Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Altri Autori: Servizio Rapporti Internazionali , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - COP19 di Varsavia, 11-22 novembre 2013
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 79
Data: 14/11/2013
Descrittori:
INQUINAMENTO ATMOSFERICO   ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE ( ONU )
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Conferenza delle Nazioni Unite

sui cambiamenti climatici

 

COP19 di Varsavia, 11-22 novembre 2013

 

 

 

 

 

 

 

n. 79

 

 

 

14 novembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Rapporti Internazionali

( 066760-3948 – * cdrin1@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: Am0048.doc

 



La lotta ai cambiamenti climatici

Il Protocollo di Kyoto – La prima fase

Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti (COP3) della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC[1]).

L’UNFCCC è stata adottata nel 1992, durante il Summit Mondiale della Terra di Rio de Janeiro, ed è entrata in vigore il 21 marzo 1994, a seguito della adesione di quasi tutti i Paesi delle Nazioni Unite. L’obiettivo principale della Convenzione (art. 2) consiste nella stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze antropiche con il sistema climatico.

Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.

Sulla base di quanto previsto nel Protocollo, i paesi industrializzati (elencati nell’Annex I del Protocollo) si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni entro il 2012.

Il protocollo di Kyoto non ha previsto vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei PVS.

Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (N2O), esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi (PFCs).

Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:

-             il miglioramento dell’efficienza energetica;

-             la correzione delle imperfezioni del mercato (attraverso incentivi fiscali e sussidi);

-             la promozione dell’agricoltura sostenibile;

-             la riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti;

-             l’informazione a tutte le altre Parti sulle azioni intraprese (cd “comunicazioni nazionali”).

La misura complessiva di riduzione prevista dal Protocollo è del 5,2% rispetto ai livelli di emissione del 1990. L’onere, tuttavia, è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito, dei livelli di efficienza energetica.

Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:

§       l’emission trading (commercio dei diritti di emissione)[2], in base al quale i paesi soggetti al vincolo che riescano ad ottenere un surplus nella riduzione delle emissioni possono “vendere” tale surplus ad altri paesi soggetti a vincolo che - al contrario - non riescano a raggiungere gli obiettivi assegnati;

§       la joint implementation (attuazione congiunta degli obblighi individuali)[3], secondo cui gruppi di paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Annex I, possono collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi rispetto a quanto sancito dal Protocollo, purchè venga rispettato l'obbligo complessivo. A tal fine essi possono trasferire a, o acquistare da, ogni altro Paese “emission reduction units” (ERUs) realizzate attraverso specifici progetti di riduzione delle emissioni;

§       i clean development mechanisms (meccanismi per lo sviluppo pulito)[4] , il cui fine è quello di fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Annex I negli sforzi per la riduzione delle emissioni. I privati o i governi dei paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei paesi in via di sviluppo grazie ai progetti, “certified emission reductions” (CERs) il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.

 

La tabella seguente evidenzia le percentuali di riduzione per i principali Paesi, definite nell’ambito degli obiettivi di riduzione previsti dal Protocollo:

Protocollo di Kyoto

Impegni assunti[5]

Riduzione (entro il 2008-2012) dei gas serra rispetto ai livelli del 1990

Stati membri UE

8%

USA

7%

Giappone

6%

Canada

6%

Totale paesi Annex I

5,2%[6]

 

Il Protocollo di Kyoto riconosce all’Unione europea (che ha provveduto a ratificarlo in data 31 maggio 2002) la facoltà di ridistribuire tra i suoi Stati membri gli obiettivi ad essa imposti, a condizione che rimanga invariato il risultato finale. Con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998) sono state fissate le seguenti percentuali di riduzione:

Austria

-13%

Italia

-6,5%

Belgio

-7,5%

Lussemburgo

-28%

Danimarca

-21%

Paesi Bassi

-6%

Finlandia

0%

Portogallo

+27%

Francia

0%

Regno Unito

-12,5%

Germania

-21%

Spagna

+15%

Grecia

+25%

Svezia

+4%

Irlanda

+13%

 

 

Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia[7].

Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di Paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990.

Il Protocollo di Kyoto – Oltre il 2012

Nel corso della 18a conferenza delle Parti dell'UNFCCC (COP 18) e dell'8a conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del protocollo di Kyoto (COP/MOP 8), tenutasi a Doha (Qatar) dal 26 novembre all'8 dicembre 2012, l'impegno per la prosecuzione oltre il 2012 delle misure previste dal Protocollo è stato assunto solamente da un gruppo di Paesi (tra i quali Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia), che rappresentano appena il 15% circa delle emissioni globali di gas-serra. I 200 paesi partecipanti hanno invece avviato, a partire dal 1° gennaio 2013, un percorso finalizzato al raggiungimento, entro il 2015, di un nuovo accordo che dovrà entrare in vigore nel 2020.

Si fa notare che l'impegno sottoscritto dall'UE per il periodo successivo al 2012 coincide con quello già assunto unilateralmente con l'adozione del "pacchetto clima-energia" (v. infra), che prevede una riduzione delle emissioni di gas-serra del 20% al 2020 rispetto ai livelli del 1990. Analogamente a quanto avvenuto nel primo periodo di impegno di Kyoto, la Commissione UE ha avviato il processo per ripartire formalmente tra gli Stati Membri le percentuali nell'ambito del secondo periodo di impegno.

Secondo l’UNEP[8] le emissioni globali di gas serra tra il 1990 e il 2010 sono cresciute di oltre il 30%, passando da 37 GtCO2eq a quasi 50 GtCO2eq. Tale aumento è stato determinato in gran parte dalle dinamiche registrate in quei paesi che, nel 1997, erano ancora considerati in via di sviluppo e per i quali il Protocollo non prevedeva impegni di riduzione. Nel 1990 i Paesi dell’Annesso I del Protocollo rappresentavano oltre il 50% delle emissioni globali di gas serra ed erano ritenuti i principali responsabili della loro crescita; oggi i paesi industrializzati contano per meno del 35% delle emissioni globali e quasi tutto l’aumento delle emissioni di gas serra registrato nell’ultimo ventennio è a carico dei paesi emergenti”. Tale stima del gap emissivo è stata, altresì, confermata dall’Emissions Gap Report 2013 appena pubblicato dall’UNEP.

Di tale gap e delle possibili conseguenze sui cambiamenti climatici parla un rapporto (novembre 2012) della Banca Mondiale[9][10].

La COP19 di Varsavia

(scheda a cura del Ministero degli affari esteri)

La 19a COP UNFCCC si tiene a Varsavia dall’11 al 22 novembre 2013. Il segmento di alto livello avrà luogo dal pomeriggio del 19 al 22.

Stato dei negoziati

I negoziati internazionali sul clima si svolgono principalmente nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sulla lotta ai Cambiamenti Climatici (UNFCCC), adottata nel 1992 allo scopo di regolare e ridurre l’impatto negativo dei fenomeni climatici determinati da attività antropiche, quale l’emissione di gas serra nell’atmosfera.

Nell’ambito della Convenzione, le Parti sono attualmente impegnate nella delicata definizione di un nuovo sistema regolatorio internazionale, globalmente vincolante, che subentri al precedente impianto basato sulla tradizionale differenziazione tra impegni di riduzione delle emissioni di gas serra vincolanti per i soli paesi industrializzati aderenti al Protocollo di Kyoto (2008-2012) e impegni volontari per le economie emergenti. 

Le ultime due Conferenze delle Parti della Convenzione di Durban (2011) e Doha (2012) hanno raggiunto un faticoso compromesso su alcuni punti: emendamento al Protocollo di Kyoto per l’adozione di un 2° periodo di impegni e avvio del negoziato per un accordo globale vincolante post-2020. 

Prospettive del negoziato

Nel corso del 2013 (11-23 novembre 2013 a Varsavia) e del 2014 (dicembre a Lima) avranno pertanto luogo i negoziati che dovrebbero auspicabilmente condurre all’accordo post 2020, che dovrebbe essere adottato durante la COP del 2015 che avrà luogo in Francia (l’accordo è stato già denominato “Accord de Paris”).

Sta emergendo la propensione per uno “stepwise approach” per poter raggiungere un risultato concreto nonostante le molte divergenze che ancora si registrano tra i paesi.

In particolare, l’UE ritiene che dalla COP di Varsavia debba emergere un pacchetto equilibrato di decisioni che favoriscano da un lato l’applicazione delle decisioni prese alle precedenti COP e dall’altro facciano registrare passi in avanti nei due filoni di lavoro della Durban Platform (alzare il livello di ambizione delle azioni di mitigazione pre-2020 e definire un testo per l’accordo post-2020).

L’approccio che, secondo l’UE, dovrebbe guidare i negoziati è per gradi (stepwise approach) e dovrebbe comprendere: una tabella di marcia per gli impegni nazionali da presentare nel 2014; l’individuazione di quali informazioni debbano essere fornite dagli stati affinché gli impegni siano trasparenti, quantificabili, ambiziosi e comparabili; un sistema di valutazione di tali impegni, prima del raggiungimento dell’accordo nel 2015.

Documenti utili

§         Provisional agenda and annotations - Note by the Executive Secretary (FCCC/CP/2013/1)

L’UE e i negoziati internazionali per il clima

Con l’11,4% sul totale delle emissioni di CO2 da combustibili fossili nel 2012 l’Unione europea si colloca tra i maggiori emettitori di gas serra del pianeta, ed è preceduta solo da Cina (25,5%) e USA (16,8%) (valore calcolato in Mt di CO2 - fonte: Enerdata Yearbook 2012[11]).

Con il pacchetto 20-20-20, tuttavia, l’UE è stato il primo e a lungo l’unico attore mondiale ad aver già definito livelli obbligatori di riduzione per gli Stati membri (-20% con opzione a -30% rispetto ai livelli del 1990 in presenza di impegni comparabili da parte degli altri paesi sviluppati) proponendosi, attraverso l’esempio, sia di coinvolgere i paesi industrializzati nel processo di abbattimento delle emissioni, sia di incentivare i paesi in via di sviluppo a partecipare alla strategia globale.

Emissioni CO2 da combustibili fossili nel 2012       Fonte: Yearbook Enerdata 2012

Paese

MtCO2

(2012/2011)%

Cina

7.673

+3,3

USA

5.056

-3,5

Unione Europea

3.442

-1,2

India

1.889

+7,5

Russia

1.620

+0,8

Giappone

1.161

+5,7

Totale mondo

30.062

+1,6

Come risulta dalle rilevazioni di Enerdata, le emissioni globali di CO2 sono aumentate dell’1,6% nel 2012, a causa, principalmente, dell'utilizzo prevalente di carbone nel mix energetico dei paesi BRICS, accentuato dalla loro crescente influenza della domanda mondiale di energia. Inoltre, il maggiore utilizzo di carbone nell'Unione europea ha annullato la crescente quota di energie rinnovabili nel suo mix di fonti energetiche utilizzate . Questi due fenomeni hanno compensato la riduzione delle emissioni di CO2 registrato negli Stati Uniti dovuta al maggiore sfruttamento del gas di scisto e alla contestuale significativa riduzione dell’utilizzo del carbone. Anche l’abbandono quasi totale del nucleare in Giappone e la sua sostituzione con fonti energetiche fossili ha contribuito ad un aumento delle emissioni (+5,7% nonostante un calo nel consumo di energia del 3%).

Riduzione delle emissioni di CO2 e obiettivi di Kyoto

Per quanto riguarda l’Unione europea, gli ultimi dati disponibili pubblicati da Eurostat e riferiti al 2011 confermano la tendenza alla riduzione delle emissioni nell’area EU27, dovuta, in parte, alla crisi economica in atto e, in parte, ai risultati positivi della politica di promozione di fonti alternative di energia. Infatti, rispetto al target fissato dalla Strategia Europa 2020 (riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2 rispetto al 1990), le emissioni dell’area EU27 sono state pari all’83,03 per cento rispetto al dato del 1990.

Con riferimento alla prima fase del Protocollo di Kyoto (2008-2012), la Commissione europea ha presentato, lo scorso ottobre, la comunicazione (COM(2013)698) in cui fa il punto dello stato di avanzamento del percorso di realizzazione degli obiettivi di Kyoto e di Europa 2020 (riduzione dell’8 per cento delle emissioni) (cfr. infra).

In particolare, stando alle ultime proiezioni disponibili sui gas a effetto serra, che tengono conto dell'attuazione del pacchetto "Clima ed energia" (cfr. infra), l'UE dovrebbe raggiungere complessivamente il proprio obiettivo per il 2020. La Commissione sottolinea che l'andamento complessivo delle emissioni di gas a effetto serra dell'UE è fortemente condizionato da quello dei due maggiori responsabili delle emissioni, la Germania e il Regno Unito, che contribuiscono a circa un terzo del totale delle emissioni dell'UE. Complessivamente i due Stati membri sono riusciti a ridurre le loro emissioni di gas serra di 539 Mt CO2 equivalenti rispetto all'anno di riferimento del protocollo di Kyoto. Per quanto riguarda l’Italia, nel 2011 il Paese occupava il terzo posto nell'UE in termini di emissioni (con una quota pari al 10,7% del totale delle emissioni dell'UE-28), superando di poco la Francia (che vanta una percentuale del 10,6%). Nel 2011 le emissioni di gas serra dell'Italia sono state inferiori del 5,4% rispetto ai livelli del 1990. Il trasporto su strada, la produzione di elettricità e calore e la raffinazione del petrolio sono stati i principali responsabili dell'aumento registrato tra il 1990 e il 2004. Tuttavia, da allora le emissioni totali di gas serra del paese sono calate di oltre il 15%.

 

Per quanto riguarda il 2012, i dati pubblicati dall’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) nell’ottobre 2013 e riferiti all’area EU15, confermano che l’obiettivo fissato dal protocollo di Kyoto di riduzione dell’8 per cento delle emissioni è raggiungibile: nel periodo 2008-2012 le emissioni di CO2 si sono ridotte del 12,2 per cento.

