Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||
Titolo: | Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale D.L. 2/2012 ' A.C. 4999 Schede di lettura | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 601 | ||
Data: | 27/02/2012 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici | ||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale D.L. 2/2012 – A.C. 4999 |
Schede di lettura |
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n. 601 |
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29 febbraio 2012 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Ambiente ( 066760-4548 /x 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici: |
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea ( 066760-2145 – * cdrue@camera.it |
§ Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.. |
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File: D12002 |
INDICE
§ Articolo 1, commi 1-3 (Interventi urgenti in materia di rifiuti nella regione Campania)
§ Procedure di contenzioso (a cura dell’Ufficio RUE)
§ Articolo 1-ter (Trattamento di rifiuti tramite compostaggio aerobico e digestione anaerobica)
§ Articolo 1-quater (Misure in tema di realizzazione di impianti nella regione Campania)
§ Procedure di contenzioso (a cura dell’Ufficio RUE)
§ Articolo 3-quinquies (Disposizioni in materia di misure di compensazione)
§ Articolo 3-sexies (Quantificazione di flussi riguardanti contributi su politiche ambientali)
§ Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio RUE)
Articolo
1, commi 1-3
(Interventi
urgenti in materia di rifiuti nella regione Campania)
1. Il comma 1-bis dell’articolo 6-ter del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, è sostituito dal seguente:
«1-bis. Per garantire la complementare dotazione impiantistica ai processi di lavorazione effettuati negli impianti di cui al comma 1, è autorizzata la realizzazione di impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dai rifiuti nelle aree di pertinenza dei predetti impianti, ovvero, in presenza di comprovati motivi di natura tecnica, in altre aree confinanti, acquisite dal commissario straordinario nominato ai sensi del comma 2 dell’articolo 1 del decreto-legge 26 novembre 2010, n. 196, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 2011, n. 1.».
2. All’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 26 novembre 2010, n. 196, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 gennaio 2011, n. 1, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo la parola: «dodici» è sostituita dalla seguente: «ventiquattro»;
b) al secondo periodo:
1) dopo le parole: «All’individuazione» sono inserite le seguenti: «ed espropriazione»;
2) la parola: «delle» è sostituita dalla seguente: «di»;
3) dopo le parole: «al patrimonio pubblico» sono inserite le seguenti: «, nonché alla conseguente attivazione ed allo svolgimento di tutte le attività finalizzate a tali compiti,»;
4) dopo le parole: «carriera prefettizia» sono inserite le seguenti: «anche esercitando in via sostitutiva le funzioni attribuite in materia ai predetti enti ed in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, nonché operando con i poteri e potendosi avvalere delle deroghe di cui agli articoli 2, commi 1, 2 e 3, e 18, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, ferme restando le procedure di aggiudicazione di cui al primo periodo del presente comma, con oneri a carico dell’aggiudicatario»;
c) dopo il quarto periodo è inserito il seguente: «La procedura per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale per l’apertura delle discariche e l’esercizio degli impianti di cui alla presente disposizione è coordinata nell’ambito del procedimento di VIA e il provvedimento finale fa luogo anche dell’autorizzazione integrata.»;
d) al settimo periodo, le parole: «A tale fine, i commissari predetti» sono sostituite dalle seguenti: «Tutti i commissari di cui al presente comma».
3. Il termine di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26, è differito al 31 dicembre 2013.
I commi da 1 a 3 dell’articolo 1 recano misure urgenti volte a fronteggiare la situazione di criticità nella gestione dei rifiuti nella regione Campania e riguardano: la realizzazione di impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dai rifiuti presso gli impianti STIR (Stabilimenti di Trattamento, tritovagliatura ed Imballaggio dei Rifiuti) o in altre aree confinanti; il potenziamento delle funzioni dei commissari straordinari regionali per la realizzazione delle discariche; la possibilità di aumentare la capacità ricettiva degli impianti di compostaggio nazionali.
In particolare, il comma 1 dell'articolo sostituisce il comma 1-bis dell'articolo 6-ter del D.L. 90/2008 al fine di autorizzare la realizzazione dei previsti impianti di digestione anaerobica[1] della frazione organica derivante dai rifiuti:
§ nelle aree di pertinenza degli impianti STIR (Stabilimenti di Trattamento, tritovagliatura ed Imballaggio dei Rifiuti) di cui al comma 1 del medesimo art. 6-ter;
Tale previsione ripropone, nella sostanza, quanto disposto dal testo previgente [2] (in cui già si autorizzava la realizzazione degli impianti di digestione anaerobica presso gli STIR), ma ne specifica la finalità di garantire la complementare dotazione impiantistica ai processi di lavorazione effettuati negli stessi STIR.
§ ovvero, in presenza di comprovati motivi di natura tecnica, in altre aree confinanti , acquisite dal commissario straordinario nominato ai sensi del comma 2 dell'art. 1 del D.L. 196/2010.
Si ricorda che il citato comma 2 dell’art. 1 del D.L. 196/2010, al fine di garantire la realizzazione urgente dei siti da destinare a discarica, nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, ha previsto la nomina, da parte del Presidente della Regione (sentiti le Province e gli enti locali interessati), per la durata massima di 12 mesi (durata che viene estesa a 24 mesi dal comma 2 dell’articolo in commento), di commissari straordinari, da individuare fra il personale della carriera prefettizia o fra i magistrati ordinari, amministrativi o contabili o fra gli avvocati dello Stato o fra i professori universitari ordinari con documentata e specifica competenza nel settore dell'impiantistica di trattamento dei rifiuti, che abbiano adeguate competenze tecnico-giuridiche. Il secondo periodo, novellato dal comma in esame, dispone, inoltre, che all'individuazione ed espropriazione di ulteriori aree dove realizzare siti da destinare a discarica anche tra le cave abbandonate o dismesse con priorità per quelle acquisite al patrimonio pubblico, nonché alla conseguente attivazione ed allo svolgimento di tutte le attività finalizzate a tali compiti, provvede, sentiti le province e i comuni interessati, il commissario straordinario individuato, ai sensi del periodo precedente, fra il personale della carriera prefettizia.
Si segnala che con decreti del Presidente della Giunta regionale della Campania nn. 45, 46 e 47 del 23/2/2011 (pubblicati sul BURC n. 14 del 28/02/2011), n. 79 del 6/4/2011 (pubblicato sul BURC n. 23 dell’11/04/2011) e nn. 83 e 85 del 12 e 14 aprile 2011 (pubblicati sul BURC n. 24 del 18/04/2011) sono stati nominati i commissari straordinari per l'espletamento delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione - presso gli impianti STIR di Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia, Pianodardine (Avellino), Casalduni, Giugliano e Tufino - degli impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dal ciclo di gestione dei rifiuti solidi urbani.
Con il Decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 64 del 23 marzo 2011 il viceprefetto Annunziato Vardè è stato nominato, per la durata di 12 mesi, decorrenti dal 6 aprile 2011, Commissario Straordinario, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010, ai fini dell’espletamento delle procedure finalizzate all’individuazione dei siti e alla realizzazione di impianti di discarica nel territorio della provincia di Napoli.
Secondo quanto rilevato nella relazione illustrativa dell’A.S. 3111 “in questo modo, sarà possibile consentire lo smaltimento tramite termovalorizzatore della parte secca dei rifiuti ottenuta mediante gli impianti di digestione anaerobica della frazione organica realizzati in prossimità degli STIR". Tale intervento si inquadra, sempre secondo la relazione, fra le "soluzioni in grado di alleggerire la situazione degli STIR campani che verrebbero così posti nelle condizioni di miglior operatività".
Il comma 2 modifica in più punti l’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010, che, come sopra detto, riguarda la nomina da parte del presidente della Regione Campania di commissari straordinari per la realizzazione di discariche, nonché di impianti di smaltimento dei rifiuti, e disciplina funzioni e poteri dei commissari medesimi.
La lettera a) del comma in esame dispone in primo luogo il prolungamento da 12 a 24 mesi del mandato dei commissari straordinari.
La lettera b) prevede l’ampliamento dei poteri e dei compiti dei commissari straordinari, in particolare:
§ al n. 1 della lett. b), consentendo anche di espropriare (e non solo di individuare, come invece previsto dal testo previgente) ulteriori aree, anche fra cave abbandonate o dismesse, per realizzarvi siti da destinare a discarica;
§ al n. 3 della lett. b), attribuendo il compito di provvedere alla conseguente attivazione (delle discariche) ed allo svolgimento di tutte le attività finalizzate ai compiti predetti (individuazione, espropriazione ed attivazione dei siti da destinare a discarica);
§ al n. 4 della lett. b), attribuendo il potere di provvedere ai compiti affidati dalla norma, anche esercitando in via sostitutiva le funzioni attribuite in materia alle province e ai comuni interessati ed in deroga agli strumenti urbanistici vigenti nonché operando con i poteri di cui all’art. 2, commi 1, 2, 3 e potendosi avvalere delle deroghe di cui all’art. 18 del D.L. 90/2008, ferme restando le procedure di aggiudicazione di cui al primo periodo del comma 2 dell’art. 1 del D.L. 196/2010 (che prevede l’aggiudicazione mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. 163/2006), con oneri a carico dell’aggiudicatario. Tale disposizione è sostanzialmente analoga a quella contenuta nell’articolo 1, comma 2, del D.L. 94/2011 non convertito in legge e consente ai commissari straordinari di operare con i poteri e avvalendosi delle deroghe che erano state previste per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania.
Si ricorda, infatti, che l’art. 2 del D.L. 90/2008 disciplinava i poteri attribuiti al Sottosegretario di Stato per l’emergenza rifiuti in Campania in materia di attivazione dei siti da destinare a discarica. I richiamati commi 1, 2 e 3 consentivano, in particolare, al Sottosegretario di Stato (per le finalità indicate nei medesimi commi) di: a) provvedere - anche in deroga a specifiche disposizioni legislative e regolamentari in materia ambientale, paesaggistico-territoriale, di pianificazione del territorio e della difesa del suolo, nonché igienico-sanitaria, e fatto salvo l'obbligo di assicurare le misure indispensabili alla tutela della salute e dell'ambiente previste dal diritto comunitario -, mediante procedure di affidamento coerenti con la somma urgenza o con la specificità delle prestazioni occorrenti, all'attivazione dei siti da destinare a discarica; b) utilizzare le procedure di cui all'art. 43 del D.P.R. 327/2001[3] (T.U. espropri), con previsione di indennizzo che tenga conto delle spese sostenute rivalutate a norma di legge, ovvero mediante procedure espropriative, per l'acquisizione di impianti, cave dismesse o abbandonate ed altri siti per lo stoccaggio o lo smaltimento di rifiuti; c) porre in essere, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, con le procedure sopra descritte, misure di recupero e riqualificazione ambientale; d) disporre l'acquisizione di ogni bene mobile funzionale al corretto espletamento delle attività di propria competenza. L’art. 18 del medesimo decreto-leggedettava un lungo elenco di norme (in materia ambientale, igienico-sanitaria, di prevenzione incendi, sicurezza sul lavoro, urbanistica, paesaggio e beni culturali) cui il Sottosegretario poteva derogare nel rispetto dei principi fondamentali in materia di tutela della salute, della sicurezza sul lavoro, dell'ambiente e del patrimonio culturale.
La lettera c) prevede che la procedura per il rilascio dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) per la realizzazione degli impianti contemplati dal comma 2 dell’art. 1 del D.L. 196/2010 (vale a dire discariche e impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania) é coordinata nell’ambito del procedimento di VIA (valutazione dell'impatto ambientale) e il provvedimento finale sostituisce anche l’autorizzazione integrata.
Si fa notare che tale disposizione appare in linea con il disposto dell’art. 26, comma 4, del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) che stabilisce che il provvedimento di VIA “sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto”[4].
Si ricorda altresì che l’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010 prevede una disciplina derogatoria delle disposizioni nazionali (dettate dal D.Lgs. 152/2006) e regionali in materia di VIA, che delinea una procedura particolarmente accelerata per la VIA relativa all'apertura delle discariche e all'esercizio degli impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, della durata massima di soli 22 giorni. La norma prevede infatti che i commissari straordinari procedano alla convocazione della conferenza di servizi, che è tenuta a rilasciare il proprio parere entro e non oltre 15 giorni dalla convocazione e, qualora il parere reso dalla conferenza di servizi non intervenga nei termini previsti o sia negativo, che il Consiglio dei ministri si esprima in ordine al rilascio della VIA entro i 7 giorni successivi.
La lettera d) modifica il settimo periodo del comma 2 dell’art. 1 del D.L. 196/2010 al fine di chiarire che la norma che attribuisce ai commissari lo svolgimento in luogo del Presidente della Regione delle funzioni già attribuite al Sottosegretario di Stato di cui all'art. 1 del D.L. 90/2008, si riferisce a tutti i commissari contemplati da tale comma.
Si ricorda che il testo previgente faceva invece riferimento ai “commissari predetti” e quindi sembrava riferirsi solo ai commissari straordinari di cui al primo periodo del comma 2 dell’articolo 1 del D.L. 196/2010.
Lo stesso settimo periodo del comma 2 prevede che nello svolgimento delle citate funzioni tali commissari si avvalgano, per l'attuazione delle disposizioni contenute nel comma 2, degli uffici della Regione e delle Province interessate, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nei limiti delle risorse allo scopo finalizzate nell'ambito dei bilanci degli enti interessati.
Il comma 3 dell'articolo in esame proroga dal 31 dicembre 2011 al 31 dicembre 2013 il termine, previsto dall'art. 10, comma 5, del D.L. 195/2009, entro il quale, nelle more del completamento degli impianti di compostaggio nella regione Campania, e per le esigenze della regione stessa, gli impianti di compostaggio in esercizio sul territorio nazionale possono aumentare la propria autorizzata capacità ricettiva e di trattamento sino all'8 per cento. La relazione illustrativa evidenzia che tale disposizione è volta ad evitare che la situazione di criticità tuttora persistente possa aggravarsi ulteriormente e compromettere così le altre iniziative in corso di adozione.
Da ultimo, si segnala che durante l’esame al Senato è stato soppresso il comma 4, recante l’autorizzazione all’utilizzo da parte della regione Campania delle risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per l'acquisto del termovalorizzatore di Acerra ai sensi dell'art. 7 del D.L. 195/2009 e il trasferimento alla stessa regione delle risorse necessarie. In proposito, si fa presente che, durante l’esame al Senato, è stata introdotta la norma recata dal comma 4 dell’art. 1-quater che proroga al 30 giugno 2012 il termine per il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore e alla cui scheda di commento si rinvia.
Con una lettera di messa in mora del 29 settembre 2011 (procedura d’infrazione n. 2007_2195) la Commissione europea invita l’Italia a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia dell’UE del marzo 2010 (causa C-297/08) che la riconosce responsabile di non aver stabilito una rete adeguata e integrata di impianti per lo smaltimento dei rifiuti in Campania.
Il 1° febbraio 2012 il Ministro per l’ambiente, Corrado Clini ha riferito in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti sui passi in avanti che l’Italia sta compiendo per corrispondere alle richieste della Commissione europea. Secondo il Ministro, l’Italia ha tempo fino a giugno 2012 per evitare una sanzione stimata in 500 mila euro al giorno, che scaturirebbe daun ulteriore avanzamento della procedura.
Nel quadro del ripristino della normalità, il Ministro ha sottolineato l’importanza del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani (PRGRU), approvato il 23 gennaio 2012 dalla Giunta della regione Campania, a cui dovrebbe seguire, entro marzo 2012, l'approvazione del piano regionale dei rifiuti speciali. Il Ministro ha inoltre riferito una disponibilità del Commissario europeo a sbloccare i fondi di coesione già stanziati a favore della Campania, che potrebbero essere destinati a potenziare la raccolta differenziata e gli inceneritori che recuperano energia, ma non le discariche.
La gestione e lo smaltimento dei rifiuti in Campania – Le principali misure adottate nel corso della legislatura
Nel tentativo di uscire dalla cronica situazione emergenziale relativa alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti, perdurante dal 1994 nel territorio della regione Campania, il Governo è più volte intervenuto, fin dall’inizio della legislatura, attraverso la decretazione d’urgenza[5].
Il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 ha introdotto un nuovo modello per la gestione dell'emergenza campana. I commissari delegati e le relative strutture sono stati sostituiti da un apposito Sottosegretario di Stato presso la Presidenza del Consiglio. L'incarico è stato quindi attribuito al Capo del Dipartimento della protezione civile, Guido Bertolaso, con il compito di coordinare la gestione dei rifiuti nella regione Campania per tutta la durata del periodo emergenziale (fino al 31 dicembre 2009). Il Sottosegretario ha provveduto all'attivazione dei siti da destinare a discarica, cui è stata attribuita la qualifica di "aree di interesse strategico nazionale". E’ stato anche previsto il coinvolgimento delle forze di polizia e delle forze armate al fine di assicurare piena effettività agli interventi per fronteggiare l'emergenza.
Per la durata dello stato emergenziale, la competenza sui procedimenti per reati in materia di gestione dei rifiuti e in materia ambientale, riguardanti l'intero territorio della Campania, è stata attribuita alla direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Il decreto ha inciso anche sulla normativa nazionale relativa ai termovalorizzatori, alle discariche e alla protezione civile, introducendo una serie di deroghe alle disposizioni in materia ambientale, igienico-sanitaria, prevenzione incendi, sicurezza sul lavoro, urbanistica, paesaggio e beni culturali, poi precisate con il D.L. 97/2008.
Durante il procedimento di conversione del decreto sono state inserite disposizioni che hanno attribuito alle province della regione Campania la titolarità degli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti che sono stati autorizzati a svolgere le attività di trattamento meccanico, stoccaggio e trasferenza nonché di recupero o smaltimento dei rifiuti. L’art. 6-ter, comma 2, ha inoltre previsto l’assimilazione ai rifiuti urbani non differenziati, ai fini delle successive fasi di gestione, dei rifiuti trattati dagli impianti citati (cd. impianti STIR[6]), disposizione ribadita dall’art. 4-novies del D.L. 97/2008.
E’ stata infine prevista la messa in opera di quattro termovalorizzatori (Acerra, Salerno, Napoli e Santa Maria La Fossa), nonché dall’art. 8, comma 1-bis, di un ulteriore eventuale impianto destinato al “recupero dei rifiuti già prodotti e stoccati per la produzione di energia” da localizzare, ai sensi di quanto disposto successivamente dal D.L. 195/2009 (art. 10, comma 6-bis) presso un’area individuata nei territori dei comuni di Giugliano o di Villa Literno. L’art. 1-quater, comma 5, del decreto in esame dispone che la localizzazione avvenga nel Comune di Giugliano.
Il D.L. 6 novembre 2008, n. 172
Il decreto-legge 172/2008 ha introdotto ulteriori misure per la soluzione dell'emergenza, mediante l'individuazione, tra l'altro, di forme di vigilanza nei confronti degli enti locali finalizzate a garantire l'osservanza della normativa ambientale. Esso ha previsto inoltre una speciale disciplina sanzionatoria per alcune ipotesi di violazione della normativa in materia di gestione dei rifiuti che, in ragione della generalità del fenomeno, hanno efficacia sul territorio nazionale nei soli casi in cui vi sia dichiarato lo stato di emergenza (art. 6). Durante l'iter parlamentare è stata altresì prevista l'educazione ambientale nei programmi scolastici della scuola dell'obbligo.
Il D.L. 30 dicembre 2009, n. 195
Lo stato di emergenza relativo allo smaltimento dei rifiuti nella regione Campania è formalmente cessato il 31 dicembre 2009.
Con il D.L. 195/2009 è stata introdotta una serie di disposizioni per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, innanzitutto attraverso l'istituzione di una "unità operativa" e di una "unità stralcio" (avvenuta con il D.P.C.M. 25 gennaio 2010) per definire le situazioni creditorie e debitorie derivanti dalle pregresse gestioni dell’emergenza rifiuti, predisponendo uno o più piani di estinzione delle passività, nonché per consentire il definitivo subentro degli enti territorialmente competenti nella gestione delle attività connesse al complessivo ciclo di gestione dei rifiuti.
Sono inoltre state previste norme sugli impianti di selezione e trattamento dei rifiuti, sul deposito e stoccaggio temporaneo dei rifiuti, nonché sul personale dei consorzi. Sono state inoltre attribuite ai Presidenti delle province le funzioni e i compiti di programmazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da organizzarsi anche per ambiti territoriali nel contesto provinciale e per distinti segmenti delle fasi del ciclo di gestione dei rifiuti.
Gli articoli 6, 7 e 8 hanno invece disciplinato, con riguardo al termovalorizzatore di Acerra, la determinazione del valore, il trasferimento della proprietà e le procedure di collaudo e funzionamento.
Il D.L. 26 novembre 2010, n. 196
Considerato il riemergere di una situazione di elevata criticità nella regione, il Governo ha adottato il D.L. 196/2010, per definire misure atte ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti urbani senza soluzione di continuità, accelerare la realizzazione di impianti di termovalorizzazione dei rifiuti, incrementare i livelli della raccolta differenziata e favorire il subentro delle amministrazioni territoriali della regione Campania – con particolare riguardo alle province – nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti.
In particolare, sono stati eliminati alcuni siti di discarica dall’elenco delle discariche da realizzare ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.L. 90/2008 ed è stata prevista (dall’art. 1, comma 2) la nomina, da parte del presidente della regione Campania, sentiti le province e gli enti locali interessati, di commissari straordinari con potere di agire in deroga alla legislazione vigente in materia di appalti pubblici e di valutazione di impatto ambientale, per garantire la realizzazione urgente dei siti da destinare a discarica nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti.
Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 1, il Presidente della regione Campania - ovvero i commissari straordinari - cui viene attribuita la funzione di amministrazione aggiudicatrice, provvede, in via di somma urgenza, all’individuazione di aree per la realizzazione urgente di impianti destinati al recupero, produzione e fornitura di energia mediante trattamenti termici di rifiuti (in cui ricadono i termovalorizzatori), nonché a conseguire le autorizzazioni e certificazioni pertinenti, con termini di rilascio ridotti.
Il D.L. 196/2010 è intervenuto, inoltre, anche sulla gestione del ciclo dei rifiuti sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista istituzionale, stabilendo, in particolare, che nel caso di mancato rispetto, da parte dei comuni, degli obiettivi minimi di raccolta differenziata, il prefetto diffidi il comune inadempiente a provvedere entro tre mesi, trascorsi i quali attiva le procedure per la nomina di un commissario ad acta.
Lo stesso decreto ha previsto, inoltre, anche la possibilità per il Governo di promuovere, nell'ambito di una seduta della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, convocata su richiesta della Regione, un accordo interregionale volto allo smaltimento dei rifiuti campani anche in altre regioni (art. 1, comma 7).
Il Presidente della regione Campania è inoltre autorizzato ad adottare una o più ordinanze, anche in deroga a quanto previsto dall'art. 191 del D.Lgs. 152/2006, per la messa a punto delle misure occorrenti a garantire la gestione ottimale dei rifiuti e dei relativi conferimenti per ambiti territoriali sovra provinciali.
Il decreto reca anche norme riguardanti i consorzi di bacino campani operanti nel settore dei rifiuti, nonché disposizioni finanziarie di sostegno della gestione regionale del ciclo dei rifiuti e misure volte alla copertura finanziaria degli accordi operativi per l’attuazione delle misure di compensazione ambientale.
Si segnala altresì la norma recata dall’art. 1, comma 7-ter, che “stante l'accertata insufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani nella regione Campania” ha previsto l’applicazione - fino al 31 dicembre 2011 – della speciale disciplina sanzionatoria introdotta, per i territori in cui vi è l’emergenza rifiuti, dall’art. 6 del D.L. 172/2008.
Si segnala altresì la norma recata dall’art. 1, comma 4, che ha autorizzato la realizzazione, presso gli STIR[7], di impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dai rifiuti.
Ulteriori interventi
Il D.L. 225/2010 ha previsto che in Campania - per fronteggiare l'emergenza rifiuti - potrà essere incrementata l'addizionale all'accisa sull'energia elettrica ed ha prorogato, al 31 marzo 2011, la fase transitoria per le sole attività di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti e di smaltimento/recupero della raccolta differenziata gestite dai comuni secondo le attuali modalità. Tale termine è stato ulteriormente prorogato dal D.P.C.M. 25 marzo 2011 e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2012, dall'art. 13, comma 5, del D.L. 29 dicembre 2011, n. 216 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative)[8].
Il D.L. 225/2010 è altresì intervenuto sull’art. 14, comma 22, del D.L. 78/2010 che consente alla Regione Campania di includere nel piano di stabilizzazione finanziaria l'eventuale acquisto del termovalorizzatore di Acerra, anche mediante l'utilizzo - previa delibera del CIPE - della quota regionale del FAS.
Si ricorda che l'articolo 5 del D.L. 216/2011 ha disposto la proroga di un mese, cioè fino al 31 gennaio 2012, del termine fissato dall'art. 7, comma 1, del D.L. 195/2009, che prevedeva il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore di Acerra.
Il D.L. 1° luglio 2011, n. 94, non
convertito in legge
Il decreto-legge 1° luglio 2011, n. 94 - non convertito in legge -, in considerazione dello stato di criticità derivante dalla non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti nella regione Campania, consentiva - sino al 31 dicembre 2011 – lo smaltimento fuori regione dei rifiuti derivanti dalle attività di tritovagliatura praticate negli impianti STIR della regione. Lo stesso comma precisava che tale smaltimento potesse avvenire in deroga al divieto di smaltimento extraregionale disposto, per i rifiuti urbani, dall’art. 182, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 e alle procedure di cui all’art. 1, comma 7, del D.L. 196/2010, richiedendo comunque sempre il nulla osta della regione di destinazione. Il comma 3 dell'art. 1 prescriveva che, in attuazione del principio comunitario della prossimità per lo smaltimento dei rifiuti, i trasferimenti extraregionali consentiti dal comma 1 avessero come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe alla Campania. Si segnala che il Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 3073/2011, ha sospeso l'esecutività della sentenza del T.A.R. Lazio n. 4915/2011[9] concernente la cessazione dei conferimenti dei rifiuti contrassegnati dal codice CER 19.12.12. provenienti dagli STIR della regione Campania presso l'impianto di Taranto. In merito al giudizio di appello avverso la sentenza del TAR Lazio n. 4915/2011, riguardante la cessazione dei conferimenti presso l'impianto di Taranto dei rifiuti CER 19.12.12 il Consiglio di Stato, nel corso del giudizio tenutosi il 6 dicembre 2011, ha ritenuto, con ordinanza n. 06932/2011, che, ai fini del decidere, sia opportuno che il Ministero dell'Ambiente acquisisca una relazione tecnico-scientifica in base alla quale possa valutarsi l'attuale situazione dei rifiuti derivanti da tritovagliatura alla luce del sistema complessivo della normativa comunitaria e nazionale. Ha, pertanto, fissato l'udienza di discussione del merito alla data del 26 giugno 2012.
Il comma 2 dell'art. 1 attribuiva, inoltre, ulteriori compiti e funzioni in capo ai Commissari regionali analogamente a quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera b), nn. 2), 3) e 4) del decreto-legge in esame.
Relazioni sull’emergenza in Campania
Al fine di consentire al Dipartimento politiche europee di rispondere ai rilievi mossi il 29 settembre 2011 dalla Commissione Ue con cui si invitava l’Italia a conformarsi, entro due mesi, alla sentenza della Corte di giustizia del marzo 2010 (causa C-297/08)[10], che la riconosceva responsabile di non aver stabilito una rete adeguata e integrata di impianti per lo smaltimento dei rifiuti in Campania (procedura di infrazione n. 2007_2195), la Regione Campania ha inviato in data 13 gennaio 2012 al citato Dipartimento una “Relazione sullo stato dell'arte del ciclo integrato dei rifiuti in Campania”[11].
In precedenza, nella prima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle disposizioni relative alle misure straordinarie promosse per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti della regione Campania (Doc. CCXIV, n. 1)[12], erano stati illustrati i primi interventi d'urgenza realizzati nel periodo 1º maggio-31 dicembre 2008, cui aveva fatto seguito la seconda relazione al Parlamento sulle misure straordinarie, trasmessa il 19 novembre 2009 (Doc. CCXIV, n. 2)[13] e, in data 29 novembre 2010, la relazione conclusiva sul complesso delle attività e delle iniziative intraprese dalla struttura del Sottosegretario di Stato all’emergenza rifiuti nella regione Campania nel periodo maggio 2008-dicembre 2009 (Doc. XXVII, n. 25)[14]. Un’ulteriore analisi della gestione dell’emergenza rifiuti nella regione Campana è stata svolta nella relazione della Corte dei conti “La gestione dell'emergenza rifiuti in Campania” del 28 settembre 2010[15].
I nuovi piani regionali della Campania
per la gestione dei rifiuti
Con la deliberazione n. 212 del 24/05/2011 la Giunta regionale della Campania ha adottato la proposta di Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Speciali (PRGRS)[16] dando formalmente avvio alla fase di consultazione pubblica da parte dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico. Dopo un accurato esame e una puntuale verifica delle osservazioni, la Commissione regionale VIA-VAS-VI, nella seduta del 5 dicembre 2011, ha espresso parere favorevole con prescrizioni. Secondo quanto riportato nella citata Relazione sullo stato dell'arte del ciclo integrato dei rifiuti in Campania del 13 gennaio 2012, “l'iter amministrativo finalizzato all'approvazione del piano da parte del Consiglio regionale si completerà entro i prossimi tre mesi”.
Con la deliberazione n. 265 del 14/06/2011 - pubblicata sul Bollettino Ufficiale n. 37 del 17 giugno 2011 - la Giunta regionale della Campania ha adottato la proposta di Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Urbani (PRGRU) dando formalmente avvio alla fase di consultazione pubblica da parte dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico. Conseguentemente con D.G.R. n. 732 del 19 dicembre 2011 la Giunta regionale ha adottato il PRGRU così come modificato alla luce delle osservazioni pervenute all’esito delle consultazioni pubbliche e delle prescrizioni della Commissione regionale VIA-VAS-VI. Il PRGRU è stato poi definitivamente approvato dal Consiglio regionale con la delibera n. 8 del 23 gennaio 2012 (B.U.R. Campania n. 5 del 24 gennaio 2012)[17].
Nella citata Relazione del 13 gennaio 2012 viene sottolineato che “degne di rilievo sono infine le attività funzionali alla predisposizione del Piano attuativo integrato per la minimizzazione dei rifiuti, approvate con Deliberazione della Giunta regionale n. 731 del 19/12/2011”.
La medesima relazione ricorda che tale tipo di pianificazione risponde sia a quanto stabilito dalla direttiva 2008/98/CE (che pone al primo posto la riduzione dell’uso di risorse e stabilisce, tra le altre cose, misure volte a ridurre gli impatti negativi della produzione dei rifiuti e dell’uso delle risorse migliorandone l’efficacia), sia alle previsioni degli artt. 179 e seguenti del D.Lgs. 152/2006 (che prescrivono agli enti preposti alla programmazione in materia di rifiuti di prevedere iniziative dirette a limitare la produzione di rifiuti) e della L.R. 4/2007 (che assume tra le finalità generali la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti ispirandosi al conseguimento dell’obiettivo “rifiuti zero”).
Articolo 1, commi
3-bis e 3-ter
(Programma nazionale di prevenzione dei
rifiuti e relazione sulla gestione dei rifiuti)
3-bis. All'articolo 180, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole: «adotta entro il 12 dicembre 2013,» sono sostituite dalle seguenti: «adotta entro il 31 dicembre 2012,»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Entro il 31 dicembre di ogni anno, a decorrere dal 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta alle Camere una relazione recante l'aggiornamento del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e contenente anche l'indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti».
3-ter. Al fine di assicurare l'integrale attuazione delle disposizioni dettate dall'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e di prevenire il determinarsi di situazioni di emergenza nel territorio nazionale connesse all'insufficienza dei sistemi e dei criteri di gestione del ciclo dei rifiuti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, predispone e presenta annualmente alle Camere, entro e non oltre il 31 dicembre di ciascun anno, una relazione recante l'indicazione dei dati relativi alla gestione dei rifiuti, alla connessa dotazione impiantistica nelle varie aree del territorio nazionale e ai risultati ottenuti nel conseguimento degli obiettivi prescritti dalla normativa nazionale e comunitaria, nonché l'individuazione delle eventuali situazioni di criticità e delle misure atte a fronteggiarle.
Il comma 3-bis reca alcune novelle al comma 1-bis dell’art. 180 del D.Lgs. 152/2006 .
La lettera a) anticipa al 31 dicembre 2012 il termine - mutuato dall’art. 29, comma 1, della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che prevede la scadenza del 12 dicembre 2013 – per l’elaborazione, da parte del Ministero dell'ambiente, di un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e delle indicazioni affinché tale programma sia integrato nei piani regionali di gestione dei rifiuti. Il medesimo comma 1-bis prevede che, in caso di integrazione nel piano di gestione, sono chiaramente identificate le misure di prevenzione dei rifiuti.
La lettera b) aggiunge un periodo, alla fine del citato comma 1-bis, che prevede, a decorrere dal 2013, la presentazione alle Camere, da parte del Ministero dell'ambiente, entro il 31 dicembre di ogni anno, di una relazione recante l’aggiornamento del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e contenente anche l’indicazione dei risultati raggiunti e delle eventuali criticità registrate nel perseguimento degli obiettivi di prevenzione dei rifiuti.
Il comma 3-ter prevede la presentazione alle Camere, da parte del Ministero dell'ambiente (sentita la Conferenza unificata), entro il 31 dicembre di ogni anno, di una relazione sulla gestione dei rifiuti, recante l’indicazione:
§ dei dati relativi alla gestione e alla connessa dotazione impiantistica nelle varie aree del territorio nazionale;
§ dei risultati ottenuti nel conseguimento degli obiettivi prescritti dalla normativa nazionale e comunitaria;
§ delle eventuali situazioni di criticità e delle misure atte a fronteggiarle.
Lo stesso comma precisa le seguenti finalità della norma in esame:
§ assicurare l’integrale attuazione dell’art. 195 del D.Lgs. 152/2006;
Si ricorda che l’art. 195 reca un lungo elenco delle competenze statali in materia di gestione dei rifiuti, per lo più ascrivibili a funzioni di indirizzo e coordinamento.
§ prevenire il determinarsi di situazioni di emergenza nel territorio nazionale connesse all’insufficienza dei sistemi e dei criteri di gestione del ciclo dei rifiuti.
Articolo 1-bis
(Misure in tema di rifiuti di attività agricole e di materiali vegetali,
agricoli e forestali)
1. Al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 183, comma 1, dopo la lettera ff) è inserita la seguente:
«ff-bis) “digestato da non rifiuto”: prodotto ottenuto dalla digestione anaerobica di prodotti o di sottoprodotti di cui all'articolo 184-bis che sia utilizzabile come ammendante ai sensi della normativa vigente in materia»;
b) all'articolo 185, comma 1, lettera f), le parole da: «o per la» fino alla fine della lettera, sono sostituite dalle seguenti: «ivi inclusi in tal caso quelli derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato sempre che soddisfino i requisiti di cui all'articolo 184-bis, per la produzione di energia da questa biomassa, in ogni caso mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana»;
c) all'articolo 185, comma 2, lettera b), dopo le parole: «di biogas o di compostaggio» sono inserite le seguenti: «quando il digestato o il compost prodotti non siano destinati alla utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto, nel qual caso rientrano tra i materiali di cui alla lettera f) del comma 1»;
d) all'articolo 185, comma 2, lettera c), le parole: «e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002» sono sostituite dalle seguenti: «e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1069/2009, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di applicazione ivi indicato».
2. All'articolo 39 del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 9, alinea, sono soppresse le parole: «Fino al 2 luglio 2012»;
b) al comma 9, lettera a), le parole: «cento chilogrammi o cento litri l'anno» sono sostituite dalle seguenti: «trecento chilogrammi o trecento litri l'anno»;
c) al comma 9, lettera b), le parole: «cento chilogrammi o cento litri all'anno» sono sostituite dalle seguenti: «trecento chilogrammi o trecento litri l'anno»;
d) dopo il comma 9 è inserito il seguente:
«9-bis. I trasporti di rifiuti pericolosi e non pericolosi di propria produzione effettuati direttamente dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, verso i circuiti e le piattaforme di cui al comma 9 non sono considerati svolti a titolo professionale e di conseguenza i medesimi imprenditori agricoli non necessitano di iscrizione all'albo di cui all'articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
3. Nelle isole con popolazione residente inferiore a 15.000 abitanti, paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso possono, nei limiti delle loro proprietà fertilizzanti scientificamente riconosciute, essere utilizzati presso il luogo di produzione o in altro luogo idoneo limitrofo, sempre che diversi dalle aree in cui risultino superate le soglie di valutazione superiori di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, mediante processi o metodi, ivi inclusa la combustione, che in ogni caso non danneggino l'ambiente né mettano in pericolo la salute umana.
4. Le biomasse vegetali di origine marina e lacustre spiaggiate lungo i litorali, con la prevista autorizzazione regionale e senza la necessità di espletare ulteriori valutazioni di incidenza ambientale, possono essere rimosse e utilizzate, purché ricorrano i requisiti di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la produzione di energia o per il riutilizzo a fini agricoli, in ogni caso nel rispetto delle norme tecniche di settore e mediante processi o metodi che non danneggino l'ambiente né mettano in pericolo la salute umana.
Il comma 1 reca una serie di novelle agli artt. 183 e 185 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) che, attraverso modifiche alle definizioni nonché alle fattispecie escluse dalla disciplina dei rifiuti recata dalla parte IV del Codice, restringono l’ambito di applicazione della disciplina citata al fine precipuo di agevolare il riutilizzo di materiali vegetali e del digestato.
In particolare, la lettera a) del comma 1 introduce la lettera ff-bis) al comma 1 dell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, recante la definizione di “digestato da non rifiuto”, inteso come prodotto ottenuto dalla digestione anaerobica di prodotti o di sottoprodotti di cui all'art. 184-bis che sia utilizzabile come ammendante ai sensi della normativa vigente in materia.
Si fa notare che la norma in esame riproduce nella sostanza quella recata dall’art. 14 dell’A.S. 2735[18] (in corso d’esame presso la 9ª Commissione del Senato). La relazione illustrativa di tale ddl sottolinea che l’introduzione della definizione di digestato non proveniente da rifiuti ha lo scopo di “colmare una lacuna presente nelle definizioni di cui all’articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, nel definire la nozione di digestato di qualità, al comma 1, lettera ff) del citato articolo, considera tale soltanto quello prodotto da rifiuti. Si ritiene, quindi, necessario, inserire nel contesto normativo citato la nozione di digestato non proveniente da rifiuti, anche al fine di consentirne i successivi utilizzi evitando problemi interpretativi”[19].
Si ricorda che la digestione anaerobica (DA) è un processo di trasformazione biologica, svolto in reattori chiusi, attraverso il quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica (solitamente derivante dalla frazione organica selezionata di rifiuti urbani, degli scarti zootecnici e dell’agroindustria) è trasformata in biogas, con un contenuto in metano variabile dal 50 al 60%. Oltre a questi gas si ottiene anche, come sottoprodotto, il “digestato”[20], un materiale semistabilizzato, matrice ideale per la formazione della miscela da avviare a compostaggio”.
Relativamente alla citata disciplina per l’utilizzo degli ammendanti, si ricorda che il principale riferimento normativo è costituito dal D.Lgs. 29 aprile 2010, n. 75, recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”.
La lettera b) del comma 1 novella la lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 al fine di escludere, dall’applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del Codice, gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato, che saranno utilizzati per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Gli scarti derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato possono essere utilizzati come prodotti, e non come rifiuti, a condizione che siano configurabili come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184-bis del medesimo decreto.
Si fa notare che tale disposizione è pressoché identica a quella recata dall’art. 1 dell’A.C. 4240, approvato in prima lettura dalla Camera nella seduta del 16 febbraio 2012 [21].
Si fa notare che prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010, che ha recepito la direttiva 2008/98/CE, in base all’art. 185, comma 2, potevano essere considerati sottoprodotti i “materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”.
L’espunzione del riferimento agli sfalci e potature derivanti dal verde pubblico e privato operata dal D.Lgs. 205/2010 ha creato incertezze negli operatori del settore, tanto che il Ministero dell'ambiente ha dovuto chiarire (con la nota 1° marzo 2011, prot. 11338) che i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali vanno classificati come rifiuti urbani ai sensi dell'art. 184, comma 2, lettera e), del D.Lgs. 152/2006, poiché l'esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti per la "paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa" (art. 185, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 152/2006) va riferita esclusivamente ai materiali provenienti da attività agricola o forestale destinati agli utilizzi ivi descritti.
Si ricorda, infine, che ai sensi dell’art. 184-bis citato è un sottoprodotto e non un rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
La lettera c) del comma 1 novella la lettera b) del comma 2 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 relativo alle esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti.
Il testo vigente della citata lettera b) esclude dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti recata dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie e dalle rispettive norme nazionali di recepimento, i “sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002”. Tale esclusione non opera tuttavia se i citati prodotti e sottoprodotti sono destinati “all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio”.
La novella in esame prevede un‘ulteriore condizione all’eccezione prevista dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 185, che incide sulla destinazione del digestato o del compost ottenuti.
In base alla novella in esame, quindi, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002 [22]e destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio:
§ rientrano nel novero dei rifiuti quando il digestato o il compost prodotti non sono destinati all’utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto;
§ sono esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti ad opera dalla lettera f) del comma 1 qualora (“nel qual caso”) destinati all’utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto.
Si ricorda che il testo vigente della citata lettera f) esclude dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti “le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”. Tale lettera, lo si ricorda, viene novellata dalla lettera b) del comma in esame.
Riepilogando, in base alla nuova formulazione recata dalla lettera in esame, l’esclusione o meno dal novero dei rifiuti per le materie considerate segue la schematizzazione seguente:
Si segnala che, nelle conclusioni cui la Corte di Cassazione è pervenuta nella sentenza 12844/2009, si legge che “gli scarti di origine animali sono sottratti alla applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale”[23].
La norma in esame di fatto esclude dal novero dei rifiuti tali sottoprodotti che vengono compostati o digestati per essere utilizzati dalla medesima azienda; per tali prodotti sembra pertanto non ricorrere la definizione di rifiuto che prevede la volontà del detentore di disfarsene.
L’art. 183, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 152/2006 definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Si fa altresì notare che la norma in esame consente di dare seguito al dispositivo della risoluzione Pignedoli 7-00210[24], recentemente approvata dalla 9a Commissione (Agricoltura) del Senato in data 18 gennaio 2012.
Nella citata risoluzione viene infatti sottolineato che “è da ritenere corretta l'interpretazione dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 - recante norme in materia ambientale - secondo la quale l'impiego in impianti di biogas di deiezioni zootecniche, addizionate o meno con paglia e altro materiale agricolo, è fuori dal campo di applicazione della parte quarta (normativa rifiuti), quando il materiale risultante (il digestato) è destinato alla utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto” e, sulla base di tale assunto, si impegna il Governo “ad adottare misure atte a dirimere i nodi problematici interpretativi insorti rispetto ai profili relativi all'utilizzo degli effluenti zootecnici negli impianti a biogas connessi ad attività agricole, anche alla luce della necessità di definire i provvedimenti attuativi di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”[25].
