Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali (collegato alla legge di stabilità 2014) A.C. 2093 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2093/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 135
Data: 27/03/2014
Descrittori:
AMBIENTE     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali (collegato alla legge di stabilità 2014)

A.C. 2093

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 135

 

 

 

27 marzo 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

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File: Am0080.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Misure di semplificazione in materia di organizzazione e gestione degli Enti Parco. Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394) 3

§      Articolo 2 (Modifica all'articolo 34 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile) 8

§      Articolo 3 (Disposizioni relative al funzionamento della Commissione scientifica CITES) 9

§      Articolo 4 (Norme di semplificazione in materia di valutazioni di impatto ambientale incidenti su attività di scarico a mare di acque e di materiale di escavo di fondali marini e di loro movimentazione) 11

§      Articolo 5 (Semplificazione organizzativa di VIA, VAS e AIA statali) 14

§      Articolo 6 (Casi di esclusione dalla valutazione ambientale strategica per i piani di gestione del rischio) 23

§      Articolo 7 (Modifiche al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30) 25

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   28

§      Articolo 8 (Impianti termici civili) 29

§      Articolo 9 (Disposizioni per agevolare il ricorso agli appalti verdi) 32

§      Articolo 10 (Applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi) 36

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   38

§      Articolo 11 (Accordi di programma ed incentivi per l'acquisto dei prodotti derivanti da materiale post consumo) 39

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   41

§      Articolo 12 (Procedure semplificate di recupero) 42

§      Articolo 13 (Attività di vigilanza sulla gestione dei rifiuti) 46

§      Articolo 14 (Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio) 49

§      Articolo 15 (Consorzio per imballaggi compostabili) 52

§      Articolo 16 (Disposizioni per la piena attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE, 2003/108/CE, 2006/66/CE in materia di RAEE e rifiuti di pile e accumulatori) 54

§      Procedure di contenzioso  55

§      Articolo 17 (Semplificazione in materia di emanazione di ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi nel settore dei rifiuti) 57

§      Articolo 18 (Modifiche alla disciplina per la gestione degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti) 59

§      Articolo 19 (Disposizioni per l'individuazione della rete nazionale integrata ed adeguata di impianti di incenerimento di rifiuti) 61

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   63

§      Articolo 20 (Disposizioni in materia di contributo per la gestione di pneumatici fuori uso) 64

§      Articolo 21 (Disposizione in materia di rifiuti non ammessi in discarica) 66

§      Articolo 22 (Modifiche in materia di Autorità di bacino) 67

§      Procedure di contenzioso  78

§      Articolo 23 (Disposizioni in materia di immobili abusivi) 80

§      Articolo 24 (Fondo di garanzia delle opere idriche) 84

§      Articolo 25 (Tariffa sociale del servizio idrico integrato) 87

§      Articolo 26 (Disposizioni in materia di morosità nel servizio idrico integrato) 88

§      Articolo 27 (Modifiche all'articolo 93 del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) 90

§      Articolo 28 (Acque reflue dei frantoi oleari) 93

§      Articolo 29  (Combustione controllata di materiale vegetale) 95

§      Articolo 30 (Comitato per il capitale naturale) 98

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   100

§      Articolo 31 (Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli ) 102

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Misure di semplificazione in materia di organizzazione e gestione degli Enti Parco. Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394)

 

L’articolo 1 reca misure in materia di organizzazione e gestione degli Enti Parco – attraverso alcune modifiche agli articoli 9 e 21 della legge quadro 6 dicembre 1991, n. 394 sulle aree protette (d’ora in avanti legge quadro) - al fine di introdurre innovazioni sulla procedura di nomina del Presidente e del Direttore del Parco, nonché sulla composizione del Consiglio direttivo del Parco e sulla vigilanza e sulla sorveglianza sulle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale.

 

Di seguito sono evidenziati i profili della legge quadro modificati con l’intervento del presente articolo.

 

La nomina del Presidente del Parco

 

La lettera a), numero 1, dell’articolo 1 interviene sulla procedura di nomina del Presidente del Parco stabilendo che, in luogo della prevista intesa, i presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco, siano sentiti.

La modifica interviene sull’articolo 9, comma 3, della legge n. 394/91 che, nell’ambito del procedimento di nomina del Presidente del Parco, stabilisce che il decreto di nomina del Ministro dell'ambiente sia emanato a seguito dell’intesa con i presidenti delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano nel cui territorio ricada in tutto o in parte il parco nazionale.

 

La disciplina delle aree protette, contenuta nella legge n. 394 del 1991, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione  (si vedano sentenze n. 44 del 2011 e n. 263 del 2011). In proposito, merita ricordare alcune considerazioni contenute nella sentenza n. 193 del 2010, in base alle quali la modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, introducendo, all’art. 117, secondo comma, lettera s), la competenza esclusiva dello Stato in materia di “tutela” dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (sentenza n. 272 del 2009), ha mutato il quadro di riferimento in cui si inseriva la legge n. 394 del 1991, prevedendo che le competenze legislative in materia di “tutela” spettano esclusivamente allo Stato, mentre le Regioni possono esercitare soltanto funzioni amministrative di “tutela” se ed in quanto ad esse conferite dallo Stato, in attuazione del principio di sussidiarietà, di cui all’art. 118, primo comma, Cost. Nel mutato contesto dell’ordinamento, la legge quadro n. 394 del 1991 deve essere interpretata come una legge di conferimento alle Regioni di funzioni amministrative di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, da esercitare secondo il principio di cooperazione tra Stato e Regioni, come, d’altronde, precisa l’art. 1, comma 5, della legge medesima, il quale statuisce che «nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa, ai sensi dell’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dell’art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142».

La Corte ha esaminato in molte sentenze la legittimità della nomina di un Commissario straordinario di un ente parco, in assenza del raggiungimento dell’intesa con la regione per la nomina del presidente, pervenendo a considerazioni importanti sul principio di leale collaborazione in tema di intesa. In relazione ad esse la Corte ha affermato la legittimità della nomina di un Commissario straordinario, in assenza del raggiungimento dell’intesa, solo se, in applicazione del principio di leale collaborazione, si sia dato luogo ad uno sforzo delle parti per dar vita ad una intesa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo (ex plurimis: sentenze n. 264 e n. 255 del 2011, n. 332 del 2010, n. 24 del 2007, n. 21 del 2006, n. 339 del 2005, n. 27 del 2004[1]).

Si segnala, infine, che è in corso di esame al Senato il disegno di legge n. 119, volto a modificare la normativa in materia di aree protette. L’articolo 5 del testo unificato del disegno di legge citato e dei relativi progetti abbinati (1004, 1034), adottato nella seduta del 6 marzo 2014, modifica il comma 3 dell’articolo 9 della legge n. 394 del 1991, per un verso, confermando l’intesa con i presidenti delle regioni e delle province autonome ai fini della nomina del presidente dell’ente parco e, per l’altro, prevedendo che l'intesa sia resa entro trenta giorni, trascorsi i quali è da ritenersi acquisita tramite silenzio assenso.

 

Il Consiglio direttivo del parco

 

La lettera a), numero 2), dell’articolo 1 prevede che i componenti del Consiglio direttivo vengano individuati anche tra i rappresentanti della Comunità del parco.

La modifica interviene sull’articolo 9, comma 4 della legge quadro, che, nell’ambito del procedimento di nomina dei componenti del Consiglio direttivo del parco, attribuisce ai rappresentanti della Comunità del Parco, unicamente, la facoltà di designare quattro membri del Consiglio, con voto limitato, da scegliersi tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità.

 

Il Consiglio direttivo, che  delibera lo Statuto, il Piano, i bilanci, i regolamenti, e comunque in merito a tutte le questioni generali, è formato dal Presidente e da otto componenti. I componenti del Consiglio sono nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare entro 30 giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione. Il Ministro procede alla nomina sentite le Regioni interessate che si esprimono entro e non oltre 30 giorni dalla data della richiesta. Decorso inutilmente detto termine il Ministro procede egualmente alla nomina dei soggetti designati.

I componenti del Consiglio Direttivo sono individuati tra esperti particolarmente qualificati in materia di aree protette e biodiversità, secondo le seguenti modalità:

a) quattro, su designazione della Comunità del parco, con voto limitato;

b) uno, su designazione delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi dell'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349;

c) uno, su designazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

d) uno, su designazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;

e) uno, su designazione dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).

La Comunità del Parco, organo consultivo e propositivo dell'Ente parco, è costituita dai presidenti delle regioni, delle province e delle comunità montane, nonché dai sindaci dei comuni nei cui territori sono ricomprese le aree del parco (articolo 10).

 

Si segnala, infine, che l’articolo 5 del testo unificato del disegno di legge n. 119 e dei progetti di legge abbinati (1004, 1034), in corso di esame al Senato, reca modifiche al comma 4 dell’articolo 9 della legge n. 394/91 innovando la disciplina in materia di Consiglio direttivo del parco.

 

La nomina del Direttore del parco

 

La lettera a), numero 3, dell’articolo 1, che sostituisce il comma 11 dell’articolo 9, stabilisce che la nomina del Direttore del parco, effettuata in base alle attitudini, competenze e capacità professionali possedute dal soggetto nominato, spetta al Consiglio direttivo e non più al Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto.

A tale fine, il Presidente del parco propone una terna di soggetti qualificati al Consiglio direttivo.

L’accesso alla terna è stabilito da un concorso per titoli, definito, per quanto riguarda i criteri, i requisiti e le modalità, da un decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, emanato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

La procedura di nomina, prevista nel vigente comma 11, stabilisce invece che il concorso per titoli serve per l’accesso ad un albo di idonei, istituito presso il Ministero dell’Ambiente, da cui il Consiglio direttivo propone una terna di candidati.

Il Direttore del parco, come previsto anche nel vigente comma 11, stipula un contratto di diritto privato con il Presidente del Parco per una durata massima  di cinque anni. Nella norma introdotta dall’articolo in esame, viene specificato, rispetto alla normativa vigente, che il trattamento economico non deve essere superiore a quello dei dirigenti stabilito dal Contratto collettivo nazionale di lavoro, Area Dirigenti, degli enti pubblici non economici, e che, in caso di dipendente pubblico, è prevista l’aspettativa senza assegni da parte dell'amministrazione di appartenenza per tutta la durata dell'incarico

 

II Regolamento di riordino degli Enti Parco, adottato con il D.P.R. 73/2013, attraverso le modifiche all’articolo 9 della legge quadro ha ridotto i componenti del Consiglio direttivo da dodici ad otto e quelli della Giunta Esecutiva da cinque a tre. Il Ministero dell’Ambiente sottolinea, nelle premesse al medesimo Regolamento, che nonostante il diverso orientamento espresso dalle competenti Commissioni parlamentari[2], ha mantenuto la previsione, nell'ambito del Consiglio direttivo degli Enti parco, di un componente designato dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, aumentando, di riflesso, il numero dei componenti designati dalla Comunità del parco, al fine di rispettare comunque il rapporto di proporzione fra la componente statale e quella non statale verso il quale le predette Commissioni hanno mostrato preferenza. Il Ministero ha considerato altresì che l'operazione di riordino dei Consigli direttivi, compiuta attraverso il regolamento, non ha innovato le attribuzioni degli enti territoriali, continuando a prevedere che i componenti del Consiglio direttivo siano nominati sentite le regioni interessate, ritenendo ultronea, inoltre, il recepimento della condizione, inserita in ambedue i pareri delle Commissioni parlamentari, che ribadiva la competenza dello Stato, e per esso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del potere di nomina dei Presidenti degli Enti parco.

 

Si segnala, infine, che l’articolo 5 del testo unificato del disegno di legge n. 119 e dei progetti di legge abbinati (1004, 1034), in corso di esame al Senato, reca modifiche al comma 4 dell’articolo 9 della legge n. 394/91 innovando la disciplina in materia di nomina del direttore del parco.

 

La vigilanza e sorveglianza sulle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale

 

La lettera b) dell’articolo 1, che sostituisce il comma 1 dell'articolo 21, attribuisce unicamente al Ministero dell’Ambiente la vigilanza sugli enti parco e sugli altri enti istituiti per la gestione delle aree naturali protette di rilievo nazionale e internazionale, specificando che la vigilanza avviene mediante l'approvazione degli statuti, dei regolamenti, dei bilanci e delle piante organiche, ed eliminando l’esercizio congiunto, previsto solo per le aree marine, con l’ex Ministro della marina mercantile[3], le cui funzioni sono state assorbite dal Ministero dell’Ambiente.

 

La legge quadro attribuisce al Ministero dell'Ambiente la potestà di vigilanza in genere sui parchi (art. 9, comma 1) e specificamente sulla loro gestione (art. 21, comma 1). In particolare, l'art. 9, commi 8 e 10, prescrive che i bilanci degli enti parco ed i regolamenti di contabilità siano approvati dal Ministro dell'Ambiente, di concerto con quello dell'Economia.

La funzione di controllo sulle deliberazioni dei Consigli direttivi degli enti parco trova, peraltro, la sua disciplina nelle disposizioni di legge concernenti in generale gli enti pubblici non economici.

In base al combinato disposto degli artt. 25, comma 2, e 29, comma 1, della legge 70/1975 sono rimesse per l'approvazione al Ministero vigilante, ed al Ministero dell'Economia e delle Finanze, le delibere di adozione o di modificazione del regolamento organico del personale e dell'ordinamento dei servizi.

Per queste stesse delibere, per la parte concernente l'ordinamento dei servizi, è richiesto altresì il concerto del Presidente del Consiglio dei ministri, cui a tal fine esse devono essere trasmesse.

A norma del richiamato art. 29 sono, poi, parimenti soggette ad approvazione del Ministero vigilante, di concerto con quello dell'Economia, le delibere concernenti: la definizione o la modifica della consistenza organica di ciascuna qualifica, il numero dei dirigenti e degli addetti degli uffici, l'aumento o la modifica degli stanziamenti relativi a spese generali e di personale in conformità degli accordi sindacali approvati dal Governo[4].

 

Si segnala, infine, che l’articolo 15 del testo unificato del disegno di legge n. 119 e dei progetti di legge abbinati (1004, 1034), in corso di esame al Senato, reca disposizioni analoghe a quanto disposto dalla lettera in commento relativamente alla novella all’articolo 21, comma 1, della legge n. 394/91.


 

Articolo 2
(Modifica all'articolo 34 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile)

 

L'articolo 2 reca disposizioni finalizzate a garantire l’aggiornamento, con cadenza almeno triennale, della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.

A tal fine, il comma 1 dell’articolo 2 modifica il comma 3 dell’articolo 34 del d.lgs. n. 152/2006 (recante norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente) che, fino ad oggi inattuato, aveva previsto l’emanazione, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, di un’apposita delibera del CIPE, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le regioni e le province autonome, ed acquisito il parere delle associazioni ambientali munite di requisiti sostanziali omologhi a quelli previsti dall'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, per l’aggiornamento della citata Strategia nazionale, approvata con la delibera CIPE 2 agosto 2002, n. 57.

Il citato termine di sei mesi viene sostituito dal comma 1 dell'articolo in esame con l’obbligo di aggiornamento almeno triennale.

 

In sede di prima attuazione, il comma 2 dell’articolo 2 stabilisce che si proceda all’aggiornamento entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 


 

Articolo 3
(Disposizioni relative al funzionamento della Commissione scientifica CITES)

 

L’articolo 3 prevede che agli oneri di missione della Commissione scientifica CITES si faccia fronte con un'assegnazione di risorse annua pari a 20.000 euro. L’analisi di impatto della regolamentazione segnala, in proposito, la mancanza di risorse finanziarie idonee a consentire lo svolgimento dei compiti ispettivi assegnati alla Commissione.

In particolare, il comma 1 integra l’articolo 12, comma 23, secondo periodo del decreto legge n. 95 del 2012, al fine di escludere gli oneri di missione dalla richiamata disposizione, che ha previsto la gratuità della partecipazione alla stessa Commissione, senza diritto alla corresponsione di compensi, comunque denominati, gettoni di presenza e rimborsi spese.

Alla copertura degli oneri si provvede mediante una corrispondente riduzione, a decorrere dall'entrata in vigore della legge, dell'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 6, comma 1, della legge 31 luglio 2002, n.179 (disposizioni in materia ambientale), riguardante l’attuazione di un programma di comunicazione ambientale. La relazione tecnica precisa, in particolare, che la copertura è individuata nel capitolo 1083 dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente (tabella 9 del bilancio dello Stato), che reca una dotazione di competenza di 133.305 euro per il 2014 .

 

L’articolo 6, comma 1, della legge 179/2002, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica e gli imprenditori alle esigenze e ai problemi relativi all'ambiente e di promuovere iniziative per la tutela delle risorse ambientali, ha autorizzato la spesa di 3,4 milioni di euro per l'esercizio finanziario 2002 e di 2,7 milioni di euro a decorrere dall'esercizio finanziario 2003 per l'attuazione di un programma di comunicazione ambientale. Tale autorizzazione di spesa è stata ridotta di 10.000 euro a decorrere dall’anno 2010 dal comma 2 dell’articolo 17 del D.L. 195/2009, per lo svolgimento dell'attività di coordinamento delle fasi relative alla programmazione e alla realizzazione degli interventi urgenti nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico.

Si ricorda che l’Italia è uno Stato parte della Convenzione sul commercio internazionale di specie animali e vegetali in via di estinzione, meglio nota come Convenzione di Washington o CITES, firmata a Washington il 3 marzo 1973, ratificata con la legge n. 874/1975. L’Unione europea ha attuato la Convenzione con il regolamento CEE 338/97 del Consiglio e con quello della Commissione CEE 865/2006. Ai sensi dell'articolo IX, comma 1, della citata Convenzione di Washington e dell’articolo 13, comma 2, del citato regolamento CEE 338/97, ogni Stato parte della Convenzione ed ogni Stato membro dell’UE si deve dotare di una apposita autorità scientifica che svolga le funzioni previste dalla Convenzione stessa e dai regolamenti europei. L'autorità scientifica italiana denominata Commissione scientifica CITES è stata prevista dall’articolo 4, comma 5, della legge n. 150/1992 e la sua composizione è stata determinata con l’articolo 12-bis del decreto-legge n. 2/1993. Tale articolo ha anche stabilito, al comma 2, il compenso dei componenti della Commissione. Ad essi spetta un compenso ed un trattamento di missione nella misura determinata con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La composizione della Commissione CITES, istituita con D.M. 27 aprile 1993, a seguito della riorganizzazione del Ministero dell’ambiente con D.P.R. n. 140/2009, è stata ridefinita con D.M. 25 febbraio 2010.

L’articolo 12, comma 23, del citato D.L. 95/2012 sottrae la Commissione scientifica CITES alla disciplina prevista dall'articolo 68 del D.L. n. 112/2008 e dall'articolo 29, comma 2, lett. e-bis), e comma 2-bis, del D.L. n. 223/2006, sul riordino degli organi di amministrazioni pubbliche anche mediante soppressione o accorpamento delle strutture. Si stabilisce, inoltre, la gratuità della partecipazione alla Commissione, senza diritto a compensi, comunque denominati, gettoni di presenza e rimborsi spese.


 

Articolo 4
(Norme di semplificazione in materia di valutazioni di impatto ambientale incidenti su attività di scarico a mare di acque e di materiale di escavo di fondali marini e di loro movimentazione)

 

L’articolo 4 reca una serie di disposizioni che intervengono sulle procedure delle autorizzazioni ambientali riguardanti lo scarico in mare di acque derivanti da attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare e l'immersione in mare di materiali di escavo di fondali marini, nonché la movimentazione dei fondali marini derivante dall'attività di posa in mare di cavi e condotte. In particolare, per tali tipologie di interventi assoggettati alla valutazione di impatto ambientale (VIA), nazionale o regionale, si prevede che le autorizzazioni ambientali sono istruite e rilasciate dalla stessa autorità competente per il provvedimento che conclude motivatamente il procedimento di valutazione medesima.

 

Secondo quanto disposto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006 (che reca norme in materia ambientale, cd. Codice Ambientale), mediante il procedimento di valutazione d'impatto ambientale (VIA) vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto ai fini dell'individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 4, commi 3 e 4, lettera b), del medesimo decreto tra i quali si annoverano la finalità di assicurare che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, nonché quelle di proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita. Ai sensi dell’articolo 26, comma 4, del d.lgs. 152/2006, che viene richiamato dall’articolo in commento, il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale (VIA) sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto.

Sono assoggettati alla VIAin sede statale – le opere ed i progetti che ricadono nell’elenco dell’allegato II alla parte seconda del d.lgs. 152/2006, mentre sono sottoposti a VIA, secondo le disposizioni delle leggi regionali, i progetti di cui agli allegati III e IV.

 

Passando nello specifico alle singole modifiche introdotte dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo in esame, la lettera a) aggiunge all’articolo 104 del d.lgs. 152/2006, che disciplina gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, il comma 8-bis, ai sensi del quale, per gli interventi assoggettati a valutazione di impatto ambientale (VIA), nazionale o regionale, le autorizzazioni ambientali previste ai commi 5 e 7 del medesimo articolo 104 sono istruite e rilasciate dalla stessa autorità competente per il provvedimento, che conclude motivatamente il procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA), d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico.

 

L’art. 104 prevede, al comma 5, che, per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, l’autorizzazione allo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste da un apposito decreto del Ministero dell’Ambiente (in attesa dell’emanazione la disciplina è recata dal D.M. 28 luglio 1994[5]), a condizione che la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare deve essere progressivamente sostituito dalla “iniezione o reiniezione” in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all'iniezione o reiniezione. In taluni casi, disciplinati dal comma 6 dell’articolo 104, il Ministero dell’ambiente, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde, può autorizzare anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7. Al comma 7 del medesimo articolo, si prevede che lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 viene autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l'assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.

Ai sensi del comma 3 dell’art. 104, per quanto riguarda i giacimenti a mare, è il Ministero dell’ambiente, d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico, ad autorizzare lo scarico di acque, mentre per i giacimenti a terra è la regione.

 

La lettera b) aggiunge all'articolo 109, che disciplina l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e l’attività di posa in mare di cavi e condotte, il comma 5-bis, ai sensi del quale, per gli interventi assoggettati a valutazione di impatto ambientale, nazionale o regionale, le autorizzazioni ambientali previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 109 sono istruite e rilasciate dalla stessa autorità competente per il provvedimento che conclude motivatamente il procedimento di valutazione di impatto ambientale.

 

Il comma 2 dell’articolo 109, modificato dall'art. 24, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. n. 5/2012, prevede che l'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi è rilasciata dalla regione, fatta eccezione per gli interventi ricadenti in aree protette nazionali per i quali è rilasciata dal Ministero dell’ambiente. Secondo quanto disposto dal comma 5 del medesimo articolo 109, la movimentazione dei fondali marini derivante dall'attività di posa in mare di cavi e condotte è soggetta ad autorizzazione regionale.

 

Da ultimo, la lettera b), con la soppressione del secondo periodo del comma 5 dell'articolo 109, elimina, nel caso di condotte o cavi facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale, o di connessione con reti energetiche di altri Stati, la specifica autorizzazione rilasciata dal Ministero dell'Ambiente.

 

Il secondo periodo del comma 5 dell’articolo 109 prevede, infatti, che, nel caso di condotte o cavi facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale, o di connessione con reti energetiche di altri Stati, l'autorizzazione è rilasciata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le regioni interessate, nell'ambito del procedimento unico di autorizzazione delle stesse reti.

Articolo 5
(Semplificazione organizzativa di VIA, VAS e AIA statali)

 

L’articolo 5 prevede l’istituzione della Commissione tecnica unificata per i procedimenti VIA, VAS e AIA, che assicura il supporto tecnico-scientifico per l'attuazione delle disposizioni concernenti le procedure della valutazione ambientale strategica (VAS), della valutazione d'impatto ambientale (VIA) e dell'autorizzazione ambientale integrata (AIA). L'articolo disciplina nel dettaglio i compiti della Commissione, la composizione, le modalità di selezione, la durata in carica, il trattamento economico, nonché la copertura degli oneri connessi al suo funzionamento. Dalla data di insediamento della Commissione unificata sono soppresse la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale — VIA e VAS e la Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata —IPPC.

 

Le definizioni di valutazioni di impatto ambientale, di valutazione ambientale strategica e di autorizzazione integrata ambientale sono contenute nell’articolo 5 della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice Ambientale) rispettivamente alle lettere b), a) e o-bis) del comma 1.

 

L’istituzione e la disciplina della Commissione unificata è prevista dall’articolo 8 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che viene integralmente sostituito e che si compone di nove commi. Di seguito vengono dettagliati i singoli aspetti disciplinati dall’articolo 8.

 

Composizione della Commissione (commi 3 e 6 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

Secondo quanto prevede il comma 3 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006, la Commissione per i procedimenti di VIA, VAS e AIA, di seguito denominata “Commissione unificata”,è composta da cinquanta esperti. Un decreto del Ministro dell'ambiente di natura non regolamentare, adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, definisce l’organizzazione e il funzionamento della Commissione unificata, ivi inclusa la sua articolazione in sottocommissioni VIA, VIA Speciale, VAS e AIA, a ciascuna delle quali è preposto un coordinatore. La programmazione dei lavori e la verifica del rispetto dei termini e delle altre modalità di svolgimento dell'attività della Commissione unificata, ivi comprese le norme tecniche ed organizzative di cui all'articolo 34[6], sono assicurate da un Comitato di programmazione composto dai quattro coordinatori delle sottocommissioni e dal Direttore generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare competente per materia, il quale vi partecipa senza alcuna indennità o trattamento economico aggiuntivo, comunque denominato. Le modalità di funzionamento del Comitato di programmazione sono definite con il citato decreto di cui al presente comma. Sino all'entrata in vigore di detto decreto, continuano ad applicarsi, ove compatibili, le disposizioni dei decreti vigenti, adottati ai sensi degli articoli 9, comma 4, e 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90. Sulla base di quanto previsto dal comma 6 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006, nel caso di valutazioni di impatto ambientale di infrastrutture di insediamenti produttivi di carattere strategico, per le quali in sede di intesa è riconosciuto un concorrente interesse regionale, la Commissione unificata è integrata da un esperto designato dalle regioni e dalle province autonome interessate tra i soggetti aventi i requisiti di cui al comma 4, ossia tra le categorie di soggetti nell’ambito delle quali si prevede la selezione dei componenti della Commissione medesima. Anche per le attività relative a ciascuna domanda di autorizzazione integrata ambientale, la Commissione è integrata da un esperto designato tra tali soggetti da ciascuna regione, da ciascuna provincia autonoma e da ciascun comune territorialmente competenti. Analoghe disposizioni sono contenute nel comma 1 dell’articolo 9 e nel comma 1 dell’articolo 10 del citato D.P.R. n. 90 del 2007.

