento e degli organi governativi in materia di normativa contabile;

-        partecipa al processo di elaborazione dei principi contabili internazionali.

L'OIC, che persegue finalità di interesse pubblico ed agisce in modo indipendente, deve riferire annualmente sull'attività svolta al Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Il nuovo articolo 9-ter disciplina invece il finanziamento dell'OIC (ricalcando quanto già previsto dai commi 86, 87 e 88 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2008, che vengono pertanto abrogati dalla lettera c) del comma 2 in esame. Si prevede pertanto:

-        che al finanziamento dell'OIC concorrano le imprese attraverso contributi derivanti da una maggiorazione dei diritti di segreteria dovuti alle camere di commercio;

-        che il collegio dei fondatori dell'OIC stabilisca annualmente il fabbisogno di finanziamento dell'Organismo nonché le quote di finanziamento da destinare allo IASB e all'EFRAG;

-        che con decreto interministeriale venga definita la misura della succitata maggiorazione dei diritti di segreteria camerali sulla base delle indicazioni di fabbisogno trasmesse dall'OIC, nonché la modalità di corresponsione di tali somme all'Organismo.

 


 

 

Articolo 20, commi 3-8-quinquies
(Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misure contabili - Modifiche al Libro V, Titolo V, del Codice civile)

 

 

L’articolo 20, ai commi da 3 ad 8-quinquies reca una serie di modifiche alle disposizioni del codice civile in materia di società.

In particolare il comma 3 novella i criteri di determinazione del valore delle azioni delle società quotate nel caso di recesso; viene eliminato, tra l'altro, il riferimento all'utilizzo esclusivo del criterio della media aritmetica dei prezzi di chiusura di mercato nei sei mesi precedenti la pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea.

I commi 4 e 5 recano modifiche, rispettivamente, alla disciplina dell’acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori e della trasformazione di società di persone: si prevede che in tali fattispecie possa applicarsi una procedura di valutazione semplificata dei beni societari (prevista dall'articolo 2343-ter del codice civile nell'ipotesi del conferimento di beni in natura o crediti senza relazione di stima) ove ne sussistano i presupposti di legge.

Il comma 6 novella il secondo comma dell'articolo 2441 del codice civile, dedicato al diritto di opzione. In particolare:

Il comma 7 riduce il capitale minimo richiesto per la costituzione di una società per azioni da 120.000 euro a 50.000 euro.

Il comma 8 abroga l’obbligo di nominare un organo di controllo o un revisore unico per le srl aventi un capitale sociale non inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni, fermo restando tale obbligo negli altri casi previsti dal c.c.

I commi 8-bis e 8-ter, introdotti durante l’esame del provvedimento al Senato, apportano modifiche alla disciplina delle azioni con diritto di voto limitato, consentendo a tutte le società per azioni (anche a quelle “aperte”, che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio) di prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o siano disposti scaglionamenti. Viene introdotta la possibilità per gli statuti di consentire l’emissione di azioni con diritto di voto plurimo per particolari argomenti, ovvero subordinato al verificarsi di determinate condizioni non meramente potestative.

Sono conseguentemente modificate le disposizioni di attuazione del codice civile, fissando in due terzi del capitale rappresentato in assemblea, anche in prima convocazione, la maggioranza valida per le modifiche statutarie volte a consentire la creazione di azioni a voto plurimo, per le società iscritte nel registro delle imprese alla data del 31 agosto 2014.

Il comma 8-quater, anch’esso introdotto durante l’esame al Senato, fissa al 31 dicembre 2014 il termine entro il quale la Consob deve emanare la disciplina attuativa delle nuove norme sulla maggiorazione di voto nelle società per azioni quotate.

Il nuovo comma 8-quinquies, introdotto al Senato, consente alle società di gestione del risparmio (SGR) che gestiscono fondi chiusi per i quali, alla data del 25 giugno 2014, non sia scaduto il termine entro cui devono essere sottoscritte le quote, di modificare il regolamento del fondo per prorogare il termine di sottoscrizione delle quote per un periodo non superiore a dodici mesi, per il completamento della raccolta del patrimonio.

 

Più in dettaglio, il comma 3 dell'articolo 20 novella l'articolo 2437-ter, terzo comma, del codice civile, che reca i criteri di determinazione del valore delle azioni delle società quotate nel caso di recesso dell’azionista.

Nella formulazione previgente, il terzo comma dell'articolo 2437-ter disponeva, che il valore di liquidazione delle azioni quotate in mercati regolamentati fosse determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti la pubblicazione, ovvero ricezione, dell'avviso di convocazione dell'assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.

Tale disposizione viene modificata:

Al riguardo, l'articolo 2437-ter prevede:

·        che il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni (comma 2);

·        che lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati, unitamente ai criteri di rettifica (comma 4).

 

Secondo la Relazione illustrativa l'esclusivo criterio della media aritmetica non sarebbe sempre idoneo al fine di una corretta determinazione del valore delle azioni quotate, necessaria per garantire un equo trattamento ai soci titolari del diritto di recesso. L'introduzione di un criterio di maggiore flessibilità, purché più vantaggioso per il socio recedente, potrebbe consentire un maggiore sviluppo degli investimenti a beneficio delle quotate, favorendo in particolare l'ingresso di investitori nelle c.d. Special Purpose Acquisition Companies (SPACs), veicoli societari che avviano la propria quotazione per reperire risorse dal mercato da investire in PMI prima ancora di aver concretamente individuato il preciso settore di attività su cui le risorse raccolte saranno investite e che, una volta acquisite le società target, sono solite procedere alla fusione per incorporazione. I soci investitori - prosegue la Relazione - potranno così o rimanere soci della società risultante della fusione o recedere ad un prezzo equo.

 

I commi 4 e 5 recano modifiche, rispettivamente, all'articolo 2343-bis (che disciplina l’acquisto della società da promotori, fondatori, soci e amministratori) ed all'articolo 2500-ter (in materia di trasformazione di società di persone) del codice civile, al fine di prevedere, anche in tali fattispecie, la possibilità di applicare la procedura semplificata prevista dall'articolo 2343-ter del codice civile, nell'ipotesi del conferimento di beni in natura o crediti senza relazione di stima, qualora sussistano i presupposti ivi indicati.

 

In particolare il comma 4 novella l'articolo 2343-bis, dedicato all'acquisto della società da parte di promotori, fondatori, soci e amministratori.

L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, di beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.

In tale ipotesi, per la valutazione dei beni stessi, la formulazione previgente dell’articolo consentiva all'alienante di presentare la sola relazione giurata di un esperto designato dal tribunale recante specifici elementi.

Per effetto delle modifiche apportate dal comma 4 dell’articolo 20 l’alienante, oltre alla relazione di un esperto potrà portare in alternativa anche la documentazione di cui all’articolo 2343-ter, primo e secondo comma.

 

Ai sensi dell'articolo 2343-ter del codice civile, nel caso di conferimento in società di valori mobiliari ovvero di strumenti del mercato monetario, non è richiesta l’apposita relazione giurata (disposta ex articolo 2343 c.c.), qualora il valore ad essi attribuito (ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo) è pari o inferiore al prezzo medio ponderato al quale detti valori sono stati negoziati sui mercati regolamentati nei sei mesi precedenti il conferimento.

Fuori da tali casi, non è richiesta la relazione di stima qualora il valore attribuito, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo, ai beni in  natura  o crediti conferiti sia pari o inferiore:

a) al fair value iscritto nel bilancio dell'esercizio precedente quello nel quale è effettuato il  conferimento, a specifiche condizioni;

b) ovvero al valore risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre sei mesi il conferimento, e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione dei beni oggetto del conferimento, a condizione che essa provenga da un esperto indipendente dotato di adeguata e comprovata professionalità.

Chi conferisce beni o crediti ai sensi delle predette norme ha un preciso obbligo: deve presentare la documentazione dalla quale risulta il valore attribuito ai conferimenti e la sussistenza, per i conferimenti di cui al secondo comma, delle condizioni ivi indicate.

 

Sia la predetta documentazione dalla quale risulta il valore dei beni acquistati, sia la relazione dell’esperto designato dal tribunale dovranno recare la descrizione dei beni o dei crediti, il valore attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve comunque essere indicato.

 

Con finalità analoghe il comma 5 novella il secondo comma dell'articolo 2500-ter del codice civile, dedicato alla trasformazione delle società di persone in società di capitali. Nella formulazione previgente, la decisione di trasformazione deve essere accompagnata da una relazione di stima, redatta ai sensi dell'art. 2343, per le società per azioni e in accomandita per azioni, e dell'art. 2465, per le società a responsabilità limitata, dalla quale risultasse il capitale della società trasformata sulla base dei valori attuali dell'attivo e del passivo.

Per effetto delle modifiche apportate dal comma 5 in esame, il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima giurata ovvero (a seguito della modifica apportata) dalla documentazione di cui al già richiamato articolo 2343-ter.

Si specifica quindi che, nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni, nelle ipotesi di cui al giù richiamato primo e secondo comma dell'articolo 2343-ter, si applicano anche in tal caso gli obblighi di allegare la documentazione da cui risulti il valore dei beni.

 

Il comma 6 dell'articolo in esame novella il secondo comma dell'articolo 2441 del codice civile, dedicato al diritto di opzione, che - nella sua formulazione previgente - prevede che l'offerta di opzione debba essere depositata presso l'ufficio del registro delle imprese, e concede un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta per l'esercizio del diritto di opzione (fatto salvo quanto previsto per le società quotate dalle leggi speciali).

Tale disposizione viene così modificata dalla norma in commento:

·     si introduce la pubblicazione nel sito internet della società (con modalità tali da garantire sicurezza, autenticità e certezza di dati e documenti) di un avviso sull'offerta in opzione ovvero, in alternativa, il deposito dell'avviso presso la sede sociale;

·     si riduce la durata minima del termine previsto per l'esercizio del diritto di opzione da trenta a quindici giorni.

Con tale modifica viene pertanto equiparata la disciplina prevista per le società non quotate a quella già vigente per le società quotate (di cui all’articolo 134, comma 1 del TUF, abrogato dall'articolo 20, comma 1, lettera bb)del provvedimento in esame).

 

Il comma 7 modifica l'articolo 2327 del codice civile, al fine di ridurre il capitale minimo richiesto per la costituzione di una società per azioni da 120.000 euro a 50.000 euro.

Si ricorda al riguardo che la disciplina europea in materia (direttiva 25 ottobre 2012, n. 2012/30/UE) prevede all'articolo 6 che per la costituzione della società o per il conseguimento dell'autorizzazione a iniziare la propria attività, le legislazioni degli Stati membri devono prescrivere un capitale minimo di importo non inferiore a 25.000 EUR

 

Il comma 8 dell'articolo 20 abroga il secondo comma dell'articolo 2477 del codice civile, che imponeva alle società a responsabilità limitata con capitale sociale non inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni di nominare un organo di controllo o un revisore unico.

Di conseguenza, la nomina dell'organo di controllo o del revisoreresta obbligatoria solo se la società a responsabilità limitata:

·        è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;

·        controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;

·        per due esercizi consecutivi ha superato due dei limiti indicati dal primo comma dell'articolo 2435-bis (ossia: totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro; dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 50 unità).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato quindi previsto che la sopravvenuta insussistenza dell’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore costituisce giusta causa di revoca.

 

I commi 8-bis e 8-ter, introdotti durante l’esame del provvedimento al Senato, apportano modifiche alla disciplina delle azioni con diritto di voto limitato, di cui al secondo e terzo comma dell’articolo 2351 c.c.

Nella formulazione corrente, il secondo comma dell’articolo 2351 c.c. consente allo statuto societario - salvo quanto previsto dalle leggi speciali - di prevedere la creazione di azioni senza diritto di voto, ovvero con diritto di voto limitato a particolari argomenti, ovvero con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni, purché non meramente potestative. Il valore di tali azioni non può complessivamente superare la metà del capitale sociale.

Il terzo comma prevede che per le cd. “società chiuse”, ovvero quelle che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può determinare che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o disporne scaglionamenti.

 

Per effetto delle modifiche apportate dalle norme in commento (nuova formulazione del secondo comma dell’articolo 2351 c.c.), per tutte le società (quindi anche per quelle “aperte”, ovvero che facciano ricorso al mercato di capitale di rischio) lo statuto può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o siano disposti scaglionamenti.

La nuova formulazione del terzo comma stabilisce invece che lo statuto delle società per azioni, salvo le previsioni delle leggi speciali, potrà consentire la creazione di azioni con diritto di voto plurimo per particolari argomenti ovvero subordinato al verificarsi di determinate condizioni non meramente potestative. Viene fissato a tre voti il limite massimo conferibile per ciascuna azione a voto plurimo.

Viene dunque eliminata la possibilità che lo statuto societario preveda azioni senza diritto di voto, ovvero con diritto di voto limitato a particolari argomenti, ovvero con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni, purché non meramente potestative.

 

Si osserva che le disposizioni in commento non abrogano il quarto comma dell’articolo 2351 c.c., che dispone il divieto di creazione di azioni con voto plurimo.

 

Il comma 8-ter dispone che sia conseguentemente modificato l’articolo 212 delle disposizioni di attuazione del codice civile, fissando in due terzi del capitale rappresentato in assemblea, anche in prima convocazione, la maggioranza valida per le modifiche statutarie volte a consentire la creazione di azioni a voto plurimo, per le società iscritte nel registro delle imprese alla data del 31 agosto 2014.

 

Nella formulazione vigente, il richiamato articolo 212 reca disposizioni volte a regolamentare le azioni a voto plurimo esistenti all’entrata in vigore del codice civile (27 febbraio 1942) ovvero emesse in occasione di aumenti di capitale deliberati prima dell'entrata in vigore del Codice e dirette a mantenere inalterato il rapporto tra le varie categorie di azioni, consentendone la conservazione per tutta la durata della società emittente prevista dall'atto costitutivo o dalle modificazioni di questo anteriori alla data suindicata. La norma vieta comunque l’emissione di dette azioni dopo il 27 febbraio 1942 e sanziona con la nullità le deliberazioni con le quali si attribuisce alle azioni a voto plurimo esistenti un maggior numero di voti.

 

Il comma 8-quater, anch’esso introdotto durante l’esame al Senato, fissa al 31 dicembre 2014 il termine entro il quale la Consob deve emanare la disciplina attuativa delle nuove norme sulla maggiorazione di voto nelle società per azioni quotate (di cui all’articolo 127-quinquies del TUF, di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, introdotto dall’articolo in esame).

Si ricorda che il richiamato comma 2 dell’articolo 127-quinques affida a un regolamento Consob il compito di stabilire le disposizioni di attuazione della disciplina del voto plurimo, al fine di assicurare la trasparenza degli assetti proprietari e l'osservanza delle disposizioni relative ai diritti dei soci (titolo II, capo II, sezione II del TUF). Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti in capo ai titolari di partecipazioni rilevanti.

 

Il comma 8-quinquies, anch’esso introdotto durante l’esame al Senato, consente alle società di gestione del risparmio (SGR) che gestiscono fondi chiusi per i quali, alla data del 25 giugno 2014, non sia scaduto il termine entro cui devono essere sottoscritte le quote, di modificare il regolamento del fondo per prorogare il termine di sottoscrizione delle quote per un periodo non superiore a dodici mesi, per il completamento della raccolta del patrimonio.

Si prevede altresì che:

         -        il regolamento debba essere modificato previa deliberazione dell'assemblea dei quotisti;

         -        la proroga vada comunque deliberata entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame.

 


 

Articolo 20, comma 7-bis
(Procedure di iscrizione nel registro delle imprese)

 

 

Il comma 7-bis, dell’articolo 20, introdotto nel corso dell’esame presso il Senato, interviene nella disciplina dell’avvio delle attività economiche, con particolare riguardo alle procedure di iscrizione nel registro delle imprese, quando tale iscrizione è richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata.

In tali casi, a decorrere dal primo giorno del mese successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge in esame, si prevede l’iscrizione immediata dell’atto da parte del conservatore del registro.

Il pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto è responsabile dell’accertamento delle condizioni richieste dalla legge.

 

Si ricorda che il procedimento d'iscrizione al registro delle imprese è regolato dagli artt. 2189 c.c. e seguenti. Più in particolare le iscrizioni nel registro sono eseguite su domanda sottoscritta dall'interessato. L'ufficio del registro deve accertare l'autenticità della sottoscrizione e il concorso delle condizioni richieste dalla legge per l'iscrizione. Il rifiuto dell'iscrizione deve essere comunicato con raccomandata al richiedente. Questi può ricorrere entro otto giorni al giudice del registro, che provvede con decreto.

 

La norma ribadisce l’applicazione della disciplina sulla cancellazione d’ufficio ai sensi dell’art. 2191 del codice civile.

Ai sensi dell’art. 2191 c.c. quando un'iscrizione sia avvenuta in mancanza dei presupposti legali, il giudice del registro, anche su segnalazione dell'interessato, del conservatore o di terzi, deve ordinarne con decreto la cancellazione d'ufficio, dopo aver sentito il titolare (o i titolari) della situazione giuridica iscritta, onde chiarire le ragioni dell'irregolarità ed eventualmente consentire le dovute rettifiche o regolarizzazioni

 

La nuova disciplina non si applica alle società per azioni.

 


 

Articolo 21, commi 1 e 2
(Misure a favore delle emissioni di obbligazioni societarie)

 

 

L’articolo 21 reca modifiche al regime fiscale di obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie.

Al comma 1 si estende l’applicazione dell'imposta sostitutiva al 26 per cento (in luogo della ritenuta) agli interessi e agli altri proventi derivanti da obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non negoziati, purché detenuti da uno o più investitori qualificati. Ai sensi del comma 2, si precisa l’ambito di operatività dell’esenzione dalla predetta ritenuta in favore degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), specificandone le caratteristiche che danno luogo alla disapplicazione. Si chiarisce che la ritenuta non è applicata ai proventi dei titoli emessi nell'ambito delle operazioni di cartolarizzazione.

 

Più in dettaglio, il comma 1 dell'articolo 21, integrando il comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, esclude dall’applicazione della ritenuta (di cui all'articolo 26 del DPR n. 600 del 1973) gli interessi e gli altri proventi di obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non negoziati, purché siano detenuti da uno o più investitori qualificati.

Tali proventi verranno dunque sottoposti (articolo 2 del D.Lgs. n. 239 del 1996) ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 26 per cento (aliquota così aumentata ai sensi dell’articolo 3, commi 1 e 8 del D.L. n. 66 del 2014).

Il previgente articolo 1, comma 1, del D.Lgs. n. 239 del 1996 prevedeva in estrema sintesi l’esenzione dalla ritenuta per le obbligazioni e titoli similari emessi dai c.d. "grandi emittenti", ossia banche e società quotate, nonché per le obbligazioni e le cambiali finanziarie negoziate nei mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione, anche nel caso di emittenti non quotati. Tali proventi, ai sensi del successivo articolo 2, sono sottoposti ad imposta sostitutiva con la medesima aliquota.

L'intervento mirerebbe a rimuovere le incongruenze normative che penalizzano le c.d. operazioni di private placement, diffuse sui mercati internazionali e idonee a consentire la provvista a favore delle imprese italiane anche da parte di soggetti finanziatori che investono unicamente in strumenti finanziari negoziabili.

 

Il comma 2 sostituisce il comma 9-bis dell'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012, concernente il regime fiscale delle obbligazioni, dei titoli similari e delle cambiali finanziarie, al fine di escludere l’applicazione della ritenuta d’acconto del 26 ai proventi dei titoli obbligazionari e delle cambiali finanziarie, se percepiti da organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) dedicati ai predetti investimenti e detenuti da investitori qualificati.

Si ricorda che il previgente comma 9-bis del citato articolo 32 (inserito dall'articolo 12, comma 5, del decreto-legge n. 145 del 2013) ha escluso l’applicazione della ritenuta (nel testo della norma è del 20 per cento, innalzata da ultimo al 26 per cento dal richiamato D.L. n. 66 del 2014) prevista dall’articolo 26, comma 1, del DPR n. 600 del 1973 per gli interessi e ai proventi delle obbligazioni e titoli similari e delle cambiali finanziarie, corrisposti a organismi di investimento collettivo in valori mobiliari le cui quote fossero detenute esclusivamente da investitori qualificati e il cui patrimonio fosse investito prevalentemente in tali obbligazioni, titoli o cambiali finanziarie.

Per effetto delle modifiche apportate si precisa che la suddetta ritenuta non si applica:

§  agli interessi e ai proventi delle obbligazioni e titoli similari e delle cambiali finanziarie corrisposti a organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) le cui quote sono essere detenute esclusivamente da investitori qualificati, specificando che essi devono essere istituiti in Italia o in uno Stato membro dell'Unione europea, e che il loro patrimonio deve essere investito in misura superiore al 50 per cento nei predetti titoli;

§  agli interessi e ai proventi corrisposti a società per la cartolarizzazione dei crediti, di cui alla legge 30 aprile 1999, n. 130, che emettono titoli detenuti da investitori qualificati e il cui patrimonio sia investito in misura superiore al 50 per cento in obbligazioni, titoli similari o cambiali finanziarie.

 

In relazione agli OICR, la norma precisa altresì come la composizione del patrimonio e la tipologia di investitori debba risultare dal regolamento dell'organismo.

 

 


 

Articolo 21, comma 2-bis
(Compensi per gli amministratori e
per i dipendenti delle società quotate
)

 

 

Il comma 2-bis, inserito nell’articolo 21 nel corso dell’esame al Senato, esenta le società quotate e le società emittenti strumenti finanziari quotati o che rilasciano titoli scambiati nei mercati regolamentati dall’applicazione delle norme in tema di compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società non quotate controllate dalle pubbliche amministrazioni.

 

Il comma in esame fa riferimento ai limiti ai compensi stabiliti, in particolare, ai commi da 1 a 5-ter dell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011[98], i quali prevedono che i compensi degli amministratori investiti di particolari cariche delle società non quotate direttamente e indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, nonché i trattamenti economici annui onnicomprensivi dei dipendenti di tali società, non possano essere superiori al trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione.

In particolare tali commi:

§  dispongono che tali società siano classificate per fasce, sulla base di appositi indicatori dimensionali e qualitativi, e per ciascuna fascia sia determinato, con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, il compenso massimo al quale i rispettivi consigli di amministrazione dovranno far riferimento per la determinazione degli emolumenti di cui all’articolo 2389, terzo comma, del codice civile[99] (comma 1). Sempre con decreto del MEF si provvede poi a rideterminare, almeno ogni tre anni, le fasce di classificazione e il relativo importo massimo;

§  per le società non quotate controllate dalle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze non quotate (dunque per le società non quotate indirettamente controllate del MEF), i consigli di amministrazione, nella determinazione degli emolumenti di cui all’articolo 2389, terzo comma cc., non possono superare il limite massimo stabilito dal sopradetto decreto ministeriale per la società controllante né, comunque, quello costituito dal trattamento economico del primo presidente di Cassazione;

§  limitano i compensi da corrispondersi ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma cc. agli amministratori con deleghe delle società non quotate controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego[100], stabilendo che essi non possano essere superiori al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione; ricomprendono nei limiti medesimi anche i dipendenti delle società non quotate medesime.

 

Occorre altresì segnalare che la vigente disciplina sui limiti ai compensi degli amministratori di società controllate dalle pubbliche amministrazioni è completata da quanto dispongono i commi da 5-quater a 5-sexies del medesimo articolo 23-bis del D.L. n.201/2011, i quali stabiliscono - limitatamente al primo rinnovo successivo all’entrata in vigore del predetto decreto legge - limiti agli emolumenti degli amministratori di società controllate dalle pubbliche amministrazioni che emettono strumenti finanziari quotati, diversi dalle azioni, nei mercati regolamentati, disponendo altresì l’applicazione di tali limiti anche alle società - quotate o non - da queste controllate.

Quanto alla definizione di società quotate, si ricorda che l’articolo 34, comma 38 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (legge n. 221/2012) definisce “società quotate” le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati. Tale definizione ricomprende, sulla base di un apposito parere fornito sul comma 38 medesimo dall’Avvocatura Generale dello Stato, sia le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati sia le società che mettono altri strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, quali, ad esempio, i titoli obbligazionari[101]. Laddove dunque norme di contenimento della spesa pubblica – come i commi da 1 a 5-ter del D.L. n. 201/2011 - escludano dal loro ambito applicativo le “società quotate” partecipate dalle pubbliche amministrazioni, tale esclusione opera non solo per le società che emettono titoli azionari quotati (società quotate in senso stretto), ma anche per le società che – sebbene non quotate in senso stretto – emettono altre tipologie di strumenti finanziari.

 

Rispetto alla disciplina suesposta, il comma 2-bis in esame stabilisce che, ai soli fini dell’applicazione delle disposizioni sui limiti stabiliti dai sopra illustrati commi da 1 a 5-ter dell’articolo 23-bis (vale a dire dei limiti ai compensi degli amministratori e dei dipendenti delle società non quotate direttamente e indirettamente controllate dalle P.A.), le stesse non si applicanoalle società quotate ed a quelle emittenti strumenti finanziari quotati o che rilasciano titoli scambiati nei mercati regolamentati”, stabilendo altresì che all’individuazione di tale ultima tipologia di società (quelle cioè che emettono titoli scambiati nei mercati regolamentati) si provveda con apposito D.P.C.M., da emanare entro novanta giorni dalla conversione in legge del decreto-legge.

 


 

Articolo 21-bis
(Attività di consulenza finanziaria)

 

 

L’articolo 21-bis, inserito nel corso dell’esame parlamentare, proroga al 31 dicembre 2015 il termine per continuare ad esercitare l’attività di consulenza in materia di investimento, nelle more dell’attuazione della normativa relativa all’Albo delle persone fisiche consulenti finanziari, gestito dalla Consob, previsto dal D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164 (decreto legislativo di recepimento della c.d. norme europee “Mifid”).

 

Nel dettaglio, la norma in commento modifica il termine contenuto nell’articolo 19, comma 14, del D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164. Tale termine è stato, da ultimo prorogato, al 30 giugno 2014 dall’articolo 9, comma 1, del D.L. n. 150 del 2013 (c.d. proroga termini).

 

Per effetto della norme in esame, nonostante l'esercizio professionale di servizi e attività di investimento sia riservato dalla legge (ai sensi dell’articolo 18 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - TUF, D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) a banche e imprese di investimento, i soggetti che al 31 ottobre 2007 prestavano consulenza in materia di investimenti possono continuare a svolgere tale servizio, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, fino al 31 dicembre 2015 (in luogo del 30 giugno 2014).

 

Si ricorda inoltre che l’articolo 18-bis del TUF ha previsto, al comma 1, che la riserva di attività di cui al richiamato articolo 18 del TUF non pregiudichi la possibilità per le persone fisiche, in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Consob, di prestare la consulenza in materia di investimenti, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti. Al comma 2 si è prevista l’istituzione dell'albo delle persone fisiche consulenti finanziari, alla cui tenuta provvede un organismo i cui rappresentanti sono nominati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sentite la Banca d'Italia e la Consob.

L'organismo vigila sul rispetto delle disposizioni rilevanti e, per i casi di violazione delle regole di condotta, delibera, in relazione alla gravità dell'infrazione, la sospensione dall'albo da uno a quattro mesi, ovvero la radiazione dal medesimo. Si è affidato a un regolamento Consob (delibera CONSOB del 12 gennaio 2010, n. 17130) di determinare i principi e i criteri relativi, fra l’altro, alla formazione dell'albo e alle relative forme di pubblicità, all'iscrizione all'albo e alle cause di sospensione, di radiazione e di riammissione, alle cause di incompatibilità, alle regole di condotta che i consulenti devono rispettare nel rapporto con il cliente, avuto riguardo alla disciplina cui sono sottoposti i soggetti abilitati, alle modalità di tenuta della documentazione concernente l'attività svolta dai consulenti finanziari, all'attività dell'organismo, alle modalità di aggiornamento professionale dei consulenti finanziari.

Poiché il suddetto organismo - condizionante l’operatività della normativa di cui alle richiamate disposizioni - non è stato ancora istituito, si pone la necessità di prevedere un ulteriore termine per l’esercizio della predetta attività di consulenza, in attesa dell’adozione di una regolamentazione sistematica che consenta di istituire il previsto albo delle persone fisiche consulenti finanziari e il relativo organismo competente.

 

 


 

Articolo 22, commi 1-7
(Misure a favore del credito alle imprese)

 

 

L’articolo 22 reca un complesso di disposizioni volte a favorire la concessione di credito alle imprese.

In sintesi, il comma 1 esenta da ritenuta alla fonte gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi, imprese di assicurazione, organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo cd. “white list”.

Il comma 2 intende ampliare l'ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine, rendendo tale regime operativo - tra l’altro - anche per le operazioni di finanziamento di durata superiore ai diciotto mesi poste in essere da società di cartolarizzazione, imprese di assicurazione ed OICR.

I commi da 3 a 6, con lo scopo di estendere le fonti di finanziamento al sistema imprenditoriale, autorizzano allo svolgimento dell’attività di concessione di finanziamento sia le imprese di assicurazione che le società di cartolarizzazione a specifiche condizioni di legge.

Il comma 7 abroga la norma che sottoponeva ad alcune specifiche condizioni la prededucibilità dei crediti nelle procedure di concordato preventivo.

 

In merito si ricorda che la Commissione VI finanze il 10 dicembre 2013 ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita. Tra le proposte formulate dalla Commissione per potenziare l'erogazione del credito alle imprese e rafforzare il capitale di rischio delle medesime vi sono:

§  il potenziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese;

§  la cartolarizzazione dei crediti delle PMI, eventualmente con il supporto della BCE;

§  l'adozione di forme di «mini bond» per il finanziamento alle imprese;

§  il potenziamento del ruolo che può essere svolto in materia dalla Cassa depositi e prestiti;

§  l'incentivazione del ruolo dei fondi pensioni, dei fondi assicurativi e degli investitori istituzionali nel rafforzamento del capitale di rischio delle imprese italiane;

§  l'incentivazione del ruolo del venture capital e del private equity, sia a sostegno delle start up sia a sostegno delle imprese industrialmente sane ma in difficoltà creditizia;

§  lo sviluppo del ruolo della finanza di progetto (project financing);

§  il possibile ruolo degli strumenti di bad banking per superare la crisi finanziaria ed i suoi effetti sull'economia reale.

Esenzione da ritenuta per i finanziamenti a medio/lungo termine alle imprese

Più in dettaglio, il comma 1 esenta dalla ritenuta alla fonte del 26 per cento gli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese, erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell'Unione europea, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell'Unione europea o organismi di investimento collettivo del risparmio che non fanno ricorso alla leva finanziaria, ancorché privi di soggettività tributaria, costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni.

A tal fine viene aggiunto il comma 5-bis all'articolo 26 del DPR n. 600 del 1973.

 

La disposizione in esame mira ad eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, al fine di favorire l'accesso delle imprese italiane a costi competitivi anche a fonti di finanziamento estere (tra cui i c.d. fondi di credito, che disporrebbero di ampie riserve di liquidità).

 

Il comma 2 intende ampliare l'ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine, disciplinata dagli articolo 15 e seguenti del D.P.R. n. 601 del 1973 ed oggetto di modifica, da ultimo, per effetto dell’articolo 12 del D.L. n. 145 del 2013.

 

Il D.L. n. 145 del 2013 ha reso opzionale – anziché obbligatorio - il versamento dell’imposta sostitutiva. E’ possibile optare per iscritto, nell’atto di finanziamento, per il pagamento di una imposta sostitutiva; in mancanza di indicazioni nell’atto, verranno invece versate le imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative in relazione alle operazioni di finanziamento.

Tale regime concerne le operazioni relative ai finanziamenti e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, nonché alle relative garanzie (ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti) purché effettuati da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, il credito a medio e lungo termine, e quelle effettuate dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (ai sensi dell’ articolo 5, comma 7, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269) per finanziare opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, utilizzando fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione della raccolta di fondi a vista (articolo 15).

L'imposta sostitutiva si applica in ragione dello 0,25 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio. Ove il finanziamento stesso non si riferisca all'acquisto della prima casa di abitazione, e delle relative pertinenze, l'aliquota si applica nella misura del 2 per cento dell'ammontare complessivo dei finanziamenti agevolati erogati in ciascun esercizio (articolo 18).

Il richiamato D.L. n. 145 del 2013 ha esteso l’imposta sostitutiva (articolo 20-bis del D.P.R. n. 601 del 1973) anche alle operazioni di finanziamento strutturate.

 

Le norme in commento (lettera a) del comma 2) novellano il primo comma del richiamato articolo 15 del D.P.R. n. 601 del 1973.

Per effetto delle modifiche apportate la predetta imposta sostitutiva si applica, oltre che alle cessioni di credito stipulate in relazione ai finanziamenti che beneficiano del regime agevolato, anche alle successive cessioni dei relativi contratti o crediti nonché i trasferimenti delle garanzie ad essi relativi.

 

Viene poi inserito (lettera b) del comma 2) un nuovo articolo 17-bis, diretto ad ampliare ulteriormente l'ambito dei soggetti ammessi a fruire del regime opzionale per l’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio e lungo termine.

In particolare, il regime agevolato si applica altresì alle operazioni di finanziamento di durata superiore a diciotto mesi realizzate da:

§  società di cartolarizzazione;

§  imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell'UE;

§  organismi di investimento collettivo del risparmio costituiti negli Stati membri dell'Unione europea e negli Stati dello spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, comma 1, del TUIR - ossia gli Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, inclusi nell'elenco attualmente contenuto nel D.M. 4 settembre 1996 (c.d. paesi white list).

Svolgimento dell’attività di concessione di finanziamenti da parte di imprese di assicurazione, OICR e società di cartolarizzazione

I commi da 3 a 6, con lo scopo di estendere le fonti di finanziamento al sistema imprenditoriale, autorizzano allo svolgimento dell’attività di concessione di finanziamento sia le imprese di assicurazione che le società di cartolarizzazione a specifiche condizioni di legge.

Più in dettaglio, il comma 3 sottrae determinate attività delle imprese di assicurazione all'obbligo, previsto dal combinato disposto dell'articolo 106 e 114 comma 1 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. n. 385 del 1993), di sottoporsi all'autorizzazione in caso di esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma (con conseguente obbligo di iscrizione in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia).

Tale eccezione viene però subordinata ad alcune condizioni. Anzitutto, viene autorizzata l'operatività (diversa dal rilascio di garanzie):

§  esclusivamente nei confronti di imprese aventi un certo ambito dimensionale, ovvero solo nei confronti di soggetti diversi dalle persone fisiche e dalle microimprese, come definite dall'articolo 2, paragrafo 1, dell'allegato alla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea, del 6 maggio 2003 (ai sensi della quale una microimpresa deve avere un organico inferiore a 10 persone e un fatturato o un totale di bilancio annuale non superiore a 2 milioni di euro);

§  da parte di imprese di assicurazione e di Sace SPA (la Sace S.p.A. - Servizi Assicurativi del Commercio Estero S.p.A., è una agenzia di credito all'esportazione, ed assume in assicurazione e in riassicurazione i rischi a cui sono esposti le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero);

§  entro i limiti stabiliti dal codice delle assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del 2005), a tal fine opportunamente modificato (cfr. infra) e dalle relative disposizioni attuative emanate dall'IVASS.

Scopo della norma è quello di semplificare la concessione di finanziamenti da parte di assicurazioni e SACE, seguendo una diversa (e più snella) linea procedurale, rispetto a quella del Testo unico bancario (TUB). A tal fine i predetti soggetti dovranno inviare alla Banca d'Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche (per la relazione che accompagna il ddl di conversione – AS 1541 il riferimento è alle c.d. segnalazioni statistiche) nonché ogni altro dato e documento richiesto, e partecipano alla centrale dei Rischi della Banca d'Italia, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia.