L’Italia, invece, sempre secondo l’AEA, non risulta in linea con il processo di riduzione delle emissioni, come risulta dalla tabella che segue:

 

Italia - riduzione emissioni (2008-2012)

 

(Mt CO2 equivalenti)

emissioni medie 2008-2012

303,9

obiettivo emissioni medie 2008-2012

281,4

gap rispetto al target

22,5

Fonte: Agenzia europea per l’ambiente, Climate and energy country profiles, ottobre 2013

Le istituzioni UE verso la Conferenza di Varsavia

La Commissione europea ha presentato, lo scorso 6 novembre, la proposta di ratifica del Protocollo di Kyoto con riferimento al periodo 2013-2020.

Il secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2013-2020) è stato istituito con l’approvazione di un apposito emendamento al protocollo, concordato in occasione della conferenza Onu sui cambiamenti climatici tenutasi a Doha (Qatar) nel dicembre 2012. L’Ue e gli Stati membri hanno accettato di partecipare al secondo periodo nel quadro di un pacchetto piu’ ampio di misure concordate a livello internazionale. Tali misure includono: impegni su base volontaria di piu’ di 80 paesi, compresi Stati Uniti, Cina, India, Sud Africa e Brasile, per limitare le proprie emissioni entro il 2020.

Con riferimento a tale secondo periodo, l’UE, gli Stati membri e l’Islanda si sono impegnati a ridurre del 20% le emissioni complessive di gas a effetto serra rispetto al livello del 1990 o degli altri anni di riferimento scelti. La proposta si articola in due proposte legislative: una decisione del Consiglio europeo sulla ratifica dell’emendamento di Doha al protocollo di Kyoto (COM(2013)768), che dà il via alla seconda fase (si tratta di un emendamento al protocollo di Kyoto approvato a Doha nel 2012) e un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sugli aspetti tecnici legati all’attuazione di tale seconda fase (COM(2013)769).

Nel comunicato stampa che ha illustrato la proposta, inoltre, la Commissione europea ha ribadito la necessità che la Conferenza di Varsavia, in vista di un nuovo accordo mondiale vincolante sul clima, da sottoscrivere nel 2015, elabori impegni ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni dopo il 2020. Questo processo dovrebbe comprendere anche un calendario degli impegni nel 2014 e una fase di valutazione degli impegni stessi. In particolare, per quanto riguarda i gas fluorurati, la Commissione auspica che la conferenza di Varsavia invii un segnale inequivocabile alle parti del protocollo di Montreal sulla protezione dello strato di ozono per agire e ridurre gradualmente gli idrofluorocarburi, un tipo di gas a effetto serra particolarmente pericoloso.

Per quanto riguarda il finanziamento dei cambiamenti climatici, la Commissione, ribadendo il ruolo dell’UE come uno dei maggiori fornitori mondiali di assistenza ai paesi emergenti, sottolinea che l'UE e gli Stati membri si sono impegnati a versare 7,2 miliardi di EUR in finanziamenti rapidi ai paesi in via di sviluppo nel periodo 2010-2012 e hanno superato tale impegno contribuendo con complessivi 7,34 miliardi di euro, di cui 2,67 miliardi nel 2012. Per quanto riguarda il 2013, pur in assenza di un impegno formale, l'UE e alcuni Stati membri hanno annunciato contributi volontari destinati ai paesi in via di sviluppo pari a 5,5 miliardi euro.

Si ricorda, infine, che nel marzo 2013, la Commissione europea, con un’apposita comunicazione consultiva (COM(2013)167), ha inteso dare il via ad un dibattito con gli Stati membri e le istituzioni dell'UE e le parti interessate sul modo migliore per definire il regime climatico internazionale tra il 2020 e il 2030.

Si ricorda che, nel 2011, la comunità internazionale ha avviato dei negoziati per un nuovo accordo mondiale per proteggere il sistema climatico del pianeta. Questo accordo, che dovrebbe essere concluso entro la fine del 2015 e applicato a partire dal 2020, è attualmente in fase di negoziazione nell’ambito di un processo denominato “Piattaforma di Durban per un’azione rafforzata”. La comunicazione consultiva della Commissione si concentra sull’elaborazione dell’accordo, in considerazione del fatto che esso dovrà riunire, entro il 2020, l’attuale mosaico di accordi vincolanti e non vincolanti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in un unico sistema generale.

Ad avviso della Commissione, i punti qualificanti dell’accordo del 2015 dovranno essere:

·      la definizione del livello di ambizione necessaria per la riduzione delle emissioni a livello globale indispensabili per mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C;

·      partecipazione di tutte le grandi economie e di tutti i settori alla riduzione al minimo del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio tra economie concorrenziali;

·      integrazione della questione dei cambiamenti climatici in tutti gli ambiti politici.

 

Funzionale alla limitazione del rischio di rilocalizzazione delle emissioni è il sistema di scambio di quote di emissioni UE-ETS. Si tratta della principale misura adottata dall’Unione europea in attuazione del Protocollo di Kyoto, per ridurre le emissioni di gas serra nei settori energivori, cioè i settori industriali caratterizzati da maggiori emissioni.

Il sistema, istituito dalla direttiva 2003/87/CE, applica all’Europa il meccanismo di cap&trade introdotto a livello mondiale dal Protocollo di Kyoto. Esso fissa un tetto massimo (cap) al livello totale delle emissioni consentite a tutti i soggetti interessati dal sistema, ma consente ai partecipanti di acquistare o vendere sul mercato (trade) i diritti di emissione di CO2 (quote) secondo le loro necessità,all’interno del limite stabilito.

L’EU ETS coinvolge circa 16.000 operatori (dal 2012 anche nel settore aereo). Si tratta di impianti industriali, nel settore della produzione di energia e nel settore manifatturiero (in Italia, sono circa 1.100 i soggetti coinvolti, di cui il 71 per cento nel settore manifatturiero).

La Commissione europea stima che via sia un eccesso di quote di emissione che potrebbe raggiungere, nel 2014, 1,5-2 miliardi. Per fare fronte a tale situazione, la Commissione ha proposto due linee di intervento: a breve termine, un accantonamento temporaneo delle quote da mettere all’asta (backloading) nel triennio 2013-2015, per rimetterle in circolazione nel biennio 2019-2020; per il lungo termine, la Commissione propone l’incremento dal 20 per cento al 30 per cento dell’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni al 2020 nonché una serie di ulteriori misure di carattere strutturale, tra cui si segnala l’estensione del sistema EU-ETS ad altri settori meno esposti ai cicli economici.

 

Il Consiglio ambiente del 14 ottobre 2013, nelle sue conclusioni, ha ribadito la necessità di fissare obiettivi ambiziosi, con particolare riferimento alla riduzione delle emissioni di almeno il 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. In particolare, la discussione del Consiglio si è incentrata su due punti: l’attuazione delle decisioni già adottate e il processo per formulare ed inserire gli impegni di mitigazione nel futuro accordo globale sul clima del 2015. Con riferimento al primo punto, l’invito alla Commissione a presentare la proposta di ratifica dell’emendamento di Doha è stato accolto con la ricordata presentazione della proposta della Commissione. Con riferimento alla necessità di formulare impegni per il futuro accordo mondiale del 2015 giuridicamente vincolante per tutti i Paesi sottoscrittori, il Consiglio, tra l’altro, ha riconosciuto l'esigenza di dare maggiore spazio alla sfida climatica nei dialoghi politici, intensificando le attività di sensibilizzazione e cooperazione con un'ampia gamma di paesi e soggetti interessati, tra governi - incluse le città - nonché nel mondo imprenditoriale e nella società civile.

 

In una risoluzione approvata il 23 ottobre, il Parlamento europeo, con riferimento al livello di emissioni, sottolinea che l'accordo del 2015 deve centrare l'obiettivo riguardante una riduzione delle emissioni globali che riporti, entro il 2030, a livelli inferiori a quelli del 1990, puntando alla progressiva eliminazione delle emissioni globali di carbonio entro il 2050, in vista dell’obiettivo comune di rimanere entro l'obiettivo dei 2 ºC (ossia conseguire l'obiettivo di limitare a 2°C l'aumento complessivo della temperatura superficiale annua media del pianeta rispetto ai livelli preindustriali). Con riferimento agli idrofluorocarburi, invita l'UE a intensificare gli sforzi al fine di regolamentarne la riduzione graduale a livello globale nel quadro del protocollo di Montreal; infine, osserva che l'UE potrebbe svolgere un ruolo essenziale nella riduzione delle emissioni adottando politiche atte a bloccare lo sviluppo di combustibili fossili non convenzionali a emissioni oltremodo elevate di gas serra, come le sabbie bituminose; ritiene che le sovvenzioni pubbliche a sostegno dello sviluppo di combustibili fossili non convenzionali debbano essere gradualmente eliminate.

Con riferimento ai finanziamenti per il clima, il Parlamento europeo, rilevando che l’aumento graduale fino a 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 è essenziale per garantire che si realizzino progressi a Varsavia e per adempiere agli impegni in materia di mitigazione complessivamente necessari, invita tutte le parti presenti alla COP a precisare come intendano incrementare anno per anno tali finanziamenti.

Le misure nazionali di attuazione del protocollo di Kyoto

L’Italia ha provveduto a ratificare il protocollo di Kyoto con la legge 1° giugno 2002, n. 120, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

In attuazione delle citate disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra contenute nella legge di ratifica del Protocollo di Kyoto (n. 120/2002), il Ministero dell'ambiente ha provveduto ad elaborare il Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra 2003-2010 (per consentire all'Italia di rispettare l’obiettivo di riduzione del 6,5% previsto dal Protocollo di Kyoto), nonché la proposta di revisione della delibera CIPE n. 137 del 19 novembre 1998, recante le “linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”.

Tali documenti, approvati con la delibera CIPE 19 dicembre 2002, n. 123[12], contengono, secondo quanto previsto dalla legge di ratifica, l'individuazione delle politiche e delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas serra[13].

Per il finanziamento di tali misure è intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.

Tale norma è stata attuata con il successivo D.M. ambiente 25 novembre 2008 che ha dettato la disciplina delle modalità di erogazione dei citati finanziamenti, ma solo con la circolare del Ministero dell'ambiente del 16 febbraio 2012[14] il Fondo è divenuto effettivamente operativo.

Sul punto è successivamente intervenuto l’art. 57 del D.L. 83/2012 , recante misure urgenti per la crescita del Paese, che ha modificato il novero dei settori destinatari dei finanziamenti a tasso agevolato a valere sulle risorse del Fondo.

A tal fine il comma 1 ha disposto l’abrogazione (decorrente dall’entrata in vigore del decreto-legge) del comma 1112 dell’art. 1 della L. 296/2006 (finanziaria 2007), che elencava le iniziative prioritariamente finanziate nel triennio 2007-2009, ed ha contestualmente fornito un elenco di soggetti beneficiari operanti in taluni settori individuati dalla norma, il che comporta un riorientamento e un ampliamento delle misure di intervento con riferimento a nuovi settori produttivi. Rispetto alla disciplina previgente viene sottolineato che i finanziamenti sono destinati a soggetti privati operanti nei settori indicati e non anche a quelli pubblici, come invece prevede il comma 1111 dell’art. 1 della L. 296/2006.

Secondo la relazione tecnica, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, presso il conto infruttifero di tesoreria centrale n. 25036 intestato al Ministero dell’ambiente e gestito dalla CDP, erano disponibili 565 milioni di euro per le finalità del Fondo. Alla medesima data erano pervenute richieste di finanziamento per 95 milioni di euro. Le risorse riallocate dall’art. 57, secondo la relazione tecnica, sono quindi pari ad almeno 470 milioni di euro.

Si segnala, inoltre, che l’articolo 1, comma 8, del decreto legge n. 129/2012 (disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto) prevede che i finanziamenti a tasso agevolato - di cui all’articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012 - possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del Sito di interesse nazionale di Taranto. Per tale finalità, nell’ambito del Fondo rotativo è destinata una quota di risorse fino a un importo massimo di 70 milioni di euro.

Ulteriori misure di attuazione del Protocollo sono state previste in numerosi provvedimenti normativi, che hanno riguardato principalmente l’incentivazione delle energie rinnovabili e la promozione dell’efficienza e del risparmio energetici (si veda in proposito il capitolo “ Efficienza energetica e fonti rinnovabili ”).

Nonostante gli sforzi intrapresi, però, l’incertezza sulle possibilità di riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra previsti dal Protocollo di Kyoto ha reso necessario l’avvio, sancito con la delibera CIPE n. 135 dell’11 dicembre 2007 (Aggiornamento della delibera CIPE n. 123/2002 recante «revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni di gas-serra»), di un più ampio processo di aggiornamento della delibera n. 123/2002.

Ai fini del citato aggiornamento della strategia nazionale per la riduzione delle emissioni di gas-serra, con la delibera CIPE 16/2009 è stato ricostituito il Comitato tecnico emissioni dei gas-serra (CTE) con il compito di sottoporre al CIPE le eventuali proposte di integrazione o modifica.

Il citato processo di revisione è stato recentemente completato con l’emanazione della delibera CIPE n. 17/2013 recante “aggiornamento del piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas a effetto serra”, pubblicata nella G.U. n. 142 del 19 giugno 2013.

Sebbene tale delibera sia stata pubblicata solamente nel giugno scorso, in realtà la data della sua approvazione risale all’8 marzo 2013, quindi ad una data precedente a quella (11 aprile 2013) in cui è avvenuta la presentazione al Parlamento dell’Allegato al DEF 2013 relativo all’attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra.

Prima di analizzare i contenuti dell’allegato e della delibera citati, appare però opportuno richiamare le linee fondamentali dell’evoluzione della normativa sullo scambio delle quote di emissione.

Si ricorda altresì che, sempre con la finalità di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici, l’UE ha emanato la direttiva 2009/31/CE che ha istituito un quadro giuridico per lo stoccaggio geologico ambientalmente sicuro di biossido di carbonio (CO2). Tale direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.lgs. 14 settembre 2011, n. 162.

Lo scambio delle quote di emissione

Si ricorda che, nell’ambito delle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, la direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 ha istituito un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di anticipare la piena entrata in vigore dell'emission trading, prevista su scala globale dal Protocollo solo dal 2008.

Tale direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216, successivamente integrato e modificato dal d.lgs. 51/2008.