La lettera d) del comma 1 modifica il riferimento normativo richiamato dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 185 per tener conto dell’avvenuta abrogazione del regolamento (CE) n. 1774/2002 ad opera del regolamento (CE) n. 1069/2009[26].
Si ricorda che ai sensi della citata lettera c) sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del D.Lgs. 152/2006, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento, “le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002”.
Viene altresì specificato che tale regolamento costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo di applicazione ivi indicato.
Si fa notare che tale specificazione compariva nel testo originario del comma 2 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 pubblicato nell’aprile 2006 e poi scomparso con la riscrittura operata dal D.Lgs. 4/2008. Si tratta di una specificazione che pare finalizzata a esplicitare la separazione degli ambiti applicativi delle due normative[27].
Il comma 2 interviene sulla disciplina dei trasporti di rifiuti pericolosi e non pericolosi effettuati dagli imprenditori agricoli con una serie di disposizioni aventi l’obiettivo di semplificare gli adempimenti per tali operatori.
La lettera a) del comma 2 novella il comma 9 dell’art. 39 del D.Lgs. 205/2010 al fine di prevedere a regime (e non, come previsto dal testo vigente, in via transitoria fino al 2 luglio 2012) che l’esclusione dal SISTRI per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano ad una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo occasionale e saltuario.
Si fa notare che il citato termine del 2 luglio è stato recentemente fissato dall’art. 13, comma 4, del D.L. 216/2011[28], che ha prorogato il precedente termine del 31 dicembre 2011.
Si fa altresì notare che la norma in esame riproduce nella sostanza quella recata dall’art. 15 dell’A.S. 2735[29] (in corso d’esame presso la 9ª Commissione del Senato). Nella relazione illustrativa di tale ddl viene sottolineato che la norma in esame è concepita nell’ottica di assicurare la semplificazione degli adempimenti e che gli “obblighi derivanti dall’iscrizione al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti … risultano decisamente sproporzionati per le piccole imprese agricole che producono modeste quantità di rifiuti e conferiscono gli stessi a circuiti organizzati di raccolta. Infatti, la consegna di rifiuti a soggetti autorizzati e nell’ambito di un circuito organizzato sotto il controllo, nella maggior parte dei casi, della pubblica amministrazione, risulta sicuramente uno strumento adeguato ad assicurare la tracciabilità dei conferimenti e delle attività di gestione dei rifiuti agricoli”.
Le successive lettere b) e c) provvedono a triplicare (elevandola a 300 kg. o litri) la soglia annua contemplata dalle lettere a) e b) del medesimo comma 9 dell’art. 39 per poter considerare i citati trasporti e conferimenti come occasionali e saltuari.
La lettera d) del comma 2 introduce un comma 9-bis all’art. 39 del D.Lgs. 205/2010 finalizzato a:
§ stabilire che i trasporti di rifiuti pericolosi e non pericolosi di propria produzione effettuati direttamente dagli imprenditori agricoli professionali (definiti dall’art. 1 del D.Lgs. 99/2004) verso i circuiti organizzati di raccolta e le piattaforme di conferimento non sono considerati svolti a titolo professionale;
§ e, di conseguenza, ad esonerare gli stessi imprenditori dall’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali (istituito dall’art. 212 del D.Lgs. 152/2006).
Relativamente alla definizione di “imprenditore agricolo professionale” recata dall’art. 1 del D.Lgs. 99/2004 si ricorda che, in base ad essa, “è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17 maggio 1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di cui all' articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro ...”.
Relativamente alla disciplina dell’Albo nazionale gestori ambientali si ricorda che l’art. 212 del D.Lgs. 152/2006, che lo ha istituito, prevede al comma 5 che l'iscrizione all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti.
Il comma 3 introduce una disciplina speciale, applicabile nelle isole con popolazione residente inferiore a 15.000 abitanti, per l’utilizzo di paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso.
Tale disciplina prevede che le materie indicate possano, nei limiti delle loro proprietà fertilizzanti scientificamente riconosciute, essere utilizzate:
§ presso il luogo di produzione o in altro luogo idoneo limitrofo, sempre che diversi dalle aree in cui risultino superate le soglie superiori di valutazione della qualità dell’aria previste dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 155/2010.
Si ricorda in proposito che l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 155/2010 (Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa) prevede la zonizzazione del territorio nazionale sulla base delle soglie di valutazione superiori e inferiori previste dall'allegato II, sezione I, al medesimo decreto. Le soglie citate riguardano i seguenti inquinanti: biossido di zolfo, biossido di azoto, ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, arsenico, cadmio, nichel e benzo(a) pirene.
§ mediante processi o metodi, ivi inclusa la combustione, che in ogni caso non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.
Il comma 4 consente la rimozione e l’utilizzo per la produzione di energia o per il riutilizzo a fini agricoli delle biomasse vegetali di origine marina e lacustre spiaggiate lungo i litorali, alle seguenti condizioni:
§ rilascio della prevista autorizzazione regionale (senza la necessità di espletare ulteriori valutazioni di incidenza ambientale);
§ sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006;
L’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 detta le condizioni che una certa sostanza deve soddisfare per poter essere considerata un sottoprodotto e non un rifiuto.
§ rispetto delle norme tecniche di settore;
§ utilizzo di processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.
La norma in esame sembra finalizzata principalmente a risolvere il problema, sentito in numerosi comuni costieri, della sistemazione della Posidonia oceanica spiaggiata.
Si ricorda in proposito che la prateria di Posidonia oceanica costituisce un habitat “prioritario”, essendo inserita nell’allegato IV della Direttiva Europea 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 357/1997, per cui lo stato di conservazione deve essere mantenuto soddisfacente. Inoltre, la Posidonia oceanica spiaggiata costituisce un habitat protetto, quindi è oggetto di salvaguardia, ai sensi del Protocollo per le Aree Specialmente Protette e la Biodiversità in Mediterraneo (ASPIM) (Allegato 2), firmato nell’ambito della “Convenzione per la Protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento” di Barcellona del 1995, ratificato dall’Italia con la L. 175/99. Lo spiaggiamento delle foglie di posidonia sui litorali dà origine ad accumuli, denominati banquettes, che “svolgono un’importante azione protettiva nei meccanismi di erosione dei litorali sabbiosi e assumono una funzione fondamentale nell’ecologia dell’ambiente costiero … per cui sono da considerare ecosistemi di particolare importanza e complessità, quindi strategici in termini di biodiversità. Pertanto la rimozione definitiva delle biomasse vegetali spiaggiate causerebbe un danneggiamento fisico della spiaggia e della vegetazione dunale, esponendo la linea di costa a rischio di erosione e desertificazione”[30].
Tuttavia, in alcuni casi tali accumuli sulla spiaggia possono influenzare negativamente le attività turistico-balneari, in quanto sottraggono spazi sull’arenile e favoriscono la produzione di odori sgradevoli dovuti a fenomeni putrefattivi. Per questo motivo il Ministero dell'ambiente, con la circolare prot. DPN/VD/2006/08123 del 17 marzo 2006, riconoscendo il ruolo ecologico e di difesa del litorale svolto dalle biomasse spiaggiate e gli inconvenienti connessi alla presenza di tali accumuli lungo le spiagge, ha fornito delle indicazioni generali sulle soluzioni flessibili e modalità da adottare per gestire tali banquettes, in funzione delle specificità dei luoghi e delle situazioni sociali ed economiche. Nell’ambito di tale circolare il Ministero ha fornito tre possibili modalità di azione per la gestione delle biomasse piaggiate:
a) mantenimento in loco delle banquettes (sul modello delle “spiagge ecologiche” adottato in Francia in alcune aree protette marine);
b) spostamento degli accumuli;
c) rimozione permanente e trasferimento in discarica.
Inoltre, una ulteriore modalità, oltre a quelle sopra citate, non contemplata nella circolare del Ministero, è il:
d) riutilizzo di tali biomasse nel rispetto della normativa vigente, quali ad esempio l’impiego in interventi di recupero ambientale in ambito costiero o come compost in agricoltura.
Nel caso in cui si devono applicare le modalità b), c) o d) l’esecuzione resta subordinata all’acquisizione del provvedimento autorizzativo regionale e, nel caso in cui l’area ricada all’interno dei parchi naturali e/o riserve, le istanze dovranno essere trasmesse anche all’Ente gestore, per il parere di competenza. Qualora l’intervento ricada all’interno o in prossimità di aree sensibili (quali ad es. SIC e ZPS), sarà altresì necessario verificare la necessità di espletare la valutazione di incidenza ambientale ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 357/97[31].
Si segnala, in materia di classificazione dei materiali spiaggiati, che numerosi esperti propendono per loro appartenenza alla categoria dei rifiuti poiché, “pur trattandosi di un prodotto naturale, questo avrebbe terminato il suo ciclo naturale e la sua funzione, diventando rifiuto nel momento in cui insorge la necessità di disfarsene per motivi turistico-balneari, ripulendo la costa con tecniche di raccolta che creano un mescolamento ai rifiuti veri e propri”[32]. A conferma di tale impostazione restrittiva, è significativa la risoluzione del Ministero delle Finanze del 5/11/1999 n.158/E (TARSU – alghe giacenti sulle spiagge), la quale precisa che le “alghe” sono classificabili come rifiuti urbani esterni.
Per quanto riguarda la compostabilità delle biomasse vegetali spiaggiate si ricorda che solo di recente, in virtù del D.M. Politiche agricole 22 gennaio 2009 (recante “Aggiornamento degli allegati al decreto legislativo 29 aprile 2006, n. 217, concernente la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti”[33]) è stato reso possibile utilizzare la posidonia spiaggiata per la produzione di compost.
Lo smaltimento dei residui spiaggiati di Posidonia oceanica “incide in maniera ragguardevole sui bilanci di molti comuni costieri che ogni anno effettuano la raccolta, il trasporto e il conferimento in discarica di migliaia di tonnellate di biomasse, che causerebbero altrimenti disagi alla fruizione turistica dei litorali”. Per cercare di risolvere tale problema sono state avanzate diverse proposte di soluzioni innovative. Si segnalano, in particolare, il progetto denominato PRIME (Posidonia residues integrate management for eco-sustainability)[34], finanziato dall’UE nel’ambito del Programma LIFE+, nonché le iniziative annunciate da alcune regioni ed enti locali[35] per dotare i comuni costieri di impianti per la produzione di compost a partire dalle alghe.
Articolo 1-ter
(Trattamento di rifiuti tramite
compostaggio aerobico e digestione anaerobica)
1. Non è soggetto al regime autorizzativo di cui agli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il trattamento tramite compostaggio aerobico o digestione anaerobica dei rifiuti urbani organici biodegradabili quando sono rispettate le seguenti condizioni:
a) i rifiuti oggetto del trattamento sono costituiti da rifiuti biodegradabili di cucine e mense e da rifiuti dei mercati (codici 200108 e 200302 di cui all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006) e da rifiuti biodegradabili prodotti da giardini e parchi (codice 200201 di cui all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006);
b) la quantità totale non eccede 80 tonnellate annue e il trattamento è eseguito nel territorio compreso entro i confini amministrativi del comune o di comuni confinanti, che abbiano stipulato una convenzione di associazione per la gestione congiunta del servizio, e il prodotto ottenuto in conformità all'allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, è utilizzato sul medesimo territorio;
c) i rifiuti non sono stoccati prima del trattamento per oltre settantadue ore nel caso dei rifiuti biodegradabili di cucine e mense e dei rifiuti dei mercati (codici 200108 e 200302 di cui all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006) e per oltre sette giorni nel caso dei rifiuti biodegradabili prodotti da giardini e parchi (codice 200201 di cui all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006);
d) gli impianti di cui al presente comma sono gestiti sotto la responsabilità di un professionista abilitato secondo modalità stabilite mediante decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
2. La realizzazione e l'esercizio degli impianti di cui al comma 1 sono soggetti a denuncia di inizio attività (DIA), ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e all'osservanza delle prescrizioni in materia urbanistica, delle norme antisismiche, ambientali, di sicurezza, antincendio e igienico-sanitarie, delle norme relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Il comma 1 prevede l’esclusione delle attività di trattamento tramite compostaggio aerobico [36] o digestione anaerobica [37] dei rifiuti urbani organici biodegradabili dal regime delle autorizzazioni previste per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti dagli artt. 208 e seguenti del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente).
Si ricorda che l’art. 208 disciplina l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, mentre gli artt. 214-216 disciplinano le procedure semplificate.
In proposito, si valuti l’opportunità di precisare gli articoli del Codice che disciplinano il regime autorizzatorio da cui sono escluse le attività oggetto della norma.
Lo stesso comma prevede che tale esclusione operi solo qualora siano rispettate le seguenti condizioni:
a) i rifiuti oggetto del trattamento sono costituiti da rifiuti biodegradabili di cucine e mense e da rifiuti dei mercati (codici CER 20 01 08 e 20 03 02) e da rifiuti biodegradabili prodotti da giardini e parchi (codice CER 20 02 01);
Si fa notare in proposito che il codice CER 20 02 (contenuto nell'Allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) riguarda i “rifiuti prodotti da giardini e parchi (inclusi i rifiuti provenienti da cimiteri)” e che la sottovoce 20 02 01 riguarda i soli “rifiuti biodegradabili”. Gli altri codici CER citati dalla norma in esame riguardano esattamente quanto riportato nella norma, ovvero: 20 01 08 “rifiuti biodegradabili di cucine e mense” e 20 03 02 “rifiuti dei mercati”.
b1) la quantità totale non eccede 80 tonnellate annue;
b2) il trattamento è eseguito nel territorio comunale o di comuni confinanti, che abbiano stipulato una convenzione di associazione per la gestione congiunta del servizio;
b3) il prodotto ottenuto è conforme all'Allegato 2 del D.Lgs. 75/2010;
L’allegato 2 al D.Lgs. 75/2010 (recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”) disciplina le specifiche di preparazione degli “ammendanti” nonché i tenori massimi consentiti in metalli pesanti negli ammendanti stessi.
b4) il prodotto è utilizzato sul medesimo territorio;
c) i rifiuti non sono stoccati prima del trattamento:
- per oltre 72 ore nel caso dei rifiuti biodegradabili di cucine, mense e mercati;
- per oltre 7 giorni nel caso dei rifiuti biodegradabili di giardini e parchi;
d) gli impianti sono gestiti sotto la responsabilità di un professionista abilitato secondo modalità stabilite mediante decreto del Ministro dell’ambiente da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Come segnalato anche nel corso del dibattito nell’Assemblea del Senato[38], la norma in esame introduce il “compostaggio di prossimità” o “compostaggio in loco”.
Sul punto si segnala che da più parti è stata sottolineata l’esigenza di introdurre nell’ordinamento nazionale una disciplina atta a consentire il “compostaggio di prossimità” (es. di quartiere). Nelle premesse della D.G.R. Abruzzo n. 469 del 6 luglio 2011[39], si legge, ad esempio, che «la pratica del “compostaggio in loco” di più utenze conferitrici si colloca tra il compostaggio domestico e quello industriale e deve ancora trovare una propria puntuale definizione nel quadro normativo comunitario, nazionale e regionale, ma che può essere qualificata in modo oggettivo e declinabile dalla definizione dell’autocompostaggio ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. e) del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., come: “compostaggio in loco: compostaggio degli scarti organici di rifiuti urbani, derivanti da singole o più utenze, domestiche e non domestiche, effettuato in un sito comune o in un impianto elettromeccanico, ai fini dell’utilizzo del materiale prodotto da parte delle utenze conferenti”»[40].
Il comma 2 prevede che la realizzazione e l’esercizio degli impianti di cui al comma 1 siano soggetti a denuncia di inizio attività (DIA), ai sensi del D.P.R. 380/2001, e all’osservanza delle prescrizioni in materia urbanistica, delle norme antisismiche, ambientali, di sicurezza, antincendio e igienico-sanitarie, delle norme relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 42/2004.
Si rammenta, in estrema sintesi, che la disciplina sostanziale e procedimentale relativa alla DIA è contenuta negli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001 (cd. T.U. dell’edilizia). Ai sensi dell’art. 22, commi 1 e 2, l’ambito di operatività della DIA è definito residualmente, ovvero essa può essere usata per tutti i lavori che non rientrano né nell’attività edilizia libera (art. 6) né ad attività soggette a permesso di costruire (art. 10) e può essere sostituita dalla Scia. Si ricorda, infatti, che con l’art. 5 del decreto legge 70/2011 si è definitivamente chiarito che la Scia si applica anche all’edilizia[41], consentendo l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la DIA occorre attendere 30 giorni (art. 23, comma1).
Articolo 1-quater
(Misure in tema di realizzazione di
impianti nella regione Campania)
1. All'articolo 5 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, la rubrica è sostituita dalla seguente: «Termovalorizzatori di Acerra (NA) e Salerno».
2. Il comma 3 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 90 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2008, è sostituito dal seguente:
«3. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 16 gennaio 2008, n. 3641, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 20 del 24 gennaio 2008, e dall'articolo 2, comma 2, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 17 aprile 2008, n. 3669, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008, circa la realizzazione dell'impianto di termodistribuzione nel comune di Salerno».
3. All'articolo 8-bis, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2008, le parole: «Santa Maria La Fossa (CE)» sono sostituite dalle seguenti: «per quello previsto dal comma 1-bis dell'articolo 8».
4. All'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26, e successive modificazioni, le parole: «31 gennaio 2012» sono sostituite dalle seguenti: «30 giugno 2012».
5. Il comma 6-bis dell'articolo 10 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 26, è sostituito dal seguente:
«6-bis. Al fine di assicurare la compiuta ed urgente attuazione di quanto disposto dall'articolo 8, comma 1-bis, del decreto-legge n. 90 del 2008, l'impianto di recupero e smaltimento dei rifiuti è realizzato nel territorio del comune di Giugliano, conformemente alla pianificazione regionale».
L’articolo reca disposizioni concernenti la realizzazione degli impianti della regione Campania.
In particolare, i commi 1 e 2 novellano l’art. 5 del D.L. 90/2008, che reca disposizioni riguardanti i termovalorizzatori di Acerra (NA), Santa Maria La Fossa (CE) e Salerno. Le modifiche hanno la finalità di sopprimere l’autorizzazione, in esso recata, alla realizzazione del termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa.
Si ricorda che il D.L. 90/2008 contempla la realizzazione di 4 termovalorizzatori: l’art. 5 reca disposizioni relative ai termovalorizzatori di Acerra (NA) e Salerno, già autorizzati in precedenza (per l’impianto di Salerno le relative disposizioni sono state dettate dall'art. 3 dell'O.P.C.M. 3641/2008 e dall'art. 2, comma 2, dell’O.P.C.M. 3669/2008), ed autorizza la realizzazione del termovalorizzatore di Santa Maria La Fossa (CE).
L’art. 8 prevede invece la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione nel territorio del comune di Napoli.
La situazione attuale e programmata dell’impiantistica per il trattamento termico dei rifiuti nella Regione Campania è descritta alle pagg. 206-208 del nuovo piano regionale dei rifiuti pubblicato nel B.U.R. Campania n. 5 del 24 gennaio 2012)[42], ove, oltre all’esistente impianto di Acerra, figurano tre impianti programmati a Napoli Est, Salerno e nella Provincia di Caserta.
Nel dettaglio, il comma 2 modifica il comma 3 dell’art. 5 - ove viene prevista la realizzazione del termovalorizzatore di S. Maria La Fossa (CE)- sopprimendo ogni riferimento all’impianto citato, mentre il comma 1 modifica conseguentemente la rubrica dell’art. 5 provvedendo ad espungere anche dalla stessa il riferimento al termovalorizzatore che non risulta quindi più disciplinato dall’art. 5.
Il comma 3 modifica l’art. 8-bis del D.L. 90/2008 che contempla, nel testo vigente, l’attribuzione degli incentivi CIP6 per i termovalorizzatori della Regione Campania, ivi compreso quello di Santa Maria La Fossa (CE).
L’art. 8-bis citato, che prevede un unico comma, al fine di superare la situazione di emergenza e per assicurare un'adeguata capacità complessiva di smaltimento dei rifiuti prodotti in Campania, ha previsto l’emanazione di un decreto interministeriale volto a definire le condizioni e le modalità per la concessione (in deroga alla normativa vigente) dei finanziamenti e degli incentivi pubblici di competenza statale previsti dalla deliberazione del Comitato interministeriale prezzi n. 6 del 29 aprile 1992 (c.d. CIP6) per gli impianti di termovalorizzazione localizzati nei territori dei comuni di Salerno, Napoli e Santa Maria La Fossa (CE).
Il comma in esame prevede che l’attribuzione degli incentivi CIP6 non riguardi più l’impianto di Santa Maria La Fossa, ma venga concessa all’impianto previsto dal comma 1-bis dell’art. 8 del D.L. 90/2008, vale a dire (per quanto ricostruito nel seguito) all’impianto di Giugliano.
Si ricorda infatti che l’art. 8, comma 1-bis, del D.L. 90/2008 aveva affidato al Sottosegretario di Stato il compito di disporre “previa motivata verifica di un'effettiva esigenza legata alla gestione del ciclo dei rifiuti nella regione Campania, la progettazione, la realizzazione e la gestione, con il sistema della finanza di progetto, di un impianto di recupero dei rifiuti già prodotti e stoccati per la produzione di energia mediante l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili a salvaguardia della salute della popolazione e dell'ambiente” e di individuare, “sentiti gli enti locali competenti, un sito idoneo nel territorio della regione Campania”.
In attuazione di tale disposizione il comma 6-bis dell'art. 10 del D.L. 195/2009 ha previsto, al fine di garantire la realizzazione del citato impianto, che “l’impianto di recupero e smaltimento dei rifiuti è realizzato, acquisita l’intesa rispettivamente con la provincia di Napoli o con la provincia di Caserta e sentiti i comuni interessati, presso un’area individuata nei territori dei comuni di Giugliano o Villa Literno, ovvero trascorsi inutilmente centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto individuata nel medesimo ambito territoriale dal Presidente della regione Campania”
Il comma 5 dell'articolo in esame prevede la riscrittura di tale disposizione al fine di disporre la realizzazione dell’impianto contemplato nel territorio del Comune di Giugliano.
