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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 15 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni X e XI,
   premesso che:
    le società cooperative rappresentano una realtà imprenditoriale importante per lo sviluppo del nostro Paese. La carta costituzionale ne ha legittimato l'esistenza favorendone la diffusione e rinviando alla legislazione statale la disciplina del loro funzionamento: esiste, infatti, un'articolata normativa che disciplina puntualmente il funzionamento di questa particolare forma associativa, dettando, oltretutto, una normativa di favore rispetto alle forme «tradizionali» di società, con particolare riguardo alle società cooperative a mutualità prevalente;
    in particolare, nel contesto della società cooperativa, merita particolare attenzione il fenomeno delle aziende fallite e recuperate dagli stessi dipendenti e che, attraverso lo strumento della cooperazione, vengono rese nuovamente operative con risultati favorevoli per l'economia nazionale e la salvaguardia dei livelli occupazionali;
    il fenomeno, conosciuto con il nome di Workers Buy Out (WBO), consiste nell'acquisizione (della maggioranza o della totalità) del capitale sociale di un'impresa, generalmente in crisi, da parte dei propri dipendenti, siano essi dirigenti, impiegati, operai;
    l'elemento centrale della impresa recuperata dai medesimi lavoratori risiede nell'esigenza meritevole di un gruppo di lavoratori di riappropriarsi del posto di lavoro che gli è stato sottratto a causa del fallimento della propria azienda;
    il WBO ha conosciuto, sotto forme regolamentate, numerosi casi di successo negli Stati Uniti, dove nel 1994, tanto per citare il caso più famoso, la compagnia aerea United Airlines venne rilevata da una parte dei propri dipendenti;
    con riferimento all'Italia, il fenomeno del WBO ha recentemente attratto l'attenzione di numerosi quotidiani e riviste, che ad esso hanno dedicato alcune inchieste. Nel nostro Paese i casi di WBO hanno soprattutto interessato la Toscana e l'Emilia Romagna, anche grazie alla particolare diffusione in queste regioni delle associazioni cooperative, che attraverso le proprie strutture tendono a supportare questo tipo di operazioni. Si contano, tuttavia, casi anche nel Centro-nord (Lombardia in testa) e nel Meridione;
    il primo aspetto positivo che balza agli occhi del WBO è costituito dal mantenimento dei livelli occupazionali dell'impresa in questione (nonché, indirettamente, dell'indotto ad essa collegato, oltreché, più in generale, dalla conservazione del patrimonio aziendale e del know-how produttivo;
    la possibilità di coinvolgere nella gestione parte degli attuali lavoratori, e soprattutto, dal momento che l'operazione richiede l'impiego di risorse finanziarie da parte dei vari lavoratori, di quelli più motivati, l'apporto di esperienze da parte di coloro che conoscono a fondo l'impresa e la riduzione dei costi di transazione in sede di negoziazione (i dipendenti, avendo lavorato all'interno della società, hanno generalmente un'idea abbastanza precisa del valore dei suoi vari asset, tangibili e non, e del suo avviamento) possono contribuire al successo, non solo nel breve, ma anche nel lungo termine, dell'operazione. A tal proposito, risulta interessante notare come secondo alcuni dati riportati dagli organi di stampa il tasso di cessazione dell'attività (inteso come liquidazione volontaria o, più spesso, di insolvenza) di imprese «salvate» mediante il WBO sarebbe piuttosto contenuto (22 per cento), in ogni caso più basso di quello delle tanto ammirate società start-up (35 per cento);
    questa possibilità di rilancio è stata sfruttata sempre più spesso durante questi anni di crisi. È il caso ad esempio della Mancoop, formata da ex dipendenti della azienda fallita e che è riuscita ad ottenere dalla curatela fallimentare affitto dei macchinari e a far rinascere una nuova impresa portando avanti la produzione e salvaguardando i livelli occupazionali;
    altro aspetto, talvolta sottovalutato, del fenomeno del WBO è la positiva incidenza di tali operazioni sul bilancio pubblico. Ciò potrebbe apparire paradossale ove si consideri che tali operazioni sono talvolta accompagnate dal sostegno finanziario dello Stato, di altri enti territoriali (regioni, province) o, più spesso, da Cooperazione finanza e impresa (CFI), società partecipata dal Ministero dello sviluppo economico e costituita proprio per gestire i fondi pubblici erogati al fine di supportare tali operazioni; la mobilitazione di tali risorse finanziarie si rivela, tuttavia, solitamente inferiore al costo che gli enti pubblici avrebbero comunque dovuto sostenere sotto forma di erogazioni sociali (cassa integrazione guadagni, sussidi di disoccupazione, mobilità e altro) nel caso di cessazione dell'attività;
    il WBO può diventare, dunque, specie in periodi di crisi lavorative ed aziendali, uno strumento importante nel nostro Paese, in grado di rinnovare il tessuto produttivo e di sperimentare nuove forme di intervento di welfare anche per il salvataggio di aziende in crisi o in difficoltà manageriale;
    per quanto riguarda gli strumenti specifici introdotti dal legislatore a sostegno di tale tipo di operazioni, occorre, innanzitutto, citare la legge 27 febbraio 1985, n. 49, altrimenti detta legge Marcora, la quale per prima ha previsto disposizioni normative a sostegno di operazioni di WBO. A tale normativa si sono aggiunti strumenti idonei ad ottenere l'anticipazione delle somme relative ai vari ammortizzatori sociali: a tale proposito, la legge 23 luglio 1991, n. 223, prevede la possibilità di richiedere all'INPS l'anticipo dell'indennità di mobilità; essa, insieme, al trattamento di fine rapporto va di solito a costituire la prima somma versata dai dipendenti per l'acquisto delle quote aziendali;
    più recentemente, il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 (articolo 11) ha riconosciuto a favore delle cooperative di lavoratori dipendenti di un'impresa sottoposta a procedura concorsuale – fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa – un diritto di prelazione per l'affitto o l'acquisto dell'azienda, di un ramo d'azienda o di un complesso di beni e rapporti della medesima impresa. L'eventuale aggiudicazione dell'affitto o della vendita acquisisce, quindi, in virtù del successivo comma 3 del medesimo articolo, valore di titolo per richiedere l'anticipazione dell'indennità di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991, nonché delle mensilità non ancora percepite dell'Assicurazione sociale per l'impiego introdotta dalla legge 28 giugno 2012, n. 92;
    nonostante il legislatore sia intervenuto per favorire – in parte – il fenomeno del recupero delle fabbriche in crisi da parte dei dipendenti delle medesime, occorre rilevare che non vi sia, ancora, una copertura normativa sufficientemente adeguata per favorire o quantomeno incentivare il ricorso al recupero delle aziende in crisi da parte dei dipendenti delle medesime;
    molte aziende, infatti, a causa della crisi che ha interessato il nostro Paese, sono fallite e tanta altre stanno per chiudere: tali fallimenti potrebbero evitarsi se fosse assicurata una più completa conoscenza dello strumento del WBO a favore dei lavoratori, ovvero rimuovendo le difficoltà ad accedere alla comprensione degli strumenti posti a sostegno del recupero della fabbrica in crisi nonché le difficoltà legate all'accesso al credito tramite operazioni di WBO. Altro elemento di criticità è rappresentato dall'investimento a cui, spesso, sono chiamati i lavoratori coinvolti in operazioni di WBO che sono «costretti» ad investire il proprio TFR per generare il capitale sociale iniziale per la costituzione della cooperativa;
    occorre intervenire per creare un quadro normativo unico, omogeneo ed incisivo che possa favorire e potenziare il fenomeno delle imprese recuperate dai dipendenti in base alle seguenti finalità: 1) salvaguardia dei livelli occupazionali favorendo e sostenendo le operazioni di WBO da parte dei lavoratori coinvolti; 2) evitare la perdita ovvero la cessione dei macchinari da parte della vecchia proprietà ovvero della curatela fallimentare che possa vanificare il processo di recupero della fabbrica da parte degli ex dipendenti; 3) semplificazione della comprensione degli strumenti a sostegno dei lavoratori che rilevano aziende fallite e/o in crisi; 4) previsione di idonee agevolazioni ad hoc e nuovi criteri che prevedano l'inclusione anche dei WBO tra i soggetti beneficiari del Fondo di rotazione microcredito per la piccola e media impresa;
    appare evidente che in questa realtà più che in altre risulta di fondamentale importanza l'accesso al credito, non avendo nella maggior parte dei casi i dipendenti grosse disponibilità economica per sopportare i costi per avviare e recuperare l'impresa in crisi,

impegnano il Governo:

   ad adottare ed attivare ogni utile iniziativa finalizzata a promuovere la redazione di un testo che unifichi la normativa in tema di costituzione e agevolazioni per le operazioni di workers buy out e che preveda una semplificazione degli strumenti a sostegno delle cooperative di produzione e lavoro che rilevano aziende fallite e/o in crisi (WBO);
   a prevedere la costituzione e organizzazione di un tavolo tecnico tra rappresentanti del workers buy out, Ministero dello sviluppo economico, Cooperazione finanza e impresa Università e tutti i soggetti interessati finalizzato a favorire, incentivare, promuovere, sostenere e diffondere le operazioni di workers buy out;
   ad assumere iniziative per prevedere l'aumento delle risorse del fondo di rotazione Foncooper istituito dalla legge n. 49 del 1985, concernente provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure per la salvaguardia dei livelli occupazionali;
   ad assumere iniziative per prevedere per i lavoratori che ricorrono ad operazioni di workers buy out forme di co-partecipazione ai finanziamenti, alternative all'investimento del loro trattamento di fine rapporto di lavoro (TFR);
   ad assumere ogni iniziativa normativa volta ad ampliare e modificare la sfera di applicazione dei criteri stabiliti dal fondo di rotazione del microcredito della piccola e media impresa includendovi tra i beneficiari del suddetto fondo anche le società costituite da workers buy out con oltre cinque/dieci dipendenti;
   ad adottare iniziative normative volte a prevedere agevolazioni fiscali anche sui costi energetici per i lavoratori che ricorrono ad operazioni di WBO.
(7-01024) «Ciprini, Vallascas, Cominardi, Tripiedi, Dall'Osso, Chimienti, Lombardi».


   La II Commissione,
   premesso che:
    dopo numerose sollecitazioni, sono stati assegnati di recente, da parte del Consiglio superiore della magistratura, presso il tribunale di Vicenza, nuovi magistrati, e precisamente 6, di cui due con funzioni inquirenti e 4 con funzioni requirenti. Tale nuove nomine consentiranno sicuramente di poter dare un aiuto fattivo alla drammatica situazione in cui versa detto tribunale;
    purtroppo, seppur si stia cercando di sopperire alla carenza strutturale del tribunale di Vicenza con dette nuove nomine, al contrario, come ha ben ricordato il procuratore capo dottor Antonino Cappelleri, durante la cerimonia di insediamento, e come risulta da notizie apparse su quotidiani locali e su diversi siti web, «La giustizia non procede solo con i magistrati, (ho dovuto pescare) anche fra la polizia giudiziaria, per assegnare ai nuovi Pubblici Ministeri del personale di cancelleria. Tutti gli uffici scontano una pesante carenza di organico, che rende complessa l'attività quotidiana. E la coperta, da qualunque parte la si tiri, resta sempre molto corta», mentre, come sempre segnala il procuratore capo, i servizi di cancelleria sono al collasso;
    se i servizi di cancelleria, necessari e prodromici al lavoro dei magistrati, rimanessero nelle condizioni prospettate, tenuto conto anche delle indagini in corso sulla Banca Popolare di Vicenza che probabilmente sfocerà in un ulteriore carico per le cancellerie, si creerebbe un disservizio tale che le nuove nomine di magistrati a poco servirebbero, e un utile nomina e rafforzamento dell'organico dei magistrati verrebbe immediatamente svilita e sarebbe priva, de facto, di effetti utili,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenze per porre rimedio urgente, anche mediante iniziative normative emergenziali, alla situazione di cui in premessa favorendo l'immediata ricostituzione dell'organico degli operatori giudiziari e consentendo alle cancellerie del tribunale di Vicenza di funzionare in modo efficiente ed efficace affinché possa essere svolto in tempi ragionevoli il ruolo che costituzionalmente è assegnato a detti uffici giudiziari.