Ulteriori modifiche al D.Lgs. 216/2006 sono state introdotte da diversi provvedimenti. Si ricordano, in particolare, l'art. 27, comma 47, della legge 99/2009, che ha provveduto ad una ridefinizione, in senso restrittivo, delle funzioni del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e l'art. 4, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, finalizzato a definire e razionalizzare la collocazione amministrativa e la governance del Comitato.

Con il D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257, inoltre, è stata recepita la direttiva 2008/101/CE che ha modificato la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nell’ETS. Coerentemente con l'impostazione adottata dalla direttiva, il decreto è stato articolato in modo tale da ristrutturare il decreto legislativo 216/2006 in quattro titoli che si riferiscono rispettivamente alle disposizioni generali, alle disposizioni relative alle attività di trasporto aereo, alle disposizioni relative agli impianti fissi e alle disposizioni comuni sia alle attività di trasporto aereo sia agli impianti fissi.

In attuazione del D.Lgs. 216/2006 i Ministeri competenti (dell'ambiente e dello sviluppo economico) hanno approvato (con decreto DEC/RAS/1448/2006) il PNA delle quote di CO2 per il periodo 2008-2012[15] e, successivamente (in data 29 febbraio 2008), la Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012.

In seguito all’esaurimento della “Riserva nuovi entranti” prevista dalla Decisione di assegnazione per il periodo 2008-2012, l’art. 2 del D.L. 72/2010 (convertito dalla legge 111/2010) ha dettato le necessarie misure per l’assegnazione gratuita di quote di emissione di CO2 ai nuovi impianti entrati in esercizio.

In attuazione della delega prevista dalla legge comunitaria 2009 (L. 96/2010), con il D.Lgs. 13 marzo 2013, n. 30, è stata attuata la direttiva 2009/29/CE, relativa alla revisione per il periodo post-2012 del sistema comunitario ETS di scambio delle emissioni di gas-serra (il cui termine di recepimento per gli Stati membri era scaduto il 31 dicembre 2012[16]) e che fa parte del cd. pacchetto clima-energia.

Tra le principali novità introdotte all’ETS dalla direttiva 2009/29/CE si segnala la previsione che dal 2013 il criterio principale per l’allocazione delle quote agli impianti (in precedenza gratuita e basata sulle emissioni storiche) sia l’assegnazione a titolo oneroso tramite asta.

In estrema sintesi, il funzionamento del sistema europeo di emission trading (EU ETS) è il seguente:

§       la direttiva 2009/29/CE regolamenta le emissioni di gas serra provenienti dalla maggior parte delle attività industriali e dal settore aereo, e prevede l'obbligo di restituire annualmente un numero di "quote" di emissione pari alle emissioni di CO2 rilasciate durante l'anno precedente. La restituzione delle quote avviene per via informatica attraverso il registro nazionale;

§       mentre nel periodo 2008-2012 tutti i settori hanno beneficiato di assegnazione a titolo gratuito, a partire dal 2013 solo alcuni settori possono beneficiare di quote assegnate a titolo gratuito. Per alcuni impianti, tra cui gli impianti di produzione di energia elettrica, l'assegnazione sarà a titolo oneroso (full auctioning) mediante asta. Una quota rappresenta il diritto per l'operatore di rilasciare "gratuitamente" in atmosfera una tonnellata di CO2. Se l'operatore nel corso dell'anno emette in atmosfera emissioni in quantità maggiore delle quote a esso rilasciate deve acquistare quote per "coprire" le emissioni in eccesso (il prezzo della quota è determinato dal mercato sulla base dell'equilibrio tra domanda e offerta). Al contrario se nel corso dell'anno l'operatore emette in atmosfera emissioni in quantità minore rispetto alle quote a esso rilasciate può vendere sul mercato le quote non utilizzate ai fini della restituzione[17].

 

Di seguito si illustrano con maggiore dettaglio le principali novità introdotte dalla direttiva 2009/29/CE, facendo riferimento alla numerazione degli articoli del testo vigente della direttiva 2003/87/CE, come novellata dall’art. 1 della direttiva 2009/29/CE[18].

La direttiva interviene innanzitutto sul campo di applicazione (art. 2) definendolo in maniera più puntuale per quanto riguarda gli impianti di combustione ed estendendo il sistema ad altri gas diversi dalla CO2.

La direttiva ha altresì previsto la possibilità di escludere i piccoli impianti (ossia gli impianti con emissioni annue inferiori a 25.000 t di CO2 e, laddove sono svolte attività di combustione, con potenza termica nominale inferiore ai 35 MW), purché le emissioni di tali impianti siano regolamentate con misure che comportano una riduzione "equivalente" a quella che sarebbe stata loro imposta se fossero rimasti all'interno dell'ETS[19]. E’ stata, altresì, introdotta la possibilità di stabilire regole semplificate per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica a favore degli impianti caratterizzati, nel periodo 2008-2010, da emissioni inferiori alle 5.000 t annue di CO2 (art. 27).

Sul metodo di assegnazione delle quote (artt. da 10 a 10-quater), la nuova direttiva prevede che le quote vengano assegnate mediante asta. Più precisamente, per gli impianti di produzione di elettricità, gli impianti per la cattura di CO2, le condutture per il trasporto di CO2 o i siti di stoccaggio di CO2 l'assegnazione sarà totalmente a titolo oneroso (“full auctioning”), ad eccezione del teleriscaldamento e della cogenerazione ad alto rendimento definita dalla direttiva 2004/8/CE in caso di domanda economicamente giustificabile, rispetto alla generazione di energia termica o frigorifera.

Per gli impianti per i quali è contemplata l'assegnazione gratuita di quote, l'art. 10-bis, comma 11, della direttiva prevede una transizione graduale verso il "full auctioning"; in particolare, il primo anno sarà assegnato gratuitamente l'80% delle quote spettanti, mentre negli anni successivi la percentuale di assegnazione gratuita sarà ridotta linearmente fino ad arrivare al 30% nel 2020 (il che implica un'assegnazione gratuita, come media del periodo, pari al 55% delle quote spettanti).

Per la gestione delle aste la direttiva prevede che avverrà a livello nazionale con regole armonizzate definite con uno specifico regolamento europeo. Viene altresì disciplinato il meccanismo di ripartizione tra gli Stati membri della quantità totale di quote da mettere all'asta. Per i proventi derivanti dalle aste è poi previsto che vengano destinati ad interventi di mitigazione per favorire gli adattamenti ai cambiamenti climatici.

 

 

Si rammenta altresì che per i settori non regolati dalla direttiva 2009/29/CE (cosiddetti settori "non ETS" identificabili approssimativamente con i settori agricolo, trasporti e civile), la decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 406/2009 del 23 aprile 2009 (Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 - cd. Decisione “effort sharing) stabilisce, per ogni Stato Membro della UE, obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Per l’Italia l’obiettivo di riduzione è del -13%, rispetto ai livelli del 2005, da raggiungere entro il 2020.

Con la Decisione n. 2013/162/UE della Commissione, del 26 marzo 2013, sono state determinate le assegnazioni annuali di emissioni degli Stati membri per il periodo 2013-2020 a norma della decisione n. 406/2009/UE.

 

Si segnala inoltre che in data 18 giugno 2013 è stata pubblicata la Decisione n. 529/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulle norme di contabilizzazione relative alle emissioni e agli assorbimenti di gas-serra risultanti da attività di uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e silvicoltura (cd. LULUCF) e sulle informazioni relative alle azioni connesse a tali attività. Tale decisione, in vista della futura inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra risultanti da attività di LULUCF tra gli impegni vincolanti dell'UE, detta le norme per la loro contabilizzazione obbligando per la prima volta gli Stati membri a fornire informazioni in materia[20].

L’Allegato al DEF 2013 sull’attuazione degli impegni
per la riduzione delle emissioni di gas-serra

Il documento (Doc. LVII, n. 1 – allegato III) predisposto dal Ministro dell'ambiente ai sensi dell'art. 10, comma 9, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, come modificato dall'art. 2, comma 2, della legge 7 aprile 2011, n. 39 :

v      riporta la situazione delle emissioni nazionali di gas serra al 2011 e le stime preliminari per il 2012 indicando le azioni per il rispetto dell'obiettivo di Kyoto. Nell'Allegato viene evidenziato un gap medio annuo di circa 21 MtCO2eq. Lo stesso allegato ricorda che il Ministero dell'ambiente, entro il 30 novembre 2013, sulla base dell'inventario nazionale delle emissioni di gas-serra per l'anno 2011 e della stima aggiornata per il 2012, presenterà al CIPE l'aggiornamento della distanza dall'obiettivo di Kyoto ed una proposta del portfolio di AAUs, CERs/ERUs[21] da acquistare sul mercato internazionale del carbonio per colmare tale distanza e la relativa stima delle risorse necessarie per il rispetto dell'obiettivo di Kyoto.

Si ricorda che nell'Allegato presentato nel 2011 veniva giudicato inevitabile il ricorso all'acquisto delle quote necessarie a colmare il gap emissivo, per una spesa che veniva stimata tra i 271 e i 335 Meuro annui. L'importo era ottenuto moltiplicando il gap medio annuo dall'obiettivo di Kyoto (allora stimato in 33,5 MtCO2eq) per il prezzo unitario delle quote, che oscillava tra 8 e 10 euro/tCO2. Considerando il nuovo gap (pari a circa 21 MtCO2Eq) e l'attuale prezzo del carbonio (che oscilla tra 4 e 5 euro/tCO2), la citata stima potrebbe essere compresa tra 88 e 105 milioni di euro annui.

v      valuta gli scenari delle emissioni con orizzonte temporale al 2020 idonei al raggiungimento dell'obiettivo previsto per i settori "non ETS" dalla c.d. decisione "effort sharing" (n. 406/2009) e indica le azioni da attuare prioritariamente per porre il Paese sul giusto percorso rispetto a tale obiettivo. Il documento sottolinea che la piena attuazione degli impegni considerati nello "scenario con misure"[22] consente di adempiere agli obiettivi di cui alla Decisione 406/2009/CE. Per tale motivo nel documento viene evidenziata la necessità di assicurare la piena attuazione delle misure di cui agli allegati 2 e 3 (vedi nota precedente); in caso contrario “le emissioni effettive potrebbero discostarsi sensibilmente da quelle previste". Oltre alle misure indicate, nel documento vengono richiamate le seguenti ulteriori misure previste dalla delibera CIPE 17/2013 al fine - dichiarato nel documento - di porre l'Italia su un percorso emissivo idoneo a rispettare gli obiettivi annuali vincolanti di cui alla decisione n. 406/2009/CE e compatibile con l'obiettivo di decarbonizzazione dell'economia al 2050:

§         confermare fino al 2020 le detrazioni di imposta di cui all'art. 4 del D.L. 201/2011;

Tale norma ha disciplinato a regime la detrazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione edilizia e ha prorogato la detrazione del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici (prorogata dall'art. 11 del D.L. 83/2012 fino al 30 giugno 2013). Il prolungamento della detrazione del 55% è comunque già incluso nell'Allegato 3 (scenario con misure).

§         estendere al 2020 il meccanismo del conto termico nell'efficienza energetica di edifici delle P.A. e per impianti a fonti rinnovabili termiche utilizzati da edifici pubblici e da strutture private, valutando in sede di revisione del meccanismo di contabilizzare l'incentivo sulla base del risparmio raggiunto dagli interventi rispetto ai consumi attuali e all'entità delle fonti di energia fossile evitata;

Il cd. "Conto termico " (D.M. 28 dicembre 2012) si pone il duplice obiettivo di dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili (riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling) e di accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili termiche, il nuovo sistema promuoverà interventi di piccole dimensioni, tipicamente per usi domestici e per piccole aziende, comprese le serre, fino ad ora poco supportati da politiche di sostegno. L'incentivo coprirà mediamente il 40% dell'investimento e sarà erogato in 2 anni (5 anni per gli interventi più onerosi). Per quel che riguarda invece gli incentivi all'efficienza energetica per la P.A., il provvedimento mira a superare le restrizioni fiscali e di bilancio che non hanno finora consentito alle amministrazioni di sfruttare pienamente le potenzialità di risparmio derivanti da interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici.

§         estendere dal 2017 al 2020 il meccanismo dei certificati bianchi tenendo conto di quanto previsto dalla Direttiva 2012/27/UE e potenziando la realizzazione di grandi progetti di risparmio energetico su sistemi infrastrutturali;

Con il D.M. 28 dicembre 2012 (pubblicato sulla G.U. del 2 gennaio 2013) sono stati determinati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2013 al 2016 e per il potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi previsto dal decreto legislativo 28/2011. Si mira a raggiungere una riduzione di energia primaria di circa 25 Mtep, nel quadriennio 2013-2016, e un contenimento delle emissioni di CO2 pari a 15 milioni di tonnellate l'anno, introducendo  un pacchetto di misure finalizzate a facilitare la realizzazione di nuovi progetti di efficienza energetica. Tra queste la semplificazione dell'iter di accesso al meccanismo, l'approvazione di nuove schede per la valutazione dei risparmi nei settori industriale,civile e trasporti, l'ampliamento dei soggetti che possono presentare progetti, la previsione di incentivi per la realizzazione di interventi infrastrutturali, anche asserviti a sistemi di risparmio energetico, trasporti e processi industriali che comportino un risparmio di energia elettrica o di gas secondo quanto specificato nel decreto.

§         applicare la rimodulazione della fiscalità energetica, tenendo conto della direttiva UE sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità;

§         valutare l'opportunità di introdurre benefici fiscali per gli investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale nei processi di riconversione industriale dei siti di interesse nazionale contaminati;

§         valutare la fattibilità tecnico-economica dell'istituzione presso il Ministero dell'ambiente del Catalogo delle tecnologie, dei sistemi e dei prodotti per la decarbonizzazione dell'economia italiana, anche al fine di garantire l'accesso agevolato al Fondo Kyoto per chi acquista tecnologie, sistemi e prodotti contenuti nel Catalogo;

§         integrare, a partire dal 2013, il Fondo Kyoto con il 40% delle entrate derivanti dai proventi della vendita all'asta delle quote di CO2 in accordo con quanto previsto dall'art. 19 del D.Lgs. 30/2013.

