Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia , Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - D.L. 69/2013 ' A.C. 1248-A - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1248-A/XVII   AC N. 1248/XVII
DL N. 69 DEL 21-GIU-13     
Serie: Progetti di legge    Numero: 36    Progressivo: 1
Data: 22/07/2013
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2013 0069   POLITICA ECONOMICA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti
per il rilancio dell’economia

D.L. 69/2013 – A.C. 1248-A

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 36/1

 

 

 

22 luglio 2013

 


Servizio Studi

Area Istituzionale

( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it; @CD_giustizia

Area Finanza pubblica

( 066760-2233 / 066760-9496 – * st_bilancio@camera.it; @CD_bilancio

 

 

 

N.B.: Il presente dossier è basato sul testo dell’A.C. 1248-A esaminato in Aula il 22 luglio 2013

 

 

 

 

 

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D13069a.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 del ddl di conversione. 3

§      Articolo 1 (Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese) 4

§      Articolo 2 (Finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese) 8

§      Articolo 3 (Rifinanziamento dei contratti di sviluppo) 11

§      Articolo 3-bis (Misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale) 14

§      Articolo 4 (Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale e nei carburanti) 16

§      Articolo 5 (Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica ed estensione della c.d. Robin Hood Tax) 19

§      Articolo 6 (Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra) 24

§      Articolo 7 (Imprese miste per lo sviluppo) 30

§      Articolo 8 (Partenariati) 33

§      Articolo 9, commi 1-3 (Accelerazione nell’utilizzazione dei fondi comunitari) 34

§      Articolo 9, comma 5 (Risorse del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza ) 40

§      Articolo 9-bis (Attuazione rafforzata degli interventi per lo sviluppo e la coesione territoriale) 41

§      Articolo 10 (Offerta di accesso ad Internet tramite WiFi) 44

§      Articolo 11 (Proroga del credito d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico) 49

§      Articolo 11-bis (Misure economiche di natura compensativa alle televisioni locali) 51

§      Articolo 12 (Ricapitalizzazione della Società di Gestione del risparmio ) 52

§      Articolo 12-bis (Limiti ai compensi degli amministratori delle società che svolgono servizi di interesse generale, controllate dalle PP.AA.) 53

§      Articolo 12-ter (Sostegno alle imprese creditrici dei comuni dissestati) 56

§      Articolo 13 (Governance dell’Agenda digitale Italiana) 58

§      Articolo 13-bis (Piattaforme accreditate per gli acquisti di beni e servizi ICT) 65

§      Articolo 14 (Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale) 68

§      Articolo 15 (Commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività) 71

§      Articolo 16 (Razionalizzazione dei CED Centri elaborazione dati – Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179) 72

§      Articolo 16-bis (Accesso alle banche dati pubbliche - Modifiche al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141) 73

§      Articolo 17 (Misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico) 75

§      Articolo 17-bis (Modifiche alla legge 13 luglio 1966 n. 559 recante "Nuovo ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato”) 78

§      Articolo 17-ter (Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale ) 79

§      Articolo 18, commi da 1-3, 11 e 12 e articolo 25, comma 11-bis (Istituzione di un Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili) 81

§      Articolo 18, comma 4 (Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone) 87

§      Articolo 18, comma 5 (Assegnazione di risorse alla società concessionaria Strada dei parchi S.p.A.) 89

§      Articolo 18, comma 6 (Disposizioni concernenti la linea C della metropolitana di Roma) 91

§      Articolo 18, comma 7 (Contrattualizzazione di interventi cantierabili del Gruppo Ferrovie dello Stato) 93

§      Articolo 18, commi 8-8 sexies (Interventi per l’edilizia scolastica) 94

§      Articolo 18, commi 9 e 9-bis (Primo Programma “6000 campanili”) 100

§      Articolo 18, comma 10 (Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA) 102

§      Articolo 18, commi 13-14-bis (Copertura finanziaria e relazione alle Camere da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) 104

§      Articolo 19, commi 1 e 2 (Disposizioni in materia di concessioni di lavori pubblici) 109

§      Articolo 19, commi 3-5 (Incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture) 113

§      Articolo 20 (Riprogrammazione interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale) 117

§      Articolo 21 (Differimento dell’operatività della garanzia globale di esecuzione) 122

§      Articolo 22 (Misure per l’aumento della produttività nei porti) 123

§      Articolo 23 (Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico) 126

§      Articolo 24 (Disposizioni in materia ferroviaria) 130

§      Articolo 25, commi 1-4 e 7-8 (Disposizioni conseguenti alla soppressione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali) 135

§      Articolo 25, comma 5 (Utilizzo di risorse per i contratti di servizio con l’ENAV) 139

§      Articolo 25 commi 5-bis e 5-ter (Accordo di Programma per la delocalizzazione delle abitazioni intercluse nel sedime dell’Aeroporto di Pisa) 140

§      Articolo 25 comma 6 (Sicurezza grandi dighe) 142

§      Articolo 25, commi 9-11 (Collegamenti marittimi con le isole minori della Sicilia) 144

§      Articolo 25 comma 11-ter (Adeguamento della SS “Telesina” e del collegamento Termoli San Vittore) 146

§      Articolo 25, comma 11-quater (Inquinamento acustico delle aviosuperfici) 148

§      Articolo 25 commi 11-quinquies e 11-sexies (Trasporto pubblico locale) 150

§      Articolo 26 (Proroghe in materia di appalti pubblici) 153

§      Articolo 26-bis (Suddivisione in lotti) 156

§      Articolo 26-ter (Anticipazione del prezzo negli appalti di lavori) 158

§      Articolo 27 (Semplificazione in materia di procedura CIPE e concessioni autostradali) 159

§      Articolo 28 (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento) 162

§      Articolo 29 (Data unica di efficacia degli obblighi) 167

§      Articolo 29-bis (Interpretazione autentica dell’articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di incompatibilità) 170

§      Articolo 30 (Semplificazioni in materia edilizia) 172

§      Articolo 31 (Disposizioni in materia di D.U.R.C.) 179

§      Articoli 32 e 35 (Disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro) 182

§      Articolo 33 (Semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia) 191

§      Articolo 34 (Trasmissione telematica di specifici certificati medici) 194

§      Articolo 36 (Proroga di organismi di I.N.P.S. ed I.N.A.I.L.) 195

§      Articolo 37 (Zone a burocrazia zero) 196

§      Articolo 38 (Disposizioni in materia di prevenzione incendi) 198

§      Articolo 39 (Uso individuale dei beni culturali, autorizzazione paesaggistica, ARCUS) 200

§      Articolo 40 (Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) 205

§      Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale) 206

§      Articolo 41-bis (Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo) 215

§      Articolo 41-ter (Norme ambientali per gli impianti ad inquinamento scarsamente significativo) 218

§      Articolo 42 (Soppressione di certificazioni sanitarie) 220

§      Articolo 42-bis (Verifica delle invalidità) 221

§      Articolo 42-ter (Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto) 222

§      Articolo 43 (Disposizioni in materia di trapianti) 224

§      Articolo 45 (Omologazioni delle macchine agricole) 229

§      Articolo 45-bis (Abilitazione all’uso di macchine agricole) 230

§      Articolo 46 (EXPO Milano 2015) 231

§      Articolo 47 (Fondo impianti sportivi) 234

§      Articolo 47-bis (Misure per garantire la piena funzionalità e semplificare l’attività della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi) 236

§      Articolo 48 (Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale) 240

§      Articolo 49 (Proroga e differimento di termini in materia di spending review) 242

§      Articolo 49-bis (Misure per il rafforzamento della spending review) 248

§      Articolo 49-ter (Acquisizione della documentazione attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici) 251

§      Articolo 49-quater (Anticipazione di liquidità in favore dell’Associazione italiana della Croce Rossa) 252

§      Articolo 50 (Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti) 255

§      Articolo 50-bis (Semplificazione della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA) 259

§      Articolo 51 (Soppressione dell’obbligo di presentazione mensile del Modello 770) 262

§      Articolo 51-bis (Ampliamento assistenza fiscale) 264

§      Articolo 52 (Disposizioni per la riscossione mediante ruolo) 265

§      Articolo 53 (Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate) 274

§      Articolo 54, comma 1 (Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard degli enti locali) 276

§      Articolo 54, comma 1-bis (Svolgimento del servizio di tesoreria nei confronti degli enti locali) 278

§      Articolo 54-bis (Modifiche alla legge 6 novembre 2012, n. 190) 280

§      Articolo 54-ter (Modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39) 284

§      Articolo 55 (Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzie di viaggio) 287

§      Articolo 56 (Proroga termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie) 289

§      Articolo 56-bis (Semplificazione delle procedure in materia di trasferimenti di immobili agli enti territoriali) 291

§      Articolo 57 (Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese ) 295

§      Articolo 57-bis (Personale scolastico collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica) 297

§      Articolo 58, commi 1, 2, 4-7 (Turn over nelle università e negli enti di ricerca) 298

§      Articolo 58, comma 3 (Chiamate dirette nelle università) 301

§      Articolo 58, comma 7-bis (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) 302

§      Articolo 59 (Borse per la mobilità degli studenti universitari) 303

§      Articolo 59-bis (Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli) 306

§      Articolo 60 (Sistema di finanziamento delle università e dell’ANVUR e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca) 309

§      Articolo 61 (Copertura finanziaria) 315

§      Articolo 62 (Istituzione dei giudici ausiliari: finalità e ambito di applicazione) 320

§      Articolo 63 (Giudici ausiliari) 321

§      Articolo 64 (Requisiti per la nomina a giudice ausiliario) 323

§      Articolo 65 (Pianta organica dei giudici ausiliari. Domande per la nomina a giudici ausiliari) 325

§      Articolo 66 (Presa di possesso dell’ufficio da parte del giudice ausiliario) 327

§      Articolo 67 (Durata dell’ufficio di giudice ausiliario) 328

§      Articolo 68 (Collegi e provvedimenti. Monitoraggio) 329

§      Articolo 69 (Incompatibilità ed ineleggibilità) 330

§      Articolo 70 (Astensione e ricusazione) 331

§      Articolo 71 (Decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca dei giudici ausiliari) 332

§      Articolo 72 (Stato giuridico e indennità dei giudici ausiliari) 333

§      Articolo 73 (Formazione presso gli uffici giudiziari) 334

§      Articolo 74 (Magistrati assistenti di studio della Corte di Cassazione) 339

§      Articolo 75 (Intervento del pubblico ministero nei giudizi civili dinanzi alla Corte di Cassazione) 342

§      Articolo 76 (Divisione della comunione) 343

§      Articolo 77 (Conciliazione giudiziale) 345

§      Articolo 78 (Misure per la tutela del credito) 347

§      Articolo 79 (Semplificazione della motivazione della sentenza civile) 349

§      Articolo 80 (Foro delle società con sede all’estero (Soppresso)) 350

§      Articolo 81 (Pubblico ministero presso la Cassazione) 351

§      Articolo 82 (Concordato preventivo) 352

§      Articolo 83 (Abilitazione all’esercizio della professione di avvocato: commissari d’esame) 357

§      Articolo 84 (Misure in materia di mediazione civile e commerciale) 358

§      Articolo 84-bis (Mediazione nelle controversie in tema di usucapione) 366

§      Articolo 85 (Copertura finanziaria) 367

 


Schede di lettura


 

Articolo 1 del ddl di conversione

 

Il comma 1-bis fa salvi gli atti, i provvedimenti ed i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme non convertite in legge del decreto legge 72/2013, che, a seguito della sostanziale trasposizione del suo contenuto normativo all’interno dell’articolo 3-bis, appare destinato a decadere.


 

Articolo 1
(Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese)

 

L’articolo 1, al fine dichiarato di potenziare gli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, contiene disposizioni non immediatamente applicative, esplicitando le finalità, nonché i principi e criteri cui deve attenersi il Governo - tramite l’emanazione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze – per la definizione di misure volte:

§      ad ampliare le possibilità di accesso al credito da parte delle PMI (lettera a);

§      a limitare il rilascio della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione (lettera b).

§      prevedere specifici criteri di valutazione ai fini dell'accesso alla garanzia del Fondo da parte delle imprese sociali di cui al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, nonché delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 (lettera b-bis, aggiunta durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera).

 

Il decreto ministeriale cui è demandata la definizione delle disposizioni operative deve essere emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame.

 

Il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato costituito con legge n. 662/96 (art.2, comma 100, lettera a) con lo scopo di: “assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese”. L’impatto sulle imprese è quindi quello di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica.

A fine 2011, il Governo ha previsto la riforma e il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le PMI: con gli articoli 33 e 39 del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 (cosiddetto Salva Italia), il plafond complessivo del Fondo è stato incrementato (rifinanziamento di 400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013, 2014) e sono state previste misure innovative. In attuazione delle citate disposizioni è stato adottato il D.M. 26 giugno 2012. Tale decreto individua, per gli interventi del Fondo, in relazione a tipologie di operazioni finanziarie, categorie di imprese beneficiarie, settori economici di appartenenza e aree geografiche: la misura della copertura degli interventi di garanzia e controgaranzia; la misura della copertura massima delle perdite; l'importo massimo garantito per singola impresa; la misura delle commissioni per l'accesso alla garanzia. È altresì definita la misura minima dell'accantonamento da operare, a titolo di coefficiente di rischio, per ogni operazione finanziaria ammessa alla garanzia del Fondo.

 

La prima finalità, ossia quella di ampliare la platea di imprese potenziali beneficiarie del Fondo, individuata dall’articolo 1, comma 1, lettera a), viene specificata, con l’esplicitazione di alcuni criteri direttivi.

 

Il primo criterio indicato per l’ampliamento dell’accesso al credito, di cui all’art.1, comma 1, lettera a, n.1) è l'aggiornamento delle regole d'accesso, con riferimento alla valutazione delle imprese ammesse e alla misura dell’accantonamento a titolo di coefficiente di rischio. Tale aggiornamento è effettuato «in funzione del ciclo economico e dell'andamento del mercato finanziario e creditizio».

Non è ulteriormente specificato in che modo la congiuntura economica possa servire da parametro per la modifica del sistema di valutazione delle imprese ammesse.

 

Il secondo criterio individuato dall’articolo 1, comma 1, lettera a) , numero 2) è più specifico ed è volto ad innalzare dall’attuale settanta per cento fino all’ottanta per cento dell’importo dell’operazione, la misura massima di copertura della garanzia diretta del Fondo per le seguenti tipologie di operazioni:

§      operazioni di anticipazione di credito verso imprese che vantano crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni

§      operazioni finanziarie comunque finalizzate all'attività di impresa, aventi durata non inferiore a 36 mesi;

§      operazioni a favore di imprese ubicate in aree di crisi industriali complesse (articolo 27 del decreto-legge 83/2012);

§      operazioni garantite a valere sulla sezione speciale del Fondo riservata alla concessione di garanzie sui finanziamenti accordati a piccole e medie imprese di autotrasporto di merci (D.M. 27 luglio 2009).

Le ultime due fattispecie, relative alle imprese ubicate in aree di crisi e alle PMI di autotrasporto merci, sono state introdotte durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera.

Le Commissioni riunite hanno anche introdotto la specificazione che la misura massima di copertura si riferisce alla garanzia diretta del Fondo.

Si ricorda che la garanzia del Fondo è richiesta ed è concessa alla banca o al soggetto (confidi o altro fondo di garanzia) che ha garantito, in prima battuta, il finanziamento concesso dalla banca. Pertanto, l’intervento del Fondo, pur avendo quale beneficiario ultimo la PMI, è sempre intermediato dalla banca finanziatrice o dal confidi.

Il Fondo opera tramite tre modalità di intervento:

§       Garanzia diretta, ossia la garanzia concessa dal Fondo al soggetto finanziatore (banca o intermediario finanziario vigilato);

§       Controgaranzia, ossia la garanzia prestata dal Fondo a favore dei confidi. Viene fornita su operazioni di garanzia concesse da confidi ed altri fondi di garanzia;

§       Cogaranzia, ossia la garanzia prestata dal Fondo direttamente a favore dei soggetti finanziatori e congiuntamente ai confidi ed altri fondi di garanzia.

 

Il terzo criterio indicato dall’articolo 1, comma 1, lettera a) , numero 3) è volto a potenziare l’efficacia degli interventi del Fondo tramite la semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle richieste, in particolare attraverso lo sfruttamento delle tecnologie digitali.

Il quarto e ultimo criterio consiste nella previsione che le misure operative individuate dal governo nella predisposizione del decreto attuativo dovranno garantire l’effettivo trasferimento dei vantaggi della garanzia pubblica alle imprese destinatarie.

Andrebbe specificata l’effettiva portata normativa della disposizione di cui al numero 4 della lettera a), in quanto sembra che essa si limiti ad esprimere un mera finalità.

 

La lettera b) prevede che il Governo individui misure volte ad escludere l’accesso al Fondo per operazioni finanziarie già deliberate dai soggetti finanziatori, con l’intento evidente di circoscrivere la concessione della garanzia alle imprese che, effettivamente, abbiano bisogno di un sostegno pubblico per poter accedere al credito bancario.

Il comma 2, con riferimento all’approvazione delle condizioni di ammissibilità per l’accesso al Fondo adottate dal Comitato di gestione dello stesso, ribadisce la competenza del Ministro dello sviluppo economico (aggiornandone la denominazione). L’elemento innovativo consiste nella sostituzione del parere del Ministro dell’agricoltura, attualmente previsto, con quello del Ministro dell’Economia e delle finanze.

 

Il comma 3 abroga la disposizione (comma 3 dell’articolo 11 del D.L. 185 del 2008) per la quale si riservava il 30% dell’importo di rifinanziamento del Fondo di garanzia agli interventi di controgaranzia del Fondo a favore dei Confidi previsto dall’articolo 13 del D.L. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003.

Con il termine “confidi” si intendono i consorzi con attività esterna, le società cooperative, le società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative, che svolgono l'attività di garanzia collettiva dei fidi al fine di agevolare le imprese nell’accesso ai finanziamenti, a breve medio e lungo termine, destinati allo sviluppo delle attività economiche e produttive. Il comma 20 del richiamato articolo 13 dispone che i confidi che riuniscono complessivamente non meno di 15.000 imprese e garantiscono finanziamenti complessivamente non inferiori a 500 milioni di euro possono istituire, anche tramite le loro associazioni nazionali di rappresentanza, fondi di garanzia interconsortile destinati alla prestazione di controgaranzie e cogaranzie ai confidi.

 

Il comma 4 sopprime l’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 39 del D.L. 201/2011 che prevede che una quota non inferiore all’80 per cento delle disponibilità finanziarie del Fondo è riservata ad interventi non superiori a cinquecentomila euro d’importo massimo garantito per singola impresa.

 

Il comma 5 prevede l’abrogazione dell’estensione della garanzia del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese anche alle grandi imprese, limitatamente ai soli finanziamenti erogati con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti. Viene dunque soppressa l’integrazione al comma 4 dell’art. 39 del D.L. 201/2011 effettuata col comma 10-sexies dell’art. 36 del D.L. 179/2012.

 

Il comma 5-bis, inserito durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera, estende gli interventi previsti dall’articolo in esame

§      ai professionisti iscritti agli ordini professionali;

§      ai professionisti aderenti alle associazioni professionali di professioni non organizzate iscritte nell’elenco tenuto dal Ministero dello sviluppo economico ed in possesso dell’attestazione rilasciata dall’associazione (legge 4/2013).

 

L’estensione avviene nell’ambito delle risorse del Fondo e previa adozione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che definisca le modalità di attuazione del presente comma, prevedendo in particolare un limite massimo di assorbimento delle risorse del fondo non superiore al 5 per cento delle risorse stesse.


 

Articolo 2
(Finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese)

 

L'articolo 2 introduce un meccanismo incentivante per le micro, piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti per l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo. Durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera è stato specificato che l’agevolazione si applica anche all’acquisto di beni strumentali d'impresa.

I soggetti destinatari della misura agevolativa sono le micro, piccole e medie imprese ai sensi della Raccomandazione 2003/361/Ce della Commissione del 6 maggio 2003.

 

Il meccanismo prevede innanzitutto l'intervento di Cassa depositi e prestiti presso la gestione separata della quale viene costituito un plafond che sarà utilizzato dalla medesima Cassa per fornire, fino al 31 dicembre 2016, provvista dalle banche per la concessione di finanziamenti alle imprese che intendono effettuare investimenti per rinnovare i propri macchinari.

Per l’intervento della Cassa depositi e prestiti sono richiamate le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del D.L. 5/2009, che consentono l'utilizzo delle risorse rivenienti dal risparmio postale e attribuite a Cassa depositi e prestiti S.p.A. per iniziative a favore delle piccole e medie imprese attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito (comma 2).

Il comma 4-bis dell’articolo 3 del D.L. 5/2009 dispone in merito all’applicazione dell’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 in relazione alle forme che possono assumere le operazioni di finanziamento che rientrano nella gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A.

 

I finanziamenti sono erogati dalle banche che aderiscono alla convenzione da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), Cassa depositi e prestiti S.p.A. e ABI.

A tale convenzione (o convenzioni) è rimessa altresì la disciplina di dettaglio, per quanto attiene, in particolare, alle modalità operative per la concessione dei finanziamenti agevolati, dei contratti tipo di finanziamento e cessione del credito, incluse le attività di monitoraggio e di rendicontazione svolte dalle banche. (comma 7).

Durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera è stato previsto che i finanziamenti possano essere erogati anche dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario purché garantiti da banche.

 

I finanziamenti bancari avranno durata non superiore a cinque anni e saranno erogati fino ad un massimo di 2 milioni di euro per impresa, anche frazionato in più iniziative. Si prevede, inoltre, la possibilità che il finanziamento copra l'intero costo dell'investimento (comma 3).

 

Come sottolineato altresì dalla Relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto legge, l'istituzione presso Cassa depositi e prestiti S.p.A. di un plafond di 2,5 miliardi di euro – eventualmente incrementabile fino a 5 miliardi di euro sulla base del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti e nei limiti delle risorse disponibili o delle necessarie coperture – (comma 8) non ha impatto sul bilancio dello Stato, in quanto è effettuata da Cassa depositi e prestiti s.p.a. a condizioni di mercato, in analogia con altre iniziative a favore delle P.M.I., già precedentemente intraprese o tuttora in corso.

 

La seconda parte dell’intervento consiste nell’erogazione di un contributo statale alle imprese che accedono ai predetti finanziamenti bancari per coprire parte degli interessi (comma 4).

Il contributo è infatti calcolato in rapporto agli interessi sui finanziamenti bancari. E’ rimessa ad un decreto dello Sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la determinazione della misura massima del contributo nonché la definizione delle condizioni di accesso e le modalità di funzionamento (commi 4 e 5).

Si segnala che non è previsto alcun termine per l’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 5.

L’articolo 2, comma 4, terzo periodo con disposizione che appare priva di reale portata innovativa, specifica inoltre che “I contributi sono concessi nel rispetto della disciplina comunitaria applicabile e, comunque, nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 8, secondo periodo”.

Per quanto riguarda l’erogazione dei contributi è autorizzata (comma 8, secondo periodo) la spesa di:

§      7, 5 milioni di euro per il 2014

§      21 milioni di euro per il 2015

§      35 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019

§      17 milioni di euro per l’anno 2020

§      6 milioni di euro per l’anno 2021.

 

E’ inoltre prevista la possibilità che i finanziamenti, fino all'80 per cento del loro ammontare, siano assistititi dalla garanzia del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, a valere sulle risorse finanziarie già disponibili nel Fondo stesso. E’ demandata a decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze la determinazione delle modalità priorità di accesso e delle modalità di concessione della garanzia (comma 6).

Si segnala che non è previsto alcun termine per l’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 6.

 

Durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera, gli incentivi previsti sono stati estesi anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca, compatibilmente con la normativa comunitaria in materia (comma 8-bis).


 

Articolo 3
(Rifinanziamento dei contratti di sviluppo)

 

L’articolo 3 attribuisce 150 milioni di euro una tantum - a valere sulle disponibilità esistenti del Fondo per la crescita sostenibile - per il finanziamento dei contratti di sviluppo nel settore industriale, riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria.

 

In particolare il comma 1 definisce l’ambito di applicazione della misura di agevolazione, specificando che lo stanziamento di 150 milioni di euro è destinato finanziare, nel quadro degli interventi di cui all’articolo 43, del D.L. 112/2008, i programmi di sviluppo nel settore industriale, ivi inclusi quelli relativi alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

Tali programmi devono esser realizzati nei territori regionali che, sulla base delle fonti finanziarie disponibili alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono destinatari di risorse per la concessione delle agevolazioni.

 

Il D.M. 24 settembre 2010 ha attuato l'art. 43 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 dettando le disposizioni in merito ai criteri e modalità di concessione di agevolazioni finanziarie tramite i contratti di sviluppo. Il Contratto di Sviluppo favorisce la realizzazione di investimenti di rilevanti dimensioni, proposti da imprese italiane ed estere. Finanzia investimenti nei settori industriale, turistico e commerciale. È rivolto alle imprese italiane alle imprese estere che hanno una sede stabile in Italia. È sottoscritto da una o più imprese, Invitalia e da eventuali Amministrazioni pubbliche. È composto da uno o più progetti di investimento ed eventuali progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale inoltre può comprendere la realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico.

I progetti di investimento del Contratto di Sviluppo possono essere realizzati:

§       nelle aree previste dalla Carta degli aiuti a finalità regionale approvata dalla Commissione europea per il periodo 2007-2013 (Aiuto di Stato n. 117/2010 pubblicato su GUUE del 10 agosto 2010, n. C 215/5);

§       nel resto del territorio nazionale, se presentati da PMI o da grandi imprese attive nella trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, con meno di 750 dipendenti e/o un fatturato inferiore a 200 milioni di euro (cosiddette “imprese intermedie”).

I progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale possono essere realizzati su tutto il territorio nazionale.

 

La relazione illustrativa precisa che allo stato attuale risultano assegnate ai contratti di sviluppo risorse, nell'ambito del Programma operativo nazionale ricerca e competitività 2007-2013 (PON R&C), del Piano di azione coesione (PAC) e delle risorse liberate del PON Sviluppo imprenditoriale locale 2000-2006 (PON SIL) ex decreto ministeriale 28 settembre 2012, finalizzate al finanziamento di programmi di sviluppo localizzati nelle sole regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, mentre risultano prive di copertura finanziaria tutte le altre regioni. A queste ultime, pertanto, la norma in commento ha inteso assegnare risorse, per un ammontare pari a 150 milioni di euro.

 

Durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera, la versione originaria del testo “nei territori regionali che (..) non possono essere destinatari di risorse per la concessione di agevolazioni” è stata modificata in “non sono destinatari”, determinando in tal modo la destinazione dei 150 milioni in questione ai “territori regionali che (..) non sono destinatari di risorse per la concessione di agevolazioni”. In tal modo è stata eliminata l’incertezza lessicale che caratterizzava la versione originaria del testo del decreto.

 

Il comma 2 prevede che i detti programmi siano agevolati tramite la concessione del solo finanziamento agevolato, nel limite massimo del 50% dei costi ammissibili.

La disciplina dei contratti di sviluppo, contenuta nel D.M. 24 settembre 2010, prevede che le agevolazioni possono essere concesse nelle seguenti forme, anche in combinazione tra loro:

§       contributo in conto impianti,

§       contributo alla spesa,

§       finanziamento agevolato,

§       contributo in conto interessi.

 

Con riguardo al finanziamento agevolato le circolari applicative del D.M. 24 settembre 2010 (Circolare del Ministero dello sviluppo economico esplicativa 16 giugno 2011 per la concessione delle agevolazioni e Circolare 29/3/2013) specificano che l'eventuale finanziamento agevolato é concesso nella misura massima del 75% in termini di percentuale nominale rispetto alle spese ammissibili e deve essere assistito da idonee garanzie ipotecarie e/o bancarie. Il finanziamento agevolato ha una durata massima di otto anni oltre ad un periodo di utilizzo e preammortamento commisurato alla durata del programma e, comunque, non superiore a quattro anni. Il tasso agevolato di finanziamento é pari al 20% del tasso di riferimento vigente alla data di concessione delle agevolazioni, fissato sulla base di quanto stabilito dalla Commissione Europea.

 

Alla concessione del contributo a fondo perduto si provvede, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, del decreto interministeriale del 24 settembre 2010, nel limite finanziario dell'eventuale cofinanziamento regionale disposto in favore dei singoli programmi d'investimento.

Si ricorda che il comma 1, dell’articolo 8 prevede che la proposta definitiva di contratto di sviluppo è presentata dal proponente all’Agenzia (Invitalia), che ne invia immediatamente copia alla Regione o alle Regioni interessate, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 7, comma 3, prorogabile una sola volta di non oltre 30 giorni. Decorso tale termine perentorio, senza che la documentazione prevista sia stata presentata o qualora quella presentata risulti incompleta, la stessa non è più ricevibile e la relativa istanza di accesso è considerata decaduta. La Regione o le Regioni, entro 30 giorni dal ricevimento della proposta comunica/no le proprie osservazioni ed il proprio parere ed eventualmente la disponibilità al cofinanziamento, specificandone la misura, all’Agenzia, che li trasmette immediatamente al MiSE. Nel caso in cui la Regione o le Regioni non trasmettano entro il termine sopra indicato le proprie osservazioni ed il proprio parere, quest’ultimo si considera positivo.

 

Il comma 3 prevede che le risorse (150 milioni) volte a finanziare i tali programmi di sviluppo nel settore industriale e agricolo siano a valere sulle disponibilità esistenti del Fondo per la crescita sostenibile (articolo 23, D.L. n. 83/2012 e D.M. 8 marzo 2013). Le somme che non risultino impegnate entro il 30 giugno 2014 per le finalità previste dal medesimo comma ritornano nella disponibilità del Fondo per la crescita sostenibile.

Si ricorda che l’articolo 23 ha trasformato il Fondo speciale rotativo per 'innovazione tecnologica (FIT) nel Fondo per la crescita sostenibile, chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali; nel contempo ha abrogato numerose disposizioni, contenute nell’Allegato 1, che contenevano una serie di misure incentivanti per le imprese.

Per l’attuazione di tale riforma è stato emanato il D.M. 8 marzo 2013, il quale ha definito:

§       le finalità, le tipologie di intervento e le forme di aiuto concedibili nell’ambito del Fondo. Gli aiuti possono essere erogati nella forma di finanziamento agevolato, contributo in conto impianti, contributo in conto capitale, contributo diretto alla spesa, contributo in conto interessi, concessione di garanzia, partecipazione al capitale di rischio, bonus fiscale;

§       i termini, le modalità e le procedure, anche in forma automatizzata, attraverso bandi o direttive del Ministro per lo sviluppo economico, che individuano, tra l'altro, l'ammontare delle risorse disponibili, i requisiti di accesso dei soggetti beneficiari, le condizioni di ammissibilità dei programmi e/o progetti, le spese ammissibili e la forma e l'intensità dell'agevolazione.

Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al D.M. 8 marzo 2013 in aggiunta alle risorse iniziali, affluiranno al Fondo, ai sensi dell'articolo 27, comma 10, del D.L. 83/2012, anche quelle rivenienti dal rimborso dei finanziamenti agevolati concessi ai sensi dell'articolo 7 della L. 181/1989. La dotazione finanziaria complessiva del Fondo può essere stimata in 630 milioni di euro, a cui potrà aggiungersi una quota delle risorse non utilizzate del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (articolo 30, comma 3, decreto legge 83/2013).

 

Il comma 4 prevede che le modalità e i criteri per l'attuazione degli interventi di cui all’art. 43 del D.L. 112/2008 siano definite con un decreto del Ministro dello sviluppo economico con riguardo a specifiche priorità in favore dei programmi che ricadono nei territori oggetto di accordi, stipulati dal medesimo Ministero, per lo sviluppo e la riconversione di aree interessate dalla crisi di specifici comparti produttivi o di rilevanti complessi aziendali.


 

Articolo 3-bis
(Misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale)

 

L’articolo 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del SSN. La norma intende accelerare ulteriormente l’accesso alle anticipazioni di liquidità disposte dal decreto legge 35/2013. A tal fine, l’introdotto articolo 3-bis riproduce letteralmente il testo dell’articolo 1 del decreto legge 24 giugno 2013, n. 72 che stabilisce misure dirette ad anticipare e concludere la procedura per il riparto, fra le regioni e le province autonome, delle anticipazioni di liquidità previste per il 2013, pari a 5 miliardi di euro, per il pagamento dei debiti sanitari di cui al decreto legge 35/2013.

Contestualmente all’articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, viene inserito il comma 1-bis che fa salvi gli atti, i provvedimenti ed i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme non convertite in legge del decreto legge 72/2013, che, a seguito della sostanziale trasposizione del suo contenuto normativo all’interno dell’articolo in esame, appare destinato a decadere.

 

Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legge 35/2013 concede anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012 in favore delle regioni e delle province autonome. Le anticipazioni sono ammesse per un importo massimo di 14 miliardi di euro, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014. I criteri per il riparto delle risorse tra le regioni e le province autonome sono costituiti dall'ammontare degli ammortamenti non sterilizzati e dall'importo delle mancate erogazioni - per competenza e/o per cassa - delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi Servizi sanitari. Le anticipazioni in oggetto sono restituite, insieme con gli interessi, in un periodo non superiore a 30 anni.

 

Dal punto di vista procedurale, il comma 2 dell’articolo 3, del decreto-legge 35/2013, stabilisce che, in via d'urgenza per l'anno 2013, il MEF provvede con decreto direttoriale, entro il 15 maggio 2013, al riparto fra le Regioni dell'anticipazione di liquidità fino a concorrenza massima dell'importo di 5 miliardi di euro. Come stabilito, entro il 31 maggio successivo, le regioni dovevano inoltrare l’istanza di accesso per accedere all’erogazione delle risorse. Tale quota di anticipazioni è stata ripartita (nella misura massima prevista di 5 miliardi) con il decreto direttoriale del 16 aprile 2013, la cui Tabella 1 reca il riparto fra le regioni. Poiché, al 31 maggio 2013, non hanno presentato istanza di accesso la Valle d’Aosta, le due Province autonome di Trento e Bolzano e le regioni Lombardia, Marche, Basilicata e Friuli Venezia Giulia, sul riparto recato dal decreto direttoriale del 16 aprile 2013 sono residuate risorse per un importo complessivo pari a 278.828.000 euro, che lo stesso articolo 3, comma 4, del decreto legge 35/2013, dà la possibilità di riassegnare, in occasione del secondo riparto definitivo di 9 miliardi, alle regioni che ne facciano richiesta.

Il decreto legge 72/2013, nel testo originario, novellando il contenuto del decreto legge 35/2013, ha anticipato tale riassegnazione, disponendo al riguardo che le quote residuate dal riparto effettuato con il decreto direttoriale del 16 aprile 2013 potessero essere riassegnate alle regioni che ne avessero fatto richiesta entro il 30 giugno 2013 attraverso un aggiornamento dello stesso decreto direttoriale del 16 aprile 2013, prioritariamente in funzione dell'adempimento alla diffida prevista dall'articolo 1, comma 174, della legge 311/2004.

Per quanto riguarda il diritto di accesso delle regioni alle anticipazioni, si ricorda che l’articolo 3, comma 9, del decreto legge 35/2013, concede priorità alle regioni in disavanzo e commissariate sottoposte alla procedura di cui all’articolo 1, comma 174, della legge 311/2004. Nell’ambito di tale procedimento, il decreto legge 35/2013 ha disposto uno slittamento per l’anno 2013 dei termini di cui al citato comma 174, prevedendo che il termine del 30 aprile – entro il quale le regioni devono adottare i provvedimenti per ripianare il disavanzo - fosse differito al 15 maggio e quello del 31 maggio - entro il quale spetta al commissario ad acta l’adozione dei medesimi provvedimenti - fosse differito al 30 giugno. Il decreto legge 72/2013, e l’articolo in esame in esame, che ne recepisce integralmente il testo, differiscono nuovamente il termine del 30 giugno portandolo al 15 luglio 2013.

Si segnala che le regioni concretamente sottoposte alla procedura di cui al sopra citato comma 174 sono Puglia e Piemonte.

Al 30 giugno 2013, sono pervenute le richieste di accesso delle regioni Piemonte, Puglia, Emilia Romagna e Lazio. Il decreto direttoriale 2 luglio 2013 ha infine ripartito le risorse residuate dal primo riparto del 16 aprile e pari a 278.828.000 euro, assegnando per il criterio di priorità sopra ricordato il 75% per cento alle regioni Piemonte e Puglia, e il restante 25% alle regioni Emilia Romagna e Lazio.


 

Articolo 4
(Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale
e nei carburanti)

 

L’articolo 4 contiene disposizioni di diversa natura che riguardano il mercato del gas naturale (l’applicazione del servizio di tutela gas, al comma 1; le gare del gas, ai commi da 2 a 6) e la rete di distribuzione carburanti (al comma 7).

 

In particolare, il comma 1 limita ai soli clienti domestici l’applicazione transitoria del servizio di tutela gas, cioè il servizio per il quale per alcuni clienti c.d. “vulnerabili”, i prezzi di riferimento sono determinati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

A tal fine, la norma interviene sull’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 164/2000 (cd. decreto Letta), come modificato dall’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. n.93/2011, che ha inserito i piccoli clienti industriali tra i cd. “clienti vulnerabili”.

 

Si ricorda in proposito che il citato comma 2 dell’articolo 22 del D.Lgs. 164/2000 reca la definizione di clienti vulnerabili, nella quale rientrano:

§       i clienti domestici,

§       le utenze relative ad attività di servizio pubblico, tra cui ospedali, case di cura e di riposo, carceri, scuole, e altre strutture pubbliche e private che svolgono un'attività riconosciuta di assistenza,

§       i clienti civili e non civili i cui consumi non superano i 50.000 metri cubi annui.

 

Si segnala che, così come formulata, la norma esclude anche le utenze relative ad attività di servizio pubblico dall’applicazione del servizio di tutela gas.

 

I commi da 2 a 6 mirano a velocizzare e dare certezza all'avvio delle prime gare di distribuzione del gas per ambiti territoriali, rafforzando i termini e le competenze delle Regioni, prevedendo una penalizzazione economica per i comuni che ritardano ad individuare la stazione appaltante e disponendo un potere sostitutivo statale.

 

Il comma 2 qualifica come perentori i termini indicati dall’articolo 3 del D.M. 12 novembre 2011 per l’avvio delle gare d’ambito nel primo periodo di applicazione, decorsi i quali la Regione avvia la procedura di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta.

 

Si ricorda che l’articolo 14, comma 7, del D.Lgs. 164/2000 prevede che la procedura di gara sia avviata dagli enti locali non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio. Qualora l'ente locale non provveda entro il termine indicato, sarà la regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, ad avviare la procedura di gara.

Questa sarà la tempistica da rispettare a regime (ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.M. 12 novembre 2011, n. 226), mentre per il primo periodo di applicazione il comma 1 del medesimo D.M. indica una serie di scadenze meno stringenti e differenziate per gruppi di comuni (come risulta dalle tabelle contenute nell’allegato 1). Decorsi tali termini,

la Regione, previa diffida ai soggetti inadempienti contenente un termine perentorio a provvedere, avvia la procedura di gara come nel caso “a regime”.

 

Il comma 3 proroga di quattro mesi le date limite entro cui convocare i Comuni dell’ambito per la scelta della stazione appaltante per i primi due raggruppamenti di comuni di cui all’Allegato 1 del D.M. che sono scadute o scadrebbero entro il mese di ottobre 2013, con uno spostamento dei termini relativi alla mancata nomina della stazione appaltante a data non anteriore al 1° gennaio 2014.

Inoltre, viene indicata una procedura per designare la stazione appaltante per tutti gli ambiti dell’Allegato 1 in cui non è presente il capoluogo di provincia.

In tali casi la scelta della stazione appaltante avviene a maggioranza qualificata dei due terzi dei comuni appartenenti all’ambito che rappresentino almeno i due terzi dei punti di riconsegna dell’ambito, come risultanti dai dati di riferimento per la formazione degli ambiti pubblicati sul sito internet del Ministero dello Sviluppo Economico.

 

Il comma 3-bis, introdotto dalle Commissioni riunite alla Camera, proroga di ulteriori 24 mesi tali date limite per quegli ambiti in cui almeno il 15 per cento dei punti di riconsegna è situato nei Comuni colpiti dagli eventi sismici in Emilia del 20 e 29 maggio 2012.

 

Il comma 4 dispone un potere sostitutivo statale in caso di inerzia della Regione nella nomina del commissario ad acta.

Se infatti la Regione competente non procede alla nomina del commissario ad acta, dopo quattro mesi dalla scadenza dei termini indicati dal comma 2, il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Regione stessa, interviene per dare avvio alla gara, nominando un commissario ad acta.

 

Il comma 5 prevede una forma di penalizzazione economica per gli enti locali nei casi in cui gli stessi non abbiano rispettato i termini per la scelta della stazione appaltante.

In tali casi, il 20% degli oneri che il gestore corrisponde annualmente agli Enti locali come quota parte della remunerazione del capitale è versato dal concessionario subentrante, con modalità stabilite dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in uno specifico capitolo della Cassa conguaglio settore elettrico per essere destinati alla riduzione delle tariffe di distribuzione dell’ambito corrispondente.

 

Il comma 6 lascia al Ministero dello sviluppo economico la facoltà di emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, con lo scopo di facilitare lo svolgimento delle gare e di ridurre i costi degli enti locali e delle imprese.

 

Il comma 7 riguarda invece la rete di distribuzione dei carburanti, ed in particolare estende la destinazione del fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti anche all’erogazione di contributi per la chiusura di impianti di distribuzione di carburanti liquidi e la loro contestuale trasformazione in impianti di distribuzione esclusiva di metano o GPL per autotrazione. L’estensione al GPL è avvenuta durante l’esame presso le Commissioni riunite della Camera.

Si ricorda che il D.Lgs. 32/1998 ha provveduto a razionalizzare il sistema di distribuzione dei carburanti. L’articolo 6 ha istituito presso la cassa conguaglio GPL il Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti.


 

Articolo 5
(Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica
ed estensione della c.d. Robin Hood Tax)

 

L’articolo 5 reca una serie di interventi diversi che impattano sui prezzi dell'energia elettrica, con un’estensione della Robin Hood tax in parte destinata a riduzione degli oneri generali di sistema, una riduzione delle tariffe incentivanti CIP 6 per le fonti rinnovabili e assimilate e il blocco di una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi.

 

Il comma 1, con una modifica all’articolo 81 del D.L. n. 112 del 2008, estende l’applicazione della c.d. Robin Hood Tax (maggiorazione IRES) alle aziende con volume di ricavi superiori a 3 milioni di euro (nella normativa previgente era prevista per volumi superiori a 10 milioni) e un reddito imponibile superiore a 300 mila euro (nella normativa previgente era 1 milione di euro).

 

Si ricorda che l’articolo 81 del D.L. n. 112 del 2008 (modificato da ultimo dall’articolo 7, comma 1, del D.L. n. 138 del 2011) ha introdotto un'addizionale all'IRES nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro (limiti abbassati dalla norma in esame). L’aliquota, fissata in origine al 5,5% e successivamente elevata al 6,5% (articolo 56 della L. n. 99 del 2009), è stata poi innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (articolo 7, comma 3 del D.L. n. 138 del 2011: misure di perequazione nei settori petrolifero, dell'energia elettrica e del gas). E' stata inoltre ampliata la platea di soggetti passivi cui si applica tale addizionale, estesa - tra l'altro - anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale.

Si rammenta, inoltre, che la legge n. 7 del 2009 (ratifica trattato Italia-Libia) ha introdotto una ulteriore addizionale IRES al 4% (la cui disciplina è stata modificata dall'articolo 25-bis del D.L. n. 216 del 2011) per le imprese operanti nel settore degli idrocarburi con determinati requisiti, tra cui una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro.

 

L'Autorità per l'energia elettrica e il gas il 24 gennaio 2013 ha trasmesso al Parlamento la relazione sull'attività di vigilanza svolta nell'anno 2012 sul divieto di traslazione della maggiorazione IRES (c.d. Robin Hood Tax) sui prezzi al consumo, previsto dall’articolo 81, comma 18. Nelle conclusioni si legge che alla luce dell'esito dell'attività svolta nel corso dell'anno 2012 resta confermata l'esigenza di una puntuale vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione; le analisi relative all'ultimo esercizio monitorato hanno infatti mostrato che una parte dei soggetti vigilati ha continuato ad attuare politiche di prezzo tali da costituire una possibile violazione del divieto di traslazione, comportando comunque uno svantaggio economico per i consumatori finali.

La Robin Hood Tax ha prodotto un gettito di 1,45 miliardi di euro, per l'86% provenienti dagli operatori dei settore elettrico e del gas. Si segnala che nel 2012 le entrate sono triplicate rispetto al 2010 (527 milioni), in seguito all'incremento al 10,5% e all'allargamento dei settori interessati, superando ampiamente le previsioni del Tesoro, nonostante una parallela forte contrazione dei soggetti incisi.

 

Il comma 2 destina le risorse derivanti dall’estensione della Robin Hood tax alla riduzione della componente A2 della bolletta elettrica, una volta sottratte la quota da utilizzare per la copertura finanziaria disposta dall’articolo 61 del decreto. Le modalità attuative saranno individuate con decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Si ricorda che la componente A2 degli oneri generali di sistema copre i costi per lo smantellamento delle centrali nucleari e la chiusura del ciclo del combustibile. E’ definita direttamente dall' Autorità per l' Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) e il ricavato affluisce alla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico in un apposito Conto di gestione il cui utilizzo e gestione sono disciplinati dall'Autorità.

Secondo i dati pubblicati dall’AEEG sul proprio sito, gli oneri generali di sistema incidono del 19,23% sulla bolletta di un utente domestico tipo, per un totale di 98 euro annui su una bolletta media di 511 euro. All’interno degli oneri generali di sistema, la componente A2 rappresenta solamente il 2,51%. La maggior parte di questi oneri, infatti, è dovuta alla componente A3 (90,61%) che copre gli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate.

 

Il commi 3, 4 e 5 modificano le modalità di determinazione delle tariffe concesse agli impianti in regime Cip6, prevedendo una parziale deroga per gli impianti di termovalorizzazione.

È definito un regime di gradualità per l'anno 2013, in cui continua ad essere utilizzato il paniere di riferimento di prodotti gas-petrolio ma con riduzione del peso dei prodotti petroliferi e, dunque, con una progressione verso il prezzo all'ingrosso del gas naturale cui si approderà a partire dal 1° gennaio 2014.

 

In particolare:

§      per l'anno 2013, il valore del costo evitato di combustibile da riconoscere in acconto fino alla fissazione del valore annuale di conguaglio, è determinato, per la componente convenzionale relativa al prezzo del combustibile, sulla base del paniere di riferimento di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, in cui il peso dei prodotti petroliferi sia progressivamente ridotto in ciascun trimestre (80% per il primo trimestre, 70% per il secondo trimestre, 60% per il terzo e quarto trimestre). Il complemento al cento per cento è determinato in base al costo di approvvigionamento del gas naturale nei mercati all'ingrosso come definito dalla deliberazione del 9 maggio 2013, n. 196/2013/R/GAS e degli ulteriori provvedimenti dell'Autorità per l'energia elettrica e del gas (comma 3);

§      dal 2014, il valore del CEC è aggiornato trimestralmente in base al costo di approvvigionamento del gas naturale nei mercati all'ingrosso, ferma restando l'applicazione dei valori di consumo specifico di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 novembre 2012 (comma 4);

§      è prevista una deroga per agevolare gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti, per i quali il valore del CEC è determinato tenendo conto di un peso dei prodotti petroliferi paniere di riferimento pari al 60% (comma 5).

Nel testo originario del decreto, la deroga valeva per i termovalorizzatori più recenti (in esercizio convenzionato da un periodo inferiore a otto anni), fino al completamento dell'ottavo anno di esercizio.

Durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera il comma 5 è stato sostituito prevedendosi che:

-       i termovalorizzatori devono essere già in esercizio;

-       limitare il calcolo agevolato del CEC fino al completamento del quarto anno di esercizio dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione degli impianti situati in zone di emergenza relativa alla gestione del ciclo dei rifiuti, per i quali il calcolo agevolato del CEC fino al completamento dell’ottavo anno di esercizio dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

Si segnala che la nuova formulazione del comma 5 cambia la ratio della deroga. La deroga non vale più solo per i termovalorizzatori di più recente costruzione, bensì per tutti i termovalorizzatori in esercizio ammessi al regime CIP6. La deroga, inoltre, opera fino al completamento del quarto (o dell’ottavo anno nelle zone di emergenza rifiuti) a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e non dall’inizio dell’esercizio del termovalorizzatore.

Appare pertanto necessario un chiarimento del Governo circa la platea dei termovalorizzatori interessati dall’estensione (nella versione originaria la deroga interessava 7 termovalorizzatori, ad alcuni dei quali l’agevolazione si calcolava per un periodo piuttosto limitato essendo entrati in vigore nel 2006-2007).

 

Riguardo all’attuazione, la norma precisa che il Ministro dello sviluppo economico, con provvedimento da adottare entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto su proposta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, stabilisce le modalità di aggiornamento del valore del CEC, in acconto e in conguaglio, nonché le modalità di pubblicazione dei valori individuati secondo i criteri di cui ai commi 4 e 5.

Restano ferme le modalità di calcolo della componente relativa al margine di commercializzazione all'ingrosso e della componente di trasporto nonché i valori di consumo specifico di cui al D.M. 20 novembre 2012, cui è stato definito l’aggiornamento del CEC negli anni dal 2010 in poi e il valore di conguaglio del CEC per l’anno 2011 oltre che il valore di acconto del CEC per l’anno 2012.

 

Il meccanismo noto come “CIP 6consiste in un incentivo a favore dei produttori di energia elettrica con impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate che, avvalendosi di un’apposita convenzione, cedono al GSE (Gestore del sistema elettrico) l’energia prodotta ad un prezzo di ritiro superiore a quello di mercato. La differenza di prezzo viene recuperata attraverso un’apposita voce di costo (componente A3) nella bolletta degli utenti. Tale sistema di incentivazione di fatto non è andato a sostegno in via prioritaria delle fonti rinnovabili vere e proprie in quanto ne hanno beneficiato soprattutto gli impianti utilizzanti fonti assimilate tra cui i termovalorizzatori, alimentati da rifiuti. L'incentivo ai kWh prodotti da impianti Cip6 è calcolato tenendo costo del tipo di tecnologia e del costo evitato del combustibile (CEC): il produttore Cip6 riceve il valore del quantitativo di gas che sarebbe stato necessario a produrre con il metano il kWh generato dall’impianto.

 

Nel motivare l’esigenza dell’intervento normativo in esame, il Governo spiega che, considerata la struttura del parco di produzione elettrico nazionale e l'uso prevalente di gas naturale, il CEC è da intendersi riferito al costo di produzione del kWh a gas naturale. L'attuale norma di determinazione del «costo evitato», contenuta nella legge n. 99 del 2009, fa invece ancora riferimento ad un paniere di prodotti olio-gas non più attuale, portando a valori tariffari per l'energia CIP 6/92 che sono ancora oggi di molto superiori ai reali costi evitati. Secondo i dati citati dalla relazione, il valore del kWh scambiato sulla Borsa elettrica è ormai stabilmente inferiore a 60 euro/MWh, contro un valore della tariffa CIP 6/92 di quasi 100 euro/MWh.

 

Il comma 6, che abroga alcune disposizioni di cui all'articolo 30, comma 15, della legge 23 luglio 2009, n. 99, (peraltro non indicandole specificamente, ma tramite un generico riferimento a quelle incompatibili con le norme del presente articolo) è stato soppresso.

 

Il comma 7 elimina la facoltà per i titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili[1], entrati in esercizio prima del 2013, di modificare il sistema di incentivazione vigente, con effetto dal 2013.

Tale opzione consente una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che da definirsi con decreto ministeriale.

La relazione illustrativa stima che tale maggiorazione comporterebbe un aumento degli oneri effettivi sulle tariffe che, assumendo un limite massimo di ore annue di funzionamento di circa 5000 ore, assommerebbe a oltre 300 milioni di euro all'anno, che gli operatori beneficiari del maggior incentivo impiegherebbero in larghissima misura per l'importazione del biocombustibile, con marginali effetti sull'occupazione

 

Tale facoltà era stata prevista dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 364, della legge n. 228/2012), che aveva inserito all’interno del D.Lgs. 28/2011[2] i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25, al fine di salvaguardare la quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi e garantire così il rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE.

 

Il comma 7-bis, aggiunto durante l’esame presso le Commissioni riunite alla Camera, lascia la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di opzione tra:

§      il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio;

§      un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi.

Tale meccanismo prevede un incremento del 20 per cento dell'incentivo spettante, per un periodo massimo di un anno a decorrere dal 1° settembre 2013 e del 10 per cento per un ulteriore, successivo periodo di un anno, con corrispondente riduzione del 15 per cento dell'incentivo spettante nei successivi tre anni di incentivazione, o comunque entro la fine del periodo di incentivazione su una produzione di energia pari a quella sulla quale è stato riconosciuto il predetto incremento. L'incremento è applicato sul coefficiente moltiplicativo spettante per gli impianti a certificati verdi e, per gli impianti a tariffa omnicomprensiva, sulla tariffa omnicomprensiva spettante al netto del prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas.

L’opzione deve essere comunicata dal titolare dell'impianto, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, al GSE.

 

Il comma 8 precisa che l’attuazione dell’articolo 5 deve avvenire in modo da comportare una riduzione effettiva degli oneri generali di sistema elettrico e dei prezzi dell'energia elettrica.


 

Articolo 6
(Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra)

 

Il comma 1 dell’articolo 6, relativamente al gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra da parte dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, fissa l’applicazione per il periodo 1° agosto 2013 - 31 dicembre 2015 dell’accisa nella misura di 25 euro per mille litri, nel caso che gli stessi soggetti, in sede di richiesta dell’assegnazione del gasolio, ai sensi del decreto ministeriale 14 dicembre 2001, n. 454, si obblighino a rispettare la progressiva riduzione del consumo di gasolio per finalità ambientali.

 

La Tabella A allegata al decreto legislativo n. 504 del 1995, nell’indicare gli impieghi dei prodotti energetici che comportano l'esenzione dall'accisa o l'applicazione di un'aliquota ridotta, al punto 5 riporta la voce “Impieghi in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nella florovivaistica” nelle seguenti misure:

 

- gasolio

22 per cento aliquota normale

- oli vegetali non modificati chimicamente

Esenzione

- benzina

49 per cento aliquota normale

 

L'agevolazione viene concessa anche mediante crediti o buoni d'imposta, sulla base di criteri stabiliti, in relazione alla estensione dei terreni, alla qualità delle colture ed alla dotazione delle macchine agricole effettivamente utilizzate, come definiti con il decreto del Ministro delle finanze 14 dicembre 2001, n. 454. In particolare ai sensi del decreto, all’articolo 1, comma 2, si considerano macchine adibite a lavori agricoli le macchine agricole previste dall'articolo 57 del nuovo codice della strada, gli impianti e le attrezzature destinate ad essere impiegate nelle attività agricole e forestali, le macchine per la prima trasformazione dei prodotti agricoli, nonché gli impianti di riscaldamento delle serre e dei locali adibiti ad attività di produzione.

 

Considerando che, ai sensi dell’Allegato I al medesimo D.Lgs. n. 540/1995, per il gasolio usato come carburante è prevista una accisa pari a 617,40 euro per mille litri (così fissata dalla Determinazione dell’Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789 e ribadita dall’articolo 1, comma 487, della legge di stabilità 2013), applicando a tale importo il 22 per cento quale aliquota ridotta, l’accisa per il gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra è attualmente determinata in 135,83 euro per mille litri.

 

La formulazione della norma fa riferimento all’accisa “a livello di imposizione, per l’anno 2013”.

Tale riferimento all’anno 2013 non appare chiaro, in quanto il medesimo periodo fissa l’applicazione temporale della specifica accisa per il periodo dal 1° agosto 2013 al 31 dicembre 2015.

 

La disposizione in esame pone per i beneficiari la condizione che essi si obblighino a rispettare la progressiva riduzione del consumo di gasolio per finalità ambientali.

In merito a tale aspetto non appare chiaro come venga attuata tale condizione che, dalla formulazione del testo, sembrerebbe una “condizione necessaria” per ottenere il beneficio fiscale.

La disposizione sembrerebbe in ogni caso avere un valore di “impegno programmatico” con scopi ambientali: viene fornito gasolio con un’accisa ridotta a fronte di un impegno a ridurre il consumo di gasolio.

Viene peraltro da considerare che, in termini economici, a fronte di una riduzione del prezzo di un prodotto, tendenzialmente si genera un aumento della richiesta del prodotto stesso e quindi un maggior consumo.

 

Il comma in esame inoltre richiama la direttiva 2003/96/CE del Consiglio che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità.

In particolare l’articolo 17 della direttiva prevede che, a condizione che i livelli minimi di tassazione previsti nella presente direttiva siano rispettati in media per ciascuna impresa, gli Stati membri possono applicare sgravi fiscali sul consumo di prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento o per i fini di cui all'articolo 8, paragrafo 2, lettere b) e c) e di elettricità nei seguenti casi: a) a favore delle imprese a forte consumo di energia; b) qualora siano conclusi accordi con imprese o associazioni di imprese, o qualora siano attuati regimi concernenti diritti commercializzabili o misure equivalenti, purché volti a conseguire obiettivi di protezione ambientale o a migliorare l'efficienza energetica.

 

Si ricorda che l’articolo 5, comma 5, del D.L. n. 268/2000, relativamente al periodo 3 ottobre 2000–31 dicembre 2000, prevedeva per il gasolio usato nelle coltivazioni sotto serra un’aliquota pari allo 0% di quella applicata sul gasolio usato come carburante. Con successivi provvedimenti è stata invece disposta l’esenzione dall’accisa. In particolare, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 388/2000 (finanziaria 2001) ha disposto l’applicazione di tale agevolazione per il primo semestre 2001; successivamente, l’articolo 1, comma 3, del D.L. n. 246/2001 e l’articolo 3 del D.L. n. 356/01 hanno stabilito la proroga dell’agevolazione, rispettivamente al 30 settembre 2001 e al 31 dicembre 2001. Quindi la proroga di tale regime agevolativi veniva disposta annualmente in sede di legge finanziaria per gli anni dal 2002 al 2009 (articolo 13, comma 3, della legge n. 448/2001 (finanziaria 2002), articolo 19, comma 4, della legge n. 292/2002 (finanziaria 2003), articolo 2, comma 4, della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004), articolo 1, comma 511, lett. h), della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005), articolo 1, comma 115, della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006), articolo 1, comma 394 della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), articolo 1, comma 175, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) e dall’articolo 2, comma 14 della legge n. 203/2008 (finanziaria 2009).

Nel 2009 la Commissione europea ha qualificato tali misure come aiuti di Stato: le misure finanziate con risorse statali hanno favorito talune imprese (le aziende del settore dell'agricoltura e, in particolare, quelle che coltivano sotto serra) e hanno inciso sugli scambi e falsare la concorrenza, vista la posizione dell'Italia nella produzione agricola sotto serra.

Trattandosi di una forma agevolativa, il comma 2 ribadisce che, ai sensi dell’articolo 25 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione del 6 agosto 2008, il livello di accisa da corrispondere all’Unione non deve essere inferiore al livello minimo di imposizione definito dalla direttiva (CE) n. 2003/96/CE, e successive modificazioni.

Qualora tale livello minimo venga modificato l’accisa dovuta per il gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra viene corrispondentemente adeguata.

La sintesi delle informazioni relative alla misura di cui al presente articolo è comunicata alla Commissione europea con le modalità di cui all’articolo 9 del citato regolamento (CE) n. 800/2008.

 

La disposizione richiamata prevede, al comma 1, che entro 20 giorni lavorativi dall'entrata in vigore di un regime di aiuti o dalla concessione di un aiuto ad hoc, esentati a norma del regolamento stesso, lo Stato membro interessato trasmette alla Commissione una sintesi delle informazioni relative alla misura d'aiuto in questione. Tale sintesi è fornita mediante modulo elettronico attraverso l'applicazione informatica della Commissione prevista a tale scopo e nella forma prevista all'allegato III. La Commissione accusa senza indugio ricevuta della sintesi. La sintesi è pubblicata dalla Commissione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e sul sito web della Commissione.

 

Il comma 3 reca la quantificazione dell’onere determinato dall’accisa agevolata per le coltivazioni in serra (25 euro per mille litri) disposta dal comma 1 e dalla relativa compensazione del livello minimo di imposizione del livello di accisa da corrispondere all’Unione europea (comma 2) indicandolo complessivamente in 14,4 milioni di euro per il 2013 (tale regime decorre dal 1° agosto 2013) e in 34,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2015.

 

Si osserva che la disposizione, nel richiamare le norme che determinano oneri, indica anche il comma 2, che invece non sembra recare oneri, in quanto in caso di modifica “comunitaria” del livello minimo automaticamente si dovrà provvedere ad un adeguamento dell’accisa dovuta per il gasolio per coltivazioni in serra.

 

Alla copertura dell’onere si provvede mediante riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all’impiego agevolato di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali 26 febbraio 2002, recante “Determinazione dei consumi medi dei prodotti petroliferi impiegati in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nelle coltivazioni sotto serra ai fini dell’applicazione delle aliquote ridotte o dell’esenzione dell’accisa”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 20 marzo 2002, in misura tale da garantire la copertura finanziaria di cui al presente comma.

Si ricorda che la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) all’articolo 1, comma 517 dispone la riduzione del 5 per cento, a decorrere dal 1o gennaio 2014, dei consumi medi dei prodotti petroliferi da ammettere all'impiego agevolato in agricoltura, come determinati in modo standardizzato nell’Allegato 1 al decreto del Ministero delle politiche agricole del 26 febbraio 2002 (G.U. n. 67/2002). Limitatamente all’anno 2013 i predetti consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato in agricoltura sono ridotti del 10 per cento.

Peraltro, l’articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce che le regioni e le province autonome, quando ricorrano le speciali condizioni elencate al comma 2, possano disporre le maggiorazioni di cui ai punti 19 e 20 dello stesso allegato 1.

 

Il comma 4 rinvia la disciplina dell’applicazione del presente articolo ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze.

 

Dopo il comma 4 sono stati aggiunti, durante l’esame da parte delle Commissioni di merito, due nuovi commi, 4-bis e 4-ter, recanti la modifica alla normativa contenuta nel decreto-legge n.5 del 2012 in materia di progetti di riconversione del comparto bieticolo-saccarifero.

 

Nel corso del 2006, con l’approvazione di un pacchetto di tre regolamenti, anche il settore dello zucchero, come in precedenza già disposto per altri, è stato toccato da una profonda riforma allo scopo di renderlo adeguato con gli impegni giuridici e politici assunti dall'Unione europea a livello internazionale.

Il regolamento n. 319/2006 ha previsto una specifica forma di aiuto, per un massimo di cinque anni consecutivi, destinata ad ammortizzare gli effetti del processo di ristrutturazione negli Stati membri che hanno rinunciato ad almeno il 50% della propria quota produttiva: in tali Stati è concesso un aiuto temporaneo nazionale ai produttori di barbabietole da zucchero rimasti attivi. Il quinquennio di validità dell’aiuto decorre dall’anno in cui è stata raggiunta la riduzione del 50%, ma può essere erogato al più tardi nella campagna di commercializzazione 2013/2014.

L’Italia ha posto in atto un processo di ristrutturazione concordato in sede di tavolo di filiera bieticolo-saccarifera, e formalizzato nell’accordo sottoscritto in data 8 febbraio 2006. Con tale accordo sono stati definiti gli impegni alla riconversione degli stabilimenti e si è giunti alla dimissione di 15 dei precedenti 19 impianti attivi, con una riduzione della produzione nazionale del 70%.

Per consentire la riconversione degli stabilimenti, in gran parte rivolti alla produzione di energia, l’articolo 2 del D.L. n. 2/2006 ha fondamentalmente disposto:

-        la istituzione di un Comitato interministeriale, allargato a tre presidenti regionali, con il compito di approvare (entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, ossia entro il 26 febbraio 2006) il Piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera, di coordinare le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione del settore e di formulare direttive per l’approvazione dei progetti di riconversione (commi 1 e 2);

-        la presentazione (entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, ossia entro il 13 marzo 2006), da parte delle imprese saccarifere, di progetti di riconversione, soggetti all’approvazione del Ministero delle politiche agricole e forestali (comma 3).

Il Comitato, istituito con DPCM del 30 ottobre 2006, ha approvato 13 progetti di riconversione nella propria riunione del 19/3/2008; ma già nel 2009 (verbale del 9/9) il Comitato, prendendo atto che 7 progetti avevano problemi di attuazione, dichiarava i progetti di riconversione di interesse nazionale, e prendeva altresì in considerazione l’ipotesi di un commissariamento dei progetti con problemi di realizzazione.

Con il decreto-legge n. 5/2012, al fine di accelerare la riconversione di tale settore, è stato previsto (art. 29) che i progetti approvati dall’apposito Comitato interministeriale rivestano carattere di interesse nazionale, anche ai fini della definizione e del perfezionamento dei processi autorizzativi e del’effettiva entrata in esercizio (comma 1 dell’art.29); il Comitato veniva, quindi, abilitato a disporre le norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l’esecutività degli stessi progetti e a nominare, nei casi di particolare necessità, un commissario ad acta per l’attuazione degli accordi definiti in sede regionale (comma 2).

Con sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2013, il comma 2 dell’articolo 29 è stato dichiarato illegittimo in quanto attributivo di una potestà regolamentare o amministrativa (la Corte chiarisce che dalla norma non è facilmente definibile la natura della potestà attribuita) che non trova riscontro nella ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e regioni (intervenendo l’art. 29 su materia riguardante l’agricoltura, attribuita alla competenza residuale delle regioni, e sulla quale è esclusa la potestà regolamentare ed amministrativa dello Stato) ed in quanto configurante un potere sostitutivo statale, che non trova giustificazione nella disciplina di cui all’articolo 120 della Costituzione, in riferimento al mancato rispetto della normativa comunitaria.

 

Per far fronte a tale rilievi, le nuove disposizioni introdotte intervengono sui commi 1 e 2 dell’art. 29 del decreto-legge n. 5 del 2012, prevedendo:

§      al comma 1, un riferimento, non più ai progetti di riconversione “che rivestono carattere nazionale anche ai fini della definizione e del perfezionamento dei processi autorizzativi e dell’effettiva entrata in esercizio” quanto a quelli che rivestono carattere strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale in quanto strettamente connessi ai profili di sviluppo economico di tali insediamenti produttivi;

§      al comma 2, sostituendo l’intero comma, in modo da prevedere che tali progetti riguardino la realizzazione di iniziative di riconversione industriale, in prevalenza attinenti alla produzione di energia da fonti rinnovabili e finalizzati al reimpiego dei lavoratori dipendenti dalle imprese saccarifere. Il Comitato interministeriale può nominare, per l’attuazione di tali progetti, un Commissario ad acta per l’esecuzione degli accordi per la riconversione industriale.

 

L’articolo 20 del decreto legge n. 185 del 2008 ha previsto, al comma 1, che con D.P.C.M. sono individuati gli investimenti pubblici di competenza statale ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio. Con i commi 2-6 ha delineato una figura di commissario straordinario con il compito di vigilare su tutte le fasi dei procedimenti, con poteri di impulso e anche sostitutivi, al fine di accelerare le procedure di realizzazione dell’investimento. Il comma 3 attribuisce al commissario straordinario delegato una serie di funzioni di indirizzo e coordinamento per la realizzazione dell’investimento che si sostanziano nelle seguenti fattispecie:

§       monitorare l'adozione degli atti e dei provvedimenti necessari per l'esecuzione dell'investimento;

§       vigilare sull'espletamento delle procedure realizzative e su quelle autorizzative, sulla stipula dei contratti e sulla cura delle attività occorrenti al finanziamento, utilizzando le risorse disponibili assegnate a tale fine;

§       esercitare ogni potere di impulso, attraverso il più ampio coinvolgimento degli enti e dei soggetti coinvolti, per assicurare il coordinamento degli stessi ed il rispetto dei tempi. A tal fine ha facoltà di chiedere agli enti coinvolti qualsiasi documento utile per l'esercizio dei propri compiti.


 

Articolo 7
(
Imprese miste per lo sviluppo
)

 

Al fine di sostenere la ripresa delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, favorendo l’internazionalizzazione delle imprese italiane attraverso la creazione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo, l’articolo 7 novella il comma 1 dell’articolo 7 della legge n. 49 del 1987, che disciplina l’assetto della cooperazione italiana allo sviluppo.

La nuova formulazione prevede che attraverso il Fondo di rotazione per la cooperazione allo sviluppo, gestito dal Mediocredito centrale (originariamente previsto dalla legge n. 227 del 1977, cd. “Legge Ossola” e disciplinato dall’art. 6 della richiamata legge n. 48 del 1987) possano essere concessi, ad imprese italiane, crediti agevolati per assicurare il finanziamento integrale del capitale di rischio ai fini della costituzione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo (PVS), con corresponsione dei crediti agevolati, anche in forma anticipata.

I crediti potranno essere erogati a favore di investitori pubblici o privati o di organizzazioni internazionali, sempre al fine di favorire da parte loro la costituzione di imprese miste nei PVS, ovvero di promuovere lo sviluppo attraverso altre agevolazioni identificate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).

Una quota del Fondo rotativo, sempre secondo quanto previsto dal comma 1, potrà altresì essere destinata a dar vita ad un nuovo Fondo di garanzia a tutela dei prestiti concessi da istituti di credito a imprese italiane, oppure per facilitare gli apporti di capitale italiano nelle imprese miste.

La previgente disciplina non prevedeva l’eventualità di una previa corresponsione di tali crediti e precisava che essi potessero coprire solo parzialmente il finanziamento del capitale di rischio.

La relazione tecnica precisa che la disposizione non comporta effetti negativi per la finanza pubblica, poiché le risorse disponibili sul Fondo continueranno ad essere impiegate con modalità a carattere di rotatività.

 

Nel corso dell’esame in sede referente sono stati inseriti due commi aggiuntivi: il comma 1-bis introduce una norma che impone alle imprese italiane che abbiano accesso ai predetti crediti agevolati l’osservanza delle linee-guida stabilite dall’OCSE in materia di imprese multinazionali, aggiornate dalla Conferenza ministeriale dell’OCSE svoltasi a Parigi il 25 maggio 2011, e della risoluzione del 6 aprile 2011 del Parlamento europeo in materia di investimenti internazionali e di rispetto da parte delle imprese delle clausole sociali ed ambientali e delle norme internazionali sui diritti umani.

Il comma 1-ter attribuisce la vigilanza sull’Ente nazionale per il microcredito, istituito dal decreto-legge n. 70 del 2011, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il richiamato D.L. n. 70 del 2011 ha costituito l’Ente nazionale per il microcredito, soggetto di diritto pubblico che persegue l’obiettivo dello sradicamento della povertà e della lotta all’esclusione sociale in Italia, ed in ambito internazionale, nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione. L’Ente nazionale per il microcredito è così stato denominato dall’articolo 8, comma 4-bis del D.L. 70 del 2011, ad esito del riordino del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito; esso è stato dunque costituito nella forma di ente pubblico non economico e dotato di ampie forme di autonomia; svolge funzioni di coordinamento nazionale in materia con compiti, tra l’altro, di valutazione e monitoraggio degli strumenti microfinanziari promossi in sede europea. L’ente è dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, patrimoniale, contabile e finanziaria.

La legge finanziaria 2008 (articolo 2, commi 185, 186 e 187 della legge n. 244 del 2007) aveva attribuito al Comitato personalità giuridica di diritto pubblico, consentendo ad esso di svolgere la propria attività presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche per agevolare l’esecuzione tecnica dei progetti di cooperazione a favore dei Paesi in via di sviluppo, d’intesa con il Ministero degli affari esteri.

In particolare, il comma 186 aveva dotato il Comitato di un fondo comune, unico ed indivisibile, attraverso cui esercitare autonomamente ed in via esclusiva le attribuzioni istituzionali. La gestione patrimoniale e finanziaria del Comitato è stata disciplinata dal regolamento di contabilità richiamato dalle disposizioni in esame (D.P.C.M. 27 novembre 2008), approvato su proposta del presidente del Comitato.

Il fondo comune è costituito da contributi volontari degli aderenti o di terzi, donazioni, lasciti, erogazioni conseguenti a stanziamenti deliberati dallo Stato, dagli enti territoriali e da altri enti pubblici o privati, da beni e da somme di danaro o crediti che il Comitato ha il diritto di acquisire a qualsiasi titolo secondo le vigenti disposizioni di legge. Rientrano anche nel fondo i contributi di qualunque natura erogati da organismi nazionali od internazionali, governativi o non governativi, ed ogni altro provento derivante dall’attività del Comitato.

Successivamente, il comma 4-bis dell'articolo 2 del decreto legge n. 78 del 2009 ha autorizzato – a decorrere dall’anno 2010 - la spesa annua di 1,8 milioni di euro in favore del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito, al fine di consentire la promozione, la prosecuzione e il sostegno di programmi di microcredito e microfinanza finalizzati allo sviluppo economico e sociale del Paese e di favorire la lotta alla povertà, nonché per il funzionamento del Comitato medesimo.

Il comma 31 dell'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha poi disposto il trasferimento della vigilanza sul Comitato nazionale permanente per il microcredito al Ministero per lo sviluppo economico.

Con il richiamate disposizioni del D.L. n. 70 del 2011 sono state trasferite all'Ente nazionale per il microcredito le risorse iscritte nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per interventi a favore del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito.

Il D.L. n. 179 del 2012 (articolo 23, comma 10-bis) ha previsto che potranno confluire al fondo comune dell’Ente nazionale per il microcredito (unico ed indivisibile), destinato ex lege all’esercizio autonomo ed in via esclusiva delle attribuzioni istituzionali, anche le risorse stanziate dal citato D.L. 78/2009 (1,8 milioni di euro annui) per la promozione, la prosecuzione e il sostegno di programmi di microcredito e microfinanza volti allo sviluppo economico e sociale del Paese e al contrasto alla povertà, nonché stanziati per il funzionamento del Comitato medesimo.

Il contributo annuo di cui al D.L. 78/2009 viene dunque qualificato onere inderogabile (per effetto del rinvio all’articolo 10, comma 15, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98) categoria tra cui rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie, ossia le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, le spese derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle vincolate a particolari meccanismi o parametri, determinati da leggi che regolano la loro evoluzione.

Il citato contributo può essere destinato anche alla costituzione di fondi di garanzia e fondi rotativi dedicati ad attività di microcredito e microfinanza in campo nazionale ed internazionale.


 

Articolo 8
(Partenariati)

 

L’articolo 8 del decreto legge in esame introduce un articolo aggiuntivo, il 14-bis (Partenariati), alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo.

Il comma 1 prevede, per l’attuazione degli interventi di cooperazione allo sviluppo definiti dalla stessa legge 49 del 1987, la sottoscrizione di appositi accordi di programma tra enti pubblici, organismi sopranazionali ed enti privati promotori dei predetti interventi.

Il comma precisa che gli accordi in questione sono soggetti al rispetto delle disposizioni della legge n. 241 del 1990, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi che disciplina le modalità di stipula degli accordi sostitutivi di provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, nonché degli accordi di programma, prescrivendo anche l’obbligo dell’esplicitazione della motivazione.

Il comma 2 , stabilisce che la rendicontazione degli interventi avvenga in base alle norme ordinarie, rinviando ad un decreto di natura non regolamentare del ministro degli esteri, emanato d’intesa con il ministro dell’economia e delle finanze, la disciplina di dettaglio per la rendicontazione degli accordi di cui al comma precedente.

Il comma 2 richiama inoltre espressamente l'articolo 11, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 123 del 2011 ai fini della sottoposizione al controllo contabile successivo.

Il comma 3 prescrive il versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme statali non utilizzate alla fine dell’intervento di cooperazione ovvero, quando si tratta di fondi non statali, la loro restituzione ai soggetti privati o pubblici o sovranazionali che li avevano erogati.

Nella relazione tecnica si evidenzia che alla disposizione in oggetto, volta semplificare le procedure contabili di spesa, non si ascrivono oneri finanziari.


 

Articolo 9, commi 1-3
(Accelerazione nell’utilizzazione dei fondi comunitari)

 

L’articolo 9 reca, ai commi da 1 a 3, norme sull’utilizzazione dei fondi strutturali europei, finalizzate ad evitare il rischio di ulteriori ritardi nell’utilizzo delle risorse comunitarie e le conseguenze dell’attivazione delle sanzioni comunitarie del definanziamento delle risorse medesime.

 

L’obiettivo è perseguito dal comma 1 stabilendo un obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria di tale materia rispetto ad altre.

In particolare, si sancisce l’obbligo per le amministrazioni e le aziende dello Stato anche a ordinamento autonomo, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le istituzioni universitarie, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli enti pubblici non economici nazionali, le agenzie fiscali di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di dare precedenza, nella trattazione degli affari di propria competenza, ai procedimenti, ai provvedimenti e agli atti, anche non aventi natura provvedimentale, relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all’utilizzazione dei fondi strutturali europei, compresi quelli inerenti allo sviluppo rurale e alla pesca, e alla realizzazione dei progetti finanziati con i medesimi fondi.

 

L’obiettivo di accelerazione dei procedimenti in tale materia è già stato oggetto dei seguenti recenti interventi, effettuati sia con atti aventi forza e valore di legge, sia con atti amministrativi e accordi tra amministrazioni:

§       il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, all’articolo 3, comma 3, prevede che il Ministro delegato per la politica di coesione adotti, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi;

§       l'articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, stabilisce che le risorse provenienti da una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, sono destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra le Autorità italiane e la Commissione europea;

§       ai sensi della delibera CIPE n. 1 del 2001 con l’accordo nell’ambito del Comitato Nazionale del Quadro Strategico Nazionale (riunione del 30 marzo 2011) tra tutte le Regioni, le Amministrazioni centrali interessate e il partenariato economico e sociale, è stato individuato un percorso per l’accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, vale a dire sia quelle di carattere aggiuntivo previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate) sia quelle definite dai fondi strutturali dell’Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea.

Sono stati definiti specifici target calcolati in rapporto alle soglie annuali n+2 delle risorse comunitarie che devono essere raggiunte da ciascun Programma nel corso degli anni 2012 e 2013: In particolare, al 31 maggio 2013 deve essere raggiunto il 40% della soglia e al 31 ottobre 2013 l’80%.

§       con il Piano di Azione Coesione, adottato alla fine del 2011 - definito di intesa con la Commissione europea in attuazione degli impegni assunti dal Governo italiano nel corso del Vertice europeo del 26 ottobre 2011 - il quale ha permesso una riprogrammazione delle risorse comunitarie e la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, per complessivi 12,1 miliardi, che è stata trasferita al di fuori dei programmi operativi stessi, a favore di interventi considerati prioritari dal Piano di azione coesione.

 

Va ricordato che il Ministro per la coesione territoriale, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 presso le Commissioni V e XIV della Camera, al 31 maggio 2013, data dell'ultima verifica dei target intermedi nazionali di spesa, ha reso noto che la spesa certificata cumulata per il complesso dell'Italia (19,8 miliardi di euro) ha superato (di 1,2 punti percentuali) l'obiettivo di spesa complessiva, raggiungendo un livello pari al 40% degli importi da considerare[3], ma che, tuttavia, questo dato riflette risultati molto differenziati fra le due macro aree. Nelle regioni più sviluppate si raggiunge infatti un livello di spesa pari al 49,4% delle risorse programmate, mentre nelle regioni meno sviluppate, la spesa si ferma al 35,7%. Determinante, al fine di conseguimento del risultato di spesa sopra indicato, che ha consentito di evitare una perdita di risorse derivanti dal bilancio comunitario a fine 2012, è stata – ricorda il Ministro - la riduzione del cofinanziamento nazionale, attuata attraverso il Piano di Azione Coesione, che ha ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles[4]. Nel complesso, tuttavia, le risorse ancora da spendere, anche dopo la riprogrammazione del Piano di Azione Coesione, ammontano a circa 30 miliardi di euro, la maggior parte dei quali nell'area della Convergenza.

Con riferimento alle sanzioni previste dall’ordinamento dell’Unione europea, si ricorda che il mancato conseguimento degli obiettivi UE comporta, secondo i Regolamenti comunitari[5], una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato.

Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente.

Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

Al costante monitoraggio della spesa dei fondi strutturali nel quadro dei programmi operativi, nazionali e regionali, provvede il Ministro per la Coesione territoriale sulla base di dati validati dalla Ragioneria generale dello Stato e dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e la Coesione economica.

Al riguardo, la Relazione illustrativa al provvedimento in esame ricorda che la Commissione europea ha già proposto una raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea per un rafforzamento dei poteri delle strutture centrali dello Stato al fine di realizzare un’efficace utilizzazione dei fondi comunitari. Nella Raccomandazione del 29 maggio 2013 (Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017[6]) la Commissione europea, nel sottolineare l’azione intrapresa dall’Italia per il miglioramento dell’efficienza e della qualità della spesa pubblica, raccomanda all’Italia di adottare nel periodo 2013-2014 misure strutturali per migliorare la gestione dei fondi dell’UE nelle Regioni del Mezzogiorno, in vista del periodo di programmazione 2014-2020[7].

 

Per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali, il comma 2 - come sostituito nel corso dell’esame in sede referente - dà la facoltà al Governo, in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, di sostituirsi all’amministrazione inerte o inadempiente.

Il potere sostitutivo è esercitato dal Governo - al fine di assicurare la competitività, la coesione e l’unità economica del Paese - ai sensi dell'articolo 120, comma secondo, della Costituzione, secondo le modalità procedurali individuate:

§      dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131[8], che disciplina la procedura per l’esercizio del potere sostitutivo da parte del Governo in attuazione del dettato costituzionale testé citato.

L’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, come modificato dalla riforma del Titolo V del 2001, prevede il potere sostitutivo del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali in gravi casi di inadempienza (mancato rispetto di norme internazionali o comunitarie) oppure qualora sia in pericolo la sicurezza pubblica, od ancora quando, in generale, lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica del Paese.

Tale dettato costituzionale è attuato dall’articolo 8 della legge n. 131/2003 che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo del Governo prevedendo un procedimento che si conclude con delibera del Consiglio dei Ministri e mette capo a provvedimenti sostitutivi o a nomina di commissario.

§      dagli articoli 5 e 11 della legge n. 400 del 1988, relativi, rispettivamente, alle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri e ai Commissari straordinari del Governo;

§      dalle vigenti disposizioni in materia di interventi sostitutivi finalizzati all'esecuzione di opere e di investimenti nel caso di inadempienza di amministrazioni statali, ovvero di quanto previsto dai contratti istituzionali di sviluppo e dalle concessioni nel caso di inadempienza dei concessionari di servizi pubblici.

L’esercizio del potere sostitutivo del Governo avviene anche attraverso la nomina di un commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il quale cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche occorrenti all'autorizzazione e all'effettiva realizzazione degli interventi programmati, nel limite delle risorse allo scopo finalizzate.

 

La norma prevede il potere sostitutivo del Governo, richiamando il fine di non incorrere nelle sanzioni previste dall’ordinamento dell’Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti, relativamente alla programmazione 2007-2013.

 

Si ricorda che l’originario comma 2 del decreto legge - – per le medesime finalità testé descritte e sempre limitatamente al periodo di programmazione 2007-2013 - dà facoltà allo Stato o alla Regione - ove si accertino ritardi ingiustificati nell’adozione di atti di competenza degli enti territoriali - di intervenire in via sussidiaria sostituendosi all’ente inadempiente, delineando uno specifico meccanismo procedurale di esercizio di tale potere nei commi 3 e 4. Tale meccanismo si incentra, in prima battuta, sulla convocazione di una conferenza di servizi finalizzata ad individuare le inadempienze, e atta a comunicare, all’ente territoriale inadempiente le iniziative da adottare; nonché, in caso di ulteriore mancato adempimento, nel potere dell’amministrazione dello Stato, sentite le Regioni interessate, di adotta le iniziative necessarie al superamento delle criticità riscontrate, eventualmente sostituendosi all’ente inadempiente attraverso la nomina di uno o più commissari ad acta.

 

I commi 3 e 4 del testo originario dell’articolo in esame sono stati soppressi nel corso dell’esame in sede referente, in ragione del fatto che le modalità procedurali per l’esercizio del potere sostitutivo trovano ora disciplina, attraverso un richiamo per per relationem alle norme vigenti in materia, in primis alle norme di rango costituzionale, nel comma 2.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata introdotta la previsione che le amministrazioni interessate possono avvalersi di quanto previsto dall’articolo 55-bis del D.L. n. 1/2012 (legge n. 27/2012), il quale consente alle stesse, per gli interventi e i progetti finanziati con fondi europei, di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, dell’Agenzia nazionale per l’attrazione per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa (ex Sviluppo Italia, ora INVITALIA) S.p.A.

 

Si ricorda che l’articolo 55-bis, al comma 1, prevede - per le amministrazioni centrali competenti alla realizzazione di interventi riguardanti le aree sottoutilizzate del Paese, finanziati con risorse nazionali, dell’Unione europea e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione - la possibilità di avvalersi per le occorrenti attività economiche, finanziarie e tecniche, delle convenzioni con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (INVITALIA S.p.A) [9].

In particolare, il medesimo articolo, al comma 2-bis (introdotto dall’articolo 29-bis del D.L. n. 83/2012[10] – al fine di accelerare l'attuazione degli interventi di rilevanza strategica per la coesione territoriale e la crescita economica, con particolare riferimento a quelli nelle aree sottoutilizzate del Paese, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione; nonché, per razionalizzare e rendere più efficienti le relative procedure di spesa – per i progetti finanziati con fondi europei consente alle amministrazioni interessate di avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, della suddetta Agenzia.

L'Agenzia opererà in qualità di centrale di committenza, ai sensi degli articoli 3, comma 34, 19, comma 2, e 33, comma 3, del D.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), nell’ambito delle sue competenze istituzionali e ferme restando le disposizioni vigenti in materia di procedure di acquisto di beni e servizi.

 

Il nuovo comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che le autorità di gestione dei programmi operativi regionali o nazionali, che abbiano disponibilità di risorse sui relativi assi territoriali o urbani, attingono direttamente agli interventi candidati dai Comuni al Piano Città di cui all'articolo 12 del D.L. n. 83/2012 (legge n. 134/2012)[11], stipulando accordi diretti con i Comuni proponenti, in quanto questi ultimi risultino coerenti con le finalità dei suddetti programmi operativi.

Si osserva che non appare del tutto chiara la formulazione della locuzione “attingono direttamente agli interventi candidati dai Comuni al Piano Città”; è presumibile, pertanto, che la norma intenda fare riferimento alla possibilità di destinare le risorse dei programmi operativi nazionali e regionali, ove siano disponibili sui relativi assi territoriali o urbani, agli interventi del medesimo Piano Città.

 

La finalità dell’intervento indicata dal comma è quella di accelerare le procedure di certificazione delle spese comunitarie relative ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 e per evitare di incorrere nelle sanzioni del disimpegno automatico delle somme previste dai regolamenti comunitari.

 

Si ricorda che l'art. 12 del D.L. 83/2012 disciplina il Piano nazionale per le città. Ai sensi dei commi 1 e 2 del predetto articolo, i comuni propongono ad uno specifico organismo, la Cabina di regia, ai fini della predisposizione del Piano da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), proposte di contratti di valorizzazione urbana costituite da un insieme coordinato di interventi per la valorizzazione di aree urbane degradate indicando una serie di elementi indicati nel comma 2 e, in particolare: la descrizione, le caratteristiche e l‘ambito urbano oggetto di trasformazione e valorizzazione; gli investimenti ed i finanziamenti necessari, sia pubblici che privati, comprensivi dell‘eventuale cofinanziamento del comune proponente; i soggetti interessati; le eventuali premialità; il programma temporale degli interventi da attivare; la fattibilità tecnico-amministrativa.

In data 8 febbraio 2013 il MIT ha emanato il decreto dipartimentale n. 1105/2013, di approvazione della destinazione delle risorse del Fondo citato proposta dalla Cabina di regia. I progetti che hanno superato la selezione potranno usufruire, secondo quanto indicato in un comunicato del MIT, "di un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro (224 dal Fondo Piano Città e 94 dal Piano Azione Coesione per le Zone Franche Urbane dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per le PMI), che attiveranno nell'immediato progetti e lavori pari a 4,4 miliardi di euro complessivi, tra fondi pubblici e privati".

 

In particolare, il comma dispone l’istituzione - su iniziativa del Ministero della Coesione Territoriale e d'intesa con il Ministero degli Affari Regionali e delle Autonomie Locali, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto – di un tavolo tecnico, al quale partecipano le autorità di gestione dei programmi operativi regionali e nazionali e, in rappresentanza dei comuni beneficiari, l'ANCI, che provvede a supportare le autorità competenti nell'istruttoria di tutti gli adempimenti necessari per l'ammissione al finanziamento dei suddetti interventi.

Si demanda ad una apposita convenzione - da stipularsi, entro 30 giorni dalla costituzione del tavolo tecnico, tra l'ANCI e il Ministero della Coesione Territoriale e il Ministero per gli affari regionali e le autonomie locali – la definizione:

§      delle linee di indirizzo per la stipula degli accordi diretti tra i Comuni e le autorità di gestione;

§      nonché del raccordo tra le attività di supporto alla stipula di dette convenzioni (recte, accordi) e le misure di assistenza tecnica o azioni di sistema dei programmi di capacity building della programmazione regionale unitaria.


 

Articolo 9, comma 5
(Risorse del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza )

 

Il comma 5 dell’articolo 9 dispone l’accreditamento delle risorse economiche del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie e il trasferimento da questo alle gestioni commissariali attivate per fronteggiare i predetti interventi ovvero, in mancanza, alle amministrazioni competenti.

Secondo quanto precisato dalla relazione illustrativa la norma si renderebbe necessaria al fine di superare i dubbi interpretativi e applicativi sorti in sede di controllo preventivo di legittimità in ordine al soggetto giuridico legittimato a gestire le risorse economiche rivenienti dal Fondo, dubbi che – secondo quanto riportato nella relazione – avrebbero comportato il blocco di parte delle risorse economiche messe a disposizione dall’Unione europea, stante la mancata registrazione di provvedimenti assunti dalla regione Lombardia motivata dalla ritenuta competenza del Dipartimento della protezione civile. Dovrebbe trattarsi, pertanto, di problemi sorti in relazione alla gestione delle risorse del Fondo di solidarietà erogate a fronte degli eventi sismici del maggio 2012 che hanno colpito, tra l’altro, la Lombardia.

 

Si ricorda che in caso di calamità naturali il principale strumento che l’Unione europea mette a disposizione è il Fondo di solidarietà (FSUE) istituito dal Regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell'11 novembre 2002. L’articolo 5 di tale Regolamento prevede che la Commissione e lo Stato beneficiario concludano una convenzione (o accordo) di attuazione della decisione che concede la sovvenzione. Tale accordo descrive segnatamente la natura e la localizzazione degli interventi che saranno finanziati dal Fondo e dispone in merito all’individuazione dell’organismo responsabile dell’attuazione dell’accordo medesimo.

Si segnala, inoltre, che l’articolo 2, comma 5, del decreto legge n. 74 del 2012, prevede che il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 nei territori delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto venga alimentato, tra l’altro, con le risorse eventualmente rivenienti dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea. Ai presidenti delle predette regioni, in qualità di Commissari delegati, sono intestate apposite contabilità speciali aperte presso la tesoreria statale su cui sono assegnate le risorse provenienti dal Fondo.

 

Da ultimo, la disposizione precisa che resta fermo il ruolo dell’organismo responsabile dell’attuazione dell’Accordo sottoscritto in sede europea.

Relativamente all’individuazione del citato organismo si rinvia a quanto detto in precedenza a proposito del FSUE.