 

Come rilevato dalla Banca d’Italia nella già menzionata audizione al Senato, in tal modo è riconosciuta la competenza specifica delle banche nell’attività di selezione dei prenditori. L’Autorità ha sottolineato come la condivisione del rischio, inoltre, mitighi i potenziali conflitti di interesse tra banche e assicurazioni. Le compagnie assicurative che intenderanno concedere finanziamenti dovranno sviluppare le competenze necessarie a gestire i rischi connessi con l’attività di erogazione del credito e predisporre opportuni presidi di governance.

Sotto il profilo della capacità di valutazione e controllo dei rischi da parte delle compagnie, la Banca d’Italia ha valutato positivamente che alle imprese assicurative sia consentito l’accesso alla Centrale dei Rischi.

 

Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che la Banca d'Italia può prevedere che l'invio delle segnalazioni periodiche e di ogni altro dato e documento richiesto nonché la partecipazione alla centrale dei rischi avvengano per il tramite di banche e intermediari finanziari iscritti all'albo di cui all'articolo 106.

 

Conseguentemente, il comma 4 apporta modifiche di coordinamento (lettera a)) al codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209).

Inoltre (lettera b) del comma 4) si affida all’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (IVASS) il compito di stabilire le condizioni e i limiti operativi per la concessione dei finanziamenti, prevedendo in particolare che i prenditori dei finanziamenti siano individuati da una banca o da un intermediario finanziario iscritto all’albo previsto dall’art. 106 del Testo Unico Bancario, che dovranno trattenere un interesse economico nell’operazione pari almeno al 5 per cento del finanziamento fino alla sua scadenza. Nel caso di finanziamenti concessi nei confronti di soggetti diversi dalle persone fisiche e dalle microimprese, l'IVASS stabilisce condizioni e limiti operativi tenendo conto dei seguenti criteri:

§  i prenditori dei finanziamenti dovranno essere individuati da una banca o da un intermediario finanziario iscritto;

§  la banca o l'intermediario finanziario predetto tratterrà un interesse economico nell'operazione pari almeno al 5 per cento del finanziamento, trasferibile anche a un’altra banca, fino alla scadenza dell'operazione (così modificato al Senato);

§  il sistema dei controlli interni e gestione dei rischi dell'impresa dovrà essere adeguato e consentire di comprendere a pieno i rischi, in particolare di credito, connessi a tale categoria di attivi;

§  l'impresa deve essere dotata di un adeguato livello di patrimonializzazione. L'esercizio autonomo dell'attività di individuazione dei prenditori da parte dell'assicuratore, in deroga ai primi due criteri, è sottoposto ad autorizzazione dell'IVASS (così previsto da una modifica apportata dal Senato).

 

La Banca d’Italia ha ritenuto fondato il timore che l’estensione alle assicurazioni della possibilità di concedere credito alle imprese apra la strada ad arbitraggi regolamentari, possibili perché attualmente le regole assicurative non trattano l’attività creditizia, Tale eventualità potrebbe manifestarsi soprattutto nei gruppi misti bancario - assicurativi, nel cui ambito i finanziamenti potrebbero essere trasferiti dai soggetti bancari a quelli assicurativi del gruppo al solo scopo di ridurre i requisiti patrimoniali e non per erogare effettivamente nuovo credito alle imprese.

Si reputa però che tali elusivi del genere possano essere affrontati attraverso l’identificazione di un adeguato livello di patrimonializzazione per le imprese di assicurazione che desiderano erogare finanziamenti.

 

Il comma 5 apporta modifiche al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF) al fine di ampliare le competenze degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), i quali ora partecipano alla Centrale dei Rischi della Banca d'Italia, secondo quanto stabilito dalla Banca d'Italia, la quale può prevedere che la partecipazione alla centrale dei rischi avvenga per il tramite di banche e intermediari iscritti all'albo di cui all'articolo 106 (secondo una modifica apportata al Senato).

Si consente in tal modo di istituire i cosiddetti “fondi di credito”, ossia organismi di investimento collettivo del risparmio abilitati non soltanto a investire in finanziamenti concessi da terzi, ma anche a erogare direttamente crediti a valere sulle disponibilità raccolte presso gli investitori del fondo.

 

Tale sistema consentirà ai fondi italiani di allinearsi, come sottolineato dalla Banca d’Italia, a quanto già da tempo consentito ai fondi di investimento in importanti sistemi finanziari esteri. Inoltre tale innovazione è coerente con le recenti iniziative legislative in ambito UE volte a creare un framework normativo comunitario in materia di fondi di investimento a lungo termine (European Long - Term Investment Funds – ELTIF), ovvero gli organismi paneuropei che, anche attraverso l’erogazione di crediti, possono investire le risorse raccolte in progetti, quali quelli in infrastrutture, che richiedono finanziamenti a lungo termine e non sono immediatamente remunerativi.

La disciplina secondaria in materia è in corso di definizione nell’ambito del processo di recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2011/61/UE (c.d. “AIFMD”) in materia di gestori di fondi di investimento alternativi. Si è chiusa lo scorso giugno la consultazione pubblica sulla regolamentazione di competenza del MEF concernente la struttura degli OICR, con la quale è stato precisato l’obbligo di adozione della forma “chiusa” per i fondi di crediti. Lo scorso 26 giugno è stato pubblicato il documento di consultazione contenente le modifiche alla disciplina secondaria in materia di gestione collettiva del risparmio di competenza della Banca d’Italia e della Consob: gli schemi normativi della Banca d'Italia definiscono la disciplina di carattere prudenziale, non derogabile, applicabile ai fondi di credito, prevedendo in particolare limiti di concentrazione e di leva finanziaria; è inoltre richiesto al gestore, nell’ambito del sistema di gestione dei rischi degli OICR, di definire uno specifico processo di gestione del rischio di credito, che tenga conto dell’esigenza di assicurare una valutazione rigorosa del merito di credito degli affidati e un attento controllo delle posizioni di rischio. La struttura “chiusa” di tali fondi e i presidi prudenziali individuati, coerenti con gli orientamenti internazionali volti a regolare i fenomeni di shadow banking, sono funzionali a mitigare i rischi connessi con tale attività di finanziamento (possibile arbitraggio regolamentare rispetto al settore bancario; rischi di trasformazione delle scadenze e di liquidità; rischi di run, ossia di corsa degli investitori al ritiro di fondi in caso di turbolenze finanziarie; eccessiva espansione degli attivi tramite ricorso al leverage).

 

Il comma 6 con lo stesso scopo di ampliare le competenze delle società di cartolarizzazione, modifica la relativa legge del 30 aprile 1999, n. 130.

Più in dettaglio si dispone (lettera a) del comma 6), mediante introduzione di un nuovo comma 1-ter all’articolo 1 della legge n. 130 del 1999 che le società di cartolarizzazione possono concedere finanziamenti, analogamente a quanto previsto per le imprese assicurative, nei confronti di soggetti diversi dalle persone fisiche e dalle microimprese.

Nell’esercizio di tale attività dovranno essere rispettate le seguenti condizioni:

§  i prenditori dei finanziamenti devono essere individuati da una banca o da un intermediario finanziario iscritto nell'albo;

§  i titoli emessi in conseguenza devono essere destinati ad investitori qualificati;

§  la banca o l'intermediario finanziario devono trattenere un significativo interesse economico nell'operazione, nel rispetto delle modalità stabilite dalle disposizioni di attuazione della Banca d'Italia.

 

La successiva lettera b) chiarisce che rientrano nel patrimonio separato di ciascuna operazione di cartolarizzazione (e, pertanto, non sono assoggettabili ad azioni da parte di terzi diversi dai portatori dei titoli), oltre ai crediti vantati nei confronti dei debitori ceduti, anche qualsiasi credito maturato dalla società di cartolarizzazione in relazione alla specifica operazione di cartolarizzazione, nonché la cassa generata dagli incassi dei crediti ceduti e le attività finanziarie acquistate dalla società di cartolarizzazione nel contesto della medesima operazione.

 

La lettera c) riformula il comma 2-bis dell’articolo 3 della legge n. 130 del 1999.

Tale disposizione autorizza le società veicolo ad aprire conti correnti segregati presso i soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti, nonché dei servizi di cassa e di pagamento (ad es. istituti di credito), dove sono accreditate le somme corrisposte dai debitori ceduti, nonché ogni altra somma pagata o comunque di spettanza della società ai sensi delle operazioni accessorie condotte nell'ambito di ciascuna operazione di cartolarizzazione o comunque ai sensi dei contratti dell'operazione.

Su tali somme non sono ammesse azioni da parte di soggetti diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi; tali somme possono essere utilizzate esclusivamente per il soddisfacimento di crediti vantati dai portatori dei titoli e dalle controparti dei contratti derivati con finalità di copertura dei rischi insiti nei crediti e nei titoli ceduti, nonché per il pagamento degli altri costi dell'operazione.

In caso di avvio nei confronti del depositario di procedimenti di crisi bancaria (di cui al titolo IV del testo unico bancario, D.Lgs. n. 385 del 1993) nonché di procedure concorsuali o di accordi di ristrutturazione, le somme accreditate su tali conti non sono considerate come rientranti nel patrimonio del soggetto e non sono soggette a sospensione dei pagamenti.

Viene espunta la precisazione secondo la quale le somme accreditate sui conti segregati costituiscono patrimonio separato, a tutti gli effetti, sia da quello del depositario e da quello degli altri depositanti.

Si precisa che la tutela ex lege si estende anche alle somme affluite sui conti correnti nel corso di procedure concorsuali, per le quali non opera la sospensione dei pagamenti e che possono essere immediatamente e integralmente restituite alla società. Per effetto delle modifiche apportate, si precisa che la restituzione integrale avverrà senza la necessità di deposito di domanda di ammissione al passivo o di rivendica, e al di fuori dei piani di riparto o di restituzione di somme.

 

La lettera d) riformulando l’articolo 3, comma 2-ter della legge n. 130 del 1999 - estende la medesima tutela ai conti correnti utilizzati dai soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento di un’operazione di cartolarizzazione.

Resta fermo quindi che essi non sono assoggettabili ad azioni da parte di creditori degli stessi, se non nei limiti di eventuali somme depositate in eccesso rispetto a quanto dovuto alla società di cartolarizzazione.

In linea con quanto previsto dalla lettera b), viene stabilito che le somme depositate su tali conti correnti siano immediatamente disponibili - per essere trasferite alla società di cartolarizzazione - anche nell’ipotesi di apertura di una proceduta concorsuale, senza necessità di specifiche domande agli organi della procedura.

 

La lettera e) consente alle imprese di assicurazione di utilizzare qualsiasi titolo emesso nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione quale attivo ammesso a copertura di riserve tecniche, e non solo quelli menzionati nell’articolo 1, comma 1-bis dalla legge n. 130 del 1999 (obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie).

Il menzionato comma 1-bis estende la disciplina delle cartolarizzazione dei crediti anche alle cartolarizzazioni realizzate mediante la sottoscrizione o l'acquisto di obbligazioni e titoli similari ovvero cambiali finanziarie, esclusi comunque titoli rappresentativi del capitale sociale, titoli ibridi e convertibili, da parte della società emittente i titoli.

 

La lettera f) introduce i commi da 2-quater a 2-septies all’articolo 7 della legge n. 130 del 1999, consentendo alle società di cartolarizzazione di concedere credito anche sotto forma di finanziamento.

L’introdotto comma 2-quater estende la disciplina della legge n. 130 del 1999 anche alle operazioni di cartolarizzazione di crediti sorti dalla concessione di uno o più finanziamenti da parte della società emittente i titoli. Nel caso di operazioni realizzate mediante concessione di finanziamenti, i richiami al cedente e al cessionario devono intendersi riferiti, rispettivamente, al soggetto finanziato e al soggetto finanziatore e i richiami ai debitori ceduti si intendono riferiti ai soggetti finanziati. Sono estese a tali operazioni le specifiche norme (in quanto compatibili) contenute dagli articoli 1-3 e 5-7 della medesima legge n. 130.

Ai sensi del comma 2-quinquies, dalla data certa dell'avvenuta erogazione, anche in parte, del finanziamento relativo alle operazioni di cartolarizzazione di cui al comma 2-quater, sui crediti sorti e sulle somme corrisposte dai debitori sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l'acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell'operazione.

Il comma 2-sexies precisa che nelle predette operazioni di finanziamento, i titoli emessi dalle società per finanziare l'erogazione dei finanziamenti o l'acquisto dei crediti sono destinati ad investitori qualificati.

Inoltre (comma 2-septies) le banche o intermediari che svolgono i servizi di riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento devono verificare la correttezza delle operazioni di finanziamento, nonché la conformità delle stesse alla normativa applicabile.

Prededucibilità dei crediti nelle procedure di concordato preventivo

Infine, il comma 7 abroga l’articolo 11, comma 3-quater, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, norma di interpretazione autentica dell’art. 111 della legge fallimentare, che sottoponeva ad alcune specifiche condizioni la prededucibilità dei crediti nelle procedure di concordato preventivo.

In particolare, la norma abrogata considerava prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo con riserva, ma solo a condizione che:

§  la proposta, il piano e la documentazione richiesta fossero presentati entro il termine eventualmente prorogato dal giudice;

§  la procedura di concordato preventiva seguisse, senza soluzione di continuità, la presentazione della domanda di ammissione al concordato con riserva.

 


 

Articolo 22, comma 3-bis
(Partecipazione a banche di credito cooperativo)

 

 

Il nuovo comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, aggiunge un nuovo articolo 150-ter al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385 (TUB) in tema di partecipazione a banche di credito cooperativo.

 

In primo luogo, ai sensi del comma 1, alle banche di credito cooperativo che versino in una situazione di inadeguatezza patrimoniale, ovvero siano sottoposte ad amministrazione straordinaria, è consentita, previa modifica dello statuto sociale ed in deroga alle previsioni di cui all’articolo 150-bis, comma 1, che ne escluderebbe la possibilità, l’emissione di azioni di finanziamento di cui all’articolo 2526 del codice civile, il quale prevede l'emissione di strumenti finanziari, secondo la disciplina prevista per le società per azioni, qualora l’atto costitutivo lo consenta.

 

Si ricorda che l’articolo 23-quater del decreto-legge n. 179 del 2012 ha modificato le disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate. In primo luogo, è elevata dallo 0,5 all’1 per cento la quota massima di partecipazione al capitale sociale delle banche popolari, prevedendo specifiche deroghe a tali limiti in favore delle fondazioni bancarie. Si affida poi allo statuto la possibilità di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni. E’ quindi modificata la speciale disciplina delle società cooperative quotate, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti ai fini dell’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA).

 

Il comma 2 stabilisce che l’emissione deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia e le azioni sono sottoscrivibili solo da parte del Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo e del Fondo di Garanzia Istituzionale, nonché dei Fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 96 del TUB le banche italiane aderiscono a uno dei sistemi di garanzia dei depositanti istituiti e riconosciuti in Italia. Le banche di credito cooperativo aderiscono al sistema di garanzia dei depositanti costituito nel loro ambito.

Ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 59 del 1992 in materia di società cooperative, le associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo possono costituire fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. I fondi possono essere gestiti senza scopo di lucro da società per azioni o da associazioni. L'oggetto sociale deve consistere esclusivamente nella promozione e nel finanziamento di nuove imprese e di iniziative di sviluppo della cooperazione, con preferenza per i programmi diretti all'innovazione tecnologica, all'incremento dell'occupazione ed allo sviluppo del Mezzogiorno.

 

La sottoscrizione delle azioni può avvenire anche in deroga all’articolo 34, commi 1 e 2 del TUB, ai sensi dei quali il numero minimo dei soci delle banche di credito cooperativo non può essere inferiore a duecento; qualora tale numero diminuisca, la compagine sociale deve essere reintegrata entro un anno; in caso contrario, la banca è posta in liquidazione. Inoltre, per essere soci di una banca di credito cooperativo è necessario risiedere, aver sede ovvero operare con carattere di continuità nel territorio di competenza della banca stessa.

 

Il comma 3 demanda allo statuto la definizione dei diritti patrimoniali e amministrativi spettanti ai soci finanziatori, anche in deroga al limite di un terzo dei voti previsto dall’articolo 2526 comma 2, terzo periodo, del codice civile per i possessori di strumenti finanziari. Ad essi è attribuito comunque il diritto, in deroga alle previsioni dell’art. 33, comma 3, del TUB, di designare uno o più componenti del consiglio di amministrazione ed il presidente del collegio sindacale. Si ricorda che il richiamato comma 3 stabilisce che la nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo spetta esclusivamente ai competenti organi sociali.

 

Ai sensi del comma 4, i sottoscrittori delle azioni di finanziamento possono chiedere il rimborso del valore nominale delle azioni. Il consiglio di amministrazione, sentito il collegio sindacale, delibera sulla richiesta di rimborso avendo riguardo alla situazione di liquidità, finanziaria e patrimoniale attuale e prospettica della banca di credito cooperativo. L’efficacia della delibera è condizionata alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia.

 


 

Articolo 22, commi 5-bis – 5-decies
(Sgr di fondi immobiliari quotati)

 

 

I commi da 5-bis a 5-decies, introdotti al Senato, sono volti a consentire alla società di gestione del risparmio (Sgr) di modificare i regolamenti dei fondi immobiliari quotati da esse gestiti per prorogare il termine di durata dei fondi stessi, nell’esclusivo interesse dei partecipanti.

 

In particolare, ai sensi del comma 5-bis, le società di gestione del risparmio che gestiscono fondi immobiliari quotati possono, entro il 31 dicembre 2014, nell’esclusivo interesse dei partecipanti, modificare il regolamento del fondo, per stabilire la possibilità di prorogare in via straordinaria il termine di durata del fondo medesimo per un periodo non superiore a due anni al fine di completare lo smobilizzo degli investimenti.

 

Si tratta in sostanza delle società per azioni con sede legale e direzione generale in Italia autorizzate a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio, secondo la definizione contenuta nel TUF (all’articolo 1, comma 1, lettera o), del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) - che gestiscono i fondi immobiliari (ai sensi degli articoli 12-bis e 13 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 maggio 1999, n. 228), ivi inclusi i fondi immobiliari con apporto pubblico, i cui certificati rappresentativi delle quote risultino ammessi alle negoziazioni in un mercato regolamentato.

 

Tale modifica del regolamento è possibile per i fondi immobiliari esistenti, anche nel caso in cui il regolamento del fondo già prevede la possibilità di prorogarne la durata per un massimo di tre anni (ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del citato decreto n. 228 del 1999).

 

Ai sensi del comma 5-ter, per i fondi immobiliari in scadenza entro il 31 dicembre 2015, anche se hanno già usufruito della proroga sopra descritta, la durata del fondo può essere prorogata, in deroga al limite di due anni stabilito al comma 5-bis, fino al 31 dicembre 2017.

 

Il comma 5-quater prevede una procedura speciale di consultazione dei partecipanti al fondo, stabilendo che qualora non sia prevista l’assemblea dei partecipanti, le Sgr sottopongono la modifica del regolamento del fondo all’approvazione dei partecipanti riuniti in un’assemblea speciale appositamente convocata. L’assemblea delibera con il voto favorevole della maggioranza assoluta delle quote dei votanti.

 

Al fine di favorire una maggiore partecipazione assembleare le Sgr possono:

a)  chiedere agli intermediari abilitati alla registrazione degli strumenti finanziari e dei relativi trasferimenti, tramite la società di gestione accentrata (Monte Titoli, depositario unico di tutti gli strumenti finanziari italiani) i dati identificativi dei titolari delle quote del fondo;

b)  consentire ai partecipanti l’espressione del voto per corrispondenza;

c)  consentire ai partecipanti l’esercizio del diritto di intervento e di voto a mezzo di delega scritta e revocabile entro il giorno precedente l’assemblea. La delega deve contenere le istruzioni di voto sulla proposta, non può essere rilasciata con il nome del rappresentante in bianco e non può essere conferita a soggetti in conflitto di interessi con il rappresentato né alla società di gestione del risparmio, ai suoi soci, dipendenti e componenti degli organi di amministrazione o di controllo;

d)  pubblicare l’avviso di convocazione dell’assemblea, oltre che con le modalità scelte per la pubblicazione del valore della quota, anche sul proprio sito internet e su almeno due quotidiani a diffusione nazionale. L’avviso è diffuso alla società di gestione del mercato e ad almeno due agenzie di stampa (comma 5-quinquies).

Ai fini dell’accertamento del diritto dei partecipanti all’intervento in assemblea e all’esercizio del voto non sono opponibili alla società di gestione gli atti di trasferimento delle quote perfezionatisi oltre il termine del settimo giorno di mercato aperto precedente la data prevista per l’assemblea.

 

Il comma 5-sexies esplicita le informazioni che devono essere contenute nell’avviso di convocazione dell’assemblea Si tratta, in particolare, della proposta di modificare il regolamento del fondo per consentirne la proroga della scadenza e delle modalità di esercizio dei diritti dei partecipanti.

 

Il successivo comma 5-septies disciplina le attività ammesse nel periodo di proroga, le commissioni spettanti alla Sgr e la partecipazione ai proventi del fondo, prevedendo in particolare:

§  che l’attività di gestione è finalizzata al completamento dell’attività di smobilizzo degli investimenti e comprende anche gli interventi di valorizzazione e riqualificazione degli attivi patrimoniali;

§  che la misura della provvigione di gestione sia ridotta di almeno due terzi e che sia vietata la commissione variabile legata all’andamento della gestione;

§  che la totalità dei proventi netti realizzati sia distribuita ai partecipanti, nel rispetto delle obbligazioni assunte dal fondo.

 

Il comma 5-octies contiene un’approvazione in via generale delle modifiche regolamentari approvate dalle Sgr ai sensi della norma in commento, secondo quanto previsto dal provvedimento della Banca d’Italia dell’8 maggio 2012 sulla gestione collettiva del risparmio.

 

Il comma 5-nonies reca un obbligo per le Sgr di comunicazione alla Banca d’Italia e alla Consob delle determinazioni assunte ai sensi delle disposizioni in commento

 

Il comma 5-decies stabilisce la proroga del termine del 22 luglio 2014 al 31 dicembre 2014 contenuto in alcune disposizioni transitorie di cui all’articolo 15, del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 44, che ha dato attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi.

 

Si ricorda che il predetto articolo 15 prevede che le disposizioni contenute nei provvedimenti attuativi del TUF attualmente vigenti (regolamenti di Banca d'Italia e Consob, regolamento MEF n. 228/1999) continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni di attuazione. In continuità con l'ordinamento vigente, Banca d'Italia e Consob continuano ad esercitare, nel periodo transitorio, i poteri di vigilanza e di indagine previsti dal TUF. Si segnala, in particolare, che le Sgr che attualmente gestiscono FIA italiani possono continuare la propria attività e devono adeguarsi alle disposizioni di recepimento della direttiva entro il 22 luglio 2014. AI fine di semplificare le procedure e ridurre i costi per gli operatori nazionali, le stesse Sgr non sono tenute a presentare entro il 22 luglio 2014 una nuova domanda di autorizzazione alla Banca d'Italia: è sufficiente che le Sgr rispettino le disposizioni nazionali di attuazione della direttiva e ne diano comunicazione alle autorità di vigilanza.

Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa, la proroga sarebbe motivata dal fatto che l’iter di emanazione delle disposizioni attuative da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, della Banca d’Italia e della Consob sarebbe ancora in corso.

 


 

Articolo 22, comma 6-bis
(Cancellazione di segnalazioni dei ritardi di pagamento)

 

 

Il comma 6-bis, introdotto durante l’esame parlamentare, modifica la disciplina in materia di cancellazione delle segnalazioni di ritardato pagamento presenti nelle banche dati (pubbliche e private) di informazione creditizia.

In particolare, la norma precisa che il termine di dieci giorni entro il quale le segnalazioni relative ai ritardi di pagamento sono integrate con la comunicazione dell’avvenuto pagamento decorre dalla ricezione della notifica dell’avvenuta regolarizzazione dei pagamenti. Si precisa inoltre che la richiesta del creditore al gestore della banca dati deve essere effettuata entro e non oltre quindici giorni dall’avvenuto pagamento.

In caso di ritardo di pagamento di una rata, qualora la stessa sia regolarizzata entro i successivi sessanta giorni, le segnalazioni riferite a tale ritardo devono essere cancellate trascorsi i successivi sei mesi dall'avvenuta regolarizzazione.

 

In Italia, la Banca d’Italia è preposta alla gestione della Centrale dei Rischi (CR), ovvero del sistema informativo pubblico relativo all'indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie. Gli intermediari comunicano mensilmente alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri clienti: in particolare, i crediti pari o superiori a 30.000 euro e i crediti in sofferenza di qualunque importo. La Banca d'Italia fornisce mensilmente agli intermediari le informazioni sul debito totale verso il sistema creditizio di ciascun cliente segnalato.

Accanto alla Centrale dei Rischi operano banche dati di natura privata, consultate da banche e intermediari con lo scopo di verificare affidabilità e puntualità nei pagamenti e concedere credito al consumo, prestiti e finanziamenti. Le banche dati utilizzate dagli operatori – in particolare, in sede di erogazione del credito al consumo – sono costituite dai cd. SIC - sistemi di informazione creditizia, attraverso i quali gli operatori finanziari si scambiano le informazioni positive e negative relative agli affidamenti e ai pagamenti della clientela. Si tratta di sistemi informativi diversi dai registri dei protesti o da altre banche dati: i SIC si occupano esclusivamente di rapporti di credito.

L’attività dei SIC è disciplinata dal codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati, alla cui sottoscrizione le associazioni rappresentative delle banche e delle società finanziarie e varie associazioni di consumatori sono addivenute sulla base dell’attività di promozione demandata al Garante della privacy dall’articolo 117 del codice in materia di protezione dei dati personali. Il Garante nel 2005 ha emanato il “Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti”.

Nel corso dell’indagine conoscitiva sul credito al consumo svolta dalla VI Commissione (Finanze) della Camera sono emersi alcuni profili problematici dell’attività e della funzione svolta da tali sistemi, stante il rischio di meccanismi discorsivi nell’utilizzo, da parte degli operatori, delle informazioni contenute nelle banche dati: i SIC consentono infatti ai soggetti che erogano credito di disporre di informazioni e di elaborare indici sintetici di rischio a costi compatibili con l’ammontare del credito erogato al singolo consumatore. La Commissione, nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva (approvato il 23 febbraio 2010) ha tuttavia segnalato un uso acritico dei SIC da parte degli operatori, che di fatto esternalizza le decisioni circa l’erogazione del credito. In tal modo, una volta che nel SIC risulti registrato un mancato pagamento o un ritardo in una rata del debito vi è il rischio di non poter accedere mai più ad alcun finanziamento bancario, a prescindere dalle motivazioni, dalle dimensioni, dalla durata e dalla frequenza del mancato pagamento.

Si è ritenuto dunque necessario rafforzare la capacità dei SIC di fornire “un quadro il più possibile integrato del comportamento dell’individuo che ha richiesto il credito”, anche attraverso l’introduzione nel sistema di meccanismi utili ad evitare che difficoltà temporanee o ritardi limitati nel rimborso di un finanziamento costituiscano un elemento ostativo insuperabile all’erogazione di ulteriore credito nei confronti di quel soggetto.

In particolare, la Commissione ha evidenziato la necessità di rendere più tempestive ed efficienti le modalità attraverso le quali comunicare al SIC l’avvenuta regolarizzazione degli inadempimenti, nonché di ampliare i meccanismi di tutela che possono essere invocati per l’eventuale responsabilità della banca o dell’intermediario creditizio che abbia operato in maniera non diligente nell’inserimento dei dati nell’ambito dei SIC.

 

L’originario articolo 8-bis del D.L. 70/2011, stabiliva che, una volta regolarizzati i pagamenti, le segnalazioni concernenti i ritardi nel pagamento da parte delle persone fisiche o giuridiche dovessero essere cancellate entro cinque giorni lavorativi dalla comunicazione da parte dell'istituto di credito che aveva ricevuto il pagamento. Tale soggetto doveva altresì provvedere alla richiesta di estinzione delle segnalazioni entro sette giorni dall'avvenuto pagamento.

Con le modifiche apportate dall’articolo 3, comma 12-bis del D.L. n. 138 del 2011, in luogo della cancellazione della segnalazione all’atto del pagamento, è stato previsto che entro dieci giorni dalla regolarizzazione del pagamento la segnalazione di ritardo sia integrata con la comunicazione dell'avvenuto pagamento. Le banche - in luogo dell’obbligo di richiedere entro sette giorni l’estinzione della segnalazione – sono tenute a richiedere la predetta integrazione immediatamente dopo il pagamento.

 

Con la norma in esame si precisa che il termine di dieci giorni entro il quale le segnalazioni relative ai ritardi di pagamento sono integrate con la comunicazione dell’avvenuto pagamento decorre dalla ricezione della notifica dell’avvenuta regolarizzazione dei pagamenti. Inoltre la richiesta di integrazione da parte del creditore (la banca) al gestore della banca dati deve essere effettuata entro e non oltre quindici giorni dall’avvenuto pagamento, e non più “immediatamente”.

 

Il comma 2 dell’articolo 8-bis prevede anche per le segnalazioni di ritardo già registrate e regolarizzate, ove relative al mancato pagamento di rate mensili di numero inferiore a sei o di un’unica rata semestrale, modalità di aggiornamento analoghe a quelle previste dal comma 1.

La norma in esame modifica il riferimento al numero massimo di rate mensili: tre rate, in luogo di sei.

Pertanto le segnalazioni già registrate dovranno essere integrate con la comunicazione dell’avvenuto pagamento, se relative al mancato pagamento di un numero di rate mensili inferiore a tre o di un’unica rata semestrale.

 

Il nuovo comma 3 dell’articolo 8-bis disciplina il caso del ritardo di pagamento di una rata: si prevede che qualora la stessa sia regolarizzata entro i successivi sessanta giorni, le segnalazioni riferite a tale ritardo devono essere cancellate trascorsi i successivi sei mesi dall'avvenuta regolarizzazione.

Per le segnalazioni successive di ritardi di pagamento relativi alle medesime persone fisiche o giuridiche, anche per crediti diversi anche se regolarizzate, il comma 4 rinvia alla normativa vigente.

Al riguardo si ricorda che l’articolo 6, comma 2, del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, adottato dal Garante per la protezione dei dati personali a decorrere dal 2005, prevede che le informazioni creditizie di tipo negativo relative a ritardi nei pagamenti, successivamente regolarizzati, possono essere conservate in un sistema di informazioni creditizie fino a:

a)  dodici mesi dalla data di registrazione dei dati relativi alla regolarizzazione di ritardi non superiori a due rate o mesi;

b)  ventiquattro mesi dalla data di registrazione dei dati relativi alla regolarizzazione di ritardi superiori a due rate o mesi.

 


 

Articolo 22, commi 7-bis e 7-ter
(Restituzione di somme a Poste italiane S.p.A.)

 

 

Il comma 7-bis dell’articolo 22 autorizza la spesa di 535 milioni di euro per l’anno 2014 a favore di Poste Italiane Spa, per dare attuazione ad una sentenza del Tribunale dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato.

 

Si tratta della sentenza del 13 settembre 2013 (pubblicata il 26 ottobre 2013) nella Causa T-525/08 tra Poste italiane e la Commissione europea, nella quale è stata annullata la precedente decisione 2009/178/CE della Commissione, del 16 luglio 2008, che aveva considerato come aiuto di Stato da parte dell'Italia la remunerazione eccessiva dei conti correnti di Poste Italiane S.p.A. presso la Tesoreria dello Stato. La sentenza ha condannato anche la Commissione europea alle spese.

 

La Decisione 2009/178 era stata adottata in seguito alla denuncia dell’Associazione Bancaria Italiana, perché veniva riconosciuto a Poste Italiane, a fronte delle somme raccolte tramite i conti correnti postali e trasferite su un conto corrente acceso presso la Tesoreria dello Stato, un tasso del 4 % circa, laddove i conti correnti postali offrivano un rendimento medio dell’1 %, con un differenziale che veniva considerato aiuto di stato. Con la Decisione la Commissione aveva dichiarato aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune il regime di aiuti relativo alla remunerazione dei conti correnti di Poste Italiane presso la Tesoreria dello Stato, stabilito della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e dalla convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Poste Italiane del 23 febbraio 2006 e aveva condannato l’Italia al recupero presso il beneficiario dell’aiuto.

La sentenza del Tribunale UE ha invece ritenuto erronea, o comunque fondata su elementi insufficienti, la valutazione della Commissione europea, alla base della decisione, in ordine al fatto che possibilità alternative di investimento non avrebbero consentito a Poste italiane di conseguire rendimenti simili o superiori a quelli assicurati dal conto corrente presso la Tesoreria.

 

Si ricorda inoltre che con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 2001, n. 144 sono stati disciplinati i servizi di tipo bancario e finanziario esercitabili da Poste italiane, che costituiscono le attività di Bancoposta e che comprendono, tra l’altro, la raccolta di risparmio tra il pubblico sotto ogni forma.

 

Il comma 7-ter provvede alla copertura degli oneri recati dal comma 7-bis (535 milioni di euro nel 2014) attraverso la riduzione delle seguenti autorizzazioni di spesa:

§  quanto a 260 milioni a valere sulle disponibilità del “Fondo per assicurare la liquidità dei pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili” - istituito dall’articolo 1 del D.L. n. 35 del 2013 al fine di far fronte ai pagamenti da parte delle regioni e degli enti locali dei debiti maturati alla data del 31 dicembre 2013 - che sono state, da ultimo, incrementate di 6 miliardi di euro per il 2014 dall’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 66 del 2014;

§  quanto a 150 milioni a valere sui 300 milioni di dotazione del fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, destinato all'estinzione dei debiti dei ministeri il cui pagamento non ha effetti peggiorativi in termini di indebitamento netto, previsto dall’articolo 36, comma 2, del D.L. n. 66 del 2014;

La disposizione richiamata prevede che le amministrazioni interessate comunicano l’elenco dei debiti in essere entro il 30 giugno 2014 alla Ragioneria generale dello Stato; entro il 31 luglio 2014, con apposito decreto del Ministro dell’economia si provvederà all’attribuzione delle risorse necessarie, che, qualora si rivelino insufficienti, verranno ripartite per ciascuna amministrazione in proporzione ai debiti riconoscibili.

§  quanto a 125 milioni mediante utilizzo dei proventi derivanti dalla maggiorazione di prezzo riconosciuta per il riscatto dei nuovi strumenti finanziari previsti dagli articoli da 23-sexies a 23-duodecies del D.L. n. 95 del 2012, recanti misure finalizzate alla ripatrimonializzazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (MPS).

 


 

Articolo 22, commi 7-quater e 7-quinquies
(Cessione dei crediti certificati da parte di pubbliche amministrazioni)

 

 

Il Senato ha introdotto il comma 7-quater nell’articolo 22 che modifica l’articolo 37 del D.L. n. 66 del 2014, concernente l’istituzione di strumenti volti a favorire la cessione dei crediti di parte corrente certificati da parte di pubbliche amministrazioni diverse dallo Stato, costituiti dai crediti maturati e certificati al 31 dicembre 2013 riguardanti somministrazioni, forniture ed appalti e prestazioni professionali.

In particolare, modificando il comma 1, lettera a), dell’articolo 37 viene spostato al 31 agosto 2014 il termine per la presentazione dell’istanza di certificazione da parte dei soggetti creditori, in luogo del vigente termine del 23 agosto 2014 (60 giorni dalla data di conversione del decreto legge n. 66 - 24 giugno 2014 – legge n. 89 del 2014, di conversione del D.L. n. 66); tale termine, si rammenta, è quello entro il quale devono essere presentate le istanze al fine di beneficiare della garanzia dello Stato nelle operazioni di cessioni dei crediti.