Il comma 4 proroga al 30 giugno 2012 il termine, fissato dall’art. 7, comma 1, del D.L. 195/2009, per il trasferimento (mediante apposito D.P.C.M.) della proprietà del termovalorizzatore di Acerra.
Si ricorda che il citato comma 1, come modificato dall'art. 5, comma 1, del D.L. 216/2011[43], prevede, nel testo vigente, il termine (ormai superato) del 31 gennaio 2012 per l’emanazione del D.P.C.M. volto a trasferire la proprietà del termovalorizzatore di Acerra alla regione Campania, previa intesa con la Regione stessa, o ad altro ente pubblico anche non territoriale, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione civile o a soggetto privato.
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa e nella relazione tecnica al ddl di conversione del citato decreto-legge, la proroga si rende necessaria, in quanto non si sono ancora perfezionate le numerose procedure propedeutiche al trasferimento dell'impianto, tra cui quelle previste dall'articolo 7 del decreto-legge 30 dicembre 2009 n. 195, e dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e in considerazione della prossima definizione del complesso contenzioso giudiziario pendente su tale impianto.
Quanto al citato art. 14 del D.L. 78/2010, si ricorda che il comma 22 ha previsto la predisposizione, da parte del Presidente della Regione Campania, in qualità di commissario ad acta, di un piano di stabilizzazione finanziaria (sottoposto all'approvazione del Ministero dell'economia che, d'intesa con la regione, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza per l'adozione e l'attuazione degli atti indicati nel piano) che può includere, tra gli interventi da attuare, l’eventuale acquisto del termovalorizzatore di Acerra anche mediante l’utilizzo, previa delibera del CIPE, della quota regionale del FAS (Fondo Aree Sottoutilizzate).
Secondo quanto indicato nel sito web dell’Osservatorio ambientale del termovalorizzatore di Acerra (istituito dall’O.P.C.M. 3730/2009) [44] “dal 15 gennaio 2010 - sulla base del decreto legge n. 195 del 30 dicembre 2009 convertito nella legge n. 26 del 26 febbraio 2010 - Partenope Ambiente - società costituita da A2A per la gestione del termovalorizzatore - ha assunto la gestione provvisoria ed esclusiva del termovalorizzatore, affiancata da un presidio tecnico di Fibe, la società che ha costruito il termovalorizzatore. Il collaudo funzionale dell’impianto è terminato il 28 febbraio 2010. All’esito positivo del collaudo è terminata la gestione provvisoria e Partenope Ambiente ha assunto la gestione definitiva del termovalorizzatore. Nell'attesa del passaggio di proprietà, il Dipartimento della Protezione Civile può disporre, utilizzare e godere dell’impianto per il quale è autorizzato a stipulare un contratto di affitto”.
Relativamente al contenzioso si ricorda che in seguito al ricorso della FIBE S.p.A. avverso la sentenza del TAR Lazio, sezione I, n. 39180 del 30 dicembre 2010, il Consiglio di Stato, con l’ordinanza collegiale n. 5117 del 13 settembre 2011[45], ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 4, 5 e 6, del D.L. 195/2009. L’udienza dovrebbe svolgersi in data 18 aprile 2012.
Una dettagliata ricostruzione del contenzioso in atto, oltre che nel testo della citata ordinanza, è stata fornita nel corso dell’audizione dei rappresentanti della Impregilo S.p.A., tenutasi nella seduta del 30 novembre 2011[46] della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Il comma 5, come già anticipato, sostituisce infine il comma 6-bis dell’art. 10 del D.L. 195/2009 al fine di eliminare il riferimento al comune di Villa Literno o ad altri possibili siti alternativi, per cui ai sensi della nuova formulazione prevista dal comma in esame l’impianto di recupero e smaltimento dei rifiuti “già prodotti e stoccati per la produzione di energia mediante l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili a salvaguardia della salute della popolazione e dell'ambiente“ previsto dall’art. 8, comma 1-bis, del D.L. 90/2008, è realizzato nel territorio del comune di Giugliano, conformemente alla pianificazione regionale.
Si ricorda che la formulazione vigente prevede invece, ai fini della realizzazione (prevista dall’art. 8, comma 1-bis del D.L. 90/2008) di un impianto di recupero dei rifiuti nel territorio della regione Campania, l’acquisizione di apposita intesa rispettivamente con la provincia di Napoli o con la provincia di Caserta e sentiti i comuni interessati, al fine di realizzare l’impianto presso un’area individuata nei territori dei comuni di Giugliano o Villa Literno, ovvero “trascorsi inutilmente centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto individuata nel medesimo ambito territoriale dal Presidente della regione Campania”.
Relativamente all’impianto che dovrà sorgere a Giugliano si ricorda che, come ricordato nel nuovo Piano regionale dei rifiuti recentemente approvato dalla Regione Campania, tale impianto dovrà servire principalmente per lo smaltimento definitivo dei rifiuti stoccati (le c.d. ecoballe) soprattutto nell’area di Taverna del Re. Si segnala, inoltre, che nel nuovo Piano regionale dei rifiuti viene evidenziata «la necessità che la Regione Campania, o un Commissario all’uopo nominato dal Presidente della Regione, predisponga in tempi brevissimi un Piano Stralcio che, oltre a tutte le azioni necessarie a chiarire gli aspetti giuridico-amministrativi relativi alla definizione della “proprietà” di tali rifiuti, avvii anche un avviso per manifestazione di interesse alla realizzazione di un impianto di trattamento termico per lo smaltimento definitivo dell’intero ammontare di tali rifiuti. Le aziende eventualmente interessate dovranno indicare anche i dati analitici sui rifiuti da trattare che ritengono indispensabili per poter garantire un trattamento efficiente, che garantisca allo stesso tempo la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ambiente circostante»[47].
Articolo 2
(Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci
nel rispetto dell’ambiente)
1. Il termine previsto dall’articolo 1, comma 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall’articolo 23, comma 21-novies, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ai fini del divieto di commercializzazione di sacchi per l’asporto merci, e` prorogato fino all’adozione del decreto di cui al comma 2 limitatamente alla commercializzazione dei sacchi monouso per l’asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore a 200 micron se destinati all’uso alimentare e 100 micron se destinati ad altri usi, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia interna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore ai 100 micron se destinati all’uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi.
2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, con decreto di natura non regolamentare adottato dai Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, sentite le competenti Commissioni parlamentari, notificato secondo il diritto dell’Unione europea, da adottare entro il 31 luglio 2012, nel rispetto della gerarchia delle azioni da adottare per il trattamento dei rifiuti, prevista dall’articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, possono essere individuate le eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della loro commercializzazione nonche´, in ogni caso, le modalita` di informazione ai consumatori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
3. Per favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalle raccolte differenziate, i sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002 devono contenere una percentuale di plastica riciclata di almeno il 10 per cento e del 30 per cento per quelli ad uso alimentare. La percentuale di cui al periodo precedente puo` essere annualmente elevata con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica – COREPLA e le associazioni dei produttori.
4. A decorrere dal 31 luglio 2012, la commercializzazione dei sacchi non conformi a quanto prescritto dal presente articolo e` punita con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda quantita` ingenti di sacchi per l’asporto oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’articolo 13 della legge n. 689 del 1981, all’accertamento delle violazioni provvedono, d’ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto previsto dall’articolo 17 della legge n. 689 del 1981 e` presentato alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia nella quale e` stata accertata la violazione».
L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame al Senato,reca la proroga del termine relativo all’entrata in operatività del divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto merci (cd. shopper), limitatamente alla commercializzazione di alcune tipologie di sacchi individuati dalla norma, fino all’emanazione - entro il 31 luglio 2012 - di un apposito decreto interministeriale, che potrà individuare ulteriori caratteristiche dei sacchi medesimi. L’articolo reca, inoltre, ulteriori disposizioni concernenti i sacchi, al fine di favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalla raccolta differenziata e prevedere specifiche sanzioni amministrative in caso di violazione del divieto di commercializzazione dei sacchi non conformi a quanto disposto dalla norma.
In particolare, con il comma 1 viene disposta un’ulteriore proroga del termine previsto dall’art. 1, comma 1130, della legge n. 296/2006 e differito al 1° gennaio 2011 dall’art. 23, comma 21-novies, del decreto- legge n. 78/2009[48], relativo al divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi monouso per l’asporto mercio per la spesa(cd. shopper) non biodegradabili che non rispondano ai criteri fissati dalla normativa comunitaria, fino all’emanazione –entro il 31 luglio 2012 - di un decreto interministeriale (previsto al successivo comma 2). Viene precisato che la disposizione è limitata alla commercializzazione di alcune tipologie di sacchi, che vengono specificate nella norma e che sono state ulteriormente modificate nel corso dell’esame in prima lettura, come si evince dal testo a fronte tra il testo originariamente presentato e quello risultante dalle modifiche apportate dal Senato.
Art. 2, primo periodo, nel testo originario del D.L. n. 2/2011 |
Art. 2, co. 1, come modificato nel corso dell’esame al Senato |
1. Il termine previsto dall’articolo 1, comma 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall’articolo 23, comma 21-novies, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ai fini del divieto di commercializzazione di sacchi per l’asporto merci, è prorogato fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo limitatamente alla commercializzazione dei sacchi per l’asporto delle merci conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati, e di quelli di spessore superiore, rispettivamente, ai 200 micron per i sacchi per l’asporto destinati all’uso alimentare e 100 micron per i sacchi per l’asporto destinati agli altri usi. |
1. Il termine previsto dall’articolo 1, comma 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall’articolo 23, comma 21-novies, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ai fini del divieto di commercializzazione di sacchi per l’asporto merci, è prorogato fino all’adozione del decreto di cui al comma 2 limitatamente alla commercializzazione dei sacchi monouso per l’asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore a 200 micron se destinati all’uso alimentare e 100 micron se destinati ad altri usi, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia interna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore ai 100 micron se destinati all’uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi. |
Nel corso del dibattito al Senato[49] lo stesso Ministro dell’ambiente ha sottolineato, al pari di altri interventi, come, con le modifiche introdotte, sia stata cercata una soluzione equilibrata per l'utilizzo degli shopper di plastica, al fine di incentivare gli investimenti nella chimica verde, salvaguardando al contempo l'attività produttiva delle industrie tradizionali. E’, inoltre, emerso che[50] non tutti i tipi di esercizi commerciali possono utilizzare in modo funzionale sacchetti in biopolimeri in quanto vendono merci particolari che richiedono sacchetti con particolari doti di robustezza.
Al riguardo, si potrebbe valutare una migliore formulazione della norma nel suo complesso al fine di una maggiore chiarezza della stessa.
Si riporta di seguito un quadro delle norme comunitarie e nazionali riguardanti la recuperabilità degli imballaggi, al fine di una migliore comprensione del contesto normativo di riferimento:
Norma |
Sintesi del contenuto |
Direttiva 94/62/CE sugli imballaggi |
Ai sensi dell’Allegato II i requisiti per la recuperabilità di imballaggi sono, tra l’altro: - imballaggi recuperabili sotto forma di composti: i rifiuti di imballaggio utilizzati per produrre compost devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti; - imballaggi "biodegradabili": devono essere di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua. |
Norma armonizzata En 13432 |
In attuazione della direttiva 94/62/CE definisce le caratteristiche di compostabilità e biodegradabilità degli imballaggi[51]. Recepita in Italia come Uni En 13432:2002[52] |
Dlgs n. 152/2006 (Codice ambientale) |
L’art. 226, comma 3 stabilisce che possono essere commercializzati solo imballaggi - tra i quali naturalmente rientrano anche gli shopper - rispondenti agli standard europei fissati dal CEN in conformità ai requisiti essenziali stabiliti dalla direttiva 94/62/CE. L’allegato F alla Parte IV, recependo l’allegato II della direttiva 94/62/CE, prevede tra i requisiti per la recuperabilità di un imballaggio: - gli imballaggi recuperabili sotto forma di compost: i rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti. Mentre quelli biodegradabili devono essere di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua; - imballaggi biodegradabili. |
Legge n. 296/2006, art. 1, co. 1129- 1130 |
Avvio, a partire dall'anno 2007, di un programma sperimentale nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione degli shopper non biodegradabili. Divieto dal 1° gennaio 2010 di utilizzare shopper monouso che non siano biodegradabili rispondenti ai criteri fissati dalla normativa comunitaria. |
Decreto legge n. 78/2009, art. 23, co. 21-novies |
Proroga del divieto al 1° gennaio 2011. |
Il comma 2 prevede, fermo quanto previsto dal comma 1, che venga emanato, entro il 31 luglio 2012, un decreto adottato dai Ministri dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello Sviluppo economico - di natura non regolamentare - sentite le competenti Commissioni parlamentari e notificato (rectius: da notificare) all’Unione Europea, con cui possono essere individuate eventuali ulteriori caratteristiche tecniche dei sacchi e, in ogni caso, le modalità di informazione ai consumatori. Si segnala, invece, che, nel testo originario del decreto-legge, si prevede che il decreto interministeriale individui le eventuali ulteriori caratteristiche dei sacchi.
Tale decreto dovrà rispettare la gerarchia delle azioni da adottare per il trattamento dei rifiuti prevista dall’art. 179 del D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale).
Si ricorda che la gerarchia delle azioni da adottare per il trattamento dei rifiuti è stata trasfusa nell’art. 179 del Codice ambientale dall’art. 4 del D.lgs. 205/2010 con cui sono state recepite nell’ordinamento nazionale le disposizioni della direttiva n. 2008/98/CE. In particolare l’art. 4 della direttiva n. 2008/98/CE prevede che la normativa e la politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti segua una precisa gerarchia applicando il seguente ordine di priorità: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e e) smaltimento.
Vale, inoltre la pena ricordare che la citata direttiva, al fine di dare concreta attuazione ad una gestione impostata sulla prevenzione quantitativa e qualitativa dei rifiuti prevede che gli Stati membri, entro il 12 dicembre 2013 (termine che è stato anticipato per l’Italia al 31 dicembre 2012 dal comma 3-bis dell’articolo 1 del decreto in esame), elaborino programmi di prevenzione integrandoli nei piani di gestione dei rifiuti o in altri programmi di politica ambientale. L’art. 29 fissa quindi i contenuti dei Programmi che dovranno indicare obiettivi di prevenzione e valutare l’utilità di quelle indicate nell’allegato IV alla direttiva. Tra le misure indicate nell’allegato IV, che sono state trasfuse nell’allegato L del citato D.lgs. 205/2010, figura tra le azioni che possono incidere sulla fase di progettazione, produzione e distribuzione, il “ricorso ad accordi volontari, a panel di consumatori e produttori o a negoziati settoriali per incoraggiare le imprese o i settori industriali interessati a predisporre i propri piani o obiettivi di prevenzione dei rifiuti o a modificare prodotti o imballaggi che generano troppi rifiuti”.
Si ricorda, inoltre, che il testo originario del decreto-legge fa riferimento a un secondo decreto ministeriale che possa consentire la commercializzazione dei sacchi per l’asporto diversi da quelli già individuati nella norma. Tale previsione non è contenuta nel testo modificato dal Senato.
Il comma 3, introdotto durante l’esame al Senato, reca una disposizione volta a favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalla raccolta differenziata che prevede che isacchi riutilizzabili, realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, debbano contenere una percentuale di almeno il 10% di plastica riciclata (uso diverso) e del 30% (uso alimentare).
E’ prevista, inoltre, la possibilità di aumentare, annualmente, tali percentuali con decreto del Ministero dell'ambiente, sentiti il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica (Corepla) e le associazioni dei produttori.
In proposito, si segnala che si consente di modificare le predette percentuali con decreti interministeriali e che, pertanto, sembrerebbe opportuno verificare tale disposizione rispetto al sistema delle fonti del diritto.
Il comma 4 introduce, quindi, un regime sanzionatorio nei confronti di coloro che violano il divieto di commercializzazione dei sacchi non conformi alle disposizioni dell’articolo in esame, che entrerà in vigore a decorrere dal 31 luglio 2012.
Si osserva come l’entrata in vigore del regime sanzionatorio previsto sia indipendente dall’emanazione del decreto interministeriale previsto nel secondo periodo dell’articolo in esame.
Viene prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria consistentenel pagamento di una somma che va da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentabile fino al quadruplo del massimo edittale qualora la violazione del divieto riguardi quantità ingenti di sacchi per l’asporto o un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore.
Si osserva che potrebbe essere opportuno precisare anche la misura delle “quantità ingenti” di sacchi per l’asporto, analogamente a quanto è stato specificato per il valore della merce.
Le sanzioni saranno quindi applicate ai sensi della legge n. 689/1981 “Modifiche al sistema penale” e, fermo restando quanto previsto in relazione ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall’art. 13 della citata legge n. 689, all’accertamento delle violazioni sono preposti, d’ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa.
Da ultimo, il rapporto previsto dall’art. 17 della stessa legge n. 689, dovrà essere presentato alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia nella quale è stata accertata la violazione.
Si rammenta che l’art. 13 della citata legge n. 689/1981 prevede, in merito agli atti di accertamento, che gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l'accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica. Possono altresì procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria. All'accertamento delle violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono procedere anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, i quali, oltre che esercitare i poteri indicati nei precedenti commi, possono procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate. È fatto salvo l'esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti. Ai sensi del successivo art. 17 il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione ha l’obbligo di presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto. Nelle materie di competenza delle regioni e negli altri casi, per le funzioni amministrative ad esse delegate, il rapporto è presentato all'ufficio regionale competente, per le violazioni dei regolamenti provinciali e comunali il rapporto è presentato, rispettivamente, al presidente della giunta provinciale o al sindaco.
Articolo 3, commi 1-4
(Interpretazione autentica dell'articolo
185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e disposizioni in materia di
matrici materiali di riporto)
1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al "suolo" contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.
2. Ai fini dell’applicazione dei commi da 1 a 4, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei utilizzati in passato per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei, quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione e materiali terrosi.
3. Nel caso in cui il decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, non sia emanato entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
4. All’articolo 240, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la parola: "suolo" sono inserite le seguenti: ", materiali di riporto".
I commi da 1 a 4 dell’articolo 3 recano norme riguardanti i materiali di riporto cosiddetti storici, ossia quelli utilizzati in passato, che sono inclusi nella definizione di “suolo” e, pertanto, esclusi dall’applicazione della normativa sui rifiuti.
In particolare, il comma 1 reca una norma di interpretazione autentica dell’art. 185 del D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) in base alla quale, ferma restando la disciplina di bonifica dei suoli contaminati prevista dagli artt. 239 e seguenti del Codice ambientale, i riferimenti al “suolo” contenuti nei commi 1, lett. b) e c), e 4 dell’art. 185 devono intendersi riferiti anche alle matrici materiali di riporto incluse nell’Allegato 2 alla Parte IV dello stesso Codice, che disciplina i criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati. In proposito, si fa presente che in tale Allegato, le parole “matrici suolo, sottosuolo e materiali di riporto” si riscontrano unicamente nel paragrafo “Rappresentazione dello stato di contaminazione del sottosuolo”, a proposito della determinazione della deviazione standard per ogni valore di concentrazione. Il regolamento di cui al D.M. ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, come ricordato dalla relazione illustrativa, qualificando il materiale di riporto come autonoma matrice ambientale alla stregua del “suolo” e del “sottosuolo”, lo escludeva dalla disciplina dei rifiuti e lo assoggettava, se contaminato, alla procedura di bonifica dei suoli[53].
Si segnala in proposito che la circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi prescrive che “deve risultare comunque chiaro se ci si trovi in presenza di una disposizione di interpretazione autentica ovvero di una disposizione di modifica sostanziale alla quale si vuole dare effetto retroattivo” e che, alla luce di ciò, sarebbe opportuno un approfondimento della norma.
Si segnala, infine, che il comma 1 è stato modificato nel corso dell’esame al Senato in quanto sono state espunte le parole: “considerata la straordinaria urgenza di favorire la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese”.
La relazione illustrativa precisa che l’urgenza di tale interpretazione autentica deriva soprattutto dalla necessità di dare piena applicazione alla direttiva 2008/98/CE, al fine di confermare espressamente che nel più ampio concetto di “terreno”, suolo e sottosuolo, deve ricomprendersi anche la matrice ambientale “materiale di riporto” quando:
§ tale matrice non sia contaminata e, una volta escavata, venga utilizzata nello stesso sito (art. 185, comma 1, lett. c);
§ sia contaminata ma non venga scavata rimanendo in situ (art. 185, comma 1, lett. b);
§ una volta scavata e non contaminata, se ne debba valutare l’eventuale utilizzazione anche al di fuori del sito in cui sia stata escavata (art. 185, comma 4).