(7-01025) «Molteni, Busin».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con la sentenza n. 3618 del 24 febbraio 2016, la Corte di Cassazione ha stabilito l'assoggettabilità delle piattaforme petrolifere all'imposta comunale sugli immobili e l'accatastabilità delle stesse nella categoria catastale D/7, confermando così quanto sostenuto dai comuni e risolvendo in senso ad essi favorevole un contenzioso in corso da anni;
    la pronuncia della Corte di Cassazione va, peraltro, oltre il caso specifico oggetto del giudizio, perché afferma princìpi di diritto di estrema importanza, come l'obbligatorietà dell'assoggettamento all'imposta dei fabbricati non iscritti in catasto, indipendentemente dalle eventuali problematiche collegate alla determinazione idei loro valore imponibile;
    secondo la Corte, le piattaforme petrolifere sono soggette all'imposizione stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, alla loro suscettibilità di accatastamento e di produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura; in mancanza di rendita catastale, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella categoria D/7, dovrebbe essere costituita dal valore di bilancio in base al valore «costituito dall'ammontare, al lordo delle quote di ammortamento che risulta dalle scritture contabili»;
    a seguito della citata sentenza, il Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento delle finanze ha emanato la risoluzione n. 3/DF, del 1o giugno 2016, volta a precisare che le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale presentano le caratteristiche di un immobile a destinazione speciale e particolare che le farebbero rientrare, quali impianti, in una delle categorie catastali dei gruppi D ed E, per le quali a partire dal 2016, con l'articolo 1, commi da 21 a 25, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), sono stati dettati nuovi criteri per la determinazione della rendita, che deve essere effettuata tramite stima diretta ad esclusione dei macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo; tuttavia, secondo la medesima risoluzione, i cespiti in argomento non sarebbero oggetto di inventariazione negli atti del catasto, poiché è «l'Istituto idrografico della Marina» e non «l'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali» di cui alla legge 2 febbraio 1960, n. 68, l'organo cartografico dello Stato designato al rilievo sistematico dei mari italiani e per queste ragioni, allo stato attuale, non sarebbe possibile applicare l'Imu e la Tasi sulle piattaforme petrolifere;
    è, invece, del tutto evidente come sussistano i presupposti oggettivi per l'assoggettamento all'imposizione immobiliare delle piattaforme petrolifere, stante la loro riconducibilità al concetto di immobile ai fini civili e fiscali e la loro suscettibilità di accatastamento e al produrre un reddito proprio; pertanto anche il concessionario detentore delle piattaforme petrolifere è soggetto al pagamento dell'imposta, che inerisce al valore del bene e non alla produzione del reddito, in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura; quanto ai criteri per la determinazione della base imponibile del tributo, in mancanza di rendita catastale, data la mancanza di iscrizione in catasto, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella categoria D, è costituita dal valore di bilancio;
    è altresì evidente come sia necessario un intervento legislativo volto a dirimere il contenzioso in essere e scongiurare il rischio di produzione di ulteriori contenziosi, anche alla luce delle recenti modifiche normative introdotte dalla citata legge n. 208 del 2015;

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative volte a uniformare all'orientamento giurisprudenziale consolidato il quadro normativo relativo alla imponibilità delle piattaforme petrolifere ai fini della tassazione immobiliare e, in particolare, a includere le stesse tra gli immobili classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, per i quali il valore è determinato in base al valore costituito dall'ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
(7-01023) «Petrini, Pelillo, Lodolini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 aprile 2016, la Commissaria europea Elżbieta Bieńkowska ha risposto alle interrogazioni E-000010/16 e E-016077/15 presentate presso il Parlamento europeo con le quali si chiedeva di accertare la corretta applicazione della legge della provincia di Trento del 24 ottobre 2006, n. 7, «Legge provinciale sulle cave», in ordine al sistema di rilascio delle proroghe delle concessioni per la coltivazione di cava nel distretto del porfido e delle pietre trentine senza procedere alla relativa gara. La commissaria Bienńkowska ha informato gli interroganti che il 6 maggio 2008 la Commissione ha chiuso la procedura d'infrazione 2006/4251 in seguito all'adozione della succitata legge provinciale n. 7 del 2006, ritenendo che il regime normativo fosse in linea con l'articolo 49 (ex articolo 43) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Ha infine confermato che, conformemente alla normativa dell'Unione europea, l'estensione di un'autorizzazione allo sfruttamento di terreni pubblici concessa a privati senza gara d'appalto va contro la legislazione dell'Unione europea;
   da notizie di stampa si apprende come la menzionata legge provinciale n. 7 del 2006 abbia permesso ai comuni interessati, nel 2010 e nel 2011, la proroga delle concessioni per oltre 18 anni, con casi di proroghe in essere da più di 40 anni («La partita vera: i lotti mai all'asta» di Domenico Sartori – L'Adige, 12 marzo 2002);
   con i tre protocolli d'intesa siglati rispettivamente in data 5 novembre 2009, 16 maggio 2012 e 7 novembre 2012, dalla provincia autonoma di Trento, dalle parti sociali e dai sindaci dei comuni del distretto del porfido del Trentino, senza l'approvazione dei rispettivi consigli comunali, è stata a giudizio dell'interrogante elusa la disposizione contenuta nel comma 5, dell'articolo 33 della legge provinciale n. 7 del 2006, la quale prevede che tra i parametri per concedere la proroga delle concessioni estrattive sono inclusi anche i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione. I predetti protocolli hanno permesso di disattendere la norma provinciale sulla concessione delle proroghe ammettendo la riduzione degli occupati, purché fossero comunque assicurate forme di ammortizzatori sociali e a condizione che tale riduzione fosse per motivate e dimostrabili difficoltà economiche aziendali e previa consultazione-accordo fra le parti sociali e l'amministrazione comunale interessate. Di conseguenza, è stato licenziato circa il 40 per cento degli addetti occupati nel distretto del porfido trentino dal 2005 ad oggi (Dati addetti forniti dal servizio minerario della provincia di Trento: n. 1.495 nel 1990; n. 1.289 nel 1995; n. 1.055 nel 2005; n. 625 nel 2014), assicurando contemporaneamente la proroga pressoché totale delle concessioni in essere. Il meccanismo per il rilascio delle proroghe delle concessioni senza esperimento delle procedure di gara e senza il mantenimento dei livelli occupazionali è stato confermato anche dalle dichiarazioni di stampa dei rappresentanti sindacali che hanno siglato i predetti protocolli («Porfido: “Le vere responsabilità”» di Domenico Sartori, L'Adige, 23 gennaio 2016);
   un'ipotesi di mancato rispetto delle disposizioni del comma 5 dell'articolo 33 della legge provinciale n. 7 del 2006, dal quale si evince che «sulla base del provvedimento di definizione del volume il comune provvede all'aggiornamento delle concessioni e dei relativi disciplinari prevedendo con apposita clausola i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione», è quella, ad esempio, della proroga della concessione alla società Odorizzi Porfidi Srl rilasciata dal comune di Albiano con scrittura privata del 27 agosto 2013 (Allegato A alla concessione atti privati n. 457 dd. 57/8/2013 del lotto cava n. 3 dell'area Montegorsa) e protocollata dal servizio minerario della provincia autonoma di Trento in data 30 settembre 2013 (n. prot. 526519). La scadenza della concessione è stata stabilita in 18 anni a decorrere dall'8 settembre 2011 e pertanto fino all'8 settembre 2029 con eventuale riduzione per non acquisite premialità secondo lo schema allegato alla delibera;
   il contenuto dei citati protocolli d'intesa è stato infine tradotto in un atto normativo con la legge provinciale 30 dicembre 2014, n. 14, avente ad oggetto «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015-2017 della Provincia autonoma di Trento (legge finanziaria provinciale 2015)» la quale ha introdotto il comma 5-bis all'articolo 33 della legge provinciale n. 7 del 2006 regolarizzando così la prassi del regime di deroga avviata con la sottoscrizione dei protocolli d'intesa. Le nuove disposizioni dell'articolo 67 della citata legge provinciale prevedono che la decadenza della concessione per il mancato rispetto dei parametri accordati non si applica per l'ipotesi in cui i livelli occupazionali, in ragione di motivate e dimostrabili difficoltà economiche del concessionario, sono ridotti, previo confronto con le organizzazioni sindacali, rispetto a quelli determinati ai sensi del medesimo comma. In quest'ultimo caso il concessionario comunica tempestivamente al comune la riduzione dei livelli e le ragioni che la giustificano;
   l'approvazione del predetto comma 5-bis ha peraltro reso inefficace il comma 1 dell'articolo 33 della medesima legge provinciale, il quale prevede che «la decadenza può essere dichiarata previa diffida quando la quantità di materiale estratto annualmente dal concessionario è inferiore al 40 per cento della media annua calcolata con riferimento al volume di materiale da coltivare stabilito nel provvedimento previsto dal comma 1». Tali modifiche sembrerebbero essere in contrasto con i provvedimenti adottati originariamente e che hanno permesso la chiusura della menzionata procedura di infrazione n. 2006/4251;
   prima delle elezioni comunali svolte il 15 novembre 2015, con deliberazione n. 43 del 6 novembre 2015, il consiglio del comune di Albiano ha deliberato, ai sensi dell'articolo 12-bis della legge provinciale n. 7 del 2006, di procedere all'unificazione dei lotti cava n. 4, 5 e 6 in località Monte Gorsa assegnati con deliberazioni consiliari n. 82, 81 e 80 rispettivamente alle ditte Odorizzi Giuseppe Srl, Porfidi Paganella Srl — Alliance of Stone e Laite Porfidi Srl e di stabilire che la concessione del nuovo lotto 4/5/6, risultante dall'unificazione dei tre lotti, sarà disposta con decorrenza dall'8 settembre 2011 e data di scadenza della concessione all'8 settembre 2028 con eventuale riduzione dei volumi e nuove date di scadenza per non acquisite premialità secondo lo schema in allegato alla delibera. Tale deliberazione è stata approvata nonostante, nel 2009, la ditta Laite Srl avesse licenziato tutti i dipendenti cessando l'attività di escavazione nel 2009 e senza che il sindaco di Albiano avesse revocato la concessione («Laite “cessa”: dieci licenziati» di Mattia Frizzera — L'Adige, autunno 2009), poi riformulata 6 anni dopo con la delibera consiliare n. 43 d.d. 6 novembre 2015 di riunificazione dei lotti 4-5 e 6 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali eventuali iniziative di competenza si intendano assumere per evitare la riapertura della procedura di infrazione da parte dell'Unione europea e garantire l'osservanza dell'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nelle procedure di concessione per l'estrazione del porfido. (5-08914)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia della lettera del Commissario europeo, Dimitris Avramopoulos, trasmessa al Viminale e che conterrebbe tre punti di contestazione alle politiche migratorie dell'Italia;
   secondo quanto portato dalle fonti di stampi, il documento fa proprie «le preoccupazioni espresse dall'Austria riguardo al potenziale aumento di migranti in provenienza all'Italia e l'importanza dell'essere preparati ad affrontare i flussi migratori provenienti dalla rotta del Mediterraneo centrale. In tale contesto è fondamentale che l'Italia – uno degli Stati membri in prima linea, particolarmente esposto alla rotta del Mediterraneo centrale proveniente dalla Libia – intensifichi gli sforzi già in atto per fornire le condizioni di accoglienza necessarie ai migranti in arrivo e per prevenire le fughe» e non esclude che sui centri di identificazione ed espulsione possa essere avviata una procedura di infrazione;
   in particolare, critiche forti sono arrivate da Avramopoulos sulle strutture: «Pur riconoscendo il forte impegno dell'Italia, un gran numero di sbarchi avvengono al di fuori dei punti di crisi (hotspot), e i previsti gruppi mobili addetti ai punti di crisi non sono ancora operativi. È quindi importante predisporre i punti di crisi supplementari in Sicilia. Per quanto riguarda il rimpatrio e la riammissione, l'attuale capacità ricettiva dei centri di trattenimento chiusi è chiaramente insufficiente e deve essere ampliata rapidamente. Occorre inoltre predisporre urgentemente un nuovo programma di rimpatrio volontario assistito»;
   tale notizia arriva nel giorno in cui anche la Commissione europea ha decretato ufficialmente il fallimento del piano di ricollocamento dei profughi giunti nel nostro Paese e in Grecia: a fronte dei 20 mila profughi da ricollocare entro metà maggio, Italia e Grecia sarebbero riusciti a trasferirne appena 1.500 e dal nostro Paese sarebbero partiti solo 595 stranieri, di cui 24 bambini;
   il «muro» austriaco sancisce irrimediabilmente, se mai ce ne fosse stato bisogno, il fallimento delle politiche migratorie dell'Esecutivo, che in questi anni ha cercato solo di minimizzare il problema, affrontandolo con incredibile superficialità: se l'Austria chiuderà i confini, l'Alto Adige rischia di trasformarsi in un gigantesco hotspot di immigrati;
   ai primi di gennaio 2016 sei Stati, confinanti con l'Italia hanno sospeso unilateralmente l'applicazione dei trattati sulla libera circolazione, hanno blindato perciò le proprie frontiere ai flussi immigratori mediorientali e mediterranei, hanno riattivato i controlli di documenti alle frontiere con l'Italia, isolandola e abbandonandola in balia alle masse extracomunitarie;
   oltre al danno anche la beffa, perché oggi l'Italia, pur non avendo mai messo in discussione il trattato di Schengen, rischia di pagare da sola le colpe di tutta l'Europa e dei suoi Stati, da sempre incerti nel mettere a punto una chiara e definitiva politica comune sulle migrazioni;