Si ricorda, in proposito, che l'art. 19, comma 5, del citato decreto destina i proventi delle aste, per il 50% (in attuazione del D.L. 72/2010), al rimborso dei crediti spettanti ai gestori degli impianti "nuovi entranti" che a causa dell'esaurimento della riserva di quote "nuovi entranti" non hanno beneficiato di assegnazione a titolo gratuito per il periodo 2008-2012, e per il restante 50% alle attività volte (principalmente) a contrastare i cambiamenti climatici elencate dal comma 6, che sono le stesse previste dall'art. 10, par. 3, della direttiva 2003/87/CE.

La strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Su impulso della Commissione europea, che il 16 aprile 2013 ha diffuso la "Strategia dell'UE di adattamento ai cambiamenti climatici" (COM(2013)216 def.), in data 13 settembre 2013 il Ministero dell’ambiente ha elaborato un documento intitolato “Elementi per una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” che rimarrà disponibile fino a fine anno sul sito web del Ministero, per consentire la consultazione degli operatori interessati, prima di procedere alla stesura del documento definitivo.

In estrema sintesi il documento mira a definire un coerente e chiaro approccio strategico per attuare un piano di azione che garantisca che le misure di adattamento ai cambiamenti climatici siano efficaci, coerenti tra i vari settori ed adottate tempestivamente. L'obiettivo della Strategia nazionale è elaborare una visione generale su come affrontare sul lungo periodo gli impatti dei cambiamenti climatici, attraverso un insieme di azioni e indirizzi per farvi fronte. Secondo la Strategia, infatti, occorre mantenere o migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici ai cambiamenti del clima, nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare dall'attuazione delle azioni intraprese.

In primo piano gli effetti che i cambiamenti climatici porteranno nei prossimi decenni[23] sulle risorse idriche (quantità e qualità dell'acqua), la desertificazione di zone del territorio italiano e il degrado del territorio e gli impatti sugli ecosistemi. Il documento sottolinea, inoltre, i costi del mancato adeguamento sistemico ai cambiamenti climatici, evidenziando come occorra investire ora per non pagare di più in futuro[24].


Le Iniziative dell’UE in materia di clima ed energia

La cornice delle politiche dell’Unione europea

La politica ambientale dell’Unione europea si inserisce in una cornice delineata da importanti strategie adottate negli ultimi anni.

Per quanto riguarda l’orizzonte del 2020, si fa riferimento, in primo luogo, alla strategia per la crescita e l’occupazione “Europa 2020” (COM(2010)2020), approvata dal Consiglio europeo del giugno 2010, che ha incluso al proprio interno l’azione dell’UE in materia di politica climatica ed energetica.

La Strategia, infatti, ribadisce l’impegno a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2, inserendo l’energia tra i settori d’intervento prioritari ed integrandovi gli obiettivi UE per il 2020 già fissati dal pacchetto legislativo clima-energia (approvato nel 2009):

·         ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20%;

·         aumentare la quota di energie rinnovabili al 20%;

·         migliorare l'efficienza energetica del 20%.

Per quanto riguarda, invece, il periodo successivo al 2010, si segnala, in primo luogo, che il Consiglio europeo ha sostenuto, già nell’ottobre 2009, l'obiettivo dell'UE di ridurre le emissioni dall'80 al 95% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050, nel contesto delle riduzioni che, secondo il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), i paesi sviluppati dovrebbero realizzare collettivamente.

L’obiettivo UE di riduzione delle emissioni di gas serra dell’80-95% entro il 2050 è al centro di numerose iniziative dell’UE. Si fa riferimento, in particolare, alla tabella di marcia (COM(2011)112), presentata nel marzo 2011, che, entro il 2050, dovrebbe trasformare, in maniera economicamente sostenibile, l'Europa in una società a basse emissioni di carbonio.

L'analisi dei vari scenari individua un'opzione efficace in termini di costi nel realizzare riduzioni interne delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990, del 25% nel 2020, del 40% entro il 2030, e del 60% entro il 2040. Tale approccio comporterebbe, sempre rispetto al 1990, riduzioni annue di circa l'1% nel primo decennio fino al 2020, dell'1,5% nel secondo decennio, dal 2020 al 2030, e del 2% negli ultimi due decenni fino al 2050 grazie alla disponibilità di una più ampia gamma di tecnologie con un buon rapporto costi‑efficacia.

Secondo l’analisi della Commissione, la piena realizzazione delle politiche esistenti, compresi gli obiettivi del pacchetto clima-energia, consentirebbe all'UE di superare l'obiettivo di riduzione del 20% e di conseguire entro il 2020 un abbattimento delle emissioni del 25%. Un percorso meno ambizioso, secondo la Commissione, potrebbe invece consolidare gli investimenti ad elevata intensità di carbonio, con un conseguente aumento dei prezzi del carbonio e costi generali significativamente più elevati sull'intero periodo.

 

 

Sempre con il medesimo orizzonte del 2050, si segnalano:

·      la tabella di marcia per l’uso efficiente delle risorse (COM(2011)571), presentato nel settembre 2011, che definisce un piano per la competitività e la crescita economica fondato su una più razionale gestione di tutti i materiali e risorse naturali;

·      il libro bianco sul futuro del trasporto (COM(2011)144), che include, tra gli altri obiettivi, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei trasporti del 60 per cento entro il 2050;

·      la roadmap per l’energia 2050 (COM(2011)885), presentata nel dicembre 2011, che delinea la strategia per realizzare entro il 2050 un sistema energetico a zero emissioni di carbonio.

 

Si ricorda, infine, che nel quadro finanziario pluriennale, per il periodo 2014-2020, si prevede, nell’ambito del programma Life+, uno stanziamento complessivo di circa 3 miliardi di euro, articolato in due settori di investimento: “Ambiente”, per il sostegno di azioni in campo ambientale, e il nuovo “Azione per il clima”, a sostegno di interventi riguardanti i cambiamenti climatici. Altrettante risorse sono destinate nell’ambito del programma Horizon 2020 al finanziamento di iniziative di ricerca e sviluppo nel settore dell’energia/clima.

 

Le azioni settoriali proposte dalla Commissione nel corso del 2013

All’interno del quadro tracciato da tali iniziative, la Commissione europea ha dettagliato nel corso del tempo le azione che l’UE intende intraprendere nei campi ambientale ed energetico.

Allo scopo di elaborare una strategia coerente ed integrata in tali due settori dopo il 2020, nel marzo 2013, la Commissione europea ha presentato il Libro verde “un quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030 (COM(2013)169). Con tale iniziativa, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica, chiusa lo scorso 2 luglio, per verificare le possibilità di elaborare un piano che concili il livello di ambizione degli obiettivi con le conseguenze della crisi economica ancora in atto, che colpisce sia le imprese sia le famiglie, condizionandone i comportamenti e le scelte.

 

Con riferimento, in particolare, al tema dei cambiamenti climatici, nell’aprile 2013, la Commissione ha presentato la Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici (COM(2013)216). Si tratta di una strategia unitaria, applicabile a tutti i paesi membri, che si basa sulle esperienze positive degli Stati membri che si sono già dotati di strategie di adattamento. L’obiettivo principale della strategia contribuire a rendere l’Europa più resiliente ai cambiamenti climatici. Ciò richiede una migliore preparazione e capacità di reazione agli impatti dei cambiamenti climatici a livello locale, regionale, nazionale e unionale, puntando sullo sviluppo di un approccio coerente e un migliore coordinamento.

 

Per quanto riguarda il controllo e la riduzione delle emissioni, la Commissione è impegnata nel disegno di assoggettare il settore del trasporto aereo, anche proveniente da Paesi terzi, al sistema EU ETS (cfr. infra). Tale impegno si è formalizzato con la presentazione, lo scorso ottobre, di un’apposita proposta di direttiva (COM(2013)722).

 

Per quanto riguarda l’efficienza energetica, la Commissione ha presentato lo scorso 6 novembre, una comunicazione (COM(2013)762) sull’attuazione della direttiva sull’efficienza energetica, in cui illustra gli orientamenti della Commissione in tale settore.

In particolare, la Commissione è interessata a collaborare strettamente con gli Stati membri per l'attuazione e l’efficace applicazione della direttiva in questione, entrata in vigore nel dicembre dello scorso anno e da recepire entro giugno 2014. La Commissione intende supportare gli Stati membri nella fase di recepimento allo scopo di favorire l’attuazione uniforme della disciplina europea con particolare riferimento alle disposizioni concernenti gli edifici di proprietà del governo centrale, gli appalti pubblici, gli obblighi e le alternative in materia di efficienza energetica, gli audit energetici, la misurazione e la fatturazione, la cogenerazione, le reti e la gestione della domanda.

 

Con riferimento alla promozione dell’uso delle energie rinnovabili, nel marzo 2013, la Commissione ha presentato una relazione (COM(2013)175) sui progressi compiuti in questo settore dall’UE. La Commissione sottolinea che, si a livello europeo, dopo una fase iniziale generalmente positiva, l’eliminazione delle barriere fondamentali che ostacolano la crescita delle energie rinnovabili procede più lentamente del previsto, rendendo così necessari ulteriori sforzi da parte di alcuni Stati membri.

Ad avviso della Commissione, a livello di Unione europea e di Stati membri occorre un ulteriore impegno in termini di semplificazione amministrativa e maggiore trasparenza delle procedure di autorizzazione e pianificazione, nonché per lo sviluppo e il funzionamento delle infrastrutture. C’è anche bisogno di sforzi ulteriori anche per il trattamento e l’inclusione della produzione di energia da fonti rinnovabili all’interno del sistema elettrico.

 

Funzionale al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e di efficienza energetica è lo sviluppo di tecnologie energetiche adeguate. La Commissione europea, in tale ottica, ha presentato la comunicazione sulle Tecnologie energetiche e innovazione (COM(20123)253). In tale documento la Commissione mette in luce l’importanza di un impegno sistemico nel settore, sostenendo il ciclo dell’innovazione, dalla ricerca di base alla commercializzazione, eliminando gli ostacoli regolamentari, analizzando le condizioni di mercato di tecnologie specifiche e creando un clima e prospettive propizi ad un aumento degli investimenti a favore dell’innovazione.


 

Le iniziative europee ed italiane per lo sviluppo sostenibile

L’approccio proposto dalla Commissione europea con il pacchetto clima-energia è volto ad affermare la dimensione climatica, a livello sia europeo sia nazionale, quale opzione strategica da  includere in tutte politiche atte a promuovere l'ecoinnovazione, i prodotti, e i sistemi efficienti sotto il profilo energetico.

Il pacchetto clima-energia - che traduce in obiettivi vincolanti per gli Stati membri gli impegni di riduzione assunti nel contesto del negoziato internazionale per il regime post-Kyoto – o il regime di scambio di quote di emissioni di CO2 che l’accompagna, si inseriscono dunque nello sforzo promosso dall’UE nei decenni passati al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso politiche e strumenti legislativi sulla biodiversità, la gestione dei rifiuti, la qualità dell’aria e dell’acqua.

Tale scelta risponde alla più generale esigenza, delineata da tempo dall’Unione europea, di definire un approccio globale alle diverse dimensioni dei problemi che consenta di disegnare politiche trasversali e fortemente coordinate per i diversi comparti che ne sono investiti, trasformando i rischi legati a un aumento dei prezzi dell'energia, a un regime restrittivo per le emissioni di carbonio, e alla lotta all'accaparramento di risorse e mercati, in un’opportunità per creare una nuova economia europea che goda di un forte vantaggio competitivo a livello globale.

Nell’ambito della politica europea per lo sviluppo sostenibile che invita gli Stati membri a delineare le proprie strategie nazionali, l’Italia ha provveduto ad approvare la “Strategia d'azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia”, (Deliberazione CIPE 2 agosto 2002, n. 57); un documento che riflette la proposta della Commissione europea sul Sesto Piano d’Azione per l’Ambiente e conferma la volontà nazionale di conformarsi al nuovo cammino europeo e internazionale a favore della sostenibilità[25].

Il comma 1124 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) ha previsto l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, di un Fondo per lo sviluppo sostenibile[26], allo scopo di finanziare:

§      progetti per la sostenibilità ambientale di settori economico-produttivi o aree geografiche;

§      l’educazione e l’informazione ambientale;

§      progetti internazionali per la cooperazione ambientale sostenibile.

Il successivo comma 1125 ha determinato la dotazione del fondo in 25 milioni di euro annui per il triennio 2007-2009. L’operatività del Fondo è stata avviata con l’adozione del decreto interministeriale 16 gennaio 2008.

Nel corso del processo di revisione del c.d. codice ambientale (D.Lgs. 152/2006)[27], con il d.lgs n. 4/2008 sono stati introdotti, nel testo del codice, alcuni articoli contenenti i principi generali sulla produzione del diritto ambientale. In particolare l’art. 3-quater ha introdotto il principio dello sviluppo sostenibile.

Si segnala che il 21 agosto 2012, l’allora Ministro dell'ambiente ha reso pubblico sul proprio sito web il proprio contributo al piano crescita del Governo, dal titolo "Strategia in 5 punti per lo sviluppo sostenibile dell'Italia", che verteva su: decarbonizzazione dell’economia; sicurezza del territorio; recupero e valorizzazione delle aree soggette a bonifica; gestione integrata dei rifiuti e delle risorse idriche.

Nel corso di un suo recente intervento agli Stati generali della green economy, l’attuale Ministro dell’ambiente ha evidenziato una serie di priorità, tra cui si ricordano, tra gli altri, l’attuazione di una riforma fiscale verde (si segnala in proposito l’art. 15 dell’A.S. 1058, attualmente all’esame della Commissione Finanze del Senato[28]); l’esigenza di puntare sul riciclo dei rifiuti e sul contrasto al dissesto idrogeologico anche attraverso una normativa volta ad impedire il consumo di suolo (su cui, lo si ricorda, sono all’esame della Camera diverse proposte di legge: A.C. 948 e abb. e A.C. 70 e abb.).