 

Articolo 9-bis
(Attuazione rafforzata degli interventi per lo sviluppo e la coesione territoriale)

 

L’articolo 9-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, interviene in merito al “contratto istituzionale di sviluppo”, cioè quello strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali europei, nonché per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

Si rammenta che In attuazione del Piano nazionale per il Sud, prima con la delibera CIPE n. 1 del 2011, poi con l’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011, è stato introdotto nell’ordinamento, in sostituzione del previgente strumento dell’intesa istituzionale di programma, il contratto istituzionale di sviluppo (CIS).

Il contratto istituzionale di sviluppo viene sottoscritto dal Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, dai Presidenti delle Regioni interessate e possono parteciparvi altre amministrazioni competenti, compresi i concessionari di servizi pubblici[12].

Il comma 2 specifica che il contratto istituzionale di sviluppo è promosso dal Ministro per la coesione territoriale o dalle amministrazioni titolari dei nuovi progetti strategici, coerenti con priorità programmatiche di rango europeo, nazionale e/o territoriale, ed è regolato dai commi 2 e seguenti dell'articolo 6, decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, per quanto compatibili con il presente articolo.

I successivi commi da 3 a 7 novellano l’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011, ponendo l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa (denominata anche Invitalia), quale soggetto centrale di coordinamento delle attività di progettazione e di realizzazione degli interventi ricompresi nei contratti istituzionali di sviluppo.

 

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007, all’articolo 1, commi da 459 a 464, ha introdotto una serie di disposizioni volte ad un complessivo riassetto della società Sviluppo Italia S.p.A., che viene denominata “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.”, da attuarsi mediante un piano di riordino e di dismissione delle partecipazioni societarie detenute nei settori non strategici e di cessione delle società regionali. I settori di intervento della società riguardano, in particolare, l’attrazione degli investimenti esteri (contratto di localizzazione), gli incentivi alle imprese (autoimpiego e autoimprenditorialità; interventi di deindustrializzazione ex lege n. 181/1989; contratti di sviluppo).

Da ultimo l’articolo 55-bis del D.L. n. 1 del 2012 consente alle amministrazioni centrali di avvalersi delle convenzioni con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. per le attività economiche, finanziarie e tecniche - comprese quelle di progettazione in materia di lavori pubblici – occorrenti ai fini della realizzazione di interventi riguardanti le aree sottoutilizzate del Paese, con particolare riferimento agli interventi di rilevanza strategica per la coesione territoriale, finanziati con risorse nazionali, comunitarie e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, anche mediante finanza di progetto.

 

Il comma 3 sostituisce al comma 2 dell’articolo 6 l’ultimo periodo, prevedendo, quale modalità attuativa, che le amministrazioni centrali, ed eventualmente regionali, si avvalgano dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, salvo per quanto assegnato all'attuazione dei concessionari di servizi pubblici.

La formulazione vigente prevede la generica possibilità per le amministrazioni centrali e regionali di avvalersi di organismi di diritto pubblico in possesso dei necessari requisiti di competenza e professionalità.

 

Analogamente con il comma 4 viene novellato l’articolo 5, comma 4, del medesimo D.Lgs. n. 88, relativo alla Programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

Il richiamato comma 4 prevede che con delibera del CIPE da approvare entro il mese di ottobre dell’anno che precede l’avvio del ciclo pluriennale di programmazione (in sede di prima applicazione sarà il mese di ottobre 2013) siano definiti i contenuti di un Documento di indirizzo strategico.

I contenuti del Documento di indirizzo strategico dovranno indicare:

a) gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate, le finalità specifiche da perseguire, il riparto delle risorse tra le priorità e le diverse macro-aree territoriali, nonché l’identificazione delle Amministrazioni attuatrici;

(…)

d) eventuali meccanismi premiali e sanzionatori, ivi compresa la revoca anche parziale dei finanziamenti relativi al raggiungimento di obiettivi e risultati misurabili e al rispetto del crono programma.

 

La novella in esame modifica la lettera a) facendo riferimento, ai fini dell’identificazione, delle amministrazioni responsabili dell'attuazione e l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, anche quale centrale di committenza della quale si possono avvalere le stesse amministrazioni responsabili per l'attuazione degli interventi strategici.

La lettera d) viene novellata inserendo tra i contenuti del Documento di indizio strategico anche gli incentivi all'utilizzazione del contratto istituzionale di sviluppo.

 

Il comma 5 stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa nelle attività di progettazione e realizzazione degli interventi opererà nel rispetto della disciplina nazionale e comunitaria in materia. Ai progetti strategici si applicano le vigenti disposizioni in materia di prevenzione e repressione della criminalità e dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ivi comprese quelle concernenti le comunicazioni e informazioni antimafia.

Tale principio è già contenuto all’articolo 6, comma 3 del D.Lgs. n. 88, ai sensi del quale per gli interventi individuati nel contratto istituzionale di programma si applicano le vigenti disposizioni in materia di prevenzione e repressione della criminalità organizzata e dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ivi comprese quelle concernenti le comunicazioni e informazioni antimafia.

 

Ai sensi del comma 6 si rinvia ad una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali, per l’aggiornamento del contenuto minimo delle convenzioni previste dal comma 5, dell’articolo 2, del decreto legislativo 9 gennaio 1999, n. 1, istitutivo dell’originaria società Sviluppo Italia[13].

Infine il comma 7 dispone che dall’'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 10
(Offerta di accesso ad Internet tramite WiFi)

 

L’articolo 10 modifica sotto diversi profili la disciplina della prestazione al pubblico di servizi Internet. In particolare, si interviene sulle modalità di identificazione degli utenti e sulla conservazione dei relativi dati; sui titoli autorizzativi necessari per l’effettuazione di tale attività e sull’installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica. Nel corso dell’esame in sede referente sono stati sostituiti i commi 1 e 2.

Identificazione degli utenti, titoli autorizzativi e conservazione dei dati personali

Il comma 1, come sostituito nel corso dell’esame in sede referente, afferma che, quando non costituisce attività commerciale prevalente del gestore di un pubblico esercizio, l’offerta di accesso ad Internet al pubblico tramite tecnologia WiFi non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori.

 

Al riguardo, nel richiamare la ricostruzione normativa operata nel dossier relativo al testo originario del decreto legge, si segnala che l’avvenuta abrogazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 (c.d. “decreto Pisanu”), ad opera dell’articolo 2, comma 19, del decreto-legge n. 225/2010, appare avere già soppresso, anche con riferimento alle tecnologie Wi-Fi, gli obblighi di identificazione personale per tutti i soggetti gestori di pubblici esercizi o di circoli privati, anche quando questa attività costituisca l’attività commerciale prevalente. Ove si acceda a questa interpretazione, la disposizione potrebbe pertanto sortire l’effetto di reintrodurre gli obblighi di identificazione per i gestori di pubblici esercizi che svolgano tale attività in modo prevalente.

 

Si ricorda che l’articolo 7, comma 4, del decreto-legge n. 225/2010, soppresso dall’articolo 2, comma 19, del decreto-legge n. 225/2010 prevedeva, per tutti i gestori di pubblici esercizi e di circoli privati, anche “misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili”. In attuazione della disposizione, l’articolo 4 del decreto del Ministro dell’interno 16 agosto 2005 (che dovrebbe risultare anch’esso implicitamente abrogato) prevedeva che “i soggetti che offrono accesso alle reti telematiche utilizzando tecnologia senza fili in aree messe a disposizione del pubblico sono tenuti ad adottare le misure fisiche o tecnologiche occorrenti per impedire l'uso di apparecchi terminali che non consentono l'identificazione dell'utente, ovvero ad utenti che non siano identificati secondo le modalità di cui all'art. 1 (identificazione e monitoraggio degli utenti)”.

 

Per lo svolgimento della medesima tipologia di attività è inoltre soppresso, in analogia a quanto già previsto dal comma 2 del testo vigente:

§      l’obbligo di ottenere l’autorizzazione generale (che si esplica in una denuncia di inizio attività con il meccanismo del silenzio-assenso) prevista dall’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003);

§      l’obbligo di ottenere la licenza al questore previsto dall’articolo 7 del decreto-legge n. 144/0255 (obbligo che però potrebbe risultare già superato, per tutti i gestori, in forza di quanto previsto dal già ricordato articolo 2, comma 19, del decreto legge n. 225/2010).

 

Tale disposizione, infatti, oltre ad abrogare, come si è visto, i commi 4 e 5 dell’articolo 7 del decreto-legge n. 144/2005, ha anche modificato il comma 1, prevedendo che l’obbligo di richiedere la licenza al questore permanesse, ma solo fino al 31 dicembre 2011, per coloro che svolgono la fornitura di connessione ad Internet come attività principale. Al riguardo, si rinvia a quanto sopra osservato.

 

Viene invece previsto l’obbligo di garantire la tracciabilità del collegamento attraverso l’assegnazione temporanea di un indirizzo IP e il mantenimento di un registro informatico dell’associazione temporanea di tale indirizzo IP al MAC address del terminale utilizzato per l’accesso alla rete Internet.

 

Per indirizzo IP si intende un indirizzo telematico, ossia sequenza di numeri o di caratteri alfabetici che permette di individuare un punto di connessione alla rete Internet.

 

Il MAC (Media Access Control) address è un codice di 48 bit (6 Byte) affidato in modo univoco dal produttore ad ogni scheda di rete. Si tratta in sostanza di un codice che consente l’identificazione di un terminale e non della persona.

 

In tal senso è stato modificato il testo originario dell’articolo che prevede in via generale la libertà di offerta di accesso ad Internet al pubblico senza identificazione personale degli utilizzatori, restando fermo l’obbligo di garantire la tracciabilità del collegamento mediante il solo MAC address.

 

Il comma 2, come sostituito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che il trattamento dei dati personali relativi alla tracciabilità del collegamento possa avvenire senza consenso dell’interessato attraverso le modalità semplificate indicate dall’articolo 13, comma 3, del codice per il trattamento dei dati personali (e dal relativo provvedimento di attuazione del 15 novembre 2007 emanato dal Garante per i dati personali), senza obbligo di notificazione del trattamento al Garante per i dati personali.

In proposito, merita rilevare che l’articolo 13, comma 3, del Codice fa riferimento alla possibilità di modalità semplificate per l'informativa fornita in particolare da servizi telefonici di assistenza e informazione al pubblico. In particolare si prevede che la raccolta delle informazioni personali deve limitarsi a quelle pertinenti e non eccedenti in relazione ai servizi richiesti; che deve essere effettuata una previa analisi delle implicazioni che il trattamento di dati personali mediante servizi di assistenza telefonica al pubblico potranno comportare, anche tenuto conto della natura dei dati trattati; c) che il contratto di fornitura del servizio di assistenza telefonica al pubblico deve contenere concrete modalità operative idonee ad assicurare condizioni di trasparente e corretto svolgimento delle relazioni con l'utenza, indicando altresì le misure di sicurezza idonee che dovranno essere adottate, anche al fine di prevenire commistioni tra distinti archivi gestiti dal medesimo responsabile del trattamento.

 

Al riguardo, si ricorda che il comma 2 appare recepire alcuni dei rilievi indicati dal Garante per la protezione dei dati personali, nella sua segnalazione al Parlamento del 9 luglio 2013, con riferimento all’obbligo di tracciabilità mediante il solo MAC address previsto dal testo originario del comma 1 dell’articolo 10 nonché alla previsione, di cui al comma 2 del testo originario, che la registrazione della traccia delle sessioni, ove non associata all’identificazione degli utenti, non costituisse trattamento di dati personali.

 

Infatti il Garante aveva osservato che “con tali previsioni il Governo – probabilmente quale misura compensativa sotto il profilo della sicurezza e dell’ordine pubblico rispetto al venir meno della possibilità di identificare la persona che accede ad Internet – introduce l’obbligo di tracciare (o comunque garantire la tracciabilità di) alcune informazioni che, per quanto non individuate in maniera chiara, sono comunque “riconducibili” all’accesso alla rete da parte dell’utilizzatore del terminale. Con ciò si grava una platea considerevole di imprese (bar, ristoranti, alberghi) come pure di soggetti pubblici, di adempimenti alquanto onerosi, oggi non previsti, e comunque di difficile applicazione in mancanza di norme chiare, eppure immediatamente applicabili quali sono quelle d'urgenza. E' appena il caso di ricordare, poi, che taluni obblighi di monitoraggio e registrazione di dati, erano stati stabiliti dal decreto-legge n. 144 del 2005 (c.d. decreto Pisanu) per categorie di "gestori" diversi da coloro che offrono accesso a Internet con tecnologia wi-fi, e sono stati successivamente soppressi anche in ragione delle difficoltà e degli oneri legati alla loro applicazione (decreto-legge n. 225 del 2010). Tuttavia, ciò che più preme a questa Autorità è sottolineare come le disposizioni in commento, nell'escludere che un trattamento di dati costituisca un trattamento di dati personali, rischiano di impattare sulla tutela dei diritti fondamentali e di confliggere con la definizione stessa di dato personale contenuta, oltre che nel Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), nella stessa direttiva europea sulla tutela della vita privata. Quest'ultima, infatti, contiene una definizione di dato personale molto ampia, che ricomprende "qualunque informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile....direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento a un numero di identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità.." (art. 2, par. 1, lett. a), dir. 95/46/CE). In tale quadro, l'Autorità, consapevole dell'importanza dell'esigenza di contemperare la liberalizzazione dell'accesso a Internet con la tutela della sicurezza pubblica e il contrasto della criminalità, ritiene che tali ultimi aspetti, con le connesse implicazioni per la protezione dei dati personali, potrebbero trovare un più meditato approfondimento in una sede diversa e più idonea di quella consentita dai ristretti tempi di approvazione di un provvedimento d'urgenza. Ciò, peraltro, tenuto conto che la norma, ove se ne confermasse l'esigenza, potrebbe essere perfezionata chiarendo espressamente che per tali trattamenti non sono necessari per il gestore "adempimenti giuridici" quali l'acquisizione del consenso degli interessati (utilizzatori degli apparati) al trattamento dei loro dati personali o anche la notifica al Garante, mentre l'obbligo di rendere all'interessato l'informativa potrebbe essere assolto in forma sintetica ed agevolata, anche sulla base di un provvedimento del Garante.”

Installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica

Il comma 3 dell’articolo 10 introduce infine, attraverso alcune modifiche al decreto legislativo n. 198/2010, misure di semplificazione per l’installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica.

In particolare:

§      viene meno, attraverso la soppressione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 198/2010, l’obbligo di affidare tali lavori unicamente alle imprese abilitate secondo le procedure previste dal medesimo decreto legislativo.

§      si prevede, attraverso una modifica del comma 2 dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo, l’abrogazione del decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni 23 maggio 1992 n. 314 (Regolamento recante disposizioni di attuazione della L. 28 marzo 1991, n. 109, in materia di allacciamenti e collaudi degli impianti telefonici interni).

 

L’articolo 2 del decreto legislativo n. 198/2010 (Attuazione della direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni) prevedeva che gli utenti delle reti di comunicazione elettronica fossero tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali, che realizzano l'allacciamento dei terminali di telecomunicazione all'interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità previste con decreto del Ministro dello sviluppo economico chiamato tra le altre cose a disciplinare: a) la definizione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali che devono possedere le imprese; b) le modalità procedurali per il rilascio dell'abilitazione; c) le modalità di accertamento e di valutazione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali. Non risulta che il decreto attuativo di tale disposizione sia stato emanato; conseguentemente a disciplinare la questione è rimasto, in base a quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 2 nel testo previgente alla modifica introdotta dalla disposizione in commento, il decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni 23 maggio 1992 n. 314.

 

Si ricorda, peraltro, che in base all’articolo 3 della direttiva 2008/63/CE gli Stati membri hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di “esigere dagli operatori economici un'idonea qualificazione tecnica per l'allacciamento, l'installazione e la manutenzione di apparecchiature terminali, qualificazione accertata in base a criteri oggettivi non discriminatori e resi pubblici”.


 

Articolo 11
(Proroga del credito d’imposta per la produzione, la distribuzione
e l’esercizio cinematografico)

 

L’articolo 11 estende al periodo d’imposta 2014 i crediti d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico previsti dall’articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e successive modificazioni, nel limite massimo di spesa di 45 milioni.

E’ prevista l’emanazione di un provvedimento dell’Agenzia delle entrate con cui sono dettati termini e modalità di fruizione dei crediti di imposta, nonché ogni altra disposizione finalizzata a garantire il rispetto del limite massimo di spesa indicato.

 

I meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico, introdotti dalla L. finanziaria 2008 per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d’imposta successivi, sono stati prorogati a partire dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall’art. 2, co. 4, del D.L. n. 225/2010.

In particolare, i commi 325-328, art. 1, della legge finanziaria 2008 riconoscono, in primo luogo, un credito di imposta ai soggetti passivi IRES e ai titolari di reddito di impresa a fini IRPEF, che non appartengono alla filiera del settore cinematografico ed audiovisivo (c.d. tax credit esterno) nella misura del 40% degli apporti in denaro effettuati per la produzione di opere cinematografiche riconosciute di nazionalità italiana di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2004, entro il limite massimo di 1 milione di euro e purché sia rispettato il c.d. “requisito di territorialità” (obbligo di utilizzare l’80% di detti apporti nel territorio nazionale, impiegando manodopera e servizi italiani).

Per le imprese interne alla filiera del cinema (c.d. tax credit interno) vengono invece riconosciuti, ai fini delle imposte sui redditi, crediti di imposta differenziati in varie percentuali e con determinati limiti massimi, a seconda che si tratti di imprese di produzione cinematografica, di imprese di distribuzione cinematografica ovvero di imprese di esercizio cinematografico. I suindicati crediti d’imposta, con riferimento alla stessa opera filmica, non sono in ogni caso cumulabili a favore della stessa impresa ovvero delle imprese che facciano parte dello stesso gruppo societario, o ancora di soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione o controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto, secondo le norme civilistiche.

I commi 330-332 stabiliscono i limiti massimi degli apporti ammessi ai fini del calcolo dei crediti di imposta e alla partecipazione complessiva agli utili degli associati e le condizioni per il riconoscimento del crediti d’imposta che, tra l’altro, può essere fruito a partire dalla data di rilascio del nulla osta di proiezione in pubblico del film (di cui alla legge n. 161/1962) e previa attestazione, rilasciata dall’impresa di produzione cinematografica, del rispetto delle condizioni richieste dalla legge. Il comma 333 ha demandato ad un decreto del MiBAC la fissazione delle disposizioni applicative delle disposizioni contenute ai suindicati commi. E’ pertanto intervenuto il D.M. 7 maggio 2009 che ha dettato la disciplina di dettaglio per la concessione dei crediti d’imposta in esame - e divieti di cumulo - per le imprese di produzione cinematografica in relazione alla realizzazione di opere cinematografiche. Successivamente, è stato inoltre emanato il D.M. 21 gennaio 2010 con riferimento ai crediti di imposta concessi alle imprese non appartenenti al settore cine-audiovisivo e alle imprese di distribuzione ed esercizio cinematografico, sia per l’attività di produzione, sia per quella di distribuzione di opere cinematografiche.

Il comma 334 stabilisce che l’efficacia delle agevolazioni introdotte sia subordinata all’autorizzazione della Commissione europea in materia di aiuti di Stato. I crediti d’imposta di cui è possibile fruire, pertanto, devono essere riferiti esclusivamente a spese sostenute successivamente a tale atto autorizzatorio. In proposito si ricorda che, da ultimo, la Commissione europea, con atto C(2011) 4984 definitivo del 6 luglio 2011 ha deciso di non sollevare obiezioni sul regime di proroga fino al 31 dicembre 2013 delle agevolazioni fiscali in commento. Infatti, la proroga e l’aumento della dotazione delle misure non hanno modificato la valutazione iniziale riguardante la compatibilità dei regimi già approvati dalla Commissione con atti N595/2008 e C25/2009 (ex- N673/08).

Il comma 335 attribuisce, inoltre, un credito d’imposta per spese relative a manodopera italiana: alle imprese di produzione esecutiva e di post-produzione nazionali viene riconosciuto un credito d’imposta, utilizzando manodopera italiana, del 25% dei costi di produzione, entro il limite massimo di 5 milioni di euro per ciascun film, su commissione di produzioni estere di pellicole, o loro parti, girate sul territorio nazionale. Le norme attuative di tale agevolazione, da emanarsi con decreto del MiBAC come previsto al comma 336, sono contenute nel sopra richiamato D.M. 7 maggio 2009.

Il comma 337 ha stabilito infine che i crediti d’imposta in commento sono utilizzabili esclusivamente in compensazione, non concorrono alla formazione del reddito ai fini fiscali, alla formazione del valore della produzione ai fini IRAP e non rilevano ai fini del calcolo degli interessi passivi deducibili dalla base imponibile.


 

Articolo 11-bis
(Misure economiche di natura compensativa alle televisioni locali)

 

L’articolo 11-bis - introdotto nel corso dell’esame in sede referente - è volto a qualificare a fini fiscali le misure economiche compensative percepite dalle emittenti televisive locali a titolo risarcitorio a seguito del volontario rilascio delle frequenze di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 23 gennaio 2012.

 

Tale provvedimento ha previsto, ai sensi dell’articolo 1, comma 9, della legge n. 220/2010, misure economiche compensative, per complessivi 174.684.709, nei confronti delle emittenti televisive locali che hanno rinunciato ai propri diritti d’uso ai fini della destinazione della banda 790-862 Mhz alla telefonia mobile (c.d. “dividendo digitale esterno” determinato dal passaggio delle trasmissione alla tecnica digitale terrestre).

 

In particolare, tali misure – considerate come contributi in conto capitale - vengono ora ricomprese tra le sopravvenienze attive, i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità e sono, pertanto, fiscalmente tassabili. Esse sono disciplinate, sotto il profilo fiscale, all’art.88 del TUIR.

 

Si ricorda che per sopravvenienze si intendono, nella vita dell’impresa, quegli eventi di carattere economico riferiti ad elementi di reddito imputati ad esercizi precedenti; sono dunque elementi che rettificano il reddito di precedenti esercizi. A seconda del fatto che le genera, si qualificano come sopravvenienze attive o passive. In genere, le sopravvenienze sono tassate secondo il criterio di competenza.

L'articolo 88, comma 3, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) ricomprende, tra le sopravvenienze attive, i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità.

Tali proventi concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell'esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto. Per essi non si applica, dunque, il criterio di competenza, ma quello di cassa.


 

Articolo 12
(Ricapitalizzazione della Società di Gestione del risparmio )

 

L’articolo 12, modificando l’articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011, autorizza la spesa di 6 milioni di euro per l’anno 2013 (in luogo dei 3 milioni precedentemente stanziati, da ultimo, dalla legge di stabilità per il 2013) per l’apporto al capitale sociale della Società di gestione del risparmio per la valorizzazione e la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti locali e dello Stato attraverso la gestione di un sistema integrato di fondi immobiliari chiusi.

 

In attuazione di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 33, con Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 (pubblicato nella G.U. n. 125 del 30/5/13) è stata costituita la Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.a.) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione.

In allegato al decreto del 19 marzo 2013 è stato pubblicato lo Statuto della Invimit. Si evidenzia che l’articolo 5 dello Statuto prevede un capitale sociale di 2 milioni di euro. Il capitale è detenuto interamente dal Ministero dell’economia e delle finanze che esercita i diritti dell’azionista. Le azioni possono essere trasferite, mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a titolo gratuito all'Agenzia del demanio (articolo 33, comma 8-bis, del D.L. 98/2011).

Ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto ciascun fondo comune di investimento o comparto di fondi istituito e/o gestito dalla Società costituisce patrimonio autonomo, distinto, a tutti gli effetti, dal patrimonio della Società, da quello dei partecipanti ai fondi e da ogni altro fondo gestito dalla stessa.

Gli organi della Società sono il Presidente, l’Assemblea, il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale.

 

Nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 presso la Commissione finanze della Camera dei deputati, il Direttore dell’Agenzia del Demanio, Stefano Scalera, ha affermato che nel 2012 l’Agenzia ha individuato 350 immobili non strumentali e del valore di circa un miliardo di euro, potenzialmente conferibili a fondi di investimento immobiliare.


 

Articolo 12-bis
(Limiti ai compensi degli amministratori delle società che svolgono servizi di interesse generale, controllate dalle PP.AA.)

 

L’articolo 12-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca modifiche all’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011 (legge n. 214/2011)[14], relativo alla disciplina dei compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società non quotate controllate dalle pubbliche amministrazioni.

 

Si ricorda che il comma 5-bis dell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011 (legge n. 214/2011)[15] - che la norma qui in commento intende novellare - stabilisce che il compenso degli amministratori stabilito, ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma cc, dal consiglio di amministrazione delle società non quotate[16] direttamente e indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2011[17] non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione.

Il successivo comma 5-ter estende il predetto tetto retributivo anche al trattamento economico annuo onnicomprensivo dei dipendenti delle medesime società di cui al comma 5-bis.

Infine, si ricorda che il D.L. n. 201/2011 prevede, all’articolo 23-ter, ulteriori disposizioni in materia di trattamenti economici dei dipendenti pubblici, assoggettando anch’essi al predetto tetto retributivo.

Dal D.P.C.M. 23 marzo 2012 – attuativo dell’articolo 23-ter - risulta che il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione nell'anno 2011 è stato pari a euro 293.658,95 e nel 2012 a euro 302.937, 12.

 

Il comma 1 dell’articolo 12-bis in esame modifica il comma 5-bis dell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011, che assoggetta al limite retributivo del trattamento economico spettante al primo presidente della Corte di Cassazione, ivi previsto, i compensi degli amministratori con deleghe di società non quotate a controllo pubblico diretto e indiretto. La modifica esplicita un elemento, già compreso nel testo, relativo all’inclusione nella portata normativa del comma, di società che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica.

 

In particolare, la modifica è volta a comprendere i seguenti compensi:

§      quelli stabiliti ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma cc, degli amministratori delle società che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

Si tratta di società non quotate (in quanto il comma 13 del citato art. 4 stabilisce che l’intera disciplina dell’articolo stesso non si applichi alle società quotate), a controllo pubblico diretto o indiretto, che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica; tali società,ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 95/2012 sono esplicitamente escluse dall’ambito di applicazione delle norme in materia di spending review sulle società cd. “strumentali, non quotate, a controllo pubblico diretto o indiretto”, contenuta nel medesimo articolo 4, al comma 1, e dunque escluse dall’obbligo di privatizzazione ovvero di dismissione entro il 31 dicembre 2013, contenuto nel citato comma 1 (cfr. sul punto anche l’articolo 49, comma 1, lett. a) del provvedimento qui in esame)[18].

§      quelli dei dipendenti delle medesime società.

 

Si rileva infatti che la formulazione dell’articolo 5-bis dell’art. 23-bis del D.L. n. 201/2011 attualmente vigente, appare comunque già avere portata generale, rivolgendosi a tutte le tipologie di società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni.

Il comma 2 dell’articolo 12-bis, infine, introduce un nuovo comma 5-quater nel citato articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011 – recante una norma specificamente rivolta alla determinazione degli emolumenti degli amministratori (tutti) delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica di cui all'articolo 4, comma 3, del D.L. n. 95/2012.

 

Si prevede che gli emolumenti in questione sono adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti.

I criteri devono essere aderenti alle migliori pratiche internazionali e tener conto dei risultati aziendali.

In ogni caso, le eventuali componenti variabili degli emolumenti degli amministratori non potranno essere previste né erogate per le società il cui risultato di esercizio non sia positivo.

 

I suddetti criteri, in quanto rimandati ad un atto di natura secondaria, di cui peraltro non è chiarita la forma, dovranno essere formulati sulla base del quadro normativo primario vigente.

In ogni caso sembra che, in sede di determinazione dei criteri per gli emolumenti degli amministratori di società non quotate, che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica, a controllo pubblico diretto o indiretto, non si potrà comunque non tenere conto del tetto dei compensi per gli amministratori con deleghe stabilito dal comma 5 bis, anche come modificato dall’articolo in esame.

Ciò anche sulla base dell’art. 3, comma 44, della legge 244/2007, finanziaria per il 2008, che già ha previsto il limite del trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione per gli emolumenti degli organi delle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e loro controllate.


 

Articolo 12-ter
(Sostegno alle imprese creditrici dei comuni dissestati)

 

L’articolo 12-ter destina una quota annua fino a 150 milioni di euro, a valere sulle risorse stanziate dal decreto-legge n.35/2012 per il pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni territoriali, in favore delle imprese creditrici dei comuni che abbiano deliberato il dissesto finanziario.

In particolare l’articolo in esame inserisce un nuovo comma (13-bis) nell’articolo 1 del predetto decreto-legge[19] nel quale si stabilisce che la quota annua dei 150 milioni suddetta sia riservata a tale fine, a valere sull’accantonamento relativo agli enti locali di cui al comma 10, ultimo periodo, dell’articolo 1 medesimo.

Tale accantonamento, che reca una dotazione finanziaria pari a circa 2.258 milioni di euro per il 2013 e 3,728 milioni per il 2014, è tuttavia riferito, nell’ambito del “Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili” istituito dall’articolo 1 del D.L. n.35, alla Sezione del Fondo medesimo destinata al pagamento dei debiti (diversi da quelli sanitari) delle regioni.

L’ultimo periodo del comma 10 stabilisce infatti che venga accantonata una quota, pari al 10 per cento della dotazione complessiva della Sezione per i pagamenti dei debiti regionali, per essere destinata, entro il 31 ottobre 2013, ad anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti medesimi richieste in data successiva al 30 aprile 2013, e, comunque, non oltre il 30 settembre di tale anno.

Potrebbe pertanto ritenersi, in considerazione del fatto che l’articolo 12-ter fa espresso riferimento alle dotazioni concernenti gli enti locali, che la Sezione del Fondo oggetto della norma in esame sia quella destinata al pagamento dei debiti degli enti locali, prevista (non nell’ultimo ma) nel secondo periodo del comma 10 sopradetto[20]. In tale eventualità, peraltro, il testo andrebbe conseguentemente modificato.

Poiché, inoltre, la dotazione finanziaria in questione è per gli anni 2013 e 2014, è da intendersi che l’espressione “annua” contenuta nell’articolo 12-ter debba intendersi applicabile limitatamente a tale biennio.

Per quanto concerne la procedura di erogazione delle somme, l’articolo 12-ter, nel rinviare anche ad un apposito decreto del ministro dell’interno, precisa che esse sono destinate ai comuni che abbiano deliberato il dissesto nei due anni precedenti l’entrata in vigore del decreto-legge in esame: a tal fine le stesse vengono messe a disposizione dell'organo straordinario di liquidazione che provvede al pagamento dei debiti, nei limiti dell'anticipazione erogata, entro 120 giorni dalla disponibilità delle risorse.


 

Articolo 13
(Governance dell’Agenda digitale Italiana)

 

L’articolo 13, modificato in Commissione, interviene su alcune disposizioni del decreto-legge c.d. semplificazioni (D.L. 5/2012) e del decreto-legge c.d. crescita (D.L. 83/2012) con i quali è stato delineato il quadro complessivo di intervento per l’Agenda digitale italiana.

In particolare il comma 1 stabilisce modifiche che riguardano la governance del settore, incidendo sul soggetto a cui sono state conferite attribuzioni di indirizzo e coordinamento per la realizzazione dell’Agenda, cioè la Cabina di regia; mentre il comma 2 prevede modifiche che riguardano la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda, incidendo sul soggetto cui sono state attribuite funzioni operative nel settore, cioè l’Agenzia per l’Italia digitale.

 

Il quadro della governance del settore è stato delineato con l’articolo 47 del D.L. 5/2012 (D.L.“semplificazioni”) che, al comma 2, ha previsto una cabina di regia da istituire con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'economia e delle finanze.

Essa è competente all'attuazione dell'agenda digitale italiana, attraverso il coordinamento degli interventi pubblici di regioni, province autonome ed enti locali, in conformità all’obiettivo governativo della modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese stabilito dal comma 1 dello stesso art. 47. Tale comma specifica le azioni per le quali si pone l’esigenza di coordinamento: esse riguardano lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, il potenziamento dell’offerta di connettività a larga banda, l’incentivazione di cittadini e imprese all'utilizzo di servizi digitali e la promozione di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi.

In particolare queste azioni hanno trovato una specificazione per obiettivi, in sede di conversione del decreto-legge, nel comma 2-bis, la cui elencazione dalle lett. a) a i), riempie di contenuti concreti l’attività di coordinamento della cabina di regia, da svolgere nel quadro delle indicazioni dell'agenda digitale europea, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 definitivo/2 del 26 agosto 2010.

 

La cabina è stata istituita con decreto 28 marzo 2012, ai sensi dell’art. 47, comma 2; è articolata in sei gruppi di lavoro per i seguenti obiettivi dell’Agenda digitale: infrastrutture e sicurezza; eCommerce; eGovernment Open Data; alfabetizzazione Informatica - competenze digitali; ricerca e innovazione; smart Cities and Communities.

 

Il citato art. 47 del D.L. 5/2012, nel prevedere la fonte istitutiva della cabina di regia, non ne stabiliva la composizione (l’art. 12 d.l.179/2012 ha poi previsto l’integrazione della cabina di regia, per gli aspetti relativi al settore sanitario, con un componente designato dal Ministro della salute, il cui incarico è svolto a titolo gratuito).

 

L’articolo 13, comma 1, interviene su tale aspetto, indicando come componenti della cabina il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, un Presidente di regione e un Sindaco designati dalla Conferenza Unificata. Nel corso dell’esame in Commissione è stato aggiunto come componente della cabina di regia anche il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. La presidenza della cabina è attribuita al Presidente del Consiglio dei Ministri o ad un suo delegato. Inoltre essa è integrata dai Ministri interessati alla trattazione di specifiche questioni.

Oltre ad individuare la composizione, costituita da rappresentanti degli Esecutivi statali, regionali e comunali, il comma 1 provvede a disciplinare i rapporti tra la cabina di regia e il Parlamento assicurando a quest’ultimo uno strumento conoscitivo sullo stato dell’agenda digitale definito “quadro complessivo” che la cabina di regia presenta al Parlamento, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge.

 

La disposizione individua uno strumento diretto ad assicurare elementi di conoscenza al Parlamento. Va notato però: che tale strumento non è previsto a regime, ma una tantum; non appare chiara la forma che lo strumento stesso dovrà assumere; la presentazione del medesimo strumento da parte della cabina di regia ne dovrebbe comportare la responsabilità collegiale in merito ai contenuti.

Sotto il profilo della successione temporale di fonti in tema di composizione della cabina di regia e di tecniche normative adottate, va notato che, da un punto di vista formale, la novella introdotta dall’art. 13, comma 1, non modifica l’art. 12 d.l.179/2012 sopra richiamato, in quanto esso è intervenuto sulla composizione della cabina senza novellare l’art. 47 del D.L. 5/2012.

Lo stesso art. 13, comma 1, prevede l’istituzione nella cabina di regia di un organismo consultivo permanente, composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università.

Tale organismo, denominato Tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana, è istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per la cui adozione il comma 1 non prevede alcun termine.

La presidenza del Tavolo è attribuita al Commissario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale, che viene posto a capo di una struttura di missione per l'attuazione dell'agenda digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In base al comunicato stampa della riunione del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2013 il Commissario per l’attuazione dell’agenda digitale è individuato nell’ing. Francesco Caio, mentre i componenti del Tavolo saranno scelti tra “esperti e rappresentanti di imprese e università”.

 

L’ultimo periodo del comma 1 stabilisce che all'istituzione della cabina di regia si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Presumibilmente tale clausola dovrebbe riferirsi anche agli altri soggetti - Tavolo tecnico, Commissario e struttura di missione – previsti dal comma 1.

 

In proposito, si può ricordare che l’articolo 7, comma 3, lett. c) del D.L. 95/2012 aveva soppresso la struttura di missione della Presidenza del Consiglio denominata Unità per l’e-government e l’innovazione per lo sviluppo, quantificando in 1.147.493 euro il relativo risparmio.

 

Tuttavia una modifica introdotta in sede referente, comma 2, lett. d)-bis, consente alla struttura di missione l’utilizzo: delle risorse di cui all’art. 1, comma 222, della L. 311/2004, legge finanziaria per il 2005, derivanti da sottoscrizione e alienazione di quote di uno o più fondi comuni di investimento per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso piccole e medie imprese innovative localizzate nelle aree sottoutilizzate; nonché le risorse finanziarie a valere sul Progetto Operativo di Assistenza Tecnica «Società dell'informazione». La medesima modifica mantiene comunque ferma la destinazione originaria delle risorse suddette per i rapporti in essere, per i quali andrebbe effettuata una valutazione circa la sostenibilità finanziaria.

Il citato comma 222 prevede che, per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso piccole e medie imprese innovative localizzate nelle aree sottoutilizzate, il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri può sottoscrivere e alienare quote di uno o più fondi comuni di investimento, in misura non superiore al 50 per cento del patrimonio, promossi e gestiti da una o più società di gestione del risparmio (SGR).

 

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 47 del D.L. 5/2012, nel quadro della governance del settore sono stati inseriti gli artt. 19-22 del D.L. 83/2012 che hanno disciplinato l’istituzione e le funzioni dell’Agenzia per l'Italia digitale, attribuendo a quest’ultima il compito di realizzare gli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, ma in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla Cabina di regia.

 

Il nuovo comma 1-bis, introdotto in Commissione, modifica l’art. 47, comma 2-bis, lettera f), del D.L. 5/2012, specificando che tra gli obiettivi della Cabina di Regia vi sia anche quello di favorire l'accesso alla rete internet nelle zone rurali.

 

Ai sensi del D.L. 83/2012, i compiti dell’Agenzia si svolgono in un ambito segnato, da un lato, da tali indirizzi (art. 20) e, dall’altro, dalla vigilanza che su di essa è esercitata da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (art. 19).

 

L’art. 13 del D.L. 69/2013 interviene su tale vigilanza, con il comma 2, lett. a), attribuendola esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri, o al Ministro da lui delegato, nel quale si concentra, quindi, con un’unione personale, la presidenza del soggetto chiamato ad esprimere indirizzi e la competenza a vigilare il soggetto attuatore.

 

Tale concentrazione esprime la centralità che l’art. 13 del D.L. 69/2013 attribuisce al Presidente del Consiglio nel settore, centralità rafforzata anche da misure previste dalle successive lettere c), d) ed f).

In particolare il comma 2 lett. c), modificato in Commissione, prevede le modalità di nomina del direttore dell’Agenzia.

Ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.L. 83/2012, il decreto di nomina doveva essere adottato dal Presidente del Consiglio entro un termine determinato, sulla base del concerto con i ministri ai quali era attribuita la vigilanza e previo avviso pubblico.

In base alla novella che si introduce non è previsto alcun termine, è soppresso il concerto, in coerenza con la novella in tema di vigilanza, ed è eliminato l’obbligo del previo avviso pubblico. Si prevede infatti che il direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale sia nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal ministro delegato “tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione”. Nel corso dell’esame in Commissione è stato peraltro reintrodotto l’obbligo, soppresso dal testo originario del decreto, di adottare per la nomina una procedura ad evidenza pubblica .

In proposito si ricorda che, in base alla procedura previgente, si era già provveduto, il 30 ottobre 2012, alla nomina del direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale (individuato nell’ing. Agostino Ragosa), il quale in attesa della piena operatività dell’Agenzia ha fin qui operato come Commissario straordinario della stessa.

 

Il comma 2 lett. d), modificato in Commissione, interviene sulla composizione del Comitato di indirizzo, che deve essere prevista nello Statuto dell’Agenzia in base all’art. 21, comma 4, del D.L. n. 83/2012.

In base alla nuova formulazione del secondo, terzo e quarto periodo del comma 4, introdotta in Commissione, si aggiungono ai membri attualmente previsti come componenti del Comitato di Indirizzo, anche i membri del Tavolo Permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana.

Il Comitato pertanto risulterebbe composto, oltre che da un rappresentante della Presidenza del Consiglio e da due rappresentanti designati dalla Conferenza Unificata, dai rappresentanti dei seguenti Ministeri o Ministri:

§      Ministero dello sviluppo economico;

§      Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

§      Ministero dell'economia e finanze;

§      Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;

 

Si conferma che i componenti partecipano al Comitato di Indirizzo senza oneri a carico della finanza pubblica e che con lo statuto sono altresì disciplinate le modalità di nomina, le attribuzioni e le regole di funzionamento del Comitato di Indirizzo e le modalità di nomina del Collegio dei Revisori.

 

In proposito, si ricorda che lo statuto dell’Agenzia che avrebbe dovuto essere adottato entro il 14 dicembre 2012 (e cioè entro quarantacinque giorni dalla nomina del direttore dell’Agenzia) non è stato invece fin qui adottato. Al riguardo, in risposta alle interrogazioni a risposta immediata 3-00055 e 3-00056, nella seduta dell’Assemblea della Camera del 15 maggio 2013, il Ministro dello sviluppo economico ha precisato che lo statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale inviato in un primo momento per errore alla Corte dei conti è stato ritirato dalla Corte da parte del Governo, sottoposto all’esame dell’Ufficio centrale del bilancio della Presidenza del Consiglio e quindi nuovamente inviato alla Corte dei conti per la registrazione.

 

Per la nuova lettera d-bis), introdotta in Commissione, v. supra.

 

Il comma 2, lett. f), sopprime la previsione della concertazione con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione previsto dall’art. 22, comma 6 del D.L. 83/2012 ai fini del decreto del Presidente del Consiglio che determina la dotazione delle risorse umane dell’Agenzia, mantenendo solo quella con il Ministro dell'economia e delle finanze (per le ulteriori previsioni della lett. f v. infra).

 

Il comma 2, lett. b) amplia la competenza dell’Agenzia, in quanto sopprime la previsione di salvezza delle funzioni dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE) nel supporto allo sviluppo del piano di innovazione nelle istituzioni scolastiche, inserita nel testo previgente dell’art. 20, co. 2, primo periodo, del D.L. 83/2012 (L. 134/2012).

 

L’INDIRE, ripristinato dal 1° settembre 2012 ai sensi dell’art. 19, co. 1, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011), è un ente di ricerca con autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale, amministrativa e regolamentare.

 

Il comma 2, lett. e) ed f), interviene in tema di risorse umane dell’Agenzia.

Con la lett. e) vengono soppresse le prescrizioni stabilite, ai fini del transito di personale all’Agenzia, dall’art. 22, comma 4, secondo periodo del D.L. 83/2012. Il transito era subordinato - per il personale di DigitPA, dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione e del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell'Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell'informazione in materia di sicurezza delle reti che fosse in posizione di comando - al previo interpello e alla valutazione comparativa della qualificazione professionale posseduta nonché dell'esperienza maturata nel settore dell'innovazione tecnologica, dell'anzianità di servizio nelle amministrazioni richiamate, e dei titoli di studio.

La lett. f) novella le previsioni del D.L. 83/2012, relative alla dotazione dell’Agenzia: oltre a ridurre, come si è visto, l’ambito della concertazione prescritta per l’adozione del relativo D.P.C.M., viene anche ridotto da 150 a 130 il limite massimo di unità della dotazione.

Quanto a quest’ultima ne è soppressa la definizione che la qualificava come “effettiva” ed è anche eliminata la limitazione al personale che fosse effettivamente trasferito: tali modifiche potrebbero indicare una situazione di flessibilità della dotazione sia pur nel massimo delle 130 unità.

 

Nel corso dell’esame in Commissione sono stati infine aggiunti tre nuovi commi.

 

Il nuovo comma 2-bis prevede che i regolamenti previsti dagli articoli di seguito indicati del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, qualora non ancora adottati e una volta decorsi ulteriori 30 giorni dall'approvazione della presente legge (rectius: della legge di conversione del decreto legge), siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio. Si tratta dei regolamenti previsti dai seguenti articoli:

§      art. 2, comma 5 (regolamento di modifica del D.P.R. n. 223/1989 “Regolamento anagrafico della popolazione residente”);

§      art. 3, comma 4 (regolamento per la revisione del decreto legislativo n. 322 del 1989 relativo al Sistema statistico nazionale e per il complessivo riordino del Sistema Statistico Nazionale);

§      art.12, comma 13 (regolamento che individua i soggetti che possono avere accesso ai registri del fascicolo sanitario elettronico);

§      art. 14, comma 2-bis (regolamento del Ministro dello sviluppo economico per definire le misure e le modalità di intervento da porre a carico degli operatori delle telecomunicazioni, al fine di minimizzare le interferenze tra telefonia mobile (LTE) e televisione digitale terrestre).

 

Analogamente il nuovo comma 2-ter dispone che alcuni decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dal decreto-legge 179/2012, qualora non ancora adottati e una volta decorsi ulteriori 30 giorni dall'approvazione della presente legge, siano adottati anche ove non sia pervenuto il concerto dei ministri interessati. Si tratta dei seguenti:

§      i D.P.C.M. di attuazione delle nuove norme sull’Anagrafe nazionale della popolazione residente (articolo 2, comma 1);

§      il D.P.C.M. che stabilisce i tempi di realizzazione del censimento della popolazione e delle abitazioni (articolo 3, comma 1);

§      il D.P.C.M. per l’attuazione delle disposizioni in materia di certificazione telematica delle malattie (articolo 7, comma 3-bis: il riferimento al comma 3-bis è errato, si dovrebbe riferire al comma 3, cpv. 3bis)).

 

Infine, in base al nuovo comma 2-quater, i decreti ministeriali previsti dagli articoli 4, comma 3, 8, commi 2 e 13, 10, comma 10, 12, comma 7, 13, comma 2 e 15, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, qualora non ancora adottati e una volta decorsi ulteriori 30 giorni dall'approvazione della presente legge, saranno adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri anche ove non sia pervenuto il concerto dei ministri interessati. Si tratta dei seguenti:

§      D.M. interno per definire le modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino (articolo 4, comma 3);

§      D.M. trasporti che definisce le regole tecniche per l’innovazione nei sistemi di trasporto pubblico locale e per le modalità per la trasmissione elettronica dei dati di cui ai formulari FAL all’Autorità marittima (articolo 8, commi 2 e 13);

§      D.M. istruzione per l'attuazione del comma 9 relativo ai procedimenti telematici relativi allo stato giuridico ed economico del rapporto di lavoro del personale del comparto Scuola (articolo 10, comma 10);

§      D.M. salute relativo i contenuti del Fascicolo Sanitario Elettronico (articolo 12, comma 7);

§      D.M. salute per le modalità di attuazione delle norme sulla validità nazionale delle prescrizioni farmaceutiche generate in formato elettronico (articolo 13, comma 2);

§      D.M. sviluppo economico per l’estensione delle modalità di pagamento elettronico (articolo 15, comma 2).

 

Al riguardo si rileva che la previsione di una sorta di “potere sostitutivo” del Presidente del Consiglio dei ministri per l’adozione di decreti ministeriali appare presentare alcuni profili problematici in quanto sembra mutare, in caso di esercizio di tale potere, la natura dell’atto stesso da decreto ministeriale (non potendosi dare, ad esempio, un decreto del Ministro dello sviluppo economico che sia adottato dal Presidente del Consiglio) a D.P.C.M.


 

Articolo 13-bis
(Piattaforme accreditate per gli acquisti di beni e servizi ICT)

 

L’articolo 13-bis, inserito durante l’esame in sede referente, demanda, al comma 1, ad apposito decreto interministeriale, la definizione di linee guida per l'accreditamento di conformità alla normativa in materia di contratti pubblici, di servizi, soluzioni e piattaforme tecnologiche per le aste on-line e per il mercato elettronico da utilizzare per gli acquisti di beni e servizi delle tecnologie della comunicazione e della informazione (ICT[21]).

Lo stesso comma disciplina le modalità per l’emanazione del citato decreto, prevedendo che sia emanato:

§      di concerto dai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico;

§      sentita l’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici);

§      entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Quanto ai contenuti dell’accreditamento, il medesimo comma prevede che siano indicati, tra l'altro:

§      i livelli di sicurezza informatica;

§      gli elementi minimi di tracciabilità dei processi;

§      i requisiti di inalterabilità, autenticità e non ripudio dei documenti scambiati.

§

Il Mercato Elettronico della P.A. (MePA) è un mercato digitale in cui le pubbliche amministrazioni acquistano, per valori inferiori alla soglia di rilievo comunitario[22], i beni e servizi offerti da fornitori abilitati a presentare i propri cataloghi sul sistema. Il MePA è dunque uno degli strumenti di acquisto previsti dal sistema di e-Procurement della P.A., il sistema informatico delle procedure telematiche di acquisto di beni e servizi (v. infra).

Il MePA, realizzato da Consip per conto del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), è disciplinato dagli artt. 328, 332, 335 e 336 del D.P.R. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici) e da una serie di norme di carattere generale e speciale, che ne regolano il funzionamento[23].

Il Sistema di e-Procurement della P.A. è il sistema informatico predisposto dal MEF, tramite Consip, costituito da soluzioni e strumenti elettronici e telematici che consentono l’effettuazione delle procedure telematiche di approvvigionamento previste dagli strumenti di acquisto[24] messi a disposizione da Consip, nel rispetto della normativa sugli acquisti della P.A. Attraverso le procedure previste da ciascuno strumento di acquisto, Consip seleziona e mette a disposizione delle pubbliche amministrazioni aggiudicatrici gli elenchi dei fornitori e i beni e servizi da questi offerti, ordinati in cataloghi. I beni e i servizi offerti nei cataloghi possono essere acquistati dai soggetti aggiudicatori abilitati al sistema tramite propri punti ordinanti, attraverso procedure, termini e condizioni specifiche per ciascuno strumento di acquisto.

Sin dal 2007, ai sensi dell’art. 1, comma 450, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), le amministrazioni statali centrali e periferiche (ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie), per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario, sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico.

Tale obbligo è stato esteso dal D.L. 52/2012 anche alle altre amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 del D.Lgs. 165/2001.

Si ricordano, altresì, le disposizioni dettate dall’art. 1, comma 4, del D.L. 95/2012, che consente ai Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti di effettuare i propri acquisti (in alternativa a quanto previsto dall’art. 33, comma 3-bis del Codice, che prevede l’affidamento obbligatorio ad un’unica centrale di committenza) utilizzando gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, comprese le convenzioni Consip, nonché il MePA.

Il comma 6 del medesimo articolo consente di istituire nell’ambito del MePA specifiche sezioni ad uso delle amministrazioni pubbliche.

Ai sensi dell’art. 3, comma 15, del D.Lgs. 163/2006, l’asta elettronica è “un processo per fasi successive basato su un dispositivo elettronico di presentazione di nuovi prezzi, modificati al ribasso, o di nuovi valori riguardanti taluni elementi delle offerte, che interviene dopo una prima valutazione completa delle offerte permettendo che la loro classificazione possa essere effettuata sulla base di un trattamento automatico”. Il ricorso alle aste elettroniche è disciplinato dall’art. 85 del medesimo decreto.

 

Relativamente ai contenuti dell’accreditamento previsti dal comma in esame, si osserva che il richiamo, per esempio, ai livelli di sicurezza informatica, sembrerebbe suggerire l’opportunità di prevedere il coinvolgimento dell’Agenzia per l'Italia Digitale (istituita dall’art. 19 del D.L. 83/2012) nell’emanazione del decreto interministeriale previsto dalla disposizione in commento.

 

Il comma 2 prevede, per le pubbliche amministrazioni, la possibilità di usare piattaforme e soluzioni di acquisto on-line accreditate anche ponendole in competizione tra loro.

 

Ai sensi del comma 3, gli operatori che mettono a disposizione soluzioni e tecnologie accreditate sono inseriti nell'elenco dei fornitori qualificati del Sistema Pubblico di Connettività (SPC) istituito dall'art. 82 del D.Lgs. 82/2005.


 

Articolo 14
(Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale)

 

L'articolo 14 introduce una novella nell’art. 10 del D.L. n. 70/2011[25] già modificato da ultimo dal D.L. 179/2012[26], per prevedere la facoltà dei cittadini di richiedere, in sede di istanza di rilascio del documento in cui sono unificate la carta di identità elettronica (CIE) e la tessera sanitaria elettronica, una casella di posta elettronica certificata e di indicarla come domicilio digitale.

Nel corso dell’esame parlamentare sono state apportate tre modifiche:

§      la previsione, meramente facoltativa nel testo vigente, è stata mutata in automatica: la casella di posta elettronica certificata - con funzione di domicilio digitale - è assegnata di diritto ed è poi attivabile in via telematica dall’interessato;

§      la casella di posta elettronica è assegnata non solamente al momento della richiesta del documento unificato, ma anche all’atto di iscrizione anagrafica o dichiarazione di cambio di residenza (ma solamente a partire dall’entrata a regime dell’Anagrafe della popolazione residente);

§      il documento unificato sostituisce a tutti gli effetti il tesserino di codice fiscale rilasciato dall’Agenzia delle entrate.

 

L’unificazione del documento era stata introdotta nell’art. 10 con una novella prevista dall’art. 1 dello stesso D.L. 179/2012, che riservava al Ministero dell’interno la responsabilità del processo di produzione e rilascio della carta di identità elettronica, in precedenza attribuita ai comuni, in un’ottica di semplificazione dell’intero sistema del rilascio. Tuttavia, fino a quando non sarà realizzata l’unificazione della tessera sanitaria e della carta d’identità elettronica, la generazione della tessera sanitaria su supporto di Carta nazionale dei servizi continuerà ad essere assicurata dal Ministero dell’economia e delle finanze. Inoltre, il comma 3 di tale articolo rimette ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale - il progressivo ampliamento delle possibili utilizzazioni della carta d'identità elettronica “anche in relazione all'unificazione sul medesimo supporto della carta d'identità elettronica con la tessera sanitaria, alle modifiche ai parametri della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria necessarie per l'unificazione delle stesse sul medesimo supporto, nonché al rilascio gratuito del documento unificato”.

Viene invece attribuita a un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e, limitatamente ai profili sanitari, con il Ministro della salute, la determinazione delle modalità tecniche di produzione, distribuzione, gestione e supporto all'utilizzo del documento unificato.

 

Gli atti di normazione secondaria previsti dall’articolo che viene novellato- sia il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per il quale non è disposto alcun termine, sia il decreto del Ministro dell'interno stabilito dal comma 3 - non risultano emanati e l’emissione della CIE risulta in una fase di sperimentazione che coinvolge 153 comuni, con applicazione effettiva limitata a 16 comuni[27]. E’ vigente invece il decreto del Ministero dell’Interno del 22 aprile 2008 che determina in euro 20,00 l'importo del corrispettivo da porre a carico dei richiedenti la carta d'identità elettronica, importo riscosso dai comuni all'atto della richiesta di emissione della carta d'identità elettronica[28].

 

In tale quadro la disposizione in esame non appare immediatamente applicativa sia in quanto rinvia a decreto ministeriale l’individuazione delle modalità di rilascio del domicilio digitale, sia in quanto la documentazione elettronica cui si fa riferimento è ancora in una fase sperimentale molto circoscritta sul territorio nazionale.

 

Si nota poi che il contesto normativo relativo al domicilio digitale appare caratterizzato da una stratificazione normativa che si intreccia con rinvii a fini applicativi ad atti di normazione secondaria.

 

Infatti, in tema di domicilio digitale, oltre alle disposizioni che l’art. 14 novella, vi sono anche quelle dell’art. 3-bis del D.Lgs. 82/2005, c.d. Codice dell’amministrazione digitale, introdotte con lo stesso D.L. 179/2012, già citato.

Esso già prevede la facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, da rilasciare ai sensi dell’art. 16 bis, comma 5, del D.L. 185/2008[29], quale suo domicilio digitale. A sua volta tale comma rinvia ad un DPCM per le modalità di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini[30].

 

L'indirizzo è inserito nell'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi. Si ricorda che l’art. 2 del D.L. 179/2011 ha disposto l'unificazione in un'unica anagrafe - l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) – del sistema anagrafico precedentemente strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale). La nuova Anagrafe non è ancora entrata a regime in assenza di adozione dei decreti attuativi previsti dai commi 4 e 6 del citato art. 2 del D.L. 179.

 

Inoltre, l’art. 3-bis rinvia, senza prevedere il termine per l’emanazione, a decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale, per definire le modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino, nonché le modalità di consultazione dell'ANPR da parte dei gestori o esercenti di pubblici servizi ai fini del reperimento del domicilio digitale dei propri utenti.

A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, senza oneri di spedizione a suo carico.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 2, lett. c) del D.L. 179/2012 ha previsto un finanziamento aggiuntivo di 60 milioni per il 2013 e di 82 milioni a decorrere dal 2014, per la realizzazione e il rilascio gratuito del suddetto documento unificato.

 

Anche con riguardo all’unificazione di carta d’identità elettronica e di tessera sanitaria, si può notare che le stesse sono state oggetto di una normazione stratificata nel tempo e negli ultimi anni si è assistito, sia a livello nazionale che regionale, a una proliferazione di carte che, a vario titolo, consentono l'accesso a servizi messi a disposizione dalle diverse amministrazioni.

Nel tentativo di omogeneizzare le diverse realtà locali, il piano e-Gov 2012 ha previsto, tra l’altro, che le carte nazionali/regionali dei servizi sostituiscano o integrino le tessere sanitarie in tutte le regioni italiane (obiettivo 17).


 

Articolo 15
(Commissione per il coordinamento del sistema pubblico
di connettività)

 

L’articolo 15 prevede, attraverso una modifica dell’articolo 80 del codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82/2005), che il presidente della Commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività sia individuato, a seguito della soppressione di Digit-PA intervenuta con il decreto-legge n. 83/2012, nel Commissario per l’attuazione dell’Agenzia digitale o, su sua delega, nel direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale. Si prevede inoltre che l’incarico del presidente e dei componenti la Commissione abbia la durata di un triennio, rinnovabile.

Nel testo previgente, invece, la presidenza dell’organismo era affidata al presidente di Digit-PA e l’incarico di presidente e componenti aveva la durata di un biennio, rinnovabile.

 

Con gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge n. 83/2012, Digit-PA (ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione) è stata soppressa e le sue funzioni trasferite all’Agenzia per l’Italia digitale.

 

Per la figura del Commissario per l’attuazione dell’Agenzia digitale, istituita dall’articolo 13, e più in generale per l’attuazione dell’Agenda digitale ed i profili concernenti l’istituzione dell’Agenzia per l’Italia digitale, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 13.

 

Ai sensi dell’articolo 73 del Codice dell’amministrazione digitale, il sistema pubblico di connettività (SPC) costituisce l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione.

Per la ricostruzione dei compiti della Commissione si rinvia a quanto osservato nel dossier relativo al testo originario del decreto-legge.


 

Articolo 16
(Razionalizzazione dei CED Centri elaborazione dati – Modifiche
al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179)

 

L’articolo 16 prevede, attraverso l’inserimento del comma 4-ter nell’articolo 33-septies del decreto-legge n. 179/2012, che nell’ambito del piano triennale di razionalizzazione dei centri di elaborazione dati (CED) delle pubbliche amministrazioni siano individuati i livelli minimi dei requisiti di sicurezza, di capacità elaborativa e di risparmio energetico e le modalità di consolidamento e razionalizzazione, ricorrendo anche all’utilizzo dei centri di elaborazione dati di imprese pubbliche e private nonché (come specificato nel corso dell’esame parlamentare) di enti locali o di soggetti partecipati da enti locali. In ogni caso deve essere rispettata la legislazione in materia di contratti pubblici (vale a dire il decreto legislativo n. 163/2006).

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato inoltre inserito un comma 4-ter il quale prevede che il criterio di individuazione dei livelli minimi di sicurezza siano determinati in base al valore di mercato dell’allocazione dei terabyte

 

I terabyte sono un’unità di misura dei dati informatici corrispondente a mille miliardi di byte (a loro volta corrispondenti a 8 bit).

 

Si prevede inoltre che il criterio vari in base al fatto che la razionalizzazione avvenga:

§       mediante il ricorso ad imprese in outsourcing (cioè affidato ad imprese esterne)

§       in hosting, cioè attraverso i propri Internet Service Provider.

 

Il comma 4 dell’articolo 33-septies prevede che entro il 30 settembre 2013 l'Agenzia per l'Italia digitale trasmetta al Presidente del Consiglio dei ministri, dopo adeguata consultazione pubblica, i risultati del censimento effettuato e le linee guida per la razionalizzazione dell'infrastruttura digitale della pubblica amministrazione. Entro i successivi novanta giorni il governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza unificata, adotta il piano triennale di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni, aggiornato annualmente.

Il medesimo articolo, al comma 2, definisce il CED come “il sito che ospita un impianto informatico atto alla erogazione di servizi interni alle amministrazioni pubbliche e servizi erogati esternamente dalle amministrazioni pubbliche che al minimo comprende apparati di calcolo, apparati di rete per la connessione e apparati di memorizzazione di massa”.


 

Articolo 16-bis
(Accesso alle banche dati pubbliche - Modifiche al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141)

 

L’articolo 16-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, apporta modifiche alla disciplina del furto d’identità contenuta nel D.Lgs. n. 141 del 2010.

 

Si ricorda che il D.Lgs. n. 64 del 2011 ha inserito nel D.Lgs. n. 141/2010 il Titolo V-bis dedicato all’istituzione di un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità, ovvero la frode che si sostanzia ogniqualvolta qualcuno utilizzi senza autorizzazione i dati personali di un soggetto (anagrafica, codice fiscale, dati previdenziali, ecc.) per ottenere un finanziamento a suo nome. L’obiettivo della normativa è di prevenire il fenomeno delle frodi, fornendo strumenti adatti ad accertare identità e capacità reddituale dei richiedenti il credito, configurare forme di deterrenza per i frodatori e ridurre il contenzioso giudiziario. A tale scopo, il sistema prevenzione configurato si prefigge di fornire contributi sul processo di “identificazione”, inteso come verifica della validità dei dati dichiarati dal soggetto e, successivamente, sul piano della “autenticazione”, ovvero la verifica con elevato livello di affidabilità dell'identità del soggetto.

Il sistema di prevenzione configurato dal D.Lgs. n. 64 del 2011 si basa su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo di lavoro (articolo 30-ter, comma 2). La titolarità del predetto archivio, così come del trattamento dei dati, è affidata al MEF che, ai sensi delle norme del codice della privacy, (articolo 29 del codice del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), designa la Consap S.p.A. quale ente gestore dell’archivio. Il gruppo di lavoro opera con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento, per migliorare l’azione preventiva. Ha inoltre funzioni di elaborazione e studio dei dati statistici, in forma anonima, relativi al comparto delle frodi.

In particolare l’articolo 30-ter ha istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un sistema di prevenzione delle frodi, sul piano amministrativo (ferme restando, dunque, le prescrizioni civili e penali in materia), nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto d'identità. Per quanto concerne l’utilizzo dell’archivio da parte dei soggetti aderenti al sistema di prevenzione delle frodi, il comma 7 consente ai soggetti aderenti di inviare al gestore richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche o giuridiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito. Tale verifica non può essere richiesta al di fuori dei casi e delle finalità previste per la prevenzione del furto di identità.

 

L’articolo 16-bis, comma 1, lettera a) inserisce all’articolo 30-ter un nuovo comma 7-bis, con il quale si prevede che gli aderenti, fatto salvo quanto previsto dal comma 7, possano inviare all'ente gestore ulteriori richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche nei casi in cui ritengono utile, sulla base della valutazione degli elementi acquisiti, accertare l'identità dei soggetti.

 

L’articolo 16-bis, comma 1, lettera b) inserisce all’articolo 30-sexies un nuovo comma 2-bis con il quale si prevede che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il parere del gruppo di lavoro, può essere rideterminata la misura delle componenti del contributo per l’accesso all’archivio.

 

L’articolo 30-sexies si occupa della procedure di riscontro dell’autenticità dei dati. La Consap (ente gestore dell’archivio) autorizza, di volta in volta, la procedura di collegamento dell'archivio alle banche dati degli organismi pubblici e privati. Ciascuna richiesta di verifica comporta, da parte dell'aderente, il pagamento di un contributo fisso tale da garantire la copertura del costo pieno del servizio svolto dal gestore (comma 2). La Consap è obbligata a fornire al MEF apposita rendicontazione sulle somme introitate e i costi sostenuti in rapporto al servizio.

La quota delle somme introitate dalla Consap non destinata a garantire le spese di progettazione e di realizzazione dell'archivio, nonché il costo pieno del servizio svolto dalla stessa, viene versata annualmente, dal medesimo ente, all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata ad apposito programma dello stato di previsione del MEF, da destinare alla prevenzione dei reati finanziari (nuovo comma 1-bis dell’articolo 30-septies, inserito dal D.Lgs. n. 169/2012).


 

Articolo 17
(Misure per favorire la realizzazione del Fascicolo
sanitario elettronico)

 

A fronte di situazioni regionali molto diverse, l’articolo 17 stabilisce termini temporali certi per l’utilizzo del FSE su tutto il territorio nazionale. L’intervento legislativo apporta modifiche all’articolo 12 del decreto legge 179/2012, che istituisce il FSE e affida alle regioni e alle province autonome il compito di realizzarlo, sulla base di criteri unitari a livello nazionale, ancora da definirsi con decreto interministeriale.

 

L’articolo 17, nel testo originario, è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente.

 

Nel dettaglio, l’articolo in esame stabilisce che le regioni e le province autonome devono provvedere all’istituzione del FSE entro il 30 giugno 2015 - entro il 31 dicembre 2014 nel testo originario -, ma già entro il 30 giugno 2014 - entro il 31 dicembre 2013 nel testo originario - sono tenute a presentare all’Agenzia per l’Italia digitale i piani di progetto per la sua realizzazione. Con modifica introdotta in sede referente, è stato inoltre posto il termine del 31 marzo 2014, entro e non oltre il quale, l’Agenzia per l’Italia digitale e il Ministero della salute, anche avvalendosi di enti pubblici di ricerca, rendono disponibili Linee guida, sulla base delle quali deve essere redatto il piano di progetto per la realizzazione del FSE. In base ai piani presentati, l’Agenzia per l’Italia digitale cura la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura centrale per il FSE. L’Agenzia ha anche il compito, insieme al Ministero della salute, di valutare ed approvare i piani entro 60 giorni. Successivamente, l’Agenzia e il Ministero della salute sono responsabili di monitorare che la realizzazione dei FSE sia conforme ai piani presentati.

 

Nel dettaglio, la norma in esame, al comma 1, introduce le seguenti modifiche all’articolo 12 del decreto legge 179/2012:

§      la lettera a) modifica il comma 2, fissando al 30 giugno 2015 - 31 dicembre 2014 nel testo originario - il termine entro il quale le regioni e le province autonome devono istituire il FSE, conformemente a quanto disposto dal decreto attuativo interministeriale che, ai sensi del comma 7 dell’articolo 12 del decreto legge179/2012, avrebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla legge di conversione dello stesso decreto legge;

§      la lettera b) modifica il comma 6, che già prevedeva che le finalità di studio e di ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, nonché le finalità di programmazione, sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria fossero perseguite dalle regioni e dalle province autonome nonché dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, nei limiti delle rispettive competenze, senza l'utilizzo dei dati identificativi degli assistiti presenti nel FSE. Precedentemente era previsto che non potessero essere utilizzati nemmeno i documenti clinici presenti nel FSE. Comma rimasto identico a quello del testo originario;

§      la lettera c), introdotta nell’esame in sede referente, modifica il comma 7 dell’articolo 12 del decreto legge179/2012 prevedendo che, in luogo del decreto attuativo interministeriale, da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 179/2012, siano emanati uno o più decreti.

§      la lettera d), lettera c) nel testo originario, modifica il comma 15 dell’articolo 12 del decreto legge 179/2012 il quale aveva previsto che, per l’attuazione delle disposizioni in materia di FSE, le regioni e le province autonome potessero realizzare infrastrutture tecnologiche condivise a livello sovra-regionale, e avvalersi, anche mediante riuso[31], delle infrastrutture tecnologiche per il FSE già realizzate da altre regioni, o dei servizi da queste erogate. Integrando la disposizione, si prevede la possibilità, per regioni e province autonome, di utilizzare l’infrastruttura centrale per il FSE fruibile, in modalità cloud computing e conforme a quanto stabilito dal decreto attuativo interministeriale. Nell’esame in sede referente è stato previsto che la piattaforma tecnologica centrale -non più infrastruttura centrale come nel testo originario - per il FSE , sia conforme ai criteri di interoperabilità stabiliti dal decreto attuativo interministeriale. La piattaforma tecnologica centrale è resa disponibile dall’Agenzia per l’Italia digitale avvalendosi della Sogei, società di Information & Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze ;

§      la lettera e), nel testo originario lettera d), inserisce nel corpo dell’articolo 12 i commi da 15-bis a 15-quinquies che definiscono le fasi procedurali per la realizzazione del FSE.

Il comma 15-bis stabilisce che entro e non oltre il 30 giugno 2014 - nel testo originario 31 dicembre 2013 - le regioni e le province autonome presentano all’Agenzia per l’Italia digitale il piano di progetto per la realizzazione del FSE. Con modifica introdotta in sede referente è stato inoltre posto il termine del 31 marzo 2014, entro e non oltre il quale, l’Agenzia per l’Italia digitale e il Ministero della salute, anche avvalendosi di enti pubblici di ricerca, rendono disponibili Linee guida, sulla base delle quali deve essere redatto il piano di progetto per la realizzazione del FSE.

Il comma 15-ter, nel testo originario, dispone che l’Agenzia per l’Italia digitale sulla base delle esigenze avanzate dalle regioni nell’ambito dei rispettivi piani, sia responsabile della progettazione e della realizzazione dell’infrastruttura centrale per il FSE di cui al comma 15. Nel corso dell’esame referente, è stato previsto che l’Agenzia digitale operi in accordo con il Ministero della salute e le regioni;

Il comma 15-quater chiarisce che l’Agenzia per l’Italia digitale e il Ministero della salute operano congiuntamente, per le parti di rispettiva competenza, al fine di:

a   valutare e approvare, entro 60 giorni, i piani di progetto presentati dalle regioni e province autonome per la realizzazione del FSE, verificandone la conformità ai criteri stabiliti dal decreto attuativo interministeriale di definizione del FSE;

b) monitorare che le regioni e le province autonome realizzino il FSE conformemente ai piani di progetto approvati. Con modifica introdotta in sede referente, si stabilisce infine che la realizzazione del FSE in conformità a quanto disposto dal decreto attuativo interministeriale è ricompresa tra gli adempimenti cui sono tenute le regioni per l’accesso al finanziamento integrativo a carico del SSN da verificarsi da parte del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA;

Infine, il comma 15-quinquies reca l’autorizzazione di spesa per la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura centrale di FSE in modalità cloud computing. Per il 2014 è autorizzata una spesa non superiore ai 10 milioni di euro e, a decorrere dal 2015, di 5 milioni di euro, da definirsi su base annua con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta dell’Agenzia per l’Italia digitale, come specificato in sede referente, coerentemente con le esigenze avanzate dalle regioni.


 

Articolo 17-bis
(Modifiche alla legge 13 luglio 1966 n. 559 recante "Nuovo ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato”)

 

L’articolo 17-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, modifica l’articolo 2 della legge n. 559/1966[32] recante l’ordinamento dell’Istituto Poligrafico dello Stato, introducendovi un nuovo comma 11, al fine di disciplinare i criteri generali per la definizione delle carte-valori.

Si ricorda che, la legge n. 559/1966 ha disposto la trasformazione dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato da ente pubblico economico in società per azioni, disciplinandone i relativi ambiti di operatività. In particolare, ai sensi dell’articolo 2 della citata legge, l’Istituto ha compiti di produzione e di fornitura della carta, delle carte valori, degli stampati e delle pubblicazioni anche su supporti informatici per il fabbisogno delle amministrazioni statali[33].

 

Ai sensi della norma – introdotta dall’articolo in esame - sono in particolare considerate carte-valori i prodotti, individuati con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, i quali abbiano almeno uno dei seguenti requisiti:

§      sono destinati ad attestare il rilascio da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento, ricevute di introiti, ovvero ad assumere un valore fiduciario e di tutela della fede pubblica;

§      sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza o con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado di assicurare idonea protezione dalle contraffazioni e falsificazioni.


 

Articolo 17-ter
(Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale )

 

L’articolo 17-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, novella l’articolo 64 del Codice dell’amministrazione digitale, adottato con il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD) al fine di istituire il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID).

 

Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) sancisce che l’identificazione informatica di un soggetto consiste nella validazione dell’insieme di dati attribuiti in modo esclusivo ed univoco ad esso, consentendone l’identificazione nei sistemi informativi. L’identificazione deve essere effettuata attraverso opportune tecnologie atte a garantire la sicurezza dell’accesso. Ai sensi dell’articolo 64 del CAD, le amministrazioni possono consentire l’accesso ai servizi on-line che richiedono l’identificazione informatica, oltre che mediante la carta di identità elettronica (CIE) e la carta nazionale dei servizi (CNS), anche utilizzando strumenti diversi di identificazione certa del soggetto richiedente. Pertanto, nulla osta a che le amministrazioni pubbliche rendano disponibili sistemi di identificazione informatica alternativi, purché consentano l’accesso ai servizi anche con carta di identità elettronica e carta nazionale dei servizi.

Si ricorda che DigitPA (oggi Agenzia per l’Italia digitale) ha sviluppato un modello di Gestione Federata dell'Identità Digitale GFID per il Sistema Pubblico di Connettività (Spc), consultabile alla pagina:

http://www.digitpa.gov.it/sites/default/files/allegati_tec/SPCoop-ModelloGFID_V1.5.1.pdf

 

Il sistema introdotto dall’articolo in esame, denominato SPID, è funzionale ad agevolare cittadini ed imprese nell’accesso ai servizi erogati in rete da parte delle pubbliche amministrazioni. A tal fine, è costituito mettendo insieme i soggetti pubblici e privati (identity provider) che gestiscono i servizi di registrazione e di rilascio delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete a cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni, in qualità di erogatori di servizi in rete, ovvero, direttamente, su richiesta degli interessati.

Con D.P.C.M., adottato su proposta dei ministri competenti e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono definite le caratteristiche del sistema, nonché le modalità e i tempi di adozione da parte delle amministrazioni pubbliche in qualità di erogatori di servizi in rete. È inoltre riconosciuta alle imprese la facoltà di avvalersi del sistema SPID per la verifica dell’accesso ai propri servizi erogati in rete da parte dei rispettivi utenti: l’adesione esonera l’impresa dall’obbligo generale di sorveglianza delle attività sui propri siti, ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003 (art. 17), che riguarda in particolare il commercio elettronico.

 

L’istituzione del sistema SPID è realizzata e curata dall’Agenzia per l’Italia digitale utilizzando le risorse finanziarie già stanziate a legislazione vigente tale organismo. Una volta istituito il Sistema, l’accesso ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni potrà avvenire esclusivamente mediante i servizi offerti dal Sistema, oltre che tramite la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi.


 

Articolo 18, commi da 1-3, 11 e 12 e articolo 25, comma 11-bis
(Istituzione di un Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili)

 

L’articolo 18 prevede, al comma 1, l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui:

§      335 milioni di euro per l’anno 2013;

§      405 milioni di euro per l’anno 2014;

§      652 milioni di euro per l’anno 2015;

§      535 milioni di euro per l’anno 2016;

§      142 milioni di euro per l’anno 2017.

Il comma 1 precisa che il Fondo è volto a consentire nell’anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all’avvio dei lavori.

 

Il Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cd. “legge obiettivo”) che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall’esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell’attuale situazione economica (l’articolo 18 è il primo articolo compreso nel capo III recante misure per il rilancio delle infrastrutture).

Con riguardo all’assegnazione delle risorse del Fondo, in via generale si rileva che i commi 2 e 3 prevedono distinte procedure di assegnazione delle risorse a seconda che gli interventi necessitino o meno di ulteriori procedure autorizzatorie e/o approvative. I successivi commi 5 e 9 prevedono ulteriori interventi a valere sulle risorse del Fondo, ma in deroga alle procedure di cui al comma 2. Per le considerazioni inerenti invece gli interventi di cui al comma 10 si rinvia alla relativa scheda di commento.

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserita una previsione in base alla quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti presenta semestralmente al Parlamento una documentazione conoscitiva e una relazione analitica sull'utilizzazione del Fondo di cui al comma 1. La disposizione riproduce una condizione formulata dall’VIII Commissione, nel parere approvato l’11 luglio 2013.

Interventi finanziabili (comma 2)

In particolare, il comma 2 elenca gli interventi, finanziabili con le risorse assegnate al Fondo, che dovranno essere individuati, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento (sulla base di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente in quanto il testo approvato dal Governo fa riferimento al termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto), con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il comma 2 provvede ad elencare specifici interventi, ma reca anche interventi di carattere generico. Con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano:

§      il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione (sulla base di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente);

§      il potenziamento dei nodi ;

§      lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari;

§      il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie.

Si segnala che il comma 10 dell’articolo 18 (alla cui scheda di commento si rinvia) reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale d’interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA che, secondo quanto rilevato dalla relazione tecnica, dovrebbe essere finanziato a valere sulle risorse del Fondo.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato specificato che gli interventi rispondenti alle finalità di potenziamento dei nodi, dello standard di interoperabilità dei corridoi europei e del miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari sono in ogni caso riferiti a infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, per le quali si sono perfezionate le procedure di individuazione con il coinvolgimento degli enti territoriali. La previsione riproduce una condizione formulata dall’VIII Commissione nel parere favorevole adottato nella seduta dell’11 luglio 2013.

 

Per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano:

§      il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d’Aosta;

§      l’asse di collegamento tra la strada statale 640 e l’autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta;

§      gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano.

Ulteriori interventi finanziabili con delibere CIPE (comma 3)

Entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento (sulla base di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente in quanto il testo approvato dal Governo fa riferimento al termine di quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto), con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del suddetto Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili:

§      l’asse viario Quadrilatero Umbria-Marche;

§      la tratta Colosseo – Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma;

Si rinvia alla scheda di commento del comma 6 dell’articolo 18, che detta le condizioni per la sottoposizione di tale tratta al CIPE.

§      la linea M4 della metropolitana di Milano;

§      il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza.

 

Nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento,con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi:

§      la linea 1 della metropolitana di Napoli;

§      l’asse autostradale Ragusa-Catania;

§      la tratta Cancello – Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari.

 

Si tratta di interventi localizzati nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza che – come precisato dalla relazione tecnica – potranno accedere agli interventi del Fondo “solo nel caso in cui non risultassero attivabili le risorse del PON reti e viabilità allo stato non utilizzate ferma restando la procedura di riprogrammazione”.

Utilizzo e revoca delle risorse del Fondo (commi 11 e 12)

Nel caso in cui, entro il 31 dicembre 2013, non siano conseguite le finalità indicate al comma 1, si prevede la revoca dei finanziamenti assegnati a valere sul Fondo istituito ai sensi del comma 1 dell’articolo 18.

Nei decreti ministeriali e nelle delibera CIPE, con cui sono assegnate le risorse previste ai commi 2 e 3, devono essere stabiliti per ciascun intervento:

§      le modalità di utilizzo delle risorse assegnate;

§      il monitoraggio dell’avanzamento dei lavori;

§      l’applicazione di misure di revoca.

Le risorse revocate confluiscono nel Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico, nonché per gli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia, di cui all’articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.

Le risorse assegnate a valere sul Fondo di cui al comma 1 non possono essere utilizzate per la risoluzione di contenziosi (comma 12).

Attribuzione prioritaria delle risorse revocate del Fondo (articolo 25, comma 11-bis)

Il comma 11-bis dell’articolo 25, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, attribuisce prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture di seguito elencati:

§      al completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino;

Si segnala che con delibera del CIPE 26 ottobre 2012, n. 101, è stato approvato il progetto definitivo dell'interconnessione tra la linea ferroviaria Torino-Ceres e il passante ferroviario di Torino in corrispondenza della stazione Rebaudengo, opera inclusa nel Programma delle infrastrutture strategiche[34]. Si ricorda che il CIPE, con Delibera 23 marzo 2012, preso atto che la realizzazione del collegamento della ferrovia Torino – Ceres con il Passante ferroviario di Torino in corrispondenza della stazione di Rebaudengo riveste un ruolo strategico nell'ambito del Sistema ferroviario metropolitano, anche in relazione alle opere prioritarie di prima fase legate alla «Nuova linea Torino – Lione, che il costo dell'opera e' pari a 162 milioni di euro, ha disposto a favore del soggetto aggiudicatore dell'intervento, Società di committenza regionale S.p.A. Piemonte, l'assegnazione di risorse pari a euro 20.000.000 secondo la seguente articolazione temporale: 3 milioni per il 2012, 2 milioni per il 2013, 3 milioni per il 2014, 12 per il 2015.

§      alla regione Piemonte, a titolo di contributo per spese sostenute per la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle;

§      al collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa (potenziamento e variante di Galliate);

L’opera, inserita nel Programma delle infrastrutture strategiche, secondo quanto riportato nell’11° Allegato al Documento di economia e finanza 2013, presentato al Parlamento nel mese di aprile 2013, ha un costo di 78,85 milioni di euro al mese di dicembre 2012, mentre lo stato di attuazione rientra nella progettazione definitiva[35].

§      alla regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, al fine di consentire l'attuazione dell'O.P.C.M. 3702/2008 e successive modificazioni;

Si ricorda preliminarmente che l’articolo 6-ter, comma 1, del D.L. 79/2012 ha salvaguardato gli effetti della deliberazione del Consiglio dei ministri e delle dichiarazioni dello stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia. Tra i provvedimenti i cui effetti sono salvaguardati, in deroga al divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali disposto dall’articolo 3, comma 2, del D.L. 59/2012, rientra anche l’O.P.C.M. del 5 settembre 2008, n. 3702. Con tale ordinanza si è provveduto alla nomina del commissario delegato nel Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il compito di provvedere: alla realizzazione della terza corsia nel tratto autostradale A4 Quarto D'Altino-Villesse, ed all'adeguamento a sezione autostradale del raccordo Villesse-Gorizia; alla realizzazione degli interventi insistenti sul tratto autostradale A4 Quarto D'Altino-Trieste o sul raccordo Villesse-Gorizia o sul sistema autostradale interconnesso, previsti nella convenzione di concessione tra Autovie Venete S.p.A. e l'ANAS S.p.a., ritenuti indispensabili ai fini del superamento dello stato di emergenza; alla realizzazione delle opere di competenza di enti diversi dalla concessionaria Autovie Venete S.p.A. Con l’art. 1 dell’O.P.C.M. del 22 luglio 2011, n. 3954 si è provveduto a sostituire il Commissario delegato Presidente della regione autonoma, con l’ing. Riccardo Riccardi, assessore alle infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale e lavori pubblici della regione autonoma. Con D.P.C.M. 22 dicembre 2012, è stato prorogato, fino al 31 dicembre 2014, lo stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino - Trieste e nel raccordo autostradale Villesse - Gorizia. Il Presidente della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia subentra all'ing. Riccardo Riccardi nelle funzioni di Commissario delegato.

L’opera è inclusa nel Programma delle infrastrutture strategiche [36].

§      agli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Il 10° Allegato infrastrutture strategiche alla Nota di aggiornamento del DEF 2012, che è stato approvato con delibera del CIPE 136/2012, per l’Asse ferroviario interregionale Bologna-Bari-Lecce riporta un costo di 1.097,37 milioni di euro di cui disponibili 653,26. L’ultimo aggiornamento 2009-2011 del Contratto di Programma con RFI prevede allocazione di nuove risorse solo in relazione alla

Si ricorda che i nuovi orientamenti comunitari per la realizzazione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) (COM(2011)650), nell’ambito della rete centrale, individuano dieci corridoi, di cui quattro interessano l’Italia e di cui non fa parte l’Asse ferroviario Bologna-Bari-Lecce . I corridoi sono i seguenti:

-        il corridoio 1 Baltico-Adriatico che collegherà Helsinki a Ravenna, nell’ambito del quale sono previsti i collegamenti ferroviari Vienna-Udine-Venezia-Ravenna e Trieste-Venezia-Ravenna;

-        il corridoio 3 Mediterraneo da Algeciras (Spagna) fino alla frontiera ungherese che comprenderà, tra l’altro, i collegamenti ferroviari Lione-Torino, Milano-Brescia, Brescia-Venezia-Trieste, Milano-Mantova-Venezia-Trieste e Trieste-Diva;

-        il corridoio 5 Helsinki-La Valletta che comprenderà il tunnel di base del Brennero nonché i collegamenti ferroviari Fortezza-Verona, Napoli-Bari, Napoli-Reggio Calabria, Messina-Palermo e Palermo-La Valletta;

-        il corridoio 9 Genova-Rotterdam che comprenderà i collegamenti ferroviari Genova-Milano-Novara (cosiddetto “terzo valico appenninico”).

Per la realizzazione della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) (COM(2011)650) , è prevista infatti una rete centrale (core network) che costituirà la spina dorsale della rete transeuropea di trasporto, da realizzare entro il 2030, basata su un “approccio per corridoi”, ed una rete globale (da realizzare entro il 2050), che comprenderà le altre infrastrutture a livello nazionale e regionale. La rete centrale permetterà collegamenti con le reti infrastrutturali di trasporto dei paesi vicini e dovrà rispecchiare l'evoluzione della domanda di traffico e la necessità del trasporto multimodale. La rete centrale interesserà 83 porti europei principali mediante collegamenti ferroviari e stradali, 37 aeroporti principali mediante collegamenti ferroviari verso grandi città, 15.000 km di linee ferroviarie ad alta velocità e 35 grandi progetti transfrontalieri per ridurre le strozzature.


 

Articolo 18, comma 4
(Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone)

 

La disposizione prevede l’utilizzazione indistinta delle risorse, già assegnate con la delibera CIPE n. 88/2010, per i lotti in cui è articolata l’opera “Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone”.

La norma prevede che l’opera, che deve essere interamente messa a gara, può essere realizzata e finanziata per lotti funzionali e, in assenza di finanziamento per la realizzazione delle tratte nei tre anni successivi all’aggiudicazione dell’opera, non è previsto alcun obbligo del concedente al finanziamento delle tratte medesime nei confronti del concessionario.

 

Il Corridoio Tirrenico Meridionale A12 – Formia e Cisterna – Valmontone, inserito nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”), è stato approvato dal CIPE a livello di progetto preliminare con delibera n. 50 del 2004, e riguardava un primo stralcio funzionale comprendente il Corridoio Tirrenico Meridionale, Tratta A12 – Sabaudia/Terracina e la tratta Cisterna Valmontone, rinviandosi ad una nuova e diversa progettazione preliminare il secondo stralcio del Corridoio Tirrenico Meridionale costituito dalla tratta Sabaudia/Terracina – Formia. Con la medesima delibera veniva assegnato un finanziamento di 259,5 milioni di euro (in termini di volume di investimenti) allo stralcio funzionale del Corridoio Tirrenico Meridionale, tratta A12 – Sabaudia/Terracina e un finanziamento di 100 milioni di euro (in termini di volume di investimenti) alla tratta Cisterna – Valmontone.

Con la delibera CIPE n. 88 del 2010, sono stati approvati i progetti definitivi: a) della tratta autostradale “Roma (Tor de’ Cenci) - Latina Nord (Borgo Piave)”, comprensiva delle complanari; b) della tratta autostradale “Cisterna – Valmontone”; c) delle relative opere connesse:- tangenziale di Labico;- asse secondario tra la SR “Ariana” e la SP “Artena – Cori”;- tangenziale di Lariano, nonché dei seguenti progetti preliminari delle ulteriori opere connesse: a) tangenziale di Latina; b) asse viario di collegamento tra Velletri e la SP “Velletri – Cori”; c) miglioramenti funzionali delle viabilità esistenti:- via dei Giardini (dallo svincolo di Aprilia Sud alla SR Nettunense);- via Apriliana (tra lo svincolo di Aprilia Nord e la stazione di Campoleone di Latina);- la SP “Velletri – Cori” (tra il nuovo asse di collegamento con Velletri e la tangenziale di Lariano). Con la medesima delibera si è preso atto che il soggetto aggiudicatore, al fine di eseguire in modo organico l’intervento, dovesse procedere con l’indizione di una unica procedura di gara ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione di una concessione di costruzione e gestione, ponendo a base di gara i predetti progetti definitivi e preliminari, nonché la progettazione del Collegamento A12 – Roma (Tor de’ Cenci). Nella delibera si specifica che i contributi assegnati con delibera CIPE n. 50/2004 a valere sulle risorse destinate alle infrastrutture strategiche dalla legge n. 166/2002, sono allocati a favore dell’intero sistema autostradale oggetto della delibera e relative opere connesse e che tali contributi pubblici a fondo perduto, pari a 468,4 milioni di euro, sono destinati all’abbattimento del costo iniziale dell’intervento.

La Corte dei conti, con deliberazione 7/2013, ha ricusato il visto e la registrazione della delibera CIPE n. 86 del 2012 relativa all’approvazione del progetto definitivo dell’intervento “Completamento corridoio tirrenico meridionale A12- Appia e bretella autostradale Cisterna-Valmontone, tratto A12 Roma Civitavecchia – Roma (Tor de’ Cenci)”, con reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio apposto con precedente delibera del CIPE n. 50/2004, nonché al parere sullo schema di convenzione. La delibera n. 86, secondo quanto si apprende dalla descrizione del contenuto nella deliberazione della Corte Conti, specifica che, riguardo al collegamento Cisterna Valmontone ed opere connesse, la progettazione, realizzazione e gestione restano subordinate all’avverarsi della condizione che si realizzi l’assegnazione di ulteriori risorse pubbliche necessarie, entro il termine di tre anni decorrenti dalla data di perfezionamento della citata convenzione. In tale prospettiva, la delibera del CIPE puntualizza che la copertura finanziaria viene assicurata nell’ambito del piano economico e finanziario riferito alle tratte A12 – Roma (Tor Dè Cenci) – Latina (Borgo Piave) con un contributo pubblico pari a 468,1 meuro, con l’ulteriore disposizione (punto 3 del deliberato) che formino oggetto della convenzione le sole tratte per le quali è disponibile la copertura finanziaria “nel presupposto che lo Stato non assume nessun obbligo di finanziamento delle tratte attualmente non coperte finanziariamente”.

Nel rinviare al contenuto della deliberazione 7/2013 per una ricostruzione puntuale della complessa vicenda, si segnala in questa sede che la Corte ha eccepito che la delibera non chiarisce, con puntuali prescrizioni, le ragioni e i criteri in base ai quali si è provveduto alla destinazione delle risorse assegnate esclusivamente al collegamento tra l’area pontina e l’A2 Cisterna Valmontone alle tratte A12 Roma Tor De Cenci e Roma Tor De Cenci - Latina Borgo Piave oggetto dello schema di convenzione.

Nel corso dello svolgimento di un atto di sindacato ispettivo presso l’VIII Commissione è stato precisato, nella risposta fornita dal dicastero di merito, che “la destinazione dei fondi all'intera opera è risultata, a parere della Corte, non univocamente stabilita per il lotto funzionale; tale interpretazione potrà essere corretta con opportuna definizione dell'utilizzo dei fondi”[37].

Per un approfondimento riguardante i profili economici e temporali dell’opera, vedi la scheda presente nel 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” – predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) - relativa al Sistema Intermodale Integrato Pontino Roma–Latina e Cisterna-Valmontone (aggiornata al 30 settembre 2012).

L’11° Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza 2013, trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013, riporta: per l’opera Cisterna - Valmontone e opere connesse un costo di 714,09 milioni di euro; per il collegamento A12 Roma (Tor de' Cenci) un costo di 498,63 milioni di euro; per il Corridoio Intermodale Integrato Pontinio Roma – Latina un costo di 1515,93 milioni di euro con una disponibilità di 468,08 milioni di euro.


 

Articolo 18, comma 5
(Assegnazione di risorse alla società concessionaria Strada
dei parchi S.p.A.)

 

La disposizione prevede, al fine di assicurare la continuità funzionale e la realizzazione degli investimenti previsti nella Convenzione vigente per la realizzazione e la gestione delle tratte autostradali A24 e A25 “Strade dei Parchi”, l’assegnazione di 90,7 milioni di euro (82,2 milioni di euro per l’anno 2013 e 8,5 milioni di euro per l’anno 2014) alla società concessionaria utilizzando le risorse del Fondo istituito al comma 1, in deroga agli appositi decreti ministeriali previsti al comma 2. La norma specifica che il predetto importo è destinato alla società concessionaria secondo le modalità previste dal Verbale d’Intesa sottoscritto da ANAS S.p.A. e Strada dei Parchi S.p.A il 16 dicembre 2010.