 

Si segnala che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 116 del 2006, con riferimento ad un decreto ministeriale del quale si esplicitava la natura non regolamentare (contenuto all'articolo 3 del decreto-legge n. 279 del 2004), lo qualificava come "un atto statale dalla indefinibile natura giuridica". Più recentemente, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 4 maggio 2012, n. 9, sulla natura giuridica dell'articolo 4 del decreto ministeriale 6 febbraio 2006, ha osservato che: "deve rilevarsi che, nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di “fuga dal regolamento” (che si manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite l'adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non regolamentari) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti `atipici', di natura non regolamentare". Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di riformulare la disposizione in commento.

In base agli articoli 9 e 10 del Decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90[7] sono disciplinate la composizione, l’organizzazione e le funzioni, rispettivamente, della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS e della Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata – AIA/IPPC.

La Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, accorpa la Commissione per la valutazione di impatto ambientale, istituita ai sensi dell'articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni, e la Commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale per le grandi opere, istituita ai sensi dell'articolo 184, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Essa è composta da 50 commissari, inclusi il presidente e il segretario, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente, tra liberi professionisti e tra esperti provenienti dalle amministrazioni pubbliche, comprese università, Istituti scientifici e di ricerca, con adeguata qualificazione in materie progettuali, ambientali, economiche e giuridiche.

La Commissione istruttoria per AIA/IPPC, istituita ai sensi dell'articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59[8], è composta da ventitré esperti[9] di elevata qualificazione giuridico-amministrativa e tecnico-scientifica scelti nel settore pubblico e privato, di cui uno con funzioni di presidente. La Commissione svolge anche attività di supporto scientifico per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con specifico riguardo alle norme di cui all’articolo 8-bis del d.lgs. 152/2006.

 

Compiti della Commissione (commi 1 e 2 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

La Commissione tecnica unificata assicura il supporto tecnico-scientifico per l'attuazione delle disposizioni previste dalla parte seconda del d.lgs. 152/2006, che disciplina proprio le predette procedure (comma 1 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006). Alla Commissione unificata si applicano le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 2-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, con cui si deroga per tale organismo alle previsioni di legge recanti la riduzione delle dotazioni per gli organismi politico-amministrativi e gli organi collegiali dello Stato.

Il citato comma 2-bis dell’articolo 5 reca una norma di interpretazione autentica secondo la quale l’esclusione degli organi operanti presso il Ministero dell’ambiente dall’onorarietà della partecipazione agli organi collegiali prescritta in generale dall’art. 6, comma 1, secondo periodo del decreto-legge 78/2010 si deve intendere, limitatamente alle due commissioni tuttora operative (e pertanto alla nuova commissione), nel senso che ad esse non si applicano neanche gli altri limiti disposti in via generale per gli organi collegiali dall’art. 68 del D.L. 112/2008 e dall’art. 29, comma 2, lettera e-bis), e comma 2-bis del D.L. 223/2006.

La Commissione svolge i seguenti compiti, che sono elencati nel comma 2 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006:

-               provvede all'istruttoria dei progetti presentati dai proponenti ai sensi delle disposizioni previste dalla citata parte seconda del d.lgs. 152/2006 ed in applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988 (Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all'art. 6, L. 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell'art. 3 del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377);

-                esegue l'istruttoria tecnica di cui all’articolo 185 del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al d.lgs. 163/2006 ed esprime il proprio parere sui progetti, relativi agli insediamenti produttivi e alle infrastrutture strategiche, assoggettati alla valutazione di impatto ambientale presentato dal soggetto proponente;

L’articolo 185 specifica le competenze della Commissione speciale VIA, che attualmente sono esercitate dalla Commissione di cui all’articolo 9 del D.P.R. n. 90 del 2007 nel’ambito della quale è costituita una Sottocommissione i cui componenti sono individuati sentito il Ministero delle infrastrutture. (v. supra). Ai sensi del citato articolo 185 del medesimo Codice la commissione provvede all'istruttoria tecnica di cui all'articolo 184 e, entro sessanta  giorni  dalla  presentazione  del progetto da parte del soggetto proponente, esprime il proprio  parere sul progetto assoggettato alla valutazione. L’articolo 184 precisa che la valutazione di impatto ambientale individua gli  effetti diretti  e  indiretti  di  un  progetto e delle sue principali alternative, compresa l'alternativa zero,  sull'uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle  acque  di  superficie  e  sotterranee, sull'aria, sul clima, sul paesaggio  e sull'interazione  fra  detti fattori, nonché sui  beni  materiali  e  sul  patrimonio culturale, sociale  e  ambientale  e  valuta  inoltre  le  condizioni per   la realizzazione e l'esercizio delle opere e degli impianti.

-               svolge le attività tecnico istruttorie per la VAS dei piani e programmi di competenza dello Stato, in attuazione di quanto previsto dal titolo II della parte seconda del d.lgs 152/2006, ed esprime il proprio parere motivato per il successivo inoltro al Ministro dell'ambiente che adotta il conseguente provvedimento;

-               svolge le attività istruttorie e di consulenza tecnica connesse al rilascio delle AIA di competenza statale;

-               fornisce all'autorità competente, anche effettuando i necessari sopralluoghi, in tempo utile per il rilascio dell'AIA, un parere istruttorio conclusivo e pareri intermedi debitamente motivati, nonché approfondimenti tecnici in merito a ciascuna domanda di autorizzazione;

-               fornisce al Ministero dell'ambiente la consulenza tecnica in ordine ai compiti del Ministero medesimo relativamente all'AIA.

 

I compiti della nuova commissione unificata risultano analoghi a quelli che svolgono le due citate commissioni che vengono soppresse dall’articolo in esame.

 

Il reclutamento e la durata in carica dei componenti della  Commissione (commi 4 e 5 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

Secondo quanto prevede il comma 4 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006, i componenti della Commissione unificata, che durano in carica tre anni, sono nominati con decreto del Ministro dell'ambiente sentito, limitatamente ai componenti della sottocommissione VIA Speciale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e sono scelti sulla base di procedure di selezione pubblica, nel rispetto dell'equilibrio di genere, tra i professori e i ricercatori universitari, nonché il personale delle amministrazioni pubbliche di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[10], incluso il sistema delle agenzie per la protezione dell'ambiente e gli enti di ricerca, esperti e personalità di elevata qualificazione nelle materie attinenti la valutazione e il diritto ambientale. Si demanda al citato decreto di natura non regolamentare di cui al comma 3 o a un separato decreto la disciplina della procedura di selezione pubblica dei componenti della Commissione nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità.

I componenti della Commissione unificata provenienti dalle amministrazioni pubbliche sono collocati fuori ruolo (comma 5 del nuovo articolo 8 del d.lgs. 152/2006). All'atto del collocamento fuori ruolo, è reso indisponibile, per tutta la durata dell'incarico, un numero di posti nella dotazione organica dell'amministrazione di provenienza equivalente dal punto di vista finanziario.

 

Trattamento economico dei componenti della  Commissione (comma 7 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

Con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 3, è determinato il trattamento economico dei componenti della Commissione unificata, sulla base di un criterio di correlazione individuale tra piani, programmi e progetti valutati ed emolumenti percepiti. In attesa del decreto di cui al precedente periodo, ai componenti della Commissione unificata è corrisposto, a decorrere dalla data di effettivo insediamento, un trattamento forfettario pari al 70% del trattamento economico già spettante ai componenti ordinari della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale — VIA e VAS, a valere sulle risorse di cui al comma 8.

 

 

Copertura degli oneri connessi al funzionamento della Commissione (comma 8 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

Alla copertura degli oneri per il funzionamento della Commissione si provvede con le risorse complessive di cui al comma 8 senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato, salvo quanto disposto al successivo comma 9.

Ai sensi del comma 8, il soggetto committente il progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale versa all’entrata del bilancio dello Stato una somma pari allo 0,5 per mille del valore delle opere da realizzare. Tale somma, già iscritta nell’apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente, è utilizzata esclusivamente per le spese della Commissione unificata. Sono poste a carico del richiedente l'AIA le somme indicate all'articolo 33.

 

L’articolo 33 prevede in particolare che le spese necessarie per l’istruttoria della domanda dell’AIA e per i successivi controlli sono posti a carico del gestore dell’impianto, secondo modalità disciplinate da un decreto interministeriale. Un ulteriore decreto dovrà aggiornare le tariffe almeno ogni due anni e in attesa dell’emanazione di tali decreti (ad oggi, non emanati) si applica il D.M. 24 aprile 2008 recante le modalità e le tariffe da applicare in relazione alle istruttorie e ai controlli previsti dal d.lgs. 59/2005.

 

Verifica dell’ottemperanza alle prescrizioni della VIA e dell’AIA (comma 9 dell’art. 8 del d.lgs. 152/2006)

La verifica dell'ottemperanza alle prescrizioni della VIA e della AIA statali, di cui, rispettivamente, agli articoli 28, comma 1[11], e 29-decies[12], comma 3, lettera a), del d.lgs. 152/2006, è effettuata dall'ISPRA.

Per la copertura degli oneri relativi all'attività svolta dall'ISPRA il Ministero dell'ambiente – previa copertura integrale degli oneri di funzionamento della Commissione unificata con le modalità di cui al citato comma 8 – provvede a trasferire all’Istituto le ulteriori risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’Ambiente ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2, commi 615-617 della legge n. 244/2007.

Si ricorda che il comma 615 dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007) hanno introdotto il divieto, a decorrere dall’anno 2008, dell’iscrizione negli stati di previsione della spesa dei Ministeri di somme versate all’entrata del bilancio dello Stato e autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge stessa[13].

Tra tali provvedimenti legislativi compare anche l’articolo 27, comma 1 della legge n. 136/1999, abrogato dall’articolo 48 del D.Lgs. n. 152, il quale dispone che per le maggiori esigenze connesse allo svolgimento della procedura di valutazione dell'impatto ambientale di progetti di opere di competenza statale il cui valore sia di entità superiore a 5 milioni di euro è posto a carico del soggetto committente il progetto il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari allo 0,5 per mille del valore delle opere da realizzare, che è riassegnata con decreto del Ministro dell’economia  ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente per essere riutilizzata esclusivamente per le spese attinenti alla valutazione ambientale.

Si segnala, peraltro, che il comma 6 dell’articolo 9 del D.P.R. n. 90 del 2007 pone a carico dei soggetto committente il progetto il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari allo 0,5 per mille del valore delle opere da realizzare, che è riassegnata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per essere riutilizzata esclusivamente per le spese della Commissione. Si prevede, tra l’altro, che la Commissione si avvalga delle risorse versate a norma del comma 6, senza oneri a carico del bilancio dello Stato.

In relazione a quanto previsto dal comma 615, il comma 616 ha disposto l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione, di appositi Fondi da ripartire, con decreto ministeriale, nel rispetto delle finalità stabilite dalle stesse disposizioni legislative.

Ai sensi del comma 617, nei predetti Fondi confluisce il 50% dei versamenti riassegnabili nell’anno 2006 ai pertinenti capitoli dell’entrata del bilancio dello Stato.

La dotazione dei Fondi è tuttavia annualmente rideterminata in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti. L’obiettivo della norma è infatti acquisire al bilancio dello Stato la restante parte del Fondo da ripartire non più assegnata alla spesa dei Ministeri competenti in modo da assicurare in ciascun anno una quota di risparmio in termini di indebitamento netto[14].

Per il Ministero dell’Ambiente, sul capitolo 3822 è iscritto il Fondo da ripartire per le finalita' previste dalle disposizioni legislative di cui all'elenco n. 1 allegato alla legge finanziaria 2008, per le quali non si da' luogo alle riassegnazioni delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato, ai sensi dei sopra citati commi 615-617[15].

Si osserva che non è chiaro se il trasferimento delle ulteriori risorse disponibili, ai sensi dei richiamati commi 616 e 617 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 2007, avvenga a valere sulle risorse disciplinate dal precedente comma 8, che dovrebbero essere previamente destinate alla copertura integrale degli oneri di funzionamento della Commissione. Ciò premesso, sarebbe opportuno modificare l’elenco 1 della legge n. 244/2007, al fine di introdurre le disposizioni in commento tra le autorizzazioni di spesa per le quali opera il divieto di riassegnazione delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato.

 

L'ISPRA programma le attività di verifica nel limite delle risorse rese disponibili dal Ministero e rendiconta le attività svolte, con le modalità di cui all'articolo 12, commi 4 e 5, del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 21 maggio 2010, n. 123[16].

 

Ai sensi dell'articolo 12, commi 4 e 5, del citato decreto, il Ministro e l'ISPRA stipulano una convenzione triennale, con la quale, previa ricognizione dei servizi ordinari, sono individuate anche le eventuali ulteriori attività, non incompatibili con i servizi ordinari, svolgibili da ISPRA, nonché le risorse allo scopo disponibili. Il comma 5 prevede inoltre una relazione annuale che il presidente trasmette al Ministro dell’Ambiente sui risultati dell'attività dell'Istituto.

 

Abrogazioni

Il comma 2 dell’articolo in esame prevede una serie di abrogazioni a decorrere dalla data di insediamento della Commissione unificata. In particolare:

- la lettera a) abroga gli articoli 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, che, rispettivamente, disciplinano le funzioni della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS e della Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata AIA/IPPC;

- la lettera b) abroga l'articolo 8-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che disciplina le attività di supporto scientifico al Ministero dell’Ambiente della Commissione istruttoria per l'autorizzazione integrata ambientale AIA/IPPC, ed interviene con modifiche formali su articoli del decreto riguardanti l’autorizzazione integrata ambientale e gli oneri istruttori, in relazione all’istituzione della nuova Commissione unica che sostituisce in tali disposizioni la soppressa commissione istruttoria AIA/IPCC.

 

 

 

 

La soppressione delle Commissioni VIA-VAS e AIA/IPPC

Il comma 3 dell’articolo in esame stabilisce dalla data di insediamento della Commissione unificata la soppressione della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale — VIA e VAS e della Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata — AIA/IPPC.

In particolare, i componenti della due citate Commissioni, in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, cessano dalle loro funzioni alla data di scadenza stabilita per i rispettivi incarichi, e comunque, se antecedente, alla data di insediamento della Commissione unificata.

Le due predette Commissioni, anche se ricostituite dopo la data di scadenza suddetta, cessano comunque le loro funzioni alla data di insediamento della Commissione unificata, la quale subentra nella trattazione dei procedimenti in corso.


 

Articolo 6
(Casi di esclusione dalla valutazione ambientale strategica per i piani di gestione del rischio)

 

L’articolo 6 dispone l’esclusione dalla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) della parte dei piani di gestione del rischio di alluvioni per il distretto idrografico di riferimento, di competenza delle regioni, in coordinamento tra loro, nonché con il Dipartimento nazionale della protezione civile, riguardante il sistema di allertamento, nazionale, statale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile, con particolare riferimento al governo delle piene.

 

Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 152 del 2006, la valutazione ambientale strategica (VAS), ossia la valutazione ambientale di piani e programmi, è il processo che comprende, secondo le disposizioni di cui al titolo II della seconda parte del decreto, lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio.

La verifica di assoggettabilità di un piano o programma, secondo quanto prevede la definizione di cui alla lettera m-bis) del comma 1 dell’articolo 5 del citato decreto è la verifica attivata allo scopo di valutare, ove previsto, se piani, programmi ovvero le loro modifiche, possano aver effetti significativi sull'ambiente e debbano essere sottoposti alla fase di valutazione considerato il diverso livello di sensibilità ambientale delle aree interessate.

 

In particolare, la norma integra il primo periodo del comma 1-bis dell'articolo 9 del decreto legislativo 23 febbraio 2010 n. 49, attuativo della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni, al fine di specificare che i piani di gestione del rischio di alluvioni che sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale strategica (VAS) sono quelli di cui all’articolo 7, comma 3, lettera a), del medesimo decreto. Tale disposizione prevede che le autorità di bacino distrettuali, sulla base delle mappe della pericolosità da alluvione, predispongano piani di gestione, coordinati a livello di distretto idrografico, secondo le modalità e gli obiettivi definiti ai commi 2 e 4 del medesimo articolo 7, per le zone ove possa sussistere un rischio potenziale significativo di alluvioni o si ritenga che questo si possa generare in futuro (articolo 5, comma 1, del d.lgs. 49/2010) e per quelle già individuate prima del 22 dicembre 2010 (articolo 11, comma 1, del d.lgs. 49/2010). Detti piani sono predisposti nell'ambito delle attività di pianificazione di bacino di cui agli articoli 65, 66, 67, 68 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (che raggruppa in un testo unico le norme in materia ambientale), facendo salvi gli strumenti di pianificazione già predisposti nell'ambito della pianificazione di bacino in attuazione della normativa previgente.

 

Il comma 1-bis dell’articolo 9 del d.lgs. 49/2010, introdotto dall’articolo 19, comma 1, lettera d), della legge 6 agosto 2013, n. 97 (legge europea 2013), prescrive che i piani di gestione del rischio di alluvioni, di cui all’articolo 7 del medesimo decreto, sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) di cui all’articolo 12 del d.lgs. 152/2006, qualora definiscano il quadro di riferimento per la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV[17] alla parte seconda del d.lgs. 152/2006, oppure possano comportare un qualsiasi impatto ambientale sui siti designati come zone di protezione speciale (ZPS) per la conservazione degli uccelli selvatici e su quelli classificati come siti di importanza comunitaria (SIC) per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica.

L’articolo 7, comma 8, del d.lgs. 49/2010 anticipa al 22 giugno 2015, anziché entro il 22 dicembre 2015 come previsto dalla direttiva 2007/60/CE, l’ultimazione e la pubblicazione dei piani di gestione.

 

Il riferimento specifico ai piani di gestione di cui all’articolo 7, comma 3, lettera a), del d.lgs. 49/2010 è volto, come già anticipato, ad escludere dalla verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica) la parte del piano di gestione del rischio alluvionale per il distretto idrografico di riferimento, relativa al sistema di allertamento nazionale e regionale, per il rischio idraulico ai fini di protezione civile, i cui indirizzi operativi sono dettati dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio 2004, con particolare riferimento al governo delle piene. In proposito, merita segnalare che l’articolo 6, comma 4, lettera c), del d.lgs. 152/2006 esclude dall’ambito di applicazione di tale decreto i piani di protezione civile in caso di pericolo per l'incolumità pubblica


 

Articolo 7
(Modifiche al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30)

 

L’articolo 7 modifica in più punti il d.lgs. 30/2013, con cui si è recepita nell’ordinamento nazionale la direttiva 2009/29/CE, che ha modificato la precedente direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra[18].

In particolare, la lettera a) corregge l’erronea indicazione del numero di membri della Segreteria tecnica del “Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto”, la cui composizione è disciplinata dall’art. 4, comma 10, del D.Lgs. 30/2013.

Tale comma dispone infatti che la Segreteria tecnica è composta da ventitré membri, ma disciplina solamente la nomina dei seguenti ventidue componenti:

§         sei membri (il coordinatore della Segreteria tecnica e cinque membri), nominati dal Ministero dell'ambiente;

§         sei membri nominati dal Ministero dello sviluppo economico;

§         due membri nominati dall'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente, (ENEA);

§         due membri nominati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);

§         due membri nominati dal Ministero dell'economia e delle finanze;

§         un membro nominato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

§         due membri nominati dall’Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC);

§         un membro nominato dal Gestore dei servizi energetici (GSE).

 

La lettera b) esclude dall’ambito di applicazione del Capo III del decreto, quindi dal sistema di assegnazione e rilascio di quote per le attività di trasporto aereo elencate all'allegato I svolte da un operatore aereo amministrato dall'Italia, le attività di volo effettuate con velivoli di Stato ed equiparati per la sicurezza nazionale (di cui all'articolo 744, primo e quarto comma, del codice della navigazione). A tal fine la lett. b) sostituisce l’articolo 5 del d.lgs. 30/2013 introducendovi un comma 2 che contiene la clausola di esclusione.

Si ricorda che l’art. 744 c.n. richiamato prevede al comma primo che siano aeromobili di Stato gli aeromobili militari [c.n. 745] e quelli, di proprietà dello Stato, impiegati in servizi istituzionali delle Forze di polizia dello Stato, della Dogana, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del Dipartimento della protezione civile o in altro servizio di Stato. Al quarto comma si specifica che sono equiparati agli aeromobili di Stato gli aeromobili utilizzati da soggetti pubblici o privati, anche occasionalmente, per attività dirette alla tutela della sicurezza nazionale.

 

Secondo la relazione governativa, si escludono pertanto dal campo di applicazione degli obblighi relativi all'ETS i velivoli di Stato e quelli ad essi equiparati per la sicurezza nazionale, come avviene in tutti i Paesi dell'Unione europea.

La relazione ricorda infatti che: “l'impostazione seguita dal legislatore (europeo e nazionale) per determinare l'applicabilità (e la conformità) degli operatori aerei al sistema di scambio di quote delle emissione di gas a effetto serra, il cosiddetto Emission Trade System (ETS), prevede (articolo 18-ter della direttiva 2003/87/CE c.d. direttiva ETS) che la Commissione possa chiedere l'assistenza di Eurocontrol ai fini dell'adempimento degli obblighi previsti dalla direttiva. Nelle norme vigenti con cui l'Italia ha aderito a Eurocontrol sono riportati, per i voli nazionali e per quelli internazionali, i criteri di determinazione delle tasse di rotta sullo spazio aereo italiano e delle tasse di aree terminali, nonché le relative circostanze di esenzione, recepiti successivamente negli accordi multilaterali costitutivi di Eurocontrol. Nello specifico, l'articolo 4 della legge 2 dicembre 1995, n. 575 (richiamato al comma 6 dell'articolo 5 del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 maggio 1989, n. 160, come poi modificato nel 2005), dispone che con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con i Ministri della difesa e del tesoro, sia determinata l'applicazione delle esenzioni previste per lo Stato italiano, da comunicare a Eurocontrol. L'impostazione adottata nel definire il campo di applicazione della direttiva ETS, che si basa sui princìpi della navigazione aerea, penalizza però alcuni tipi di aeromobili di Stato e gli aeromobili equiparati ad aeromobili di Stato, i quali sono trattati alla stregua di operatori aerei privati o commerciali”.

 

La lettera c) modifica la definizione di “riduzione sostanziale della capacità” contenuta, seppure in maniera non esplicita, nel comma 1 dell'articolo 26, del d.lgs. 30/2013, per finalità di adeguamento alla corrispondente definizione contemplata dall’art. 3, lettera j), della decisione n. 2011/278/UE, che stabilisce norme transitorie ai fini dell'armonizzazione delle procedure di assegnazione gratuita delle quote di emissioni ai sensi dell'articolo 10-bis della direttiva 2003/87/CE.

 

Ai sensi della citata lettera j), per «riduzione sostanziale della capacità» si intende una o più modifiche fisiche che determinano una riduzione sostanziale della capacità installata iniziale di un sottoimpianto e del suo livello di attività la cui entità corrisponde a quella considerata ai fini della definizione di ampliamento sostanziale della capacità.

L’ampliamento sostanziale della capacità è a sua volta definito, dalla precedente lettera i), come un aumento significativo della capacità installata iniziale di un sottoimpianto che comporta tutte le conseguenze seguenti:

i) si registrano una o più modifiche fisiche identificabili relative alla sua configurazione tecnica e al suo funzionamento, diverse dalla semplice sostituzione di una linea di produzione esistente; e

ii) il sottoimpianto può funzionare ad una capacità superiore di almeno il 10% rispetto alla capacità installata iniziale del sottoimpianto prima della modifica; o

iii) il sottoimpianto, cui le modifiche fisiche si riferiscono, raggiunge un livello di attività considerevolmente superiore che comporta l'assegnazione al sottoimpianto in questione di oltre 50.000 quote di emissioni supplementari l'anno, che rappresentano almeno il 5% del numero annuo preliminare di quote di emissioni assegnate a titolo gratuito per questo sottoimpianto prima delle modifiche.

 

Poiché la norma europea prevede che le conseguenze sui sottoimpianti determinate da un aumento significativo della capacità installata debbano verificarsi alternativamente come attesta il ricorso alla parola “o”, la lettera c) in commento è volta a sostituire – al comma 1 dell’articolo 26 del d.lgs. 30/2013 -  le parole “comporta le seguenti conseguenze” con le seguenti “comporta una delle seguenti conseguenze” adeguando di fatto la definizione prevista dalla norma nazionale a quella della decisione europea considerato che la definizione di “ampliamento sostanziale della capacità” è speculare a quella di riduzione sostanziale della capacità.

 

Analoga modifica non viene apportata alla definizione di “ampliamento sostanziale della capacità” di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 3 del D.Lgs. 30/2013, modifica alla quale sembra fare riferimento l’analisi tecnico-normativa laddove fa riferimento all’introduzione di modifiche al citato decreto legislativo finalizzate a meglio specificare la predetta definizione.

 

La lettera d) corregge un errato rinvio contenuto al comma 10 dell'articolo 36 del decreto 30/2013.

 

La lettera e) modifica il comma 2 dell'art. 41 del D.Lgs. 30/2013 che elenca le attività i cui costi sono posti a carico degli operatori interessati, secondo tariffe e modalità di versamento da stabilire con apposito decreto interministeriale a tutt’oggi non ancora emanato.

La lettera in esame introduce nel novero di tali attività anche quelle di cui all’art. 28, comma 1, vale a dire le attività poste in essere dall’ISPRA per l’amministrazione dei Registri ove vengono contabilizzate le quote di emissione e i relativi trasferimenti (Registro nazionale e Sezione italiana del Registro dell’Unione[19]) per l’attuazione delle misure necessarie per dare piena attuazione ai regolamenti sui registri medesimi.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si segnala che è attualmente all’esame delle istituzioni europee la proposta di direttiva (COM(2013)722) volta a modificare la direttiva 2003/87/CE che include le attività di trasporto aereo nel proprio sistema di scambio di emissioni (sistema EU-ETS). La proposta, tra l’altro, reca disposizioni volte ad esentare i voli da e per i paesi terzi dal computo delle emissioni rilasciate al di fuori dei paesi del SEE (Spazio Economico Europeo), ad introdurre una procedura semplificata per determinare la percentuale di emissioni di ciascun volo rientrante nel sistema EU ETS, allo scopo di ridurre gli oneri amministrativi gravanti sugli operatori.

Il voto del Parlamento europeo sulla proposta, attualmente esaminata in sede di trilogo, è previsto per i primi di aprile 2004.


 

Articolo 8
(Impianti termici civili)

 

L’articolo 8 reca disposizioni in materia di impianti termici civili finalizzate a disciplinare il rispetto degli adempimenti relativi all'integrazione del libretto di centrale, a cura del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto, le caratteristiche tecniche degli impianti e gli obblighi di comunicazione delle dichiarazioni di installazione degli impianti alle autorità competenti.