Si ricorda che l’art. 13 del D.lgs. n. 205/2010, con cui è stata recepita la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, ha completamente riscritto l’art. 185 del Codice elencando una serie di sostanze e rifiuti esclusi dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti recata dalla Parte IV del Codice e recependo, in tal modo, fedelmente la casistica contemplata dall’art. 2 della direttiva 2008/98/CE che ha escluso, tra l’altro, dall'ambito di applicazione della direttiva il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, nonché il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato escavato. Nello specifico le lett. b) e c) del comma 1 dell’art. 185 (citate dall’articolo in esame) riguardano il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e seguenti sulla bonifica di siti contaminati (lett. b) e il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato scavato (lett. c). Il comma 4 prevede, infine, che il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati caso per caso ai sensi degli artt. 183, comma 1, lett. a), 184-bis e 184-ter riguardanti rispettivamente la definizione di rifiuto, nonché la disciplina dei sottoprodotti e della cessazione della qualifica di rifiuto. Lo stesso viene affermato nell’11° considerando della direttiva, ove si legge che “La qualifica di rifiuto dei suoli escavati non contaminati e di altro materiale allo stato naturale utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati dovrebbe essere esaminata in base alla definizione di rifiuto e alle disposizioni sui sottoprodotti o sulla cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi della presente direttiva”
Ai fini dell’applicazione dei commi da 1 a 4 dell’articolo in commento, il comma 2, inserito durante l’iter al Senato, definisce pertantoquali “matrici materiali di riporto”, i materiali eterogenei utilizzati in passato per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei, quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, per esempio, materiali di demolizione e materiali terrosi. Si fa presente che anche nella relazione illustrativa si fornisce la definizione di “materiale di riporto storico”, che è costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e terreno naturale che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi e integrandosi con il “terreno naturale”, si sono assestati determinando in molte città un nuovo orizzonte stratigrafico.
Nel corso dell’esame al Senato su tale questione si è svolto un dibattito sia in Commissione che in Assemblea circa la necessità di assicurare l’utilizzo dei materiali e l’esigenza di tutelare la salute pubblica. In Assemblea[54], è stato accolto l’ordine del giorno (G3.100) in cui si impegna il Governo a informare il Parlamento, entro il 31 dicembre 2012, in merito agli effetti della disposizione di interpretazione autentica di cui all'articolo 3, per verificare che la sua applicazione avvenga effettivamente, al fine di favorire la infrastrutturazione del Paese, nel pieno rispetto dell'ambiente e della salute pubblica, nonché della normativa comunitaria in materia..
Nel corso dell’esame in Assemblea, il rappresentante del Governo ha, altresì, assicurato l’impegno del Governo medesimo a regolamentare con un decreto i residui delle lavorazioni industriali.
Con riferimento alla definizione di cui al comma 2, appare opportuno un approfondimento in ordine all’ambito di applicazione, atteso che la norma, con una generica formulazione, fa riferimento, per un verso, ai materiali di riporto “utilizzati in passato” e, per l’altro, al fatto che tali materiali possono contenere “materiali estranei”, alcuni dei quali vengono riportati a titolo esemplificativo nella norma medesima.
Con il comma 3, modificato nel corso dell’iter al Senato, viene previsto che, qualora non venga emanato il decreto interministeriale - previsto dall’art. 49 del decreto-legge n. 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) in corso di esame al Senato - per la regolamentazione dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in commento, le matrici materiali di riporto eventualmente presenti nel suolo escavato non contaminato di cui all'art. 185, comma 4, del Codice, saranno considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni indicate nell'art. 184-bis dello stesso Codice, ai fini della loro valutazione nell’utilizzo in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati.
Si ricorda che l’art. 49 del citato decreto legge n. 1/2012 demanda la regolamentazione dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge stesso.
Inoltre, ai sensi dell’art. 185, comma 4 del Codice, richiamato nel comma in esame, il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli artt. 183, comma 1, lett. a), 184-bis e 184-ter recanti rispettivamente la definizione di rifiuto, nonché la disciplina dei sottoprodotti e della cessazione della qualifica di rifiuto.
In relazione, invece, all’art. 184-bis del Codice, introdotto dall’art. 12 del citato D.lgs. n. 205/2010, si ricorda che esso reca una nuova disciplina definitoria dei sottoprodotti, attraverso l’individuazione dei criteri generali applicabili ad ogni caso specifico per la riconduzione di una sostanza o materiale alla nozione di sottoprodotto. A tal fine il comma 1 detta le seguenti condizioni che una sostanza od oggetto deve soddisfare per essere un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), del Codice:
a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute.
Il successivo comma 2 demanda ad un D.M. ambiente (a tutt’oggi non emanato) l’adozione - in conformità alla disciplina comunitaria - di misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. Dalla data di entrata in vigore del citato D.M. sarà abrogato (ai sensi del comma 4 dell’art. 39 del D.Lgs. 205/2010) l’art. 186 del D.Lgs. 152/2006 che reca la disciplina delle terre e rocce da scavo.
Da ultimo il comma 4, introdotto durante l’esame al Senato, modifica la definizione di “sito” recata dall'art. 240, comma 1, lett. a), del Codice, ai fini dell’applicazione del Titolo V della parte IV del Codice riguardante la bonifica dei siti contaminati, includendo espressamente nelle matrici ambientali anche i materiali di riporto.
Si ricorda che l’articolo 240, comma, 1, lett. a), ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di bonifica di siti contaminati, definisce “sito” l’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti.
Si segnala, inoltre, che l’ordine del giorno G.3.100, accolto dal Governo nel corso dell’esame nell’Assemblea del Senato, impegna il Governo a informare il Parlamento in merito all’attuazione della disciplina riguardante la bonifica dei suoli contaminati in riferimento all’applicazione dell’articolo 3.
Appare opportuno un approfondimento con riguardo a tale disposizione e alla sua applicazione, in considerazione del fatto che il comma 1, nell’includere anche le matrici materiali di riporto nella definizione di suolo, dichiara che resta ferma l’applicazione della disciplina in materia di bonifica dei siti contaminati.
Articolo 3, commi 5 e 6
(Modifiche agli articoli 182-ter e 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di rifiuti organici
e autocompostaggio)
5. All’articolo 182-ter, comma 2, alinea, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo le parole: "e gli ATO" sono inserite le seguenti: "ovvero le autorita` competenti, individuate ai sensi dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191,".
6. All’articolo 183, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera d), dopo le parole "in modo differenziato" sono aggiunte le seguenti: ", nonche´ manufatti compostabili certificati UNI EN 13432:2002";
b) alla lettera e), dopo la parola: "domestiche" sono inserite le seguenti: "e non domestiche".
Il comma 5 novella il comma 2 dell’art. 182-ter, del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) al fine di adeguare la norma in vista della soppressione delle Autorità d'ambito territoriale ottimale (AATO) prevista dall’art. 2, comma 186-bis, della L. 191/2009. Il testo del comma 2 viene infatti integrato prevedendo che in luogo delle AATO provvedano agli adempimenti previsti le autorità competenti individuate dalle regioni ai sensi del citato comma 186-bis.
L’art. 182-ter prevede, nel testo vigente, che la raccolta separata dei rifiuti organici deve essere effettuata con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002 e, a tal fine, che le regioni e le province autonome, i comuni e gli ATO adottino apposite misure volte a incoraggiare la raccolta separata dei rifiuti organici, il trattamento degli stessi, nonché l’utilizzo di materiali sicuri per l’ambiente ottenuti dai rifiuti organici.
Si ricorda in proposito che il citato comma 186-bis ha previsto la soppressione delle AATO e demandato alle regioni il compito di attribuire, con legge regionale, le funzioni già esercitate da tali autorità.
Tale soppressione, in virtù della recente proroga disposta dall’art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011[55], opererà a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Il comma 6, lettera a), integra la definizione di rifiuto organico recata dall’art. 183, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 152/2006, prevedendo che in essa siano compresi i manufatti compostabili certificati secondo la norma UNI EN 13432/2002 recante “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”[56].
Si ricorda che ai sensi della citata lett. d) sono rifiuti organici i “rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti simili prodotti dall’industria alimentare raccolti in modo differenziato”.
Il comma 6, lettera b), integra la definizione di autocompostaggio recata dall’art. 183, comma 1, lettera e), del D.Lgs. 152/2006, al fine di estenderla anche alle utenze non domestiche.
Si ricorda che ai sensi della citata lettera e) per autocompostaggio si intende il “compostaggio degli scarti organici dei propri rifiuti urbani, effettuato da utenze domestiche, ai fini dell’utilizzo in sito del materiale prodotto”.
Articolo 3, commi 7-9
(Modifiche agli articoli 187, 205 e
216-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di miscelazione di
rifiuti speciali, di oli usati nonché di raccolta differenziata)
7. All’articolo 187 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 2 e` inserito il seguente:
"2-bis. Gli effetti delle autorizzazioni in essere relative all’esercizio degli impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali, consentita ai sensi del presente articolo e dell’allegato G al presente decreto, nei testi vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, restano in vigore fino alla revisione delle autorizzazioni medesime".
8. All’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:
"3-bis. Le associazioni di volontariato senza fine di lucro possono effettuare raccolte di prodotti o materiali o indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo previa convenzione con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento, dei materiali residui. Tali materiali residui rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1.
3-ter. Nell’ambito dell’organizzazione della raccolta differenziata, i comuni ed i loro enti strumentali possono individuare appositi spazi, presso le piattaforme ecologiche autorizzate, per lo stoccaggio temporaneo di beni usati e funzionanti destinati al riutilizzo. A tali beni non si applicano i codici dei capitoli dell’elenco di cui all’allegato D alla parte IV del presente decreto e per essi viene istituito un apposito registro".
9. All’articolo 216-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il comma 2 e` sostituito dal seguente:
"2. In deroga a quanto previsto dall’articolo 187, comma 1, fatti salvi i requisiti di cui al medesimo articolo 187, comma 2, lettere a), b) e c), il deposito temporaneo e le fasi successive della gestione degli oli usati sono realizzati, anche miscelando gli stessi, in modo da tenere costantemente separati, per quanto tecnicamente possibile, gli oli usati da destinare, secondo l’ordine di priorita` di cui all’articolo 179, comma 1, a processi di trattamento diversi fra loro. E ` fatto comunque divieto di miscelare gli oli usati con altri tipi di rifiuti o di sostanze".
L’articolo in commento reca misure volte a: prorogare gli effetti delle autorizzazioni in essere riguardanti gli impianti di miscelazione di rifiuti speciali; permettere la miscelazione degli oli usati nel rispetto dei requisiti indicati nella norma; consentire la raccolta di materiali o indumenti usati ceduti da privati da parte delle associazioni di volontariato da destinare al riutilizzo e alla raccolta differenziata. Le disposizioni in essi contenute riproducono con qualche modifica il contenuto della proposta di legge n. 4240 (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sfalci e potature, di miscelazione di rifiuti speciali e di oli usati nonché di misure per incrementare la raccolta differenziata), approvata in prima lettura dall’Assemblea della Camera nella seduta del 16 febbraio 2012.
In particolare, il comma 1 introduce all'art. 187 del Codice ambientale un comma 2-bis recante una norma transitoria, in base alla quale gli effetti delle autorizzazioni in essere relative all'esercizio degli impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali, consentita ai sensi dell’art. 187 e dell’allegato G nei testi vigenti prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010, restano in vigore fino alla revisione delle autorizzazioni medesime. La disposizione riproduce testualmente l’articolo 2, comma 1, della citata proposta di legge di iniziativa parlamentare; al riguardo, nella relazione illustrativa di accompagnamento a tale proposta, si rileva che la norma consente agli enti competenti di avere il tempo necessario per adeguare le autorizzazioni degli impianti di recupero e di smaltimento in essere alle norme in materia di miscelazione di rifiuti speciali, come modificate dal d.lgs. 205/2010.
Si ricorda che l’art. 187 del D.Lgs. 152/2006, come sostituito dall’art. 15 del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, ai fini del recepimento dell’art. 18 della direttiva 2008/98/CE, reca il divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi, già contemplato dal testo previgente, specificando che la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose e consentendo, altresì, la miscelazione, in deroga, purché sia effettuata da ente o impresa autorizzata e che sia conforme alle migliori tecniche disponibili. Un’altra modifica apportata dal D.Lgs. 205/2010 - anche rispetto al dettato comunitario, che prevede che il divieto riguardi la miscelazione “con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali” – riguarda la portata del divieto. Il nuovo testo prevede, infatti, il divieto di miscelare “rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ”, nonché conferma il divieto di miscelare rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. Tale modifica è stata accompagnata dall’abrogazione dell'allegato G del D.Lgs. 152/2006 che elencava i rifiuti per categorie o tipi generici – in base alla loro natura o all’attività che li aveva prodotti - e sulla base di tali categorie ne permetteva la miscelazione. Si rammenta che l’art. 18 della direttiva 2008/98/CE prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. In deroga a tale disposizione, gli Stati membri possono permettere la miscelazione a condizione che: sia effettuata da un ente o da un'impresa autorizzate; le disposizioni sulla protezione della salute umana e dell’ambiente siano ottemperate e l'impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente non risulti accresciuto e l'operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili.
Nel corso dell’esame alla Camera della proposta di legge n. 4240, con riferimento a possibili profili di problematicità in ordine alla compatibilità di tale disposizione con la normativa comunitaria, il Ministero dell'ambiente ha sottolineato che sul piano tecnico-giuridico le modifiche normative introdotte nel 2010 non hanno fatto venire meno le autorizzazioni già in essere a quella data che, in applicazione del principio generale del tempus regit actum, sono da considerarsi pienamente in vigore non essendo stata prevista positivamente una revoca automatica delle stesse. Inoltre il Ministero dell'ambiente ha fatto presente di ritenere congrua e proporzionata la previsione di un periodo transitorio che in ogni caso garantisce la continuità delle attività di impresa e l'adeguamento a quanto stabilito dalla nuova normativa nel momento in cui si rilasciano le autorizzazioni.
Il comma 2 provvede a sostituire il comma 2 dell’art. 216-bis del Codice ambientale in modo da consentire che la gestione degli oli usati (a partire dal deposito temporaneo) possa avvenire anche miscelando gli stessi oli, in deroga al divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi previsto dall’art. 187, comma 1, fatti salvi i requisiti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 del medesimo art. 187, in modo da tenere comunque costantemente separati, per quanto tecnicamente possibile, gli oli usati da destinare secondo l'ordine di priorità di cui all'articolo 179, comma 1, (ossia secondo la gerarchia dei rifiuti come disposto dalla direttiva) a processi di trattamento diversi fra loro. Viene inoltre ribadito il divieto di miscelare gli oli usati con altri tipi di rifiuti o di sostanze, già previsto dal testo vigente. La disposizione riproduce il contenuto del comma 2 dell’articolo 2 dell’A.C. 4240.
Si ricorda che il comma 2 dell’art. 216-bis prevede che, fermo quanto previsto dall’articolo 187, il deposito temporaneo, la raccolta e il trasporto degli oli usati sono realizzati in modo da tenere costantemente separate, per quanto tecnicamente possibile, tipologie di oli usati da destinare, secondo l’ordine di priorità di cui all’articolo 179, comma 1 , a processi di trattamento diversi fra loro. È fatto comunque divieto di miscelare gli oli minerali usati con altri tipi di rifiuti o di sostanze.
Ai sensi delle lettere a), b) e c) del comma 2 dell’articolo 187, è possibile autorizzare, in deroga al comma 1 del medesimo articolo, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, a condizione che: le operazioni siano realizzate senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e a patto che l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto, l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa autorizzate e sia conforme alle migliori tecniche disponibili.
Nel corso dell’esame alla Camera della proposta di legge n. 4240, con riferimento a possibili profili di problematicità in ordine alla compatibilità di tale disposizione con la normativa comunitaria, il Ministero ha evidenziato che la direttiva n. 2008/98/CE non prevede un divieto generalizzato di miscelazione degli oli usati, ma contiene una serie di disposizioni dalle quali è ricavabile, invece, la conclusione secondo la quale, in alcuni casi, la miscelazione delle dette sostanze è consentita.
Il comma 3 aggiunge un comma 3-bisall’articolo 205 del d.lgs. 152/2006 allo scopo di consentire alle associazioni di volontariato senza fine di lucro di effettuare raccolte di prodotti o materiali o indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento, dei materiali residui. La norma precisa che tali materiali rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1 del citato articolo 205, in base al quale in ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari a una percentuale minima del sessantacinque per cento dei rifiuti prodotti entro il 31 dicembre 2012. La norma riproduce il contenuto dell’articolo dell’A.C. 4240. Rispetto a tale norma, nel corso dell’esame al Senato è stata approvata una disposizione in base alla quale è altresì previsto che, nell'ambito dell'organizzazione della raccolta differenziata, i comuni ed i loro enti strumentali possono individuare appositi spazi, presso le piattaforme ecologiche autorizzate, per lo stoccaggio temporaneo di beni usati e funzionanti destinati al riutilizzo. A tali beni non si applicano i codici dei capitoli dell'elenco di cui all'Allegato D alla parte IV del Codice e per essi viene istituito un apposito registro."
L’allegato D contiene l’elenco dei rifiuti istituito dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (“Decisione della Commissione che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi”).
Articolo 3, comma 10
(Modifiche all’articolo 264 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, in materia di procedure per la modifica degli
allegati alla parte IV)
10. All’articolo 264 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 2 e` aggiunto il seguente:
"2-bis. Le integrazioni e le modifiche degli allegati alle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati del presente decreto sono adottate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere dell’ISPRA, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281".
Il comma 10 novella l’art. 264 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) aggiungendovi un comma 3 destinato a disciplinare le procedure per l’integrazione e la modifica degli allegati alla parte IV del medesimo decreto. Viene infatti previsto che all’integrazione e modifica degli allegati alle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati del Codice si provveda con decreti interministeriali, adottati:
§ dal Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri della salute e dello sviluppo economico
§ previo parere dell'ISPRA;
§ sentita la Conferenza unificata.
Si segnala che l’art. 24, comma 1, lettera h), del D.L. 5/2012 reca una disposizione pressoché identica per l’integrazione/modifica degli allegati alla parte V del Codice. Si fa presente che, mentre per l’aggiornamento degli allegati alla parte V, si prevedeva già l’emanazione di regolamenti di delegificazione, analoga disposizione non è stata prevista per la modifica degli allegati alla parte IV .
Si segnala che con tale disposizione si provvede a modificare disposizioni di rango legislativo con decreti interministeriali e che, pertanto, sembrerebbe opportuno verificare tale disposizione rispetto al sistema delle fonti del diritto.
Articolo 3, comma 11
(Modifiche al decreto legislativo
49/2010, in materia di valutazione e gestione dei rischi di alluvione)
11. Al decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 2, comma 1, lettera a), secondo periodo, le parole:"non direttamente imputabili ad eventi meteorologici" sono sostituite dalleseguenti: "causati da impianti fognari";
b) all’allegato I, parte B, punto 1, le parole: "articolo 13" sono sostituite dalle seguenti: "articolo 12".
Il comma 11 prevede le seguenti novelle al D.Lgs. 49/2010 di attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni:
a) viene modificata la definizione di “alluvione” recata dall’art. 2, comma 1, lettera ), del citato decreto, al fine di chiarire che non sono considerati alluvioni gli allagamenti causati da impianti fognari e, in tal modo, riallineare la norma nazionale alla corrispondente definizione recata dalla direttiva europea.
Si ricorda, infatti, che mentre la definizione recata dall’art. 2 della direttiva 2007/60/CE recita che dal novero delle alluvioni si possono “escludere gli allagamenti causati dagli impianti fognari”, nel testo attualmente vigente del D.Lgs. 49/2010, invece, l’esclusione fa riferimento agli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici. Tale previsione viene quindi sostituita in modo da rendere la definizione nazionale maggiormente aderente a quella contemplata dalla direttiva 2007/60/CE.
Si ricorda che la definizione recata dall’art. 2 del D.Lgs. 49/2010 considera come alluvione “l'allagamento temporaneo, anche con trasporto ovvero mobilitazione di sedimenti anche ad alta densità, di aree che abitualmente non sono coperte d'acqua. Ciò include le inondazioni causate da laghi, fiumi, torrenti, eventualmente reti di drenaggio artificiale, ogni altro corpo idrico superficiale anche a regime temporaneo, naturale o artificiale, le inondazioni marine delle zone costiere ed esclude gli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici”.
b)viene corretto un errore materiale insito nell'Allegato l, parte B, punto 1 del decreto, ove si fa erroneo riferimento ai “riesami svolti a norma dell'articolo 13”, mentre tali riesami sono disciplinati dall’art. 12 del medesimo decreto.
Articolo 3, comma 12
(Modifiche al comma 29 dell’articolo 14
del decreto-legge 201/2011, in materia di tariffa sui rifiuti)
12. Al comma 29 dell’articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, dopo le parole: "servizio pubblico" sono inserite le seguenti: "o che hanno realizzato sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso".
Il comma 12 novella il comma 29 dell’art. 14 del D.L. 201/2011 (c.d. salva Italia) relativo alla facoltà, per i comuni, di prevedere l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva in luogo del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dal medesimo art. 14.
Relativamente alla nuova disciplina introdotta dall’art. 14[57] si ricorda, in estrema sintesi, che il tributo comunale è destinato a coprire:
§ i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto mediante l'attribuzione di diritti di esclusiva nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 4 del D.L. 138/2011;
§ i costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il testo vigente del comma 29 dell’art. 14 prevede che la citata applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo, sia consentita (mediante emanazione di apposito regolamento) solamente in quei comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico.
I successivi commi dispongono che il costo del servizio da coprire con la tariffa di cui al comma 29 è determinato sulla base dei criteri stabiliti nel regolamento previsto dal comma 12 e che la tariffa di cui al comma 29 è applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Il comma 32 dispone poi che i comuni di cui al comma 29 applicano il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni determinata ai sensi del comma 13.
Il nuovo testo previsto dal comma in esame estende la portata della disposizione recata dal comma 29, inserendo un’altra fattispecie, oltre a quella prevista, in cui è consentita l’applicazione della tariffa. Viene infatti previsto che tale applicazione sia possibile non solo nel caso (attualmente previsto) in cui i comuni abbiano realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, ma anche per i comuni che hanno realizzato sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso.
Relativamente all’applicazione dei sistemi di tariffazione sui rifiuti, si ricorda che al 31 dicembre 2010 il numero di comuni “passati” alla tariffa era pari a 1.203, per un ammontare complessivo di popolazione “assoggettata” a tariffa rifiuti di 17,3 milioni di abitanti[58].