   ferme restando le responsabilità dell'Europa, chiare ad avviso dell'interrogante sono le colpe del Governo italiano, reo di aver agevolato il processo immigratorio indiscriminato nel nostro Paese e la prosecuzione dell'afflusso delle masse nei Paesi confinanti e il rischio di infiltrazioni terroristiche dell'Isis ha incoraggiato gli sbarramenti nei confronti delle frontiere italiane;
   nonostante le dichiarazioni di rassicurazione del Governo, è ormai innegabile che l'Italia è isolata a livello internazionale e su ogni fronte dell'Unione, su quello della politica economica e finanziaria, del contrasto al terrorismo di matrice islamica, della politica immigratoria, per limitarsi ai fronti più attuali –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per scongiurare l'apertura di una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea e gestire seriamente l'emergenza migranti che sta travolgendo, in particolare, il nostro Paese;
   quali urgenti iniziative si intendano adottare nell'ipotesi in cui siano ravvisabili profili di responsabilità per il mancato rispetto della normativa europea a carico dei dirigenti ministeriali preposti al settore. (4-13500)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 12 giugno 2016 dal quotidiano Il Fatto quotidiano, il nuovo codice degli appalti e delle concessioni, relativo a lavori, servizi e forniture approvato nell'aprile 2016 e che prevede un riordino delle discipline di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, emanato in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, contiene, nel complesso, un impianto normativo, fragile e precario sotto il profilo delle misure di contrasto ai fenomeni di corruzione;
   al riguardo, il suesposto quotidiano, riporta una serie di considerazioni di un docente universitario esperto in materia, che condivide le preoccupazioni espresse dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, il quale recentemente ha evidenziato come il quadro regolatorio del nuovo codice degli appalti, sia estremamente debole sul fronte delle misure di contrasto alla corruzione;
   lo scetticismo evidenziato dal professore di scienza della politica dell'Università di Pisa, si rinviene dal fatto che a suo giudizio, negli appalti pubblici, la corruzione può esserci prima dell'aggiudicazione, durante la gara o dopo, nell'esecuzione, ed inoltre aggiunge il medesimo esperto, in questi anni le norme sono cambiate tante volte, ma i protagonisti di questa corruzione sistemica hanno tuttavia sempre trovato il modo di adattarsi alle nuove regole per proseguire i loro affari;
   nello specifico, si evidenzia inoltre che l'ampliamento del criterio della cosiddetta offerta economicamente più vantaggiosa (rapporto qualità/prezzo), con simmetrica riduzione degli spazi per il massimo ribasso, (ben oltre le indicazioni delle direttive Ue recepite col codice), risulta altamente pericoloso nell'ambito dei fenomeni corruttivi in grado di manifestarsi;
   il massimo ribasso, prosegue il quotidiano in precedenza richiamato, appare da sempre criticato in quanto usare il prezzo come unico criterio per aggiudicare un appalto, significa creare le condizioni affinché le imprese che violano le regole (evadendo le tasse, usando lavoratori irregolari, riciclando denaro) possano battere quelle che invece le rispettano;
   l'articolo 95 del codice degli appalti inoltre, (che stabilisce i criteri di aggiudicazione) indica che per tutti i lavori sotto un milione di euro si può continuare a utilizzare la regola del «minor prezzo», ovvero del massimo ribasso e anche per «i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate (o le cui condizioni sono definite dal mercato)»; conseguentemente, prosegue l'articolo di stampa in oggetto, quasi l'80 per cento dei contratti seguiranno quindi le vecchie regole;
   ulteriori profili di criticità che emergono dalle considerazioni del docente universitario, in merito al nuovo codice degli appalti, si rinvengono dal nuovo metodo della «offerta economicamente più vantaggiosa» che prevede «criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all'oggetto dell'appalto»; tali criteri oggettivi, in realtà, possono però offrire altre opportunità di corruzione, in quanto ci sono dei bandi che non si basano sul prezzo, ma solo sulla qualità, che sembrano scritti apposta per alcune imprese;
   al riguardo, è sufficiente assegnare punteggi in base all'entità del fatturato o all'esperienza, come si evince ad esempio nel settore della sanità;
   le suesposte osservazioni, a giudizio dell'interrogante, evidenziano una serie di perplessità in merito agli effetti che le linee guida attuative del nuovo codice degli appalti e delle concessioni, possono determinare sul tessuto socioeconomico del Paese, con specifico riferimento alla corruzione;
   porre in essere elementi di chiarezza sulle criticità in precedenza richiamate, a parere dell'interrogante, risulta urgente ed indispensabile, in considerazione dell'importanza che riveste la normativa sull'economia nazionale –:
   quali orientamenti il Governo, intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se il Governo condivida le osservazioni di criticità espresse sia dal presidente dell'Associazione nazionale magistrati, e sostenute anche dal docente universitario in precedenza richiamato, che rilevano una serie di elementi gravi e distorsivi all'interno dell'impianto normativo concernente le linee guida attuative del nuovo codice degli appalti e delle concessioni;
   in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di apportare modifiche al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo codice degli appalti pubblici e delle concessioni, che necessita peraltro di circa cinquanta decreti attuativi, indispensabili per garantire piena operatività delle norme. (4-13505)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le disposizioni della legge della provincia del 4 agosto 2015, n. 15, «Legge provinciale per il governo del territorio», all'articolo 9 «Commissione edilizia comunale» prevedono che: «1. I comuni istituiscono la commissione edilizia comunale (CEC), quale organo tecnico-consultivo in materia edilizia. Il regolamento edilizio, fatte salve le previsioni espressamente dettate da questa legge, ne determina la composizione, le modalità di funzionamento e individua gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica soggetti al suo parere. La CEC esercita l'attività di consulenza tecnica con particolare attenzione al tema della qualità architettonica degli interventi, verificandone la coerenza con i caratteri del contesto in cui sono collocati. 2. Nel disciplinare la composizione della CEC il regolamento edilizio comunale rispetta le seguenti condizioni, in particolare: a) il sindaco o l'assessore all'urbanistica è componente della commissione e la presiede; (...) c) non possono essere nominati componenti della commissione consiglieri o assessori comunali, fatta eccezione per gli assessori competenti in materia di urbanistica ed edilizia;
   il Consiglio di Stato, con il parere n. 2447 del 13 giugno 2003, ha ritenuto che a seguito dell'evoluzione legislativa la presenza di organi politici nella commissione edilizia, deputata a pronunciarsi su richiesta di autorizzazioni e concessioni edilizie, non è più consentita dall'assetto normativo attuale e che, qualora tale presenza sia espressamente prevista da regolamenti comunali, gli enti locali dovranno provvedere alle necessarie modifiche;
   la circolare del 27 aprile 2005 n. 1/2005 prot. n. 1599/499/L.142/1 BIS/F del Ministero dell'interno, dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale per le autonomie, avente per oggetto «quesiti in merito alla composizione della commissione edilizia comunale e all'organo competente a promuovere le liti e a costituirsi in giudizio per gli Enti Locali», ha rilevato che le incertezze interpretative in riferimento alla composizione della commissione edilizia possano ritenersi superate a seguito dell'orientamento assunto dalla commissione speciale del Consiglio di Stato con il citato parere n. 2447 del 2003 con il quale è stata finalmente chiarita l'inammissibilità e l'illegittimità della partecipazione ad organi tecnici di figure politiche, con il conseguente obbligo per gli enti locali di inserire nei rispettivi regolamenti, le necessarie modificazioni;
   il TAR, Piemonte, sez. I, con la sentenza 23 marzo 2005 n. 657 ha statuito che, seppure la commissione edilizia abbia perso, a seguito delle innovazioni introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001), il suo carattere di organo necessario ex lege – potendo oggi scegliere gli enti locali se conservarla o sopprimerla –, laddove si sia optato per la persistenza di tale organo, l'effettiva espressione di un parere da parte di una commissione illegittimamente composta da soggetti politici, in violazione del generale principio di separazione delle funzioni politiche da quelle amministrativo-gestionali (principio che ha portata generale ed è per ciò stesso insuscettibile di eccezioni che non siano espressamente previste dalla legge), inficia di conseguenza gli atti successivi del procedimento e travolge la legittimità del provvedimento finale;
   la legge della provincia autonoma di Trento sopra menzionata, a giudizio dell'interpellante introdurrebbe una norma in evidente contrasto con il principio generale della netta separazione fra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo (proprie degli organi politici e di governo) e di quelle di gestione (proprie dei dirigenti) particolarmente utile e necessario proprio nei piccoli comuni, peculiari della provincia autonoma di Trento, dove l'ingerenza, se non la pressione, esercitata dai politici sui funzionari e dirigenti, è certamente più forte e frequente che altrove;
   la distinzione tra atti di indirizzo politico-amministrativo e atti di gestione costituisce un principio generale dell'ordinamento giuridico che, ad avviso dell'interpellante, appare ascrivibile alla materia di competenza esclusiva dello Stato, «ordinamento civile», di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione;
   la citata legge provinciale, inoltre, con l'attribuire al sindaco e agli assessori le predette funzioni, nell'ambito della commissione edilizia comunale, a giudizio dell'interpellante invade altresì l'ambito riservato dall'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera p), alla legislazione esclusiva dello Stato in materia di «organi di Governo e funzioni fondamentali di Comuni, province e città metropolitane» –:
   se il Governo intenda deliberare l'impugnativa dell'articolo 9 della legge della provincia autonoma di Trento 4 agosto 2015, n. 15, con il quale è stata confermata la presenza dei sindaci a presiedere le commissioni edilizie e degli assessori competenti in materia di urbanistica ed edilizia in qualità di componenti della stessa. (4-13509)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso:
   le disposizioni della legge della Provincia Autonoma di Bolzano del 19 maggio 2015, n. 6 «Ordinamento del personale della Provincia», salvo quanto diversamente disposto con legge provinciale o sulla base della stessa, trovano applicazione per il personale della Provincia e degli enti pubblici da essa dipendenti o il cui ordinamento rientra nella competenza legislativa propria o delegata della Provincia;
   il comma 3 dell'articolo 3 della legge menzionata prevede, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, che l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse e che non costituisce assegnazione di mansioni superiori l'attribuzione di alcuni soltanto dei compiti propri delle mansioni stesse. Tale normativa, senza peraltro specificarne il rango, regolerebbe delle ipotesi di assegnazione di personale a mansioni di rango superiore, concretando una modificazione temporanea del contenuto della prestazione lavorativa;
   il comma 4, articolo 3 della legge recita: «La disciplina del trasferimento di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile si applica anche nel caso di passaggio di personale degli enti di cui all'articolo 1 a società o enti privati, per effetto di norme di legge, di regolamento o norme contrattuali, che attribuiscono agli stessi le funzioni o parte delle funzioni esercitate dagli enti di appartenenza. In tali casi vengono sentite le organizzazioni sindacali rappresentative a livello di comparto»;
   il capo V della legge rubricato «Diritti sindacali» interviene sui diritti sindacali e sui rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile come la contrattazione collettiva in merito a partecipazione sindacale, diritti e rappresentatività sindacale, regolamentazione di assemblee, organi, congedi e permessi sindacali ed esercizio del diritto di sciopero;
   la sentenza della Corte Costituzionale n. 221/2012 riconosce che sia il diritto del lavoro, per ciò che riguarda i rapporti intersoggettivi tra datore di lavoro e lavoratore, che il diritto sindacale, cioè quella parte del diritto del lavoro che concerne il sistema di norme strumentali poste dallo Stato o dalle stesse organizzazioni di lavoratori o imprenditori che nelle economie di mercato disciplinano la dinamica del conflitto di interessi e quindi del rapporto intersoggettivo, derivante dall'ineguale distribuzione dei poteri nei processi produttivi, rientrerebbero nella disciplina dell'ordinamento civile e come tali appartenenti alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del riformato articolo 117 della nostra Costituzione;
   la legge della provincia autonoma di Bolzano del 19 maggio 2015, n. 6 introduce una regionalizzazione del diritto del lavoro e sindacale, intervenendo in materia di competenza esclusiva dello Stato, in contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione –:
   se il Governo intenda deliberare l'impugnativa della legge della provincia autonoma di Bolzano, 19 maggio 2015, n. 6 «Ordinamento del personale della Provincia», con particolare riferimento ai commi 3 e 4 dell'articolo 3 e del Capo V, per contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione. (4-13510)


   ANDREA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2016, su richiesta dalle forze politiche d'opposizione, si è tenuta una seduta straordinaria del consiglio comunale di Ravenna per discutere del futuro del porto e per chiedere conto al sindaco delle modalità con cui in data 2 marzo 2016, avesse saputo in anticipo, rispetto alla formale notifica del provvedimento ministeriale all'autorità interessata, dell'avvenuto commissariamento dell'ente portuale, dandone, addirittura comunicazione alla stampa locale;