 

Prima di entrare nello specifico di tali modifiche è opportuno preliminarmente dare conto delle recenti disposizioni che sono state adottate in materia di impianti termici, che rappresentano il quadro nel quale le predette modifiche intervengono. Si tratta in particolare:

- dell’articolo 9, comma 2, del D.L. 5/2012;

Il comma 1 dell'art. 9 del D.L. 5/2012 ha demandato a un decreto interministeriale (a tutt’oggi non emanato), l’approvazione di un modello di dichiarazione unica di conformità degli impianti, che sostituirà le dichiarazioni previste dalla normativa vigente; in particolare, con riferimento agli impianti termici rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 1 del D.M. 37/2008, la dichiarazione di cui all'art. 284 del D.Lgs. 152/2006.

Il successivo comma 2 dispone che la dichiarazione unica di conformità e la documentazione allegata sono conservate presso la sede dell'interessato ed esibite, a richiesta dell'amministrazione, per i relativi controlli.

§         e dell'articolo 34, comma 52, del D.L. 179/2012.

Il comma 52 dell’art. 34 del D.L. 179/2012 reca modifiche all’art. 285 del d.lgs. 152/2006 in cui sono disciplinate le caratteristiche tecniche che devono essere rispettate dagli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW).

Il nuovo testo dell’articolo 285, in vigore dal 19 dicembre 2012, prevede l’adeguamento, entro il 1° settembre 2017, degli impianti termici civili autorizzati in base a disposizioni precedenti “purché sui singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali valvole termostatiche e/o ripartitori di calore”.

La stessa norma prevede altresì che il titolare dell’autorizzazione:

-      produce, quali atti autonomi, le dichiarazioni previste dall’art. 284, comma 1, del d.lgs. 152, nei novanta giorni successivi all’adeguamento;

-      effettua le comunicazioni previste da tale articolo nei tempi ivi stabiliti.

Inoltre il titolare dell’autorizzazione è equiparato all’installatore ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 288 del D.Lgs. 152/2006.

 

Quanto illustrato evidenzia che entrambe le disposizioni richiamate incidono sulle modalità di effettuazione delle dichiarazioni e delle comunicazioni previste dall’art. 284. del D.Lgs. 152/2006.

In estrema sintesi il comma 1 dell’art. 284 prevede, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW), che l'installatore verifichi e dichiari che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche previste dall’art. 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di emissione di cui all'art. 286. Tali dichiarazioni, secondo il medesimo art. 284, devono essere espressamente riportate in un atto allegato alla dichiarazione di conformità. L’autorità che riceve la dichiarazione di conformità provvede ad inviare tale atto all’autorità competente.

Il comma 2 dell’art. 284 prevede, per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia (0,035MW) in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del d.lgs. 152/2006, che il libretto di centrale deve essere integrato, a cura del responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto, entro il 31 dicembre 2012:

-     da un atto in cui si dichiara che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'articolo 285 ed è idoneo a rispettare i valori limite di cui all'articolo 286;

-     con l'indicazione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di cui all'articolo 286.

Lo stesso comma impone al responsabile dell'esercizio e della manutenzione dell'impianto di inviare tali atti integrativi all'autorità competente entro 30 giorni dalla redazione.

 

Il comma 1 dell'articolo in esame prevede che agli adempimenti relativi all'integrazione del libretto di centrale previsti dall'articolo 284, comma 2 (v. supra), si procede, ove non espletati in precedenza, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 2 riscrive l’art. 285 del d.lgs. 152/2006 con una formulazione pressoché identica a quella vigente prima della conversione in legge del D.L. 179/2012, come appare chiaro dal seguente testo a fronte.

 

Testo vigente

Testo novellato

Testo prima delle modifiche del D.L. 179/2012

1. Gli impianti termici civili che, prima dell'entrata in vigore della presente disposizione, sono stati autorizzati ai sensi del titolo I della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che, a partire da tale data, ricadono nel successivo titolo II, devono essere adeguati alle disposizioni del titolo II entro il 1° settembre 2017 purché sui singoli terminali, siano e vengano dotati di elementi utili al risparmio energetico, quali valvole termostatiche e/o ripartitori di calore. Il titolare dell'autorizzazione produce, quali atti autonomi, le dichiarazioni previste dall'articolo 284, comma 1, della stessa parte quinta nei novanta giorni successivi all'adeguamento ed effettua le comunicazioni previste da tale articolo nei tempi ivi stabiliti. Il titolare dell'autorizzazione è equiparato all'installatore ai fini dell'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 288.

1. Gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'allegato IX alla parte quinta del presente decreto pertinenti al tipo di combustibile utilizzato. l piani e i programmi di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa possono imporre ulteriori caratteristiche tecniche, ove necessarie al conseguimento e al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell'aria.

1. Gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'Allegato IX alla parte quinta del presente decreto pertinenti al tipo di combustibile utilizzato e le ulteriori caratteristiche tecniche previste dai piani e dai programmi di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa, ove necessarie al conseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell'aria.

 

Si fa notare che il ripristino della normativa previgente consente nuovamente di imporre il rispetto delle caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell'allegato IX alla parte quinta; un rispetto che non viene attualmente garantito dal testo vigente ove è scomparso ogni riferimento al citato allegato.

Si ricorda che la citata parte II dell’allegato IX disciplina i requisiti tecnici e costruttivi dell’impianto, con riferimento alle caratteristiche dei camini, ai canali da fumo, ai dispositivi accessori e agli apparecchi indicatori.

 

Il successivo comma 3 integra il testo del comma 2 dell’art. 9 del D.L. 5/2012 al fine di chiarire che restano altresì fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall'articolo 284 del d.lgs. 152/2006, ossia l’obbligo di trasmettere la dichiarazione di installazione degli impianti termici civili all'autorità competente per i controlli. Tale obbligo viene aggiunto al comma 2 dell’art. 9, che prevede la conservazione della dichiarazione unica di conformità e della documentazione allegata presso la sede dell'interessato al fine di una eventuale esibizione, a richiesta dell'amministrazione, per i relativi controlli.


 

Articolo 9
(Disposizioni per agevolare il ricorso agli appalti verdi)

 

L’articolo 9 modifica la disciplina delle garanzie a corredo dell'offerta nei contratti pubblici, di cui all'articolo 73 del d.lgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice), al fine di prevedere la riduzione del 20% dell’importo della garanzia, e del suo eventuale rinnovo, per gli operatori economici in possesso di registrazione al sistema di ecogestione e audit EMAS e di certificazione ambientale ai sensi della norma tecnica UNI EN ISO 14001, nonché per gli operatori in possesso del marchio di qualità ecologica dell'Unione europea Ecolabel.

Il medesimo articolo, inoltre, inserisce tra i criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, di cui all'art. 83 del Codice, il possesso di un marchio Ecolabel per le prestazioni di beni e servizi oggetto del contratto e la considerazione dell'intero ciclo di vita dell'opera, prodotto o servizio nel costo di utilizzazione e manutenzione.

 

Garanzie a corredo dell'offerta nei contratti pubblici (comma 1)

In particolare, il comma 1, lettera a), dell’articolo 9 modifica l’art. 75, comma 7, del Codice, prevedendo la riduzione del 20% dell'importo della garanzia a corredo dell’offerta, e del suo eventuale rinnovo:

- nei contratti relativi a lavori, servizi o forniture, a favore degli operatori economici in possesso di registrazione al sistema EMAS[20] e di certificazione  ambientale ai sensi della normativa UNI EN ISO 14001[21]. La predetta riduzione è anche cumulabile con la riduzione del 50% prevista per la medesima garanzia nel caso di imprese in possesso della certificazione del sistema di qualità (UNI CEI ISO 9000);

- nei contratti relativi a servizi o forniture, a favore degli operatori economici in possesso del marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel) in relazione ai beni o servizi che costituiscano almeno il 50 per cento delle prestazioni oggetto del contratto. Tale riduzione è anche cumulabile con le riduzioni cui si è fatto precedentemente riferimento.

 

L’art. 75 del Codice prevede, al comma 1,che l'offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente e al comma 2 che la cauzione può essere costituita, a scelta dell'offerente, in contanti o in titoli del debito pubblico. Il comma 7 prevede la riduzione dell'importo della garanzia, e del suo eventuale rinnovo, del 50% per gli operatori economici ai quali venga rilasciata, da organismi accreditati[22], la certificazione del sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI CEI ISO 9000.

Il comma 8 prevede infine che l'offerta è altresì corredata, a pena di esclusione, dall'impegno di un fideiussore a rilasciare la garanzia fideiussoria per l'esecuzione del contratto, di cui all'articolo 113, qualora l'offerente risultasse affidatario. Il comma 1 dell’art. 113 del Codice prevede che l'esecutore del contratto è obbligato a costituire una garanzia fideiussoria del 10 per cento dell'importo contrattuale; l’ultimo periodo di tale comma prevede l’applicazione del comma 7 dell’articolo 75.

 

Il comma 1, lettera b), dell’articolo 9 modifica il citato art. 75, comma 7, al fine di tenere conto dei suddetti benefici nella segnalazione del possesso dei requisiti che, in sede di offerta, l’operatore economico deve documentare nei modi prescritti dalle norme vigenti.

 

I criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (comma 2)

Il comma 2, lettera a), dell’articolo 9 integra i criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa previsti dall’articolo 83 del Codice.

 

L’articolo 83, comma 1, del Codice prevede che, quando il contratto è affidato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell'offerta, pertinenti alla natura, all'oggetto e alle caratteristiche del contratto. Tali criteri vengono elencati, a titolo esemplificativo, nel comma 1.

Il comma 2  stabilisce, inoltre, che il bando di gara ovvero, in caso di dialogo competitivo, il bando o il documento descrittivo, elencano i criteri di valutazione e precisano la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all'elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato.

 

In particolare:

-             viene inserito, tra i criteri di valutazione dell’offerta, il possesso di un marchio di qualità ecologica dell'Unione europea (Ecolabel), in relazione ai beni o servizi del contratto, in misura pari o superiore al 30% delle prestazioni oggetto del contratto stesso. Il possesso del marchio integra il criterio previsto dalla lettera e) del comma 1 dell’articolo 83, che riguarda le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell'opera o del prodotto;

 

-             viene modificato il criterio del costo di utilizzazione e manutenzione, di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 83, che viene integrato al fine di tenere conto anche dei consumi di energia e delle risorse naturali, delle emissioni inquinanti e dei costi complessivi, inclusi quelli esterni e di mitigazione degli impatti dei cambiamenti climatici, riferiti all’intero ciclo di vita dell'opera, bene o servizio.

 

Il comma 2, lettera b), dell’articolo 9 che modifica il comma 2 dell’articolo 83, specifica che, nel caso di previsione del criterio di valutazione di cui al comma 1, lettera f), nel bando di gara devono essere indicati i dati che gli offerenti devono fornire e il metodo che l'amministrazione aggiudicatrice utilizza per determinare i costi del ciclo di vita sulla base dei medesimi dati. La norma precisa, inoltre, che il metodo di valutazione di tali costi deve in particolare rispettare le seguenti condizioni:

-      basarsi su criteri oggettivamente verificabili e non discriminatori;

-      essere accessibile a tutti i concorrenti;

-      basarsi su dati che possono essere forniti dagli operatori economici con un ragionevole sforzo.

 

Relativamente alle norme in materia di contratti pubblici, che vengono modificate dall’articolo in commento, si segnala, infine, che l'11 febbraio 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha approvato in via definitiva, nell'ambito della procedura legislativa ordinaria, le tre proposte di direttiva comprese nel pacchetto per la modernizzazione degli appalti pubblici in Europa, che comprendono due direttive in materia di appalti (una sugli appalti nei cosiddetti "settori speciali" - acqua, energia, trasporti e servizi postali - e una sugli appalti pubblici) e una direttiva in materia di concessioni.  Tale pacchetto introduce una serie di importanti modifiche alla normativa europea, che dovranno essere recepite negli ordinamenti nazionali.

In questa sede, in particolare, merita segnalare che nella nuova direttiva sugli appalti pubblici (COM(2011)0896), secondo quanto risulta dai testi in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, l’articolo 67 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici procedano all’aggiudicazione degli appalti sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che è individuata sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita (life cycle cost) e può includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto pubblico in questione.


 

Articolo 10
(Applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi)

 

L’articolo 10 prevede, l’obbligo, per gli appalti di forniture di beni e di servizi, di prevedere nei relativi bandi e documenti di gara l'inserimento almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei "Criteri Ambientali Minimi " (CAM), ai sensi del Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, per l’acquisto di servizi energetici per gli edifici, di attrezzature per l'ufficio e di lampade. Tale obbligo si applica, per almeno il 50 per cento del valore delle forniture, dei lavori o dei servizi oggetto delle gare d’appalto, anche ad altre categorie di beni e servizi citate nella norma.

In particolare, l’articolo 10 inserisce l'articolo 68-bis nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice) che prevede, al comma 1, l’obbligo, per gli appalti di forniture di beni e di servizi, di prevedere nei relativi bandi e documenti di gara l'inserimento almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei “criteri ambientali minimi” (CAM), che individuano un set di criteri ambientali “minimi” ai sensi del Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 aprile 2008 (indicato con l'acronimo PAN GPP), aggiornato dal D.M. 10 aprile 2013, riguardo ai seguenti prodotti o servizi:

- servizi energetici per gli edifici - servizio di illuminazione e forza motrice, servizio di riscaldamento/raffrescamento di edifici di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 marzo 2012, e successivi aggiornamenti;

- attrezzature elettriche ed elettroniche d'ufficio (PC, stampanti, apparecchi multifunzione e fotocopiatrici), di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 22 febbraio 2011, e successivi aggiornamenti;

-      lampade HID e sistemi a LED, corpi illuminanti e impianti di illuminazione pubblica, di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 22 febbraio 2011, e successivi aggiornamenti.

 

La norma specifica che l’obbligo di applicare i criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi è previsto in attuazione delle disposizioni del comma 1127 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 2006, nell'ambito delle categorie merceologiche per le quali la pubblica amministrazione, nelle procedure di approvvigionamento, adotta obiettivi di riduzione dei gas che alterano il clima e obiettivi relativi all'uso efficiente delle risorse coerenti con quelli indicati nella comunicazione della Commissione europea “Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse” (COM(2011) 571 definitivo).

 

I commi 1126-1128 dell’articolo 1 della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) prevedono la definizione di un Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione. Tale Piano dà attuazione alla politica di acquisti cd. verdi da parte della P.A., ovvero il rispetto di alcuni criteri ambientali e sociali nella scelta di prodotti o servizi, indicata comunemente con il termine di Green Public Procurement (GPP). Nel comma 1127 vengono quindi indicate le categorie merceologiche per le quali dovranno essere perseguiti gli obiettivi di sostenibilità ambientale: arredi; materiali da costruzione; manutenzione delle strade; gestione del verde pubblico; illuminazione e riscaldamento; elettronica; tessile; cancelleria; ristorazione; materiali per l’igiene; trasporti.

Il Piano d'azione è stato approvato con il citato D.M. 11 aprile 2008 ed è stato aggiornato dal D.M. 10 aprile 2013 alla luce dell'evoluzione del contesto normativo di riferimento e delle indicazioni che emergono dalle strategie politiche ed ambientali dell'Unione Europea (vedi infra). Le modifiche principali che il documento apporta al PAN GPP riguardano la gestione del Piano e la procedura di definizione, l'approvazione e la divulgazione dei "Criteri Ambientali Minimi".

La Commissione europea, alla luce delle indicazioni della strategia "Europa 2020" e, in particolare, degli obiettivi contenuti nella comunicazione COM(2011)571 "Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse", conferma gli obiettivi ambientali strategici del punto 3.5 del PAN GPP adottato con il DM. 11 aprile 2008, relativi a: efficienza e risparmio nell'uso delle risorse, in particolare dell'energia, e conseguente riduzione delle emissioni di CO2; riduzione dell'uso di sostanze pericolose; riduzione quantitativa dei rifiuti prodotti. Nella citata Comunicazione COM (2011)571 si sottolinea come sia necessario moltiplicare l'efficienza nell'uso delle risorse al 2050 rispetto ai livelli attuali e conseguire una rilevantissima riduzione delle principali emissioni. Per conseguire questi ambiziosi traguardi, la Commissione europea segnala l'esigenza di ottenere precisi risultati già nel 2020. In considerazione dell'elevato livello di ambizione degli obiettivi ambientali europei e' necessario far in modo che lo strumento del GPP assuma il ruolo da protagonista che l'Unione Europea vi attribuisce. Anche le nuove direttive europee in materia di appalti pubblici, approvate definitivamente l’11 febbraio 2014, promuovono l’uso strategico degli appalti per ottenere merci e servizi che favoriscano l’innovazione, rispettino l’ambiente e contrastino il cambiamento climatico, migliorando l’occupazione, la salute pubblica e le condizioni sociali.

 

Il comma 2 del nuovo articolo 68-bis del Codice dispone che l'obbligo di cui al comma 1 si applica, per almeno il 50 per cento del valore delle forniture, dei lavori o servizi oggetto delle gare d'appalto, anche alle categorie di prodotti o servizi oggetto dei decreti ministeriali definiti ai sensi del citato D.M. 11 aprile 2008, di seguito indicati:

a)    carta per copia e carta grafica di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 4 aprile 2013, e successivi aggiornamenti;

b)    ristorazione collettiva e derrate alimentari, di cui all'Allegato 1 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 luglio 2011;

c)    affidamento del servizio di pulizia e per la fornitura di prodotti per l'igiene, di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 24 maggio 2012;

d)    prodotti tessili di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 22 febbraio 2011, e successivi aggiornamenti;

e) arredi per ufficio, di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 22 febbraio 2011, e successivi aggiornamenti.

 

Ai sensi del comma 3 del nuovo articolo 68-bis del Codice, l'obbligo di cui al comma 1 si applica, per almeno il 50 per cento del valore delle forniture, dei lavori o servizi, anche alle forniture di beni e servizi ed agli affidamenti di lavori aventi ad oggetto ulteriori categorie di prodotti o servizi indicate dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione, approvato con il citato D.M. 11 aprile 2008, dal momento della adozione con decreto ministeriale dei relativi criteri ambientali minimi.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

L’articolo in esame fa riferimento, al comma 1, alla Comunicazione della Commissione europea relativa alla Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell'impiego delle risorse (COM(2011)571). La proposta, su cui il Consiglio ha adottato conclusioni (21 febbraio 2012), reca l’indicazione degli obiettivi che l’UE si propone di raggiungere in materia, tra l’altro, di consumo e produzione sostenibili; trasformazione dei rifiuti in una risorsa; capitale naturale e servizi eco sistemici; biodiversità; alimentazione; efficienza energetica degli edifici; mobilità efficiente. La finalità è la definizione di un quadro d’azione coerente che comprenda diverse aree e settori con l’obiettivo di fornire una prospettiva stabile per trasformare l’economia.


 

Articolo 11
(Accordi di programma ed incentivi per l'acquisto dei prodotti derivanti da materiale post consumo)

 

L’articolo 11 reca una serie di disposizioni destinate ai prodotti derivanti da materiale "post consumo", per un verso, consentendo la stipula di accordi di programma tra soggetti pubblici e privati, e, per l'altro, dettando i principi per la definizione di un sistema di incentivi per l'acquisto e la commercializzazione di tali prodotti.  Le disposizioni sono inserite dal comma 1 dell’articolo 11 attraverso l’introduzione degli articoli 206-ter, 206-quater e 206-quinquies nel d.lgs 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice ambientale).

 

Lo strumento della stipula degli accordi e dei contratti di programma è già previsto in alcune disposizioni della Parte quarta, Titolo I, del d.lgs. 152/2006, che reca le norme in materia di gestione dei rifiuti. A titolo esemplificativo, si cita in questa sede l’articolo 206, che già prevede la stipula di appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria in particolare per: la sperimentazione, la promozione e l'attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti; l'adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell'impianto di produzione; l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani.

 

In particolare, l’articolo 206-ter prevede, al comma 1, la possibilità per il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente, di stipulare contratti e accordi di programma con: imprese che commercializzano prodotti derivanti da materiali post consumo recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani; enti pubblici; soggetti pubblici e privati; associazioni di categoria; soggetti incaricati di svolgere le attività connesse alla applicazione del principio di responsabilità estesa del produttore.

 

L’articolo 178-bis del d.lgs. 152/2006 prevede che, al fine di rafforzare la prevenzione e facilitare l’utilizzo efficiente delle risorse durante l’intero ciclo di vita, comprese le fasi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti, evitando di compromettere la libera circolazione delle merci sul mercato, possono essere adottati, previa consultazione delle parti interessate, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente, le modalità e i criteri di introduzione della responsabilità estesa del produttore del prodotto, inteso come qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell’organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell’accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo. Tali decreti non sono stati emanati.

 

Il comma 2 del nuovo articolo 206-ter prevede che gli accordi e i contratti di programma hanno ad oggetto l’erogazione di incentivi:

-            alle attività imprenditoriali di commercializzazione di prodotti da materiali post consumo, recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, derivanti da carta riciclata, plastiche miste riciclate - automotive, oggettistica per la casa, pannelli fonoassorbenti, arredamenti per esterni, materiali e particolari per prefabbricati, vetro 'fine' non avviabile alle vetrerie e compost di qualità;

-            ai soggetti economici e ai soggetti pubblici che acquistano prodotti derivanti dai predetti materiali post consumo.

Il comma 3 del nuovo articolo 206-ter demanda a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro dell’economia, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, l’individuazione delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente da destinare ai contratti e agli accordi di programma e la fissazione delle modalità di stipula dei medesimi accordi e contratti.

Il nuovo articolo 206-quater, introdotto dal comma 1 dell’articolo 11, prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione, sia adottato un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro dell’economia e delle finanze, al fine di stabilire il livello di incentivo e le percentuali minime di materiale post consumo contenute nei manufatti incentivabili, in considerazione sia della materia risparmiata che del risparmio energetico ottenuto riutilizzando i materiali e tenendo conto dell'intero ciclo di vita dei prodotti (comma 1). Per l'acquisto e la commercializzazione di manufatti realizzati in plastica mista riciclata l’incentivo concesso varia a seconda della categoria di prodotto (comma 2), in base ai criteri e alle percentuali stabiliti dall'Allegato L-bis alla parte quarta del d.lgs. 152/2006, inserito dal comma 2 dell’articolo 11 e dall’Allegato 1 del presente disegno di legge. L’incentivo di cui al comma 2 viene applicato ai soli manufatti che impiegano plastiche eterogenee da riciclo post-consumo in misura almeno pari alle percentuali indicate nella stessa tabella di cui all'Allegato L-bis. Si prevede, inoltre, che il contenuto di plastica eterogenea da riciclo in tali manufatti dovrà essere garantito da idonea certificazione, sulla base della normativa vigente (comma 3). Le agevolazioni previste possono essere fruite nel rispetto della disciplina europea degli aiuti di importanza minore concessi dagli Stati membri (aiuti 'de minimis').

 

Al riguardo, andrebbe sostituito il riferimento al regolamento n. 1998/2006, che è stato applicato dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013, con il regolamento n. 1407 del 2013, che è entrato in vigore il 1° gennaio 2014.

 

Il nuovo articolo 206- quinquies, introdotto dal comma 1 dell’articolo 11, prevede incentivi per l'acquisto e la commercializzazione di prodotti che impiegano materiali post consumo demandando a un regolamento da adottare, ai sensi del comma 3 dell’articolo 17 della legge n. 400 del 1988, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente del territorio e del mare e dell’economia e delle finanze, la definizione dei criteri e dei livelli di incentivo per l'acquisto di manufatti che impiegano materiali post consumo recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani diversi dalla plastica, in particolare carta riciclata, vetro 'fine' non avviabile alle vetrerie e compost di qualità.

 

Il comma 3 dell’articolo in commento prevede che, in sede di prima applicazione di quanto previsto dai nuovi articoli 206-quater e 206-quinquies sugli incentivi per la commercializzazione e l’acquisto di prodotti derivanti da materiali post-consumo, le regioni utilizzino le risorse derivanti dall’attuazione delle disposizioni dell'articolo 14 del presente disegno di legge (alla cui scheda di lettura si rinvia) e concernenti l'addizionale al tributo speciale per il conferimento in discarica (c.d. ecotassa) dovuto dai comuni che non conseguono gli obiettivi minimi di raccolta differenziata. L’impiego delle risorse è disposto dalla regione nell’ambito delle destinazioni indicate dai predetti articoli. Si prevede, inoltre, che il decreto interministeriale previsto dal comma 1 dell’articolo 206-quater individua le modalità di finanziamento degli incentivi da esso disciplinati.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Con riferimento alle disposizioni che introducono incentivi per l’acquisto di prodotti derivanti da materiali riciclati, si segnala che la finalità di promuovere il riciclaggio dei rifiuti, secondo la gerarchia europea delle forme di gestione dei rifiuti (prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo e smaltimento) è stata ribadita, da ultimo, dal Settimo Programma di Azione in materia di ambiente fino al 2020, approvato con la Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013 ed entrato in vigore lo scorso gennaio.

Il programma individua quattro linee di azione prioritarie: una migliore attuazione della legislazione ambientale dell'UE; una migliore informazione; la garanzia di investimenti a sostegno della politica ambientale e del cambiamento climatico; la piena integrazione dell'ambiente nelle altre politiche unionali. Infine, il Programma si prefigge di rendere le città dell'Unione più sostenibili e di rendere più incisiva l’azione dell'Unione europea a livello internazionale sui temi dell'ambiente e del clima.

 

Si ricorda, infine, che lo scorso anno la Commissione ha svolto una consultazione pubblica (conclusasi nel settembre 2013) allo scopo di preparare una generale revisione degli obiettivi europei di smaltimento dei rifiuti (attualmente, entro il 2020 devono essere riciclati o riutilizzati il 50% dei rifiuti urbani e domestici e il 70% dei rifiuti da costruzioni e demolizioni).


 

Articolo 12
(Procedure semplificate di recupero)

 

L’articolo 12 reca disposizioni volte ad assoggettare alle procedure semplificate di recupero dei rifiuti le attività di trattamento disciplinate dai regolamenti europei, che fissano le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto, e a definire il regime di autorizzazioni da applicare agli enti e alle imprese che effettuano operazioni di recupero di materia prima secondaria (MPS) da specifiche tipologie di rifiuti alle quali sono applicabili i predetti regolamenti. Tali disposizioni sono inserite attraverso due nuovi commi, 8-quater e 8-quinquies, all’articolo 216 del d.lgs. 152/2006 (che reca in un unico testo norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente).

Prima di analizzare nel dettaglio le disposizioni dettate dall'articolo in esame appare opportuno un chiarimento sui concetti di materia prima secondaria (MPS) e di end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto).