 

In particolare, dei 90,7 milioni di euro stanziati, 34,2 milioni sono un contributo statale e 56,5 milioni un’anticipazione del contributo dovuto dalla Regione Lazio, dalla Provincia e dal Comune di Roma ai sensi della citata Convenzione (in cui la Società Strada dei Parchi S.p.A. si è impegnata a progettare e realizzare una viabilità complanare all’autostrada A24, tra la Barriere di Roma Est e Via P. Togliatti, che prevede il contributo economico del Ministero delle Infrastrutture, della Regione Lazio, della Provincia di Roma e del Comune di Roma, per un investimento complessivo di 259 milioni di euro)[38]. Le risorse anticipate, entro il 31 dicembre 2015, dovranno essere versate al bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al "Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge 29 novembre 1984, n. 798" di cui all’articolo 32, comma 1, del D.L. 98/2011 (sul Fondo si veda la scheda di commento riferita ai commi da 1 a 3, nonché 11 e 12 dell’articolo 18).

Il raggruppamento Autostrade S.p.A.-Toto S.p.A. ha costituito la Società Strada dei Parchi S.p.A., che, dal 1° gennaio 2003, è subentrata alla precedente gestione per conto ANAS. La società ha pertanto la concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e A25 (Torano-Avezzano-Pescara): un sistema che costituisce collegamento tra il versante tirrenico e quello adriatico, formando una connessione tra l’Autostrada del Sole A1 (Milano-Napoli) e l’Autostrada Adriatica A14 (Bologna-Bari-Taranto). Il 18 novembre 2009 è stata sottoscritta la Nuova Convenzione Unica tra ANAS S.p.a. e Strada dei Parchi S.p.a., approvata dal CIPE con delibera 20/2010. La scadenza della concessione è fissata al 31 dicembre 2030.

 

Da ultimo, si rammenta che il comma 183 dell’articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) prevede che il Governo possa procedere, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, ad una rinegoziazione con la società concessionaria delle autostrade A24-A25 delle condizioni della concessione anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza alle condizioni indicate nella norma.


 

Articolo 18, comma 6
(Disposizioni concernenti la linea C della metropolitana di Roma)

 

Il comma 6 prevede che, entro il 30 ottobre 2013, il progetto definitivo della tratta Colosseo - Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma debba essere sottoposto al CIPE. Ai fini del finanziamento del progetto possono essere utilizzate le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, a condizione che la tratta Pantano - Centocelle della stessa linea C venga messa in pre-esercizio entro il 15 dicembre 2013. Il riferimento al parametro della messa in pre-esercizio e il differimento del relativo termine sono conseguenti a una modifica approvata durante l’esame in sede referente in quanto il testo del decreto approvato dal Governo prevede che la tratta sia messa in esercizio entro il 15 ottobre 2013. Si rammenta che il comma 3 del medesimo articolo 18 già demanda a delibere CIPE, da adottarsi entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la possibilità di finanziare a valere sulle risorse del Fondo istituito dal comma 1 dell’articolo 18 alcune opere strategiche tra le quali la tratta Colosseo – Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma. La disposizione in commento, pertanto, detta le condizioni alle quali la tratta è sottoposta all’esame del CIPE e la data entro la quale avverrà detto esame.

Il tracciato della Linea C della metropolitana di Roma comprende 42 stazioni per una lunghezza complessiva di 42 km, in parte ad automazione integrale (treni con guida senza macchinista). Nel dettaglio il tracciato fondamentale si articola in 6 tratte: - T2: Clodio/Mazzini–Fori Imperiali/Colosseo - T3: Fori Imperiali/Colosseo-San Giovanni - T4: San Giovanni-Malatesta - T5: Malatesta-Teano-Alessandrino - T6A: Alessandrino-Bivio Torrenova - T7: Bivio Torrenova-Pantano e deposito graniti.

L’opera è finanziata nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”) [39].

La tratta T2 Clodio/Mazzini–Fori Imperiali/Colosseo, secondo quanto riportato nell’XI Allegato al Documento di economia e finanza 2013 trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013, ha un costo di 769,44 milioni di euro. La disposizione in commento fa riferimento alla tratta Colosseo – Piazza Venezia nell’ambito della linea T2.

Per quanto riguarda invece le tratte T6A, T7, e deposito graniti, nel cui ambito è inclusa la tratta Pantano – Centocelle, secondo quanto riportato nel citato Allegato, il costo complessivo è pari a circa 930 milioni di euro interamente disponibili. In particolare, la tratta Pantano – Centocelle risulta in fase di ultimazione.

Con la delibera del CIPE n. 84 del 2011 è stata approvata la variante relativa all’utilizzo delle terre da scavo delle tratte T4 - T5 e T6A comprese nel tracciato fondamentale ed è stato individuato nell’importo di 3.486,864 milioni di euro il «limite di spesa» del tracciato fondamentale, ripartito per tratte e per quote di finanziamento tra i soggetti finanziatori.

Da ultimo, con la delibera CIPE n. 127 del 2012, sono state individuate le risorse statali pari a 81,1 milioni di euro, a parziale copertura dell’atto transattivo relativo alle tratte T3, T4, T5, T6A, T7 e deposito Graniti, tra Roma metropolitane s.r.l. (soggetto aggiudicatore) e metro C S.p.A. (contraente generale). Secondo quanto stabilito nel punto 1.8. di tale delibera, il nuovo «limite di spesa» del tracciato fondamentale della linea C della Metropolitana di Roma, costituito dalle tratte T2,T3, T4, T5, T6A, T7 e Deposito graniti, sarà rideterminato dal Comitato a seguito della trasmissione, da effettuarsi entro novanta giorni dalla pubblicazione della delibera (avvenuta il 22 giugno 2013), dei quadri economici aggiornati di tutte le tratte citate.


 

Articolo 18, comma 7
(Contrattualizzazione di interventi cantierabili del Gruppo Ferrovie dello Stato)

 

Il comma 7 dell’articolo 18 interviene in materia di investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato, in attesa dell'approvazione del Contratto di Programma - parte investimenti 2012 -2016 con RFI, autorizzando per l’importo di 300 milioni di Euro, la contrattualizzazione degli interventi per la sicurezza ferroviaria che siano immediatamente cantierabili di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 marzo 2012.

Più precisamente il riferimento è all’art. 1, comma 6 del richiamato DPCM, che ha disposto l’utilizzo, per l'anno 2012 della somma di 300 milioni di euro per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato - Contratto di programma con RFI.

Con l’art. 1 del DPCM 1 marzo 2012 in questione si è provveduto a ripartire una parte delle risorse del Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze dall’art. 7-quinquies del D.L. n. 5 del 2009 e successivamente modificato dalla legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), destinato ad assicurare il finanziamento di vari interventi urgenti e indifferibili. In base al DPCM il fondo è stato ripartito, per l’importo di 785 milioni di euro per l’anno 2012, sui 13 settori di intervento indicati nell’Elenco 3[40] allegato alla legge 183/2011, tra cui rientrano sia il Contratto di Programma con RFI che gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato.

 

Si ricorda che il nuovo contratto di programma tra RFI e Ministero delle infrastrutture per il periodo 2012-2016 si concretizzerà, in coerenza con la delibera CIPE n. 4/2012, in due atti distinti, entrambi in corso di stipulazione:

§       la parte servizi (lo schema di contratto è stato approvato dal CIPE il 18 marzo 2013) chiamata a gestire la manutenzione ordinaria e straordinaria e le attività di safety, security e navigazione;

§       la parte investimenti (lo schema di contratto è stato siglato da RFI e dal Ministero il 12 marzo 2013 ed è attualmente all'esame del CIPE) concentrata sul completamento delle opere in corso e l'avvio di opere prioritarie nell'ambito dei progetti di investimento finalizzato all'ammodernamento e lo sviluppo dell'infrastruttura.


 

Articolo 18, commi 8-8 sexies
(Interventi per l’edilizia scolastica)

 

Il comma 8, sostituito durante l’esame in sede referente, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL, destina fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici, previsto dall’articolo 53, comma 5, del decreto-legge 5/2012. Le risorse utilizzate provengono dagli investimenti immobiliari del piano di impiego dei fondi disponibili di cui all'articolo 65 della legge 153/1969, secondo un programma concordato tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti, e sentita la Conferenza unificata. La disposizione riproduce una condizione formulata dall’VIII Commissione (ambiente) nel parere favorevole approvato l’11 luglio 2013.

 

L’articolo 53 del D.L. 5/2012 prevede l’approvazione di un “Piano nazionale di edilizia scolastica” entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore (comma 1) e, nelle more dell’approvazione di tale Piano, di un “Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici” (comma 5).

In particolare il comma 5 ha individuato i seguenti interventi urgenti da attuare nelle more della definizione e approvazione del Piano nazionale:

§       approvazione, da parte del CIPE (su proposta dei Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata), di un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici, anche favorendo interventi diretti al risparmio energetico e all’eliminazione delle locazioni a carattere oneroso, nell’ambito delle risorse assegnate al Ministero dell’istruzione dall’art. 33, comma 8, della L. 183/2011 e pari a 100 milioni di euro per l’anno 2012. Tale Piano non è ancora stato approvato;

§       applicazione anche nel triennio 2012-2014 delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 626, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), con estensione dell’ambito di applicazione alle scuole primarie e dell’infanzia, subordinatamente al rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica.

Si ricorda che il citato comma 626, nella logica degli interventi per il miglioramento delle misure di prevenzione di cui al D.Lgs. 38/2000 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), ha previsto la definizione, in via sperimentale per il triennio 2007-2009, da parte dell’INAIL, d'intesa con i Ministri del lavoro e dell’istruzione e con gli enti locali competenti, di indirizzi programmatici per la promozione ed il finanziamento di progetti degli istituti di istruzione secondaria di primo grado e superiore per l'abbattimento delle barriere architettoniche o l'adeguamento delle strutture alle vigenti disposizioni in tema di sicurezza e igiene del lavoro. Lo stesso comma ha demandato all’INAIL la determinazione dell'entità delle risorse da destinare annualmente alle finalità di cui al comma, la definizione dei criteri e delle modalità per l'approvazione dei singoli progetti, nonché l’approvazione dei finanziamenti dei singoli progetti. In attuazione di tale disposizione la delibera del Consiglio di Indirizzo e di Vigilanza dell'INAIL n. 8 del 3 aprile 2007 ha determinato in 100 milioni di euro per il triennio 2007/2009 l'entità delle risorse da destinare alle finalità di cui al citato comma 626.

L’articolo 65 della L. 153/69 dispone che i soggetti richiamati compilino annualmente un piano di impiego dei fondi disponibili (ossia le somme eccedenti la normale liquidità di gestione), approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Se non per particolari esigenze di bilancio, la percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare il 40%, né essere inferiore al 20% dei fondi disponibili. Anche i piani relativi agli investimenti immobiliari devono essere approvati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

l comma 8 dell’articolo 18 del decreto legge approvato dal Governo prevede che, allo scopo di innalzare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, l’INAIL destina fino a 100 milioni di euro annui per il triennio 2014-2016, per la definizione di un piano di edilizia scolastica, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti. Tale intervento era effettuato restando fermo quanto previsto dall’articolo 53, comma 5, del D.L. 5/2012 (L. 35/2012).

 

Il comma 8-bis, aggiunto durante l’esame in sede referente, ai fini della predisposizione del suddetto piano di edilizia scolastica, autorizza una spesa di 3,5 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, per l'individuazione di un modello unico di rilevamento e potenziamento della rete di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico.

La norma pone l’individuazione del modello unico in relazione all’articolo 2, comma 329, della legge n. 244/2007, Tale norma ha in precedenza autorizzato la spesa di 4,5 milioni di euro per il triennio 2008-2010 allo scopo di garantire la prosecuzione delle attività di monitoraggio del rischio sismico attraverso l’utilizzo di tecnologie scientifiche innovative integrate dei fattori di rischio nelle diverse aree del territorio ai sensi dell’articolo 1, comma 247, della legge 244/2007. Tale disposizione ha consentito lo stanziamento di risorse[41] per la predisposizione - da parte del Centro di Geomorfologia Integrata per l'Area del Mediterraneo (CGIAM)- di metodologie scientifiche innovative integrate dei fattori di rischio delle diverse aree del territorio da applicare nel monitoraggio del rischio sismico.

La copertura del suddetto stanziamento è assicurata con la riduzione degli stanziamenti degli anni 2014 e 2015 del fondo speciale di conto capitale (bilancio triennale 2013-2015), utilizzando parzialmente l'accantonamento del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare.

Si segnala che il comma 5-bis dell’articolo 8 del D.L. 43/2013, inserito nel corso dell’esame parlamentare, è volto a ripristinare lo stanziamento di 1 milione di euro previsto, per il 2013, dall’art. 1, comma 1, del D.L. 195/2009 che, allo scopo di assicurare la massima funzionalità delle attività di monitoraggio del rischio sismico, ha autorizzato la spesa di 1 milione di euro per l’anno 2011 e di 1 milione di euro a decorrere dall’anno 2013, per il rifinanziamento dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 2, comma 329, della L. 244/2007.

 

Durante l’esame in sede referente sono stati inseriti, inoltre, i commi 8-ter–8-sexies, che prevedono la destinazione di ulteriori somme, da assegnare al Fondo unico per l’edilizia scolastica, ma da attribuire sulla base di una procedura specifica, per l’attuazione di misure urgenti per la riqualificazione e la messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali.

In particolare, il comma 8-ter autorizza, per l’anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto, e garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico.

La spesa è autorizzata nelle more della attuazione della procedura prevista dall’art. 11, commi da 4-bis a 4-octies, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012), che si applicherà alle ulteriori risorse destinate al Fondo unico dell’edilizia scolastica previsto da tali disposizioni.

 

Si segnala che il riferimento corretto è all’art. 11, commi da 4-bis a 4-octies, del D.L. 179/2012, poiché il comma 4-novies riguarda i libri scolastici.

 

L’art. 11, co. 4-bis – 4-octies del D.L. 179/2012 dispone la predisposizione e l’approvazione di appositi piani triennali di interventi di edilizia scolastica e dei corrispondenti finanziamenti. In particolare, un decreto del MIUR, d’intesa con la Conferenza unificata - che non risulta al momento ancora approvato - definisce le priorità strategiche, le modalità e i termini per l’approvazione dei piani, che saranno articolati in annualità, e i relativi finanziamenti. Gli enti locali proprietari degli immobili ad uso scolastico sono tenuti a presentare un’apposita richiesta alle rispettive regioni, per essere inseriti in tali piani. Ciascuna regione e provincia autonoma, valutata la corrispondenza con le indicazioni del decreto e tenuto conto della programmazione dell’offerta formativa, approva e trasmette al MIUR il piano di interventi entro i termini indicati dal decreto, pena la decadenza dai finanziamenti assegnabili.

Il MIUR verifica tali piani e, in assenza di osservazioni, comunica l’avvenuta approvazione degli stessi alle regioni e alle province autonome, per la loro pubblicazione.

Per tali finalità, è stata disposta l’istituzione, nello stato di previsione del MIUR, a decorrere dal 2013, del Fondo unico per l’edilizia scolastica, nel quale confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.

Nell’assegnazione delle risorse si tiene conto della capacità di spesa degli enti locali nell’utilizzo delle risorse assegnate nell’annualità precedente, “premiando” le regioni “virtuose” con l’attribuzione di una quota aggiuntiva non superiore al 20%.

Per gli edifici scolastici di nuova edificazione, l’infrastruttura di rete internet è compresa tra le opere edilizie necessarie.

 

Il comma 8-quater dispone che le risorse previste sono ripartite a livello regionale per essere poi assegnate agli enti locali proprietari degli immobili ad uso scolastico, sulla base del numero degli edifici scolastici e degli alunni presenti nella singola regione e della situazione del patrimonio edilizio scolastico, come dall’Allegato 1.

Quest’ultimo, peraltro, riporta solo le somme ripartite a livello regionale, senza indicare i corrispondenti parametri da cui sono ricavate, vale a dire il numero degli edifici scolastici e degli alunni presenti nella singola regione:

 

REGIONI

EURO

Abruzzo

4.000.000

Basilicata

2.000.000

Calabria

13.000.000

Campania

18.000.000

Emilia-Romagna

7.000.000

Friuli- V. G.

2.500.000

Lazio

14.000.000

Liguria

4.000.000

Lombardia

15.000.000

Marche

3.000.000

Molise

2.000.000

Piemonte

9.000.000

Puglia

12.000.000

Sardegna

5.000.000

Sicilia

16.000.000

Toscana

10.000.000

Umbria

2.500.000

Valle d’Aosta

1.000.000

Veneto

10.000.000

Totale

150.000.000

 

Si prevede, inoltre, che le quote imputate alle province autonome di Trento e Bolzano sono rese indisponibili, in attuazione dell’art. 2, co. 109, della L. 191/2009 (legge finanziaria 2010).

La citata norma della legge finanziaria 2010 ha disposto l’abrogazione degli artt. 5 e 6 della L. 386/1989 che tra l’altro prevedevano, per le province autonome di Trento e di Bolzano, la partecipazione alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Sono stati fatti salvi, in ogni caso, i contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento di mutui e prestiti obbligazionari accesi dalle province autonome, nonché i rapporti giuridici già definiti.

 

Entro il 15 settembre 2013 gli enti locali presentano alle regioni i progetti esecutivi di messa in sicurezza, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli edifici scolastici immediatamente cantierabili.

Su queste basi, le regioni presentano al MIUR, entro il 15 ottobre 2013, le graduatorie, alle quali si fa riferimento per l’assegnazione delle risorse, effettuata entro il 30 ottobre 2013 con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Il mancato rispetto del termine per la trasmissione delle graduatorie da parte delle regioni comporta la decadenza dall’assegnazione dei finanziamenti previsti per la ripartizione. Le risorse “liberate”, vale a dire quelle che non potranno essere assegnate, saranno ripartite in misura proporzionale tra le altre regioni.

La norma prevede inoltre, con una formulazione generica, che l'assegnazione del finanziamento autorizza gli enti locali ad avviare le procedure di gara con pubblicazione delle medesime ovvero le procedure di affidamento dei lavori.

In proposito, si segnala che l'articolo 3, comma 36, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) reca la definizione di "procedure di affidamento" in base alla quale le «procedure di affidamento» e l'«affidamento» comprendono sia l'affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l'affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l'affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee.

Il MIUR comunica al MEF l’elenco dei finanziamenti assegnati agli enti locali e, semestralmente, lo stato di attuazione degli interventi. Questi ultimi vengono pubblicati sul sito di entrambi i Ministeri.

 

Il comma 8-quinquies stabilisce che il mancato affidamento dei lavori entro il 28 febbraio 2014 comporta la revoca dei finanziamenti. Le eventuali economie di spesa che dovessero rendersi disponibili alla chiusura delle procedure previste, ovvero le risorse derivanti dalle revoche, vengono riassegnate dal MIUR in base alla graduatoria delle richieste. Lo stesso Ministero provvede al trasferimento delle risorse agli enti locali per permettere i pagamenti entro il 31 dicembre 2014, secondo gli stati di avanzamento dei lavori debitamente certificati.

 

Il comma 8-sexies prevede la copertura delle somme autorizzate: si prevede, a tal fine, che un ammontare di 150 milioni di euro in giacenza sul conto corrente bancario acceso presso la banca Intesa Sanpaolo S.p.A, relativo alla “gestione stralcio” del Fondo speciale della ricerca applicata (FSRA) di cui all’art. 4 della L. 1089/1968, è versato all’entrata del bilancio dello Stato entro il 31 gennaio 2014, per essere successivamente riassegnato al sopra citato Fondo unico per l’edilizia scolastica.

La norma dispone anche riguardo le ulteriori somme disponibili alla chiusura del programma stralcio del Fondo speciale della ricerca applicata, prevedendo che le stesse sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere successivamente riassegnate al FFO.

 

La Relazione sul Rendiconto generale dello Stato della Corte dei conti del 27 giugno 2013 riporta l’informazione che dalla gestione stralcio del Fondo speciale della ricerca applicata (FSRA) sono stati erogati 2,3 milioni di euro nel 2012, mentre non si sono conclusi progetti di ricerca finanziati dal Fondo. Esso è un fondo di rotazione per la concessione di crediti agevolati, originariamente previsto dall’articolo 4 della L. 1089/1968, norma successivamente abrogata, a decorrere dal 16 dicembre 2010, dal combinato disposto del comma 1 dell’art. 1 e dell’allegato al D.Lgs. n. 212 del 2010 (c.d. “taglia-leggi”). Si segnala che con l’istituzione del FAR (Fondo agevolazioni alla Ricerca) ad opera del D.Lgs. n. 297 del 1999 e con il decreto ministeriale di attuazione dello stesso (DM n. 593 del 2000), la disciplina del FSRA era stata di fatto soppressa, rimanendo in vita una gestione transitoria per tutte le domande presentate e in corso di istruttoria prima del 3 gennaio 2000.


 

Articolo 18, commi 9 e 9-bis
(Primo Programma “6000 campanili”)

 

Il comma 9 destina contributi statali a favore dei piccoli comuni (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti), e, in conseguenza della modifica introdotta durante l’esame in sede referente, a favore delle unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e dei comuni risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti:

§      per interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, compresi, a seguito di una modifica introdotta durante l’esame in sede referente, gli interventi per l'adozione di misure antisismiche;

§      per la realizzazione e manutenzione di reti viarie e, a seguito di una modifica introdotta durante l’esame in sede referente, delle infrastrutture accessorie e funzionali alle stesse o delle reti telematiche di nuova generazione (NGN) e Wi-fi;

§      per la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio.

Alla realizzazione di tali interventi sono destinati 100 milioni di euro per l’anno 2014[42], utilizzando lo stanziamento del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, in deroga alla procedura di assegnazione effettuata con decreti ministeriali indicata al comma 2 dell’articolo 18.

Sono finanziabili solo gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163[43] e dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207[44].

Con una convenzione[45], da stipularsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento (sulla base di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente in quanto il testo approvato dal Governo fa riferimento al termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto), e da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, il Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e l'ANCI disciplinano i criteri per l’accesso ai finanziamenti.

I comuni, tramite l’ANCI, presentano, entro 60 giorni dalla pubblicazione della convenzione, le richieste di contributo finanziario (da un minimo di 500.000 euro fino ad un massimo 1.000.000 di euro per progetto) al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Ogni comune presenta un solo progetto ed è prevista una deroga al limite massimo del contributo concesso, soltanto nel caso in cui le risorse finanziarie aggiuntive necessarie siano già immediatamente disponibili e spendibili da parte del comune proponente.

Il Programma degli interventi che accedono al finanziamento è approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

 

La norma in commento disciplina una procedura che coinvolge, da un lato, i comuni e, dall’altro, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti analogamente a quanto previsto per il “Piano nazionale per le città” disciplinato dall’art. 12 del D.L. 83/2012. Nell’ambito di tale Piano, infatti, i Comuni hanno proposto ad uno specifico organismo, la Cabina di regia, istituito nell’ambito del MIT e composto da una serie di soggetti specificati nella norma (tra i quali l’ANCI), proposte di contratti di valorizzazione urbana costituite da un insieme coordinato di interventi per la valorizzazione di aree urbane degradate. In data 8 febbraio 2013 il MIT ha emanato il decreto dipartimentale n. 1105/2013, di approvazione della destinazione delle risorse del Fondo citato proposta dalla Cabina di regia. I progetti che hanno superato la selezione potranno usufruire, secondo quanto indicato in un comunicato del MIT, "di un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro (224 dal Fondo Piano Città e 94 dal Piano Azione Coesione per le Zone Franche Urbane dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per le PMI).

Per quanto riguarda il finanziamento delle cosiddette “piccole opere”, si segnala che il 10° Allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, approvato dal CIPE e dalla Conferenza unificata, ha incluso nel Programma delle infrastrutture strategiche gli interventi di piccole e medie opere nel Mezzogiorno già deliberati dal CIPE per un importo pari a 399 milioni di euro come confermato dall’11° Allegato infrastrutture trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013[46].

 

Il comma 9-bis, aggiunto durante l’esame in sede referente, prevede d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la definizione delle modalità e dei criteri per la prosecuzione fino al 2020 dei programmi annuali «6000 Campanili». Per le risorse necessarie è previsto l’utilizzo degli stanziamenti del Fondo per lo sviluppo e la coesione per gli anni 2014-2020; in proposito, la norma prefigura un orizzonte temporale fino al 2020 in cui sarà operativa anche la nuova programmazione dei fondi strutturali.


 

Articolo 18, comma 10
(Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA)

 

Il comma 10 dell’articolo 18 reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale d’interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA.

Il programma deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in cui sono individuate le risorse a disposizione, ed attuato secondo una convenzione che disciplina i rapporti tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ANAS S.p.A., i tempi previsti e le relative modalità di monitoraggio degli interventi.

La norma reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria sulla rete stradale di interesse stradale nazionale “fermo restando quanto previsto dal comma 2”, che demanda a decreti interministeriali l’assegnazione delle risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18 ad alcuni interventi ivi indicati tra i quali quelli volti al “superamento delle criticità sulle infrastrutture viarie concernenti i ponti e le gallerie”. La relazione tecnica precisa che la norma non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1 dell’articolo 18 in quanto si tratta di un programma finanziato da una quota delle risorse ivi previste.

Si segnala che, nella seduta delle Commissioni riunite I e V, è stata depositata una nota del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze in cui, tra l’altro, si sottolinea “che le risorse da utilizzare sono quelle del fondo di cui al comma 1, come peraltro si evince anche dal disposto del comma 2 che include gli interventi in questione nel decreto MIT/MEF di assegnazione delle risorse”.

Nel corso dell’esame in sede referente, le finalità degli interventi finanziabili dal Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18 sono state modificate prevedendo che gli interventi rispondenti al miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari sono in ogni caso riferiti a infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, per le quali si sono perfezionate le procedure di individuazione con il coinvolgimento degli enti territoriali.

 

In considerazione di quanto precedentemente rilevato e della modifica inserita nel corso dell’esame in sede referente al comma 2 dell’articolo 18, andrebbe chiarito se il programma di interventi di manutenzione straordinaria di cui al comma 10 è da considerarsi aggiuntivo rispetto agli interventi che dovranno essere individuati dai decreti interministeriali di cui al comma 2.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata introdotta una previsione in base alla quale ANAS S.p.A. presenta semestralmente al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione del programma. La previsione di tale relazione era stata, altresì, inserita tra le condizioni formulate dall’VIII Commissione (Ambiente) nel parere approvato l’11 luglio 2013.


 

Articolo 18, commi 13-14-bis
(Copertura finanziaria e relazione alle Camere da parte del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti)

 

Il comma 13 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla costituzione del Fondo cd. “sblocca cantieri” di cui al comma 1, pari a 335 milioni di euro nel 2013, 405 milioni nel 2014, 652 milioni nel 2015, 535 milioni nel 2016 e 142 milioni nel 2017.

Ad essi si provvede:

§      quanto a euro 235 milioni per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione delle risorse assegnate dall’articolo 1, comma 213, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) al Fondo sviluppo e coesione destinate alla ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina.

La relazione tecnica afferma che le citate risorse sono utilizzate a copertura in quanto allo stato non necessarie non essendo stato definito il contenzioso con il General Contractor.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 213, della legge n. 228/2012 ha assegnato al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), per il 2013, una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro destinandola all’attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. .

Il secondo periodo del comma ha destinato alle stesse finalità di ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A[47]., ulteriori risorse, fino a un importo massimo di 50 milioni di euro, a valere sulle somme rivenienti da revoche relative a finanziamenti per la realizzazione di opere infrastrutturali comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche.

Al riguardo, si fa presente che il D.L. 187/2012, successivamente confluito nell’articolo 34-decies del D.L. 179 del 2012, ha disciplinato la procedura da seguire per l’esame in linea tecnica del progetto definitivo dell'opera Ponte sullo Stretto di Messina e previsto, in mancanza del rispetto delle fasi disciplinate, la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché delle convenzioni e di ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria. Il primo adempimento, alla cui mancanza è collegato il prodursi dell’effetto caducatorio, era la stipula, entro il termine perentorio del 1° marzo 2013, dell’atto aggiuntivo tra la società Stretto di Messina S.p.A. ed il contraente generale. Tale atto aggiuntivo non è stato stipulato.

§      quanto a euro 50 milioni per l’anno 2013, a euro 120 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e a euro 142 milioni per l’anno 2016, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1 della legge n. 7/2009 di ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008.

La relazione tecnica afferma che le predette risorse utilizzate a copertura costituiscono “la quota ancora non utilizzata delle risorse destinate all’attuazione del Trattato di amicizia con la Libia”.

L’articolo 5 della legge n. 7/2009 reca gli stanziamenti per l’attuazione delle norme del citato Trattato. Si tratta, in particolare, di 180 milioni per ciascuno degli anni dal 2009 al 2028, destinati alla realizzazione di progetti infrastrutturali da realizzarsi da parte dell'Italia, sulla base delle proposte avanzate dalla Grande Giamahiria araba libica. Nella legge di bilancio 2013-2015 (legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012), tali stanziamenti sono iscritti sul capitolo 7800/Ministero Infrastrutture e trasporti.

Si rileva che l’autorizzazione legislativa di spesa in oggetto è stata ridotta per il 2013 dall’articolo 4, comma 1, lettera c), n. 2 del D.L. n. 54/2013 (interventi urgenti in materia di IMU e CIG), in corso di conversione, il quale, a parziale copertura degli interventi in esso previsti in materia di cassa integrazione guadagni, ha disposto che 100 milioni di euro per il 2013 delle disponibilità esistenti su tale autorizzazione siano versati all’entrata del bilancio statale.

Successivamente, il D.L. n. 63/2013, anch’esso in corso di conversione, a parziale copertura della proroga delle detrazione fiscale sugli interventi di ristrutturazione edilizia ed efficienza energetica, ha ulteriormente ridotto, all’articolo 21, le risorse dell’autorizzazione di spesa in questione in misura pari a 42,3 milioni di euro per l'anno 2014, a 50,7 milioni di euro per l'anno 2015, a 31,7 milioni di euro per l'anno 2016 e a 28,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2023, contestualmente disponendone un incremento di 413,1 milioni di euro per l'anno 2024.

§      quanto a euro 96 milioni per l’anno 2014, a euro 258 milioni per l’anno 2015, a 143 milioni per l’anno 2016 e a euro 142 milioni per l’anno 2017 mediante corrispondente riduzione delle risorse stanziate per la realizzazione della nuova linea AV/AC Torino Lione, dall’articolo 1, comma 208, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

La relazione tecnica afferma che le predette risorse sono utilizzate a copertura in quanto “al momento non necessarie”.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 208 della legge n. 228/2012 ha autorizzato, per il finanziamento di studi, progetti, attività e lavori preliminari nonché lavori definitivi della nuova linea ferroviaria Torino - Lione, la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2013, di 100 milioni di euro per l'anno 2014, di 680 milioni di euro per l'anno 2015 e 150 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2029.

La delibera CIPE n. 57/2011 ha approvato il progetto preliminare del collegamento internazionale Torino-Lione. Tale progetto si differenzia rispetto al progetto originario del 2005, sia relativamente al tracciato, che alle modalità realizzative. Sono inoltre previsti interventi per 41,5 milioni di euro per opere compensative dell’impatto territoriale e sociale, strettamente correlate alla funzionalità dell’opera. Per questi interventi la successiva delibera CIPE n. 23/2012 ha previsto un primo stanziamento di 10 milioni di euro[48]. Il 30 gennaio 2012 è stato sottoscritto tra Francia e Italia un protocollo addizionale all’Accordo iniziale del 29 gennaio 2001, il quale specifica il tracciato del progetto, approvando le modifiche apportate, e la ripartizione dei costi della sezione transfrontaliera e prevede che la linea ferroviaria sia realizzata per fasi funzionali[49]. Il relativo disegno di legge di autorizzazione alla ratifica è stato approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 6 giugno 2013. Infine, con l’art. 7–quater del D.L. 43/2013 sono stati esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno i pagamenti relativi all'attuazione degli interventi di riqualificazione del territorio finalizzati all'esecuzione del progetto relativo al collegamento internazionale Torino-Lione, o che in tal senso saranno individuati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dai rappresentanti degli enti locali interessati all'opera[50].

§      quanto a euro 50 milioni per l’anno 2013, a euro 189 milioni per l’anno 2014, a euro 274 milioni per l’anno 2015 e a euro 250 milioni per l’anno 2016 mediante corrispondente utilizzo delle risorse assegnate dal CIPE, con delibera in favore del secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi, a valere sul “Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi nei comuni di Venezia e Chioggia” di cui all’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 98/2011 (legge n. 111/2011).

Si ricorda che l’articolo 32, comma 1 del D.L. n. 98/2011 ha istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il "Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge n. 798/1984 (recante interventi nei comuni di Venezia e Chioggia)" con una dotazione di 930 milioni per l'anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016. Le risorse del Fondo sono assegnate dal CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e sono destinate prioritariamente alle opere ferroviarie da realizzare relative ai corridoi europei TEN-T e inseriti nel programma delle infrastrutture strategiche ai sensi dell'articolo 2, commi 232-234, della legge n. 191/2009, nonché ai contratti di programma con RFI S.p.A. e ANAS S.p.A.

Il Fondo in oggetto è stato successivamente ridotto da una serie di interventi legislativi successivi. A seguito di tali riduzioni, le relative risorse, pari a 817,7 milioni di euro per il 2013, a 881,5 milioni per il 2014, a 855,8 milioni per il 2015 e a 862,3 milioni per il 2016, sono state oggetto di riprogrammazione ad opera della Delibera CIPE del 18 febbraio 2013, n. 7/2013.

Nell’ambito di tale riprogrammazione, alla Linea AV/AC Milano-Genova (Terzo Valico dei Giovi) - 2° lotto, è destinata la somma di 171,4 milioni di euro per il 2013, di 200 milioni per il 2014, di 288 milioni per il 2015 e di 300,6 milioni per il 2016.

Da ultimo, l’art. 7-ter, comma 2 del D.L. 43/2013 reca uno stanziamento decennale, di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale. In particolare, lo stanziamento sarà attribuito con delibere del CIPE, con priorità agli interventi per la realizzazione del Linea AV/AC Milano-Genova (terzo valico dei Giovi)[51].

In base all'ultimo allegato Infrastrutture del Documento di economia e finanza (DEF) di aprile 2013, il primo lotto dell’opera (in fase di realizzazione) avrà un costo di 718 milioni di euro (totalmente coperto); il secondo lotto (per il quale si è in attesa del progetto esecutivo) di 860 milioni di euro (anch'esso totalmente coperto); i lotti terzo, quarto, quinto e sesto (per tutti i quali si è in fase di progetto definitivo) di, rispettivamente, 1.510 milioni, 1.340 milioni, 1.200 milioni e 650 milioni di euro, per i quali deve essere ancora individuata la copertura finanziaria.

 

La Tabella che segue indica gli oneri recati dall’articolo 18, comma 1, per la costituzione del Fondo e le risorse utilizzate a copertura degli stessi:

 

milioni di euro

 

2013

2014

2015

2016

2017

ONERI

335

405

652

535

142

Art. 1, co. 213, L. n. 228/2012

(risorse aggiuntive FAS per definizione rapporti contrattuali stretto di Messina)

235

 

 

 

 

Art. 5, co. 1, L. n. 7/2009

(risorse per Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria libica)

50

120

120

142

 

Art. 1, co. 208, L. n. 228/2012

(risorse stanziate per la realizzazione della nuova linea AV/AC Torino Lione)

 

96

258

143

142

Del. CIPE n. 7/2013

Risorse a valere sul “Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico” per secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi

50

189

274

250

 

COPERTURA ONERI

335

405

652

535

142

 

Il comma 14 autorizza il Ministro dell’economia e finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio conseguenti alla ripartizione del Fondo di cui al comma 1.

 

Si osserva che la relazione tecnica sottolinea che al Fondo vengono destinate risorse “già finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche e approvate, ma che non dispongono ancora di processi autorizzativi e/o progettuali perfezionati e quindi non necessitano di finanziamenti nell’immediato”; nel contempo, la relazione precisa che a tale prima fase “dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un’azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere…. un adeguato livello di infrastrutturazione”. Da quanto rilevato non è chiaro se in sede di legge di stabilità 2014 si provvederà a reperire le risorse finanziarie aggiuntive per incrementare gli stanziamenti e le assegnazioni riferiti alle opere citate nel comma 13 dell’articolo 18 in misura corrispondente alla quota parte delle risorse che è stata destinata alla copertura finanziaria del Fondo di cui al comma 1 del medesimo articolo 18.

 

Da ultimo, nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un comma 14-bis in base al quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti riferisce semestralmente alle Camere sullo stato di attuazione dei decreti attuativi di propria competenza di cui al presente decreto. In proposito, si segnala che, nel corso dell’esame in sede referente, è stato previsto anche che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti presenta semestralmente al Parlamento una documentazione conoscitiva e una relazione analitica sull'utilizzazione del Fondo di cui al comma 1 del medesimo articolo 18.


 

Articolo 19, commi 1 e 2
(Disposizioni in materia di concessioni di lavori pubblici)

 

Il comma 1 dell’articolo 19 reca una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice) finalizzate a incidere sulla disciplina dei contratti di partenariato pubblico privato, e segnatamente delle concessioni di lavori pubblici[52], relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario (comma 1, lettera a), nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato (comma 1, lettera b).

Le predette novelle al Codice si applicano alle operazioni di finanza di progetto (project financing), ad eccezione di quelle con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore della disposizione (comma 2).

Le disposizioni sembrano volte ad agevolare la bancabilità dei progetti da realizzare in partenariato pubblico privato (PPP). In proposito, si segnala che la realizzazione delle infrastrutture in PPP, anche nella “legge obiettivo”, deve far fronte ad alcuni problemi legati alla complessità delle procedure, alla difficoltà di definire per via contrattuale l’allocazione del rischio tra le parti, nonché alla chiusura del finanziamento (financial closing)[53].

Comma 1, lettera a)- Modifiche all’articolo 143 del Codice

Il comma 1, lettera a), novella in più punti l’articolo 143 del Codice, che disciplina le caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici.

 

Una prima modifica, integrativa del disposto del comma 5, prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi. Si ricorda, in proposito, che il comma 5 dell’articolo 143 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione. La ratio della disposizione sembra, pertanto, quella di fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti.

 

Un’ulteriore novella, che incide sul comma 8 dell’articolo 143, stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti, del concessionario comportano la sua necessaria revisione. La disposizione sembra ampliare, rispetto al testo previgente, le fattispecie che consentono la revisione del piano. Nel corso dell’esame in sede referente, la norma è stata modificata al fine di prevedere la necessità di una previa verifica del CIPE, sentito il Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di pubblica utilità (NARS). L’inserimento della previa verifica del CIPE era incluso tra le condizioni formulate dalla Commissione ambiente nel parere favorevole approvato l’11 luglio 2013.

 

Si ricorda che il comma 8, al fine di ristabilire l’equilibrio economico finanziario delle concessioni, ha previsto l’istituto della revisione del piano. Il testo della norma, nella parte in cui incide la novella in commento, nel disciplinare la revisione del piano, faceva riferimento alla necessità della revisione medesima in conseguenza di norme legislative o regolamentari che stabilissero nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione nel caso in cui dovessero determinare una modifica dell’equilibrio del piano. La novella consente di ricorrere all’istituto della revisione in tutti i casi di norme sopravvenute, che incidano comunque sull’equilibrio economico finanziario.

 

Con riguardo alla formulazione, sembra opportuno specificare il riferimento al terzo periodo del comma 8 dell’articolo 143.

 

Viene, altresì, introdotto un nuovo comma 8-bis che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 8, prevede che la convenzione definisce i presupposti e le condizioni di base del piano economico e finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, qualora determinino una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua revisione.

Si ricorda che il secondo periodo del comma 8 dell’articolo 143 precisa che i presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante.

 

Il nuovo comma 8-bis prevede, inoltre, che la convenzione contiene una definizione di equilibrio economico finanziario, che faccia riferimento ad indicatori di redditività e di capacità di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza temporale degli adempimenti connessi.

Comma 1, lettera b)- Modifiche all’articolo 144 del Codice

La lettera b) novella in più punti l’articolo 144 del Codice, che disciplina le procedure di affidamento e la pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici.

La prima modifica va ad integrare il comma 3-bis del citato articolo 144 al fine di prevedere nel bando, per le concessioni da affidare con procedura ristretta[54], la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di svolgere una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte prima del termine di scadenza delle offerte medesime. La consultazione è finalizzata a verificare l’eventuale presenza di criticità di finanziamento del progetto posto a base di gara. A seguito della consultazione l’amministrazione aggiudicatrice può modificare il termine di presentazione delle offerte allo scopo di adeguare la documentazione di gara; tale termine non può comunque essere inferiore a trenta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti interessati.

 

L’importo delle misure di defiscalizzazione previste dall’articolo 18 della legge n. 183 del 2011 e del credito di imposta per le nuove infrastrutture di cui all’articolo 33 del decreto legge n. 179 del 2012, nonché l’importo degli eventuali contributi pubblici, non possono essere oggetto di consultazione. Si rammenta che sulle disposizioni relative alla defiscalizzazione e al credito di imposta interviene l’articolo 19, commi 3 e 4, del decreto legge (alla cui scheda di commento si rinvia).

 

Le ulteriori novelle provvedono a introdurre due commi aggiuntivi all’articolo 144 volti a inserire talune previsioni nel bando di gara. In particolare, il bando di gara:

§      può prevedere che l’offerta sia accompagnata da una dichiarazione di uno o più istituti in cui venga manifestato l’interesse a finanziare l’operazione (comma 3-ter). La norma specifica ulteriomente quanto già in realtà previsto dalla normativa vigente atteso che, per un verso, l’articolo 143, comma 7, e l’articolo 153, comma 9, del Codice prevedono che “in fase di gara le offerte debbano dare conto del preliminare coinvolgimento di uno o più istituti finanziatori nel progetto” e che, per l’altro, l’articolo 144, comma 3-bis, del medesimo Codice sottolinea che “i bandi e i relativi allegati, ivi compresi, a seconda dei casi, lo schema di contratto e il piano economico finanziario, sono definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità dell'opera”. Rispetto alle predette norme, il coinvolgimento degli istituti finanziatori sembra maggiore in quanto si fa riferimento a una manifestazione di interesse.

§      prevede clausole risolutorie del contratto di concessione nel caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento o della mancata sottoscrizione o collocamento delle obbligazioni delle società di progetto di cui all’articolo 157 del Codice (cd. project bond) entro il termine fissato dal medesimo bando, che deve essere congruo e comunque non deve essere superiore a ventiquattro mesi dalla data di approvazione del progetto definitivo. Nel caso di risoluzione del contratto, al concessionario non spetterà alcun rimborso delle spese sostenute, incluse quelle relative alla progettazione definitiva. La norma precisa che il concessionario ha comunque facoltà di reperire altre forme di finanziamento previste dalla legislazione vigente purché intervengano entro lo stesso termine. Nel caso di parziale finanziamento del progetto si prevede, infine, che il bando di gara preveda una risoluzione limitata alla parte non finanziata rimanendo conseguentemente operativa solo la parte del contratto di concessione che regola lo “stralcio” oggetto di finanziamento e che comunque deve tecnicamente ed economicamente funzionale.

Comma 1, lettere c), d) ed e) - Modifiche agli articoli 153, 174 e 175 del Codice

Le lettere c), d) ed e) novellano rispettivamente gli articoli 153, 174 e 175 del Codice, concernenti rispettivamente la disciplina delle concessioni in finanza di progetto relative ai lavori “ordinari” e all’affidamento di opere strategiche, al fine di prevedere l’applicabilità, in quanto compatibile, delle disposizioni di cui ai commi 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’articolo 144 del Codice, come modificate ovvero introdotte dalla predetta lettera b).

Comma 2 – Applicabilità delle modifiche del comma 1

Il comma 2 precisa che le predette novelle al Codice, segnatamente quelle all’articolo 144, non si applicano alle operazioni di project financing con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore del decreto legge. A seguito di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, è stato, altresì, previsto che le medesime novelle al Codice non si applicano agli interventi da realizzare in finanza di progetto le cui proposte sono state già dichiarate di pubblico interesse alla data di entrata in vigore del decreto.

La valutazione del pubblico interesse delle proposte è disciplinata dai commi 16 e 19 dell’articolo 153 del d.lgs. 163/2006, che disciplina le procedure di finanza di progetto.


 

Articolo 19, commi 3-5
(Incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture)

 

Il comma 3 modifica la disciplina degli incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture riducendo da 500 a 200 milioni di euro il valore dell’opera al di sopra del quale viene concesso l’incentivo.

 

A seguito degli interventi apportati con il D.L. 179 del 2012, il legislatore ha delineato tre modalità di sostegno alla realizzazione di nuove opere, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:

§       in via sperimentale, viene introdotto un credito d’imposta per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (articolo 33, comma 1); esso spetta per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro con contratti di partenariato pubblico privato (PPP) a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa;

§       è prevista l’esenzione dal pagamento del canone di concessione, sempre per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (comma 2-ter dell’articolo 33), cumulabile con la misura precedente;

§       si dispone la “defiscalizzazione” delle nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente (ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 183 del 2011), consistente nella possibilità di compensare le imposte con quanto dovuto dalla PA a titolo di contributo pubblico a fondo perduto.

 

Un’ulteriore misura riguarda la tassazione agevolata dei cd. project bond (ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 83 del 2012), con l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota al 12,5% sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.

 

In particolare, la lettera a) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 1, primo periodo, del citato articolo 33 - riduce da 500 a 200 milioni di euro il valore dell’opera infrastrutturale al di sopra del quale viene concesso il credito d’imposta in caso di realizzazione mediante contratti di partenariato pubblico-privato.

E’ introdotto un nuovo requisito, consistente nella rilevanza strategica nazionale dell’opera, mentre viene prorogato di un anno il limite temporale per l’approvazione della progettazione definitiva (dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016).

 

Restano confermati i precedenti requisiti, vale a dire:

§       non usufruire di contributi pubblici a fondo perduto;

§       accertamento, in esito alla procedura di cui al successivo comma 2, della non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).

Il comma prevede, altresì, che il credito di imposta deve essere stabilito per ciascun progetto:

§       nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del PEF;

§       comunque entro il limite massimo del 50% del costo dell’investimento.

 

Viene inoltre stabilito che il credito di imposta non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP e viene previsto che esso venga posto a base di gara per l’individuazione dell’affidatario del contratto di PPP e successivamente dovrà essere riportato anche nel contratto.

 

La lettera b) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 2 dell’articolo 33 del D.L. 179/2012 -incide sulla procedura di verifica da parte del CIPE (che delibera, come già previsto nel testo previgente, previo parere del Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di pubblica utilità appositamente integrato da due componenti) della non sostenibilità del piano economico e finanziario. In particolare, rispetto al testo previgente, si precisa che il CIPE, con proprie delibere, individua l’elenco delle opere che, per effetto dell’applicazione delle misure del credito di imposta (di cui al comma 1 dell’articolo 33 del D.L. 179/2012) e dell’esenzione dal pagamento del canone di concessione (di cui al comma 2-ter dell’articolo 33 del D.L. 179/2012), conseguono le condizioni di equilibrio economico-finanziario necessarie a consentirne il finanziamento, e il valore complessivo delle opere che possono accedere alle agevolazioni. Per ciascuna infrastruttura sono, inoltre, determinate le misure agevolative necessarie per la sostenibilità del piano economico e finanziario e le modalità di accertamento, monitoraggio ed eventuale rideterminazione applicando, per quanto compatibili, i principi e i criteri definiti dal CIPE con le linee guida per l’applicazione delle misure di defiscalizzazione di cui all’articolo 18 della legge n. 183 del 2011 (vedi infra).

Nella seduta del 18 febbraio 2013 il CIPE ha approvato le linee guida per l'applicazione delle misure previste dall'art. 18 della legge 183/2011 di compensazione delle imposte sui redditi, dell'IRAP, dell'IVA e del canone (quest'ultimo per le sole società autostradali), generati dalla realizzazione delle infrastrutture strategiche.

 

La successiva lettera c) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 2-ter del medesimo articolo 33 - riconosce al soggetto titolare del contratto per la realizzazione di opere infrastrutturali con PPP (come già definite dal comma 1 sopra illustrato), l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico finanziario. La modifica è volta, pertanto, ad adeguare il riferimento alla nuova soglia al di sopra della quale è applicabile la misura del credito di imposta. Viene meno, rispetto alla formulazione previgente, il requisito dell’inserimento in piani o programmi di amministrazioni pubbliche atteso che, sulla scorta di quanto previsto per le opere agevolabili con la misura del credito di imposta, si fa riferimento al requisito della rilevanza strategica nazionale.

 

Si rammenta che l’art. 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 è intervenuto sulla disciplina del canone annuo a carico degli enti concessionari (disciplinato dall’art. 10 della legge n. 537 del 1993), sotto due profili:

a)  sotto il profilo dell’entità del canone, che è stato incrementato dall’1 al 2,4 per cento dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari;

b)  sotto il profilo della destinazione di tali somme, prevedendo che una parte delle medesime, pari al 42 per cento, sia corrisposta direttamente all’ANAS, che a sua volta provvede a destinarla alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari, secondo direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture.

 

La lettera d) aggiunge un periodo al comma 2-quater, al fine di rendere le misure sopra descritte alternative alla “defiscalizzazione” prevista dall’articolo 18 della citata legge n. 183 del 2011.

 

Tale articolo – più volte modificato al fine di precisarne i contenuti - ha introdotto le seguenti misure agevolative per favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, con l’obiettivo di azzerare il contributo pubblico a fondo perduto:

a)  la compensazione delle imposte sui redditi e dell'IRAP generate durante il periodo di concessione con il predetto contributo a fondo perduto;

b)  la compensazione dell'imposta sul valore aggiunto con il predetto contributo pubblico a fondo perduto, nonché, limitatamente alle grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore ai 15 anni, con il 25% dell'incremento del gettito di imposta sul valore aggiunto relativa alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto dell'intervento;

c)  il riconoscimento al concessionario come contributo in conto esercizio dell'ammontare del canone di concessione.

 

Resta invece confermata la cumulabilità dell’esenzione dal canone di concessione con il credito d’imposta. Nel complesso le due misure non potranno superare il 50 per cento del costo dell'investimento, tenendo conto anche del contributo pubblico a fondo perduto

 

La norma prevede quindi che la misura sia riconosciuta in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato (tale clausola era prima contenuta nel comma 2-ter).

La norma fa riferimento genericamente alla disciplina comunitaria, il che potrebbe implicare la necessità di acquisire ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la preventiva autorizzazione della Commissione europea ai fini dell’effettiva applicazione dell’esenzione. La necessità di acquisire tale autorizzazione preventiva sarebbe esclusa laddove l’agevolazione rientrasse, caso per caso, nel campo di applicazione della disciplina de minimis (200.000 euro per ciascuna impresa per tre anni).

 

Il comma 4 modifica il comma 2 dell’articolo 18 della citata legge n. 183 del 2011 demandando ad una delibera CIPE la definizione di tutte le disposizioni attuative della norma in commento. Conseguentemente, è abrogato il comma 3 del medesimo articolo 18 in base al quale l'efficacia delle misure previste ai commi 1 e 2 è subordinata all'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dall'articolo 104, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

 

La norma sembrerebbe volta, in particolare, a superare la necessità di emanare un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per determinare le quote di ammortamento ammesse in deduzione per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche. L'articolo 104, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede che, per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche sono ammesse in deduzione quote di ammortamento finanziario differenziate da calcolare sull'investimento complessivo realizzato. Le quote di ammortamento sono determinate nei singoli casi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in rapporto proporzionale alle quote previste nel piano economico-finanziario della concessione, includendo nel costo ammortizzabile gli interessi passivi anche in deroga alle disposizioni del comma 1 dell'articolo 110 del medesimo testo unico.

 

Il comma 5 interviene sulla citata disciplina fiscale dei project bond, introdotta dall’articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012.

 

L’articolo 1 del decreto-legge n. 83 ha introdotto un regime fiscale agevolato per gli interessi derivanti dai cd. “project bond”, ovvero dalle emissioni obbligazionarie effettuate, nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del D.L. 83 del 2012), dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). L’agevolazione consiste nell’assimilazione ai titoli di Stato e, dunque, a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5%. Le disposizioni precisano poi i limiti di deducibilità degli interessi passivi per i project bond (comma 2); introducono un regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all’emissione di project bond (comma 3). L’emissione di detti titoli viene infine consentita anche alle società già operative, per coprire debiti contratti precedentemente sulle infrastrutture esistenti.

 

La modifica è volta a rendere strutturali le agevolazioni fiscali in materia di project bond, vale a dire la deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all’emissione di project bond. Continua ad applicarsi alle sole obbligazioni emesse nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 l’agevolazione relativa al regime fiscale sugli interessi consistente nell’equiparazione a quello sui titoli di Stato (12,5%).


 

Articolo 20
(Riprogrammazione interventi del Piano nazionale
della sicurezza stradale)

 

L’articolo 20, modificato in Commissione, interviene in materia di sicurezza stradale disponendo la ricognizione dello stato di attuazione degli interventi del primo e del secondo Programma annuale di attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale cofinanziati con legge 23 dicembre 1999, n. 488. La ricognizione è finalizzata alla eventuale revoca delle risorse destinate a finanziare gli interventi (relativi rispettivamente agli anni 2002 e 2003) che risultino non ancora avviati ed alla loro destinazione ad altre finalità di sicurezza stradale. Nel corso dell’esame in Commissione sono stati aggiunti tre nuovi commi che prevedono il pagamento in misura ridotta del 30 per cento delle sanzioni per violazioni al Codice della Strada nel caso di pagamento effettuato entro cinque giorni o in mancanza di violazioni negli ultimi due anni che comportino decurtazioni di punti, con l’esclusione delle violazioni più gravi, nonché la possibilità di utilizzo di strumenti di pagamento elettronico.

 

Il comma 1, prevede che la ricognizione dello stato di attuazione degli interventi del primo e del secondo Programma annuale di attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale sarà svolta dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti insieme ai soggetti beneficiari e dovrà essere completata entro sessanta giorni dalla data del presente decreto legge (probabilmente il riferimento è da intendersi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge). In questo caso è infatti previsto che i relativi impegni di spesa siano revocati con uno o più decreti, di natura non regolamentare, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Si ricorda che il Piano nazionale della sicurezza stradale di cui all’art. 32, comma 5, della legge 144/1999, viene approvato dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e viene attuato attraverso Programmi annuali. Esso consiste in un sistema articolato di indirizzi, di misure per la promozione e l'incentivazione di piani e strumenti per migliorare i livelli di sicurezza da parte degli enti proprietari e gestori di interventi infrastrutturali, di misure di prevenzione e controllo, di dispositivi normativi e organizzativi, finalizzati al miglioramento della sicurezza secondo gli obiettivi comunitari. Con delibera CIPE 29 novembre 2002, n. 100/2002[55] , sono stati approvati il Piano nazionale della sicurezza stradale per il biennio 2002-2003 ed il primo programma annuale di attuazione del Piano nazionale per il 2002. Con Del. CIPE 13 novembre 2003, n. 81/2003[56] è stato approvato il secondo programma annuale di attuazione per il 2003. Il primo ed il secondo programma di attuazione sono stati finanziati con la legge 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) per circa 342 mln di euro di investimento. Successivamente, con Del. 21 dicembre 2007, n. 143/2007[57], è stato approvato il terzo programma annuale di attuazione del Piano nazionale; con Del. CIPE 18 dicembre 2008, n. 108/2008[58] sono stati approvati il quarto e il quinto, ed ultimo, programma di attuazione del Piano nazionale. Infine, l’art. 4, comma 60 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) ha ridotto di euro 135.000, a decorrere dall’anno 2012, gli oneri per il finanziamento del Piano nazionale della sicurezza stradale.

 

In base al comma 2, modificato in Commissione, le risorse revocate saranno iscritte nel bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e destinate alla realizzazione, in cofinanziamento con le regioni (sulla base delle proposte formulate dalle regioni, come previsto dal successivo comma 4) di un programma di interventi per la sicurezza stradale inerenti prevalentemente allo sviluppo e la messa in sicurezza di itinerari e percorsi ciclabili e pedonali nonché al finanziamento per la realizzazione e messa in sicurezza dei tratti stradali mancanti e dare continuità all’asse viario Terni Rieti.

Rimangono confermate poi le altre due finalità previste nel testo originario del comma 2:

§      prosecuzione del monitoraggio dei programmi di attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale;

§      implementazione e miglioramento del sistema di raccolta dati di incidentalità stradale in coerenza con quanto previsto dall'articolo 56 della legge 29 luglio 2010, n. 120.

In base al successivo comma 4, anch’esso modificato per adeguarlo alla nuova formulazione del comma 2, il programma da cofinanziare sarà definito sulla base delle proposte formulate dalle Regioni a seguito di specifica procedura fondata su criteri di selezione che dovranno tenere prioritariamente conto dell'importanza degli interventi in termini di effetti sul miglioramento della sicurezza stradale di cui al comma 2 e della loro immediata cantierabilità;

Il comma 3, dispone che le somme relative ai finanziamenti revocati iscritte in conto residui siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica nel triennio 2013-2015, per le finalità del comma 2.

Il comma 5 autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze ad apportare le variazioni di bilancio conseguenti all'attuazione dell’articolo.

 

Nel corso dell’esame in Commissione sono stati aggiunti tre nuovi commi che prevedono il pagamento in misura ridotta del 30 per cento delle sanzioni per violazioni al Codice della Strada in alcune specifiche ipotesi e l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronico.

Il nuovo comma 5-bis dispone in particolare la modifica in più punti dell'articolo 202 del codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) prevedendosi:

a)   al comma 1, che la sanzione sia ridotta del 30 per cento se il pagamento viene effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione ovvero anche nel caso in cui il trasgressore non sia incorso, per il periodo di due anni, in violazioni di norme di comportamento del codice da cui derivino decurtazioni del punteggio, ai sensi dell'articolo 126-bis. La riduzione non si applica peraltro alle violazioni più gravi, cioè a quelle per cui è prevista la sanzione accessoria della confisca del veicolo (dell'articolo 210, comma 3) o della sospensione della patente di guida.

Si ricorda che l'articolo 202 del Codice della strada consente attualmente il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazione delle disposizioni dello stesso Codice in misura ridotta e pari al minimo fissato dalle singole norme qualora il pagamento stesso sia effettuato entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione. Inoltre, in base all'articolo 200 del CdS, la contestazione da parte dell'agente accertatore, deve essere (fatte salve alcune fattispecie indicate al comma 1-bis dell'articolo 201, quali l'impossibilità di raggiungere il veicolo o l'attraversamento con semaforo con luce rossa) immediata, tanto nei confronti del trasgressore, quanto nei confronti della persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta. Dell'avvenuta contestazione deve essere redatto, anche con l'ausilio di sistemi informatici, verbale contenente anche le dichiarazioni che gli interessati chiedono che vi siano inserite; copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore e, se presente, alla persona obbligata in solido, nonché all'ufficio o comando da cui dipende l'agente accertatore. In base all'articolo 201 qualora la contestazione immediata della violazione non risulti possibile, deve avvenire, entro novanta giorni dall'accertamento, la notificazione del verbale all'effettivo trasgressore.

b)   al comma 2, consentendo il pagamento delle suddette sanzioni mediante strumenti di pagamento elettronico.

c)   un nuovo comma 2.1 all’articolo 202, con la previsione che qualora l'agente accertatore sia munito di idonea apparecchiatura il conducente, in deroga a quanto previsto dal comma 2, possa effettuare immediatamente, nelle mani dell'agente accertatore medesimo il pagamento mediante strumenti di pagamento elettronico, nella misura ridotta. L'agente trasmette in questo caso il verbale al proprio comando o ufficio e rilascia al trasgressore una ricevuta della somma riscossa, facendo menzione del pagamento nella copia del verbale che consegna al trasgressore, anche all'atto della contestazione, nelle mani dell'agente accertatore.

d)   al comma 2-bis dell’articolo 202, si novella il testo attuale che ammette il pagamento immediato nelle mani dell'agente accertatore per determinate violazioni commesse da soggetti in possesso di alcune categorie di patente nell’ambito dell’autotrasporto di persone o cose. Anche per queste fattispecie si prevede ora che il versamento dell'importo ridotto possa essere effettuato mediante strumenti di pagamento elettronico, quando l'agente sia munito della necessaria apparecchiatura.

Le violazioni alle quali fa riferimento il comma 2-bis sono quelle commesse nell'esercizio dell'attività di autotrasporto di persone o cose, dai titolari delle patenti di guida C, C+E, D e D+E (si tratta di autoveicoli, di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, anche con rimorchio, e di autobus per più di 8 passeggeri, anche con rimorchio, anche se le nuove classificazioni delle patenti europee entrate in vigore dal 19 gennaio 2013 prevedono ora una nuova classificazione) e previste dai seguenti articoli del Codice della strada:

§       articolo 142, commi 9 e 9-bis: superamento dei limiti di velocità di oltre 40 chilometri orari;

§       articolo 148: violazione dei divieti di sorpasso;

§       articolo 167, circolazione con eccedenza del carico superiore al 10% rispetto alla massa complessiva a pieno carico del veicolo, indicata nella carta di circolazione;

§       articolo 174, commi 5, 6 e 7, e articolo 178, commi 5, 6 e 7: mancato rispetto dei periodi di guida e di risposo prescritti ai conducenti di autoveicoli adibiti al trasporto di persone o cose, se la violazione ha durata superiore al 10% rispetto al limite.

e)   novella il comma 2-ter , che attualmente prevede che il trasgressore che non si avvalga della facoltà di pagamento immediato di cui al comma 2-bis, sia tenuto a versare all'agente accertatore, a titolo di cauzione, una somma pari alla metà del massimo della sanzione pecuniaria prevista per la violazione, riducendo tale cauzione all’importo minimo della sanzione prevista.

Le modifiche apportate dal comma 5-bis sono finalizzate a garantire l'efficacia del sistema sanzionatorio relativo alle violazioni del codice della strada e l'effettiva disponibilità delle risorse destinate al finanziamento dei programmi annuali di attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale, di cui ai commi 1 e 2.

Il nuovo comma 5-ter stabilisce che il Ministro dell'economia e delle finanze, promuova la stipula di convenzioni con banche, con la società Poste italiane Spa e con altri intermediari finanziari per favorire la diffusione dei pagamenti delle sanzioni mediante strumenti di pagamento elettronici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il nuovo comma 5-quater demanda infine ad un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, la disciplina delle procedure per la notificazione dei verbali di accertamento delle violazioni al Codice della strada tramite posta elettronica certificata, nei confronti dei trasgressori abilitati all'utilizzo di tale sistema. La notifica tramite posta elettronica esclude l'addebito delle spese di notificazione a carico dei trasgressori. Il decreto dovrà essere emanato entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Si ricorda che la posta elettronica certificata (PEC) viene definita dal Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82/2005) come il sistema di comunicazione in grado di attestare l'invio e l'avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili ai terzi. Il decreto-legge n. 185/2008 ha esteso a tutte le amministrazioni pubbliche l'obbligo di istituire una casella di posta elettronica certificata. Inoltre, in base al decreto legislativo n. 235/2010, le pubbliche amministrazioni sono tenute a utilizzare la PEC ai fini della trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una di consegna a soggetti che abbiano preventivamente dichiarato il proprio indirizzo; la trasmissione del documento informatico tramite PEC equivale, altresì, alla notificazione a mezzo posta, salvo che la legge disponga diversamente.


 

Articolo 21
(Differimento dell’operatività della garanzia globale di esecuzione)

 

L’articolo 21 reca il differimento del termine di entrata in operatività delle disposizioni in materia di garanzia globale di esecuzione (cd. performance bond) di cui alla parte II, titolo VI, capo II, del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi, d’ora in avanti Regolamento). In particolare, il termine per l’entrata in operatività del sistema di garanzia globale – già prorogato di un anno, ossia fino all’8 giugno 2013 dall’articolo 1, comma 2, del decreto legge n. 73 del 2012[59] – è ulteriormente differito al 30 giugno 2014.

 

Il comma 5 dell’articolo 357 del Regolamento ha previsto che le disposizioni della parte II, titolo VI, capo II (sistema di garanzia globale), si applicano ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati a decorrere da un anno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, ai contratti in cui gli inviti a presentare le offerte siano inviati a decorrere da un anno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento.

La parte II del Regolamento disciplina i contratti pubblici relativi a lavori nei settori ordinari e il capo II, del titolo VI, istituisce (art. 129) il sistema di garanzia globale di esecuzione che consiste nella garanzia fideiussoria di buon adempimento e nella garanzia di subentro ed è obbligatoria “per gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori di ammontare a base d'asta superiore a 75 milioni di euro, per gli affidamenti a contraente generale di qualunque ammontare, e, ove prevista dal bando o dall'avviso di gara, per gli appalti di sola esecuzione di ammontare a base d'asta superiore a 100 milioni di euro”. Gli articoli da 129 a 136 del Regolamento disciplinano, tra l’altro, l’istituzione e la definizione del sistema di garanzia globale di esecuzione, nonché le modalità di presentazione, l’oggetto, la durata, l’attivazione, i rapporti tra le parti.

Le motivazioni addotte dalla relazione illustrativa allo scopo di giustificare l’ulteriore differimento del termine di entrata in operatività della garanzia globale di esecuzione sono analoghe a quelle contenute nella relazione di accompagnamento del decreto legge n. 73 del 2012 relativamente alla proroga ivi recata e risiedono nelle difficoltà degli operatori del settore (banche e imprese) di porre in essere un tale sistema di garanzia.


 

Articolo 22
(Misure per l’aumento della produttività nei porti)

 

L’articolo 22 prevede tre tipologie di interventi in materia di porti.

1) Dragaggi nei porti

Il primo intervento, di cui al comma 1, lett. a), semplifica la disciplina in materia di dragaggi dei porti: viene in particolare modificata la legge n. 84/1994 di riordino della legislazione in materia portuale sui porti. all’articolo 5-bis, prevedendo che la contestualità tra operazioni di dragaggio e predisposizioni delle operazioni di bonifica ivi prevista avvenga non genericamente nei siti oggetto degli interventi, bensì più specificatamente nelle aree portuali e marino costiere poste in tali siti.

Viene poi previsto che il decreto di approvazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare debba intervenire entro trenta giorni dalla suddetta trasmissione e che la sottomissione del progetto sui dragaggi alla Commissione di valutazione di impatto ambientale sia limitata al caso in cui il progetto preveda anche infrastrutture di contenimento non comprese nei provvedimenti di rilascio della valutazione di impatto ambientale o nei piani regolatori portuali di riferimento.

Il comma 1, lett. b), relativamente ai materiali derivanti dalle attività di dragaggio, consente la reimmissione nei siti idrici di provenienza ovvero l’utilizzazione per il rifacimento degli arenili anche dei materiali dei dragaggi che non presentino[60], come invece ora richiesto, caratteristiche analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo, mantenendo l’unico requisito della idoneità al sito di destinazione.

Il comma 1, lett. c) novella la corrispondente lettera del comma 2 dell’articolo 5-bis, che consente l’utilizzo dei materiali non pericolosi[61] per il refluimento all’interno di casse di colmata di vasche di raccolta, o comunque in strutture di contenimento in possesso di determinati requisiti[62]. La modifica elimina il rinvio alle modalità operative adottate dal Ministero dell’ambiente, alla luce del fatto che il comma 6 non demanda più (per quanto previsto dalla lettera d) successiva) l’individuazione delle citate modalità al decreto del Ministero dell’ambiente.

Il comma 1, lett. d) prevede che il decreto Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, per la definizione delle modalità e delle norme tecniche applicabili ai dragaggi dei materiali sia adottato anche senza il parere della Conferenza Stato-regioni e sia limitato alle norme tecniche applicabili alle operazioni di dragaggio e non più anche alle modalità dello stesso.

2) Tasse di ancoraggio e portuali

Il secondo intervento, di cui al comma 2, attiene al rafforzamento dell’autonomia finanziaria delle autorità portuali consentendogli di variare le tasse sulle merci e per l'ancoraggio: si consente in particolare di diminuire le tasse fino all’azzeramento, ovvero di aumentarle fino a un tetto massimo pari al doppio. La norma è finalizzata a consentire alle autorità portuali di modulare la propria offerta in relazione alle condizioni di svantaggio concorrenziale in cui possono trovarsi rispetto ad altri porti, anche stranieri.

La misura fa seguito all’applicazione in via sperimentale da parte delle autorità portuali, negli anni 2010, 2011 e 2012, della facoltà loro consentita dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194/2009 di abbattere le tasse portuali e, in particolare, la tassa di ancoraggio. In base a quanto stabilito dall’articolo 1, comma 388, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) tale disposizione cesserà di avere effetto dal 30 giugno 2013.

 

Per la ricostruzione delle recenti evoluzioni normative in materia di tasse portuali sulle merci e per l’ancoraggio, si rinvia a quanto osservato nel dossier sul testo originario del decreto.

Con D.M. 24 dicembre 2012 sono state infine recentemente adeguate le aliquote della tassa di ancoraggio e della tassa portuale a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ( 6 gennaio 2013).

Il periodo preso in considerazione per l’adeguamento è quello compreso tra il 1° gennaio 1993 ed il 31 dicembre 2011 nel quale è stato accertato che il tasso d'inflazione FOI accertato dall'ISTAT è stato pari al 59,3%. Secondo il principio della gradualità triennale previsto dall'art. 4, comma 2, del DPR n. 107, l'applicazione dell'adeguamento è stata ripartita nel triennio 2012, 2013 e 2014, nelle rispettive misure del 33%, 33% e 34%, così come l'applicazione degli adeguamenti annuali previsti nella misura del 75 per cento del tasso ufficiale d'inflazione è effettuata a partire dall'anno 2015.

 

Il comma 2 prevede poi che l'utilizzo delle entrate derivanti dalla autonomia impositiva e tariffaria delle autorità portuali, nonché la compensazione, con riduzioni di spese correnti, siano adeguatamente esposti nelle relazioni di bilancio di previsione e nel rendiconto generale.

Nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale. Il collegio dei revisori dei conti deve attestare la compatibilità finanziaria delle operazioni poste in essere. Si prevede infine che dalla misura non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

3) Autonomia finanziaria delle autorità portuali

Il comma 3 modifica il comma 1 dell'articolo 18-bis della legge 28 gennaio 1984, n. 94, introdotto dal decreto-legge n. 83/2012, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali.

L’articolo 18-bis nella legge n. 84/1994 ha istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo per interventi infrastrutturali nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari nei porti alimentato, nel limite di 70 milioni di euro annui, con la destinazione, su base annua, dell’uno per cento del gettito dell’IVA relativa all’importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto.

Circa la ripartizione del Fondo, il comma 2 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze quantifichi entro il 30 aprile di ciascun esercizio finanziario l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nonché la quota da iscrivere nel fondo. Il comma 4 prevede che il fondo sia ripartito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, seguendo questi criteri:

 - a ciascun porto dovrà essere attribuito un importo pari all’ottanta per cento della quota dell’IVA dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per suo tramite;

- il restante venti per cento del fondo complessivo dovrà essere ripartito tra i porti con finalità perequative, tenendo anche conto delle previsioni dei rispettivi piani operativi triennali e piani regolatori portuali (e quindi, sembra intendersi, dei programmi di investimento prospettati in tali documenti).

Il decreto non risulta ancora emanato.

 

Il comma 3 novella tale disciplina prevedendo:

a)   l’innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell’uno per cento dell’IVA riscossa nei porti;

b)   la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali.


 

Articolo 23
(Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico)

 

L’articolo 23, reca norme per il rilancio della nautica da diporto.

In particolare, il comma 1, modificato presso le Commissioni riunite, novella l’articolo 49-bis, comma 5, del Codice della nautica da diporto (D.Lgs. n. 171 del 2005), in materia di noleggio occasionale di unità da diporto, consentendo l’assoggettamento ad imposta sostitutiva del 20 per cento, a richiesta del percipiente, dei proventi derivanti dalle attività di noleggio occasionale di durata complessiva non superiore a 42 giorni (nel testo originario del decreto erano previsti 40 giorni), indipendentemente quindi dall’ammontare dei proventi derivanti dal noleggio. La norma novellata prevedeva invece la possibilità di assoggettamento ad imposta sostitutiva solo nel limite di proventi inferiori a 30.000 euro. Rimane ferma l’esclusione della detraibilità o deducibilità dei costi e delle spese sostenute relative all'attività di noleggio.

Si ricorda che l’articolo 49-bis, che viene qui modificato e con il quale è stata disciplinata per la prima volta l’attività di noleggio occasionale, è stato recentemente introdotto nel Codice della nautica da diporto dall’art. 59-ter D.L. n. 1 del 2012, con finalità di incentivazione del turismo nautico. La norma ha infatti consentito al titolare persona fisica, ovvero all’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, di imbarcazioni e navi da diporto di effettuare, in forma occasionale e senza quindi che potesse essere qualificata come attività commerciale ai fini fiscali, l’attività di noleggio di tali unità. Per i proventi derivanti da tale attività, purché non superassero i 30.000 euro annui, è stato consentito l’assoggettamento a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota al 20%. In attuazione della norma, con D.M. Infrastrutture e Trasporti del 26 febbraio 2013 sono state definite le modalità di comunicazioni telematiche necessarie per lo svolgimento dell'attività di noleggio occasionale di unità da diporto.

 

Con un nuovo comma 01, introdotto presso le Commissioni riunite, si modifica l'articolo 49-bis del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, estendendo anche alle società non aventi come oggetto sociale il noleggio o la locazione, oltre che alle persone fisiche, l’attività di noleggio occasionale.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della norma - premesso che per navigazione da diporto si intende quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché quella esercitata a scopi commerciali, anche mediante le navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate destinate in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche, - si tratta, come già previsto nell’art. 49-bis, delle sole imbarcazioni e navi da diporto come definite nell’art. 3, comma 1 del Codice della nautica da diporto.


Si tratta quindi solamente delle seguenti:

§      le imbarcazioni da diporto, cioè le unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri (misurate secondo le norme armonizzate);

§      le navi da diporto, definite dal codice come le unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri (sempre misurate secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666).

 

Sono quindi escluse le altre tipologie di imbarcazioni destinate alla navigazione da diporto che sono contemplate nell’art. 3, comma 1 del codice e precisamente i natanti da diporto (unità da diporto a remi, o con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri) e le generiche unità da diporto (definizione residuale che individua ogni altra costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto). Dovrebbero essere altresì esclusi, in base al fatto che sono equiparati ai fini dell'abilitazione al comando alle unità da diporto, i motoscafi ad uso privato (art. 39, co. 5, del Codice).

 

Per quanto riguarda gli aspetti fiscali il comma 5 dell’articolo 49-bis del Codice della nautica (D.Lgs. n. 171 del 2005), introdotto dall’articolo 59-ter, del D.L. n. 1/2012 ha istituito un regime fiscale agevolato opzionale (imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con aliquota del 20 per cento[63]) per i proventi derivanti dal noleggio occasionale (la cui durata complessiva non deve essere superiore a 40 giorni, come modificato dal presente articolo).

Nel dettaglio, si accede a tale regime agevolato a condizione che:

§       il percipiente ne faccia richiesta. Si tratta infatti di un regime opzionale;

§       i proventi derivino dall’attività di noleggio occasionale. Tale noleggio deve essere esercitato dunque da persona fisica (titolare o utilizzatore) ed avere ad oggetto imbarcazioni e navi da diporto;

§       i proventi non siano superiori a 30.000 euro annui (ora soppresso);

§       il contribuente effettui l’apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate, pena l’impossibilità di fruire del regime agevolato o, se ne fruisce già, la decadenza dallo stesso.

L’opzione per l’imposta sostitutiva preclude la possibilità di detrarre o dedurre costi e spese sostenute in relazione all’attività di noleggio.

Per quanto concerne il versamento dell’imposta, esso si effettua al medesimo termine fissato per il versamento del saldo IRPEF; di conseguenza l’acconto IRPEF verrà calcolato senza tenere conto delle disposizioni così introdotte.

Si rimanda all’ordinaria disciplina delle imposte sui redditi per la liquidazione, l’accertamento, la riscossione e il contenzioso dell’imposta sostitutiva.

Si demanda infine a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate (non ancora emanato) la definizione di modalità semplificate di documentazione e dichiarazione dei predetti proventi, nonché la fissazione delle modalità di versamento dell’imposta sostitutiva e delle altre disposizioni di attuazione.

 

Il comma 2 modifica l’articolo 16, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, che ha istituito la tassa sulle unità da diporto a decorrere dal 1° maggio 2012 . La norma è stata successivamente interamente sostituita dall’art. 60-bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 1 del 2012.

L’articolo 60-bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 1 del 2012, al fine di semplificare la determinazione della tassa sulle unità da diporto, ne ha previsto la definizione su base annuale, anziché su un calcolo giorno per giorno sulla base dello stazionamento in porti nazionali o della navigazione in acque pubbliche, come previsto dal testo originario. La tassa annuale per le unità da diporto, da pagare dal 1° maggio di ogni anno, era, nel testo previgente alle modifiche introdotte dalla disposizione in commento, determinata nelle seguenti misure in base alla lunghezza dello scopo:

 

Tassa annuale unità da diporto

Comma 2, lett.

euro

lunghezza dello scafo

a)

800

10,01 - 12 metri

b)

1.160

12,01 - 14 metri

c)

1.740

14,01 - 17 metri

d)

2.600

17,01 - 20 metri

e)

4.400

20,01 - 24 metri

f)

7.800

24,01 - 34 metri

g)

12.500

34,01 - 44 metri

h)

16.000

44,01 - 54 metri

i)

21.500

54,01 - 64 metri

l)

25.000

superiore a 64 metri

 

 

Il comma 2 in esame dispone ora la soppressione delle lettere a) e b) esentando quindi dal pagamento della tassa le unità da diporto con lunghezza fino a 14 metri – e ne riduce l’ammontare per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra i 14 e i 20 metri (lettere c) e d)), che viene rideterminato in 870 euro annui (in luogo di 1.740 euro) per le unità tra i 14 e i 17 metri, e in 1.300 euro (in luogo di 2.600 euro) per le unità tra i 17 e i 20 metri di lunghezza.


 

Conseguentemente la tassa annuale per le unità da diporto verrebbe ad essere così rideterminata:

 

Tassa annuale unità da diporto

Comma 2, lett.

euro

lunghezza dello scafo

a)

esente

10,01 - 12 metri

b)

esente

12,01 -14 metri

c)

870

14,01 - 17 metri

d)

1.300

17,01 - 20 metri

e)

4.400

20,01 - 24 metri

f)

7.800

24,01 - 34 metri

g)

12.500

34,01 - 44 metri

h)

16.000

44,01 - 54 metri

i)

21.500

54,01 a 64 metri

l)

25.000

superiore a 64 metri

 

Circa l’ambito di applicazione, si ricorda che il comma 7 dell'articolo 16, specifica che la tassa si applica ai proprietari, agli usufruttuari, agli acquirenti con patto di riservato dominio o agli utilizzatori a titolo di locazione anche finanziaria, per la durata della stessa, residenti nel territorio dello Stato, nonché alle stabili organizzazioni in Italia dei soggetti non residenti, che posseggano, o a cui sia attribuibile il possesso di unità da diporto;

La tassa non si applica invece:

§       ai soggetti non residenti e non aventi stabili organizzazioni in Italia che posseggano unità da diporto, sempre che il loro possesso non sia attribuibile a soggetti residenti in Italia;

§       alle unità bene strumentale di aziende di locazione e noleggio.

 

Si ricorda infine che il comma 3 dell'articolo 16 specifica che la riduzione della tassa al 50% prevista per le unità a vela con motore ausiliario si applica quando il rapporto fra superficie velica e potenza del motore espresso in Kw non sia inferiore a 0.5, nonché prevede la riduzione al 50% anche per le unità con scafo di lunghezza fino ad 12 metri utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nelle isole della laguna di Venezia.

 

Si ricorda che il provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 24 aprile 2012 sono state definite modalità, termini di versamento e di comunicazione dei dati identificativi delle unità da diporto soggette alla tassa annuale. In particolare l’articolo 2, nello specificare che la tassa (da pagare dal 1° maggio ai sensi del comma 2 dell’articolo 16) è riferita al periodo 1° maggio - 30 aprile dell’anno successivo, stabilisce che il versamento della tassa è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno.


 

Articolo 24
(Disposizioni in materia ferroviaria)

 

L’articolo 24 interviene in materia ferroviaria in diversi ambiti:

§      con il comma 1 in materia di accesso all’infrastruttura ferroviaria ed ai servizi relativi, modificando il d.lgs. n. 188/2003;

§      con il comma 2 sulla separazione contabile e dei bilanci delle imprese ferroviarie;

§      con il comma 3 (modificato nel corso dell’esame in sede referente) sul cabotaggio per i servizi passeggeri ferroviari nazionali a media e lunga percorrenza, modificando la legge n. 99 del 2009.

§      con il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, in materia di standard di sicurezza definiti dall’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria

Canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria e ai servizi (comma 1)

Il comma 1, lett. a), modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria. L’art. 17 in particolare, nel testo previgente, definiva la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza.

Con la modifica del comma 1 lett. a) in commento si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza.

 

Nel rinviare, per una ricostruzione normativa complessiva a quanto osservato nel dossier sul testo originario del decreto legge, si segnala peraltro che la determinazione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria potrebbe rientrare tra le future competenze dell’Autorità di regolazione per i trasporti, istituita dal decreto-legge n. 201/2011 ma non ancora operativa. Tra le competenze dell’Autorità rientrano infatti il compito di garantire “condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali” e quello di “definire i criteri per la fissazione di tariffe, canoni e pedaggi”, nonché, con riferimento specifico al trasporto ferroviario, quello di “sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento” (art. 37 del decreto-legge n. 201/2011).

 

Il comma 1 lett. b) sostituisce poi il comma 11 dell’art. 17, aggiungendo, rispetto al testo vigente, la previsione dell’emanazione di uno o più decreti ministeriali che possano regolare anche i corrispettivi dei servizi non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura.

L’art. 17, nel testo previgente, rinvia attualmente a uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, per:

1)   la definizione del quadro per l'accesso all'infrastruttura, i principi e le procedure per l'assegnazione della capacità di cui all'articolo 27 del decreto;

2)   il calcolo del canone ai fini dell'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria;

3)   i corrispettivi per la fornitura dei servizi di cui all'articolo 20;

4)   le regole in materia di servizi di cui al medesimo articolo 20.

 

Con la modifica della lett. b), che interviene sul sopra citato punto 3), il decreto ministeriale potrà anche prevedere corrispettivi per i servizi di cui all’articolo 20 non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura. L’art. 20 ricomprende infatti una elencazione di servizi la cui fornitura è ricompresa obbligatoriamente nel canone ed una seconda elencazione di servizi a cui le imprese hanno diritto ma senza che sia specificato nella sul fatto che il loro costo sia ricompreso nel canone, consistenti ad esempio nell’accesso a stazioni passeggeri, ad aree di sosta e ricovero treni, ai centri di manutenzione, alle aree smistamento treni, agli scali merci ed agli impianti di combustibile, nonché in altri servizi complementari.

Separazione contabile e dei bilanci delle imprese ferroviarie (comma 2)

Il comma 2 dell’articolo 24 reca una norma che intende rispondere ai rilievi della Commissione europea nella procedura di infrazione 2012/2213 nella quale si chiede di completare l'adeguamento della normativa nazionale agli obblighi previsti dalla direttiva 91/440/CEE, in materia di separazione contabile e dei bilanci, attuata nel nostro ordinamento dal D.Lgs n. 188 del 2003.

La disposizione aggiunge a tal fine all'articolo 5 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, un nuovo comma 4-bis in base al quale la separazione contabile e dei bilanci dovrà fornire la rappresentazione trasparente delle attività di servizio pubblico e dei corrispettivi e/o fondi pubblici percepiti per ogni attività.

Cabotaggio e limitazioni di accesso al mercato per i servizi passeggeri ferroviari nazionali (comma 3)

Il comma 3 dell’articolo 24, interviene in vario modo sulle procedure di accesso al mercato nei segmenti di trasporto nazionale passeggeri a media e lunga percorrenza, nonché per integrare il recepimento della direttiva 2007/58/CE.

Il comma 3, lett. a) dell’art. 24, modifica innanzitutto l'articolo 59 della legge 23 luglio 2009, n. 99, relativamente alle limitazioni allo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale. La norma che si intende novellare attualmente prevede che lo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale, ivi compresa la parte di servizi internazionali svolta sul territorio italiano, possa essere soggetto a limitazioni nel diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, nei casi in cui il loro esercizio possa compromettere l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico (del quale è titolare, come si è visto, Trenitalia Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato Spa) in termini di redditività di tutti i servizi coperti da tale contratto, incluse le ripercussioni sul costo netto per le competenti autorità pubbliche titolari del contratto, domanda dei passeggeri, determinazione dei prezzi dei biglietti e relative modalità di emissione, ubicazione e numero delle fermate, orario e frequenza del nuovo servizio proposto.

La modifica del comma 3, lett. a) consiste nel sostituire le parole: "diritto di far salire e scendere" con il "diritto di far salire o scendere", circoscrivendo quindi la limitazione, per le imprese concorrenti dell’impresa titolare del contratto di servizio pubblico, alla salita alternativamente alla discesa.

 

La lett. b) del comma 3 inserisce poi i nuovi commi 4-bis e 4-ter allo stesso articolo 59 della sopra citata legge n. 99/2009, introducendo per l’autorità competente la possibilità di imporre, in alternativa alle limitazioni sopra richiamate, il pagamento di diritti di compensazione da parte delle imprese ferroviarie diverse dall’impresa titolare del contratto di pubblico servizio che intendono far salire o scendere passeggeri in stazioni italiane.

In dettaglio, il nuovo comma 4-bis prevede che l'autorità competente, qualora venga accertata la compromissione dell'equilibrio economico del contratto di servizio pubblico, possa richiedere all'impresa ferroviaria oggetto della procedura di cui al comma 2, la riscossione di opportuni, trasparenti e non discriminatori diritti di compensazione.

Con una modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente, si è specificato che l’importo di tali diritti deve, in linea con l’analisi economica effettuata dall’organismo di regolazione, essere tale da neutralizzare la compromissione dell’equilibrio economico. Inoltre, i diritti di compensazione, come stabilito dal testo originario, non possono eccedere quanto necessario per coprire i costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio, inclusa la componente di remunerazione del capitale investito prevista nei contratti di servizio.

Inoltre, sempre in base alla modifica introdotta nel corso dell’esame in sede referente, i diritti riscossi devono essere utilizzati per il cofinanziamento dei servizi oggetto del contratto di servizio pubblico al fine di ristabilirne l’equilibrio economico.

Nel caso in cui le imprese ferroviarie, interessate dal procedimento di limitazione di cui ai commi 1 e 2, provvedano al pagamento dei diritti alla competente autorità, queste non saranno più soggette alle limitazioni sul far salire o scendere i passeggeri fintanto che non si incorra in nuove ulteriori compromissioni dei contratti di servizio pubblico sulle relazioni interessate.

Con il nuovo comma 4-ter si dispone che si prescinda dalla valutazione di cui ai commi precedenti e dalle limitazioni conseguenti (vale a dire la possibilità per l’autorità competente di imporre limitazioni o il pagamento di diritti di compensazione), qualora il modello di esercizio sia tale che le fermate intermedie siano a distanza superiore ai 100 Km e i livelli tariffari applicati risultino di almeno il 20% superiori a quelli dei servizi a committenza pubblica.

In sostanza: le imprese ferroviarie che vogliano far salire i propri passeggeri in stazioni italiane, anche nell’ambito di treni di collegamento internazionale, non potranno essere soggette a limitazioni o al pagamento di diritti di compensazione se la distanza tra le fermate intermedie superi i 100 km e se le tariffe relative sono almeno del 20% superiori a quelle dei servizi a committenza pubblica.

Si ricorda che nell’ambito del “quarto pacchetto ferroviario” è compresa una proposta di regolamento sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia (COM(2013)28) adottata dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013 e trasmessa al Parlamento europeo.

 

La proposta prevede, con la finalità di aumentare la quantità e migliorare la qualità dei servizi di trasporto passeggeri, norme comuni in materia di aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico mediante gara nel trasporto di passeggeri per ferrovia, che diventa la regola generale anche nel trasporto ferroviario (con un periodo decennale di transizione fino al 2 dicembre 2019), consentendo anche alle autorità competenti di aggiudicare a imprese ferroviarie diverse contratti di trasporto passeggeri per ferrovia che riguardano parti della stessa rete o un complesso di tragitti. La possibilità di aggiudicazione diretta a un operatore interno per un contratto di volume esiguo o quale misura di emergenza e la verifica giuridica della decisione di aggiudicazione saranno disposizioni di applicazione immediata. I contratti di servizio pubblico nel settore ferroviario che sono aggiudicati direttamente tra il 1° gennaio 2013 e il 2 dicembre 2019, potranno restare in vigore fino alla data di scadenza, ma non oltre il 31 dicembre 2022. Si prevedono inoltre misure di accompagnamento atte a migliorare l'esito delle procedure di gara.

Standard di sicurezza definiti dall’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (comma 3-bis)

Il nuovo comma 3-bis dell’art. 24 modifica l'articolo 12 del decreto legislativo n. 162 del 2007 che ha dato attuazione alle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE sulla sicurezza e lo sviluppo delle ferrovie comunitarie, in materia di standard di sicurezza definiti dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie.

L’art. 12 prevede attualmente che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, istituita dallo stesso decreto legislativo n. 162/2007 con sede a Firenze, provveda affinché gli standard e le norme nazionali di sicurezza siano pubblicate in un linguaggio chiaro e accessibile agli interessati e messe a disposizione di tutti i gestori dell'infrastruttura, delle imprese ferroviarie, di chiunque richieda un certificato di sicurezza e di chiunque richieda un'autorizzazione di sicurezza. L'Agenzia può inoltre apportare, quando necessarie, le modifiche agli standard ed alle norme di sicurezza nazionali e le notifica alla Commissione. Qualora tali modifiche prescrivano livelli di sicurezza superiori a quelli minimi definiti dai CST (cioè, in base alla definizione recata dall’articolo 3, gli obiettivi comuni di sicurezza, ovvero i livelli minimi di sicurezza che devono almeno essere raggiunti dalle diverse parti del sistema ferroviario e dal sistema nel suo complesso, espressi in criteri di accettazione del rischio), o comunque le norme riguardino l'attività di imprese ferroviarie di altri Stati membri sulla rete ferroviaria italiana, l'Agenzia presenta tale progetto di norma alla Commissione.

 

Il nuovo comma 3-bis prevede che le modifiche apportate dall’Agenzia agli standard ed alle norme di sicurezza nazionali non possano prescrivere livelli di sicurezza diversi da quelli minimi definiti dagli obiettivi minimi di sicurezza CST se non sono accompagnate da una stima dei sovra costi necessari e da una analisi di sostenibilità economica e finanziaria per il gestore dell'infrastruttura e per le imprese ferroviarie, corredata da stime ragionevoli anche in termini di relativi tempi di attuazione.


 

Articolo 25, commi 1-4 e 7-8
(Disposizioni conseguenti alla soppressione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali)

Disposizioni concernenti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (commi 1-4)

I commi da 1 a 4 dell'articolo 25 recano disposizioni finalizzate a consentire l'espletamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), senza soluzione di continuità, delle attività di vigilanza sulle concessionarie autostradali, transitate al MIT a decorrere dal 1° ottobre 2012, unitamente alle altre competenze individuate dall'art. 36 del D.L. 98/2011, in seguito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali.

A tal fine vengono disciplinate idonee modalità di trasferimento al MIT delle necessarie risorse umane (comma 1) e finanziarie (commi 2, 3 e 4).