   nella stessa seduta, il sindaco e il vicesindaco, alla presenza del commissario straordinario e del segretario generale dell'autorità portuale, hanno affermato che sarebbe intendimento del comune portare avanti un progetto di approfondimento sui fondali, che sono in corso di studio e mirato alla realizzazione di alcuni punti fondamentali tra i quali l'utilizzazione, ai fini della collocazione dei materiali di dragaggio, delle aree di logistica 1 (di proprietà Sapir Spa), di impianti di trattamento di futura realizzazione, di cave con caratteristiche compatibili, di altre aree di logistica portuale. A completamento dell'informativa il vicesindaco ha precisato che «Fu chiesto alla Sapir, fin dal 1994, di sottrarre aree alla sua attività per destinarle alla realizzazione di casse di colmata, perché esse hanno da sempre rappresentato (e rappresentano tuttora) l'unica possibilità, a impatto limitato per il territorio, di garantire una destinazione ai materiali provenienti dai dragaggi e la possibilità per il porto di procedere ai dragaggi stessi»;
   nell'informativa venivano omesse le informazioni sulle inchieste in corso da parte della procura della Repubblica di Ravenna sulle casse di colmata su aree di proprietà Sapir Spa (società a maggioranza pubblica) e sull'area di Logistica 3, di proprietà della cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna;
   da notizie pubblicate sulla stampa locale, si è infatti appreso che, durante i primi mesi del 2015, la procura della Repubblica di Ravenna ha avviato un'inchiesta sulla situazione delle casse di colmata del porto di Ravenna, trasformate in vere e proprie «discariche abusive», le cui indagini preliminari sono state chiuse di recente. Allo stato attuale, risulterebbero indagati i vertici della Sapir Spa, della Cmc di Ravenna Spa, e dell'autorità portuale di Ravenna. L'ipotesi di reato sarebbe quella di cui all'articolo 256 del decreto-legge n. 152 del 2006 (norme in materia ambientale), per avere realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da fanghi di dragaggio all'interno delle casse di colmata esistenti nel porto di Ravenna su aree di proprietà della Sapir Spa. In pratica, sarebbero stati depositati a più riprese negli anni, da quando esiste l'autorità portuale e fino al 2011, i materiali di dragaggio del porto attraverso le cosiddette «autorizzazioni R13», per la messa a riserva, in attesa del loro recupero, con bonifica dei siti utilizzati. Le autorizzazioni sarebbero poi scadute senza che si sia provveduto alla rimozione dei materiali;
   sempre da notizie ricavate dalla stampa locale, nelle ultime settimane, emergerebbe altresì che le suddette autorizzazioni R13 non sarebbero state corredate, alla data del loro rilascio da parte della provincia di Ravenna, delle garanzie prescritte dalla normativa in materia ambientale;
   durante una conferenza stampa del 23 dicembre 2015, l'allora presidente dell'autorità portuale Di Marco aveva pubblicamente fatto riferimento a soluzioni per cui le casse esistenti, anche in ragione dei provvedimenti assunti dall'autorità giudiziaria, non sarebbero più state utilizzate nell'ambito del progetto hub portuale di Ravenna, già approvato dal Cipe con deliberazione n. 98 del 29 ottobre 2012; di tale decisione erano state informate le strutture ministeriali competenti ed era inoltre annunciato che il Ministro interrogato era informato della situazione e che lo stesso, in ragione della conclamata necessità di rivedere i contenuti del progetto, aveva addirittura promosso la costituzione di un apposito tavolo tecnico al fine di superare le problematiche insorte. Inoltre, è stato rappresentato alla pubblica opinione che erano stati avviati i necessari contenziosi contro i proprietari delle autorizzazioni R13, tutte intestate alla Sapir SpA ed alla CMC di Ravenna;
   nel corso della tessa conferenza stampa, l'ingegner Di Marco aveva anche dato conto dell'onerosità, per l'autorità portuale, del sistema da anni utilizzato nel porto di Ravenna per il deposito dei materiali di dragaggio, implicante il pagamento di cospicui affitti (a prezzi di mercato) alla Sapir Spa per la disponibilità di aree che, un tempo, appartenevano al demanio pubblico (e che, attraverso il conferimento dei beni da parte degli azionisti pubblici di Sapir, sono state, di fatto, privatizzate). Rappresentò la situazione paradossale dell'autorità portuale di Ravenna, unica in Europa a possedere solo banchine e non anche aree su cui realizzare casse di colmata o da dare in concessione a privati;
   anche in relazione alle indicazioni ricevute dalle strutture ministeriali e, poi, dal tavolo tecnico istituito dal Ministro interrogato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su richiesta degli enti locali ed in particolare del sindaco di Ravenna (tutti azionisti della Sapir Spa), l'autorità portuale aveva ipotizzato diverse soluzioni di rimodulazione del progetto hub portuale di Ravenna, prevedendo o la realizzazione di casse di colmata a mare, da localizzare all'interno delle dighe foranee, oppure la realizzazione di vasche di sedimentazione temporanee da localizzare in zona retroportuale (in conformità al PRP vigente) su aree di proprietà Sapir, da acquisire mediante esproprio, al fine di realizzare, successivamente, nuove infrastrutture portuali;
   l'autorità portuale di Ravenna, sotto la presidenza di Di Marco, ha dunque lavorato a diverse soluzioni di «rimodulazione» del progetto hub portuale di Ravenna, culminate poi nelle tre presentate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e rese pubbliche il 9 febbraio 2016, fornendone gli elaborati salienti anche alle competenti commissioni comunali ed ai consiglieri che ne avevano fatto richiesta. In tutte le soluzioni era previsto l'esproprio di alcune aree della Sapir Spa;
   le istituzioni locali, che hanno sempre partecipato alle riunioni del comitato portuale e della conferenza di servizi, condividendo e approvando le posizioni assunte, sono state anche costantemente informate da Di Marco sull'esito dei confronti avuti con le strutture tecniche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché con il consiglio superiore dei lavori pubblici sulle possibili soluzioni di rimodulazione del progetto hub; rimodulazione che, comunque, sarebbe dovuta essere oggetto di apposita conferenza di servizi con la partecipazione delle stesse amministrazioni e istituzioni presenti alla conferenza di servizi sul progetto preliminare poi approvato dal Cipe;
   tuttavia, il 21 ottobre 2015, dopo la riunione del comitato portuale, il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, il presidente della provincia, Claudio Casadio, il presidente della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Ravenna, Natalino Gigante e il consigliere regionale, Gianni Bessi, hanno dato alla stampa un comunicato nel quale delegittimavano il presidente Di Marco ed il progetto stesso di rimodulazione. La Giunta ha ufficializzato durante la seduta della commissione consiliare del 5 novembre 2015 la sua contrarietà alla realizzazione delle «vasche a mare in avamporto», ovvero all'intervento rispetto al quale l'amministrazione comunale si era espressa con formale parere favorevole sia nell'ambito dell'apposita conferenza di servizi, sia in sede di comitato portuale;
   alla scadenza dell'incarico, intervenuta in data 2 marzo 2016, l'ingegner Di Marco non è stato confermato nel ruolo del presidente dell'autorità portuale, nonostante il fatto che, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 84 del 1994 sarebbe stata possibile la sua riconferma per una sola volta;
   in concomitanza con la scadenza dell'incarico dell'ingegner Di Marco, sempre il 2 marzo 2016, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 52, è stato nominato «commissario straordinario» dell'autorità portuale di Ravenna il contrammiraglio Giuseppe Meli, con incarico non superiore a mesi sei, con conferimento allo stesso dei «poteri e attribuzioni del Presidente indicati dalla legge 84/94 e s.m.i.»;
   la nomina del commissario straordinario è arrivata sorprendendo l'intera comunità ravennate, dato che la riconferma dell'ingegner Di Marco era da tutti data per scontata poiché, nei tre mesi antecedenti la scadenza, non era stata attivata la procedura prevista dall'articolo 8, comma 1, della legge n. 84 del 1994, né era stato perfezionato alcun atto di intesa tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Emilia Romagna. Al contempo, per effetto del contestuale atto di nomina del commissario straordinario, è stata pure negata l'operatività dell'istituto della «prorogatio» prevista dalla legge n. 444 del 1994, che viene di regola attivato per il tempo necessario a consentire il perfezionamento della procedura concertativa tra le parti interessate, al fine di garantire la continuità della gestione amministrativa di un ente. Il ricorso a tale legge, avrebbe consentito la presenza di Di Marco come presidente non solo per i 45 giorni di prorogatio, ma in alternativa nel ruolo di commissario per un periodo di 6 mesi, così come avvenuto in altri porti italiani (Livorno, Piombino, Bari, Civitavecchia). Se i fatti fossero andati così, secondo l'interrogante, nei sei mesi di commissariamento il presidente Di Marco avrebbe potuto portare a termine il complesso lavoro di «rimodulazione» del progetto hub portuale di Ravenna, evidentemente osteggiato dagli enti locali, anche per la presenza di soluzioni progettuali incidenti sfavorevolmente sugli interessi di Sapir Spa di cui gli stessi enti risultano azionisti di maggioranza;
   interrogato sulla vicenda e sulle motivazioni che hanno portato alla sostituzione dell'ingegner Di Marco, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ha mai dato risposte concrete né informali, né formali ad esempio all'interrogazione a risposta scritta 4-12391 presentata dall'interrogante il 7 marzo 2016. Soltanto in una nota trasmissione televisiva (Otto e Mezzo su La7) in data 8 aprile 2016 è stato rappresentato dal Ministro interrogato che «in alcuni porti, come Ravenna, si è cambiato il presidente uscente per la eccessiva litigiosità con gli enti locali ed in particolare con il sindaco (...) io cerco di aiutare i sindaci...». Ora, al di là del fatto che, per l'interrogante, un Ministro della Repubblica dovrebbe rispondere in Parlamento e non in una trasmissione televisiva, ci si chiede se il Ministro interrogato sia mai entrato nel merito dei motivi di questa presunta litigiosità. E ci si chiede anche che cosa sarebbe successo se il comune di Ravenna fosse stato amministrato da un partito diverso dal PD, come ad esempio è avvenuto a Livorno dove il sindaco del MoVimento 5 Stelle, ingegner Filippo Nogarin, chiedeva la sostituzione del presidente uscente, dottor Luciano Gallanti, dopo aver fatto due mandati pieni al porto di Genova, ed il Ministro interrogato ha deciso di confermare come commissario straordinario proprio lo stesso Gallanti;
   nella complessa ed incerta situazione scaturita a seguito della mancata riconferma del presidente Di Marco, si è pure appreso, sempre dalla stampa locale, che, a seguito di una lettera formale inviata al sindaco di Ravenna da due consiglieri comunali, del MoVimento 5 Stelle e della Federazione della Sinistra, la Sapir Spa, a qualche settimana dalla scadenza del Piano Operativo Comunale (cosiddetto «POC Logistica») del comune di Ravenna, avrebbe chiesto al comune stesso l'avvio della procedura di approvazione di piani urbanistici attuativi (riferiti alle aree Trattaroli Destra e Logistica 1), relativamente a localizzazioni già interessate dalla realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna ed alcune delle quali sequestrate dalla procura della Repubblica di Ravenna;
   dalla documentazione fornita dal comune di Ravenna ai due consiglieri sopra citati, si evince che l'autorità portuale di Ravenna, ora gestita dal commissario straordinario, contrammiraglio Giuseppe Meli, ha concesso formale attestazione di compatibilità tecnica in merito all'area Trattaroli Destra, proprio quella sequestrata dalla procura, con ciò consentendo alla Sapir Spa di poter presentare entro il termine del 30 marzo 2016 il PUA relativo al Comune di Ravenna;
   Sapir Spa ha poi presentato al comune di Ravenna:
    in data 25 marzo 2016 il P.U.A. Logistica 1 il cui procedimento prima era stato rigettato e poi sospeso proprio in presenza del vincolo preordinato all'esproprio apposto con l'approvazione del progetto preliminare dell’hub portuale di Ravenna da parte del Cipe;
    in data 29 marzo 2016, con allegato l'assenso suddetto dell'autorità portuale, il Piano urbanistico attivo (PUA) Trattaroli Destra, in merito al quale il comune ha comunicato che gli «uffici stanno provvedendo alla pre-istruttoria entro i 60 giorni dalla presentazione ai sensi dell'articolo 16 delle norme del POC, Piano Operativo Comunale»;
   la Sapir motiva il suo intervento con il fatto che proprio l'autorità portuale, che aveva presentato al Cipe il progetto preliminare nel 2012, aveva previsto di realizzare un intervento (il nuovo Terminal Container) proprio nell'area Trattaroli Destra e dichiara che l'intervento verrebbe realizzato ad una quota più alta (+4 metri sul livello del mare) della precedente (che era 3,50 metri sul livello del mare), il che consentirebbe il recupero del materiale già presente, mentre la quota del materiale in esubero verrebbe allontanata (presumibilmente verso la Logistica1 se il P.U.A. relativo a quest'ultima venisse autorizzato);
   sulla scorta di quanto sopra esposto, risulta all'interrogante equivoco il tempismo con il quale Sapir ha inoltrato la domanda, poiché sia il POC, sia il POC Tematico Logistica scadevano il 30 marzo 2016, data oltre la quale il comune non avrebbe più potuto accogliere domande o istanze relative a P.U.A.; per l'interrogante andrebbe inoltre valutato ciò alla luce del fatto che l'eventuale periodo di «prorogatio» che avrebbe potuto essere riconosciuto all'ex presidente Di Marco sarebbe scaduto il 15 aprile 2016, cioè dopo la scadenza dei due POC suddetti;
   va inoltre rilevato che il sindaco e altri esponenti di enti locali, oltre che il presidente di Confindustria Ravenna, dottor Giulio Ottolenghi, tutti azionisti della Sapir Spa, della quale il dottor Ottolenghi è anche consigliere di amministrazione si sono adoperati per esautorare il presidente Di Marco;