In assenza di una esplicita definizione di MPS, la Cassazione ha avuto modo di rilevare come la categoria delle MPS sia stata “introdotta dal D.lgs. n. 152/2006 al fine di escludere dalla disciplina dei rifiuti quelle sostanze che, fino dalla origine o dopo adeguate operazioni, presentano specifiche caratteristiche tecniche, fissate con decreto ministeriale, e sono idonee ad essere usate in un processo produttivo industriale o ad essere commercializzate” (sentenza n. 38495 del 2007), precisando che “la definizione non è applicabile in caso di rifiuti non destinati ad essere trasformati e reimpiegati dal momento che i detentori se ne sono disfatti mediante l’abbandono” e che “anche le Mps sono soggette alla normativa sulla gestione dei rifiuti sino al loro recupero completo (coincidente con il momento in cui non occorrono ulteriori trasformazioni per il successivo uso)”.

La disciplina di rango primario delle MPS era contenuta nell’articolo 181-bis del D.Lgs. 152/2006, il quale però è stato abrogato dal D.Lgs. 205/2010 che, in attuazione della direttiva rifiuti 2008/98/CE, ha introdotto, l’articolo 184-ter relativo alla cessazione della qualifica di rifiuto. Pertanto, oggi non si fa più riferimento espressamente alle materie prime secondarie (MPS), bensì ai criteri di cessazione della qualifica di rifiuto (in inglese end of waste, indicato sovente con l’acronimo EOW). Su questi criteri si ritornerà nel seguito.

 

Il nuovo comma 8-quater dell’art. 216 del Codice assoggetta alle procedure semplificate di recupero (disciplinate dagli articoli 214 e 216) le attività di trattamento disciplinate dai c.d. “regolamenti end of waste, a condizione che vi sia il rispetto di tutti i requisiti, criteri e prescrizioni (soggettive ed oggettive) previsti dai regolamenti medesimi con particolare riferimento:

a)    alla qualità e alle caratteristiche dei rifiuti da trattare;

b)    alle condizioni specifiche da rispettare nello svolgimento delle attività;

c)    alle prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano trattati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente con specifico riferimento agli obblighi minimi di monitoraggio;

d)    alla destinazione dei rifiuti che cessano di essere tali agli utilizzi individuati.

 

L’art. 6 della direttiva 2008/98/CE disciplina le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (in inglese end of waste, indicato sovente con l’acronimo EOW). Tale articolo trova il suo omologo nella disciplina nazionale all’art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006.

Il paragrafo 1 dell’art. 6 dispone che taluni rifiuti specifici cessano di essere tali quando siano sottoposti a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

Lo stesso paragrafo prevede che i criteri includano, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengano conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.

Il paragrafo 2 dell’art. 6 prevede l’adozione di regolamenti finalizzati all'adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e a specificare il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri. Lo stesso paragrafo dispone che criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri, almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, i pneumatici e i rifiuti tessili.

Per quanto riguarda lo stato della regolamentazione adottata a livello europeo si segnala che a breve dovrebbe essere emanato il regolamento EOW per la carta recuperata, che andrà ad aggiungersi ai seguenti regolamenti EOW già emanati:

§         regolamento 333/2011/UE sui rottami ferrosi (G.U. dell’UE dell'8 aprile 2011), entrato in vigore il 28 aprile 2011 ed applicabile a decorrere dal 9 ottobre 2011;

§         regolamento 1179/2012/UE sui rottami vetrosi (G.U. dell’UE dell'11 dicembre 2012), entrato in vigore il 31 dicembre 2012 ed applicabile a decorrere dall'11 giugno 2013;

§         regolamento 715/2013/UE sui rottami di rame (G.U. dell’UE del 26 luglio 2013), entrato in vigore il 15 agosto 2013 ed applicabile dal 1° gennaio 2014.

 

Si segnala altresì che il paragrafo 4 del medesimo articolo prevede che, se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario, in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possano decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. In tali casi è previsto l’obbligo di notifica alla Commissione. Tale disposizione è stata recepita dall’art. 184-ter, comma 2, in base al quale in mancanza di criteri comunitari, provvede con propri decreti il Ministro dell’ambiente, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto.

In attuazione di tali disposizioni è stato emanato il D.M. Ambiente 14 febbraio 2013, n. 22 (“Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni”), pubblicato nella G.U. 14 marzo 2013, n. 62.

Si osserva che la norma fa riferimento ai soli regolamenti dell’UE adottati a norma del paragrafo 2 dell’art. 6 della direttiva 2008/98, ma andrebbe valutato se considerare anche le norme nazionali adottate ai sensi del successivo paragrafo 4, in linea con quanto disposto dall’art. 184-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

Il comma 8-quinquies introduce una disposizione relativa agli enti e alle imprese che effettuano operazioni di recupero di materia prima secondaria (MPS) da specifiche tipologie di rifiuti alle quali sono applicabili i “regolamenti end of wastedi cui al comma precedente.

La disposizione in esame, nel definire il proprio campo di applicazione, fa riferimento alle operazioni effettuate ai sensi delle seguenti normative:

§         D.M. Ambiente 5 febbraio 1998 (“Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”);

§         D.M. 12 giugno 2002, n. 161 (“Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”);

§         D.M. 17 novembre 2005, n. 269 (“Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi provenienti dalle navi, che è possibile ammettere alle procedure semplificate”);

§         art. 9-bis, lettere a) e b), del D.L. 172/2008.

La richiamata lett. a) dispone che, fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'art. 181-bis, comma 2, del d.lgs. 152/2006, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del decreto stesso (cioè alle autorizzazioni per gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti) e alle AIA (autorizzazioni integrate ambientali). Si fa notare in proposito che l’art. 181-bis è stato abrogato dal comma 3 dell’art. 39 del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205. Il comma 2 di tale articolo abrogato prevedeva l’emanazione di un decreto interministeriale volto a definire le caratteristiche dei materiali ottenuti dai metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari.

La successiva lett. b) dispone che fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'art. 195, comma 2, lettera s-bis), del d.lgs. 152/2006 (ora lettera r) del medesimo comma), gli accordi e i contratti di programma in materia di rifiuti stipulati tra la P.A. e i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati prima della soppressione del comma 4 dell'art. 181 del decreto stesso (operata dal D.Lgs. 4/2008), continuano ad avere efficacia, con le semplificazioni ivi previste, anche in deroga alle disposizioni della parte quarta del medesimo decreto (che contiene la disciplina in materia di rifiuti), purché nel rispetto delle norme comunitarie.

Si ricorda, in proposito, che si tratta delle stesse norme per le quali il comma 3 dell’art. 184-ter prevede l’applicazione transitoria fino all’entrata in vigore dei nuovi decreti sull’end of waste previsti dal comma 2 del medesimo articolo.

Si ricorda che il citato comma 2 dispone che l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri EOW i quali, sempre secondo il comma 2, sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

Per gli enti e le imprese contemplati dal comma in esame, lo stesso comma prevede l’adeguamento delle attività alle disposizioni di cui al comma 8-quater o all'articolo 208 del d.lgs. 152/2006, entro sei mesi dall'entrata in vigore dei regolamenti end of waste di cui al comma 8-quater.

 

L’articolo 208 disciplina l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.

 

Relativamente al termine di sei mesi dall’entrata in vigore dei regolamenti “end of waste”, fissato nella norma, si segnala che i regolamenti adottati e precedentemente indicati sono già entrati in vigore e che, pertanto, andrebbe valutata l’opportunità di una modifica del predetto termine per l’adeguamento delle attività.

 

Fino alla scadenza di tale termine il comma in esame autorizza la continuazione dell'attività in essere nel rispetto delle vigenti disposizioni, richiamate dalla norma ed elencate in precedenza.

Il comma dispone, infine, che restano in ogni caso ferme le quantità massime stabilite dai decreti di cui al periodo precedente (vale a dire le medesime disposizioni elencate in precedenza).

Si ricorda in proposito che le quantità massime di rifiuti impiegabili rappresentano una condizione da rispettare, ai sensi dell’art. 216, per l’esercizio in forma semplificata delle operazioni di recupero.


 

Articolo 13
(Attività di vigilanza sulla gestione dei rifiuti)

 

Il comma 1 dell'articolo 13 modifica in più punti l’articolo 206-bis del d.lgs. 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente), al fine di eliminare ogni riferimento al cessato Osservatorio nazionale sui rifiuti e di trasferirne le funzioni al Ministero dell’ambiente.

 

La relazione illustrativa afferma che per effetto del combinato disposto dell'articolo 29 del D.L. n. 223/2006, in materia di contenimento della spesa per commissioni, comitati e altri organismi, e dell'articolo 68 del D.L. n. 112/2008, relativo alla riduzione degli organismi collegiali e di duplicazione di strutture, l'Osservatorio nazionale sui rifiuti non è più operativo dal 25 luglio 2010, non essendo stata avanzata entro tale data la richiesta di proroga ai sensi del comma 2 dell'articolo 68. Tuttavia, la cessazione dell'operatività dell'Osservatorio non ha comportato la soppressione delle funzioni allo stesso attribuite, nell'esercizio delle quali è subentrata la competente direzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che peraltro ne sostiene i costi.

 

In particolare, le lettere d) ed e) del comma 1 e il comma 2 recano disposizioni volte a disciplinare la copertura dei relativi oneri recati dalla costituzione della segreteria tecnica (organo già ausiliario del cessato Osservatorio), del quale il disegno di legge prevede che si avvalga il Ministero dell'ambiente per l'espletamento delle funzioni in precedenza svolte dall'Osservatorio.

 

Si ricorda in proposito che il comma 4 del citato articolo 206-bis ha previsto che la segreteria tecnica fosse costituita con decreto del Ministro dell'ambiente.

 

La lettera d) in esame sostituisce il citato comma 4, al fine di prevedere che la segreteria tecnica si insedi presso la competente direzione generale del Ministero dell’ambiente, e sia costituita con decreto del Ministro dell’ambiente adottato di concerto con il Ministro dell’economia, utilizzando allo scopo le risorse di cui al comma 6 dell’articolo 206-bis previste per il funzionamento dell’Osservatorio e della sua segreteria tecnica.

Il comma 6 dell’articolo 206-bis ha previsto che all’onere per la costituzione e il funzionamento dell'Osservatorio e della Segreteria tecnica, pari a due milioni di euro annui (aggiornato annualmente al tasso di inflazione), si provvedesse, tramite contributi di pari importo complessivo, versati dai consorzi per la gestione degli imballaggi (CONAI e consorzi di filiera o sistemi alternativi consentiti dal d.lgs. 152/2006) e dai consorzi per la gestione di particolari categorie di rifiuti (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti - CONOE, Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene -POLIECO, Consorzio nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi - COBAT, ecc.).

Il comma ha demandato altresì ad un decreto del Ministro dell'ambiente, la determinazione annuale dell’entità dell’onere da porre in capo ai Consorzi, disponendo che le somme  fossero versate dal Consorzio Nazionale Imballaggi e dagli altri Consorzi all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e della finanze, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente.

 

La lettera e) – con una novella al citato comma 6 – dispone che la riassegnazione delle predette risorse avvenga con le modalità di cui all’articolo 2, commi 616-617, della legge n. 244/2007.

 

Si ricorda in proposito che il comma 615 dell’articolo 2 della legge finanziaria per il 2008 ha introdotto il divieto, a decorrere dall’anno 2008, dell’iscrizione negli stati di previsione della spesa dei Ministeri di somme versate all’entrata del bilancio dello Stato  autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge stessa[23].

 

Si osserva che tra i provvedimenti legislativi dell’elenco 1 della legge n. 244/2007 coinvolti dal divieto di riassegnazione alla spesa di entrate di cui ai commi 615-617 della medesima legge n. 244/2007, vi è l’autorizzazione di spesa per il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, istituito e disciplinato dall’articolo 26 dell d.lgs. n. 22/1997 e poi dall’articolo 206-bis del d.lgs. n. 152/2006.

In relazione a quanto previsto dal comma 615, il comma 616 ha disposto l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione, di appositi Fondi da ripartire, con decreto ministeriale, nel rispetto delle finalità stabilite dalle stesse disposizioni legislative.

 

Ai sensi del comma 617, nei predetti Fondi confluisce il 50% dei versamenti riassegnabili nell’anno 2006 ai pertinenti capitoli dell’entrata del bilancio dello Stato.

La dotazione dei Fondi è tuttavia annualmente rideterminata in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti. L’obiettivo della norma è infatti acquisire al bilancio dello Stato la restante parte non più assegnata alla spesa dei Ministeri competenti in modo da assicurare in ciascun anno una quota di risparmio in termini di indebitamento netto[24].

Per il Ministero dell’Ambiente, sul capitolo 3822 è iscritto il Fondo da ripartire per le finalita' previste dalle disposizioni legislative di cui all'elenco n. 1 allegato alla legge finanziaria 2008, per le quali non si da' luogo alle riassegnazioni delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato, ai sensi dei sopra citati commi 615-617[25].

In ragione di quanto previsto dalla lettera e) del comma 1 dell’articolo 13 in esame, sarebbe opportuno introdurre una novella all’elenco 1 della legge n. 244/2007, al fine di sostituire la voce Decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 26, comma 5, con la seguente voce “D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, articolo 206-bis, comma 6”.

 

Il comma 2 prevede che il citato D.M. è adottato dopo il perfezionamento della procedura di riassegnazione delle risorse finanziarie cui si è precedentemente fatto riferimento, anche al fine di definire le modalità organizzative e di funzionamento della segreteria tecnica.

 

Il disposto del comma 3 è volto a far sì che tutti i riferimenti all'Osservatorio presenti in alcune norme del d.lgs. 152/2006 e in altre disposizioni di legge, nonché quelli all'Autorità di cui all'art. 207, o più genericamente alla "Autorità", si intendano riferiti al Ministero dell'ambiente.

Si ricorda che il testo originario del d.lgs. 152/2006 aveva previsto l’istituzione dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, disciplinata dagli articoli 159, 160 e 207. Tali articoli sono stati abrogati dal d.lgs. 284/2006, che ha nel contempo provveduto alla ricostituzione del Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche e dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti. Successivamente il d.lgs. 4/2008 ha introdotto nel d.lgs. 152/2006 l’art. 206-bis al fine di disciplinare la composizione ed il funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti. Ciononostante, per mancanza di coordinamento, nel testo vigente del decreto legislativo n. 152 compaiono ancora riferimenti alla soppressa Autorità.

 

Da ultimo, si segnala che l’articolo in commento reca disposizioni analoghe a quelle recate dall’art. 30 di una proposta di legge, che è stata esaminata nella scorsa legislatura e che non è stata definitivamente approvata (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale, A.S. 3162–B).


 

Articolo 14
(Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio)

 

L'articolo 14 reca una serie di modifiche all’art. 205 del d.lgs. 152/2006 (recante in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente) che disciplina il raggiungimento di precisi obiettivi di raccolta differenziata (RD) dei rifiuti urbani in ogni ambito territoriale ottimale (ATO).

Le modifiche previste dall'articolo in esame sono finalizzate:

§         a precisare che il raggiungimento degli obiettivi di RD può essere raggiunto a livello comunale, in alternativa all’ATO (numero 1), lett. a) del comma 1);

Si consideri, in proposito, il mutato quadro delle competenze nella gestione dei rifiuti, delineatosi in seguito alla soppressione delle autorità di ambito territoriale ottimale (AATO) operativa dal 1° gennaio 2013 in forza del disposto del comma 186-bis dell'art. 2 della L. 191/2009, che ha abrogato l’art. 201 del decreto legislativo n. 152 e previsto il trasferimento delle funzioni attribuite alle AATO ad altri enti individuati dalla legge regionale[26].

Si osserva che la disposizione in esame fa riferimento a due diversi ambiti territoriali: quello comunale e l’ATO, mentre le successive lettere c) e d) fanno riferimento solamente al comune.

§         a differire di 8 anni le scadenze previste per il raggiungimento degli obiettivi; (numeri 2), 3) e 4) della lett. a) del comma 1), come mostrato dalla tabella seguente:

Obiettivo RD

Scadenze attuali

Nuove scadenze

35%

31 dicembre 2006

31 dicembre 2014

45%

31 dicembre 2008

31 dicembre 2016

65%

31 dicembre 2012

31 dicembre 2020

 

Si ricorda che l’art. 11, par. 2, della direttiva 2008/98/CE impone agli Stati membri l’adozione delle misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi entro il 2020:

a) la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50% in termini di peso;

b) la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale, sarà aumentata almeno al 70% in termini di peso.

 

Lo slittamento dei termini si rende necessario –secondo la relazione illustrativa - per adeguare il dato normativo al dato reale (nel 2013 la percentuale media nazionale di raccolta differenziata si attesterebbe, secondo le stime preliminari ISPRA, al 39,9%) e per evitare che i Comuni incorrano nelle sanzioni correlate al mancato raggiungimento di tali obiettivi negli attuali termini di legge.

§         a sostituire l’attuale disciplina prevista per il mancato raggiungimento degli obiettivi, con una nuova disciplina che gradua l’importo del tributo speciale per il conferimento in discarica (c.d. ecotassa) dovuto dal comune, a seconda della percentuale di RD raggiunta dal comune medesimo (lett. b), c) e d) del comma 1), secondo le modalità sintetizzate nella tabella che segue. Nella colonna della variazione sono riportate, nei casi di mancato conseguimento degli obiettivi, le addizionali all’ecotassa determinate in percentuale rispetto all’ammontare dello stesso tributo.

Distanza dall’obiettivo RD

Variazione
applicata
all’ecotassa

0 (obiettivo raggiunto)*

-80%

fino al 5% alla scadenza del 1° termine annuale di adempimento

+10%

fino al 5% alle scadenze annuali successive

+20%

dal 5% al 10% alla scadenza del 1° termine annuale di adempim.to

+20%

dal 5% al 10% alle scadenze annuali successive

+30%

dal 10% al 20% alla scadenza del 1° termine annuale di adempim.to

+30%

* Si fa notare che la lettera c) dispone che la riduzione dell’ecotassa opera anche qualora il conseguimento dell’obiettivo sia raggiunto dal comune in anticipo rispetto ai tempi previsti dalla normativa

 

Si osserva che la disposizione non disciplina la variazione da applicare qualora la distanza dall’obiettivo sia compresa tra il 10 e il 20 per cento alle scadenze annuali successive, così come non disciplina il caso di distanze dall’obiettivo maggiori del 20 per cento.

 

Si fa notare che il testo vigente del comma 3 dell’art. 205 prevede che, nel caso in cui a livello di ambito territoriale ottimale non siano conseguiti gli obiettivi minimi previsti dal presente articolo, è applicata un'addizionale del venti per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dell'Autorità d'ambito, istituito dall'articolo 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ne ripartisce l'onere tra quei comuni del proprio territorio che non abbiano raggiunto le percentuali previste dal comma 1 sulla base delle quote di raccolta differenziata raggiunte nei singoli comuni.

 

La lettera b) sopprime i commi 1-bis e 1-ter dell’articolo 205 del d.lgs. 152/2006, che rispettivamente disciplinano la possibilità di consentire una deroga, rispetto al perseguimento degli obiettivi di raccolta differenziata, attraverso la stipula di un accordo di programma.

Il comma 3-ter dell’art. 205 (introdotto dalla lettera d) dell'articolo in esame) dispone che l'addizionale all’ecotassa, che i comuni devono pagare qualora non raggiungano gli obiettivi di RD, è dovuta alle regioni e affluisce in un apposito fondo della regione destinato a finanziare gli incentivi per l'acquisto di prodotti e materiali riciclati di cui agli articoli 206-quater e 206-quinquies del d.lgs. 152/2006 introdotti dall’art. 11 del presente disegno di legge (alla cui scheda di commento si rinvia). L'impiego delle risorse è disposto dalla regione, nell'ambito delle destinazioni indicate da tali articoli, con propria deliberazione annuale.

Si fa notare che il versamento dell’addizionale in apposito fondo finalizzato a precise destinazioni e l’utilizzo delle risorse mediante delibera regionale ricalca la disciplina prevista dal comma 27 dell’art. 3 della L. 549/1995 (vedi infra) per una parte (il 20%) del gettito dell’ecotassa.

 

La disciplina dell’ecotassa

La disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (c.d. ecotassa) è contenuta nei commi da 24 a 40 dell’art. 3 della L. 549/1995 .

Il comma 24 ha istituito il citato tributo, con decorrenza 1° gennaio 1996, al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia. Il successivo comma 26 ha individuato il soggetto passivo nel gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo (con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento).

Ai sensi del comma 27 il tributo è dovuto alle regioni, ma una quota del 10% di esso spetta alle province. Il 20% del gettito derivante dall'applicazione del tributo, al netto della quota spettante alle province, affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché per le bonifiche dei siti inquinati, il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e le aree naturali protette. L'impiego delle risorse è disposto dalla regione, nell'ambito delle destinazioni citate, con propria deliberazione.

Il successivo comma 29 disciplina l’ammontare dell'imposta per chilogrammo di rifiuti conferiti, che deve essere fissato annualmente con legge della regione all’interno dei valori massimi e minimi stabiliti dal comma medesimo.

Il comma 34 dispone che l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, il contenzioso amministrativo e quanto non previsto dai commi 24 e ss. sono disciplinati con legge regionale.


 

Articolo 15
(Consorzio per imballaggi compostabili)

 

L’articolo 15 integra il disposto del comma 1 dell’art. 223 del D.Lgs. 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice del’ambiente), al fine di consentire ai produttori di materie prime di plastica compostabili e ai produttori di imballaggi realizzati con materiali di plastica compostabili secondo la norma tecnica UNI EN 13432, la costituzione di un consorzio operante su tutto il territorio nazionale.

Viene altresì disposto che i produttori e gli utilizzatori che aderiscono a tale Consorzio sono esclusi, per tali materiali, dall'obbligo di partecipare ai consorzi di imballaggio di cui all'allegato E del medesimo decreto legislativo (c.d. consorzi di filiera del sistema CONAI - Consorzio nazionale imballaggi).

 

Si ricorda che l’art. 223, comma 1, prevede che i produttori che non provvedono ai sensi dell'articolo 221, comma 3, lettere a) e c) – cioè che non costituiscono un sistema alternativo a quello consortile[27] – sono obbligati a costituire un Consorzio per ciascun materiale di imballaggio di cui all'allegato E della parte quarta del d.lgs. 152/2006, operante su tutto il territorio nazionale.

 

In considerazione del fatto che la norma integra il disposto di cui al comma 1 dell’articolo 223, andrebbe valutata l’opportunità di una riformulazione al fine di fare riferimento ai consorzi di cui al primo periodo di tale comma, anziché ai consorzi di cui all’allegato E alla parte quarta, atteso peraltro che l’allegato E disciplina i materiali di imballaggio.

 

Relativamente alla citata norma UNI EN 13432 si ricorda che essa definisce i requisiti relativi agli imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione, nonché lo schema di prova e i criteri di valutazione per l'accettazione finale degli imballaggi. La norma considera in particolare le seguenti caratteristiche: biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in CO2; disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale; assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost. Da ultimo vengono considerati anche altri parametri chimico-fisici che non devono cambiare dopo la degradazione del materiale in studio.

 

Si ricorda infine che le disposizioni finalizzate all’introduzione nella normativa nazionale del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica (c.d. shoppers) non biodegradabili sono contenute nel D.M. 18 marzo 2013 (pubblicato nella G.U. del 27 marzo 2013), che più precisamente individua le caratteristiche tecniche dei sacchi per l'asporto delle merci. L’art. 6 del citato D.M. ha vincolato l’entrata in vigore del decreto stesso all’esito favorevole di apposita procedura di comunicazione in ambito UE.


 

Articolo 16
(Disposizioni per la piena attuazione delle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE, 2003/108/CE, 2006/66/CE in materia di RAEE e rifiuti di pile e accumulatori)

 

Le lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 16 modificano l’articolo 227 del d.lgs. 152/2006 (che reca in unico testo norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente) al fine di inserire i rifiuti di pile ed accumulatori, nel novero delle particolari categorie di rifiuti per le quali il decreto rinvia alle disposizioni speciali, nazionali ed europee vigenti. Nel caso dei rifiuti citati viene fatto rinvio alla disciplina recata dal d.lgs. 188/2008 di attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente pile, accumulatori e relativi rifiuti.

 

Tali modifiche sono funzionali all’inserimento nel testo dell’articolo 227, operata dalla lettera c) dell'articolo in esame, di un comma 1-bis che introduce (al fine di garantire la completa attuazione delle direttive in materia di pile e di RAEE, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) una procedura per la riassegnazione ad un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente dei proventi delle tariffe previste dalla normativa in materia di RAEE (articolo 19, comma 4, primo periodo, del d.lgs. 151/2005) e di rifiuti di pile e accumulatori (articolo 27, comma 5, del d.lgs. 188/2008).

 

L’articolo 27, comma 5, del d.lgs. 188/2008 prevede l’emanazione di un decreto interministeriale (a tutt’oggi non ancora emanato) di determinazione delle tariffe per la copertura degli oneri di cui al precedente comma 4, nonché delle relative modalità di versamento. Il comma 4, lo si ricorda, fa riferimento agli oneri relativi all'istituzione ed al funzionamento del “Registro nazionale dei soggetti tenuti al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di pile e accumulatori”, all'espletamento delle attività del Comitato di vigilanza e controllo, ivi incluse le attività ispettive, e delle attività dell'ISPRA previste dal decreto n. 188.

L’articolo19, comma 4, primo periodo, del d.lgs. 151/2005 prevede l’emanazione di un decreto interministeriale (a tutt’oggi non ancora emanato) di determinazione delle tariffe per la copertura degli oneri di cui al precedente comma 3, nonché delle relative modalità di versamento.

Tale articolo, così come la maggioranza degli altri articoli del d.lgs. 151/2005, sarà abrogato dal decreto legislativo (in corso di pubblicazione nella G.U.), adottato in attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Le competenti Commissioni parlamentati della Camera e del Senato hanno espresso sullo schema di decreto (atto del Governo n. 69) il prescritto parere rispettivamente nelle sedute del 5 marzo 2014 e del 25 febbraio 2014.

Secondo quanto riportato nello schema, le disposizioni contenute nel comma 4 dell’articolo 19 sono contemplate dall’art. 41, comma 5, e riguardano la determinazione delle tariffe per la copertura degli oneri relativi alle attività di monitoraggio svolte dall’ISPRA in merito al raggiungimento del tasso di raccolta e degli obiettivi di recupero e riciclaggio, nonché degli oneri di funzionamento del Comitato di vigilanza e controllo, del Comitato di indirizzo sulla gestione e di tenuta del “Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei RAEE”, oneri che sono a carico dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) in base alle rispettive quote di mercato.