Articolo
3, commi 13-16
(Disposizioni riguardanti i rifiuti di
apparecchiature elettroniche ed elettroniche)
13. Rientra nella fase della raccolta, cosı` come definita dall’articolo 183, comma 1, lettera o), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il raggruppamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) finalizzato al loro trasporto presso i centri di raccolta di cui all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita o presso altro luogo risultante dalla comunicazione di cui all’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 marzo 2010, n. 65, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 2010, nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) il raggruppamento riguarda esclusivamente i RAEE disciplinati dal decreto legislativo n. 151 del 2005 provenienti dai nuclei domestici;
b) i RAEE di cui alla lettera a) sono trasportati presso i centri di raccolta di cui all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 151 del 2005 con cadenza trimestrale e, comunque, quando il quantitativo raggruppato raggiunga complessivamente i 3.500 kg. Tale quantitativo e` elevato a 3.500 kg per ciascuno dei raggruppamenti 1, 2 e 3 dell’allegato 1 al regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 settembre 2007, n. 185, e a 3.500 kg complessivi per i raggruppamenti 4 e 5 di cui al medesimo allegato 1;
c) il raggruppamento dei RAEE e` effettuato presso il punto di vendita del distributore o presso altro luogo risultante dalla comunicazione di cui all’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 marzo 2010, n. 65, in luogo idoneo, non accessibile a terzi e pavimentato. I RAEE sono protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili, e raggruppati avendo cura di tenere separati i rifiuti pericolosi, nel rispetto della disposizione di cui all’articolo 187, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. E` necessario garantire l’integrita` delle apparecchiature, adottando tutte le precauzioni atte ad evitare il deterioramento delle stesse e la fuoriuscita di sostanze pericolose.
14. All’articolo 2, comma 1, lettera d), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 marzo 2010, n. 65, le parole da: ", effettuato" fino a: "6.000 kg" sono soppresse.
15. La realizzazione e la gestione di centri di raccolta di cui all’articolo 6, comma 1, lettere a) e c), del decreto legislativo n. 151 del 2005 si svolge con le modalita` previste dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 28 aprile 2008, e successive modificazioni, ovvero, in alternativa, con le modalita` previste dagli articoli 208, 213 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
16. Sono abrogati il comma 2 dell’articolo 1 e l’articolo 8 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 marzo 2010, n. 65.
I commi da 13 a 16 recano disposizioni riguardanti i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (d’ora in avanti RAEE) per la cui raccolta la normativa vigente reca una specifica regolamentazione. In particolare, si provvede a modificare la disciplina riguardante, per un verso, il raggruppamento dei RAEE prodotti dai nuclei domestici finalizzato al loro trasporto ai centri di raccolta e, per l’altro, la realizzazione e la gestione dei centri di raccolta medesimi.
Il d.lgs. 25 luglio 2005, n. 151, in attuazione alle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, ha dettato specifiche disposizioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale generato sia dalla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sia dalla gestione dei rifiuti da esse generate (RAEE). L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto è quello di migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita delle AEE, quali produttori, distributori, consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei rifiuti da esse derivanti. L’articolo 6 introduce l’obiettivo di raccolta separata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg in media per abitante all'anno, per il raggiungimento del quale i comuni assicurano la funzionalità, l'accessibilità e l'adeguatezza dei sistemi di raccolta differenziata, in modo da permettere ai detentori finali ed ai distributori di conferire gratuitamente al centro di raccolta i rifiuti prodotti nel loro territorio (lettera a) e ai produttori od ai terzi che agiscono in loro nome di organizzare e gestire, su base individuale o collettiva, sistemi di raccolta di RAEE provenienti dai nuclei domestici conformi agli obiettivi del decreto (lettera c).
Si segnala, preliminarmente, che i commi 13 e 15 sostanzialmente riproducono, seppure con le modificazioni che verranno evidenziate di seguito, il contenuto degli articoli 1, comma 2, e 8 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 marzo 2010, n. 65 [59], provvedendo pertanto a una legificazione di tali disposizioni che, vengono contestualmente abrogate dal comma 16 dell’articolo in commento.
In particolare, il comma 13 dispone che rientra nella fase della raccolta, così come definita dall’articolo 183, comma 1, lettera o)[60], del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il raggruppamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) finalizzato al loro trasporto presso i centri di raccolta, effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita o presso altro luogo risultante dalla comunicazione di cui all’articolo 3 del citato D.M. n. 65/2010 [61] nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) il raggruppamento deve riguardare esclusivamente i RAEE domestici;
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 3 del citato D.lgs. n. 151, sono definiti «RAEE domestici» i RAEE originati dai nuclei domestici e i RAEE di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo analoghi, per natura e per quantità, a quelli originati dai nuclei domestici, mentre sono «RAEE professionali» quelli prodotti dalle attività amministrative ed economiche, diversi da quelli domestici. I RAEE derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005 vengono indicati, invece, come «RAEE storici».
b) i RAEE domestici sono trasportati presso i centri di raccolta con cadenza trimestrale, anziché annuale come previsto nella disciplina vigente,e, comunque quando il quantitativo raggruppato raggiunga complessivamente i 3500 Kg. Rispetto a quanto previsto dall’art. 1 comma 2, lett. b) del D.M. 8 marzo 2010, n. 65 si precisa che tale quantitativo è elevato a 3.500 kg per ciascuno dei raggruppamenti 1 (freddo e clima[62]), 2 (c.d. altri grandi bianchi[63]) e 3 (TV e monitor) dell’allegato 1 al regolamento di cui al D.M. 25 settembre 2007, n. 185, e a 3.500 kg complessivi per i raggruppamenti 4 (Apparecchiature informatiche per le comunicazioni, apparecchi di illuminazione privi delle sorgenti luminose) e 5 (sorgenti luminose) di cui al medesimo allegato 1;
In proposito, appare opportuno un approfondimento circa le modalità applicative della disposizione alla luce di quanto previsto con riferimento ai quantitativi previsti per i differenti raggruppamenti.
c) idoneità del luogo di raggruppamento ad accogliere i RAEE: viene confermato che deve trattarsi cioè di un luogo non accessibile a terzi e pavimentato. I RAEE sono protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili, e raggruppati avendo cura di tenere separati i rifiuti pericolosi, nel rispetto del divieto di miscelazione previsto all’art. 187, comma 1, del Codice ambientale[64]. Viene confermata, inoltre, la necessità di garantire l’integrità delle apparecchiature, adottando tutte le precauzioni atte ad evitare il deterioramento delle stesse e la fuoriuscita di sostanze pericolose.
Il comma 14 reca, pertanto, una disposizione di coordinamento attraverso la modifica dell’art. 2, comma 1, lett. d), del D.M. n. 65/2010 precisando che il trasporto dei RAEE proveniente dai nuclei domestici è effettuato dai distributori o dai terzi solo se riguarda un quantitativo complessivo di RAEE non superiore a 3.500 kg.
Il comma 15 prevede che la realizzazione e la gestione di centri di raccolta si svolge con le modalità previste dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 aprile 2008, che ha disciplinato i centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, ovvero, in alternativa, con le modalità previste dagli articoli 208 (autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti), 213 (autorizzazioni integrate ambientali) e 216 (operazioni di recupero) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La norma riproduce il contenuto dell’art. 8 del D.M. 65/2010 consentendo, rispetto a tale disposizione, la possibilità di ricorrere a modalità alternative per la realizzazione e la gestione dei centri di raccolta.
Il 24 novembre 2011 la Commissione europea ha inviato una lettera di messa in mora complementare (procedura 2009_2264) con la quale si rileva, nell’ordinamento italiano, il permanere di una non completa trasposizione della direttiva 2002/96/CE relativa ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (direttiva RAEE).
Facendo riferimento ad una precedente lettera di messa in mora dell’8 ottobre 2009, la Commissione considera non ancora conformi talune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 151/2005 che ha trasposto la direttiva nell’ordinamento nazionale, con particolare riferimento a:
- definizione di produttore: l’art. 3, comma 1, lettera m) del decreto legislativo definisce “produttore” chiunque importa o immette per primo apparecchiature elettriche ed elettroniche nell’esercizio di un’attività professionale o commercializzazione nel territorio nazionale. Tuttavia, la Commissione ritiene che nella direttiva RAEE l’espressione “importa o esporta” si riferisca al mercato europeo e non solamente al mercato nazionale. Per le stesse ragioni tali disposizioni non sono ritenute dalla Commissione conformi alla direttiva 2002/95/CE, relativa alla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;
- finanziamento relativo ai RAEE provenienti dai nuclei domestici: la Commissione ritiene che la trasposizione italiana della direttiva non consentirebbe di attuare il principio di responsabilità del produttore che rappresenta uno degli obiettivi principali della direttiva stessa. In particolare, la Commissione contesta che l’Italia, attraverso interventi legislativi successivi, ha illegittimamente prorogato al 31 dicembre 2010 il termine del 13 agosto 2005 previsto per l’entrata in vigore degli obblighi relativi al finanziamento della gestione dei RAEE originati da prodotti immessi sul mercato dopo quella data.
Allegati I B: la Commissione rileva che alcune differenze tra l’allegato I B della direttiva RAEE e l’allegato I B del DL 151/2005 potrebbero dare luogo ad una trasposizione scorretta o incompleta che potrebbe comportare un’indebita restrizione del campo di applicazione della stessa direttiva.
Articolo 3, comma 17
(Modifiche all’art. 3 della legge
549/1995, in materia di tributo speciale per il deposito in discarica dei
rifiuti solidi)
17. All’articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 27, le parole: "Il 20 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "Il 50 per cento";
b) al comma 29, le parole: "e non superiore ad euro 0,01" e le parole: "e non superiore ad euro 0,02582" sono soppresse.
Il comma 17 novella i commi 27 e 29 dell’art. 3 della legge 549/1995 relativi al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi istituito dal comma 24 del medesimo articolo.
La lettera a) del comma 17 eleva dal 20% al 50% la quota del gettito derivante dall'applicazione del tributo che, ai sensi del comma 27, affluisce in un apposito fondo della regione destinato a favorire una serie di attività principalmente connesse ai rifiuti e alla bonifica dei siti.
Il comma 27 prevede, nel dettaglio, che tale fondo sia destinato a favorire “la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti che realizzano sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente e la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette”.
La lettera b) del medesimo comma 17 elimina i limiti massimi delle aliquote per chilogrammo di rifiuto conferito in discarica previsti dal comma 29.
Il testo vigente del comma 29 prevede che l'ammontare dell'imposta sia fissato con legge regionale, entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, per chilogrammo di rifiuti conferiti:
§ in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'art. 2 del D.M. Ambiente 13 marzo 2003;
§ in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto.
Articolo 3, comma 18
(Modifiche all’articolo 9-bis del
decreto-legge 172/2008, in materia di recupero dei rifiuti)
18. All’articolo 9-bis, comma 1, del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210, la lettera a) e` sostituita dalla seguente:
"a) per ciascuna tipologia di rifiuto, fino alla data di entrata in vigore del rispettivo decreto di cui all’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i criteri di cui all’articolo 184- ter, comma 1, possono essere stabiliti, nel rispetto delle condizioni di cui al citato comma 1, tramite autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208 e 209 oppure ai sensi del titolo III-bis della parte II del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006".
Il comma 18 sostituisce la lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008, recante misure urgenti volte a superare le difficoltà riscontrate dagli operatori del settore del recupero dei rifiuti, al fine di adeguare la disposizione al mutato quadro normativo delineatosi in seguito all’emanazione dei decreti legislativi nn. 128 e 205 del 2010.
La lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008 prevede, infatti, nel testo vigente, che “fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 [65] si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”.
I riferimenti menzionati dalla citata lettera sono però stati successivamente abrogati: l’art. 181-bis ad opera del D.Lgs. 205/2010, che ha altresì abrogato l’art. 210 del Codice ambientale, mentre il D.Lgs. 59/2005 ad opera del D.Lgs. 128/2010, che ha inglobato la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) all’interno del Titolo III-bis del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006). Si rammenta, inoltre, che gli articoli 208 e 209 recano rispettivamente disposizioni riguardanti rispettivamente l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e il rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale.
Il seguente testo a fronte mostra chiaramente l’operazione di adeguamento normativo che, nel novellare la lettera a), fa rinvio ai criteri previsti dall’art. 184-ter per la cessazione della qualifica di rifiuto [66]. Si segnala, in proposito, che ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 184-ter, tali criteri sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Testo vigente della lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008 |
Testo novellato dal comma in esame |
fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59; |
per ciascuna tipologia di rifiuto, fino alla data di entrata in vigore del rispettivo decreto di cui all’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, i criteri di cui all’articolo 184-ter, comma 1, possono essere stabiliti, nel rispetto delle condizioni di cui al citato comma 1, tramite autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208 e 209 oppure ai sensi del Titolo III-bis della Parte Seconda del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni. |
Articolo 3, comma 19
(Modifiche all’Allegato D del decreto
legislativo n. 152 del 2006, in materia di caratteristiche di pericolosità dei
rifiuti)
19. All’allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del
2006, il punto 5 e` sostituito dal seguente:
"5. Se un rifiuto e` identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso e` classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o piu` delle proprieta` di cui all’allegato I. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11, di cui all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14, di cui all’allegato I la decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica. Nelle more di una specifica decisione dell’Unione europea, la caratteristica H14 viene attribuita ai rifiuti secondo le modalita` dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare puo` individuare le modalita` di attribuzione di tale caratteristica di pericolosita` con decreto ai sensi dell’articolo 184, comma 5, del presente decreto. Fino all’entrata in vigore del decreto di cui al periodo precedente restano comunque esclusi dall’obbligo di determinazione della caratteristica di pericolosita` H14 i rifiuti avviati a qualsiasi trattamento che non preveda contatto degli stessi con l’ambiente acquatico"».
Il comma 19 riscrive, integrandolo, il punto 5 dell’Allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006relativamente alla caratteristiche di pericolosità dei rifiuti.
L’allegato D contiene l’elenco dei rifiuti istituto dalla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000 (“Decisione della Commissione che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi”).
Al primo periodo del vigente punto 5, che viene riprodotto pedissequamente, vengono aggiunti diversi periodi, in base ai quali:
§ per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato;
Si ricorda che il punto 3.4 dispone, tra l’altro, che per i rifiuti pericolosi si ritiene che presentino una o più caratteristiche indicate nell'Allegato III della direttiva 2008/98/CE e, in riferimento ai codici da H3 a H8, H10 e H11 del medesimo allegato, una o più delle caratteristiche dettagliatamente indicate nel medesimo punto 3.4 (punto di infiammabilità minore o uguale a 55 °C, una o più sostanze classificate come molto tossiche in concentrazione totale maggiore o uguale allo 0,1%, ecc.).
Si fa notare che l’allegato III della direttiva 2008/98/CE è stato trasposto dal D.Lgs. 205/2010 nell’allegato I alla parte IV del D.Lgs. 152/2006.
§ viene ricordato che per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14 la Decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica;
§ nelle more dell’emanazione di una specifica decisione comunitaria, viene prevista la seguente disciplina transitoria per la caratteristica H14 «Ecotossico» (rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali):
- attribuzione ai rifiuti secondo le modalità dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7;
L’ADR (Accordo internazionale per il trasporto di merci pericolose su strada) prevede 9 classi di pericolosità per le merci. La classe 9 è una classe “residuale” che comprende “le materie e gli oggetti che, durante il trasporto, presentano un pericolo diverso da quelli compresi sotto il titolo delle altri classi“[67]. Le sottocategorie M6 ed M7 riguardano “materie pericolose per l’ambiente acquatico”, rispettivamente liquide o solide.
- viene consentita da parte del Ministero dell'ambiente l’emanazione di un decreto finalizzato all’individuazione delle modalità di attribuzione di tale caratteristica di pericolosità con decreto di cui all’art. 184, comma 5, del D.Lgs. 152/2006;
Si ricorda in proposito che il comma 5 dell’art. 184 del D.Lgs. 152/2006, prevede l’emanazione, da parte del Ministero dell’ambiente (con apposito decreto che avrebbe dovuto essere adottato entro il 23 giugno 2011[68]) di specifiche linee guida per agevolare l’applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I.
- fino all’entrata in vigore del citato decreto restano comunque esclusi dall’obbligo di determinazione della caratteristica di pericolosità H14 i rifiuti avviati a qualsiasi trattamento che non preveda contatto degli stessi con l’ambiente acquatico.
Si fa notare come le disposizioni in esame relative alla caratteristica H14 riproducano, nella sostanza, quelle contenute negli emendamenti 3.03 [69] presentato all’A.C. 4240 e 6.22 [70] all’A.S. 2887.
Si segnala che, in data 29 settembre 2011, è stato emanato un parere dall’ISS e dall’ISPRA [71] in merito all’applicazione della classificazione dei rifiuti, con particolare riferimento alla caratteristica H 14 introdotta dagli allegati D e I del decreto legislativo n. 152 del 2006 in attesa della definizione di criteri univoci in sede europea. In base a tale parere, le sostanze da prendere in considerazione ai fini dell’attribuzione della caratteristica di pericolo ecotossico sono quelle individuate dalla direttiva 1967/548/CE e dal regolamento 2000/2037/Ce (con riferimento alle frasi di rischio R50, R50-53, R51-53, R52, R52-53, R53 e R-59 e alla descrizione del pericolo ad esse associato). Alcuni studi hanno evidenziato che un’applicazione restrittiva potrebbe far aumentare il volume dei rifiuti considerati pericolosi[72].
Articolo 3-bis
(Modifiche agli articoli 183 e 195 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione del compost)
1. All'articolo 183, comma 1, lettera ee), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo le parole: «che rispetti» è inserita la seguente: «esclusivamente».
2. All'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4-bis. Nelle more dell'adozione dei decreti di cui al comma 2, lettera c), le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare le disposizioni regolamentari e tecniche che restano in vigore fino alla data di entrata in vigore dei citati decreti. Fino alla medesima data sono fatti salvi gli effetti delle disposizioni regolamentari e tecniche e dei relativi adeguamenti già adottati dalle regioni e le province autonome».
Il comma 1 dell'articolo in esame novella la definizione di “compost di qualità” recata dall’art. 183, comma 1, lettera ee), del D.Lgs. 152/2006.
Il testo vigente della citata lettera ee) definisce «compost di qualità» il “prodotto, ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, che rispetti i requisiti e le caratteristiche stabilite dall'allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, e successive modificazioni”.
Si ricorda in proposito che l’allegato 2 al D.Lgs. 75/2010 (recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”) disciplina le specifiche di preparazione degli “ammendanti” nonché i tenori massimi consentiti in metalli pesanti negli ammendanti stessi.
La novella in esame specifica, nella parte in cui viene richiesto il rispetto dei requisiti previsti dall’allegato 2 del D.Lgs. 75/2010, che il compost di qualità deve rispettare esclusivamente i requisiti previsti dall’allegato 2 del D.Lgs. 75/2010 per gli ammendanti.
Il comma 2 integra il disposto dell’art. 195 del D.Lgs. 152/2006 (che disciplina le competenze statali in materia di gestione dei rifiuti), inserendovi un comma 4-bis che accoglie una disposizione transitoria da applicare nelle more dell’adozione dei decreti statali previsti dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 195 e finalizzati alla “determinazione dei limiti di accettabilità e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche di talune sostanze contenute nei rifiuti in relazione a specifiche utilizzazioni degli stessi”.
In base al comma in esame, nelle more dell’adozione di tali decreti viene consentito alle Regioni e alle Province autonome di adottare disposizioni regolamentari e tecniche che restano in vigore fino alla loro entrata in vigore.
Il comma prevede altresì che, fino alla medesima data, sono fatti salvi gli effetti delle disposizioni regolamentari e tecniche e dei relativi adeguamenti già adottati dalle Regioni e dalle Province autonome.
Si segnala che l’articolo 195 del decreto legislativo 152/2006, dispone che, salvo che non sia diversamente disposto dalla parte quarta del medesimo decreto, le norme regolamentari e tecniche di cui al comma 2 sono adottate, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell'interno, nonché, quando le predette norme riguardino i rifiuti agricoli ed il trasporto dei rifiuti, di concerto, rispettivamente, con i Ministri delle politiche agricole e forestali e delle infrastrutture e dei trasporti.
Si segnala, infine, che la disposizione in esame riprende il contenuto dell’ordine del giorno 9/04865-AR/118[73] respinto nella seduta del 26 gennaio 2012[74].
Si segnala che la disposizione in esame attribuisce una potestà regolamentare (nelle more dell’esercizio di quella statale) alle regioni ed alle province autonome in una materia che, ai sensi del citato articolo 195, rientra nella competenza dello Stato, cui spetta anche l’esercizio della potestà regolamentare, e che è riconducibile alla materia “tutela dell’ambiente” che rientra nella legislazione esclusiva dello Stato. Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva. Alla luce di quanto rilevato, sarebbe pertanto opportuno un approfondimento riguardo a tale disposizione al fine di verificarne la coerenza con le disposizioni precedentemente citate.
Articolo 3-ter
(Misure per gli acquisti verdi e per lo
sviluppo del mercato dei materiali da riciclo e da recupero)
1. All'articolo 195, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la lettera s) è inserita la seguente:
«s-bis) l'adozione delle direttive per la definizione e l'aggiornamento dei capitolati speciali d'appalto per le opere pubbliche, in modo da privilegiare l'impiego di prodotti ottenuti dal riciclo dei pneumatici fuori uso, rispondenti agli standard e alle norme tecniche di settore, ove esistenti, nonché degli aggregati ottenuti dal riciclo di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione che soddisfano i criteri di cui all'articolo 184-ter e aventi marcatura CE ai sensi del regolamento (UE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011. Dette direttive sono adottate entro il 31 dicembre 2012 con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;».