   i fatti sin qui descritti fanno emergere il più che fondato sospetto per l'interrogante che la non riconferma del presidente Di Marco sia da ricondurre a circostanze non direttamente riferibili ai – peraltro notevoli – risultati della sua gestione economica ed amministrativa dell'autorità portuale di Ravenna, quanto piuttosto alla volontà di portare a compimento soluzioni progettuali che avrebbero potuto rivelarsi, per l'interrogante incompatibili con gli interessi economici di Sapir Spa, di cui gli enti locali sono azionisti di maggioranza;
   il quadro che emerge a Ravenna fa sorgere interrogativi e preoccupazioni per l'interesse pubblico, essendo fatto notorio quanto è emerso in circostanze simili ad Augusta, in riferimento alla locale autorità portuale;
   preoccupante, infine, appare la situazione per la realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna, della cui procedura di approvazione, da mesi, non si ha più notizia: lontanissima appare la speranza di dragare finalmente il porto e rilanciare un comparto economico di vitale importanza per la città;
   sussiste il rischio concreto di perdere i 240 milioni di euro di finanziamenti vari che, proprio grazie all'azione dell'ormai ex presidente Di Marco, erano stati resi disponibili in particolare sia dal Cipe (60 milioni di euro), sia dalla BEI (120 milioni di euro); non è chiaro come sarà utilizzato l'avanzo record (62 milioni di euro) che Di Marco ha lasciato, come risulta dal bilancio 2015 approvato dal comitato portuale di fine aprile 2016 presieduto dal commissario straordinario –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e a che punto sia l’iter di realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna, anche alla luce delle inchieste della procura della Repubblica di Ravenna, in particolare sulle casse di colmata su aree di proprietà Sapir e sull'area di logistica 3 di proprietà della CMC di Ravenna;
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché, nel rispetto della normativa vigente, sia sbloccata la situazione relativa alla realizzazione del progetto e non vengano dispersi finanziamenti vitali per l'economia ravennate;
   di quali elementi disponga circa i contenziosi avviati dal presidente pro tempore Di Marco contro la Cmc di Ravenna e la Sapir Spa e cosa abbia fatto in proposito il commissario straordinario nominato dal Ministro interrogato;
   se trovi conferma quanto pubblicato dal Secolo XIX in data 27 maggio 2016 e cioè che il nuovo presidente dell'autorità portuale di Sistema del Medio Adriatico, di Ravenna, sarà l'ex presidente della provincia di Ravenna, dottor Claudio Casadio, suocero del candidato sindaco del PD alle elezioni comunali, Michele De Pascale. (4-13516)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare recante le cosiddette «procedure semplificate» per la gestione dei rifiuti, al punto 12.16 (fanghi di trattamento acque reflue industriali) include tra la «tipologia» dei rifiuti provenienti da industria chimica, automotoristica, petrolifera, metalmeccanica, petrolchimica, metallurgica e siderurgica anche il rifiuto identificato nel catalogo europeo dei rifiuti al codice 06 15 03;
   in realtà il CER 06 15 03 non esiste nel catalogo europeo dei rifiuti, né è mai esistito neppure in ogni sua precedente versione;
   nel catalogo europeo dei rifiuti risulta invece il CER 06 05 03 corrispondente alla descrizione «fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui al punto 06 05 02», e assolutamente pertinente con gli altri di cui al citato punto 12.16;
   appare chiaro che nell'atto di redazione del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, è stato compiuto un palese errore materiale: anziché il CER 061503 si sarebbe dovuto indicare il CER 060503;
   ad oggi non risulta che siano stati adottati atti correttivi dell'errore e pertanto le imprese, che pure hanno l'iscrizione al recupero semplificato per la tipologia 12.16 del citato decreto ministeriale 5 febbraio 1998 e che sono tecnicamente in grado di accogliere nei propri impianti il rifiuto «fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui al punto 060502» (CER 060503), non possono in realtà accettarlo non essendo a ciò formalmente autorizzate;
   in sostanza, un mero errore formale comporta un forte pregiudizio ad attività economiche indirizzate al recupero di materia che per trattare quel rifiuto dovrebbero ricorrere all'autorizzazione ai sensi degli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006, con rilevanti oneri istruttori, prestazione di garanzie finanziarie e altro;
   appare perciò opportuno un intervento correttivo del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per eliminare l'errore relativo al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato e se intenda porvi con urgenza rimedio. (5-08916)


   MATARRESE, MONCHIERO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e3del mare, nel corso dell'audizione di marzo 2016 in VIII Commissione alla Camera dei deputati, ha illustrato lo stato delle procedure di infrazione europee in materia ambientale di particolare rilevanza per il nostro Paese;
   in particolare, nel corso dell'audizione, il Ministro ha fatto specifico riferimento alle tre procedure di infrazione inerenti al trattamento delle acque reflue per due delle quali la Corte di giustizia europea ha già formulato un primo pronunciamento di condanna;
   la direttiva 91/271/CEE attiene alla raccolta, al trattamento e allo scarico delle acque reflue generate da agglomerati urbani e da alcuni settori industriali, prevedendo che tutti gli agglomerati al di sopra dei 2.000 abitanti equivalenti siano provvisti di rete fognaria e impianti depurativi, indicando modalità e tempi di adeguamento in funzione del carico generato e dell'area di scarico (in area sensibile o meno);
   nonostante l'impegno e i progressi ottenuti nel corso degli anni da parte delle amministrazioni, che hanno consentito a vaste e significative aree territoriali di dotarsi dei requisiti infrastrutturali richiesti, permangono tuttavia ancora oggi diverse aree, specialmente nel Mezzogiorno, caratterizzate da evidenti ritardi di adeguamento nel settore depurativo;
   tra le regioni interessate dalle citate procedure di infrazione vi è la regione Puglia;
   con specifico riferimento alla procedura d'infrazione 2004/2034, che riguarda ad oggi 81 agglomerati con carico generato maggiore di 15.000 abitanti equivalenti e scarico in area normale, la regione Puglia conta 4 agglomerati in infrazione;
   con specifico riferimento, invece, alla procedura di infrazione 2009/2034 in materia idrica, che riguarda ad oggi 34 agglomerati con carico generato maggiore di 10.000 abitanti equivalenti e scarico in area sensibile, la regione Puglia conta 2 agglomerati in infrazione;
   con specifico riferimento, infine, alla procedura di infrazione 2014/2059, già oggetto di parere motivato da parte della Commissione europea e che riguarda 817 agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti, la regione Puglia conta 27 agglomerati in infrazione;
   secondo quanto si evince dal rapporto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la delibera n. 60 del 30 aprile 2012, il CIPE ha assegnato alle regioni Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna un miliardo e 776 milioni di euro circa per la realizzazione di 183 interventi per la raccolta e la depurazione delle acque reflue urbane. Questi interventi hanno rilevanza strategica, anche perché possono consentire all'Italia di uscire dalle procedure di infrazione in materia di trattamento delle acque reflue urbane;
   per consentire la realizzazione degli interventi sono stati sottoscritti accordi di programma quadro rafforzati tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico e le regioni. In particolare, l'accordo di programma quadro per la Puglia è stato siglato il 27 marzo 2013 e riguarda interventi sulle reti fognarie –:
   quale sia lo stato di avanzamento degli interventi previsti dall'accordo di programma quadro per la regione Puglia, quali siano gli interventi conclusi, quali siano i tempi previsti per la conclusione di tutti i lavori programmati e se sussistano particolari elementi ostativi al completamento degli stessi. (5-08917)


   TERZONI, CIPRINI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI, GALLINELLA, CHIMIENTI, LOMBARDI, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Rocchetta spa con socio unico, con sede legale in Roma via Saverio Mercadante n. 22, è titolare di una concessione di acqua minerale denominata «Rocchetta» su una superficie di ettari 208 in comune di Gualdo Tadino (Perugia);
   il 12 dicembre 2014 la società ha presentato alla regione Umbria una istanza di proroga della concessione mineraria per acqua minerale denominata «Rocchetta» in comune di Gualdo Tadino (Perugia) con scadenza al 2022 e per altri 25 anni;
   in data 31 marzo 2015 la medesima società, in un contesto di potenziamento, modernizzazione, crescita aziendale e affermazione del marchio sul mercato nazionale ed internazionale, presentava una integrazione all'istanza di proroga del dicembre 2014, indicando un incremento dei prelievi pari a 30 l/s (trenta litri/secondo) medi annui dalle captazioni «Rocchetta» a pieno regime, a fronte dell'attuale prelievo pari a 15 l/s (quindici litri/secondo), e l'attivazione del prelievo di acqua da un nuovo pozzo («captazione R6 – Serrasanta»), sito all'interno della concessione, stimando una capacità di prelievo dalla nuova captazione R6 pari a 101/s (dieci litri/secondo) medi annui a pieno regime;
   il prelievo totale passerebbe, dunque, dagli attuali 14-15 litri/secondo a 40 litri/secondo;
   l'area oggetto di concessione è soggetta ai vincoli previsti per i siti della Rete Natura 2000 — SIC-1T5210014 «Monti Maggio-Nero» – direttiva «Habitat» 92/43/CEE, all'interno dei quali gli interventi che non sia finalizzati al recupero o ripristino dell'habitat stesso sono soggetti a valutazione di incidenza ambientale (che nella fattispecie agli interroganti non risulta eseguita); i pozzi Rocchetta spa insistono sullo stesso bacino idrico che alimenta l'acquedotto pubblico e nel perimetro della concessione rilasciata alla Rocchetta spa sono comprese le sorgenti di S. Marzio al servizio dell'acquedotto comunale;
   nella conferenza di servizi del 30 luglio 2015 inerente all'istruttoria sull'istanza di proroga della predetta concessione di acqua minerale, il sindaco del comune di Gualdo Tadino sottolineava «la necessità di garantire in via prioritaria le necessità di approvvigionamento idrico per la comunità di Gualdo Tadino»;
   effettivamente nel luglio 2015 l'Arpa dell'Umbria lanciava l'allarme per le sorgenti lungo la fascia appenninica: «La data dell'ultimo rilevamento è recentissima: il 25 giugno scorso. L'analisi dei tecnici dell'Agenzia regionale di protezione ambientale è netta e per certi versi spietata. La maggior parte delle sorgenti monitorate dall'Agenzia è entrata in fase di recessione a partire dal mese di aprile e le portate diminuiscono con una progressione legata alle caratteristiche idrogeologiche del bacino di ricarica: i sistemi carbonatici della fascia appenninica, contraddistinti da una risposta relativamente rapida alle precipitazioni atmosferiche, presentano decrementi più accentuati» (Corriere dell'Umbria del 15 luglio 2015);
   ai sensi dell'articolo 97 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente vengono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del piano di tutela delle acque;
   in riferimento al nuovo prelievo di acque dal pozzo «R6», a parere degli interroganti non vengono fornite le prescritte garanzie, in particolare: garanzia di deflusso minimo vitale, capacità di ravvenamento della falda (tempi di ricarica) ed equilibrio del bilancio idrico del bacino di riferimento;
   dai verbali delle conferenze di servizi (9 giugno 2015 e 30 luglio 2015) e del tavolo tecnico (18 giugno 2015), non risulterebbero agli interroganti studi idrogeologici aggiornati, che consentano di stabilire l'incidenza di un ulteriore, notevole prelievo, sul bilancio idrico degli acquiferi; è necessario, pertanto, che il Governo intervenga, per quanto di competenza, per fare chiarezza sui rischi e le modalità del nuovo attingimento delle acque per effetto della utilizzazione del nuovo pozzo «R6»;
   è necessario garantire che la risorsa idrica venga tutelata e utilizzata secondo criteri di solidarietà salvaguardando i diritti e gli interessi legittimi degli abitanti delle zone interessate e le aspettative delle generazioni future a un ambiente integro –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro interrogato affinché non sia arrecato pregiudizio al patrimonio idrico e agli equilibri idrologici dell'area interessata da vincolo ambientale, chiarendo se l'incremento considerevole dei prelievi risulti conforme agli obiettivi di qualità ambientale e alle misure di tutela qualitative e quantitative individuate nel piano di tutela sottoposto a verifica ministeriale. (5-08918)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è noto che nel correte anno dalla procura competente è stata avviata un'inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Centro Oli dell'ENI di Viggiano (COVA) e ne è derivata la comminazione di una serie di misure cautelari con ordinanza del 29 marzo 2016 del G.I.P. di Potenza;
   detta inchiesta concerne la classificazione dei rifiuti che l'ENI dichiarava «non pericolosi» (codice CER 16 10 02) mentre la procura di Potenza, tramite una perizia, li ritiene «pericolosi»;
   nelle more i rifiuti classificati «non pericolosi» sono stati trasportati in numerosi centri di smaltimento della penisola fuori dalla Basilicata;
   tra questi ultimi, nell'ordinanza, si fa riferimento alla ditta Hidrochemical Service Srl (Taranto), dove sarebbero state gestite 129,14 tonnellate provenienti dal COVA nel 2013 e 1.415,64 nel 2014;
   l'attività di smaltimento prevede che, una volta pervenuto il rifiuto con un determinato codice CER, al momento dell'accettazione le aziende riceventi, al di là se autorizzate o meno sulla carta a smaltire i rifiuti con codice CER per rifiuti pericolosi, avrebbero dovuto loro stesse procedere alla riclassificazione del rifiuto in quanto le procedure tecniche di smaltimento di un rifiuto pericoloso divergono da quelle impiegate per un rifiuto non pericoloso sia per i costi che per le soluzioni tecnologiche da adottare;