Relativamente alla richiamata Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali si ricorda che essa è stata istituita (a decorrere dal 1° gennaio 2012) dall’art. 36 del D.L. 98/2011, che ha introdotto un’articolata disciplina volta a ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale. L’art. 36, comma 2, ha quindi provveduto ad elencare le funzioni attribuite all’Agenzia. Il successivo comma 4 ha disposto il subentro (entro il 30 settembre 2012) dell'Agenzia ad ANAS s.p.a. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere alla stessa data, mentre il comma 5 ha disposto, relativamente alle attività e ai compiti di cui al comma 2, che l'Agenzia esercita ogni competenza già attribuita in materia all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali e ad altri uffici di ANAS s.p.a. ovvero ad uffici di amministrazioni dello Stato, i quali sono conseguentemente soppressi. A tal fine lo stesso comma 5 ha previsto il trasferimento all’Agenzia del personale degli uffici soppressi con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e di risorse finanziarie.

Nelle more dell’adozione dello statuto della nuova Agenzia, l’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011 (come novellato dall'art. 12, comma 79, lett. a), del D.L. 95/2012) ha previsto, in caso di mancata adozione entro il 30 settembre 2012 dello statuto e del D.P.C.M. di individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia, la soppressione dell'Agenzia stessa e il trasferimento al MIT, a decorrere dal 1° ottobre 2012, delle attività e dei compiti già attribuiti alla medesima. Lo stesso comma 5 dell’art. 11 ha chiarito che il MIT, in caso di soppressione dell’Agenzia, sarebbe rimasto titolare delle risorse previste dall'art. 36, comma 5, del D.L. 98/2011.

Scaduto inutilmente il termine per l’emanazione dello statuto, l’Agenzia è stata considerata soppressa (ai sensi del citato art. 11) e quindi con il decreto 1° ottobre 2012, n. 341, il MIT ha provveduto all’istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui è stata affidata la gran parte delle funzioni indicate dal comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011, che inizialmente erano state affidate all’Agenzia.

 

Nel dettaglio, il comma 1, per la finalità suindicata, demanda ad un D.P.C.M. le modalità di individuazione delle risorse umane che devono essere trasferite dall’A.N.A.S. S.p.A. al MIT, nonché la definizione della tabella di equiparazione tra il personale trasferito e quello appartenente al comparto Ministeri e all'Area I della dirigenza. Il personale così trasferito, a cui continua ad applicarsi quanto previsto dall’articolo 36, comma 5, del D.L. 98/2011, mantiene la posizione assicurativa già costituita nell’assicurazione generale obbligatoria, ovvero nelle forme sostitutive o esclusive della predetta assicurazione.

Si segnala che il testo non prevede un termine entro il quale il suddetto D.P.C.M. debba essere adottato.

 

Nel corso dell’esame in sede referente il comma 1 è stato integrato con un periodo che prevede l’incremento della dotazione organica del MIT di un numero pari alle unità di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato che saranno trasferite ai sensi del citato D.P.C.M.

 

Ai fini della copertura degli oneri connessi al trasferimento di personale previsto dal comma 1, il comma 2 prevede che il D.P.C.M. contemplato dal comma 1 provveda all’individuazione delle risorse derivanti:

§      dalle sub-concessioni su sedime autostradale;

La relazione tecnica quantifica le risorse derivanti dai canoni di sub-concessione, già dovuti al concedente ai sensi delle convenzioni, “in 21,7 milioni di euro come da bilancio ANAS 2011 e previsti per il 2013 nell’ordine di 17 milioni di euro”.

§      e, ove necessario, di quelle derivanti dal canone comunque corrisposto ad ANAS S.p.a. ai sensi dell’art. 1, comma 1020, secondo periodo, della L. 296/2006, anche mediante apposita rideterminazione della quota percentuale del predetto canone da corrispondere direttamente ad ANAS S.p.a. da parte dei concessionari autostradali.

L’art. 10, comma 3, della L. 537/1993 ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, gli enti concessionari di autostrade sono tenuti a corrispondere allo Stato un canone annuo, la cui misura è stata più volte modificata: dall’art. 1, comma 1020, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), dall’art. 1-bis del D.L. 162/2008 e dall’art. 19, comma 9-bis, del D.L. 78/2009.

A seguito di tali modifiche, la misura del canone annuo è fissata nel 2,4% dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari.

In particolare, per quanto rileva ai fini della disposizione in commento, si evidenzia che, ai sensi del secondo periodo del comma 1020 della L. 296/2006, il 42% di tale canone è corrisposto direttamente all’ANAS che provvede a darne distinta evidenza nel piano economico-finanziario e lo destina prioritariamente alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari predetti, fino alla concorrenza dei relativi costi, ivi compresa la corresponsione di contributi alle concessionarie, secondo direttive impartite dal MIT volte anche al conseguimento della loro maggiore efficienza ed efficacia.

Si ricorda, inoltre, che il D.L. 78/2009 ha aumentato il canone incorporandovi un sovrapprezzo sui pedaggi (che era previsto dall’art. 1, comma 1021, della legge finanziaria 2007, abrogato dal citato comma 9-bis dell’art. 19 del D.L. 78/2009) e che un ulteriore aumento, basato sulla percorrenza chilometrica dei veicoli, è stato disposto dal comma 4 dell’art. 15 del D.L. 78/2010[64].

Si ricorda infine che l’art. 33, comma 4, del D.L. 179/2012 ha trasferito alla Regione Toscana i canoni di cui all'art. 1, comma 1020, della L. 296/2006 derivanti dalla realizzazione del completamento dell'autostrada Livorno-Civitavecchia, tratto Cecina-Civitavecchia, per i primi dieci anni di gestione dell'infrastruttura, fino alla quota massima annua del 75%.

 

Lo stesso comma reca altresì disposizioni di natura contabile. Viene infatti disposto che le citate risorse dovranno essere iscritte nello stato di previsione del MIT e che ANAS S.p.a. provvederà a dare esplicita evidenza tra i ricavi propri del conto economico delle entrate acquisite ai sensi del citato comma 1020.

 

Il comma 3 disciplina le modalità di versamento al bilancio dello Stato, da parte dell’ANAS, dei canoni relativi alle sub-concessioni sul sedime autostradale, per la successiva riassegnazione (con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze) ad apposito capitolo dello stato di previsione del MIT.

 

Il comma 4 dispone che il MIT assume le situazioni debitorie e creditorie relative alle funzioni trasferite (indicate dall’art. 36, comma 2, del D.L. 98/2011 e ribadite dall’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011) e l’eventuale contenzioso, sorti a far data dal 1° ottobre 2012.

La relazione illustrativa sottolinea che tale disposizione lascia in capo all’ANAS la legittimazione processuale attiva e passiva per i contenziosi instaurati in data antecedente al 1° ottobre 2012, dato che le risorse per far fronte a detti contenziosi sono nella disponibilità dell'ANAS stessa.

Disposizioni concernenti ANAS (commi 7-8)

I commi 7 e 8 sono stati riscritti durante l’esame in sede referente.

Il comma 7 introduce disposizioni non presenti nel testo originario del decreto, che novellano in più punti i commi 2 e 3 dell’art. 36 del D.L. 98/2011 al fine di eliminare la possibilità, attualmente prevista:

§      dell’affidamento diretto ad ANAS S.p.A. della costruzione di nuove autostrade, a condizione che non comporti effetti negativi sulla finanza pubblica, ovvero delle concessioni per la costruzione e la gestione di nuove autostrade;

§      del subentro, da parte dell’ANAS, subordinatamente alla citata condizione di assenza di effetti negativi sulla finanza pubblica e con le modalità dell’affidamento diretto, nelle concessioni di gestione di autostrade in scadenza o revocate.

 

Viene altresì eliminata la parte della disposizione recata dal comma 2 che consente all’Agenzia (e quindi attualmente al MIT, che ne ha rilevato i compiti in seguito alla sua soppressione) di avvalersi dell’ANAS nello svolgimento dei compiti ad essa affidati (numero 1) della lettera a) del comma in esame).

 

Il comma 8 riproduce le disposizioni dettate dai commi 7 e 8 del testo originario - che prevedevano alcune novelle all'art. 36 del D.L. 98/2011, finalizzate essenzialmente a differire i termini (in esso previsti) per l’adozione del nuovo statuto dell’ANAS e per la ricostituzione del consiglio di amministrazione della medesima società.

Rispetto al testo dei commi 7-8 originari viene aggiunta una disposizione che prevede la soppressione dell’ultimo periodo del comma 9 del citato art. 36 ove si impone, al nuovo statuto dell’Anas S.p.A., di prevedere i requisiti necessari per stabilire forme di controllo analogo del MIT e del MEF sulla società stessa, al fine di assicurare la funzione di organo in house dell'amministrazione.

 

In considerazione delle modifiche apportate nel corso dell’esame in sede referente, appare necessario segnalare quanto rilevato dalla Corte dei conti, nella sua Determinazione n. 36/2013, con riguardo ad una revisione della disciplina prevista dall’art. 36 del D.L. 98/2011. Nelle conclusioni della relazione allegata alla citata determinazione, infatti, si legge che l’inquadramento dell’ANAS quale organo in house dell’amministrazione “potrebbe risultare problematico con il processo di forte apertura al mercato di ANAS che l’art. 36 intende perseguire, in quanto la Società, avendo dismesso le funzioni di concedente, dovrebbe poter operare in condizioni tali da competere con prerogative analoghe a quelle degli altri concessionari. L’obiettivo perseguito di affidare ad ANAS senza gara le concessioni, in scadenza o revocate, per la gestione di autostrade esistenti ovvero le concessioni di nuove autostrade, purché in assenza di effetti negativi sulla finanza pubblica, è risultato molto problematico – e finora non attuato – sulla base dell’interpretazione, fornita dai competenti Ministeri, che considera ogni indebitamento incidere sul bilancio dello Stato. Ne deriva come, per conseguire un effettivo potenziamento di ANAS nel ruolo di Concessionaria e consentire alla Società di svolgere attività di mercato, sia opportuna, anche nell’ipotesi in cui la stessa resti nel perimetro della P.A., una riflessione sulla disciplina de qua in modo da apportare eventuali, necessari correttivi”.


 

Articolo 25, comma 5
(Utilizzo di risorse per i contratti di servizio con l’ENAV)

 

Il comma 5 dell’articolo 25 consente che le disponibilità residue delle risorse iscritte in bilancio per l'anno 2012 destinate ai contratti di servizio e di programma dell'ENAV S.p.A. (lEnte nazionale di assistenza al volo ), di cui all'articolo 5, comma 10, del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, possano essere utilizzate per la compensazione dei costi sostenuti dall'ENAV nell'anno 2012, e previsti dai predetti contratti, per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa, di cui all'articolo 11-septies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.

 

L’art. 11-septies richiamato ha novellato l’art. 2, comma 1, della legge finanziaria 2004 (legge n.350/2003) che aveva istituito ai fini del miglioramento della sicurezza l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sulle aeromobili destinata a compensare ENAV Spa, secondo modalità regolate dal contratto di servizio, anche dei costi per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa.


 

Articolo 25 commi 5-bis e 5-ter
(Accordo di Programma per la delocalizzazione delle abitazioni intercluse nel sedime dell’Aeroporto di Pisa)

 

Il nuovo comma 5-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede che venga stipulato tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero della difesa, il Ministero dell’economia e finanze, l’ENAC, la Società di gestione interessata, la Regione, Provincia e Comune competenti apposito Accordo di Programma per la delocalizzazione delle abitazioni intercluse nel sedime dell’Aeroporto di Pisa, al fine di ridurre il rischio aeronautico e ambientale correlato all’insistenza di abitazioni ad uso residenziale intercluse nel sedime dell’aeroporto di Pisa.

Nello stesso Accordo dovranno essere previste le modalità di attuazione dell’intervento, le risorse per il finanziamento e i termini di erogazione, nonché le modalità di trasferimento delle aree al demanio aeronautico civile e statale.

 

In base al successivo nuovo comma 5-ter, all’accordo di programma potrà essere destinata una quota delle risorse da assegnare per l’anno 2013 all’ENAC, ai sensi dall'articolo 11-decies del decreto-legge n. 203 del 2005, nella misura massimo di 10 milioni di euro e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si ricorda che il richiamato articolo 11-decies ha previsto la riduzione del 75 per cento, fino alla data di introduzione del sistema di determinazione dei diritti aeroportuali, dei canoni di concessione demaniale, istituiti dal decreto-legge 28 giugno 1995, n. 251, ed ha analogamente ridotto la misura dei diritti aeroportuali.

A tale proposito l’articolo 21-bis, comma 1, del decreto-legge n. 248/2007 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria) ha poi previsto che fino all'emanazione dei decreti di rideterminazione complessiva dei diritti aeroportuali di cui all'articolo 10, comma 10 della legge n. 537/1993 (interventi correttivi di finanza pubblica) da adottare entro il 31 dicembre 2012, il Ministro dei trasporti (ora delle infrastrutture e dei trasporti) provvede, con proprio decreto, all'aggiornamento della misura dei diritti aeroportuali al tasso di inflazione programmato. La disposizione prevede inoltre che l'aggiornamento della misura dei diritti decade qualora i concessionari non presentino completa istanza di stipula del contratto di programma entro il medesimo termine del 31 dicembre 2012.

Recentemente peraltro, gli articoli da 71 a 82 del decreto-legge n. 1/2012 (c.d. “D.L. liberalizzazioni”) hanno recepito la direttiva 2009/12/CE che ha introdotto un nuovo sistema per la determinazione dei diritti aeroportuali basato sul confronto tra utenti e gestori aeroportuali. La determinazione dei diritti aeroportuali, che deve comunque avvenire nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11-nonies del decreto-legge n. 203/2005, è affidata all’istituenda Autorità dei trasporti e, nelle more della sua costituzione, all’ENAC.

 

Con D.P.C.M. 26 giugno 2013 sono stati recentemente prorogati al 31 dicembre 2013 alcuni termini, in scadenza il 30 giugno 2013, di interesse del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti tra cui il termine per la rideterminazione con D.P.R. dei diritti aeroportuali.

Per quanto riguarda i diritti per l’aeroporto di Pisa (nonché per quelli di Napoli, Brindisi, Bari e Bologna) questi sono definiti nei relativi Contratti di programma sottoscritti dall'ENAC con le società Concessionarie.

 

Per gli altri aeroporti si applica invece il D.M. 7 febbraio 2013 del Ministero delle infrastrutture e trasporti (in G.U. del 17/5/2013) con il quale è stata aggiornata la misura dei diritti aeroportuali per l'anno 2012 in base al tasso di inflazione programmato. E' prevista inoltre una nuova misura dei diritti aeroportuali anche per gli scali di Catania, Cagliari, Venezia Tessera, Roma Ciampino e Fiumicino, per i quali e' stato già stipulato il Contratto di programma con ENAC, ma le cui tariffe non sono ancora entrate in vigore. Per questi aeroporti, pertanto, l'aggiornamento decadrà in caso di entrata in vigore delle tariffe previste nei rispettivi contratti.


 

Articolo 25 comma 6
(Sicurezza grandi dighe)

 

La norma precisa, in relazione all’assunzione di 32 unità di personale già disposta dall’articolo 55, comma 1-ter del D.L.1/2012, che venga corrispondentemente adeguata la dotazione organica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti[65] (MIT) attraverso l’inserimento di un periodo aggiuntivo a tale disposizione.

La norma precisa, inoltre, che l’adeguamento della dotazione organica del Ministero è volta a superare lo stato di emergenza derivante dalla scadenza delle gestioni commissariali già operanti per la messa in sicurezza delle grandi dighe senza concessionario[66].

Il D.P.C.M. 10 marzo 2011[67] ha prorogato fino al 29 febbraio 2012 il regime straordinario di protezione civile instaurato dal D.P.C.M. 18 novembre 2004, per l’accelerazione degli interventi di messa in sicurezza delle grandi dighe senza concessione, individuate dal soppresso RID (Registro Italiano Dighe), ai sensi degli articoli 1 e 2 del D.L. 79/2004, ove si dispone che alla definizione degli interventi per la messa in sicurezza delle grandi dighe si provvede su indicazione del Registro italiano dighe e previa emanazione della citata deliberazione di cui all'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Successivamente, sono state emanate diverse ordinanze di protezione civile, al fine di procedere alla messa in sicurezza dei citati invasi.

L’O.P.C.M. 3920/2011, modificando l'ordinanza 3736/2009, ha consentito tra l’altro al MIT di stipulare, per i suddetti scopi, fino ad un massimo di quindici contratti di collaborazione coordinata e continuativa o di consulenza, di durata annuale.

Successivamente, l’art. 55, comma 1-ter, del D.L. 1/2012 ha autorizzato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo delle grandi dighe e delle opere di derivazione a valle e condotte forzate, ad assumere a tempo indeterminato 32 unità di personale, anche in deroga alla normativa vigente in materia di assunzioni, stanziando a tale scopo la spesa di euro 1.514.000 annui a decorrere dal 2013.

Per la copertura di tali oneri, viene parzialmente utilizzata una quota delle entrate, previste per il 2013 dall'art. 2, comma 172, del decreto-legge n. 262/2006, utilizzate per il finanziamento delle attività già facenti capo al RID, provenienti dalla contribuzione a carico degli utenti dei servizi delle grandi dighe riscossa dai concessionari, non coperte dal finanziamento a carico dello Stato[68]. In attuazione del comma 173, che ha demandato ad apposito decreto interministeriale la fissazione dei criteri e dei parametri per la quantificazione degli oneri connessi alle attività già facenti capo al RID, sono stati emanati due decreti, in data 4 giugno 2009[69].

Si ricorda inoltre che una serie di misure volte a migliorare la sicurezza delle grandi dighe gestite da concessionari sono state introdotte dall’art. 43, commi 7-15, del decreto legge n. 201/2011.


 

Articolo 25, commi 9-11
(Collegamenti marittimi con le isole minori della Sicilia)

 

L’articolo 25, commi da 9 a 11, trasferisce alla Regione siciliana sia le funzioni che i compiti di vigilanza sulle attività previste nella Convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo con isole minori siciliane, sottoscritta in data 30 luglio 2012.

Si tratta della Convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e i trasporti e la Società Compagnia delle Isole S.p.A, stipulata ai sensi dell'articolo 1, comma 998, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, e che disciplina il complesso degli obblighi e dei diritti derivanti dall'esercizio dei servizi di collegamento marittimo tra la Sicilia e le Isole minori siciliane: Vulcano, Lipari, Panarea, Salina, Rinella, Stromboli, Ginostra, Filicudi, Alicudi, Favignana, Marettimo, Levanzo, Ustica, Pantelleria, Linosa, Lampedusa. La Convenzione ha efficacia dal 30 luglio 2012 fino al 30 luglio 2024 (art. 4 della Convenzione) e per lo svolgimento dei servizi della Convenzione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è obbligato a versare alla Società un corrispettivo annuo di euro 55.694.895.

Si ricorda che l’art. 6, comma 19 del D.L. n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012 ha approvato ex lege le convenzioni stipulate con i soggetti che si sono aggiudicati i compendi aziendali delle società Tirrenia di navigazione S.p.A. e Siremar-Sicilia regionale marittima S.p.A . La norma ha inoltre previsto che le convenzioni producono effetti a far data dalla sottoscrizione e che ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle suddette convenzioni sia approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le regioni interessate.

L’attività di vigilanza (art. 10 della Convenzione) è attualmente svolta dai Ministeri vigilanti (il Ministero delle infrastrutture e trasporti e il Ministero dell’economia e finanze) e riguarda:

§      il rispetto degli obblighi della Convenzione,la richiesta di informazioni e l’effettuazione di controlli anche con poteri di ispezione e di acquisizione della documentazione;

§      la richiesta semestrale di dati contabili;

§      la verifica dell’idoneità delle navi adibite ai servizi di collegamento;

§      lì approvazione dei piani delle navi;

§      la proposta di risoluzione del rapporto per inadempimento.

 

Si ricorda che la Convenzione del 2012 ha sostituito la precedente Convenzione fra lo Stato e la Società Siremar, stipulata il 17 dicembre 1991 e modificata nel 1994 e 1995. Circa la procedura di privatizzazione di Siremar, già intestataria delle convenzioni per l'espletamento dei servizi di collegamento marittimo fra il continente e la regione Sicilia ed in regime di amministrazione straordinaria, si ricorda che la procedura di gara è stata espletata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e nell’ottobre 2011 si è aggiudicata la gara per la cessione la Compagnie delle isole, società controllata da Mediterranea Holding SpA, la quale a sua volta vede una significativa partecipazione azionaria della Regione Siciliana, oltre che di altri operatori del settore come Lauro, Isolemar, Acies. L’acquisizione di Siremar da parte della Compagnia delle isole è stata ritenuta non lesiva della concorrenza da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato con provvedimento n. 23023 del 23 novembre 2011, in quanto nelle rotte nelle quali Siremar detiene significative quote di mercato i soci di Mediterranea Holding ed in particolare il gruppo Lauro non risultano attivi. Tuttavia, la società di navigazione siciliana (composta dalle società Caronte & Tourist e Ustica Lines), che aveva partecipato alla gara, ha richiesto al TAR del Lazio l’annullamento della stessa. In particolare oggetto di contestazione è stata la controgaranzia finanziaria offerta dalla Regione Siciliana alla Compagnie delle Isole, che costituirebbe un aiuto di Stato illegittimo. Il TAR del Lazio, con ordinanza del 7 luglio 2012, ha sospeso l’esito della gara; il Consiglio di Stato con sentenza del 18 luglio 201 ha poi revocato la sospensiva.

 

Il comma 10 prevede, in conseguenza del trasferimento delle funzioni alla Regione Sicilia operato dal comma 9, il trasferimento, dai Ministeri vigilanti alla Regione Sicilia, di ogni successiva modifica o integrazione della Convenzione, che dovrà essere approvata con decreto del Presidente della Regione. La disposizione novella quanto previsto dall’art. 6, comma 19 del D.L. n. 95 /2012 che ha approvato la Convenzione, in base al quale la convenzione produce effetti a far data dalla sottoscrizione e ogni successiva modificazione ovvero integrazione deve essere approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le regioni interessate.

 

Il comma 11 rinvia infine ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la definizione delle modifiche, nei successivi trenta giorni, del testo della Convenzione, per adeguarla alle nuove disposizioni previste dai commi in commento.


 

Articolo 25 comma 11-ter
(Adeguamento della SS “Telesina” e del collegamento
Termoli San Vittore)

 

La disposizione in commento, introdotta nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che le proposte dei soggetti promotori per l’approvazione dei progetti preliminari degli interventi di adeguamento della SS “Telesina” e del collegamento Termoli-San Vittore devono essere sottoposte all’approvazione dal CIPE entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Si tratta, in entrambi i casi, di operazioni di finanza di progetto. Si prevede, inoltre, che i progetti preliminari possono anche essere suddivisi per lotti funzionali, in coerenza con le risorse finanziarie disponibili.

La norma fa riferimento in particolare ai progetti della S.S. 372 Telesina tra lo svincolo di Caianello della S.S. 372 e lo svincolo di Benevento sulla S.S. 88, nonché al collegamento autostradale Termoli-San Vittore.

Si prevede, inoltre, che la mancata approvazione delle proposte determina l’annullamento della procedura avviata e la revoca dei soggetti promotori.

Per quanto riguarda la SS 372, la norma precisa che le risorse già assegnate con delibera Cipe n. 100 del 2006 e quelle a valere sul Fondo per le aree sottoutilizzate (ora Fondo per lo sviluppo e la coesione) assegnate con delibera CIPE n. 62 del 2011 relativa al Piano sud sono destinate esclusivamente alla realizzazione degli interventi di adeguamento della predetta opera.

L’intervento SS “Telesina”, inserito fra le opere strategiche già nel 2001 (delibera CIPE 121/2001), consiste nell’adeguamento in sede, a quattro corsie, della Statale 372 “Telesina”, con la realizzazione anche di nuovi svincoli. Il tratto interessato, di circa 61 chilometri, è quello fra lo svincolo di Benevento sulla Statale 88 e lo svincolo di Caianello sulla A1[70].

La delibera CIPE 62/2011 ha individuato gli interventi strategici prioritari per l’attuazione del Piano Nazionale per il Sud e ha assegnato all’opera SS 372 Telesina, 90 milioni, a copertura della quota pubblica, cui va aggiunta l’assegnazione programmatica, ai sensi della delibera CIPE n. 100/2006, pari a 110 milioni.

Il Piano nazionale per il Sud (PNS) intende realizzare grandi progetti infrastrutturali a rete, materiali e immateriali, destinati principalmente al sistema dei collegamenti dorsali e trasversali, con specifico riferimento al sistema ferroviario Alta Capacità/Alta Velocità, alle opere logistiche ed in particolare ai seguenti sistemi ferroviari e viari: a) i sistemi ferroviari Napoli - Bari - Lecce - Taranto, Salerno - Reggio Calabria e Catania - Palermo; b) i sistemi stradali Olbia - Sassari ed il completamento della autostrada Salerno - Reggio Calabria.

Il collegamento autostradale Termoli-San Vittore per cui il 18 gennaio 2008 è stata costituita "Autostrada del Molise S.p.A.", società mista Anas Regione Molise, prevede un tracciato di circa 150 km, che si svilupperà in due tratte: San Vittore-Venafro-Isernia-Bojano-Campobasso e Bojano-Termoli, di due corsie per senso di marcia, più corsia di emergenza; 121 viadotti (per complessivi 40,3 km); 15 gallerie (per uno sviluppo lineare complessivo di 11,8 km); e 35 svincoli di collegamento con la viabilità esistente. Per la realizzazione della prima tratta, San Vittore-Venafro-Isernia-Bojano-Campobasso, "Autostrada del Molise S.p.A." ha approvato il 1° febbraio 2011 il progetto preliminare[71]. Con la predetta deliberazione 62/2011, per la realizzazione della prima tratta, sono stati assegnati dal CIPE 200 milioni di euro. L’intervento rientra nel Programma delle infrastrutture strategiche.


 

Articolo 25, comma 11-quater
(Inquinamento acustico delle aviosuperfici)

 

La norma, introdotta nel corso dell’esame in sede referente, è volta a inserire nella disciplina sull’inquinamento acustico le emissioni sonore derivanti dalle attività delle aviosuperfici, cioè di quelle aree idonee alla partenza e all'approdo di aeromobili, che non appartengano al demanio aeronautico[72].

In particolare, la norma modifica l’art. 11, comma 1, della legge quadro sull’inquinamento acustico n. 447 del 1995, che prevede l’emanazione di regolamenti di esecuzione distinti per sorgente sonora avente origine dal traffico veicolare, ferroviario, marittimo ed aereo, dagli autodromi, dalle piste motoristiche di prova e per attività sportive, da natanti, da imbarcazioni di qualsiasi natura, nonché dalle nuove localizzazioni aeroportuali[73], inserendo come sorgente sonora le attività delle aviosuperfici.

Conseguentemente:

§      le attività delle aviosuperfici vengono di fatto assimilate, per le emissioni sonore prodotte, alle attività motoristiche, disciplinate dal regolamento di cui al D.P.R. 3 aprile 2001, n. 304, in conseguenza della novella apportata dalla norma all’articolo 1, comma 1, del citato D.P.R.;

§      non si applicano alle aviosuperfici, come per le infrastrutture stradali, ferroviarie, aeroportuali e marittime, i valori limite differenziali di immissione, relativi agli ambienti abitativi, a seguito di una modifica all’art. 4, comma 3 del D.P.C.M. 14 novembre 1997 (determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore);

Ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera f), della legge 447/1995 per valore limite di immissione si intende il valore massimo di rumore che può essere immesso da una o più sorgenti sonore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno, misurato in prossimità dei ricettori. Ai sensi della lettera b) del comma 3 del medesimo articolo 2, i valori limite differenziali sono determinati con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale ed il rumore residuo.

§      sono applicati anche alle aviosuperfici, i criteri di misura del rumore emesso dagli aeromobili nelle attività aeroportuali in conseguenza della modifica dell'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 31 ottobre 1997 sulla metodologia di misura del rumore aeroportuale.

 

Si ricorda che l’articolo 8 della suddetta legge quadro 447/1995 sull’inquinamento acustico prevede che i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale devono essere redatti in conformità alle esigenze di tutela dall'inquinamento acustico delle popolazioni interessate. Si prevede quindi che nell’ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la realizzazione, la modifica ed il potenziamento di determinate tipologie di opere sia accompagnata dalla documentazione di impatto acustico fornita da parte dei competenti soggetti titolari dei progetti o opere da realizzare. Tra tali opere soggette a valutazione di impatto ambientale sono considerate anche le aviosuperfici.


 

Articolo 25 commi 11-quinquies e 11-sexies
(Trasporto pubblico locale)

 

Il comma 11-quinquies, inserito nel corso dell’esame in sede referente, consente alle regioni interessate di predisporre, entro il 31 ottobre 2013, un piano di ristrutturazione del debito del settore del trasporto pubblico regionale e locale maturato fino al 31 dicembre 2012. Per il finanziamento del piano ciascuna regione interessata è autorizzata, previa delibera CIPE, ad utilizzare le risorse alla stessa assegnate, in base alla delibera CIPE n. 1 dell’11 gennaio 2011, sul fondo sviluppo e coesione (ex-fondo per le aree sottoutilizzate) per il cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione dell’Unione europea (la delibera n. 1/2011 concerne Obiettivi, criteri e modalità di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013). Tali risorse possono essere utilizzate nel limite massimo concordato tra ciascuna Regione, il Ministero per la coesione territoriale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell’economia e delle finanze sulla base del Piano medesimo. Conseguentemente il CIPE provvederà alla riprogrammazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

 

La disposizione risulta finalizzata, in base al testo della stessa, a:

§      rimuovere lo squilibrio finanziario derivante da debiti pregressi inerenti i servizi di trasporto pubblico regionale e locale;

§      applicare i criteri di efficientamento e razionalizzazione previsti dall’articolo 16-bis, comma 3, del decreto-legge n. 95/2012. Conseguentemente si prevede che il piano di rientro predisposto dalle regioni interessate debba individuare le misure di razionalizzazione ed efficientamento alla luce di tali criteri.

 

La disposizione richiamata, nel testo modificato dall’articolo 1, comma 301, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), stabilisce che i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico regionale e locale, anche ferroviario, istituito dal medesimo articolo 16-bis (ed alimentato con i proventi di un’aliquota di compartecipazione sulla benzina e sul gasolio per autotrazione)[74] siano definiti, entro il 31 gennaio 2013 , con D.P.C.M., su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi d’intesa con la Conferenza unificata. Sulla base dei criteri individuati le regioni dovranno adottare (in base al comma 4) un piano di programmazione dei servizi. Il comma 3 già indica alcuni criteri, prevedendo che si tenga conto, in particolare, del rapporto tra ricavi da traffico e costi dei servizi previsto dalla normativa nazionale vigente in materia di servizi di trasporto pubblico locale e di servizi ferroviari regionali, salvaguardando esigenze della mobilità nei territori, anche con differenziazione dei servizi,. Si richiamano inoltre:

a)  il miglioramento dell’offerta di servizio, rendendola più idonea, efficiente ed economica per il soddisfacimento della relativa domanda;

b)  l’incremento progressivo del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi;

c)  la progressiva riduzione dei servizi offerti in misura eccessiva rispetto alla domanda e il corrispondente incremento, qualitativo e quantitativo, dei servizi per i quali si registra una domanda elevata;

d)  la definizione di appropriati livelli occupazionali;

e)  la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e verifica.

In attuazione della disposizione è stata emanato il DPCM 11 marzo 2013 che prevede che le risorse stanziate sul Fondo siano ripartite entro il 30 giugno di ciascun anno con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze, da emanare, sentita la Conferenza Unificata. La ripartizione è effettuata per il 90% sulla base delle percentuali fissate nella Tabella 1 del decreto e per il residuo 10% in base alle medesime percentuali ma subordinatamente alla verifica del raggiungimento degli obiettivi di: a) un'offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; b) il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; c) la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; d) la definizione di livelli occupazionali appropriati; e) la previsione di idonei strumenti di monitoraggio e di verifica. A titolo di anticipazione il 60% delle risorse viene ripartito ed erogato alle regioni sulla base delle percentuali della Tabella 1, mentre Il residuo 40%, al netto delle eventuali riduzioni conseguenti al mancato raggiungimento degli obiettivi, viene erogato su base mensile a decorrere dal mese di agosto di ciascun anno. Le regioni provvedono poi ai corrispondenti trasferimenti agli enti locali.

 

La disposizione inoltre fa salvo quanto disposto:

§      dall’articolo 11, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 35/2013, che ha introdotto un analogo meccanismo limitatamente alla regione Piemonte (possibilità di attingere, per la copertura del disavanzo nel settore del trasporto pubblico locale, nel limite massimo di 150 milioni di euro per l’anno 2013, alle risorse del Fondo di sviluppo e coesione assegnate al Piemonte previa presentazione di un piano di razionalizzazione dei servizi);

§      l’articolo 16, commi 4 e 9 del decreto-legge n. 83/2012.

 

Tali disposizioni prevedono:

un’autorizzazione di spesa di 40 milioni di euro per il 2012 per garantire il trasferimento alle regioni Calabria e Puglia della proprietà delle società Ferrovie della Calabria S.r.l e Ferrovie del Sud-Est e servizi automobilistici S.r.l.(individuando la copertura, per la regione Calabria, nelle risorse del Fondo sviluppo e coesione; comma 4);

l’utilizzo delle risorse del fondo sviluppo e coesione, per gli anni 2012 e 2013, a copertura dei debiti del trasporto regionale su ferro della Campania (comma 9).

 

Il comma 11-sexies contiene una disposizione analoga a quella del comma 11-quinquies, con riferimento specifico alla regione Calabria. Tale regione è infatti autorizzata, previo accordo con il Ministro per la coesione territoriale e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad attingere, nel limite massimo di 100 milioni di euro per il biennio 2013-2014, alle risorse del Fondo sviluppo e coesione assegnate alla Calabria per il cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione dell’Unione europea. Tali risorse sono finalizzate a:

§      nel limite di 40 milioni di euro, interventi per l’efficientamento dei servizi di trasporto, compreso l’acquisto di materiale rotabile automobilistico e ferroviario;

§      nel limite di 60 milioni di euro, per garantire la copertura degli oneri di parte corrente nelle more della produzione degli effetti di efficientamento e di razionalizzazione previsti dal già sopra richiamato articolo 16-bis del decreto-legge n. 95/2012.

 

Non è prevista però la presentazione di uno specifico piano di razionalizzazione.


 

Articolo 26
(Proroghe in materia di appalti pubblici
)

 

Il comma 1 dell'articolo 26, che riscrive il comma 418 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), proroga al 31 gennaio 2014 e al 30 aprile 2014 i termini di pubblicazione dei dati relativi all’esercizio 2012 in materia di procedimenti di scelta del contraente. Si tratta delle scadenze previste per i dati relativi all’esercizio 2013.

La norma dispone, pertanto, che tali dati siano pubblicati unitamente ai dati relativi al 2013.

Si ricorda in proposito che il comma 32 dell’art. 1 della L. 190/2012 (recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”) prevede i seguenti adempimenti:

§      entro il 31 gennaio di ogni anno, le stazioni appaltanti, con riferimento ai procedimenti di scelta del contraente ai sensi del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006), devono pubblicare una serie di informazioni (struttura proponente; oggetto del bando; elenco degli operatori invitati a presentare offerte; aggiudicatario; importo di aggiudicazione; tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; importo delle somme liquidate), relativamente all'anno precedente, in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Lo stesso comma prevede che le medesime informazioni siano trasmesse all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) ai fini della successiva pubblicazione sul sito web dell’Autorità stessa;

§      entro il 30 aprile di ogni anno, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) deve trasmettere alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, in formato digitale standard aperto, le informazioni suddette.

 

Il testo previgente del comma 418 prevedeva che, in sede di prima applicazione (quindi in sostanza per i dati relativi al 2012), i termini citati fossero differiti al 31 marzo 2013 e al 30 giugno 2013.

 

Si segnala che l’AVCP ha provveduto in data 26 maggio 2013, con la deliberazione n. 26, ad emanare le prime indicazioni per l'assolvimento degli adempimenti in questione.

 

Il comma 2 proroga di 2 anni, dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2015, i termini fissati dalle seguenti disposizioni recate dall’art. 253 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), che prevedono una serie di agevolazioni transitorie rispetto al regime ordinario:

§      comma 9-bis, che disciplina le modalità di dimostrazione di requisiti a fini di qualificazione delle imprese. In particolare il comma riguarda:

-       la dimostrazione del requisito della cifra di affari realizzata con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, del requisito dell'adeguata dotazione di attrezzature tecniche e del requisito dell'adeguato organico medio annuo. A tal fine, la norma vigente prevede che sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), il periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori cinque anni del decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la SOA (Società Organismo di Attestazione) per il conseguimento della qualificazione. Relativamente a tale disposizione, nel corso dell’esame in sede referente, è stata approvata una modifica volta a sostituire il riferimento ai migliori cinque anni del decennio con il decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con le SOA. La Commissione ambiente, nel parere favorevole approvato l’11 luglio 2013, aveva inoltre segnalato tale modifica tra le condizioni formulate;

-       la dimostrazione del requisito dei lavori realizzati in ciascuna categoria e del requisito dell'esecuzione di un singolo lavoro ovvero di due o tre lavori in ogni singola categoria. A tal fine, sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), sono da considerare i lavori realizzati nel decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la SOA per il conseguimento della qualificazione. Le disposizioni si applicano anche alle imprese di cui all'articolo 40, comma 8 (imprese affidatarie di lavori pubblici di importo fino a 150.000 euro), per la dimostrazione dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo, nonché agli operatori economici di cui all'articolo 47 (operatori economici stabiliti in Stati diversi dall'Italia) con le modalità ivi previste.

Le citate agevolazioni operano in luogo delle disposizioni del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti, di cui al D.P.R. 207/2010, che fanno riferimento all’ultimo quinquennio (cfr. artt. 79, 83 e 90 del Regolamento).

§      comma 15-bis, che disciplina le modalità di dimostrazione dei requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria in relazione alle procedure di affidamento di cui all'art. 91 (incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo).

Nel dettaglio il comma citato prevede che, per le finalità indicate, sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), il periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori tre anni del quinquennio precedente o ai migliori cinque anni del decennio precedente la data di pubblicazione del bando di gara. Le disposizioni si applicano anche agli operatori economici di cui all'articolo 47 (operatori economici stabiliti in Stati diversi dall'Italia) con le modalità ivi previste;

Le citate agevolazioni operano in luogo delle disposizioni dettate dall’art. 263 del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti, di cui al D.P.R. 207/2010.

§      comma 20-bis, che consente fino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), alle stazioni appaltanti, di applicare le disposizioni di cui agli articoli 122, comma 9, e 124, comma 8 (che consentono l’esclusione automatica delle offerte anomale) a tutti i contratti di importo inferiore alle soglie comunitarie previste dall’art. 28 del Codice.


 

Articolo 26-bis
(Suddivisione in lotti)

 

L’articolo, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede, al fine di agevolare l’attività delle piccole e medie imprese, una serie di adempimenti riguardanti la suddivisione in lotti funzionali degli affidamenti relativi ai contratti per lavori, servizi e forniture.

In particolare, il comma 1 modifica l’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), prevedendo che la stazione appaltante, nella determina a contrarre[75], deve indicare la motivazione della mancata suddivisione degli appalti in lotti funzionali.

L’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. 163/2006 prevede, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, l’obbligo delle stazioni appaltanti, ove possibile ed economicamente conveniente, di suddividere gli appalti in lotti funzionali. Si prevede, inoltre, che i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese.

Il comma 2 dispone, attraverso una novella all’articolo 6, comma 5, del suddetto Codice, che, nell’ambito dello svolgimento delle funzioni di vigilanza sui contratti, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici deve garantire il rispetto della tutela delle piccole e medie imprese, attraverso un’adeguata suddivisione degli affidamenti in lotti funzionali.

L’articolo 6, comma 5 del D.Lgs. 163/2006 disciplina le funzioni di vigilanza dell'Autorità sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali, nonché, nei limiti stabiliti dal codice, sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture esclusi dall'ambito di applicazione del codice medesimo, al fine di garantire l'osservanza dei principi previsti e, segnatamente, il rispetto dei principi di correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del contraente, e di economica ed efficiente esecuzione dei contratti, nonché il rispetto delle regole della concorrenza nelle singole procedure di gara.

 

In merito alle comunicazioni delle stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori all'Osservatorio dei contratti pubblici per contratti di importo superiore a 50.000 euro, il comma 3 introduce, per i dati concernenti il contenuto dei bandi, la specificazione dell'eventuale suddivisione in lotti.

La novella riguarda le comunicazioni previste all'articolo 7, comma 8, lettera a), del D.Lgs. 163/2006, per cui le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a fornire all'Osservatorio, per contratti di importo superiore a 50.000 euro, entro trenta giorni dalla data dell'aggiudicazione definitiva o di definizione della procedura negoziata, i dati concernenti il contenuto dei bandi, dei verbali di gara, i soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione definitiva, il nominativo dell'affidatario e del progettista.


 

Articolo 26-ter
(Anticipazione del prezzo negli appalti di lavori)

 

L’articolo, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede la corresponsione in favore dell’appaltatore di un’anticipazione pari al 10 per cento dell’importo contrattuale. La norma introduce di fatto una deroga ai divieti vigenti di anticipazione del prezzo con una norma transitoria che si applicherà fino al 31 dicembre 2014.

Il comma 1 dell’articolo 140 del Regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice dei contratti pubblici di cui al D.P.R. 207/2010 (d’ora in avanti Regolamento) prevede l’applicazione del divieto di anticipazioni del prezzo di cui all’articolo 5 del D.L. 79/1997. Tale norma, inclusa tra varie disposizioni di contenimento della spesa pubblica, vieta alle amministrazioni pubbliche ed agli enti pubblici economici di concedere, in qualsiasi forma, anticipazioni del prezzo in materia di contratti di appalto di lavori, di forniture e di servizi, con esclusione dei contratti già aggiudicati alla data di entrata in vigore del decreto e di quelli riguardanti attività oggetto di cofinanziamento da parte dell'Unione europea.

 

La norma si applica ai contratti di appalto relativi a lavori, disciplinati dal decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), affidati a seguito dello svolgimento di procedure di gara bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge purché l’anticipazione del prezzo sia già prevista e pubblicizzata nella gara di appalto.

 

Da ultimo, si prevede l’applicazione degli articoli 124, commi 1 e 2, e l’articolo 140, commi 2 e 3, del Regolamento.

Il comma 1 dell’articolo 124 prevede che l'erogazione dell'anticipazione, ove consentita dalla leggi vigenti, è subordinata alla costituzione di garanzia fideiussoria bancaria o assicurativa di importo pari all'anticipazione maggiorato del tasso di interesse legale applicato al periodo necessario al recupero dell'anticipazione stessa secondo il cronoprogramma dei lavori. Il comma 2 del medesimo articolo 124 dispone che l'importo della garanzia viene gradualmente ed automaticamente ridotto nel corso dei lavori, in rapporto al progressivo recupero dell'anticipazione da parte delle stazioni appaltanti.

Il comma 2 dell’articolo 140 prevede che, nei casi consentiti dalle leggi vigenti, le stazioni appaltanti erogano all'esecutore, entro quindici giorni dalla data di effettivo inizio dei lavori accertata dal responsabile del procedimento, l'anticipazione sull'importo contrattuale nella misura prevista dalle norme vigenti. La ritardata corresponsione dell'anticipazione obbliga al pagamento degli interessi corrispettivi a norma dell'articolo 1282 codice civile. Il comma 3 del medesimo articolo 140 dispone la decadenza del beneficiario decade dall'anticipazione se l'esecuzione dei lavori non procede secondo i tempi contrattuali; sulle somme restituite sono dovuti gli interessi corrispettivi al tasso legale con decorrenza dalla data di erogazione della anticipazione.


 

Articolo 27
(Semplificazione in materia di procedura CIPE
e concessioni autostradali
)

 

Il comma 1 dell'articolo 27, attraverso la riscrittura del comma 5 dell’art. 21 del D.L. 355/2003, modifica la procedura per l’approvazione degli adeguamenti annuali delle tariffe autostradali, al fine di armonizzarla al mutato assetto delle competenze istituzionali, a seguito del trasferimento dall'ANAS al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) delle funzioni di concedente della rete autostradale.

Ciò spiega l’eliminazione della parte della disposizione che disciplinava, nell’ambito della citata procedura, il rapporto tra concedente e MIT, cioè tra due soggetti che nel mutato assetto vengono a coincidere.

Ulteriori modifiche, come si evince dal testo a fronte di seguito riportato, riguardano le mutate scadenze temporali e l’inserimento del parametro K.

Si ricorda che la componente investimenti del parametro K (indicata anche con la simbologia KINVESTIMENTI) rappresenta, nelle formule di adeguamento tariffario[76], la variazione percentuale annuale della tariffa determinata ogni anno in modo da consentire la remunerazione degli investimenti realizzati l’anno precedente quello di applicazione.

Benché non contemplata dal testo previgente, il parametro K era comunque già tenuto in considerazione nell’ambito della procedura di cui trattasi[77].

 

Testo previgente

Nuovo testo

5. Il concessionario provvede a comunicare al concedente, entro il 31 ottobre di ogni anno, le variazioni tariffarie che intende applicare nonché la componente investimenti del parametro X relativo a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi.

Il concedente, nei successivi trenta giorni, previa verifica della correttezza delle variazioni tariffarie, trasmette la comunicazione, nonché una sua proposta,

5. Il concessionario formula al concedente, entro il 15 ottobre di ogni anno, la proposta di variazioni tariffarie che intende applicare nonché la componente investimenti dei parametri X e K relativi a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi.

ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, i quali, di concerto, approvano o rigettano le variazioni proposte con provvedimento motivato nei quindici giorni successivi al ricevimento della comunicazione.

Con decreto motivato del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 15 dicembre, sono approvate o rigettate le variazioni proposte.

Il provvedimento motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonché alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente

Il decreto motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonché alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente.

 

Il comma 2, lettera a), interviene sulla disciplina delle opere strategiche, al fine di accelerare la nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare (PP) da parte del CIPE, prevista dall'art. 169-bis del D.Lgs. 163/2006 (introdotto dall'art. 41, comma 2, lett. a), del D.L. 201/2011).

Viene altresì inserita la corretta denominazione del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (istituito con D.P.C.M. 21 giugno 2007), in luogo di quella errata (Dipartimento per la programmazione economica) recata dal testo previgente.

Relativamente alla citata procedura di approvazione unica del PP, si ricorda che il testo del comma 1 dell’art. 169-bis del Codice dei contratti pubblici, nella parte non novellata, prevede che, su proposta del MIT, il CIPE possa valutare il PP ai fini dell'approvazione unica dello stesso, assicurando l'integrale copertura finanziaria del progetto. In caso di opere finanziate a carico della finanza pubblica, la delibera CIPE relativa al PP deve indicare un termine perentorio, a pena di decadenza dell'efficacia della delibera e del finanziamento, per l'approvazione del progetto definitivo. In caso di approvazione unica del PP, il progetto definitivo è approvato con decreto interministeriale (adottato di concerto dai Ministeri delle infrastrutture, dell’economia e dell’ambiente, per i profili di rispettiva competenza), sentito il citato Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

L’accelerazione della citata procedura viene impressa attraverso la previsione:

§      di un termine (di 60 giorni) per il pronunciamento da parte del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri;

§      del meccanismo del silenzio-assenso nei casi di mancato rispetto del termine citato, per cui il provvedimento di approvazione può essere comunque adottato.

 

Il comma 2, lettera b), interviene ulteriormente sulla medesima procedura di approvazione, ma con riguardo all’iter del progetto definitivo (PD), disciplinato dal comma 3 dell'art. 169-bis del D.Lgs. 163/2006.

Relativamente al citato iter approvativo del PD, si ricorda che il testo del comma 3, nella parte non novellata, prevede che il PD sia rimesso da parte del soggetto aggiudicatore, del concessionario o contraente generale a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto rappresentate nel CIPE e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo, nonché ai gestori di opere interferenti. Nel termine perentorio di 45 giorni dal ricevimento del progetto le P.A. competenti e i gestori di opere interferenti possono presentare motivate proposte di adeguamento o richieste di prescrizioni per il PD o di varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere, nel rispetto dei limiti di spesa e delle caratteristiche prestazionali e delle specifiche funzionali individuati in sede di progetto preliminare. Nei 30 giorni successivi il MIT valuta la compatibilità delle proposte e richieste pervenute dalle P.A. competenti e dai gestori di opere interferenti con le indicazioni vincolanti contenute nel progetto preliminare approvato e, nel caso in cui verifichi il rispetto di tutte le condizioni previste dal comma 2, il PD viene approvato con il decreto interministeriale previsto dal comma 1.

 

La citata procedura viene integrata con la previsione di un periodo aggiuntivo, alla fine del comma 3 dell'art. 169-bis, che, in caso di criticità procedurali, tali da non consentire il rispetto del citato termine di 30 giorni per l’adozione del decreto, dispone che il MIT riferisce al Consiglio dei Ministri per le conseguenti determinazioni.


 

Articolo 28
(Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento)

 

L’articolo 28, modificato nel corso dell’esame in sede referente, introduce il diritto di chiedere un indennizzo da ritardo della pubblica amministrazione nella conclusione dei procedimenti amministrativi iniziati ad istanza di parte. La misura si affianca all’istituto del risarcimento del danno da ritardo, già previsto dalla legge n. 241/1990 (di seguito, legge proc.), e, al pari di questo, è volta a conseguire un più vasto rispetto dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi.

L’ipotesi attiene al ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo, come, ad esempio, la p.a. che debba rendere un parere), ma anche dai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative (co. 1).

Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’indennizzo è ammesso solo nelle ipotesi di mero ritardo nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte. Pertanto l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d’ufficio ed è determinato dal fattore temporale quale mero nesso causale.

Inoltre, anche per i procedimenti avviati su iniziativa di parte, è espressamente escluso in via ulteriore:

§      nei procedimenti concernenti lo svolgimento di pubblici concorsi;

§      nelle ipotesi di silenzio qualificato.

La misura dell’indennizzo è stabilita in una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo rispetto alla data di scadenza del termine procedimentale. È stabilito anche un tetto massimo, in base al quale l’indennizzo non può essere superiore in ogni caso alla somma di 2.000 euro.

 

Per ottenere l’indennizzo, il comma 2 dell’articolo 28 richiede all’istante di azionare il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, co. 9-bis, della legge proc. (per una ricostruzione del quale, insieme con l’analisi delle disposizioni vigenti in materia di conclusione del procedimento amministrativo, si rinvia alle schede di lettura predisposte per l’esame in sede referente).

A seguito delle modifiche approvate in sede referente, l’istante deve rivolgersi al titolare del potere sostitutivo entro venti giorni (anziché sette come nel testo originario) dalla scadenza del termine procedimentale.

Inoltre, in sede referente è stato precisato che, nelle ipotesi di procedimenti in cui intervengono più amministrazioni, l’istanza per l’indennizzo deve essere presentata all’amministrazione responsabile del procedimento, che provvede a trasmetterla al titolare del potere sostitutivo dell'amministrazione responsabile del ritardo.

 

Il comma 3 della disposizione prevede che qualora il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento ovvero non liquidi l’indennizzo maturato fino a quella data, l’istante può proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 117 del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), che disciplina il rito avverso il silenzio della p.a.

 

La formulazione del testo dell’articolo 3 non consente un’immediata comprensione del procedimento de quo. In particolare, non appare chiaro: se il responsabile del potere sostitutivo possa in via discrezionale optare per l’adozione del provvedimento o per l’indennizzo; ovvero debba procedere all’indennizzo solo qualora non provveda ad emanare il provvedimento in via sostitutiva nel termine, ridotto della metà rispetto a quello originario, fissato dall’art. 2, co. 9-ter, legge proc..

Si valuti, inoltre, l’opportunità di coordinare la disposizione in esame con quelle dettate dai commi 9-bis e ss. dell’art. 2, legge proc, mediante novella di tale disposizione.

 

Il ricorso giurisdizionale previsto dal citato art. 117 è volto ad accertare la legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione all’obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso. Il legislatore fa salva la possibilità di proporre ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell’articolo 118 del Codice ove ne ricorrano i presupposti.

 

La disposizione specifica che può proporsi congiuntamente al ricorso avverso il silenzio, anche la domanda per ottenere l'indennizzo. In questa ipotesi, anche tale domanda è trattata con rito camerale e decisa con sentenza in forma semplificata.

 

Attualmente, l’articolo 117, co. 6, prevede che se insieme all’azione avverso il silenzio viene proposta l’azione di risarcimento del danno per inosservanza dolosa o colposa del termine per provvedere, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e fissare l’udienza pubblica per la trattazione della domanda risarcitoria.

 

Ai sensi del comma 6, qualora il giudice dichiari inammissibile il ricorso ovvero lo rigetti in ragione della inammissibilità o della manifesta infondatezza dell’istanza che ha dato avvio al procedimento, il giudice condanna il ricorrente a pagare una somma da due a quattro volte superiore il contributo unificato in favore dell’amministrazione resistente.

 

Si ricorda che, proprio al fine di favorire il rispetto dell’obbligo di provvedere nei termini previsti, il legislatore ha introdotto la c.d. conclusione semplificata del procedimento di cui all’articolo 2, co. 1, legge proc.

 

Il comma 5 dell’articolo 28 riduce della metà il contributo unificato nei ricorsi disciplinati dalla disposizione in commento e pone un vincolo di destinazione delle relative risorse in favore di un capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, che lo utilizzerà per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia amministrativa (ex art. 37, comma 10, secondo periodo del D.L. 98/2011). Nel corso dell’esame in sede referente, la riduzione del contributo unificato è stata estesa ai giudizi di opposizione e a quelli di appello conseguenti al ricorso principale.

 

Quanto all’importo del contributo unificato, In base all’art. 13, comma 6-bis, del TU spese di giustizia (D.P.R. 115/2002) per il ricorso ai sensi dell’art. 117 del Codice del processo amministrativo sono dovuti 300 euro; conseguentemente, nei casi appena descritti, il contributo dovuto è di 150 euro. Pertanto, si consideri che l’indennizzo per cinque giorni di ritardo rifonde del pagamento del contributo.

 

La segreteria del giudice è tenuta dalla previsione contenuta al comma 7 a comunicare la pronuncia di condanna a carico dell’amministrazione:

§      alla Corte dei conti al fine del controllo di gestione sulla pubblica amministrazione;

§      al Procuratore regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza

§      al titolare dell'azione disciplinare verso i dipendenti pubblici interessati dal procedimento amministrativo.

 

Il comma 8, infine, prevede che sia nella comunicazione di avvio del procedimento (prevista dall’art. 7, legge proc.), sia nelle informazioni sul procedimento che devono essere pubblicate a cura delle p.a. ai sensi dell’art. 35, D.Lgs. 33/2013, debba essere fatta menzione:

§      del diritto all'indennizzo, nonché delle modalità e dei termini per conseguirlo

§      del soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e i termini a questo assegnati per la conclusione del procedimento.

 

Sul punto, si ricorda che l’articolo 35 del citato D.Lgs. 33/2013 già prevede, al comma 1, lett. m), la pubblicazione del nome del soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché le modalità per attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale. Atteso, inoltre, che con il D.Lgs. 33, il legislatore ha inteso raccogliere e riordinare tutte le disposizioni relative agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, si valuti l’opportunità di coordinare nuovi obblighi con novelle al testo del decreto medesimo.

 

Il comma 9 dell’articolo 28 novella la legge proc. introducendo all’articolo 2-bis, che prevede al comma 1 la risarcibilità del danno da ritardo, un nuovo comma 2.

La nuova disposizione prevede quanto già disposto dal comma 1 dell’articolo 28 in commento, ossia, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, il diritto dell’istante di ottenere un indennizzo per il mero ritardo. Al pari di quanto previsto al comma 1 della disposizione in commento sono escluse le ipotesi di silenzio qualificato e i procedimenti relativi ai concorsi pubblici.

La disposizione prosegue rinviando alla legge o, sulla base di una legge, ad un regolamento di delegificazione per disciplinare le condizioni e le modalità del diritto all’indennizzo.

 

Da ultimo, la novella precisa che in caso di indennizzo, le somme corrisposte o da corrispondere a tale titolo sono detratte dal risarcimento.

In tal modo si ribadisce che la richiesta di indennizzo non esclude, ricorrendone i presupposti, di chiedere anche il risarcimento del danno da ritardo. In tale ipotesi, il risarcimento sarà dovuto solo per la misura maggiore, tenuto conto della cifra corrisposta o da corrispondere (ancorché quantificata) a titolo di indennizzo.

 

I commi 10, 11 e 12 dell’articolo 28 dettano disposizioni relative alla efficacia delle disposizioni sul diritto all’indennizzo da ritardo.

In particolare, si prescrive l’applicazione in via sperimentale delle stesse ai soli procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa, iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, con decorrenza a partire da tale data.

La fase sperimentale avrà una durata di diciotto mesi, al termine dei quali, sulla base del monitoraggio relativo alla sua applicazione, sarà adottato un regolamento di delegificazione ex art. 17, co. 2, L. 400/1988, con il quale potranno essere stabiliti la conferma o la rimodulazione o la “cessazione” – rectius dell’efficacia - delle disposizioni sull’indennizzo per i procedimenti relativi all’impresa, ovvero anche la decorrenza di tali disposizioni per i procedimenti amministrativi esclusi dalla prima fase sperimentale. L’applicazione per questi potrà avvenire eventualmente con modalità graduali.

Il regolamento è adottato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata.

 

A proposito dell’autorizzazione alla delegificazione disposta dal comma 12, si segnala che la sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2012, in un obiter dictum, lascia impregiudicata – cioè non esclude - la possibilità di pronunciarsi sulla “correttezza della prassi di autorizzare l’emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreto-legge”, nonché “ogni valutazione sulle procedure di delegificazione non conformi al modello previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, quale è quella prevista dalla disposizione impugnata, che non determina «le norme generali regolatrici della materia», né indica espressamente le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione”.

 

Il comma 11 prevede che gli oneri finanziari derivanti dall’applicazione dell’indennizzo restano a carico degli stanziamenti ordinari di bilancio di ciascuna amministrazione interessata.


 

Articolo 29
(Data unica di efficacia degli obblighi)

 

L’articolo 29 pone l’obbligo di fissare la data di decorrenza dell’efficacia degli obblighi amministrativi introdotti a carico di cittadini ed imprese al 1° luglio o al 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore.

Inoltre, viene posto l’obbligo da parte del responsabile della trasparenza delle amministrazioni competenti sia di pubblicare sul sito istituzionale le date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti, sia di comunicarle al Dipartimento della funzione pubblica, che a sua volta le pubblicherà in apposite pagine web.

Entrambi gli obblighi, come si vedrà infra in dettaglio, non sono immediatamente efficaci.

 

In primo luogo, il comma 1 individua le categorie degli atti che, qualora introducano nuovi oneri amministrativi a carico di cittadini ed imprese, devono contestualmente prevederne la decorrenza dell’efficacia in due “finestre” predeterminate: appunto il 1° luglio o il 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore. In particolare la disposizione riguarda i seguenti provvedimenti:

§      atti normativi del Governo;

§      regolamenti ministeriali;

§      atti amministrativi a carattere generale:

-       delle amministrazioni dello Stato

-       degli enti pubblici nazionali e

-       delle agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

Si tratta, come si vede di una ampia ed eterogenea pluralità di atti – idonea a comprendere anche i decreti-legge, in quanto “atti normativi del Governo” - accomunati dalla caratteristica della generalità dei soggetti nei confronti dei quali producono i propri effetti.

 

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che gli atti amministrativi generali “sono espressione di mera potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili”; i regolamenti, che rientrano tra gli atti normativi, sono, invece, “espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza” (T.A.R. Basilicata, 197/2000, Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2001).

 

Inoltre, il comma 1 prevede due deroghe in presenza di particolari esigenze di celerità dell'azione amministrativa o derivanti dalla necessità di dare tempestiva attuazione ad atti dell'Unione europea.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di estendere espressamente l’applicazione della disposizione in esame alle autorità amministrative indipendenti, in ordine delle ampie competenze regolatorie proprie di alcune di esse.

 

Il comma 2 provvede a delimitare l’ambito oggettivo di applicazione di quanto disposto dal comma 1: la dichiarazione della decorrenza dell’efficacia riguarda gli obblighi amministrativi che comportano la “raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti, cui cittadini e imprese sono tenuti nei confronti della pubblica amministrazione”. Sono, pertanto, escluse altre tipologie di scadenze, ad esempio quelle riguardanti i pagamenti.

 

La misura introdotta dall’articolo in esame non interviene sul versante della riduzione degli oneri amministrativi – politica avviata della scorsa legislatura - ma intende limitare uno degli effetti derivanti dall’instabilità normativa, ossia la frequente modificazione delle modalità, procedure e termini concernenti gli obblighi amministrativi gravanti su cittadini ed imprese, attraverso appunto l’introduzione di due “finestre” annuali prefissate di decorrenza di tali modifiche, in modo da consentire la predisposizione per tempo da parte degli interessati degli strumenti necessari per ottemperare a detti obblighi.

 

La riduzione degli oneri amministrativi è un tema che si inquadra nella cornice ordinamentale europea ed è stato perseguito in base all’impegno assunto dallo Stato italiano nel Consiglio dei ministri europeo dell’8-9 marzo 2007. Per “oneri amministrativi”, s’intendono i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.

Sulla materia, nel corso della XVI legislatura, si sono susseguiti diversi interventi normativi, costituiti dall’articolo 25 del D.L. 112/2008, poi modificato dall’art. 6, co. 2, lett. f), D.L. 70/2011, dall’articolo 8 della L. 180/2011 (c.d. statuto delle imprese) e, da ultimo, dall’art. 3, del D.L. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni).

L’obiettivo perseguito è, da un parte, la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato e, dall’altro, la loro riduzione per una quota complessiva del 25 per cento, entro il 31 dicembre 2012.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di prevedere, in aggiunta alle due date di decorrenza, anche l’introduzione di un periodo di tempo predeterminato che debba necessariamente intercorrere tra la pubblicazione del provvedimento recante un nuovo onere e la sua entrata in vigore, in modo da evitare l’eventualità che l’effetto di conoscibilità sia precluso in caso di provvedimenti adottati in una data molto prossima ad una delle due finestre.

Andrebbe, inoltre, valutata l’opportunità di applicare le disposizioni in esame non solamente agli atti che introducono nuovi oneri amministrativi, ma anche a quelli che modificano quelli vigenti.

 

Inoltre, il comma 3 aggiungendo un articolo 12-bis al decreto legislativo 33/2013 che raccoglie le disposizioni in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni, prevede che il responsabile della trasparenza di ciascuna delle amministrazioni competenti sia tenuto a pubblicare sul sito istituzionale lo scadenzario con l'indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti. Inoltre, lo scadenzario viene comunicato al Dipartimento della funzione pubblica per la pubblicazione riepilogativa in un'apposita sezione del sito istituzionale.

L’inosservanza di tali obblighi costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.

Le modalità di pubblicazione sono demandate ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio, da adottare, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (comma 4).

 

Sul punto, si ricorda che l’articolo 34 del citato D.Lgs. 33/2013 già prevede la pubblicazione degli oneri informativi, definiti come qualunque obbligo informativo o adempimento che comporti la raccolta, l'elaborazione, la trasmissione, la conservazione e la produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione. Pertanto, si valuti l’opportunità di un coordinamento tra le due disposizioni.

 

Infine, il comma 5 introduce una disposizione transitoria, fissando la decorrenza dell’efficacia del comma 1 al 2 luglio 2013.

In merito a tale decorrenza appare opportuno un chiarimento per quanto riguarda la scelta della data.


 

Articolo 29-bis
(Interpretazione autentica dell’articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di incompatibilità)

 

L’articolo 29-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (conv. L. 14 settembre 2011, n. 148).

 

L’art. 13, comma 3, ha stabilito una causa di incompatibilità tra le cariche di deputato, di senatore, membro del Parlamento europeo e di membro del Governo ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge n. 215 del 2004 (ministro, viceministro, sottosegretario, commissario straordinario di governo) con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti (in pratica, sindaco di comune con più di 5.000 abitanti e presidente di provincia). E’ stato disposto anche il divieto di cumulo delle indennità derivanti dall’esercizio contemporaneo delle cariche incompatibili nel periodo precedente l’opzione.

La disposizione, inoltre, prevede che tale incompatibilità si applichi a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative alla prima legislatura parlamentare successiva alla data di entrata in vigore del decreto (che si ricorda sono state indette il 22 dicembre 2012 e si sono svolte il 24 e 25 febbraio 2013).

 

Ed è su questo punto che interviene, senza novellare il decreto-legge n.138, l’articolo in esame: esso esclude l’applicazione di tale causa di incompatibilità agli enti territoriali tra i 5.000 e i 15.000 abitanti le cui elezioni si siano tenute successivamente alla data di entrata in vigore del decreto 138 (17 settembre 2011).

La disposizione afferma un obiettivo di contenimento della spesa pubblica per lo svolgimento di consultazioni elettorali locali.

 

Si osserva che la disposizione in esame sembra avere un effetto modificativo sull’ordinamento vigente invece che interpretativo, elevando la soglia sotto la quale non sussiste incompatibilità a 15 mila abitanti.

Si consideri, inoltre, che il termine di decorrenza degli effetti della disposizione che si intende interpretare, come si è detto, è già superato e che presumibilmente sono già state effettuate alcune opzioni: con l’entrata in vigore della disposizione in esame si potrebbe avere una evidente disparità di condizione tra chi ha esercitato l’opzione e chi no.

Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di coordinare le due disposizioni prevedendo eventualmente un regime transitorio.

 

Si ricorda, inoltre, che la Corte costituzionale ha anticipato, in un certo senso, il principio ispiratore dell’incompatibilità introdotta dal decreto-legge 138, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della L. 60/1953 (relativa alle incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20 mila abitanti (sent. 277/2011).

La Camera dei deputati ha recepito la sentenza della Corte costituzionale con la decisione della Giunta delle elezioni adottata nella seduta del 14 dicembre 2011 che ha accertato l'incompatibilità con il mandato parlamentare delle cariche di sindaco di comune con popolazione superiore a 20.000 abitanti ricoperte da 6 deputati.

La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha, invece, ritenuto di non applicare gli effetti della sentenza a due senatori/sindaci sui quali la Giunta si era già pronunciata in precedenza (seduta del 21 dicembre 2011).

Recentemente la Corte Costituzionale ha ribadito l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di comune con popolazione superiore ai 20 mila abitanti dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 63 del testo unico enti locali (D.Lgs. 63/267) nella parte in cui non prevede tale incompatibilità (sent. 120/2013).

 

Per quanto riguarda le province si ricorda che dal 2011 non si svolgono più le consultazioni per il rinnovo dei consigli provinciali e per l’elezione dei presidenti di provincia. Infatti, l'art. 23 del decreto-legge n. 201/2011 (poi dichiarato incostituzionale sent. 3 luglio 2013) aveva previsto la loro elezione di secondo grado, rinviando la determinazione delle modalità di elezione di tali organi a legge dello Stato che avrebbe dovuto essere approvata entro il 31 dicembre 2013. Nel frattempo agli organi politici in scadenza si sono sostituiti gestioni commissariali.


 

Articolo 30
(Semplificazioni in materia edilizia)

Modifiche della sagoma e ristrutturazione edilizia

Ai sensi del comma 1, lettera a), dell'articolo 30, salvo il comma 6 dell’art. 22 del D.P.R. 380/2001 (secondo cui la DIA deve essere preceduta, per lavori su immobili vincolati, dall’autorizzazione o parere previsto dalle norme vigenti), vengono esclusi dal novero degli “interventi di ristrutturazione edilizia” - elencati dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 3 del medesimo decreto - quelli di demolizione e ricostruzione che comportano variazioni nella sagoma.

Viene inoltre introdotto, all’art. 3, comma 1, lett. d), un periodo che mira a ricomprendere nella ristrutturazione edilizia anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti.

Le variazioni nella sagoma vengono invece ancora considerate come elemento per considerare l’intervento – sia di demolizione/ricostruzione, sia di ripristino/ricostruzione di edifici crollati/demoliti - come “di ristrutturazione edilizia” qualora l’immobile sia vincolato ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

 

La successiva lettera c) reca una modifica consequenziale, volta a far sì che gli interventi di ristrutturazione edilizie con modifiche della sagoma non siano più soggetti a permesso di costruire, a meno che non riguardino immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

 

Un’ulteriore modifica consequenziale è apportata dalla successiva lettera e), che novella l’art. 22, comma 2, del T.U. edilizia relativo alla possibilità di operare alcune tipologie di varianti al permesso di costruire semplicemente tramite la DIA.

La novella in questione, coordinandosi con quelle recate dalle lettere a) e c) del comma 1 dell'articolo 30, integra il citato comma 2 al fine di chiarire che il divieto di alterazione della sagoma riguarda i soli edifici vincolati ai sensi del D.Lgs. 42/2004.

Di conseguenza, negli edifici non vincolati, sarà possibile operare con la DIA una variante al permesso di costruire anche qualora la variante stessa preveda modifiche della sagoma.

 

Si ricorda che l’art. 22, comma 1, del Testo unico dispone che sono realizzabili mediante DIA gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 (permesso di costruire) e all'articolo 6 (attività edilizia libera), purché, ovviamente, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

Si ricorda inoltre che la DIA può essere sostituita dalla più snella SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49, del D.L. 78/2010, attraverso la sostituzione dell’art. 19 della L. 241/1990.

L’art. 5 (comma 2, lett. b) e c) del D.L. 70/2011 ha infatti chiarito che la SCIA si applica anche all’edilizia in sostituzione della DIA, ma non della superDIA (ovvero la Dia alternativa al permesso di costruire disciplinata dall'art. 22, comma 3), consentendo l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione (mentre con la DIA occorre attendere 30 giorni).

Riguardo agli immobili vincolati si ricorda che, comunque, l’art. 22, comma 6, prevede che la realizzazione degli interventi assoggettati a DIA o superDIA che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative, tra cui rientrano quelle dettate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004) che ha sostituito il D.Lgs. 490/1999, che ancora viene citato nel testo del comma 6.

Si segnala altresì che sulla questione dei mutamenti di sagoma si è espressa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 309/2011, ha censurato l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall’art. 22 della successiva L.R. 7/2010, che aveva definito come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, in contrasto con l’allora vigente art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 che, secondo la Corte, rappresenta un principio fondamentale in materia di governo del territorio.

Con riferimento alle semplificazioni operate dalle lettere c) ed e), che consentono di eseguire con semplice DIA (e quindi, in sostituzione di questa, con la SCIA) interventi di ristrutturazione edilizia o varianti a permessi di costruire comportanti modifiche della sagoma, si segnala altresì la disposizione dettata dal comma 4 del nuovo art. 23-bis introdotto nel T.U. edilizia dalla lettera f) del comma 1 dell’articolo in esame (v. infra).

Dichiarazione del tecnico abilitato per interventi di edilizia libera

Il comma 1, lettera b), dell'articolo 30 novella l’art. 6, comma 4, del D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia) provvedendo ad abrogare quella parte del comma che prevedeva, limitatamente ad alcune tipologie di interventi di edilizia libera (indicati dalla lettere a) ed e-bis) del comma 2), la dichiarazione del tecnico abilitato di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.

Si ricorda che le citate lettere a) ed e-bis) del comma 2 dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001 elencano i seguenti interventi di edilizia libera:

a)  gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici;

e-bis) le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa.

Rilascio del permesso di costruire su immobili vincolati

La lettera d) del comma 1 dell'articolo 30 novella l’art. 20 del T.U. edilizia che disciplina il procedimento da seguire per il rilascio del permesso di costruire, nella parte relativa all’atto di assenso per immobili su cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

La principale innovazione apportata dalla lettera in esame, contemplata dal nuovo testo del comma 9, è che, in caso di immobili vincolati, il procedimento si deve concludere con l'adozione di un provvedimento espresso.

Il testo previgente prevedeva invece l’ipotesi del silenzio-rifiuto.

 

Nel caso di diniego dell’atto di assenso, viene previsto che il responsabile del procedimento trasmetta al richiedente il provvedimento di diniego entro 5 giorni dalla data in cui è acquisito agli atti, con le indicazioni di cui all’art. 3, comma 4, della L. 241/1990, cioè del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere.

Ulteriore novità è rappresentata dall’introduzione di una disposizione secondo cui, per gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, resta fermo quanto previsto dall’art. 146, comma 9, del D.Lgs. 42/2004.

Tale comma 9 disciplina la procedura da seguire nel caso di silenzio del soprintendente in merito al parere obbligatorio e vincolante che egli deve rendere sull'istanza di autorizzazione paesaggistica. La modifica apportata a tale comma dall’articolo 39, comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legge in commento, alla cui scheda si rinvia, è stata soppressa nel corso dell’esame in sede referente.

Autorizzazioni preliminari alla SCIA e alla comunicazione di inizio lavori

La lettera f) del comma 1 dell'articolo 30 introduce nel T.U. edilizia un nuovo articolo 23-bis in materia di autorizzazioni preliminari alla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e alla comunicazione dell’inizio dei lavori.

Il comma 1 dell’art. 23-bis prevede che, per gli interventi assoggettati a SCIA, l’interessato può richiedere allo sportello unico di provvedere all’acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l’intervento edilizio:

§         prima di presentare la SCIA;

§         o contestualmente alla segnalazione.

 

Lo stesso comma impone allo sportello unico di comunicare tempestivamente all’interessato l’avvenuta acquisizione degli atti di assenso e prevede la convocazione di apposita conferenza di servizi in mancanza della loro acquisizione entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della domanda, previsto dall’art. 20, comma 3, del T.U. edilizia.

Relativamente alla SCIA (introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49, del D.L. 78/2010, attraverso la sostituzione dell’art. 19 della L. 241/1990), si ricorda che essa si applica (come confermato dall’art. 5, comma 2, lett. b) e c), del D.L. 70/2011) anche all’edilizia in sostituzione della DIA, ma non della superDIA (ovvero la DIA alternativa al permesso di costruire disciplinata dall'art. 22, comma 3, del T.U. edilizia).

A sua volta la DIA, ai sensi dell’art. 22, comma 1, è ammessa per tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 (permesso di costruire) e all'articolo 6 (attività edilizia libera), purché, ovviamente, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

La presentazione della SCIA consente l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la DIA occorre attendere 30 giorni.

 

Il comma 2 dell’art. 23-bis prevede che, in caso di presentazione contestuale della SCIA e dell’istanza di acquisizione degli atti di assenso necessari per l’intervento edilizio, l’interessato possa dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o dell’esito positivo della conferenza di servizi.

 

Ai sensi del comma 3, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano anche alla comunicazione di inizio lavori (CIL) prevista per gli interventi di edilizia libera dall’art. 6, comma 2, qualora siano necessari atti di assenso, comunque denominati, per la realizzazione dell’intervento edilizio.

 

Il comma 4, riscritto durante l’esame in sede referente, reca una disposizione relativa alla realizzazione nelle zone territoriali omogenee A di cui al D.M. 1444/1968 e in quelle equipollenti secondo l'eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali - di interventi o di varianti a permessi di costruire ai quali è applicabile la SCIA e comportanti modifiche della sagoma rispetto all’edificio preesistente o già assentito.

Si ricorda che le citate zone A, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968, includono “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.

Rispetto al testo originario del decreto-legge, che si limita a prevedere che i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima di 20 giorni dalla presentazione della SCIA, il nuovo testo reca una disciplina più articolata che prevede:

§      adozione, entro il 31 dicembre 2013, di delibere comunali volte a individuare le aree nelle quali non è applicabile la SCIA per interventi di demolizione e ricostruzione, o per varianti a permessi di costruire, comportanti modifiche della sagoma;

§      divieto, nelle restanti aree interne alle zone omogenee A e a quelle equipollenti secondo l'eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali in cui è applicabile la SCIA, di inizio dei lavori prima che siano decorsi 30 giorni dalla presentazione della SCIA medesima.

 

Lo stesso comma dispone che, nelle more dell’adozione della deliberazione comunale citata, e comunque in sua assenza fino al 30 giugno 2014 la SCIA non è applicabile agli interventi predetti comportanti modifiche della sagoma nelle zone omogenee A.

Certificato di agibilità

La lettera g) integra il disposto dell’art. 24 del T.U. edilizia (che disciplina il rilascio del certificato di agibilità), mediante l’aggiunta di un nuovo comma 4-bis che consente il rilascio del certificato di agibilità parziale.

Tale comma 4-bis è stato modificato nel corso dell’esame in sede referente al fine di pervenire ad una formulazione più precisa.

Si fa notare che la lettera g) nel testo originario del decreto-legge prevede l’inserimento, nell’art. 24 del T.U. edilizia, anche di un comma 4-ter. Tale comma tuttavia è stato soppresso nel corso dell’esame in sede referente.

Il citato comma 4-ter dispone che nei predetti casi di rilascio del certificato di agibilità parziale, prima della scadenza del termine triennale entro il quale l’opera deve essere completata, lo stesso è prorogato, per una sola volta, di 3 anni. Lo stesso comma 4-ter dispone, sempre nei predetti casi di rilascio del certificato di agibilità parziale, che, salvo diversa indicazione delle leggi regionali, non si applicano le disposizioni dell’art. 25, comma 5-bis - introdotte dalla lettera h) del comma in esame - che semplificano le modalità di presentazione della domanda di rilascio del certificato di agibilità.

 

Il nuovo comma 4-bis, come riformulato nel corso dell’esame in sede referente, consente di richiedere il certificato di agibilità anche nei seguenti casi e alle condizioni indicate:

a)   per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;

b)   per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti, completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.

Si fa notare che la disposizione recata dal nuovo comma 4-bis consente di recepire nell’ordinamento una pratica, quella del rilascio del certificato di agibilità parziale, già in uso, in modo tacito o regolamentato, nella maggior parte degli enti preposti al suo rilascio.

Ai sensi dell’art. 24 del T.U. edilizia, il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni (indicate dal comma 1) di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente. Tale certificato, che deve essere richiesto dal titolare del permesso di costruire o da colui che ha presentato la DIA, viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi:

a)       nuove costruzioni;

b)       ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c)       interventi su edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

 

La lettera h) integra il disposto dell’art. 25 del T.U. edilizia (che disciplina il procedimento di rilascio del certificato di agibilità), mediante l’aggiunta di due nuovi commi (5-bis e 5-ter).

Il nuovo comma 5-bis prevede un procedimento alternativo (a quello previsto dai commi 1-5 dell’art. 25) per il rilascio del certificato di agibilità.

Il comma 5-ter demanda alle leggi regionali la disciplina relativa alle modalità attuative delle disposizioni di cui al comma 5-bis e all’effettuazione dei controlli.

Parcheggi pertinenziali

Nel corso dell’esame in sede referente è stato soppresso il comma 2, che prevede una novella al comma 5 dell’art. 9 della L. 122/1989 (c.d. legge Tognoli) volta ad ampliare l'ambito di applicazione della disposizione (introdotta dall’art. 10 del D.L. 5/2012) che consente il trasferimento dei c.d. parcheggi pertinenziali, chiarendo che il trasferimento può riguardare anche il solo vincolo pertinenziale.

Termine di inizio e fine lavori nel permesso di costruire, DIA e SCIA

Il comma 3 dell'articolo 30, ferma restando la diversa disciplina regionale e previa comunicazione del soggetto interessato, prevede la proroga di 2 anni dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori fissati per il permesso di costruire dall’art. 15 del T.U. edilizia.

Lo stesso comma chiarisce che la proroga riguarda i termini come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legge.

Il successivo comma 4 estende l’applicazione delle disposizioni citate del comma 3 anche alle DIA e SCIA presentate entro lo stesso termine.

Il comma 5 dispone che l’attuazione dei commi 3 e 4 avvenga senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Relativamente alla disciplina dettata dall’art. 15 si ricorda che, in base al comma 1, nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

Ai sensi del comma 2 il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i 3 anni dall'inizio dei lavori. Lo stesso comma 2 disciplina i casi di proroga, che può avvenire con provvedimento motivato e solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. La norma fa riferimento esclusivo alla mole dell'opera da realizzare o alle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

Relativamente alla DIA si ricorda che l’art. 23, comma 2, dispone che la denuncia di inizio attività è sottoposta al termine massimo di efficacia pari a 3 anni.

La legge non dispone invece esplicitamente sull'efficacia della SCIA, alla quale si applica, quindi, la disciplina del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) e quindi il termine di efficacia di 3 anni previsto dall’art. 23. È questa l'interpretazione data dallo studio del Consiglio nazionale dei notai n. 325-11/C, in seguito alla confermata estensione della SCIA in ambito edilizio operata dal D.L. 70/2011.

Applicazione delle norme dell'articolo in esame

Il comma 6 dispone, infine, l’applicazione non immediata delle disposizioni dell'articolo in esame, bensì solamente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.


 

Articolo 31
(Disposizioni in materia di D.U.R.C.)

 

L’articolo 31, modificato nel corso dell’esame nelle Commissioni riunite I e V, introduce disposizioni di semplificazione in materia di Documento unico di regolarità contributiva (DURC)[78].

Più precisamente:

§      estende la procedura compensativa (prevista dallo stesso articolo 13-bis) in virtù della quale si procede al rilascio del DURC in presenza di crediti certificati nei confronti delle P.A. di importo pari ai versamenti contributivi dovuti, anche alle procedure di appalto pubblico e di appalti privati in edilizia (eliminando il riferimento all’articolo 1, comma 1175, della L. 296/2006 contenuto nell’articolo 13-bis, comma 5, del D.L. 52/2012) (comma 1).

 

Si ricorda che, il comma 1175 prevede che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici previsti dalla normativa in materia di lavoro e di previdenza sociale sono riservati ai datori di lavoro che rispettino tutte le seguenti condizioni:

-        siano in possesso del DURC;

-        rispettino gli altri obblighi previsti dalla legislazione vigente (presumibilmente, ratione materiae, dalla legislazione lavoristica e previdenziale);

-        rispettino gli accordi e i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

§      prevede che, ai fini del pagamento delle prestazioni rese nei contratti di appalto, il DURC relativo all’affidatario e ai subappaltatori sia acquisito, d’ufficio, dalla stazione appaltante (commi 2 e 6) e che i titoli di pagamento siano corredati dal DURC, anche in formato elettronico (comma 7).

L’obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2 del D.L. 210/2002 era invece attribuito all’affidatario dagli articoli 38, comma 3, e 118, comma 6, del D.Lgs. 163/2006.

Si segnala che una previsione in parte analoga è contenuta nell’articolo 16-bis, comma 10, del D.L. 185/2008 che dispone l’obbligo, per le stazioni appaltanti pubbliche, di acquisire d’ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il DURC presso gli istituti o gli enti abilitati al rilascio ad ogni fine di legge.

§      dispone che nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la validità del DURC sia di 120 giorni dalla data del rilascio (180 giorni nel testo originario del decreto-legge) e venga acquisito dalla stazione appaltante sempre attraverso strumenti informatici; inoltre, la richiesta del DURC non viene più limitata unicamente alle fasi dell’affidamento e della gestione del contratto, ma viene estesa anche alle ipotesi di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture diversi da quelli per i quali il DURC è stato espressamente acquisito (fermo restando l’obbligo di produzione del DURC per il pagamento delle prestazioni); il DURC, nelle fasi di pagamento dei lavori e di collaudo, viene acquisito ogni 120 giorni (180 giorni nel testo originario del decreto-legge); infine, nel caso in cui il DURC registri un’inadempienza, la stazione appaltante trattiene l’importo dovuto dal certificato di pagamento, provvedendo essa stessa, direttamente, al versamento agli enti previdenziali e assicurativi creditori. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate mediante il DURC e' disposto dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del DPR 207/2010 (commi 3, 4 e 5).

Si ricorda che la validità del DURC è in linea generale mensile[79], mentre per il settore degli appalti privati è trimestrale[80].

I soggetti indicati dall’articolo 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 207/2010, (regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. 163/2006) sono le amministrazioni aggiudicatrici, gli organismi di diritto pubblico, gli enti aggiudicatori, gli altri soggetti aggiudicatori, i soggetti aggiudicatori e le stazioni appaltanti indicati rispettivamente dall'articolo 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33, del D.Lgs. 163/2006.

§      prevede che le amministrazioni competenti trasmettano l’invito alla regolarizzazione (entro e non oltre quindici giorni) delle eventuali inadempienze mediante posta elettronica, all’interessato o per il tramite del consulente del lavoro (comma 8).

 

Nel corso dell’esame nelle Commissioni riunite sono state introdotte poi ulteriori disposizioni:

§      secondo il nuovo comma 8-bis, la possibilità per la stazione appaltante di trattenere l’importo dovuto dal certificato di pagamento, nel caso in cui il DURC registri un’inadempienza, può essere esercitata anche da parte delle amministrazioni pubbliche con riferimento alle erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere (compresi quelli comunitari, di cui all’articolo 1, comma 553, della L. 266/2005);

§      il nuovo comma 8-ter dispone che il DURC ha validità di 120 giorni dalla data del rilascio anche per la fruizione dei benefici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale e per i finanziamenti e le sovvenzioni previsti a livello comunitario, statale e regionale;

§      sulla base dei nuovi commi 8-quater e 8-quinquies, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di acquisire d’ufficio il DURC per verificare la regolarità contributiva del beneficiario ai fini dell’ammissione alle agevolazioni oggetto di cofinanziamento comunitario finalizzate alla realizzazione di investimenti produttivi. La concessione delle suddette agevolazioni è ammessa a condizione che la data del DURC non sia anteriore a 120 giorni dalla data del rilascio;

§      il nuovo comma 8-sexies dispone che, fino al 31 dicembre 2014, la validità del DURC sia di 120 giorni dalla data del rilascio anche per i datori di lavoro edili privati;

§      il nuovo comma 8-septies prevede che l’esercizio dell’attività d’impresa di spedizione non è soggetto a licenza di pubblica sicurezza ed ai relativi controlli.


 

Articoli 32 e 35
(Disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro)

 

Gli articoli 32 e 35 recano disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro.

Più specificamente:

§    l’articolo 32, modificato nel corso dell’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite I e V, reca numerosi interventi di semplificazione in materia di lavoro, attraverso una serie di novelle al D.Lgs. 81/2008, in materia di sicurezza sul lavoro, al D.Lgs. 136/2006, in materia di pubblici appalti, ed al D.P.R. 1124/1965, concernente l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

§    l’articolo 35, anch’esso modificato nel corso dell’esame del provvedimento presso le Commissioni riunite I e V, individua apposite procedure al fine di semplificare gli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria, anche quando il lavoratore svolga la sua attività in azienda per un periodo non superiore a 50 giorni nel corso di una anno solare.

 

Di seguito si riportano le modiche apportate all’articolo 32.

Volontariato

Viene introdotta la nuova lettera 0a), che modifica ampiamente il testo dell’articolo 3, comma 12-bis, del D.Lgs. 81/2008, il quale ha disposto l’applicazione, ai soggetti che esplicano attività di volontariato (ai sensi della L. 1° agosto 1991, n. 266)[81] ed ai volontari che esplicano servizio civile, delle disposizioni per i lavoratori autonomi previste dall’articolo 21 dello stesso D.Lgs. 81/2008. Le modalità di tutela sono individuate con accordi tra il volontario e l’associazione di volontariato o l’ente di servizio civile[82]. In particolare, il nuovo testo estende significativamente l’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni del richiamato articolo 21, ricomprendendo oltre ai soggetti richiamati anche i soggetti che prestano la propria attività, spontaneamente e a titolo gratuito o con mero rimborso spese, in favore delle associazioni di promozione sociale[83], delle associazioni sportive dilettantistiche[84], nonché nei confronti di tutti i soggetti di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del TUIR[85].

Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI)[86]

Si prevede, in primo luogo, che la cooperazione e coordinamento tra il committente, appaltatori e subappaltatori, per la prevenzione dei rischi da interferenze, si possano attuare, limitatamente ai settori di attività con basso rischio di infortuni e anche di malattie professionali, con l’individuazione di un incaricato, sia per quanto attiene alle attività del committente stesso, sia a quelle dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, in possesso dei requisiti adeguati e specifici in relazione all’incarico conseguito[87].

Inoltre, viene espressamente previsto che ai dati presenti nel DUVRI accedano il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Inoltre, l’obbligo di redazione del DUVRI non trova applicazione per i servizi di natura intellettuale, per le mere forniture di materiali o attrezzature, nonché per i lavori o servizi la cui durata non sia superiore a 5 uomini-giorno[88] (invece di 10 uomini-giorno, come previsto nel testo originario del decreto-legge), e che non comportino rischi derivanti dal rischio incendio alto (di cui al D.M. 10 marzo 1998), dallo svolgimento di attività in ambienti confinati (di cui al D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177), o dalla presenza, oltre ad agenti cancerogeni nonché biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI, anche di agenti mutageni e amianto;

Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro

Viene introdotta la lettera a-bis), la quale prevede, modificando il comma 1 dell’articolo 27 del D.Lgs. 81/2008, che l’individuazione dei settori (e non più, anche, dei criteri) finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, tra i quali vengono ricompresi anche quelli della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, sia demandata al D.P.R. in precedenza richiamato (e non ai compiti della Commissione). Il sistema di qualificazione, in particolare, è fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza (acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati), nonché sulla base delle attività di cui all’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 e sull’applicazione di determinati standard contrattuali e organizzativi nell’impiego della manodopera, anche in relazione agli appalti e alle tipologie di lavoro flessibile introdotte dal Titolo VIII, capo I, del D.Lgs. 276/2003.

Individuazione delle attività a basso rischio

Nell’ambito delle nuove disposizioni introdotte dai nuovi commi 6-ter e 6-quater dell’articolo 29 del D.Lgs. 81/2008, si segnalano le seguenti modificazioni.

In primo luogo, il comma 6-ter demanda ad uno specifico decreto, sulla base delle indicazioni fornite dalla Commissione permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (che vede quindi rafforzate le proprie prerogative), l’individuazione dei settori di attività a basso rischio di infortuni e di malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti non solamente dagli indici INAIL infortunistici ma anche dagli indici relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda.

Nello stesso decreto viene altresì allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare (in luogo di “attestare”, come previsto nel testo originario del decreto-legge) di aver effettuato la valutazione dei rischi (effettuazione della valutazione dei rischi ed elaborazione del relativo documento).

Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 dell’articolo 29[89] (concernenti le modalità di attuazione della valutazione dei rischi per i datori di lavoro che impieghino, rispettivamente, fino a 10 e fino a 50 lavoratori).

Il nuovo comma 6-quater (non modificato nel corso dell’esame in sede referente) dispone che fino alla data di entrata in vigore del decreto attuativo per le aziende a basso rischio infortunistico (che deve essere adottato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge) continuino ad applicarsi le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 6-bis del medesimo articolo 29 (concernenti le procedure per la valutazione dei rischi da effettuare per i datori di lavoro che occupino rispettivamente, fino a 10 e fino a 50 lavoratori).

Corsi di formazione dei soggetti deputati alla sicurezza adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative

Il nuovo testo dell’articolo 32, comma 5-bis, e dell’articolo 37, comma 14-bis, del D.Lgs. 81/2008, introdotti dal provvedimento in esame, hanno lo scopo di evitare duplicazioni dei corsi di formazione e aggiornamento per determinati soggetti (responsabili e addetti ai servizi di protezione e sicurezza, dirigenti, preposti, lavoratori, rappresentati dei lavoratori per la sicurezza). In particolare, si prevede che nelle ipotesi di sovrapposizione (totale o parziale) dei contenuti dei richiamati corsi, venga riconosciuto un credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati.

In entrambe le disposizioni è stato evidenziato che le modalità di riconoscimento dei crediti formativi, e relativi modelli attraverso cui è documentata l'avvenuta formazione, debbano essere individuati dalla Conferenza Stato-Regioni, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.

Inoltre è stato disposto l’obbligo, per gli istituti di istruzione e universitari, di rilasciare gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro agli allievi equiparati ai lavoratori.

Verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro

Per quanto attiene alle disposizioni di cui ai commi 11 e 12 dell’articolo 71 del D.Lgs. 81/2008, che disciplina le verifiche sulle attrezzature di lavoro disposte dagli organismi a ciò deputati, sono state apportate le seguenti modifiche:

§    si conferma che l’Istituto deputato alle verifiche sia l’INAIL[90], del quale si avvale il datore di lavoro per la prima verifica (sempre nel termine di 45 giorni);

§    si conferma l’obbligo, per l’INAIL, le ASL e l’ARPA, di comunicare al datore di lavoro, entro 15 giorni dalla richiesta, l’eventuale impossibilità di effettuare le verifiche di propria competenza, senza però obbligo di fornire adeguata motivazione. In questo caso il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati alle verifiche E’ altresì previsto che l’INAIL, le ASL o l’ARPA possano avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati, con questi ultimi che, solamente per l’effettuazione delle verifiche di cui al comma 11 (nuovo testo del comma 12), acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione;

§    si introduce l’obbligo di conservazione e di messa a disposizione per l’organo di vigilanza dei verbali redatti in esito alle verifiche effettuate ai sensi dello stesso comma 11.

Adempimenti nei cantieri temporanei o mobili

Riguardo alle specifiche semplificazioni di adempimenti connessi alle misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, di cui all’articolo 88 del D.Lgs. 81/2008, si segnalano le seguenti modifiche:

§      modificando la lettera g-bis) del comma 2, già modificata dallo stesso D.L. 69/2013, si dispone la disapplicazione della disciplina del D.Lgs. 81/2008, oltre che ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile, anche ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore ai 10 uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi, a condizione che non espongano i lavoratori ai rischi comportanti rischi particolari per la sicurezza e la salute dei lavoratori, di cui all’Allegato XI dello stesso D.Lgs. 81/2008 (il testo attuale prevede che le attività non debbano comportare lavori edili e di ingegneria civile di cui all'allegato X);

§      inserendo il nuovo articolo 104-bis, si demanda ad un decreto interministeriale (del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nonché con il Ministro della salute, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge) l’individuazione di modelli semplificati per la redazione di alcuni documenti relativi ai cantieri (quali il piano operativo di sicurezza, il piano di sicurezza e coordinamento, nonché il fascicolo dell’opera). Viene altresì confermato che il decreto viene adottato sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, ma si specifica che l’adozione debba effettuarsi previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni;

§      introducendo il comma 2-bis (nuova lettera g-bis) del comma 1 dell’articolo 32) si dispone l’applicazione delle disposizioni concernenti i cantieri temporanei o mobili agli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e alle manifestazioni fieristiche, tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle relative attività. L’individuazione di tali necessità è demandata ad un apposito decreto interministeriale, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, da adottare entro il 31 dicembre 2013.

Semplificazione delle denunce di infortuni sul lavoro

Il comma 6 dell’articolo 32 apporta alcune modifiche al D.P.R. 1124/1965 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), allo scopo di semplificare le procedure di comunicazione e notifica di denuncia degli infortuni sul lavoro da parte del datore di lavoro. In particolare:

§      si conferma l’abrogazione dell’articolo 54, che dispone l’obbligo, per il datore di lavoro, di denunciare entro 2 giorni all’autorità locale di pubblica sicurezza ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di 3 giorni. L’abrogazione opera a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 81/2008, che definisce le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro;

Si segnala, al riguardo, che il richiamato decreto, che doveva essere adottato entro 180 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, non risulta essere stato emanato alla data di pubblicazione del dossier in esame.

§      modificando l’articolo 56, si inverte la procedura definita in precedenza, disponendo l’obbligo per l’INAIL, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di trasmettere telematicamente, mediante il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), alle autorità competenti , i dati relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e di quelli con prognosi superiore a 30 giorni;

§      si conferma che l’attivazione dell’inchiesta, da parte dei servizi ispettivi della direzione territoriale del lavoro competente ai fini dell’accertamento relativo alla situazione del soggetto infortunato non sia più d’ufficio, bensì mediante accesso alla banca dati I.N.A.I.L. dei dati relativi alle denunce di infortuni, su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell’I.N.A.I.L.;

§      si conferma che agli adempimenti previsti dall’articolo 56 debba provvedersi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Infine, si conferma che le modalità di comunicazione delle disposizioni richiamate trovino applicazione a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 81/2008 (in precedenza richiamato).

Determinazione del prezzo nei contratti di appalto pubblici

In materia è stato introdotto il nuovo comma 7-bis all’articolo 32, che apportano alcune modifiche al D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture). Il nuovo comma inserisce il nuovo comma 3-bis all’articolo 82 del D.Lgs. 163/2006, inerente il criterio di determinazione del costo più basso negli appalti pubblici.

 

Ai sensi del richiamato articolo 82 del D.Lgs. 163/2006, il prezzo più basso, inferiore a quello posto a base di gara, è determinato nel seguente modo: spetta al bando di gara stabilire se il prezzo più basso, per i contratti da stipulare a misura, sia determinato mediante ribasso sull'elenco prezzi posto a base di gara ovvero mediante offerta a prezzi unitari; oppure se il prezzo più basso, per i contratti da stipulare a corpo, sia determinato mediante ribasso sull'importo dei lavori posto a base di gara ovvero mediante offerta a prezzi unitari.

Per i contratti da stipulare parte a corpo e parte a misura, il prezzo più basso è determinato mediante offerta a prezzi unitari.

 

Il nuovo comma 3-bis prevede che il prezzo più basso venga altresì determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

In relazione a questa disposizione, quindi, il costo del personale non figura più elemento di prezzo e quindi non deve essere più sottoposto a verifica di congruità.

 

Si ricorda, peraltro, che l’articolo 4, comma 2, lettera i-bis), del D.L. n.70/2011, nello stabilire che nei contratti pubblici la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, aveva previsto (con l’aggiunta del comma 3-bis all’articolo 81 del D.Lgs. n.163/2006) un’analoga procedura volta ad escludere il costo del personale dai criteri per la scelta dell’offerta migliore negli appalti pubblici; successivamente, tale norma è stata abrogata dall’articolo 44, comma 2, del D.L. 201/2011[91].

 

Per quanto attiene all’articolo 35, si evidenziano le seguenti modificazioni.

Semplificazione di prestazioni lavorative di breve durata

L’articolo 35, aggiungendo il comma 13-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 81/2008, relativo al campo di applicazione del provvedimento stesso, demanda ad un apposito decreto interministeriale (da adottare non solamente sentite la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e la Conferenza Stato-Regioni, ma previo parere delle Commissioni parlamentari competenti) nel rispetto dei livelli generali di tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro e fermi restando gli obblighi di cui agli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/2008, concernenti l’informazione e formazione dei lavoratori, (mentre non viene più richiamato l’articolo 41 relativo alla sorveglianza sanitaria), la definizione di misure di semplificazione della documentazione richiesta, anche ai fini dell’inserimento della documentazione medesima nel libretto formativo del cittadino, al fine della dimostrazione dell’assolvimento da parte del datore di lavoro degli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 in materia di informazione e formazione (ma non più quelli inerenti alla sorveglianza sanitaria) in relazione a prestazioni lavorative regolamentate dal D.Lgs. 276/2003 (si tratta in sostanza, delle forme contrattuali flessibili) che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a 50 giornate lavorative nell’anno solare di riferimento.

Si segnala, al riguardo, che il testo, pur subordinando la procedura di semplificazione all’adozione di uno specifico decreto, non indica il termine entro il quale lo stesso debba essere adottato.

Gli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/2008 concernono l’informazione e la formazione dei lavoratori, prevedendo in particolare, il principio della facile comprensione del contenuto della informazione da parte dei lavoratori, consentendo loro di acquisire le relative conoscenze. Lo stesso articolo dispone altresì l’obbligo di informare i lavoratori immigrati previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo. Il successivo articolo 37 ha disciplinato la formazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, potenziandola rispetto alle disposizioni contenute nella normativa previgente. L’articolo 41, in materia di sorveglianza sanitaria, ha in particolare stabilito, innovando la disciplina previgente, che la stessa sorveglianza includa la visita medica preventiva intesa a valutare l’idoneità alla mansione specifica, la visita medica periodica, la visita medica richiesta dal lavoratore alle condizioni sopraindicate, la visita medica svolta in occasione del cambio della mansione e la visita medica all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.

 

Allo stesso tempo, viene inserito il comma 13-ter, il quale prevede che con un ulteriore decreto interministeriale, sentite le corrispondenti componenti delle Commissioni consultive permanenti per la salute e la sicurezza sul lavoro e in agricoltura e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dei livelli generali di tutela di cui alla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, siano definite misure di semplificazione degli adempimenti relativi all'informazione, formazione, valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria per le imprese agricole, con particolare riferimento a lavoratori a tempo determinato e stagionali, e per le imprese di piccole dimensioni.

Si segnala, al riguardo, che il testo, pur subordinando la procedura di semplificazione all’adozione di uno specifico decreto, non indica il termine entro il quale lo stesso debba essere adottato.

 

Non sono stati invece oggetto di modifica:

§      la lettera e) del comma 1 dell’articolo 32 che ha sostituito interamente il contenuto dell’articolo 67 del D.Lgs. 81/2008, relativo all’obbligo di comunicazione all’organo di vigilanza competente di informazioni relative a nuovi insediamenti produttivi o ampliamenti e ristrutturazioni di quelli esistenti;

§      le lettere i), l), m) ed n) del comma 1 dell’articolo 32 che prevedono l’invio telematico di specifiche comunicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, anche per mezzo di organismi paritetici o organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.

§      il comma 4 dell’articolo 32, che ha inserito il nuovo comma 2-bis all’articolo 131 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), il quale demanda ad un decreto interministeriale, da adottarsi ai sensi del comma 5 entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, l’individuazione di modelli semplificati per la redazione del piano di sicurezza sostitutivo del piano di sicurezza e coordinamento nei contratti di appalto pubblici.

 

Merita ricordare, infine, che ulteriori disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro sono contenute nel D.L. 76/2013 (articolo 9, commi 2 e 6 e articolo 11, comma 10), recante interventi urgenti per la promozione dell’occupazione (in particolare giovanile), e della coesione sociale, nonché in materia di I.V.A. e altre misure finanziarie urgenti, attualmente all’esame del Senato (A.S. 890).


 

Articolo 33
(Semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia)

 

L’articolo 33 introduce alcune disposizioni per il procedimento per l'acquisto della cittadinanza dello straniero nato in Italia.

 

La legge 91/1992 di disciplina della cittadinanza prevede diverse modalità di acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero, tra queste le principali consistono nell’acquisto per matrimonio (art. 5) e per concessione (art. 9). Esiste poi una ulteriore forma di accesso alla cittadinanza, riservata agli stranieri nati in Italia e qui legalmente residenti, senza interruzioni, fino al raggiungimento del 18° anno di vita. Questo tipo di acquisto della cittadinanza per elezione è subordinato alla presentazione di una apposita dichiarazione entro un anno dalla maggiore età (art. 4, comma 2).

In questo caso, l’attribuzione della cittadinanza è automatica, ma condizionata alla dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti (nascita in Italia e ininterrotta residenza legale per 18 anni) e previa presentazione della dichiarazione in tempo utile (entro un anno).

Tale dichiarazione di volontà deve essere resa dall’interessato all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza. Alla dichiarazione devono essere allegati l’atto di nascita e la documentazione relativa alla residenza (DPR 572/1993, art. 3, comma 4).

Ai sensi del regolamento di esecuzione della legge del 1992 si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e da quelle in materia di iscrizione anagrafica (DPR 572/1993). In questo modo di fatto la residenza legale, prevista dalla legge, viene di fatto equiparata alla residenza anagrafica.

L’impostazione del regolamento non è condivisa dalla giurisprudenza di merito, ritenendo applicabile alla fattispecie in questione il concetto di residenza legale come definito dall’articolo 43 codice civile quale luogo in cui la persona ha la dimora abituale (Corte di Appello di Napoli, sent. 1486/2012).

Anche la prassi amministrativa più recente ha individuato criteri di applicazione dell’art. 4, comma 2, della legge del 1992 finalizzati ad evitare che le omissioni o i ritardi relativi agli adempimenti (come l’iscrizione anagrafica) spettanti ai genitori e non imputabili al minore, possano arrecare a questi un danno, in armonia con la linea di azione del Governo e con l’orientamento in ambito internazionale volti alla tutela in via primaria degli interessi del minore.

 

Così la circolare del Ministero dell’interno 7 novembre 2007, n. 22: “Alla luce delle più recenti linee interpretative introdotte con la circolare n. K.60.1 del 5 gennaio 2007, si precisa [...] che l’iscrizione anagrafica tardiva del minore presso un Comune italiano, potrà considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 4 comma 2 della legge 91/92, ove vi sia una documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza dello stesso nel nostro Paese nel periodo antecedente la regolarizzazione anagrafica (attestati di vaccinazione, certificati medici in generale etc.).

L’iscrizione anagrafica dovrà comunque essere ragionevolmente ricollegabile al momento della nascita e quest’ultima dovrà essere stata regolarmente denunciata presso un Comune italiano da almeno uno dei genitori legalmente residente in Italia. [...] I criteri forniti, volti a garantire la positiva conclusione del percorso di inserimento per i bambini stranieri nati nel nostro territorio, completano l’orientamento espresso con la circolare K.69/89 del 18 febbraio 1997, che aveva già indicato le modalità di superamento di alcune omissioni relative alla regolarizzazione del minore in Italia, ai fini dell’applicazione del citato art.4, comma 2”.

Per quanto riguarda il requisito della residenza "senza interruzioni" si ricorda che, con circolare del 5 gennaio 2007, il Ministero dell’interno è intervenuto sull’argomento. Nel passato, infatti, l’interruzione della permanenza in Italia è stata motivo di preclusione alla concessione della cittadinanza per residenza ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 (ma lo stesso discorso è valido per l’articolo 4, comma 2) in quanto si riteneva non maturato il presupposto normativo. Ma, in un mondo in costante evoluzione non si è potuto non tener conto delle mutate condizioni di vita, le quali possono determinare brevi periodi di allontanamento dal territorio nazionale per motivate ragioni, quali, ad esempio, esigenze lavorative, di studio o di semplice arricchimento e scambio culturale. Sulla base di tali considerazioni – supportate peraltro da pronunce giurisprudenziali – le eventuali assenze temporanee sono oggi considerate non più pregiudizievoli ai fini della concessione dello status civitatis a condizione che l’aspirante cittadino, recandosi all’estero, abbia comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale, vale a dire l’iscrizione anagrafica presso il comune di residenza e il titolo di soggiorno valido per l’intero arco temporale, nonché il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Le ragioni dell’assenza - dovute comunque per lo più a necessità di studio, di lavoro, di assistenza alla famiglia di origine e di cure mediche - devono essere però comprovate da idonea documentazione che lo straniero è tenuto a produrre ad integrazione dell’istanza[92].

 

La disposizione in esame interviene sulle questioni di agevolazione e semplificazione del procedimento di acquisto della cittadinanza nella fase di dimostrazione della residenza ininterrotta affrontate in sede di circolari amministrative.

Quindi, il comma 1 prevede che, ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione, e che egli possa dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto-legge presentato al Parlamento, la norma recepisce “un orientamento consolidato da parte della giurisprudenza (Corte di appello di Napoli, sentenza n. 1486 del 13 aprile 2012; Tribunale di Imperia, decreto n. 1295 del 11 settembre 2012; Tribunale di Reggio Emilia – I sezione civile, decreto 31 gennaio 2013; Tribunale di Lecce – II sezione civile, sentenza del 11 marzo 2013; Tribunale di Firenze – I sezione civile, decreto del 5 aprile 2013), che riconosce al figlio nato in Italia da genitori stranieri il diritto di acquisire la cittadinanza al compimento della maggiore età, nei casi in cui ci siano inadempimenti di natura amministrativa, a lui non imputabili, da parte dei genitori o degli ufficiali di stato civile o di altri soggetti. In tal modo, la giurisprudenza ha considerato rilevante la sussistenza in concreto dei requisiti per ottenere la cittadinanza da parte del neo maggiorenne nato in Italia da genitori stranieri, documentabili, tra l'altro, con certificazioni scolastiche o mediche attestanti la sua presenza in Italia fin dalla nascita e il suo inserimento nel tessuto socio-culturale”.

 

Le disposizioni in esame, che dovrebbero avere forma di novella, producono un effetto di legificazione di prassi amministrative che hanno sostanzialmente già provveduto a definire le modalità di dimostrazione dei requisiti di legge. Tuttavia, per la genericità del riferimento a eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, potrebbe risultare ulteriormente indispensabile il ricorso alla prassi per raggiungere l’obiettivo cui le disposizioni in esame sono dirette.

 

Il comma 2 riguarda la dichiarazione per l'acquisto della cittadinanza italiana, prevedendo che gli ufficiali di stato civile debbano comunicare all'interessato, al compimento del diciottesimo anno di età, presso la sede di residenza che risulta all'ufficio, la possibilità di esercitare il predetto diritto entro il diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto potrà essere esercitato anche oltre il termine fissato dalla legge.

 

In sede referente, è stata introdotta una modifica per precisare i termini per l’invio della comunicazione: gli ufficiali sono tenuti ad inviare la comunicazione nel corso dei 6 mesi precedenti il compimento del 18° anno di età.


 

Articolo 34
(Trasmissione telematica di specifici certificati medici)

 

L’articolo 34 introduce la possibilità di trasmissione per via telematica dei certificati medici di gravidanza, parto e interruzione di gravidanza, ai fini dell’erogazione delle prestazioni di maternità, modificando l’articolo 21 del D.Lgs. 151/2001.

In base al citato articolo 21 i predetti certificati devono essere consegnati in modalità cartacea dalla lavoratrice stessa allo sportello delle sedi dell’INPS territorialmente competenti o tramite lettera raccomandata.

Si ricorda che analoga previsione è contenuta nel comma 3 dell’articolo 47 del D.Lgs. 151/2001, relativamente alla fruizione dei congedi per malattia dei figli.

 

Rispetto al testo previgente l’obbligo di presentazione del certificato medico di gravidanza, parto e interruzione di gravidanza è ora a carico del medico del SSN che deve trasmetterlo, esclusivamente per via telematica, all’INPS secondo le modalità definite con decreto interministeriale, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al D.M. 26 febbraio 2010. Le richiamate disposizioni trovano applicazione a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui sopra. Fino a tale data, l’obbligo di presentazione dl certificato rimane a carico della lavoratrice (comma 1, lettere a) e b)).

Il DM 26 febbraio 2010 disciplina il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia. Si ricorda che l’obbligo della trasmissione telematica dei certificati di malattia nel settore pubblico e privato è sancito dall’articolo 7 del D.L. 179/2012 a partire dal 18 dicembre 2012.

Dalle disposizioni in esame, ai sensi del successivo comma 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

Articolo 36
(Proroga di organismi di I.N.P.S. ed I.N.A.I.L.)

 

L’articolo 36 prevede la proroga degli incarichi dei componenti dei consigli di indirizzo e vigilanza dell’I.N.P.S. e dell’I.N.A.I.L., operanti alla data del 30 aprile 2013, fino alla costituzione dei nuovi consigli di indirizzo e vigilanza e comunque non oltre il 30 settembre 2013 (comma 1).

La scadenza naturale dei richiamati organi di entrambi gli istituti è stata il 2 gennaio 2013, secondo quanto previsto dal D.P.C.M. del 2 gennaio 2009; tale termine è stato già prorogato al 30 aprile 2013 dall’articolo 1, comma 402, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013).

Più specificamente, il comma 1 dispone la proroga del richiamato termine di scadenza, nelle more del completamento del processo di riordino degli enti previdenziali (di cui all’articolo 7, commi 1-14, del D.L. 78/2010, che ha portato alla soppressione, dal 31 maggio 2010, di IPSEMA, ISPESL - con relativo trasferimento di funzioni e personale all’INAIL - e IPOST - con relativo trasferimento di funzioni e personale all’INPS, nonché dell’ENAM - con relativo passaggio di funzioni e personale all’INPDAP-, nonché dell’ulteriore processo di riordino di cui all’articolo 21, comma del D.L. 201/2011 che ha disposto la soppressione dal 1° gennaio 2012 di INPDAP ed ENPALS, con relativo trasferimento funzioni e personale all’INPS), al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa e gestionale, nonché il rispetto dei prescritti adempimenti di natura contabile, economica e finanziaria.

 

Il successivo comma 2 (dispone che gli obiettivi di risparmio rivenienti dalle misure di razionalizzazione organizzativa dell'INPS e dell'INAIL di cui all'articolo 4, comma 66, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011), siano incrementati, in aggiunta a quanto disposto dall’articolo 1, comma 403, della L. 228/2012, di ulteriori 150.000 euro per il 2013 (per uno stanziamento complessivo pari quindi a 300.000 euro). Tali disponibilità sono destinate per le spese di funzionamento conseguenti alla proroga dei CIV degli enti stessi, ai sensi del precedente comma.

L’articolo 4, comma 66, della legge di stabilità 2012 ha previsto, allo scopo di concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica per gli anni 2012 e successivi, l’obbligo, per l’INPS, l’INPDAP e INAIL (nell’ambito della propria autonomia), di adottare specifiche misure di razionalizzazione organizzativa, al fine di ridurre le proprie spese di funzionamento in misura non inferiore all’importo complessivo, in termini di saldo netto, di 60 milioni di euro per l’anno 2012, 10 milioni di euro per l’anno 2013 e 16,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.


 

Articolo 37
(Zone a burocrazia zero)

 

L’articolo 37, modificato durante l’esame presso le commissioni riunite della camera interviene nella materia della semplificazione degli oneri burocratici delle imprese. Tale materia è oggetto di una normazione che negli ultimi anni è stata particolarmente copiosa e ha prodotto una stratificazione di disposizioni la cui lettura coordinata risulta non sempre agevole.

L’articolo in esame non sembra apportare modifiche sostanziali al suddetto quadro normativo, esplicitamente ribadendo che resta fermo “quanto previsto dalle norme di liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi delle imprese”.

In particolare l’oggetto dell’intervento sono i percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese, attivati tramite lo strumento delle convenzioni di cui all’articolo 12 del decreto-legge 9 febbraio, 2012. n. 5. A seguito dell’esame presso le Commissioni in sede referente è stato inoltre aggiunto Il comma 3-bis, in materia di semplificazioni dei controlli sulle imprese.

La rubrica dell’articolo fa riferimento alla possibilità, prevista dall’art. 37-bis del D.L. 179/2012, di individuare, nell’ambito delle attività sperimentali, “zone a burocrazia zero”, nelle quali provare forme di deregulation controllata ed utilizzare le risorse previste per le zone franche urbane disagiate.

 

Con riguardo alle convenzioni, il comma 1 prevede che i soggetti sottoscrittori possono stipularle entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame.

 

Il comma 2 attiene alle attività sperimentali di semplificazione attivate con le convenzioni sopra citate, per le quali si prevede l’estensione a tutto il territorio nazionale. La finalità dell’estensione è quella di creare un sistema integrato di dati telematici tra le diverse amministrazioni e i gestori di servizi pubblici e di servizi per la pubblica utilità.

Dal tenore letterale della disposizione di cui al comma 2 non appare chiaro l’oggetto e di conseguenza la portata normativa della disposizione stessa. In particolare non appare chiaro come le attività sperimentali che sono oggetto di convenzioni volontarie attivate dalle regioni e dagli enti locali e dunque differiscono tra loro per oggetto e portata applicativa, possano essere estese a tutto il territorio nazionale. Sembrerebbe dunque opportuno chiarire quale sia l’oggetto dell’estensione delle sperimentazioni.

 

Secondo i dati forniti nella Relazione che il Governo, allo scadere della XVI legislatura, ha presentato alle Camere in materia di “Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi delle imprese” (ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 3 del D.L. 1 del 2012) le sperimentazioni in corso alla data del 25 marzo 2013 sono le seguenti:

a)       Regione Abruzzo, Comuni della Regione e altre amministrazioni: Attuazione SUAP;

b)       Regione Sicilia, Comuni della Regione e altre amministrazioni: modulistica standardizzata per riforma SUAP;

c)       Regione Toscana, Comuni della Regione e altre amministrazioni: modello procedurale unificato per la conferenza di servizi telematica;

d)       Regione Veneto, Comuni della Regione, altre amministrazioni e Unioncamere Veneto: regime SUAP telematico;

e)       Provincia di Potenza, Comuni della provincia ed altre amministrazioni: informatizzazione del procedimento e “zone a burocrazia zero”.

 

Il comma 3 prevede che i soggetti sperimentatori individuano e rendono pubblici sul loro sito istituzionale, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza sia sostituito da una comunicazione dell’interessato.

 

A seguito dell’esame presso le Commissioni in sede referente è stato aggiunto Il comma 3-bis, il quale prevede che tutte le attività delle imprese per le quali le competenti pubbliche amministrazioni non ritengano necessarie l'autorizzazione, la segnalazione certificata di inizio attività, con o senza asseverazioni, ovvero la mera comunicazione non siano sottoposte a controllo. Inoltre è previsto che le pubbliche amministrazioni siano tenute a pubblicare sul proprio sito istituzionale l'elenco delle attività soggette a controllo. Infine, è previsto l’obbligo di adeguamento degli ordinamenti alle disposizioni di cui ai precedenti periodi, per le Regioni e gli enti locali.

I commi 4 e 5 prevedono nuovi compiti per il Ministero dello sviluppo economico:

§      promuovere l’accesso alle informazioni, comprese quelle in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza sia sostituito da una comunicazione dell’interessato, tramite il proprio sito istituzionale;

§      predisporre, d’intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione un Piano nazionale delle zone a burocrazia zero e monitorarne costantemente l’attuazione pubblicando sul proprio sito una relazione trimestrale.

 

Il comma 6 prevede che le attività di sperimentazione non sono soggette a limitazioni, se non quando sia necessario tutelare i principi fondamentali della Costituzione, la sicurezza, la libertà e la dignità dell’uomo e l’utilità sociale.

Infine si prevede una clausola di salvaguardia secondo la quale agli adempimenti di cui al presente articolo, presumibilmente i nuovi compiti assegnati al MISE, si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica


 

Articolo 38
(
Disposizioni in materia di prevenzione incendi)

 

Il comma 1 dell'articolo 38 semplifica gli adempimenti di prevenzione incendi per i soggetti responsabili delle c.d. nuove attività (attività assoggettate alla disciplina di prevenzione incendi solo in seguito all’emanazione del D.P.R. 151/2011) richiamate dall’art. 11, comma 4, del D.P.R. 151/2011.

La semplificazione consiste nell’esenzione dalla presentazione dell’istanza preliminare - prevista dall’art. 3 del D.P.R.151/2011 per le sole attività di categoria B e C - per i progetti di nuovi impianti o costruzioni nonché dei progetti di modifiche comportanti un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio. Tale esenzione opera qualora i soggetti responsabili siano già in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità.

 

Per comprendere le terminologie fin qui utilizzate è necessario chiarire i punti salienti della nuova disciplina dettata dal Regolamento di semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi di cui al D.P.R. 151/2011.

Con l’emanazione del D.P.R. 151/2011 le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi sono state suddivise in tre categorie (A, B e C), in ragione del loro grado di pericolosità, elencate nell'allegato I al medesimo decreto e assoggettate a una disciplina differenziata.

Rientrano nella categoria A le attività poco rischiose, mentre le categorie B e C riguardano attività con livelli di rischio medio-alti; solo per queste ultime categorie il decreto prevede (all’art. 3) l’obbligo del parere di conformità, da parte del Comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente, sui progetti di nuovi impianti o costruzioni nonché dei progetti di modifiche da apportare a quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio.

Rispetto all’elenco di attività previsto dalla normativa previgente (recata dal D.M. 16 febbraio 1982), il nuovo elenco di cui all’allegato I del D.P.R. n. 151 prevede l’assoggettamento alla disciplina di prevenzione incendi ad attività non precedentemente contemplate. Le nuove attività introdotte si riferiscono essenzialmente[93] a:

§       infrastrutture di trasporto a elevato rischio (aerostazioni, stazioni ferroviarie, stazioni marittime, con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5.000 m2; metropolitane in tutto o in parte sotterranee; interporti con superficie superiore a 20.000 m2; gallerie stradali di lunghezza superiore a 500 metri e ferroviarie superiori a 2.000 metri[94]);

§       grandi complessi per il terziario (edifici e/o complessi edilizi a uso terziario e/o industriale caratterizzati da promiscuità strutturale e/o dei sistemi delle vie di esodo e/o impiantistica con presenza di persone superiore a 300 unità, ovvero di superficie complessiva superiore a 5.000 m2, indipendentemente dal numero di attività costituenti e dalla relativa diversa titolarità);

§       demolizioni di veicoli e simili con relativi depositi, di superficie superiore a 3.000 m2;

§       strutture turistico-ricettive all'aria aperta (campeggi, villaggi turistici, ecc.) con capacità ricettiva superiore a 400 persone.

 

Relativamente al citato comma 4 dell’art. 11 del D.P.R. 151/2011 si ricorda che esso reca una disposizione transitoria in base alla quale gli enti e i privati responsabili delle nuove attività introdotte all'Allegato I, esistenti alla data di pubblicazione del regolamento (pubblicato nella G.U. 22 settembre 2011, n. 221), devono espletare gli adempimenti prescritti dal decreto non immediatamente, ma entro 2 anni dall’entrata in vigore del medesimo regolamento, vale a dire entro il 7 ottobre 2013.

Tale termine, inizialmente fissato al 7 ottobre 2012, è stato prorogato di un anno dall’art. 7, comma 2-bis, del D.L. 83/2012.

Per quanto riguarda gli adempimenti prescritti dal D.P.R. 151/2011 essi possono essere schematicamente sintetizzati come segue, a seconda della categoria di rischio dell’attività:

 

Categoria di attività

Istanza preliminare per ottenere il parere di conformità (art. 3 D.P.R. 151/2011)

Istanza per l’ottenimento del certificato di prevenzione incendi (CPI), tramite segnalazione certificata di inizio attività- SCIA (art. 4 D.P.R. 151/2011)

A

NO

B

C

 

Il comma 2 proroga di un ulteriore anno, vale a dire al 7 ottobre 2014, il termine per l’assolvimento degli adempimenti prescritti dagli articoli 3 e 4 del D.P.R. 151/2011, da parte dei soggetti responsabili delle c.d. nuove attività, ferma restando l’esclusione disposta dal comma 1 dell'articolo in commento.


 

Articolo 39
(
Uso individuale dei beni culturali, autorizzazione paesaggistica, ARCUS)

 

L’articolo 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica.

Durante l’esame parlamentare, inoltre, è stata inserita l’abrogazione delle disposizioni che avevano previsto la messa in liquidazione, dal 1° gennaio 2014, della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS Spa ed è stata prevista la revisione del DM 182/2008, con il quale sono stati dettati criteri e modalità per l’utilizzo degli stanziamenti previsti per le infrastrutture, destinati ai beni e alle attività culturali.

 

In particolare, il comma 1, lett. a), novella l’art. 106 del d.lgs. 42/2004 affidando al Ministero per i beni e le attività culturali la determinazione - che, in base all’articolo citato, spetta al soprintendente - del canone per la concessione in uso, a singoli richiedenti, di beni in consegna al medesimo Ministero.

La relazione illustrativa evidenzia che si tratta di un chiarimento del quadro normativo vigente, poiché, in base all’art. 17, comma 3, lett. l), del DPR 233/2007, recante regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, la competenza a concedere in uso i beni culturali in consegna allo stesso Ministero spetta al direttore regionale e non al soprintendente.

 

L’art. 106 del d.lgs. 42/2004 dispone che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che hanno in consegna, purché per finalità compatibili con la loro destinazione culturale (ad esempio, un immobile può essere concesso ad una università, purché ne faccia sede di conferenze e di studio). Per i beni in consegna al Ministero, la determinazione del canone (secondo gli indirizzi dettati dall’art. 108) era rimessa dal codice al soprintendente.

 

La lettera b) del comma 1, che novella i commi 4 e 5 dell’articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, modifica il termine di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica e incide sul procedimento amministrativo di rilascio della medesima autorizzazione. In particolare, la lettera b):

§      aggiunge un periodo al comma 4 dell’articolo 146, estendendo l’efficacia quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica - nel caso di lavori iniziati nel quinquennio decorrente dalla data di rilascio dell’autorizzazione – a tutta la durata dei medesimi lavori. La norma originariamente adottata dal Governo precisa che l’autorizzazione si considera efficace, comunque, per un periodo non superiore a dodici mesi; tale limitazione temporale è stata soppressa nel corso dell’esame in sede referente (numero 1);

Ai sensi del comma 4 dell’art. 146, l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. L'autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.

§      modifica il secondo periodo del comma 5 dell’articolo 146 dimezzando da 90 a 45 giorni il termine per l’espressione del parere obbligatorio non vincolante del soprintendente, nell’ambito delle procedure di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, nel caso specifico in cui siano state approvate le prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati e sia stato positivamente verificato l’adeguamento degli strumenti urbanistici alle medesime prescrizioni. Decorso tale termine, l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione (numero 2);

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata soppressa, infine, la previsione di cui al numero 3) della lettera b) del comma 1, che sostituisce i primi tre periodi del comma 9 dell’articolo 146, stabilendo che, trascorso il termine di 45 giorni senza che il soprintendente abbia reso il parere vincolante, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione.

Ai sensi dell’art. 146, comma 8, il soprintendente rende il parere vincolante di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti.

I primi tre periodi del comma 9 dell’art. 146, sostituiti dalla novella di cui al numero 3, prevedevano che, in assenza del parere di cui al comma 8, l'amministrazione competente indicesse una conferenza di servizi - alla quale il soprintendente era tenuto a partecipare o a fare pervenire il parere scritto - che avrebbe dovuto pronunciarsi entro il termine perentorio di quindici giorni. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente poteva provvedere sulla domanda di autorizzazione.

Si segnala, da ultimo, che la soppressione del numero 3) della lettera b) del comma 1 era inclusa tra le condizioni formulate dall’VIII Commissione (ambiente) nel parere favorevole approvato nella seduta dell’11 luglio.

 

I commi 1-bis e 1-ter, inseriti durante l’esame parlamentare, abrogano le disposizioni che avevano previsto la messa in liquidazione, dal 1° gennaio 2014, della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS Spa e avevano fissato la procedura di assegnazione al MIBAC della quota del Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali destinata ai beni e alle attività culturali, e prevedono la revisione del DM 182/2008.

 

In particolare, il comma 1-bis abroga i commi 24-30 dell’art. 12 del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) che avevano disposto:

§      la messa in liquidazione dal 1° gennaio 2014 di ARCUS Spa, riportando nell'ambito dell'ordinaria gestione del Ministero per i beni e le attività culturali le attività ad essa demandate e con trasferimento al medesimo dicastero – che subentra anche in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già facenti capo alla società – di tutti i beni residuanti dalla liquidazione (commi 24, 27 e 28);

§      la nomina con decreto interministeriale di un commissario liquidatore, con durata in carica fino al 31 dicembre 2014. Al commissario è stata affidata, in particolare, la messa in liquidazione e il completamento esclusivamente delle attività in corso di svolgimento, affidate ad Arcus ai sensi dell’art. 60, co. 4, della L. 289/2002, per le quali fossero sorti obblighi giuridicamente vincolanti nei confronti di terzi o fossero già stati individuati con decreti interministeriali interventi e beneficiari e fossero già stati contratti i relativi mutui (commi 25 e 26);

§      la novella dell’art. 32, co. 16, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011), in base alla quale è stato introdotto il termine finale del 2016 per l’assegnazione di una quota del 3% del Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali (di cui al co. 1 del medesimo art. 32) alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali (comma 29).

Al riguardo, la relazione illustrativa (A.S. 3396), esplicitato che il Fondo in questione era destinato a cessare a tale data ove non rifinanziato per le annualità successive, chiariva che, al termine del 2016, sarebbe tornato ad essere operativo il meccanismo di finanziamento previsto dall’art. 60, co. 4, della L. 289/2002 (v. infra);

§      l’assegnazione della quota del 3% del Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali al Mibac per la destinazione alla realizzazione di progetti per i beni e le attività culturali di assoluta rilevanza nazionale e internazionale, nonché alla realizzazione di infrastrutture destinate alla valorizzazione e alla fruizione di detti beni (comma 30).

Al riguardo si evidenzia che l’abrogazione disposta dal comma 1-bis in esame non fa venir meno il termine del 2016 per la destinazione della quota suddetta alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali, che resta prevista dal testo vigente dell’art. 32, co. 16, del D.L. 98/2011.

 

In relazione alle previsioni relative alla liquidazione di Arcus, si vedano le argomentazioni rese dal Ministro per i beni e le attività culturali nel corso di una apposita audizione svolta presso la 7a Commissione del Senato il 13 giugno 2012.

 

Il comma 1-ter dispone che con decreto interministeriale (Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’economia e delle finanze) si provvede alla revisione del D.I. 24 settembre 2008, n. 182 (v. box), prevedendo la trasmissione dell’atto di indirizzo annuale per ARCUS al Consiglio superiore dei beni culturali, il quale ha facoltà di proporre osservazioni entro 30 giorni dalla ricezione.

Si dispone, inoltre, che lo schema dello stesso atto di indirizzo sia trasmesso alle Camere per l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. I pareri devono essere espressi entro 30 giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto contenente l’atto di indirizzo può essere adottato.

Sembrerebbe opportuno chiarire se, effettivamente, al Consiglio superiore dei beni culturali si intenda trasmettere l’atto di indirizzo e non lo schema dello stesso. In particolare, si valuti l’opportunità di prevedere che il parere delle Camere possa essere reso anche tenendo conto delle eventuali osservazioni del Consiglio superiore dei beni culturali.

 

Il comma 1-ter contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria.

 

ARCUS Spa è stata istituita dall’art. 2 della L. 291/2003 (che ha sostituito l’art. 10 della L. 352/1997, con il quale il Ministro era stato autorizzato alla costituzione della SIBEC Spa -Società italiana per i beni culturali-, mai divenuta operativa) per il sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo degli interventi per la tutela dei beni culturali e per le attività culturali e lo spettacolo. La medesima disposizione ha previsto che annualmente il Ministro per i beni e le attività culturali presenta al Parlamento una relazione sull’attività svolta dalla società (si veda, da ultimo, con riferimento all’anno 2012, il Doc. CLXVI, n. 4). Il controllo sulla gestione finanziaria della società è esercitato dalla Corte dei conti.

Sempre ai sensi dell’art. 10, L. 352/1997, per lo svolgimento delle sue funzioni la società può contrarre mutui a valere sulle risorse da individuare ai sensi dell’art. 60, co. 4, della L. 289/2002 (L. finanziaria 2003), nei limiti delle quote già preordinate come limiti d’impegno, secondo criteri definiti da un regolamento del Ministro per i beni e le attività culturali, emanato di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 60, co. 4, della L. 289/2002 ha riservato il 3% degli stanziamenti per le infrastrutture ad interventi a favore dei beni e delle attività culturali rinviando, per la definizione dei criteri di utilizzo e destinazione di tale quota, ad un regolamento interministeriale che è stato adottato - dopo una fase transitoria - con il D.I. 24 settembre 2008, n. 182, entrato in vigore il 3 dicembre 2008.

Ai sensi del D.I. 182/2008, entro il 31 gennaio di ciascun anno il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il MEF, sentito il MiBAC, individua gli stanziamenti per le infrastrutture per i quali va calcolato il 3% da destinare a interventi a favore dei beni e delle attività culturali; a sua volta, il Ministro dell'economia e delle finanze, d’intesa con i Ministri interessati e sentito il Ministro per i beni e le attività culturali, individua gli ulteriori stanziamenti per infrastrutture iscritti in stati di previsione diversi da quello del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per i quali va parimenti calcolato il 3% per interventi a favore dei beni e delle attività culturali. Gli interventi ammessi al finanziamento sono inclusi in un apposito programma annuale, approvato dal Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Entro il 28 febbraio di ciascun anno, con atto di indirizzo dei Ministri per i beni e le attività culturali e delle infrastrutture e trasporti, sono indicati gli obiettivi di interesse e i criteri per la selezione degli interventi nell'ambito di specifiche finalità (sostegno e riqualificazione del patrimonio culturale per un importo non inferiore al 50% delle risorse disponibili; interventi di tutela paesaggistica per un importo non inferiore al 30% delle risorse disponibili; interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo per un importo non superiore al 20% delle risorse disponibili; assicurare idonee forme di compartecipazione di altri soggetti pubblici o privati per l’integrazione delle risorse finanziarie necessarie). Le proposte di intervento devono pervenire ad ARCUS Spa. Il programma degli interventi finanziabili è approvato entro il 30 giugno di ciascun anno. Il MIBAC presenta annualmente al Parlamento una relazione sugli interventi realizzati.

 

In seguito, l’art. 32, co. 16, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha destinato alla spesa per la tutela e gli interventi a favore di beni e attività culturali, a decorrere dal 2012, una quota fino al 3% del Fondo infrastrutture stradali e ferroviarie - istituito dal co. 1 dello stesso articolo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con una dotazione di € 930 mln per il 2012 e di € 1000 mln per gli esercizi dal 2013 al 2016 -, disponendo che l’assegnazione è disposta con delibera CIPE, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dell’economia e delle finanze. Al CIPE medesimo viene trasmessa annualmente dal Ministro per i beni e le attività culturali una relazione sullo stato di attuazione degli interventi finanziati.

Il comma 16 ha, altresì, previsto che, a partire dal 2012, il citato 3% è definito esclusivamente nei nuovi termini previsti.

 


 

Articolo 40
(Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)

 

L’articolo 40 prevede la possibilità che il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo versi all’entrata del bilancio dello Stato risorse disponibili nei conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale, per la successiva riassegnazione allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio, per l’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

In particolare, l’art. 40 novella l’art. 2, co. 8, del D.L. 34/2011 (L. 75/2011), - che aveva consentito al Ministro per i beni e le attività culturali di provvedere, in deroga al regime ordinario (di cui all’art. 4, co. 3, del DPR 240/2003), con proprio decreto, a trasferire risorse tra le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale (individuate dall’art. 15, co. 3, lett. a-f), del D.P.R. 233/2007), al fine di assicurarne l'equilibrio finanziario, comunque assicurando l’assolvimento degli impegni già presi sulle disponibilità suddette - disponendo che il Ministro possa anche versare le stesse risorse all’entrata del bilancio dello Stato. Per tali versamenti il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio, affinché gli stessi introiti siano riassegnati, a fini di reintegro e in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio, allo stato di previsione della spesa del MIBAC per l’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

L’ultimo periodo dell’articolo in esame mantiene fermi, in ogni caso, gli obblighi di versamento all’entrata del bilancio dello Stato previsti dall’art. 4, co. 85, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), come modificato dall’art. 1, co. 78, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013).


 

Articolo 41
(Disposizioni in materia ambientale)

Comma 1 (Disciplina delle acque di falda emunte)

Il comma 1 provvede a riscrivere l’art. 243 del D.Lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale) al fine di semplificare la disciplina, in esso recata, delle acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica dei siti contaminati, chiarendo la non applicazione della disciplina in materia di rifiuti.

Prima dell’emanazione del d.lgs. 152/2006, in assenza di una chiara indicazione da parte della normativa previgente, la tesi prevalente (sostenuta, dallo stesso Ministero dell’ambiente) prevedeva che le acque di falda emunte dovessero essere considerate sempre e comunque quali rifiuti liquidi, con il conseguentemente appesantimento delle procedure autorizzative; rendendo quindi più laboriose le procedure di bonifica. Con l'adozione dell'articolo 243 del Codice si è invece chiarito che i limiti di emissione applicabili alla fase dello scarico delle acque emunte sono quelli previsti per le acque reflue industriali. Tuttavia, la disposizione non ha chiarito in modo esplicito il regime applicabile a dette acque al momento dell’emungimento.

 

La principale finalità della disposizione in commento è quindi quella di chiarire la non applicazione della disciplina vigente in materia di rifiuti.

E’ questa infatti la sostanza del nuovo comma 4 dell’art. 243, secondo cui le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, che, tra l’altro, contiene la disciplina degli scarichi idrici (artt. 100-108).

 

I commi 1 e 2 dell’art. 243, riscritti durante l’esame in sede referente, prevedono una serie di interventi finalizzati ad impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.

Rispetto al testo originario del decreto-legge, che prevede una disciplina che deve essere applicata nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, la nuova formulazione adottata in sede referente sembra estendere il campo di applicazione a tutte le situazioni di inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.

Un’ulteriore differenza rispetto al testo iniziale del decreto-legge, risiede nel fatto che il nuovo testo del comma 1 disciplina in maniera più dettagliata gli interventi da mettere in atto per le indicate finalità. Viene infatti previsto, al fine di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati:

§      l’adozione delle necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento;

§      l’individuazione e l’adozione delle migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, o isolare le fonti di contaminazione dirette o indirette, o, in subordine, procedere alla bonifica tramite barriera fisica o idraulica, con emungimento e trattamento.

 

Si fa notare che rispetto al testo iniziale del decreto-legge, ove gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale (solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse), nel nuovo testo l’emungimento compare sia tra le misure di messa in sicurezza, sia tra quelle di eliminazione delle fonti di contaminazione. Solo in questo secondo caso l’emungimento pare configurarsi come opzione residuale.

Con riferimento a tale opzione (bonifica tramite barriera fisica o idraulica, con emungimento e trattamento), da perseguire “in subordine”, il nuovo testo del comma 1 dispone che in tale evenienza deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza del d.lgs. 152/2006.

 

Il nuovo testo del comma 2 limita il ricorso al barrieramento fisico nei soli casi in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi di cui al precedente comma 1 e secondo le modalità dallo stesso previste.

 

Il comma 3, relativamente allo scarico delle acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura, chiarisce che esso deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuarsi presso apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti ed in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

Il comma 5 riproduce nella sostanza quanto disposto dal previgente comma 2 relativamente alla possibilità - in deroga al divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo previsto dal comma 1 dell'articolo 104 del Codice -, ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, di reimmettere, previo trattamento, le acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte.

L’unica modifica che appare di rilievo rispetto al testo previgente appare la disposizione integrativa che consente “reiterati cicli di emungimento e reimmissione”.

Nel corso dell’esame in sede referente il comma 5 è stato riscritto. Le principali modifiche sono volte:

§      a chiarire che i citati cicli reiterati possono comprendere non solo le fasi di emungimento e reimmissione, ma anche la fase intermedia di trattamento;

§      ad introdurre una eccezione al divieto, per le acque emunte che vengono reimmesse nell’acquifero, di contenere altre acque di scarico o altre sostanze.

 

L’eccezione introdotta riguarda le sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate, con particolare riferimento alle quantità utilizzabili e alle modalità d'impiego.

 

Il comma 6 è stato oggetto di una riscrittura nel corso dell’esame in sede referente che ha chiarito che il trattamento delle acque emunte deve garantire un'effettiva riduzione della massa delle sostanze inquinanti scaricate in corpo ricettore, al fine di evitare il mero trasferimento della contaminazione presente nelle acque sotterranee ai corpi idrici superficiali.

Commi 2, 3, 3-bis e 3–ter (materiali di scavo)

Il comma 2 reca una disciplina, in materia di utilizzazione delle terre e rocce da scavo, derogatoria delle disposizioni dettate dal regolamento di cui al D.M. 161/2012.

In particolare, la disposizione novella l’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) prevedendo l’aggiunta di un comma 2-bis che limita l’applicazione del D.M. 161/2012 alle sole terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a VIA (valutazione d’impatto ambientale) o ad AIA (autorizzazione integrata ambientale).

Viene altresì disposto che il D.M. 161/2012 non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’art. 109 del Codice.

 

Relativamente alle ipotesi disciplinate dall’art. 109 del Codice, per le quali viene stabilita la non applicazione, in ogni caso, del D.M. 161/2012, si ricorda che tali ipotesi riguardano i seguenti materiali (ai sensi dei commi 1 e 5 del citato art. 109):

§       materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

§       inerti, materiali geologici inorganici e manufatti;

§       materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri;

§       fondali marini movimentati durante l'attività di posa in mare di cavi e condotte.

 

Si ricorda che l’art. 49 del D.L. 1/2012 ha demandato ad apposito decreto la regolamentazione per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Lo stesso articolo ha previsto l’abrogazione della disciplina delle terre e rocce da scavo dettata dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo regolamento.

In attuazione di tale norma è stato emanato il D.M. 161/2012 che ha dettato le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti (e pertanto escluse dall’applicazione della normativa sui rifiuti) ai sensi dell'articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006, e stabilito l’abrogazione dell'art. 186.

Relativamente all’applicazione del D.M. 161/2012 si segnala altresì che tale decreto non si applica, per quanto disposto dall’art. 17-bis del D.L. 74/2012, nelle zone di Emilia, Lombardia e Veneto colpite dagli eventi sismici del maggio 2012.

 

Il comma 3 novella le disposizioni in materia di matrici materiali di riporto introdotte dall’art. 3 del D.L. 2/2012 utilizzati per vari scopi, tra i quali la realizzazione di riempimenti e livellamenti del terreno.

Le modifiche apportate al testo previgente consistono innanzitutto in una modifica nella definizione delle citate matrici materiali di riporto, articolata in particolare:

§      nell’esplicitazione, nella definizione, del riferimento ai materiali di origine antropica in cui si intendono compresi “residui e scarti di produzione e di consumo”;

§      nell’introduzione del test di cessione volto a verificare l’eventuale contaminazione.

 

Relativamente all’utilizzo dei materiali di riporto, il nuovo testo dell’art. 3 prevede un netto cambiamento.

Il testo previgente disponeva infatti l’applicazione ai riporti del D.M. 161/2012 e, nelle more della sua adozione, prevedeva che tali riporti venissero considerati sottoprodotti solo al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (origine delle sostanze o degli oggetti da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante; utilizzo della sostanza o dell’oggetto, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; utilizzo della sostanza o dell’oggetto direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; legalità dell’ulteriore utilizzo).

Il nuovo testo previsto dal comma in esame prevede invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. 152/2006, la sottoposizione delle matrici materiali di riporto a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’art. 9 del D.M. ambiente 5 febbraio 1998[95], ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee.

Si ricorda che ai sensi delle citate lettere b) e c) sono esclusi dalla disciplina dei rifiuti:

b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati;

c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 3 del D.L. 2/2012, i citati riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto.

Il citato articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998 reca una serie di norme tecniche, anche con rinvii alle opportune norme UNI, per l’effettuazione del test di cessione.

 

Le nuove disposizioni dettate dal comma in esame prevedono, a seconda della conformità o meno ai limiti del citato test di cessione, gli interventi da effettuare. Viene altresì previsto che i costi connessi alle attività per consentire l’utilizzo dei riporti (nuovo comma 3-bis dell’art. 3 del D.L. 2/2012) siano posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.

 

Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, introduce una disciplina speciale che (ferma restando quella dettata dall’art. 49 del D.L. 1/2012[96]) è finalizzata a consentire l’utilizzo dei materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all'interno dei siti di interesse nazionale (SIN), per la realizzazione, nell'ambito delle medesime aree minerarie dei seguenti interventi:

§         reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari;

§         altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali.

 

Gli utilizzi citati sono consentiti al verificarsi di tutte le seguenti condizioni:

§      la caratterizzazione dei materiali citati, tenuto conto del valore di fondo naturale, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti inferiori alle soglie di cui all'allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, in funzione della destinazione d'uso;

Si ricorda che nell’Allegato 5 sono elencate le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) nel suolo e nel sottosuolo in relazione alla specifica destinazione d'uso (a verde pubblico, privato e residenziale oppure ad uso commerciale e industriale) dei siti da bonificare, nonché le CSC nelle acque sotterranee.

§      vi sia conformità al test di cessione da compiere con il metodo e in base ai parametri di cui al D.M. 5 febbraio 1998.

 

Il comma 3-ter consente la restituzione agli usi legittimi delle aree sulle quali insistono i predetti materiali.

Si consente la citata restituzione:

§      qualora ricorrano, per le citate aree, le medesime condizioni previste dalla precedente disposizione per i suoli e per le acque sotterranee (cioè valori inferiori alle CSC di cui all’allegato 5);

Si ricorda che ai sensi dell’art. 240, comma 1, lettera f), del D.Lgs. 152/2006, un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) viene definito “sito non contaminato”.

§      previa comunicazione al Ministero dell'ambiente, da parte del soggetto interessato, dei risultati della caratterizzazione, validati dall'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) competente per territorio, che si avvale anche delle banche dati di enti o istituti pubblici.

 

Si fa notare che la disposizione riproduce il testo dell’art. 13 dell’A.C. 4240-B della XVI legislatura, che a sua volta riprendeva il testo dell’ordine del giorno 9/04940-A/107 accolto dal Governo nella seduta del 13 marzo 2012.

Comma 4 (interventi di nuova costruzione per la sosta e il soggiorno di turisti)

Il comma 4 dell'articolo 41, nel contesto delle disposizioni di carattere ambientale, integra la definizione di interventi di nuova costruzione recata dall’art. 3 del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001), attraverso una modifica alla lettera e.5) del comma 1 del medesimo articolo. La finalità è quella di far sì che per le installazioni posizionate, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto per la sosta ed il soggiorno di turisti, sia non necessario il permesso di costruire, purché la loro collocazione sia effettuata in conformità alle leggi regionali applicabili.

Ai sensi della citata lettera e.5) è da considerare come intervento di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Comma 5 (Situazione di criticità nella gestione dei rifiuti nel Lazio)

Il comma 5 novella il comma 359 dell’art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) al fine di chiarire i poteri attribuiti al Commissario, nominato con il D.M. Ambiente 3 gennaio 2013 per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio nella provincia di Roma.

Commi 6, 6-bis, 6-ter, 6-quater e 7 (Situazione di criticità nella gestione dei rifiuti in Campania)

Il comma 6 detta disposizioni volte alla nomina, con decreti del Ministro dell’ambiente, di uno o più commissari ad acta per provvedere, in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria:

§      alla realizzazione e l’avvio della gestione degli impianti nella Regione Campania, già previsti e non ancora realizzati;

§      alle altre iniziative strettamente strumentali e necessarie.

I decreti, adottati sentiti gli enti interessati, specificano i compiti e la durata della nomina, per un periodo di 6 mesi, salvo proroga o revoca.

Nel corso dell’esame in sede referente, le disposizioni relative ai commissari ad acta per la Campania sono state integrate con l’aggiunta di tre nuovi commi.

Il comma 6-bis prevede che tali commissari possano avvalersi dei poteri previsti per i commissari regionali dai commi 2 e 2-bis dell'art. 1 del D.L. 196/2010.

Il comma 2 richiamato ha previsto la nomina da parte del Presidente della Regione Campania, per la durata di 36 mesi, di commissari straordinari a cui lo stesso comma ha attribuito una serie di poteri finalizzati a garantire la realizzazione urgente dei siti da destinare a discarica, nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella medesima regione. Il successivo comma 2-bis ha attribuito ai medesimi commissari ulteriori poteri, finalizzati a garantire la realizzazione urgente di impianti nella regione Campania destinati al recupero, alla produzione e alla fornitura di energia mediante trattamenti termici di rifiuti.

 

Ai sensi del comma 6-ter, i commissari ad acta possono promuovere la conclusione di accordi fra i soggetti istituzionali interessati, ai sensi dell'art. 15 della L. 241/1990, al fine di assicurare:

§      l’efficace coordinamento e accelerazione delle procedure amministrative inerenti l'attuazione degli interventi;

§      l’acquisizione al patrimonio pubblico e la disciplina del regime giuridico delle aree di localizzazione degli impianti e degli impianti medesimi;

§      la realizzazione delle opere complementari ed accessorie per il collegamento dei siti d'impianto alle reti viarie e delle infrastrutture a rete;

§      il riconoscimento delle misure premiali e di compensazione ambientale in favore degli enti locali nel cui territorio ricadono gli impianti;

§      le forme associative fra gli enti locali per garantire l'utilizzo convenzionale e/o obbligatorio degli impianti, nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti nel bacino territoriale interessato, quale modello giuridico con l'efficacia prevista dal comma 7 dell'art. 200 del D.Lgs. 152/2006.

Il citato comma 7 dispone che le regioni possono adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato.

 

Il comma 6-quater introduce il divieto di importazione in Campania di rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi destinati allo smaltimento.

Tale divieto:

§      viene disposto nelle more del completamento degli impianti di cui al comma 6 e comunque per un periodo non superiore a 2 anni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto;

§      viene giustificato in considerazione delle perduranti imperative esigenze di protezione sanitaria e ambientale nella medesima regione.

 

Il comma 7 pone a carico degli enti e dei soggetti inadempienti, secondo le modalità da stabilirsi con i decreti di nomina dei commissari ad acta, gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 6.

Comma 6- quinquies (Commissariato Bonifiche e tutela delle acque in Campania)

Il comma 6-quinquies, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede una disposizione volta principalmente alla definizione del contenzioso ancora in atto derivante dalle gestioni commissariali precedenti a quella per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque nella Regione Campania ai sensi dell’O.P.C.M. 3849/2010, cessato il 31 dicembre 2012.

In particolare la norma prevede l’assegnazione al Commissario Delegato di cui all'art. 11 dell'O.P.C.M. 3891/2010 (prorogato con l'art. 2 del D.L. 1/2013), in considerazione della precedente attività di liquidazione svolta, il compito di:

§      definire entro il 31 dicembre 2013 il valore economico del contenzioso predetto e gli enti legittimati al subentro;

§      garantire la continuità dell'attività amministrativa in essere.

 

Lo stesso comma dispone che alle citate attività si procede con l'ausilio dell'Avvocatura dello Stato e anche dell'Avvocatura della Regione Campania.

Per le eventuali esigenze di natura economica derivanti da procedimenti esecutivi nel periodo fino al 31 dicembre 2013, il Commissario delegato è autorizzato ad utilizzare le somme giacenti sulla contabilità speciale di competenza, nel limite massimo di 3 milioni di euro.

 

L’ultima proroga relativa alla gestione commissariale per le bonifiche dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e tutela delle acque superficiali della regione Campania è stata disposta, fino al 31 dicembre 2012, con la Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 settembre 2012 (G.U. 25 settembre 2012, n. 224). Tale data coincideva infatti con il termine ultimo di durata delle gestioni commissariali esistenti previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. 59/2012 (recante disposizioni di riordino della protezione civile).

I due riferimenti normativi citati dal comma in esame fanno entrambi riferimento allo stesso commissario. L’art. 9, comma 1, dell’O.P.C.M. 3849/2010 ha infatti nominato Mario Pasquale De Biase quale Commissario delegato per il completamento, entro il 31 dicembre 2011, in regime ordinario ed in termini di somma urgenza, di tutte le iniziative necessarie al definitivo superamento dei contesti di criticità in atto nei territori dei comuni di Ischia (Napoli), frazione Pilastri, Montaguto (Avellino) e Nocera Inferiore (Salerno), di cui alle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3521/2006, n. 3532/2006 e n. 3484/2005, e successive modifiche ed integrazioni.

Il successivo comma 6 ha altresì nominato lo stesso De Biase quale commissario delegato per il compimento, entro e non oltre il 31 gennaio 2011, delle iniziative necessarie alla liquidazione della struttura commissariale precedente, di cui all'O.P.C.M. 3654/2008.

L’art. 11 dell’O.P.C.M. 3891/2010 ha attribuito al medesimo Commissario De Biase, delegato ai sensi dell'art. 9, comma 6, dell'O.P.C.M. n. 3849, il compito di provvedere alla realizzazione degli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Giugliano in Campania (Napoli) e dei Laghetti di Castelvolturno (Caserta).

In deroga al citato divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali previsto dall’art. 3, comma 2, del D.L. 59/2012, l’art. 2 del D.L. 1/2013 ha disposto che, fino al 31 dicembre 2013, continuano a produrre effetti, tra le altre, le disposizioni, di cui all'art. 11 dell'O.P.C.M. 3891/2010.

Commi 7-bis, 7-ter e 7-quater (Impianti geotermici pilota)

Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, novella l’art. 1 del D.Lgs. 22/2010 - che disciplina l’ambito di applicazione della medesima legge, la quale ha disciplinato il riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche – al fine di chiarire (mediante l’aggiunta di un comma 3-ter) che gli impianti geotermici pilota sono di competenza statale.

 

Conseguentemente il comma 7-ter reca una serie di novelle agli allegati alla parte II del D.Lgs. 152/2006 al fine di chiarire gli impianti geotermici pilota di cui al comma 3-bis dell’art. 1 del D.Lgs. 22/2010 sono (sempre) assoggettati a VIA statale.

Tali impianti vengono infatti inseriti nell’allegato II che elenca i progetti sottoposti a VIA statale, mentre vengono esclusi dagli allegati III e IV che elencano i progetti sottoposti, rispettivamente, a VIA regionale e verifica di assoggettabilità (alla VIA) di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Si ricorda che il citato comma 3-bis dell’art. 1 del D.Lgs. 22/2010 dispone che sono “di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia finalizzati alla sperimentazione, su tutto il territorio nazionale, di impianti pilota con reiniezione del fluido geotermico nelle stesse formazioni di provenienza, e comunque con emissioni nulle, con potenza nominale installata non superiore a 5 MW per ciascuna centrale, per un impegno complessivo autorizzabile non superiore ai 50 MW”.

 

Il comma 7-quater integra il disposto della lettera e-bis) dell’art. 4 del D.Lgs. 334/1999 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose) al fine di escludere dalla c.d. normativa Seveso da esso recata, gli impianti geotermici pilota di cui all’art. 1, comma 3-bis, del D.Lgs. 22/2010.


 

Articolo 41-bis
(Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo)

 

Il comma 1 dell'articolo reca, in relazione a quanto disposto dall'art. 266, comma 7, del D.Lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale), norme volte a disciplinare l’utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al D.M. 161/2012. La norma fa riferimento ai materiali da scavo definiti dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del citato D.M. 161 prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti.

Si fa notare che il richiamo all’art. 266, comma 7, sembra finalizzato a restringere l’applicazione della disposizione ai piccoli cantieri (dato che a tali cantieri si riferisce il citato comma 7).

La precisazione del fatto che tali disposizioni operano in deroga al D.M. 161 non sarebbe necessaria dato che, come ha avuto modo di chiarire il Ministero dell’ambiente con nota del 14 novembre 2012, tale decreto non si applica ai “piccoli cantieri”, dato che per essi viene prevista dall’art. 266, comma 7, del Codice, una specifica regolamentazione. Lo diventa però nel momento in cui il successivo comma 5 estende l’applicabilità del comma 1 ai cantieri più grandi purché non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) o valutazione di impatto ambientale (VIA).

Relativamente al disposto dell’art. 266, comma 7, si ricorda che esso ha demandato ad apposito decreto interministeriale la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi di materiale nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia.

Si fa altresì notare che i commi 1-4 dell'articolo in commento riproducono in maniera quasi fedele le disposizioni dell’art. 27 dell’A.S. 3162–B della XVI legislatura.

 

Ciò premesso, il comma 1 prevede che l’assoggettamento al regime dei sottoprodotti (di cui all'art. 184-bis del Codice), possa avvenire qualora vi sia la dimostrazione, da parte del produttore, del rispetto delle seguenti condizioni:

a)  che la destinazione all'utilizzo è certa, direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;

b)  che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti, ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superate le CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte quarta del Codice, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d'uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale;

c)  che in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione l'utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;

d)  che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

 

Si fa notare che le condizioni a), c) e d) sono analoghe alle condizioni previste dalle lettere b), c) e d) del comma 1 dell’art. 184-bis[97] del D.Lgs. 152/2006 per l’applicazione del regime dei sottoprodotti in luogo della disciplina sui rifiuti.

 

Il comma 2 prevede che il rispetto delle condizioni citate dal comma 1 sia attestato dal proponente o dal produttore tramite dichiarazione resa all’ARPA ai sensi del D.P.R. 445/2000, precisando:

§         le quantità destinate all'utilizzo;

§         i tempi previsti per l'utilizzo;

§         il sito di deposito.

 

Viene altresì specificato che il deposito non può comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l'opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore.

L'attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico sanitaria.

La modifica dei requisiti e delle condizioni indicate nella dichiarazione resa all’ARPA sono comunicate entro 30 giorni al comune del luogo di produzione.

 

Il comma 3 prevede che il produttore deve, in ogni caso, confermare alle autorità territorialmente competenti il completo utilizzo, secondo le previsioni comunicate, delle terre e rocce da scavo.

 

Il comma 4 prevede che il trasporto delle terre e rocce da scavo utilizzate come sottoprodotti sia accompagnato, qualora previsto, dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto redatto in forma scritta o dalla scheda di trasporto di cui agli artt. 6 e 7-bis del D.Lgs. 286/2005.

 

Il comma 5 estende l’applicazione delle disposizioni recate dai commi 1-4 anche ai materiali da scavo derivanti da attività ed opere non soggette a AIA o VIA.

La norma consente di colmare un vuoto normativo venutosi a creare nel settore delle terre e rocce da scavo in seguito alla conversione in legge del D.L. 43/2013, il cui art. 8-bis ha introdotto una disposizione, poi ripresa dal comma 2 dell’art. 41 del presente decreto-legge (che ha introdotto un comma 2-bis all’art. 184-bis del Codice) che esclude l’applicazione del D.M. 161/2012 per le terre e rocce da scavo prodotte nell'esecuzione di attività ed opere non soggette ad AIA o VIA.

 

Il comma 6 dispone l’abrogazione dell’art. 8-bis del D.L. 43/2013, dato che esso contiene disposizioni che si sovrappongono a quelle recate dall'articolo in commento e dal comma 2 dell’art. 41.


 

Articolo 41-ter
(Norme ambientali per gli impianti ad inquinamento
scarsamente significativo)

 

L’articolo, introdotto durante l’esame in sede referente, prevede l’esclusione di talune tipologie di impianti dal novero degli impianti assoggettati all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera dettata dal titolo I della parte quinta del decreto legislativo 152/2006 (norme in materia ambientale), e segnatamente dall’articolo 269, integrando rispettivamente gli elenchi degli impianti e delle attività non sottoposti alla predetta autorizzazione e degli stabilimenti per i quali l’autorità competente può adottare autorizzazioni “in deroga” con un procedimento semplificato.

Il comma 1 modifica la parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del d.lgs. 152/2006, contenente l’elenco degli impianti e delle attività non sottoposti all’autorizzazione alle emissioni atmosferiche (art. 272, comma 1, del d.lgs. 152/2006). L'elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico. In tal caso si applicano esclusivamente i valori limite di emissione e le prescrizioni specificamente previsti, per tali impianti e attività, dai piani e programmi di qualità dell’aria e dalle normative regionali. In particolare, al predetto elenco sono aggiunti i seguenti impianti ed attività:

§      i silos per i materiali vegetali (lettera a del comma 1, che modifica la lettera m della parte I dell’Allegato IV);

§      gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse con potenza termica nominale, per corpo essiccante, uguale o inferiore ad 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione a biodiesel ed uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano, o a gpl, o a biogas (lettera b del comma 1, che aggiunge la lettera v-bis nella parte I dell’Allegato IV );

§      le cantine che trasformano fino a 600 tonnellate l'anno di uva e gli stabilimenti di produzione di aceto o altre bevande fermentate, con una produzione annua di 250 ettolitri per i distillati e di 1000 ettolitri per gli altri prodotti. La norma precisa che sono comunque sempre escluse, indipendentemente dalla produzione annua, le fasi di fermentazione, movimentazione, travaso, addizione, trattamento meccanico, miscelazione, confezionamento e stoccaggio delle materie prime e dei residui effettuate nei predetti stabilimenti (lettera d del comma 1, che aggiunge la lettera kk-bis nella parte I dell’Allegato IV );

§      i frantoi (lettera e del comma 1, che aggiunge la lettera kk-ter nella parte I dell’Allegato IV );

Un’ulteriore modifica (lettera c del comma 1) all’elenco di cui alla parte I dell’Allegato IV è volta a modificare la lettera z) dell’elenco medesimo al fine di considerare non sottoposti all’autorizzazione alle emissioni atmosferiche gli allevamenti effettuati in ambienti confinati[98] in cui il numero di capi effettivamente presenti, e non potenzialmente presenti (come previsto nel testo vigente), è inferiore a quello indicato per le diverse categorie di animali nella tabella dell’allegato.

 

Il comma 2 modifica la parte II dell’Allegato IV alla parte V del Codice, contenente l’elenco di specifiche categorie di stabilimenti, per le quali l'autorità competente può adottare apposite autorizzazioni in forma semplificata (autorizzazioni di carattere generale - nelle quali sono stabiliti tra l’altro i valori limite di emissione - riferite ad intere categorie di stabilimenti, inclusi, in particolare, quelli elencati nella parte II dell'Allegato IV) e le modalità di adesione a tali atti autorizzativi (art. 272, comma 2, del d.lgs. 152/2006). In particolare, al predetto elenco sono aggiunti i seguenti impianti e stabilimenti:

§      gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati o a servizio di imprese agricole non ricompresi nella parte I dell’Allegato IV (lettera a del comma 2, che inserisce la lettera v-bis nella parte II dell’Allegato IV);

§      gli stabilimenti di produzione di vino, aceto o altre bevande fermentate non ricompresi nella parte I dell’ Allegato IV (lettera b del comma 2, che inserisce la lettera oo-bis nella parte II dell’Allegato IV).


 

Articolo 42
(Soppressione di certificazioni sanitarie)

 

La norma, non modificata nel corso dell’esame in sede referente, provvede a semplificare alcune procedure relative alle certificazioni e alle autorizzazioni sanitarie ritenute desuete alla luce dell’efficacia delle prestazioni.

In particolare, fermi restando gli obblighi di certificazione per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, previsti dal D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, vengono abrogate alcune disposizioni concernenti l’obbligo di taluni certificati attestanti l’idoneità psico-fisica al lavoro, fra i quali si ricorda il certificato di sana e robusta costituzione, in relazione all’ammissione ad istituti scolastici, alle scuole convitto professionali per infermiere, quello per il servizio farmaceutico e per l’assunzione nel pubblico impiego, quello per la nomina dei giudici di pace e dei giudici onorari aggregati.

Viene poi stabilito che per i lavoratori che rientrano nell’ambito della disciplina di cui al D. Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, non trovano applicazione, in virtù delle disposizioni contenute nello stesso provvedimento, le disposizioni concernenti l’obbligo della certificazione attestante l’idoneità psico-fisica relativa all’esecuzione di operazioni relative all’impiego di gas tossici, di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4, del regolamento di cui al R.D. 147/1927.


 

Articolo 42-bis
(Verifica delle invalidità)

 

L’articolo 42-bis, introdotto nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite I e V, reca specifiche semplificazioni relative alle verifiche condotte dall’I.N.P.S. sull'accertamento delle invalidità.

In particolare, si prevede l’esclusione dalle visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante da parte dell’I.N.P.S. nei confronti dei soggetti ai quali sia già stata accertata, da parte degli uffici competenti, una menomazione o una patologia stabilizzate o ingravescente, individuate dal D.M. 2 agosto 2007, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down, che abbiano ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione (comma 1).

I successivi commi 2 e 3 introducono inoltre delle tutele per i soggetti chiamati alla verifica per l’accertamento dello stato invalidante. In particolare:

§      è previsto l’obbligo di effettuare le verifiche limitatamente alle sole situazioni incerte (comma 2);

§      si stabilisce che il soggetto non perda il diritto a percepire l'emolumento economico di cui è titolare anche nel caso in cui i verbali di visita non siano immediatamente vidimati dal responsabile preposto (comma 3).


 

Articolo 42-ter
(Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto)

 

L’articolo 42-ter, introdotto nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite I e V, interviene in materia di benefici previdenziali per i soggetti esposti all’amianto.

In particolare, la disposizione prevede (inserendo il comma 14-ter all’articolo 7-ter del D.L. 5/2009), che ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, nei casi di lavoratori che risultino, alla data di entrata in vigore del D.L. 76/2013 (e cioè dal 23 giugno 2013) cessati per mobilità, oppure titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà o autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, restino validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'I.N.A.I.L., ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della L. 257/1992.

Conseguentemente, i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate sono privi di effetto, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva.

 

Si ricorda che l’articolo 13, commi 6, 7 e 8, della L. 257/1992, ha concesso un beneficio previdenziale a determinate categorie di lavoratori che durante l’attività lavorativa siano stati esposti all’amianto.

Tale beneficio consiste nell’applicazione, ai periodi di contribuzione obbligatoria relativi all’esposizione all’amianto, di un coefficiente di moltiplicazione ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche. In particolare:

§       ai periodi di prestazione lavorativa nelle miniere e nelle cave di amianto si applica il coefficiente di 1,5 (comma 6);

§       al periodo di esposizione all’amianto, nel caso di contrazione di malattia professionale documentata dall’INAIL a causa della medesima esposizione, si applica il coefficiente di 1,5 (comma 7);

§       all’intero periodo di esposizione all’amianto soggetto alla relativa assicurazione INAIL, purché di durata superiore a 10 anni, si applica il coefficiente di 1,25 (comma 8), utile solamente ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. Si ricorda tuttavia che, sino al 1° ottobre 2003 (cioè sino al giorno antecedente all’entrata in vigore del D.L. 269/2003), era invece previsto un coefficiente pari all’1,5 che si applicava anche ai fini della maturazione del diritto di accesso alla pensione.

 

E’ inoltre opportuno ricordare che l’articolo 1, comma 20, della L. 247/2007 ha previsto che ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13, comma 8, della L. 257/1992, fossero valide le certificazioni rilasciate dall’I.N.A.I.L. ai lavoratori che avessero presentato domanda al predetto Istituto entro il 15 giugno 2005, per periodi di attività lavorativa svolta con esposizione all’amianto fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003, nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

In attuazione della suddetta disciplina legislativa è intervenuto il DM 12 marzo 2008, che all’articolo 2, comma 4, ha in particolare stabilito che la certificazione da parte dell’I.N.A.I.L. è rilasciata previa acquisizione:

§       della domanda del lavoratore, che attesta il possesso dei requisiti richiesti;

§       della comunicazione da parte delle ASL competenti della data di avvio dell'azione di bonifica di cui al comma 3, ovvero del mancato avvio della stessa azione di bonifica;

§       del curriculum professionale del lavoratore interessato, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale risultino le mansioni, i reparti e i periodi lavorativi svolti successivamente all'anno 1992 sino all'avvio dell'azione di bonifica e, comunque, non oltre il 2 ottobre 2003.

Infine, si segnala che l’articolo 7-ter, comma 14, del D.L. 5/2009 ha inoltre disposto il mantenimento dei trattamenti pensionistici erogati prima dell’entrata in vigore dello stesso D.L. 5/2009, a seguito degli accertamenti compiuti dall'INAIL ai fini del conseguimento dei benefici previsti all’articolo 13, comma 8, della più volte citata L. 257/1992.

Tali benefici riguardano i lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a 10 anni, per cui l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'I.N.A.I.L., è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,25.


 

Articolo 43
(Disposizioni in materia di trapianti)

 

L’articolo 43, modificato nel corso dell’esame presso le Commissioni competenti in sede referente, intende ottimizzare la circolazione di informazioni in materia di dichiarazioni di volontà per la donazione di organi e tessuti. A tal fine, i Comuni vengono incaricati di trasmettere al Sistema Informativo Trapianti (SIT) i dati, nel caso questi siano stati inseriti nelle carte di identità, relativi al consenso o diniego alla donazione. Con la modifica approvata in sede referente viene stabilito che il consenso o il diniego alla donazione degli organi confluisca nel Fascicolo sanitario Elettronico di cui all’articolo 12 del D.L. 179/2012.

Articolo 44
(Disposizioni diverse in materia sanitaria e di farmaci)

Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri

L'articolo 44, modificato nel corso dell’esame in sede referente, ai commi 1 e 2, riconosce ai dipendenti dell'area della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, operanti presso strutture sanitarie pubbliche, il servizio prestato presso strutture sanitarie pubbliche di un altro paese UE.

Viene modificato l’articolo 5 del D.L. 59/2008, che obbliga le amministrazioni pubbliche italiane a valutare, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nel territorio di altri Stati dell’Unione europea, anche in periodi antecedenti all’adesione del medesimo al’Unione europea, secondo condizioni di parità rispetto a quelle acquisite nell'ambito dell'ordinamento italiano.

Pertanto viene previsto che, per le aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, qualora l'ordinamento italiano richieda ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, la medesima condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria pubblica (di cui alla legge 735/1960) di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro. La soppressione della condizione della continuità ha effetti retroattivi.

La copertura degli oneri finanziari viene disposta mediante le risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 183/1987, versate all’entrata del bilancio delle Stato per essere riassegnate al Fondo sanitario nazionale.

Semplificazioni per la certificazione di qualità delle materie prime utilizzate per la produzione di medicinali

I successivi commi 3 e 4 dell’articolo 44 sospendono, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2011/62/UE, (direttiva contenuta nell’Allegato B del Disegno di legge - A.C. 1326 - Legge di delegazione europea 2013) l’applicazione della disciplina relativa alla certificazione di conformità alle norme di buona fabbricazione di cui al comma 3, primo periodo, dell’articolo 54 del D. Lgs. 219/2006, mantenendo, fino alla medesima data, la disciplina transitoria in materia, con riferimento alle sostanze attive impiegate come materie prime per la produzione di medicinali, di cui all’art. 54, comma 3-bis del D.Lgs. 219/2006.

In base a tale disciplina transitoria le materie prime, come definite dal comma 2 dell’articolo 54 dello stesso D. Lgs. 219/2006, devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità per l’AIFA di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa (procedura già prevista dall’articolo 54, comma 3-bis).

Conseguentemente, il comma 4 della disposizione in esame abroga il comma 3-bis dell’articolo 54 del D.Lgs. 219/2006.

Disposizioni per la classificazione dei farmaci orfani e di eccezionale rilevanza terapeutica

Nel corso dell’esame in sede referente, sono stati inseriti i commi 4-bis e 4-ter, che intervengono sul decreto legge 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi) al fine di garantire tempi rapidi alla dispensazione a carico del SSN di speciali categorie di farmaci, razionalizzando e semplificando le procedure di classificazione e di rimborsabilità, di competenza dell'AIFA. L'intervento prevede che, per i farmaci orfani per le malattie rare e per quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, quali definiti da apposita deliberazione dell'AIFA non ancora emanata, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili, si apra una corsia preferenziale nell'iter di classificazione e negoziazione, in modo da conseguire tempi ridotti e certi per la dispensazione a carico del SSN.

 

L’articolo 12 del decreto legge 158/2012 reca interventi sul procedimento di classificazione dei medicinali erogati a carico del SSN. In particolare, si stabilisce che l’AIFA possa istruire la domanda di classificazione di un medicinale fra quelli erogabili a carico del SSN contestualmente alla contrattazione del relativo prezzo (comma 1). D’altra parte, le aziende farmaceutiche possono presentare domande di concedibilità soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) dello stesso medicinale (comma 2). Ai sensi del comma 3, dell’articolo 12, derogano da tale procedura i farmaci orfani, quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale previsti in una specifica deliberazione dell’AIFA, adottata su proposta della Commissione consultiva tecnico-scientifica, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili. Esclusivamente per tali categorie di farmaci, le aziende produttrici possono presentare domanda di classificazione e di avvio della procedura di contrattazione prima di aver ottenuto l’AIC. Per tutti gli altri farmaci, in attesa di una eventuale domanda di diversa classificazione da parte dell’azienda interessata, i medicinali che ottengono un’AIC comunitaria o nazionale[99] sono automaticamente collocati in una apposita sezione dedicata ai farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità e classificati nei medicinali di Fascia C, interamente a carico dell’assistito. Per i medicinali autorizzati con procedura nazionale, le indicazioni della classificazione sono incluse nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio. In ogni caso, prima dell'inizio della commercializzazione, il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio è tenuto a comunicare all'AIFA il prezzo ex factory e il prezzo al pubblico del medicinale.

La lista dei farmaci  collocati in classe C nelle more della negoziazione del prezzo di rimborso fra AIFA ed azienda produttrice, ai sensi dell’articolo 12, comma 5, ha riguardato fra gli altri farmaci antitumorali, vaccini e antivirali, determinando di fatto una situazione di forte discriminazione anche all'accesso di farmaci salvavita, soprattutto in assenza di termini massimi per la conclusione della procedura relativa alla domanda di classificazione, come d’altra parte illustrato dall’interrogazione a risposta immediata in commissione 5/00514. Nel corso del CdM n. 14 del 12 luglio 2013, è stata pertanto condivisa la proposta del Ministro della Salute di intervenire in materia, al fine di garantire tempi rapidi alla dispensazione a carico del SSN di speciali categorie di farmaci.

 

Nel dettaglio, il comma 4-bis cancella dal testo del comma 5 dell’articolo 12 del decreto legge 158/2012 la deroga relativa ai farmaci orfani, a quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale e a quelli ospedalieri, delineando un procedimento uniforme relativamente per tutti i farmaci.

 

Il successivo comma 4-ter introduce nell’articolo 12 del decreto legge 158/2012 i commi 5-bis e 5-ter che autorizzano un apposito iter preferenziale per i farmaci orfani, per quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale previsti in una specifica deliberazione dell’AIFA, adottata su proposta della Commissione consultiva tecnico-scientifica, o riguardanti medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili.

Al riguardo si rileva che l’AIFA non ha ancora provveduto alla predisposizione della deliberazione di individuazione dei farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale.

In particolare il comma 5-bis stabilisce che l'AIFA valuta in via prioritaria la domanda di classificazione e di avvio della procedura di contrattazione del prezzo dei farmaci orfani, di quelli di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale e di quelli ospedalieri, dando alla stessa precedenza rispetto ai procedimenti già pendenti alla data di presentazione della domanda stessa, anche attraverso la fissazione di sedute straordinarie delle competenti Commissioni. In tal caso, il termine di centottanta giorni di cui all’articolo 12, comma 4, del decreto legge 158/2012, entro cui l’AIFA comunica le proprie determinazioni all’azienda interessata, è ridotto a cento giorni.

Le Commissioni a cui si riferisce la norma in esame dovrebbero essere la Commissione consultiva tecnico-scientifica e il Comitato prezzi e rimborso, sui cui pareri sono basate le determinazioni dell’AIFA relativamente alla domanda di classificazione di un farmaco. Si valuti l’opportunità di indicarle con chiarezza.

Il comma 5-ter stabilisce che l’azienda farmaceutica produttrice di un medicinale appartenente alle speciali categorie sopra menzionate debba presentare domanda di classificazione e di negoziazione del prezzo dello stesso farmaco entro 30 giorni dal rilascio della relativa AIC. Nel caso di mancata presentazione della domanda, l'AIFA sollecita l'azienda titolare dell’AIC del farmaco a provvedere entro i successivi 30 giorni. Decorso inutilmente tale termine, ne viene data informativa sul sito istituzionale dell'AIFA e viene meno la collocazione in Fascia C.

La norma in esame sembra riferirsi ai farmaci la cui AIC è stata approvata con procedura centralizzata europea. Peraltro, si rileva che, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, del decreto legge 158/2012, le aziende farmaceutiche possono presentare la domanda di classificazione dei farmaci appartenenti alle speciali categorie sopra menzionate anteriormente al rilascio dell’AIC nazionale di cui al D. Lgs. 219/2006. Si osserva infine, che un farmaco non classificato non può essere presente sul mercato.

 

Inoltre, nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito un ulteriore comma 4-quater diretto a prevedere che, nelle more dell’emanazione della disciplina relativa alle polizze assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie (prevista all’articolo 3 del D.L. 158/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 189/2012), allo scopo di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa anche ai giovani esercenti le professioni sanitarie e di consentire ad essi e alle imprese assicuratrici di adeguarsi alla disciplina medesima, l’obbligo del professionista di stipulare a tutela del cliente idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale (di cui all’articolo 5, comma 3, lettera e) del D.L. 138/2011) si applica decorsi due anni (invece che un anno, come attualmente previsto), dalla data di entrata in vigore del D.P.R. di riforma degli ordinamenti professionali (non ancora emanato).

 

In proposito va ricordato che Il comma 2 dell’articolo 3 del D.L. 158/2012 (c.d. decreto Balduzzi) prevede l’adozione di un provvedimento regolamentare allo scopo di agevolare l’accesso alle polizze assicurative da parte degli esercenti le professioni sanitarie, anche in attuazione dell’articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto-legge 138/2011[100] che statuisce il principio dell’obbligo del professionista di stipulare, a tutela del cliente, idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale.

Viene quindi demandato ad un decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi del comma 1 della legge n. 400/1988, su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, sentite l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi ed uniformi per l’idoneità dei relativi contratti di assicurazione, nel rispetto di alcuni criteri. Ad oggi il regolamento non è stato ancora emanato.


 

Articolo 45
(Omologazioni delle macchine agricole)

 

L’articolo 45, attraverso una modifica del comma 2 dell’articolo 107 del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992), prevede che, per le macchine agricole, l’accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore e della conformità alle prescrizioni tecniche previste dalla legge possa avvenire non solo da parte del Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come attualmente previsto, ma anche da parte delle strutture o degli enti in possesso dei requisiti che saranno stabiliti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole. Rimane fermo che le modalità di accertamento siano stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.

 

L’articolo 107, comma 1, del codice della Strada prevede che le macchine agricole siano soggette all'accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore quando ricorre e della corrispondenza alle prescrizioni tecniche ed alle caratteristiche disposte a norma di legge, rinviando al regolamento di esecuzione e di attuazione del codice (D.P.R. n. 495/1992) l’individuazione delle categorie di macchine agricole operatrici trainate che sono escluse dall'accertamento di cui sopra (il regolamento prevede, all’articolo 292, l’esclusione degli aratri, delle seminatrici e degli erpici).

Il comma 2 dell’articolo 107, nel testo previgente alla modifica in commento prevedeva che l'accertamento di cui al comma 1 avesse luogo mediante visita e prova da parte degli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.


 

Articolo 45-bis
(Abilitazione all’uso di macchine agricole)

 

L’articolo 45-bis, introdotto nel corso dell’esame nelle Commissioni riunite, reca disposizioni in tema di abilitazione all’uso di macchine agricole.

Il comma 1 prevede che, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 73, comma 5, del D.Lgs. 81/2008, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individui non solo le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, ma anche le condizioni considerate equivalenti alla specifica abilitazione.

Il comma 2 posticipa al 22 marzo 2015 il termine per l'entrata in vigore dell'obbligo dell'abilitazione all'uso delle macchine agricole, introdotto dall’Accordo del 22 febbraio 2012, n. 53, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (adottato in attuazione di quanto previsto dal citato comma 5 dell’articolo 73 del D.Lgs. 81/2008). Il termine attualmente previsto è quello dell’entrata in vigore del citato Accordo, ossia il 12 marzo 2013[101].

 

L’articolo 73 del decreto legislativo n. 81/2008 prevede, nell'ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 (informazione ai lavoratori) e 37 (formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti), l’obbligo per il datore di lavoro di provvedere affinché per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati, in rapporto alla sicurezza, relativamente alle condizioni di impiego delle attrezzature e alle situazioni anormali prevedibili. Il datore di lavoro provvede altresì a informare i lavoratori sui rischi cui sono esposti durante l'uso delle attrezzature di lavoro, sulle attrezzature di lavoro presenti nell'ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente, nonché sui cambiamenti di tali attrezzature. Il comma 5, in particolare, dispone che in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sono individuate le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione. A tale disposizione è stata data attuazione con l’Accordo del 22 febbraio 2012, n. 53.


 

Articolo 46
(EXPO Milano 2015)

 

L’articolo 46 prevede in via straordinaria, fino al 31 dicembre 2015, che i limiti di spesa vigenti per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza e missioni non si applichino agli enti locali coinvolti nell’organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015. La norma specifica che gli enti locali coinvolti nell’EXPO 2015 sono quelli indicati nel D.P.C.M. 6 maggio 2013.

In particolare, si prevede che, fino al 31 dicembre 2015, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 8 e 12 dell’articolo 6 del D.L. 78/2010 limitatamente alle spese connesse con l’organizzazione del grande evento.

 

Il comma 8[102] dell’articolo 6, del D.L. 78/2010, stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità.

Il comma 12[103] dell’articolo 6, del D.L. 78/2010 stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per le missioni, anche all’estero, delle pubbliche amministrazioni, che non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009.)

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stato aggiunto il comma 1-bis che assegna al Ministero degli affari esteri un contributo di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Tale contributo è destinato alle attività di organizzazione logistica e comunicazioni relative alla partecipazione all’Expo 2015, a sostegno della presentazione delle iniziative della cooperazione italiana particolarmente nell’ambito della sicurezza alimentare. La norma fa esplicito riferimento alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, nell’ambito della quale il contributo viene erogato.

Alla copertura del relativo onere finanziario si provvede tramite riduzione di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 139, della legge n. 228/2012, riguardante il fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari, istituito, a decorrere dal 2013, presso lo stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze: la dotazione del Fondo è pari per l’anno 2014, 590 milioni per l’anno 2015 e 640 milioni di euro a decorrere dal 2016.

 

Il comma 1-ter, parimenti introdotto nel corso dell’esame in sede referente, obbliga il Comune di Milano, nonché gli enti coinvolti nella realizzazione dell'evento, a pubblicare sul proprio sito ufficiale le spese sostenute per l'organizzazione dell’evento medesimo di cui al comma 1, al fine di garantire la trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche.

 

Ulteriori due commi aggiuntivi (commi 1-quater ed 1-quinquies), approvati nel corso dell’esame in sede referente, prevedono che il Comune di Milano possa destinare il gettito derivante dall'applicazione dell'imposta di soggiorno, relativamente agli anni 2013, 2014, 2015 e fino all'ottanta per cento dell’imposta, al programma di azioni finalizzato alla realizzazione dell'evento "Expo 2015" denominato "City Operations", approvato con deliberazione della Giunta Comunale di Milano del 15 giugno 2013.

 

I progetti di “Milano 2015 City Operations” riguardano undici azioni “obbligatorie” e settequalificanti e strategiche”: I progetti obbligatori, cioè progetti fondamentali per la riuscita della manifestazione, che l’Amministrazione intende realizzare in quanto considerati necessari perché la città possa accogliere i milioni di visitatori previsti in maniera adeguata sotto il profilo di sicurezza, mobilità, turismo, eventi culturali. Si tratta di accessibilità, mobilità, trasporti, percorribilità; Accoglienza e turismo; Ambiente, gestione rifiuti, igiene del suolo; Autorizzazioni amministrative e gestione operativa dei siti di servizio per Expo 2015 Spa; Centro di coordinamento cittadino – City Commander Center; Formazione operatori sul territorio, programmi educativi e promozione sociale; Eventi culturali, sportivi e di intrattenimento; Giovani e Programma volontari; Immagine, comunicazione e supporto delle attività di marketing; Sicurezza e protezione civile; Servizi medici. I progetti “qualificanti” che rivestono un’importanza strategica per la promozione della città e/o per il perseguimento del piano generale di sviluppo e che l’Amministrazione realizzerà compatibilmente con le risorse disponibili. Si tratta di: Brand Milano; Darsena e Vie d’Acqua; Distretto Agricolo Milano, Cascine , Orti Urbani; Scuole di Milano per Expo; Nuove imprese per i giovani; Forum Città Mondo; Progetti tecnologici.

 

Si dispone che le azioni indicate nel programma “City Operations” e le relative spese, finanziate con le entrate derivanti dall’imposta di soggiorno, non sono sottoposte ai limiti ed ai divieti previsti dall'articolo 6 del D.L. n. 78 del 2010, e non sono contabilizzate ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.

Si osserva che il riferimento ai limiti e ai divieti di cui all’articolo 6 del D.L. 78, relativo alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi, appare generico, in quanto l’articolo è composto da circa 30 commi, che disciplinano numerosi aspetti delle spesa delle amministrazioni considerate.

 

Infine il comma 1-sexies - introdotto, al pari dei precedenti, in sede di conversione del provvedimento - prevede che anche i comuni della Provincia di Milano, e successivamente ricompresi nella istituenda Area Metropolitana, possono istituire l'imposta di soggiorno ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011. Anche a tali comuni sono estese le facoltà previste per il Comune di Milano nei due commi precedentemente illustrati, sulla base di idonee deliberazioni delle rispettive Giunte Comunali.

Si ricorda che l’articolo 4 del D.Lgs. n. 23 del 2011 prevede che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.


 

Articolo 47
(Fondo impianti sportivi)

 

L’articolo 47 reca modifiche all’articolo 90 della legge n. 289 del 2002 in relazione al Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi.