 

Appare quindi opportuno un coordinamento della norma in esame con la nuova disciplina in materia di RAEE.

 

La norma in commento disciplina altresì la destinazione degli importi derivanti dalla succitata riassegnazione, prevedendo che essi siano destinati alle attività i cui oneri - ai sensi dei citati articoli 19, comma 4, primo periodo, del d.lgs. 151/2005, e 27, comma 5, del d.lgs. 188/2008 – sono coperti dalle tariffe previste dalle norme medesime.

 

Da ultimo, si osserva che – alla lettera c) del comma 1 – qualora si intendesse continuare a fare riferimento alla finalità di “garantire la completa attuazione delle direttive” europee, che non ha alcuna portata normativa, andrebbe quantomeno riformulata la disposizione al fine di espungere le direttive ormai abrogate e inserire le direttive 2012/19/UE e 2011/65/UE.

 

L’articolo 25 della citata direttiva 2012/19/UE ha, infatti, abrogato la direttiva 2002/96/CE, modificata tra l’altro dalla direttiva 2003/108/CE, con effetto dal 15 febbraio 2014.

La direttiva 2002/95 è stata invece abrogata dall'articolo 26 della direttiva 2011/65/UE, con effetto dal 3 gennaio 2013.

Procedure di contenzioso

Si segnala che lo scorso 20 novembre la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione n. 2009/2264 sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

L’archiviazione fa seguito all’approvazione dell’articolo 22 della legge n. 97/2013 (legge europea 2013) che reca le modifiche al decreto legislativo n. 151/2005, che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2002/96/CE relativa ai rifiuti e restrizione all’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche

Si ricorda che la procedura di infrazione era stata avviata dalla Commissione perché, nel decreto legislativo n. 151/2005, non sarebbero state considerate conformi le disposizioni relative a:

-     definizione di produttore: l’art. 3, comma 1, lettera m), del decreto legislativo definisce “produttore” chiunque importa o immette per primo apparecchiature elettriche ed elettroniche nell’esercizio di un’attività professionale o commercializzazione nel territorio nazionale. Tuttavia, la Commissione ritiene che nella direttiva RAEE l’espressione “importa o esporta” si riferisca al mercato europeo e non solamente al mercato nazionale. Per le stesse ragioni tali disposizioni non sono ritenute dalla Commissione conformi alla direttiva 2002/95/CE, relativa alla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;

-     trattamento: ad avviso della Commissione, le proroghe dell’entrata in vigore dell’obbligo per i produttori di finanziare la gestione ecologicamente corretta dei RAEE, previste dai decreti-legge n. 208/2008 (convertito dalla legge n. 13/2009) e n. 194/2009 (convertito dalla legge n. 25/2010), non sono conformi alla direttiva; inoltre, l’art 8, comma 2, del decreto legislativo rinvia erroneamente ad un allegato diverso da quello contenente le prescrizioni previste dalla direttiva in materia di trattamento selettivo per materiali e componenti di RAEE;

-     Allegati I B: la Commissione rileva alcune differenze tra l’allegato I B della direttiva RAEE e l’allegato I B che appaiono dare luogo ad una trasposizione scorretta o incompleta.

Gli altri rilievi sollevati nella lettera di costituzione in mora dell’8 ottobre 2009 erano risultati superati dalle modifiche normative nel frattempo approvate. Essi riguardavano:

-     ritiro gratuito dei RAEE da parte dei distributori;

-     obbligo di trattamento selettivo dei RAEE;

-     obbligo di raggiungimento degli obiettivi di reimpiego e riciclaggio per tutti i rifiuti di lampade a discarica;

-     obbligo di raccogliere informazioni sui rifiuti raccolti esportati;

 

Con la lettera di costituzione in mora complementare del 24 novembre 2011, la Commissione aveva sollevato ulteriori rilievi, basati su indagini di Greenpeace svolte in Italia nel 2009 e nel 2010 che avrebbero dimostrato la non corretta trasposizione della direttiva. Da tali indagini risulta che il 40 per cento dei rivenditori non rispetta l’obbligo del ritiro gratuito dei RAEE (in violazione dell’articolo 5, comma 2, lettera b), della direttiva) e che il 63 per cento di loro non informa gli acquirenti della gratuità del ritiro (in violazione dell’articolo 10, commi 1, lettera b) e 4, della direttiva); che i centri di raccolta, concentrati in poche regioni, non sono di facile accessibilità per la grande distribuzione o perché non sono autorizzati a ricevere RAEE o perché hanno orari di apertura limitati (in violazione dell’articolo 5, comma 2, lettera a), della direttiva).

Articolo 17
(Semplificazione in materia di emanazione di ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi nel settore dei rifiuti)

 

L'articolo 17 modifica l’articolo 191 del D.Lgs. 152/2006 (recante norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente) al fine di ridefinire e semplificare il meccanismo degli obblighi di comunicazione delle ordinanze contingibili e urgenti adottate – dal Presidente della Giunta regionale o dal Presidente della provincia ovvero dal Sindaco - per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere.

In particolare, la lettera a) del comma 1 sostituisce il secondo periodo del comma 1 del citato articolo 191 prevedendo che le ordinanze siano comunicate:

§         al Presidente della Giunta regionale, se adottate dal Sindaco o dal Presidente della Provincia;

§         al Ministro dell'ambiente, se adottate dal Presidente della Giunta regionale.

 

Il testo vigente del comma 1 dell’art. 191 prevede che le citate ordinanze siano comunicate, entro tre giorni dall’adozione, ai seguenti soggetti: al Presidente del Consiglio dei Ministri; al Ministro dell'ambiente; al Ministro della salute; al Ministro delle attività produttive; al Presidente della regione; all'autorità d'ambito territoriale ottimale (AATO). Al riguardo, si rammenta che tali autorità sono state soppresse a decorrere dal 1° gennaio 2013 in forza del disposto del comma 186-bis dell'art. 2 della L. 191/2009, che ha abrogato l’art. 201 del D.Lgs. 152/2006 e previsto il trasferimento delle funzioni ad esse attribuite, trasferimento che è disciplinato dalle leggi regionali nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Il testo vigente prevede, inoltre, che le ordinanze hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento, inoltre, modifica il comma 5 dell’art. 191, che prevede l’obbligo in capo al Ministro dell'ambiente di comunicare alla Commissione europea le ordinanze che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi. In conseguenza di tale modifica si prevede che tali ordinanze relative ai rifiuti pericolosi siano comunicate dal Presidente della Giunta regionale al Ministro dell'ambiente. Si tratta di una modifica consequenziale a quella recata dalla lettera a) atteso che le ordinanze comunali e provinciali non sono più comunicate al Ministro, ma al Presidente della Giunta regionale, e che il comma 5 dell’art. 191 attribuisce al Ministro l’obbligo di comunicare alla Commissione europea le ordinanze che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi.

 

Un’ulteriore modifica al primo periodo del comma 1 dell’articolo 191 è volta a ribadire esplicitamente che le citate ordinanze in materia di rifiuti, che possono anche essere adottate in deroga alle disposizioni vigenti, devono comunque rispettare le norme contenute nelle direttive europee.


 

Articolo 18
(Modifiche alla disciplina per la gestione degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti)

 

L’articolo 18 modifica l’art. 233 del d.lgs. 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice del’ambiente), al fine di circoscrivere gli obblighi di adesione al CONOE (Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti) alle sole imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali esausti, rendendo invece facoltativa la partecipazione degli altri soggetti attualmente obbligati.

La lettera a) dell'articolo in esame elimina quindi la parte del comma 1 dell’art. 233 secondo cui tutti gli operatori della filiera degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti costituiscono un consorzio. Il testo novellato si limita a disporre l’istituzione del Consorzio.

La lettera b) riscrive il comma 5, che elenca i soggetti obbligati a partecipare al Consorzio, rendendo facoltativa la partecipazione dei soggetti diversi dalle imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali esausti, come si evince dalla seguente tabella che schematizza il nuovo regime partecipativo previsto e lo confronta con quello attualmente vigente.

 

Testo vigente dell’art. 233, co. 5

Testo novellato

SOGGETTI OBBLIGATI A
PARTECIPARE AL CONSORZIO

SOGGETTI OBBLIGATI A
PARTECIPARE AL CONSORZIO
(comma 5, primo periodo)

§         le imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali esausti

§         le imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali esausti

 

SOGGETTI PER I QUALI LA PARTECIPAZIONE È FACOLTATIVA
(comma 5, secondo periodo)

§         le imprese che riciclano e recuperano oli e grassi vegetali e animali esausti

§         le imprese che riciclano, recuperano oli e grassi vegetali e animali esausti

§         le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio di oli e grassi vegetali e animali esausti

§         le imprese che effettuano la raccolta o il trasporto o lo stoccaggio di oli e grassi vegetali e animali esausti

SOGGETTI PER I QUALI LA PARTECIPAZIONE È FACOLTATIVA

 

§         le imprese che abbiano versato contributi di riciclaggio ai sensi del comma 10, lett. d)

§         le imprese che abbiano versato contributi ambientali ai sensi del comma 10, lett. d)

 

 

La lettera c) reca una modifica consequenziale alle precedenti, volta a sostituire nel testo del comma 9 il riferimento agli operatori (ovunque ricorra) con quello alle sole imprese per le quali la partecipazione al consorzio è facoltativa, vale a dire quelle di cui al comma 5, secondo periodo.

Il testo vigente del comma 9 prevede che gli “operatori che non provvedono ai sensi del comma 1”, organizzino autonomamente la gestione degli oli e grassi vegetali e animali esausti su tutto il territorio nazionale.

 

La lettera d) novella il comma 12 al fine di consentire il conferimento di oli e grassi vegetali e animali esausti anche a soggetti autorizzati, in base alla normativa vigente, ad esercitare le attività di gestione di tali rifiuti.

Il testo vigente del comma 12 prevede, per chiunque detenga oli e grassi vegetali e animali esausti in ragione della propria attività professionale, l’obbligo del loro conferimento al Consorzio (direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dal medesimo) o ad uno dei sistemi autonomi organizzati ai sensi del comma 9. Lo stesso comma dispone che il citato obbligo di conferimento non esclude la facoltà per il detentore di cedere oli e grassi vegetali e animali esausti ad imprese di altro Stato membro dell’Unione europea.

 

 

Si fa notare che alcune delle norme novellate fanno riferimento ai “consorzi”, mentre in realtà dalla lettura dell’intero articolo e della sua rubrica si evince chiaramente che il Consorzio per la raccolta ed il trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti è solamente uno, il CONOE.

Tale imprecisione deriva dal fatto che l’unicità di tale Consorzio è stata ripristinata con l’emanazione del D.Lgs. 4/2008, poiché il testo originario del D.Lgs. 152/2006 aveva previsto la possibilità di istituire più consorzi (tanto che la rubrica stessa dell’articolo 233 recitava “Consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti”), innovando la precedente disciplina recata dal d.lgs. 22/1997 (“decreto Ronchi”) che prevedeva un solo consorzio.

 

Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di apportare ulteriori modificazioni all’articolo 233 del d.lgs. 152/2006 al fine di sostituire il riferimento ai “consorzi” con quello all’unico consorzio nazionale esistente, allineando così il testo dell’articolo alla sua rubrica.


 

Articolo 19
(Disposizioni per l'individuazione della rete nazionale integrata ed adeguata di impianti di incenerimento di rifiuti)

 

Il comma 1 dell'articolo in esame introduce l’art. 199-bis nel testo del D.Lgs. 152/2006 (recante in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice del’ambiente), che prevede l’emanazione di un decreto interministeriale finalizzato a:

§         censire l’attuale disponibilità sul territorio nazionale di impianti di incenerimento di rifiuti urbani indifferenziati; nello specifico la norma in esame prescrive che il decreto deve individuare, sul territorio nazionale:

-     gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani indifferenziati esistenti;

-     gli impianti approvati già previsti nella pianificazione regionale, provinciale e di ambito;

-     gli impianti oggetto di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica;

-     gli impianti per cui le procedure di aggiudicazione siano state già avviate;

Relativamente all’impiantistica esistente, si segnala che nel recente “Rapporto rifiuti urbani 2013” dell’ISPRA viene segnalato che “nel 2012 gli impianti di incenerimento per rifiuti urbani, frazione secca (FS) e CSS operativi sul territorio nazionale, sono pari a 45”. Di ognuno di tali impianti la tabella 3.11 di pag. 220 evidenzia singolarmente il dettaglio del quantitativo di rifiuti urbani inceneriti.

§         stabilire il fabbisogno nazionale residuo di tali impianti, al fine di determinare la rete nazionale integrata ed adeguata di impianti di incenerimento di rifiuti ai sensi dell'art. 16 della direttiva 2008/98/CE.

Il citato articolo 16, paragrafo 1, impone agli Stati membri di adottare (di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno) le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti e di impianti per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica (inclusi i casi in cui detta raccolta comprenda tali rifiuti provenienti da altri produttori), tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Il paragrafo 2 del medesimo articolo prevede che tale rete sia concepita in modo da consentire sia a livello nazionale che comunitario di raggiungere l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti nonché nel recupero dei rifiuti di cui al paragrafo 1. Il comma 4 mitiga in parte le precedenti disposizioni disponendo che i principi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno Stato membro debba possedere l'intera gamma di impianti di recupero finale al suo interno.

 

Relativamente alle modalità di emanazione del citato decreto, l'articolo in esame dispone che esso sia emanato:

§         di concerto, dai Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico e della salute;

§         entro 4 mesi dall’entrata in vigore della disposizione;

§         sentita la Conferenza Unificata;

§         tenuto conto della pianificazione in materia di rifiuti adottata nei piani regionali e d’ambito e nei piani provinciali eventualmente previsti dalle normative regionali.

Si ricorda che l’art. 199, riscritto dal D.Lgs. 205/2010 di recepimento della direttiva 2008/98/CE, impone alle regioni di predisporre e adottare piani regionali di gestione dei rifiuti. Con riferimento al contenuto di tali piani, il comma 3 del medesimo articolo prevede che essi indichino, tra l’altro:

- tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, nonché una valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti;

- gli impianti di smaltimento e recupero esistenti;

- una valutazione della necessità della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità;

- informazioni sulla capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario;

- il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza.

Il comma 10 dell’art. 199 prevede che tali piani regionali siano aggiornati almeno ogni sei anni, mentre il comma 8 prescrive l’adeguamento entro il 12 dicembre 2013 dei piani regionali approvati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010 che ha riscritto il testo dell’art. 199 nonché numerose altre disposizioni della parte IV del d.lgs. 152/2006 al fine di recepire i contenuti della direttiva 2008/98/CE.

Si ricorda altresì che l’art. 203, comma 3, del d.lgs. 152/2006, impone alle autorità d’ambito territoriale ottimale (AATO) l’elaborazione di un piano d'ambito comprensivo di un programma degli interventi necessari, accompagnato da un piano finanziario (dal connesso modello gestionale ed organizzativo) che indica, in particolare, le risorse disponibili e quelle da reperire.

 

Si fa notare che l’art. 1, comma 3-ter, del D.L. 2/2012 impone al Ministero dell'ambiente, sentita la Conferenza unificata, di predisporre e presentare annualmente alle Camere (entro il 31 dicembre), una relazione recante l'indicazione dei dati relativi alla gestione dei rifiuti, alla connessa dotazione impiantistica nelle varie aree del territorio nazionale e ai risultati ottenuti nel conseguimento degli obiettivi prescritti dalla normativa nazionale e comunitaria, nonché l'individuazione delle eventuali situazioni di criticità e delle misure atte a fronteggiarle.

Al riguardo, si osserva che sembrerebbe opportuno un coordinamento della norma in esame con quella testé menzionata.

 

Il comma 2 reca una clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

In materia di incenerimento di rifiuti, si segnala che la tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse (COM(2011)571) prevede che, entro il 2020 i rifiuti saranno gestiti come una risorsa.

In particolare, i rifiuti pro capite saranno in fase di netto declino. Il riciclaggio e il riuso dei rifiuti saranno opzioni economicamente interessanti per gli operatori pubblici e privati, grazie alla diffusione della raccolta differenziata e allo sviluppo di mercati funzionali per le materie prime secondarie. Sarà riciclata una quantità maggiore di materiali, inclusi quelli che hanno un impatto ambientale considerevole e le materie prime essenziali. La legislazione in materia di rifiuti sarà pienamente applicata. Le spedizioni illecite di rifiuti saranno state completamente eliminate. Il recupero di energia sarà limitato ai materiali non riciclabili, lo smaltimento in discarica praticamente eliminato e sarà garantito un riciclaggio di alta qualità.

La direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) stabilisce, all’articolo 4, la seguente gerarchia dei rifiuti:

a) prevenzione;

b) preparazione per il riutilizzo;

c) riciclaggio;

d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;

e) smaltimento.

Si tratta di un ordine di priorità al quale si deve conformare la legislazione nazionale in materia di rifiuti, con l’adozione da parte degli Stati membri di misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. A norma di tale direttiva, l’incenerimento dei rifiuti solidi urbani è consentito solo quando è efficiente dal punto di vista energetico e, in tal caso, può essere considerato una opzione di recupero. Si tratta tuttavia di una scelta subordinata alla mancanza di alternative.

La validità di tale gerarchia è stata, da ultimo ribadita dal Settimo Programma d’azione per l’ambiente (decisione n. 1386/2013/UE del 20 novembre 2013).


 

Articolo 20
(Disposizioni in materia di contributo per la gestione di pneumatici fuori uso)

 

L'articolo 20 integra il disposto del comma 2 dell’articolo 228 del D.Lgs. 152/2006 (recante norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente), stabilendo che il contributo ambientale per la gestione di pneumatici fuori uso:

§         è parte integrante del corrispettivo di vendita;

§         è assoggettato ad IVA;

§         è applicato dal produttore o dall’importatore in base all’importo vigente alla data dell’immissione del pneumatico nel mercato nazionale del ricambio;

§         rimane invariato in tutte le successive fasi di commercializzazione del pneumatico;

§         deve essere riportato in modo chiaro e distinto nelle fatture. In proposito, la norma prevede che ciascun rivenditore ha l’obbligo di indicare in modo chiaro e distinto in fattura il contributo all'atto dell'acquisto del pneumatico.

 

Si fa notare che le disposizioni dettate dall'articolo in esame sono analoghe a quelle recate dall’articolo 9 di una proposta di legge, che è stata esaminata nella scorsa legislatura e che non è stata definitivamente approvata (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale, A.S. 3162–B).

 

Il contributo ambientale per la gestione di Pneumatici Fuori Uso (PFU)[28]

Il contributo ambientale PFU è stato istituito, a carico degli utenti finali, dal comma 2 del citato articolo 228, che ne ha disposto l’indicazione in fattura in tutte le fasi della commercializzazione degli pneumatici, al fine di far fronte agli oneri derivanti dall'obbligo di cui al comma 1.

Il comma 1 dell’articolo 228 dispone, infatti, che al fine di garantire il perseguimento di finalità di tutela ambientale secondo le migliori tecniche disponibili, ottimizzando, anche tramite attività di ricerca, sviluppo e formazione, il recupero degli pneumatici fuori uso e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione è fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione degli pneumatici fuori uso.

 

 

Al fine di dare attuazione alle disposizioni dettate dall’articolo 228 è stato emanato il D.M. Ambiente 11 aprile 2011, n. 82 (Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso), il cui articolo 5 ha disciplinato le modalità di determinazione del contributo. Tali modalità sono state successivamente modificate dal D.L. 5/2012, che ha introdotto nel testo dell’aricolo 228 un nuovo comma 3-bis, che ha affidato la determinazione del contributo a produttori e importatori di pneumatici o alle loro eventuali forme associate, diversamente da quanto previsto dal citato D.M. che ne attribuiva la competenza al Ministero dell'ambiente. Sono state pubblicate le linee guida per la determinazione del contributo ambientale per l’anno 2014.


 

Articolo 21
(Disposizione in materia di rifiuti non ammessi in discarica)

 

L’articolo 21 dispone l’abrogazione dell'articolo 6, comma 1, lettera p), del D.Lgs. 36/2003, che prevede il divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore) superiore a 13.000 kJ/Kg.

 

Si ricorda che l’articolo 6 del citato D.Lgs. 36/2003 (con cui è stata recepita la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) ha indicato tra i rifiuti che non possono essere ammessi in discarica, alla lettera p) del comma 1, anche i rifiuti con PCI > 13.000 kJ/kg. Occorre altresì ricordare che tale divieto non era previsto dalla direttiva 1999/31/CE, ma è stato introdotto nell’ordinamento nazionale con la finalità di potenziare il recupero energetico dei rifiuti attraverso processi di termovalorizzazione.

Tale divieto, previsto con decorrenza 31 dicembre 2010, in realtà non è finora mai stato operativo in virtù di una serie di proroghe, l’ultima delle quali recata dall’articolo 10, comma 1, del D.L. 150/2013, che ha differito la decorrenza della disposizione al 31 dicembre 2014.

Si ricorda inoltre che l’articolo 2, comma 4-sexiesdecies, del D.L. 225/2010 ha integrato il testo della citata lettera p) prevedendo che il divieto di smaltimento in discarica in esso contemplato non si applica ai rifiuti provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita (c.d. fluff) e dei rottami ferrosi per i quali sono autorizzate discariche monodedicate che possono continuare ad operare nei limiti delle capacità autorizzate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, cioè alla data del 27 febbraio 2011[29].

 

La relazione illustrativa, oltre a ricordare che l’abrogazione in esame è coerente con il diritto europeo, in quanto si tratta di un divieto non previsto nella pertinente normativa europea, sottolinea che la norma in esame “si rende necessaria a seguito dell'evoluzione normativa, che impone di conferire in discarica solo il rifiuto trattato, il cui potere calorifico può essere tale da rendere il rifiuto trattato non conferibile in discarica, in permanenza del divieto”.

In realtà tale ultima affermazione pare imprecisa poiché l’obbligo di trattamento dei rifiuti come prerequisito per lo smaltimento in discarica è contenuto nell’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 36/2003 (sin dalla sua versione iniziale), che recepisce analoga disposizione recata dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 1999/31/CE.

Probabilmente la relazione fa riferimento alla recente circolare del Ministero dell'ambiente del 6 agosto 2013 che, in merito alla definizione di "trattamento", ha precisato - in estrema sintesi - che la “tritovagliatura” e la “raccolta differenziata spinta” non soddisfano, da sole, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE.


 

Articolo 22
(Modifiche in materia di Autorità di bacino)

L’articolo in esame si propone di accelerare il processo, ancora incompleto, di riorganizzazione distrettuale della governance in materia di difesa del suolo, anche al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea nella nota del 26 marzo 2012 con cui la Commissione Europea ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato C(2012)1676 nell'ambito della procedura di infrazione 2007/4680 riguardante la non corretta trasposizione della direttiva 2000/60/CE in materia di acque, per la quale era stata già inviata all'Italia una lettera di messa in mora nel 2010.

Si ricorda in proposito che, al fine di recepire le disposizioni della direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, l’art. 63 del D.Lgs. 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente) ha previsto l'istituzione delle autorità di bacino distrettuale in ciascuno degli 8 distretti idrografici individuati nel successivo articolo 64. L’attivazione delle citate autorità è stata condizionata, dal comma 2 dell’art. 63, all'emanazione di un apposito D.P.C.M., che avrebbe dovuto definire i criteri e le modalità per il trasferimento delle risorse umane e strumentali dalle “vecchie” autorità di bacino (istituite dalla L. 183/1989, abrogata dal d.lgs. 152/2006) alle “nuove” autorità distrettuali.

Tale decreto attuativo non è però stato adottato. A tutt’oggi quindi non risultano ancora formalmente costituite le “nuove” autorità di bacino distrettuale.

Per ovviare a questa situazione, in via transitoria, con successivi interventi (D.Lgs. 284/2006 e D.L. 208/2008) il legislatore ha disposto che "nelle more della costituzione dei distretti idrografici […] e della eventuale revisione della relativa disciplina legislativa, le autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono prorogate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 2 dell'articolo 63" (art. 170, comma 2-bis, del D.Lgs. 152/2006).

E’ altresì intervenuto l’art. 4 del D.Lgs. 219/2010 che – “ai fini dell'adempimento degli obblighi derivanti dalle direttive 2000/60/CE e 2007/60/CE, nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” – ha assegnato alle “vecchie” autorità di bacino di rilievo nazionale (istituite ai sensi della L. 183/89) il ruolo di coordinamento delle attività di pianificazione nell'ambito del distretto idrografico di appartenenza.

Il comma 2 dell’articolo 24 della legge europea per il 2013 (legge 97/2013) dispone che le Autorità di bacino di rilievo nazionale (di cui alla legge 183/1989 sulla difesa del suolo) continuano ad avvalersi, nelle more della costituzione delle autorità di bacino distrettuali, dell’attività dei comitati tecnici costituiti nel proprio ambito. La norma precisa che la finalità della disposizione è quella di poter disporre del supporto tecnico necessario al corretto ed integrale adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 2000/60/CE, nonché dalla direttiva 2007/60/CE (relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni).

Questo regime transitorio ha quindi consentito (e sta consentendo) di dare attuazione – seppure incompleta, come rilevato dalla Commissione UE – al quadro normativo comunitario in materia di acque (direttiva 2000/60/CE) e di alluvioni (direttiva 2007/60/CE).

Nuove definizioni (comma 1)

Il comma 1 introduce nel testo dell’art. 54 del D.Lgs. 152/2006 le seguenti definizioni:

§         autorità di bacino distrettuale o autorità di bacino, con cui si indica l'autorità di distretto competente ai sensi dell'art. 3 della direttiva acque 2000/60/CE e dell'art. 3 del D.Lgs. 49/2010 di recepimento della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (nuova lettera z-bis) del comma 1 dell’art. 54);

L’art. 3 della direttiva 200/60/CE impone agli Stati membri di individuare i singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e di assegnarli a singoli distretti idrografici, nonché di adottare le disposizioni amministrative adeguate, ivi compresa l'individuazione dell'autorità competente, per l'applicazione delle norme previste dalla direttiva all'interno di ciascun distretto idrografico presente nel loro territorio.

Si ricorda che l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 49/2010 dispone che agli adempimenti previsti dal medesimo decreto provvedono le autorità di bacino distrettuali di cui all'art. 63 del D.Lgs. 152/2006.

§         piano di bacino distrettuale o piano di bacino, con cui si intende il piano di distretto (nuova lettera z-ter) del comma 1 dell’art. 54);

 

Disciplina organizzativa delle autorità di bacino (comma 2)

Il comma 2 riscrive l’art. 63 del Codice che reca la disciplina delle autorità di bacino distrettuale.

Il testo a fronte seguente evidenzia che le modifiche apportate riguardano principalmente la razionalizzazione della composizione e del funzionamento degli organi distrettuali.