   i fatti descritti, secondo l'interrogante, potrebbero costituire gravi circostanze atta causare ingenti danni ambientali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e di quali elementi disponga circa le modalità con le quali sono stati trattati i rifiuti pervenuti dalla Basilicata presso l'azienda Hidrochemical Service, ovvero se risulti che siano stati trattati come rifiuti pericolosi;
   se il Ministro interrogato intenda avviare, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative per verificare se sul piano amministrativo vi siano state incompletezze ed omissioni in relazione ai fatti che sono risultati oggetto delle vicende richiamate in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda attivare le iniziative di competenza per verificare che ulteriori operazioni siano condotte conformemente alle norme contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 riguardo allo smaltimento delle sostanze pericolose. (5-08911)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da oltre quarant'anni l'Ismar (Istituto di scienze marine del Cnr) e l'università di Padova sono impegnati nello studio e nel monitoraggio del fenomeno della «subsidenza», movimento geologico che determina il lento abbassamento della crosta terrestre;
   nel mese di giugno 2016 si è chiuso a Venezia il secondo convegno internazionale dedicato al fenomeno della subsidenza nelle aree costiere;
   la ricerca più recente è basata sulle tecniche usate per il controllo dei livelli altimetrici, il cosiddetto approccio multi-banda integrato — processando le immagini acquisite dal satellite Cosmo-SkyMed (banda X) dell'Agenzia spaziale italiana (Asi) e dal satellite Alos-Palsar (banda L) dell'Agenzia spaziale giapponese Jaxa;
   la ricerca del Cnr conclude evidenziando che: «Venezia è la città più nota nel mondo riguardo alla problematica della subsidenza relativa, cioè la perdita di altimetria del suolo rispetto al livello del mare dovuta alla combinazione di subsidenza (abbassamento del terreno) ed eustatismo (innalzamento del mare). Laguna e Delta del Po rappresentano quindi ecosistemi molto vulnerabili: la pianura costiera che li circonda è generalmente soggiacente il livello marino, anche di oltre 4 metri, e il rischio idrogeologico e ambientale associato è particolarmente elevato, con rischi di inondazione e desertificazione»;
   per la prima volta, è stato osservato come la subsidenza delle aree naturali o agricole sia diversa da quella dei rilevati arginali (strade e corsi d'acqua) che le attraversano. Al margine settentrionale della laguna la subsidenza del e aree naturali è circa doppia di quella dei corpi arginali (fino a 7 mm/anno contro 4), mentre nel delta del Po il comportamento è opposto, con le strutture antropiche che risentono di una subsidenza maggiore delle zone coltivate. Ad esempio, la centrale elettrica di Porto Tolle è caratterizzata da cedimenti che superano i 15 mm/anno;
   in particolare, nell'area del delta del Po è oggi certificata l'esistenza di porzioni del territorio che si abbassano al ritmo di 2 centimetri l'anno –:
   se e quali iniziative, nell'ottica di un più incisivo contrasto del fenomeno della «subsidenza», il Ministro interrogato intenda mettere in campo. (4-13497)


   REALACCI e SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di Antonio Maria Mira, apparso sul quotidiano L'Avvenire del 14 giugno 2016, si apprende che da trentaquattro anni dalla chiusura delle ultime miniere di mercurio nell'area del Monte Amiata, il minerale altamente tossico continua a finire nei corsi d'acqua tra Toscana e Lazio, poi nel Tevere e arriva fino al Tirreno;
   il mercurio, altamente tossico, è presente negli scarti di lavorazione abbandonati nella zona delle miniere, nei suoli, nei sedimenti fluviali soprattutto del Paglia (affluente del Tevere che nasce proprio dalla zona dell'Amiata, la terza di tutto il mondo per produzione di mercurio), nelle acque superficiali, nella fauna ittica dei corsi d'acqua, ma anche nelle acque e nella fauna marina davanti alle coste di Lazio e Toscana. E con valori di concentrazione abbondantemente superiori a quelli definiti accettabili dal decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto «Testo unico delle norme in materia di tutela ambientale»;
   i risultati delle attività di ricerca dell'attività di ricerca del dipartimento di scienza della terra dell'università di Firenze, dal 2010 a oggi, fanno emergere una grave situazione di inquinamento da mercurio originata in più di un secolo di estrazione e lavorazione dei minerali di mercurio nel territorio dell'Amiata. Il mercurio percorre ancora oggi la strada dalle sorgenti del Paglia, lungo le pendici dell'Amiata, lungo tutta l'asta Paglia-Tevere, fino al Mar Tirreno. In 100 anni di attività si stima siano arrivati al mare almeno 60 tonnellate di mercurio. Ma l'elemento più preoccupante è che gli studi hanno evidenziato la presenza di «una quota significativa di mercurio in forma biodisponibile e quindi in grado di essere metabolizzato degli organismo viventi»;
   iniziata a metà dell'800, l'estrazione è proseguita fino al 1982 con la chiusura delle tre maggiori miniere, Abbadia San Salvatore, M. Civitella e Morone. Dopo più di 30 anni dalla chiusura delle miniere, considerati i ritardi negli interventi di bonifica, l'area del Monte Amiata è ancora fortemente colpita dagli effetti ambientali dell'attività mineraria: scarti di lavorazione ricchi di mercurio e mercurio metallico si trovano nei suoli fino a diversi chilometri dagli impianti e finiscono nei torrenti e nei fiumi che attraversano l'area, nei sedimenti fluviali e la lacustri, contaminando la biosfera (soprattutto i pesci) prima di finire nel mar Tirreno;
   gli eventi di piena (come quello avvenuto nel novembre 2012) e le attività di escavazione provocano un'ingente mobilizzazione, trasporto e ridistribuzione del materiale contaminato presente nei bacini e nelle sponde fluviali dei fiumi coinvolti. Accade così che le concentrazioni trovate nei campionamenti effettuati dal gruppo di ricerca dell'università di Firenze negli ultimi anni sono spesso oltre i limiti previsti dall'allegato 5 del decreto legislativo 152 del 2006 che prevede che non debbano superare 1 milligrammo per chilo di sostanza secca per i siti ad uso verde pubblico e residenziale e 5 milligrammi per chilo di sostanza secca per i siti ad uso commerciale e industriale, 1 microgrammo per litro per le acque sotterranee. Invece negli scarti di lavorazione la concentrazione va da 25 a 1.5000 milligrammi per chilo nei suoli da 150 a 400 milligrammi per chilo, dei sedimenti del fiume Paglia fino a 19 milligrammi per chilo, nelle particelle in sospensione nell'acqua superiori a 1 milligrammo per chilo. Si tratta di limiti, dunque, abbondantemente superati e non va meglio per le acque superficiali. Così anche per la fauna: infatti, la concentrazione di mercurio nei campioni di muscoli dei pesci d'acqua dolce, raccolti a diverse distanze da Abbadia San Salvatore e dal distretto minerario amiatino, varia da 160 a 1200 microgrammi per chilo, gran parte dei quali oltre il limite di sicurezza per il consumo umano di 300 microgrammi per chilo. Un inquinamento che finisce in mare come confermano i dati raccolti dai ricercatori, sia nei sedimenti che nella fauna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e quali iniziative urgenti di competenza intenda mettere in campo, di concerto con gli enti locali interessati al fine di affrontare la situazione dell'area mineraria amiatina e se non ritenga, anche per tramite degli istituti specializzati del Ministro, istituire un monitoraggio costante dei livelli di inquinamento del mercurio su fauna, flora e acque nell'area interessata. (4-13506)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27, comma 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 recita: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici»;
   il diritto all'accessibilità è sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione Italiana che stabiliscono il principio della pari dignità sociale di tutti i cittadini e l'obbligo della Repubblica italiana alla rimozione degli ostacoli che si oppongono al pieno sviluppo della persona umana;
   dal preambolo della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006) emerge che: «la disabilità è il risultato dell'interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri e, nonostante l'evoluzione dei vari strumenti ed impegni attuati in quest'ambito, le persone con disabilità continuano, oggi, a incontrare barriere nella loro partecipazione come membri eguali della società»; secondo l'articolo 30 il diritto alla cultura accessibile (open culture, cultura inclusiva, cultura aperta), inteso sia come garanzia di accesso fisico ai contenitori culturali che come garanzia di accesso percettivo ed intellettivo ai contenuti trasmessi, è prerogativa dello sviluppo del Paese, e laddove questo venga negato, viene compromessa in maniera discriminatoria l'effettiva partecipazione su basi paritarie di molte persone alla vita sociale e culturale;
   a seguito del decreto ministeriale del 14 giugno 1989, n. 236, si elimina totalmente la dicitura «disabile, menomato, handicappato, portatore di handicap»" per aprire verso la dicitura «persone con ridotte o impedite capacità motorie e sensoriali». Quest'ultima dicitura viene peraltro ripresa, rafforzata ed amplificata nel provvedimento normativo in merito all'accesso ai luoghi della cultura decreto ministeriale 28 marzo 2008, n. 114, linee guida per il superamento delle barriere architettoniche), includendo nell'estensione «chiunque, in maniera permanente o temporanea, si trovi ad avere delle difficoltà nei movimenti (cardiopatici, donne in gravidanza, persone con passeggino, individui convalescenti o con un'ingessatura agli arti, obesi, anziani, bambini, ecc.) o nelle percezioni sensoriali (ciechi e ipovedenti, sordi e ipoacusici), nonché, le persone con difficoltà cognitive o psicologiche;
   con l'emanazione del decreto legislativo 2 gennaio 2004, n. 42, noto come «codice dei beni culturali e del paesaggio», la fruizione pubblica del patrimonio culturale italiano è stata riconosciuta come fine istituzionale delle attività di tutela e valorizzazione che impegna il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; nel 2008, il Ministero ha approvato le linee guida predisposte dalla Commissione per l'analisi delle problematiche relative alla disabilità, istituita presso lo stesso, per il superamento delle barriere architettoniche negli istituti e nei luoghi della cultura. La Commissione ha definito i concetti quali: accessibilità, visitabilità e adattabilità;
   nel libro bianco sul turismo accessibile del 2013, il capitolo 2.6 riporta che: «nel 2009 il Ministro del Turismo ha istituito la Commissione ministeriale «Per un turismo accessibile», per sostenere la realizzazione di misure, che migliorino l'accessibilità delle strutture turistiche italiane. L'obiettivo era di promuovere una capacità di accoglienza che fosse realmente «per tutti», adeguando l'offerta e garantendo i migliori servizi anche ai turisti con bisogni speciali. Nell'ottobre del 2009, il Ministro, nel corso del suo intervento alla XXVI assemblea annuale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) a Torino, ha presentato il «Manifesto per la promozione del turismo accessibile». Si trattava di dieci principi fondamentali, redatti dal Comitato per la promozione e il sostegno del turismo accessibile, sui quali si sarebbe basato il turismo, che avrebbe dovuto essere «attento ai bisogni di tutti» (...) vale a dire bambini, anziani, mamme che spingono i passeggini, persone con disabilità che si muovono lentamente, che non vedono, o non sentono, che hanno allergie o difficoltà di tipo alimentare. Significava saper coniugare le ragioni dell'impresa turistica con la capacità di saper rispondere ad una domanda di «ospitalità» che richiedeva attenzioni, dialogo, conoscenze tecniche. Si focalizzava l'attenzione al coinvolgimento dell'intera filiera turistica nella sua totalità, dai trasporti alle iniziative culturali, dall'albergo ai musei, come un'opportunità di crescita e di indotto commerciale per tutti gli operatori. La libertà di scelta della vacanza da parte di tutti i cittadini, basata sulla corretta informazione dell'accessibilità dei luoghi: oggettiva, dettagliata e garantita»;
   con decreto ministeriale del 18 maggio 2012, è stato istituito il Comitato per la promozione ed il sostegno del turismo accessibile. Per quanto concerne i compiti, Il capitolo 4.1. del libro bianco del 2013 illustra come: «a quelli precedentemente identificati, infatti, si aggiungono: «l'individuazione dei criteri di accessibilità perché una destinazione turistica si possa definire realmente accessibile», e quindi un approccio territoriale in logica di città e territorio accessibile a 360 gradi, sulla falsariga di molta della progettualità già sviluppata nel nostro paese; «l'individuazione di strumenti e progetti che facilitino l'acquisizione di informazioni inerenti l'accessibilità delle strutture ricettive, attrazioni turistiche, pubblici esercizi», e cioè un approccio pragmatico all'informazione come variabile strategica dell'accessibilità e della scelta, sfuggendo alla gabbia rigida delle classificazioni ed al rischio, sempre immanente nonostante tutto il percorso fatto, di attribuire «bollini» di accessibilità»;
   il punto 1 del «Manifesto della cultura accessibile a tutti del 2006», elaborato da un tavolo di confronto sul tema della cultura accessibile, promosso dalla Consulta per le Persone in difficoltà di Torino e dal dipartimento educazione del Castello di Rivoli – Museo d'arte contemporanea, riporta che: «il fruitore di luoghi ed eventi culturali deve essere considerato nella sua accezione più ampia e completa, a favore di un approccio inclusivo che sappia tenere conto delle differenti specifiche esigenze e delle caratteristiche particolari (fisiche, motorie, sensoriali, comunicative, relazionali, intellettive, psichiche) di tutte le persone, con particolare attenzione alle persone con disabilità e con pluri-disabilità» e il punto 2 spiega come: «un luogo e un evento culturali devono poter garantire a tutti, indipendentemente dalle particolari esigenze e abilità, la possibilità di realizzare, anche tramite specifici accorgimenti e servizi, una visita e un'esperienza complete, appaganti e soddisfacenti, in condizioni di autonomia, comfort e sicurezza, comprendendo anche la partecipazione attiva all'evento, qualora sia prevista nella manifestazione culturale».