Principali interventi normativi recenti

In materia di green economy si ricorda che già nel corso della XVI legislatura, per agevolare e incentivare l’applicazione degli acquisti verdi, l’Italia si è dotata (su impulso dell’Unione europea, che ha promosso l’adozione di specifici piani d’azione nazionali) del Piano d’azione nazionale sul green public procurement (PAN GPP) emanato tramite il D.M. 11 aprile 2008, attuativo delle previsioni dell’art. 1, comma 1126, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007). In attuazione del citato piano il Ministero dell’ambiente ha emanato una serie di decreti recanti i criteri ambientali minimi (CAM) da inserire nei bandi di gara della PA per specifiche tipologie di prodotti[29]. Il citato piano emanato nell’aprile 2008 è stato recentemente aggiornato dal D.M. Ambiente 10 aprile 2013.

In materia di rifiuti si segnala che nel corso della XVI legislatura si è provveduto al recepimento della nuova direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), con il D.Lgs. 205/2010, che ha introdotto rilevanti disposizioni e più stringenti obiettivi di raccolta e recupero dei rifiuti attraverso una pressoché completa riscrittura della parte IV del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006).

Si segnala altresì la recente emanazione del D.M. ambiente 7 ottobre 2013 di adozione e approvazione del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, pubblicato nella G.U. n. 245 del 18 ottobre 2013.

In tema di inquinamento atmosferico, nel corso della XVI legislatura, con l’emanazione del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 155, il Governo non si è limitato a recepire la direttiva 2008/50/CE, ma ha provveduto anche a sostituire le disposizioni di attuazione della direttiva 2004/107/CE (recate dal D.Lgs. 152/2007), istituendo un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente. Tale decreto prevede, in particolare, la zonizzazione dell'intero territorio nazionale da parte delle regioni ai fini della valutazione della qualità dell'aria effettuata per ciascuno degli inquinanti previsti dalla norma.

Sempre in materia di qualità dell’aria si ricorda l’intervento correttivo alla parte V del codice dell’ambiente (relativa alle emissioni in atmosfera di impianti e attività) operato dal D.Lgs. 29 giugno 2010, n. 128, avente natura per lo più definitoria e ordinamentale.

Tale intervento correttivo ha riguardato anche la parte seconda del Codice. In particolare il decreto ha provveduto a trasporre, all’interno della parte seconda del Codice ambientale, la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (AIA-IPPC) in precedenza contenuta nel d.lgs. 59 del 2005 ed ha apportato anche alcune modifiche alla disciplina della valutazione ambientale strategica (VAS) e della valutazione dell’impatto ambientale (VIA).

In materia si ricorda anche la recente norma contenuta nell’art. 3 della L. 96/2010 (legge di delegazione europea 2013), che ha fissato alcuni princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali (contenuta nell'allegato B alla medesima legge), che riscrive e integra la direttiva 2008/1/CE (cd. direttiva IPPC) e sei altre direttive sulle emissioni industriali in una sola direttiva.

Si rammenta altresì l’art. 23 della L. 97/2013 (legge europea 2013) volto a dare attuazione alle disposizioni della direttiva 2011/92/UE in materia di VIA.

Si segnala altresì che con il D.P.R. 59/2013 è stato emanato il regolamento volto a disciplinare l'autorizzazione unica ambientale (AUA) introdotta dall’art. 23 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5.

Si segnalano altresì le numerose norme in materia ambientale contenute nella L. 97/2013 (legge europea 2013) al fine di rispondere ai rilievi contenuti nelle procedure di infrazione aperte dalla Commissione europea. Oltre al citato art. 23 in materia di VIA, si ricordano l’art. 18 in materia di acque di balneazione per i bacini idrografici; l’art. 21 in materia di pile, accumulatori e relativi rifiuti; l’art. 22 relativo alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei relativi rifiuti; gli artt. 24 e 27 in materia di inquinamento da nitrati in acque agricole e l’art. 25 che modifica la normativa in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente recata dalla Parte sesta del D.Lgs 152/2006 (Codice ambientale).

Con riferimento alla tutela contro i danni all’ambiente con il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 121, è stata recepita la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonché la direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni.

Si segnala altresì che presso la Commissione Giustizia della Camera è attualmente in corso di esame la proposta di legge C. 957 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni concernenti i delitti contro l'ambiente e l'azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale”.

Si segnalano altresì i decreti legislativi recanti le discipline sanzionatorie per le violazioni delle disposizioni derivanti dai regolamenti (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra (D.Lgs. 26/2013) e n. 1005/2009 sulle sostanze che riducono lo strato di ozono (D.Lgs. 108/2013).

Merita infine sottolineare l’approvazione della L. 14 gennaio 2013 , n.10 recante “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”.

L’ecobilancio

Nel 1999 una risoluzione parlamentare di approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria (approvata da entrambi i rami del Parlamento) ha previsto che il disegno di legge di bilancio contenga una sorta di bilancio ambientale dello Stato (o ecobilancio): tale adempimento è stato rispettato dal Governo fin dal disegno di legge di bilancio del 2000. A decorrere dal 2008, inoltre, a perfezionamento del ciclo di esposizione dei dati contabili del bilancio dello Stato, è stato presentato, unitamente al Rendiconto generale dello Stato, anche un eco-rendiconto, finalizzato all’illustrazione sistematica delle risultanze della gestione delle risorse finanziarie destinate alla tutela dell’ambiente. La rendicontazione delle spese ambientali è stata poi resa obbligatoria con la legge di riforma della contabilità (L. 196/2009).

In base a quanto riportato nell'ecobilancio allegato al ddl di bilancio 2014, le risorse finanziarie stanziate dallo Stato per la spesa primaria[30] per la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali secondo il ddl di bilancio ammontano a poco meno di 1,6 miliardi di euro nel 2014, pari allo 0,32% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Le stesse rimangono sostanzialmente stabili nel 2015 e nel 2016 (rispettivamente, 0,33% e 0,34% del bilancio dello Stato). Si tratta delle risorse iniziali stanziate in conto competenza per il triennio 2014-2016. Rispetto agli stanziamenti iniziali destinati alle stesse finalità nel 2013, pari a oltre 1,6 miliardi di euro, si registra un decremento del 4% circa nel 2014.

I settori d’intervento cui nel complesso afferisce circa il 60% delle risorse iniziali destinate alla spesa primaria ambientale sono quelli della “protezione della biodiversità e del paesaggio”, della “protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e di superficie”, e dell’“uso e gestione delle acque interne”.


Efficienza energetica e fonti rinnovabili

La Strategia Energetica Nazionale (SEN)

Allo scadere della XVI legislatura, con il decreto 8 marzo 2013, è stata adottata la Strategia energetica nazionale (SEN).

Tale documento è frutto di un processo di consultazione pubblica avviato a metà ottobre 2012, in seguito all’approvazione in Consiglio dei Ministri del documento di proposta e proseguito con il confronto con le istituzioni, le associazioni di categoria, le parti sociali e sindacali, le associazioni ambientaliste e dei consumatori, enti di ricerca e centri studi. Sono stati inoltre ricevuti suggerimenti e contributi da cittadini e singole aziende attraverso la consultazione pubblica che si è svolta on-line sul sito web del Ministero dello Sviluppo economico.

Il Governo attualmente in carica ha espresso condivisione per la SEN, quale documento di programmazione energetica a livello nazionale.

Sulla SEN e sulle principali problematiche in materia di energia, la Commissione X della Camera dei Deputati sta svolgendo un’indagine conoscitiva.

 

La SEN indica quattro obiettivi principali:

§      l’allineamento dei costi energetici a quelli europei, con una previsione di circa 9 miliardi di euro l’anno di risparmi sulla bolletta elettrica e gas a livello nazionale (sui 70 miliardi di spesa totale attuale);

§      il superamento di tutti gli obiettivi ambientali europei (riduzione delle emissioni di CO2, penetrazione delle rinnovabili, riduzione del consumo di energia). Questi includono la riduzione delle emissioni di gas serra del 21% rispetto al 2005 (obiettivo europeo: 18%), riduzione del 24% dei consumi primari rispetto all’andamento inerziale (obiettivo europeo: 20%) e raggiungimento del 19-20% di incidenza dell’energia rinnovabile sui consumi finali lordi (obiettivo europeo: 17%). In particolare, ci si attende che le rinnovabili diventino la prima fonte nel settore elettrico al pari del gas con un’incidenza del 35-38%;

§      il rafforzamento della sicurezza ed indipendenza di approvvigionamento, con una riduzione di circa 14 miliardi l’anno di acquisti energetici dall’estero (rispetto ai 62 miliardi attuali, e -19 rispetto alle importazioni tendenziali 2020), con la riduzione dall’84 al 67% della dipendenza dall’estero. Ciò equivale a circa 1% di PIL addizionale e, ai valori attuali, sufficiente a riportare in attivo la bilancia dei pagamenti, dopo molti anni di passivo;

§      la spinta alla crescita economica guidata dal settore energetico, con una previsione di circa 180 miliardi di euro di investimenti di qui al 2020, sia nella green e white economy (rinnovabili e efficienza energetica), sia nei settori tradizionali (reti elettriche e gas, rigassificatori, stoccaggi, sviluppo idrocarburi). Si tratta di investimenti privati, solo in parte supportati da incentivi, e con notevole impatto in termini di competitività e sostenibilità del sistema.

 

Per ottenere questi obiettivi, la SEN individua 7 priorità d’azione, ciascuna dettagliata in misure concrete da prendere:

-      efficienza energetica;

-      mercato competitivo del gas e hub sud-europeo;

-      sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili;

-      sviluppo delle infrastrutture e del mercato elettrico;

-      ristrutturazione della raffinazione e della rete di distribuzione carburanti;

-      produzione sostenibile di idrocarburi nazionali;

-      modernizzazione del sistema di governance.

Promozione del risparmio ed efficienza energetici

La Strategia Energetica Nazionale indica nella promozione dell'efficienza energetica la prima priorità d'azione, in quanto contribuisce contemporaneamente al raggiungimento di tutti gli obiettivi della stessa SEN: riduzione dei costi energetici, riduzione delle emissioni e dell'impatto ambientale, miglioramento della sicurezza ed indipendenza di approvvigionamento e sviluppo della crescita economica. All'efficienza energetica la SEN destina investimenti, da parte dello Stato, pari a circa 15 miliardi nei prossimi 8 anni.

 

In termini di efficienza energetica, l'Italia è uno dei primi Paesi per intensità energetica in Europa, con un livello inferiore alla media di circa il 14%, nonostante una struttura economica in cui l'industria manifatturiera ha un peso superiore alla media europea (anche se, negli ultimi due decenni, altri Paesi europei hanno mediamente migliorato tale indicatore in maniera più forte rispetto a quanto fatto dall'Italia). L'Italia vanta inoltre una consolidata tradizione industriale in molti settori strettamente correlati all'efficienza energetica (caldaie, motori inverter, smart grid, edilizia, …). Rimane tuttavia un "potenziale di miglioramento importante, che può essere catturato attraverso interventi che hanno un ritorno economico positivo”.

 

A livello di programmazione, già da un quinquennio l’Italia si muove nell’ambito dei Piani d’azione nazionali. Il più recente è stato predisposto nel giugno 2011 (secondo Piano d’Azione Nazionale per l’Efficienza Energetica - PAEE 2011), che dà seguito alle azioni ed iniziative già previste nel PAEE2007 e presenta proposte di medio-lungo termine.

Grazie a questi Piani, negli ultimi anni già molto è stato fatto. Sono stati attivati numerosi interventi (ad esempio Certificati Bianchi, detrazioni fiscali al 55%, incentivi, requisiti prestazionali minimi, certificazione energetica) che hanno permesso già un risparmio di circa 4 Mtep/anno di energia finale al 2010 (e circa 6 di primaria), superando gli obiettivi prefissati per tale data – pari a circa 3,5 Mtep. Questi risultati sono stati calcolati al netto della riduzione dei consumi energetici verificatasi come conseguenza della crisi economica che ha colpito il Paese. Gli obiettivi al 2020 richiedono un risparmio di ulteriori 15 Mtep di energia finale e circa 20 di primaria, per i quali sono necessari ulteriori sforzi.

Riqualificazione energetica degli edifici

Per migliorare la qualità prestazionale del patrimonio immobiliare pubblico e privato, l’Italia si è mossa su due versanti:

-      da un lato si sono introdotti incentivi economici (solitamente detrazioni fiscali) per agevolare interventi di riqualificazione energetica;

-      dall’altro lato, in accordo con la normativa europea in materia, sono stati imposti parametri di efficienza e di risparmio negli interventi di ristrutturazione o di nuove costruzioni, per adeguare il patrimonio edilizio a standard prestazionali più elevati.

 

Il decreto-legge 63/2013 si è mosso su entrambi i filoni normativi, recependo la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, e potenziando il regime di detrazioni fiscali, passato dal 55% per gli interventi di miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici al 65%.

Per le spese documentate sostenute a partire dal 1° luglio 2013 fino al 31 dicembre 2013 o fino al 30 giugno 2014 (per le ristrutturazioni importanti dell'intero edificio), spetterà la detrazione dell'imposta lorda per una quota pari al 65% degli importi rimasti a carico del contribuente, ripartita in 10 quote annuali di pari importo. E' stata inoltre decisa la proroga, fino al 31 dicembre 2013, delle detrazioni IRPEF del 50 per cento, dall'ordinario 36 per cento, per spese di ristrutturazioni edilizie fino ad un ammontare complessivo non superiore a 96.000 euro (48.000 euro nel regime ordinario). Tale proroga è stata estesa anche all'acquisto di mobili finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto di ristrutturazione, per un massimo di 10 mila euro (in pratica si concede un bonus di 5.000 euro). Le detrazioni riguarderanno anche gli interventi di ristrutturazione relativi all'adozione di misure antisismiche, nonché all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica delle parti strutturali degli edifici.

 

Con il disegno di legge di stabilità per il 2014 (A.S.1120), si prevede all’articolo 6, comma 7 una proroga delle detrazioni per ristrutturazioni edilizie e riqualificazione energetica.