Inoltre, modificando il terzo periodo del comma 7-bis dell’articolo 37  vengono ricomprese - oltre alle disposizioni già previste dal comma medesimo[102] - anche le disposizioni di cui all’articolo 7 della legge n. 52 del 1991 e all’articolo 67 del Regio decreto n. 267 del 1942, tra le norme che non si applicano alla cessione dei crediti tramite piattaforma elettronica. In sostanza, nell’ambito di queste cessioni viene disapplicata la normativa in materia di opponibilità al fallimento dei crediti del fallito ceduti nonché la normativa in materia di azione revocatoria.

 

Le ulteriori disapplicazioni di norme inserite con la modifica in commento sono anch’esse finalizzate a rendere maggiormente efficace il processo di smobilizzo dei crediti, come già ora prevede il testo del comma 7-bis dell’articolo 37 precedente la modifica. Le disposizioni vigenti stabiliscono infatti che la comunicazione dell’avvenuta cessione sulla piattaforma elettronica, così come prevista dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 35 del 2013, venga considerata equivalente alla notificazione prevista dall’articolo 117, comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e che la data di comunicazione della cessione costituisca data certa. Inoltre, con la disapplicazione degli articoli 69 e 70 del regio decreto n. 2440 del 1923 è stata eliminata tutta una serie di adempimenti ed eccezioni che avrebbero potuto incidere negativamente sulla cessione dei crediti in questione.

 

Il Senato ha altresì introdotto il comma 7-quinquies, il quale prevede che per le regioni che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, siano ancora sottoposte al piano di rientro dai disavanzi sanitari o a programmi operativi di prosecuzione degli stessi, le disposizioni relative al divieto di rilascio della certificazione previste dall’articolo 9, comma 3-ter, del D.L. n. 185 del 2008, non si applicano in relazione ai debiti riferiti a fatture o richieste equivalenti di pagamento emesse dopo 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge. Pertanto anche tali regioni potranno certificare i propri debiti trascorso il lasso di tempo sopraindicato. Tale misura appare funzionale alla possibilità per le imprese creditrici di scontare i relativi crediti presso il sistema bancario.

 

 


 

Articolo 22-bis
(Semplificazioni nelle operazioni promozionali)

 

 

L’articolo 22-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, esclude dalla definizione di concorsi e operazioni a premio le manifestazioni nelle quali, a fronte di una determinata spesa, i premi sono costituiti da buoni da utilizzare su una spesa successiva nel medesimo punto vendita che ha emesso detti buoni o in un altro punto vendita facente parte della stessa insegna o ditta.

Si tratta dunque di una semplificazione di alcune tipologie di operazioni promozionali, in quanto l’esclusione di tali tipologie dalla disciplina dei concorsi e operazioni a premio comporta che, per le fattispecie indicate dalla disposizione, i promotori sono esonerati dagli adempimenti previsti dalla suddetta disciplina.

 

I concorsi e le operazioni a premio, consistenti in promesse di premi al pubblico dirette a favorire, nel territorio dello Stato, la conoscenza di prodotti, servizi, ditte, insegne o marchi o la vendita di determinati prodotti o la prestazione di servizi, aventi, comunque, fini anche in parte commerciali si effettuano alle condizioni e con le modalità stabilite dal D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 430.

L’articolo 10 di tale D.P.R. prevede una serie di adempimenti, a carico dei promotori dei concorsi e delle operazioni a premio tra i quali il versamento di una cauzione, la preventiva comunicazione al Ministero dello sviluppo economico e la redazione di un apposito regolamento autocertificato con dichiarazione sostitutiva di atto notorio.

L’articolo 6, integrato dalla disposizione in commento, prevede tra le tipologie che non possono considerarsi concorsi ed operazioni a premi:

§  i concorsi indetti per la produzione di opere letterarie, artistiche o scientifiche, nonché per la presentazione di progetti o studi in àmbito commerciale o industriale, nei quali il conferimento del premio ha carattere di corrispettivo di prestazione d'opera o rappresenta il riconoscimento del merito personale o un titolo d'incoraggiamento nell'interesse della collettività;

§  le manifestazioni nelle quali è prevista l'assegnazione di premi da parte di emittenti radiotelevisive a spettatori presenti esclusivamente nei luoghi ove si svolgono le manifestazioni stesse,;

§  le operazioni a premio con offerta di premi o regali costituiti da sconti sul prezzo dei prodotti e dei servizi;

§  le manifestazioni nelle quali i premi sono costituiti da oggetti di minimo valore e in quelle dove sono destinati a favore di enti od istituzioni di carattere pubblico o che abbiano finalità eminentemente sociali o benefiche.

 


 

Articolo 22-ter
(Semplificazioni in materia di attività imprenditoriali,
commerciali e artigianali
)

 

 

L’articolo 22–ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene nella materia della liberalizzazione dell’iniziativa e delle attività economiche private, incidendo in modo puntuale su disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime.

In particolare è differito al 31 dicembre 2014 il termine - scaduto a dicembre 2012 - che l’articolo 3, comma 3 del D.L. 138/2011, prevedeva per l’emanazione dei regolamenti di delegificazione che avrebbero dovuto individuare le disposizioni abrogate (e la nuova disciplina regolamentare) per effetto del contrasto con il principio di liberalizzazione, secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge esclusivamente in alcuni determinati casi (di cui all’articolo 3, comma 1 del citato decreto legge).

Contestualmente l’articolo in esame prevede, in caso di mancata emanazione entro il 31 dicembre 2014 dei suddetti regolamenti, la diretta applicazione, a scelta dell’imprenditore, per l’esercizio di qualunque attività imprenditoriale, commerciale o artigianale degli istituti della segnalazione di inizio di attività (SCIA) e dell’autocertificazione con controlli successivi.

 

L’articolo 3, comma 1, del D.L. 138/2011 stabilisce che Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato, entro il 30 settembre 2012, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.

La diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attività e dell'autocertificazione con controlli successivi è già prevista dal comma 3, primo periodo, del citato articolo 3 del D.L. 138/2011 quale conseguenza della “soppressione” (secondo la terminologia usata dal legislatore), alla scadenza del termine del 30 settembre 2012, delle disposizioni normative statali incompatibili col descritto principio di liberalizzazione. Il comma 3 prevede altresì che con un meccanismo di delegificazione fossero individuate, entro il 31 dicembre 2012, le disposizioni abrogate in quanto incompatibili col principio di liberalizzazione e contestualmente definita la disciplina regolamentare della materia ai fini dell'adeguamento al suddetto principio.

 

La disciplina oggetto di modifica (articolo 3, comma 3, del D.L. 138/2011) è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 del 2012. La Corte ha specificato, al riguardo, che la soppressione generalizzata delle normative statali incompatibili col principio di liberalizzazione appare indeterminata e potenzialmente invasiva delle competenze legislative regionali e ha precisato che la dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo periodo dell'art. 3, comma 3, coinvolge anche i periodi successivi della disposizione in esame, dato che l'ambito di intervento degli strumenti di semplificazione, previsti dal secondo periodo, nonché quello dei regolamenti di delegificazione di cui al terzo periodo, è determinato per relationem al primo periodo.

 

La Corte costituzionale, con sentenza 17-20 luglio 2012, n. 200 (Gazz. Uff. 25 luglio 2012, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’articolo 3 del D.L. 138/2011, in quanto la soppressione generalizzata delle normative statali incompatibili col principio di liberalizzazione (di cui al comma 1 del medesimo articolo 3) appare indeterminata e potenzialmente invasiva delle competenze legislative regionali. Infatti, sostiene la Corte “sebbene la disposizione abbia ad oggetto le sole normative statali, la «soppressione» di queste per incompatibilità con principi così ampi e generali come quelli enunciati all'art. 3, comma 1, e che richiedono una delicata opera di bilanciamento e ponderazione reciproca, a parte ogni considerazione sulla sua praticabilità in concreto, non appare suscettibile di esplicare effetti confinati ai soli ambiti di competenza statale. Altro è prevedere l'abrogazione di normative statali, altro è asserire che gli effetti dell'abrogazione di tali normative restino circoscritti ad ambiti di competenza statale. Vi sono normative statali che interessano direttamente o indirettamente materie di competenza regionale, come accade nel caso delle leggi dello Stato relative a materie di competenza concorrente, o di competenza statale di carattere trasversale, che di necessità s'intrecciano con le competenze legislative regionali. L'effetto della soppressione automatica e generalizzata delle normative statali contrarie ai principi di cui all'art. 3, comma 1, oltre ad avere una portata incerta e indefinibile, potrebbe riguardare un novero imprecisato di atti normativi statali, con possibili ricadute sul legislatore regionale, nel caso che tali atti riguardino ambiti di competenza concorrente o trasversali, naturalmente correlati a competenze regionali.

Inoltre, l'automaticità dell'abrogazione, unita all'indeterminatezza della sua portata, rende impraticabile l'interpretazione conforme a Costituzione, di talché risulta impossibile circoscrivere sul piano interpretativo gli effetti della disposizione impugnata ai soli ambiti di competenza statale.

Di conseguenza, “l'art. 3, comma 3, appare viziato sotto il profilo della ragionevolezza, determinando una violazione che si ripercuote sull'autonomia legislativa regionale garantita dall'art. 117 Cost., perché, anziché favorire la tutela della concorrenza, finisce per ostacolarla, ingenerando grave incertezza fra i legislatori regionali e fra gli operatori economici”.

Inoltre, conclude la Corte “Per le medesime ragioni, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale del primo periodo dell'art. 3, comma 3, coinvolge anche i periodi successivi della disposizione in esame, dato che l'ambito di intervento degli strumenti di semplificazione, previsti dal secondo periodo, nonché quello dei regolamenti di delegificazione di cui al terzo periodo, è determinato per relationem al primo periodo. La stessa indeterminatezza che vizia la prima proposizione si riverbera anche sui successivi contenuti dell'art. 3, comma 3, che deve, dunque, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo”.

 

Con riguardo all’articolo 22-ter si evidenzia che tale disposizione incide sul contenuto di norme dichiarate costituzionalmente illegittime e dunque non più presenti nell’ordinamento .

 

 


 

Articolo 22-quater
(Modifiche all’articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201)

 

 

L’articolo 22-quater, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene in materia di liberalizzazione degli esercizi commerciali, con una modifica alla disciplina che concede la possibilità alle Regioni e agli enti locali di prevedere aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali.

Al riguardo, la disposizione in esame circoscrive la possibilità di interdizione e limitazione di attività produttive e commerciali alle sole ipotesi di necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali.

 

L’art. 31, comma 2, del D.L. n. 201/2011 integrato dall’art. 30, comma 5 ter, del D.L. n. 69/2013 stabilisce che Regioni ed Enti locali, chiamati ad adeguare i propri ordinamenti al principio di libertà di iniziativa economica senza vincoli anticoncorrenziali, possono “prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali”.

Si segnala che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella sua nota AS1098 dell'11 dicembre 2013, pubblicata nel Bollettino n. 51 del 16 dicembre 2013, si è espressa in merito alla citata disposizione. Al riguardo, l'Autorità sottolinea che “Regioni ed Enti Locali potranno introdurre restrizioni per quanto riguarda le aree di insediamento di attività produttive o commerciali, solo dove esse risultino giustificate dal perseguimento di un interesse pubblico, specificatamente individuato, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario, e a condizione che ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei principi di stretta necessità e proporzionalità della limitazione, oltre che del principio di non discriminazione...”.

 


 

Art. 22-quinquies
(Misure a favore del credito per le imprese sottoposte a commissariamento straordinario e per la realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria)

 

 

I commi 1, 4, 5 e 6 dell’articolo 22-quinquies, inserito nel corso dell’esame al Senato, riproducono le disposizioni del decreto-legge 16 luglio 2014, n. 100, che contiene misure urgenti per la realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (c.d. piano ambientale) per le imprese sottoposte a commissariamento straordinario. Tali misure sono finalizzate a consentire all’impresa commissariata di contrarre finanziamenti funzionali al risanamento ambientale o all’esercizio dell’impresa; a disciplinare la tempistica per l’attuazione del c.d. piano ambientale e per lo spegnimento di alcuni impianti già previsto dal medesimo piano.

I restanti commi dell’art. 22-quinquies contengono disposizioni finalizzate a consentire l’utilizzo delle somme sottoposte a sequestro penale (comma 2) e ad affidare al sub-commissario la responsabilità per l’attuazione del “piano ambientale”, nonché a velocizzare le procedure di approvazione dei progetti (comma 3).

Finanziamento dell’impresa commissariata (comma 1)

In particolare, il comma 1 consente all’impresa commissariata ai sensi del D.L. 61/2013 (quindi all’ILVA S.p.A.[103]), anche a prescindere dalla predisposizione dei piani “ambientale” e “industriale”[104], di contrarre finanziamenti funzionali:

§  a porre in essere le misure e le attività di tutela ambientale e sanitaria;

§  o alla continuazione dell'esercizio dell'impresa e alla gestione del relativo patrimonio.

I finanziamenti così ottenuti dall’impresa sono definiti “prededucibili” in base alla legge fallimentare (art. 111 del R.D. 267/1942); ciò comporta che, in caso di fallimento dell’impresa, in sede di liquidazione dell’attivo e ripartizione delle somme ricavate, tali crediti saranno soddisfatti con precedenza.

 

Lo stesso comma 1 stabilisce che l’attestazione della citata funzionalità sia rilasciata dal Ministero dell’ambiente o dello sviluppo economico.

La norma distingue i seguenti casi:

§  investimenti relativi alle misure e alle attività di tutela ambientale e sanitaria, in tal caso la competenza al rilascio spetta al Ministro dell'ambiente, sentito il Ministro dello sviluppo economico;

§  finanziamenti funzionali alla continuazione dell'esercizio dell'impresa e alla gestione del relativo patrimonio, in tal caso il rilascio spetta al Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente.

 

Viene infine stabilito che l’attestazione può riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia, entità e condizioni essenziali, sebbene non ancora oggetto di trattative.

Utilizzo delle somme sottoposte a sequestro penale (comma 2)

Il comma 2 modifica la disciplina che consente all’impresa commissariata di utilizzare le somme sottoposte a sequestro, per operare gli interventi di risanamento ambientale. La disposizione stabilisce che tali somme, eventualmente trasferite all’impresa, saranno impiegate per finanziarne l’aumento di capitale con conseguente conversione del sequestro dalle somme alle azioni o quote.

In particolare, il decreto-legge interviene sull’art. 1 del decreto-legge 61/2013[105], relativo alle misure finalizzate a porre il costo del risanamento ambientale a carico del titolare o del socio di maggioranza dell'impresa commissariata, sostituendone il comma 11-quinquies (introdotto dal recente decreto-legge n. 136/2013).

 

Si ricorda che, in base al decreto-legge 136 del 2013, il commissario straordinario ha il potere, nel caso in cui l’impresa commissariata sia esercitata in forma individuale, di richiedere al titolare le somme per il risanamento. Nel caso in cui l’impresa commissariata sia esercitata in forma societaria, è attribuito al commissario il potere di aumentare il capitale sociale a pagamento nella misura necessaria ai fini del risanamento ambientale. In particolare il commissario può, alla luce di quanto previsto in materia dal codice civile: offrire le nuove azioni in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute; oppure collocare l'aumento di capitale presso terzi, nel rispetto del diritto di prelazione dei soci della società, nel caso non siano stati esercitati, in tutto o in parte, i diritti di opzione ovvero anche con esclusione o limitazione del diritto di opzione (comma 11-bis).

Le somme eventualmente messe a disposizione dal titolare dell'impresa o dal socio di maggioranza sono scomputate in sede di confisca delle somme sequestrate, anche ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, per reati ambientali o connessi all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale (comma 11-quater).

Il comma 11-quinquies attualmente dispone che se il titolare dell’impresa non è in grado entro la fine del 2014 di procedere al trasferimento delle somme necessarie agli interventi di risanamento ambientale (ai sensi del comma 1-bis), il commissario straordinario può chiedere ed ottenere dalla magistratura il trasferimento delle somme sottoposte a sequestro penale, nei limiti di quanto costituisce oggetto di sequestro, anche in relazione a procedimenti penali a carico del titolare dell'impresa o dei soci o degli amministratori diversi da quelli per reati ambientali. In caso di eventuale successivo proscioglimento, le predette somme che siano state utilizzate per l’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale e per le altre misure previste nel piano, non saranno rimborsate. Viceversa, in caso di condanna, resta fermo l'eventuale credito dello Stato e degli altri eventuali soggetti offesi, nella misura accertata dalla sentenza di condanna. Alla cessazione del commissariamento, sulle somme trasferite al commissario che non siano state impegnate, rivive il vincolo di sequestro penale.

 

Il comma 2, riscrivendo il comma 11-quinquies:

§  conferma che l’autorità giudiziaria deve, entro la fine del 2014, a richiesta del commissario straordinario, trasferire all’impresa le somme sottoposte a sequestro penale, anche in relazione a procedimenti penali diversi a carico del titolare, dei soci o degli amministratori della società;

§  elimina la previsione che attualmente consente il trasferimento solo sul presupposto dell’impossibilità di reperire le risorse necessarie per l'attuazione del piano industriale in base al comma 11-bis;

§  stabilisce che le somme soggette a sequestro penale devono essere trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale (futura sottoscrizione di aumento di capitale, se il comma 11-bis non è stato ancora applicato);

§  attribuisce a Equitalia Giustizia s.p.a., in quanto gestore del Fondo Unico giustizia (FUG), il compito di svolgere tutte le attività esecutive funzionali al trasferimento.

Si ricorda, infatti, che in base ai decreti-legge n. 112/2008 e n. 143/2008, tutte le somme sequestrate nell’ambito di procedimenti penali affluiscono al FUG e che la gestione delle risorse del Fondo è affidata a Equitalia Giustizia, una società per azioni interamente posseduta da Equitalia spa.

§  prevede la conversione del sequestro penale delle somme trasferite in sequestro penale delle azioni o quote emesse. Conseguentemente, l’aumento di capitale dovrà essere intestato al FUG e, per esso, a Equitalia Giustizia s.p.a.;

§  attribuisce all’autorità giurisdizionale competente il compito di indirizzare l’attività di Equitalia Giustizia s.p.a.

Attuazione del piano di tutela ambientale e sanitaria dell’ILVA di Taranto (commi 3, 4, 5 e 6)

Criteri e tempistica (comma 4)

Il comma 4 introduce una norma finalizzata a disciplinare l’attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria relativo all’ILVA di Taranto (nuovo comma 3-ter dell’art. 2 del D.L. 61/20013).

La nuova norma prevede che, per l'osservanza del piano citato, nei termini nello stesso previsti, devono essere attuate, entro il 31 luglio 2015, almeno l'80% delle prescrizioni in scadenza a quella data.

La stessa norma, oltre a motivare la deroga concessa alla luce del fatto che il piano contiene un numero elevato di prescrizioni con interconnessioni critiche, stabilisce che rimane comunque fermo il termine ultimo già previsto del 4 agosto 2016 per l'attuazione di tutte le altre prescrizioni, fatto salvo il termine per l'applicazione delle migliori tecniche disponibili (BAT[106]) relative per la produzione di ferro ed acciaio.

Prescindendo da una ricostruzione della normativa emanata fino ad oggi (contenuta nella scheda “La normativa emanata per l’emergenza ambientale nell'area dell’ILVA di Taranto”, a cui si rinvia) si ricorda che il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria relativo all’ILVA di Taranto (c.d. piano ambientale), adottato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, conclude (in virtù dell'art. 7, comma 1, lettera b), del D.L. 136/2013) tutti i procedimenti di riesame che discendono dall'autorizzazione integrata ambientale del 4 agosto 2011 e da quella del 26 ottobre 2012, come dettagliati dallo stesso D.P.C.M., “con esclusione di quelli che dovranno essere avviati a seguito dell'adempimento di prescrizioni e di quelli che comprendono impianti dello stabilimento non disciplinati dal piano”.

Sempre in virtù del citato art. 7 del D.L. 136/2013, il piano ambientale costituisce integrazione delle autorizzazioni integrate succitate.

Quanto invece al termine ultimo del 4 agosto 2016, esso è stato fissato dall’art. 1, comma 7, del D.L. 61/2013. Tale norma infatti ha fissato il termine in 36 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, avvenuta il 4 agosto 2013.

Con riferimento al termine per l’applicazione delle BAT relative alla produzione di ferro ed acciaio, che viene fatto salvo dal comma in esame, si ricorda che le citate BAT sono state adottate con la Decisione della Commissione 2012/135/UE del 28 febbraio 2012, pubblicata in data 8 marzo 2012. Ai sensi dell'articolo 21, paragrafo 3, della direttiva 2010/75/UE, entro quattro anni dalla data di pubblicazione delle decisioni sulle conclusioni sulle BAT, l'autorità competente riesamina e, se necessario, aggiorna tutte le condizioni di autorizzazione e garantisce che l'installazione sia conforme a tali condizioni di autorizzazione.

In proposito occorre ricordare che il decreto di riesame dell’AIA emesso il 4 agosto 2011 è stato emanato proprio al fine di imporre, fin da subito, e quindi anticipando la scadenza dell’8 marzo 2016, il rispetto delle BAT approvate con la citata decisione 2012/135/UE[107].

Monitoraggio (comma 4)

Il comma 4 prevede altresì l’obbligo, per il commissario straordinario, di presentare al Ministero dell'ambiente e all'ISPRA, entro il 31 dicembre 2015, una relazione sull’osservanza delle prescrizioni del piano.

Messa fuori produzione di specifici impianti (commi 5 e 6)

I commi 5 e 6 stabiliscono che devono essere messi fuori produzione:

§  la “Batteria 11”. In proposito viene stabilito che le procedure per lo spegnimento, all'entrata in esercizio della “Batteria 9” e della relativa torre per lo spegnimento del coke, “Doccia 5”, devono essere avviate entro e non oltre il 30 giugno 2016;

Il punto 16.l) del D.P.C.M. 14 marzo 2014, di approvazione del c.d. piano ambientale, ha fissato il termine per la completa fermata della “Batteria 11” all’8 dicembre 2015[108].

§  l’altoforno 5 (AFO/5). In proposito viene stabilito che le procedure per lo spegnimento, all'entrata in esercizio dell'AFO/1, devono essere avviate entro e non oltre il 30 giugno 2015.

Il punto 16.n) del citato D.P.C.M. 14 marzo 2014 ha fissato il termine per la fermata dell’AFO/5 all’8 novembre 2014[109].

 

Con riferimento ad entrambi gli impianti citati i commi 5 e 6 in esame stabiliscono che il riavvio dell'impianto dovrà essere valutato dall'Autorità competente sulla base di un’apposita richiesta di ILVA S.p.A. nell'ambito della verifica sull'adempimento delle prescrizioni.

Si tratta di una disposizione che riproduce le identiche disposizioni contemplate ai punti 16.l) e 16.n) del D.P.C.M. 14 marzo 2014 di approvazione del piano ambientale.

Attribuzione di poteri e responsabilità al sub-commissario (comma 3)

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 2 del D.L. 61/20103, introdotto dal comma 3 in esame, stabilisce, tra l’altro, che il sub-commissario dispone, coordina ed è responsabile in via esclusiva dell’attuazione degli interventi previsti dal “piano ambientale”, anche ai sensi dell’articolo 1, commi 8, 9, 9-bis e 10.

I citati commi contengono numerose disposizioni principalmente finalizzate a disciplinare l’attuazione dei piani da parte del commissario e i profili di responsabilità del commissario medesimo.

La norma in esame sembra quindi finalizzata a far subentrare, con riferimento alle norme richiamate, il sub-commissario al commissario.

 

Al sub-commissario, lo stesso comma 1-bis, affida una serie di specifici compiti:

§  definire, d’intesa con il commissario straordinario, la propria struttura, le relative modalità operative e il programma annuale delle risorse finanziarie necessarie per far fronte agli interventi previsti dal “piano ambientale”;

§  aggiornare trimestralmente il citato programma annuale, con la rendicontazione delle spese e degli impegni di spesa;

§  disporre i pagamenti con le risorse rese disponibili dal commissario straordinario.

 

Il successivo comma 1-ter dell’art. 2 del D.L. 61/20103, introdotto dal comma 3 in esame, tra l’altro, stabilisce che sia il sub-commissario a proporre l’avvio, entro quindici giorni dalla disponibilità dei relativi progetti, del procedimento che, in conferenza di servizi, deve portare all’approvazione dei progetti delle opere e dei lavori previsti dall'autorizzazione integrata ambientale (AIA) e dai piani “ambientale” e “industriale”.

Disposizioni procedimentali (comma 3)

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 2 del D.L. 61/20103, introdotto dal comma 3 in esame, stabilisce che gli interventi previsti dal “piano ambientale”:

§  sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità;

In merito alla dichiarazione di pubblica utilità, si ricorda che essa attribuisce alle opere, anche qualora private, la natura giuridica di opera pubblica e costituisce presupposto per eventuali procedure espropriative. Relativamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza si ricorda che essa costituisce il presupposto di legittimità del provvedimento d'occupazione d'urgenza.

§  costituiscono varianti ai piani urbanistici.

 

Il successivo comma 1-ter introduce norme per la velocizzazione del procedimento di approvazione dei progetti degli interventi previsti dal “piano ambientale”.

La disciplina del citato procedimento, dettata dal comma 9 dell’art. 1 del D.L. 61/2013, prevede lo svolgimento di una conferenza di servizi indetta dal Ministero dell’ambiente che deve concludersi entro 60 giorni, dopo avere acquisito, se dovuto, il parere della c.d. Commissione VIA, di verifica dell'impatto ambientale.

Per conseguire la finalità indicata viene previsto:

§  un termine di 20 giorni (decorrente dalla data della richiesta e prorogabile di ulteriori 20 giorni in caso di richiesta motivata) per l’espressione di pareri, visti e nulla-osta da parte delle amministrazioni o enti competenti;

§  il meccanismo del silenzio-assenso.

 

La stessa norma specifica che per la valutazione di impatto ambientale e i pareri in materia sanitaria e di tutela paesaggistica restano ferme le previsioni di cui al citato articolo 1, comma 9.

 

Tale disposizione prevede, tra l’altro, che. nel caso di motivato dissenso delle autorità preposte alla tutela ambientale, sanitaria, culturale o paesaggistica, il Consiglio dei Ministri si pronuncia sulla proposta, previa intesa con la regione o provincia autonoma interessata, entro i venti giorni successivi all'intesa.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

La Commissione ha avviato il 26 settembre 2013 una procedura di infrazione (n. 2177/2013) per il mancato rispetto della normativa europea sia in materia di emissioni industriali sia di responsabilità ambientale. Nell’ambito di tale procedura, il 16 aprile 2014 la Commissione europea ha trasmesso all’Italia una messa in mora complementare. Non avendo il Governo trasmesso la documentazione a tale ultimo riguardo, ai sensi dell’articolo 14, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, non è possibile dare conto degli eventuali ulteriori rilievi mossi all’Italia.

 

Nella messa in mora iniziale la Commissione ha contestato anzitutto che lo stabilimento siderurgico di Taranto sarebbe gestito in violazione dell’articolo 14, lettera a), della direttiva 96/61/CE (Integrated Pollution Prevention and Control - IPCC), a norma del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il gestore rispetti, nel proprio impianto, le condizioni dell’autorizzazione.

 

Secondo la Commissione, infatti, il gestore dello stabilimento ILVA di Taranto risulterebbe inadempiente in relazione a numerose prescrizioni previste dall’AIA dell’ottobre 2012:

§  la mancata copertura dei siti di stoccaggio dei minerali e dei materiali polverulenti, il mancato adeguamento della macchine per lo scarico dei materiali e dei nastri trasportatori, al fine di evitare emissioni di polveri;

§  la mancata realizzazione di una nuova rete di idranti e di macchine per la nebulizzazione di acqua sui materiali stoccati, sempre al fine di ridurre le emissioni di polveri;

§  la mancata adozione di misure per la riduzione delle emissioni di polveri dagli altoforni;

§  la mancata copertura delle unità produttive nonché la mancata realizzazione di sistemi di captazione e convogliamento delle emissioni;

§  la mancata adozione di provvedimenti volti alla minimizzazione delle emissioni gassose dagli impianti di trattamento dei gas;

§  la mancata adozione di misure per il controllo dell’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento;

§  mancata adozione di provvedimenti per la riduzione delle emissioni di polveri dalle acciaierie.

Sul rispetto delle altre prescrizioni dell’AIA, le autorità italiane stanno ancora conducendo verifiche.

Peraltro, la Commissione sottolinea che l’AIA, che doveva essere rilasciata entro il 30 ottobre 2007, è stata rilasciata solo nell’agosto 2011, malgrado la Corte di giustizia dell’UE, nel marzo 2011, avesse già dichiarato, in esito ad un’apposita procedura di infrazione, l’inadempienza dell’Italia per la mancata adozione delle misure necessarie a garantire che il funzionamento di alcuni impianti industriali, tra cui l’ILVA, fosse conforme a quanto disposto dalla direttiva (causa 50/10).

 

La Commissione elenca una serie di circostanze dalle quali risulterebbe evidente la consapevolezza delle autorità italiane delle conseguenze inquinanti della condotta del gestore dello stabilimento:

§  l’inclusione della zona industriale di Taranto tra i Siti di Interesse Nazionale (SIN) altamente inquinati e da bonificare;

§  la caratterizzazione cui è stato sottoposto il sito di pertinenza dell’ILVA, da cui è risultato che il suolo, le acque superficiali e le acque sotterranee del sito sono fortemente inquinate. Per il contrasto di tale inquinamento, attribuito dal ministero dell’Ambiente all’attività produttiva dello stabilimento ILVA (nota 8898/TRI/VIII del 28/3/2013), non risultano ancora intraprese azioni di bonifica;

§  il grave inquinamento anche dei comuni limitrofi di Taranto, da attribuire all’attività dello stabilimento ILVA. Tale inquinamento è dimostrato dalle ordinanze del sindaco di Taranto che interessano, in particolare, il quartiere Tamburi, il più vicino alo stabilimento, nonché dallo stanziamento di 8 milioni di euro disposto dalle autorità italiane per bonificare il quartiere.

La responsabilità dell’attività industriale dello stabilimento ILVA è comprovata dalle dimensioni dello stabilimento medesimo (il più grande stabilimento industriale della provincia di Taranto). Le altre prove di responsabilità sono individuate dalla Commissione nelle seguenti circostanze:

§  la vicinanza dello stabilimento con le zone della provincia di Taranto più inquinate (il quartiere Tamburi e il comune di Statte);

§  le rilevazioni del Ministero della salute che provano il livello di inquinamento delle aree di Statte e del quartiere Tamburi. A tali aree sono, inoltre, riconducibili anche le percentuali più alte di ricoveri in ospedali e di decessi per patologie quali il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle respiratorie;

§  la condanna della Corte di giustizia europea dell’Italia (causa C-68/11) per il superamento dei valori limite di PM10 nel 2006 e 2007 in 55 zone e agglomerati italiani, Taranto compresa. Ulteriori superamenti dono stati registrati anche nel 2008 e nel 2011, come risulta dalle valutazioni sulla qualità dell’aria inviate ogni anno dall’Italia alla Commissione.

 

Infine, secondo la Commissione la consapevolezza delle autorità italiane circa i pericoli legati all’attività dello stabilimento ILVA sarebbe ulteriormente dimostrata dalla decisione di prevedere, nel DL n. 61/2013, la nomina di un commissario straordinario per l’ILVA, per oggettivi pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della reiterata inosservanza dell’autorizzazione integrata ambientale.

 

Il comportamento dell’Italia, ad avviso della Commissione, sarebbe inoltre in violazione:

§  dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IPCC, a norma del quale gli Stati membri devono garantire che gli impianti siano gestiti in modo da evitare fenomeni di inquinamento significativo;

§  dell’articolo 6, paragrafo 3, e dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sulla responsabilità ambientale (2004/35/CE). In base a tali norme, infatti, l’operatore responsabile del danno ambientale deve adottare le necessarie misure di riparazione o, quanto meno, sostenere i relativi costi (principio “chi inquina paga”). Se l’operatore non adempie, lo Stato può adottare le misure di riparazione necessarie e recuperarne i costi dall’operatore inadempiente. Secondo la Commissione, non risulta che le autorità italiane abbiano preso provvedimenti in tale senso, dal momento che lo stabilimento ILVA di Taranto continua a inquinare, funzionando in violazione della direttiva IPCC e del’AIA, le cui scadenze, inoltre, sono state prorogate, differendo nel tempo l’adozione dei provvedimenti che potrebbero ridurre l’impatto ambientale dell’attività produttiva.

 

Si ricorda, infine, che l’avvio della procedura di infrazione segue la conclusione della procedura EU Pilot (caso 3268/2012 ENVI), avviata dalla Commissione europea sul funzionamento dell’ILVA di Taranto, il 26 maggio 2012, la cui documentazione è disponibile sul sito dell’ISPRA

(http://www.isprambiente.gov.it/it/garante_aia_ilva/monitoraggio-della-commissione-europea).

 

 


 

Articolo 22-sexies
(Regime fiscale delle operazioni di raccolta effettuate
dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A.)

 

 

L’articolo 22-sexies, introdotto al Senato, modifica l'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, con il quale è stata disposta la trasformazione della Cassa depositi e prestiti in società per azioni, al fine di parificare a quello dei titoli di Stato il trattamento fiscale dei proventi sui buoni fruttiferi postali e sugli altri titoli emessi da CDP per finanziare le amministrazioni pubbliche. Si introducono inoltre alcune variazioni al regime fiscale, diretto e indiretto, cui è assoggettata la stessa CDP, al fine di equipararlo a quello delle banche.

 

Viene anzitutto modificato il comma 24 dell'articolo 5 citato, prevedendo che gli interessi e gli altri proventi dei buoni fruttiferi postali e degli altri titoli emessi con le caratteristiche autorizzate dal Direttore generale del tesoro siano assoggettati all'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura applicabile ai titoli di cui all'articolo 31 del DPR n. 601 del 1973, vale a dire i titoli di Stato e quelli equiparati.

 

Si tratta in particolare di interessi, premi e altri frutti dei titoli del debito pubblico, buoni postali di risparmio, cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti e altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazione statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l' adempimento di funzioni statali o per l' esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio.

 

A decorrere dal 1° luglio 2014 l’aliquota della tassazione dei redditi di natura finanziaria passa dal 20 al 26 per cento (articolo 3 del decreto-legge n. 66 del 2014). Il decreto-legge n. 66 conferma l'esclusione dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, per i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, le forme di previdenza complementare (fondi pensione) e i project bond, la cui tassazione resta al 12,5 per cento.

 

L'emendamento prevede inoltre di sostituire il comma 25 dell'articolo 5 citato, proponendo che:

§  alla Cassa depositi e prestiti S.p.A. si applichino le disposizioni in materia di Ires e Irap, l’esenzione in materia imposte di registro, di bollo, ipotecaria e catastale, l’imposta sostitutiva (pari, di norma, allo 0,25 per cento del finanziamento concesso) nonché le disposizioni concernenti le altre imposte dirette e indirette previste dagli artt. 15 e seguenti del DPR n. 601 del 1973 per le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e assimilate;

§  le ritenute sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi (di cui all'articolo 26, comma 2, del DPR n. 600 del 1973) nonché l'IRES e l'IRAP dovute sia a titolo di saldo che di acconto dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. siano riscosse mediante versamento in Tesoreria, con imputazione ai competenti capitoli dello stato di previsione delle entrate.

Si ricorda che il testo vigente del comma 25 prevede che gli interessi e gli altri proventi dei titoli emessi dalla CDP S.p.A. sono soggetti al regime dell'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento.

 

Sono fatte salve le norme riguardanti la gestione separata.