   Il Manifesto di Matera, pubblicato il 28 settembre 2014, sintetizza quanto emerso dalle riflessioni effettuate dagli esperti di Accessibilità Universale che hanno partecipato all'evento internazionale «ZERO BARRIERE – L'Accessibilità Conviene», organizzato il 27 e 28 settembre 2014 a Matera da Officina Rambaldi con la condivisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Consiglio d'Europa e di molte altre istituzioni locali, regionali, e internazionali. Il documento propone: «di creare uno spazio permanente e dinamico per recepire, valutare e comunicare nuove eccellenze nel campo dell'Accessibilità Universale,(...) istituire e consolidare una rete internazionale e interdisciplinare che, collaborando con altre già esistenti, possa diventare un punto di riferimento autorevole nei campi di applicazione dell'accessibilità universale, promuovere la cultura dell'accessibilità in tutte le sue sfumature, anche attraverso l'istituzionalizzazione di un evento da tenersi a scadenza regolare a Matera per monitorare, verificare e misurare il raggiungimento di risultati e innovazioni realizzate nel periodo precedente; collaborare con la sede di Venezia del Consiglio d'Europa affinché, nell'ambito della sperimentazione e dello sviluppo nelle metodologie applicative previste nella Convenzione di Faro (STCE n. 199) in Italia ed in Europa, si sviluppino pratiche e modelli innovativi di turismo culturale, partecipativo e accessibile a tutti; sviluppare una formazione ad hoc per tutte le professionalità che operano, direttamente o indirettamente, nell'ambito della Cultura e del Turismo»;
   in merito a quanto sopra esposto il sito uiciechi.it spiega che: «Nell'ambito della fruizione museale le barriere più note e percepibili sono quelle fisiche, poiché la disabilità motoria è quella più conosciuta e per la quale interventi architettonici sono stati fatti e continuano ad essere realizzati su edifici antichi e di moderna costruzione (rampe, scivoli, ascensori, ecc.). La fruizione dei musei da parte dei disabili visivi richiederebbe, invece, l'abbattimento delle barriere sensoriali-percettive, non meno pericolose di quelle architettoniche per i disabili motori. Per esempio nei musei i pannelli e le etichette sono spesso illeggibili, per il carattere troppo piccolo, o non opportunamente differenziato rispetto allo sfondo, senza contrasto cromatico, con sovrapposizione di immagini, collocati ad altezze eccessive o illuminati in modo inadeguato. Nei musei spesso è negata la possibilità di fruire di descrizioni in braille o parlate delle opere, non sono disponibili pannelli, mappe o cartine in rilievo, non ci sono percorsi audio guidati, strisce di segnalazione del percorso museale o visite guidate con personale specializzato e con adeguate conoscenze tiflologiche, e inoltre è negata la possibilità di «toccare reperti e opere». Per agevolare le persone non vedenti nella fruizione e per garantire accessibilità, non basta, però, che il museo metta a disposizione testi trascritti in codice braille, un percorso tattile piantare, guide per l'orientamento, mappe tattili e altri ausili tecnici (come caratteri sufficientemente visibili in large print) e a rilievo; ma la cosa fondamentale e più importante è non negare di «poter toccare», laddove sia possibile nel rispetto dell'opera esposta: in questo modo ogni sfumatura tattile arricchisce il bagaglio cognitivo ed estetico del visitatore diversamente abile»;
   a detta degli interroganti, inoltre, la realtà museale italiana rileva l'assenza di una modalità unica di catalogazione dell'accessibilità e dei servizi connessi per tutti i musei, mancando inoltre una standardizzazione delle modalità di pubblicazione delle informazioni sui siti internet delle strutture: tale aspetto contribuisce a generare una criticità evidente per quanto concerne la garanzia della fruizione universale del patrimonio culturale italiano –:
   quali iniziative ritenga opportuno adottare il Ministro interrogato per garantire una standardizzazione della catalogazione dell'accessibilità e dei servizi forniti, predisponendo una modalità univoca di pubblicazione delle informazioni sui siti internet delle strutture e dei siti culturali;
   se intenda perseguire politiche attive miranti al raggiungimento delle piena accessibilità delle strutture e dei siti culturali anche individuando una specifica finalizzazione delle risorse provenienti dall’Art Bonus;
   se intenda, nell'ambito delle proprie competenze, procedere alla pubblicizzazione ed alla valorizzazione delle strutture museali che forniscono i servizi ed i supporti finalizzati all'accessibilità ed alla piena fruizione dei diversi utenti. (5-08908)

Interrogazione a risposta scritta:


   BERGAMINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso termale denominato «Acque della salute» e noto anche come «Terme del corallo» di Livorno è considerato tra i primi in Italia, per eleganza, ingegneria, qualità, efficacia delle cure termali, ricchezza artistica, livello architettonico e stile liberty con il quale fu progettato e realizzato dall'ingegner Angelo Badaloni tra il 1903 ed il 1904;
   costruito in cemento armato (primo edificio in Toscana e tra i primi in Italia), fu medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Parigi (1904), ma, dopo i fasti iniziali, è giunto ai giorni nostri in stato di totale abbandono;
   da anni si valutano numerose ipotesi per il restauro, il recupero e la riqualificazione dell'intera struttura, ma, ad oggi, niente di concreto è stato fatto;
   nel marzo 2016 è stata approvata dal consiglio regionale della Toscana una mozione di Forza Italia che chiede per le suddette terme l'applicazione della legge n. 622 del 1996 «per la definizione di nuovi giochi ed estrazioni settimanali del gioco del Lotto», la quale prevede che ogni anno venga riservata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo una quota degli utili derivanti dal gioco per iniziative ed interventi culturali, ambientali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari del nostro Paese, nonché per interventi di restauro paesaggistico o di promozione della cultura del nostro Paese;
   nel 2007, per la regolamentazione del procedimento di assegnazione, venne incrementata la quota destinata al fondo ex articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'autorizzazione «alla spesa di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2016»;
   la mozione approvata dal consiglio regionale ha impegnato la giunta regionale «ad attivarsi per esprimere ogni possibile capacità di interlocuzione ed intervento interistituzionale al fine di favorire l'inserimento degli interventi di recupero dello stabilimento “Acque della Salute di Livorno”, tra gli interventi di destinazione della quota di proventi del gioco del Lotto da destinare a quanto disposto dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996» –:
   se il Ministro interrogato abbia attivato, per quanto di competenza, tutti gli strumenti in suo possesso per favorire l'inserimento delle «Terme del corallo» tra i beni al cui recupero si procede con i proventi del gioco del lotto, secondo quanto stabilito dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 e dalla conseguente normativa del 2007;
   se il Ministro interrogato possa fornire dettagli sui criteri con i quali tali fondi siano destinati ed allocati alle numerose strutture del nostro Paese che rientrano nelle categorie ricomprese tra quelle destinatarie dei fondi messi a disposizione dallo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (4-13503)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA, DURANTI, PIRAS, MARCON, FRATOIANNI, SCOTTO, RICCIATTI, DANIELE FARINA, PLACIDO, PAGLIA e SANNICANDRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa (Il Corriere della sera del 13 giugno) e dal sito Internet del Ministero della difesa si apprende che lo Stato ha messi all'asta tre ville storiche di proprietà del Ministero; la «missione» dichiarata è quella di venderle a un prezzo complessivo che non sia inferiore ai 15 milioni di euro;
   l'operazione deriva dal decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia» (articolo 26, misure urgenti per la valorizzazione degli immobili pubblici non utilizzati) convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 1640 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 262 dell'11 novembre 2014 – e se ne dà notizia anche nella sezione in lingua inglese del sito del Ministero;
   a Roma, si tratta del «Villino Campos», l'ultimo inquilino è stato l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, il Capo di Stato Maggiore della marina militare che va in pensione la prossima settimana; a Napoli, nella splendida «Villa Nike» con piscina che affaccia sul golfo, viveva invece il comandante della Nato in Europa: a Firenze si tratta «Villa Banti» tutte dimore di grandissimo pregio che potranno essere acquistate da acquirenti privati;
   dopo gli stabili, le caserme, gli alloggi di servizio già messi sul mercato, si passa dunque alle case di pregio; lo Stato vende per recuperare fondi e soprattutto per risparmiare le spese di manutenzione; l'obiettivo dichiarato dal Ministro interrogato parlava di ricavi dall'intero patrimonio pari a circa un miliardo di euro; circa 200 milioni sono già entrati; la vendita delle ville storiche potrebbe far entrare nelle casse circa 20 milioni di euro, oltre a consentire il recupero degli altissimi costi annuali che si continua a sostenere in attesa che arrivino eventuali compratori, come accaduto per la delibera sulla cessione dei fari;
   la descrizione sul sito del Ministero delle tre dimore rende bene l'idea del lusso e, come fa notare il Corriere della sera, ma anche a parere dell'interrogante, fa sorgere numerosi interrogativi sulla scelta di utilizzarle fino ad ora come dimore private, visto che questa destinazione fa pesare sull'erario l'intera gestione: «Villino Campos» si trova in uno dei tratti più prestigiosi di Lungotevere. La proprietà «da circa 1.000 metri quadri comprende un giardino di circa 800 metri quadri, ha 3 piani con atrio, salone di rappresentanza, studio, sala riunioni, sala bar, due soggiorni, due sale da pranzo, sei camere, due cucine, otto bagni». Ancor più prestigiosa «Villa Nike», oltre 1.300 metri quadrati di casa concessi al responsabile dell'Alleanza Atlantica e adesso inserita nella lista delle proprietà da dismettere con urgenza, oltre ai «tre saloni, la biblioteca, le camere, i bagni e la cucina industriale al piano terra»: la magione può vantare un secondo piano con affaccio sul mare di Posillipo composto dal «salone, nove camere, tre guardaroba, sei bagni, una sauna e due ripostigli» e poi piscina, parco con viale alberato, autorimessa, senza contare gli interni con marmi pregiati e mosaici;
   «Villa Banti» si trova «a ridosso delle antiche mura cittadine», vicina alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, anche in questo caso ci sono «tre piani per oltre 700 metri quadri, saloni, otto camere, otto bagni, giardino, garage». Un anno fa era stato il direttore dell'Agenzia del demanio Reggi ad annunciare la scelta di vendere «anche ai privati»; fissando «un valore di circa due milioni e mezzo di euro» si era deciso – visto che era disabitata da tempo – di affidarsi anche ad agenzie immobiliari private; finora non sono evidentemente arrivate offerte e dunque si procede con l'asta pubblica sperando «di ricavare il massimo possibile»;
   il Ministro della difesa ha spiegato più volte la volontà di «riutilizzare in maniera proficua il patrimonio immobiliare militare non più in uso, dando il via alla più importante operazione di dismissione di immobili in Europa»;