Con riferimento a tale aspetto, si segnala, in particolare che:

§         è soppressa la segreteria tecnico-operativa (comma 2);

§         viene snellita la composizione della Conferenza istituzionale permanente, eliminando la partecipazione a tale organo dei Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali (o dei Sottosegretari dai medesimi delegati), nonché del delegato del Dipartimento della protezione civile (comma 4). I citati soggetti (ad eccezione del Ministro della funzione pubblica) continuano a partecipare alla Conferenza operativa (comma 8 del nuovo testo);

§         la partecipazione alle conferenze istituzionali permanenti dei distretti idrografici della Sardegna e della Sicilia viene allargata a tre rappresentanti degli enti locali. Viene inoltre raddoppiato (da 2 a 4) il numero di rappresentanti regionali (comma 4);

§         viene ridefinita la figura del Segretario generale - che non è più nominato dalla Conferenza istituzionale permanente, ma con apposito D.P.C.M. su proposta del Ministro dell'ambiente (comma 6 del nuovo testo) – e ne vengono disciplinate durata (quinquennale) e funzioni (comma 7 del nuovo testo);

§         viene introdotta, al comma 8 del nuovo testo, una disciplina dettagliata della Conferenza operativa (modalità deliberative, possibilità di integrazione dei membri per l’istruttoria, funzioni; tra le funzioni introdotte si segnalano quella di deliberare lo statuto dell’ente, da approvare con decreto interministeriale, i bilanci, la pianta organica e gli atti organizzativi e regolamentari).

 

Meritano di essere segnalate altresì le modifiche al comma 2 ed il nuovo testo del comma 3, relative alla procedura per addivenire al trasferimento, alle “nuove” autorità di bacino distrettuali, del personale e delle risorse strumentali e finanziarie.

Dal testo del comma 2 scompare il termine temporale attualmente previsto per l’emanazione del decreto (si valuti l’opportunità di reinserirlo) che deve fissare le modalità per effettuare il citato trasferimento. Inoltre la competenza per l’emanazione del decreto viene attribuita direttamente al Ministro dell'ambiente (di concerto con altri Ministri) e non, come prevede il testo vigente, al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente (di concerto con i medesimi Ministri).

Il nuovo comma 3 completa l’iter procedurale prevedendo l’emanazione, entro 90 giorni dall'emanazione del decreto precedente, di uno o più D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'ambiente, d'intesa con le regioni e le province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, che individueranno:

§         le risorse umane, strumentali e finanziarie trasferite nelle “nuove” autorità distrettuali;

§         le dotazioni organiche dei medesimi enti.

Lo stesso comma 3 prevede, per il personale trasferito, il mantenimento dell’inquadramento previdenziale di provenienza e del trattamento economico.

 

Testo vigente

Nuovo testo

1. In ciascun distretto idrografico di cui all'articolo 64 è istituita l'Autorità di bacino distrettuale, di seguito Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in conformità agli obiettivi della presente sezione ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità.

1. In ciascun distretto idrografico di cui all'articolo 64 è istituita l'Autorità di bacino distrettuale, di seguito Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in conformità agli obiettivi della presente sezione ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità.

3. Le autorità di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorità di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto.

Il decreto di cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e regolamenta il periodo transitorio.

Le autorità di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorità di bacino di cui al presente articolo.

2. Sono organi dell'Autorità di bacino: la Conferenza istituzionale permanente, il Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi.

2. Sono organi dell'Autorità di bacino: la conferenza istituzionale permanente, il segretario generale, la conferenza operativa, il collegio dei revisori dei conti. Agli oneri connessi al funzionamento degli organi dell’Autorità di bacino si provvede con le risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica,

da emanarsi sentita la Conferenza permanente Stato-regioni entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sono definiti i criteri e le modalità

 

 

 

per l'attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, salvaguardando i livelli occupazionali, definiti alla data del 31 dicembre 2005, e previa consultazione dei sindacati.

Con decreto del

 

Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,

 

 

sono disciplinate le modalità

 

per l'attribuzione o il trasferimento alle Autorità di bacino di cui al presente articolo del personale e delle risorse strumentali e finanziarie, salvaguardando i livelli occupazionali delle autorità di cui alla citata legge n. 183 del 1989, salvaguardando i livelli occupazionali, previa consultazione delle organizzazioni sindacali, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica e nell’ambito dei contingenti numerici da ultimo determinati dai provvedimenti attuativi delle disposizioni di cui all’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni.

 

3. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreto di cui al comma 2 con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, d'intesa con le regioni e le province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, sono individuate le unità di personale trasferite alle Autorità di bacino e sono determinate le dotazioni organiche delle medesime Autorità. l dipendenti trasferiti mantengono l'inquadramento previdenziale di provenienza e il trattamento economico fondamentale ed accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento dell'inquadramento; nel caso in cui detto trattamento risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell'ente incorporante, è attribuito, per la differenza, un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti. Con il decreto di cui al primo periodo sono, altresì, individuate e trasferite le inerenti risorse strumentali e finanziarie. ll Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.

4. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonché

4. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino sono adottati in sede di conferenza istituzionale permanente,

convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti o del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal segretario generale che vi partecipa senza diritto di voto. Alla conferenza istituzionale permanente partecipano il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e

 

i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile.

i presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati.

 

Alle conferenze istituzionali permanenti del distretto idrografico della Sardegna e del distretto idrografico della Sicilia partecipano, oltre ai Presidenti delle rispettive regioni, altri due rappresentanti per ciascuna delle predette regioni, nominati dai Presidenti regionali.

Per le Autorità relative ai distretti di cui all'articolo 64, comma 1, lettere f) e g), la conferenza istituzionale è integrata con quattro rappresentanti della regione e tre rappresentanti degli enti locali.

La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza.

La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza dei presenti. Le delibere della Conferenza istituzionale sono approvate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatta salva la procedura di adozione ed approvazione dei Piani di bacino.

Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

5. La conferenza istituzionale permanente di cui al comma 4:

a) adotta criteri e metodi per la elaborazione del Piano di bacino in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all'articolo 57;

b) individua tempi e modalità per l'adozione del Piano di bacino, che potrà eventualmente articolarsi in piani riferiti a sub-bacini;

c) determina quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni;

d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l'elaborazione del Piano di bacino;

e) adotta il Piano di bacino;

5. La conferenza istituzionale permanente:

a) adotta criteri e metodi per la elaborazione del Piano di bacino in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all'articolo 57;

b) individua tempi e modalità per l'adozione del Piano di bacino, che può articolarsi in piani riferiti a sub-bacini;

c) determina quali componenti del Piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni;

d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l'elaborazione del Piano di bacino;

e) adotta gli stralci del Piano di bacino;

f) controlla l'attuazione degli schemi previsionali e programmatici del Piano di bacino e dei programmi triennali e, in caso di grave ritardo nell'esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l'amministrazione inadempiente, fissando il termine massimo per l'inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all'adozione delle misure necessarie ad assicurare l'avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il Presidente della Giunta regionale interessata che, a tal fine, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

f) controlla l'attuazione degli schemi previsionali e programmatici del Piano di bacino e dei programmi triennali e, in caso di grave ritardo nell'esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l'amministrazione inadempiente, fissando il termine massimo per l'inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all'adozione delle misure necessarie ad assicurare l'avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il presidente della Regione interessata che, a tal fine, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

g) nomina il Segretario generale.

 

6. Il segretario generale è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

7. Il segretario generale, la cui carica ha durata quinquennale:

a) provvede agli adempimenti necessari al funzionamento dell'Autorità di bacino;

b) cura l'istruttoria degli atti di competenza della Conferenza istituzionale permanente, cui formula proposte;

c) promuove la collaborazione tra le amministrazioni statali, regionali e locali, ai fini del coordinamento delle rispettive attività;

d) cura l'attuazione delle direttive della conferenza operativa;

e) riferisce alla conferenza istituzionale permanente sullo stato di attuazione del Piano di bacino;

f) cura la raccolta dei dati relativi agli interventi programmati ed attuati, nonché alle risorse stanziate per le finalità del Piano di bacino da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali e comunque agli interventi da attuare nell'ambito del distretto, qualora abbiano attinenza con le finalità del piano medesimo.

6.  La Conferenza operativa di servizi è composta dai rappresentanti dei Ministeri di cui al comma 4, delle regioni e delle province autonome interessate,

 

 

 

 

 

 

 

nonché da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile; è convocata dal Segretario Generale, che la presiede,

8.    La conferenza operativa è composta dai rappresentanti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico, da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero delle infrastrutture e trasporti, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo, nonché da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri; è convocata dal Segretario Generale che la presiede.

e provvede all'attuazione ed esecuzione di quanto disposto ai sensi del comma 5, nonché al compimento degli atti gestionali. La conferenza operativa di servizi delibera a maggioranza.

La conferenza operativa delibera a maggioranza dei tre quinti dei presenti e può essere integrata, per le attività istruttorie, da esperti appartenenti ad enti, istituti e società pubbliche, designati dalla Conferenza istituzionale permanente e nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, senza diritto di voto e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e nel rispetto del principio di invarianza della spesa. La conferenza operativa esprime parere sugli atti di cui al comma 9, lettera a), ed emana direttive per lo svolgimento delle attività di cui al comma 9, lettere b) e c). La conferenza operativa delibera lo statuto dell'Autorità di bacino, che è approvato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La conferenza operativa, inoltre, delibera i bilanci preventivi e i conti consuntivi, nonché le variazioni di bilancio, il regolamento di amministrazione e contabilità, la pianta organica e gli atti organizzativi, il piano del fabbisogno del personale e gli atti regolamentari generali, trasmettendoli per l'approvazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dell'economia e delle finanze.

7. Le Autorità di bacino provvedono, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente:

a) all'elaborazione del Piano di bacino distrettuale di cui all'articolo 65;

b) ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche;

 

c) all'elaborazione, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati alla parte terza del presente decreto, di un'analisi delle caratteristiche del distretto, di un esame sull'impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonché di un'analisi economica dell'utilizzo idrico.

9. Le Autorità di bacino provvedono, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente:

a) a elaborare del Piano di bacino e i relativi stralci;

b) ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi del Piano di bacino dei piani e programmi dell’Unione europea, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche;

c) a elaborare, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati alla presente parte, un'analisi delle caratteristiche del distretto idrografico, un esame dell'impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sotterranee, nonché un'analisi economica dell'utilizzo idrico.

8. Fatte salve le discipline adottate dalle regioni ai sensi dell'articolo 62, le Autorità di bacino coordinano e sovraintendono le attività e le funzioni di titolarità dei consorzi di bonifica integrale di cui al regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nonché del consorzio del Ticino - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore, del Consorzio dell'Oglio - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago d'Iseo e del Consorzio dell'Adda - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como, con particolare riguardo all'esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d'acqua ed alla fitodepurazione.

10. Fatte salve le discipline adottate dalle regioni ai sensi dell'articolo 62 del presente decreto, le Autorità di bacino coordinano e sovrintendono le attività e le funzioni di titolarità dei consorzi di bonifica integrale di cui al regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nonché del Consorzio del Ticino - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago Maggiore, del Consorzio dell'Oglio - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago d'Iseo e del Consorzio dell'Adda - Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell'opera regolatrice del lago di Como, con particolare riguardo all'esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d'acqua ed alla fitodepurazione.

Modifica degli ambiti territoriali delle autorità di bacino (comma 3)

Il comma 3 riscrive l’art. 64 del d.lgs. 152/2006 - che rappresenta una sorta di norma “ponte” con la disciplina previgente, in quanto nell’individuare i “nuovi” distretti idrografici definisce i bacini esistenti che vi vengono fatti confluire - prevedendo:

§         la riduzione da 8 a 7 distretti, ottenuta facendo confluire il bacino del Serchio (che nell’attuale disciplina costituisce un distretto idrografico a sè stante) all’interno del distretto idrografico dell'Appennino settentrionale;

§         una riorganizzazione degli ambiti territoriali dei distretti, operata mediante lo spostamento di bacini da un distretto all’altro.


La tabella seguente evidenzia la nuova composizione dei distretti e gli spostamenti contemplati dal nuovo testo dell’art. 64:

 

Testo vigente

 

Nuovo testo

1 Distretto delle Alpi orientali

 

1 Distretto delle Alpi orientali

Adige

 

Adige

Alto Adriatico

 

Alto Adriatico

bacini del Friuli Venezia Giulia e del Veneto

 

bacini del Friuli Venezia Giulia e del Veneto

Lemene

 

Lemene

Fissaro Tartaro Canalbianco

 

 

2 Distretto Padano

 

2 Distretto del Fiume Po

Po

 

Po

3 Distretto dell’Appennino settentr.

 

Reno

Reno

 

Fissaro Tartaro Canalbianco

Conca Marecchia

 

Conca Marecchia

fiumi uniti, Montone, Ronco, Savio, Rubicone e Uso

 

fiumi uniti, Montone, Ronco, Savio, Rubicone e Uso

Lamone

 

Lamone

bacini minori afferenti alla costa romagnola

 

bacini minori afferenti alla costa romagnola

 

3 Distretto dell’Appennino settentr.

Arno

 

Arno

Magra

 

Magra

Fiora

 

Serchio

bacini della Liguria

 

bacini della Liguria

bacini della Toscana

 

bacini della Toscana

Foglia, Arzilla, Metauro, Cesano, Misa, Esino, Musone e altri bacini minori

 

 

4 Distretto dell’Appennino centrale

 

4 Distretto dell’Appennino centrale

Tevere

 

Tevere

Tronto

 

Tronto

Sangro

 

Sangro

bacini dell'Abruzzo

 

bacini dell'Abruzzo

bacini del Lazio

 

bacini del Lazio

Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche

 

Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche

 

 

Fiora

 

 

Foglia, Arzilla, Metauro, Cesano, Misa, Esino, Musone e altri bacini minori

5 Distretto dell’Appennino meridion.

 

5 Distretto dell’Appennino meridion.

Liri-Garigliano

 

Liri-Garigliano

Volturno

 

Volturno

Sele

 

Sele

Sinni e Noce

 

Sinni e Noce

Bradano

 

Bradano

Saccione, Fortore e Biferno

 

Saccione, Fortore e Biferno

Ofanto

 

Ofanto

Lao

 

Lao

Trigno

 

Trigno

bacini della Campania

 

bacini della Campania

bacini della Puglia

 

bacini della Puglia

bacini della Basilicata

 

bacini della Basilicata

bacini della Calabria

 

bacini della Calabria

bacini del Molise

 

bacini del Molise

6 Distretto della Sardegna

 

6 Distretto della Sardegna

bacini della Sardegna

 

bacini della Sardegna

7 Distretto della Sicilia

 

7 Distretto della Sicilia

bacini della Sicilia

 

bacini della Sicilia

8 Distretto del Serchio

 

 

bacino del Serchio

 

 

 

Modifica della procedura di approvazione del Piano di bacino (comma 4)

Il comma 4 integra la procedura per l’approvazione del piano di bacino prevedendo che il progetto di piano sia sottoposto, anteriormente all'adozione, al parere della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici territorialmente competente, per i profili di tutela dell'interesse culturale e paesaggistico (nuovo comma 3-bis dell’art. 65 del D.Lgs. 152/2006).

Tale modifica pare finalizzata a compensare l’eliminazione della partecipazione del Ministro per i beni e le attività culturali dalla Conferenza istituzionale permanente, organo competente all’adozione del piano di bacino, ai sensi del comma 2 dell’art. 66 del citato decreto legislativo.

 

Modifiche in materia di monitoraggio (comma 5)

Il comma 5 modifica le disposizioni in materia di monitoraggio previste dall’art. 118, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 al fine di:

§         riferirle non al piano di tutela (che viene redatto su scala regionale dalla regione competente) bensì al piano di gestione (che è di competenza dell’autorità distrettuale);

§         prevedere la trasmissione delle risultanze del monitoraggio anche alle competenti autorità di bacino distrettuale.

 

Si noti che le citate modifiche sono strettamente connesse con quelle recate dai successivi commi 6 e 7.

 

Modifiche al Piano di tutela delle acque (commi 6 e 7)

Il comma 6 riscrive i primi due commi dell’art. 121 del d.lgs. 152/2006, che disciplina i piani (regionali) di tutela delle acque.

La principale modifica al comma 1 dell’art. 121 è volta a configurare il piano di tutela delle acque come sottopiano integrativo e di dettaglio, su scala regionale, del piano di gestione elaborato su scala distrettuale.

La novella al secondo comma differisce al 31 dicembre 2014 il termine (ormai superato) del 31 dicembre 2007 per l’adozione dei piani di tutela e prevede che tali piani siano adottati successivamente ogni 6 anni.

Viene altresì previsto che tali piani siano trasmessi unicamente alle autorità di bacino distrettuali e non anche, come invece prevede il testo vigente, al Ministero dell’ambiente.

 

Il comma 7 differisce al 31 dicembre 2015 il termine (ormai superato) del 31 dicembre 2008 per l’approvazione, da parte delle regioni, dei piani di tutela.

 

Disposizioni transitorie (commi 8 e 9)

Il comma 8 reca una modifica di mero coordinamento formale del testo.

 

Il comma 9 prevede, nelle more dell’emanazione dei decreti previsti dal nuovo testo del comma 3 dell’art. 63 del d.lgs. 152/2006 (introdotto dal comma 2 dell'articolo in esame), volti a disciplinare il passaggio dalle “vecchie” alle “nuove” autorità di bacino, la nomina di commissari “distrettuali”, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, da parte del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni e le province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico.

Lo stesso comma indica i mezzi e il personale di cui può avvalersi il singolo commissario (individuandoli in quelli già in dotazione delle “vecchie” soppresse autorità di bacino) e il trattamento economico ad esso spettante, in modo da escludere nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Procedure di contenzioso

Con riferimento alle disposizioni in materia di strumenti di gestione delle risorse idrografiche, si segnala che è in corso la procedura di infrazione n. 2007/4680, promossa dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per la non conformità della Parte III del decreto 152/2006 con la direttiva 2000/60/CE che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. La procedura è arrivata allo stadio di parere motivato complementare emesso dalla Commissione europea il 23 gennaio 2014.

I profili di non conformità della normativa italiana riguardano i seguenti punti:

-     registri delle aree protette per ciascun distretto idrografico: la Commissione rileva che la mancata esplicita previsione dell’aggiornamento regolare di tali registri non è conforme alla direttiva;

-     requisiti minimi dei programmi di misure ed aggiornamento dei programmi: tali misure, previste dalla direttiva sotto forma di elenco, non risultano trasposte dal decreto legislativo ma risultano inserite, ma non integralmente, in diverse parti del decreto medesimo, in modo giudicato non conforme dalla Commissione (mancano, ad esempio, l’obbligo di compilare il registro delle estrazioni; il divieto della pratica del ravvenamento o dell’accrescimento artificiale dei corpi idrici sotterranei; misure esplicite riguardanti il controllo da sostanze inquinanti diverse dai nitrati e dai prodotti fitosanitari). Infine, il decreto legislativo non contiene alcuna previsione di revisione periodica dei programmi di misure;

-     piani di gestione dei bacini idrografici: contrariamente alla direttiva, l’obbligo di revisione periodica dei bacini idrografici previsto dal decreto legislativo è limitato ai piani di tutela delle acque adottati dalle regioni;

-     ottimizzazione dei programmi di monitoraggio: la normativa italiana non mette correttamente in relazione i programmi di misure relativi a corpi che rischiano di non conseguire gli obiettivi di qualità ambientale con l’ottimizzazione della progettazione dei programmi di monitoraggio;

-     caratterizzazione delle acque sotterranee: il mancato il riferimento nel decreto legislativo al ravvenamento, quale una delle pressioni a cui possono essere sottoposte le acque sotterranee, non è conforme alla direttiva così come anche il rinvio generico alle misure di ripristino da adottare, laddove la direttiva fa riferimento ad un elenco specifico di misure;

-     monitoraggio delle acque sotterranee: la Commissione ritiene non conformi alla direttiva le disposizioni in materia di intervalli spaziali tra i siti di monitoraggio; di frequenza temporale del monitoraggio; la mancata esplicitazione del divieto di scarichi diretti ed indiretti;

-     interpretazione e presentazione dello stato quantitativo delle acque sotterranee: il decreto legislativo non prevede l’obbligo di fornire mappe relative allo stato delle acque sotterranee con le caratteristiche cromatiche indicate dalla direttiva;

-     mappe dello stato chimico delle acque sotterranee: il decreto legislativo non appare conforme alla direttiva con riferimento alle medie con cui calcolare la conformità al buono stato chimico e alle modalità di segnalazione sulle mappe delle tendenze delle concentrazioni di inquinanti.


 

Articolo 23
(Disposizioni in materia di immobili abusivi)

 

L’articolo 23 introduce un meccanismo per agevolare, anche attraverso la messa a disposizione di risorse finanziarie (10 milioni di euro per l’anno 2014), la rimozione o la demolizione, da parte dei comuni, di opere ed immobili realizzati abusivamente nelle aree del Paese classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato (R3 o R4[30]), in assenza o in totale difformità del permesso di costruire[31].

 

Si rammenta che la legge di stabilità 2014 (L. 147/2013)  contiene alcuni commi finalizzati a finanziare interventi di messa in sicurezza del territorio. Si ricorda, in particolare, il comma 111 che, al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, destina ai progetti immediatamente cantierabili le risorse già esistenti (nel limite massimo di 1,4 miliardi di euro) e autorizza un finanziamento aggiuntivo di 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016, così ripartito: 30 milioni per il 2014, 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016.

Si ricorda altresì il comma 7, che destina quota parte (senza specificarne l’ammontare) delle risorse del FSC (Fondo Sviluppo e Coesione) al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti d'interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali.

 

Le nuove disposizioni contemplate dall'articolo in esame vengono collocate nel nuovo articolo 72-bis, che viene inserito nel testo nel testo del D.Lgs. 152/2006 (recante in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice del’ambiente).

Risorse finanziarie messe a disposizione per gli interventi di demolizione (commi 1 e 2)

Il comma 1 istituisce, nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente, un apposito capitolo per finanziare gli interventi di rimozione o demolizione succitati.

La dotazione di tale capitolo, ai sensi del comma 2, è pari a 10 milioni di euro per il 2014.

La copertura dell’onere citato è assicurata mediante corrispondente riduzione del “Fondo da ripartire per esigenze di tutela ambientale” disciplinato dall’art. 1, comma 432, della legge n. 266/2005.

Gli interventi finanziabili (commi 1 e 4)

Il comma 1 stabilisce che le risorse stanziate dall'articolo in esame (collocate nel citato capitolo del bilancio del Ministero dell’ambiente) sono destinate a finanziare la rimozione o demolizione, da parte dei comuni, di opere ed immobili realizzati, in aree a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, in assenza o in totale difformità del permesso di costruire.

Ai sensi del successivo comma 4 sono ammessi a finanziamento, sino a concorrenza delle somme disponibili nel citato capitolo, gli interventi su opere ed immobili per i quali sono stati adottati provvedimenti definitivi di rimozione o demolizione non eseguiti nei termini stabiliti.

Lo stesso comma dispone che sono finanziati prioritariamente gli interventi in aree classificate a rischio molto elevato (R3 e R4), sulla base di un apposito elenco elaborato trimestralmente dal Ministero dell'ambiente.

 

Viene fatta salva la disciplina contemplata dagli articoli 6, 13, 29 e 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), che contempla speciali procedure per addivenire alla demolizione, su iniziativa del Ministero dell'ambiente o dell’organismo di gestione dell'area naturale protetta, di opere realizzate in violazione delle misure di salvaguardia (art. 6) o in difformità rispetto alle previsioni del piano o del regolamento dell’area protetta o del nulla osta (art. 13)

La procedura che i comuni devono seguire per ottenere i finanziamenti (commi 5 e 6)

Per accedere ai finanziamenti, i comuni devono presentare al Ministero dell'ambiente apposita domanda di concessione, comprensiva della seguente documentazione, elencata dal comma 5:

§         relazione contenente il progetto delle attività di rimozione o demolizione;

§         elenco dettagliato dei relativi costi;

§         elenco delle opere ed immobili ubicati sul proprio territorio per i quali sono stati adottati provvedimenti definitivi di rimozione o demolizione non eseguiti;

§         documentazione attestante l'inottemperanza ai provvedimenti di demolizione dei destinatari dei medesimi.

 

Lo stesso comma prevede l’emanazione di un apposito decreto del Ministro dell'ambiente, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali[32], con cui sono adottati i modelli e le linee guida utili alla procedura di presentazione della domanda di concessione.

Si osserva che la norma non indica un termine per l’emanazione del citato decreto.

 

Il comma 6 dispone che i finanziamenti concessi sono da considerarsi aggiuntivi alle anticipazioni, concesse dalla Cassa depositi e prestiti, a valere sul “Fondo per le demolizioni delle opere abusive” istituito dall’art. 32, comma 12, del D.L. 269/2003 (c.d. terzo condono edilizio).

Il citato comma 12 ha previsto l’istituzione, presso la Cassa depositi e prestiti, di un Fondo di rotazione, denominato Fondo per le demolizioni delle opere abusive, con una dotazione di 50 milioni di euro, per la concessione ai comuni di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall'autorità giudiziaria e per le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse[33].

Resta altresì ferma la disciplina delle modalità di finanziamento e di realizzazione degli interventi di demolizione o rimozione di opere ed immobili abusivi contenuta in altre disposizioni.

La restituzione dei finanziamenti (commi 3 e 7)

La restituzione allo Stato dei finanziamenti concessi al Comune può avvenire in due differenti casi:

1.      incasso delle somme dai destinatari dei provvedimenti esecutivi di rimozione o demolizione (comma 3);

Il comma 3 prevede, infatti, per i comuni beneficiari dei finanziamenti, l’obbligo di agire nei confronti dei citati destinatari per la ripetizione delle spese sostenute, comprensive di rivalutazioni e interessi.

2.      mancata realizzazione degli interventi di rimozione o demolizione nel termine di 120 giorni dall'erogazione dei finanziamenti concessi (comma 7)

 

La procedura da seguire per la restituzione è identica in entrambi i casi succitati. Entro 30 giorni, il Comune deve provvedere al versamento delle somme ad apposito capitolo all'entrata del bilancio dello Stato, trasmettendone la quietanza di versamento al Ministero dell'ambiente.

Tali somme sono integralmente riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro dell'ambiente, al capitolo di cui al comma 1.

 

Il comma 3 dispone altresì che restano ferme le disposizioni in materia di acquisizione dell'area di sedime dettate dall'art. 31 del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001).

L’art. 31, comma 3, del D.P.R. 380/2001 stabilisce che, se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.