 

L’articolo 90 della legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002), al comma 12 nel testo originario - ha istituito presso l'Istituto per il credito sportivo un Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrez­zatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica. Ai sensi del comma 13 con apposito regolamento del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio nazionale del CONI, si sarebbe provveduto alla disciplina del Fondo, in particolar modo relativamente alle forme di intervento del Fondo in relazione all'entità del finanziamento e al tipo di impianto. Si dispone, inoltre che il Fondo è gestito e amministrato a titolo gratuito dall'Istituto per il credito sportivo (comma 14), mentre al comma 15 si ribadisce che la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

I commi 12 e 13 sono stati sostituiti dall’articolo 64, comma 3-ter del D.L. n. 78 del 2012: in particolare il comma 12 ha eliminato la specifica che la garanzia del fondo sia sussidiaria a quella ipotecaria (specifica che, tuttavia, è contenuta nel successivo comma 15) e ha ampliato il novero dei soggetti che potranno usufruire della stessa garanzia, ricomprendendo anche “ogni altro soggetto pubblico o privato che persegua, anche indirettamente, finalità sportive”. Con la nuova formulazione del comma 13 il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare il Fondo è stato sostituito dalla previsione di criteri di gestione approvati dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, su proposta dell'Istituto per il credito sportivo, sentito il Comitato olimpico nazionale italiano. Al Fondo possono essere destinati ulteriori apporti conferiti direttamente o indirettamente da enti pubblici.

 

Con la modifica recata dalla lettera a), novellando il comma 13 – come sostituito dall’articolo 64, comma 3-ter, del D.L. 78 del 2012 – si dispone che i criteri di gestione del Fondo siano approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri, o dall’autorità di Governo delegato per lo sport, ove nominata, in luogo del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport.

Tale disposizione, di carattere più generale, si rende necessaria alla luce delle continue modifiche della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri dovute al conferimento delle deleghe ai Ministri senza portafoglio nelle successive compagini governative. L’attuale formulazione “Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport” è stata infatti introdotta nel 2012 quando la delega per lo sport era stata ad esso attribuita.

 

La successiva lettera b) abroga il comma 15 dell’articolo 90 ai sensi del quale la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

La soppressione della garanzia sussidiaria (già eliminata in sede di modifica del comma 12 ad opera del D.L. n. 78 del 2012) avrebbe lo scopo di rendere più fruibile l’accesso al fondo di garanzia per il finanziamento per la costruzione di impianti sportivi, per cui continuano a sussistere le ordinarie forme di garanzia.


 

Articolo 47-bis
(Misure per garantire la piena funzionalità e semplificare l’attività della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi)

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso del’esame in sede referente, incide sulla disciplina della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

Il comma 1, in particolare, riduce il numero dei suoi componenti da dodici a dieci. La riduzione è operata sul numero dei professori di ruolo in materie giuridiche (da due a uno) e dei dirigenti dello Stato (da uno a zero). Resta fermo il numero dei deputati (due) e senatori (due) e dei membri (quattro) scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97 (magistrati ordinari e amministrativi, magistrati della giustizia militare e avvocati dello Stato). La disposizione specifica che per quest’ultima categoria possono essere nominato anche soggetti in quiescenza.

Viene, inoltre, introdotta una innovazione nell’organizzazione dei lavori, prevedendo che la Commissione delibera a maggioranza dei presenti e che l’assenza dei componenti per tre sedute consecutive ne determina la decadenza.

Attualmente, il quorum di validità delle sedute è contenuto nel regolamento in materia di accesso ai documenti amministrativi: infatti l’articolo 12 comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184 al primo periodo (che è soppresso dal comma 3) prevede che le sedute della Commissione sono valide con la presenza di almeno sette componenti.

 La norma in esame legifica quindi una disposizione di rango secondario.

 

La tabella che segue mette a confronto del disposizioni vigenti con le modifiche proposte dall’articolo in esame.

 

Legge 7 agosto 1990, n. 241
Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

Testo vigente

Modifiche proposte dall’A.C. 1248-A

Art. 16
Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

 

1. È istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

Identico

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composta da dodici membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, due fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

2. La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Consiglio dei Ministri. Essa è presieduta dal sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composta da dieci membri, dei quali due senatori e due deputati, designati dai Presidenti delle rispettive Camere, quattro scelti fra il personale di cui alla legge 2 aprile 1979, n. 97, anche in quiescenza su designazione dei rispettivi organi di autogoverno, uno scelto fra i professori di ruolo in materie giuridiche e uno fra i dirigenti dello Stato e degli altri enti pubblici. È membro di diritto della Commissione il capo della struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri che costituisce il supporto organizzativo per il funzionamento della Commissione. La Commissione può avvalersi di un numero di esperti non superiore a cinque unità, nominati ai sensi dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

 

2-bis. La Commissione delibera a maggioranza dei presenti. L’assenza dei componenti per tre sedute consecutive ne determina la decadenza.

3. La Commissione è rinnovata ogni tre anni. Per i membri parlamentari si procede a nuova nomina in caso di scadenza o scioglimento anticipato delle Camere nel corso del triennio

Identico

4. Abrogato dal DPR 157/2007

 

5. La Commissione adotta le determinazioni previste dall'articolo 25, comma 4; vigila affinché sia attuato il principio di piena conoscibilità dell'attività della pubblica amministrazione con il rispetto dei limiti fissati dalla presente legge; redige una relazione annuale sulla trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che comunica alle Camere e al Presidente del Consiglio dei Ministri; propone al Governo modifiche dei testi legislativi e regolamentari che siano utili a realizzare la più ampia garanzia del diritto di accesso di cui all'articolo 22.

Identico

6. Tutte le amministrazioni sono tenute a comunicare alla Commissione, nel termine assegnato dalla medesima, le informazioni ed i documenti da essa richiesti, ad eccezione di quelli coperti da segreto di Stato.

Identico

 

Il comma 2 pone un termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto per la ricostituzione della Commissione nella composizione così ridotta. Fino alla data di nuova costituzione, la Commissione resta operante nella precedente composizione.

 

L’accesso ai documenti amministrativi è un diritto garantito dalla legge sull’azione amministrativa (L. 241/1990, art. 22 e seguenti) ed è uno dei principi generale dell’attività amministrativa per le sue rilevanti finalità di pubblico interesse.

Dal punto di vista soggettivo, il diritto all’accesso è riconosciuto a “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.

Il diritto di accesso si concretizza con la possibilità di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi.

Oggetto del diritto di accesso sono esclusivamente i documenti amministrativi, ossia tutti gli atti che hanno una rappresentazione materiale, essendo espressamente esclusi dall’accesso le informazioni in possesso della pubblica amministrazione che non hanno forma di documento amministrativo (fatta eccezione per i dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono, ai sensi del D.Lgs. 196/2003).

Una deroga al diritto di accesso è prevista per casi particolari quali:

§       i documenti coperti da segreto di Stato;

§       i procedimenti tributari, per i quali vigono norme speciali;

§       nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;

§       nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

Inoltre, il Governo può individuare, con regolamento, casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi in determinate circostanze, quali, ad esempio, quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche o gruppi di persone.

Non sono in ogni caso ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni.

La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi è l'organismo preposto alla vigilanza sull'attuazione del principio della piena conoscibilità e trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, al quale possono rivolgersi privati cittadini e pubbliche amministrazioni. Gli interessati possono ricorrere in via amministrativa alla Commissione avverso le determinazioni di diniego o differimento concernenti il diritto di accesso.


 

Articolo 48
(Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale)

 

L’articolo 48 del decreto legge, modificato nel corso dell’esame parlamentare, novella il decreto legislativo n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) al fine di inserirvi il nuovo articolo 537-bis in materia di cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale.

Nello specifico, il nuovo articolo 537-bis del Codice dell’ordinamento militare è finalizzato a consentire la partecipazione del Ministero della difesa, tramite le sue articolazioni, d’intesa con il Ministero degli affari esteri, alle attività di supporto tecnico-amministrativo e logistico, nonché di assistenza tecnica - con esclusione delle attività contrattuali - con altri Stati esteri, per l'acquisto da parte dei citati Stati di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale, ovvero in uso alle Forze armate italiane.

La disposizione in esame pone come condizione di operatività l’esistenza di accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare tra l’Italia e il Paese con il quale si intende procedere a talune delle richiamate operazioni ed il pieno rispetto della normativa in materia di esportazione di materiali d'armamento di cui alla legge n. 185 del 1990.

La disposizione in esame demanda, poi, ad un apposito regolamento adottato su proposta del ministro della Difesa, previo parere delle Commissioni competenti, ai sensi del comma 1 dell’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 il compito di definire la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni previste dalla norma in esame. Viene, altresì, specificato che le somme percepite per il rimborso dei costi sostenuti per le citate attività siano versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnati ai fondi di cui all'articolo 619 del codice dell'ordinamento militare.

In relazione al tema della cooperazione internazionale nel settore della difesa, si ricorda che l’Italia nel corso dei decenni ha stipulato accordi di cooperazione militare, e più in generale nel settore della difesa, con una molteplicità di Paesi, anche in ossequio alle direttrici fondamentali della propria politica estera e di sicurezza – al proposito vanno notati ad esempio i numerosi accordi bilaterali firmati con i Paesi emersi dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco orientale.

Nell’ambito di tali accordi sono ricorrenti clausole che riguardano il commercio di armamenti, sovente con il riferimento a più ampi quadri di cooperazione internazionale che ne assicurano la praticabilità in relazione alla sicurezza. Si ricorda a tal proposito che le Nazioni Unite il 3 giugno 2013 hanno aperto alla firma il Trattato sul commercio internazionale delle armi (ATT – Arms Trade Treaty), la cui futura entrata in vigore aggiungerà certamente un’ulteriore cornice di regolazione nella materia. Il Consiglio dei Ministri dello scorso 12 luglio, ha approvato, su proposta dei ministri degli Affari Esteri Emma Bonino e della Difesa Mario Mauro, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Trattato, adottato nel marzo 2013 dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite e firmato a New York il 2 aprile 2013.

Il Trattato, frutto di un lungo e complesso impegno negoziale avviato in ambito ONU dal 2006, rappresenta un punto di svolta nella trattazione di una delicata problematica nell’ambito delle relazioni internazionali. Il commercio illecito e non regolamentato delle armi ha conseguenze dirette, non solo sulla sicurezza delle Nazioni, ma soprattutto sul piano umanitario, sociale, ed economico. Il commercio illegale, o scarsamente regolamentato di armi non convenzionali, reca un pesantissimo costo in vite umane: stime internazionali fissano in più di 740.000 le persone che ogni anno muoiono a causa delle violenze armate.

L’ATT risponde alla urgente necessità di colmare le lacune del commercio non regolamentato di armi convenzionali e di intensificare gli sforzi volti al consolidamento della pace e dell’assistenza umanitaria, perseguendo l’obiettivo di rendere il commercio, l’esportazione e il trasferimento delle predette armi più responsabili e trasparenti.

L’Italia, pur disponendo in materia di una delle normative più avanzate a livello mondiale, ha svolto un ruolo importante in ogni fase del negoziato per raggiungere, sul piano legislativo, il migliore risultato possibile.

Con riferimento alla compatibilità del Trattato con la normativa europea, l’Italia, come gli altri Paesi membri, ha firmato l’ATT previa autorizzazione del Consiglio europeo, il quale sta ora procedendo all’elaborazione della decisione che autorizzerà gli Stati al deposito dello strumento di ratifica presso il Segretariato generale delle Nazioni unite.


 

Articolo 49
(Proroga e differimento di termini in materia di spending review)

 

Il comma 01, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, differisce dal 31 dicembre 2012 al 31 dicembre 2013 il termine entro il quale le regioni e gli enti locali possono recedere dai contratti di locazione in essere alla data del 7 luglio 2012.

 

Si ricorda che tale facoltà di recesso, concessa agli enti territoriali dall’articolo 3, comma 3, del D.L. n. 95/2012 - norma che il comma in esame intende novellare -, è da mettere in correlazione con quanto disposto dal comma 2 del medesimo articolo 3 del D.L. n. 95, il quale ha previsto la possibilità che alle regioni e agli enti locali possa essere concesso, per fini istituzionali, l’uso gratuito di beni immobili di proprietà dello Stato e che allo Stato, per i medesimi fini istituzionali, possa essere concesso l’uso gratuito di beni immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali.

Si ricorda che l’articolo 3 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) reca talune disposizioni in materia di riduzione dei costi per locazioni passive sostenuti dalla pubblica amministrazione.

In particolare, il comma 2 di tale articolo prevede la possibilità che alle regioni e agli enti locali possa essere concesso, per fini istituzionali, l’uso gratuito di beni immobili di proprietà dello Stato, e reciprocamente, che allo Stato possa essere concesso, per fini istituzionali, l’uso gratuito di beni immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali. Al fine di agevolare l’utilizzabilità di tale disposizione, il successivo comma 3 dispone che - per i contratti in corso alla data del 7 luglio 2012 (data di entrata in vigore del decreto legge n. 95/2012), le regioni e gli enti locali hanno facoltà di recedere dal contratto, entro il 31 dicembre 2012 (31 dicembre 2013, a seguito della modifica in commento), anche in deroga ai termini di preavviso stabiliti dal contratto medesimo.

 

Il comma 1, reca la proroga dei termini relativi alla spending review sulle società pubbliche cd. “strumentali”.

Si tratta, in particolare, delle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001[104] che abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi alla P.A. superiore al 90% del loro intero fatturato.

Per tali società, l’articolo 4 del decreto legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012) ha previsto che si proceda, alternativamente, allo scioglimento ovvero all’alienazione, dettando, per l’una e all’altra di queste operazioni, una tempistica differente:

a)   lo scioglimento, entro il 31 dicembre 2013;

b)   in alternativa allo scioglimento, l’alienazione con procedure ad evidenza pubblica, entro il 30 giugno 2013, delle partecipazioni detenute alla data del 7 luglio 2012[105]. In tale caso, il servizio è contestualmente assegnato alla società privatizzata per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Il provvedimento in esame proroga di sei mesi, dal 30 giugno 2013 al 31 dicembre 2013, il termine entro il quale procedere alla alienazione delle partecipazioni, e di sei mesi, dal 1 gennaio 2014 al 1 luglio 2014, il termine a decorrere dal quale il servizio strumentale è assegnato alla società privatizzata.

 

Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, contiene una norma di interpretazione autentica del comma 2 dell’articolo 5 del D.L. n. 95/2012, il quale, a decorrere dal 2013, pone un limite – pari al 50 per cento rispetto ai costi sostenuti nel 2011 - alla spesa pubblica per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi.

Ai sensi del medesimo comma 2, dell’articolo 5 del D.L. n. 95, il limite si applica alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009), alle Autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) e alle società dalle stesse amministrazioni controllate.

Il comma 2-bis in esame stabilisce che il menzionato comma 2, articolo 5 del D.L. n. 95 si interpreta nel senso che le previsioni e i termini ivi previsti non si applicano alle società quotate e alle loro controllate.

Si ricorda che l’articolo 5, comma 2 del D.L. n. 95/2012, pone un limite – con alcune esclusioni che qui non si dettagliano - pari al 50 per cento dei costi sostenuti nel 2011 per le spese destinate all'acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi, prevedendo che tale soglia sia derogabile, solo nell’anno 2013[106], esclusivamente in ragione della sussistenza di contratti pluriennali già in essere.

I contratti di locazione o noleggio in essere alla data del 7 luglio 2012 possono essere ceduti, anche senza l'assenso del contraente privato, alle Forze di polizia, con il trasferimento delle relative risorse finanziarie fino alla scadenza del contratto.

Si prevede, infine, la revoca delle gare espletate (da Consip S.p.A.) nel 2012 per la prestazione del servizio di noleggio a lungo termine di autoveicoli senza conducente, nonché per la fornitura in acquisto di berline medie con cilindrata non superiore a 1.600 cc per le Pubbliche Amministrazioni.

 

Il comma 2 differisce altresì al 31 dicembre 2013 il termine, invero già scaduto il 7 aprile 2013, decorso il quale sono automaticamente soppressi gli enti, le agenzie e gli organismi non siano già stati soppressi o riaccorpati dagli enti territoriali ai sensi dell’articolo 9, commi 1 e 4, del citato D.L. n. 95/2012.

La medesima norma fa salvi gli atti compiuti dagli enti, agenzie ed organismi che hanno proseguito la loro attività oltre il 7 aprile 2013.

Si ricorda che l’articolo 9 comma 1 del D.L. n. 95/2012 ha imposto alle regioni, alle province e ai comuni di sopprimere o accorpare enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data del 7 luglio 2012, esercitavano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali (di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione) o funzioni amministrative spettanti a comuni, province e città metropolitane.

In alternativa alla soppressione o all’accorpamento, il legislatore ha consentito la riduzione in misura non inferiore al 20 per cento degli oneri finanziari dei predetti enti.

In caso di mancato intervento in tal senso da parte degli enti territoriali interessati entro il 7 aprile 2013[107], il comma 4 dell’articolo 9 ha disposto la soppressione automatica degli enti e la nullità di tutti gli atti adottati successivamente a tale data.

 

Con riferimento alla norma in commento, si osserva che poiché il termine previsto dal comma 4 dell’articolo 9 del D.L. n. 95/2012 è ormai scaduto, gli enti, le agenzie e gli organismi interessati dalla norma risulterebbero già soppressi ope legis e nulli gli eventuali atti da essi posti in essere successivamente.

La norma in esame, più che di un differimento, sembrerebbe, pertanto, avere l’effetto di una riviviscenza di norme che hanno già esplicato i propri effetti, rendendo ancora vigenti gli enti ed organismi che, alla data del 7 aprile 2013 dovrebbero essere stati già automaticamente soppressi, nonché di farne salvi gli atti di quegli enti che hanno comunque proseguito l’attività.

 

Il comma 2-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente modifica l’articolo 15, comma 8, lettera d) del D.L. n. 95/2012 recante misure in materia di spesa farmaceutica.

Il D.L. 95/2012 ha incrementato il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera portandolo a 3,5 punti percentuali. In caso di superamento del nuovo limite percentuale, a decorrere dal 2013, è a carico delle aziende farmaceutiche (secondo i criteri e le modalità di cui al comma 8) una quota pari al 50 per cento del valore eccedente la spesa farmaceutica a livello nazionale mentre il restante 50 per cento è a carico delle sole regioni nelle quali si sia superato il limite, in proporzione ai rispettivi valori eccedenti. L’imputazione di una quota a carico delle aziende farmaceutiche pari al 50 per cento ha comportato la determinazione di una complessa procedura per la ripartizione fra le aziende farmaceutiche del valore eccedente il tetto della spesa farmaceutica, che prevede fra l’altro la composizione del budget della spesa farmaceutica ospedaliera annuale di ogni singola azienda farmaceutica. In particolare, il comma 8 definisce le modalità di riparto fra le aziende farmaceutiche della quota necessaria per il ripiano e i provvedimenti da adottare in caso di mancata corresponsione di tale quota. Ai fini del riparto, è necessario disporre fra l’altro dei dati relativi alla spesa farmaceutica ospedaliera. Per il monitoraggio complessivo della spesa sostenuta per l'assistenza farmaceutica ospedaliera la lettera d) del comma 8 dispone di far riferimento ai dati rilevati dai modelli CE.

 

Si ricorda che l’articolo 5, comma 5, del D.L. 159/2007[108] dispone che a decorrere dall'anno 2008 la spesa farmaceutica ospedaliera sia rilevata dai modelli CE. Come previsto dal D.Lgs. 118/2011[109], per conferire struttura uniforme alle voci del bilancio preventivo economico annuale e del bilancio d'esercizio, nonché omogeneità ai valori inseriti in tali voci, il decreto 15 giugno 2012, Nuovi modelli di rilevazione economica «Conto economico» (CE) e «Stato patrimoniale» (SP) delle aziende del Servizio sanitario nazionale, ha definito i modelli CE per le rilevazioni del conto economico a preventivo, trimestrali e a consuntivo da parte delle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, degli IRCCS nonché delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, sia nel caso di sussistenza o la provincia autonoma medesima, sia nel caso di gestione integrale del finanziamento del Servizio sanitario regionale presso gli enti del Servizio sanitario regionale.

 

Il comma in esame, modificando l’articolo 15, comma 8, lettera d), del D.L. n. 95/2012, stabilisce che ai fini del monitoraggio complessivo della spesa sostenuta per l'assistenza farmaceutica ospedaliera si fa riferimento ai dati trasmessi nell’ambito del nuovo sistema informativo sanitario ai sensi del decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, Istituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco, di una banca dati centrale finalizzata a monitorare le confezioni dei medicinali all'interno del sistema distributivo.

 

L’articolo 5-bis del D.Lgs. 540/1992[110], prevede l’istituzione presso il Ministero della salute di una Banca dati centrale che, partendo dai dati di produzione e fornitura dei bollini numerati dei prodotti medicinali, raccolga e registri i movimenti delle singole confezioni. Inoltre, tutti gli attori della filiera (produttori, depositari, grossisti, farmacie aperte al pubblico, centri sanitari autorizzati all’impiego di medicinali, aziende sanitarie locali e smaltitori) sono tenuti ad archiviare e trasmettere a tale Banca dati il codice prodotto ed il numero identificativo (numerazione progressiva del bollino) di ciascun pezzo uscito e la relativa destinazione, mentre coloro che ricevono sono tenuti ad archiviare il codice prodotto ed il numero identificativo di ciascun pezzo ricevuto. Il DM 15 luglio 2004 ha istituito la Banca dati per il monitoraggio dei medicinali nel canale distributivo, disciplinata dal decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004 definendone le regole per l’alimentazione, in attuazione del modello teorico definito dalla Legge comunitaria 2001[111]. Il campo di applicazione decreto ministeriale è rappresentato da tutti i prodotti medicinali ad uso umano immessi in commercio in Italia, disciplinati dal D.Lgs. 219/2006, compresi anche l’ossigeno e gli altri gas medicinali dotati di AIC.

 

Si rileva che, successivamente, ai fini del monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero è stato emanato il Decreto Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali 4 febbraio 2009, Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero che prevede l’istituzione di una banca dati dedicata a partire dal 1 ottobre 2009 e ne disciplina il flusso informativo di alimentazione. Nell’aprile 2013, il Ministero della salute ha predisposto un documento in materia Monitoraggio dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero (DM 4 Febbraio 2009): Linee guida per la predisposizione e la trasmissione dei file al NSIS.

 

Coerentemente con quanto previsto nel documento «Nucleo informativo per la rilevazione delle prestazioni farmaceutiche», elaborato nell'ambito del programma «Mattoni del Servizio sanitario nazionale», sono oggetto di monitoraggio i medicinali, destinati alla somministrazione interna, consegnati dalle farmacie ospedaliere e dalle farmacie distrettuali alle unità operative e alle strutture territoriali. La rilevazione dei consumi di medicinali in ambito ospedaliero, che riguarda quantità e costi, si applica a: tutti i medicinali per uso umano dotati di codice di autorizzazione all’immissione in commercio, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. 219/2006, ai gas medicinali, alle formule magistrali, alle formule officinali, e ai medicinali esteri non autorizzati all’immissione in commercio in Italia, utilizzati ai sensi del Decreto del Ministero della salute 11 febbraio 1997.

 

Pertanto, come rilevabile dalla Nota informativa dell’AIFA, la composizione del budget della spesa farmaceutica ospedaliera annuale di ogni azienda farmaceutica, è ricavato a partire dai dati di spesa della singola AIC di cui l’azienda è titolare, registrati durante l’anno precedente. Come specificato dall’art.15, comma 8, lettera d), terzo paragrafo, ai fini della definizione dei budget aziendali, nelle more della completa attivazione del flusso informativo dei consumi dei medicinali in ambito ospedaliero, alle regioni che non hanno fornito i dati, o li hanno forniti parzialmente, viene attribuita la spesa per l’assistenza farmaceutica ospedaliera rilevata nell’ambito del nuovo sistema informativo sanitario ai sensi del decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 4 gennaio 2005.

In sintesi, nel suo complesso la lettera d) stabilisce quali siano i dati relativi ai consumi ed alla spesa farmaceutica ospedaliera. Tali dati comprendono:

§      i dati rilevati dai modelli CE ai fini del monitoraggio complessivo della spesa sostenuta per l'assistenza farmaceutica ospedaliera, al netto della spesa per la distribuzione diretta di medicinali;

§      i dati trasmessi dalle Regioni al Nuovo Sistema Informativo Sanitario relativi al flusso della distribuzione diretta e per conto di cui al DM 31 luglio 2007, Istituzione del flusso informativo delle prestazioni farmaceutiche effettuate in distribuzione diretta o per conto;

§      i dati trasmessi dalle Regioni al Nuovo Sistema Informativo Sanitario relativi al flusso dei consumi ospedalieri di cui al DM 4 febbraio 2009;

§      i dati trasmessi dalle aziende farmaceutiche all’NSIS che costituiscono il flusso informativo della tracciabilità del farmaco istituito ai sensi del DM 15 luglio 2004.

 

Da quanto sopra illustrato, il rinvio al decreto del Ministro della salute 15 luglio 2004, potrebbe non essere corretto. Si rileva altresì che l’attuale sistema di monitoraggio della spesa farmaceutica ospedaliera, nel suo complesso, con riferimento ai Modelli CE, è stato disposto dall’articolo 5, comma 5, del D.L. 159/2007.


 

Articolo 49-bis
(Misure per il rafforzamento della spending review)

 

L’articolo 49-quater reca una nuova disciplina dell’attività volta alla razionalizzazione della spesa pubblica, che sostituisce – semplificandola e rifondendola in un unico articolo - quella attualmente disposta dagli articoli da 1 a 6 del decreto legge n. 52/2012[112].

La nuova disciplina conferma gli organi cui è affidata l’attività in esame già previsti dal D.L. 52 sopradetto, vale a dire il Comitato interministeriale (nel quale peraltro, rispetto alla attuale composizione, viene inserito anche il Ministro dell’interno) ed il Commissario straordinario, la cui durata, prevista in un anno dalla disciplina vigente[113], viene ora estesa a tre anni.

Il Comitato svolge attività di indirizzo e coordinamento in materia di razionalizzazione della spesa di tutte le amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e delle società controllate direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati (vale a dire società per azioni ed altre). Tale attività dovrà concernere in particolare i trasferimenti alle imprese, la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, l'ottimizzazione dell'uso degli immobili e delle altre materie individuate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2012[114], o da ulteriori direttive del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il Comitato può altresì istituire un Commissario straordinario, con durata dell’incarico fino a tre anni: esso ha poteri conoscitivi nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, nonché poteri ispettivi, a mezzo degli organi della Ragioneria Generale dello Stato. Entro venti giorni dalla nomina, il Commissario dovrà presentare al Comitato il proprio programma di lavoro, che va trasmesso anche alle Camere. Per quanto concerne gli oneri derivanti dall’indennità da corrispondersi al Commissario, essi non potranno superare 150 mila euro per l'anno 2013, 300 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 200 mila euro per l'anno 2016[115], cui si provvede, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (articolo 10, comma 5, del D.L. 282/2004),

A seguito delle nuove norme dettate dall’articolo 49-bis in esame vengono conseguentemente abrogate le disposizioni che attualmente regolano la materia, costituite dagli articoli 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6 del D.L. n. 52/2012, e dall’articolo 1, comma 2, della legge di conversione dello stesso (L. 94/2012), che di seguito si richiamano brevemente.

L'articolo 1 istituisce un Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica con funzioni di indirizzo e coordinamento in ordine, principalmente, alla revisione dei programmi di spesa, alla riduzione delle spese per l’acquisto di beni e servizi, al ridimensionamento delle strutture ed all’ottimizzazione dell’uso degli immobili.

I commi da 1-bis ad 1-quinquies confermano i contenuti della disciplina sulla revisione della spesa pubblica detta dall’articolo 01 del decreto-legge n.138 del 2011, con alcune differenziazioni derivanti dalla necessità di prorogarne alcuni termini di realizzazione nonché dalla istituzione dei nuovi organi previsti dal decreto- legge in esame nell’ambito del processo di spending review, vale a dire il Comitato interministeriale ed il Commissario straordinario.

L'articolo 2 prevede la nomina - da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per i rapporti con il Parlamento - di un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi con il compito di definire il livello di spesa per voci di costo delle amministrazioni pubbliche; a tal fine la disposizione reca l’elencazione delle amministrazioni cui si riferisce l’attività del Commissario, includendo tra le stese anche taluni tipi di società a controllo pubblico e, limitatamente alla spesa sanitaria, le regioni commissariate per i piani di rientro sanitari.

L’articolo 3 rinvia ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la definizione della durata e dell’indennità del Commissario, la eventuale nomina di due subcommissari nonché l’individuazione di uffici, personale e mezzi dei quali il Commissario può avvalersi, nel rispetto dell’invarianza di spesa.

L'articolo 4 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri riferisca al Parlamento sull’attività di razionalizzazione della spesa pubblica con cadenza semestrale, e invii altresì al Parlamento una relazione sulla medesima attività. Tali obblighi, in fase di prima applicazione, vengono adempiuti entro il 31 luglio 2012. L'articolo 5 conferisce al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi alcuni poteri di coordinamento e di indirizzo dell’attività di spending review con il coinvolgimento delle amministrazioni pubbliche. In particolare, viene attribuito al Commissario il potere di chiedere informazioni e documenti alle singole amministrazioni e alle società a totale partecipazione pubblica diretta e indiretta e di disporre che vengano svolte ispezioni nei confronti delle stesse da parte dell’Ispettorato per la funzione pubblica e del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Al Commissario spetta, inoltre, il compito di definire, per voci di costo, il livello di spesa per acquisti di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche e di segnalare al Consiglio dei ministri o al presidente della regione interessata le norme di legge o di regolamento che determinano spese o voci di costo che possono essere razionalizzate. Esso inoltre segnala alle amministrazioni interessate le misure di riordino da operare, fissando un termine per l’adozione delle stesse, decorso il quale il Consiglio dei ministri può autorizzare l’esercizio di poteri sostitutivi.

L’articolo 6 detta i requisiti soggettivi per la nomina oltreché le condizioni fondamentali di operatività del Commissario straordinario.

L’articolo 1, comma 2 della legge di conversione n. 94/2012 dispone che le norme contenute nel Capo I del decreto-legge (vale a dire gli articolo da 1 a 6) hanno efficacia fino alla data del 31 dicembre 2014.


 

Articolo 49-ter
(Acquisizione della documentazione attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici)

 

L’articolo, introdotto durante l’esame in sede referente, prevede l’obbligo per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sottoscritti dalle pubbliche amministrazioni a partire da tre mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, di acquisire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario esclusivamente attraverso la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)[116].

L’articolo 6-bis del D.lgs. 163/2006 dispone, al fine di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dagli obblighi informativi che gli operatori economici devono sostenere per partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, che, a partire dal 1° gennaio 2013, la documentazione attestante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario, sia acquisita presso la Banca Dati, istituita presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) dall’art. 62-bis del D.lgs. n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale), attraverso la quale le stazioni appaltanti possono verificare il possesso dei predetti requisiti.

L’AVCP, con la deliberazione 111/2012 ha introdotto l’AVCPASS, (Authority Virtual Company Passport), che consente alle stazioni appaltanti di verificare i requisiti di partecipazione degli operatori economici a cui devono obbligatoriamente registrarsi:

§       dal 1° luglio 2013, per tutti gli appalti di lavori in procedura aperta di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000 nei settori ordinari, ad eccezione di quelli interamente svolti con sistemi telematici, con sistemi dinamici di acquisizione o mediante il mercato elettronico, nonché di quelli nei settori speciali;

§       dal 1° gennaio 2014, per tutti gli appalti di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000,00 nei settori ordinari e speciali, interamente svolti con sistemi telematici, con sistemi dinamici di acquisizione o mediante il mercato elettronico.

Successivamente, l’AVCP, con il Comunicato del 12 giugno 2013, ha rinviato al 1° gennaio 2014 il passaggio al regime obbligatorio del nuovo sistema AVCPASS per le pubbliche gare d’appalto d’importo pari o superiore a 40.000 euro esperite in modalità non telematica[117]. Per gli appalti di importo a base d’asta pari o superiore a € 40.000,00 svolti attraverso procedure interamente gestite con sistemi telematici, nonché per i settori speciali, l’obbligo, prima stabilito a partire dal 1° gennaio 2014, di procedere alla verifica dei requisiti attraverso il sistema AVCPASS sarà regolamentato attraverso una successiva deliberazione dell’Autorità.


 

Articolo 49-quater
(Anticipazione di liquidità in favore dell’Associazione italiana
della Croce Rossa)

 

L’articolo 49-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, consente alla Associazione italiana della Croce rossa (CRI) - nelle more dello svolgimento delle attività, disciplinate dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 178/2012[118],volte alla ricognizione della massa patrimoniale dell’ente e al ripiano dell'indebitamento pregresso della CRI mediante procedura concorsuale – di avere accesso, per l’anno 2014, ad anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012, nel limite massimo di 150 milioni di euro a valere sulla Sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo anticipazioni liquidità di cui all’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2012 (legge n. 64/2013), la quale, per l’anno 2014, è dotata di 9 miliardi di euro.

 

In particolare, l’articolo prevede che la CRI possa presentare - entro il 30 settembre 2013 - con certificazione congiunta del Presidente e del Direttore generale, un'istanza di accesso ad anticipazione di liquidità, per l’anno 2014, nel limite massimo di 150 milioni di euro al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato.

 

A tale proposito, si ricorda che nel corso della seduta n. 15 del 14 maggio 2013 della Camera dei Deputati, dedicata alla Discussione del disegno di legge di Conversione in legge del decreto-legge 35/2013 (A.C. 676-A) è stato illustrato l’ordine del giorno 9/676-A/17, che impegna il Governo ad adottare misure che assicurino alla Croce Rossa Italiana la liquidità di cassa necessaria ad evitare il blocco delle procedure esecutive, anche prevedendo la possibilità di includere la stessa Croce Rossa tra i soggetti ammessi a beneficiare delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto legge 35/2013.

L’ordine del giorno, accolto dal Governo, richiamava la grave situazione di liquidità di cassa della Croce Rossa, sottolinenando allo stesso tempo come il D.Lgs. 178/2012, non garantendo più la solvibilità dei pagamenti e dei debiti pregressi, non fosse in grado di scongiurare la paralisi dell'attività della Croce Rossa nei confronti dell'utenza. Per quanto riguarda la situazione della C.R.I., essa appare dovuta a tre filoni di contenzioso antecedenti al 2009. In particolare, un debito pregresso derivante da un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo pari a circa 49 milioni di euro, un contenzioso incentivo personale a tempo determinato con un impatto di circa 70 milioni di euro e infine l'intervenuta sentenza 6077/13 del 12 febbraio 2013 della Corte di cassazione relativamente alla stabilizzazione dei lavoratori a tempo determinato nelle condizioni di cui alla legge finanziaria per il 2007, che ha visto soccombere la Croce Rossa, concretizzando maggiori spese per il personale pari a circa 37 milioni di euro.

 

L’anticipazione è concessa - previa presentazione da parte della C.R.I. di un piano di pagamenti dei debiti certi, liquidi e esigibili alla data del 31 dicembre 2012 anche a carico di singoli Comitati territoriali - a valere sulla sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo anticipazioni liquidità, di cui all’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35 (comma 1).

La norma non specifica il termine entro il quale presentare il Piano dei pagamenti dei debiti certi, liquidi e esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, sebbene sia presumibile che tale presentazione debba avvenire contestualmente all’istanza di accesso all’anticipazione, e comunque entro il 30 settembre.

 

L’articolo dispone, inoltre, che all’erogazione della suddetta somma si provvede a seguito della:

a)      predisposizione, da parte dell’ente, di misure idonee e congrue di copertura annuale del rimborso dell’anticipazione di liquidità maggiorata degli interessi, le quali devono essere verificate da apposito Tavolo tecnico cui partecipano l’ente, i Ministeri vigilanti e il Ministero dell’economia e delle finanze – RGS;

b)      sottoscrizione di apposito contratto tra il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro e l'Associazione italiana della Croce Rossa, nel quale sono definite le modalità di erogazione e di restituzione delle somme comprensive di interessi e in un periodo non superiore a trenta anni, prevedendo altresì, qualora l’ente non adempia nei termini stabiliti al versamento delle rate dovute, le modalità di recupero delle medesime somme da parte del Ministero dell’economia e l’applicazione di interessi moratori.

Il tasso di interesse a carico dell’ente deve essere pari al rendimento di mercato dei Buoni poliennali del tesoro a cinque anni in corso di emissione.

 

Si ricorda che articolo 1, comma 10, del decreto legge n. 35/2013 (legge n. 64/2013) prevede l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze di un Fondo con obbligo di restituzione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili, dotandolo di 9,328 miliardi di euro per il 2013 e di 14,528 miliardi per il 2014.

Il Fondo è distinto in tre sezioni (a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio):

§       “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali”, dotata di 1.800 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014;

§       “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari”, dotata di 2.528 milioni di euro per l’anno 2013 e di 3.728 milioni di euro per l’anno 2014;

§       Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale”, dotata di cui 5.000 milioni di euro per l’anno 2013 e di 9.000 milioni di euro per l’anno 2014.

 

L’articolo 3 del medesimo decreto disciplina la concessione delle anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le anticipazioni sono dunque ammesse per un importo massimo di 14 miliardi di euro per il biennio 2013-2014, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014. I criteri per il riparto delle risorse tra le regioni e le province autonome sono costituiti dall'ammontare degli ammortamenti non sterilizzati e dall'importo delle mancate erogazioni - per competenza e/o per cassa - delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi Servizi sanitari. Le anticipazioni in oggetto devono essere restituite, insieme con gli interessi, in un periodo non superiore a 30 anni (ai sensi del comma 5, lettera c))[119].

 

Come già sopra accennato, l’articolo aggiuntivo in esame reca la copertura della misura in esso prevista a valere sulle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013), che il medesimo D.L. n. 35/2013 destina alla concessione di anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti degli enti territoriali (enti locali, regioni e province autonome ed enti del servizio sanitario nazionale).

 

Il D.Lgs. 178/2012 di riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) ha profondamente modificato l’Associazione, fino a trasferirne le funzioni, dal 1° gennaio 2014, alla costituenda Associazione della Croce Rossa Italiana che diverrà persona giuridica di diritto privato ai sensi del Libro Primo, titolo II, capo II, del codice civile. Fino al 1° gennaio 2014, la C.R.I. assume la denominazione di “Ente strumentale alla Croce Rossa italiana”, e mantiene la personalità giuridica di diritto pubblico come ente non economico, con l’obiettivo di concorrere allo sviluppo della nuova Associazione. L’Ente svolgerà le attività in ordine al patrimonio e ai dipendenti della CRI.

Si ricorda che Associazione italiana della Croce rossa (CRI) è inclusa nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione nel settore relativo agli Enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali (Cfr. Comunicato ISTAT pubblicato in G.U. n. 227 del 28 settembre 2012) e non nel settore delle amministrazioni locali.

Peraltro, si ricorda che le amministrazioni facenti parte del conto economico consolidato della P.A. (ulteriori rispetto a quelle tenute alla certificazione dei crediti) sono state obbligate - ai sensi dell’articolo 7, comma 7-ter del D.L. n. 35/2013 - a registrarsi sulla piattaforma elettronica dei crediti entro il 28 giugno 2013, ai soli fini della comunicazione, entro il 15 settembre 2013, dell’elenco completo dei propri debiti per somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2013.

La Croce Rossa Italiana- e, nella specie, i comitati regionali - risulta tra gli enti che si sono accreditati sulla piattaforma elettronica.


 

Articolo 50
(
Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti)

 

L’articolo 50 reca modifiche all’articolo 35, comma 28 del D.L. n. 223/2006 in tema di responsabilità solidale dell’appaltatore. In particolare viene meno la responsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento dell’Iva da parte del subappaltatore, mentre rimane per il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.

Nel corso dell’esame parlamentare il comma 28 è stato ulteriormente modificato e integrato. In particolare si prevede che, per quanto riguarda le ritenute sui redditi di lavoro dipendente relative al rapporto di subappalto, la responsabilità solidale è esclusa nel caso in cui l’appaltatore verifichi la corretta esecuzione degli adempimenti attraverso l’acquisizione del nuovo Documento unico di regolarità tributaria (DURT) relativo al subappaltatore. L’appaltatore, fino all’acquisizione del documento di regolarità tributaria, sospende il pagamento del corrispettivo.

Attualmente per non incorrere nella responsabilità solidale l’appaltatore verifica la corretta esecuzione degli adempimenti attraverso una asseverazione rilasciata da professionisti (iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro) e dai Caf ovvero attraverso l’autocertificazione del prestatore (come chiarito dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 40/E del 2012).

Il nuovo DURT, che dovrà essere rilasciato dagli uffici provinciali dell’Agenzia delle entrate per via digitale e certificata, attesta l’inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso.

A tal fine si assegna al Direttore dell’Agenzia delle entrate, di intesa con l’INPS, il compito di stabilire le modalità organizzative e attuative con la predisposizione di un portale attraverso il quale i soggetti interessati dovranno trasmettere i dati contabili e i documenti relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute. L’avvio del nuovo sistema di rilascio deve avvenire entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

 

La precedente formulazione della disciplina in questione è stata disposta dall’articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012, il quale ha altresì aggiunto i commi 28-bis e 28-ter, sempre in tema di soggetti responsabili per il versamento di somme all'erario nel caso di appalto di opere e di servizi.

 

La previgente disciplina, in sintesi, prevedeva la responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto. La responsabilità è esclusa se l'appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore; tale documentazione può consistere anche nella asseverazione rilasciata da CAF o da professionisti abilitati. Sia l'appaltatore che il committente possono sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino all'esibizione della predetta documentazione. L'inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000 se gli adempimenti prescritti non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dal subappaltatore. Tale responsabilità, comunque, è limitata all’ipotesi in cui, pur in assenza della presentazione della documentazione, tali versamenti non risultino eseguiti dall’appaltatore o dall’eventuale subappaltatore.

E’ infine prevista l'applicazione delle predette norme ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che operano nell'ambito di attività rilevanti a fini IVA, dai soggetti IRES, dallo Stato e dagli enti pubblici, escludendo le stazioni appaltanti.

L'Agenzia delle entrate con la circolare 2/E del 1° marzo 2013 ha fornito, dopo la precedente circolare n. 40/E del 2012, ulteriori chiarimenti sulle problematiche interpretative sorte sull'articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012. In particolare, per quanto riguarda l'ambito oggettivo di applicazione, è stato escluso che l'articolo 13-ter trovi applicazione soltanto in relazione ai contratti stipulati dagli operatori economici del settore edilizio, avendo invece una portata generale. Non rientrano nel campo applicativo della norma le tipologie contrattuali diverse dal contratto di appalto di opere e servizi (gli appalti di fornitura di beni, il contratto d'opera, il contratto di trasporto, il contratto di subfornitura, le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile).

Si segnala che Confindustria ha presentato nel marzo 2013 una formale denuncia (complaint) alla Commissione europea per sostenere l'incompatibilità con il diritto comunitario delle regole che riguardano nello specifico la responsabilità solidale dell'appaltatore per quanto riguarda il versamento all'erario dell'Iva dovuta dal subappaltatore. Analoga denuncia è stata presentata dall’Associazione italiana dei dottori commercialisti di Milano.

In particolare la lettera a), numero 2), del comma 1 - introdotta nel corso dell’esame parlamentare - modifica l’articolo 35, comma 28, del D.L. n. 223/2006 prevedendo che la responsabilità solidale è esclusa ove l'appaltatore verifichi la corretta esecuzione del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore all'erario in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto, acquisendo il Documento unico di regolarità tributaria relativo alla posizione del subappaltatore presso uno degli uffici provinciali dell'Agenzia delle entrate, attestante l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso. L'appaltatore sospende il pagamento del corrispettivo fino all'acquisizione del DURT.

La lettera b) del comma 1 sostituisce il comma 28-bis conservando la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000 nel caso in cui il committente non osservi le modalità di pagamento previste, ferma restando la responsabilità solidale prevista dal comma 28.

Si segnala, al riguardo, che non è stata riprodotta la disposizione che prevede le modalità di pagamento da parte del committente, ovvero previa esibizione da parte dell’appaltatore della documentazione attestante che gli adempimenti di cui al comma 28, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dagli eventuali subappaltatori.

La lettera c) del comma 1, inserendo i nuovi commi 28-quater, 28-quinquies e 28-sexies all’articolo 35, prevede che l’Agenzia delle entrate predisponga un portale idoneo per l’acquisizione dei dati informativi ai fini del rilascio, in forma telematica debitamente certificata, del DURT, anche avvalendosi del sistema UNIEMENS reso operativo dall’INPS (comma 28-quater).

UNIEMENS è un sistema di inoltro delle denunce mensili relative ai lavoratori dipendenti, gestito dall’INPS. Si tratta di una progressiva trasformazione in un unico documento telematico delle notizie che le aziende datrici di lavoro erano precedentemente tenute a fornire mediante i due separati flussi (modelli DM10/2 ed EMENS) con i quali venivano comunicati i dati contributivi in forma aggregata (cioè con riferimento al complesso dei lavoratori presenti in azienda, distinto per categorie ed espresso in forma numerica) e i dati retributivi riferiti al singolo lavoratore, in forma individuale e nominale.

Si ricorda, su un altro versante, che il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) attesta la regolarità dei versamenti dovuti agli Istituti previdenziali e, per i datori di lavoro dell'edilizia, la regolarità dei versamenti dovuti alle Casse edili. È stato introdotto dal D.Lgs. 494/1996 per i cantieri temporanei o mobili laddove si è previsto che il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa, fosse tenuto a chiedere un certificato di regolarità contributiva. Questa norma è ora riprodotta all’articolo 90 del D.Lgs. 81/2008. In seguito, tale obbligo è stato esteso dapprima alle ipotesi di imprese affidatarie di un appalto pubblico, tenute alla presentazione del documento alla stazione appaltante a pena di revoca dell'affidamento (articolo 2 del D.L. 210/2002) e, successivamente, per l’accesso da parte delle imprese ai benefici e alle sovvenzioni comunitarie.

Si ricorda, inoltre, che con il D.M. 13 marzo 2013 sono state disciplinate le modalità di rilascio e di utilizzazione del DURC in presenza della specifica certificazione, che attesti la sussistenza e l'importo di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti delle amministrazioni statali, degli enti pubblici nazionali, delle Regioni, degli enti locali e degli enti del S.S.N., di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte del soggetto titolare dei crediti certificati.

Il nuovo comma 28-quinquies prevede la registrazione volontaria da parte dei soggetti d’imposta al suddetto portale per il rilascio del DURT. In attesa della messa a regime delle procedure di fatturazione elettronica, i soggetti iscritti trasmettono, in conformità alle procedure vigenti e per via digitale, i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute. Ai fini della permanenza della validità della registrazione, l'adempimento è eseguito all'atto dell’iscrizione e, successivamente, con cadenza periodica.

Il nuovo comma 28-sexies consente ai contribuenti tenuti al versamento dell’Iva trimestrale che si registrano nel suddetto portale di eseguire le liquidazioni periodiche e i relativi versamenti d'imposta con le modalità di cui all'articolo 1, comma 1, del D.P.R. n. 100 del 1998, ovvero utilizzando il criterio con il quale i contribuenti con liquidazione mensile determinano l’Iva a debito o a credito di ciascun mese, entro il giorno 16 del mese successivo, facendo riferimento all’imposta divenuta esigibile ed all’imposta annotata nei registri relativi a beni e servizi acquistati, nel mese cui si riferisce la liquidazione.

Le modalità per il rilascio del DURT, così come novellato dal presente articolo al comma 1, lettera a), numero 2), sono stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, d’intesa con l’INPS, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e sul sito internet dell’Agenzia stessa, da adottarsi entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame. Il suddetto provvedimento stabilisce anche la data di entrata in funzione delle procedure per il rilascio del DURT, comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in oggetto (comma 2).

L’Agenzia delle entrate deve dare notizia con un comunicato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e nel sito internet istituzionale della medesima Agenzia, della data di entrata in funzione delle procedure per il rilascio del DURT. Fino al momento della pubblicazione del suddetto comunicato l’esclusione della responsabilità solidale negli appalti potrà essere assicurata attraverso il sistema attualmente vigente, ovvero mediante le asseverazioni e le autocertificazioni precedentemente descritte (comma 3).


 

Articolo 50-bis
(Semplificazione della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA)

 

L’articolo 50-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca disposizioni per la semplificazione della comunicazione telematica all’Agenzia delle entrate per i soggetti titolari di partita IVA. Si tratta, tuttavia, di un regime facoltativo, in base al quale dal 1° gennaio 2015 i soggetti titolari di partita IVA possono, a fronte di una serie di benefici in termini di minori adempimenti fiscali, comunicare giornalmente in via telematica all’Agenzia delle entrate i dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi, incluse le relative rettifiche in aumento e in diminuzione.

Gli stessi soggetti trasmettono l’ammontare dei corrispettivi delle operazioni effettuate e non soggette a fatturazione, risultanti dagli appositi registri.

Sono esclusi dalla segnalazione i corrispettivi relativi a operazioni, non soggette a fatturazione, effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e da altri organismi di diritto pubblico, nonché dai soggetti che applicano la dispensa dagli adempimenti per le operazioni esenti (prevista dall’articolo 36-bis del D.P.R. n. 633 del 1972).

Il comma 3 dispone che dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal successivo comma 5 – con cui si ridefiniscono le informazioni da annotare nei registri tenuti ai fini dell’assolvimento degli obblighi IVA - ai soggetti che optano per l’invio in via telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati analitici delle fatture di acquisto e cessione di beni e servizi non si applicano le seguenti disposizioni:

§      l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010, relativo all’obbligo di comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA di importo non inferiore a 3.000 euro, come attuato dal provvedimento del direttore dell’Agenzia 22 dicembre 2010;

§      l’articolo 1, commi da 1 a 3, del D.L. n. 40 del 2010, relativo alla comunicazione telematica di tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo superiore a euro 500 effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi cosiddetti black list, come attuato con D.M. Economia e finanze del 30 marzo 2010;

§      l’articolo 60-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, sulla solidarietà del cessionario al pagamento dell’IVA in caso di mancato versamento dell'imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale;

§      l’articolo 20, comma 1, del D.P.R. n. 605 del 1973, relativo alla comunicazione all'anagrafe tributaria da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici degli estremi dei contratti di appalto, di somministrazione e di trasporto conclusi mediante scrittura privata e non registrati;

§      l’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del D.L. n. 746 del 1983, relativo alla comunicazione all'Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica, dei dati relativi alle operazioni realizzate senza applicazione dell'imposta indicate nella apposita dichiarazione su tali acquisti o importazioni, attuata con provvedimento del direttore dell’Agenzia del 14 marzo 2005;

§      l’articolo 35, commi 28, 28-bis e 28-ter, del D.L. n. 223 del 2006, relativi alla responsabilità in solido dell'appaltatore con il subappaltatore, nei limiti dell'ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore all'erario in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del rapporto di subappalto di opere o di servizi.

 

Analogamente, il comma 4 dispone, dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal successivo comma 5, la soppressione di alcune disposizioni contenute all’articolo 50, comma 6, del D.L. n. 331 del 1993, relative alla presentazione in via telematica all'Agenzia delle dogane degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, nonché di talune prestazioni di servizi, ricevute da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro della Comunità.

Il già richiamato comma 5 prevede l’emanazione di un regolamento ex articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che ridefinisce le informazioni da annotare nei registri tenuti ai fini dell’assolvimento degli obblighi IVA, allo scopo di allineare il contenuto di tali registri alle segnalazioni di cui al primo comma del presente articolo, e abroga, in tutto o in parte, gli obblighi di trasmissione di dati e di dichiarazione contenenti informazioni già ricomprese nella medesima segnalazione.

Infine il comma 6 rinvia ad un decreto ministeriale avente natura non regolamentare, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore del regolamento di cui al precedente comma 5, per l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo.

 

Si ricorda che un regime premiale per favorire la trasparenza fiscale era stato introdotto dal D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, commi 1-8) a decorrere dal 1° gennaio 2013. L’agevolazione è rivolta alle imprese (non soggette a Ires) ed ai professionisti che “collaborano” con l’amministrazione finanziaria fornendole i propri dati rilevanti ai fini fiscali, prevedendo per essi una serie di benefici fiscali e semplificazioni amministrative, oltre che l’assistenza fiscale direttamente da parte dell’Agenzia delle Entrate per molti adempimenti Iva e dei sostituti d’imposta.

Tale regime opzionale riguarda i soggetti che svolgono: attività artistica o professionale; attività di impresa individuale; attività di impresa nella forma delle società di persone. I benefici riconosciuti consistono:

a)    nella semplificazione degli adempimenti amministrativi;

b)    nell’assistenza, nei predetti adempimenti, da parte dell'Amministrazione finanziaria;

c)    nell’accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti IVA;

d)    per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore, nell’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici;

e)    nella riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette.

 

Per poter accedere ai predetti benefici il contribuente deve provvedere all’invio telematico all’amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura; egli deve altresì istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi all’attività artistica, professionale o di impresa esercitata.

 

Ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (ancora non emanato) è affidato il compito di individuare i benefici relativi alla semplificazione degli adempimenti amministrativi, l’assistenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e l’accelerazione di rimborso e compensazione dei crediti IVA, con particolare riferimento agli obblighi concernenti l’imposta sul valore aggiunto e gli adempimenti dei sostituti d’imposta.


 

Articolo 51
(
Soppressione dell’obbligo di presentazione mensile del Modello 770)

 

L’articolo 51 abroga il comma 1 dell’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, relativo alla semplificazione della dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta attraverso la trasmissione mensile dei dati.

 

Si segnala che, poiché l’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003 è composto di un unico comma, sarebbe opportuno disporre l’abrogazione dell’intero articolo 44-bis.

 

L’articolo 44-bis è stato inserito nel D.L. n. 269 del 2003 dall’articolo 1, comma 121, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) e successivamente modificato dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, dall’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009 e dall’articolo 29, comma 7, del D.L. n. 216 del 2011.

 

Le disposizioni introdotte dal citato articolo 44-bis avrebbero lo scopo di semplificare la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta tenuti al rilascio della certificazione di cui all’articolo 4, commi 6-ter e 6-quater, del D.P.R. n. 322 del 1998, recante il regolamento sulle modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge n. 662 del 1996[120].

 

L’articolo 44-bis dispone pertanto che – originariamente - a partire dalle retribuzioni corrisposte con riferimento al mese di gennaio 2009 - i sostituti di imposta dovranno comunicare, mensilmente e per via telematica, direttamente o tramite gli intermediari abilitati, i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per l’implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l’erogazione delle prestazioni. I sopra illustrati obblighi di comunicazione dovranno essere assolti mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento.

Un primo intervento modificativo del testo è stato disposto dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, che ha differito il termine di riferimento al gennaio 2010. Successivamente l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009, oltre a differire tale termine al gennaio 2011, ha previsto altresì un periodo di sperimentazione a partire dal 2010, con modalità stabilite di concerto tra l’Agenzia delle entrate e l’Istituto nazionale della previdenza sociale – INPS. I termini sono stati quindi differiti dall’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 225 del 2010 e, da ultimo, dal D.P.C.M. 25 marzo 2011.

Conseguentemente la formulazione vigente del comma 2 dell’articolo 42 risulta essere la seguente: “Il termine di decorrenza stabilito nel mese di gennaio 2009 dal comma 1 dell'articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, è prorogato al mese di gennaio 2014 previa sperimentazione, a partire dall'anno 2013, con modalità stabilite di concerto tra l'Agenzia delle entrate e l'Istituto nazionale della previdenza sociale.

 

Sembrerebbe pertanto opportuno disporre l’abrogazione anche del comma 2 dell’articolo 42 del D.L. n. 30 dicembre 2008, n. 207, nonché abrogare o riformulare i commi 122 e 123 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 2007 (i quali fanno riferimento al comma 121, che ha introdotto nell’ordinamento l’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, che il presente articolo 51 abroga).


 

Articolo 51-bis
(Ampliamento assistenza fiscale)

 

L’articolo 51-bis, introdotto dalle Commissioni riunite I e V, prevede la possibilità, a decorrere dal 2014, per i soggetti titolari di taluni redditi di lavoro dipendente e assimilati indicati agli articoli 49 e 50 del TUIR, di poter usufruire dei centri di assistenza fiscale (CAF) e dei consulenti del lavoro, ai fini della presentazione della dichiarazione dei redditi anche in caso di assenza di un sostituto d'imposta che sia tenuto a effettuare il conguaglio.

In sostanza viene estesa la possibilità di ricorrere ai CAF anche per quei soggetti che nell’anno 2013 si trovavano in una condizione di lavoratore dipendente, ma nell’anno successivo non risultano più tali e quindi non avrebbero potuto, ai sensi della normativa vigente, utilizzare un CAF in quanto non sussistendo più il rapporto di lavoro dipendente, non figura più il sostituto di imposta.

Gli effetti della disposizione si concretizzano nella possibilità di ottenere già nell’anno stesso (successivo a quello del rapporto di lavoro dipendente) eventuali rimborsi (credito) da parte dell’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, effettuando la dichiarazione tramite modello UNICO il rimborso si sarebbe ottenuto dopo alcuni anni.

 

La disposizione in esame richiama i redditi da lavoro dipendente di cui all’art. 49 del TUIR (comprese le pensioni), nonché quelli assimilati (art. 50 del TUIR), limitatamente alle seguenti lettere del comma 1, lettere a), c), c-bis), d), g), con esclusione delle indennità percepite dai membri del Parlamento europeo, i) e l), del TUIR.

 

Il comma 2 specifica che, se dalle dichiarazioni presentate emerge un debito, il soggetto che presta l'assistenza fiscale trasmette telematicamente la delega di versamento utilizzando i servizi telematici resi disponibili dall'Agenzia delle entrate ovvero, entro il decimo giorno antecedente la scadenza dei termine di pagamento, consegna la delega di versamento compilata al contribuente che effettua il pagamento con le modalità indicate nell'articolo 19 n. 241 del 1997.

Il comma 3 specifica che eventuali rimborsi sono, tuttavia, effettuati dall’Amministrazione finanziaria dopo aver verificato la correttezza della dichiarazione (risultato finale delle dichiarazioni).

Il comma 4 reca una disposizione transitoria relativamente al 2013, prevedendo la possibilità di presentare le dichiarazioni dei redditi dal 2 al 30 settembre 2013, esclusivamente se dalle stesse risulta un esito contabile finale a credito. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti i termini e le modalità applicative di tale disposizione transitoria.


 

Articolo 52
(Disposizioni per la riscossione mediante ruolo)

 

L’articolo 52, comma 1, modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità.

La norma è volta a migliorare le relazioni con i debitori, anche in ragione dell'impegno assunto dal Governo con la risoluzione in Commissione VI Finanze della Camera, atto n. 7/00014, del 21 maggio 2013 (risoluzione conclusiva atto n. 8/00002 approvata il 22 maggio 2013). In particolare rispetto all’atto di indirizzo parlamentare sono state attuate le seguenti indicazioni:

§      è ampliata fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

-       l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

-       la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto.

§      è ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;

§      viene stabilità l’impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo; per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite era di ventimila euro);

§      i limiti di pignorabilità dei beni strumentali, previsti dall'articolo 515 del codice di procedura civile, sono estesi ai debitori costituiti in forma societaria;

§      si dà impulso alla revisione del sistema di remunerazione della riscossione, prevedendo l'adozione del relativo decreto ministeriale entro il 30 settembre (comma 2).

Sono inoltre previste le seguenti misure:

§      la vendita in proprio dei beni pignorati, per la quale può essere effettuata la stima di un esperto nominato dal giudice, deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto; per consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio il termine di efficacia del pignoramento è prolungato da centoventi a duecento giorni;

§      sono escluse dal pignoramento presso terzi le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

 

Non sono stati recepiti gli ulteriori criteri indicati nella citata risoluzione. Si tratta, in particolare, della riduzione degli interessi di mora in caso di ritardato pagamento e della limitazione del principio del solve et repete previsto dall’articolo 15 del D.P.R. n. 602/1973, secondo il quale il contribuente che presenti ricorso in sede giurisdizionale avverso atti di accertamento tributario relativi ad imposte dirette o IVA deve comunque versare un terzo della somma richiesta dall'amministrazione.

 

Nel corso dell’esame in sede referente, è stata inserita una norma in materia di fermo amministrativo dei beni mobili registrati, prevedendo che l’agente della riscossione notifichi una comunicazione preventiva con la quale avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo; se entro tale termine il debitore dimostra che il bene in questione è strumentale all’attività di impresa o della professione il fermo non è eseguito.

E’ stato inoltre introdotto in nuovo comma 3-bis, che prevede che il Governo riferisca alle Camere, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una loro puntuale valutazione di efficacia. La relazione del Governo, in particolare, deve dar conto degli effetti derivanti:

§      dall'introduzione di una franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso;

§      dall'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti;

§      dall'ampliamento a 8 del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.

Rateazione

La lettera a) del comma 1 prevede l’estensione fino a dieci anni della possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, per ragioni estranee alla propria responsabilità, eventualmente prorogabile per lo stesso periodo (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

§      l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

§      la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto.

La decadenza dal beneficio della rateizzazione scatta nel caso del mancato pagamento di otto rate anche non consecutive (in luogo delle previgenti due rate consecutive). In tal caso il comma 3 dell’articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che: il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione; il carico non può più essere rateizzato.

 

Si evidenzia che Equitalia, con una nota interna del 1° luglio 2013, ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. In particolare, la nota afferma la decorrenza immediata della norma che estende da due ad otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, per la decadenza dal beneficio della rateazione. La nota di Equitalia, con riferimento ai contribuenti decaduti dal beneficio per il mancato pagamento di due rate, ipotizza una disciplina di favore per i debitori che eviti loro di essere esclusi dalla fruizione dell’agevolazione introdotta. In attesa dei possibili chiarimenti, pertanto, nella nota si ritiene opportuno che le strutture preposte si astengano dall’attivare iniziative di riscossione nei confronti di coloro che risultino dovessero versare nella situazione anzidetta.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame prevede che, entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto-legge in esame, un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze stabilisca le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall’applicazione del meccanismo di rateazione inserito con la norma in commento.

La fattispecie prevista dalla norma in esame si aggiunge all’ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, prevista dal comma 1, per il quale è già ammessa una rateazione in 72 rate mensili, e all’ipotesi di comprovato peggioramento della situazione di obiettiva difficoltà, per il quale il comma 1-bis consente un ulteriore periodo di dilazione del pagamento fino a 72 mesi. Si rammenta che il comma 1-ter (inserito dal D.L. n. 16/2012) consente un piano di rateazione con rate di importo crescente (l’importo minimo della rata è di 100 euro).

Vendita in proprio dei beni pignorati

La lettera b) del comma 1 modifica e integra con due nuovi commi l’articolo 52 del D.P.R. 602/1973, in materia di vendita di beni pignorati a seguito di esecuzione forzata per debiti tributari. Tale articolo è stato in precedenza modificato dal D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-terdecies) il quale ha consentito al contribuente sottoposto a esecuzione forzata – in luogo dell’agente della riscossione - di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, versando all’erario l’intero ricavato. La vendita deve avvenire con il consenso dell’agente della riscossione, il quale interviene nell’atto di cessione. L’eccedenza è rimborsata al debitore entro dieci giorni lavorativi.

 

La lettera b) al n. 1), per la determinazione del valore del bene oggetto di vendita, aggiunge ai rimandi agli articoli 68 e 79 del D.P.R. 602/1973, l’articolo 80, comma 2, il quale prevede per la vendita di un immobile la stima di un esperto nel caso in cui il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, ritenga che il valore determinato ai sensi dell’articolo 79 sia manifestamente inadeguato (l’articolo 80 è stato così modificato dalla lettera l), si veda oltre).

 

La lettera b) al n. 2) introduce i commi 2-ter e 2-quater all’articolo 52 con i quali viene precisato che la vendita in proprio del bene pignorato o ipotecato deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto. Si prevede, inoltre, che qualora ciò non abbia luogo e l'agente della riscossione attivatosi per la vendita coattiva abbia necessità di procedere al secondo incanto, il debitore possa comunque esercitare la facoltà di vendita diretta entro il giorno antecedente la data stabilita per il secondo incanto.

La lettera c), modificando il comma 1 dell’articolo 53, prolunga il termine di efficacia del pignoramento da centoventi a duecento giorni, al fine di consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio.

Limite al pignoramento dei beni strumentali

La lettera d), modificando l’articolo 62 del D.P.R. n. 602/73, estende alle imprese che abbiano forma giuridica di società e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro i limiti alla pignorabilità dei beni strumentali già riconosciuti dal codice di procedura civile alle ditte individuali. Il pignoramento può riguardare al massimo un quinto dei beni aziendali, e può essere effettuato solo laddove non sia congruo il valore di presumibile realizzo degli altri beni del debitore (nuovo comma 1).

Si prevede, inoltre, che nel caso di pignoramento dei beni strumentali il debitore ne sia obbligatoriamente nominato custode. La vendita all’asta non può avvenire prima che siano trascorsi almeno trecento giorni e non dopo i successivi sessanta giorni (comma 1-bis).

Il comma 3 dell’articolo 515 del codice di procedura civile, richiamato dalla norma in esame, prevede che gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall’ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito. Il secondo periodo del comma 3 prevede, inoltre, che il predetto limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro.

Pignoramento presso terzi (stipendi e pensioni)

Con le lettere e) e f) sono adottate misure volte ad attenuare alcuni effetti del pignoramento presso terzi, in particolar modo nel caso di stipendi e pensioni accreditati su conto corrente, al fine di evitare che vengano meno i limiti alla relativa pignorabilità.

La lettera e) modificando l'articolo 72-bis (pignoramento dei crediti verso terzi) eleva da quindici a sessanta giorni il termine entro il quale il terzo pignorato deve pagare il credito direttamente all’agente della riscossione.

Ciò consentirebbe al debitore che abbia fondate ragioni da opporre all'iniziativa di riscossione avviata di attivare, in tempi consoni, le tutele del caso, evitando che, nelle more, il terzo disponga l'accredito delle somme pignorate.

 

La lettera f) aggiunge il comma 2-ter all’articolo 72-ter del D.P.R. 602/1973, inserito dal D.L. n. 16 del 2012 al fine di graduare i limiti di pignorabilità degli stipendi (ovvero di altre indennità relative al rapporto di lavoro).

L’articolo 72-ter prevede la misura del quinto dello stipendio (prevista dall’articolo 545 del c.p.c.) come intaccabile dal pignoramento nel caso di salario avente un importo superiore a 5.000. Per gli importi fino a 2.500 euro si prevede il limite di pignorabilità da parte dell’agente della riscossione in misura pari a un decimo. Per gli importi tra 2.500 e 5.000 euro la misura è di un settimo.

Con il comma 2-ter in commento sono escluse dal pignoramento le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

Tale norma è volta ad ovviare al rischio del venir meno dei limiti alla pignorabilità degli stipendi e delle pensioni, tenuto conto che il D.L. n. 201 del 2011 ha imposto l'accredito degli emolumenti retributivi e pensionistici superiori a 1000 sul conto corrente bancario/postale e, considerato che, per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, le somme di danaro, una volta depositate sul conto, perdono qualsiasi connessione con la eventuale speciale destinazione delle stesse, ovvero con il titolo per il quale sono versate in favore dell'avente diritto

Si evidenzia al riguardo che Equitalia, con nota interna del 22 aprile 2013, aveva stabilito di non procedere al pignoramento sui conti correnti di banche e poste dove affluiscono i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di importo inferiore a 5 mila euro. Si tratta di un'iniziativa interna di Equitalia per tutelare le fasce più deboli dei cittadini in attesa dell’intervento normativo. 

Con la successiva nota interna del 1° luglio 2013 Equitalia ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. Con riferimento alla tematica in esame si prevede il superamento delle disposizioni impartite con la precedente nota del 22 aprile.

Limiti alla espropriazione immobiliare

Le successive lettere g), h), i), l) e m) intervengono in materia di espropriazione immobiliare. In primo luogo si prevede la impignorabilità dell’unica casa di abitazione (non di lusso) del debitore, escludendo la possibilità che l'agente possa avviare l'espropriazione forzata immobiliare. Nell'ipotesi di espropriazione iniziata da creditori privati, è riconosciuto al creditore pubblico il diritto di intervento secondo i principi generali dell'ordinamento processuale.

In particolare la lettera g) sostituisce il primo comma dell’articolo 72 (espropriazione immobiliare) del D.P.R. 602/1973, facendo salva, in primo luogo, la facoltà di intervento dell’agente della riscossione nella procedura di espropriazione iniziata da altri creditori.

Al riguardo si osserva che la norma fa riferimento all’articolo 563 del codice di procedura civile (Condizioni e tempo dell'intervento), nell’ambito dell’espropriazione immobiliare. Tuttavia tale articolo è stato abrogato dall'articolo 2, comma 3, lett. e), D.L. 14 marzo 2005, n. 35.

 

La norma in esame prevede che l’agente della riscossione non può dare corso all’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore, qualora esso costituisca la sua casa di abitazione dove risiede anagraficamente. Sono esclusi da questa previsione le case di lusso aventi le caratteristiche individuate dal D.M. n. 218 del 1969 (Caratteristiche delle abitazioni di lusso) e i fabbricati delle categorie catastali A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Per gli altri immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite, modificato da ultimo dal D.L. n. 16 del 2012, era di ventimila euro). Si prevede, inoltre, che in tal caso l’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta ipoteca (di cui all’articolo 77) e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto.

Si evidenzia che ai sensi del comma 1 dell’articolo 77 l’iscrizione dell’ipoteca può avvenire solo dopo che siano decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento.

 

La lettera h), con una modifica dell’articolo 77, precisa che l’ipoteca può essere iscritta anche nei casi sopra descritti (unica casa di abitazione e per gli altri immobili per credito inferiore a centoventimila euro), purché l'importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente a ventimila euro.

La finalità di garanzia dell’ipoteca immobiliare non è necessariamente preordinata all’esecuzione. Essa, infatti, mira ad impedire, in primo luogo, che siano pregiudicate le ragioni creditorie degli enti impositori per i quali l'agente della riscossione procede, nel caso in cui altri creditori avviino l'espropriazione o impongano altri vincoli reali sul bene gravato dalla cautela. Ha, del pari, la finalità di assicurare il diritto di prelazione sul ricavato della vendita conseguente all'esproprio promosso da altri e, nell'ipotesi di fallimento del debitore, di consentire all'agente della riscossione di soddisfarsi ugualmente con prelazione sul ricavato. L'iscrizione comporta, inoltre, il diritto di sequela. Il debitore resta, infatti, libero di disporre del bene ipotecato, ma il trasferimento eventualmente disposto nonostante l'iscrizione della cautela non è opponibile all'agente della riscossione, che può soddisfarsi sul bene acquisito da terzi.

 

Le lettere i) e l) integrano le norme previste per la pubblicità degli incanti e per la stima del valore dell’immobile pignorato.

In particolare si prevede che gli agenti della riscossione, per rendere quanto più proficue le operazioni di vendita, hanno l'obbligo di pubblicizzare la vendita stessa sui siti delle proprie società di riscossione (articolo 80, comma 1-bis).

Il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, nel caso in cui ritenga che il prezzo base, determinato ai sensi dell’articolo 79, sia manifestamente inadeguato, nomina un esperto per effettuare la stima. L’agente della riscossione può richiedere la nomina di un ausiliario per l'identificazione delle caratteristiche del bene o per esigenze di custodia (articolo 80, comma 2).

Nei casi in cui il giudice abbia disposto la pubblicità degli incanti a mezzo di giornali o con altre forme di pubblicità commerciale, ovvero abbia nominato un esperto per la stima, ovvero un ausiliario per la relazione sulle condizioni del bene pignorato e per la custodia, le spese sono anticipate dalla parte richiedente e liquidate dal giudice in prededuzione, ovvero in via prioritaria (articolo 80, comma 2-bis).

Nel caso in cui siano state effettuate le nomine sopradette (esperto o ausiliario) il pignoramento non perda efficacia se il primo incanto, a causa delle nomine, non può essere effettuato entro il nuovo termine di legge, ovvero duecento giorni (articolo 80, comma 2-bis). In tal caso, l'agente della riscossione ha l'onere di fissare i nuovi incanti e di notificare il relativo avviso al soggetto nei confronti del quale si procede (articolo 78, comma 2-bis).

 

La lettera m) modifica il comma 1 dell’articolo 85 (Assegnazione dell'immobile allo Stato) prevedendo che nel caso in cui anche il terzo incanto abbia avuto esito negativo l’immobile invenduto venga devoluto allo Stato al prezzo base del terzo incanto (in precedenza era previsto il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede).

La Corte costituzionale con la sentenza n. 281 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità della precedente versione della norma in questione, imponendo al legislatore di rivedere la misura del prezzo di assegnazione dell’immobile invenduto, in quanto l'importo del credito per il quale si procede non ha alcuna relazione con il valore dell'immobile. La Corte ha pertanto suggerito di far riferimento al prezzo del terzo incanto, salvo diversa valutazione del legislatore che però sia in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato.

 

Si evidenzia che Equitalia, con una nota interna del 1° luglio 2013, ha diramato le proprie istruzioni volte ad adeguare la propria azione alla nuova normativa, anche alle procedure in corso. In particolare devono essere sospese le espropriazioni in corso sulla prima ed unica casa di abitazione del debitore. Sono sospese, inoltre, le espropriazioni immobiliari pendenti alla data di entrata in vigore del decreto in esame qualora: l’importo del credito per cui si procede non supera centoventimila euro; non sia stata iscritta preventivamente l’ipoteca o non siano decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione della stessa senza che il debito sia stato estinto.

Procedura di fermo di beni mobili registrati

La lettera m-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, sostituisce il comma 2 dell’articolo 86 (Fermo di beni mobili registrati).

La formulazione attualmente vigente prevede che il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede.

Con decreto del Ministro delle finanze n. 503 del 1998 è stato adottato il regolamento recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi.

La nuova formulazione provvede a dettagliare ulteriormente tale procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati:

§      l’agente della riscossione, prima dell’esecuzione del fermo, non provvede automaticamente all’iscrizione nei registri mobiliari, ma avvia la procedura provvedendo a notificare al debitore o ai coobbligati iscritti nei pubblici registri comunicazione preventiva, con la quale di avvisa che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di 30 giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari;

§      entro tale termine di 30 giorni tuttavia il debitore o i coobbligati possono dimostrare all’agente della riscossione che il bene mobile in questione è strumentale all’attività di impresa o della professione. In tal caso non si provvederà al fermo del mezzo.

Remunerazione degli agenti della riscossione

Il comma 2, modificando l’articolo 10, comma 13-quinquies, del D.L. n. 201 del 2011, anticipa al 30 settembre (in luogo del 31 dicembre) il termine entro il quale devono essere adottati i decreti non regolamentari del Ministro dell’economia e delle finanze che calcolano annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione e in materia di rimborso spese, propedeutici all’avvio del nuovo sistema di remunerazione degli agenti della riscossione.

 

L’articolo 10, ai commi da 13-quater a 13-septies del D. L. n. 201 del 2011, ha previsto la riforma del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione. Sino all’entrata in vigore dei provvedimenti attuativi della nuova disciplina resta ferma l’antecedente disciplina in materia di remunerazione degli agenti della riscossione, recata dall’articolo 17 del D.Lgs. 112/1999 nella sua antecedente formulazione. In attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il D.L. n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 (che dunque passa dal nove all’otto per cento a decorrere dalla predetta data).

In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito da un rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad elementi connessi ad elementi di fatto come l’andamento della riscossione, ma anche in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione.

Il rimborso è posto a carico del debitore nella misura del cinquantuno per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento). La parte rimanente rimane a carico dell’ente creditore. Per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica) il rimborso è interamente a carico del contribuente.

Relazione del Governo alle Camere

Il comma 3-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede che il Governo riferisca alle Camere, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sugli effetti di ognuna delle misure di cui al presente articolo, ai fini di una loro puntuale valutazione di efficacia.

La relazione del Governo, in particolare, deve dar conto degli effetti derivanti:

§      dall'introduzione di una franchigia di 120.000 euro per l'espropriazione degli immobili diversi dalla casa di abitazione non di lusso;

§      dall'innalzamento a 120 del numero massimo di rate in cui possono essere ripartiti i debiti;

§      dall'ampliamento a 8 del numero di rate il cui mancato pagamento fa venir meno il beneficio della rateizzazione dei debiti.


 

Articolo 53
(Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate)

 

L’articolo 53 proroga - al 31 dicembre 2013 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (anche per le entrate di natura diversa dai tributi di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), consentendo anche ai concessionari diversi da Equitalia di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, purché in presenza dei requisiti per l'iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali.

 

La norma interviene modificando il comma 2-ter dell’articolo 10, del decreto-legge n. 35 del 2013, che aveva consentito ai comuni di continuare ad avvalersi di Equitalia per la riscossione dei tributi fino al 31 dicembre 2013. Tale norma consentiva quindi - solo per la predetta attività di riscossione dei tributi (e non anche per le entrate di natura diversa) - di superare la scadenza del 30 giugno 2013, a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata avrebbero cessato - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.

Tale termine, inizialmente fissato al 1° gennaio 2012, era stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto – legge n. 201 del 2011 e, quindi, al 30 giugno 2013 dall’articolo 9, comma 4, del decreto – legge n. 174 del 2012, in attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali.

Il citato decreto-legge n. 174 del 2012 conteneva anche la proroga - sempre al 30 giugno 2013 - dell’operatività delle disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, riguardanti le società concessionarie diverse da Equitalia. Tale termine non è stato peraltro prorogato dal D.L. 35 del 2013, restando confermata la scadenza, per le predette società, al 30 giugno 2013.

 

La norma in commento allinea quindi tutte le scadenze al 31 dicembre 2013 al fine di favorire il riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione.

 

La disciplina dei consorzi tra enti locali è contenuta nell’articolo 31 TUEL ed è stata integrata dal comma 28 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007).

L'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha stabilito che i comuni devono procedere alla soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti. I comuni assumono le funzioni esercitate dai consorzi soppressi nonché le relative risorse, con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici in essere e ad ogni altro effetto.

Infine, l’art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 se appartenenti a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali elencate nel medesimo articolo 19, ad esclusione di quelle relative allo stato civile.

 

In relazione all’eventuale istituzione di un consorzio, si osserva che la disposizione reintroduce l'istituto del consorzio, abrogato dalla legge, seppur limitandolo all'esercizio della funzione di riscossione, senza peraltro chiarire le modalità di istituzione nonché i compiti e le funzioni attribuiti al medesimo.

 

Per quanto riguarda il riordino della riscossione delle entrate degli enti locali, si ricorda che presso la Commissione Finanze della Camera è in corso di esame la proposta di legge n. 1122 che riprende integralmente il contenuto del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C. 5291) e approvato il 12 ottobre 2012, in prima lettura, dalla Camera dei deputati. Alla proposta sono abbinate la pdl 282 (Causi e altri) sostanzialmente identica e la pdl 950 (Zanetti) in materia di contrasto all'elusione fiscale e abuso del diritto.

 

Sul tema della riscossione, il 22 maggio 2013 la Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 8-00002, che impegna il governo a fornire maggiore flessibilità alle procedure di riscossione coattiva dei tributi, al fine di evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali; a ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente.


 

Articolo 54, comma 1
(Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard
degli enti locali)

 

L’articolo 54, al comma 1, reca disposizioni concernenti la disponibilità e la pubblicità dei questionari predisposti dalla società SOSE (Soluzioni per il Sistema Economico)[121] Spa, ai fini della predisposizione delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, sulla base di quanto dispone l’articolo 5 del decreto legislativo n.216 del 2010[122], prevedendo che:

§      i questionari sono resi disponibili sul sito della SOSE e con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare sulla G.U. viene data notizia della data di tale disponibilità;

§      dalla data di pubblicazione del suddetto provvedimento decorre il termine di sessanta giorni, previsto dal comma 1, lettera c) del sopracitato articolo 5, entro cui i comuni e le province devono compilare e restituire per via telematica i questionari.

 

La procedura di determinazione dei fabbisogni standard – che, si rammenta, secondo la legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale costituiscono i nuovi parametri in base ai quali individuare il finanziamento delle spese degli enti locali al fini di un graduale superamento del criterio della spesa storica – viene affidata dal decreto legislativo n. 216 del 2010 alla SOSE spa che, avvalendosi anche dell’IFEL (Istituto per la finanza e l’economia locale) e dell’Istat, predispone le metodologie occorrenti alla determinazione dei fabbisogni medesimi, che dovranno far riferimento ai criteri ed alle indicazioni recate dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo.

In particolare, i valori dei fabbisogni andranno individuati con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei singoli Comuni e Province, utilizzando i dati di spesa storica tenendo conto dei gruppi omogenei e tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata; considerando altresì una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio, alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, al personale impiegato, alla efficienza, all'efficacia e alla qualità dei servizi erogati nonché al grado di soddisfazione degli utenti.

Ai fini della predisposizione delle metodologie in questione, la SOSE predispone appositi questionari, funzionali alla raccolta dei dati contabili e strutturali di comuni e province, cui andranno inviati con un termine di compilazione e restituzione stabilito in sessanta giorni. L’inosservanza di tale termine comporta il blocco, fino all’avvenuto invio del questionario, dei trasferimenti a qualunque titolo da erogare all’ente locale inadempiente.

L’articolo in commento sembra pertanto finalizzato a disciplinare con norma primaria la procedura relativa ai questionari inviati (rectius, somministrati, come recita l’articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 216/2010) agli enti locali, soprattutto ai fini della individuazione del termine di decorrenza dei sessanta giorni per la restituzione degli stessi.

Si tratta di una procedura di fatto già seguita, atteso che la stessa risulta attuata, nei termini ora stabiliti in norma, ad opera dei Decreti Direttoriali del Direttore generale delle finanze 21 febbraio 2012, pubblicato sulla G.U. 25 febbraio 2012, n.47, 16 novembre 2012, pubblicato sulla G.U. 20 novembre 2012, n.271 e 7 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. 12 dicembre 2012, n.289. Ciascuno di tali decreti, nel comunicare la disponibilità di questionari relativi ad alcune funzioni di comuni e province, precisa che il termine di sessanta giorni per la restituzione degli stessi decorre dalla data di pubblicazione dei decreti medesimi.


 

Articolo 54, comma 1-bis
(Svolgimento del servizio di tesoreria nei confronti degli enti locali)

 

Il comma 1-bis dell’articolo 54, introdotto nel corso dell’esame in Commissione, reca una norma interpretativa dell’articolo 208 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. n. 267/2000, relativo all’individuazione dei soggetti abilitati a svolgere il servizio di tesoreria[123] nei confronti degli enti locali.

In particolare, l’articolo 208 prevede che il servizio di tesoreria[124] possa essere affidato:

§       ad una banca autorizzata a svolgere l'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito, per i comuni capoluoghi di provincia, le province, le città metropolitane;

§       a società per azioni regolarmente costituite con capitale sociale interamente versato non inferiore a 516,5 milioni di euro (1 miliardo di lire), aventi per oggetto la gestione del servizio di tesoreria e la riscossione dei tributi degli enti locali e che alla data del 25 febbraio 1995 erano incaricate dello svolgimento del medesimo servizio a condizione che il capitale sociale risulti adeguato a quello minimo richiesto dalla normativa vigente per le banche di credito cooperativo. L’affidamento del servizio di tesoreria a società per azioni è riservato ai comuni non capoluoghi di provincia, alle comunità montane e alle unioni di comuni;

§       altri soggetti abilitati per legge (ad esempio, i concessionari del servizio nazionale di riscossione, Poste Italiane Spa, gli istituti di crediti autorizzati a svolgere attività bancaria).

In base all’articolo 210 del TUEL, l'affidamento del servizio viene effettuato mediante le procedure ad evidenza pubblica stabilite nel regolamento di contabilità di ciascun ente, con modalità che rispettino i principi della concorrenza.

Il rapporto tra l’ente locale e il tesoriere è regolato in base ad una convenzione deliberata dall'organo consiliare dell'ente, nella quale devono essere indicate le condizioni, i tassi di interesse da applicare ai depositi fruttiferi e alle anticipazioni di cassa e tutte le eventuali modalità operative.

Dal 1° gennaio 2012, la convenzione di tesoreria può prevedere l’obbligo per il tesoriere di accettare, su apposita istanza del creditore, crediti pro-soluto certificati dall’ente ai sensi dell’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. n. 185/2008.

Infine, si ricorda che l’articolo 210 del TUEL stabilisce che, qualora ricorrano le condizioni di legge, l’ente può procedere, per non più di una volta, al rinnovo del contratto di tesoreria nei confronti del medesimo soggetto.

 

La norma interpretativa è volta a precisare che il tesoriere dell’ente locale - indipendentemente dal fatto che si tratti di una banca ovvero di una società per azioni avvero di altro soggetto comunque abilitato, senza distinzione, cioè, tra i soggetti di cui all'articolo 208, primo comma, lettere a), b) e c) - laddove rivesta la qualifica di società per azioni, ha facoltà di delegare, anche per i servizi di tesoreria già affidati, la gestione di singole fasi o processi del servizio di tesoreria ad una società per azioni che sia controllata dal tesoriere medesimo, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1 e 2 del codice civile.

Ai sensi della citata disposizione del codice civile, sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria.

 

Il tesoriere che deleghi la gestione di singole fasi o processi del servizio di tesoreria deve comunque garantire che il servizio sia in ogni caso erogato all'ente locale nel rispetto delle modalità previste dalla convenzione. Esso mantiene, inoltre, la responsabilità per gli atti posti in essere dalla società delegata.

In nessun caso la delega della gestione di singole fasi o processi del servizio può generate alcun aggravio di costi per l'ente.


 

Articolo 54-bis
(Modifiche alla legge 6 novembre 2012, n. 190)

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, modifica la disciplina sui poteri consultivi e sulla pubblicità degli atti della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità nazionale anticorruzione (CiVIT) in materia di anticorruzione introdotta dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 (cd. “legge anticorruzione”).

Analogamente all’articolo 54-ter (alla cui corrispondente scheda di lettura si fa rinvio), la disposizione è finalizzata a limitare al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di richiedere pareri alla CIVIT, in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico e in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali.

Inoltre, si prevede la tempestiva trasmissione da parte della Commissione di detti pareri alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica e che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, sulla base di detti pareri, emana proprie direttive nelle materie di cui sopra.

Infine, qualora la Commissione faccia richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, o ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani anticorruzione (di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 1 della legge 190) o dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa o ancora ordini la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati, la Commissione stessa, ed anche le amministrazioni interessate, devono darne notizia, nei rispettivi siti web e li devono comunicare tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica.

 

 

La tabella che segue mette a confronto del disposizioni vigenti con le modifiche proposte dall’articolo in esame.


 

Legge 6 novembre 2012, n. 190
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

Testo vigente

Modifica proposta dall’A.C. 1248-A

Art. 1
Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

 

1. In attuazione dell'articolo 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110, la presente legge individua, in ambito nazionale, l'Autorità nazionale anticorruzione e gli altri organi incaricati di svolgere, con modalità tali da assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.

Identico

2. La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e successive modificazioni, di seguito denominata «Commissione», opera quale Autorità nazionale anticorruzione, ai sensi del comma 1 del presente articolo. In particolare, la Commissione:

Identico

a) collabora con i paritetici organismi stranieri, con le organizzazioni regionali ed internazionali competenti;

Identico

b) approva il Piano nazionale anticorruzione predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica, di cui al comma 4, lettera c);

Identico

c) analizza le cause e i fattori della corruzione e individua gli interventi che ne possono favorire la prevenzione e il contrasto;

Identico

d) esprime pareri facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico;

d) esprime pareri facoltativi agli organi dello Stato e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica sulle direttive adottate per assicurare l'uniforme applicazione della presente legge e dei decreti legislativi da questa previsti, in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico;

e) esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dal comma 42, lettera l), del presente articolo;

e) esprime pareri facoltativi su richiesta della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della Funzione pubblica, in materia di autorizzazioni, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all'applicazione del comma 16-ter, introdotto dal comma 42, lettera l), del presente articolo;

f) esercita la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti;

Identico

g) riferisce al Parlamento, presentando una relazione entro il 31 dicembre di ciascun anno, sull'attività di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e sull'efficacia delle disposizioni vigenti in materia.

Identico

 

2-bis. La Commissione trasmette tempestivamente i pareri di cui al comma 2, lettere d) ed e) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei detti pareri, emana proprie direttive nelle materie di cui al comma 2, lettere d) ed e).

3. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), la Commissione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati. La Commissione e le amministrazioni interessate danno notizia, nei rispettivi siti web istituzionali, dei provvedimenti adottati ai sensi del presente comma.

3. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), la Commissione esercita poteri ispettivi mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni, e ordina l'adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 del presente articolo e dalle regole sulla trasparenza dell'attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati. La Commissione e le amministrazioni interessate danno notizia, nei rispettivi siti web istituzionali, dei provvedimenti adottati ai sensi del presente comma e li comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione pubblica.

 


 

Articolo 54-ter
(Modifiche al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39)

 

L’articolo in esame, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, modifica la disciplina in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico recata dal D.Lgs. 39/2013.

In particolare, la disposizione:

§      restringe al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT) ai fini della sospensione della procedura di conferimento dell'incarico in caso di violazione delle norme in materia. Attualmente non è precisata la fonte della segnalazione. Resta salva la possibilità per l’Autorità di agire d’ufficio;

§      restringe al solo Dipartimento della funzione pubblica il potere di richiesta di parere all'Autorità nazionale anticorruzione sulla interpretazione delle disposizioni del decreto 39 e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi;

§      prevede che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Commissione, emani direttive sull'interpretazione delle disposizioni del decreto.

 

La tabella che segue mette a confronto del disposizioni vigenti con le modifiche proposte dall’articolo in esame.

 

D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39
Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190.

Testo vigente

Modifica proposta dall’A.C. 1248-A

Art. 16
Vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione.

 

1. L'Autorità nazionale anticorruzione vigila sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l'esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi.

Identico

2. L'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione o d'ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità.

2. L'Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica o d'ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità.

3. L'Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri, su richiesta delle amministrazioni e degli enti interessati, sulla interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.

3. L'Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri, su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, sulla interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Commissione, emana proprie direttive sull'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.

 

Il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013, n. 92, attua la delega contenuta nei commi 49 e 50 dell’art. 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190 (la c.d. legge anticorruzione) in materia di dell’inconferibilità e dell’incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati di diritto pubblico. La norma di delega non prevedeva il parere parlamentare e sullo schema di decreto non è stato richiesto il parere del Consiglio di Stato.


Il decreto legislativo 39/2013 prevede fattispecie di:

§         inconferibilità, cioè di preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, nonché a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico;

§         incompatibilità, da cui consegue l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico.

 

Per il contenuto della norma di delega e del decreto legislativo si può vedere il dossier del Servizio studi della Camera Inconferibilità e incompatibilità di incarichi. Decreto legislativo n. 39 del 2013, Documentazione e ricerche n. 24, 4 giugno 2013, dove sono anche evidenziati alcuni dubbi interpretativi.

E proprio su questo punto interviene la disposizione in esame, modificando l’art. 16, comma 3, del decreto, con due disposizioni: la prima interviene sulla fase di input, in quanto restringe al solo Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio la possibilità di rivolgersi all’Autorità per sollecitare pareri interpretativi, la seconda nella fase di output, prevedendo che i pareri sono resi al Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione (ossia l’organo politico che si avvale del Dipartimento della funzione pubblica) che a sua volta emanerà direttive interpretative.

In pratica, si intende sollevare l’organo tecnico (l’Autorità) dal ruolo interpretativo che viene spostato all’organo politico (Ministro) previa consultazione dell’organo tecnico.

 

Il decreto legislativo 39 presenta diversi aspetti problematici, alcuni dei quali come si è detto rilevati nel dossier del Servizio studi. Ciò ha provocato la richiesta di numerosi pareri alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche - Autorità nazionale anticorruzione (CiVIT), prevalentemente da parte degli enti locali.