2. All'articolo 206, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le parole: «dei rifiuti urbani» sono soppresse.
3. All'articolo 206, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la lettera i) è inserita la seguente:
«i-bis) l'impiego, da parte degli enti pubblici, delle società a prevalente capitale pubblico e di soggetti privati, dei materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti, sia nella realizzazione di opere infrastrutturali che nell'ambito dell'acquisto di beni, dando priorità ai materiali e prodotti ottenuti dal riciclaggio dei pneumatici fuori uso di cui all'articolo 228, e dei rifiuti non pericolosi da attività di costruzione e demolizione di cui all'articolo 181, comma 1, lettera b), che risultino conformi agli standard e alle normative di settore, ove esistenti, nonché dal trattamento delle tipologie di rifiuti elettrici ed elettronici, di cui al decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dei rifiuti di imballaggi che presentino particolari difficoltà di riciclo, al fine di facilitare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta o recupero e riciclaggio per tali tipologie di rifiuti previsti, rispettivamente, dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 aprile 2011, n. 82, nonché dall'articolo 181, comma 1, lettera b), e dall'allegato E del presente decreto. Gli accordi ed i contratti di programma di cui alla presente lettera, ove necessario e fattibile da un punto di vista tecnico ed economico, possono prevedere percentuali minime di impiego di materiali e prodotti recuperati rispetto al fabbisogno totale di spesa;».
L’articolo in commento reca misure volte ad agevolare i cosiddetti acquisti verdi e per incentivare lo sviluppo del mercato dei materiali da riciclo da recupero. Le finalità che l’articolo si prefigge vengono perseguite, per un verso, attraverso la previsione di direttive statali per la definizione e l’aggiornamento dei capitolati speciali per le opere pubbliche e, per l’altro, attraverso la possibilità di stipulare accordi e contratti di programma tra amministrazioni e imprese che prevedano l’impiego di materiali provenienti dal riciclo e dal recupero nella realizzazione delle opere infrastrutturali e nell’acquisto di beni.
Il comma 1 provvede, pertanto, ad aggiungere la lettera s-bis) al comma 1 dell’art. 195 del Codice ambientale allo scopo di prevedere che lo Stato adotti direttive per la definizione e l'aggiornamento dei capitolati speciali d'appalto per le opere pubbliche, in modo da privilegiare l’impiego di:
a) prodotti ottenuti dal riciclo degli pneumatici fuori uso, rispondenti agli standard ed alle norme tecniche di settore, ove esistenti;
b) aggregati ottenuti dal riciclo di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione.
Nel caso di cui alla lettera b), deve trattarsi di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione che soddisfano i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto di cui all'articolo 184-ter del Codice aventi marcatura CE ai sensi del regolamento (CE) n. 305/2011.
Si rammenta che l’art. 184-ter del Codice, introdotto dal D.lgs. n. 205/2010,disciplina i casi di cessazione della qualifica di rifiuto in linea con l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE. Ai sensi dell’art. 184-ter, comma 1, un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Rispetto al testo della direttiva, viene inclusa, tra le operazioni che possono portare alla cessazione, anche la preparazione per il riutilizzo e, sempre in aggiunta rispetto al testo della direttiva, il primo periodo del comma 2 dispone che l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.
Il regolamento (CE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011 ha fissato le condizioni per l'immissione o la messa a disposizione sul mercato di prodotti da costruzione stabilendo disposizioni armonizzate per la descrizione della prestazione di tali prodotti in relazione alle loro caratteristiche essenziali e per l'uso della marcatura CE sui prodotti in questione.
Si prevede che le direttive statali per la definizione e l'aggiornamento dei capitolati speciali d'appalto per le opere pubbliche siano adottate entro il 31 dicembre 2012 con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata.
Uno dei settori normativi più rilevanti in tema di green economy, oltre a quelli delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza e del risparmio energetico è sicuramente quello degli acquisti verdi o Green public procurement (GPP).
Per agevolare e incentivare l’applicazione degli acquisti verdi, l’Unione europea ha promosso l’adozione di specifici piani d’azione nazionali. In Italia si è proceduto con il Piano d’azione nazionale sul green public procurement (PAN GPP) emanato tramite il D.M. 11 aprile 2008, attuativo delle previsioni dell’art. 1, comma 1126, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007).
I commi 2 e 3 novellano l’articolo 206 del Codice modificando la disciplina degli accordi e dei contratti di programma che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le altre autorità competenti possono stipulare con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria, al fine razionalizzare e semplificare le procedure nella gestione dei rifiuti.
In tale ambito, il comma 2 provvede a novellare la lettera i) del comma 1 dell’art. 206 al fine di consentire la stipula di accordi di programma aventi ad oggetto l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata di tutti i rifiuti e non solo di quelli urbani come prevede il testo vigente.
Il comma 2, invece, aggiunge la lettera i-bis) al fine di prevedere che gli accordi e i contratti di programma abbiano ad oggetto l'impiego, da parte degli enti pubblici, delle società a prevalente capitale pubblico e di soggetti privati, dei materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti, sia nella realizzazione di opere infrastrutturali che nell'ambito dell'acquisto di beni, dando priorità ai materiali e prodotti ottenuti dal riciclaggio:
§ degli pneumatici fuori uso (PFU) di cui all'articolo 228;
Si ricorda che l’art. 228 del Codice è volto a conseguire il recupero dei pneumatici fuori uso e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione. A tal fine è fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione dei pneumatici. Con il D.M. 11 aprile 2011, n. 82 è stato quindi emanato il Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), ai sensi di quanto previsto dal citato art. 228.
§ dei rifiuti non pericolosi da attività di costruzione e demolizione di cui all'articolo 181, comma 1, lettera b), che risultino conformi agli standard ed alle normative di settore, ove esistenti;
Il nuovo testo dell’art. 181, comma 1, lettera b), come modificato dal D.lgs. 205/2010, prevede un incremento, entro il 2020, del 70%, in termini di peso, relativamente alla preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse le operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi (escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 del CER). Si ricorda che la citata voce 17 05 04 corrisponde, secondo l’elenco riportato nell’allegato D, a terra e rocce non contenenti sostanze pericolose.
§ nonché dal trattamento delle tipologie di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) di cui al D.lgs. n. 151/2005, e dei rifiuti di imballaggi che presentino particolari difficoltà di riciclo.
Si ricorda, in estrema sintesi, che il D.lgs. 2005, n. 151 ha recepito nell’ordinamento interno le direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti . Il d.lgs. n. 151, in linea con quanto già disciplinato per i veicoli a fine vita, ha dettato pertanto specifiche disposizioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale generato sia dalla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sia dalla gestione dei rifiuti da esse generate (RAEE). L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto è quello di migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita delle AEE, quali produttori, distributori, consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei rifiuti da esse derivanti. Il decreto provvede quindi a dettare una serie di misure finalizzate a prevenire la produzione di RAEE nonché a promuoverne il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento.
L’impiego dei materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti agevola il raggiungimento degli obiettivi di raccolta o recupero e riciclaggio previsti, rispettivamente, per gli PFU dal regolamento di cui al citato DM n. 82/2011, per i rifiuti non pericolosi da attività di costruzione e demolizione dall'articolo 181, comma 1, lett. b), e per i rifiuti di imballaggio dall'Allegato E alla Parta IV del Codice.
L’art. 9 del citato DM n. 82/2011 individua i seguenti obiettivi di raccolta e gestione degli pneumatici a fine vita: a) al 31 dicembre 2011 gestione di almeno il 25% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1; b) al 31 dicembre 2012 gestione di almeno l'80% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1; c) al 31 dicembre 2013 e per gli anni successivi gestione del 100% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1. L’art. 3, comma 1, citato dispone che, a decorrere dal novantesimo giorno dall'entrata in vigore del regolamento, i produttori e gli importatori degli pneumatici sono tenuti a raccogliere e gestire annualmente quantità di PFU (di qualsiasi marca) almeno equivalenti alle quantità di pneumatici che hanno immesso nel mercato nazionale del ricambio nell'anno solare precedente, dedotta la quota di pertinenza degli pneumatici usati ceduti all'estero per riutilizzo o carcasse cedute all'estero per ricostruzione, calcolata sulla base dei dati ISTAT e in proporzione alle rispettive quote di immissione nel mercato nazionale.
L’art. 181, comma 1, lett. b), del Codice ambientale prevede un incremento, entro il 2020, del 70%, in termini di peso, relativamente alla preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse le operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi (escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 del CER)
L’Allegato E del Codice sugli “Obiettivi di recupero e di riciclaggio” prevede che, - entro il 31 dicembre 2008 almeno il 60% in peso dei rifiuti di imballaggio deve essere recuperato o incenerito in impianti di incenerimento rifiuti con recupero di energia; - entro il 31 dicembre 2008 deve essere riciclato almeno il 55% e fino all'80% in peso dei rifiuti di imballaggio - materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio: 60% in peso per il vetro; 60% in peso per la carta e il cartone; 50% in peso per i metalli; 26% in peso per la plastica, tenuto conto esclusivamente dei materiali riciclati sottoforma di plastica; 35% in peso per il legno.
Il comma 3 dispone, infine, che gli accordi ed i contratti di programma aventi a oggetto l’impiego di materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti, ove necessario e fattibile da un punto di vista tecnico ed economico, possono prevedere delle percentuali minime di impiego di materiali e prodotti recuperati rispetto al fabbisogno totale di spesa.
Articolo 3-quater
(Modifica all'articolo 208 e applicazione
di disposizioni dell'articolo 194 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152,
in materia di garanzie finanziarie)
1. All'articolo 208, comma 11, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «. L'importo di tali garanzie finanziarie è ridotto del 50 per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (EMAS), e del 40 per cento per quelle in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI EN ISO 14000».
2. Le riduzioni di cui all'articolo 194, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, trovano immediata applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
L’articolo, introdotto nel corso dell’esame al Senato, è volto a dimezzare le garanzie finanziarie che le imprese in possesso delle certificazioni ambientali EMAS e ISO 14000 devono prestare ai fini della spedizione transfrontaliera dei rifiuti e del rilascio dell’autorizzazione per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
In particolare, il comma 1, con una novella all’art. 208, comma 11, lett. g), del D.lgs. n. 152/2006, riduce le garanzie finanziarie che le imprese devono prestare ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.
L’importo di tali garanzie è ridotto del 50% per le imprese certificate EMAS ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 e del 40% per quelle in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI EN ISO 14000.
L’art. 208 del Codice ambientale, in materia di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, prevede al comma 11 che l’autorizzazione contenga, tra l’altro, alla lett. g) anche le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto, mentre quelle per la gestione della discarica e per la fase successiva alla sua chiusura dovranno essere secondo le disposizioni dell’art. 14 del D.lgs. n. 36/2003[75] relativo alle garanzie finanziarie da prestare per l'attivazione e la gestione operativa della discarica, comprese le procedure di chiusura.
Si ricorda, inoltre, che con l’acronimo EMAS[76] si intende il sistema comunitario di ecogestione e audit cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell’Unione Europea o al di fuori di esso, che si impegnano a migliorare la propria efficienza ambientale. Il primo Regolamento EMAS n. 1836 è stato emanato nel 1993 e nel 2001 è stato sostituito dal Regolamento n. 761 che, a sua volta sottoposto a revisione, è stato sostituito nel 2009 dal nuovo Regolamento n. 1221. Il sistema EMAS è principalmente destinato a migliorare l'ambiente e a fornire alle organizzazioni, alle autorità di controllo ed ai cittadini (al pubblico in senso lato) uno strumento attraverso il quale è possibile avere informazioni sulle prestazioni ambientali delle organizzazioni.
Le norme internazionali ISO 14000 rappresentano un altro strumento volontario per migliorare la gestione della variabile ambientale all'interno dell'impresa o di qualsiasi altra organizzazione. Le norme EN UNI ISO 14000 attualmente in vigore nel nostro Paese sono state create dal comitato tecnico dell'ISO (International Organisation for Standardisation) TC 207 "Environmental management", successivamente approvate dal CEN (Comitato Europeo di Normazione), divenendo così anche norme europee (EN), ed infine hanno ottenuto lo status di norma nazionale mediante la pubblicazione della traduzione in lingua italiana curata dall'UNI (Ente Italiano di Unificazione).
Il comma 2 dispone, invece, l’immediata applicabilità a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, delle riduzioni delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti previste dall’art. 194, comma 4, lett. a), del Codice. L’operatività di tale disposizione è infatti attualmente demandata all’emanazione di un decreto interministeriale.
Si ricorda che l’art. 194, comma 4, lett. a), prevede che con un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute, dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti (non ancora emanato), nel rispetto delle norme del regolamento (CE) n. 1013/2006 vengano disciplinati i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all'art. 6 del predetto regolamento, a copertura delle spese di trasporto e smaltimento o recupero; tali garanzie sono ridotte del 50% per le imprese registrate EMAS ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001 e del 40% per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001.
Il comma 5 dell’articolo 194 prevede che, fino all’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 4 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 3 settembre 1998, n. 370 con cui è stato approvato il regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziaria per il trasporto transfrontaliero di rifiuti.
Al riguardo, sarebbe opportuno coordinare la disposizione con la normativa vigente provvedendo a modificare il comma 4 dell’articolo 194 del Codice ambientale.
Articolo 3-quinquies
(Disposizioni in materia di misure di
compensazione)
1. In tutti i casi in cui possono essere imposte, dalle autorità competenti e nei modi consentiti dalla normativa vigente, misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale in relazione alla realizzazione di attività, opere, impianti o interventi, tali misure non possono comunque avere carattere meramente monetario. In caso di inosservanza, oltre agli oneri necessari alla realizzazione delle misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale, il soggetto onerato è tenuto a versare una somma di importo equivalente che affluisce ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata per le esigenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
L’articolo, introdotto durante l’iter al Senato, dispone che in tutti i casi in cui possono essere imposte, dalle autorità competenti e nei modi consentiti dalla normativa vigente, misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale in relazione alla realizzazione di attività, opere, impianti o interventi, esse non possono avere carattere esclusivamente monetario.
In caso di inosservanza di tale disposizione, oltre agli oneri necessari alla realizzazione delle misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale, il soggetto onerato è tenuto a versare una somma di importo equivalente che affluisce ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per le esigenze di tale Ministero.
Al riguardo, sarebbe opportuno un approfondimento in ordine alla portata della norma e alla sua effettiva applicazione, in considerazione della sua genericità. Sarebbe, altresì, opportuno valutare l’impatto della disposizione in relazione ad alcune misure già previste dalla normativa vigente.
Si ricorda che con l’espressione “compensazione ambientale” si intendono quegli interventi genericamente mirati a riequilibrare l’impatto ambientale dovuto alla presenza di un impianto industriale o di una infrastruttura. Il termine, di carattere generico, viene infatti usato con diversi significati a seconda dell’oggetto cui si riferisce: ad esempio ai fini della compensazione ambientale e quindi del miglioramento della qualità ambientale della rete stradale possono intendersi interventi quali: realizzazione di fasce o corridoi verdi, sistemi di recinzione-filtro, essenze e tipi di alberatura, muri di sostegno ecologici, barriere antirumore, ecc.
La prescrizione dell’individuazione di misure di compensazione ambientale nel quadro normativo dei lavori pubblici è stata introdotta nel D.lgs. n. 163/2006 (cd. Codice dei contratti pubblici) in riferimento al progetto preliminare e definitivo, al quadro economico e al piano di manutenzione dell’opera che devono includere anche le misure e gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale e degli eventuali interventi di ripristino, riqualificazione e miglioramento ambientale e paesaggistico, con la stima dei relativi costi (All. XXI).
Il D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) reca, inoltre, misure di compensazione ambientale all’interno della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), prevedendo, all’art. 22, che lo studio di impatto ambientale (SIA) debba contenere anche una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti. Tali misure vengono poi specificate nell’Allegato VII prevedendo che il progetto debba indicare anche le misure di mitigazione e compensazione necessarie. Inoltre anche nell’allegato 3 alla parte VI relativa alle norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente viene prevista, nell’ambito delle misure più appropriate cui attenersi per garantire la riparazione del danno ambientale (in particolare agli habitat naturali protetti), una riparazione proprio al fine di compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del ripristino. La compensazione consiste in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo e non costituisce una compensazione finanziaria al pubblico.
In relazione a specifici casi di contributi di compensazione territoriale di natura esclusivamente economica si ricorda, per citare alcuni esempi: l’art. 7-ter del decreto legge n. 208/2008, che ha modificato le modalità del calcolo del contributo di compensazione territoriale previsto a favore dei siti che ospitano centrali nucleari prevista dall’art. 4 del decreto-legge n. 314/2003, nonché l’art. 30 del D.lgs. n. 31/2010 sulla disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi che prevede un contributo di natura economica al fine di massimizzare le ricadute socio-economiche, occupazionali e culturali conseguenti alla realizzazione del Parco Tecnologico, determinato secondo le modalità indicate nello stesso articolo. Anche la legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) ha previsto, all’art. 2, commi 558-560, che i soggetti titolari di concessioni per l’attività di stoccaggio del gas naturale in giacimenti debbano corrispondere alle regioni un contributo compensativo di natura monetaria per il mancato uso alternativo del territorio.
Articolo 3-sexies
(Quantificazione di flussi riguardanti
contributi su politiche ambientali)
1. Nei casi in cui sia prevista dalla normativa vigente la riassegnazione di fondi a capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o a fondi istituiti dalla legge comunque funzionali all'attuazione, da parte del medesimo Ministero, di politiche ambientali, sul sito web del Ministero deve essere indicato, con aggiornamento almeno trimestrale, l'andamento effettivo dei flussi di riassegnazione. Entro il 30 giugno di ciascun anno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenta al Parlamento una relazione che illustra detto andamento, quantificando i fondi effettivamente riassegnati.
L’articolo 3-sexies, inserito durante l’esame del provvedimento al Senato, prevede che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) pubblichi sul proprio sito istituzionale l’andamento effettivo dei flussi di riassegnazione di somme riguardanti politiche ambientali, con un aggiornamento almeno trimestrale, in tutti i casi in cui la normativa vigente prevede la riassegnazione di fondia capitoli dello stato di previsione del MATTM o a Fondi istituiti con legge funzionali all’attuazione di politiche ambientali da parte dello stesso MATTM.
Inoltre, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Ministro dell’ambiente è tenuto a presentare al Parlamento una relazione illustrativa su tale andamento che quantifica i fondi effettivamente riassegnati.
Si osserva che l’articolo in esame, sebbene genericamente rubricato “quantificazione di flussi riguardanti contributi su politiche ambientali”, sembra introdurre l’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale del MATTM delle informazioni relative alle sole somme oggetto di riassegnazione al medesimo Ministero.
Si osserva che la prassi e la legislazione contabile vigente già prevedono specifici strumenti volti a monitorare la spesa statale in materia ambientale.
In sede di bilancio previsionale, in allegato alla Relazione illustrativa al Disegno di Legge di Bilancio, è infatti esposto il quadro delle previsioni di spesa per la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali, costruito secondo gli schemi e le classificazioni adottate a consuntivo per il cosiddetto Ecorendiconto dello Stato. Quest’ultimo, ai sensi dell’art. 36, comma 6, della legge di contabilità nazionale n. 196/2009, costituisce allegato al Rendiconto generale dello Stato e illustra le risultanze delle spese ambientali delle amministrazioni centrali dello Stato, ovvero delle spese aventi per finalità la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali[77]. L’ecorendiconto è stato realizzato per la prima volta con riferimento al consuntivo dell’esercizio finanziario 2010.
Nell’ecobilancio, o bilancio ambientale dello Stato, sono esposte le spese previste dalle amministrazioni centrali dello Stato, per attività o azioni finalizzate alla protezione dell'ambiente o all’uso e gestione delle risorse naturali[78].
Inoltre, informazioni sulle spese di investimenti iscritte nello stato di previsione del MATTM relative ad interventi in materia di tutela ambientale sono contenute nelle Relazioni sulle spese di investimento e sulle relative legge pluriennali, annualmente presentate dai Ministeri e costituenti apposito allegato alla Nota di aggiornamento del DEF, ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 3 della legge n. 196/2009.
Per ciò che concerne la riassegnazione di somme versate all’entrata ai diversi stati di previsione della spesa, si ricorda che la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007), ha introdotto taluni limiti. In particolare, l’art. 2, commi 615-617, della legge n. 244/2007 dispone il divieto di riassegnazione agli stati di previsione della spesa di parte delle somme versate all’entrata del bilancio statale, autorizzate dalle norme indicate nell’elenco 1 della medesima legge[79].
Tali disposizioni legislative, autorizzative di riassegnazioni di entrate, sono ripartite per Ministeri, e riguardano, tra l’altro, anche il MATTM. Si tratta, in particolare, dei seguenti provvedimenti legislativi:
§ art. 9 del decreto legge n. 2/1993[80], che introduce l’art. 8- quinquies alla legge n. 150/1992[81]. Tale articolo prevede la riassegnazione al MATTM di quota parte delle entrate - derivanti dai diritti speciali di prelievo da porre a carico dei soggetti tenuti a richiedere o presentare autorizzazione o denunce o certificati relativi alla detenzione di specie selvatiche in via di estinzione – nella misura eccedente la copertura delle spese derivanti agli organi competenti per gli adempimenti richiesti dalla medesima legge n. 150/1992;
§ art. 26, comma 5 del D.lgs. n. 22/1997, confluito nel comma 6 dell’art. 206-bis del D.Lgs. n. 152/2006, cd. Codice ambientale, il quale prevede un contributo che deve essere versato dal Consorzio Nazionale Imballaggi e dagli altri soggetti e Consorzi indicati dalla normativa citata finalizzato alla copertura degli oneri di funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti;
§ art. 27, comma 1, della Legge n. 136/199[82], il quale prevede la riassegnazione al MATTM delle somme derivanti dai versamenti – pari allo 0,5 per mille del valore delle opere di carattere ambientale da realizzare – che sono imposti in capo al soggetto committente il progetto per le maggiori esigenze connesse allo svolgimento della procedura di valutazione dell'impatto ambientale. Tali somme sono destinate esclusivamente per le spese attinenti alla valutazione ambientale;
§ art. 114, comma 1, della Legge n. 388/2000. Si osserva che tale articolo – che prevedeva la riassegnazione al MATTM delle somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale è stato abrogato dal Codice ambientale, ove, all’art. 317, si prevede che tali somme affluiscano al Fondo esigenze urgenti ed indifferibili[83] iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, per interventi di messa in sicurezza dei siti inquinati, di bonifica ambientale e per l’attività dei centri di ricerca per la riduzione dei gas serra.