 

Si ricorda che l’articolo 5, comma 7, lettera a) del D.L. n. 269/2003 prevede che Cassa depositi e prestiti S.p.A. finanzi sotto qualsiasi forma, Stato, Regioni, enti locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, mediante l’utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato e anche mediante fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.

In virtù dell’estensione dell’ambito di operatività disposto dall’articolo 22, comma 1, del D.L. n. 185/2008, attraverso l’aggiunta di un secondo periodo al comma 7 citato, lutilizzo dei predetti fondi è peraltro consentito a CDP per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della Società, nei confronti dei soggetti istituzionali pubblici o promossa dai medesimi soggetti.

Le operazioni compiute da CDP attraverso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale e dei fondi provenienti da altre operazioni finanziarie ugualmente assistiti da garanzia dello Stato, avviene attraverso un sistema di cd. gestione separata ai fini contabili ed organizzativi, informato a criteri di trasparenza e di salvaguardia dell'equilibrio economico (comma 8 dell’articolo 5). Cassa depositi finanzia inoltre in qualsiasi forma, opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, attraverso l’utilizzo di fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con raccolta esclusivamente presso investitori istituzionali (comma 7, lettera b) del medesimo articolo 5).

 

Si ricorda, inoltre, che l'articolo 2, comma 2 del decreto-legge n. 133 del 2013 prevede, per gli enti creditizi, finanziari e assicurativi e per la Banca d'Italia, per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013, una addizionale alla aliquota IRES di 8,5 punti percentuali.

 

 


 

Articolo 23
(Riduzione delle bollette elettriche a favore dei clienti forniti
in media e bassa tensione)

 

 

L’articolo 23 individua le piccole e medie imprese (PMI) come beneficiarie dei risparmi sugli oneri generali di sistema delle tariffe elettriche derivanti dalle misure contenute

§  nei successivi articoli da 24 a 30 del decreto legge in esame (comma 1);

§  nelle disposizioni del D.L. n. 145/2013 (“destinazione Italia”), che ha previsto con il cosiddetto “spalma incentivi volontario” la facoltà di diluire in un periodo più lungo gli incentivi per le fonti rinnovabili (comma 2).

L’agevolazione per le piccole e medie imprese consiste nella riduzione delle tariffe elettriche, che dovrà essere ripartita in modo proporzionale tra i soggetti aventi diritto e non dovrà essere cumulabile con gli incentivi già previsti per le imprese a forte consumo di energia (cosiddette “energivore”).

L'obiettivo del Governo è quello di pervenire a regime ad un risparmio in bolletta pari a circa il 10 per cento del costo attuale per le PMI.

Durante l’esame al Senato l’articolo è stato integrato per assoggettare temporaneamente le unità di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 50 MW (con esclusione delle rinnovabili non programmabili come il fotovoltaico e l’eolico) ubicate in Sicilia al regime delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico, e per disporre nel contempo la rimozione delle macrozone Sicilia e Sardegna.

 

Nel dettaglio, il comma 1 riguarda la destinazione dei risparmi conseguenti alla riduzione delle componenti tariffarie che gravano sulle bollette elettriche, derivanti dall’applicazione degli articoli da 24 a 30 del decreto-legge in esame.

La platea delle PMI beneficiarie viene individuata nel gruppo dei consumatori di energia elettrica (escluse le utenze residenziali e di illuminazione pubblica) connessi

§  in media tensione;

§  in bassa tensione, oltre un certo limite di potenza.

 

Durante l’audizione al Senato sul decreto in esame, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) ha fatto alcune osservazioni circa la platea dei beneficiari.

In primo luogo, l’ambito di applicazione interessa circa un milione di utenze elettriche (oltre 100.000 quelle in media tensione e oltre 860.000 quelle in bassa tensione), per consumi complessivi che si attestano a oltre 140 TWh, e che rappresentano oltre il 50% dei prelievi di energia elettrica da parte di clienti finali nel Paese. Di questi 140 TWh, al momento circa 26 TWh risultano prelevati da imprese a forte consumo di energia connesse in media tensione. Considerando un simile ambito di applicazione, secondo l’Autorità le misure di riduzione degli oneri generali per la platea interessata rischiano di comportare un beneficio individuale piuttosto esiguo: si consideri che la spesa dell’energia (inclusi gli oneri generali di sistema) per la platea individuata è stimabile nell’ordine di 20 miliardi di euro (avendo già escluso le imprese in media tensione attualmente registrate come imprese energivore).

 

Per quanto concerne il limite di potenza per le imprese connesse in bassa tensione, il testo originario del decreto faceva riferimento alla “potenza impegnata non inferiore a 16,5 kW”. Nel corso dell’esame al Senato la soglia è stata modificata in “potenza disponibile superiore a 16,5 kW”, in seguito ad una segnalazione tecnica dell’AEEGSI.

Sul piano tecnico, l’AEEGSI ha infatti osservato che il riferimento alla soglia di potenza dovrebbe essere relativo alla “potenza disponibile superiore a 16,5 kW” e non alla “impegnata non inferiore a 16,5 kW” per una duplice ragione: da una parte rendere i raggruppamenti dei clienti coerenti con le vigenti classi tariffarie della distribuzione, evitando interventi che inducano ingiustificati consistenti costi di modifica dei sistemi di fatturazione degli operatori elettrici e conseguenti lunghi tempi di implementazione; dall’altra stabilizzare la definizione dell’ambito, dal momento che se restasse il riferimento alla potenza “impegnata”, la platea delle utenze ammesse alla rimodulazione varierebbe di mese in mese in funzione del variare dell’effettivo prelievo di potenza che per gran parte di questi clienti viene rilevato su base mensile, potendo scendere anche sotto la soglia dei 16,5 kW in alcuni mesi.

 

Il comma 2 riguarda la destinazione dei risparmi conseguenti dall'attuazione dell'articolo 1, commi da 3 a 5, del decreto-legge 145/2013 (cd “destinazione Italia”), ovvero il meccanismo cd. “spalma-incentivi volontario” per i produttori di energia da fonti rinnovabili che beneficiano di incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero tariffe premio.

Tale meccanismo, introdotto con l’obiettivo di ridurre l’onere annuo della componente A3 della bolletta elettrica, offre ai produttori la possibilità di scegliere tra due opzioni:

§  continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto residuo (nel qual caso, per un periodo di dieci anni decorrenti dal termine del periodo di diritto al regime incentivante, interventi di qualunque tipo realizzati sullo stesso sito non hanno diritto di accesso ad ulteriori strumenti incentivanti);

§  optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, consistente nella fruizione di un incentivo ridotto a fronte di una proroga di 7 anni del periodo di incentivazione. La riduzione dell’incentivo viene differenziata in ragione del residuo periodo di incentivazione, del tipo di fonte rinnovabile e dell’istituto incentivante, ed è determinata tenendo conto dei costi indotti dall’operazione di rimodulazione degli incentivi.

 

Il comma 3 attribuisce all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico il compito di assicurare che, a regime, la riduzione della bolletta elettrica non sia cumulata con le agevolazioni di cui godono le imprese ad alta intensità energetica (articolo 39 del decreto-legge n. 83/2012) e che i benefici siano ripartiti in modo proporzionale tra gli aventi diritto.

Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge l’AEEGSI deve emanare pertanto i relativi provvedimenti applicativi.

 

Durante l’audizione al Senato sul decreto in esame, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) ha condiviso la scelta di escludere dalla platea dei beneficiari i soggetti che già godono delle agevolazioni in materia di oneri generali di sistema di cui all’articolo 39 del decreto-legge 83/2012, ossia delle cosiddette misure per gli energivori. L’Autorità ha però rilevato che il perimetro delle imprese energivore destinatarie di agevolazioni potrebbe ridursi in relazione alle possibili modifiche alle misure per gli energivori che dovranno essere prossimamente introdotte in considerazione di quanto previsto dalle Linee Guida della Commissione Europea in materia di aiuti di stato (in vigore dal 1 luglio 2014). In tal caso, gli effetti del presente DL interesserebbero una platea ancora più vasta, riducendo ulteriormente l’efficacia delle misure previste a parità di effetto complessivo di riduzione degli oneri.

 

In relazione all’esigenza di consentire un’effettiva riduzione della spesa elettrica per le PMI, estendibile anche alle famiglie, L’Autorità ha suggerito due ulteriori misure che mirano ad eliminare oneri impropri attualmente gravanti sui consumatori elettrici:

§  prevedere che gli oneri generali non siano soggetti all’applicazione dell’IVA, consentendo così una immediata e generalizzata riduzione del prezzo finale dell’energia elettrica, ponendo fine ad una doppia imposizione fiscale che penalizza le attività economiche sottostanti;

§  evitare l’aggravio annuo pari a 135 milioni di euro sulla bolletta elettrica dei clienti finali derivante dalle leggi n. 311/04 e 266/05, versato al Bilancio dello Stato. In particolare:

a)   l’articolo 1, comma 298, della legge 311/04 stabilisce che, a decorrere dal 1 gennaio 2005, è assicurato un gettito annuo pari a 100 milioni di euro mediante il versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una quota pari al 70 per cento degli importi derivanti dall’applicazione dell’aliquota della componente della tariffa elettrica relativa alle compensazioni territoriali, fino allo smantellamento degli impianti nucleari, a favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo combustibile nucleare, nonché di una ulteriore quota che assicuri il predetto gettito a valere sulle entrate derivanti dalla componente tariffaria A2;

b)   l’articolo 1, il comma 493, della legge 266/05 dispone che, a decorrere dall’anno 2006, siano assicurate maggiori entrate, pari a 35 milioni di euro annui, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una quota degli introiti della componente tariffaria A2 sul prezzo dell’energia elettrica, in aggiunta a quanto già previsto dalla legge 311/04.

 

Il comma 4, introdotto durante l’esame al Senato, qualifica come “risorse essenziali per la sicurezza del sistema elettrico” tutte le unità di produzione di potenza superiore a 50 MW ubicate in Sicilia, fino all’entrata in operatività dell’elettrodotto 380 kV “Sorgente-Rizziconi” tra la Sicilia e il Continente, e degli altri interventi finalizzati al significativo incremento della capacità di interconnessione tra la rete elettrica siciliana e quella peninsulare. Tali impianti, inoltre, hanno l’obbligo di offerta sul mercato del giorno prima[110].

Si ricorda che Terna pubblica annualmente sul proprio sito l’elenco delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. Tali risorse godono di una disciplina particolare nell’ambito del dispacciamento. L’utente del dispacciamento di un’unità di produzione essenziale per la sicurezza può chiedere all’Autorità l’ammissione alla reintegrazione dei costi di generazione per il periodo di validità dell’elenco. Tale richiesta deve essere accompagnata da una relazione tecnica che descriva i costi di produzione e le potenzialità reddituali dell’unità, anche in considerazione delle previsioni di utilizzo formulate da Terna.

 

Al riguardo, si valuti l’opportunità di precisare in modo più definito il momento in cui tali impianti non avranno più ragione di essere considerati essenziali per la sicurezza. La formulazione attuale, infatti, lascia tale termine indeterminato.

Le modalità di offerta e remunerazione di tali unità sono definite dall’AEEGSI, entro 60 giorni, seguendo il criterio di puntuale riconoscimento per singola unità produttiva dei costi variabili e dei costi fissi di natura operativa e di equa remunerazione del capitale netto residuo investito riconducibile alle stesse unità, e in modo da assicurare la riduzione degli oneri per il sistema elettrico.

Le stime governative relative ai maggiori costi connessi al mancato completamento della interconnessione tra la Sicilia che si scaricano sulle bollette elettriche superano i 600 milioni di Euro, che con la norma in esame si vorrebbero a dimezzare.

 

In attesa di una riforma organica della disciplina degli sbilanciamenti nell’ambito del mercato dei servizi di dispacciamento, l’AEEGSI procede entro 30 giorni a rimuovere le macrozone[111] Sicilia e Sardegna. La norma vuole garantire modalità di determinazione dei prezzi di sbilanciamento, con riferimento alle isole maggiori, tali da riflettere i reali costi sostenuti da Terna per il bilanciamento del sistema elettrico complessivo e contenere i medesimi costi.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

In relazione alle disposizioni del decreto-legge che intervengono sulla determinazione dei costi dell’energia, si segnala che la Commissione europea ha presentato lo scorso gennaio una comunicazione dedicata ai costi e ai prezzi dell’energia in Europa (COM(2014)21), che fa parte del pacchetto clima energia al 2030. Sulla comunicazione si è pronunciato il Consiglio europeo lo scorso 13 giugno.

La comunicazione propone alcune linee di azione allo scopo di mettere i cittadini e l'industria europei in condizione di affrontare la sfida dei prezzi dell'energia e di tutelare la competitività dell'Unione europea. In particolare, essa fornisce un quadro dell'evoluzione dei costi e dei prezzi dell'energia e dei fattori che determinano i cambiamenti nei mercati. Sono inoltre prese in considerazione le ripercussioni sulla competitività globale dell'UE e le future tendenze dei costi e dei prezzi.

Inoltre, la relazione, allegata alla comunicazione, fornisce dati completi e dettagliati tratti da un'ampia serie di fonti, esamina le tendenze dei costi e dei prezzi dell'energia e ne valuta le possibili cause, traendo conclusioni utilizzabili per l'adozione di decisioni informate per affrontare la questione. La relazione riguarda in particolare i prezzi del gas e dell'energia elettrica, in quanto nei mercati globali del petrolio e del carbone, i consumatori di energia di tutto il mondo pagano in linea di massima lo stesso prezzo.

 

 


 

Articolo 24
(Disposizioni in materia di esenzione da corrispettivi e oneri del sistema elettrico per reti interne e sistemi efficienti
di produzione e consumo)

 

 

L’articolo 24 sottopone alcune forme di autoconsumo di energia (Reti interne di utenza; Sistemi efficienti di utenza e equiparati), che nella normativa previgente al decreto versavano i corrispettivi tariffari e gli oneri di sistema solo sull’energia prelevata dalla rete, al pagamento di una quota di tali oneri in relazione all'energia consumata e non prelevata dalla rete, cioè su quella autoprodotta.

 

La norma riguarda le seguenti tipologie di reti private:

 

Tipologia di rete privata

Rif. normativo

Reti interne di utenza[112] (RIU)

L. 99/2009, art. 33

Sistemi efficienti di utenza[113] (SEU)

D.Lgs. 115/2008, art. 10, co. 1

Sistemi equiparati ai sistemi efficienti di utenza[114] (SESEU)

D.Lgs. 115/2008, art. 10, co. 2

La normativa previgente al decreto permetteva, in questi casi (che nell’immagine seguente sono colorati in rosso), una compensazione tra i volumi di energia prodotta e consumata da soggetti, anche diversi tra loro, interni alla Rete Interna d’Utenza o al SEU o SESEU, ai fini dell’applicazione dei corrispettivi, determinando un vantaggio sul costo dell’energia elettrica rispetto ad altri soggetti, anche a parità di attività produttiva svolta.

In seguito al decreto in esame, invece, le componenti fisse degli oneri vengono applicate alla potenza impegnata sul punto di connessione e le componenti variabili sono applicate:

§  nel caso dei SEU, dei SESEU e delle RIU (indicati in rosso nell’immagine che segue), all’energia elettrica prelevata dalla rete pubblica in misura pari al 100% del loro valore unitario e all’energia elettrica consumata ma non prelevata dalla rete pubblica in misura pari al 5% del loro valore unitario totale. Nel caso di sistemi che entrano in esercizio dopo il 31 dicembre 2014, la quota del 5% potrebbe essere modificata a partire dal 2016.

§  in tutti gli altri casi (in blu nell’immagine), ivi inclusi i sistemi di autoproduzione e le reti private diverse dalle RIU, al totale dell’energia elettrica consumata in misura pari al 100% del loro valore unitario (l’AEEGSI fa l’esempio dei sistemi di autoproduzione senza fonti rinnovabili né cogenerazione ad alto rendimento non ricompresi tra i SEESEU perché l’iter autorizzativo è iniziato dopo il 4 luglio 2008).

 

L’AEEGSI stima come effetto dell’articolo un maggiore onere complessivo in capo ai gestori di SEU, SESEU e RIU pari a circa 70 milioni di euro annui (60 per SEU e SEESEU e 10 per le RIU). Tale misura comporta una diversa modalità allocativa di una parte degli oneri generali di sistema che rimangono identici nel loro totale complessivo, a causa della destinazione dei risparmi operata dall’articolo 23. Ciò significa che gli oneri generali di sistema complessivi saranno sostenuti in misura maggiore (+70 milioni), rispetto alla normativa previgente, dai SEU, SEESEU e RIU e in equivalente misura minore dalle PMI.

 

L’immagine precedente contestualizza in modo semplificato le RIU, i SEU e i SESEU. Si ricorda, peraltro, che, sulla materia dei sistemi semplici di produzione e consumo e delle reti private, l’AEEGSI ha inviato una dettagliata segnalazione al governo e al parlamento, a cui si rinvia per approfondimenti (segnalazione 17 luglio 2014 348/2014/i/eel).

 

Per quanto riguarda gli oneri, l’articolo in esame fa riferimento ai corrispettivi tariffari:

§  a copertura degli oneri generali di sistema (art. 3, comma 11, D.Lgs. n. 79/1999);

§  a copertura degli oneri per lo smantellamento delle centrali nucleari (art. 4, comma 1, D.L. n. 314/2003).

 

I corrispettivi tariffari di trasmissione, misure e distribuzione dell'energia elettrica, nel testo modificato dal Senato (comma 8), sono determinati facendo riferimento

§  per le parti fisse, a parametri relativi al punto di connessione dei clienti finali;

§  per le parti variabili, all'energia elettrica prelevata tramite il medesimo punto.

 

Più nel dettaglio, l’articolo in esame prevede un principio generale per le elencate tipologie di oneri, ovvero che a partire dal 1° gennaio 2015 essi siano determinati facendo esclusivo riferimento al consumo di energia elettrica dei clienti finali o a parametri relativi al punto di connessione dei medesimi clienti finali (comma 1).

 

Nei commi successivi, prevede dei casi particolari con riferimento a RIU, SEU e SESEU.

 

Per RIU, SESEU e per i SEU entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2014, i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema di cui al comma 1, limitatamente alle parti variabili, si applicano sull'energia elettrica consumata e non prelevata dalla rete, in misura pari al 5 per cento dei corrispondenti importi unitari dovuti sull'energia prelevata dalla rete (comma 2).

 

Per i SEU entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2014, i corrispettivi a copertura degli oneri generali di sistema di cui al comma 1, limitatamente alle parti variabili, si applicano sull'energia elettrica consumata e non prelevata dalla rete, in misura pari al 5 per cento dei corrispondenti importi unitari dovuti sull'energia prelevata dalla rete (comma 3), come nel caso precedente. Tuttavia, al fine di non ridurre l'entità complessiva dei consumi soggetti al pagamento degli oneri di cui al comma 1, tali quote possono essere aggiornate, con decreti del Ministro dello sviluppo economico (comma 4), sulla base di alcuni criteri formulati durante l’esame al Senato, in seguito ad un’osservazione dell’AEEGSI:

a)   il primo aggiornamento può essere effettuato entro il 30 settembre 2015 e gli eventuali successivi aggiornamenti possono essere effettuati con cadenza biennale a decorrere dal primo;

b)   le nuove quote si applicano agli impianti che entrano in esercizio a partire dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di entrata in vigore del pertinente decreto;

c)   le nuove quote non possono essere incrementate ogni volta di più di 2,5 punti percentuali rispetto a quelle previgenti.

 

La versione originaria del testo del decreto prevedeva la possibilità per il MiSE di aggiornare le quote a decorrere dal 1° gennaio 2016. Peraltro, l’AEEGSI, nell’audizione presso il Senato, ha fatto presente la necessità di prevedere, fin da ora, i criteri secondo cui verrà aggiornata la quota di applicazione degli oneri generali di sistema al fine di garantire sicurezza e stabilità per gli investitori, eventualmente prevedendo, per i sistemi non ancora in esercizio, una quota fin da subito più elevata rispetto a quella definita per i sistemi SEU già in esercizio.

 

Per il raggiungimento delle finalità di cui ai commi 2 e 3, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) adotta i provvedimenti necessari alla misurazione dell'energia consumata e non prelevata dalla rete (comma 5).

In via transitoria, per l'anno 2015, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico definisce, per le reti e i sistemi di cui ai commi 2 e 3 per i quali non sia possibile misurare l'energia consumata e non prelevata dalla rete, un sistema di maggiorazioni delle parti fisse dei corrispettivi posti a copertura degli oneri generali di sistema, di effetto stimato equivalente a quanto previsto ai medesimi commi 2 e 3. Durante l’esame al Senato si è prevista la possibilità di applicare il medesimo sistema, anche successivamente al 2015, laddove le quote applicate siano inferiori al 10 per cento (comma 6).

L’integrazione apportata dal Senato va incontro ad una richiesta dell’AEEGSI che, nell’audizione presso il Senato, ha posto l’attenzione sulla particolare complessità dell’implementazione di tale norma, che richiede tempi lunghi, e costi che potrebbero risultare rilevanti rispetto agli effetti sopra richiamati, almeno finché il valore unitario degli oneri generali di sistema applicato all’energia elettrica autoconsumata in situ è pari al solo 5% del totale. Infatti il sistema elettrico attualmente rileva ed utilizza come unici dati di riferimento quelli relativi all’energia elettrica prelevata da rete pubblica (e non anche quelli relativi all’energia elettrica consumata in sito)[115].

L’applicazione degli oneri generali di sistema all’energia elettrica consumata, per tutte le configurazioni, richiederebbe la completa innovazione dei flussi informativi su cui si fonda il funzionamento del sistema elettrico e dei sistemi di fatturazione, aggiungendo diverse complessità[116].

L’AEEGSI ha evidenziato inoltre che le definizioni oggi vigenti (ivi incluse quelle di SEU, SEESEU e RIU) se da un lato servono per identificare quali realtà “private” possono essere realizzate in presenza di un regime concessorio per l’esercizio delle attività di trasmissione e di distribuzione, dall’altro sono funzionali all’applicazione degli oneri generali di sistema e i relativi esoneri.

Una più generale revisione e razionalizzazione delle modalità di applicazione degli oneri generali di sistema, che indubbiamente richiede maggiori approfondimenti, potrebbe quindi consentire una conseguente razionalizzazione e semplificazione delle definizioni dei sistemi e delle reti private realizzabili o già realizzate.

Nelle more di un’auspicata più ampia revisione, alternative di più semplice implementazione delle finalità del presente articolo potrebbero consistere nel prevedere maggiorazioni delle parti fisse dei corrispettivi posti a copertura degli oneri generali di sistema, di effetto stimato equivalente a quanto previsto dal DL, come peraltro indicato al comma 6 dello stesso articolo 24 seppure per il solo periodo transitorio iniziale (del 2015).

L’Autorità ritiene quindi preferibile prevedere, per garantire maggiore semplicità, che la soluzione indicata dal DL per il periodo transitorio 2015 sia adottata anche a regime, almeno fino a che la maggiore applicazione degli oneri generali di sistema ai SEU, SEESEU e RIU rimarrà di entità limitata quale quella prevista dal DL.

 

Sono infine fatti salvi gli effetti dei provvedimenti adottati dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico in attuazione dell'art. 33 della legge 99/2009 e dell’art. 10 del D.Lgs. n. 115/2008, per le parti compatibili con le disposizioni dei precedenti commi (comma 7).

 

 


 

Articolo 25
(Modalità di copertura di oneri sostenuti dal
Gestore dei Servizi Energetici GSE S.p.A.)

 

 

L’articolo 25 dispone che gli oneri per lo svolgimento dell’attività del Gestore dei servizi energetici (GSE) relativi ai meccanismi di incentivazione e sostegno alle imprese in materia di fonti rinnovabili ed efficienza energetica non ricadano più sull’onere generale A3 in capo ai consumatori, imprese e famiglie, ma siano posti a carico dei beneficiari dell’attività del GSE, ad esclusione degli impianti destinati all’autoconsumo entro i 3 KW (secondo l’integrazione apportata dal Senato). Qualora necessario, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) provvede ad eventuali compensazioni.

 

Il GSE S.p.A. (Gestore dei servizi elettrici) è una società interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze la cui principale attività è promuovere e incentivare le fonti rinnovabili e la cogenerazione nel settore elettrico, gestendo poi in Borsa l'energia incentivata. Opera in base agli indirizzi strategici emanati dal Ministero dello sviluppo economico e alle disposizioni attuative dell'Autorità per l'Energia elettrica e il Gas.

Complessivamente, nel 2011, dal GSE sono stati erogati più di 11 miliardi di euro per incentivi e servizi che hanno comportato un onere netto, sulla componente A3 della bolletta elettrica, di circa 8 miliardi di euro.

Secondo la normativa previgente al decreto in esame, i costi di funzionamento sostenuti dal GSE sono remunerati attraverso due distinte modalità di copertura:

corrispettivi applicati ai beneficiari degli incentivi per la remunerazione delle attività di gestione, di verifica e di controllo, inerenti i meccanismi di incentivazione, definiti per ciascuno dei meccanismi incentivanti, attraverso la normativa di riferimento (tra cui si segnalano i DM 5 luglio e 6 luglio 2012);

contributi a copertura dei costi di funzionamento a valere sulla componente tariffaria A3.

Il grafico seguente riepiloga la struttura dei costi per l’anno 2013 (in verde i corrispettivi a carico dei beneficiari degli incentivi; in rosso il contributo a copertura dei costi di funzionamento a valere sulla componente A3):

 

 

 

Le tariffe da applicare a decorrere dal 1° gennaio 2015 e valide per un triennio, nonché le modalità di pagamento delle stesse, sono proposte al Ministro dello sviluppo economico (MiSE) entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, e successivamente ogni tre anni. Le tariffe sono definite dal GSE sulla base dei costi, della programmazione e delle previsioni di sviluppo delle medesime attività.

Tale proposta è approvata dal Ministro dello sviluppo economico con decreto da adottare entro 60 giorni dalla comunicazione.

 

L’AEEGSI ha comunicato, durante l’audizione al Senato, l’importo degli oneri sostenuti dal GSE e non già allocati ai soggetti beneficiari dei suoi servizi, con riferimento all’anno 2013, che ammonta a 19 milioni di euro.

La parte preponderante è già allocata ai soggetti beneficiari sulla base di corrispettivi unitari definiti con decreti dei Ministri competenti.

L’AEEGSI ritiene opportuno specificare che la definizione dei corrispettivi, da approvare con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico previa proposta del GSE, e la compensazione eventualmente disposta dall’Autorità, dovrebbero essere riconosciuti solo se ancorati a criteri di efficienza.

 

 


 

Articolo 26
(Interventi sulle tariffe incentivanti dell'elettricità prodotta
da impianti fotovoltaici)

 

 

L’articolo 26, significativamente modificato nel corso dell’esame al Senato, si compone di una prima parte volta a generare risparmi sull’incentivazione dei grossi impianti fotovoltaici (di potenza superiore a 200 kW), e di una seconda parte introdotta al Senato che riguarda invece tutti i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili che beneficiano di incentivi pluriennali.

La prima parte della norma (commi 1-6), per ottenere una riduzione annua degli incentivi erogati agli impianti fotovoltaici di grossa taglia, lascia ai produttori la scelta tra tre opzioni, che prevedono l’estensione di 4 anni del periodo di incentivazione con una riduzione dell’incentivo, oppure il mantenimento del periodo di erogazione ventennale con una riduzione percentuale dell’incentivo per tutto il periodo oppure solo per un primo periodo con recupero successivo.

La seconda parte della norma (commi 7-13) prevede la possibilità per i beneficiari di incentivi pluriennali per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, di cedere una quota fino all'80% degli incentivi per le fonti rinnovabili a operatori finanziari internazionali attraverso un'asta organizzata dall'Autorità per l'energia. Alle quote di incentivi cedute agli acquirenti selezionati non si applicano, a decorrere dalla data di cessione, le rimodulazioni precedenti. Peraltro, tale possibilità di cessione è subordinata alla verifica da parte del ministero dell'Economia della compatibilità degli effetti delle operazioni sottostanti sui saldi di finanza pubblica.

 

Più nel dettaglio, la prima parte della norma prevede nuove modalità di erogazione delle tariffe incentivanti sull'energia elettrica prodotta da grossi impianti solari fotovoltaici, riconosciute in base all'articolo 7 del D.Lgs. n. 387/2003 e all'articolo 25, comma 10, del decreto legislativo n. 28/2011.

 

Il comma 10 del testé citato articolo 25 del D.Lgs. n. 28/2011 dispone che - fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2-sexies del D.L. n. 3/2010 - l'incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio successivamente al 31 maggio 2011 è disciplinata con Decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del mare, sentita la Conferenza unificata stato-città autonomie locali sulla base di specifici principi dettati dal medesimo comma 10.

Si tratta dei seguenti principi:

a)   determinazione di un limite annuale di potenza elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le tariffe incentivanti;

b)   determinazione delle tariffe incentivanti tenuto conto della riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi di impianto e degli incentivi applicati negli Stati membri dell'UE;

c)   previsione di tariffe incentivanti e di quote differenziate sulla base della natura dell'area di sedime;

d)   applicazione delle disposizioni dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 387/2003. Si ricorda che l’articolo 7 del D.Lgs. n. 387/2003abrogato dal successivo comma 11, lett. b) n. 3) dell’articolo 25 del D.Lgs. n. 28/2011 a decorrere dal 1 gennaio 2013, recava specifiche disposizioni per il solare, demandando anch’esso ad atti normativi secondari del MISE l’adozione dei criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare: i requisiti soggettivi e oggettivi e le condizioni per la cumulabilità dell'incentivazione con altri incentivi, nonché il limite massimo della potenza elettrica cumulativa di tutti gli impianti che possono ottenere l'incentivazione, la possibilità di utilizzo dei certificati verdi attribuiti al Gestore della rete.

Dunque, la nuova disciplina sull’ incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici entrati in esercizio successivamente al 31 maggio 2011 è ora contenuta nel D.M. 5 maggio 2011Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici” e nel D.M. 5 luglio 2012 - cd. V° Conto energia.

Mentre, per gli impianti entrati in esercizio in precedenza la disciplina attuativa dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 387/2003 è quella contenuta dai seguenti decreti: il D.M. 28 luglio 2005, il D.M. 6 febbraio 2006, il D.M. 19 febbraio 2007, il D.M. 11 aprile 2008 e il D.M. 6 agosto 2010.

 

Finalità delle misure in esso contenute è quella di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili (comma 1).

Si veda, in proposito, il grafico seguente che evidenzia l’impatto della componente tariffaria A3 (destinata all’incentivazione delle energie rinnovabili) sul totale della bolletta.

 

In particolare, il comma 2, prevede nuove modalità di erogazione degli incentivi a carico delle tariffe elettriche riconosciuti all’energia prodotta dagli impianti fotovoltaici.

In particolare, il Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. (G.S.E. S.p.A.) – a decorrere dal secondo semestre 2014 – eroga le tariffe incentivanti con rate mensili costanti, su base annua, pari al 90% della producibilità media annua stimata di ciascun impianto e un conguaglio, riconosciuto entro il 30 giugno dell’anno successivo, in relazione alla produzione effettiva.

Secondo quanto sostenuto dall’AEEGSI nell’audizione presso il Senato, la previsione di erogare gli incentivi in acconto (di cui al comma 2), sulla base del 90% della producibilità, consente una stabilizzazione sia dal punto di vista dei produttori sia dal punto di vista del sistema elettrico. L’Autorità stessa sottolineare peraltro la necessità che siano utilizzati dati di misura effettivi sia al fine di aggiornare la producibilità sia (e soprattutto) al fine di erogare i conguagli.

 

 

Inoltre, il comma 3, così come modificato dal Senato, rimodula le tariffe incentivanti e/o il periodo di incentivazione per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 KW secondo tre opzioni a scelta del produttore:

a)   l’estensione da 20 a 24 anni del periodo di incentivazione, a fronte di una riduzione del valore unitario dell’incentivo di entità dipendente dalla durata del periodo incentivante residuo. Le percentuali di riduzione sono indicate nell’allegato 2, e per le tariffe onnicomprensive sono applicate alla sola componente incentivante;

b)   il mantenimento del periodo di erogazione ventennale, a fronte di una riduzione dell’incentivo per un primo periodo, e di un corrispondente aumento dello stesso per un secondo periodo, secondo percentuali definite dal MiSE con un decreto da emanare entro il 1° ottobre 2014 in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti operatori, un risparmio di almeno 600 milioni di euro all’anno per il periodo 2015-2019;

c)   il mantenimento del periodo di erogazione ventennale, a fronte di una riduzione percentuale fissata dal decreto, crescente a seconda della taglia degli impianti: il 5% da 200 a 500 kW, del 7% da 500 a 900 e del 9% oltre i 900 kW. Tale opzione è quella applicata in assenza di comunicazioni da parte dell’operatore.

 

Secondo le stime del Governo, il risparmio di oneri generali di sistema (in particolare della componente A3) per le tre opzioni estreme in cui tutti gli operatori aderissero ad una sola opzione è il seguente:

a)   oltre 700 ML€/anno fino a circa il 2027; il risparmio si ridurrebbe successivamente e poi, nei quattro anni di ulteriore diritto agli incentivi, ci sarebbe un esborso aggiuntivo di oltre 2500 ML€/anno;

b)   circa 600 ML€ fino al 2019. Tale periodo di minor spesa di incentivazione sarebbe tuttavia seguito da un periodo di maggiorazione della spesa, finalizzata a consentire ai produttori di integrare i minori ricavi del primo periodo;

c)   circa 310 ML€/anno.

 

Si ricorda che il testo originario del decreto prevedeva, per i grossi impianti fotovoltaici, a decorrere dall’1 gennaio 2015, solo due opzioni:

§  l’estensione da 20 a 24 anni del periodo di incentivazione, a fronte di una rimodulazione del valore unitario dell’incentivo di entità dipendente dalla durata del periodo incentivante residuo;

§  la riduzione dell’8% del valore unitario dell’incentivo, fermo restando il periodo di 20 anni.

In tali ipotesi, secondo una stima dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, la norma avrebbe consentito le seguenti riduzioni:

§  circa 300 milioni di euro annui, nell’ipotesi in cui tutti gli impianti di potenza superiore a 200 kW optino per la riduzione dell’8%;

§  poco più di 800 milioni di euro annui nell’ipotesi invece in cui per tutti trovi applicazione l’estensione del periodo incentivante. Tali riduzioni annue, come precisa il GSE nell’audizione al Senato sul decreto in esame, sarebbero state recuperate a partire dall’anno 2033 e fino all’anno 2036.

 

In relazione alle rimodulazioni disposte, agli imprenditori fotovoltaici è concesso – ai sensi del comma 5 - di accedere a finanziamenti bancari, per un importo massimo pari alla differenza tra l’incentivo già spettante al 31 dicembre 2014 e l’incentivo rimodulato. Tali finanziamenti possono beneficiare sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario di provvista dedicata e di garanzia concessa, cumulativamente o alternativamente, da Cassa depositi e prestiti S.p.A..

 

 

La seconda parte della norma (commi 7-13, introdotti durante l’esame al Senato) ha un campo di applicazione esteso ai beneficiari di incentivi pluriennali per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, e non limitata al fotovoltaico di grossa taglia come la parte precedente dell’articolo.

Tali soggetti possono cedere fino ad un massimo dell’80% degli incentivi ad un acquirente selezionato tra i primari operatori finanziari europei, che subentra loro nei diritti a percepire gli incentivi. Tale possibilità viene però subordinata alla verifica da parte del MEF della compatibilità degli effetti di tale operazione sui saldi di finanza pubblica ai fini del rispetto degli impegni assunti in sede europea.

 

L’AEEGSI ha comunque annualmente il diritto di opzione per acquisire tali diritti, a fronte della corresponsione di un determinato importo.