L’Autorità finora ha reso alcuni pareri, in particolare con le delibere n. 46, 47, 48, 57 e 58 del 2013 (consultabili sul sito della CiVIT: www.civit.it).


 

Articolo 55
(Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzie di viaggio)

 

L’articolo 55 reca una norma interpretativa relativamente alla disciplina IVA applicabile alle agenzie di viaggio e turismo, contenuta all’articolo 74-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, il quale recepisce quanto disposto all’articolo 26 della sesta direttiva IVA 77/388/CEE del 17 maggio 1977.

L’articolo 74-ter prevede un regime speciale per l’attività svolta dagli operatori turistici in nome e per conto proprio - anche tramite mandatari - con particolare riferimento all’offerta, all’interno ed all’esterno del territorio nazionale in cui ha sede l’operatore, di “pacchetti turistici” costituiti ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 111/1995.

In tal modo i servizi forniti durante il viaggio direttamente ai clienti sono assoggettati all’imposta nei diversi Paesi in cui gli stessi vengono erogati, mentre il margine destinato all’agenzia di viaggio è assoggettato ad imposizione nello Stato di residenza di quest’ultima. In caso di applicazione del descritto regime speciale, come disposto al successivo terzo comma dell’articolo 74-ter, inoltre, “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa ai costi” sostenuti dalle predette agenzie per l’acquisizione presso terzi dei beni e dei servizi destinati ad essere forniti a diretto vantaggio dei viaggiatori. Con decreto del Ministro delle finanze 30 luglio 1999, n. 340, sono state definite particolari modalità di applicazione per le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo.

 

Tuttavia l’applicazione del terzo comma dell’art. 74-ter ha generato nel tempo notevoli incertezze con riferimento all'imposta assolta sui beni e servizi acquistati da agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea e da queste inglobati in pacchetti turistici venduti al pubblico, anche alla luce degli indirizzi interpretativi di orientamento diverso ad opera dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze n. 62 del 7 aprile 1999, risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 141 del 26 novembre 2004).

 

La disposizione in esame richiama peraltro quanto disposto dall’articolo 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Gli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio (Sistema comune IVA) disciplinano il regime speciale per le agenzie di viaggio. In particolare l’articolo 310 stabilisce che gli importi dell'IVA imputati all'agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni effettuate per la realizzazione del viaggio effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore non sono né detraibili né rimborsabili in alcuno Stato membro.

 

Conseguentemente, un'interpretazione dell'articolo 74-ter, comma 3, con la quale si accordasse il rimborso dell'imposta in questione, produrrebbe vantaggi competitivi a favore delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea, Ciò sarebbe in aperto contrasto con l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 86/560/CEE del Consiglio, del 17 novembre 1986, in materia di rimborsi ai soggetti stabiliti fuori dell'Unione europea, che prevede che il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità.

 

Pertanto, l’articolo 55 in esame provvede ad interpretare l’articolo 74-ter, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel senso che l’imposta assolta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, di cui al comma 2 dello stesso articolo, effettuate da terzi nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell’Unione europea a diretto vantaggio dei viaggiatori non è rimborsabile.

Secondo la relazione tecnica tale interpretazione della norma genererebbe a regime dal 2014 maggiori entrate per 12 milioni (2,4 milioni nel 2013).

 

In considerazione dell'incertezza interpretativa che ha regnato sulla materia, il secondo periodo dell’articolo 55 provvede a fare salvi i rimborsi che, alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, siano stati eventualmente effettuati; altresì non si dà luogo alla restituzione delle somme che, alla medesima data, siano state in un primo tempo rimborsate alle agenzie di viaggio e successivamente recuperate dagli uffici dell’amministrazione finanziaria.


 

Articolo 56
(Proroga termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie)

 

L’articolo 56 (comma 1) – con una modifica all’articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013, proroga al 1° settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495).

Per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013.

 

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

§       trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);

§       operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo la tabella 3 allegata alla legge di stabilità;

§       negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equity.

 

Con il D.M. 21 febbraio 2013 sono state previste le norme attuative dell'imposta. L'imposta si applica al trasferimento della proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato con capitale superiore a 500 milioni di euro, a prescindere dal Paese di provenienza dell'ordine. Al decreto ministeriale è allegato l'elenco degli emittenti italiani con capitalizzazione attualmente inferiore alla predetta soglia.

Per quanto riguarda le operazioni su strumenti finanziari derivati e le operazioni sui valori mobiliari, si stabilisce un prelievo massimo di 200 euro.

 

Il comma 2 stabilisce che la società di Gestione Accentrata per l'imposta dovuta sui trasferimenti di proprietà, sulle operazioni e sugli ordini sopra citati, effettuati fino al 30 settembre dai soggetti deleganti, provvede al versamento entro il 16 novembre 2013.

 

Ciò in quanto il citato decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013, all'articolo 19, comma 5, dispone che la Società di Gestione Accentrata provvede al versamento dell'imposta - in forza delle deleghe conferitegli dai responsabili dell'imposta stessa - entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla data dell'operazione eccetto che per le operazioni del mese di novembre per le quali il versamento è effettuato entro il giorno 19 del mese di dicembre.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 80 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) l'attività di gestione accentrata di strumenti finanziari ha carattere di impresa ed è esercitata nella forma di società per azioni, anche senza fine di lucro. Le società di gestione accentrata hanno per oggetto esclusivo la prestazione del servizio di gestione accentrata di strumenti finanziari e possono svolgere attività connesse e strumentali.


 

Articolo 56-bis
(Semplificazione delle procedure in materia di trasferimenti di immobili agli enti territoriali)

 

L’articolo 56-bis interviene in merito al c.d. “federalismo demaniale”, di cui al decreto legislativo n. 185 del 2010 (attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale), relativamente al trasferimento, a titolo non oneroso, agli enti territoriali di taluni beni dello Stato, mobili e immobili, che non fossero espressamente esclusi dal trasferimento dal decreto legislativo stesso[125].

Il decreto legislativo n. 85 del 2010 ha delineato un articolato percorso di individuazione e di attribuzione, a titolo gratuito, a diversi livelli di governo substatale di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato. Il processo di trasferimento si articola in fasi distinte, che prevedono, a seconda della natura dei bene trasferibili o da escludere dal trasferimento, un decreto di ricognizione ovvero un decreto di previa individuazione dei beni, da trasferire successivamente su domanda agli enti territoriali con un ulteriore provvedimento. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento: lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 5, comma 1, lettera e), previsto dal decreto legislativo in commento (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza, non ha finora registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta. Analogamente, lo schema di decreto del Direttore dell'Agenzia del demanio, recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3), ha riportato il parere negativo della Conferenza.

Su tale situazione ha certamente influito il fato che il processo di individuazione e di attribuzione comporta il coinvolgimento non solo dell'Agenzia del demanio, ma di tutte le amministrazioni che attualmente curano la gestione dei vari beni (in particolare, il Ministero della difesa per i beni militari, il Ministero delle infrastrutture e l'Enac per i beni aeroportuali, il Ministero dello sviluppo economico e dell'Ambiente per le miniere e i beni del demanio idrico, eccetera).

Di fronte a tale impasse il legislatore ha in taluni caso emanato, nell’ambito di provvedimenti di urgenza, norme che hanno interessato singole tipologie di beni (quali, ad esempio, i beni culturali), al fine di accelerarne il trasferimento.

 

Il comma 1 esclude dal trasferimento:

§      i beni in uso per finalità dello Stato (come già previsto dal D.Lgs. n. 85 del 2010) o per le finalità indicate dall'articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 (immobili da assegnare alle Amministrazioni in luogo di contratti di locazione con terzi);

§      i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità,

§      quelli per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione di beni immobili ai sensi dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011.

 

Il comma 2 definisce la tempistica per il trasferimento degli immobili non esclusi dal trasferimento:

§      dal 1° settembre 2013 e fino al 30 novembre 2013, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni che intendono acquisire la proprietà di tali beni presentano all'Agenzia del demanio, con le modalità tecniche da definire a cura dell'Agenzia medesima, una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie preordinate a tale utilizzo;

§      nei 60 giorni dalla ricezione della richiesta l'Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta, ne comunica l'esito all'ente interessato.

Sembra da presumere che la richiesta riguardi quei beni che ai sensi del D.Lgs. n. 85 sono già stati inseriti dall’Agenzia del demanio nell’elenco dei beni disponibili, il cui schema di decreto era stato presentato in Conferenza unificata, ma non aveva avuto ulteriore seguito;

§      in caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo provvedimento dell'Agenzia del demanio;

§      in caso di esito negativo, l'Agenzia comunica all'ente interessato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta. Entro 30 giorni dalla comunicazione del motivato provvedimento di rigetto, l’ente può presentare nuova richiesta.

Tale nuova procedura appare sostituire quella prevista dal D.Lgs n. 85, la quale dispone che le amministrazioni statali indichino i beni da escludere dall’eventuale trasferimento, l’Agenzia del demanio definisca gli elenchi dei beni disponibili, gli enti presentino la richiesta di trasferimento, ed infine con DPCM verrebbe disposto il trasferimento.

 

Qualora la richiesta di trasferimento riguardi immobili assegnati alle amministrazioni pubbliche[126], l'Agenzia del demanio interpella l’amministrazione interessata, ai fini di acquisire, entro il termine perentorio di 30 giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell'immobile.

Qualora l’Amministrazione non confermi, entro tale termine, la permanenza delle esigenze istituzionali, l'Agenzia, nei successivi 30 giorni, avvia con le altre Amministrazioni la verifica in ordine alla possibilità di inserire il bene nei piani di razionalizzazione degli spazi ad uso ufficio, previsti all'articolo 2, commi da 222, a 222-ter, della legge n. 191 del 2009. Qualora detta verifica dia esito negativo e sia accertato che l'immobile non assolve ad altre esigenze statali, la domanda è accolta e si procede al trasferimento del bene con successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del demanio. In caso, invece di conferma da parte dell'Amministrazione utilizzatrice delle esigenze di istituto, l'Agenzia comunica all'ente richiedente i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta.

 

Il comma 4 disciplina il caso di richiesta di assegnazione dello stesso immobile da parte di più livelli di governo territoriale, disponendone l’attribuzione in via prioritaria ai Comuni e alle Città metropolitane e subordinatamente alle Province e alle Regioni. In caso di beni già utilizzati, essi sono prioritariamente trasferiti agli enti utilizzatori.

I commi da 5 a 7 dispongono che:

§      all’Agenzia del demanio è assegnata una attività di monitoraggio dell’utilizzo dei beni trasferiti, prevedendo che, trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione;

§      i beni trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle Regioni e degli enti locali;

§      con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvederà ad una riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo alle regioni e agli enti locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso, in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento dei beni[127].

Il comma 8 dispone che, al fine di soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni statali, gli enti territoriali continuano ad assicurare allo Stato l'uso gratuito di immobili di loro proprietà fino al permanere delle esigenze medesime.

Ai sensi del comma 9 (come già previsto nella legge delega n.42/2009 sul federalismo fiscale)[128] nel le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Il comma 10 rinvia a quanto disposto dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85 del 2010 in merito all’utilizzo delle risorse nette derivanti a ciascun ente territoriale dall'eventuale alienazione degli immobili che a qualunque titolo fanno parte del rispettivo patrimonio disponibile ovvero dall'eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi immobili siano conferiti .

La norma richiamata prevede che le risorse nette derivanti a ciascun ente dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del decreto legislativo, nonché quelle derivanti da eventuali cessioni di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti, siano acquisite dall’ente territoriale per un ammontare pari al 75 per cento delle stesse, al fine di essere destinate alla riduzione del debito dell’ente e, in assenza del debito o comunque per la eventuale parte restante, a spese di investimento.

La quota residua del 25 per cento è invece destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato[129].

 

Il comma 11 specifica che le disposizioni previste dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul federalismo demaniale, si applicano solo in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo.

Com’è noto, tale formulazione costituisce un richiami normativo di carattere generico, che può prestarsi a difficoltà nella fase applicativa delle nuove disposizioni e che, pertanto risulterebbe opportuno, qualora possibile, specificare a quali norme del suddetto decreto legislativo si intenda fare riferimento.

 

Infine il comma 12 novella il comma 8-ter dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011, recante “Disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare”, abrogando o sopprimendo i riferimenti alla possibilità di trasferire o conferire agli appositi fondi di investimento immobiliare i beni valorizzabili, suscettibili di trasferimento ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, individuati dall'Agenzia del demanio e a seguito di apposita manifestazione da parte dei competenti organi degli Enti interessati, della volontà di valorizzazione.


 

Articolo 57
(Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese )

 

L’articolo 57 elenca una serie di interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale[130] e di ricerca industriale[131] che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene con un contributo alla spesa, utilizzando a tal fine una parte della quota del fondo FAR destinata alla contribuzione a fondo perduto, nel limite del cinquanta per cento di essa (comma 1).

Gli interventi elencati dalla norma mirano in particolare:

a)   al rafforzamento della ricerca fondamentale condotta nelle università e negli enti pubblici di ricerca;

b)   alla creazione e allo sviluppo di start-up innovative e spin-off universitari;

c)   alla valorizzazione dei progetti di social innovation per giovani al di sotto dei 30 anni;

d)   al sostegno allo sviluppo di capitale di rischio e crowdfunding (ovvero al finanziamento dei progetti effettuato da una molteplicità di soggetti);

e)   al potenziamento del rapporto tra mondo della ricerca pubblica e imprese, mediante forme di sostegno che favoriscano la partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc;

f)     al potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, anche in relazione alla partecipazione alle grandi reti infrastrutturali europee nell'ottica di Horizon 2020;

g)   al sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, e in particolare delle società nelle quali la maggioranza delle quote o delle azioni del capitale sia posseduta da giovani al di sotto dei 35 anni;

h)   alla valorizzazione di grandi progetti/programmi a medio-lungo termine condotti in partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l'obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali contemporanee;

i)      al supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB;

j)      l) al sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca.

 

A seguito dell’esame presso le Commissioni in sede referente è stata aggiunta la lettera l-bis) che estende il sostegno del contributo alla spesa del MIUR anche ai progetti di ricerca in campo umanistico, artistico e musicale, con particolare riferimento alla digitalizzazione e messa on line dei relativi prodotti.

 

Secondo il comma 2, le risorse disponibili nel fondo FAR da destinare agli interventi elencati sono individuate con decreto del MIUR, di concerto con il MEF.


 

Articolo 57-bis
(Personale scolastico collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica)

 

L’articolo 57-bis, introdotto durante l’esame in sede referente, fa salvi i provvedimenti di collocamento fuori ruolo per compiti connessi con l’autonomia scolastica adottati per l’a.s. 2013/2014 sulla base delle disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2013.

 

In particolare, il comma 1, novellando l’art. 1, co. 58, della L. 228/2012 (L. di stabilità 2013) – che, in relazione alla riduzione dei contingenti di collocamenti fuori ruolo disposti dal comma 57 aveva fatto salvi i provvedimenti già adottati per l’a.s. 2012/2013 sulla base del testo dell'art. 26, co. 8, della L. 448/1998 vigente prima della data della sua entrata in vigore - fa salvi anche quelli adottati per l’a.s. 2013/2014, ma limitatamente a quelli disposti per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica (e non anche, dunque, per quelli disposti per le associazioni professionali del personale direttivo e docente e per gli enti cooperativi da esse promossi, nonché per gli enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica).

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 26, co. 8, della L. 448/1998, nel testo come modificato, da ultimo, dall’art. 1, co. 57, della L. 228/2012 dispone, al primo periodo, che il contingente di docenti e dirigenti scolastici di cui l’amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica è di 150 unità. Prima di tale, ultima, modifica, il contingente era di 300 unità, ai sensi dall’art. 4, co. 68, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011).

 

Si ricorda, altresì, che, a seguito di quanto disposto dalla L. 228/2012, il MIUR, con Nota prot. n. 2980 del 25 marzo 2013 aveva comunicato che tutte le posizioni di comando in essere sarebbero cessate a decorrere dal 31 agosto 2013 e che, a partire dall’a.s. 2013/2014, il personale comandato doveva riprendere servizio nella propria sede di titolarità oppure, nel caso di collocamenti fuori ruolo per periodi superiori a 5 anni, presso la sede determinata in accordo con l’U.S.R. competente, fatta salva la possibilità di partecipare alla nuova procedura di selezione indetta dai Dipartimenti e dalle Direzioni generali dell’Amministrazione centrale e periferica e di collocarsi in posizione utile all’ottenimento del rinnovo del comando.

 

Il comma 2 dispone che agli oneri derivanti dal comma 1, quantificati in 1,1 milioni di euro per il 2013 e 2,6 milioni di euro per il 2014, si provvede:

§      per il 2013, mediante corrispondente riduzione lineare degli stanziamenti di parte corrente iscritti, nell’ambito delle spese rimodulabili, nel Programma Iniziative per lo sviluppo del sistema di istruzione scolastica e per il diritto allo studio della Missione Istruzione scolastica dello stato di previsione del MIUR;

§      per il 2014, mediante utilizzo dei risparmi di spesa di cui all’art. 58, co. 5 (alla cui scheda si rinvia).


 

Articolo 58, commi 1, 2, 4-7
(Turn over nelle università e negli enti di ricerca)

 

L’articolo 58, co. 1, 2 e da 4 a 7, anticipa di un anno la possibilità che le università e gli enti di ricerca effettuino assunzioni nella misura del 50% (in luogo del 20%) della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente. Ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione, pari ad euro 25 milioni nell’anno 2014 ed euro 49,8 milioni annui a decorrere dall’anno 2015, si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole.

 

In particolare, il comma 1, apportando alcune modifiche all’art. 66 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), concernente la disciplina sulla limitazione del turn-over nelle Amministrazioni pubbliche – che disponeva, ai co. 13-bis e 14, che università ed enti di ricerca potessero procedere ad assunzioni nella misura del 20% della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016 –, prevede che i richiamati enti possano procedere ad assunzioni nella misura del 50% della spesa relativa al corrispondente personale cessato dal servizio nell’anno precedente per gli anni 2014 e 2015.

 

In base al comunicato stampa presente sul sito del Governo, in tal modo “si liberano posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in “tenure track” (di cui all’art. 24, L. 240/2010).

 

In materia di limiti alle assunzioni per le università, si ricorda che l’art. 66 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) è stato da ultimo novellato dall’art. 14, co. 3, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) che, in particolare, con il co. 13-bis, ha definito una nuova disciplina per il turn over. In base alla nuova disciplina, le misure percentuali fissate valgono con riferimento “al sistema” delle università nel suo complesso, mentre all’attribuzione del contingente di assunzioni spettante a ciascun ateneo si provvede con decreto ministeriale, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 7 del D.lgs. 49/2012 (che ha individuato le combinazioni dei livelli degli indicatori di spesa per il personale e di spesa per indebitamento rilevanti, per ciascun ateneo, per la determinazione, tra l’altro, della misura delle assunzioni di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di ricerca a tempo determinato).

 

A tal fine, il comma 2 incrementa i fondi sui quali gravano le spese per il personale dei rispettivi comparti, prevedendo che:

§      il Fondo per il finanziamento ordinario delle università è incrementato di 21,4 milioni di euro nel 2014 e di 42,7 milioni di euro annui dal 2015;

§      il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR è incrementato di 3,6 milioni di euro nel 2014 e di 7,1 milioni di euro annui dal 2015.

 

La relazione tecnica chiarisce che l’importo stimato per il 2014 è pari al 50 per cento (circa) di quello a regime, ipotesi strutturata sull’assunto che nel 2014 le nuove assunzioni siano equidistribuite in corso d’anno.

 

Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), previsto dall’art. 5, co. 1, lett. a), della L. 537 del 1993, è allocato sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR.

Il DM 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli, reca in corrispondenza del cap. 1694 una previsione di stanziamento di 6.574,3 milioni di euro per il 2014 e di 6.544,7 milioni di euro per il 2015, a fronte di 6.694,7 milioni di euro stanziati per il 2013.

 

Il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR, previsto dall’art. 7 del d.lgs. 204/1998, è determinato nella tab. C della legge di stabilità ed è allocato sul cap. 7236 dello stato di previsione del MIUR.

Il DM di ripartizione in capitoli sopra citato reca, in corrispondenza del cap. 7236, una previsione di spesa di 1.766,2 milioni di euro per il 2014 e di 1.759,5 milioni di euro per il 2015, a fronte di 1.768,5 milioni di euro stanziati per il 2013.

 

Ai sensi del comma 4, ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole, di cui al comma 5.

Quest’ultimo fissa, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall’anno scolastico 2013/2014, un tetto alla spesa per l’acquisto di servizi esternalizzati, che devono avvenire nel rispetto dell’obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’art. 4 del DPR 119/2009. In relazione a questi ultimi, dispone anche che, a decorrere dal medesimo a.s. 2013/2014, il numero di posti accantonati non deve essere inferiore a quello dell’a.s. 2012/2013.

 

Si ricorda che l’art. 1, co. 449, della L. 296/2006, richiamato nel testo del comma 5, dispone che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni-quadro CONSIP.

In relazione all’esternalizzazione dei servizi nelle scuole, l’art. 4 del DPR 119/2009 ha disposto che nelle istituzioni scolastiche in cui i compiti del profilo di collaboratore scolastico sono assicurati, in tutto o in parte, da personale esterno all'amministrazione, è indisponibile, a qualsiasi titolo, il 25% dei posti del corrispondente profilo professionale.

 

In particolare, la relazione illustrativa e la relazione tecnica chiariscono che l’importo a base di gara previsto per “la stipulanda convenzione Consip” per i servizi esternalizzati – che si prevede divenga attiva per il mese di settembre 2013 – sarà pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere un numero di collaboratori scolastici pari a quanti sono i posti accantonati in organico.

Il limite di spesa annuale è stimato in circa 280 milioni di euro - derivanti dal prodotto fra il numero dei posti di collaboratore scolastico accantonati nell’a.s. 2012-2013, pari a 11.851 posti, e lo stipendio annuale lordo di un collaboratore scolastico supplente, pari a 23.581,37 euro - a fronte di una spesa attuale di 390 milioni di euro.

Pertanto, il risparmio complessivo derivante dalle disposizioni recate dal comma 5 ammonta, in base alla relazione tecnica, a 110 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e di 36,6 milioni di euro già nel 2013.

 

In base al comma 6, le eventuali risorse recuperate attraverso quanto disposto dal comma 5, ulteriori rispetto agli importi indicati al comma 4 (25 milioni di euro per il 2014 e 49,8 milioni di euro annui a decorrere dal 2015), e al netto di quanto necessario per la compensazione degli effetti finanziari derivanti dall’art. 59, co. 9 – che dispone il riutilizzo delle somme impegnate e non pagate nel 2011 e 2012 del Fondo per il merito per nuove finalità (borse per la mobilità), tramite il versamento all’entrata del bilancio (v. infra) - sono destinate al funzionamento delle scuole e alle supplenze brevi.


 

Articolo 58, comma 3
(Chiamate dirette nelle università)

 

Il comma 3 dell’art. 58 modifica la procedura per la chiamata diretta, da parte delle università, di studiosi che siano risultati vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, ove la chiamata sia effettuata entro 3 anni dalla vincita del programma, escludendo la necessità del parere dell’apposita commissione nominata dal Consiglio universitario nazionale (CUN).

 

La relazione illustrativa evidenzia che nel caso specifico il parere della commissione non appare necessario perché la valutazione tecnica è stata già fatta in sede di selezione dei programmi da parte del MIUR.

 

L’art. 29, co. 7, della L. 240/2010 ha aggiunto alle due possibilità di chiamata diretta, da parte delle università, di professori ordinari e associati e di ricercatore, già previste dall’art. 1, co. 9, della L. 230/2005 (studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere; studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal MIUR, nell’ambito del “programma di rientro dei cervelli” - si veda dossier del Servizio Studi n. 387/3 dell’8 febbraio 2011 -, un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata), una terza possibilità, riferita a studiosi che siano risultati vincitori nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dallo stesso MIUR.

I programmi in questione sono stati individuati con DM MIUR 1 luglio 2011 (GU n. 256 del 3 novembre 2011). In particolare, l’art. 2 del DM ha disposto che i programmi devono avere una durata almeno triennale e non devono essersi conclusi, al momento della proposta di chiamata, da più di tre anni.

Una ulteriore modifica introdotta dall’art. 29, co. 7, della L. 240/2010 ha riguardato la procedura. In particolare, è stato previsto che, per tutte le ipotesi di chiamata diretta, la concessione o il rifiuto del nulla osta da parte del Ministro, sulla base delle proposte formulate dalle università, siano preceduti dal parere di una commissione, nominata dal CUN, composta da tre professori ordinari appartenenti al settore scientifico disciplinare in riferimento al quale è proposta al chiamata (previamente, il parere era richiesto solo per la chiamata di studiosi di chiara fama, ulteriore ipotesi disciplinata dall’art. 1, co. 9, della L. 230/2005).


 

Articolo 58, comma 7-bis
(Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura)

 

Il comma 7-bis, aggiunto durante l’esame da parte delle Commissioni di merito, prevede che il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla vigente normativa in materia di utilizzo di tipologie di lavoro flessibile, per far fronte alle esigenze straordinarie delle aziende agricole, possa assumere operai agricoli per l’esecuzione di lavori di breve durata.

 

Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, posto sotto la vigilanza del Dicastero agricolo, è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, con autonomia scientifica, statutaria, amministrativa e finanziaria, e si configura quale ente di programmazione generale della ricerca del comparto agroindustriale. L'attività del settore si deve quindi svolgere sulla base un piano triennale di attività (che può annualmente essere rivisto) che, approvato dal Dicastero agricolo, è predisposto dal Consiglio in modo da essere coerente con la programmazione scientifica nazionale definita nel Piano nazionale delle Ricerche (PNR) del MIUR, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

L’attività attribuita al Consiglio, e svolta dagli istituti diffusi sul territorio, deve essere diretta a:

§       svolgere la ricerca scientifica e applicata; (la norma specifica che tra le finalità della ricerca vanno inclusi lo sviluppo sostenibile agricolo e rurale , nonché l'utilizzo delle aree svantaggiate e colpite da marginalità e dei sistemi acquei - sia a scopi produttivi che di tutela);

§       individuare processi produttivi e tecniche gestionali innovative, anche attraverso miglioramenti genetici e applicazione delle biotecnologie;

§       fornire consulenza ai ministeri, alle regioni e province autonome, anche con accordi di programma con tali enti;

§       favorire il trasferimento alle imprese dei risultati ottenuti;

§       eseguire ricerche a favore delle imprese del settore primario e dell'agroindustria.

Le fonti di finanziamento del CRA sono costituite dalle seguenti entrate:

-        il contributo ordinario annuale, a carico del bilancio statale (iscritto nella tabella del Mipaaf, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali), per i compiti d'istituto e per le spese per personale;

-        i contributi, tratti dal Fondo integrativo speciale per la ricerca (di cui al D.lgs. n. 204/1999), per progetti e interventi di particolare rilevanza strategica indicati nel PNR (si tratta dei cosiddetti PRIN finanziati dal MIUR);

-        i compensi per l'attività di ricerca e consulenza richiesta da soggetti pubblici o privati;

-        le eventuali risorse assegnate dal Mipaaf, o da altre amministrazioni, a progetti speciali;

-        contributi dell’Unione europea;

-        i proventi conseguenti ai brevetti ottenuti nelle strutture di ricerca;

-        ogni altre risorsa derivanti da lasciti, donazioni o altri contributi, nonché dalle rendite dal patrimonio del Consiglio costituito dall'insieme dei beni degli istituti e delle strutture inseriti nel Consiglio.


 

Articolo 59
(Borse per la mobilità degli studenti universitari)

 

L’articolo 59, modificato durante l’esame in sede referente, disciplina l’istituzione della nuova categoria delle “borse per la mobilità” degli studenti universitari.

In particolare, durante l’esame in Commissione è stato modificato il meccanismo per l’assegnazione delle borse per la mobilità previsto dal decreto- legge, disponendo l’emanazione di un bando da parte del MIUR e la costituzione, al termine del procedimento, di una graduatoria nazionale (invece che di graduatorie adottate da ciascuna regione).

 

Il comma 1 dispone che, nelle more della revisione del sistema del diritto allo studio universitario, entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto il MIUR emana un bando per l’erogazione di borse per la mobilità a favore di studenti meritevoli (v. infra) che, per l’a.a. 2013/2014, intendano iscriversi a corsi di laurea o a corsi di laurea magistrale a ciclo unico presso università statali o non statali italiane - con esclusione delle università telematiche - che hanno sede in regione diversa da quella di residenza.

 

Sembrerebbe opportuno un chiarimento circa la locuzione “nelle more della revisione del sistema del diritto allo studio universitario”, in relazione al fatto che la delega a tal fine conferita dall’art. 5 della L. 240/2010 è stata esercitata con il d.lgs. 68/2012.

Al riguardo, infine, ricordato che la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta esclusivamente alle regioni, occorre valutare la necessità di un coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni ai fini della redazione del bando (più ampiamente, si veda quanto osservato, al riguardo, nel dossier del Servizio Studi n. 36 del 1 luglio 2013, in relazione al coinvolgimento di tale organo previsto dal testo dell’art. 59 del D.L.).

 

Per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico, cui si accede con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, si vedano l’art. 6, co. 3, del DM 270/2004, il DM 249/2010 e il DM 2 marzo 2011.

 

In base al comma 3, l’ammissione al beneficio è disposta sulla base di criteri di merito ed economici, identici a quelli già previsti dal decreto-legge).

Con riferimento al criterio di merito, è richiesto il possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado conseguito in Italia nell’a.s. 2012/2013, con votazione almeno pari a 95/100. Valori superiori, come si vedrà infra, rilevano ai fini della graduatoria di ammissione al beneficio.

Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

 

Il comma 2 dispone che il bando definisce l’importo delle borse di mobilità – eventualmente differenziato in base alla distanza fra residenza dello studente e sede dell’università prescelta –, le modalità per la presentazione telematica delle domande e i criteri per la formulazione di una graduatoria nazionale, che, in base al comma 4, è formata dai soggetti in possesso dei requisiti indicati al comma 3, fino ad esaurimento delle risorse.

Sempre il comma 4 dispone che, ai fini della formazione della graduatoria nazionale, in caso di parità di punteggio prevale il candidato che presenta il valore più basso relativamente alla condizione economica, quindi quello che ha conseguito il voto più alto nel diploma.

Infine, lo stesso comma 4 dispone che la comunicazione della graduatoria e l’assegnazione delle borse è effettuata dal MIUR entro il 3 settembre 2013. L’assegnazione diventa efficace all’atto dell’effettiva immatricolazione dello studente, momento nel quale, ai sensi del comma 7, il MIUR assegna le risorse all’università di riferimento, che provvede alla conseguente erogazione.

 

Si segnala che al comma 4 si fa riferimento alla residenza della famiglia dello studente, mentre al comma 1 tale specifica non è prevista (il riferimento è, genericamente, alla regione di residenza, facendo peraltro presumere che la stessa riguardi lo studente).

 

Il mantenimento del diritto alla corresponsione della borsa di studio per gli anni accademici successivi al primo è subordinato, in base al comma 5 (che nella sostanza non registra modifiche rispetto a quanto disposto dal decreto-legge), oltre che alla permanenza del requisito della residenza fuori sede, esclusivamente a requisiti di merito. In particolare, occorre aver acquisito almeno il 90 per cento dei crediti formativi universitari previsti dal piano di studi per l’anno di riferimento, aver riportato negli esami una media pari almeno a 28/30 e nessun voto inferiore a 26/30.

In ogni caso, è necessario presentare ogni anno una apposita domanda.

 

Il comma 6 (che nella sostanza non registra modifiche rispetto al testo del decreto-legge) dispone che le borse di mobilità sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del d.lgs. 68/2012.

 

Il comma 8 – il cui contenuto, nel corso dell’esame in sede referente, è stato integralmente novellato – reca un’autorizzazione di spesa (sostitutiva di quella prevista dal comma 1 del testo dell’articolo 59 del D.L., di pari importo, ma da iscrivere sul FFO) per 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, e per 7 milioni di euro per l’anno 2015, da iscrivere sul Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (che, tuttavia, in base all’art. 60, co. 1, del D.L. - alla cui scheda si rinvia - confluisce, a decorrere dal 2014, nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo statale per le università non statali legalmente riconosciute).

Occorrerebbe, dunque, coordinare tale previsione con quella recata dall’art. 60, co. 1, del D.L.

 

Il comma 9 dispone il mantenimento in bilancio, nel conto dei residui, delle risorse già impegnate negli anni 2011 e 2012 e non ancora pagate finalizzate a interventi del Fondo per il merito - istituito dall’art. 4 della L. 240/2010 (il cui decreto attuativo, come evidenzia anche la relazione tecnica, non è stato adottato) e destinato alla promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale, per la cui gestione l’art. 9, co. 3-14, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ha istituito la Fondazione per il merito – ai fini del loro versamento all’entrata del bilancio dello Stato.

 

Le suddette somme, indicate nel limite di 17 milioni di euro, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato nella misura di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 7 milioni per l’anno 2015.

 

L’art. 9, co. 15, del D.L. 70/2011 ha autorizzato per il 2011 la spesa di 9 milioni di euro a favore del Fondo per il merito e di 1 milione di euro per la costituzione del fondo di dotazione della Fondazione per il merito, nonché di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2012 a favore della stessa Fondazione.

Dal DM 16 aprile 2012, n. 71, recante i criteri di ripartizione del FFO per il 2012, sono stati altresì destinati a sostegno del Fondo 9 milioni di euro, nell’ambito degli interventi a favore degli studenti.

Il Governo, intervenendo nella seduta delle Commissioni riunite I e V dell’8 luglio 2013 in risposta ai chiarimenti dalle stesse richiesti, ha confermato che si fa riferimento proprio a queste risorse.

 

Alla compensazione degli effetti finanziari dall’anno 2014, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, derivanti dalla rifinalizzazione delle somme destinate al Fondo, si provvede a valere su quota parte delle risorse che si rendono disponibili ai sensi dell’articolo 58, per effetto della riduzione degli stanziamenti destinati alle convenzioni per i servizi esternalizzati.


 

Articolo 59-bis
(Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli)

 

L’articolo 59-bis, inserito nel corso dell’esame in sede referente, prevede l’istituzione, a decorrere dal 2014, di un Programma nazionale di sostegno allo studio degli studenti capaci e meritevoli, finalizzato, in particolare, alla concessione di borse di studio in favore degli studenti che frequentano l’ultimo anno della scuola secondaria, di un corso di laurea o di un corso di laurea magistrale, per l’iscrizione e la frequenza, relative, rispettivamente, a un corso di laurea, a un corso di laurea magistrale e a un corso di dottorato di ricerca.

Al riguardo, si ricorda che la normativa di principio in materia di diritto allo studio è recata principalmente dal d.lgs. 68/2012, emanato in attuazione della delega prevista dall’art. 5 della L. 240/2010.

 

Con riferimento alla competenza legislativa in materia di diritto allo studio, si rinvia a quanto osservato nella scheda relativa all’art. 59.

 

Ai sensi del comma 1, il Programma è suddiviso per le lauree, le lauree magistrali e i dottorati di ricerca, mentre ai sensi del comma 2 esso è adottato con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca – per la cui emanazione non è previsto né un termine, né una cadenza temporale –, sulla base di alcuni indirizzi ivi previsti. In particolare:

§      l’accesso alle borse è consentito unicamente agli studenti il cui Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) familiare risulta inferiore al valore preventivamente fissato dal bando (lett. a));

Al riguardo, sembrerebbe necessario chiarire se il bando si identifichi con il Programma adottato con DM.

§      gli studenti il cui ISEE familiare risulta superiore al valore fissato dal bando possono richiedere l’attribuzione di prestiti d’onore, da rimborsare nel corso della vita lavorativa (lett. d)).

Al riguardo, si ricorda che la concessione di prestiti d’onore agli studenti che possiedono i requisiti di merito è disciplinata dall’art. 3 del d.lgs. 68/2012.

§      gli studenti che concorrono per la borsa di studio sono inseriti in un’unica graduatoria nazionale, suddivisa per tipologia, in base a criteri di merito, relativi alla carriera scolastica o universitaria, attraverso meccanismi di valutazione uniforme su base nazionale, ovvero attraverso la valutazione della media scolastica (o dei voti universitari) rapportata alla media di tutti gli studenti iscritti allo stesso istituto (o allo stesso corso di studi) (lett. b));

§      con riguardo ai termini di assegnazione delle borse di studio, il testo reca due previsioni: entro il 31 marzo di ogni anno ((lett. a)), ovvero entro il 31 agosto di ogni anno ((lett. f)).

E’ pertanto necessaria un’indicazione univoca.

§      l’importo della borsa di studio è graduato in base alla situazione economica familiare dello studente e maggiorato qualora l’ateneo prescelto ha sede in una regione diversa da quella ”di origine” dello studente ((lett. c) ed e)); al contempo, tuttavia, la lett. h) dispone che il numero e l’importo delle borse è stabilito nel bando.

Al riguardo, si osserva che la formulazione testuale della seconda parte della lett. c) non appare chiara. Inoltre, non è chiaro come il bando possa stabilire il numero delle borse di studio, in relazione alle graduazioni e maggiorazioni previste con riferimento alle singole situazioni, che possono essere riscontrate solo in fase di esame delle domande.

Infine, occorre riflettere sul riferimento alla “regione di origine” (ad es., l’art. 59 fa riferimento, per le borse per la mobilità, alla regione di residenza).

§      le borse sono confermate negli anni successivi – per un numero massimo di rate differente a seconda che si tratti di corsi di laurea e corsi di dottorato (sette), ovvero di corsi di laurea magistrale (cinque) – per gli studenti che rispettano criteri di merito indicati ((lett. f)).

Si valuti l’opportunità di prevedere un numero di rate specifico per gli iscritti ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico.

§      lo studente borsista è tenuto a versare le tasse e i contributi previsti dall’università di appartenenza (lett. g)); si prevede, inoltre, che lo studente “può optare” per usufruire dei servizi offerti delle aziende regionali per il diritto allo studio al costo stabilito da ciascuna azienda.

In merito, sembrerebbe necessario chiarire i termini di tale opzione e, in particolare, se la fruizione dei servizi offerti dalle aziende regionali per il diritto allo studio – sebbene non senza oneri per lo studente – sia da considerarsi alternativa alla concessione della borsa di studio.

§      le borse sono incompatibili con altre borse di studio, ad eccezione di quelle destinate a sostenere lo studente per soggiorni di studio o di ricerca all’estero ((lett. i));

§      in materia fiscale, alle borse si applicano le esenzioni di cui all’art. 4 della L. 476/1984 ((lett. j)).

 

Il Programma nazionale è realizzato attraverso la Fondazione istituita dall’art. 9 del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) – che, a tal fine, assume la denominazione di Fondazione per il merito e il diritto allo studio – ed è finanziato utilizzando il 20% della “quota premiale” del Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO), destinata dall’art. 2 del D.L. 180/2008 all’incremento qualitativo delle università statali. Su tale “quota premiale”, peraltro, interviene il co. 01 dell’art. 60 – introdotto durante l’esame in sede referente – del decreto-legge).

 

Da ultimo, il DM 16 aprile 2012, n. 71, recante i criteri di ripartizione del FFO per l’anno 2012, ha destinato alle finalità premiali di cui all’art. 2 del D.L. 180/2008 € 910 milioni di euro (pari al 13% del totale del Fondo).

 

Al riguardo, si evidenzia che occorrerebbe chiarire il rapporto tra le borse di studio erogate attraverso il Programma nazionale di cui l’articolo in esame prevede l’istituzione e le borse di studio di cui al d.lgs. 68/2012, concesse anch’esse sulla base di requisiti economici e di merito. Analogo chiarimento occorrerebbe con riferimento ai prestiti di onore.


 

Articolo 60
(Sistema di finanziamento delle università e dell’ANVUR e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca)

 

L’articolo 60 dispone che, a decorrere dal 2014, nel Fondo di finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute confluiscono le risorse attualmente destinate alla programmazione dello sviluppo del sistema universitario, alle borse di studio post laurea, nonché al Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti.

Dispone, altresì, che il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR è svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).

Durante l’esame in sede referente sono state, inoltre, introdotte disposizioni per l’incremento della quota di finanziamento premiale delle università a valere sul FFO, dettando nuovi criteri per la sua ripartizione, e disposizioni che attribuiscono ulteriori risorse all’ANVUR e apportano modifiche al regolamento di organizzazione della stessa (DPR 76/2010).

 

Il comma 01, introdotto durante l’esame parlamentare, dispone che la quota del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) destinata, ai sensi dell’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 1/2009), alla promozione e al sostegno dell’incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse, è determinata, a partire dal 2014, in misura non inferiore al 20%, con incrementi annuali non inferiori all’1% e fino ad un massimo del 30%.

Si modificano, dunque, implicitamente, le disposizioni recate dai commi 1 e 1-bis dell’art. 2 citato, in base ai quali gli incrementi annuali della originaria quota del 7% del FFO destinata al finanziamento premiale sono disposti in misura compresa tra lo 0,5% e il 2%.

 

Con riferimento ai criteri di ripartizione, il comma dispone che almeno tre quinti della quota premiale sono ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate ogni 5 anni dall’ANVUR.

 

In tal caso, si modifica, anzitutto, il meccanismo di individuazione delle modalità di ripartizione delle risorse definito dal comma 2 dell’art. 2 del D.L. 180/2008 – che ha previsto l’intervento di un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (nei fatti, tale ripartizione è stata, poi, operata con il decreto con cui annualmente è ripartito il FFO: per il 2012, si veda l’all. 1 del DM 71/2012) – procedendo a tale individuazione con la norma primaria.

 

Sembrerebbe, inoltre, che si intervenga sui parametri di riferimento per la ripartizione come definiti dal già citato co. 1 dell’art. 2 del D.L. 180/2008.

 

Si ricorda infatti, che il co. 1 dell’art. 2 del D.L. 180/2008 dispone che la quota premiale è ripartita prendendo in considerazione: la qualità dell'offerta formativa e i risultati dei processi formativi; la qualità della ricerca scientifica; la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche. A questo riguardo, sono presi in considerazione i parametri relativi all'incidenza del costo del personale sulle risorse complessivamente disponibili, nonché il numero e l'entità dei progetti di ricerca di rilievo nazionale ed internazionale assegnati all'ateneo.

 

Sul punto, sarebbe, dunque, auspicabile un chiarimento.

Con riferimento alle percentuali minime da destinare ai due parametri previsti nel comma in esame, occorre, inoltre, considerare che l’art. 59-bis, alla cui scheda si rinvia, dispone che il Programma nazionale di sostegno allo studio degli studenti capaci e meritevoli è finanziato utilizzando il 20% della quota premiale. Alla luce di tale previsione, dunque, ai parametri previsti nel comma in esame potrebbero essere destinati al massimo, rispettivamente, tre quinti e un quinto.

 

Al riguardo, si rammenta, peraltro, che l'art. 5, co. 1, lett. c), e 5, della L. 240/201 – in attuazione del quale è stato emanato il d.lgs. 49/2012 (v. infra) – ha previsto l'attribuzione di una quota non superiore al 10% del FFO correlata alla valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, da effettuare in base a meccanismi elaborati dall’ANVUR.

 

Ulteriori novità sembrerebbero essere costituite dalla previsione di un intervento quinquennale della VQR e della valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei e dall’affidamento esplicito di quest’ultima all’ANVUR.

 

Si ricorda, infatti, che l’introduzione di un sistema di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei è stata operata dall’art. 9 del d.lgs. 49/2012, - secondo quanto disposto dall’art. 5, co. 1, lett. c), e 5, della L. 240/2010 – che, tuttavia, non ha definito né la cadenza temporale, né il soggetto al quale la stessa è affidata. Peraltro, in attesa del completamento della disciplina (in particolare, l’art. 9 prevede che la ponderazione dei criteri e la definizione dei parametri per la valutazione è stabilita con decreto di natura non regolamentare emanato dal MIUR, sentita l’ANVUR), continuano ad applicarsi, ai sensi dell’art. 29, co. 14, della L. 240/2010 le disposizioni vigenti, recate dal DM 345/2011.

 

Per quanto concerne la valutazione della qualità della ricerca, il 16 luglio 2013 è stato pubblicato il rapporto sulla VQR 2004-2010.

 

Da ultimo, il comma 01 dispone che l’applicazione delle previsioni da esso recate non può determinare la riduzione della quota del FFO spettante a ciascuna università, per ciascun anno, in misura maggiore del 5% rispetto all’anno precedente.

 

Dal punto di vista del coordinamento con la normativa vigente, occorrerebbe novellare l’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 1/2009).

 

Il comma 1 dispone che, al fine di semplificare il sistema di finanziamento delle università statali e non statali, a decorrere dal 2014 confluiscono nel Fondo di finanziamento ordinario (cap. 1694, relativo alle università statali) e nel contributo erogato alle università non statali legalmente riconosciute, ai sensi della L. 243 del 1991 (cap. 1692) – per la quota di rispettiva competenza, calcolata sulla base delle assegnazioni relative al triennio 2010-2012 e indicata nella relazione tecnica – le risorse relative a:

§      fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, di cui all’art. 5, co. 1, lett. c), della L. 537/1993 e alla L. 245/1990 (cap. 1690 dello stato di previsione del MIUR, esposto in tabella C della legge di stabilità).

Nel Decreto 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015, lo stanziamento previsto in corrispondenza del 2014 è pari a 43,6 milioni di euro. Rispetto a tale importo, la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 43,0 milioni di euro, probabile conseguenza di tagli o accantonamenti disposti in applicazione di previsioni legislative.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di un chiarimento.

Con riferimento all’assegnazione delle risorse del fondo, si ricorda che l’art. 3, co. 4 e 5, del DM 23 dicembre 2010, n. 50 – recante le linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2010-2012 – ha previsto che esse sono suddivise tra le università statali (compresi gli Istituti ad ordinamento speciale) e le università non statali “in due quote proporzionali al relativo fondo di finanziamento ordinario”. In attuazione di tale disposto, sono intervenuti, rispettivamente per gli esercizi 2010, 2011 e 2012, i decreti direttoriali nn. 656/2010, 594/2011 e 32/2012.

§      fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (cap. 1713 dello stato di previsione del MIUR. Il capitolo è diviso in 3 piani di gestione, di cui in questa sede rileverebbero, in base alla lettera dell’art. 60, co. 1 – che fa riferimento solo all’art. 1, co. 1, del D.L. 105/2003 (L. 170/2003) – il pg. 1-Fondo mobilità e il pg. 2-Assegni di ricerca.

In base alla relazione tecnica, peraltro, confluirà nel FFO anche il pg. 5-Contributo alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet costituita in facoltà, per il quale l’autorizzazione di spesa è stata disposta dall’art. 1, co. 278, della L. 311/2004, che contestualmente ha trasformato la Scuola in Facoltà della seconda università degli studi di Napoli.

Sembrerebbe dunque opportuno fare riferimento, nel testo dell’art. 60, anche alle finalità di cui all’art. 1, co. 278, della L. 311/2004.

Per l’anno 2014, il citato DM di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del cap. 1713, uno stanziamento di 72,2 milioni di euro. Anche in questo caso, la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 71,3 milioni di euro.

Si rinvia a quanto osservato ante.

§      borse di studio post laurea (cap. 1686 dello stato di previsione del MIUR. Il capitolo è suddiviso in due piani di gestione, dei quali, in base alla relazione tecnica, rileva in questa sede solo il pg. 2-Borse di studio per la formazione di corsi di dottorato di ricerca, di perfezionamento e di specializzazione presso università italiane e straniere a favore di laureati. Il pg. 1 riguarda, invece, Borse di studio agli specializzandi medici periodo 1983-1991).

Per l’anno 2014, il citato DM di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del pg. 2 del cap. 1686, uno stanziamento di 159,2 milioni di euro. Anche in tal caso la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 157,2 milioni di euro.

Si rinvia a quanto osservato ante.

 

Il comma 2, integrando il comma 12 dell’art. 13 del d.lgs. 150/2009 – che concerne la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) – dispone che “il sistema di valutazionedelle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR, riordinati ai sensi del Capo I del d.lgs. 213/2009, “è svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)”.

A tal fine, l’ANVUR deve rispettare i principi generali indicati dall’art. 3 del d.lgs. 150/2009 e attenersi agli indirizzi che la Commissione è chiamata a dare in base al comma 5 dell’art. 13.

In relazione alla formulazione testuale utilizzata, appare opportuno chiarire se restano ferme le attività di valutazione della gestione amministrativa affidate ai nuclei di valutazione interna degli atenei (v. infra).

 

Al riguardo, si ricorda, infatti, che l’art. 2, co. 138-142, del D.L. 262/2006 (L. 286/2006), istituendo l’ANVUR, le ha attribuito, tra le altre, la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca.

A loro volta, i nuclei di valutazione interna degli atenei sono stati istituiti, secondo le prescrizioni dell’art. 5, co. 22, della L. 537/1993, con il compito di verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa, oltre che la corretta gestione delle risorse pubbliche e la produttività della ricerca e della didattica. Il ruolo e le funzioni di tali organismi sono stati successivamente rafforzati con le disposizioni della L. 370/1999, il cui art. 1 ha previsto, fra l’altro, che il nucleo di valutazione di ateneo esplica funzioni di valutazione interna della gestione amministrativa.

Da ultimo, l’art. 2, co. 1, lett. r), della L. 240/2010 ha disposto che i nuclei svolgono anche, in raccordo con l’attività dell’ANVUR, le funzioni dell’organismo di valutazione della performance di cui all’art. 14 del d.lgs. 150/2009 al fine di promuovere il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale.

Le funzioni di indirizzo dell’ANVUR nei confronti dei nuclei di valutazione degli atenei e degli enti di ricerca, ad eccezione di quelle loro affidate dalle istituzioni di appartenenza, sono state ribadite, da ultimo, dall’art. 3, co. 1, lett. c), del DPR 76/2010, recante regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell’Agenzia.

Sul tema specifico dell’applicabilità del d.lgs. 150/2009 alle università, si vedano la delibera n. 09/2010 dell’11 marzo 2010 e la delibera n. 23/2013 del 16 aprile 2013 della CIVIT.

 

Il comma 3, come modificato durante l’esame in sede referente, dispone che, a decorrere dal 2014, le risorse destinate all’ANVUR ai sensi dell’art. 2, co. 142, del D.L. 262/2006 (L. 286/2006) sono incrementate di 1 milione di euro.

 

In base alla disposizione citata, per la copertura degli oneri relativi all’istituzione e al funzionamento dell’ANVUR (art. 2, co. 138-141, D.L. 262/2006 - L. 286/2006) è stato previsto un limite di spesa di 5 milioni di euro annui, utilizzando le risorse riguardanti il funzionamento del soppresso Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) nonché, per la quota rimanente, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).

 

Alla copertura dell’onere si provvede, a decorrere dal 2014, quanto a 500.000 euro annui, mediante corrispondente riduzione del FFO e, quanto a lire 500.000 euro annui, mediante riduzione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca (art. 7, co. 1, d.lgs. 204/1998).

Al contempo si dispone che le ulteriori risorse eventualmente attribuite all’ANVUR a valere sugli stessi due Fondi, ai sensi dell’art. 12, co. 7, del DPR 76/2010, non possono superare, per ciascuno degli anni 2014 e 2015, il limite massimo di 1,5 milioni di euro per ciascun Fondo.

Al riguardo si ricorda, infatti, che l'art. 12, co. 7, del DPR 76/2010, recante il Regolamento sulla struttura ed il funzionamento dell’ANVUR, ha previsto che, a valere sul Fondo ordinario per gli enti di ricerca e sul FFO, sentita la CRUI, possono essere riservate risorse per l’ANVUR, in relazione alle esigenze connesse alle sue attività di valutazione.

Su questa base, ad es., il già citato DM 71/2012, ha destinato all’ANVUR 2 milioni di euro per il 2012; altrettanti ne ha destinati lo schema di DM per il riparto del Fondo ordinario per gli enti di ricerca per il 2013 (Atto n. 5).

 

Durante l’esame in sede referente, inoltre, è stato introdotto il comma 3-bis, che modifica l’art. 12, co. 4, lett. d), del già citato DPR 76/2010, in materia di contratti che possono essere stipulati dall’ANVUR con esperti della valutazione.

In particolare, mentre il testo vigente prevede che il numero di tali contratti non può eccedere, complessivamente, 50 unità, il testo in esame elimina il limite massimo e dispone che gli stessi contratti sono conferiti nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, a legislazione vigente, nel bilancio dell’ANVUR, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La finalità dichiarata è quella di semplificare le procedure di valutazione che richiedono il ricorso ad esperti.

 

Si ricorda che il par. 3, lett. e), della Lettera circolare dei Presidenti delle Camere sulle regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, del 20 aprile 2001, dispone che “Non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di ‘resistenza’ ad interventi modificativi successivi”.

 

Il comma 3-ter reca la clausola di invarianza finanziaria, fatto salvo quanto previsto ai commi 3 e 3-bis.


 

Articolo 61
(Copertura finanziaria)

 

L’articolo 61 provvede in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti da alcuni articoli del provvedimento, quantificati complessivamente pari a 34,05 milioni di euro per l’anno 2013, 94,4 milioni di euro per l’anno 2014, 57,9 milioni di euro per l’anno 2015, 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, 53,9 milioni di euro per l’anno 2020, 42,9 milioni di euro per l’anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022.

Tali oneri sono derivanti dalle seguenti disposizioni:

§       articolo 2, comma 8, che stanzia un contributo alle imprese per il periodo dal 2014 al 2021 per coprire quota parte degli interessi derivanti dall’accensione di finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari ad uso produttivo;

§       articolo 11, che estende al 2014 il credito imposta nel settore cinematografico nel limite massimo di spesa di 45 milioni;

§       articolo 17, che reca misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico;

§       articolo 22, comma 3, che reca l’incremento di 20 milioni di euro annui del Fondo adeguamento porti;

§       articolo 23, che riduce la tassa sulle unità da diporto per favorire il rilancio del settore;

§       articolo 56, che prevede lo slittamento del versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Agli oneri si provvede:

a)       quanto a 2,4 milioni di euro per l’anno 2013, a 12 milioni di euro per l’anno 2014, a 57,9 milioni di euro per l’anno 2015, a 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 53,9 milioni di euro per l’anno 2020, a 42,9 milioni di euro per l’anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 5, comma 1 (Robin tax), e 55 (rimborsi IVA agenzie di viaggio con sede extra UE);

b)      quanto a 2,65 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero;

c)       quanto a 19 milioni di euro per l’anno 2013 e a 7,4 milioni di euro per l’anno 2014, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 27, comma 10, sesto periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che reca misure di sostegno all'emittenza televisiva locale, pari a 82 miliardi di lire annue a decorrere dal 2000 (circa 42,3 milioni di euro annui);

Si ricorda che tale disposizione ha destinato ottantadue miliardi di euro annui a decorrere dal 2000 alle misure di sostegno previste dall’articolo 45, comma 3, della legge n. 448/1998 (vale a dire il finanziamento del piano di interventi e di incentivi a sostegno dell'emittenza televisiva locale e dell'emittenza radiofonica locale e nazionale previsto dall’articolo 10 del decreto-legge n. 323/1993, anche al fine di consentire l’adeguamento degli impianti in base al piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il 30 ottobre 1998).

d)         quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione della quota di pertinenza statale dell’otto per mille IRPEF, di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 47, commi 2 e 3, della legge n. 222/1985, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica[132].

In merito alle risorse dell’otto per mille IRPEF di competenza statale, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (Legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa), la quota dell’otto per mille IRPEF di pertinenza statale, iscritta sul cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, risulta pari a 13,8 milioni di euro nel 2013, 86,1 milioni nel 2014 e a 95,7 milioni nel 2015.

Si segnala che le risorse dell’otto per mille IRPEF dello Stato per l’anno 2013 sono state oggetto di riduzione per circa 1,1 milioni di euro, a seguito di tagli lineari operati al bilancio statale in attuazione delle clausole di salvaguardia finanziaria contenute nell’articolo 2, comma 1 del D.L. n. 78/2010 e nell’art. 16, comma 3 del D.L. n. 98/2011.

Anche le risorse per gli anni 2014 e 2015 destinate all’otto per mille di pertinenza statale sono state, di recente, oggetto di riduzioni, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettera c-sexies) del D.L. n. 35/2013 (riduzione di 2,1 milioni di euro per l'anno 2014 e di 35,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015) e dell’articolo 21, comma 3, lettera d), del D.L. n. 63/2013 (riduzione di 35 milioni di euro per l’anno 2015).

e)         quanto a 75 milioni per l’anno 2014 mediante l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante (di cui all’allegato I del testo unico accise), in modo tale da compensare il predetto onere nonché quello correlato ai rimborsi di cui al penultimo periodo della presente lettera.

L’allegato I al D.Lgs. n. 504 del 1995 elenca i prodotti assoggettati ad imposizione e le relative aliquote: per la benzina e la benzina con piombo è prevista una accisa pari a 564 euro per mille litri, mentre per il gasolio usato come carburante è indicata in 423 per mille litri. Tuttavia negli ultimi anni è stato previsto che la copertura degli oneri recati da numerosi provvedimenti legislativi fosse posta a valere sull’aumento di tali aliquote, rinviandone la determinazione ad una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane (al fine di conseguire un gettito pari all’onere da coprire), mentre in altri casi l’ammontare dell’aliquota dell’accisa è stata fissata direttamente dalla disposizione legislativa [133] Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 487, conferma, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, quanto disposto con la determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789, che ha fissato l’aliquota di accisa sulla benzina a 728,40 euro per mille litri e quella sul gasolio usato come carburante a 617,40 euro per mille litri.

La misura dell’aumento - tale da determinare maggiori entrate per 75 milioni nel 2014 - è stabilita con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane da adottare entro il 31 dicembre 2013; il provvedimento è efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia.

Nel corso dell’esame è stata soppressa la disposizione che prevede che agli aumenti disposti ai sensi della presente lettera non trova applicazione l’articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996, relativo alla misura massima dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

Tale norma stabilisce che eventuali aumenti erariali dell’accisa abbiano effetto, nelle regioni che hanno istituito tale imposta, solo per la differenza tra l’aumento erariale e la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

Viene disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa sul gasolio, nei confronti di:

§      soggetti esercenti le attività di trasporto merci (articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 452 del 2001) con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate[134];

§      enti pubblici e imprese pubbliche locali esercenti l'attività di trasporto pubblico locale (di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422[135], e relative leggi regionali di attuazione, norme richiamate dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, (di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822[136], al Regolamento (CEE) n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992[137], e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997, tutti richiamati dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico per trasporto di persone (articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001).

Il rimborso viene disposto con le modalità previste dall’articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo n. 26 del 2007, ai sensi del quale esso può venir effettuato anche in compensazione, a seguito della presentazione di apposita dichiarazione ai competenti Uffici dell'Agenzia delle dogane, secondo le modalità e con gli effetti previsti da apposito regolamento (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 277 del 2000, recante disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci).

Da ultimo, la disposizione in esame conferma quanto disposto dall’articolo 24, comma 1, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), ai sensi del quale le somme relative all’eventuale minor utilizzo delle risorse stanziate per le agevolazioni fiscali (finanziate attraverso l’aumento dell’aliquota dell’accisa sui taluni prodotti petroliferi), in favore delle imprese operanti nel settore cinematografico, ai sensi dell’art. 1, commi da 325 a 337 della legge n. 244/2007 e successivamente prorogate (tax credit esterno e interno, ovvero credito d’imposta per le spese sostenute da imprese esterne ed interne alla filiera del cinema; credito d’imposta per le imprese che si avvalgono di manodopera italiana), individuate con decreto dei Ministri per i beni e le attività culturali e dell’economia e delle finanze, sono riassegnate ogni anno con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze allo stato di previsione del MIBAC, ai fini del rifinanziamento del Fondo per la produzione, la distribuzione l'esercizio e le industrie tecniche (di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 28/2004).

 

La Tabella che segue indica gli oneri complessivi e le risorse utilizzate a copertura ai sensi dei commi dell’articolo in esame:


 

milioni di euro

 

 

2013

2014

2015

 

ONERI

34,05

94,40

57,90

2, co. 8

Contributo imprese per copertura quota parte interessi su finanziamenti bancari per acquisto nuovi macchinari

0

7,50

21,00

11

Credito imposta settore cinematografico

0

45,00

0

17

Fascicolo sanitario elettronico

0

10,00

5,00

22, co. 3

Fondo adeguamento porti

20,00

20,00

20,00

23

Nautica da diporto (minori entrate)

1,20

11,9

11,9

56

Slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie (minori entrate)

6,75

0

0

56

Oneri per interessi slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie

6,10

0

0

 

COPERTURA

34,05

94,40

57,90

a)

Maggiori entrate Robin tax (art. 5, co. 1) al netto riduzione componente A2 tariffa elettrica (co. 2)

0

0

45,90

a)

Maggiori entrate Agenzie di viaggio (art. 55)

2,40

12,00

12,00

b)

Tabella A Ministero economia e finanze

2,65

0

0

c)

Fondo emittenza locale

19,00

7,40

0

d)

Otto per mille IRPEF Stato

10,00

0

0

e)

Aumento aliquota accisa benzina e gasolio

0

75,00

0

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 62
(Istituzione dei giudici ausiliari: finalità e ambito di applicazione)

 

L’articolo 62 - non modificato nel corso dell’esame in Commissione - precisa la finalità e l’ambito applicativo della disciplina del Capo I del titolo III del decreto-legge in esame (Giudici ausiliari, artt. 62-72): la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili, di lavoro e previdenza presso le corti d’appello sulla base delle priorità individuate dai programmi di lavoro per la gestione dei procedimenti civili pendenti redatti dai presidenti delle stesse Corti.

 

L’art. 37 del D.L. 98/2111 (L. 111/2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno debbano redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti con cui determinare: a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso; b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa.

 

Come si legge nella relazione illustrativa, è proprio presso le corti d’appello che si registra un aumento delle pendenze (che invece non si verifica davanti ai tribunali): nelle corti d’appello, nel 2010 erano pendenti 443.435 procedimenti, mentre nel 2011 ne erano pendenti 448.810. Nei tribunali invece le pendenze erano 3.486.487 nel 2010 e 3.452.462 nel 2011.

 

L’articolo 62 precisa l’inapplicabilità della nuova disciplina (in relazione all’assegnazione ai giudici ausiliari) ai procedimenti che la Corte d’appello tratta in unico grado (equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, controversie elettorali, lodi arbitrali, ecc.).


 

Articolo 63
(Giudici ausiliari)

 

L’articolo 63 - modificato nel corso dell’esame da parte delle Commissioni - stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le Corti d’appello, la nomina, con decreto del ministro della giustizia, di un numero massimo di 400 giudici ausiliari (comma 1).

Secondo la relazione illustrativa, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario).

 

Si ricorda che già nella XIII legislatura, la legge n. 276 del 1997 aveva individuato in apposite sezioni stralcio, cui assegnare 1.000 giudici onorari reclutati in via straordinaria, lo strumento con cui affrontare il pesante arretrato della giustizia civile pendente presso i tribunali alla data del 30 aprile 1995. La legge n. 276 dettava specifici requisiti di nomina (con preferenza per gli esercenti la professione forense) dei Goa (la cui permanenza nell’ufficio era stabilita in 5 anni, con al massimo uno di proroga), una disciplina dell’incompatibilità (ed ineleggibilità) dei Goa analoga a quella dei magistrati ordinari - con specifiche disposizioni per gli avvocati - nonché una disciplina dell’astensione, ricusazione, decadenza, dimissioni e revoca dei giudici aggregati.

 

Il procedimento per la nomina dei giudici ausiliari prevede (comma 2):

§      la proposta del Consiglio giudiziario competente per territorio (in composizione allargata ai componenti laici)[138], acquisito il parere - nel caso di domanda da parte di avvocati o notai - del competente ordine forense o notarile;

§      la deliberazione su tale proposta del CSM;

§      il decreto di nomina da parte del ministro della giustizia.

 

Il comma 3 dell’articolo 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda per ottenere la nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati (ordinari, contabili e amministrativi) e gli avvocati dello Stato a riposo, i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo, i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l’art. 65 attribuisce preferenza a fini della nomina, v. ultra) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo)[139].

Su tale elencazione sono intervenute le commissioni riunite,

§      estendendo la possibile nomina a giudice ausiliario alla categoria dei magistrati onorari (es. giudici di pace, giudici onorari aggregati) che, pur non esercitando al momento della domanda, abbiamo esercitato la funzione onoraria per almeno 5 anni, con valutazione positiva;

Si ricorda che ai sensi dell’art. 7 della legge istitutiva dei giudici di pace (legge 374/1991), alla scadenza del primo quadriennio di attività del giudice di pace, il consiglio giudiziario, integrato da un rappresentante dei giudici di pace del distretto, esprime un giudizio di idoneità del giudice di pace a svolgere le funzioni per il successivo quadriennio. Tale giudizio costituisce requisito necessario per la conferma e viene espresso sulla base dell'esame a campione delle sentenze e dei verbali di udienza redatti dal giudice onorario oltre che della quantità statistica del lavoro svolto.

§      precisando che tutti i soggetti considerati ad eccezione di giudici onorari e ricercatori, al momento della presentazione della domanda devono essere a riposo da non più di tre anni (per gli avvocati si fa riferimento alla cancellazione dall’albo da non più di tre anni).


 

Articolo 64
(Requisiti per la nomina a giudice ausiliario)

 

L’articolo 64 – modificato per aspetti esclusivamente formali nel corso dell’esame in sede referente - individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all’art. 42-ter del RD 12/1941 sull’ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale.

In particolare, a parte la laurea in giurisprudenza, l’art. 64 del decreto-legge non stabilisce alcun requisito inerente la residenza (nel comune del distretto della corte d’appello per cui si fa domanda).

 

Il citato art. 42-ter del RD 12/1941, al contrario, per la nomina di Got e Vpo, prevede tra i requisiti la residenza in un comune compreso nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario per il quale è presentata domanda, fatta eccezione per coloro che esercitano la professione di avvocato o le funzioni notarili.

La legge sulle sezioni stralcio n. 276/1997 (art. 2) non prevedeva, invece, alcun requisito di residenza per la nomina dei giudici onorari aggregati (Goa).

 

I requisiti previsti dall’art. 64 sono la cittadinanza italiana, l’esercizio dei diritti civili e politici, non avere riportato condanne per delitti non colposi,non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza, avere idoneità fisica e psichica, non avere precedenti disciplinari diversi dalla sanzione più lieve prevista dall’ordinamento della professione di provenienza.

Con particolare riferimento al requisito anagrafico la norma prevede, al momento di presentazione della domanda:

§      per i magistrati (anche onorari) e gli avvocati dello Stato a riposo, nonché i professori universitari, un limite massimo di 75 anni di età;

§      per gli avvocati e i notai, invece, tale limite è di 60 anni.

 

Il limite anagrafico per i Goa era di 67 anni. Per Got e Vpo è, invece, stabilito un minimo di 25 anni ed un massimo di 69.

 

Per notai e avvocati un ulteriore requisito consiste nell’iscrizione all’albo da almeno 5 anni, termine evidentemente individuato come sintomatico di adeguata esperienza professionale.

L’art. 64 prevede, ai fini delle nomina a giudice ausiliario nel circondario di Bolzano, la conoscenza delle due lingue (italiano e tedesco) nonché una disposizione a tutela delle minoranze linguistiche, ovvero il rispetto del rapporto dei tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino), secondo la loro consistenza quale risultante nell'ultimo censimento (art. 8, DPR 752/1976).

Sono infine, individuate gli incarichi (elettivi e non) la cui titolarità esclude la possibilità di essere nominato giudice ausiliario.

In particolare, non possono essere nominati giudici ausiliari i parlamentari nazionali ed europei, i consiglieri regionali, i membri del Governo, i presidenti, i sindaci e gli altri componenti delle giunte regionali, provinciali e comunali, i consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali, gli ecclesiastici e i ministri di culto, i titolari di incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici.

L’art. 42-quater, primo comma, dell’ordinamento giudiziario reca una disposizione analoga per i giudici onorari di tribunale. Tale disposizione si distingue tuttavia dall’art. 64 in quanto richiama espressamente anche ulteriori funzioni o incarichi che impediscono la nomina dei got: i componenti degli organi deputati al controllo sugli atti degli enti territoriali; i titolari della carica di difensore civico; coloro che abbiano ricoperto nei tre anni precedenti incarichi nei partiti politici; gli appartenenti ad associazioni i cui vincoli siano incompatibili con l'esercizio indipendente della funzione giurisdizionale; coloro che svolgono o abbiano svolto nei tre anni precedenti attività professionale non occasionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie, ovvero per istituti o società di intermediazione finanziaria.


 

Articolo 65
(Pianta organica dei giudici ausiliari. Domande per la nomina
a giudici ausiliari)

 

L’articolo 65modificato nel corso dell’esame in sede referente – disciplina il procedimento per l’approvazione delle piante organiche dei giudici ausiliari e le modalità di presentazione delle domande per svolgere tale funzione.

 

Il comma 1, nel testo vigente del decreto-legge, stabilisce che la pianta organica ad esaurimento dei giudici ausiliari presso le Corti d’appello è determinata con decreto del ministro della giustizia (un avviso in tal senso dovrà apparire anche sul sito Internet del ministero), entro 2 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge.

Per ogni corte d’appello dovrà essere indicato il numero dei magistrati ausiliari assegnati, fermo restando che magistrati (anche onorari) e avvocati dello Stato a riposo:

§      possono ricoprire tali incarichi nel limite del 10% dei posti totali per ogni ufficio;

§      non possono essere nominati per un numero complessivo di posti superiore a 40 (ovvero il 10% del totale dei giudici ausiliari).

 

A seguito dell’approvazione di un emendamento, il comma 1 è stato riscritto dalle Commissioni riunite che hanno conservato la previsione del necessario decreto del ministro della giustizia, richiedendo che questo sia adottato non solo previo parere del CSM, ma anche previo parere dei Consigli degli ordini distrettuali. Inoltre, le Commissioni hanno soppresso le restrizioni percentuali alla nomina di magistrati e avvocati dello Stato, stabilendo che la determinazione della pianta organica dovrà avvenire tenendo conto «delle pendenze e delle scoperture di organico di ciascuna Corte» e che comunque nessuna Corte d’appello potrà vedersi assegnati più di 40 giudici ausiliari.

 

Il comma 2 prevede le modalità di presentazione della domanda al Consiglio giudiziario di competenza ed i criteri di priorità nella nomina, fermo restando il titolo preferenziale dello svolgimento della professione forense. Ciò significa che andranno con priorità nominati gli avvocati iscritti all’albo (in possesso ovviamente dei requisiti) e solo dopo gli avvocati cancellati dall’albo e gli appartenenti alle altre categorie.

Inoltre, il testo del decreto-legge stabilisce che, a parità di titoli, dovranno essere nominati prioritariamente coloro che abbiano maturato una maggiore anzianità di servizio o di esercizio della professione. Tale previsione è stata soppressa delle Commissione riunite; a seguito dell’approvazione di un emendamento in sede referente, infatti, il provvedimento all’esame dell’Assemblea assegna ora priorità di nomina agli avvocati che – pur avendo almeno cinque anni di iscrizione all’albo (come richiesto anche dall’art. 64, comma 3) – sono anagraficamente più giovani.

 

Il procedimento prevede che sia lo stesso Consiglio giudiziario a formulare proposte motivate di nomina, indicando – ove possibile – una rosa di nomi pari al doppio dei posti della pianta organica di ciascun ufficio giudiziario, e redigendo una graduatoria finale (comma 3).

 

I giudici ausiliari nominati sono poi assegnati alle singole sezioni dal presidente della Corte d’appello (comma 4).


 

Articolo 66
(Presa di possesso dell’ufficio da parte del giudice ausiliario)

 

L’articolo 66non modificato nel corso dell’esame in sede referente - stabilisce che la presa di possesso dell’ufficio da parte del giudice ausiliario avvenga entro il termine stabilito dal decreto di nomina e che l’assegnazione avvenga con apposito provvedimento del Presidente della Corte d’appello.


 

Articolo 67
(Durata dell’ufficio di giudice ausiliario)

 

L’articolo 67 – cui è stata apportata una modifica esclusivamente formale nel corso dell’esame in sede referente - stabilisce in 10 anni il termine massimo di permanenza nell’ufficio di giudice ausiliario. In base ai commi 1 e 2, infatti, la funzione può essere svolta per cinque anni, prorogabili per un pari periodo con decreto del ministro della giustizia (ex art. 65 del decreto).

Il comma 3 prevede la cessazione dall’incarico di giudice ausiliario - oltre che per le ipotesi di cui all’art. 71, di dimissioni, revoca, decadenza e mancata conferma – al compimento dei 78 anni di età.

Ciò significa che, anche ove il mandato quinquennale (primo o secondo) non sia concluso, il raggiungimento del limite anagrafico indicato costituisce motivo di decadenza di diritto dall’incarico.


 

Articolo 68
(Collegi e provvedimenti. Monitoraggio)

 

L’articolo 68 – cui le commissioni hanno apportato esclusivamente una modifica formale - prevede che dei collegi giudicanti presso le corti d’appello non possa far parte più di un giudice ausiliario (comma 1).

 

Precisando che in ogni collegio giudicante non ci potrà essere più di un giudice ausiliario (nel collegio di 3 giudici, 2 dovranno essere, quindi, togati) non viene seguita la scelta fatta propria dalla legge 276/1997 sui giudici onorari aggregati, che invertiva detta proporzione stabilendo che ogni sezione stralcio fosse costituita da un magistrato (presidente) e da almeno due giudici onorari aggregati.

 

La disposizione indica puntuali parametri di operosità che il giudice ausiliario è tenuto a raggiungere nello svolgimento dell’ufficio, stabilendo che ciascun giudice onorario debba definire, come relatore, almeno 90 procedimenti all’anno (comma 2). La conseguenza del mancato rispetto di questi standard è la mancata conferma annuale o la revoca dall’incarico, ai sensi dell’art. 71 (v. infra).

Il comma 3 fissa in capo al ministro della giustizia obblighi di monitoraggio semestrale sull’attività e la produttività dei magistrati ausiliari.


 

Articolo 69
(Incompatibilità ed ineleggibilità)

 

L’articolo 69, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede – in generale - l’applicazione ai giudici ausiliari della disciplina delle incompatibilità e delle ineleggibilità stabilita per i magistrati ordinari (comma 1)[140].

Quando però a svolgere la funzione di giudici ausiliari siano avvocati, non essendo applicabile l’interdizione in toto dall’attività professionale prevista per i magistrati dall’art. 16 dell’ordinamento giudiziario, i commi da 2 a 4 dell’art. 69 dettano specifiche ipotesi di incompatibilità.

 

Dette ipotesi si ricollegano essenzialmente alla particolare delicatezza della funzione difensiva ed al possibile conflitto d’interesse che gli avvocati possono avere nelle cause trattate davanti al distretto di corte d’appello nelle quali svolgono funzioni di giudice ausiliario.

 

L’incompatibilità investe tanto l’attività del giudice ausiliario nominato tra gli avvocati quanto l’attività dell’avvocato.

In particolare, il giudice ausiliario nominato tra gli avvocati non può svolgere le funzioni presso la corte d’appello nel cui distretto ha sede il consiglio dell’ordine cui era iscritto al momento della nomina o nei cinque anni precedenti (comma 2).

Gli avvocati che svolgono le funzioni di giudice ausiliario non possono esercitare dinanzi agli uffici giudiziari del distretto in cui svolgono le funzioni né possono rappresentare, assistere o difendere nei successivi gradi di giudizio (comma 3).

Inoltre, anche se fuori dal distretto di svolgimento delle funzioni, agli avvocati-giudici ausiliari è, tuttavia, precluso rappresentare o difendere le parti di procedimenti in cui hanno svolto le funzioni di giudice (comma 4). Su quest’ultimo aspetto sono intervenute le Commissioni riunite, che hanno approvato un emendamento volto a specificare che il divieto di rappresentare e difendere parti di procedimenti rispetto ai quali l’avvocato abbia svolto le funzioni di giudice ausiliario si estende anche agli eventuali soci o associati nella società tra avvocati o associazione professionale.


 

Articolo 70
(Astensione e ricusazione)

 

L’articolo 70 - ferme restando le ordinarie ipotesi di astensione del giudice di cui all’art. 51, primo comma, c.p.c. - individua ulteriori, specifici casi in cui il magistrato ausiliario, in relazione alla pregressa attività professionale svolta, è obbligato ad astenersi, pena la possibilità di ricusazione ex art. 52 c.p.c.[141]

La disposizione non è stata modificata nel corso dell’esame in sede referente.

 

Sussiste l’ulteriore obbligo di astensione del giudice ausiliario

§      se questi “è stato associato o comunque collegato” – anche tramite il coniuge, i parenti o altre persone - con lo studio professionale di cui ha fatto parte (o fa parte) il difensore di una delle parti in causa;

§      quando il giudice ausiliario, già avvocato, abbia assistito in passato una delle parti in causa ovvero quando il giudice, già notaio, abbia svolto attività professionale per una delle parti in causa o per uno dei difensori.

In relazione alla prima delle due ipotesi di astensione descritte, si osserva che la formulazione non prevede l’attualità dell’associazione, come previsto per il difensore.

Inoltre appare utile valutare l’estensione dell’ipotesi di “collegamento” del giudice con lo studio professionale anche mediante il coniuge, i parenti o altre persone. Potrebbe risultare utile precisare il significato del termine “collegamento” nonché individuare le categorie residue (le “altre persone”) che tale collegamento con lo studio professionale permettono.


 

Articolo 71
(Decadenza, dimissioni, mancata conferma e revoca
dei giudici ausiliari)

 

La disposizione in esame, cui le commissioni hanno apportato esclusivamente modifiche di carattere formale, individua le ipotesi di cessazione dall’ufficio di giudice ausiliario nella:

§      decadenza;

§      dimissione;

§      mancata conferma;

§      revoca.

La decadenza consegue sia al venire meno di qualcuno dei requisiti di nomina (cfr. art. 64), sia alla revoca dall’ufficio decisa dal consiglio giudiziario competente (v. ultra).

La mancata conferma del giudice ausiliario consegue al mancato raggiungimento degli standard di efficienza prescritti, ovvero la definizione dei 90 procedimenti all’anno, di cui all’art. 68. La verifica è demandata annualmente al consiglio giudiziario, che propone al CSM la conferma o meno (in tal caso, previo contraddittorio) del magistrato onorario (comma 2).

 

L’articolo 71 detta la disciplina delle ipotesi di revoca del giudice ausiliario:

§      la proposta motivata spetta al presidente della corte d'appello, che la trasmette al consiglio giudiziario (sulla base della considerazione che il giudice non sia in grado di svolgere con diligenza ed efficienza il proprio incarico);

§      il consiglio giudiziario, sentito l’interessato, se opta per la revoca formula a sua volta un parere motivato al CSM;

§      se il CSM delibera la revoca; il Ministro della giustizia delibera con decreto la cessazione dall’ufficio del giudice ausiliario.


 

Articolo 72
(Stato giuridico e indennità dei giudici ausiliari)

 

L'articolo 72non modificato nel corso dell’esame in sede referente - attribuisce ai giudici ausiliari lo stato giuridico di magistrati onorari (comma 1).

Inoltre, il comma 2 fissa in 200 euro l’indennità onnicomprensiva da attribuire ai giudici, con cadenza trimestrale, per ogni provvedimento che definisce il processo, anche parzialmente ovvero solo su alcune delle domande proposte con l’atto di citazione o rispetto solo ad alcune delle parti.

Il comma 3 stabilisce, in ogni caso:

§      un limite massimo dell’indennità annua da attribuire al giudice ausiliario (20.000 euro), precisando che su di essa non sono dovuti contributi previdenziali;

§      la cumulabilità dell’indicata indennità con i trattamenti pensionistici o di quiescenza cui abbia, eventualmente, diritto il giudice ausiliario.

 

Si ricorda che la legge 276/1997 prevedeva, invece, il diritto dei giudici onorari aggregati ai contributi previdenziali. Al contrario, sulla base della normativa vigente i Got (come i giudici di pace) non hanno diritto ad alcuna copertura previdenziale.

La legge 276/1997 attribuiva ai giudici onorari aggregati – dopo l’ingresso dell’euro – una indennità di euro 10.329,14 annui da corrispondere a rate mensili, oltre ad euro 129,11 per ogni sentenza che definisse il processo ovvero per ogni verbale di conciliazione, da corrispondere ogni tre mesi.

Il TU spese di giustizia (DPR 115/2002) prevede (art. 64) che ai giudici onorari di tribunale spetti un'indennità di 98 per le attività di udienza svolte nello stesso giorno ed un'ulteriore indennità di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le attività di udienza superi le cinque ore.


 

Articolo 73
(Formazione presso gli uffici giudiziari)

 

Il Capo II (composto dal solo art. 73) detta un’articolata disciplina volta a consentire l’accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all’esito di un corso almeno quadriennale[142].

La disposizione - che disciplina i requisiti di accesso ai periodi formativi, la procedura di ammissione, gli obblighi del magistrato formatore, il contenuto dello stage ed i relativi limiti, i profili retributivi e previdenziali, l’esito del periodo di formazione ed i relativi effetti - è stata ampiamente modificata nel corso dell’esame in sede referente; di seguito si dà conto del contenuto del decreto-legge e delle modifiche proposte dalle commissioni riunite.

 

Ai sensi del comma 1, gli uffici giudiziari interessati dagli stage sono:

§      per la magistratura ordinaria, i tribunali e le corti d’appello (lo stage sul processo penale potrà svolgersi solo presso il giudice del dibattimento; escluse quindi le procure e gli uffici del GIP e del GUP);

§      per la magistratura amministrativa, sia il Tar che il Consiglio di Stato.

Disposizioni particolari riguardano gli uffici della giustizia amministrativa presso la Regione Sicilia e la Regione Autonoma del trentino-Alto Adige.

Nel corso dell’esame in sede referente le Commissioni riunite hanno aggiunto all’elencazione degli uffici giudiziari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza nonché i tribunali per i minorenni ed hanno precisato che anche le province autonome di Trento e Bolzano dovranno disciplinare, nell’ambito della propria autonomia statutaria, gli stage presso il Tar di Trento e la sezione distaccata di Bolzano.

Requisiti e domanda di ammissione (commi 1-3, 12-bis e 20)

L’accesso a domanda ai periodi di formazione – possibili una sola volta - è subordinato dal decreto-legge al possesso dei seguenti requisiti (comma 1):

§      laurea in giurisprudenza all’esito di un corso di durata almeno quadriennale, ottenuta con punteggio minimo di 102 su 110;

§      media di almeno 27/30 negli esami nelle materie più significative del corso di laurea, individuate dal comma 1 dell’art. 73;

§      età massima di 28 anni;

§      requisiti di onorabilità consistenti nel non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza.

Le Commissioni riunite hanno emendato il comma 1 stabilendo un punteggio di laurea minimo di 105 su 110, da intendersi come requisito alternativo alla media di almeno 27 su 30 nelle materie individuate come più significative. Le Commissioni hanno inoltre portato a 30 anni l’età massima degli stagisti, al momento della presentazione della domanda.

 

Se il numero degli aspiranti è maggiore del numero dei posti disponibili presso l’ufficio giudiziario per cui si è fatta domanda, ai sensi del comma 2 costituisce titolo preferenziale, nell’ordine, la miglior media negli esami nelle specifiche materie indicate; il punteggio di laurea; la minore età anagrafica. Le Commissioni riunite in sede referente hanno approvato un emendamento al comma 2 che stabilisce come, a parità dei precedenti requisiti, vada attribuita preferenza ai corsi di perfezionamento in materie giuridiche successivi alla laurea.

Si osserva che non è chiarito se sia richiesta l’iscrizione, la frequenza ovvero la positiva conclusione dei corsi post lauream.

La domanda di ammissione – che l’art. 73, comma 20, precisa non possa essere presentata se non dopo 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione - va presentata dai laureati ai capi degli uffici giudiziari, allegando la documentazione che dimostri il possesso dei requisiti e dichiarando eventuali preferenze riferite ad uno o più magistrati presso cui svolgere il tirocinio ovvero a determinate materie. Quest’ultima possibilità è stata esclusa dalle Commissioni riunite che hanno soppresso il relativo inciso; conseguentemente, la disposizione stabilisce che colui che fa domanda può indicare una «preferenza ai fini dell’assegnazione, di cui si tiene conto compatibilmente con le esigenze dell’ufficio».

Inoltre, a seguito di un emendamento approvato dalle Commissioni, che introduce il comma 12-bis, coloro che in base all’art. 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 stanno già svolgendo un’attività formativa presso gli uffici giudiziari potranno, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, chiedere ed ottenere di essere ammessi allo stage disciplinato dall’art. 73, se in possesso dei requisiti previsti dal comma 1.

Il magistrato formatore e i contenuti dello stage (commi 4-10)

L’art. 73 prevede l’affidamento del laureato ad un magistrato formatore, offertosi volontariamente ovvero designato a tal fine dal capo dell’ufficio.

Ogni formatore non può seguire più di 2 stagisti, salvo che negli ultimi sei mesi, in cui può chiedere un ulteriore ammesso allo stage che garantisca continuità nell’attività di assistenza all’attività del magistrato. L’attività del magistrato formatore, consistente sostanzialmente nel guidare e controllare l’attività degli stagisti, è valutata sia ai fini dei passaggi quadriennali di professionalità che per l’accesso ad incarichi direttivi e semidirettivi di merito sotto il profilo della capacità, della laboriosità, della diligenza e dell’impegno[143].

In relazione all’attività dei tirocinanti, il ministero della giustizia dovrà mettere a loro disposizione tutte le dotazioni strumentali per lo svolgimento dell’attività di assistenza al magistrato, comprese le necessarie dotazioni informatiche; a seguito dell’approvazione di un emendamento in sede referente, per l’acquisto di dotazioni strumentali è autorizzata una spesa di 400 euro per ciascuno stagista.

Dal punto di vista dell’attività oggetto dello stage, l’art. 73 afferma (comma 4) che i tirocinanti “assistono e coadiuvano il magistrato nello svolgimento delle attività ordinarie” potendo accedere ai fascicoli processuali, partecipare alle udienze come alle camere di consiglio (salvo opinione contraria del giudice).

L’attività dei tirocinanti comprende la partecipazione sia ai corsi di formazione cui partecipa il magistrato formatore che ai corsi di formazione decentrata, almeno semestrali, a loro appositamente dedicati (comma 5). Un emendamento approvato dalle Commissioni riunite precisa, sul punto, che i programmi della formazione decentrata dovranno essere indicati dalla Scuola superiore della magistratura. Attraverso l’approvazione di un ulteriore emendamento le Commissioni riunite hanno introdotto nell’articolo 73 il comma 5-bis, in base al quale laddove lo stagista sia iscritto alla pratica forense o ad una Scuola di specializzazione per le professioni legali, la formazione dovrà essere condotta in collaborazione con l’ordine professionale e la Scuola di specializzazione, secondo modalità individuate dal Capo dell’ufficio giudiziario.

L’articolo 73 impone, comunque, precisi limiti sia in riferimento a generici doveri di riserbo e riservatezza derivante dalla documentazione cui possono accedere, che al possibile conflitto d’interessi in cui può incorrere lo stagista (es: accesso a fascicoli di procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale lo stagista svolge il tirocinio forense); in particolari ai tirocinanti è imposto – in relazione alle notizie apprese nel corso dell’attività presso gli uffici - l’obbligo del segreto e di astensione dalla deposizione testimoniale (comma 5).

È, inoltre, chiarito che l'ammesso allo stage che svolga anche la pratica professionale forense non può avere accesso ai fascicoli relativi ai procedimenti trattati dall'avvocato presso il quale svolge il tirocinio e che rimane salvo il potere del giudice di non far partecipare il tirocinante alla singola udienza o camera di consiglio (comma 6). Il comma 7 precisa, poi, che l'ammissione al periodo di formazione impedisce al tirocinante di svolgere sia attività professionale presso l'ufficio del giudice formatore ove si svolge lo stage, che in favore delle parti dei procedimenti svoltisi innanzi al magistrato formatore. Nessun limite per il patrocinio davanti a quest’ultimo è, invece, imposto all’avvocato presso il quale lo stagista svolga il tirocinio forense.

Viene chiarito che, per il periodo di attività presso il tribunale o la corte d’appello, l’ammesso allo stage non ha diritto ad alcuna forma di compenso, e di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo rapporto subordinato (di pubblico impiego) o autonomo (comma 8).

Rientra nella discrezionalità del capo dell’ufficio giudiziario interrompere lo svolgimento dello stage per una serie di motivi sopravvenuti, quali: ragioni organizzative, venire meno del rapporto di fiducia con lo stagista, imparzialità dell’ufficio, credibilità della funzione giudiziaria, prestigio dell’ordine giudiziario (comma 9). Il periodo formativo può svolgersi, purché compatibile, anche contemporaneamente ad altre attività, quali come già visto il tirocinio forense, la frequenza di scuole di specializzazione, il dottorato di ricerca (comma 10).

Gli effetti dell’esito positivo dello stage (commi 11-16 e 19)

Al termine del periodo formativo, il magistrato formatore deve redigere una relazione sul corretto svolgimento dell’attività da parte del tirocinante e trasmetterla al capo dell’ufficio giudiziario (comma 11).

In base al comma 12, all’esito positivo del tirocinio presso l’ufficio giudiziario consegue l’acquisizione di titolo idoneo per l’accesso al concorso in magistratura ordinaria. Con l’occasione, il decreto-legge attribuisce analogo effetto allo svolgimento del tirocinio professionale per l’accesso alla professione forense, di durata pari a 18 mesi, presso l’Avvocatura dello Stato.

I 18 mesi di stage con esito positivo sono valutati pari ad 1 anno di tirocinio forense e notarile e, per lo stesso periodo, ai fini della frequenza presso le scuole di specializzazione legale (comma 13).

L'esito positivo del tirocinio costituisce, inoltre, in base ai commi 14, 15 e 16, titolo preferenziale per la nomina a giudice onorario e vice procuratore onorario di tribunale, autonomo requisito di accesso all'esercizio delle funzioni di giudice di pace, per i concorsi indetti dalle amministrazioni della giustizia, dall’Avvocatura dello Stato e, in diversa misura, da altre amministrazioni dello Stato.

L’art. 73 del D.L. precisa come l’attestazione dell’esito positivo dello stage presso Tar e Consiglio di Stato (ovvero presso gli altri organi di giustizia amministrativa presso la regione Sicilia e la regione autonoma del Trentino Alto-Adige) sia equiparato a tutti gli effetti a quello svolto presso gli uffici giudiziari ordinari (comma 19).

 

Per favorire l’attuazione degli stage formativi è previsto il possibile apporto finanziario di terzi mediante convenzioni (comma 17).

In relazione alle convenzioni previste dall’art. 37 del D.L. 98/2011 (con le facoltà universitarie, gli ordini forensi nonché le scuole di specializzazione per le professioni legali), il comma 18 dell’art. 73 in esame precisa che i capi degli uffici giudiziari dovranno, in sede di stipula, «tenere conto delle domande presentate dai soggetti in possesso dei requisiti di cui al comma 1».


 

Articolo 74
(Magistrati assistenti di studio della Corte di Cassazione)

 

Il Capo III del titolo III del decreto-legge, composto dal solo articolo 74, mira a fornire alla Corte di cassazione un qualificato supporto da parte di ulteriori magistrati per una rapida definizione dell’arretrato civile.

 

Il Capo e l’articolo sono stati ampiamente modificati nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione in sede referente. Di seguito si dà conto del contenuto del decreto-legge e poi delle modifiche approvate dalle Commissioni riunite.

 

Il decreto-legge n. 69 del 2013 introduce con l’articolo 74 la figura del magistrato assistente di studio della Corte suprema di Cassazione.