Per quanto concerne la detrazione d'imposta per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici, viene prorogata di un anno la misura della detrazione al 65 per cento attualmente prevista sino al 31 dicembre 2013, stabilendo altresì che la detrazione si applichi nella misura del 50 per cento per l'anno 2015. Con riferimento agli interventi di riqualificazione energetica relativi a parti comuni degli edifici condominiali si proroga di un anno la misura della detrazione al 65 per cento (attualmente prevista sino al 30 giugno 2014), prevedendo altresì che la detrazione si applichi nella misura del 50 per cento nei 12 mesi successivi. Con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, viene prorogata di un anno la misura della detrazione al 50 per cento attualmente prevista sino al 31 dicembre 2013, stabilendo altresì che la detrazione si applichi nella misura del 40 per cento per l'anno 2015. Con riferimento agli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, viene prorogata di un anno la misura della detrazione al 65 per cento attualmente prevista sino al 31 dicembre 2013, stabilendo altresì che la detrazione si applichi nella misura del 50 per cento per l'anno 2015. Con riferimento alle spese per l'acquisto di mobili per l’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione viene specificato il termine finale (31 dicembre 2014) entro cui devono essere sostenute le spese ai fini della detrazione prevista.

 

Il decreto 63/2013 è intervenuto anche in materia di certificazione energetica degli edifici, introducendo nel D.Lgs. 192/2005 nuove regole per l'efficienza del patrimonio edilizio e rendendo obbligatorio l'attestato di prestazione energetica (APE), che sostituisce il tradizionale attestato di certificazione energetica (ACE). In tal modo si è recepita anche la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia.

Per quanto riguarda il recepimento della normativa UE sull'efficienza energetica, si segnala che, a causa della situazione preesistente al D.L. 63/2013, il recepimento della direttiva 2010/31/CE in materia di certificazione energetica degli edifici non è stato considerato adeguato dalla Corte europea, che ha condannato l'Italia (con sentenza del 13 giugno 2013 ) per non aver rispettato l'obbligo di dotare dell'attestato di prestazione energetica gli edifici nuovi e quelli esistenti in caso di vendita o nuova locazione.

Certificati bianchi

Nel gennaio 2005 (D.M. 20/07/04) ha preso avvio un meccanismo incentivante del risparmio energetico detto dei "certificati bianchi" o "titoli di Efficienza Energetica". Questo strumento di mercato serve a promuovere l'efficienza energetica negli usi finali. In particolare, i certificati bianchi servono per attestare il raggiungimento degli obiettivi di risparmio che le imprese distributrici di energia elettrica e gas devono conseguire, attraverso interventi e progetti per accrescere l'efficienza energetica negli usi finali di energia.

 

La valutazione ed il controllo dei risparmi è affidata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che certifica i risparmi energetici ottenuti e autorizza poi il Gestore del mercato elettrico (GME) ad emettere i "certificati bianchi" in quantità pari ai risparmi certificati, a favore dei distributori, delle società controllate dagli stessi distributori o a favore di società operanti nel settore dei servizi energetici (ESCO). Per dimostrare di aver raggiunto gli obblighi di risparmio energetico e non incorrere in sanzioni dell'Autorità, i distributori devono consegnare annualmente all'Autorità un numero di 'titoli' equivalente all'obiettivo obbligatorio.

 

Con il D.M. 28 dicembre 2012 sono stati determinati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2013 al 2016 e per il potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi previsto dal decreto legislativo 28/2011. Si mira a raggiungere una riduzione di energia primaria di circa 25 Mtep, nel quadriennio 2013-2016, e un contenimento delle emissioni di CO2 pari a 15 milioni di tonnellate l’anno, introducendo  un pacchetto di misure finalizzate a facilitare la realizzazione di nuovi progetti di efficienza energetica. Tra queste la semplificazione dell’iter di accesso al meccanismo, l’approvazione di nuove schede per la valutazione dei risparmi nei settori industriale,civile e trasporti, la semplificazione del processo di predisposizione di nuove schede, l’inclusione di nuove aree di intervento, l’ampliamento dei soggetti che possono presentare progetti.  Al fine di stimolare la realizzazione di  grandi progetti, industriali e infrastrutturali, in grado di generare significativi volumi di risparmi, sono previsti maggiori incentivi per gli investimenti effettuati. Ulteriori innovazioni del meccanismo, che sarà gestito dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), riguardano un maggior ruolo affidato al mercato (attraverso la piattaforma di scambio gestita dal GME) nella determinazione del valore del risparmio ed il rafforzamento dei controlli, a complemento delle semplificazioni, con un programma di verifiche ex post accompagnate da un sistema sanzionatorio efficace. Confermato il ruolo dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas negli interventi di regolazione economica del sistema.

La nuova direttiva europea

La nuova direttiva sull'efficienza energetica (direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/CE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE) contiene le indicazioni per gli Stati Membri per raggiungere l'obiettivo del 20% di risparmio energetico al 2020.

 

Tra le altre misure, ciascun Paese dovrà istituire un regime nazionale obbligatorio di efficienza energetica per garantire che i distributori di energia e/o le società di vendita di energia al dettaglio conseguano, tra il 1° gennaio 2014 e la fine del 2020, un obiettivo di risparmio sugli usi finali dell'energia dell'1,5% l'anno sulla media dei volumi complessivi di vendita annuali.

 

Quanto all'efficienza nell'edilizia, gli Stati membri dovranno garantire dal 1° gennaio 2014 la riqualificazione del 3% della superficie totale degli edifici riscaldati e/o raffrescati posseduti e occupati dal loro Governo centrale con una metratura utile totale superiore a 500 mq. Da luglio 2015 l''obbligo riguarderà anche quelli fino a 250 mq. Le nuove norme dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 giugno 2014.

Energie rinnovabili

Lo sviluppo sostenibile delle rinnovabili nella SEN

Nell’ambito della Strategia energetica nazionale il concetto chiave in materia di fonti rinnovabili è quello di un loro “sviluppo sostenibile”.

 L’Italia intende superare gli obiettivi di produzione rinnovabile europei (‘20-20-20’), contribuendo in modo significativo alla riduzione di emissioni e all’obiettivo di sicurezza energetica, ma contemporaneamente vuole realizzare lo scopo di contribuire alla ripresa economica, e dunque:

§      si impone il vincolo di contenere la spesa in bolletta che grava su imprese e famiglie, allineando il livello degli incentivi ai valori europei e spingendo lo sviluppo dell’energia rinnovabile termica, che ha un buon potenziale di crescita e costi specifici inferiori a quella elettrica;

§      la spesa sarà inoltre direzionata verso le tecnologie e i settori più virtuosi e sulla filiera economica nazionale, dal momento che le rinnovabili rappresentano infatti un segmento centrale di quella green economy che è sempre più considerata a livello internazionale un’opportunità per la ripresa economica.

 

L’Italia ha prezzi dell’energia mediamente superiori ai suoi concorrenti europei, e ancor più rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti. Questa situazione rappresenta un fattore di grave appesantimento per la competitività del sistema economico italiano.

Una delle cause di questa situazione è dovuta al peso sui costi energetici degli incentivi alla produzione rinnovabile elettrica in Italia. Tali incentivi sono storicamente i più elevati d’Europa (ad esempio, gli incentivi unitari alla produzione fotovoltaica sono circa il doppio di quelli tedeschi), con un forte impatto sul costo dell’energia: circa il 20% circa della bolletta elettrica italiana (escluse imposte) è destinato a incentivi alla produzione tramite fonti rinnovabili.

 

In termini di obiettivi quantitativi, ci si propone di raggiungere il 19-20% dei consumi finali lordi (rispetto all’obiettivo europeo del 17%), pari a 23-24 Mtep di energia finale l’anno. Questo consentirà una riduzione di emissioni fino a 50 milioni di tonnellate di CO2.

In particolare, per quanto riguarda il settore elettrico, l’obiettivo è quello di sviluppare le rinnovabili fino al 35-38% dei consumi finali al 2020, pari a circa 120-130 TWh/anno o 10-11 Mtep. Con tale contributo, la produzione rinnovabile diventerà la prima componente del mix di generazione elettrica in Italia, al pari del gas. Nel far questo, è necessario e possibile contenere i costi incrementali in bolletta per i consumatori, accompagnando la crescita dei volumi di energia rinnovabile con incentivi progressivamente ridotti e commisurati al costo (decrescente) della tecnologia e in linea con altri paesi leader in Europa. Complessivamente, per il raggiungimento degli obiettivi al 2020, vengono messi a disposizione fino a circa 11,5-12,5 miliardi l’anno  per 20 anni, assegnando le residue risorse in base a criteri di priorità che favoriscano l’efficienza, l’innovazione tecnologia, un minore impatto ambientale e la filiera industriale nazionale.

Si consideri che la produzione di energia rinnovabile elettrica negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo fortissimo, guidato da incentivi generosi che hanno generato costi significativi per il sistema.  Nel settore elettrico, l’obiettivo 20-20-20 è stato già praticamente raggiunto, con quasi 8 anni di anticipo: 93 TWh prodotti nel 2012 rispetto ad un obiettivo 2020 di 100 TWh.  Questo è dovuto ad una forte crescita delle installazioni negli ultimi anni, in particolare degli impianti fotovoltaici: dal 2010 l’Italia ha incrementato la capacità installata di circa 13 GW, raggiungendo quasi 17 GW complessivi (seconda solo alla Germania). Va, inoltre, tenuto conto che in questi anni si è comunque registrata una rapida diminuzione dei costi legati alle tecnologie (la tecnologia fotovoltaica ha abbattuto i suoi costi di circa il 70% dal 2008 al 2012). Si segnala peraltro che, dalla metà dell’anno in corso, sono esauriti i fondi del Quinto Conto Energia per l’incentivazione del fotovoltaico, in quanto è stata raggiunta la soglia dei 6,7 miliardi di euro.

La crescente produzione da fonti intermittenti e non programmabili rappresenta inoltre sempre più una sfida per l’infrastruttura di rete e per il mercato, per i problemi di dispacciamento che essa comporta. La produzione rinnovabile discontinua è ad esempio concentrata (e probabilmente destinata a concentrarsi ancor più) al Sud, Centro-Sud e nelle isole, con una potenza attesa già al 2016 superiore alla domanda di punta di quest’area (25.000 MW contro i 21.000 MW), mentre la domanda è maggiore in Nord Italia. Sono necessari, quindi, interventi di rafforzamento della rete sulle principali sezioni critiche tra zone di mercato. Inoltre, per quanto riguarda gli oneri da sbilanciamento, sarà importante adottare un approccio che stimoli i produttori da fonti rinnovabili a programmare la propria produzione tenendo conto delle, possibilità effettive di previsione delle diverse tecnologie, e che favorisca una gestione aggregata degli impianti e dei carichi. Molto importanti saranno gli sviluppi circa la riduzione dei costi ed il miglioramento delle prestazioni della capacità di accumulo elettrico per garantire lo sviluppo in sicurezza delle energie rinnovabili elettriche.

 

Per quanto riguarda il settore termico, l’obiettivo è quello di sviluppare la produzione di rinnovabili fino al 20% dei consumi finali al 2020 (dal 17% dell’obiettivo 20-20-20), pari a circa 11 Mtep/anno. Il raggiungimento dell’obiettivo è legato alla sostituzione di una parte degli impianti esistenti alimentati a combustibili convenzionali, alle nuove installazioni, all’evoluzione degli obblighi di integrazione delle rinnovabili nell’edilizia. Le dimensioni proposte implicano anche lo sviluppo o l’ampliamento, ove economicamente conveniente, di infrastrutture di rete per la diffusione del calore rinnovabile, attraverso l’attivazione di un Fondo di garanzia, e la costituzione di un sistema statistico, con la diffusione di sistemi di misura e contabilizzazione del calore. Nei prossimi anni, le azioni saranno dunque volte ad un’ampia crescita di tecnologie quali caldaie a biomassa, pompe di calore, solare termico, ecc. Per razionalizzare e garantire continuità dei meccanismi di supporto, è stato introdotto un Conto Termico per l’incentivazione degli interventi di più piccole dimensioni, con a disposizione fino a circa 900 milioni di euro l’anno. Saranno inoltre attivati i previsti strumenti a sostegno delle reti di teleriscaldamento.

Le fonti rinnovabili termiche rappresentano un elemento fondamentale della strategia italiana di raggiungimento degli obiettivi ’20-20-20’, grazie alla loro efficienza di costo e alla facilità di installazione diffusa. Fino ad oggi, queste tecnologie sono state piuttosto trascurate dalle politiche energetiche del Paese e dalla regolazione; nonostante ciò, hanno visto uno sviluppo spontaneo importante. I consumi termici rappresentano la quota più importante dei consumi energetici, sia nei settori civili che industriali (circa il 45% dei consumi finali complessivi). Rispetto alle rinnovabili elettriche, quelle termiche risultano in generale più efficienti e meno costose per il raggiungimento degli obiettivi europei (in termini di costo per tonnellata di CO2 evitata o di costo per KWh di energia finale prodotta), e comportano benefici significativi di risparmio combustibile per il consumatore finale (ad esempio attraverso il riscaldamento a biomassa), e per il Paese nel suo complesso (riduzione import di combustibili fossili). Lo sviluppo delle rinnovabili termiche negli ultimi 5 anni è avvenuto in assenza di un quadro di incentivazione stabile e dedicato, in grado di orientare il consumatore verso le tecnologie più “virtuose”. Prevalentemente, le misure a supporto sono state sovrapponibili a quelle per l’efficienza energetica – detrazioni fiscali e certificati bianchi – in assenza di iniziative dedicate. Il Paese è ben posizionato nel segmento industriale delle rinnovabili termiche, in particolare nell’ambito delle biomasse, in cui circa il 65% della tecnologia è di produzione italiana.

Per lo stimolo delle rinnovabili termiche di piccola taglia (destinato prevalentemente al settore civile), è stato recentemente varato un decreto ministeriale che incentiva direttamente l’installazione di impianti dedicati, il cosiddetto “Conto Termico” (DM 28 dicembre 2012).

Tale meccanismo:

-      garantisce l’accesso al regime incentivante alle tecnologie più virtuose, con criteri minimi stabiliti per ciascuna tipologia di intervento e requisiti che integrano, ove possibile, l’efficienza energetica.