Il 20 settembre 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa a una tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse (COM(2011)571) intesa a scindere la crescita economica dall’utilizzo delle risorse mediante un piano strategicoche, da un lato, favorisca una vera economia del riciclaggio nella quale i rifiuti sono destinati a diventare una risorsa da reintrodurre nell’economia come materia prima, e nella quale le materie prime scartate come rifiuti sono riutilizzate, come risorse, da altre industrie.
Tra gli interventi proposti nel piano d’azione, la Commissione considera prioritario: valutare l’introduzione di quote minime di materie riciclate, di criteri di durabilità e riutilizzabilità ed estendendo la responsabilità del produttore per i prodotti principali (entro il 2012); garantire che il finanziamento pubblico proveniente del bilancio dell’Unione europea dia priorità alle attività ai livelli più alti della gerarchia dei rifiuti definiti nella direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE (per esempio, ad impianti di riciclaggio rispetto allo smaltimento di rifiuti) (2012/2013); più rigorose prescrizioni degli “Appalti pubblici verdi” (Green public procurement - GPP) per i prodotti che hanno un impatto ambientale significativo (nel 2012); la definizione di un approccio metodologico comune per valutare l’impatto ambientale dei prodotti, dei servizi e delle aziende nel corso del loro ciclo di vita (“impronta ecologica”) (nel 2012); stimolare il mercato delle materie secondarie e la domanda di materie riciclate, attraverso incentivi economici e l’elaborazione di criteri per smettere di produrre rifiuti (2013/2014). In tale contesto gli Stati membri dovrebbero incentivare le imprese a misurare, comparare e migliorare la loro efficienza nell’uso delle risorse in maniera sistematica e aiutarle a collaborare per fare il miglior uso possibile dei loro rifiuti e sottoprodotti, con particolare attenzione alle esigenze delle PMI.
Il 31 gennaio 2011 la Commissione europea ha presentato una comunicazione (COM(2011)31) che, attribuisce alle tecnologie legate allo sfruttamento della biomassa un ruolo dominante verso l’obiettivo UE del 20% di energie rinnovabili entro il 2020, sottolineando come il 50% della crescita di qui al 2020 riguarderà energia prodotta a partire da tale fonte (metà nel settore del riscaldamento, un terzo nel settore dei trasporti e il resto in elettricità).
Il 19 gennaio 2011 la Commissione europea ha presentato una relazione (COM(2011)13) sull’attuazione della strategia sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti nella quale sottolinea la necessità di raggiungere tassi più alti di riciclaggio e di sottrarre quantità sempre maggiori di rifiuti organici dal conferimento in discarica. In tale contesto, la Commissione considera come soluzioni prioritarie il ricorso al compostaggio e alla produzione di biogas. Nello stesso documento la Commissione annuncia l’intenzione di elaborare norme di qualità per l'utilizzo del compost in agricoltura, nel quadro della prevista revisione della direttiva 86/278/CE sui fanghi di depurazione.
L’VIII Commissione ambiente della Camera dei deputati ha espresso una valutazione positiva sulla relazione della Commissione europea in un documento finale approvato il 22 giugno 2011, osservando che nel nostro Paese è opportuno che si attribuisca carattere prioritario all'obiettivo della riduzione drastica della percentuale dei rifiuti conferiti in discarica e a realizzare risultati concreti sul terreno della raccolta differenziata e del recupero di materie.
[1] La digestione anaerobica (DA) è un processo di trasformazione biologica, svolto in reattori chiusi, attraverso il quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica (derivante dalla frazione organica selezionata di rifiuti urbani, degli scarti zootecnici e dell’agroindustria) è trasformata in biogas con un contenuto in metano variabile dal 50 al 60%.
[2] La disposizione era stata introdotta dall’art. 1, comma 4, del D.L. 196/2010.
[3] Si ricorda, in proposito, che l’articolo 34 del D.L 98/2011 introduce nel D.P.R. 327/2001 (T.U. espropri) l'art. 42-bis, che disciplina l'acquisizione al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione di beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o di dichiarazione di pubblica utilità, prevedendo che sia la pubblica amministrazione (Pa) a stabilire l’indennizzo. La nuova norma colma di fatto un vuoto normativo determinatosi dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 393 del 2010, che aveva dichiarato illegittima la precedente procedura della cd. acquisizione sanante contenuta nell’art. 43 del D.P.R. 327/2001 sotto il profilo dell’eccesso di delega .
[4] Si ricorda altresì che il D.Lgs. 128/2010 ha introdotto nel D.Lgs. 152/2006 disposizioni di coordinamento delle procedure di VIA ed AIA che, nella prassi, tendevano a sovrapporsi creando duplicazioni istruttorie e ritardi procedimentali. Per le opere di competenza statale è stato previsto l'accorpamento delle due procedure, con assorbimento della procedura di AIA da parte della procedura di VIA. Per le opere di competenza regionale, il predetto assorbimento è stato previsto solo ove l'autorità competente in materia di VIA coincida con quella competente in materia di AIA (art. 10 del D.Lgs. 152/2006).
[5] Sulla decretazione d’urgenza relativa all’emergenza campana emanata nelle legislature precedenti si veda il paragrafo “L’emergenza in Campania” del dossier “Misure straordinarie per l’emergenza rifiuti nella regione Campania - D.L. 90/2008 - A.C. 1145”, disponibile all’indirizzo web http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/D08090.htm#_Toc200423116
[6] L’acronimo STIR sta per “Stabilimenti di Tritovagliatura ed Imballaggio Rifiuti”.
[7] L’acronimo STIR sta per “Stabilimenti di Tritovagliatura ed Imballaggio Rifiuti”.
[8] Il ddl di conversione (A.C. 4865-B, www.camera.it/126?pdl=4865-B&tab=1&leg=16) è stato approvato in via definitiva nella seduta del 23 febbraio.
[10]http://curia.europa.eu/jurisp/cgibin/form.pl?lang=it&newform=newform&docj=docj&typeord=ALL&numaff=297%2F08&Submit=Avvia+la+ricerca
[15] Il testo della relazione e della delibera di approvazione n. 155/2010 è disponibile all’indirizzo www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/campania/delibere/2010/delibera_155_2010_e_relazione.pdf.
[19] Sull’attuale situazione normativa e tecnica dell’utilizzo agronomico del digestato si veda S. Capponi, L. Barbanti, Utilizzo agronomico del digestato: normative regionali a confronto , in “Terra e Vita” n. 25/2010 , disponibile all’indirizzo internet www.agricoltura24.com/media/agricoltura24/news/allegati/TV2010/TVs201025_fertilizzOggi.pdf.
[20] Tale definizione è tratta da M. Centemero, W. Zanardi (Consorzio Italiano Compostatori), Il trattamento biologico dei rifiuti urbani in Italia: compostaggio, trattamento meccanico-biologico, digestione anaerobica – 2008 (www.compost.it/images/varie/2008_06_12_stato_dell_arte_compost_italia_giugno_08.pdf).
[22] Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, pubblicato nella G.U.C.E. 10 ottobre 2002, n. L 273.
[23] Principio ribadito dalla stessa Corte nella recente sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710 (http://www.tuttorifiuti.it/DownloadFile.aspx?IDFile=2687).
[24] http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=48068&stile=6&highLight=1
[25] Si ricorda che il D.Lgs. 28/2011 reca “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”.
[26] Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale).
[27] Sul punto si veda la sentenza della Cassazione n. 12844/2009 (http://www.focusambiente.it/download.php?branch=comunicate&id=510), ribadita dalla recente sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710 (http://www.tuttorifiuti.it/DownloadFile.aspx?IDFile=2687).
[28] Il ddl di conversione (A.C. 4865-B, www.camera.it/126?pdl=4865-B&tab=1&leg=16) è stato approvato in via definitiva nella seduta del 23 febbraio.
[30] Regione Sicilia, Dipartimento Territorio ed Ambiente, Circolare prot. n. 35792 dell’8 maggio 2009 inerente la gestione dei rifiuti sulle aree demaniali marittime e gli accumuli di posidonia piaggiata (http://151.9.149.100/web/ter/serv_9/2009/35792-09.pdf).
[31] Tale procedura viene delineata nella citata circolare della Regione Sicilia.
[32] http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2011/129-11/il-contributo-di-arpat-al-convegno-lambiente-marino-qualita-e-strategie
[33] Pubblicato nella G.U. 16 aprile 2009, n. 88, S.O.
[35] E’ il caso della Puglia (http://www.statoquotidiano.it/28/07/2011/compostaggio-in-puglia-uguale-business-delle-alghe/53747/) e del Comune di Grado (http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/06/13/news/un-impianto-di-compostaggio-per-lo-smaltimento-delle-alghe-1.510835).
[36] Il compostaggio è una tecnica attraverso la quale viene controllato, accelerato e migliorato il processo naturale a cui va incontro qualsiasi sostanza organica per effetto della flora microbica naturalmente presente nell'ambiente. Si tratta di un "processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate (Keener et al., 1993) che permette di ottenere un prodotto biologicamente stabile in cui la componente organica presenta un elevato grado di evoluzione" (http://www.compost.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=56&Itemid=180).
[37] La digestione anaerobica è un processo di trasformazione biologica, svolto in reattori chiusi, attraverso il quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica (solitamente derivante dalla frazione organica selezionata di rifiuti urbani, degli scarti zootecnici e dell’agroindustria) è trasformata in biogas, con un contenuto in metano variabile dal 50 al 60%. Oltre a questi gas si ottiene anche, come sottoprodotto, il “digestato”, un materiale semistabilizzato, matrice ideale per la formazione della miscela da avviare a compostaggio”.
[38] Si il resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea del Senato n. 678 del 22 febbraio 2012 (www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00636308.pdf).
[40] Per ulteriori approfondimenti si segnala G. Iasparra, “Il compostaggio collettivo tra discussione normativa ed esperienze già avviate” (www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=106246).
[41] Ma non alla superDia alternativa al permesso di costruire disciplinata dall' art. 22, comma 7
[43] Il ddl di conversione (A.C. 4865-B, www.camera.it/126?pdl=4865-B&tab=1&leg=16) è stato approvato in via definitiva nella seduta del 23 febbraio.
[45] www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Consiglio di%20Stato/Sezione%204/2011/201101236/Provvedimenti/201105117_18.XML
[46] Il resoconto stenografico della seduta è disponibile all’indirizzo internet www.camera.it/470?stenog=/_dati/leg16/lavori/stenbic/39/2011/1130&pagina=s030
[47] http://burc.regione.campania.it/eBurcWeb/directServlet?DOCUMENT_ID=36185&ATTACH_ID=45978 (cfr. pag. 187).
[48] In merito alle disposizioni cui fa riferimento il comma 1 in esame, si ricorda che il comma 1129 dell’art. 1 della citata legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) prevedeva l’avvio, a partire dall’anno 2007, di un Programma nazionale sperimentale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci non biodegradabili secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario. Il programma avrebbe dovuto contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, al rafforzamento della protezione ambientale ed al sostegno alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali ed, ai sensi del comma 1130, essere definito con decreto interministeriale entro 120 giornidall’entrata in vigore della legge (cioè entro il 30 aprile 2007), previo parere delle competenti Commissioni parlamentari (che non è stato ancora emanato). Anche in ragione della mancata adozione del citato programma l’art. 23, comma 21-novies del decreto legge n. 78/2009, ha prorogato di un anno – dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2011 – il termine per l’operatività del divieto di commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci previsto dall’art. 1, comma 1130, della legge finanziaria 2007.
[49] Seduta n. 268 dell’Assemblea del 22 febbraio 2012.
[50] Seduta del 31 gennaio 2012 della 13ª Commissione permanente.
[51] Nasce da un mandato specifico della Commissione Europea al CEN (Comitato Europeo di Normazione) http://www.cen.eu. La norma è stata pubblicata dal CEN nel settembre 2000 ed è divenuta norma europea armonizzata nel 2001.
[52] La norma armonizzata Uni En 13432 specifica i requisiti di "compostabilità" degli imballaggi. Secondo tale norma, le caratteristiche che un materiale compostabile deve possedere sono le seguenti: biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in CO2; disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale; assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio; bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost. Da ultimo vengono considerati anche altri parametri chimico-fisici che non devono cambiare dopo la degradazione del materiale in studio.
[53] L’art. 4, comma 4, prevedeva,infatti che gli interventi di bonifica e ripristino ambientale di un sito inquinato dovessero privilegiare il ricorso a tecniche che favoriscano la riduzione della movimentazione, il trattamento nel sito ed il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e dei materiali di riporto sottoposti a bonifica. Analogamente anche l’art. 5, comma 4, disponeva che gli interventi di bonifica con misure di sicurezza e ripristino ambientale di un sito inquinato dovessero privilegiare il ricorso a tecniche che favoriscano la riduzione della movimentazione, il trattamento nel sito ed il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e dei materiali di riporto sottoposti a bonifica. I citati materiali di riporto erano, quindi, considerati anche negli allegati al DM stesso.
[54] Seduta dell’Assemblea del 22 febbraio 2012.
[55] Il ddl di conversione (A.C. 4865-B, www.camera.it/126?pdl=4865-B&tab=1&leg=16) è stato approvato in via definitiva nella seduta del 23 febbraio.
[56] La norma specifica i requisiti e i procedimenti per determinare le possibilità di compostaggio e di trattamento anaerobico degli imballaggi e dei materiali di imballaggio. Per approfondimenti si veda www.gestionale.legambiente.org/ecosportello/uploads/File/norma%20en%2013432.pdf.
[57] Per approfondimenti sulla nuova disciplina introdotta dall’art. 14 del D.L. 201/2011 si rinvia al relativo commento contenuto nel dossier sull’A.C. 4829-A (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/D11201bs1.htm#_Toc311654047).
[58] Fonte: ISPRA, Rapporto rifiuti urbani 2011, Capitolo 4 (www.isprambiente.gov.it/site/_files/pubblicazioni/Rapporti/Rapporto_rifiuti2011/08 - Capitolo 4.pdf).
[59] Regolamento recante modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature, pubblicato nella G.U. 4 maggio 2010, n. 102.
[60] Si ricorda che ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. o), del D.lgs. 152/2006, si intende per “raccolta” il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.
[61] Ai fini dell’iscrizione all'Albo Nazionale Gestori Ambientali per le attività di raccolta e trasporto dei RAEE domestici, l’articolo 3 del D.: 65/2010, i distributori sono tenuti a presentare alla sezione regionale o provinciale dell'Albo territorialmente competente una comunicazione con la quale attestano sotto la propria responsabilità, tra le altre cose, anche l'indirizzo del luogo presso il quale sono raggruppati i RAEE in attesa del trasporto, nei casi in cui il raggruppamento sia effettuato in luogo diverso dai locali del punto di vendita.
[62] Nel raggruppamento 1 rientrano: grandi apparecchi di refrigerazione, frigoriferi, congelatori, altri grandi elettrodomestici utilizzati per la refrigerazione, la conservazione e il deposito di alimenti, apparecchi per il condizionamento.
[63] Nel raggruppamento 2 rientrano: lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per la cottura, stufe elettriche, piastre riscaldanti elettriche, forni a microonde, altri grandi elettrodomestici utilizzati per la cottura e l'ulteriore trasformazione di alimenti, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, altri grandi elettrodomestici utilizzati per riscaldare ambienti ed eventualmente letti e divani, ventilatori elettrici.
[64] Relativamente alla miscelazione dei rifiuti pericolosi, il nuovo testo dell’art. 187, come riscritto dall’art. 14 del D.lgs. 205/2010 che recepisce l’art. 18 della direttiva 2008/98/CE, conferma il divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi già previsto dal testo vigente, introducendo, in particolare, rispetto al testo vigente la specificazione che la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.
[65] Il comma 2 prevedeva che i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari dovessero garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008.
[66] Si rammenta che l’art. 184-ter del Codice, introdotto dal D.lgs. n. 205/2010, disciplina i casi di cessazione della qualifica di rifiuto in linea con l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE. Ai sensi dell’art. 184-ter, comma 1, un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
[67] Traduzione italiana dell’ADR 2011 (http://www.adr2011.it/ADR2011_PARTE_2.pdf).
[68] La norma prevede un termine di 180 giorni dall’entrata in vigore della disposizione. Si ricorda in proposito che il D.Lgs. 205/2010 è stato pubblicato nella G.U. del 10 dicembre 2010 e quindi entrato in vigore il 25 dicembre 2010.
[69]http://documenti.camera.it/apps/emendamenti/getPropostaEmendativa.aspx?contenitorePortante=leg.16.eme.ac.4240&tipoSeduta=1&sedeEsame=referente&urnTestoRiferimento=urn:leg:16:4240:null:null:com:08:referente&dataSeduta=20111026&idPropostaEmendativa=3.03.&position=20111026
[72] Secondo un documento di HERAmbiente del 10 novembre 2011 “l’impatto della riclassificazione andrebbe ad interessare un quantitativo dell’ordine di almeno 10 milioni di tonnellate di rifiuti sul territorio nazionale. Da considerare altresì che la rigida applicazione che comprende anche le sostanze/preparati R 52-53 incide pesantemente anche sul sistema del recupero in procedura semplificata di cui agli art. 214-216 del dlgs 152/06 e smi e DM 5/02/98. Numerose tipologie di rifiuti transiterebbero nella categoria dei pericolosi con un oggettivo impatto negativo sulle pratiche di recupero che verrebbe disincentivato” (http://newweb.riminifiera.it/upload_ist/AllegatiProgrammaEventi/Baroni_2143996.pdf). Sulla classificazione dei rifiuti pericolosi con riferimento alla caratteristica H14 si veda anche il documento dell’ISS al link http://ottantuno.files.wordpress.com/2011/12/classificazione-h14-aprile-2011-tommasi.pdf.
[73] http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=48485&stile=6&highLight=1
[75] Recante la disciplina sulle discariche di rifiuti in attuazione della direttiva 1999/31/CE.
[76] Eco-Management and Audit Scheme.
[77] L’art. 36, comma 6 della legge n. 196/2009 afferma che Il rendiconto generale dello Stato contiene inoltre, in apposito allegato, l'illustrazione delle risultanze delle spese relative ai programmi aventi natura o contenuti ambientali, allo scopo di evidenziare le risorse impiegate per finalità di protezione dell'ambiente, riguardanti attività di tutela, conservazione, ripristino e utilizzo sostenibile delle risorse e del patrimonio naturale. A tal fine, le amministrazioni interessate forniscono al Ministero dell'economia e delle finanze le informazioni necessarie secondo gli schemi contabili e le modalità di rappresentazione stabilite con determina del Ragioniere generale dello Stato in coerenza con gli indirizzi e i regolamenti commutali in materia.
[78] Le origini dell'Ecobilancio dello Stato risiedono nella Risoluzione parlamentare di approvazione del DPEF per l'anno 1999 e per il triennio 1999-2001, nella quale il Parlamento impegna il Governo "ad avviare la redazione sperimentale del bilancio in termini di eco-contabilità da allegare al bilancio dello Stato, assicurando che il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica si strutturi adeguatamente per questo compito".
Dal 2000, anno di prima elaborazione, l'Ecobilancio dello Stato, allegato alla Relazione illustrativa al Didl di Bilancio, si è arricchito di nuovi contenuti e di informazioni di maggior dettaglio ed è stato affiancato, dal 2007, da un Ecorendiconto, a completamento del ciclo di esposizione delle risorse finanziarie del Bilancio dello Stato destinate alla salvaguardia dell'ambiente e delle risorse naturali. A partire dall’esercizio 2012 l’Ecobilancio dello Stato viene esposto secondo schemi e classificazioni coerenti con quelli definiti in ambito comunitario per la contabilità delle spese ambientali e adottati ai fini dell’Ecorendiconto dello Stato secondo quanto disposto dall’art. 36, comma 6, della legge n. 196/2009 (“Legge di contabilità e finanza pubblica”).
[79] In particolare, l’art. 2, comma 615 della legge n. 244/2007 vieta, a decorrere dall’anno 2008, l’iscrizione negli stati di previsione dei Ministeri delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge, fatta eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziarie le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente”.
Il comma 616, in relazione a quanto sopra, dispone l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione di cui sopra, di appositi Fondi da ripartire con decreto ministeriale. Il comma 617 dispone che a decorrere dall’anno 2008, in tali fondi confluiscano il 50% dei versamenti riassegnabili nel 2006 ai pertinenti capitoli dell’entrata del bilancio dello Stato e che l’utilizzazione dei fondi è effettuata dal Ministro competente di concerto con il Ministro dell’economia e finanze, in considerazione dell’andamento delle entrate versate. La dotazione dei fondi è rideterminata annualmente, in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti, così da assicurare in ciascun anno un risparmio in termini di indebitamento netto pari a 300 milioni di euro.
[80] D.L. n. 2/1993, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 febbraio 1992, n. 150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione”.
[81] Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.
[82] L. n. 136/1999, “Norme per il sostegno ed il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere ambientale”.
[83] Il Fondo in questione è stato istituito dall’articolo 7-quinquies del D.L. n. 5/2009.