Entro 90 giorni la stessa Autorità dovrà emanare provvedimenti atti a stabilire le modalità di selezione dell’acquirente, e le altre condizioni per disciplinare nel complesso questa procedura.

L’eventuale differenza tra il costo annuale degli incentivi acquistati dall’acquirente e l’importo versato dall’AEEGSI viene destinato dall’Autorità a riduzione della componente A3.

 

Secondo il comma 12, alle quote di incentivi cedute agli acquirenti selezionati non si applicano, a decorrere dalla data di cessione, le rimodulazioni di cui al comma 3.

 

La norma demanda infine al Governo di assumere ogni iniziativa utile a dare piena esecuzione all’articolo 26 in esame, inclusi eventuali accordi con il sistema bancario per semplificare il recesso totale o parziale dei soggetti beneficiari di incentivi pluriennali dai contratti di finanziamento stipulati (comma 11).

 

 


 

Articolo 27
(Rimodulazione del sistema tariffario dei
dipendenti del settore elettrico)

 

 

L’articolo 27 sopprime i rimborsi che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e il sistema idrico (AEEGSI) corrisponde alle aziende elettriche per gli sconti da esse applicati ai dipendenti in virtù dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro. Infatti, i collettivi nazionali di lavoro del settore elettrico (assunti tra il 1979 e il 1996) prevedevano sconti per i dipendenti, che in parte sono caricati sulle tariffe della generalità della clientela del mercato elettrico. In particolare, la copertura del rimborso di tali oneri avviene sulla componente UC3[117] della tariffa elettrica, relativa agli oneri di perequazione legati alla rete.

L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, con la Delibera n° 348 del 29 dicembre 2007, era intervenuta sul punto, ritenendo necessario “incentivare il riassorbimento degli sconti sui consumi elettrici riconosciuti ai dipendenti del settore assunti prima del 1 luglio 1996 (inclusi quelli in pensione e in reversibilità)”. E’ stato pertanto previsto un meccanismo di progressivo decalage degli sconti riconosciuti fino al 2019, con annullamento a partire dal 2020. In complesso, per l’intero periodo 2014-2019 la riduzione di costi riconosciuti alle imprese di trasmissione e distribuzione di energia elettrica è stimabile di poco superiore a 50 milioni di euro.

In particolare si rileva che il valore dell’onere previsto per il 2014 è pari a circa 17 milioni e che quindi l’effetto dell’articolo 27 sull’anno in corso, vista la sua decorrenza dal 1° luglio, è stimabile in circa 8 milioni di euro.

 

Secondo una stima ottenuta in via informale da ENEL, l’importo complessivo dello sconto andato a carico delle diverse società del Gruppo per il 2013 è di circa 65 milioni di euro. Per lo stesso anno, l’importo rimborsato dall’Autorità (solo per Enel Distribuzione) è stato di 19,2 milioni per il 2013, e ovviamente assorbe la quasi totalità dei rimborsi erogati dall’AEEGSI alle aziende elettriche per gli sconti ai dipendenti.

Il rimborso che l’AEEGSI avrebbe dovuto erogare all’ENEL per gli anni successivi, secondo la normativa previgente al decreto[118], sarebbe di 16 milioni per il 2014, di 12,8 milioni per il 2015, di 9,6 milioni per il 2016 e di 3,2 milioni per il 2017.

 

 


 

Articolo 28
(Riduzione dei costi del sistema elettrico per le
isole minori non interconnesse)

 

 

L’articolo 28 riguarda i sistemi elettrici delle isole minori non interconnesse con la rete di trasmissione nazionale, in cui operano imprese elettriche minori ammesse al regime di integrazione tariffaria. La norma prevede la revisione della regolazione e della remunerazione di questi sistemi elettrici, sulla base di criteri di efficienza e di stimolo all'efficienza energetica, al fine di conseguire una riduzione degli oneri gravanti sulla bolletta elettrica dei consumatori (comma 1). Durante l’esame al Senato, l’articolo 28 è stato integrato di un comma 1-bis volto ad abrogare, a decorrere dal 1º gennaio 2015, il sistema di integrazione tariffaria delle imprese elettriche minori, e ad introdurre un meccanismo transitorio di integrazione che preveda forme di graduale recupero di efficienza da parte delle imprese elettriche interessate.

 

Si ricorda in proposito che esiste una specifica componente della bolletta elettrica (la componente UC4) introdotta per garantire la parità di trattamento per i consumatori, in quanto nelle isole minori, senza collegamento con il sistema elettrico nazionale, il servizio presenta costi mediamente più alti di quelli sostenuti per lo stesso servizio nell'area continentale (centrali più piccole, a combustibile più caro, gestione più onerosa). L'articolo 7 della legge n. 10/91 prevede quindi una esplicita componente a carico di tutti i clienti finali per garantire un gettito che copra gli extracosti presenti nelle località isolate. Tale componente è utilizzata a copertura delle integrazioni tariffarie alle imprese elettriche minori (isole minori e altri) e rappresenta circa l’1% della bolletta elettrica.

 

Con il D.L. n. 145/2013 (“destinazione Italia”, articolo 1, comma 6-octies) si è puntato ad una progressiva copertura del fabbisogno di energia delle isole minori non interconnesse attraverso le fonti rinnovabili. A tal fine, con decreto del ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per l’energia, devono essere definiti gli obiettivi temporali e le modalità di sostegno degli investimenti, anche attraverso la componente tariffaria UC4.

 

Nelle more di tale disciplina, l’articolo 28 in esame prevede che l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, adotti una revisione della regolazione dei citati sistemi elettrici basata esclusivamente su criteri di costi efficienti e che sia di stimolo all'efficienza energetica nelle attività di distribuzione e consumo finale di energia, anche valutando soluzioni alternative alle esistenti che migliorino la sostenibilità economica ed ambientale del servizio.

 

L’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), durante l’audizione al Senato, ha affermato di condividere e ritenere effettivamente perseguibile, nel medio termine, l’obiettivo di una riduzione dei costi del sistema elettrico per le isole minori non interconnesse. Tale obiettivo, tuttavia, a parere dell’Autorità richiede un intervento più incisivo, mirato ad un trattamento omogeneo di tutte le realtà isolane minori

§  sia quelle ammesse al regime di integrazione tariffaria previsto dall’articolo 7 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 (le cosiddette imprese elettriche minori)

§  sia quelle per le quali la sostenibilità economica della produzione dell’energia elettrica è garantita dall’essenzialità degli impianti in ragione della assenza di interconnessione con il sistema elettrico nazionale.

Il sistema delle integrazioni tariffarie, di cui all’art. 7 della legge n. 10/91, per le imprese elettriche minori riguarda 12 isole (con consumi annui non superiori, nei casi più rilevanti, a poche decine di GWh/anno, comunque ben al di sotto della soglia di 500 GWh/anno fissata dalle Direttive comunitarie per identificare i micro-sistemi isolati), e comporta oneri in bolletta pari a poco più di 60 milioni di euro, a fronte di una produzione complessiva oggetto di integrazione pari a circa 200 GWh. Tale integrazione, ai sensi della legge 10/91, copre gli scostamenti tra costi e ricavi effettivi relativi sia ai costi di distribuzione e misura che ai costi di produzione dell’energia elettrica nelle isole.

Diversamente, le restanti circa 10 isole non interconnesse, gestite da Enel Produzione, non partecipano a meccanismi di integrazione per la distribuzione e misura, mentre sono ammesse al regime di reintegrazione dei costi per l’attività di produzione, secondo quanto previsto dalla deliberazione 89/09[119]. Gli impianti di Enel Produzione su reti non interconnesse sono caratterizzati da una produzione estremamente contenuta (in media, meno di 5 GWh/anno). L’onere conseguente alla reintegrazione dei costi dei predetti impianti è pari a circa 10 milioni di euro annui ed è integralmente coperto mediante i proventi derivanti dall’applicazione agli utenti in prelievo del corrispettivo a reintegrazione dei costi di generazione delle unità essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. L’articolo 28 in esame, come attualmente formulato, non ha effetti su tali realtà.

L’Autorità ritiene che sia necessario perseguire la piena compatibilità del nuovo regime per tutte le isole minori con il quadro normativo comunitario e, dall’altro, l’attivazione di meccanismi di regolazione che inducano il recupero di efficienza e, di conseguenza, riducano l’onere sostenuto dal sistema per garantire il servizio elettrico in tali isole.

In tale prospettiva, l’Autorità ritiene essenziale abrogare, a valere dall’1 gennaio 2015, l’articolo 7 della legge 10/91, in materia di integrazioni tariffarie alle imprese elettriche minori e disporre che l’Autorità, anche avvalendosi della Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico, definisca un meccanismo transitorio di integrazione, sostitutivo del meccanismo abrogato, che preveda forme di graduale recupero di efficienza da parte delle imprese elettriche minore in vista di una completa riforma.

Tale riforma, da applicare a tutte le isole non interconnesse, ispirata a criteri di efficienza e finalizzata a indurre da una parte recuperi di efficienza produttiva nell’erogazione del servizio elettrico (anche tramite forme di concorrenza comparativa) e dall’altra incentivi la progressiva copertura del fabbisogno tramite fonti rinnovabili e l’efficienza energetica da parte dei gestori del servizio elettrico, come già previsto dall’articolo 1, comma 6-octies, del decreto legge 145/2013 (green islands).

Inoltre, ai fini di una completa riforma della materia nel medio termine, l’Autorità propone che venga dato mandato al Governo di richiedere alla Commissione Europea l’ammissione alle deroghe di cui all’articolo 44 della Direttiva 2009/72/CE per tutti i microsistemi isolani non interconnessi, al fine di consentire, in tali realtà, la gestione del servizio elettrico da parte di imprese verticalmente integrate, in regime di regolazione completa del servizio, anche per le fasi di produzione e vendita.

Oltre a quanto sopra, l’Autorità ritiene inoltre prioritario che, a valle di approfondite analisi costi/benefici, il gestore del sistema di trasmissione (Terna S.p.A.) valuti la fattibilità e la convenienza economica a procedere all’interconnessione di tali reti alla rete di trasmissione nazionale per promuovere la coesione elettrica del Paese, e in caso positivo proceda ad inserire tali sviluppi nel proprio piano decennale, come avvenuto di recente per l’isola di Capri.

 

Infine, l’AEEGSI ha fatto presente la necessità di rendere le altre scadenze del DL omogenee con quelle previste per l’attuazione dell’articolo 23, ovvero prevedere che l’Autorità adotti i provvedimenti necessari “entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge” anziché “entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

Durante l’esame al Senato, l’articolo 28 è stato integrato di un comma 1-bis che abroga, a decorrere dal 1º gennaio 2015, l’articolo 7 della legge 10/1991[120], relativo alle imprese elettriche minori e al sistema di integrazione tariffaria. L’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, anche avvalendosi della Cassa Conguaglio per il settore elettrico, definisce un meccanismo transitorio di integrazione che prevede forme di graduale recupero di efficienza da parte delle imprese elettriche interessate.

 

L’articolo 7 della legge n. 10/1991 ha stabilito che le imprese elettriche minori non sono più soggette a limiti sui quantitativi di energia elettrica distribuita. Per esse restano solo limiti di tipo territoriale. Inoltre tale articolo reca disposizioni anche sul meccanismo di integrazione tariffaria. Il comma 3 prevede che il Comitato interministeriale dei prezzi (ora l’AEEGSI), su proposta della Cassa, stabilisce entro ogni anno, sulla base del bilancio dell’anno precedente delle imprese produttrici e distributrici di cui, l’acconto per l’anno in corso ed il conguaglio per l’anno precedente da corrispondere a titolo di integrazione tariffaria alle medesime imprese produttrici e distributrici.

 

 


 

Articolo 29
(Rimodulazione del sistema tariffario elettrico delle
Ferrovie dello Stato)

 

 

L’articolo 29 limita l’applicazione delle tariffe elettriche agevolate di cui gode Rete Ferroviaria Italiana SpA (RFI) ai soli consumi relativi al servizio di trasporto ferroviario universale e, secondo l’integrazione apportata dal Senato, anche al trasporto ferroviario e delle merci transfrontaliero. A partire dal 2015, dunque, gli altri tipi di trasporto, come ad esempio l’alta velocità e le merci, dovranno pagare l’energia elettrica secondo i costi effettivi del servizio. Per il servizio ferroviario universale e il trasporto ferroviario e delle merci transfrontaliero vige il divieto di traslazione sui prezzi, mentre per gli altri tipi di trasporto è stato introdotto al Senato un criterio di gradualità per tale traslazione.

 

Il regime tariffario speciale per l’approvvigionamento di energia elettrica del sistema ferroviario è nato con la nazionalizzazione del settore elettrico[121], in seguito alla quale le Ferrovie delle Stato (oggi RFI) sono state espropriate delle proprie centrali idroelettriche e geotermiche, trasferite all’ENEL. A seguito dei processi di liberalizzazione del settore dell’energia elettrica e della privatizzazione dell’ENEL, l’onere del regime speciale è transitato dall’ex monopolista nazionale (ENEL) all’utenza generale del sistema elettrico. Tale onere, che secondo l’Autorità per l’energia, incide complessivamente per circa 350 milioni all’anno, viene ridotto di 120 milioni di euro dall’articolo in esame.

 

In particolare, il comma 1 limita, a decorrere dal 1º gennaio 2015, l’applicazione del regime tariffario speciale al consumo di RFI - Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (di cui al DPR 730/1963) ai soli consumi di energia elettrica impiegati per il servizio universale e il trasporto ferroviario e delle merci transfrontaliero. Un decreto del Ministero dello sviluppo economico da adottare entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge sentite:

·      l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e i servizi idrici;

·      l'Autorità per i trasporti (Autorità di regolazione dei trasporti);

definisce le modalità di individuazione dei consumi rilevanti ai fini dell'attuazione del regime tariffario predetto.

Il decreto viene aggiornato con cadenza biennale, seguendo le medesime modalità previste per la sua adozione.

Per individuare i trasporti rientranti nel servizio universale a cui si applica il predetto regime tariffario, si potrebbe fare riferimento agli obblighi di servizio pubblico, disciplinati dal Regolamento (CE) 1370/2007; si tratta degli obblighi che l'impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella stessa misura, né alle stesse condizioni:

§  obbligo di esercizio: l’impresa è obbligata a adottare tutte le misure atte a garantire un servizio conforme a determinate norme di continuità, regolarità e capacità;

§  obbligo di trasporto: l’impresa è obbligata ad accettare ed effettuare qualsiasi trasporto di persone o di merci a prezzi e condizioni determinati;

§  obbligo tariffario: l’impresa è obbligata ad applicare i prezzi stabiliti od omologati dalle pubbliche autorità, in contrasto con il proprio interesse commerciale.

Gli obblighi di servizio pubblico sono inseriti in contratti di servizio pubblico e per il loro adempimento sono previste corrispondenti compensazioni. Le Regioni stipulano i contratti di servizio pubblico per il territorio di riferimento. Il diritto comunitario non considera aiuti di Stato le compensazioni a condizione che la loro misura sia stabilita in modo obiettivo e trasparente, evitando una compensazione eccessiva.

La disciplina nazionale è contenuta nel decreto legislativo 188/2003 in base al quale (articolo 14) i rapporti tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria e lo Stato sono disciplinati da un atto di concessione e da un contratto di programma; in quest’ultimo può essere prevista la concessione di un indennizzo al gestore dell'infrastruttura ferroviaria per le perdite finanziarie conseguenti alla assegnazione di capacità di infrastruttura ferroviaria per la prestazione dei servizi nell'interesse della collettività ovvero conseguenti alla assegnazione di capacità di infrastruttura ferroviaria specificamente finalizzata a favorire lo sviluppo dei trasporti ferroviari delle merci.

Per converso, nel medesimo decreto legislativo, all’articolo 17, che disciplina il canone dovuto dalle imprese ferroviarie per l’utilizzo dell’infrastruttura, si fa riferimento al servizio universale; fra i parametri utilizzati per determinare il canone (comma 5, lettera e) c’è il consumo energetico per la corrente di trazione, il cui prezzo (comma 11-bis) è determinato applicando le condizioni di approvvigionamento a minor costo ai servizi oggetto di contratti di servizio pubblico, al fine di minimizzare il costo del servizio universale.

 

Il comma 2 contiene una norma di carattere transitorio, fino all'entrata in operatività delle modalità di individuazione dei consumi di cui al comma 1. In tale periodo la componente tariffaria compensativa annua, riconosciuta in attuazione del regime tariffario speciale di cui al medesimo comma 1, è ridotta sulla parte eccedente il quantitativo di 3300 GWh di un importo di 120 milioni di euro.

In sintesi, il regime tariffario speciale individua due livelli quantitativi di energia con diversi meccanismi di compensazione:

§  3300 GWh (energia di base), corrispondente ai limiti di quantità e di potenza a disposizione di FS nell'esercizio finanziario 1962-63;

§  1700 GWh (energia di eccedenza), corrispondente all’ulteriore capacità potenziale di produzione/acquisizione di energia da parte di FS (impianti in via di realizzazione, concessioni su giacimenti geotermici e vari diritti di prelazione).

Il calcolo della componente tariffaria compensativa è variabile in funzione del costo definito con le convenzioni per l’energia di base, mentre è fissato trimestralmente con riferimento alle variazioni di costo dell’energia per l’energia di eccedenza.

 

La norma, dunque, viene applicata in via transitoria riducendo il rimborso operato dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico sull’energia di eccedenza.

 

L’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, durante l’audizione al Senato sul decreto in esame, ha stimato che la norma in esame ha l’effetto di pressoché azzerare gli importi riconosciuti dalla Cassa conguaglio per il settore elettrico a titolo di componente tariffaria compensativa nel 2013 per i consumi ferroviari eccedenti i 3.300 GWh/anno, e dunque per l’energia di eccedenza.

In merito, al fine di evitare possibili contenziosi in sede applicativa, l’AEEGSI ritiene comunque opportuno che la norma, e in particolare il citato comma 2, in sede di conversione precisi la sua decorrenza e i suoi effetti sulle componenti compensative di competenza del corrente anno 2014 (ossia precisi se la riduzione di 120 milioni di euro sia da intendersi come interamente applicabile alle componenti compensative relative ai consumi dell’intero 2014, ovvero se debba essere applicata proquota, in relazione ai soli consumi successivi all’entrata in vigore del Decreto Legge).

 

Il comma 3 vieta di traslare i maggiori oneri derivanti dall'applicazione della presente disposizione sui prezzi e sui pedaggi praticati nell'ambito del servizio universale e del trasporto ferroviario e delle merci transfrontaliero. L'Autorità per i trasporti (cambiare in: Autorità di regolazione dei trasporti[122]) vigila sull'osservanza della disposizione di cui al primo periodo, anche mediante accertamenti a campione, e sulla corretta applicazione della norma sul mercato.

Invece, in base alle modifiche apportate durante l’esame al Senato, tale divieto non vale per i pedaggi non rientranti nel servizio universale e nel trasporto ferroviario e delle merci transfrontaliero. In relazione a questi, la traslazione massima sui pedaggi non può essere superiore rispettivamente al 50%, 70% e 80% rispettivamente nel primo, secondo e terzo anno del triennio 2015-2017.

 

In pratica, secondo la normativa previgente al decreto, RFI acquista a prezzi di mercato l’energia per trazione presso la “borsa elettrica” e, successivamente, riceve dalla Cassa Conguaglio del Settore Elettrico l’importo oggetto di compensazione. Il costo netto è ribaltato da RFI sulle Imprese Ferroviarie (IF). RFI fattura trimestralmente alle imprese ferroviarie (senza distinzione della tipologia di servizio), sulla base del valore definito dalla legge (DM 2 aprile 2008, pari a 0,357 €/treno*km). Successivamente, RFI applica un conguaglio annuo nei confronti delle imprese ferroviarie, dopo aver calcolato l’entità dei costi di approvvigionamento effettivamente sostenuti (a seguito del conguaglio effettuato dalla CCSE a favore di RFI stessa).

 

Per quanto riguarda l’onere che ricade sulle aziende ferroviarie, alcune stime sono state rese dalle imprese stesse durante le audizioni al Senato.

Secondo RFI, la norma comporterà per le attività diverse dal servizio universale un aumento dei costi annui dell’energia elettrica per i soli servizi a mercato (passeggeri e merci) di 106 milioni di euro/anno. Nel 2015 la bolletta elettrica dei servizi a mercato passerà da circa 28 M€ del 2013 a circa 160 M€ del 2015 (+570%). Secondo le stime della stessa azienda, l’attuale regime tariffario speciale per le ferrovie pesa, sul costo complessivo della bolletta elettrica di un utente domestico tipo, per circa lo 0,4%, ovvero valore assoluto rappresenta un costo di circa 2 Euro l’anno. Con l’applicazione del decreto in esame, l’utente domestico tipo andrebbe a risparmiare circa 70 centesimi di euro l’anno.

Per NTV (Italo treno), l’intervento normativo si tradurrebbe in un aggravio annuo di costi compreso tra i 12 e i 15 milioni.

L’Associazione FerCargo, che rappresenta le Imprese Ferroviarie non riconducibili al gruppo FS che operano nel settore del trasporto merci, stima un incremento dei costi aziendali nel loro complesso di circa il 10%.

 

 


 

Articolo 30
(Semplificazione amministrativa e di regolazione a favore di interventi di efficienza energetica del sistema elettrico
e impianti a fonti rinnovabili)

 

 

L’articolo 30 punta ad introdurre una serie di semplificazioni amministrative riguardanti la comunicazione per la realizzazione, la connessione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e di unità di microcogenerazione (secondo l’integrazione apportata dal Senato).

Per gli interventi già realizzabili con semplice comunicazione, viene previsto dal 1° ottobre 2014 un modello unico approvato dal Ministro dello Sviluppo Economico, che sostituisce i modelli adottati dai Comuni, dai gestori di rete e dal GSE per le attività di rispettiva competenza. Si stabiliscono inoltre modalità semplificate per l'acquisizione degli atti di assenso eventualmente necessari. Per i  piccoli impianti fotovoltaici collocati sugli edifici non vincolati, la norma esclude la necessità di atti amministrativi di assenso

Durante l’esame al Senato, l’articolo 30 ha subito numerose integrazioni volte a introdurre semplificazioni anche per:

§  l’installazione di pompe di calore destinate alla produzione di acqua calda e aria o di sola acqua calda, con esclusione delle pompe di calore geotermiche;

§  la comunicazione per l’installazione e l’esercizio di unità di microcogenerazione;

§  la costruzione e l'esercizio degli elettrodotti.

Sono infine introdotte misure di semplificazione per la realizzazione di impianti di produzione di biometano e la conversione a biometano di impianti di produzione di energia elettrica da biogas.

 

Prima di tutto l’articolo in esame interviene integrando il D.Lgs. n. 28/2011[123], di recepimento della direttiva europea sulle fonti rinnovabili, con due nuovi articoli:

§  l’articolo 7-bis (introdotto dal comma 1 dell’articolo 30 in esame);

§  l’articolo 8-bis (introdotto dal comma 2 dell’articolo 30 in esame).

 

Più nel dettaglio, Il comma 1 prevede che, dal 1° ottobre 2014, la comunicazione per la realizzazione, la connessione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonché la comunicazione per l’installazione e l’esercizio di unità di microcogenerazione (secondo l’integrazione apportata dal Senato), relativa alle attività in edilizia libera viene effettuata utilizzando un modello unico approvato dal Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ed il sistema idrico, che sostituisce i modelli eventualmente adottati dai Comuni, dai gestori di rete e dal GSE SpA.

La norma precisa inoltre il contenuto del modulo con riferimento alle comunicazioni di competenza del Comune, che deve limitarsi a:

a)   i dati anagrafici del proprietario o di chi abbia titolo per presentare la comunicazione, l'indirizzo dell'immobile e la descrizione sommaria dell'intervento;

b)   la dichiarazione del proprietario di essere in possesso della documentazione rilasciata dal progettista circa la conformità dell'intervento alla regola d'arte e alle normative di settore.

 

Le dichiarazioni contenute nella comunicazione effettuata col modello unico sono rese come sostitutive di certificazioni e di atto notorio (articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000). Il Comune e le autorità competenti effettuano i controlli sulla veridicità delle predette dichiarazioni (applicando le sanzioni previste dall'articolo 76 del citato decreto).

Nei casi in cui sia necessario acquisire atti amministrativi di assenso, comunque denominati, l'interessato può, in alternativa:

a)   allegarli alla comunicazione;

b)   richiedere allo sportello unico per l'edilizia di acquisirli d'ufficio, allegando la documentazione strettamente necessaria allo scopo.

In tale caso, il Comune provvede entro il termine di quarantacinque giorni dalla presentazione della comunicazione, decorsi inutilmente i quali il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi (articolo 20, comma 5-bis, del D.P.R. n. 380/2001). L'inizio dei lavori è sospeso fino all'acquisizione dei medesimi atti. Lo sportello unico per l'edilizia comunica tempestivamente all'interessato l'avvenuta acquisizione degli atti di assenso.

 

I soggetti destinatari della comunicazione resa con il modello unico di cui al comma 1 non possono richiedere documentazione aggiuntiva.

 

Secondo l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI), l’esistenza di un modello unico, come definito dall’articolo in esame, non consente di garantire l’auspicata semplificazione amministrativa, perché non comporterebbe l’unificazione delle attività dei tre soggetti coinvolti (GSE, Comuni e gestori di reti).

Tale modello unico, infatti, dovrebbe essere comunque trasmesso ai tre soggetti e sembrerebbe essere l’insieme di più parti, ciascuna caratterizzata rispettivamente dalle informazioni necessarie per i Comuni, per i gestori di rete e per il GSE (che, tra l’altro, dovrebbe essere coinvolto solo qualora il produttore richieda il ritiro dedicato, lo scambio sul posto o gli incentivi ancora vigenti).

Il modello unico potrebbe comportare effettive semplificazioni solo se fosse indirizzato a un soggetto unico, che – qualora esistesse – svolgerebbe un ruolo di intermediazione tra i produttori e i medesimi tre soggetti. Tale ruolo attualmente non è previsto dalla regolazione, e, qualora previsto, comporterebbe maggiori costi per la collettività.

L’AEEGSI ritiene però che, ai fini della semplificazione amministrativa senza comportare aggravi di costo, sia invece necessario e sufficiente, ove possibile, ridurre i vincoli procedurali e amministrativi ed operare per garantire il corretto funzionamento degli strumenti già esistenti e finalizzati ad evitare duplicazioni di dati (quali il sistema GAUDÌ, sistema di Gestione delle Anagrafiche Uniche degli impianti di produzione e delle relative unità promosso dall’AEEGSI, gestito da Terna, ai quali tutti i soggetti coinvolti già si interfacciano) senza introdurre un modello unico che potrebbe addirittura rimettere in discussione o vanificare l’effetto degli strumenti già implementati o in corso di implementazione qualora non coordinato con essi.

 

Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull'energia elettrica, l'installazione di impianti solari fotovoltaici e termici sui tetti di edifici non sottoposti a vincolo[124] non è subordinata all'acquisizione di atti amministrativi di assenso.

 

Si tratta degli impianti solari termici o fotovoltaici.

§  aderenti o integrati nei tetti degli edifici,

§  con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda,

§  i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi,

§  con superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto stesso.

Tali impianti, ai sensi del comma 3 dell’articolo 11 del D.Lgs. N. 115/2008 sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività. In tale caso, è sufficiente una comunicazione preventiva al Comune.

 

Durante l’esame al Senato, sono state inserite alcune ulteriori semplificazioni amministrative di varia natura, volte a:

·      introdurre semplificazioni anche per gli interventi di installazione di pompe di calore destinate alla produzione di acqua calda e aria o di sola acqua calda con esclusione delle pompe di calore geotermiche. Anche tali interventi sono soggetti alla previa comunicazione, e rientrano nell’attività di edilizia libera (e dunque sono eseguiti senza titolo abilitativo, ai sensi dell’articolo 6 del testo unico per l’edilizia (D.P.R. N. 380/2001) (comma 01 e comma 1-quinquies. I due commi sembrano avere analogo contenuto normativo.);

·      includere le installazioni di pompa di calore avente potenza termica non superiore a 15 Kw tra gli interventi per i quali non occorre la relazione tecnica di progetto, nell’ambito della normativa sulla certificazione energetica degli edifici (comma 2-quinquies);

·      includere i micro cogeneratori ad alto rendimento tra gli interventi di manutenzione ordinaria, non soggetti quindi alla disciplina di denuncia di inizio attività (comma 2-octies);

 

Durante l’esame al Senato, l’articolo 30 è stato ulteriormente integrato da alcune disposizioni relative ai procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell’energia elettrica.

Tali disposizioni intervengono sull’articolo 1-sexies del D.L. n. 239/2003[125], e in particolare prevedono

§  che l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti costituisca titolo anche ad attraversare i beni demaniali, e che i soggetti titolari e/o gestori di tali beni interessati dal passaggio delle condutture elettriche, partecipino al procedimento e, una volta rilasciata l’autorizzazione unica, debbano indicare, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto autorizzativo, le modalità di attraversamento degli impianti autorizzati, che dovranno essere approvate dal Ministero dello sviluppo economico (comma 1-bis);

§  la possibilità per il MiSE di disporre la proroga di un anno per sopravvenute esigenze istruttorie per la misura di salvaguardia che sospendono i permessi di costruire sulle aree interessate dall’attraversamento di elettrodotti, durante il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica (comma 1-ter);

§  incrementare gli interventi sugli elettrodotti realizzabili mediante denuncia di inizio attività, qualora non ricadenti, neppure parzialmente, in aree naturali protette (comma 1-quater).

 

Il comma 2 - attraverso l’aggiunta di un nuovo articolo 8-bis nel medesimo  D.Lgs. n. 28/2011 – reca ulteriori specifiche misure di semplificazione dei regimi di autorizzazione per la produzione di biometano, da impianti nuovi o riconvertiti.

 

La relazione illustrativa e tecnica dispone che le misure in questione  permettono una riduzione degli oneri economici gravanti sulle bollette elettriche e un minor ricorso all’uso di biocarburanti diversi dal biometano, che sono prevalentemente di importazione. 

Come affermato dal GSE, nel corso dell’Audizione tenutasi il 3 luglio 2014 al Senato sulle misure contenute nel D.L. n. 91, la semplificazione della procedura di autorizzazione permette un’accelerazione delle tempistiche relative al processo di qualifica degli impianti di produzione di biometano affidata allo stesso GSE, ai sensi del D.M. 5 dicembre 2013.

Tale D.M., in attuazione dell’articolo 21, comma 2 del D.Lgs. n. 28/2011, disciplina la modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale.

 

In particolare, il nuovo articolo 8-bis prevede, mantenendo ferme le disposizioni tributarie in materia di accisa sul gas naturale, che, per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di biometano e delle relative opere di modifica, ivi incluse le opere e le infrastrutture connesse, si applica l’autorizzazione unica e la procedura abilitativa semplificata, di cui agli articoli 5[126] e 6[127] del D.Lgs. n. 28.

A tali fini si utilizza:

·        la procedura abilitativa semplificata per i nuovi impianti di capacità produttiva (come definita ai sensi del già citato D.M. 5 dicembre 2013[128]) non superiore a 500 standard metri cubi/ora (secondo la modifica apportata dal Senato[129]), nonché per le opere di modifica e per gli interventi di parziale o completa riconversione alla produzione di biometano di impianti di produzione di energia elettrica alimentati a biogas, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione, che non comportano aumento e variazione delle matrici biologiche in ingresso (lettera a) del nuovo articolo 8-bis);

·        l'autorizzazione unica nei casi diversi da quelli di cui al punto sopra indicato (lettera b) del nuovo articolo 8-bis);

 

Infine, il nuovo articolo 8-bis interviene sulla procedura relativa all’autorizzazione unica contenuta nell’articolo 12 del D.Lgs. n. 387/2003 (cfr. infra, nota 1) al fine di includere gli impianti a biogas e gli impianti per produzione di biometano di nuova costruzione tra le opere per la cui realizzazione (ferme restando la pubblica utilità e le procedure conseguenti per le opere connesse) il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto.

 

Si evidenzia che l’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico, audita il 3 luglio 2014 al Senato in sede di esame del D.L. n. 91 in esame, ha segnalato, con riferimento alle norme contenute nell’articolo 30 qui in esame,  l’opportunità di  modificare il citato D.Lgs. n. 28/2011 anche laddove esso dispone (art.20) che sia l’Autorità a definire le norme tecniche relative a caratteristiche chimiche e fisiche del biometano per garantire l’interconnessione e l’interoperabilità del sistema gas.

Come già segnalato in altre occasioni, infatti, l’Autorità ritiene che tale attribuzione impropria e suggerisce di trasferire tale compito al Ministero dello Sviluppo Economico, coerentemente con quanto previsto per le norme tecniche relative alle caratteristiche chimico-fisiche del gas naturale dal decreto legislativo n. 164/2000.

 

Da ultimo, ha evidenziato evidenzia la necessità che vengano adottate alcune misure relative all’applicazione del Regolamento UE n. 1227/2001 concernente l’integrità e la trasparenza del mercato dell’energia all’ingrosso (REMIT) che, tra il resto, prevede che alle autorità nazionali siano attribuiti poteri sanzionatori[130].

 

Durante l’esame al Senato, sono state altresì inserite ulteriori disposizioni sui biocarburanti finalizzate a

§  stabilire che entro il 31 ottobre 2014 le regioni devono prevedere specifiche semplificazioni per il procedimento di autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti di distribuzione di metano e di adeguamento di quelli esistenti ai fini della distribuzione del metano (comma 2-bis);

§  stabilire che entro il 31 ottobre 2014 l'Autorità per l'energia elettrica e il gas deve emanare le specifiche direttive relativamente alle condizioni tecniche ed economiche per l'erogazione del servizio di connessione di impianti di produzione di biometano alle reti del gas naturale i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi (comma 2-ter);

§  includere il gas di discarica tra le modalità di produzione dei biocarburanti, incluso il biometano, che hanno un contributo doppio rispetto agli altri biocarburanti (ai fini del rispetto dell’obbligo per l’immissione in consumo di una quota minima di biocarburanti) (comma 2-quater);

§  integrare il Codice ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) per prevedere l’adozione, da parte del Ministro dell’ambiente, di linee guida recanti i criteri per la fissazione dei valori limite di emissione degli impianti di bioraffinazione (comma 2-sexies);

 


 

Articolo 30, comma 2-novies
(Tassazione combustibili impianti cogenerativi)

 

 

Il comma 2-novies, inserito nel corso dell’esame al Senato, proroga dal 30 giugno 2014 al 31 dicembre 2014 il termine per l’adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico - di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze - per la determinazione della tassazione applicabile ai combustibili impiegati negli impianti cogenerativi (produzione combinata di energia elettrica e calore).

 

L’articolo 3-bis del D.L. n. 16 del 2012 ha disposto l’applicazione di una aliquota per uso combustione ridotta nei casi di produzione combinata di energia elettrica e calore.

In attesa dell’emanazione del decreto interministeriale attuativo, il comma 2 stabilisce che per l’anno 2012 alla produzione combinata di energia elettrica e calore, per l'individuazione dei quantitativi di combustibile soggetti alle aliquote sulla produzione di energia elettrica continuano ad applicarsi i coefficienti individuati dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas con deliberazione n. 16/98 dell’11 marzo 1998 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 82 dell’8 aprile 1998, ridotti del 12%.

 

Si ricorda che tale misura restrittiva del quantitativo di combustibile ammesso all’uso agevolato, inizialmente prevista dal 1° gennaio al 31 dicembre 2012, era stata inizialmente prorogata sino al 30 giugno 2013 dall'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sino al 31 dicembre 2013 dall'articolo 1 del D.P.C.M. 23 luglio 2013 e successivamente dall’articolo 9, comma 6, del D.L. n 150 del 2013 sino al 30 giugno 2014.