 

Articolo 24
(Fondo di garanzia delle opere idriche)

 

L'articolo 24 istituisce, a decorrere dal 2014, presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico[34], un Fondo di garanzia per gli interventi finalizzati al potenziamento delle infrastrutture idriche in tutto il territorio nazionale, alla cui alimentazione viene destinata una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, determinata dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI). Le modalità attuative sono demandate a successivi provvedimenti del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’AEEGSI.

La norma specifica altresì che essa non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Si fa notare che nell'articolo in esame viene utilizzata, per l’Autorità, la denominazione precedente all’entrata in vigore del comma 13 dell’articolo 13 del D.L. 145/2013, che ha modificato la denominazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas in “Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico”. Relativamente alla modifica della denominazione dell’Autorità, operata dal citato comma 13, si fa notare che essa ha consentito di dar conto, nella denominazione, del fatto che all’Autorità sono state attribuite funzioni in materia di sistema idrico; funzioni che l’Autorità stessa sta già svolgendo. L’assetto istituzionale che governa il settore idrico è stato infatti modificato dall’art. 21, commi 13 e 19, del D.L. 201/2011, che ha soppresso l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua trasferendo, tra l’altro, all'Autorità le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, che state individuate dal D.P.C.M. 20 luglio 2012.

 

Ciò premesso appare quindi opportuno modificare la norma in esame al fine di tener conto della nuova denominazione assunta dall’Autorità.

Finalità del Fondo (comma 1)

Ai sensi del comma 1 il Fondo è finalizzato al rilancio dei necessari programmi di investimento per il mantenimento e lo sviluppo delle infrastrutture idriche, finalizzati a garantire un'adeguata tutela della risorsa idrica e dell'ambiente secondo le prescrizioni europee e contenendo gli oneri gravanti sulle tariffe.

 

Tra gli obiettivi prioritari che la norma persegue la relazione illustrativa fa riferimento al completamento delle reti di fognatura e depurazione. In proposito, si ricorda che la medesima finalità è perseguita dal comma 112 dell’art. 1 della legge  di stabilità 2014 (L. 147/2013), che ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente, un Fondo per il finanziamento di un piano straordinario di tutela e gestione della risorsa idrica, finalizzato prioritariamente a potenziare la capacità di depurazione dei reflui urbani. A tale fondo, che dovrà essere ripartito sentita la Conferenza unificata, viene assegnata una dotazione complessiva di 90 milioni di euro per il triennio 2014-2016 (10 milioni per il 2014; 30 milioni per il 2015 e 50 milioni per l’esercizio 2016).

Definizione dei criteri di utilizzo del fondo e degli interventi prioritari tramite D.P.C.M. (comma 2)

Il comma 2 prevede l’emanazione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, volto alla definizione degli interventi prioritari, dei criteri e delle modalità di utilizzazione del Fondo, privilegiando l'uso del Fondo per interventi già pianificati e immediatamente cantierabili.

Lo stesso comma dispone altresì che il citato D.P.C.M. dovrà prevedere idonei strumenti di monitoraggio e verifica del rispetto dei principi e dei criteri in esso contenuti.

 

Il comma 2 disciplina inoltre la procedura per l’emanazione del decreto citato, stabilendo che esso sia emanato:

§         su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministeri dell'ambiente, dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico;

§         previa intesa in sede di Conferenza unificata;

§         sentita 'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico.

Principi da seguire nella definizione dei criteri di utilizzo del Fondo (comma 2)

Con riferimento alla definizione dei criteri, il comma 2 stabilisce che essi siano definiti, in particolare, tenendo conto dei fabbisogni del settore individuati:

§         sulla base dei Piani di Ambito di cui all'art. 149 del D.Lgs. 152/2006;

Ai sensi del comma 1 del citato articolo 149, il piano d'ambito è costituito dai seguenti atti: ricognizione delle infrastrutture; programma degli interventi; modello gestionale ed organizzativo; piano economico finanziario.

§         e delle necessità di tutela dell'ambiente e dei corpi idrici.

 

Lo stesso comma dispone che tali criteri sono finalizzati a:

§         promuovere la coesione sociale e territoriale;

§         e ad incentivare le regioni, gli enti locali e gli enti d'ambito ad una programmazione efficiente e razionale delle opere idriche necessarie.

 

Gestione e alimentazione del Fondo (commi 3 e 4)

Il comma 3 demanda a successivi provvedimenti dell’AEEGSI, la determinazione delle modalità di gestione del Fondo, nel rispetto dei principi e dei criteri definiti dal D.P.C.M. contemplato al comma 2.

 

Il comma 4, come già anticipato, destina all'alimentazione del Fondo una specifica componente della tariffa del servizio idrico integrato, determinata dall'Autorità nel rispetto della normativa vigente.

Lo stesso comma precisa che tale componente è volta anche alla copertura dei costi di gestione del Fondo medesimo.

 

L'Autorità ha approvato il 27 dicembre 2013 il Metodo tariffario idrico (MTI) che i vari Enti d'ambito o gli altri soggetti competenti dovranno utilizzare per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per gli anni 2014 e 2015. Le regole sono contenute nella delibera 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR che sostituisce il "metodo transitorio" definito dall'Autorità per il 2012 e 2013 (delibera 28 dicembre 2012 585/2012/R/IDR), dopo che il referendum di giugno 2011 abrogando in parte l'articolo 154, comma 1, del D.lgs 152/2006, aveva eliminato dai principi per la determinazione della tariffa quello dell’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dal gestore.


 

Articolo 25
(Tariffa sociale del servizio idrico integrato)

 

L’articolo 25 prevede che l’Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI) assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate l'accesso a condizioni agevolate alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali.

A tal fine il comma 1 prevede l’emanazione, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, per l’individuazione dei principi e dei criteri cui l’Autorità deve conformarsi.

Il successivo comma 2, per assicurare la copertura degli oneri conseguenti alle disposizioni citate, dispone che l'AEEGSI definisca le necessarie modifiche all'articolazione tariffaria per fasce di consumo o per uso determinando i criteri e le modalità per il riconoscimento delle agevolazioni.

 

L’articolo 3, comma 1, del D.P.C.M. 20 luglio 2012, che ha individuato le funzioni di regolazione del servizio idrico integrato trasferite all'Autorità, prevede che l’Autorità predisponga e riveda periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato prevedendo forme di tutela per le categorie di utenza in condizioni economico sociali disagiate individuate dalla legge.

L'Autorità ha approvato il 27 dicembre 2013 la delibera 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR con cui si definisce il Metodo tariffario idrico (MTI) che i vari Enti d'ambito o gli altri soggetti competenti dovranno utilizzare per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per gli anni 2014 e 2015. In particolare, alcuni disposizioni sono volte a fissare un obbligo di destinazione del Fondo nuovi investimenti (FoNI) al finanziamento di agevolazioni tariffarie a carattere sociale (si vedano articoli 8, 22 e 23 dell’allegato A alla delibera n. 643 citata).

Si fa notare che nell'articolo in esame viene utilizzata, per l’Autorità, la denominazione precedente all’entrata in vigore del comma 13 dell’articolo 13 del D.L. 145/2013, che ha modificato la denominazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas in “Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico”.

 

Appare pertanto opportuno modificare la norma al fine di tener conto della nuova denominazione assunta dall’Autorità.

 

 


 

Articolo 26
(Disposizioni in materia di morosità nel servizio idrico integrato)

 

L’articolo 26 prevede che l’Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI) adotti, nell’esercizio dei propri poteri regolatori (ad essa attribuiti dalla legge 481/1995), entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, direttive per il contenimento della morosità degli utenti del servizio idrico integrato. Secondo quanto previsto dalla norma tali direttive dovranno, in particolare, contemperare due esigenze: da un lato, salvaguardare la copertura dei costi efficienti di esercizio e investimento, tenuto conto dell’equilibrio economico e finanziario dei gestori; dall’altro, garantire il quantitativo di acqua necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentali di fornitura di acqua per l'utenza morosa.

Si rammenta che l’articolo 21, commi 13 e 19, del D.L. 201/2011, nel trasferire all'Autorità le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, ha precisato che tali funzioni vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481. Tale legge, che ha istituito le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, reca disposizioni che, secondo quanto prevede il comma 1 dell’articolo 1, hanno la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità. L’articolo 2 della medesima legge detta i principi generali cui deve ispirarsi la disciplina delle Autorità. L’articolo 3, comma 1, del D.P.C.M. 20 luglio 2012, che individua le funzioni di regolazione del servizio idrico integrato trasferite all'Autorità, prevede che l’Autorità predisponga e riveda periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato sulla base del riconoscimento dei costi efficienti di investimento e di esercizio sostenuti dai gestori.

Si fa notare che nell'articolo in esame viene utilizzata, per l’Autorità, la denominazione precedente all’entrata in vigore del comma 13 dell’articolo 13 del D.L. 145/2013, che ha modificato la denominazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas in “Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico”.

 

Appare quindi opportuno modificare la norma al fine di tener conto della nuova denominazione assunta dall’Autorità.

 

L’articolo in commento dispone altresì che le citate direttive dell’Autorità siano adottate sulla base dei principi e dei criteri definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell'ambiente e di concerto con il Ministro dello sviluppo economico.

Viene infine previsto, al comma 2, che l’Autorità provveda alla definizione delle procedure per la gestione del fenomeno della morosità e per la sospensione della fornitura, assicurando la copertura tariffaria dei relativi costi.

 

Nel recente documento di consultazione relativo alla regolazione tariffaria (n. 550/2013/R/IDR) viene ricordato che l’Autorità ha avviato, con le deliberazioni 87/2013/R/IDR e 117/2013/R/IDR, specifici procedimenti finalizzati alla definizione delle condizioni contrattuali obbligatorie inerenti la regolazione della morosità degli utenti finali, nonché alla definizione dei meccanismi di riconoscimento ai gestori degli oneri legati alla morosità e di contenimento del rischio credito. Nel documento viene sottolineato che “l’Unpaid Ratio a 24 mesi - calcolato come rapporto tra il mancato pagamento ed il totale delle fatture emesse due anni prima – risulta, a livello nazionale, mediamente pari al 4,49% (a fronte dell’1,18% del settore elettrico) con forte differenziazione geografica e per categorie di utenza”. Nel medesimo documento l’Autorità ritiene, inoltre, necessario prevedere un meccanismo di riconoscimento dei costi che incentivi la riduzione del tasso medio nazionale di morosità, attualmente molto elevato se confrontato con quello degli altri settori regolati, incentivando al contempo la riduzione dei divari territoriali.

Nella successiva deliberazione 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR di approvazione del metodo tariffario idrico e delle disposizioni di completamento, l’Autorità ha richiamato le norme previste dall'articolo in esame e dettato disposizioni finalizzate al trattamento dei costi di morosità (articolo 30 dell’allegato A alla delibera n. 643 citata). In particolare, Il costo di morosità, intesa come Unpaid Ratio (UR) a 24 mesi, è riconosciuto in misura parametrica, al fine di incentivare l’efficienza dell’attività di recupero credito, e in misura differenziata nell’ambito delle diverse macro-aree geografiche, in funzione della diversa incidenza media sul fatturato rilevata. Laddove l’entità del costo effettivo di morosità, superiore a quello riconosciuto, rischi di compromettere l’equilibrio economico-finanziario della gestione, si prevede una valutazione della possibilità di riconoscere costi aggiuntivi in sede di conguaglio.

 


 

Articolo 27
(Modifiche all'articolo 93 del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259)

 

L’articolo 27 inserisce quattro commi (da 1-bis a 1-quinquies) all'articolo 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (d’ora in avanti Codice), al fine di consentire la copertura, a carico dei soggetti presentatori, degli oneri sostenuti dai soggetti pubblici competenti per l’esame delle istanze di autorizzazione o delle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA) per l’installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e di determinate tipologie di impianti di cui agli articoli 87 e 87-bis del Codice medesimo.

In particolare, il nuovo comma 1-bis dell’articolo 93 del Codice impone, al soggetto che presenta l'istanza di autorizzazione per la installazione di nuove infrastrutture per impianti radioelettrici di cui all'articolo 87, il versamento di un contributo alle spese relative al rilascio del parere ambientale da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli di cui all'art. 14 della legge 36/2001 (quindi delle ARPA).

Si tratta, secondo la classificazione dell’articolo 87 del Codice, dell’installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonché per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di frequenza all'uopo assegnate, che deve essere autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale. Si ricorda in proposito che il comma 1 di tale articolo 14 prevede che le amministrazioni provinciali e comunali, al fine di esercitare le funzioni di controllo e di vigilanza sanitaria e ambientale per l'attuazione della legge n. 36 del 2001, utilizzano le strutture delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA).

 

Il nuovo comma 1-ter introdotto nell’articolo 93 del Codice reca una disposizione pressoché identica, ma con riferimento agli impianti di cui all’articolo 87-bis (impianti di completamento della rete di banda larga mobile per i quali è consentita la semplice presentazione della SCIA). Il soggetto che presenta la SCIA viene infatti obbligato, all'atto del rilascio del motivato parere positivo o negativo da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli di cui all'art. 14 della legge 36/2001 (quindi delle ARPA), al versamento di un contributo per le spese.

L’articolo 87-bis richiamato ha previsto infatti procedure semplificate, consistenti nella sola segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), per il completamento della rete di banda larga mobile, nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all’articolo 87.

 

Per quanto riguarda i principi che deve rispettare la contribuzione, l’art. 35 del Codice prevede che i contributi relativi alla concessione dei diritti per l'installazione, su aree pubbliche, di infrastrutture di reti di comunicazione elettronica, debbano essere trasparenti, obiettivamente giustificati, proporzionati allo scopo e non discriminatori e che si applichino le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 93.

L’articolo 93 del Codice dispone, al comma 1, che le pubbliche amministrazioni, le regioni, le province ed i comuni non possano imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. L’art. 93, comma 2, prevede inoltre l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime. Il comma 2 stabilisce inoltre che nessun altro onere finanziario, reale o contributo possa essere imposto, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, al di fuori di quelli espressamente previsti, che sono la tassa o il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ovvero un contributo una tantum per le spese di costruzione delle gallerie.

 

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme della Regione Toscana le quali prevedevano che gli oneri relativi all’effettuazione di verifiche e controlli degli impianti radio base della telefonia mobile esistenti sul proprio territorio fossero posti a carico dei titolari di detti impianti (sentenza 7 luglio 2010, n. 272) violando la riserva di legge posta dall’art. 93 del D.Lgs. 259/2003.

La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame si rende necessaria alla luce del fatto che molte regioni hanno emanato disposizioni istitutive di contributi, a carico dei soggetti presentatori, per coprire le spese sostenute dalle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA) nello svolgimento dei controlli istruttori previsti dall’art. 14 della legge 36/2001 La stessa relazione, inoltre, fa presente che lo stesso Istituto superiore per la protezione dell'ambiente e la ricerca ambientale (ISPRA) ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del mare e del territorio l'adozione di "strumenti normativi idonei a definire modalità di rilascio di autorizzazioni e di svolgimento delle azioni di controllo, prevedendo espressamente oneri a carico dei soggetti richiedenti"».

 

Il comma 1-quater dell’articolo 93 del Codice disciplina la determinazione dei contributi previsti ai commi precedenti, calcolati in base a un tariffario nazionale di riferimento da adottare con decreto interministeriale entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge. In via transitoria e fino alla predisposizione del tariffario nazionale, la norma stabilisce che i contributi previsti siano pari a 250 euro.

Relativamente alle modalità di adozione del tariffario, il comma in esame dispone sia emanato con decreto del Ministro dell’ambiente:

§         di concerto con il Ministro dello sviluppo economico;

§         sentita la Conferenza Stato Regioni;

§         anche sulla base del principio del miglioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione tramite l'analisi degli altri oneri applicati dalle agenzie ambientali delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

La disposizione precisa che il tariffario si applica al contributo previsto al comma 1-bis, per le attività che comprendono la stima del fondo ambientale come previsto dal modello A di cui all’allegato n. 13 del Codice (si tratta del modello con cui si fa istanza di rilascio dell’autorizzazione alla installazione dell'impianto dichiarando la sua conformità ai limiti di esposizione ed ai valori di attenzione di cui alla legge sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici), nonché per il contributo previsto dal comma 1-ter.

 

Il Modello A richiamato è il modello per l’istanza di rilascio dell'autorizzazione alla installazione dell'impianto in cui si dichiara la conformità ai limiti di esposizione ed ai valori di attenzione di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36. In tale modello, si prevede che la scelta tra i due formati ivi descritti rimane a discrezione dell'operatore e che in entrambi i casi (volume di rispetto, ovvero la forma geometrica in grado di riassumere in modo grafico la conformità ai limiti di esposizione ed ai valori di attenzione, oppure calcolo puntuale dei valori di campo nei punti dove si prevede una maggiore esposizione della popolazione), le valutazioni dell’operatore devono comprendere la stima del fondo ambientale, al fine di ottenere il campo elettrico complessivo.

 

Il comma 1-quinquies dell’articolo 93 del Codice, infine, dispone che le disposizioni di cui ai commi da 1-bis a 1-quater,  non si applicano ai soggetti di cui al comma 3 dell’articolo 14 della citata legge n. 36 del 2001: si tratta delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco, che sono pertanto esclusi dall’applicazione del contributo.

 

Da ultimo, si segnala che le disposizioni dettate dall'articolo in commento sono analoghe a quelle recate dall’art. 22 di una proposta di legge, che è stata esaminata nella scorsa legislatura e che non è stata definitivamente approvata (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale, A.S. 3162–B).


 

Articolo 28
(Acque reflue dei frantoi oleari)

 

L’articolo 28 introduce un comma 7-bis nel testo dell’art. 101 del d.lgs. 152/2006 (che reca in un testo unico norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente), al fine di prevedere l’assimilazione alle acque reflue domestiche, ai fini dello scarico in pubblica fognatura, delle acque reflue di vegetazione dei frantoi oleari.  La disposizione, pertanto, è volta ad introdurre un’ulteriore ipotesi di assimilazione alle acque reflue domestiche, che va ad aggiungersi a quelle già previste al comma 7 del medesimo articolo 101 (v. infra).

La disposizione introdotta prevede, inoltre, che al fine di assicurare la tutela del corpo idrico ricettore e il rispetto della disciplina degli scarichi delle acque reflue urbane, lo scarico di acque di vegetazione in pubblica fognatura è sempre ammesso nel rispetto delle norme tecniche, delle prescrizioni regolamentari e dei valori limite adottati dal gestore del servizio idrico integrato in base alle caratteristiche e all’effettiva capacità di trattamento dell'impianto di depurazione.

 

Ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lettera h), del d.lgs. 152/2006, la definizione di “acque reflue industriali” comprende qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. In base a quanto prevede la precedente lettera g), nelle “acque reflue domestiche” sono ricomprese invece le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche. Si tratta di definizioni mutuate dalla direttiva europea 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane.

Il comma 7 del citato articolo 101 consente l’assimilazione alle acque reflue domestiche, tra le altre, delle acque reflue provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura che “esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità” (lett. c) del comma 7). Tale assimilazione fa salvo quanto previsto dall’articolo 112 del medesimo decreto legislativo n. 152, che disciplina l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, che è sottoposta a una normativa e a sanzioni distinte.

Anche la giurisprudenza ha fatto registrare posizioni differenti che riflettono il quadro normativo precedentemente delineato. Se, da un lato, infatti, ha attribuito ai frantoi oleari la natura di installazioni nelle quali si svolgono attività di produzione di beni, conseguentemente affermando che lo scarico riguarda acque reflue industriali (si veda ad esempio Cassazione penale, sentenza 31 maggio 2002, n. 26614), dall’altro, ha fatto salva l’assimilazione delle acque provenienti dal frantoio alle acque domestiche se l’attività dello stesso è “inserita con carattere di normalità e complementarietà in un’impresa dedita alla coltivazione del fondo ed alla silvicoltura” e in presenza delle condizioni di cui al comma 7 dell’articolo 101 (si veda Cassazione penale, sentenza n. 1817 del 14 gennaio 2008).

La relazione illustrativa sottolinea che la disposizione in commento è finalizzata a introdurre un “chiarimento necessario per evitare il perpetuarsi di situazioni di sostanziale iniquità” anche in considerazione di quanto disposto dal citato comma 7 dell’articolo 101. Sul punto, però, pare opportuno ricordare che la questione è stata trattata in occasione dello svolgimento di alcuni atti di sindacato ispettivo nella precedente legislatura. Si richiama, in proposito, la risposta del Governo all’interrogazione 5-06465, nella seduta del 9 maggio 2012, ove si legge che “le acque reflue derivanti dall'attività dei frantoi oleari sono universalmente ritenute uno degli effluenti più inquinanti dell'industria alimentare, fonte di notevoli problemi nelle aree a vocazione olivicola di tutta Europa. Esse sono caratterizzate da elevati valori di COD (Chemical Oxygen Demand - richiesta chimica di ossigeno) e BOD (Biochemical Oxygen Demand - richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni), bassi valori di pH ed elevati valori di solidi sospesi totali. Inoltre, l'elevato contenuto di polifenoli rende molto difficile la degradazione batterica del refluo, conferendo allo stesso caratteristiche di fitotossicità. Tanto premesso, per quanto riguarda in particolare la possibilità dello scarico in fognatura, va evidenziato che, considerate le caratteristiche chimico-fisiche, già richiamate, delle acque di vegetazione, le usuali tecnologie utilizzate negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane presenti nel territorio nazionale non risultano idonee al trattamento dei reflui oleari, per lo smaltimento dei quali, peraltro, non erano stati progettati. In conseguenza di ciò, l'immissione di tali reflui negli impianti di trattamento urbani rischia di mettere in crisi i processi depurativi. Ciò finirebbe per determinare il mancato trattamento anche delle acque reflue urbane di natura più «ordinaria», normalmente convogliate. Le conseguenze in termini sia di inquinamento dell'ambiente idrico, sia di costi per il ripristino della funzionalità degli impianti sarebbero notevoli”.

Nella medesima risposta il Governo ha anche ricordato che dal punto di vista normativo, ad oggi, l'unica modalità di gestione alternativa allo smaltimento, ai sensi della disciplina sui rifiuti, risulta essere l'utilizzazione in agricoltura, da effettuarsi nel rispetto delle disposizioni regionali di attuazione del D.M. 6 luglio 2005 recante «Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari, di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152» (pubblicato nella G.U. 19 luglio 2005, n. 166).

Si segnala, infine, che il comma 112 dell’articolo unico della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare un Fondo per il finanziamento di un piano straordinario di tutela e gestione della risorsa idrica, finalizzato prioritariamente a potenziare la capacità di depurazione dei reflui urbani. Al fondo è stata  assegnata una dotazione complessiva di 90 milioni di euro per il triennio 2014-2016, così ripartiti: 10 milioni per il 2014; 30 milioni per il 2015 e 50 milioni per l’esercizio 2016. Sul punto merita ricordare infatti che la Corte di Giustizia (sentenza 19 luglio 2012, causa C-565/10) ha ritenuto che in Italia siano presenti agglomerati con più di 15.000 abitanti in cui non viene effettuato un trattamento conforme delle acque confluite nelle reti fognarie in contrasto con le prescrizioni e i tempi stabiliti dalla direttiva 91/271/CEE.

 


 

Articolo 29
(Combustione controllata di materiale vegetale)

L’articolo 29 attribuisce ai comuni il potere di disciplinare i casi in cui è consentita la combustione di residui vegetali agricoli e forestali (ivi compresi sfalci e potature) in piccoli cumuli e quantità e alle condizioni fissate nella norma.

L’articolo in esame limita il proprio campo di applicazione a “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso”, vale a dire il materiale contemplato dall’art. 185, comma 1, lettera f), del d.lgs. 152/2006.

In base all’art. 29, che introduce il comma 1-bis al citato articolo 185, il Comune, tenuto conto delle specifiche peculiarità del territorio, con propria ordinanza, può individuare aree, periodi ed orari in cui è consentito bruciare il materiale vegetale in questione, alle seguenti condizioni:

§         il materiale deve essere suddiviso in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri/stero[35] per ettaro;

§         la combustione deve essere controllata e avvenire sul sito di produzione;

§         la combustione deve avvenire mediante processi o metodi che in ogni caso non danneggino l'ambiente né mettano in pericolo la salute umana.

 

L’articolo 29 introduce specifiche eccezioni alla normativa vigente prevista dal comma 1, lettera f), dell’art. 185, ai sensi del quale paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso sono esclusi dalla disciplina sui rifiuti (dettata dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006) solo se “utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Tale norma, che è stata introdotta in recepimento della direttiva rifiuti 2008/98/CE (art. 2, paragrafo 1, lett. f), implica che, nei casi in essa non contemplati, tali materiali si configurano come rifiuti, e quindi non possono essere bruciati liberamente.

Si ricorda che l’articolo 256 del d.lgs. 152/2006[36] punisce infatti l’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, stabilendo che chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione, è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi.

Nelle fattispecie suscettibili di essere incluse nello smaltimento illecito dei rifiuti è inclusa anche la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale, che rappresenta peraltro una pratica agricola particolarmente diffusa. Per tale motivo, alcune regioni hanno adottato iniziative volte a ricondurre la pratica della bruciatura dei residui vegetali a pratica agronomica. .

La relazione illustrativa motiva quindi la norma in esame come necessaria al fine di risolvere le problematiche evidenziate anche alla luce del fatto che “le Autorità preposte non hanno ancora suggerito o prescritto una nuova filiera aziendale dei centri di raccolta (o consorzi obbligatori...) dove poter conferire il materiale da destinare poi alla filiera energetica delle biomasse, né individuato i soggetti gestori”.

La relazione illustrativa precisa, inoltre, che “il disegno di legge propone una modifica normativa volta a prevedere, in casi particolari, una deroga al decreto legislativo n. 152 del 2006 … così come già avviene in Francia”. In proposito, si segnala che in Francia è stata adottata una circolare del 18 novembre 2011, la quale prevede alcune eccezioni, che possono essere consentite dall’autorità prefettizia per ragioni agronomiche o sanitarie, al divieto di combustione dei rifiuti vegetali all’aria aperta.

 

Si segnala che la questione è stata anche oggetto di attenzione nel corso dell’attività parlamentare. Si consideri, infatti, che di una riscrittura dell’art. 185 si è discusso nella precedente legislatura nel corso dell’esame della proposta di legge A.S. 3162–B, che recava una serie di modifiche al d.gs. 152/2006 (si veda in particolare l’articolo 4).