-      assegna incentivi a copertura di una quota dei costi di investimento iniziale, variabili in base alla taglia e alla zona climatica, corrisposti in 2 anni (per piccoli interventi domestici) o 5 anni (per gli altri) e con premialità addizionali per le tecnologie più efficienti. Dalle interazioni avute con le associazioni di consumatori e produttori, si ritiene che questa formula possa avere un elevato tasso di gradimento e dunque di adesione, con tutta probabilità superiore allo strumento delle detrazioni fiscali.

Al 2020, il Conto Termico da solo consentirà di raggiungere il target PAN per le rinnovabili termiche, pari al 17% dei consumi finali lordi, ovvero ~10 Mtep.

 

Per quanto riguarda il settore trasporti, la SEN conferma l’obiettivo europeo al 2020 di un contributo da biocarburanti pari a circa il 10% dei consumi, ovvero circa 2,5 Mtep/anno. Ci si propone di spingere quanto possibile l’adozione di biocarburanti di seconda generazione, preservando tuttavia gli investimenti già effettuati sulla produzione di biocarburanti di prima generazione. In termini di costi per il sistema, dato il differenziale di prezzo per la quota di biocarburanti, l’impatto al 2020 potrebbe ammontare a circa 1 miliardo di euro l’anno.

Il contesto normativo attuale

Sulla base della delega contenuta nella legge comunitaria 2009, con il decreto legislativo 28/2011 è stata recepita la direttiva 2009/28/CE. Il provvedimento, che recepisce e attua gli obiettivi vincolanti fissati dall’UE, traduce in misure concrete le strategie delineate nel PAN per le energie rinnovabili trasmesso alla Commissione europea, per il conseguimento entro il 2020 della quota del 17% di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali. Per il raggiungimento di tale obiettivo, il decreto provvede: alla razionalizzazione e all’adeguamento dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell’efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori; alla necessaria semplificazione delle procedure autorizzative; allo sviluppo delle reti energetiche necessarie per il pieno sfruttamento delle fonti rinnovabili. Il provvedimento individua, inoltre, modalità relative alla diffusione delle informazioni e al monitoraggio del progressivo raggiungimento degli obiettivi.

 

Alla definizione dei criteri di sostenibilità ambientale per i biocarburanti e i bioliquidi, necessari perché siano conteggiabili per il raggiungimento degli obiettivi nazionali sulle energie rinnovabili e per accedere ai previsti strumenti di sostegno, si è provveduto con il decreto legislativo n. 55/2011, volto al recepimento della direttiva 2009/30/CE che prevede l'aggiornamento delle specifiche dei combustibili utilizzati nei trasporti (carburanti), fissate ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti.

 

Particolarmente complesso si presenta, in Italia, il quadro degli incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Coesistono, infatti, numerosi meccanismi di incentivazione (alcuni fondati su regimi di mercato e altri su regimi amministrativi) che vanno dalle “tariffe incentivate” in base alla delibera CIP 6/92 al sistema dei “certificati verdi”, dal sistema “feed-in-tariffs” per gli impianti di minor potenza al sistema del “conto energia” utilizzato per gli impianti fotovoltaici, fino ai contributi a fondo perduto per talune energie rinnovabili.

Il principale meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è costituito dai certificati verdi - titoli emessi dal Gestore dei servizi energetici (GSE ) attestanti la produzione di energia da fonti rinnovabili - introdotti nell’ordinamento nazionale dall’articolo 11 del decreto legislativo 79/1999 per superare il criterio di incentivazione noto come CIP 6 .

La legge 244/2007 (finanziaria 2008) ha delineato un nuovo meccanismo di incentivazione per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007 che prevede il rilascio di certificati verdi per gli impianti di potenza superiore a 1MW, mentre, per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1MW, si attribuisce il diritto, in alternativa ai certificati verdi, ad una tariffa fissa onnicomprensiva variabile a seconda delle fonte utilizzata.

Le direttive per regolare la transizione dal vecchio meccanismo di incentivazione (certificati verdi) al nuovo (tariffa onnicomprensiva in alternativa ai certificati verdi) - dal quale rimane esclusa la tecnologia fotovoltaica che gode di una forma di incentivazione specifica - sono state emanate, in attuazione della legge 244/2007, con il D.M. 18 dicembre 2008.

 

I certificati verdi possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima - crescente negli anni - di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999. Con l'art. 45 del decreto-legge 78/2010, si stabilisce che a partire dal 2011 venga assicurata, rispetto al 2010, la riduzione del 30% dell'importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi ulteriori rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo della suddetta quota minima da fonti rinnovabili (certificati verdi in eccesso di offerta).

 

Il citato decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili riforma i meccanismi incentivanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dall'attuale sistema (certificati verdi) al nuovo. I nuovi meccanismi di incentivazione consistono in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Anche per gli impianti entrati in esercizio entro il 2012, a partire dal 2016 i certificati verdi devono essere sostituiti - per il residuo periodo di spettanza - da una tariffa fissa tale da garantire la redditività degli investimenti realizzati. Il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del prezzo definito secondo i criteri vigenti; contestualmente viene soppressa la previsione - connotata da analoga finalità - introdotta dal decreto-legge 78/2010 (cfr. supra). A partire dal 2013 la quota d'obbligo di energia rinnovabile da immettere nel sistema elettrico si riduce linearmente negli anni successivi fino ad annullarsi per l'anno 2015.

 

Per quanto concerne la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, dal 2005 ad oggi si sono susseguiti cinque decreti del Ministro dello sviluppo economico per l’approvazione di altrettanti “Conto energia”, con cui sono stati disciplinati modalità e misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti da fotovoltaico. 

Le modalità di incentivazione con riferimento agli impianti che entrino in esercizio nel triennio 2011-2013 erano state inizialmente definite dal D.M. 6 agosto 2010 ("Terzo Conto Energia"). Tuttavia, in un'ottica di riduzione degli incentivi al fotovoltaico e al relativo aggravio sulle bollette elettriche, il decreto legislativo sulle energie rinnovabili ha successivamente limitato gli incentivi del Terzo Conto Energia agli impianti  entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011. Per gli altri impianti l'incentivazione è stata disciplinata con il "Quarto conto energia", pubblicato sulla G.U. del 12 maggio 2011 (decreto interministeriale 5 maggio 2011). Successivamente, sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2012 i due decreti interministeriali che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (cd. Quinto Conto Energia: D.M. 5 luglio 2012 ) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas: D.M. 6 luglio 2012 ).

Le previsioni del Quinto Conto Energia, applicabili agli impianti che entrano in esercizio dopo il 27 agosto 2012, dispongono che:

-      gli incentivi si basino sul meccanismo della tariffa omnicomprensiva, nel senso che le agevolazioni riguardano solo l’energia immessa in rete mentre quella prodotta per l’autoconsumo beneficia di una tariffa premio;

-      il valore della tariffa varia a seconda dell’entità produttrice dell’impianto e delle luogo in cui lo stesso impianto è ubicato;

-      l’accesso all’incentivazione è automatico solo per taluni impianti ( prevalentemente quelli con potenza non superiore a 12 KW e quelli con potenza fino a 50 KW purché realizzati su edifici in sostituzione di coperture sulle quali viene operata la completa riduzione dell’eternit o dell’amianto); per i restanti impianti è prevista l’iscrizione in appositi registri in posizione tale da rientrare nei limiti massimo di costo stabiliti;

-      il meccanismo di incentivazione è previsto cessare decorsi trenta giorni dalla data in cui si raggiungerà il costo indicativo cumulato degli incentivi di 6,7 miliardi l’anno.

L’art. 1, comma 4, del DM 5 luglio 2012 (Quinto conto energia) prevede che il IV Conto Energia continua ad applicarsi:

-      ai piccoli impianti integrati con caratteristiche innovative ed impianti a concentrazione che sono entrati in esercizio prima del 27 agosto 2012;

-      ai grandi impianti iscritti in posizione utile nei registri e che producono la certificazione di fine lavori nei termini previsti;

-      agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni, che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2012.

Come si è anticipato, già dalla metà del 2013 è stato raggiunto il costo indicativo cumulato degli incentivi di 6,7 miliardi l’anno previsto per la cessazione del Quinto conto energia.

 

Per quanto riguarda il ruolo delle regioni, si ricorda che il D.M. 10 settembre 2010 reca le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, e sulla Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2012 è stato pubblicato il decreto “Burden Sharing”, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 37 del D.Lgs. 28/2011, che fissa gli obiettivi per ciascuna Regione relativamente alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Il provvedimento definisce

-      le modalità di determinazione e conseguimento degli obiettivi delle Regioni e delle Province autonome;

-      le modalità di monitoraggio e verifica del raggiungimento degli obiettivi;

-      le modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi.

 


La tutela della biodiversità e delle aree protette

L’Italia ha ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica[31] (adottata il 5 giugno del 1992, al Summit mondiale di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo) con la legge n. 124 del 1994 cui hanno fatto seguito numerose iniziative, anche normative[32].

Nel ratificare la Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a intraprendere misure nazionali e internazionali finalizzate al raggiungimento di tre obiettivi: la conservazione in situ ed ex situ della diversità biologica (a livello di geni, popolazioni, specie, habitat ed ecosistemi), l'uso sostenibile delle sue componenti e l'equa condivisione dei benefici derivanti dall'utilizzazione delle risorse genetiche.

Di particolare rilevanza, per l’attuazione della Convenzione e della legge nazionale di ratifica, è l’intesa, raggiunta dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 7 ottobre 2010, sulla Strategia Nazionale per la Biodiversità, che rappresenta “uno strumento di grande importanza per garantire, negli anni a venire, una reale integrazione tra gli obiettivi di sviluppo del Paese e la tutela del suo inestimabile patrimonio di biodiversità”. Si ricorda, altresì, che un rilevante passo per l’attuazione della citata strategia, già in preparazione da diversi anni[33], è stato compiuto con l’istituzione del Comitato nazionale per la biodiversità (avvenuta con D.M. Ambiente 5 marzo 2010, pubblicato nella G.U. 12 aprile 2010, n. 84) cui è stato attribuito, quale compito principale, quello di coordinare, monitorare e valutare l'efficacia delle azioni portate avanti per dare attuazione alla citata Strategia.

In attuazione della citata intesa, con il D.M. ambiente 6 giugno 2011 sono stati istituiti il Comitato paritetico e l'Osservatorio nazionale per la biodiversità, nonché il Tavolo di consultazione.

A livello europeo l’importanza della tutela della biodiversità è stata sottolineata prima dal Libro bianco della Commissione europea sui cambiamenti climatici e, ancor prima, nel Piano d'azione europeo a favore della biodiversità (Comunicazione della Commissione del 22 maggio 2006 “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 e oltre” - COM(2006)216 def.) e dalla comunicazione della Commissione dal titolo “La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020 del maggio 2011” (COM(2011)244 def.).

Presentata il 3 maggio 2011 e intesa ad aggiornare gli obiettivi UE per porre fine, entro il 2020, alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici, la strategia prevede sei obiettivi prioritari che dovranno consentire di preservare e valorizzare gli ecosistemi e i relativi servizi mediante il ripristino di almeno il 15% degli ecosistemi degradati. Oltre alla corretta attuazione della normativa esistente, la strategia prevede anche un maggior contributo dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca al mantenimento e al rafforzamento della biodiversità. Infine, la strategia sottolinea l’importanza del contributo attivo dell’UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale.

Il Consiglio ambiente del 21 giugno 2011 ha approvato conclusioni con le quali accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione sottolineando, tra l’altro, la necessità di un approccio complessivo che integri la biodiversità in altre politiche, quali la politica agricola comune, la politica comune della pesca e la politica di coesione, nonché nelle future prospettive finanziarie 2014-2020.

Si segnala inoltre che allo scopo di evidenziare l'importanza delle foreste non solo per lo sviluppo rurale, ma anche per l'ambiente e la biodiversità, per le industrie forestali, la bioenergia e la lotta contro i cambiamenti climatici, la Commissione UE ha emanato, in data 20 settembre 2013, una comunicazione al Parlamento e al Consiglio (COM(2013) 659 def.) recante “Una nuova strategia forestale dell'Unione europea: per le foreste e il settore forestale”.

La rete europea “Natura 2000”

Il degrado ambientale e le minacce che gravano su talune specie animali e vegetali hanno indotto l’UE a cercare di garantire la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali e seminaturali, e della flora e della fauna selvatiche sul territorio degli Stati membri. A tale scopo è stata emanata la direttiva 92/43/CEE, nota come direttiva habitat, che ha previsto l’istituzione di un sistema coordinato e coerente di aree per la conservazione della diversità biologica, cui è stato attribuito il nome Natura 2000, costituito dalle Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e dalle Zone di Protezione Speciale (ZPS).

La Commissione UE ha reso noto di recente[34] che la rete ''Natura 2000'' copre 768.000 km2 (17,9%) di superficie terrestre dell'UE e oltre 217.000 km2 (circa il 4%) di mari e oceani. In Italia le aree SIC[35] e le ZPS coprono complessivamente circa il 20% del territorio nazionale[36].

Uno dei principali strumenti a sostegno della Rete Natura è senz’altro il programma finanziario LIFE, ora LIFE+, dopo l’approvazione del Regolamento (CE) n. 614/2007[37].

Nel comunicato stampa della Commissione europea del 26 novembre 2012 viene sottolineato che la Commissione ha approvato un insieme di decisioni che includono ulteriori 235 siti nella rete Natura 2000 equivalenti ad un ampliamento di circa 25.000 km2. L’ampliamento riguarda venti Stati membri e interessa tutte le nove regioni biogeografiche della rete, ossia le regioni alpina, atlantica, del Mar Nero, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea, pannonica e steppica. L’ampliamento riguarda anche l’Italia che ha aggiunto 12 nuovi siti ed ha esteso i confini di altri 42 siti per un totale aggiuntivo di circa 1.500 km2, per la maggior parte relativi a aree marine nelle regioni Abruzzo, Campania, Friuli, Veneto, Toscana e Sicilia.