 

Tale termine viene ora ulteriormente prorogato al 31 dicembre 2014.

 


 

Articolo 30-bis
(Interventi urgenti per la regolazione delle gare
d’ambito del gas naturale)

 

 

L’articolo 30-bis, introdotto durante l’esame al Senato, riguarda le gare d'ambito per la distribuzione del gas naturale, prorogandone ulteriormente - tra i 4 e gli 8 mesi - i termini per l’avvio (commi da 2 a 4) e stabilendo un termine (l’11 febbraio 2012) per la validità degli accordi tra gestore ed ente locale ai fini del calcolo valore dei rimborsi al gestore uscente (comma 1).

 

In particolare, il comma 1 fissa una data limite per la validità di eventuali accordi tra gestore ed ente locale, con riferimento al valore di rimborso dovuto al gestore uscente. Viene scelta la data di entrata in vigore del Regolamento sui criteri di gara e la valutazione delle offerte per l'affidamento del servizio (DM 226/2011).

 

Tale limitazione risponde ad un’esigenza di perimetrazione posta anche dall’Autorità per l’energia. Si ricorda infatti che l’AEEGSI ha inviato al Governo la segnalazione 13 febbraio 2014 58/2014/I/GAS, sulle criticità sulla determinazione del valore di rimborso al gestore uscente derivanti dall’articolo 15, comma 5, del D.Lgs. n. 164/2000, come modificato dal D.L. n. 145/2013). Secondo l’Autorità, infatti, non è perimetrata dei casi in cui risultino ammissibili patti stipulati o clausole inserite nelle convenzioni e nei contratti di concessione. In particolare non vengono fissate limitazioni temporali che garantiscano l’assenza di pattuizioni successive alla riforma del settore che comportino improprie sopravvalutazioni delle reti con conseguenti maggiori oneri a carico dei clienti del servizio.

 

Sempre in relazione al valore di rimborso, si ricorda infine che il Ministero dello sviluppo economico, con decreto 22 maggio 2014, ha approvato il documento “Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale del 7 aprile 2014” (di seguito: Linee Guida 7 aprile 2014), in attuazione delle disposizioni dell’articolo 4, comma 6, del decreto-legge 69/13.

Inoltre, l’AEEGSI, con deliberazione 26 giugno 2014, 310/2014/r/gas, ha emanato le disposizioni in materia di determinazione del valore di rimborso delle reti di distribuzione del gas naturale.

 

I commi da 2 a 4 riguardano l’avvio delle gare d’ambito per la distribuzione del gas naturale, i cui termini sono prorogati per evitare sia l’intervento sostitutivo della regione nei confronti delle stazioni appaltanti che le penalizzazioni a carico degli enti locali che non rispettino i termini.

 

Il comma 2 proroga di ulteriori

§  otto mesi, per gli ambiti del primo raggruppamento;

§  sei mesi, per gli ambiti del secondo, terzo e quarto raggruppamento;

§  quattro mesi, per gli ambiti del quinto e sesto raggruppamento;

i termini oltre i quali, qualora la stazione appaltante non abbia pubblicato il bando di gara, la Regione competente può subentrare nell’avvio della procedura di gara.

Tali proroghe si assommano a quelle già previste dall’articolo 1, comma 16, del D.L. n. 145/2013 (cd. “destinazione Italia”).

 

Si ricorda che il richiamato articolo 1, comma 16, prorogava le date limite entro cui la Provincia, in assenza del Comune capoluogo di provincia, convoca i Comuni dell’ambito per la scelta della stazione appaltante e da cui decorre il tempo per un eventuale intervento della Regione (allegato 1 del DM 226/2011, cd. regolamento “criteri”) per alcuni ambiti territoriali:

§  per quelli ricadenti nel primo e secondo raggruppamento, le date limite che sono scadute o che verrebbero a scadere entro il mese di ottobre 2013, già prorogate di 4 mesi dal comma 3 dell’articolo 4 del decreto-legge n. 69/2013, sono prorogate di ulteriori quattro mesi.

§  per quelli ricadenti nel terzo raggruppamento, la proroga è di 4 mesi.

 

 

Il comma 3 esclude da tali proroghe gli ambiti in cui almeno il 15 per cento dei punti di riconsegna è situato nei comuni colpiti dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.

 

Il comma 4 precisa che il prelievo del 20% delle somme spettanti agli enti locali a seguito della gara nei casi in cui gli Enti locali concedenti non abbiano rispettato i termini per la scelta della stazione appaltante (previsti dal DM 226/2011), si applica solo al superamento dei nuovi termini prorogati dall’articolo in esame.

 

Si ricorda che l’articolo 4, comma 5, del D.L. n. 69/2013 prevede una forma di penalizzazione economica per gli enti locali nei casi in cui gli stessi non abbiano rispettato i termini per la scelta della stazione appaltante. In tali casi, il 20% degli oneri che il gestore corrisponde annualmente agli Enti locali come quota parte della remunerazione del capitale è versato dal concessionario subentrante, con modalità stabilite dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in uno specifico capitolo della Cassa conguaglio settore elettrico per essere destinati alla riduzione delle tariffe di distribuzione dell’ambito corrispondente.

 

 


 

Articolo 30-ter
(Misure urgenti di semplificazione per l’utilizzo delle fonti rinnovabili nell’ambito della riconversione industriale del comparto
bieticolo-saccarifero)

 

 

L’articolo 30-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato, modificando l’articolo 29 del D.L. n. 5/2012, prevede che i progetti di riconversione del comparto bieticolo saccarifero rivestano carattere strategico e costituiscano priorità a carattere nazionale; essi rientrano nell’ambito dei progetti di riconversione industriale che interessano la produzione di energia da fonti rinnovabili e sono finalizzati anche al reimpiego dei lavoratori  dipendenti delle imprese saccarifere italiane dismesse. Il Comitato interministeriale appositamente istituito è chiamato a nominare un Commissario ad acta qualora i procedimenti autorizzativi non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti, nonché per dare esecuzione agli accordi per la riconversione industriale sottoscritti.

 

Il testo dell’articolo 29 del decreto-legge n. 5 del 2012 prevedeva che tali progetti siano considerati di interesse nazionale ed affidava al Comitato interministeriale il compito di predisporre le norme necessarie per garantire l’esecutività dei progetti e la nomina di un Commissario ad acta per l’attuazione degli accordi definiti in sede regionale.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 62 del 2013, chiamata a pronunciarsi, tra l’altro, sulla legittimità costituzionale dell’articolo in esame, impugnato in via principale dalla regione Veneto per presunta lesione delle proprie competenze, ha ritenuto fondata la questione, dichiarando incostituzionale la disposizione.

In particolare la Corte ha statuito che l’articolo 29 rientra nel campo della materia agricoltura riservata alla competenza legislativa residuale delle regioni; la norma pertanto, attribuendo al Comitato la facoltà di “disporre norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l’esecutività dei suddetti progetti” si pone in contrasto con l’art. 117 Cost. sia che si tratti di potestà regolamentare sia che la stessa rientri nell’attribuzione di funzioni amministrative. In questo caso, prosegue la Corte, anche ad ipotizzare una chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato per assicurare il perseguimento degli interessi unitari, si configura, comunque, la necessità di un coinvolgimento e di una leale collaborazione con le regioni, non configurabile con un intervento unilaterale del comitato interministeriale.

 

In merito alla vicenda che ha caratterizzato la riconversione ndustriale del comparto bieticolo saccarifero, si ricorda che nel corso del 2006, con l’approvazione di un pacchetto di tre regolamenti, anche il settore dello zucchero, come in precedenza già disposto per altri, è stato toccato da una profonda riforma allo scopo di renderlo adeguato con gli impegni giuridici e politici assunti dall'Unione europea a livello internazionale.

Il regolamento n. 319/2006 ha previsto una specifica forma di aiuto, per un massimo di cinque anni consecutivi, destinata ad ammortizzare gli effetti del processo di ristrutturazione negli Stati membri che hanno rinunciato ad almeno il 50% della propria quota produttiva: in tali Stati è concesso un aiuto temporaneo nazionale ai produttori di barbabietole da zucchero rimasti attivi[131]. Il quinquennio di validità dell’aiuto decorre dall’anno in cui è stata raggiunta la riduzione del 50%, ma può essere erogato al più tardi nella campagna di commercializzazione 2013/2014.

L’Italia ha posto in atto un processo di ristrutturazione concordato in sede di tavolo di filiera bieticolo-saccarifera, e formalizzato nell’accordo sottoscritto in data 8 febbraio 2006[132]. Con tale accordo sono stati definiti gli impegni alla riconversione degli stabilimenti e si è giunti alla dimissione di 15 dei precedenti 19 impianti attivi, con una riduzione della produzione nazionale del 70%.

Per consentire la riconversione degli stabilimenti, in gran parte rivolti alla produzione di energia, l’articolo 2 del D.L. n. 2/2006[133] ha fondamentalmente disposto:

§  la istituzione di un Comitato interministeriale, allargato a tre presidenti regionali, con il compito di approvare (entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia entro il 26 febbraio 2006) il Piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera, di coordinare le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione del settore e di formulare direttive per l’approvazione dei progetti di riconversione (commi 1 e 2)[134];

§  la presentazione (entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, ossia entro il 13 marzo 2006), da parte delle imprese saccarifere, di progetti di riconversione, soggetti all’approvazione del Ministero delle politiche agricole e forestali (comma 3).

Il Comitato, istituito con DPCM del 30 ottobre 2006, ha approvato 13 progetti di riconversione nella propria riunione del 19/3/2008; ma già nel 2009 (verbale del 9/9) il Comitato, prendendo atto che 7 progetti avevano problemi di attuazione, dichiarava i progetti di riconversione di interesse nazionale, e prendeva altresì in considerazione l’ipotesi di un commissariamento dei progetti con problemi di realizzazione. L’ipotesi di attribuire poteri commissariali ai Presidenti delle regioni, che consentano di adottare misure atte a garantire la tempestiva approvazione dei progetti, viene ribadita nella seduta del 12/10/2011.

Quanto, invece, alla nomina del Commissario ad acta si ricorda che l’articolo 20 del decreto legge n. 185, con i commi 2-6, ha delineato una figura di commissario straordinario con il compito di vigilare su tutte le fasi dei procedimenti, con poteri di impulso e anche sostitutivi, al fine di accelerare le procedure di realizzazione dell’investimento. Il comma 3  attribuito al commissario straordinario delegato una serie di funzioni di indirizzo e coordinamento per la realizzazione dell’investimento che si sostanziano nelle seguenti fattispecie:

§  monitorare l'adozione degli atti e dei provvedimenti necessari per l'esecuzione dell'investimento;

§  vigilare sull'espletamento delle procedure realizzative e su quelle autorizzative, sulla stipula dei contratti e sulla cura delle attività occorrenti al finanziamento, utilizzando le risorse disponibili assegnate a tale fine;

§  esercitare ogni potere di impulso, attraverso il più ampio coinvolgimento degli enti e dei soggetti coinvolti, per assicurare il coordinamento degli stessi ed il rispetto dei tempi. A tal fine ha facoltà di chiedere agli enti coinvolti qualsiasi documento utile per l'esercizio dei propri compiti.

 

 


 

Articolo 30-quater
(Progetti a vantaggio dei consumatori del servizio idrico integrato)

 

 

L’articolo 30-quater, introdotto durante l’esame al Senato, include i consumatori del servizio idrico integrato tra coloro che possono beneficiare dei progetti finanziati con il fondo in cui confluiscono le sanzioni irrogate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico.

 

Viene infatti integrato l’articolo 11-bis del decreto-legge n. 35/2005, che prevede che l'ammontare riveniente dal pagamento delle sanzioni irrogate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas sia destinato ad un fondo per il finanziamento di progetti a vantaggio dei consumatori di energia elettrica e gas, approvati dal Ministro dello sviluppo economico su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Tali progetti possono beneficiare del sostegno di altre istituzioni pubbliche nazionali e comunitarie.

 


 

Articolo 30-quinquies
(Bonus idrocarburi)

 

 

L’articolo 30-quinquies, introdotto durante l’esame al Senato, interviene sulla disciplina del cd. “bonus idrocarburi”, la quale riconosce una compensazione, sotto forma di minor costo del carburante, a tutti i residenti delle Regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell’intera collettività (art. 45 della legge 99/2009). Attualmente il “bonus”, deve essere ridistribuito anche a quelle regioni dove non si producono idrocarburi, ma sono ospitati impianti di rigassificazione anche attraverso impianti fissi offshore.

La modifica introdotta dall’articolo in esame consiste nell’esclusione degli impianti fissi offshore da quelli la cui presenza all’interno di una Regione permette ai residenti di beneficiare della riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti, finanziata tramite l’apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.

 

Il comma 2 dell’art.45 della legge n. 99/2009 ha istituito il Fondo preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione “anche attraverso impianti fissi offshore”.

Il comma 3 prevede che detto Fondo sia alimentato:

a)  dagli importi rivenienti dalle maggiorazioni di aliquota di prodotto che il titolare di ciascuna concessione di coltivazione è tenuto a corrispondere annualmente, ai sensi dell’art. 19, comma 1 del decreto legislativo n. 625 del 1996, elevata dal 7 al 10 per cento contestualmente all’istituzione del Fondo;

b)  dalle erogazioni liberali da parte dei titolari di concessione di coltivazione e di eventuali altri soggetti, pubblici e privati.

La norma prevede altresì (comma 4) che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, siano definiti le modalità procedurali di utilizzo da parte dei residenti nelle regioni interessate dei benefìci previsti dall’articolo e i meccanismi volti a garantire la compensazione finalizzata all’equilibrio finanziario del Fondo e (comma 5) che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, siano annualmente destinate, sulla base delle disponibilità del Fondo, le somme spettanti per le iniziative a favore dei residenti in ciascuna regione interessata, calcolate in proporzione alle produzioni ivi ottenute, a compensazione del minor gettito derivante dalle riduzioni delle accise disposte con il medesimo decreto.

Con il D.M. del 12 novembre 2010, si è inteso dare attuazione al comma 5 dell’art. 45, stabilendo, come iniziativa in favore dei soli residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, (e non a quelli delle Regioni interessate da impianti di rigassificazione) mediante l’utilizzazione del Fondo di cui ai commi 2 e 3, un “bonus idrocarburi” da erogare direttamente a tutti i residenti maggiorenni muniti di patente di guida.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6865 del 2012 ha accolto il ricorso della Regione Veneto che ha impugnato il citato D.M. 12 novembre 2010, in quanto lo stesso ha disposto l’esclusione del riconoscimento dei benefici in favore delle regioni interessate non già da impianti estrattivi, ma da impianti di rigassificazione.

 

 


 

Articolo 30-sexies
(Modifica alla Tabella 3 allegata alla legge 24 dicembre 2007, n. 244)

 

 

L’articolo 30-sexies, introdotto durante l’esame al Senato, riguarda i  criteri di tracciabilità dei biocombustibili liquidi ammessi agli incentivi per la produzione elettrica rinnovabile.

 

La norma modifica la tabella 3 allegata alla legge finanziaria per il 2008 (legge  244/2007), sostituendo il numero 6), riguardante l’entità della tariffa di incentivazione di biogas e biomasse.

La modifica mira ad includere tra i prodotti che godono dell’incentivazione i bioliquidi sostenibili ottenuti da prodotti agricoli di origine comunitaria, rintracciabili:

§  ai sensi degli schemi volontari riconosciuti dalla Commissione Europea in attuazione della direttiva europea sulle fonti rinnovabili (Direttiva RED 2009/28/CE);

§  in conformità al Sistema nazionale di certificazione per biocarburanti e bioliquidi così come previsto dal Sistema nazionale di certificazione per biocarburanti e bioliquidi (decreto ministeriale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 23 gennaio 2012), e in particolare ai sensi del Sistema di rintracciabilità come definito dall’articolo 2, lettera l) del medesimo decreto[135].

 

Si ricorda che la formulazione precedente della tabella allegata alla finanziaria per il 2008 includeva invece gli oli vegetali puri tracciabili attraverso il sistema integrato di gestione e di controllo previsto dal regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009[136].

 

 


 

Articolo 31
(Modifiche all'articolo 120 del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, relativo alla decorrenza delle valute e calcolo
degli interessi - Anatocismo)

 

L’articolo 31, che demandava al CICR di stabilire modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle attività svolte nel territorio della Repubblica dalle banche e dagli intermediari finanziari (reintroducendo, in sostanza, la capitalizzazione degli interessi con periodicità almeno annuale), è stato soppresso nel corso dell’esame al Senato.

 

La norma modificava l'articolo 120 del D.Lgs. n. 385 del 1993 (TUB) in materia di decorrenza delle valute e calcolo degli interessi, demandando al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) la determinazione di modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni in conto corrente o di pagamento.

Si ricorda che il comma 2 dell'articolo 120 del TUB, come modificato dall'articolo 1, comma 629, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), sancisce che il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), nello stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, deve prevedere:

§  che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;

§  che gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori, i quali, nelle successive operazioni di capitalizzazione, andranno calcolati esclusivamente sulla quota capitale.

Secondo quanto evidenziato dalla Relazione, la disposizione come novellata dalla legge di stabilità 2014 porrebbe problemi interpretativi, in quanto da una parte sembra ammettere la capitalizzazione («gli interessi periodicamente capitalizzati...») e, dall'altra, stabilisce che gli interessi non producono interessi ulteriori (laddove l'effetto della capitalizzazione sarebbe proprio quello di passare a sorte capitale e, dunque, produrre interessi). Detti problemi interpretativi creerebbero - secondo la Relazione - incertezze tra gli operatori, tali da consigliare la modifica dell'articolo 120, comma 2, del TUB, riproponendo (con alcune modifiche) l'impianto della disposizione vigente fino al 2013.

Si evidenzia, peraltro, che le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418, dopo aver affermato l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi (articolo 1283 c.c.), hanno stabilito che né la banca, né il giudice possono applicare una capitalizzazione con una diversa periodicità. In questo modo è stata dichiarata illegittima anche la capitalizzazione annuale del servizio del credito.

 

Prima della modifica apportata dalla legge di stabilità 2014, si ricorda che il comma 2 dell'articolo 120 del TUB demandava al CICR di fissare modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo comunque che nelle operazioni in conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

Si rammenta, infine, che in attuazione di tale norma, la materia era stata disciplinata dal CICR (con delibera del 9 febbraio 2000, recante "Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria e finanziaria"). La delibera, che all'articolo 1 stabilisce che nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito di banche e intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi, negli articoli successivi disciplina alcune di tali ipotesi (in deroga a quanto a quanto dall'articolo 1283 del codice civile, in materia di divieto di anatocismo) concernenti il conto corrente, i finanziamenti con piano di rimborso rateale e le operazioni di raccolta.

 

Su tale quadro, pertanto, interveniva la norma in esame (soppressa nel corso dell’esame parlamentare) prevedendo al comma 1 che:

§  il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo;

§  nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento va assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell'addebito e nell'accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto.

La Relazione evidenzia come tale formulazione, prevedendo espressamente che la produzione di interessi sugli interessi avviene annualmente, eviterebbe, in caso di operazioni di apertura di credito, la capitalizzazione trimestrale; farebbe chiarezza altresì circa la sua applicabilità anche a soggetti diversi dalle banche (ad esempio, intermediari finanziari di cui all'articolo 106 o istituti di pagamento).

Il comma 2 dell'articolo 31 in esame prevede che - fino all'entrata in vigore della nuova delibera CICR prevista dal comma 2 dell'articolo 120 del TUB - continua ad applicarsi la citata delibera del CICR del 9 febbraio 2000, fermo restando quanto previsto dal comma successivo.

Ai sensi del comma 3:

§  la periodicità nella produzione di interessi come prevista dal nuovo comma 2 dell'articolo 120 del TUB si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dall'entrata in vigore del presente decreto;

§  gli altri contratti sono adeguati entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento, con l'introduzione di clausole conformi alla predetta periodicità ai sensi dell'articolo 118 del TUB.

Si ricorda che l'articolo 118 del TUB, dedicato alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, prevede in sintesi che nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo, mentre negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo.

Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto", con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate.

 

Sulla disciplina dell'anatocismo nei principali paesi europei consulta l’approfondimento sui temi dell’attività parlamentare:

https://www.camera.it/leg17/561?appro=1018&La+disciplina+dell%27anatocismo+nei+principali+paesi+europei#approList

 

 


 

Articolo 32
(Garanzia dello Stato in favore di SACE per operazioni non di mercato)

 

 

L’articolo 32 reca disposizioni volte a rafforzare le esportazioni e l’internazionalizzazione delle imprese, consentendo che la garanzia dello Stato per rischi non di mercato possa operare in favore della società Sace S.p.A. relativamente ad operazioni da essa effettuate nei settori strategici ovvero in società di rilevante interesse nazionale, laddove esse, pur costituendo in termini di livelli occupazionali o di fatturato un rilancio per il sistema economico produttivo del Paese, possano tuttavia determinare, in capo a Sace medesima, elevati rischi di concentrazione verso controparti o paesi di destinazione.

Tali disposizioni vengono a tal fine inserite quali commi aggiuntivi all’articolo 6 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (commi 9-bis e 9-ter), che ha recato la trasformazione della Sace in Società per azioni, con la finalità – secondo quanto esposto nella relazione illustrativa – di garantire da un lato la continuità dell’azione di Sace anche in relazione ad operazioni che determinano elevati rischi di concentrazione e, dall’altro, di assicurare certezza e trasparenza al rapporto tra lo Stato e Sace S.p.A. rispetto ad attività che, riguardando rischi non di mercato, hanno una evidente funzione pubblica.

 

La Sace S.p.a. – già Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero – è la società che, ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, svolge le funzioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143: in particolare, essa è autorizzata a rilasciare garanzie e ad assumere rischi di carattere politico, economico, commerciale e di cambio ai quali sono esposti gli operatori nazionali nelle loro attività con l’estero e di internazionalizzazione dell’economia italiana.

Nel 2012, ai sensi dell’articolo 23-bis del D.L. 7 luglio 2012, n. 95, nell’ambito di un più ampio piano di valorizzazione e dismissione di partecipazioni societarie pubbliche, Sace S.p.a. è stata interamente ceduta dallo Stato a Cassa depositi e prestiti S.p.A.

In data 9 novembre 2012, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. ha acquistato l’intero capitale sociale di SACE dal Ministero dell'economia e delle finanze, avendo esercitato l’opzione di acquisto di cui all’art. 23-bis del D.L. n. 95/2012. Nell’ambito del trasferimento della partecipazione di SACE a CDP, l’art. 23-bis, comma 5, del medesimo D.L. n. 95 ha espressamente disposto un principio di continuità nella gestione aziendale di SACE, prevedendo che la stessa prosegua nello svolgimento delle attività già ad essa affidate sulla base dei provvedimenti normativi e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore del decreto. Come detto, SACE è autorizzata a rilasciare garanzie e coperture assicurative in relazione ai rischi di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e di cambio cui sono esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero e a rilasciare garanzie e coperture assicurative in relazione a operazioni che siano di rilievo strategico per l'economia italiana sotto i profili dell'internazionalizzazione, della sicurezza economica e dell'attivazione di processi produttivi e occupazionali in Italia, nonché in relazione ai rischi di mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Si ricorda che a seguito dell’approvazione della Legge finanziaria 2007, SACE può intervenire a garanzia di finanziamenti concessi a imprese italiane nell’ambito di operazioni volte alla loro internazionalizzazione, ovvero finanziamenti concessi a imprese italiane o estere per operazioni di rilievo strategico per il sistema economico italiano. In questo contesto si inserisce l’intervento di SACE nei settori delle infrastrutture strategiche (ad es. energetiche, di trasporto, telecomunicazioni e idriche) e delle energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico, biomassa etc). SACE ha ottenuto nel 2013 € 398,7 milioni di premi lordi e un utile di € 345 milioni. I sinistri liquidati sono stati pari a € 401,9 milioni mentre il patrimonio netto è di € 5,3 miliardi.

 

In particolare, il comma 9-bis, introdotto dal comma 1 dell’articolo 32 in esame all’art. 6 del D.L. 269/2003, prevede - ai fini della concessione delle garanzie dello Stato in favore di Sace S.p.A. per rischi non di mercato rispetto ad operazioni riguardanti settori strategici per l’economia italiana ovvero società di rilevante interesse nazionale, che sono in grado di determinare in capo a Sace S.p.A. elevati rischi di concentrazione verso singole controparti, gruppi di controparti connesse o paesi di destinazione - l’istituzione di un Fondo dotato, inizialmente, di 100 milioni di euro per l'anno 2014, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a copertura delle garanzie dello Stato concesse in favore di Sace S.p.A. Tali risorse iniziali sono acquisite a valere sull’apposito Fondo di 1 miliardo di euro - recentemente istituito con il decreto-legge n. 66/2014[137] - finalizzato ad integrare le risorse iscritte sul bilancio statale destinate alle garanzie rilasciate dallo Stato, in particolare per favorire la cessione dei crediti di parte corrente certificati delle pubbliche amministrazioni diverse dallo Stato.

La norma prevede, inoltre, che il fondo destinato alla copertura delle garanzie concesse in favore di Sace S.p.A. di cui al comma in esame sia ulteriormente alimentato con i premi corrisposti da Sace medesima, che a tal fine sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione.

La garanzia non opera sull'intera operazione ma soltanto a copertura di eventuali perdite eccedenti le soglie (cosiddette soglie di attivazione e di disattivazione) e fino a un ammontare massimo di capacità, compatibile con i limiti globali degli impegni assumibili in garanzia.

La garanzia è rilasciata a prima domanda, con rinuncia all'azione di regresso su Sace S.p.A.. Essa è onerosa e conforme con la normativa di riferimento dell'Unione europea in materia di assicurazione e garanzia per rischi non di mercato.

Su istanza di Sace S.p.a., la garanzia è rilasciata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto della dotazione del fondo, previo parere dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) – da esprimere entro 15 giorni dalla richiesta - con riferimento, tra l’altro, alla sussistenza di un elevato rischio di concentrazione e alla congruità del premio riconosciuto allo Stato.

La definizione dell’ambito di applicazione della disposizione è rinviata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. Nel corso dell’esame al Senato i termini per l’emanazione del suddetto D.P.C.M. sono stati fissati, dal comma 1-bis, in 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (in luogo dei trenta giorni rispetto all’entrata in vigore del decreto, come inizialmente previsto).

 

Il successivo comma 9-ter, anche esso introdotto dal comma 1 dell’articolo 32 in commento, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze stipuli con Sace S.p.A. uno schema di convenzione al fine di disciplinare lo svolgimento dell'attività assicurativa per rischi non di mercato e, in particolare, il funzionamento della garanzia di cui al comma precedente, legata ad operazioni riguardanti settori strategici.

Nel corso dell’esame al Senato il termine per la stipula del suddetto schema di convenzione è stato fissato in 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (in luogo dei quarantacinque giorni dall'entrata in vigore della disposizione medesima, come inizialmente previsto) (comma 1-ter).

Lo schema di convenzione dovrà altresì disciplinare i parametri per la determinazione della concentrazione del rischio, la ripartizione dei rischi e delle relative remunerazioni, i criteri di quantificazione del premio riconosciuto allo Stato, nonché il livello minimo di patrimonializzazione che Sace S.p.A. è tenuta ad assicurare per poter accedere alla garanzia e i relativi criteri di misurazione.

Ai fini della predisposizione dello schema di convenzione, il Ministero dell'economia e delle finanze può affidare a società di provata esperienza e capacità operativa nazionali ed estere un incarico di studio, consulenza, valutazione e assistenza operativa, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.

La convenzione in questione è previsto che abbia una durata di dieci anni.

Il comma 2[138] dell’articolo 32 in esame, come sostituito dal Senato, dispone che lo schema di convenzione previsto dal nuovo comma 9-ter dell’art. 6 del D.L. n. 269/2003, introdotto dal comma 1 dell’articolo in esame, è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame (in luogo dei sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto, come inizialmente previsto).

 

 


 

Articolo 32-bis
(Esenzione IVA per prestazioni del servizio postale universale)

 

L’articolo 32-bis limita, al comma 1, l’esenzione IVA attualmente prevista per le prestazioni del servizio postale universale nonché per le cessioni di beni a queste accessorie effettuate dai soggetti obbligati ad assicurarne l’esecuzione. Si prevede infatti che siano escluse dall’esenzione IVA le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ad esse accessorie, le quali, pur rientrando nel servizio postale universale, siano state, nelle loro condizioni, negoziate individualmente. In tal senso viene modificato l’articolo 10, primo comma, numero 16 del D.P.R. n. 633/1972.

In base al comma 2, la modifica si applicherà a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e sono fatti salvi i comportamenti posti in essere dal soggetto obbligato a fornire il servizio universale (e cioè Poste italiane) in precedenza in attuazione della disciplina previgente.

 

L’esenzione IVA di cui alla disposizione richiamata trova applicazione unicamente nei confronti di Poste italiane, in quanto unico soggetto, ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 261/1999, come modificato dal decreto legislativo n. 58/2011, obbligato a garantire l’esecuzione del servizio universale.

 

Si ricorda infatti che il decreto legislativo citato prevede un unico fornitore del servizio universale, con una distinzione, non presente peraltro nell'ordinamento UE[139], tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio. Il primo è tenuto a fornire il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono prestazioni singole e specifiche sulla base di apposita licenza.

Fornitrice del servizio universale è riconosciuta ex lege la società Poste italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58/2011 (e quindi fino al 2026).

 

La modifica del comma 1 corrisponde ad una proposta contenuta nella segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2014 (4 luglio 2014) ed appare coerente con il provvedimento dell’Autorità del 27 marzo 2013 con il quale l’autorità aveva deciso la disapplicazione della norma del D.P.R. n. 633/1972 per contrasto con il diritto dell’Unione europea, ed in particolare con l’articolo 132, lettera a), della direttiva 2006/112/CE (disciplina IVA), come interpretato dalla sentenza del 23 aprile 2009 (causa C. 357/07) della Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti della Royal Mail britannica.

La disposizione della direttiva 2006/112/CE stabilisce infatti che siano esenti da IVA le prestazioni di servizi effettuate da servizi pubblici postali e le cessioni di beni accessori a tali prestazioni esclusi il trasporto di persone e le telecomunicazioni.

In proposito la citata sentenza della Corte di giustizia ha precisato che “l’esenzione non può essere applicata ai servizi specifici, scindibili dal servizio di interesse pubblico, tra i quali figurano servizi rispondenti ad esigenze specifiche di operatori economici. Pertanto l’esenzione non si applica né alle cessioni di beni accessori a dette prestazioni le cui condizioni siano state negoziate individualmente”.

Nel corso dell’istruttoria alla base del provvedimento adottato, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha riscontrato pratiche di negoziazione individuale con i clienti da parte di Poste italiane nell’ambito delle prestazioni rientranti nel servizio universale, senza imposizione di IVA, in violazione della sentenza della Corte di giustizia UE.

Pertanto, il provvedimento adottato dall’Autorità constata che Poste italiane ha goduto di un abuso di posizione dominante ed ha ordinato alla società di cessare l’abuso “applicando l’IVA alle prestazioni del servizio universale le cui condizioni di fornitura siano state negoziate individualmente, intendendosi per tali tutti quei casi in cui: 1) sia applicata una tariffa inferiore a quella regolamentata, anche quando vi sia una riduzione implicita, come ad esempio nelle ipotesi di conguagli a consuntivo collegati al raggiungimento di determinati obiettivi individuali; 2) siano applicate condizioni differenti rispetto alle condizioni generali di fornitura del servizio universale e a quelle previste dalle disposizioni che regolano il predetto servizio, ivi compresa la fornitura in abbinamento di più servizi postali e/o postali e accessori, come nei contratti oggetto del presente provvedimento”.

Poste italiane era tenuta ad ottemperare alla decisione di porre fine a tali pratiche, in coerenza con la disapplicazione della norma del D.P.R. n. 633/1972, entro 180 giorni dalla notifica (23 aprile 2013).

La decisione dell’Autorità è stata confermata dalla sentenza n. 1525/2014, del 7 febbraio 2014, del TAR Lazio, che ha respinto il ricorso della società Poste italiane Spa.

 

Al riguardo, occorre valutare la coerenza della disposizione del comma 2, che fa salvi i comportamenti di Poste italiane fino all’entrata in vigore della legge di conversione, con la decisione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che prevede un adeguamento già a partire dall’ottobre 2013.

 


 

Articolo 33
(Semplificazione e razionalizzazione dei controlli
della Corte dei conti)

 

 

L’articolo 33 interviene su alcune tipologie di controllo della Corte dei conti (sia di tipo preventivo, sia di tipo successivo) con l’obiettivo di semplificarne le modalità di esecuzione e, in alcuni, casi, di ridurre il numero di atti ad essi sottoposti.

I controlli esterni sugli enti locali

Il comma 1 rende annuale (anziché semestrale) il controllo preventivo delle sezioni regionali della Corte dei conti - nell'ambito del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni - quale verifica del funzionamento dei controlli interni onde siano rispettati le regole contabili e l'equilibrio di bilancio di ciascun ente locale.

Del pari annuale (anziché semestrale) diviene l'obbligo - in capo al sindaco, per Comuni sopra 15.000 abitanti, o al presidente della Provincia - di trasmissione (alla volta della sezione regionale della Corte dei conti) di un referto sul sistema dei controlli interni.

Appare opportuno integrare la norma con il riferimento anche al sindaco metropolitano, figura ora prevista dalla legge n. 56/2014 su città metropolitane e province.

 

Inoltre, il referto del sindaco, oltre ad essere redatto sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti, dovrà tener conto anche dei controlli effettuati nell’anno.

Con un’altra modifica, si è inteso espungere dall’articolo 148 la verifica della gestione contabile, mantenendo quella dei controlli interni. Infatti, nel testo previgente, oggetto del controllo semestrale della Corte dei conti erano sia la legittimità e la regolarità delle gestioni, sia il funzionamento dei controlli interni. Di conseguenza il referto del sindaco verteva su entrambi gli aspetti. Nella nuova formulazione, si prevede che la Corte dei conti verifica esclusivamente il funzionamento dei controlli interni, pur nell’ambito del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni. Parallelamente, il referto dei sindaci dovrà considerare in generale il sistema dei controlli interni e non più la regolarità della gestione e l'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli.

La disposizione non incide peraltro sulla funzione di controllo della Corte sugli enti locali (controllo che viene richiamato nell’inciso “nell’ambito del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni”) che, in virtù di quanto stabilito dall’art. 4, comma 1, della L. 20/1994, spetta alla Corte dei conti in quanto competente al controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle pubbliche amministrazioni, compresi gli enti locali e le regioni (secondo la definizione di pubblica amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001); controllo che avviene anche attraverso la verifica della legittimità e la regolarità delle gestioni.

 

Tali modifiche sono introdotte mediante novella all'articolo 148 del testo unico degli enti locali, il quale fu riscritto dal decreto-legge n. 174 del 2012 (articolo 3, comma 1, lettera e) appunto inserendovi la previsione della verifica sui controlli interni.

I controlli sulle regioni ed enti locali

Il comma 2 apporta alcune semplificazioni ai controlli della Corte di conti sulle regioni introdotti dal decreto-legge 174/2012, in parte analoghe a quelle disposte dal comma precedente per gli enti locali, e introduce un rafforzamento della possibilità della Sezione centrale delle autonomie della Corte di conti di emanare delibere vincolanti nei confronti delle sezioni regionali.

 

La lettera a), numero 1 rende annuale (anziché semestrale) la trasmissione ai consigli regionali - da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti - della relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nell'anno (anziché semestre) precedente nonché sulle tecniche di quantificazione degli oneri.