La Commissione ambiente della Camera ha approvato, nella seduta del 26 settembre 2013, le risoluzioni 8-00015 e 7-00107, limitatamente al secondo capoverso. La risoluzione 8-00015 ha impegnato il Governo, tra l’altro, ad assumere iniziative normative, anche urgenti, nel quadro delle normative europee, al fine di escludere le piccole attività agricole delle aree montane o svantaggiate dall'applicazione della normativa sui rifiuti contenuta nella parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, per quanto riguarda lo smaltimento della paglia, degli sfalci, delle potature, nonché dei materiali agricoli naturali non pericolosi, mettendole in condizione di poter utilizzare autonomamente detto materiale mediante pratiche agricole ordinarie. Il secondo capoverso della risoluzione 7-00107 ha impegnato il Governo ad adottare opportune iniziative normative al fine di promuovere la diffusione del compostaggio aerobico nell'ambito della definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione integrata dei rifiuti di cui alla lettera b) dell'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

 

La bruciatura di residui vegetali agricoli e forestali è comunque sempre vietata nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi individuati dalle Regioni.

Viene inoltre concesso ai Comuni e alle altre amministrazioni competenti la facoltà di sospendere, differire o vietare la bruciatura dei predetti residui all'aperto in tutti i casi:

§         in cui sussistono condizioni meteo climatiche o ambientali sfavorevoli;

§         in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana.

 

L’articolo 29 fa salve le norme sulla condizionalità previste nell'ambito della politica agricola comune.

In proposito si ricorda che tali norme, obbligatorie già dal 2005[37], si articolano in una serie di impegni richiesti a coloro che svolgono attività agricola a fini produttivi e che ricevono finanziamenti dalla politica agricola comune; tali impegni si articolano nell’obbligo di adottare nello svolgimento dell’attività criteri di gestione obbligatori (CGO) già contenuti nella legislazione europea e di mantenere il terreno in buone condizioni agronomiche e ambientali (BCAA) fissate a livello nazionale, con riferimento a: ambiente, cambiamento climatico e buone condizioni agronomiche del terreno; sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali. Si fa presente, inoltre, che con la riforma della politica agricola comune, oltre alla conferma dell’obbligatorietà dei criteri di condizionalità, è stata introdotta una misura (c.d. greening)[38] in base alla quale gli agricoltori che ricevono il pagamento diretto di base devono osservare delle pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente (mantenimento dei prati-pascoli, diversificazione colturale per aziende con superfici a seminativo maggiore di 10 ettari e preservazione di un’area di interesse ecologico per aziende con superficie a seminativo superiore a 15 ettari). Al pagamento verde è dedicato il 30% del massimale assegnato ad ogni Stato membro.


 

Articolo 30
(Comitato per il capitale naturale)

 

L’articolo 30 istituisce il Comitato per il capitale naturale presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi sociali, economici e ambientali coerenti con l’annuale programmazione finanziaria e di bilancio dello Stato. Si intende, in tal modo, integrare la componente dei costi ambientali nel processo decisionale in materia economica e finanziaria considerato che gli attuali sistemi di valutazione delle politiche dipendono prevalentemente da indicatori di tipo economico e sociale (ad esempio il prodotto interno lordo, il tasso di inflazione, ecc...). 

Il comma 1 demanda l’istituzione del Comitato a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Il Comitato è presieduto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e ne fanno parte:

-            i Ministri dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole, alimentari e forestali, degli affari regionali e autonomie, della coesione territoriale, della pubblica amministrazione e semplificazione, o loro rappresentanti delegati;

-            il Governatore della Banca d’Italia;

-            il Presidente dell’Istituto nazionale di statistica;

-            il Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, o loro rappresentanti delegati.

Il Comitato è integrato altresì da esperti della materia nominati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, provenienti da università ed enti di ricerca, ovvero da altri dipendenti pubblici in possesso di specifica qualificazione.

Il comma 2 prevede che, entro il 28 febbraio di ogni anno, il Comitato trasmetta un rapporto sullo stato del capitale naturale del Paese al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’economia e delle finanze, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi sociali, economici e ambientali coerenti con l’annuale programmazione finanziaria e di bilancio di cui agli articoli 7, 10 e 10-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica).

Il rapporto deve essere corredato di informazioni e dati ambientali espressi in unità fisiche e monetarie seguendo le metodologie definite dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea, nonché le valutazioni ex-ante e ex-post degli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale e sui servizi ecosistemici.

Il comma 3 stabilisce che la partecipazione al Comitato è svolta a titolo gratuito, escludendo qualsivoglia compenso o rimborso spese a qualsiasi titolo richiesti.

 

Il Capitale naturale

In tema di azioni e obiettivi proposti dall’UE per il Capitale naturale, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’unione europea hanno adottato il 20 novembre 2013, con la decisione n. 1386/2013/UE, un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente per il periodo fino al 31 dicembre 2020 (7° programma di azione per l’ambiente o 7° PAA).

Il 7° programma di azione per l’ambiente persegue i seguenti obiettivi prioritari:

a) proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Unione;

b) trasformare l’Unione in un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva;

c) proteggere i cittadini dell’Unione da pressioni e rischi d’ordine ambientale per la salute e il benessere;

d) sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione dell’Unione in materia di ambiente migliorandone l’applicazione;

e) migliorare le basi cognitive e scientifiche della politica ambientale dell’Unione;

f) garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di ambiente e clima e tener conto delle esternalità ambientali;

g) migliorare l’integrazione ambientale e la coerenza delle politiche;

h) migliorare la sostenibilità delle città dell’Unione;

i) aumentare l’efficacia dell’azione unionale nell’affrontare le sfide ambientali e climatiche a livello internazionale.

 

Gli ecosistemi forniscono numerosi vantaggi definiti beni e servizi ecosistemici. I beni prodotti dagli ecosistemi comprendono, ad esempio, il cibo, l'acqua, i carburanti e il legname; i servizi, invece, comprendono l'approvvigionamento idrico e la purificazione dell'aria, il riciclo naturale dei rifiuti, la formazione del suolo, l'impollinazione e molti altri meccanismi regolatori naturali. Per approfondire tale tematica si rinvia al portale dell’ISPRA.

Inoltre nel Millennium Ecosystem Assessment (MA, Valutazione del Millennio degli Ecosistemi) i servizi ecosistemici (ecosystem services) sono stati definiti come quei “benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano".

 

La programmazione finanziaria e di bilancio

 

La legge 31 dicembre 2009 n. 196, modificata dalla legge n. 39 del 7 aprile 2011, stabilisce in particolare la seguente articolazione degli strumenti di programmazione per le previsioni di entrata e di spesa dei bilanci delle amministrazioni pubbliche (articolo 7):

a) il Documento di economia e finanza (DEF), da presentare alle Camere entro il 10 aprile di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari;

b) la Nota di aggiornamento del DEF, da presentare alle Camere entro il 20 settembre di ogni anno, per le conseguenti deliberazioni parlamentari;

c) il disegno di legge di stabilità, da presentare alle Camere entro il 15 ottobre di ogni anno;

d) il disegno di legge del bilancio dello Stato, da presentare alle Camere entro il 15 ottobre di ogni anno;

e) il disegno di legge di rendiconto e di assestamento, da presentare alle Camere entro il 30 giugno di ogni anno;

f) gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, da presentare alle Camere entro il mese di gennaio di ogni anno;

g) gli specifici strumenti di programmazione delle amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato.

La verifica dei documenti di bilancio dello Stato per analizzare la qualità e la quantità della spese statale a favore dell’ambiente ha avuto come conseguenza necessaria la pubblicazione dell’ecobilancio, o bilancio ambientale, e dell’ecorendiconto.

Il primo dei due documenti è finalizzato alla contabilizzazione delle spese delle amministrazioni centrali, per attività o azioni, finalizzate alla protezione dell'ambiente o all’uso e gestione delle risorse naturali.

Dall’esercizio finanziario 2012 l’ecobilancio viene esposto secondo schemi e classificazioni coerenti con quelli definiti in ambito comunitario per la contabilità delle spese ambientali e adottati ai fini della pubblicazione del secondo dei due documenti, l’ecorendiconto, previsto dall’articolo 36, comma 6, della legge n. 196 del 31 dicembre 2009.

Il Documento di economia e finanza (DEF) è composto da tre sezioni, che contengono, rispettivamente (articolo 10):

-             lo schema del Programma di stabilità sull'attuazione del patto di stabilità e crescita, con specifico riferimento agli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico;

-             l’analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni pubbliche nell’anno precedente e degli eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi programmatici indicati nel DEF e nella Nota di aggiornamento e le previsioni tendenziali a legislazione vigente, almeno per il triennio successivo;

-             lo schema del Programma nazionale di riforma, con gli elementi e le informazioni previsti dai regolamenti dell’Unione europea e dalle specifiche linee guida per il Programma nazionale di riforma.

Il DEF presenta inoltre diversi allegati, tra i quali rilevano, in questa sede, il documento, predisposto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli altri Ministri interessati, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi.

Infine, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza consente di aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica in relazione alla maggiore stabilità e affidabilità delle informazioni disponibili sull’andamento del quadro macroeconomico (articolo 10-bis).

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

In materia di contabilità ambientale, si segnala che la Commissione europea ha presentato, nel maggio 2013, una proposta di regolamento (COM(2013)247) relativo ai conti economici ambientali europei. In particolare, esso è volto ad inserire nel regolamento attualmente vigente (n. 691/2011) tre nuovi moduli di indicatori ambientali (spese per la protezione dell'ambiente; settore dei beni e dei servizi ambientali - EGSS; conti dei flussi fisici d'energia). I nuovi moduli, a cui si dovranno allineare gli istituti nazionali di statistica per adeguare i dati già rilevati per altri scopi (statistici o amministrativi), si aggiungono a quelli già in uso (i conti delle emissioni atmosferiche, le imposte ambientali e i conti dei flussi di materia) e rispettano anche le priorità politiche dell'Unione in materia di crescita verde e di efficienza delle risorse.

Il voto del Parlamento europeo, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, è atteso per il prossimo aprile 2014.

 


 

Articolo 31
(Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli )

 

L’articolo 31 istituisce il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la raccolta dei dati e delle informazioni sugli aiuti a tutela dell’ambiente.

La disposizione specifica che il Catalogo è gestito sulla base delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In particolare, l’istituzione del Catalogo avviene a sostegno dell’attuazione degli impegni derivanti dalla Strategia Europa 2020 e dalle raccomandazioni 2012 e 2013 all’Italia, nell’ambito del Semestre Europeo, dal Regolamento Europeo n. 691/2011 sui Conti Integrati Economico-Ambientali (SEEA), in accordo con le Raccomandazioni contenute nel Rapporto OCSE 2013 sulle performance ambientali dell’Italia e con la Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20 (vedi infra).

Il Catalogo contiene informazioni fornite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), dalla Banca d’Italia, dai ministeri, dalle regioni e dagli enti locali, dalle università e dagli altri centri di ricerca, secondo uno schema predisposto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Le informazioni sui sussidi, intesi nella loro definizione più ampia, comprendono, tra gli altri, dati sugli incentivi, sulle agevolazioni, sui finanziamenti agevolati, sulle esenzioni da tributi, direttamente finalizzati alla tutela dell’ambiente.

Il comma 2 prevede l’aggiornamento del Catalogo entro il 30 giugno di ogni anno e una relazione del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare da inviare, entro il 31 luglio di ogni anno, al Parlamento e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, riguardante gli esiti dell’aggiornamento del Catalogo.

Il comma 3 contiene la clausola di invarianza finanziaria per l’attuazione del presente articolo.

 

La Strategia Europa 2020 e le raccomandazioni del Consiglio 2012 e 2013

Il 26 marzo 2010 il Consiglio europeo ha approvato la proposta decennale della Commissione - Europa 2020 - per una nuova strategia a favore della crescita e dell’occupazione e per un diverso tipo di sviluppo economico, più intelligente, sostenibile e solidale. L'UE si è data cinque obiettivi da realizzare entro la fine del decennio, riguardanti l'occupazione, l'istruzione, la ricerca e l'innovazione, l'integrazione sociale e la riduzione della povertà, il clima e l'energia. Il 5 giugno 2012 e il 29 maggio 2013, il Consiglio ha adottato le raccomandazioni della Commissione europea, COM(2012) 318 final/2 e COM(2013) 362 final, sul programma nazionale di riforma 2012 e 2013 dell’Italia, al fine, tra l’altro, di trasferire il carico fiscale da lavoro e capitale a consumi, beni immobili e ambiente, assicurando la neutralità di bilancio.

 

Il Regolamento Europeo n. 691/2011

Con il Regolamento Europeo n. 691/2011 sui Conti Integrati Economico-Ambientali (SEEA), la Commissione europea ha evidenziato come i conti economici ambientali illustrano l'interazione tra fattori economici, fattori legati alle famiglie e fattori ambientali e hanno, di conseguenza, una valenza informativa maggiore rispetto ai semplici conti nazionali.

In tal senso, il sistema di contabilità integrata ambientale ed economica (SEEA), sviluppato congiuntamente dalle Nazioni Unite, dalla Commissione europea, dal Fondo monetario internazionale, dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e dalla Banca mondiale, riunisce in un quadro comune informazioni economiche e ambientali, al fine di misurare il contributo dato dall'ambiente all'economia e l'impatto dell'economia sull'ambiente.

Conseguentemente, il regolamento istituisce un quadro comune per la raccolta, la compilazione, la trasmissione e la valutazione di conti economici ambientali europei ai fini della creazione di conti economici ambientali quali conti satellite del SEC 95[39], fornendo metodologia, regole, definizioni, classificazioni e regole contabili comuni destinate a essere utilizzate in sede di compilazione dei conti economici ambientali.

 

OCSE Rapporto sulle performance ambientali: Italia 2013 e la Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20

ll Rapporto OCSE 2013 analizza i progressi compiuti per raggiungere un insieme di obiettivi nazionali e d’impegni internazionali e presenta le 29 raccomandazioni volte a migliorare le performance. Una parte della valutazione verte altresì sui progressi in tema di economia verde e a basso contenuto di carbonio. Le tematiche analizzate riguardano:

- Il contesto delle politiche ambientali;

- Verso una crescita verde;

- Governance ambientale multilevello: le risorse idriche;

- Cambiamento climatico.

Con la Risoluzione RES/64/236 del 23 dicembre 2009, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito di organizzare nel 2012 la conferenza sullo sviluppo sostenibile (UNCSD), denominata anche Rio+20, a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro UNCED del 1992.

Due argomenti sono stati al centro della Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile Rio+20:

- il passaggio a un’economia verde nell’ambito di un’economia sostenibile e della lotta contro la povertà, tenendo conto della carenza di risorse naturali, al fine di contribuire alla riduzione della povertà attraverso lo sviluppo economico.

- le condizioni istituzionali, sintetizzate nel termine di governance, per raggiungere uno sviluppo sostenibile in campo ambientale, economico e sociale disponendo di un sistema appropriato di governo e di regolamentazione a livello nazionale e internazionale.



[1] Di particolare interesse anche il documento finale della VIII Commissione della Camera dei deputati della XIV legislatura, sulla citata sentenza n. 27 del 2004, concernente le nomine degli organi di vertice degli Enti parco nazionali, in particolare, sull’applicazione del principio di leale cooperazione tra Stato e Regione, nell'attuazione delle norme procedimentali relative all'intesa.

 

[2]     Pareri favorevoli della 13° Commissione permanente del Senato della Repubblica espresso nella seduta del 18 dicembre 2012 e della VIII Commissione permanente della Camera dei Deputati nella seduta del 22 gennaio 2013.

[3]     Soppresso con legge 537/1993.

[4]     Determinazione della Corte dei Conti 58/2013

[5]     Determinazione delle attività istruttorie per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico in mare dei materiali derivanti da attività di prospezione, ricerca e coltivazione di giacimenti idrocarburi liquidi e gassosi.

[6]     Il comma 1 di tale articolo prevede che, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto n. 152, con uno o più regolamenti da emanarsi, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, provvede alla modifica ed all'integrazione delle norme tecniche in materia di valutazione ambientale nel rispetto delle finalità, dei principi e delle disposizioni di cui al decreto medesimo.

[7]     Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 29 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[8]     Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento.

[9]     L’art. 28, commi 7-9 del D.L. 112/2008 ha modificato per la Commissione istruttoria AIA/IPPC di cui all'articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, la composizione portandola a ventitré esperti, provenienti dal settore pubblico e privato, con elevata qualificazione giuridico-amministrativa, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, oppure tecnico-scientifica.

[10]    Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[11]    Il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale contiene ogni opportuna indicazione per la progettazione e lo svolgimento delle attività di controllo e monitoraggio degli impatti. Il monitoraggio assicura, anche avvalendosi dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e del sistema delle Agenzie ambientali, il controllo sugli impatti ambientali significativi sull'ambiente provocati dalle opere approvate, nonché la corrispondenza alle prescrizioni espresse sulla compatibilità ambientale dell'opera, anche, al fine di individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e di consentire all'autorità competente di essere in grado di adottare le opportune misure correttive.

[12]    In particolare, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) per impianti sottoposti ad AIA di competenza statale, o le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, negli altri casi, accertano, secondo quanto previsto e programmato nell'autorizzazione ai sensi dell'articolo 29-sexies, comma 6, e con oneri a carico del gestore:

a) il rispetto delle condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale;

b) la regolarità dei controlli a carico del gestore, con particolare riferimento alla regolarità delle misure e dei dispositivi di prevenzione dell'inquinamento nonché al rispetto dei valori limite di emissione;

c) che il gestore abbia ottemperato ai propri obblighi di comunicazione e in particolare che abbia informato l'autorità competente regolarmente e, in caso di inconvenienti o incidenti che influiscano in modo significativo sull'ambiente, tempestivamente dei risultati della sorveglianza delle emissioni del proprio impianto.

[13]    La norma fa eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziare le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente” in quanto spese a carattere obbligatorio e perciò inderogabili.

[14]    Il comma 617, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 fissa in particolare tale obiettivo di risparmio pari a 300 milioni di euro annui.

[15]    A legge di bilancio 2014-2016, il capitolo è dotato di 12,9 milioni per il 2014, di 13,6 milioni per il 2015 e di 13,7 milioni per il 2016.

[16]    Regolamento recante norme concernenti la fusione dell'APAT, dell'INFS e dell'ICRAM in un unico istituto, denominato Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), a norma dell'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[17]    Gli allegati II, III e IV, rispettivamente, individuano i progetti sottoposti a VIA statale, quelli sottoposti a VIA regionale, e i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

[18]    Per un’analisi approfondita del sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas-serra si rinvia al paragrafo “Lo scambio delle quote di emissione” del dossier Documentazione e ricerche n. 79.

[19]    Tali registri sono definiti alle lettere qq) ed rr) del comma 1 dell’art. 3 del D.Lgs. 30/2013.

[20]    Con l’acronimo EMAS si intende il sistema comunitario di ecogestione e audit cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell’UE o al di fuori di esso, che si impegnano a migliorare la propria efficienza ambientale. Il primo Regolamento EMAS n. 1836 è stato emanato nel 1993 e nel 2001 è stato sostituito dal Regolamento n. 761 che, a sua volta sottoposto a revisione, è stato sostituito nel 2009 dal Regolamento n. 1221 (EMAS III). Con la Decisione n. 2013/131/UE della Commissione, del 4 marzo 2013, sono state definite le linee guida per l’utente che illustrano le misure necessarie per aderire a EMAS.

[21]    Le norme internazionali ISO 14000 rappresentano un altro strumento volontario per migliorare la gestione della variabile ambientale all'interno dell'impresa o di qualsiasi altra organizzazione. Le norme EN UNI ISO 14000 attualmente in vigore in Italia sono state create dal comitato tecnico dell'ISO (International Organisation for Standardisation) TC 207 "Environmental management", successivamente approvate dal CEN (Comitato Europeo di Normazione), divenendo così anche norme europee (EN), ed infine hanno ottenuto lo status di norma nazionale mediante la pubblicazione della traduzione in lingua italiana curata dall'UNI (Ente Italiano di Unificazione).

[22]    Ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 e della serie UNI CEI EN ISO/IEC 17000. Sull’accreditamento dei verificatori ambientali si veda nel sito dell’ISPRA la sezione appositamente dedicata.

[23]    La norma fa eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziare le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente” in quanto spese a carattere obbligatorio e perciò inderogabili.

[24]    Il comma 617, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 fissa in particolare tale obiettivo di risparmio pari a 300 milioni di euro annui.

[25]    A legge di bilancio 2014-2016, il capitolo è dotato di 12,9 milioni per il 2014, di 13,6 milioni per il 2015 e di 13,7 milioni per il 2016.

[26]    Una breve sintesi dello stato dell’arte sugli ATO e sull’individuazione, da parte delle Regioni, dei nuovi enti di governo degli ambiti è contenuta nel Capitolo 7 del Rapporto rifiuti urbani 2013 dell’ISPRA.

[27]    Il comma 3 dell’art. 221 dispone che per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all'obbligo del ritiro, su indicazione del CONAI, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono, in alternativa all’adesione ad uno dei consorzi di cui all’art. 223:

- organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale (lett. a);

- attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l'autosufficienza del sistema (lett. c).

[28]    Per approfondimenti sul contributo PFU e informazioni circa gli importi vigenti si rinvia a www.reteambiente.it/Pneumatici/pneucontributo/ e www.minambiente.it/pagina/regolamento-la-gestione-degli-pneumatici-fuori-uso-pfu

[29]    La legge di conversione (L. 10/2011) è stata pubblicata nella G.U. 26 febbraio 2011, n. 47, S.O. e, secondo quanto previsto dal proprio articolo 1, è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

[30]    L’art. 1 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, ha demandato alle Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e alle regioni per i restanti bacini, l'adozione (ove non si fosse già provveduto) di piani stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico, contenenti in particolare l'individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico. In attuazione di tale disposizione, per consentire alle Autorità di bacino e alle regioni, di realizzare prodotti il più possibile omogenei e confrontabili a scala nazionale, è stato emanato un apposito atto di indirizzo e coordinamento (D.P.C.M. 29 settembre 1998, pubblicato nella G.U. 5 gennaio 1999), con cui sono state individuate 4 classi di pericolo e definite le caratteristiche delle aree associate a tali classi. In particolare, la classe R3 è associata ad un rischio elevato, per il quale sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale. La classe R4 è invece associata ad un rischio molto elevato, per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche.

[31]    Ai sensi dell’art. 31, comma 1, del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire “quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.

[32]    La Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, originariamente istituita con D.P.C.M. 2 luglio 1996, è ora disciplinata dal D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281; è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali che opera per favorire la cooperazione fra lo Stato e gli enti locali. E' presieduta dal Ministro dell'interno, congiuntamente - nelle materie di competenza - al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. La delega è stata conferita dal Presidente del Consiglio dei Ministri con il D.P.C.M. del 29 luglio 2013.

[33]    Le citate anticipazioni possono essere concesse anche ai soggetti a cui il T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) riconosce il potere di demolire le opere abusive, quali ad esempio il prefetto o il Soprintendente del Ministero dei beni e delle attività culturali. La disciplina dettata dal comma 12 prevede, altresì, che le anticipazioni, comprensive della corrispondente quota delle spese di gestione del Fondo, sono restituite al Fondo stesso in un periodo massimo di 5 anni, utilizzando le somme riscosse a carico degli esecutori degli abusi. In caso di mancato pagamento spontaneo del credito, l'amministrazione comunale provvede alla riscossione mediante ruolo. Qualora le somme anticipate non siano rimborsate nei tempi e nelle modalità stabilite, il Ministro dell'interno provvede al reintegro alla Cassa depositi e prestiti, trattenendone le relative somme dai fondi del bilancio dello Stato da trasferire a qualsiasi titolo ai comuni.

[34]    La Cassa conguaglio per il settore elettrico è un ente pubblico non economico che opera nei settori dell’elettricità, del gas e dell'acqua. La sua missione principale è la riscossione di alcune componenti tariffarie dagli operatori; tali componenti vengono raccolte nei conti di gestione dedicati e successivamente erogati a favore delle imprese secondo regole emanate dall’Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI). La Cassa è sottoposta alla vigilanza dell’AEEGSI e del Ministero dell’economia e delle finanze. La Cassa provvede alla gestione finanziaria dei fondi incassati ed alle conseguenti erogazioni di contributi a favore degli operatori del settore. I conti gestiti dalla Cassa al 31 dicembre 2012 erano 46, di cui 23 per il settore elettrico e 23 per il settore gas. Con la Del. 6/2013, l’AEEGSI ha richiesto alla Cassa di aprire e gestire anche un nuovo conto per la perequazione relativa alle agevolazioni concesse nell’ambito del Servizio Idrico Integrato alle popolazioni colpite dal sisma del mese di maggio 2012.

[35]    Il metro stero (ms) è un’unità di misura di volume utilizzata per il legname impilato, corrispondente ad un volume complessivo di un metro cubo, comprensivo degli interstizi vuoti. Il peso e la quantità di legno contenuta in un metro stero dipendono dal tipo e dalla forma del legname e dalla cura con cui viene accatastato. P.es. un metro stero di legna in tondelli lunghi un metro corrisponde a circa 0,7 metri cubi di legno. Un metro stero di legna “di una buona latifoglia, ad umidità del 20%, pesa tra 3,2 e 4,8 quintali” (L. Ilarioni, Il legno come combustibile: caratteristiche energetiche e di prodotto, in SILVAE – Rivista tecnico-scientifica del Corpo forestale dello Stato – n. 7/2007).

[36]    L’art. 3, comma 1, del D.L. 136/2013 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate) ha introdotto nel testo del Codice dell’ambiente un nuovo articolo 256-bis finalizzato ad introdurre pene più severe per la combustione illecita di rifiuti.

[37]    Esse  sono stati definite, dapprima, negli allegati III e IV del Reg. CE 1782/2003 , poi sostituiti dagli allegati II e III del regolamento CE 73/09. Con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentare e forestali n. 30125 del 2009 è stata definita la disciplina del regime di condizionalità ai sensi del regolamento (CE) n. 73/2009 e delle riduzioni ed esclusioni per inadempienze dei beneficiari dei pagamenti diretti e dei programmi di sviluppo rurale ed oggi trasposte nei regolamenti che hanno riformato la politica agricola comune. Ultimamente, con l’approvazione della riforma della politica agricola comune, le norme sulla condizionalità sono contenute negli art. 92-95 del reg.UE n.1306/2013.

[38]    Artt.43-47 del reg. (UE) n.1307/2013.

[39]    Il Sistema europeo dei conti (SEC), istituito con il regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio, del 25 giugno 1996, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità («SEC 95»), coerente con il Sistema dei conti nazionali (SCN), adottato dalla Commissione statistica delle Nazioni Unite nel febbraio 1993, costituisce il principale strumento alla base delle statistiche economiche dell'Unione, nonché di molti indicatori economici (compreso il PIL). Il quadro del SEC può essere utilizzato per analizzare e valutare vari aspetti dell'economia (ad esempio la struttura, parti specifiche o l'andamento nel tempo); per alcune particolari esigenze informative, come l'analisi dell'interazione tra ambiente ed economia, la soluzione migliore è tuttavia quella di redigere conti satellite distinti.