Le aree protette in Italia

La conservazione dei territori naturali che ancora mantengono inalterate le matrici ecosistemiche rappresenta il principale obiettivo dell’istituzione di aree naturali protette. Attraverso l'individuazione dei territori terrestri e marini nei quali promuovere l'istituzione di riserve naturali statali e parchi nazionali, che attualmente occupano circa 1,3 milioni di ettari, e la definizione dei criteri di gestione, unitamente all'elaborazione di norme generali di indirizzo e coordinamento vengono realizzate le misure conservative.

La legge 6 dicembre 1991, n. 394 (“Legge quadro sulle aree protette”) ha provveduto alla classificazione delle aree naturali protette[38] ed ha istituito, altresì, l’Elenco ufficiale delle aree protette.

Attualmente è in vigore il 6° aggiornamento, approvato con Delibera della Conferenza Stato-Regioni del 17 dicembre 2009 e recepito con il D.M. 27 aprile 2010 (G.U. n. 125 del 31 maggio 2010).

Nell’ultima Relazione del Ministero dell’ambiente sullo stato di attuazione della legge quadro sulle aree protette (Doc. CXXXVIII, n. 1, presentato alle Camere nell’ottobre 2013) si legge, tra l’altro, che la superficie protetta nazionale riconosciuta si è incrementata fino a raggiungere il 10,5% del territorio nazionale e che il numero delle aree protette è di 871, per un totale circa di 3,2 milioni di ettari a terra, 2,9 milioni di ettari a mare e circa 658 chilometri di coste, “così ripartito: 24 parchi nazionali, 147 riserve naturali statali, 27 aree marine protette (più due parchi sommersi e il santuario internazionale dei mammiferi marini), 134 parchi naturali regionali, 365 riserve naturali regionali, 171 altre aree protette di diversa classificazione e denominazione”.

 

Si segnala infine lo studio “Parchi nazionali: dal capitale naturale alla contabilità ambientale”, una pubblicazione curata dal Ministero dell’ambiente che rappresenta un contributo alla Strategia nazionale della biodiversità e che raccoglie e classifica i dati sul patrimonio naturale dei parchi: un vero e proprio censimento del patrimonio di piante, animali, ecosistemi e paesaggi contenuti nel territorio dei parchi nazionali.

Dallo studio emerge che “nei parchi nazionali si trova la maggior parte degli habitat importanti per la vita delle 56mila specie di animali presenti in Italia, il Paese europeo con la maggiore varietà di specie viventi. Il 98% sono insetti e altri invertebrati; i mammiferi sono rappresentati da ben 118 specie diverse. Tra le piante, le foreste più significative dei parchi nazionali sono faggete e querceti, che danno un valido contributo alla lotta contro l’effetto serra. I parchi nazionali frenano il consumo di suolo: se in Italia il 17% dei boschi ha ceduto il passo a superfici artificiali, l’attenzione degli enti parco ha permesso di ridurre al 4,5% l’urbanizzazione in queste aree protette”[39].



[2]     Previsto dall’art. 3 del Protocollo.

[3]     Prevista dall’art. 6 del Protocollo.

[4]     Previsti dall’art. 12 del Protocollo.

[5]     Le percentuali di responsabilità nelle emissioni globali sono le seguenti: gli Stati membri UE sono responsabili del 22,1%, gli USA del 30,3%, il Giappone del 3,7%, il Canada del 2,3%.

[6]     La percentuale di riduzione globale che il Protocollo si prefigge quale obiettivo è scesa - dopo l’abbandono del negoziato da parte degli Stati Uniti - dal 5,2% al 3,8%.

[7]     Il notevole ritardo con cui si è pervenuti all’entrata in vigore, rispetto alla firma del protocollo medesimo, è stato principalmente causato dall'uscita dal Protocollo degli USA, che rappresentano da soli il 36% delle emissioni dei Paesi industrializzati.

[9]     The World Bank Turn down the heat: why a 4°C warmer world must be avoided. Al link http://www.fondazionesvilupposostenibile.org/f/MATERIALE/Documento_Banca_mondiale_abbassiamo_la_temperatura.pdf è disponibile una traduzione in italiano dell’executive summary del rapporto della Banca mondiale.

[10]    Si ricorda in proposito quanto affermato dalla Commissione UE nella comunicazione intitolata “Limitare il surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2 gradi Celsius - La via da percorrere fino al 2020 e oltre” (COM(2007)2 def.) ove si legge che “L'UE si pone l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media mondiale entro 2 °C prendendo come riferimento i valori preindustriali. Ciò limiterà gli effetti dei cambiamenti climatici e l'eventualità di sovvertimenti massicci e irreversibili dell'ecosistema mondiale”.

[13]    Nella legge di ratifica viene specificato che tali azioni devono tendere al raggiungimento dei migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni mediante il miglioramento dell'efficienza energetica del sistema economico nazionale e un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, all'aumento degli assorbimenti di gas serra derivanti dalle attività e dai cambiamenti di uso del suolo e forestali, alla piena utilizzazione dei meccanismi istituiti dal Protocollo di Kyoto per la realizzazione di iniziative congiunte con gli altri Paesi industrializzati (joint implementation) e con quelli in via di sviluppo (clean development mechanism), e, infine, all’accelerazione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per l’introduzione dell’idrogeno quale combustibile e per la realizzazione di impianti per la produzione di energie alternative pulite (biomasse, biogas, combustibile derivato dai rifiuti, impianti eolici, fotovoltaici, solari).

[15]    Tutti i documenti relativi all’assegnazione delle quote di emissione sono disponibili all’indirizzo http://www.minambiente.it/pagina/emission-trading.

[16]    Il tardivo recepimento della direttiva ha causato l’avvio, da parte della Commissione europea, in data 30 gennaio 2013, della procedura di infrazione n. 2013/0041.

[17]    Per approfondimenti sul sistema delle aste si veda il sito web del Ministero dello sviluppo economico e il sito del GSE (www.gse.it/it/EnergiaFacile/faq/AsteCO2/Pagine/default.aspx).

[18]    Per approfondimenti sul funzionamento del sistema ETS si rinvia alla sezione “Emission trading” del sito web del Ministero dell’ambiente.

[19]    Tale disposizione è stata recepita dall’art. 38 del D.Lgs. 30/2013. In attuazione di tale norma, il Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto ha emanato la delibera 25 luglio 2013, n. 16/2013 (pubblicata nella G.U. 10 agosto 2013, n. 187) che ha disciplinato ed individuato gli impianti di dimensioni ridotte esclusi dall’ETS.

[20]    La documentazione dell’Unione europea in materia di LULUCF è disponibile al link http://ec.europa.eu/clima/policies/forests/lulucf/documentation_en.htm.

[21]    CERs è l'acronimo di Certified Emissions Reductions (Riduzioni di emissioni certificate), mentre ERUs di Emissions Reduction Units (Unità di riduzione di emissioni). Si tratta di crediti di emissione che sono generati dalla realizzazione di un progetto finalizzato alla riduzione di emissioni rispettivamente o in un Paese in via di sviluppo o in un Paese con economia in transizione. L’acronimo AAU indica invece le Assigned Amount Units, cioè le quantità di emissioni che un Paese può emettere gratuitamente nel periodo 2008-2012.

[22]    Lo scenario con misure tiene conto degli effetti delle misure attuate e adottate fino al dicembre 2010, elencate nell'Allegato 2 al documento e che, in estrema sintesi, riguardano 3° e 4° conto energia, POR-POIN, certificati bianchi, eco-design, 55%, alta velocità e ferrovie metropolitane e biocarburanti (c.d. scenario tendenziale), a cui si sommano gli effetti delle misure adottate in attuazione delle Conclusioni del Consiglio Europeo dell'8-9 marzo 2007 ed elencate nell'Allegato 3 al documento. Tali misure sono sintetizzabili a grandi linee in quelle del Piano d'Azione Nazionale per le energie rinnovabili (PAN 2010) e del PAEE (Piano d'azione per l'efficienza energetica) 2011, nonchè il prolungamento fino al 2020 sia della detrazione fiscale del 55% sia del c.d. Fondo rotativo Kyoto (la cui disciplina è stata modificata dall'art. 57 del D.L. 83/2012).

[23]    Nella Strategia viene ricordato che “secondo le evidenze scientifiche presentate sia nell'ultimo rapporto di valutazione dell'IPCC (AR4-WGII) del 2007, sia nel recente rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente “Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012 - An indicator-based report” del 2012, nei prossimi decenni la regione Europea ed in particolare la regione del Mediterraneo dovrà far fronte ad impatti dei cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno della regione del Mediterraneo una delle aree più vulnerabili d’Europa (EEA, 2012). Gli impatti negativi attesi nei prossimi decenni sono correlati principalmente ad un innalzamento eccezionale delle temperature medie e massime (soprattutto in estate) all’aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità ed episodi di precipitazioni piovose intense) ed alla riduzione delle precipitazioni annuali medie e dei flussi fluviali, con conseguente possibile calo della produttività agricola e perdita di ecosistemi naturali”.

Si segnala che l’ISPRA ha recentemente pubblicato il rapporto "Gli indicatori del clima in Italia nel 2012", che illustra l'andamento del clima nel corso del 2012 e aggiorna la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia.

Si segnala altresì che nel mese di ottobre è stato pubblicato il Contributo del primo gruppo di lavoro al V Assessment Report dell’IPCC (AR5-WGI). Al link http://www.fondazionesvilupposostenibile.org/f/Documenti/IPCC_traduzione_WKG_1_ita.pdf è disponibile una traduzione del Sommario per i decisori politici del citato Contributo.

[24]    Nella Strategia viene ricordato uno dei primi tentativi di valutare i costi economici degli impatti dei cambiamenti climatici (Carraro, 2008), secondo il quale “se la temperatura salisse di 0,93°C, la perdita aggregata di Prodotto Interno Lordo (PIL) indotta dai cambiamenti climatici nella prima metà del secolo (2001-2050) potrebbe essere compresa tra lo 0,12% e lo 0,16% del PIL, corrispondente ad una perdita dell’ordine di 20-30 miliardi di euro. La perdita economica potrebbe arrivare fino allo 0,20% del PIL se la variazione di temperatura fosse di +1,2 °C nello stesso periodo. In particolare alcuni settori, come il turismo e l’economia delle regioni alpine, potrebbero subire danni significativi. Nella seconda metà del secolo, inoltre, gli impatti attesi sono ancora più rilevanti, con una riduzione del PIL che nel 2100 potrebbe essere addirittura sei volte più grande che nel 2050”.

[25]    Nel Rapporto 2007 - Strategia europea per lo Sviluppo Sostenibile - Contributo degli Stati membri – Italia (http://www.politichecomunitarie.it/file_download/93), vengono analizzati i progressi nazionali nell’attuazione della strategia europea.

[26]    Già previsto, in precedenza, dall’art. 109 della legge finanziaria 2001.

[27]    Benché tale decreto non costituisca un vero e proprio testo unico in materia ambientale (poiché non tocca settori normativi, quali – ad esempio, tra gli altri – l’inquinamento acustico, l’inquinamento elettromagnetico e la gestione e tutela delle aree protette), esso rappresenta dal 29 aprile 2006 (data della sua entrata in vigore) il principale atto normativo di riferimento in materia ambientale (o, per lo meno, in materia di VIA e VAS, tutela delle acque e difesa del suolo, rifiuti, inquinamento atmosferico e danno ambientale). Per questo motivo esso viene comunemente indicato come “codice ambientale”.

[28]    Il disegno di legge di delega al Governo per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita (A.S. 1058) reca, all’articolo 15, la previsione di nuove forme di fiscalità al fine di preservare e garantire l’equilibrio ambientale (green taxes), in raccordo con la tassazione già vigente a livello regionale e locale e nel rispetto del principio della neutralità fiscale. Le disposizioni contemplano inoltre la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici anche in funzione del contenuto di carbonio, come previsto dalla proposta di direttiva del Consiglio europeo in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. Il gettito derivante dovrebbe essere destinato prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro, e al finanziamento delle tecnologie a basso contenuto di carbonio, nonché alla revisione del finanziamento dei sussidi alle fonti di energia rinnovabili. La previsione esplicitamente persegue, infatti, le finalità del c.d. “doppio dividendo” in materia di tassazione ambientale: in sostanza, le misure che saranno adottate otterranno un duplice vantaggio (ridurre le emissioni nocive e al contempo di ridistribuire più equamente il carico fiscale). L’entrata in vigore delle suddette misure dovrà essere coordinata con la data di recepimento della disciplina armonizzata di livello europeo.

[30]    La spesa primaria corrisponde alla spesa complessiva depurata dalla componente degli interessi passivi, dei redditi da capitale e del rimborso delle passività finanziarie.

[32]    Si ricorda, tra le altre, l’istituzione - in data 27 aprile 2004, con decreto del Ministro per le politiche comunitarie - del Comitato di Coordinamento Nazionale per la Biodiversità.

[33]    Già nel corso del 2005 il Ministero dell'Ambiente aveva pubblicato un importante volume dal titolo “Stato della biodiversità in Italia”, quale contributo propedeutico alla preparazione di una Strategia nazionale per la Biodiversità.

[35]    Si tratta di aree destinate ad essere designate come ZSC con decreto del Ministro dell’ambiente, alla fine dell’iter previsto dall’art. 3 del D.P.R. 357/1997, di recepimento della direttiva habitat. Sino ad oggi sono stati adottati solamente due decreti di istituzione di ZSC: il D.M. 7 febbraio 2013 per le ZSC della regione biogeografica alpina insistenti nel territorio della Regione Valle d'Aosta ed il D.M. 16 settembre 2013 per le ZSC della regione biogeografica mediterranea insistenti nel territorio della Regione Basilicata.

[36]    Per il dettaglio regionale dell’estensione dei siti della Rete Natura si veda http://www.minambiente.it/pagina/sic-zsc-e-zps-italia.

[37]    Relativamente al programma LIFE+ si veda, per l’aspetto comunitario, http://europa.eu/legislation_summaries/agriculture/environment/l28021_it.htm, mentre a livello nazionale http://www.minambiente.it/pagina/life.