 

In particolare:

§       integrando la formulazione dell’art. 10, comma 3, del D.Lgs 160/2006 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati), il comma 1 dell’art. 74 del decreto-legge aggiunge alle attuali funzioni giudicanti di primo grado quelle di magistrato assistente di studio presso la Corte di cassazione;

§       inserendo nell’ordinamento giudiziario (RD 12/1941) l’art. 115-bis, il comma 2 dell’art. 74 istituzionalizza la figura del magistrato assistente di studio presso la Corte di cassazione. In particolare, il decreto-legge integra la pianta organica dei magistrati di cassazione di 30 unità, da inserire nelle sezioni civili, con lo scopo dichiarato di “garantire la celere definizione dei procedimenti pendenti”. L’inserimento ha carattere temporaneo: la pianta organica degli assistenti di studio della Corte di cassazione è infatti ad esaurimento fino alla cessazione dal servizio o al trasferimento dei magistrati stessi. Alle predette sezioni civili possono essere designati magistrati cui sono state attribuite funzioni giurisdizionali al termine del tirocinio e – come per i magistrati assegnati al massimario - con almeno 5 anni di effettivo esercizio delle funzioni di merito. Spetta al Presidente della Cassazione definire le attribuzioni dell’assistente di studio che, in ogni caso, non potrà far parte del collegio giudicante della sezione. Il periodo minimo di permanenza dell’ufficio, salvo gravi, specifici motivi, è almeno di 5 anni, periodo evidentemente ritenuto idoneo ad assicurare efficienza ed un minimo di continuità nello svolgimento delle funzioni.

§       novellando il decreto legislativo 24/2006, il comma 3 ridefinisce la pianta organica dei magistrati della Cassazione e stabilisce – come già previsto per il servizio presso il massimario - che lo svolgimento delle funzioni di assistente di studio della cassazione per almeno 8 anni, a parità di posizione in graduatoria, costituisce titolo preferenziale nell'attribuzione delle funzioni giudicanti di legittimità (ovvero quelle di consigliere presso la Corte di cassazione).

 

Il decreto-legge fissa dunque in 180 giorni il tempo necessario a coprire l’organico degli assistenti di studio (comma 4) e a rideterminare le nuove piante organiche degli uffici giudiziari (comma 5) attraverso un decreto del ministro della giustizia, previo parere del CSM.

 

Le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento del Governo interamente sostitutivo dell’articolo 74, che ha sostanzialmente modificato l’intervento sull’organico della Corte di Cassazione.

E’ quindi abbandonata l’idea di introdurre una nuova funzione giudicante di primo grado da affidare ai c.d. assistenti di studio della Corte di Cassazione, ritenendosi preferibile un intervento stabile di ampliamento dell’organico della Corte, con particolare riferimento all’ufficio del massimario e del ruolo.

A tal fine, in primo luogo sono modificate le rubriche tanto del Capo III quanto dell’art. 74: il capo III fa ora riferimento a modifiche all’organico della Cassazione mentre l’art. 74 è riferito ai magistrati destinati all’ufficio del massimario della Corte di cassazione «con compiti di assistenti di studio».

Inoltre, è soppressa la novella all’art. 10 del decreto legislativo 160/2006 e viene meno l’art. 115-bis dell’ordinamento giudiziario.

 

Il comma 1 del testo all’esame dell’assemblea novella l’art. 115 del R.D. n. 12/1941, relativo ai magistrati di tribunale destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione per:

§      aumentare il numero di tali magistrati dagli attuali 37 a 67;

§      prevedere che tali magistrati possano svolgere «anche» compiti di assistenti di studio;

§      confermare che all’ufficio del massimario e del ruolo possono essere designati magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale con non meno di cinque anni di effettivo esercizio delle funzioni di merito;

§      precisare che spetta al Primo presidente della Cassazione, annualmente, destinare fino a 30 di questi magistrati alle sezioni della Corte con compiti di assistenti di studio.

 

Il comma 2 precisa che per i primi 5 anni di applicazione della nuova disciplina, il Presidente della Cassazione dovrà annualmente destinare alle sezioni civili, con compiti di assistenti di studio, un numero di magistrati del massimario e del ruolo compreso tra 33 e 40, «al fine di garantire la più celere definizione dei procedimenti pendenti».

 

In base al comma 3 spetterà al CSM, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, stabilire i criteri per la destinazione dei magistrati dell’ufficio del massimario alle sezioni della Corte, con compiti di assistenti di studio. Lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, al pari del Ministro della giustizia, dovrà essere annualmente informato dal Presidente della Cassazione sull’attività svolta da tali magistrati (comma 4).

Il comma 5 aumenta di 30 unità l’organico della Corte di Cassazione mentre i commi 6 e 7 mantengono il termine di 180 giorni per la prima copertura dei posti aggiunti e per la rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudiziari con decreto del Ministro, sentito il CSM. La rideterminazione si rende necessaria in quanto, non essendo stato aumentato in generale l’organico della magistratura, ma solo quello della Corte di cassazione, occorre ridurre per un totale di 30 unità l’organico di altri uffici giudiziari.


 

Articolo 75
(Intervento del pubblico ministero nei giudizi civili dinanzi
alla Corte di Cassazione)

 

L’articolo 75, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sul codice di procedura civile con il fine di rendere più selettivo l’intervento della procura generale nei procedimenti in cassazione.

Attualmente, infatti, davanti al giudice di legittimità il PM ha l’obbligo generalizzato di intervento in tutte le cause, circostanza che determina una dispersione di risorse dell’ufficio di procura cui l’intervento in esame intende porre rimedio.

Sono, quindi, novellati gli artt. 70, 380-bis e 390 del codice di procedura civile.

 

L’intervento dell’articolo 75 è integrato da quello dell’art. 81 del decreto-legge, che modifica l’ordinamento giudiziario in riferimento alle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di cassazione (v. ultra).

 

Dalla modifica all’art. 70, che chiarisce che il pubblico ministero interviene in cassazione nei casi previsti dalla legge, derivano per coordinamento le ulteriori modifiche:

§      quella dell’art. 380-bis, secondo comma, che esclude l’obbligo del presidente della sezione di comunicare al PM, almeno 20 gg. prima della data stabilita per l’adunanza della Corte, il decreto che fissa l’adunanza stessa e la relazione inerente le ragioni della decisione (rimane l’obbligo di notifica ai difensori delle parti);

§      quella dell’art. 390, primo comma, che prevede la possibile rinuncia della parte al ricorso principale o incidentale finché non sia cominciata la relazione all'udienza o fino alla notifica delle conclusioni scritte del PM nei procedimenti per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza di cui all'articolo 380-ter.

 

Viene, infine, introdotta una norma transitoria che prevede la vigenza della nuova disciplina in relazione ai giudizi di cassazione instaurati a decorrere dal 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. in esame. Questa norma è stata modificata nel corso dell’esame in sede referente con l’approvazione di un emendamento del Governo, in base al quale la riforma sarà operativa per i giudizi in Cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza (o dell’adunanza in camera di consiglio) sia adottato a partire dal giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.


 

Articolo 76
(Divisione della comunione)

 

L’articolo 76modificato nel corso dell’esame in sede referente – novella la disciplina della divisione “giudiziale” nelle comunioni – ereditarie e non - e permette ai condividenti, se d’accordo, di rivolgersi al tribunale per ottenere la nomina di un professionista (in origine esclusivamente di un notaio) che si occupi dell’intera procedura di divisione.

La nuova normativa intende favorire una sollecita decisione sulle divisioni e sgravare il giudice civile da compiti che, in assenza di contestazioni, possono essere svolti anche da notai o avvocati.

 

La possibilità di chiedere la divisione di un complesso di beni in comunione è un diritto di ciascun titolare di una quota di un bene in comunione. In assenza di accordo tra i comproprietari, la disciplina del codice di procedura civile (artt. 784 e ss.) prevede il ricorso al giudice, che ha il compito di redigere un progetto di divisione che, in assenza di contestazioni, è reso esecutivo con ordinanza non impugnabile.

L’art. 786 c.p.c. prevede che il giudice può delegare le operazioni di divisione ad un notaio, sotto la direzione dello stesso giudice.

E’ quindi il notaio a formare il progetto di divisione e di assegnazione delle quote e dei lotti dei beni; tuttavia, in caso di mancato accordo delle parti sul progetto, questi deve trasmettere al giudice istruttore apposito processo verbale e sarà poi quest’ultimo a decidere con ordinanza, sentiti i partecipanti alla comunione.

Analogo ricorso al notaio è previsto dal codice di rito civile per le operazioni di vendita.

 

La nuova disciplina introdotta dall’art. 76, con l’introduzione di un nuovo art. 791-bis c.p.c., stabilisce che in assenza di contestazioni sul diritto alla divisione, sulle quote o su altre questioni pregiudiziali alla divisione stessa, le parti della comunione possono chiedere, con ricorso congiunto al tribunale competente, la nomina di un notaio del circondario, cui affidare le operazioni di divisione (in presenza di beni immobili, è necessaria la trascrizione ai sensi dell’art. 2646 c.c.). Le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento che aggiunge alla nomina dei notai la possibile nomina di avvocati con potere di autentica delle firme.

Si osserva che – in mancanza di una norma estensiva ad altre autorità dell'attribuzione della potestà di autenticazione – oggi l’autenticazione delle scritture private è di competenza del solo notaio (articolo 72 della legge 16 febbraio 1913, n. 89) e degli altri pubblici ufficiali autorizzati dalla legge ad autenticare scritture private contenenti atti di autonomia privata. Attualmente, dunque, il nostro ordinamento non attribuisce agli avvocati il potere di autenticare in via generale le sottoscrizioni[144].

Occorre allora chiarire se è attraverso la disposizione in esame che il legislatore intende attribuire il potere di autentica delle firme agli avvocati ovvero se la disposizione intenda semplicemente anticipare una futura regolamentazione in tal senso e dunque sia oggi priva di reale efficacia applicativa.

 

Rimane possibile la riassunzione della divisione in capo al giudice se risulta mancante la sottoscrizione del ricorso congiunto anche di una sola delle parti; l’ inammissibilità del ricorso è dichiarata con decreto del giudice, reclamabile davanti alla corte d’appello.

In camera di consiglio, il giudice nomina, quindi, con decreto un notaio o un avvocato e, su richiesta del professionista nominato, un perito estimatore per la valutazione dei beni della comunione.

Nel termine indicato nel decreto di nomina, il professionista deve predisporre il progetto di divisione, sentendo le parti, gli eventuali creditori e aventi causa, oppure disporre la vendita dei beni non comodamente divisibili, avvisando in entrambi i casi tutti questi ultimi. Alla vendita dei beni si applicano le disposizioni sull’espropriazione immobiliare. Sul progetto di divisione, come sulla eventuale vendita di beni, è possibile un ricorso entro 30 gg. (termine perentorio) sia delle parti dei terzi interessati, deciso dal giudice secondo la disciplina del procedimento sommario di cognizione. All’accoglimento dell’opposizione il giudice dà le necessarie disposizioni per la prosecuzione della divisione e rimette gli atti al professionista.

Se non vi è opposizione al progetto la procedura termina con il decreto del giudice che rende esecutivo il progetto depositato in cancelleria e rimette le parti innanzi al professionista per il compimento del vero e proprio atto di divisione e dei relativi adempimenti.


 

Articolo 77
(Conciliazione giudiziale)

 

L’articolo 77, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sul codice di procedura civile per introdurvi l’obbligo per il giudice, in presenza di alcuni presupposti, di formulare alle parti nel corso del processo civile una proposta di transazione o conciliazione.

 

Si ricorda che attualmente il codice di procedura civile prevede che il giudice possa (facoltà) tentare la conciliazione delle parti. In base all’art. 185 del codice di procedura civile, rubricato “tentativo di conciliazione”, dopo la prima udienza di trattazione (art. 183) il giudice istruttore può fissare, in caso di richiesta congiunta delle parti, una nuova udienza di comparizione delle parti, al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. La stessa disposizione aggiunge che «il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione». La rinnovazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, quando ritenga che il tentativo possa essere esperito con nuove probabilità di successo; ciò fino a quando la causa sia stata rimessa al collegio.

Superata la fase istruttoria in primo grado, peraltro, il tentativo di conciliazione potrà essere esperito anche in fase d’appello: l’art. 350, terzo comma, c.p.c. prevede infatti espressamente, per la fase di appello, che nella prima udienza di trattazione il collegio proceda al tentativo di conciliazione. Al contrario, il giudizio di Cassazione esclude per la sua essenza, la possibilità di un componimento giudiziale: l'eventuale transazione raggiunta autonomamente dalle parti, durante il processo, determina la cessazione della materia del contendere.

 

Il testo del decreto-legge stabilisce per il giudice l’obbligo di formulare alle parti la proposta transattiva, potendo valutare ai fini del giudizio l’eventuale rifiuto che gli venga opposto (il decreto-legge estende così al rito ordinario una disposizione introdotta nel rito del lavoro nel 2010[145]). Questo aspetto dell’intervento è stato modificato dalle Commissioni riunite, che hanno emendato l’art. 77:

§      prevedendo per il giudice il dovere di formulare la proposta in presenza di alcuni presupposti che egli dovrà valutare (e dunque sostanzialmente la facoltà di formulare la proposta);

§      eliminando la valutabilità del rifiuto ai fini del giudizio;

§      specificando che la formulazione della proposta non costituisce motivo di ricusazione del giudice che l’ha formulata.

 

Analiticamente, il testo all’esame dell’Assemblea opera due interventi sul codice di procedura civile:

§      la lettera a) del comma 1 introduce, dopo l’articolo 185 c.p.c., l’articolo 185-bis, in base al quale il giudice formula una propria proposta transattiva o conciliativa se «avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia ed alla esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto» ciò gli appaia possibile. La proposta deve provenire dal giudice istruttore e dunque prima della rimessione della causa al collegio. L’ultimo periodo dell’art. 185-bis specifica che la formulazione della proposta di conciliazione da parte del giudice non può costituire nel proseguo del giudizio motivo di ricusazione od astensione del giudice stesso;

§      la lettera b) novella l’art. 420 c.p.c. inserendovi la possibilità del giudice del lavoro di formulare alle parti, nel tentativo di conciliazione, una proposta conciliativa (oltre che, come attualmente già previsto, transattiva). Il legislatore introduce pertanto in entrambe le disposizioni, e dunque tanto per il rito ordinario quanto per il rito del lavoro, sia la proposta di transazione che la proposta di conciliazione[146].


 

Articolo 78
(Misure per la tutela del credito)

 

L’articolo 78, non modificato dalle Commissioni in sede referente, interviene sulla procedura di opposizione al decreto ingiuntivo per:

§      accelerare la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti;

§      prevedere che già nel corso di tale udienza il giudice possa concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.

Gli interventi, finalizzati a consentire al creditore di avere più celermente soddisfazione della propria pretesa, si applicano ai procedimenti instaurati successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge.

 

L’art. 645 c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore del decreto-legge, disponeva che l’opposizione al decreto ingiuntivo si propone davanti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, con atto di citazione notificato al ricorrente (primo comma). In seguito all'opposizione, il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito (secondo comma)[147] e dunque i termini di comparizione, e conseguentemente quelli di costituzione, sono ordinari.

In merito, si ricorda che nel procedimento ordinario l’art. 163-bis c.p.c. definisce i termini di comparizione prevedendo che:

§       tra il giorno della notificazione della citazione al convenuto e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni (se il luogo della notificazione si trova in Italia, altrimenti di 150 giorni ) (primo comma);

§       nelle cause che richiedono pronta spedizione il presidente può, su istanza dell'attore e con decreto motivato in calce dell'atto originale e delle copie della citazione, abbreviare fino alla metà i termini indicati dal primo comma (secondo comma);

§       se il termine assegnato dall'attore (in questo caso il debitore che ha fatto opposizione al decreto ingiuntivo) ecceda il minimo indicato dal primo comma, il convenuto (in questo caso il creditore che ha chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo), costituendosi prima della scadenza del termine minimo, può chiedere al presidente del tribunale che, sempre osservata la misura di quest'ultimo termine, l'udienza per la comparizione delle parti sia fissata con congruo anticipo su quella indicata dall'attore. Il presidente provvede con decreto, che deve essere comunicato dal cancelliere all'attore, almeno 5 giorni liberi prima dell'udienza fissata dal presidente (terzo comma).

 

Su questo quadro normativo è intervenuto il decreto-legge, che ha inserito un ultimo periodo nel secondo comma dell’art. 645 (comma 1, lettera a), dell’art. 78). La disposizione specifica che l’anticipazione dell’udienza di comparizione delle parti, rispetto alla data fissata dall’attore (ovvero dal debitore ingiunto), deve essere disposta stabilendo l’udienza non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine minimo a comparire. Essendo il termine minimo a comparire di 90 giorni, se ne ricava che tra la notificazione dell’opposizione al decreto ingiuntivo e l’udienza di comparizione non devono intercorrere più di 120 giorni.

 

Il secondo intervento del decreto-legge riguarda l’art. 648 del codice di rito, che consente al giudice istruttore, se l’opposizione «non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione», di concedere con ordinanza non impugnabile l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo. L’art. 78, comma 1, lett. b), specifica che tale ordinanza deve intervenire già in prima udienza.

 

Infine, il comma 2 dell’art. 78 chiarisce che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore del decreto-legge ovverosia, in base al richiamo all’art. 643, ultimo comma, c.p.c., solo ai procedimenti nei quali la notifica del decreto ingiuntivo è successiva all’entrata in vigore della riforma.


 

Articolo 79
(Semplificazione della motivazione della sentenza civile)

 

L’articolo 79, modificato nel corso dell’esame in sede referente, novella l’art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile al fine di semplificare ulteriormente il contenuto della motivazione della sentenza civile; quest’ultimo intervento, infatti, segue l’ancora recente novella operata dalla legge n. 69 del 2009[148]. Attraverso la progressiva semplificazione della motivazione il legislatore intende evidentemente abbreviare l’attività dei giudici per le singole sentenze, aumentando l’efficienza del sistema.

 

Il decreto-legge n. 69/2013, con una riforma che è attualmente in vigore (in mancanza di una disciplina transitoria), sostituisce il primo e il secondo comma dell’art. 118 con un comma unico, prevedendo che la motivazione della sentenza «consiste nella concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa». Rispetto alla formulazione in vigore prima del decreto-legge, nello scrivere la motivazione il giudice, in abse all’art. 79:

§      non deve più esporre concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio, né indicare le norme di legge;

§      nella parte “in fatto”, può esporre in modo conciso i fatti decisivi (in precedenza l’esposizione doveva essere succinta e riguardare i fatti rilevanti);

§      nella parte “in diritto”, può fare «esclusivo riferimento» ai precedenti conformi che possono dunque, da soli, sostenere la decisione del giudice, ovvero può rinviare anche a «contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa». Le Commissioni riunite hanno emendato questo aspetto della disposizione, eliminando la possibilità per il giudice di fare riferimento ai precedenti conformi. I precedenti, dunque, non sono più espressamente richiamati dall’art. 118 delle disposizioni di attuazione, né a sostegno di una decisione fondata anche su altri elementi (come previsto dalla riforma del 2009), né a esclusivo fondamento della decisione (come previsto dal decreto-legge).


 

Articolo 80
(Foro delle società con sede all’estero (Soppresso))

 

Nel corso dell’esame in sede referente, le Commissioni riunite hanno soppresso l’articolo 80 del decreto-legge, che delinea una nuova competenza inderogabile per territorio, prevedendo che le cause che hanno come parte (attrice, convenuta o chiamata in garanzia) una società con sede all’estero, priva di rappresentanza stabile in Italia, devono essere radicate a Milano, Roma e Napoli.

 

L’articolo 80 del decreto-legge, del quale le Commissioni propongono la soppressione, non è attualmente in vigore in quanto in base al comma 5, la riforma avrebbe dovuto applicarsi alle controversie instaurate a partire dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

Di seguito si dà conto del contenuto dell’articolo 80.

 

Analiticamente, in base al comma 1:

§         la norma sulla competenza territoriale si applica a tutti i giudizi civili (con le eccezioni previste dai successivi commi 3 e 4). Diversamente da quanto fatto di recente con il c.d. tribunale delle imprese, in questo caso il decreto-legge non distingue in base al tipo di controversia, ma opera lo spostamento di competenza esclusivamente in ragione della natura (di società estera) di una qualsiasi delle parti.

§         sul piano soggettivo, la competenza inderogabile scatta in presenza di «una società con sede all’estero e priva nel territorio dello Stato di sedi secondarie con rappresentanza stabile». L’ambito applicativo della norma si ricava, a contrario, dalla lettura dell’art. 2508 del codice civile, che definisce le società estere con sedi secondarie in Italia.

 

La competenza per territorio delineata dal comma 1 è inderogabile. Ciò comporta che l’incompetenza del giudice adito è rilevabile d’ufficio.

Il comma 2 precisa che lo spostamento di competenza opera anche quando la società estera è chiamata in garanzia. E’ la stessa società a poter chiedere al giudice lo spostamento delle cause (tanto della causa principale quanto dell’azione di garanzia) verso gli uffici di Milano, Roma o Napoli. Il giudice dovrà disporre con ordinanza.

I commi 3 e 4 elencano una serie di controversie per le quali non opera lo spostamento di competenza. Si tratta delle seguenti cause:

§       giudizi relativi a procedimenti esecutivi e fallimentari;

§       giudizi nei quali l’intervento della società estera sia volontario;

§       giudizi di opposizione di terzo;

§       cause nelle quali è parte un’amministrazione dello Stato (ex art. 25 c.p.c.);

§       controversie individuali di lavoro;

§       controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie;

§       controversie previste dal c.d. Codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005).


 

Articolo 81
(Pubblico ministero presso la Cassazione)

 

L’articolo 81 del decreto-legge, non modificato nel corso dell’esame in sede referente, sostituisce l’art. 76 dell’Ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), in tema di attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di Cassazione, per escludere l’obbligo di intervento del PM in relazione ad alcune udienze civili. Questo intervento va letto insieme alle le novelle apportate alla competenza del PM dall’art. 75 del decreto-legge (v. sopra).

 

La precedente formulazione dell’art. 76 stabiliva che il PM dovesse intervenire e concludere in tutte le udienze civili e penali in Cassazione, potendo redigere requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge.

La novella, mantenendo ferma la possibilità delle requisitorie scritte, conferma che il PM deve intervenire e concludere in tutte le udienze penali. Quanto alle udienze civili, il PM deve tuttora intervenire e concludere:

§         in tutte le udienze delle Sezioni unite;

§         nelle pubbliche udienze delle sezioni semplici, diverse dalla c.d. sezione filtro.

In particolare, dunque, il richiamo alle “pubbliche udienze” implica l’esclusione dell’intervento del PM dai procedimenti in camera di consiglio presso le sezioni semplici[149].

Il decreto-legge esclude inoltre che il PM debba intervenire alle udienze della c.d. sezione filtro, ovvero della sezione prevista dal primo comma dell’art. 376 c.p.c. per verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio[150].


 

Articolo 82
(Concordato preventivo)

 

L’articolo 82 è volto ad offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale nel concordato preventivo “in bianco” (o “con riserva”). Con tale forma di concordato preventivo sono anticipati gli effetti protettivi del patrimonio dell'impresa in crisi, indipendentemente dalla elaborazione della proposta e del piano di concordato.

La disposizione è stata emendata dalle Commissioni riunite in sede referente, che hanno in particolare aggiunto un ulteriore comma (3-bis).

 

Più in dettaglio, il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, previsto dalla legge fallimentare (LF), alternativo al fallimento, di cui impedisce la dichiarazione e le conseguenze personali patrimoniali. Il concordato preventivo si sostanzia in un accordo tra l’imprenditore e la maggioranza dei creditori, finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione – anche parziale – dei creditori.

 

L'imprenditore che si trova in stato di crisi può quindi proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma;

b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore;

c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione. Per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza (art. 160 LF).

 

La domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria sede principale.

Il piano e la documentazione devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano (art. 161 LF).

 

Con l’art. 33 del decreto-legge 83/2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) è stata modificata la legge fallimentare con l’obiettivo di migliorare l'efficienza dei procedimenti di composizione delle crisi d'impresa, in modo da incentivare l'impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi.

In particolare, per quanto qui rileva, è stata rivista la disciplina del concordato preventivo.

A tal fine è stato previsto che per l’ammissione al concordato preventivo il debitore possa presentare il piano anche successivamente alla presentazione della domanda, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta). Fino al decreto di apertura del concordato preventivo il debitore, previa autorizzazione del tribunale, può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili dall’attivo.

Si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell'attività produttiva dell’imprenditore in concordato.

A seguito dell’art. 33 del D.L. 83/2012, il nuovo sesto comma dell’art. 161 della LF ha infatti previsto che l'imprenditore possa depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni.

 

In questo contesto normativo si inserisce l’art. 82 del D.L. 69/2013.

L’obiettivo delle disposizioni è indicato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione.

 

“Le prime evidenze empiriche emerse nel corso di rilevazioni statistiche condotte dalla Direzione generale di statistica del Ministero della giustizia hanno consentito di rilevare un non trascurabile ricorso all'istituto del cosiddetto «concordato in bianco» non del tutto corrispondente alle finalità che ne hanno ispirato l'introduzione”.

 

L’art. 82, comma 1, lett. a), del D.L. 69/2013 modifica l’art. 161, sesto comma, LF prevedendo che l’imprenditore che presenti la domanda per il concordato “in bianco” debba presentare insieme non solo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ma anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.

 

L’art. 82, comma 1, lett. b), del D.L. 69/2913, aggiunge due periodi all’art. 161, sesto comma, LF, in base a cui:

§      il tribunale, nel fissare un termine per la presentazione del piano, può nominare il commissario giudiziale (in precedenza invece la nomina del commissario da parte del tribunale poteva avere luogo solamente con il decreto con cui è dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo, successivamente alla presentazione del piano); si applica l’art. 170, secondo comma, LF, in base a cui i libri su cui è stato annotato il decreto di ammissione al concordato sono restituiti al debitore, che deve tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale;

§      il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale – nelle forme seguite per la dichiarazione di fallimento e verificata la sussistenza delle condotte stesse – può con decreto dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o del p.m., accertati i presupposti per la dichiarazione di fallimento, lo dichiara con sentenza reclamabile ai sensi dell’art. 18 LF (reclamo del debitore e di qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni).

 

L’art. 82, comma 2, del D.L. 69/2013 integra l’art. 161, settimo comma, LF, concernente gli atti urgenti di straordinaria amministrazione che il debitore può compiere fino al decreto di apertura del concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. In base alla modifica introdotta il tribunale ha obbligo di acquisire il parere del commissario giudiziale.

 

In fine, il comma 3 dell’art. 82 sostituisce l’art. 161, ottavo comma, della LF, specificando ulteriormente gli obblighi informativi periodici disposti dal tribunale, che il debitore deve assolvere.

In base alle modifiche introdotte:

§         il decreto del tribunale “deve disporre” gli obblighi informativi periodici (la disposizione previgente utilizza il termine “dispone”);

§         è precisato che gli obblighi informativi sono relativi anche all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano;

§         è stabilito che tali obblighi debbono essere assolti con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, se nominato;

§         il debitore, con periodicità mensile, deve depositare “una” situazione finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere;

§         quando risulta che l'attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il tribunale, anche d'ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale, se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo (sarebbe il termine per la presentazione del piano e della documentazione). Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori.

 

Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame presso le Commissioni riunite I e V, riconosce, al fine di garantire i crediti spettanti alle cooperative di lavoro, il privilegio generale sui mobili di cui all’articolo 2751-bis, comma 1, numero 5), c.c., spettante per corrispettivi dei servizi prestati e dei manufatti prodotti, a condizione che le medesime cooperative abbiano superato positivamente o abbiano comunque richiesto la revisione cooperativa di cui agli articoli 2-7 del D.Lgs. 220/2002, recante norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi.

 

L’articolo 2751-bis c.c., concernente i crediti per retribuzioni e provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società od enti cooperativi e delle imprese artigiane, stabilisce al primo comma, numero 5), che hanno privilegio generale sui mobili i crediti dell'impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonché delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti.

 

Gli articoli da 2 a 7 del D.Lgs. 220/2002 disciplinano la revisione cooperativa, che è uno degli strumenti attraverso i quali viene effettuata la vigilanza sugli enti cooperativi.

Gli enti cooperativi, ai sensi dell’articolo 2, sono sottoposti a revisione (effettuata dal Ministero vigilante a mezzo di revisori da esso incaricati) secondo cadenze e modalità stabilite con specifico decreto del Ministro delle attività produttive (attualmente Ministro dello sviluppo economico). La revisione deve essere effettuata almeno una volta ogni due anni, tranne che per le cooperative sociali di cui alla L. 381/1991 e quelle edilizie di cui alla L. 59/1992, per le quali è prevista una revisione annuale.

La revisione cooperativa ha lo scopo fondamentale (articolo 4) di fornire agli organi di direzione e di amministrazione delle cooperative enti suggerimenti e consigli per migliorare la gestione ed il livello di democrazia interna e di accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo-contabile, la natura mutualistica dell'ente nonché la legittimazione dell'a cooperativa a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura.

In particolare, la verifica della natura mutualistica viene accertata, anche attraverso controlli della gestione amministrativo-contabile, attraverso la verifica:

§       dell’effettività della base sociale,

§       della partecipazione dei soci alla vita sociale e allo scambio mutualistico con l’ente,

§       della qualità della partecipazione dei soci,

§       dell’assenza di scopi di lucro dell’ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente.

Il revisore deve anche accertare la consistenza dello stato patrimoniale mediante l’acquisizione del bilancio di esercizio, delle relazioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale e della certificazione di bilancio, ove prevista.

Al termine della revisione cooperativa, qualora non siano state rilevate irregolarità, vengono rilasciati (articolo 5) un certificato di revisione, per le verifiche effettuate dagli uffici competenti per territorio nei confronti di enti cooperativi non aderenti alle Associazioni nazionali; oppure una attestazione di revisione, per le verifiche effettuate dalle Associazioni nazionali nei confronti degli enti cooperativi ad esse aderenti.

In caso di irregolarità sanabili, il revisore ha la facoltà di diffidare gli enti cooperativi ad eliminare tali irregolarità entro un termine indicato. Alla scadenza del termine, il revisore verifica l’avvenuta regolarizzazione, mediante un apposito accertamento. Qualora l’accertamento dia esito negativo, il revisore trasmette il verbale di revisione, con la proposta di provvedimento, agli uffici competenti per territorio.

Si ricorda ad ogni modo che l’articolo 6 ha previsto, in determinate situazioni, la possibilità, per gli enti cooperativi, di autocertificare, mediante una dichiarazione sostitutiva, il possesso dei requisiti mutualistici necessari per il godimento delle agevolazioni.

Con il D.M. 6 dicembre 2004 sono stati previsti specifici modelli da utilizzare per la redazione del verbale di revisione alle società cooperative, per la relazione di mancata revisione nonché per le certificazioni ed attestazioni di revisione da rilasciare al legale rappresentante dell'Ente cooperativo, il successivo D.M. 23 giugno 2010 è stato recato l’aggiornamento e l’integrazione della modulistica relativa ai verbali di revisione, di ispezione straordinaria e di vigilanza sulle Banche di credito cooperativo.


 

Articolo 83
(Abilitazione all’esercizio della professione di avvocato: commissari d’esame)

 

L’articolo 83, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla recente riforma della professione forense per modificarne l’art. 47, relativo alla composizione della commissione d’esame per l’abilitazione professionale.

 

Si ricorda che l’articolo 47 disciplina la commissione d'esame prevedendo una commissione centrale, nominata, con decreto dal ministro della giustizia, composta da 5 membri effettivi e 5 supplenti, dei quali un membro effettivo e un supplente sono magistrati in pensione. Lo stesso DM nomina una sottocommissione, in identica composizione, per ogni distretto di corte d'appello.

 

Il decreto-legge interviene sulla disposizione che prevede la presenza in commissione di “magistrati in pensione”, stabilendo che i membri della commissione devono essere «di regola» magistrati in pensione, aprendo però anche alla possibilità che si tratti di magistrati in servizio[151].

Le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento con il quale si stabilisce che a far parte delle commissioni (centrale e distrettuali) dovranno essere chiamati prioritariamente magistrati in pensione e, «solo in seconda istanza», ovvero se non accetta l’incarico nessun magistrato a riposo, magistrati in servizio.


 

Articolo 84
(Misure in materia di mediazione civile e commerciale)

 

L’articolo 84, modificato nel corso dell’esame in sede referente, novella il decreto legislativo n. 28 del 2010, reintroducendo le disposizioni sul carattere obbligatorio della mediazione dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale, per eccesso di delega (sentenza n. 272 del 2012).

La disposizione, inoltre:

§      assegna all’istituto della mediazione obbligatoria un carattere transitorio (durata 4 anni) e sperimentale (monitoraggio degli effetti dell’istituto a partire dal secondo anno di sperimentazione);

§      esclude dalla mediazione obbligatoria le controversie in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti nonché le controversie rispetto alle quali si sia già attivata la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ai sensi dell’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

§      prevede la mediazione obbligatoria anche per giudizi già instaurati in primo grado o addirittura in sede d’appello, rimettendo al giudice la valutazione sull’esigenza di procedervi;

§      rende obbligatoria l’assistenza dell’avvocato di tutte le parti al procedimento di mediazione;

§      interviene sul procedimento di mediazione, prevedendo che:

-       il procedimento non possa durare più di tre mesi (attualmente sono quattro);

-       si debba tenere un primo incontro, in cui il mediatore verifica con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione; se l’incontro non ha esito positivo e il procedimento si chiude subito, niente è dovuto al mediatore;

§         gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori, pur dovendo garantire una specifica formazione.

La sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2010

Si ricorda che, dando attuazione alla delega in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nell’art. 60 della legge 69/2009, il Governo aveva previsto – nel silenzio delle disposizioni di delega e quale strumento deflattivo dell’ingente carico processuale civile – che il procedimento di mediazione stragiudiziale, finalizzato al raggiungimento della conciliazione delle liti, rappresentasse una condizione di procedibilità dell’azione civile in relazione ad un cospicuo numero di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

La disposizione cardine era dunque l’articolo 5 del decreto legislativo, in base al quale «chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto (...). L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. (...)».

In relazione a questa disposizione, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 (ed in via consequenziale, ex art. 27 l. 87/53, di altre puntuali disposizioni contenute nel decreto) per eccesso di delega, dichiarando assorbiti gli altri profili avanzati dai rimettenti.

Il Governo ha inteso superare il vizio di illegittimità costituzionale riconosciuto dalla Corte, introducendo la mediazione obbligatoria con lo strumento del decreto-legge da sottoporre alla conversione parlamentare[152]. Il presupposto è dunque che la mediazione obbligatoria non presenti altri vizi di costituzionalità, ovvero non pregiudichi il diritto d’azione, né la ragionevole durata del processo, né il principio di uguaglianza; la convinzione è sostenuta dal fatto che la Corte ha accolto il primo profilo di censura – l’eccesso di delega – senza pronunciarsi sugli altri, dichiarati assorbiti[153].

Il contenuto del decreto-legge alla luce delle modifiche approvate in sede referente

Analiticamente, le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento che premette all’art. 84, comma 1, lettera a), la lettera 0a), con la quale è novellato l’articolo 1 del decreto legislativo per quanto riguarda la definizione di mediazione.

Se fino ad oggi la mediazione è stata definita come l’attività svolta da un terzo imparziale per assistere le parti sia nella ricerca di un accordo amichevole, sia nella formulazione di una proposta di risoluzione della controversia; con la novella all’esame della Assemblea, mediazione è sempre la ricerca di un accordo amichevole, che può da ultimo – ed eventualmente - approdare alla formulazione di una proposta di composizione della controversia[154].

Le Commissioni hanno anche premesso alla lettera a) la lettera 0b), che interviene sul comma 1 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 28/2010, per delineare la competenza territoriale per gli organismi di mediazione. In particolare, la disposizione prevede che la domanda di mediazione debba essere presentata ad un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia; in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolgerà presso l’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda (facendo riferimento alla data del deposito dell’istanza).

 

La lettera a) del comma 1 ripristina l’originario contenuto del decreto legislativo, intervenendo sull’articolo 4 (accesso alla mediazione), comma 3, per prevedere a carico dell’avvocato l’obbligo di informare il cliente, già all'atto del conferimento dell'incarico, della necessità di avvalersi del procedimento di mediazione a fronte di controversie per le quali la mediazione è obbligatoria.

 

Le lettere da a-bis) a e) novellano l’articolo 5 del decreto legislativo, in tema di condizione di procedibilità della mediazione e rapporti tra mediazione e processo.

In particolare, la lettera b) reinserisce la disposizione (ora comma 1-bis dell’art. 5) dichiarata incostituzionale dalla Corte, prevedendo la mediazione come condizione di procedibilità dell’azione in relazione ad una serie di controversie, tra le quali sono state espunte (rispetto al testo del 2010) le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti[155].

Le Commissioni riunite hanno inoltre emendato questa disposizione prevedendo:

§         che la mediazione obbligatoria già prevista per le controversie relative al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, è da intendersi estesa alle controversie in tema di responsabilità sanitaria, intesa come la responsabilità degli esercenti professioni sanitarie;

§      che nelle materie per le quali la mediazione è obbligatoria è altresì necessario procedervi con l’assistenza di un avvocato;

§      che la disposizione sul carattere obbligatorio della mediazione ha carattere sperimentale e durata limitata a 4 anni; dopo i primi due il Ministero della Giustizia dovrà attivare un monitoraggio sugli esiti dell’esperienza svolta.

 

La lettera c) interviene invece sul comma 2 dell’art. 5, relativo alla mediazione rispetto a controversie già instaurate o addirittura già in appello. La disposizione stabilisce che laddove il giudice ritenga, per la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, che sia esperibile una mediazione, potrà disporre che le parti vi procedano; in tal caso, il tentativo di mediazione diviene condizione di procedibilità dell’azione (tanto in primo grado quanto in appello). Attualmente il decreto legislativo dispone che il giudice possa sempre invitare le parti alla mediazione, senza però che la mancata adesione all’invito abbia ripercussioni sulla procedibilità dell’azione.

Con l’approvazione di un emendamento da parte delle Commissioni riunite, è stato soppresso l’obbligo per il giudice che prescrive la mediazione di indicare l’organismo al quale rivolgersi.

 

La lettera c-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, introduce nell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 il comma 2-bis, al fine di chiarire che quando la mediazione è condizione di procedibilità dell’azione (in quanto prevista come obbligatoria dal decreto, ovvero prescritta dal giudice) «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo».

 

La lettera d) interviene sul comma 4 dell’art. 5, per aggiungere alle attuali ipotesi nelle quali la disciplina della mediazione non si applica, le controversie per le quali sia stata attivata la «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», di cui all’art. 696-bis del codice di procedura civile[156]. L’intento del legislatore pare essere quello di non duplicare i tentativi di mediazione.

La lettera e) ripristina la formulazione del comma 5 anteriore alla sentenza della Corte costituzionale, reintroducendovi il richiamo alla mediazione obbligatoria.

 

Le lettere f) e f-bis) intervengono sull’articolo 6 del decreto legislativo, in tema di durata del procedimento di mediazione:

§         riducendo da 4 a 3 mesi la durata massima del procedimento;

§         ripristinando la formulazione originaria, che tiene conto delle ipotesi di mediazione obbligatoria introdotte dall’articolo 5.

 

La lettera g) interviene sull’articolo 7 del decreto legislativo n. 28/2010, ripristinando la formulazione originaria in base alla quale il tempo dedicato alla mediazione (art. 6), nonché il periodo di rinvio del giudizio imposto dal giudice nei casi di mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1 e, a seguito delle novelle apportate dal decreto-legge), non si computano ai fini del rispetto del termine di ragionevole durata del processo previsto dalla legge Pinto (legge n. 89 del 2001).

 

Le lettere h) ed i) novellano l’articolo 8, in tema di procedimento di mediazione. In particolare, la lettera h), come modificata nel corso dell’esame in sede referente, prevede:

§      che, ricevuta la domanda di mediazione, il mediatore debba, entro 30 giorni, fissare un primo incontro tra le parti;

§      che, tanto al primo incontro quanto ai successivi, le parti debbano partecipare alla mediazione con l’assistenza di un avvocato;

§      che in sede di primo incontro il mediatore debba invitare le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione. In caso negativo la mediazione si conclude subito e all’organismo di mediazione non è dovuto alcun compenso (v. infra, art. 17, comma 5-bis).

La lettera i) ripristina l’originaria formulazione della disposizione (ora comma 4-bis) dichiarata incostituzionale della Corte, in base alla quale dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio.

 

La lettera l) ripristina la formulazione precedente all’intervento della Corte costituzionale dell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo, che impone al mediatore – prima di formulare la proposta di mediazione – di informare le parti delle possibili conseguenze sulle spese processuali del mancato accordo.

 

La lettera m) novella l’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 28/2010, relativo all’omologazione del verbale di accordo[157].

Il testo del decreto-legge precisa che il verbale deve essere «sottoscritto dagli avvocati che assistono tutte le parti», così negando al verbale la possibilità di essere omologato se alla mediazione le parti non si sono fatte assistere da un avvocato e affermando – in maniera indiretta – l’obbligo di assistenza dell’avvocato. In merito, nel corso dell’esame in sede referente, le Commissioni riunite hanno esplicitato in più disposizioni del decreto legislativo come il procedimento di mediazione richieda la partecipazione degli avvocati; conseguentemente, anche il contenuto della disposizione sull’omologazione del verbale è stata modificata. La lettera m) nel testo all’esame della Assemblea, prevede dunque che «ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato», l’accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. In questo caso dunque non sarà necessario procedere con l’omologazione da parte del tribunale in quanto spetterà agli avvocati certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

La disposizione precisa che «in tutti gli altri casi» l’accordo allegato al verbale potrà essere omologato dal presidente del tribunale.

Si osserva che le novelle al testo del decreto-legge approvate dalle Commissioni riunite già esplicitano in più punti l’obbligatoria partecipazione degli avvocati di tutte le parti al procedimento di mediazione, dal primo incontro e per tutti gli incontri successivi. Conseguentemente dovrebbe essere precisato quali possano essere «tutti gli altri casi», nei quali l’accordo non è sottoscritto dall’avvocato ovvero se si intenda così regolamentare la possibilità che – pur assistita da un avvocato – la parte sottoscriva l’accordo contro il parere del professionista che dunque a sua volta non sottoscriva.

 

La lettera n) reintroduce l’articolo 13 del decreto legislativo, in tema di spese processuali, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 272 del 2012.

La disposizione prevede, nel caso di fallimento della mediazione per mancata accettazione della proposta, una speciale ripartizione delle spese nel successivo giudizio civile: in particolare, a carico della parte vincitrice che non abbia accettato una proposta di mediazione integralmente corrispondente al successivo provvedimento giudiziario, sono previste l’imputazione delle spese processuali e la condanna a versare allo Stato, a titolo di sanzione processuale, una somma parametrata sul contributo unificato.

 

La lettera o) interviene sull’art. 16 del decreto legislativo stabilendo che gli avvocati sono di diritto mediatori. Rispetto al decreto-legge, che si limita a questa affermazione, le Commissioni riunite hanno specificato che «gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò focalizzati» e questo nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico.

 

Si ricorda che gli organismi di mediazione sono enti pubblici o privati presso i quali può svolgersi il procedimento di mediazione. Il decreto legislativo prevede l’istituzione di un Registro degli organismi di mediazione, tenuto e vigilato dal Ministero della giustizia.

Con la domanda di iscrizione al registro, gli organismi debbono in particolare depositare il regolamento di procedura ed il codice etico. Al regolamento dovranno allegarsi le tabelle delle indennità degli enti privati, mentre quelle degli enti pubblici sono stabilite con decreto. Nei casi di parti cui spetta, nel processo, il gratuito patrocinio, l’organismo fornirà la prestazione gratuitamente.

La disciplina della formazione del registro, delle modalità di iscrizione, della sua articolazione in sezioni, dei requisiti di professionalità ed efficienza degli enti di mediazione come dei mediatori-persone fisiche, è ora contenuta nel D.M. n. 180 del 2010 (poi novellato dal D.M. 145/2011), che ha determinato anche l’ammontare minimo e massimo delle indennità in favore degli organismi di mediazione pubblici, nonché i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi di mediazione privati.

In base all’art. 18 del decreto legislativo, i consigli degli ordini forensi possono costituire organismi, da iscrivere a semplice domanda, che facciano uso del proprio personale e dei locali messi a disposizione dal presidente del tribunale.

Nel Registro possono essere iscritti anche gli organismi di mediazione istituiti, per materie di loro competenza, presso i consigli degli ordini professionali e presso le Camere di commercio; l’iscrizione avviene a semplice domanda, ma previa autorizzazione del Ministero della giustizia, subordinata alla verifica di alcuni requisiti minimi, che consentono all’organismo il materiale svolgimento dell’attività. La facoltà di istituire organismi di mediazione anche presso i consigli di ordini professionali diversi da quelli forensi risponde essenzialmente all’esigenza di sviluppare organismi in grado di dare rapida soluzione alle controversie in determinate materie tecniche (ad es. in materia ingegneristica, informatica, contabile o simili).

 

Anche alla luce dell’emendamento approvato in sede referente, appare opportuno chiarire se l’avvocato possa svolgere la funzione di mediatore esclusivamente attraverso «l’iscrizione ad organismi di mediazione» ovvero anche autonomamente. In ordine alla formulazione del testo si segnala peraltro che l’iscrizione è l’atto che deve compiere l’organismo di mediazione per essere inserito nell’apposito registro tenuto dal Ministero, che abilita alla mediazione. Nel caso di specie, invece, il termine pare essere usato per indicare un professionista che chiede di poter svolgere la funzione di mediatore all’interno di un organismo già costituito.

La lettera p), modificata nel corso dell’esame in sede referente, novella l’articolo 17 del decreto legislativo in tema di risorse, regime tributario e indennità, ripristinando la formulazione anteriore alla sentenza della Corte costituzionale. In particolare, è reintrodotta la disposizione che prevede che, quando è obbligatorio esperire la mediazione, la parte avente diritto all’ammissione al gratuito patrocinio (ovvero titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16) è esentata dal pagamento dell’indennità all’organismo di conciliazione: sarà a tal fine sufficiente il deposito presso quest’ultimo di una autocertificazione, fermo restando il diritto dell’ente a richiedere i documenti giustificativi.

Inoltre il testo del decreto-legge determina il compenso dovuto al mediatore per scaglioni, in base al valore della controversia, per l’ipotesi in cui già all’esito del primo incontro appaia chiaro che la mediazione non avrà successo.

In particolare, il decreto-legge prevede che in tal caso siano dovuti al mediatore al massimo:

§       60 euro, per liti di valore fino a 1.000 euro;

§       100 euro, per liti di valore fino a 10.000 euro;

§       180 euro, per liti di valore fino a 50.000 euro;

§       200 euro, per liti di valore superiore a 50.000 euro.

I valori indicati si applicano a ciascuna parte che partecipa alla mediazione e non indicano dunque quanto il mediatore riceverà in totale.

 

Le commissioni hanno invece affermato il diverso principio della gratuità della mediazione quando appaia chiaro, già in sede di primo incontro, che non sussistono i presupposti per procedere.

Si osserva che gli organismi di mediazione possono essere costituiti da privati e che dagli organismi di mediazione si pretendono giustamente alcuni standard di professionalità. Occorre valutare se il lavoro da questi svolto – seppur limitato all’organizzazione e alla partecipazione ad un solo primo incontro – possa non essere assolutamente retribuito.

In merito, si evidenzia che nel corso dell’esame in sede referente, il relatore On. Sisto ha precisato che «il termine compenso esclude la parte relativa al rimborso delle spese sostenute, riferendosi espressamente all’indennità di mediazione». Si ritiene comunque necessario, laddove si voglia prevedere almeno un rimborso delle spese istruttorie o puramente di segreteria (es. per la fissazione e la convocazione delle parti al primo incontro), integrare la disposizione.

 

Infine, il comma 2 dell’articolo 84 disciplina l’efficacia delle disposizioni sulla mediazione, posticipandola al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.


 

Articolo 84-bis
(Mediazione nelle controversie in tema di usucapione)

 

L’articolo 84-bis è stato introdotto nel decreto-legge dalle Commissioni riunite I e V, nel corso dell’esame in sede referente.

La disposizione, che novella l’art. 2643, primo comma, del codice civile, intende affrontare un problema applicativo della disciplina della mediazione sorto con riferimento alle controversie in materia di diritti reali, con particolare riferimento all’usucapione.

In particolare, è novellata la disposizione sugli atti soggetti a trascrizione: il relativo elenco è integrato con la previsione dell’accordo di mediazione che accerta l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

In tal modo l’accordo sarà opponibile ai terzi dalla data della trascrizione.


 

Articolo 85
(Copertura finanziaria)

 

L’articolo 85 provvede, al comma 1, in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni di cui ai Capi I (Giudici ausiliari) e II (tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari) del Titolo III del provvedimento, recante misure per l’efficienza della giustizia, valutati complessivamente in 4,850 milioni di euro per l’anno 2013 e a 8 milioni di euro annui nel periodo 2014 - 2024.

 

Si segnala che il comma 1, nel fare riferimento alle disposizioni onerose, si riferisce soltanto ai Capi I e II del titolo III senza menzionare il Capo III, i cui oneri sono tuttavia computati nell’importo complessivo quantificato dal comma medesimo.

Sarebbe pertanto opportuna una riformulazione della norma, che rechi l’individuazione specifica delle singole disposizioni onerose, di cui agli articoli 63, comma 1, 73 comma 4, e 74, come indicati sia nella relazione tecnica che nel prospetto riepilogativo degli effetti finanziari allegato dalla stessa.

 

Il comma 1 prevede che a tali oneri si provveda mediante l’utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche alla disciplina del contributo unificato introdotte con l’articolo 28 della legge 12 novembre 2011, n. 183, che vengono a tal fine versate allo stato di previsione dell’entrata del bilancio per essere riassegnate allo stato di previsione del Ministero della giustizia.

 

Si ricorda che l’articolo 28, comma 2, della legge n. 183/2011 prevede che il maggior gettito derivante dalla nuova disciplina del contributo unificato sia versato allo stato di previsione dell’entrata del bilancio, con separata contabilizzazione per essere riassegnato, con decreto del Ministro dell'economia e finanze, allo stato di previsione del Ministero della giustizia al fine di assicurare il funzionamento degli uffici giudiziari, con particolare riferimento ai servizi informatici e con esclusione delle spese di personale.

Quota parte di tale maggiore gettito, nella misura di 4,85 milioni di euro per l’anno 2013 e di 8 milioni di euro per ciascun degli anni dal 2014 al 2024, viene pertanto distolta da tale finalità per essere destinata alla copertura finanziaria di cui all’articolo 85 in esame.

 

In merito alle risorse disponibili derivanti dal maggior gettito del contributo unificato, di cui all’articolo 28, comma 2, della legge n. 183/2011, la Relazione tecnica riporta che esse ammontano complessivamente a circa 17,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012. Di queste, tuttavia, una quota pari a 5 milioni per l’anno 2012 e a 3,6 milioni a decorrere dall’anno 2014, risulta già utilizzata per la copertura finanziaria degli oneri connessi all'adeguamento dei sistemi informativi hardware e software presso gli uffici giudiziari, per il potenziamento delle reti di trasmissione dati, nonché per la manutenzione dei relativi servizi e per gli oneri connessi alla formazione del personale di magistratura, amministrativo e tecnico, recati dall’articolo 16-quinquies del D.L. n. 179/2012.

Risulterebbero, dunque, disponibili per le finalità di copertura di cui all’articolo 85 in esame, circa 12,2 milioni di euro per l’anno 2013 e 13,6 milioni a decorrere dal 2014.

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 3 introduce una clausola di salvaguardia finanziaria demandando al Ministro della giustizia, con l’obbligo di riferire in merito al Ministro del’economia e delle finanze, il monitoraggio degli oneri considerati dall’articolo in esame.

La clausola prevede che nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui all’articolo in esame, il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia, provvede, con proprio decreto, alla riduzione degli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili di parte corrente del Ministero della giustizia, iscritte nell’ambito del Programma di spesa Giustizia civile e penale della Missione Giustizia, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall’attività di monitoraggio.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, della legge n. 196 del 2009, concernente il bilancio di previsione, le spese, nell'ambito di ciascun programma, si ripartiscono in: a) spese non rimodulabili; b) spese rimodulabili.

Le spese non rimodulabili sono quelle “per le quali l'amministrazione non ha la possibilità di esercitare un effettivo controllo, in via amministrativa, sulle variabili che concorrono alla loro formazione, allocazione e quantificazione”. Esse corrispondono alle spese definite come “oneri inderogabili”. Secondo la norma interpretativa dell’articolo 21, comma 6, secondo e terzo periodo, della legge di contabilità, introdotta dal D.L. n. 98/2011 (articolo 10, comma 15) nell’ambito degli oneri inderogabili rientrano esclusivamente le spese cosiddette obbligatorie.

Le spese rimodulabili, sulle quali si intendono apportare le riduzione indicate dal comma 3 in esame, consistono, secondo la legge di contabilità: 1) nelle spese derivanti da fattori legislativi, intendendo come tali quelle autorizzate da espressa disposizione legislativa che ne determina l'importo, considerato quale limite massimo di spesa, e il periodo di iscrizione in bilancio; 2) nelle spese di adeguamento al fabbisogno, ossia spese non predeterminate legislativamente ma quantificate tenendo conto delle esigenze delle amministrazioni.

 

Il Ministro dell’economia e delle finanze riferisce altresì, senza ritardo, alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all’adozione delle suddette misure.

Il comma 4 dispone, infine, che dalle disposizioni di cui ai Capi IV, V, VI, VII e VIII del presente provvedimento non debbono derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Si segnala che la norma dovrebbe intendersi riferita ai Capi del Titolo III del provvedimento.

 

 



[1]     Il D.M. (MiSE) del 6 luglio 2012 riguardante l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici definisce bioliquidi sostenibili i combustibili liquidi ottenuti dalla biomassa che rispettano i requisiti di sostenibilità di cui all’ articolo 38 del decreto legislativo n. 28 del 2011.

[2]     Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[3]     http://www.coesioneterritoriale.gov.it/monitoraggio-spesa-certificata-31-maggio-2013-italia-40/

[4]     Con questa riduzione, consentita da un livello medio di cofinanziamento nazionale in Italia assai superiore rispetto a quello fissato dai regolamenti comunitari, si è infatti, corrispondentemente, ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles, ferme restando le risorse comunitarie attribuite e quindi rimborsabili, riducendo così la pressione temporale sulla spesa (e i correlati rischi di disimpegno per i Programmi maggiormente in ritardo).

[5]     Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, recante le disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[6]     Bruxelles, 29.5.2013, COM(2013) 362 final.

[7]     Come ribadito dal Ministro Trigilia nel corso dell’audizione tenuta il 12 giugno scorso presso le Commissioni V e la XIV, tale convincimento è reso ancora più esplicito nella lettera che il Commissario europeo per la Politica Regionale, J. Hahn, ha inviato al Ministero per la coesione territoriale lo scorso 30 maggio, nella quale si fa riferimento alla necessità di rafforzare il ruolo nazionale e di accrescere la concentrazione delle risorse su pochi obiettivi ritenuti prioritari.

[8]     L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3., c.d. legge La Loggia.

[9]     L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa (ex Sviluppo Italia) S.p.A, è una società per azioni interamente posseduta dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Ad essa è attribuito il compito di svolgere funzioni di coordinamento, riordino, indirizzo e controllo delle attività di promozione dello sviluppo industriale e dell'occupazione nelle aree depresse del Paese, nonché di attrazione degli investimenti.

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006, articolo 1, commi 460-464), oltre a mutarne la denominazione, ha operato un riassetto complessivo della società, attribuendo al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri.

[10]    Convertito, con modificazioni, nella legge n. 134/2012.

[11]    Decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.

[12]    A seguito di quanto stabilito con la delibera CIPE n. 41 del 2012 - che ha precisato che ai fini dell’attuazione degli interventi infrastrutturali indicati in precedenti delibere, nelle ipotesi nelle quali i soggetti attuatori siano costituiti da concessionari di pubblici servizi di rilevanza nazionale, si procede attraverso lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo - sono stati sottoscritti i CIS relativi alla direttrice ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto e alla direttrice Salerno-Reggio Calabria, quello relativo alla ferrovia Palermo-Catania-Messina e quello relativo alla strada statale Sassari-Olbia.

[13]    Il contenuto minimo delle convenzioni è stato stabilito con delibera CIPE 6 agosto 1999, n. 145.

[14]    D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[15]    I commi 5-bis e 5-ter sono stati introdotti nell’articolo 23-bis del D.L. n. 201/2011 dall’articolo 2, commi 20-quater del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

[16]    L'articolo 2389, terzo comma cc.. prevede che la remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

[17]    Si tratta delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001, e dunque di tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie D.Lgs. n. 300/1999.

[18]    Si rileva, peraltro, che le società qui in esame, in quanto escluse dall’ambito di applicazione della spending review di cui all’articolo 4, comma 1 del D.L. n. 95/2012:

§       non appaiono soggette ai limiti numerici di composizione del consiglio di amministrazione sanciti dall’articolo 4, comma 4 del D.L. n. 95/2012 (non più di tre membri);

§       non appaiono assoggettate, relativamente alle retribuzioni, anche accessorie, dei loro dipendenti, al limite del trattamento economico conseguito nell’anno 2011 (art. 4, co. 10, D.L. n. 95/2012).

[19]    Decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

[20]    Il comma 10 in questione, al secondo periodo, articola il Fondo per il pagamento dei debiti in tre distinte sezioni, denominate rispettivamente:

§       "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali", con una dotazione di 1.800 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014;

§       “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari", con una dotazione di circa 2.528 milioni di euro per il 2013 e 3.728 milioni per il 2014;

§       “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale", con una dotazione di 5.000 milioni per l'anno 2013 e di 9.000 milioni per l'anno 2014”.

[21]    Information and Communication Technology

[22]    Si ricorda che nell’ambito degli appalti pubblici, disciplinati del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), si distinguono i contratti «sopra soglia» e «sotto soglia», a seconda che abbiano ad oggetto affidamenti, rispettivamente, di importo superiore, ovvero inferiore a determinati valori (cd. soglie comunitarie). Agli appalti «sopra soglia» si applicano le direttive comunitarie, in particolare, la direttiva 2004/18/CE e la direttiva 2004/17/CE, e la normativa nazionale di recepimento contenuta nel Codice dei contratti, mentre agli appalti «sotto soglia» si applicano, oltre alle disposizioni della parte I (principi e disposizioni comuni), della parte IV (contenzioso) e della parte V (disposizioni di coordinamento, finali e transitorie) del Codice dei contratti, anche le disposizioni della parte II relative ai contratti pubblici nei settori ordinari, in quanto non derogate dalle norme di cui agli articoli da 121 a 124 del Codice concernenti specificamente gli appalti sotto soglia.

[23]    La disciplina delle procedure telematiche di acquisto dei beni e servizi della pubblica amministrazione era inizialmente contenuta nell’art. 11 del D.P.R. 101/2002, successivamente abrogato dal D.P.R. 207/2010.

[24]    Ai fini dell’esplicitazione del concetto di “strumenti di acquisto” si ricorda che – secondo quanto riportato dalla medesima Consip S.p.a. - costituiscono strumenti di acquisto, oltre che le citate convenzioni quadro, anche il mercato elettronico della Pubblica Amministrazione, gli accordi Quadro, il sistema Dinamico di Acquisizione della Pubblica Amministrazione e qualsiasi altra modalità di approvvigionamento messi a disposizione dei Soggetti aggiudicatori attraverso il Sistema di e-Procurement dal MEF, tramite Consip, per l’acquisto di beni e servizi attraverso modalità, in tutto o in parte, informatiche, ai sensi degli artt. 77 - in particolare commi 5 e 6 - e 85 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

[25]    D.L. "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia", convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

[26]    D..L. 18 ottobre 2012 n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, conv. con modificazioni dalla L 17 dicembre 2012, n. 221

[27]    http://servizidemografici.interno.it/it/cie/elenco-comuni-sperimentatori

[28]    http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/Decreto-22-aprile-2008.pdf. Inoltre, il decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, dell'8 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - supplemento ordinario - n. 261 del 9 novembre 2007, recante «Regole tecniche della carta d'identità elettronica» aveva, tra l'altro, determinato le nuove regole tecniche e di sicurezza della carta d'identità elettronica in attuazione delle disposizioni contenute nell'art. 7-vicies ter della legge n. 43 del 2005.

[29]    D.l. 29 novembre 2008, n. 185, Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, conv. con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[30]    DPCM 6 maggio 2009.

[31]    Ai sensi del D.Lgs. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale che dedica il Capo VI allo sviluppo, acquisizione e riuso di sistemi informatici nelle pubbliche amministrazioni. In tal senso, le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni.

[32]    Legge 13 luglio 1966, n. 559, recate “Nuovo ordinamento dell'Istituto Poligrafico dello Stato”.

[33]    In particolare, l'Istituto provvede alla stampa ed alla gestione, anche telematica della Gazzetta Ufficiale e della Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana; cura la stampa di pubblicazioni di carattere legislativo, di raccolte e di estratti di leggi e atti ufficiali e può pubblicare e vendere opere aventi rilevante carattere artistico, letterario, scientifico, ferme restando in materia le attribuzioni del Ministero per i beni e le attività culturali.

[34]    Si veda la scheda n. 193 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che reca dati ed informazioni al 30 settembre 2012.

[35]    Si veda la scheda n. 12 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che reca dati ed informazioni al 30 settembre 2012.

[36]    Si veda la scheda n. 15 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che reca dati ed informazioni al 30 settembre 2012.

[37]    Risposta all’interrogazione n. 5/00336 di giovedì 13 giugno 2013 disponibile al link:

http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=2313&stile=8

[38]    Vedi la carta dei servizi di Strada dei Parchi S.p.A.

[39]    Per una descrizione delle principali caratteristiche dell’opera si rinvia alla scheda 105 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo”, predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati al 30 settembre 2012.

[40]    I 13 settori di intervento del Fondo sono sinteticamente i seguenti: Fondo per le politiche giovanili; Investimenti Gruppo Ferrovie; Contratto di programma con RFI; Professionalizzazione Forze armate; Partecipazione italiana a Banche e Fondi internazionali; Esigenze connesse alla celebrazione della ricorrenza del 4 novembre; Provvidenze alle vittime dell'uranio impoverito; Ulteriori esigenze dei Ministeri; Interventi per assicurare la gratuità parziale dei libri di testo scolastici; Unione italiana ciechi; Interventi di carattere sociale; Interventi di sostegno all’editoria e al pluralismo dell’informazione.

[41]    A tal fine, è stata autorizzata la spesa di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007.

[42]    Nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

[43]    Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[44]    Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[45]    Approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

[46]    In proposito, si veda la scheda 195 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo”, predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

[47]    Per quanto riguarda il progetto del Ponte sullo Stretto, si segnala che l’opera è compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all’art. 1, comma 1, della L. 443/2001 (“legge obiettivo”). Per una descrizione delle caratteristiche dell’opera e dello stato di attuazione al 30 settembre 2012 si rinvia alla scheda n. 65 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

[48]    Inoltre, il 31 gennaio 2013 è stato presentato, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Progetto definitivo della sezione trasnfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino – Lione.

[49]    La prima fase è stata individuata nella sezione transfrontaliera compresa tra Susa, in Italia, e Saint-Jean-de-Maurienne, in Francia. Per quanto riguarda la ripartizione dei costi della sezione transfrontaliera, valutata in circa 8,5 miliardi di euro, l'Italia e la Francia forniranno il 60% dei finanziamenti (suddividendoli tra loro nella misura rispettivamente del 57,9% e del 42,1%) e l'Unione Europea il restante 40%. Le successive fasi funzionali, che dovranno essere regolate con successivi accordi, consisteranno, per quanto riguardo l’Italia, nella realizzazione di un tunnel di circa 19 km tra Susa e Chiusa San Michele.

[50]    Per approfondimenti in merito al progetto di collegamento internazionale Torino - Lione si rinvia alla scheda dell’opera tratta dal 7° Rapporto sullo stato di attuazione della "legge obiettivo" del Servizio Studi della Camera, presentato alla VIII Commissione (Ambiente) in data 19 dicembre 2012, che reca dati e informazioni al 30 settembre 2012

[51]    Per approfondimenti si veda la scheda n. 39 tratta dal 7° Rapporto sullo stato di attuazione della "legge obiettivo" del Servizio Studi della Camera, presentato alla VIII Commissione (Ambiente) in data 19 dicembre 2012, che reca dati e informazioni al 30 settembre 2012.

[52]    Le concessioni di lavori pubblici rientrano, tra l’altro, tra i contratti di partenariato pubblico e privato come definiti dal Codice ai sensi del comma 15-ter dell’articolo 3.

[53]    Si veda, in proposito, quanto rilevato nel focus dedicato al PPP e alle opere strategiche (vol. n. 392, pagg. 51-ss) contenuto nel 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e presentato all’VIII Commissione ambiente il 19 dicembre 2012.

[54]    L’articolo 144, comma 1, del Codice prevede che le stazioni appaltanti affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

[55]    Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 2003, n. 15.

[56]    Gazzetta Ufficiale 21 gennaio 2004, n. 16.

[57]    Gazzetta Ufficiale. 23 giugno 2008, n. 145.

[58]    Gazzetta Ufficiale 28 marzo 2009, n. 73.

[59]    D.L. 6 giugno 2012, n. 73, Disposizioni urgenti in materia di qualificazione delle imprese e di garanzia globale di esecuzione, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2012, n. 119.

[60]    All’origine ovvero a seguito di trattamenti aventi esclusivamente lo scopo della rimozione degli inquinanti, ad esclusione dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi.

[61]    all'origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti, ad esclusione quindi dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi quali solidificazione e stabilizzazione.

[62]    Vale a dire che presentino che presentino un sistema di impermeabilizzazione naturale o artificiale o completato artificialmente al perimetro e sul fondo in grado di assicurare requisiti di permeabilità equivalenti a quelli di uno strato di materiale naturale dello spessore di 1 metro con K minore o uguale a 1,0 x 10 - 9 m/s.

[63]    Si ricorda che i proventi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente, nonché i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o quelli derivanti dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere rientrano nella categoria di “redditi diversi” a fini IRPEF (articolo 67, comma 1 del TUIR), ove non costituiscano redditi di capitale, ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in qualità di lavoro dipendente. In rapporto alle predette attività, il reddito imponibile (articolo 71, comma 2 del TUIR) è costituito dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla produzione del reddito medesimo.

[64]    Per i dettagli relativi agli aumenti disposti dai decreti-legge nn. 78/2009 e 78/2010 si rinvia al paragrafo “Disciplina del canone annuo e del sovrapprezzo autostradale” del dossier “L’Anas e le concessioni autostradali” del 6 luglio 2011.

[65]    Le funzione del RID, soppresso dai commi 170-171 dell’art. 2 del D.L. 262/2006, sono state assegnate alla Direzione Generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche e gli Uffici Tecnici per le dighe, istituita dal D.P.R. 211/2008 di riorganizzazione del MIT.

[66]    Si veda La relazione sullo stato di attuazione degli interventi urgenti per la messa in sicurezza delle grandi dighe (Doc. CXII n. 3, aggiornata al 29 febbraio 2012), presentata nella XVI Lgs. dal MIT per l’individuazione di tali dighe.

[67]    Proroga dello stato di emergenza in relazione alla messa in sicurezza delle grandi dighe di Zerbino e La Spina (Piemonte); Molinaccio (Marche); Pasquasia e Cuba (Sicilia); Gigliara Monte (Calabria); Figoi e Galano (Liguria), Muro Lucano (Basilicata); Muraglione, Montestigliano e Fosso Bellaria (Toscana); Sterpeto (Lazio); La Para e Rio Grande (Umbria).

[68]    L’art. 1, comma 69, della L.228/2012 (legge di stabilità 2013) ha novellato il citato comma 172 e, a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha portato il contributo dei concessionari delle grandi dighe ad euro 2.500.000 per l'anno 2012, ad euro 2.673.000 per l'anno 2013, ad euro 3.172.000 per l'anno 2014 e pari a euro 3.184.000 annui a decorrere dal 2015, a favore del bilancio dello Stato.

[69]    “Disciplina dei criteri di determinazione del contributo annuo da parte dei concessionari di dighe per le attività di vigilanza e controllo svolte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti” e “Disciplina dei criteri di determinazione del diritto di istruttoria da parte dei richiedenti la concessione o dei concessionari, per le attività espletate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella fase di progettazione e costruzione di dighe”.

[70]    Per elementi di dettaglio sullo stato di attuazione dell’opera, si veda la scheda n. 77 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che reca dati ed informazioni al 30 settembre 2012

[71]    Fonte Anas S.a.P.

[72]    Ai sensi dell’art. 1 del D.M. 1° febbraio 2006 (Norme di attuazione della L. 2 aprile 1968, n. 518, concernente la liberalizzazione dell'uso delle aree di atterraggio).

[73]    Relativamente al traffico ferroviario, il D.P.R. 18 novembre 1998, n. 459, relativamente alle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività motoristiche, il D.P.R. 3 aprile 2001, n. 304 e, relativamente al traffico veicolare, il D.P.R. 30 marzo 2004, n. 142.

[74]    Non risulta ancora emanato il DPCM che doveva stabilire, entro il 31 gennaio 2013, la misura dell’aliquota di compartecipazione. Su uno schema di D.P.C.M. predisposto non è stata raggiunta la necessaria intesa in sede di Conferenza unificata.

[75]    Prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici decretano o determinano di contrarre, in conformità ai propri ordinamenti, individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte (art. 11, comma 2 del D.Lgs. 163/2006). In sostanza, la determina a contrarre è l’atto, di spettanza dirigenziale, con il quale la stazione appaltante, pubblica amministrazione, manifesta la propria volontà di stipulare un contratto, vedi anche l’approfondimento dell’AVCP.

[76]    Per un approfondimento sulle formule tariffarie in uso si rinvia al paragrafo 3.4 “Illustrazione generale del regime tariffario” dell’intervento dell'Amministratore unico dell'ANAS presso la Commissione VIII (audizione del 1° febbraio 2012).

[77]    Una semplice dimostrazione viene dalla lettura del citato paragrafo 3.4 “Illustrazione generale del regime tariffario” dell’intervento dell'Amministratore unico dell'ANAS, ove si legge che “per l’adeguamento relativo all’anno 2012, l’ANAS, a seguito delle verifiche e dei conteggi effettuati, non ha accolto, riducendole, undici proposte relative al parametro K (investimenti) formulate dai concessionari, avendo rilevato dagli atti contabili una minor spesa rispetto a quanto programmato dai piani finanziari”.

[78]    Il DURC è stato introdotto dal D.Lgs. 494/1996 per i cantieri temporanei o mobili laddove si è previsto che il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa, fosse tenuto a chiedere un certificato di regolarità contributiva. Questa norma è ora riprodotta all’articolo 90 del D.Lgs. 81/2008. In seguito, tale obbligo è stato esteso dapprima alle ipotesi di imprese affidatarie di un appalto pubblico, tenute alla presentazione del documento alla stazione appaltante a pena di revoca dell'affidamento (articolo 2 del D.L. 210/2002) e, successivamente, per l’accesso da parte delle imprese ai benefici e alle sovvenzioni comunitarie.

[79]    Si veda a riguardo il DM 24 ottobre 2007.

[80]    In tal senso l’articolo 39-septies, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, “Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti”, convertito in legge, con modificazioni dall'articolo 1, L. 23 febbraio 2006, n. 51.

[81]    “Legge-quadro sul volontariato”.

[82]    In particolare, è stato disposto l’obbligo, per il datore di lavoro, nel caso in cui il volontario svolga la propria prestazione nell’ambito dell’organizzazione del datore stesso, di informare dettagliatamente il volontario sui rischi specifici esistenti negli ambienti di operatività nonché le misure si emergenza e prevenzione da adottare. Allo stesso tempo sussiste l’obbligo, sempre per il datore di lavoro, di eliminare o ridurre al minimo i rischi di interferenza tra prestazioni del volontario e le altre attività effettuate nell’ambito dell’organizzazione di lavoro.

[83]    Di cui alla L. 7 dicembre 2000, n. 383.

[84]    Di cui alla L. 16 dicembre 1991, n. 398, ed articolo 90 della L. 17 dicembre 2002, n. 289..

[85]    Si tratta dei direttori artistici e dei collaboratori tecnici che effettuino prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguano finalità dilettantistiche, coloro che esercitino direttamente attività sportive dilettantistiche in relazione al CONI, alle Federazioni sportive nazionali, all'UNIRE, agli enti di promozione sportiva ed a qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche a condizione che sia riconosciuto dagli organismi citati.

[86]    Per una disamina puntuale della disciplina del DUVRI si rimanda alle schede del Dossier del Servizio Studi n. 36 del 28 giugno 2013 (Volume I).

[87]    Il testo attuale non fa riferimento alle malattie professionali, alle attività dell’impresa appaltatrice e ai lavoratori autonomi e stabilisce che i requisiti richiesti siano quelli tipici di un preposto.

[88]    Per uomini-giorno deve intendersi l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori. Si ricorda che in materia, a risposta dell’interrogazione 5-00221 (Fedriga) circa l’obbligo, dal 1° giugno 2013, anche per le aziende che occupino fino a 10 dipendenti, di essere in possesso del documento di valutazione dei rischi (di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), del D.Lgs. 81/2008) non essendo più sufficiente l'autocertificazione a dimostrazione dell'avvenuta valutazione di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro, il 25 giugno u.s., il Governo ha affermato che la ratio sottesa all'elaborazione delle procedure standardizzate “è stata proprio quella di predisporre uno strumento che il datore di lavoro potrà facilmente utilizzare per effettuare la valutazione dei rischi presenti nella sua azienda (e, conseguentemente, per predisporre le misure volte a eliminare o, quanto meno, ridurre tali rischi), senza ricorrere ad esperti della materia”, anche in virtù del fatto che oramai sono passati 5 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, e che “un ritorno all'istituto dell'autocertificazione per le piccole imprese presenta forti criticità di ordine comunitario atteso che il nostro Paese è stato, sul punto, espressamente diffidato dall'Unione europea la quale, in recenti interlocuzioni nell'ambito di progetti pilota (prodromici all'apertura di vere e proprie procedure di infrazione), ha chiaramente fatto intendere che non tollererà che gli Stati membri prevedano semplici dichiarazioni relative alla valutazione dei rischi”. Ad ogni modo, lo stesso governo ha evidenziato come l’articolo in esame contenga norme di semplificazione, quali appunto, quella sul DUVRI e quella sui cantieri nel caso di piccoli lavori.

[89]    Il testo attuale prevede che si faccia riferimento ai commi 5 e 6 dell’articolo 26, concernenti, rispettivamente, la valutazione dei rischi da interferenze e quella valutare dell’adeguatezza e sufficienza del valore economico dell’appalto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza.

[90]    In virtù della soppressione dell’ISPESL disposta dall’articolo 7, comma 1, del D.L. 78/2010 con conseguente passaggio di funzioni appunto all’INAIL.

[91]    Al riguardo si segnala che taluni aspetti critici connessi alla concreta applicazione della norma erano già stati evidenziati dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nel Documento di consultazione del 2 agosto 2011.

[92]    Camera dei deputati, Commissione Affari costituzionali, seduta dell’8 marzo 2007, intervento del Sottosegretario all’interno, Lucidi.

[93]    Per un’analisi approfondita delle nuove attività previste dal D.P.R. n. 151 si rinvia alla tavola di comparazione con le attività elencate nel D.M. 16 febbraio 1982 contenuta nell’allegato II al D.P.R. n. 151.

[94]    L’art. 55, comma 1-bis, del D.L. 1/2012 ha disposto che per le attività di cui al numero 80 dell'Allegato I al D.P.R. 151/2011, vale a dire “gallerie stradali di lunghezza superiore a 500 metri e ferroviarie superiori a 2.000 metri”, i termini degli adempimenti restano rispettivamente disciplinati dal D.Lgs. 264/2006 e dal D.M. Infrastrutture e trasporti 28 ottobre 2005.

[95]    Recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.

[96]    Si veda, riguardo ai contenuti dell’art. 49, quanto detto nel commento al comma 2 dell'articolo in commento.

[97]    È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a)    la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)    è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)     la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)    l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

[98]    Per allevamento effettuato in ambiente confinato si intende l'allevamento il cui ciclo produttivo prevede il sistematico utilizzo di una struttura coperta per la stabulazione degli animali.

[99]    Attualmente, in Italia, per l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio dei medicinali è prevista, oltre alla modalità di registrazione nazionale ai sensi del D. Lgs. 219/2006, quella comunitaria. Quest’ultima prevede l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio dei medicinali secondo procedure che coinvolgono tutti i Paesi membri (procedura centralizzata) o parte di essi (procedura di mutuo riconoscimento e decentrata).

[100]  Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148/2011.

[101]  Si ricorda che l’Accordo prevede esplicitamente che l’entrata in vigore avvenga dopo 12 mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 12 marzo 2012 (G.U. 12 marzo 2012, n. 60, S.O.).

[102]  Il comma 8 non si applica, tra l’altro, ai convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia.

[103]  Dal comma 12 sono escluse: le missioni internazionali di pace e delle Forze armate; le missioni delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco; le missioni del personale di magistratura; le missioni strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonché con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico; lo svolgimento di compiti ispettivi.

[104]  Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 per “amministrazioni pubbliche” si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[105]  Data di entrata in vigore del decreto legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

[106]  L’articolo 1, comma 423 della legge n. 228/2012 ha prorogato all'anno 2014 il termine di cui al comma 2 dell'articolo 5 per le società che gestiscono servizi di interesse generale su tutto il territorio nazionale.

[107]  9 mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 95/2012.

[108]  Decreto-Legge 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale.

[109]  Decreto Legislativo 23 giugno 2011, n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[110]  Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, Attuazione della direttiva 92/27/CEE concernente l'etichettatura ed il foglietto illustrativo dei medicinali per uso umano.

[111]  LEGGE 1 marzo 2002, n. 39, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001.

[112]  D.L. 7 maggio 2012, n. 52, recante “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.

[113]  Periodo ormai decorso, per cui l’organo (cui sono stati preposti prima il dr. Bondi e poi il dr. Canzio) ha ora cessato l’attività.

[114]  Direttiva recante “Indirizzi operativi ai fini del contenimento della spesa pubblica” pubblicata sulla G.U. n.170 del 23 luglio 2012.

[115]  Indennità prevista pari a euro 155 mila nell'anno 2012 e a euro 78 mila nell'anno 2013 dall’articolo 15 del D.L. 52/2012.

[116]  Inserito dall'art. 20, comma 1, lett. a), D.L. 2012, n. 5.

[117]  Il regime transitorio previsto dalla Deliberazione n. 111/2012 (che doveva concludersi il 30 giugno 2013) è stato prorogato per consentire alle Stazioni Appaltanti di adeguarsi gradualmente alle nuove modalità di verifica dei requisiti di partecipazione delle imprese attraverso l’accesso on line alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) istituita presso l’AVCP.

[118]  D.Lgs. 28 settembre 2012 n. 178, “Riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183”.

[119]  La quota di anticipazioni relativa al 2013 è stata già ripartita tra le regioni e le province autonome (nella misura massima prevista di 5 miliardi) con i decreti direttoriali del 16 aprile 2013. e del 2 luglio 2013.

[120]  In base a queste ultime disposizioni, i sostituti di imposta rilasciano un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) attestante l'ammontare complessivo delle dette somme e valori, l'ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica. La certificazione è unica anche ai fini dei contributi dovuti agli altri enti e casse previdenziali. La certificazione unica sostituisce quelle previste ai fini contributivi.

[121]  La SOSE - Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. è una Società per azioni costituita con la partecipazione al capitale sociale del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’88% e della Banca d’Italia per l’12%, in base all’art. 10, comma 12 della legge 146/1998, con l’affidamento in concessione di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore.

[122]  Decreto legislativo 26 novembre 2010, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, province e città metropolitane, emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

[123]  Ai sensi dell’articolo 209 del TUEL, il servizio di tesoreria consiste nel complesso delle attività e delle operazioni connesse alla gestione finanziaria dell’ente locale, in particolare finalizzate alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia di titoli e valori ed agli adempimenti connessi previsti dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti dell’ente o da norme pattizie.

Il tesoriere esegue le operazioni indicate nel rispetto della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e successive modificazioni, relativa al sistema di tesoreria unica.

[124]  Il servizio di tesoreria consiste nel complesso di operazioni legate alla gestione finanziaria dell'ente locale e finalizzate in particolare alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia di titoli e valori ed agli adempimenti connessi previsti dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti dell'ente o da norme pattizie.

[125]  Il medesimo articolo 5, al comma 2, esclude dal trasferimento gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie fiscali; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; sono altresì esclusi dal trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali.

[126]  Immobili che ovviamente non sono tra quelli in uso per finalità dello Stato, in quanto questi sono esclusi dall’elenco dei beni trasferibili, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame.

[127] Analoga disposizione è contenuta all’articolo 9, comma 2, del D.Lgs. n. 85 del 2010.

[128]  L’articolo 1, comma 2, della legge n. 42 del 2010 (Delega sul federalismo fiscale), infatti, non ricomprende le disposizioni previste dall’articolo 19 in merito all’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale) tra quelle che si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano

[129]  La norma la definizione delle modalità applicative di tale disciplina ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, che al momento non risulta ancora emanato.

[130]  Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intendono per «ricerca fondamentale» i lavori sperimentali o teorici svolti soprattutto per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette.

[131]  Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intende per «ricerca industriale» la ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un notevole miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti. Comprende tale definizione la creazione di componenti di sistemi complessi necessaria per la ricerca industriale, in particolare per la validazione di tecnologie generiche, ad esclusione dei prototipi;

[132]  Tali destinazioni vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Il successivo articolo 48 della legge n. 222/1985 dispone che le quote dell’8 per mille sono utilizzate: dallo Stato, per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; e dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Successive disposizioni legislative hanno previsto che la scelta sulla destinazione dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere effettuata anche a favore di altre confessioni religiose. I criteri e le procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come successivamente modificato dal D.P.R. 23 settembre 2002, n. 250.

[133]  Determinazione 5 aprile 2011, n. 41102, Determinazione 28 giugno 2011, n. 77579, Determinazione 28 ottobre 2011, n. 127505, articolo 34, comma 4, della legge n. 183 del 2011, articolo 15, commi 1 e 2, del D.L. n. 201 del 2011, Determinazione 7 giugno 2012, n. 69805 e Determinazione 9 agosto 2012, n. 88789.

[134]  Il richiamato comma 1 indica veicoli di massa massima complessiva superiore a 3,5 tonnellate.

[135]  Recante il conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[136]  Recante la disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all'industria privata.

[137]  Relativo alla fissazione di norme comuni per i trasporti internazionali di viaggiatori effettuati con autobus.

[138]  L’art. 16 del D.Lgs. 25/2006 prevede che alle deliberazioni su determinate materie il consiglio giudiziario partecipi in composizione integrata con componenti designati dal consiglio regionale ed i componenti avvocati e professori universitari.

[139]  Si tratta, sostanzialmente, delle stesse categorie professionali tra cui erano nominati ai sensi della legge 276/1997 i 1.000 giudici onorari aggregati per la definizione del contenzioso civile pendente al 1995.

[140]  Per la ricostruzione normativa delle incompatibilità e delle ineleggibilità dei magistrati ordinari si veda il commento all’art. 69 del decreto-legge contenuto nel Dossier del Servizio studi n. 36 (volume II), del 28 giugno 2013.

[141]  L’art. 51, primo comma, c.p.c., detta ipotesi di astensione obbligatoria del giudice:

1)    se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;

2)    se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;

3)    se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;

4)    se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;

5)    se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore.

[142]  Un progetto “Ufficio del giudice” è da tempo all’attenzione del legislatore al fine di incrementare l’efficienza del servizio giustizia. Da ultimo, il D.L. 98/2011 ha previsto (art. 37) che, in relazione alle concrete esigenze organizzative dell'ufficio, i capi degli uffici giudiziari possono stipulare apposite convenzioni senza oneri a carico della finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali e con i consigli dell'ordine degli avvocati per consentire ai più meritevoli, su richiesta dell'interessato e previo parere favorevole del Consiglio giudiziario per la magistratura ordinaria, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per quella amministrativa e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per quella tributaria, lo svolgimento presso i medesimi uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l'ammissione all'esame di avvocato. Coloro che sono ammessi alla formazione professionale negli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio, e ad essi si applica l'articolo 15 del TU impiegati civili dello Stato (DPR 3/1957) ovvero l’obbligo del segreto d’ufficio. Lo svolgimento delle attività di formazione sostituisce ogni altra attività del corso del dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l'ammissione all'esame di avvocato. Al termine del periodo di formazione il magistrato designato dal capo dell'ufficio giudiziario redige una relazione sull'attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa alle facoltà, agli ordini forensi e alle scuole di specializzazione. Ai soggetti ammessi alla formazione professionale non compete alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. È in ogni caso consentita la partecipazione alle convenzioni di terzi finanziatori.

[143]  Secondo l’art. 10 del D.Lgs. 160/2006, sono funzioni direttive di merito di primo grado quelle di presidente del tribunale; di merito di secondo grado quelle di presidente della corte d’appello. Funzioni semidirettive di merito di primo grado sono quelle di presidente di sezione presso il tribunale ordinario, di presidente e di presidente aggiunto della sezione GIP; funzioni semidirettive di secondo grado sono quelle di presidente di sezione presso la corte di appello.

[144]  L’art. 83 del codice di procedura civile prevede che il difensore possa autenticare la firma del cliente nella procura speciale alle liti mentre l’art. 39 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale consente al difensore autenticare la sottoscrizione di atti per i quali il codice penale prevede tale formalità.

[145]  L’art. 420 c.p.c. – a seguito di una novella del 2010 - prevede infatti che il giudice del lavoro, nell’udienza di discussione, «interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva». Il rifiuto delle parti, senza giustificato motivo, costituisce un comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio.

[146]  Per la ricostruzione dei due distinti istituti si rinvia al Dossier del Servizio studi n. 36 (volume II) del 28 giugno 2013, pag. 44 e ss.

[147]  Sul secondo comma dell’art. 645 c.p.c. è recentemente intervenuta la legge n. 218 del 2011. La disposizione contenuta nel secondo comma prevedeva, infatti, prima di tale riforma, che i termini di comparizione fossero ridotti a metà. La questione, che aveva dato spunto a vivacissimi dibattiti sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale (si ricorda, da ultima, la pronuncia delle Sezioni Unite C., S.U., 19246/2010), è stata risolta dal legislatore. Le parole: "; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà" presenti nel testo originario sono infatti state soppresse dall'art. 1, co. 1, della legge 29 dicembre 2011, n. 218.

[148]  Secondo l'originaria formulazione dell'articolo 118 delle disposizioni di attuazione, risalente al 1941, la motivazione della sentenza doveva consistere «nell'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione» (comma 1). Si prevedeva inoltre che dovessero essere «esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio e indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati» (comma 2). L’art. 52, comma 5, della legge 69 del 2009 ha riscritto il comma 1 dell'articolo 118, disponendo che la motivazione della sentenza «consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi».

[149]  Si ricorda che, in base all’art. 375 del codice di procedura civile, la Cassazione, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere:

1)    dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

2)    ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita o rinnovata la notificazione dell'impugnazione;

3)    provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia;

4)    pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione;

5)    accogliere o rigettare il ricorso principale e l’eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza.

[150]  Si ricorda che, a seguito della riforma operata dalla legge n. 69 del 2009, l’art. 376 c.p.c. dispone che il Presidente della Corte, a meno che non ricorrano ipotesi di obbligatoria rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, deve assegnare i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375, primo comma (essenzialmente dunque la sezione filtro dovrà stabilire se il ricorso sia inammissibile o anche manifestamente infondato). Se la verifica ha esito negativo non resta che l'assegnazione alle sezioni semplici di spettanza del primo presidente. Se invece la verifica è positiva si procederà alla decisione in camera di consiglio – e dunque senza la partecipazione del PM - secondo il procedimento disciplinato dall’'art. 380-bis (a sua volta novellato dall’art. 75 del decreto-legge, v. sopra).

[151]  La relazione illustrativa afferma che «è necessario prevedere la possibilità che il Ministero ricorra anche a magistrati in servizio, seppure in via del tutto residuale rispetto all’ipotesi principale ed originaria e cioè che le commissioni siano composte da magistrati in pensione. Infatti, in questa prima fase di applicazione della norma non è possibile compiutamente prevedere quali difficoltà operative potranno insorgere».

[152]  Nella Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione si sottolinea infatti che «La declaratoria d'illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 marzo 2009 n. 69. Si legge in particolare nella motivazione che la cosiddetta mediazione obbligatoria «delinea un istituto a carattere generale, destinato ad operare per un numero consistente di controversie, in relazione alle quali, però, [...], il carattere dell'obbligatorietà per la mediazione non trova alcun ancoraggio nella legge delega». Ne deriva che la declinazione in termini di condizione di procedibilità dell'esperimento del procedimento di mediazione non trova ostacoli, in questo contesto, quando, come nel caso, sia ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato».

[153]  In questi termini si è pronunciato il Ministro della Giustizia in Assemblea alla Camera dei deputati, rispondendo a un atto di sindacato ispettivo (n. 3-00123), il 19 giugno 2013. In quella sede il Ministro ha sostenuto che «la declaratoria di illegittimità è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, con conseguente assorbimento delle altre questioni sollevate. Da ciò deriva che configurare la mediazione in termini di condizione di procedibilità non trova alcun ostacolo nella sentenza della Corte, quando, come oggi, venga ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato».

[154]  Nel corso dell’attività conoscitiva svolta dalla Commissione Giustizia era emerso come la proposta di risoluzione formulata dal mediatore non debba essere di per sé mediazione, ma la fase finale, eventuale, di una pratica di mediazione (cfr. audizione della prof. Lucarelli, secondo la quale «non vi è bisogno di spingere a forza nella natura della mediazione dei conflitti ciò che non le appartiene, ma che ne rappresenta una fase puramente eventuale, da disciplinare con le opportune cautele a pena di snaturare il valore della mediazione svolta nel rispetto della volontà delle parti interessate»).

[155]  Il Governo spiega questa esclusione nella Relazione illustrativa, nella quale ricorda che «operano sul punto gli impulsi alla composizione stragiudiziale di cui agli articoli 148 e 149 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209» e ricorda i dati sulla applicazione della mediazione nel periodo tra il 21 marzo 2011 e il 30 giugno 2012. Ebbene, il Governo rileva che i dati statistici mostrano che le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli – a fronte di una percentuale generale del 46,4 per cento di raggiungimento dell'accordo nei casi di aderente (alla domanda di mediazione) comparso – registrano una percentuale specifica del 96,2 per cento di aderente non comparso: «ne consegue che, per le dinamiche innescate dalla decisiva presenza dell'ente assicurativo, la funzionalità settoriale della mediazione è particolarmente bassa».

[156]  L’art. 696-bis è stato introdotto nel codice di rito civile nel 2005, con finalità deflattive del contenzioso civile, intendendo favorire la composizione della lite nella fase antecedente a quella processuale, attraverso il ricorso a un consulente tecnico chiamato ad accertare o determinare i crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il consulente ha ex lege ha la facoltà – ma non l'obbligo – di tentare la conciliazione tra le parti, ogniqualvolta lo si ritenga possibile e dunque non nei casi in cui non ne sussistano oggettivamente le condizioni. Qualora il tentativo di pervenire ad una soluzione conciliativa dia buon esito, il giudice interviene attribuendo, con decreto, efficacia di titolo esecutivo al processo verbale in cui si è trasfuso l'accordo tra le parti. Ove, però, il tentativo di conciliazione sia coltivato infruttuosamente o nell'ipotesi in cui non sia stato possibile darvi corso, ciascuna parte può chiedere che la relazione tecnica sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, sostanziandosi, in quest'ultimo caso, in un mezzo istruttorio preventivamente acquisito, pur se formata al di fuori dei casi in cui si ammette il tradizionale accertamento tecnico preventivo.

[157]  Si ricorda che l’omologa, concessa con decreto del Presidente del Tribunale, che verifica la regolarità formale e il rispetto dei principi di ordine pubblico o delle norme imperative del verbale, è essenziale se si vuole che l’accordo costituisca titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica, oltre che per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.