 

Il numero 2 , sopprime, in primo luogo, il riferimento al controllo di gestione, come per gli enti locali (vedi comma 1) tra i contenuti della relazione che il presidente della Regione è tenuto a trasmettere annualmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai fini della verifica dei controlli interni.

In secondo luogo, come per il referto degli enti locali di cui al comma 1, la relazione oltre ad essere redatta sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti, dovrà tener conto anche dei controlli effettuati nell’anno.

In terzo luogo, viene soppresso l'invio della relazione al presidente del consiglio regionale.

 

Il numero 3 ha per oggetto i gruppi costituiti nei consigli regionali. Esso introduce la possibilità di impugnazione della decisione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, la quale riscontri che il rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazione trasmessa a suo corredo non siano conformi alla normativa e che non sia intervenuta, dopo la contestazione di ciò, debita regolarizzazione.

Tale decisione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha come effetto, per il gruppo consiliare, di dover restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e non rendicontate.

La disposizione vigente prevede anche la decadenza, in caso di irregolarità, dal diritto all’erogazione di risorse da parte del consiglio regionale per l’anno in corso. Tale previsione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale che però ha fatto salvo l’obbligo di restituzione (sent. 39/2014).

 

L'impugnazione (entro trenta giorni) è presso le Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, che si pronunciano nell'esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica.

 

La lettera b) amplia la possibilità da parte della Sezione delle autonomie della Corte dei conti di intervenire con delibere di orientamento vincolanti per le sezioni regionali di controllo: dette delibere potranno essere emanate non solamente ex post, in presenza di interpretazioni contrastanti tra le sezioni, ma anche al fine di prevenzione di eventuali contrasti.

Il controllo delle spese elettorali dei partiti nei comuni

Il comma 3, lettera a), attraverso una modifica della legge n. 96 del 2012, la quale ha ridisegnato il finanziamento dei partiti, amplia il novero dei comuni sottratti dal controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti sui consuntivi dei partiti politici relativi alle spese elettorali nelle elezioni per il sindaco e per il consiglio comunale, innalzando la soglia demografica dei comuni esentati da 15.000 a 30.000 abitanti.

La lettera b) esclude per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti la sanzione amministrativa pecuniaria (da 50.000 a 500.000 euro) per il mancato deposito dei consuntivi delle spese elettorali da parte dei partiti, sanzione applicata dal collegio istituito presso la sezione regionale di controllo della Corte dei conti.

 

Fino alle elezioni del 2012 la normativa operava una distinzione, in materia di spese elettorali, tra le elezioni politiche e quelle comunali stabilendo per queste ultime una disciplina meno stringente.

La L. 96/2012 (art. 13) ha, di fatto, eliminato tale distinzione prevedendo anche per le elezioni del sindaco e del consiglio comunale (prima esentate) nei comuni con più di 15.000 abitanti limiti alle spese elettorali e strumenti di controllo delle stesse.

In particolare, sono stati stabiliti tetti massimi per le spese elettorali dei singoli candidati e dei partiti, proporzionati alla popolazione dei comuni suddivisi a questo scopo in diverse fasce demografiche, esentando i comuni con meno di 15.000 abitanti.

Le modalità di controllo del rispetto dei tetti e più in generale della regolarità della rendicontazione della raccolta dei fondi e del loro impiego nella campagna elettorale, alla stregua delle elezioni politiche, seguono due tipologie. Il controllo dei rendiconti dei singoli candidati è effettuato dal collegio regionale di garanzia elettorale (un organo composto da magistrati istituito in ciascuna regione presso la corte di appello a in mancanza presso il tribunale del capoluogo). Questo tipo di controllo, effettuato nei comuni con più di 15.000 abitanti, non viene modificato dalla norma in esame, che invece incide sulla seconda tipologia, ossia quella relativa alle spese elettorali dei partiti. Il citato art. 13 della legge 96 ha esteso anche alle elezioni dei comuni con più di 15.000 abitanti le forme di pubblicità e controllo delle spese elettorali dei partiti previste per le elezioni politiche, adattando le procedure alla dimensione locale. Pertanto, i partiti devono presentare alla Corte di conti il consuntivo delle spese per la campagna elettorale e delle relative fonti di finanziamento. In luogo dello speciale collegio istituito presso la Corte di conti, cui compete il controllo delle elezioni politiche, per le elezioni comunali i rendiconti dei partiti sono esaminati dalla sezione regionale di controllo competente per territorio che entro sei mesi pubblica un referto di cui una copia è depositata presso l’ufficio elettorale nazionale. Ai partiti che omettono di depositare i consuntivi delle spese elettorali è applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 a 500.000 euro da parte del collegio istituito presso la sezione regionale di controllo della Corte dei conti.

La disposizione in commento eleva a 30.000 la soglia demografica dei comuni oltre la quale si applicano le procedure di controllo delle spese elettorali dei partiti, mentre rimane invariata la soglia di 15.000 abitanti per i controlli sulle spese dei candidati.

 

L’introduzione del controllo sulle spese elettorali dei comuni è stata tra le questioni affrontate dal Presidente della Corte dei conti nella sua audizione presso la Commissione parlamentare per la semplificazione del 12 marzo 2014. A riguardo di tale disposizione il Presidente della Corte ha segnalato ai Presidenti di Camera e Senato le difficoltà incontrate nel dare puntuale e immediata applicazione alla relativa disciplina.

Il controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile

Il comma 4 prevede la contestualità, per gli atti delle amministrazioni statali che siano sottoposti ad entrambi, del controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile degli uffici di controllo[140] da un lato, del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti dall'altro.

In particolare, l'invio della documentazione da parte delle amministrazioni interessate ai due controllori avviene simultaneamente, e i due controlli agiscono in parallelo e non in sequenza.

Si specifica peraltro che gli atti per i quali non sia previsto il controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, l'altro controllo sia necessariamente di regolarità amministrativa e contabile, con un vaglio dunque sia del profilo di contabilità cdi quello di regolarità amministrativa.

Si tratta dei seguenti tipi di atti:

§  decreti di approvazione di contratti o atti aggiuntivi, atti di cottimo e affidamenti diretti, atti di riconoscimento di debito;

§  provvedimenti o contratti di assunzione di personale a qualsiasi titolo;

§  atti relativi al trattamento giuridico ed economico del personale statale in servizio;

§  accordi in materia di contrattazione integrativa, di qualunque livello, intervenuti ai sensi della vigente normativa legislativa e contrattuale. Gli accordi locali stipulati dalle articolazioni centrali e periferiche dei Ministeri sono sottoposti al controllo da parte del competente Ufficio centrale del bilancio;

§  atti e provvedimenti comportanti trasferimenti di somme dal bilancio dello Stato ad altri enti o organismi;

§  atti e provvedimenti di gestione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa, nonché del conto del patrimonio;

§  contratti passivi, convenzioni, decreti ed altri provvedimenti riguardanti interventi a titolarità delle Amministrazioni centrali dello Stato, cofinanziati in tutto o in parte con risorse dell'Unione europea, ovvero aventi carattere di complementarità rispetto alla programmazione dell'Unione europea, giacenti sulla contabilità del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie.


 

Articolo 33-bis
(Disposizioni in materia di società tra professionisti)

 

 

L’articolo 33-bis, inserito durante l’esame al Senato, è volto ad estendere alle società di ingegneria previste dal Codice degli appalti e costituite in forma di società di capitali, la disciplina delle società tra professionisti introdotta dal c.d. decreto Bersani (D.L. n. 223/2006).

Il provvedimento novella il decreto-legge n. 223 del 2006, omettendo ogni riferimento alla legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) che ben più recentemente ha rivisto la disciplina delle società tra professionisti, la cui evoluzione è importante per comprendere la disposizione in commento.

 

In origine, la legge n. 1815 del 1939[141] ha previsto la possibilità per i professionisti di costituire associazioni professionali (art. 1) ed ha vietato il ricorso alla forma societaria (art. 2). Tale divieto è stato abrogato dall'art. 24 della legge n. 266 del 1997[142].

È poi intervenuto l’art. 2, comma 1, lett. c), del decreto Bersani[143] che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti (c.d. società multidisciplinari), fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

Su questo quadro normativo si è inserita la legge di stabilità 2012[144] che all’art. 10 disciplina la costituzione di società tra professionisti consentendo ai professionisti iscritti ad ordini professionali di esercitare la professione in forma societaria o cooperativa (Titoli V e VI del Libro quinto del codice civile) e dunque anche di assumere anche la forma di società di capitali. Qualsiasi forma sia prescelta, la denominazione sociale sarà “società tra professionisti”, che potrà svolgere anche diverse attività professionali (c.d. società multidisciplinare)[145].

In base all’art. 10, il professionista può partecipare ad una sola società tra professionisti e deve osservare il codice deontologico del proprio ordine. La società è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulta iscritta.

La disciplina relativa all’esecuzione dell’incarico conferito alla società da parte di soci in possesso dei requisiti, alla scelta del professionista da parte dell’utente, all’incompatibilità e al rispetto del regime disciplinare dell’ordine è dettata, in attuazione della legge, dal D.M. 8 febbraio 2013, n. 34[146].

Infine, la legge di stabilità 2012, pur abrogando la legge n. 1815 del 1939 sulle associazioni professionali, fa salvi i diversi modelli societari e associativi previgenti.

Conseguentemente, relativamente agli ingegneri, rimane invariato il regime introdotto dall’art. 90, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, il quale prevede la possibilità di costituire società di ingegneria nella forma codicistica delle società di capitali o cooperative. Poiché la predetta disposizione ammette la partecipazione, alle società di ingegneria, di soggetti non professionisti, senza stabilire alcun limite specifico, in virtù del criterio della sopravvivenza dei modelli societari regolati nelle leggi di settore antecedenti alla l. 183/2011 sulle STP, sembra potersi desumere che per le società di ingegneria non valgano i limiti di partecipazione previsti per i soci non professionisti, come invece espressamente stabilito dall’articolo 10 della legge 183/2011.

 

Rispetto a questo quadro normativo, l’articolo 33-bis del decreto-legge, al comma 1, novella il c.d. decreto Bersani (D.L. n. 223 del 2006) nella parte in cui liberalizza le società tra professionisti che siano costituite in forma di società di persone o associazione tra professionisti.

La disposizione approvata dal Senato estende questa liberalizzazione anche alle società di ingegneria previste dall’art. 90, comma 2, lett. b) del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), che – diverse dalle società di professionisti costituite in forma di società di persone (art. 90, comma 2, lett. a) - sono costituite in forma di società di capitali o di società cooperative e sono comunque competenti per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori pubblici.

 

Entrambe le tipologie di società delineate dall’art. 90 del Codice degli appalti possono svolgere solo un’attività limitata alla esecuzione di “studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnicoeconomica o studi di impatto ambientale”; in altri termini, né le società “di ingegneria” né le società “di professionisti” di cui all’art. 90 svolgono l’attività propria del professionista (segnatamente: dell’ingegnere e o dell’architetto), ma una diversa e più complessa attività di natura imprenditoriale diretta alla produzione di un servizio che eccede il contenuto proprio del contratto d’opera intellettuale e si inquadra in quello dell’appalto di servizi. All’interno di detta complessa attività la prestazione del singolo professionista non resta isolata e non si identifica con la prestazione resa dalla società, ma rappresenta solo uno degli elementi di una prestazione più complessa avente ad oggetto la progettazione, la consulenza, gli studi di fattibilità, il reperimento fondi fino ad abbracciare anche la realizzazione e la commercializzazione di quanto progettato; tanto che la Cassazione non esita a riconoscere alle società di engineering la “qualifica di imprenditori commerciali, in quanto la forma sociale adottata, che è quella di una società lucrativa, ed i mezzi impiegati dalla società in coerenza con tale forma, non sono contraddetti dal fatto che il contenuto dell’attività organizzata a scopo di profitto, essendo di tipo professionale, postuli che la società si avvalga di professionisti intellettuali iscritti in un apposito albo” (Cassazione, sentenza n. 10860 del 10 luglio 2003).

Inoltre, il trattamento fiscale delle società di ingegneria, così come riportato nella risoluzione 56/E del 2006 dell’Agenzia delle Entrate, viene classificato come reddito di impresa, benché provenga in parte da una attività di natura professionale.

 

 

Il provvedimento riconduce dunque alle società tra professionisti e alla liberalizzazione del 2006 le società di ingegneria costituite in forma di società di capitali.

Si osserva che la disposizione non precisa se, alla modifica del decreto-legge del 2006, consegua anche l’assimilazione delle società di ingegneria alle società tra professionisti, con i requisiti e i limiti stabiliti dalla legge di stabilità 2012.

 

Il comma 2 dell’art. 33-bis fa poi salvi tutti i contratti stipulati dalle società di professionisti cui fa riferimento il DL Bersani, come modificato, e dunque i contratti stipulati dalle suddette società di ingegneria, a decorrere dall’11 agosto 1997. Si tratta della data di entrata in vigore della legge n. 266 del 1997, che ha abrogato il divieto per i professionisti di ricorrere alla forma societaria per fornire i propri servizi.

 


 

Articolo 34
(Abrogazioni e invarianza finanziaria)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 34, abroga a decorre dal 1 gennaio 2015 una serie di disposizioni concernenti la determinazione di alcune tariffe energetiche. Si tratta dell'abrogazione:

§  del comma 6 dell'articolo 33 della legge 23 luglio 2009, n. 99, secondo cui i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione della Rete interna di utenza si applicano esclusivamente all’energia elettrica prelevata nei punti di connessione;

§  del primo periodo del comma 2 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 che pone a capo dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas la potestà di emanare atti regolatori affinché la regolazione dell'accesso al sistema elettrico sia effettuata in modo tale che i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione siano applicati esclusivamente all'energia elettrica prelevata sul punto di connessione;

§  dell'articolo 10 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 5 luglio 2012, recante norme per la gestione del sistema di incentivazione da fonte fotovoltaica;

§  dei commi da 1 a 6 dell'articolo 21 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 luglio 2012, recante norme per la gestione del sistema di incentivazione da fonte rinnovabile non fotovoltaica;

§  del secondo periodo del comma 5-sexies dell'articolo 33 del decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28 secondo cui gli oneri gestionali degli incentivi in materia di biocarburanti sono posti a carico dei soggetti obbligati e con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ne è determinata l'entità in funzione delle Giga-calorie di biocarburante da immettere in consumo e le relative modalità di versamento al Gestore dei servizi energetici S.p.A.;

§  del decreto del Ministro dello sviluppo economico 11 dicembre 2013, recante oneri gestionali e relative modalità di versamento al Gestore dei servizi energetici S.p.A. per l’effettuazione delle competenze operative e gestionali in materia di biocarburanti, ai sensi dell’articolo 33, comma 5-sexies , del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;

§  dell'articolo 17 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 28 dicembre 2012, recante corrispettivo per la copertura dei costi sostenuti per lo svolgimento delle attività connesse all'incentivazione della produzione di energia termica da fonti rinnovabili ed interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni.

 

Il comma 2 contiene poi una clausola di invarianza degli oneri a carico del bilancio dello Stato per gli articoli da 23 a 30 stabilendo al contempo che le Amministrazioni interessate provvedono ad eventuali nuovi o maggiori oneri con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 34, comma 1-bis
(Esenzione bollo per volontari del soccorso alpino)

 

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede l’esenzione dal pagamento dell’imposta di bollo per le istanze presentate dai volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano (CAI), che siano lavoratori autonomi, all’ufficio provinciale del lavoro ai fini del riconoscimento dell’indennità per il mancato reddito relativo ai giorni in cui si sono astenuti dal lavoro per le operazioni di soccorso alpino e speleologico o per le relative esercitazioni, nonché per il giorno successivo ad operazioni di soccorso che si siano protratte per più di otto ore, ovvero oltre le ore 24.

 

La norma interviene aggiungendo la relativa esclusione al comma 1-bis dell’articolo 3 della tariffa, Parte I, annessa al D.P.R. n. 642 del 1972 (Disciplina dell’imposta di bollo), il quale prevede l’imposta fissa di 16 euro per le istanze trasmesse per via telematica agli uffici e agli organi, anche collegiali, dell'Amministrazione dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, loro consorzi e associazioni, delle comunità montane e delle unità sanitarie locali, nonché agli enti pubblici in relazione alla tenuta di pubblici registri, tendenti ad ottenere l'emanazione di un provvedimento amministrativo o il rilascio di certificati, estratti, copie e simili.

 

 


 

Articolo 34-bis
(Disposizioni interpretative su esenzioni di accisa)

 

 

L’articolo 34-bis, aggiunto nel corso dell’esame presso il Senato, reca una norma di interpretazione autentica prevedendo che l’esenzione dell’accisa sulla benzina si applica anche per l’esercizio della pesca professionale in acque interne e lagunari.

Il disposto in esame modifica a livello interpretativo quanto disposto dall’articolo 3-ter del decreto-legge 2 marzo 2012, n.16, che ha ricompreso la benzina tra i carburanti esenti da accisa in quanto impiegati per la navigazione nelle acque marine comunitarie (con esclusione delle imbarcazioni private da diporto), per la navigazione nelle acque interne (limitatamente al trasporto delle merci) e per il dragaggio di vie navigabili e porti.



[1]     Sebbene non richiamato nel testo della norma qui in esame, si ricorda che, ai sensi dell'art. 2135 c.c. "è imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio normale dell'agricoltura". Tale articolo è richiamato dalla Circolare applicativa delle misure in esame adottata il 4 luglio 2014 dal Mipaaf (cfr. infra).

[2]     L'articolo 41 del Regolamento (CE) 29 aprile 2004, n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, prevede che gli Stati membri elaborino un "unico piano integrato di controllo nazionale pluriennale" al fine di dare piena attuazione alle norme europee sulla sicurezza alimentazione, sul benessere e salute degli animali e per dare compiuta attuazione alla disciplina dei controlli in tali ambiti previsti dallo stesso regolamento n. 882. Per i periodi e per le materie oggetto di accertamento è previsto un divieto di bis in idem sotto il profilo dei controlli esperiti verso le imprese agricole salvo determinati casi quali comportamenti omissivi, irregolari o elementi non conosciuti al momento dell’ispezione.

[3]     Il Piano è finalizzato alla razionalizzazione delle attività, mediante una considerazione dei rischi ed un adeguato coordinamento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti. Il PNI attualmente vigente è relativo agli anni 2011-2014 ed è disponibile al seguente indirizzo:

http://www.salute.gov.it/pianoNazionaleIntegrato/homePianoNazionaleIntegrato.jsp

[4]     Ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 281/1997, la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni.

[5]     Si ricorda che ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 42, i piani di controllo nazionali pluriennali possono essere adattati e modificati durante la loro applicazione in considerazione dei seguenti fattori a) nuova normativa; b) il manifestarsi di nuove malattie o di altri rischi per la salute; c) cambiamenti significativi nella struttura, nella gestione o nel funzionamento delle autorità nazionali competenti; d) i risultati dei controlli ufficiali effettuati dagli Stati membri; e) i risultati dei controlli comunitari eseguiti; f) qualsiasi modifica degli orientamenti sui controlli; g) i risultati scientifici; h) il risultato di audit effettuati da un paese terzo in uno Stato membro.

[6]     Decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 “Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della L. 7 marzo 2003, n. 38”.

[7]     L’articolo 6 stabilisce un obbligo generale di collaborazione tra le imprese e le autorità competenti ai fini della registrazione e del riconoscimento degli stabilimenti dedicati alle lavorazioni alimentari. In particolare le imprese sono tenute a notificare alle autorità tutti gli stabilimenti controllati coinvolti nell'esecuzione di una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti, ai fini della registrazione dei suddetti stabilimenti. Le ASL sono le autorità competenti, salvo diversa indicazione della Regione o Provincia autonoma interessata, ai sensi delle Linee guida applicative. Le "Linee guida applicative del regolamento n. 852/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'igiene dei prodotti alimentari", approvate con Accordo del 29 aprile 2010, stabiliscono che "le attività già in possesso di Autorizzazione o Nulla osta sanitario o di una Registrazione/DIA ai sensi di specifica normativa di settore, non hanno necessità di effettuare un'ulteriore notifica ai fini della registrazione/DIA prevista dal Reg. 852/2004".

[8]     Il fascicolo aziendale, modello cartaceo ed elettronico preposto alla raccolta delle informazioni relative a ciascuna azienda agricola, è stato istituito, dapprima, ai sensi del D.P.R. n. 503/1999 (articolo 9) e successivamente è stato regolato dal decreto legislativo n. 99/2004 (articolo 13).

[9]     D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99 ("Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura").

[10]   L’articolo 14, comma 6, del D.Lgs. n. 99 dispone che decorso il predetto termine, la domanda si intende accolta e che i CAA rilasciano ai soggetti che esercitano l'attività agricola certificazione della data di inoltro dell'istanza alla pubblica amministrazione competente, facendo salvi Sono fatti salvi i termini più brevi previsti per i singoli procedimenti, nonché quanto disposto dal decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali in data 18 dicembre 2002.

[11]   Soppressione dell'AIMA e istituzione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA).

[12]   Regolamento della Commissione che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato (regolamento generale di esenzione per categoria).

L’Allegato 1 del Regolamento (CE) n. 800/2008 reca la definizione di PMI. In particolare, considera impresa ogni entità, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un'attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un'attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitano un'attività economica.

Dispone che alla categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) appartengono le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. All'interno della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. All'interno della categoria delle PMI, si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

Come affermato in premessa al regolamento in questione, esso, per ciò che concerne le imprese agricole, prevede l'esenzione per gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, gli aiuti sotto forma di capitale di rischio, gli aiuti alla formazione, gli aiuti per la tutela dell'ambiente e gli aiuti a favore dei lavoratori svantaggiati e disabili, purché queste categorie di aiuti non rientrino nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1857/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione di prodotti agricoli.

[13]   Legge 23 dicembre 1956, n. 1526, Difesa della genuinità del burro.

[14]   Regolamento della Commissione recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio in ordine allo schedario viticolo, alle dichiarazioni obbligatorie e alle informazioni per il controllo del mercato, ai documenti che scortano il trasporto dei prodotti e alla tenuta dei registri nel settore vitivinicolo.

[15]   L’articolo 9 del D.P.R. citato nel testo ha istituito il fascicolo aziendale, nell'ambito dell'anagrafe delle aziende agricole, a decorrere dal 30 giugno 2000. Il fascicolo aziendale, modello cartaceo ed elettronico riepilogativo dei dati aziendali è finalizzato all'aggiornamento, per ciascuna azienda, delle informazioni anagrafiche ad essa relative.

[16]   Si ricorda che l’Organismo pagatore ha la funzione di gestire e controllare le spese finanziate con le risorse europee destinate alla PAC (Fondi FEAGA e FEASR). L'Organismo pagatore, a tal fine, è riconosciuto dallo Stato membro dall'autorità competente designata a livello ministeriale. Secondo informazioni disponibili sul sito MIPAAF, In Italia sono 11 gli Organismi pagatori riconosciuti di cui 8 operanti a livello regionale , 2 operanti a livello nazionale in relazione a specifiche misure (riso ed esportazioni) e l'AGEA che svolge tale ruolo per le regioni che non hanno un proprio Organismo pagatore.

[17]   Si tratta delle bevande spiritose di cui al Regolamento CE 110/2008, prodotte mediante aggiunta di aromi, zuccheri o altri prodotti edulcoranti elencati nell’allegato I, punto 3, del Regolamento, e/o di altri prodotti agricoli e/o alimentari all’alcole etilico di origine agricola e/o a distillati di origine agricola e/o a bevande spiritose ai sensi del presente regolamento; ovvero prodotte mediante miscelazione di una bevanda spiritosa con una/uno o più altre bevande spiritose, e/o alcole etilico di origine agricola o distillati di origine agricola, e/o altre bevande alcoliche, e/o bevande.

[18]   Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l'etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti vitivinicoli aromatizzati e che abroga il regolamento (CEE) n. 1601/91 del Consiglio.

[19]   ad eccezione delle uve in corso di appassimento per la produzione di vini passiti o tradizionali per i quali sono consentite – con apposito provvedimento - fermentazioni e rifermentazioni al di fuori del periodo ordinario stabilito (art. 9, comma 4 della legge n. 82).

[20]   Sono previste misure transitorie per la conversione in autorizzazioni dei diritti di impianto concessi ai produttori ai sensi degli articoli 85-nonies, decies e duodecies del Reg. CE n. 1234/2007 anteriormente al 31 dicembre 2015 e non ancora utilizzati a quella data. La conversione avviene su presentazione di una richiesta da parte dei produttori interessati entro il 31 dicembre 2015. Gli Stati membri possono decidere di consentire ai produttori di presentare tale richiesta di convertire i diritti in autorizzazioni entro il 31 dicembre 2020 (articolo 68).

Inoltre, si prevede la concessione automatica da parte degli SM di un’autorizzazione al reimpianto ai produttori che hanno estirpato una superficie vitata successivamente al 1 gennaio 2016 e che hanno presentato richiesta apposita (articolo 66).

[21]   Regolamento della Commissione che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato (regolamento generale di esenzione per categoria).

L’Allegato 1 del Regolamento (CE) n. 800/2008  reca la definizione di PMI. In particolare, considera impresa ogni entità, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un'attività economica. In particolare sono considerate tali le entità che esercitano un'attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitano un'attività economica.

Dispone che alla categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) appartengono le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. All'interno della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. All'interno della categoria delle PMI, si definisce microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

Come affermato in premessa al regolamento in questione, esso, per ciò che concerne le imprese agricole, prevede l'esenzione per gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, gli aiuti sotto forma di capitale di rischio, gli aiuti alla formazione, gli aiuti per la tutela dell'ambiente e gli aiuti a favore dei lavoratori svantaggiati e disabili, purché queste categorie di aiuti non rientrino nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 1857/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese attive nella produzione di prodotti agricoli.

[22]   Per l’intervento della Cassa depositi e prestiti sono richiamate le disposizioni di cui al citato 3, comma 4-bis, del D.L. n. 5/2009.

[23]   L’accesso al plafond è regolato “a sportello”, fino ad esaurimento dello stesso.

[24]   Per far fronte agli oneri derivanti dalla concessione dei contributi  l’articolo 2, comma 8 ha autorizzato la spesa di 7,5 milioni di euro per l'anno 2014, di 21 milioni di euro per l'anno 2015, di 35 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, di 17 milioni di euro per l'anno 2020 e di 6 milioni di euro per l'anno 2021.

[25]   Le PMI, insieme al contributo e al finanziamento, possono anche attingere al “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” fino all’80% dell’ammontare del finanziamento. Per accedere al contributo occorre avere una delibera di finanziamento bancario o di leasing non superiore a cinque anni di importo tra i 20mila e i 2 milioni di euro. Il finanziamento può coprire fino al 100% degli investimenti. Le domande di finanziamento e di contributo possono essere presentate alle banche o intermediari finanziari dal 31 marzo 2014.

[26]   L’articolo 4-quinquiesdecies del D.L. n. 171/2008 prevedeva che, a decorrere dal 1° luglio 2014, la produzione della “mozzarella di bufala campana”, registrata come denominazione di origine protetta (DOP) ai sensi del regolamento (CE) n. 1107/96 della Commissione, del 12 giugno 1996, dovesse essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. Al fine di consentire alle aziende interessate un'adeguata programmazione delle rispettive attività, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali era demandato di provvedere, con proprio decreto alla definizione delle modalità per l'attuazione dell'articolo in esame.

Il termine di decorrenza dell'applicazione della misura in esame (in origine il 1° gennaio 2013) è stato più volte prorogato dal Legislatore, da ultimo con l'articolo 5, comma 1 del D.L. n. 150/2013.

Per ciò che attiene al decreto del Mipaaf volto alla definizione delle modalità per l'attuazione della separazione degli stabilimenti di produzione della DOP Mozzarella di Bufala Campana - il cui termine per l'adozione è stato fissato dal legislatore entro il 30 giugno 2009 (e mantenuto tale nonostante le modifiche intervenite sull'articolo 4-quinquiesdecies) - è stato emanato il 10 aprile 2013 (in sostituzione di un pregresso decreto già adottato in materia il 6 marzo 2013, il quale non considerava i sottoprodotti bufalini DOP).

Più in particolare, il D.M. 10 aprile 2013 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2014 (termine questo da ultimo fissato dal D.P.C.M. 18 aprile 2013), gli operatori inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana producono il formaggio Mozzarella di Bufala Campana nonché i sottoprodotti o derivati della stessa materia prima, inclusa la ricotta, in stabilimenti esclusivamente dedicati a tali produzioni. In essi è vietata la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari. All'interno degli stabilimenti che lavorano Mozzarella di Bufala Campana DOP è vietata la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline. I produttori inseriti nel sistema di controllo della DOP comunicano all'organismo di controllo della DOP Mozzarella di Bufala Campana DOP ed all'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari gli stabilimenti esclusivamente dedicati alle produzioni bufaline di cui sopra entro il 1° gennaio 2014.

[27]   In particolare, la PDL n. 621 Russo modifica il citato articolo 4-quinquesdecies, prevedendo l'obbligo, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di effettuare la predetta produzione in stabilimenti separati ad eccezione però che per quegli stabilimenti in cui è utilizzato, per ogni tipo di produzione, esclusivamente il latte di bufala campana prodotto nell'area geografica determinata dai provvedimenti di riconoscimento della DOP..

La PDL n. 2350 Catania e altri, come l’articolo qui in esame, propone di abrogare l’articolo 4-quinquiesdecies (comma 3), sostituendolo con una nuova disciplina che impone, a decorrere dal 1 gennaio 2015, ai caseifici di mozzarella di bufala campana DOP l'obbligo di detenere nei locali dello stabilimento esclusivamente latte bufalino prodotto in allevamenti ubicati nell'area prevista dal disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana a DOP e il divieto di detenere altri tipi di latte, di bufala e di altre specie animali nonché di prodotti ottenuti dagli stessi; nonché l'obbligo di comprovare la provenienza del latte di bufala dall'area prevista dal disciplinare di produzione con un sistema di tracciabilità realizzato in conformità a quanto disposto da un apposito decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. La medesima PDL prevede la facoltà di utilizzare nello stesso stabilimento il latte di bufala proveniente dall'area prevista dal disciplinare di produzione sia per la produzione della mozzarella di bufala campana a DOP, sia per la produzione di qualsiasi altro prodotto inclusa la mozzarella di bufala generica.

[28]   Il Consorzio ha sottolineato le difficoltà di carattere economico in cui si troverebbero le aziende nell'applicare l'obbligo di separare le linee di produzione per la produzione di mozzarella DOP e di altri prodotti non certificati, pur riconoscendo la necessità di non utilizzare materie prime di origine bufalina diverse dal latte certificato idoneo come DOP.

      L’Istituto zooprofilattico sperimentale ha presentato tra l’altro una Relazione sulla contaminazione da diossine in Campania, relativa al triennio 2008/2010, nella quale ha dato indicazione delle attività di campionamento svolte finalizzate alla ricerca di diossine e furani e PCB diossina simile.

      L’Assessorato all’agricoltura della Regione Campania ha rilevato l'impianto normativo di cui all'art. 4-quinquiesdecies – pur introducendo misure tese al contrasto delle frodi – è suscettibile di determinare rilevanti difficoltà operative alle strutture di trasformazione, portando di fatto alla fuoriuscita delle stesse dal sistema delle DOP e che la norma sulla tracciabilità del latte bufalino (articolo 7 della legge n. 4/2011) rischia di gravare solo sugli allevatori non affrontando il problema di tracciare e monitorare lungo tutta la filiera i flussi di materia prima e di prodotto realizzato. L’Assessorato ha ricordato in proposito che la regione Campania, grazie ad un lavoro svolto con le associazioni di categoria, ha istituito un sistema di tracciabilità di filiera volontario

[29]   L'Associazione Italiana Allevatori elabora i dati e provvede tra l'altro alla predisposizione delle curve di lattazione di ciascun animale; al calcolo delle produzioni medie per ciascuna azienda e delle deviazioni dalle medie territoriali di riferimento; alla verifica della coerenza dei quantitativi di latte dichiarato da ciascuna azienda con il numero delle bufale attraverso l'Anagrafe Bovina; ad ogni ulteriore accertamento che gli Organi di Controllo ritengano necessario, inclusa la verifica dei dati. I risultati sono trasmessi a cura dell'AIA all'Ispettorato centrale per la tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari presso il Mipaaf con cadenza trimestrale, nonché ogni qualvolta lo stesso ne dovesse fare richiesta entro tre giorni dalla richiesta.

[30]   Il Regolamento (UE) n. 1151/2012 si applica nello specifico, ai prodotti agricoli destinati al consumo umano elencati nell’allegato I dello stesso regolamento, e ai prodotti agricoli destinati al consumo umano contenuti nell’allegato I del TFUE. Alla Commissione è comunque attribuito il potere di adottare atti che integrano l’elenco dei prodotti di cui allegato I del Regolamento (UE) n. 1151/2012.

I nomi registrati sono protetti contro qualsiasi uso commerciale diretto o indiretto, usurpazione, imitazione o evocazione tale da indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto e a ciascuno Stato membro è fatto obbligo di adottare le misure amministrative e giudiziarie adeguate per prevenire o far cessare l'uso illecito delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette, prodotte o commercializzate nello Stato stesso, nonché di designare le autorità incaricate di adottare tali misure secondo le procedure definite da ogni singolo Stato (articolo 13).

Il Regolamento (articoli 35-40)  in particolare prevede che gli Stati membri di designino le autorità competenti incaricata di effettuare i controlli ufficiali sui regimi di qualità, conformemente al Regolamento (CE) n. 882/2004, sui controlli in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.

Tali controlli devono riguardare:

     la verifica della conformità di un prodotto al corrispondente disciplinare, in particolare, anteriormente all’immissione in commercio del prodotto (articolo 37);

     il monitoraggio dell'uso di nomi registrati per designare prodotti immessi in commercio, sulla base di un’analisi di rischio(articolo 38).

Inoltre, Le autorità competenti possono delegare compiti specifici riguardanti i controlli ufficiali sui regimi di qualità a uno o più organismi di controllo, i quali sono accreditati in conformità della norma europea EN 45011 della guida ISO/CEI 65 (Requisiti generali relativi agli organismi che gestiscono sistemi di certificazione dei prodotti).

Si consideri, infine, che un ruolo nell’attività dei controlli è dato anche ai gruppi di produttori i quali possono contribuire a garantire che la qualità e l'autenticità dei propri prodotti monitorando l'uso del nome negli scambi commerciali e, se necessario, informando le autorità competenti (articolo 45).

Si ricorda al riguardo che l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari presso il Mipaff presenta annualmente una Relazione sull’attività svolta: l’ultimo Rapporto è assai recente, riguarda l’anno 2013, ed è stato pubblicato il 29 Aprile u.s.

[31]   I delitti sopra previsti sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari.

Si applicano inoltre le disposizioni sulla confisca di cui agli articoli 474-bis, e le aggravanti di cui all’articolo 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma del codice penale.

[32]   Si ricorda che l’articolo 53 del Reg. UE 178/2002 dispone che quando è manifesto che alimenti o mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente che non possa essere adeguatamente affrontato mediante misure adottate dallo Stato membro o dagli Stati membri interessati, la Commissione, agendo di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro, adotta immediatamente, in funzione della gravità della situazione, una o alcune delle seguenti misure:

a) nel caso di alimenti o mangimi di origine comunitaria:

i) sospensione dell'immissione sul mercato o dell'utilizzazione dell'alimento in questione;

ii) sospensione dell'immissione sul mercato o dell'utilizzo del mangime in questione;

iii) determinazione di condizioni particolari per l'alimento o il mangime in questione;

iv) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata;

b) nel caso di alimenti o mangimi importati da un paese terzo:

i) sospensione delle importazioni dell'alimento o del mangime in questione;

ii) determinazione di condizioni particolari per l'alimento o il mangime in questione;

iii) qualsiasi altra misura provvisoria adeguata.

Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via provvisoria le predette misure, previa consultazione dello Stato membro o degli Stati membri interessati e dopo averne informato gli altri Stati membri.

Nel tempo più breve possibile e al più tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate sono confermate, modificate, revocate o prorogate. Le motivazioni della decisione della Commissione sono pubblicate quanto prima.

[33]   Ai sensi dell’articolo 3, lett. d) del predetto D.Lgs. sono soggetti passivi IRAP i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all’articolo 32 del TUIR, esclusi quelli con volume d’affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime speciale IVA per i produttori agricoli (previsto dall’articolo 34 del D.P.R.  633/1972), sempreché non abbiano rinunciato all’esonero a norma del predetto regime (quarto periodo del comma 6 dell’articolo 34).

[34]   Il comma richiama l’articolo 2 del D.Lgs. n.99/2004, secondo il quale la ragione sociale delle società che hanno quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile devono contenere l'indicazione di società agricola.

[35]   Il comma fa riferimento alle imprese di cui all’articolo 2135 del codice civile. Secondo tale disposizione, è imprenditore agricolo colui che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge .

[36]   Si rinvia al relativo documento, disponibile al segeunte indirizzo: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/320/Sindacati_Confederali_23042014.pdf

 

[37]   Si rinvia al relativo documento, disponibile al seguente indirizzo: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/320/Sindacati_Confederali_23042014.pdf

 

[38]   Le priorità indicate dalla citata norma sono le seguenti:

a)   favorire la realizzazione di programmi strategici di ricerca, che coinvolgano prioritariamente imprese, università ed enti pubblici di ricerca, a sostegno sia della produttività dei settori industriali a maggiore capacità di esportazione o ad alto contenuto tecnologico, sia della attrazione di investimenti dall'estero e che comprendano attività di formazione per almeno il dieci per cento delle risorse;

b)   favorire la realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici, da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali;

c)   stimolare gli investimenti in ricerca delle imprese, con particolare riferimento alle imprese di piccola e media dimensione, per il sostegno di progetti di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo proposti dalle imprese stesse.

[39]   Si ricorda infatti che ai sensi del comma 358, il tasso di interesse sulle somme erogate in anticipazione da CDP S.P.A. è determinato con decreto, di natura non regolamentare, del Ministro dell'economia e delle finanze. La differenza tra il tasso così stabilito e il tasso del finanziamento agevolato, nonché gli oneri di servizio a favore di CDP S.p.A. (comma 360), sono posti, in favore della stessa Cassa, a carico del bilancio dello Stato, a valere sull'autorizzazione di spesa di cui al comma 361.

[40]   Il regolamento UE n. 1408/2013, è relativo agli aiuti de minimis nel settore della produzione primaria e della trasformazione di prodotti agricoli, relativamente il quali viene confermato in 15 mila euro il limite massimo degli aiuti. In pratica, alle imprese esercenti attività agricole si applica un limite massimo di aiuti ammessi estremamente più contenuto rispetto a quello applicabile alla generalità delle imprese (200 mila euro, ai sensi del Regolamento 1407/2013, relativo alla disciplina generale sugli aiuti de minimis).

.

[41]   Il D.L. n. 145/2013 ha infatti riformato la disciplina sulla nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dell'erogazione dei servizi (nuovo Capo 01), in sostituzione di quanto previsto dai Capi I, II e IV del D.lgs. n. 185, che sono stati conseguentemente abrogati.

Gli incentivi in questione sono stati estesi a tutto il territorio nazionale e non più alle aree svantaggiate del Paese (nuovo articolo 1).

Si consideri che le agevolazioni alla nuova imprenditorialità in agricoltura di cui al Capo III  sono già concedibili in tutto il territorio nazionale ex D.Lgs. n. 185 (articolo 9).

Per ciò che concerne le tipologie di benefici concedibili per la nuova imprenditorialità nella produzione dei beni e dei servizi, la riforma ha eliminato i contributi a fondo perduto e previsto la sola concessione di mutui agevolati per gli investimenti, a tasso zero, per una durata massima di otto anni e per un importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile ai sensi della normativa comunitaria (nuovo articolo 2).

Inoltre, ha esplicitato che l’ammissibilità degli incentivi deve essere valutata nei limiti della disciplina europea sugli aiuti di stato di importanza minore (c.d. "de minimis") (originariamente contenuta nel Reg. CE 1998/2006 e ora contenuta nel nuovo Reg. n. 1407/2013/UE del 18 dicembre 2013, con effetto dal 1° gennaio 2014).

Quanto ai requisiti soggettivi ai fini dell’accesso ai benefici essi sono costituiti dalla novità dell’impresa (imprese costituite da non più di 12 mesi dalla data di presentazione della domanda di agevolazione); la dimensione dell’impresa: deve trattarsi di imprese di micro e piccola dimensione secondo la classificazione europea, di cui all’Allegato I del Reg. CE n. 800/2008, ossia un'impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro (piccola impresa) oppure un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo e/o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro (microimpresa). Restano fermi i requisiti della costituzione in forma societaria e quello per cui la compagine societaria sia costituita, per oltre la metà numerica di soci e quote, da soggetti in età compresa tra 18 e 35 anni (nuovo art. 3).

Le iniziative finanziabili devono prevedere investimenti non superiori a 1,5 milioni di euro, nella produzione di beni nei settori dell’industria, dell’artigianato, della trasformazione dei prodotti agricoli ovvero della fornitura di servizi alle imprese, incluse le iniziative nel commercio e nel turismo, nel commercio e nel turismo, nonché iniziative relative ad ulteriori settori individuati dal decreto ministeriale di attuazione (nuovo articolo 4).

L’articolo 23 del D.Lgs. n. 185/2000 conferma l’affidamento ad INVITALIA S.p.A del compito di provvedere alla selezione delle domande e alla erogazione delle agevolazioni, nonché all’assistenza tecnica dei progetti e delle iniziative presentate.

La società INVITALIA è, dunque, il soggetto autorizzato a stipulare i contratti di finanziamento con i beneficiari delle misure agevolative. Per ciò che concerne le risorse finanziarie disponibili, la concessione delle agevolazioni è disposta a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo per le agevolazioni all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego istituito presso il MEF, derivanti dai rientri dei mutui concessi ai sensi del presente decreto. Le predette disponibilità possono essere incrementate da eventuali ulteriori risorse derivanti dalla programmazione nazionale e comunitaria (art. 4-bis). La riforma ha anche esteso dei benefici all’imprenditoria femminile. Scompare inoltre il riferimento alle cooperative di produzione e lavoro; tra i beneficiari delle agevolazioni non sono più comprese le cooperative sociali.

[42]   Si ricorda, infine che il Decreto attuativo del Ministero dell'economia e delle finanze 16 luglio 2004 n. 250, aveva disciplinato i  criteri e modalità di concessione degli incentivi in favore dell'autoimprenditorialità (ivi compresa quella agricola), di cui al Titolo I del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185.

[43]   Si ricorda che l’articolo 108 TFUE, nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato, dispone che la Commissione procede con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno. Il medesimo articolo detta a tal fine la procedura per il vaglio di tali aiuti da parte della Commissione UE.

[44]   Tale importo è di gran lunga inferiore a quello fissato (200.000 euro) nel regolamento UE n. 1407/2013, sugli aiuti de minimis (nel periodo di programmazione 2014-2020) alla generalità delle imprese esercenti attività diverse da:

a)   pesca e acquacoltura; b) produzione primaria dei prodotti agricoli; c) trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli nei casi seguenti:i)  qualora l'importo dell'aiuto sia fissato in base al prezzo o al quantitativo di tali prodotti acquistati da produttori primari o immessi sul mercato dalle imprese interessate, ii)  qualora l'aiuto sia subordinato al fatto di venire parzialmente o interamente trasferito a produttori primari;

d)   aiuti per attività connesse all'esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l'attività d'esportazione; e)  aiuti subordinati all'impiego di prodotti nazionali rispetto a quelli d'importazione.

[45]   Ai sensi di tale norma, la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine da parte di banche alle imprese può essere garantita da privilegio speciale su beni mobili, comunque destinati all'esercizio dell'impresa, non iscritti nei pubblici registri. Il privilegio può avere a oggetto: a)  impianti e opere esistenti e futuri, concessioni e beni strumentali;  b)  materie prime, prodotti in corso di lavorazione, scorte, prodotti finiti, frutti, bestiame e merci;  c)  beni comunque acquistati con il finanziamento concesso; d)  crediti, anche futuri, derivanti dalla vendita dei beni sopra indicati.

[46]   L’articolo 2135 c.c. fornisce la nozione di imprenditore agricolo. E’ imprenditore agricolo colui esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

[47]   Si ricorda che l’articolo 27, comma 11 della legge n. 488/1999 - al fine della razionalizzazione degli interventi per la imprenditorialità giovanile – ha disposto che le risorse finanziarie previste da una serie di autorizzazioni legislative di spesa  affluissero in un apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia.

Successivamente, l’articolo 25 del D.Lgs. n. 185/2000 ha disposto la rifinanziabilità del Fondo per un periodo pluriennale in Tabella D della legge finanziaria e la possibilità che il CIPE potesse destinare con proprie delibere dotazioni ulteriori al Fondo.

Inoltre, l’articolo 23, comma 3-bis del D.Lgs. n. 185/2000 ha previsto che la società Sviluppo Italia, ora Invitalia, potesse essere autorizzata dal Ministero dell'economia ad effettuare, con le modalità da esso stabilite ed a valere sulle risorse del Fondo in questione, una o più operazioni di cartolarizzazione dei crediti maturati con i mutui concessi a favore dei giovani imprenditori.

I ricavi rinvenienti dalle predette operazioni sono stati assegnati al medesimo Fondo per essere riutilizzati per gli interventi previsti dal D.Lgs. n. 185. Dell'entità e della destinazione dei ricavi la Società ha dovuto informare quadrimestralmente il CIPE.

[48]   La predetta delibera, a fine di garantire l’operatività delle misure agevolative di cui al D.Lgs. n. 185/2000 - titolo I, capo III - nelle more del loro definitivo trasferimento alle regioni, ha disposto un’assegnazione di 5 milioni di euro a favore di ISMEA, Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, con onere a valere sulle residue disponibilità del Fondo sviluppo e coesione di cui al punto 6 della delibera CIPE n. 6/2012.

[49]   Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220, recante Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agroalimentare con metodo biologico

[50]   Assieme al Reg. (CE) n. 889/2008 della Commissione sulle modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007, per quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura e i controlli; nonché al Reg. n. 1235/2008 della Commissione sulle modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007, per quanto riguarda il regime di importazione di prodotti biologici dai paesi terzi.

[51]   Si ricorda che ai sensi del D.Lgs. n. 220/1995, gli elenchi previsti, e cioè gli elenchi regionali degli operatori dell'agricoltura biologica, l'elenco nazionale, e l'elenco degli organismi di controllo autorizzati, sono dunque pubblici già oggi.

[52]   Ai sensi dell'articolo 14, comma 9, del decreto legislativo n. 99 del 2004.

[53]   Che indicava oneri pari a 5 milioni di euro per l'anno 2014, 67,4 milioni per l'anno 2015, 50,6 milioni per l'anno 2016, 37,6 milioni per l'anno 2017, 33,9 milioni per l'anno 2018, e a 29,4 milioni di euro a decorrere dall'anno 2019.

[54]   In particolare, la legge prevede l’approvazione del documento programmatico agroalimentare e l’individuazione delle risorse finanziarie statali, regionali ed europee destinate agli interventi pubblici nel settore, destinati ad accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare italiano e a promuovere politiche di sviluppo e di tutela del mondo rurale.

[55]   www.ecopneus.it/it/il-pneumatico-fuori-uso-(pfu)/contributi-ambientali-per-il-recupero-dei-pfu-2014.html

[56]   Articolo 21, comma 3, lett. c) ed f), della legge 42/2009, di delega al Governo in materia di federalismo fiscale.

[57]   Il testo originario del decreto prevede invece la certificazione da parte di un organismo tecnico terzo individuato con decreto ministeriale di cui al comma 8.

[58] Come disciplinati dall’articolo 41 del codice della strada

[59]   Gli allegati II, III e IV, rispettivamente, individuano i progetti sottoposti a VIA statale, quelli sottoposti a VIA regionale, e i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

[60]   In particolare, il comma 5 prevede la presentazione di una relazione con i risultati delle indagini svolte e delle metodologie usate, contenente anche una proposta sui possibili interventi di bonifica, sui tempi e sui relativi costi. Entro trenta giorni dalla presentazione  si prevede che con una ulteriore direttiva dei Ministri delle politiche agricole, dell'ambiente e della salute, d'intesa con il Presidente della regione Campania, possono essere indicati altri terreni della regione Campania, destinati all'agricoltura o utilizzati ad uso agricolo, anche temporaneo, negli ultimi venti anni, da sottoporre alle indagini tecniche. In questo caso,  nei successivi novanta giorni, gli enti competenti presentano una relazione riguardante i restanti terreni oggetto dell'indagine.

[61]   Il comma 2 contempla il termine di 6 mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. 108/2013 avvenuta il 12 ottobre 2013 in virtù dell’avvenuta pubblicazione della G.U. 27 settembre 2013, n. 227.

[62]   Per una ricostruzione completa della normativa nazionale e sovranazionale per la protezione della fascia di ozono si rinvia al sito web del Ministero dell’ambiente al link www.minambiente.it/pagina/normativa.

[63]   Ai sensi dell’art. 1 del D.M. 37/2008 il medesimo decreto si applica ai seguenti impianti posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla destinazione d'uso, collocati all'interno degli stessi o delle relative pertinenze: impianti elettrici ed elettronici; impianti di riscaldamento e climatizzazione, impianti idrici e sanitari; impianti per la distribuzione e l'utilizzazione di gas; impianti di sollevamento e impianti di protezione antincendio.

[64]   Il valore di soglia è così quantificato dall’art. 283, comma 1, lettera g), del D.Lgs. 152/2006.

[65]   Secondo quanto riportato nel sito del Ministero dell’ambiente (www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/trasparenza_valutazione_merito/VIA-VAS-2011-2014_link.pdf) il mandato dei componenti in carica è cessato lo scorso 22 luglio.

[66]   www.dps.gov.it/it/pongat/progetti_avviati/ReteAmbientale/

[67]   Ai sensi dell’art. 1 del D.M. 1° febbraio 2006 (Norme di attuazione della L. 2 aprile 1968, n. 518, concernente la liberalizzazione dell'uso delle aree di atterraggio).

[68]   Relativamente al traffico ferroviario, il D.P.R. 18 novembre 1998, n. 459, relativamente alle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche, il D.P.R. 3 aprile 2001, n. 304 e, relativamente al traffico veicolare, il D.P.R. 30 marzo 2004, n. 142.

[69]   Analoghe disposizioni di semplificazione sono contenute nell'art. 18 dell’A.S. 958 (c.d. ddl semplificazione).

[70]   In seguito all’emanazione del D.M. 11 gennaio 2013, il numero dei SIN è sceso da 57 a 39. Per gli altri 18 SIN, che non soddisfano più i requisiti previsti dal D.L. 83/2012 (in attuazione del quale è stato emanato il citato D.M.), è previsto il trasferimento alla competenza regionale.

[71]   I BREF adottati dall’UE sono disponibili al link http://eippcb.jrc.ec.europa.eu/reference/.

[72]   Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento (Doc. XXVII, n. 29), trasmessa alla Camera l'11 marzo 2011 (www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/027/029_RS/intero_com.pdf).

[73]   Informazioni tratte dal documento "Interoperabilità SISTRI - Documento di specifica delle interfacce” del 28 marzo 2014, disponibile al link:
www.sistri.it/Documenti/Allegati/INTEROPERABILITA_SPECIFICA_INTERFACCE.pdf.

[74]   Si ricorda altresì che in seguito alla procedura di infrazione avviata a carico dell’Italia nel 2007 la Commissione europea ha deciso di sospendere il pagamento di 135 milioni di contributi Ue, che dal 2006 al 2013 avrebbero dovuto finanziare i progetti relativi ai rifiuti, e di altri 10,5 milioni del periodo 2000-2006 che sono stati aboliti.

[75]   È fatto salvo quanto disposto dall'articolo 112 del Codice dell’ambiente e dalla relativa disciplina di attuazione sui criteri e sulle norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, considerando anche gli standard di qualità relativi alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento, di cui al D.Lgs. n. 30/2009, e gli esiti delle indagini e delle attività effettuate ai sensi del medesimo decreto legislativo.

[76] Il metro stero (ms) è un’unità di misura di volume utilizzata per il legname impilato, corrispondente ad un volume complessivo di un metro cubo, comprensivo degli interstizi vuoti. Il peso e la quantità di legno contenuta in un metro stero dipendono dal tipo e dalla forma del legname e dalla cura con cui viene accatastato. P.es. un metro stero di legna in tondelli lunghi un metro corrisponde a circa 0,7 metri cubi di legno. Un metro stero di legna “di una buona latifoglia, ad umidità del 20%, pesa tra 3,2 e 4,8 quintali” (L. Ilarioni, Il legno come combustibile: caratteristiche energetiche e di prodotto, in SILVAE – Rivista tecnico-scientifica del Corpo forestale dello Stato – n. 7/2007).

 

[77]   L’art. 3, comma 1, del D.L. 136/2013 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate) ha introdotto nel testo del Codice dell’ambiente un nuovo articolo 256-bis finalizzato ad introdurre pene più severe per la combustione illecita di rifiuti.

[78]   www.regione.abruzzo.it/xambiente/docs/rifiutiCircolari/CircolareRifiutiSpiaggiati_n1_7mar2011.pdf

[79]   Tale direttiva è stata recentemente modificata in più parti dalla direttiva 2014/52/UE, che dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 16 maggio 2017.

[80]   In relazione a tale procedura di infrazione si segnala che il 28 marzo 2014 la Commissione ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato.

[81]   La Commissione rileva profili di non conformità anche in relazione all’articolo 1, par. 2 (nozione di progetto) e all’articolo 6, paragrafo 2 (informazione del pubblico) della direttiva VIA.

[82]   Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri (tutti gli Stati membri hanno aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione. Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione

[83]   Quanto all'attuazione nazionale del regime europeo della caccia in deroga, l’articolo 19-bis della legge n. 157/1992 prevede che sono le regioni e le province autonome che possono disporre le deroghe consentite dalla direttiva 2009/147/CE con provvedimento amministrativo, sulla base di un’analisi puntuale dei presupposti e delle condizioni che ne giustificano l’adozione, dando conto dell’assenza di altre soluzioni soddisfacenti. Inoltre le deroghe possono essere disposte in via eccezionale e per periodi limitati. Le deroghe devono inoltre menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le particolari forme di vigilanza e gli organi incaricati della stessa, fermo restando quanto previsto dall'articolo 27, comma 2, in materia di soggetti competenti alla vigilanza venatoria.  I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni le quali prevedono sistemi periodici di verifica allo scopo di sospendere tempestivamente il provvedimento di deroga qualora sia accertato il raggiungimento del numero dei capi autorizzato al prelievo. Le deroghe sono adottate sentito l’ISPRA e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in diminuzione. Nei limiti stabiliti dall’ISPRA, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dispone la ripartizione tra le regioni interessate del numero dei capi prelevabili per ciascuna specie. Il provvedimento di deroga è pubblicato e comunicato al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare; il Presidente del Consiglio dei Ministri ha la facoltà di diffidare la regione interessata ad adeguare i provvedimenti di deroga adottati in violazione delle disposizioni della legge n. 157 del 1992 e della direttiva 2009/147/CE, pena l'annullamento. Le deroghe adottate ai fini di studio e di ripopolamento non necessitano della determinazione annuale da parte dell' ISPRA della piccola quantità, né della conseguente ripartizione fra le regioni da parte della Conferenza Stato-Regioni.

[84]   Si ricorda che, il secondo periodo del comma 3 prevedeva anch’esso che l’autorizzazione alla gestione degli impianti fosse concessa dalle regioni, ma su parere su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica.

[85]   Si ricorda che l’articolo 8 della predetta direttiva - per quanto riguarda la caccia, la cattura o l'uccisione di uccelli – impone agli Stati membri di vietare il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto o metodo di cattura o di uccisione in massa o non selettiva o che possa portare localmente all'estinzione di una specie, in particolare quelli elencati all'allegato IV.

[86]   Il comma 2  consente, altresì, l'uso del fucile a due o tre canne (combinato), di cui una o due ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6, nonché l'uso dell'arco e del falco. Inoltre, ai sensi del comma 3, i bossoli delle cartucce devono essere recuperati dal cacciatore e non lasciati sul luogo di caccia.  Nella zona faunistica delle Alpi è vietato l'uso del fucile con canna ad anima liscia a ripetizione semiautomatica salvo che il relativo caricatore sia adattato in modo da non contenere più di un colpo (comma 4).  Tutte le armi e tutti i mezzi per l'esercizio venatorio non esplicitamente indicati nell’articolo 13 sono vietati (comma 5).  Il titolare della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia è autorizzato, per l'esercizio venatorio, a portare, oltre alle armi consentite, gli utensili da punta e da taglio atti alle esigenze venatorie(comma 6).

[87]   Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri (tutti gli Stati membri hanno aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione. Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

[88]   Corte Costituzionale (sentenza n. 165/2009), TAR della Lombardia (sentenza n. 172/2011) e Corte di Cassazione (sentenza n. 10528/2009).

[89]   Inoltre, le normative regionali sono in contrasto anche con la legge n. 157/1992 che, all’articolo 19-bis, vieta esplicitamente l’uso di deroghe per specie di uccelli la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.

[90]   La scarsità dei controlli effettuati sarebbe provata anche dalla documentazione trasmessa alla Commissione.

[91]   La convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa del Consiglio d’Europa è stata adottata il 19 settembre 1979 a Berna, in Svizzera ed è entrata in vigore il 1° giugno 1982.

[92] La norma reca contenuto analogo all’articolo 14 del disegno di legge europea bis, attualmente all’esame del Senato.

[93] Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -,  trasmette le richieste di informazione agli  Stati membri (tutti gli Stati membri hanno aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione. Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE  e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

[94]   AS 1533.

[95]   Il sistema EU PILOT (strumento informatico EU pilot - IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale - che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio -, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri (tutti gli Stati membri hanno aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione. Il sistema viene utilizzato quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente e non permette il formarsi di un’opinione chiara sulla corretta applicazione del diritto UE e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza dovere ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

[96]   Si segnala che lo scorso 20 febbraio la Commissione europea ha presentato una relazione (COM(2014)97) sulla prima fase di attuazione della direttiva quadro (2008/56/CE) sulla strategia per l’ambiente marino (MSFD).

[97]   La norma in questione prevede che possano considerarsi compatibili con il mercato interno gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.

[98]   D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[99]   L'articolo 2389, terzo comma c.c. prevede che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

[100]  La norma fa riferimento all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n.165/2001: si tratta di tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al D.Lgs. n. 300/1999.

[101]  L’Avvocatura ha infatti ritenuto che l’articolo 34, comma 38, del D.L. n. 179/2012 operi anche per le società che hanno emesso strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati dopo il 19 dicembre 2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 179/2012, legge n. 221/2012, con la quale è stata introdotta la disposizione qui in commento.

[102] Si tratta delle disposizioni contenute al comma 3 dell’art. 117 del D.Lgs. n. 163 del 2006, nonché di quelle contenute agli articoli 69 e 70 del Regio decreto n. 2440 del 1923.

[103]  Il decreto-legge n. 61/2013 prevede una disciplina generale che a tutt’oggi è stata applicata solamente con riferimento all’ILVA S.p.A. (cfr. art. 2 del medesimo decreto-legge).

[104]  Trattasi del “piano industriale di conformazione delle attività produttive” che, secondo il disposto dell’art. 1, comma 6, del D.L. 61/2013, consente la continuazione dell'attività produttiva nel rispetto delle prescrizioni del c.d. piano ambientale.

[105]  D.L. 4 giugno 2013, n. 61, Nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale, convertito, con modificazioni, dall’ art. 1, comma 1, L. 3 agosto 2013, n. 89.

[106]  Acronimo anglosassone di Best Available Techniques.

[107]  Tutti i testi delle autorizzazioni integrate ambientali sono disponibili sul sito del Ministero dell’ambiente al link:

http://aia.minambiente.it/DettaglioImpiantoPub.aspx?id=90.

[108]  Vale a dire 19 mesi dall’entrata in vigore del piano, avvenuta l’8 maggio 2014. Il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella G.U. n.105 dell’8 maggio 2014, è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, per esplicita disposizione dell’art. 4 del medesimo decreto.

[109]  Vale a dire 6 mesi dall’entrata in vigore del piano, avvenuta l’8 maggio 2014. Il D.P.C.M. 14 marzo 2014, pubblicato nella G.U. n.105 dell’8 maggio 2014, è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, per esplicita disposizione dell’art. 4 del medesimo decreto.

[110]  Il Mercato del Giorno Prima è finalizzato principalmente allo scambio di energia all'ingrosso tra produttori e grossisti (o clienti idonei), e si svolge nella mattinata del giorno precedente a quello di consegna.

[111]  Una macrozona è un’aggregazione di zone geografiche e/o virtuali definita convenzionalmente ai fini della produzione di indici statistici del mercato e caratterizzata da una bassa frequenza di separazioni e da un omogeneo andamento dei prezzi di vendita. Dal 2009 le macrozone sono: Nord, Sicilia, Sardegna e Sud.

[112]  L’articolo 33, comma 1, della legge 99/09, definisce le condizioni per l'identificazione RIU:

a.      rete esistente, autorizzata o per la quale siano stati avviati i lavori di realizzazione al 15 agosto 2009;

b.      connette unità di consumo industriali, ovvero connette unità di consumo industriali e unità di produzione di energia elettrica funzionalmente essenziali per il processo produttivo industriale, purché esse siano ricomprese in aree insistenti sul territorio di non più di tre comuni adiacenti, ovvero di non più di tre province adiacenti nel solo caso in cui le unità di produzione siano alimentate da fonti rinnovabili;

c.      non è sottoposta all'obbligo di connessione di terzi, fermo restando il diritto di ciascuno dei soggetti ricompresi nella medesima rete di connettersi, in alternativa, alla rete con obbligo di connessione di terzi;

d.      è collegata tramite uno o più punti di connessione a una rete con obbligo di connessione di terzi a tensione nominale non inferiore a 120 kV;

e.      ha un soggetto responsabile che agisce come unico gestore della medesima rete. Tale soggetto può essere diverso dai soggetti titolari delle unità di consumo o di produzione, ma non può essere titolare di concessioni di trasmissione e dispacciamento o di distribuzione di energia elettrica.

[113]  L’articolo 2 del D.Lgs. 115/2008 definisce il SEU come un sistema in cui un impianto di produzione di energia elettrica, con potenza nominale non superiore a 20 MWe e complessivamente installata sullo stesso sito, alimentato da fonti rinnovabili ovvero in assetto cogenerativo ad alto rendimento, anche nella titolarità di un soggetto diverso dal cliente finale, è direttamente connesso, per il tramite di un collegamento privato senza obbligo di connessione di terzi, all'impianto per il consumo di un solo cliente finale ed è realizzato all'interno dell'area di proprietà o nella piena disponibilità del medesimo cliente.

[114]  Si tratta dei sistemi che soddisfano le seguenti condizioni:

a)   sono sistemi esistenti, autorizzati o per i quali sono stati avviati i lavori di realizzazione entro il 4 luglio 2008.

b)   hanno una configurazione conforme alla definizione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera t) o, in alternativa, connettono, per il tramite di un collegamento privato senza obbligo di connessione di terzi, esclusivamente unità di produzione e di consumo di energia elettrica nella titolarità del medesimo soggetto giuridico.

[115]  Questo è il motivo per cui, con la deliberazione 578/2013/R/eel, l’Autorità ha previsto che, nei casi di sistemi semplici di produzione e consumo diversi dai SEU e dai SEESEU, si regoli direttamente con Cassa Conguaglio per il settore elettrico (e non per il tramite delle imprese distributrici e delle società di vendita) la differenza tra il totale derivante dall’applicazione degli oneri generali di sistema ai consumi e il totale derivante dall’applicazione degli oneri generali di sistema ai prelievi di energia elettrica. Naturalmente un simile approccio è sostenibile se le configurazioni per cui gli oneri generali di sistema si applicano ai consumi sono poco numerose.

[116]  Dovrebbero infatti essere definiti, in tutti i casi, appositi algoritmi finalizzati a calcolare la quantità di energia elettrica consumata a partire dai dati di misura dell’energia elettrica immessa, prodotta e prelevata, oppure dovrebbe essere misurata l’energia elettrica consumata installando appositi misuratori ove possibile. In più si dovrebbe utilizzare l’energia elettrica prelevata ai fini dell’applicazione dei corrispettivi di trasporto, e contestualmente si dovrebbe utilizzare anche l’energia elettrica consumata ai fini dell’applicazione degli oneri generali di sistema, raddoppiando i dati di misura complessivamente necessari ai fini delle fatturazioni.

[117]  Si veda l’articolo 44 dell’allegato A (TIT) della delibera 348/2007.

[118]  Si vedano le tabelle allegate alla delibera 327/2013 dell’AEEGSI. Gli oneri annui per i rimborsi, che all’inizio del percorso di decalage nel 2007 erano circa 42 milioni di euro (delibera 348/2007, relazione AIR, punto 17.11), nel 2013 sono di circa 21 milioni di euro. Il progressivo riassorbimento è dunque arrivato a metà.

[119]  Quest’ultimo provvedimento è stato impugnato dall’associazione delle imprese elettriche minori. Il contenzioso, che è tuttora in corso, si è concentrato sulle norme volte alla liberalizzazione dell’attività di vendita di energia elettrica sulle reti non interconnesse.

[120]  Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia.

[121]  Il D.P.R. n. 730/1963 individua i complessi dei beni mobili ed immobili, destinati alla produzione di energia elettrica, esercitati dall'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, da trasferire all'ENEL ai sensi della legge 1643/1962 sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica. L’articolo 4 del DPR dispone che la fornitura dell'energia elettrica occorrente all'Amministrazione delle ferrovie dello Stato per il proprio fabbisogno è assicurata alle condizioni che sono stabilite in apposita convenzione fra l'Amministrazione delle ferrovie dello Stato e l'ENEL.

[122] L’Autorità di regolazione dei trasporti, istituita dall’articolo 37 del decreto-legge 201/2011, è competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori.

[123]  Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2011/77/CE e 2003/30/CE.

[124]  non ricadenti fra quelli di cui all'articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

[125]  Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica.

[126]  L’articolo 5 del D.Lgs. n. 28/2011 dispone che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all'autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del D.Lgs. n. 387/2003 (come modificato dallo stesso D.Lgs. n. 28), rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. Ai sensi di tale articolo 12, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico, fatto salvo il previo espletamento, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare (qualora prevista), non può essere superiore a novanta giorni, al netto dei tempi previsti per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale.

[127]  Ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 28/2011, che disciplina la procedura abilitativa semplificata, il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.

 Il Comune, ove entro il termine di 30 giorni sopra indicato, riscontri l'assenza di una o più delle condizioni necessarie, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione da parte dell’interessato, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita.

[128]  Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, comma 4 del citato D.M., per capacità produttiva di un impianto di biometano si intende la produzione oraria nominale di biometano, espressa in standard metri cubi/ora, come risultante dalla targa del dispositivo di depurazione e raffinazione del biogas. Lo standard metro cubo (Smc) è la quantità di gas contenuta in un metro cubo a condizioni standard di temperatura (15 C°) e pressione (1.013,25 millibar).

[129]  Nel testo originario del decreto il limite era di 100 standard metri cubi/ora.

[130] Ai sensi dell’articolo 13 del Regolamento REMIT, tali poteri avrebbero dovuto essere attribuiti alle autorità di regolazione nazionali entro il 29 giugno 2013. Gli altri principali paesi hanno già provveduto in tal senso mentre l’Italia è in ritardo di ormai un anno.

Ciò – ha affermato l’Autorità - rischia di svuotare di contenuto l’attività di monitoraggio e di contrasto agli abusi, con possibili ripercussioni gravi per il buon andamento dei mercati e, in ultima istanza, per i consumatori europei.

La disciplina sanzionatoria attualmente definita nel Disegno di legge “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013 bis” (AS 1533), all’esame del Senato, prevede ai commi 4 e 5 dell’art 22, che l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico possa irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che pongano in essere condotte espressamente vietate dal REMIT (manipolazioni dei mercati energetici o insider trading).Tuttavia, nella versione del DDL in discussione, il potere sanzionatorio dell’Autorità può essere esercitato solo se il fatto non costituisce reato.

Nel nostro ordinamento le condotte manipolative dei mercati energetici assumono rilevanza penale ai sensi degli articoli 501 e 501-bis del Codice Penale; la presenza della clausola “salvo che il fatto costituisca reato” inibisce quindi l’avvio del procedimento sanzionatorio di competenza dell’autorità di regolazione nazionale.

Tale procedimento, pertanto, non potrebbe mai avere luogo, rendendo di fatto inapplicabile la disposizione di legge.

[131]  L’aiuto temporaneo è definito all’art. 110-octodecies del regolamento 1782/2003 introdotto dall’articolo 1 punto 15) del regolamento n. 319/2006.

[132]  Protocollo quadro nazionale per il settore industriale saccarifero dell’8 febbraio 2006       .

[133]  D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, “Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa”.

[134]  Il Comitato è stato per la rima volta istituito con DPCM del 30 ottobre 2006.

[135]  Il DM 23 gennaio 2012 definisce “Sistema di rintracciabilità” il sistema costituito da tutti i dati e le operazioni (procedure) che consentono di mantenere le informazioni desiderate su un prodotto attraverso tutta o parte della sua catena di consegna e utilizzo successivo.

[136]  Regolamento che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell'ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e che modifica i regolamenti (CE) n. 1290/2005, (CE) n. 247/2006, (CE) n. 378/2007 e abroga il regolamento (CE) n. 1782/2003.

[137]  Articolo 37, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n.89.

[138] Erroneamente numerato comma 3 nel testo del decreto legge.

[139]  che disciplina la materia con la direttiva 1997/67/CE, come da ultimo modificata dalla direttiva 2008/6/CE.

[140]  Sono definiti uffici di controllo, gli Uffici centrali del bilancio (costituiti presso ciascuna amministrazione centrale), l'Ufficio centrale di ragioneria presso l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e le Ragionerie territoriali dello Stato. Ad essi è affidato il compito di effettuare il controllo di regolarità amministrativa e contabile sugli atti adottati dalle amministrazioni statali centrali e periferiche (D.Lgs. 123/2011, art. 3).

[141]  "Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza".

[142]  "Interventi urgenti per l'economia".

[143]  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[144]  L. 12 novembre 2011, n. 183, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012).

[145]  Per poter utilizzare la denominazione “società tra professionisti”, la società deve prevedere nell’atto costitutivo i seguenti requisiti: a) esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci; b) possono assumere la qualifica di socio soltanto i professionisti iscritti ad ordini, albi o collegi, nonché i cittadini di Stati membri dell’UE in possesso del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione; sono peraltro ammessi soci non professionisti per lo svolgimento di prestazioni tecniche ovvero per finalità di investimento; c) definizione di modalità tali da garantire che la singola prestazione professionale sarà eseguita dai soci in possesso dei requisiti e che l’utente possa scegliere all’interno della società il professionista che dovrà seguirlo o, in mancanza di scelta, riceva preventiva comunicazione scritta del nominativo del professionista; d) definizione di modalità che garantiscano che il socio radiato dal proprio ordine professionale sia anche escluso dalla società.

[146]  D.M. 8 febbraio 2013, n. 34, Regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183.