   molti stabili sono già stati ceduti, altri saranno venduti nei prossimi mesi; se per le caserme si pone il problema del riutilizzo – e infatti in alcuni casi ancora si riflette se almeno alcune possano essere destinate a diventare centri di accoglienza per i migranti – più agevole sembra essere la dismissione degli alloggi di servizio dei militari, sono oltre 3.000 appartamenti a Torino, Firenze, Milano, Bologna, Viterbo, Venezia;
   alla vendita si affianca poi un'operazione di riutilizzo che mira a portare risparmi in quelle zone dove finora c’è stata una duplicazione e, inevitabilmente un aggravio di spesa, l'esempio è quello di Siracusa, dove l'area dell'Aeronautica militare è stata oggetto di un accordo tra gli Stati maggiori e nelle prossime settimane sarà ospitato il comando provinciale dei carabinieri consentendo un risparmio che il Ministero stima in 300 mila euro –:
   da chi siano state occupate negli ultimi 10 anni le succitate ville e quale fosse l'importo dell'affitto pagato da chi ne usufruiva;
   se vi siano altre dimore storiche e ville di proprietà del ministero date in locazione, chi ne usufruisca e a quali condizioni;
   se il Ministero della difesa, prima di procedere alla vendita delle succitate ville storiche, abbia verificato con altri organi dello Stato o con gli enti locali un possibile loro utilizzo pubblico per finalità culturali e sociali. (3-02323)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PALMIZIO e VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano è altamente specializzato nella guerra elettronica dei velivoli da combattimento Tornado ECR e ospita il 50o stormo da interdizione dell'Aeronautica Militare Italiana;
   negli ultimi anni sono stati investiti 900 mila euro per il rifacimento parziale della pista di atterraggio, per la sistemazione del deposito carburanti e per l'impianto di sicurezza per i voli notturni;
   nella struttura operano circa 800 lavoratori, tra civili e militari, e l'indotto che deriva dallo svolgimento delle attività connesse ai servizi di addestramento, di sicurezza e vigilanza, non solo a livello regionale, ma per l'intero territorio nazionale, rappresenta un aspetto socioeconomico di fondamentale rilevanza, che, nell'attuale situazione occupazionale critica e preoccupante, con un tasso di disoccupazione pari al 12,6 per cento, occorre difendere;
   l'Aeronautica militare ha proposto allo Stato maggiore della difesa di posticipare la chiusura di tale struttura aeroportuale a settembre 2016, in quanto ciò permetterebbe di completare le opere infrastrutturali necessarie a soddisfare le esigenze del personale coinvolto nel processo riordinativo presso la nuova sede di Ghedi a Brescia;
   il Governo, in data 26 febbraio 2015, rispondendo ad una precedente interrogazione (n. 5-04612) del primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo, ha dichiarato che la «soppressione del 50o Stormo implicherà inoltre la riconfigurazione delle capacità espresse dalla flotta Tornado ma non la paventata chiusura dell'Aeroporto San Damiano di Piacenza. Tale processo di razionalizzazione non comporterà, tra l'altro, alcun provvedimento di esonero del personale, sarà condotto in stretta aderenza ai dettami della citata legge delega n. 244 del 2012 e non risulterà, pertanto, penalizzante sotto il profilo occupazionale.»;
   invece per la maggior parte dei dipendenti si prefigura un destino da pendolari fra Piacenza e la base di Ghedi a Brescia con ricadute inevitabili sui costi di trasferimento giornalieri e per i rimborsi di cui l'Aeronautica dovrà farsi carico;
   sempre in sede di risposta alla summenzionata interrogazione, il Governo ha riportato le conclusioni alle quali, dopo una riunione tenutasi presso la prefettura di Piacenza il 2 febbraio 2015, sono addivenuti i rappresentanti dell'Aeronautica militare, specificando come lo spostamento del personale operativo del 50o Stormo fosse previsto a partire dalla fine dell'estate del 2016, mentre il restante personale avrebbe continuato a permanere a Piacenza per un periodo medio-lungo, al fine di assicurare il mantenimento dell'aeroporto come distaccamento logistico e aeroporto alternato in caso di avverse condizioni meteorologiche. In quell'occasione, è stato altresì ribadito che sarebbe stato mantenuto dalla Forza armata il patrimonio alloggiativo di San Giorgio e San Polo senza, quindi, dismettere gli alloggi;
   per quanto riguarda il successivo impiego dell'aeroporto di Piacenza, è in corso un approfondito studio di Forza armata che ha avviato contatti con le autorità locali interessate (provincia e comuni limitrofi) per esplorare congiuntamente possibili soluzioni per l'utilizzo dell'aeroporto stesso –:
   quali vantaggi, soprattutto in un'ottica di spending review, abbia comportato la decisione di chiudere l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano, considerate le ingenti spese effettuate negli ultimi anni per potenziarlo e i necessari investimenti per adeguare le strutture della base di Ghedi al fine di ospitare il 50o stormo a settembre 2016;
   quale sia il destino della struttura aeroportuale di Piacenza, e delle sue nuove piste, che, secondo la risposta del Governo all'interrogazione n. 5-04612, doveva essere deciso da uno «studio (che) dovrà tener conto di fattori operativi, infrastrutturali, finanziari e di impatto sul territorio e sarà posto in relazione a parametri complessivi di costo-efficacia, in un'ottica di razionalizzazione complessiva dello strumento militare»;
   se trovi conferma l'ipotesi di convertire l'aeroporto in un centro di smistamento per cittadini stranieri e profughi, utilizzando l'aeroporto stesso per il rimpatrio di cittadini stranieri espulsi dall'Italia, poiché diventa sempre più difficile imbarcare stranieri espulsi su voli civili. (5-08907)


   FRUSONE, BASILIO, RIZZO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe agli interroganti che un alto ufficiale in pensione del Ministero della difesa che ha precedentemente svolto il ruolo di capo di stato maggiore della difesa e di segretario generale della difesa sia stato recentemente richiamato in servizio per gestire il trasferimento degli uffici del segretariato generale della difesa nella nuova sede unica situata nel comprensorio di Centocelle a Roma;
   la scelta appare alquanto singolare considerando che il tale alto ufficiale risulta aver lasciato l'incarico nel gennaio 2013, ormai quasi tre anni fa;
   ancora più singolare se si considera che sono molte decine i funzionari civili o gli ufficiali generali e ammiragli in servizio a disposizione o privi di incarichi specifici che avrebbero probabilmente potuto svolgere con altrettanta professionalità e competenza l'incarico di coordinamento –:
   se risponda a verità che un alto ufficiale sia stato richiamato in servizio nonostante si trovasse in quiescenza da oltre tre anni per coordinare le operazioni di trasloco degli uffici del segretariato generale della difesa nella nuova sede di Roma-Centocelle;
   in caso affermativo, quali siano le ragioni che hanno indotto il Ministro a richiamare tale ufficiale anziché utilizzare un dirigente militare o civile della difesa in servizio per svolgere questo compito. (5-08910)


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 giugno 2016 i Ministri della difesa di Italia e Francia hanno firmato un accordo di cooperazione per lo sviluppo del missile Aster 30 Block 1NT (Nouvelle Technologie);
   il missile potenzierà i sistemi di difesa antiaerea e antimissilistica SAMP/T e Mamba in dotazione alle forze terrestri e aeree italiane e francesi, nonché i sistemi di difesa antiaerea e antimissilistica navali SAAM e PAMS in servizio in numerose marine;
   il comunicato ufficiale pubblicato sul sito del Ministero della difesa sostiene che «attraverso questo nuovo accordo, Italia e Francia rinnovano il loro impegno e la loro cooperazione di lunga data per i sistemi di difesa aerea basati sul sistema ASTER. Questa decisione testimonia la volontà comune di mantenere le capacità del sistema SAMP/T e del suo missile ASTER in linea con i più alti requisiti, in grado di rispondere all'evoluzione di tutte le minacce aeree. Essa permette inoltre di consolidare la cooperazione industriale fra THALES e MBDA nell'ambito del consorzio Eurosam, in una logica industriale europea volta anche verso l'esportazione»;
   una batteria SAMP/T del 4o reggimento artiglieria contraerei di Mantova è attualmente schierata in Turchia nell'ambito dell'operazione NATO « Active Fence»;
   nonostante ciò, l'Aeronautica militare italiana continua pervicacemente a perseguire un programma missilistico alternativo, il MEADS (Medium Extended Air Defense System), per quale l'Italia ha già speso oltre 500 milioni di euro per la fase di ricerca e sviluppo assieme a Stati Uniti e Germania;
   il programma MEADS, di cui è capocommessa la società statunitense Lockheed Martin, si trova attualmente in una fase di sospensione dopo l'abbandono dello stesso da parte degli Stati Uniti;
   inspiegabilmente l'Italia insiste invece a rimanere nel programma, nonostante lo stesso sia alternativo al programma SAMP/T completamente realizzato in Europa, già operativo e sostanzialmente sovrapponibile in termini operativi al MEADS;
   nel documento programmatico preliminare per la difesa 2016-2018 recentemente pubblicato, il programma è infatti inserito tra i programmi in corso di realizzazione e si prevede il «completamento degli impegni relativi allo sviluppo – in cooperazione con Germania ed USA, di un sistema missilistico superficie/aria di nuova generazione per la Difesa Missilistica, in grado di fronteggiare anche la minaccia rappresentata dai missili balistici tattici»;
   oltre mezzo miliardo di euro già spesi per lo sviluppo del MEADS, dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati ormai due anni fa, costituisce a giudizio degli interroganti un cattivo uso di denaro pubblico e delle risorse disponibili per la difesa nazionale –:
   come il Ministro giustifichi l'intenzione di proseguire un programma missilistico, già abbandonato dagli Stati Uniti, partner principale dello stesso, che è un sostanziale duplicato di un sistema di difesa missilistica e aerea in servizio nelle Forze armate italiane;
   come si spieghi questa intenzione di duplicazione, mentre il Ministro sottoscrive accordi di sviluppo con la Francia per i missili Aster, alternativi ai missili del sistema MEADS;
   se non ritenga pertanto di annunciare senza indugio la sospensione di qualsiasi ulteriore attività per il programma MEADS e il definitivo ritiro dallo stesso. (5-08913)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 49 del  decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «decreto Ronchi») ha soppresso la tassa per lo smaltimento dei rifiuti (cosiddetta Tarsu), istituendo una specifica tariffa di igiene ambientale (cosiddetta Tia) per la gestione dei rifiuti urbani commisurata al servizio svolto, invece che alla superficie dell'utenza. La Tia, promuove l'uso razionale e sostenibile delle risorse, secondo il principio del «chi inquina paga», e cerca di favorire i meccanismi atti ad incentivare il consumatore alla riduzione dei rifiuti prodotti;
   sulla natura di questa tariffa, si è ben presto aperto un dibattito tra chi la riteneva un corrispettivo per un servizio reso e chi, invece, ne sottolineava la natura tributaria;
   almeno limitatamente alle utenze non domestiche, la Tia si configura come tariffa da esigere a pagamento di un servizio, e non come tassa a copertura di un costo, e quindi non dovrebbero esserci dubbi sulla possibilità per i soggetti di poter scaricare l'Iva relativa;
   a fronte di sentenze tra loro contrastanti, è intervenuto il legislatore, che, con una specifica norma (comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge n. 248 del 2005) ha disposto che «Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani»;
   ciò non è stato sufficiente per dirimere la questione, in quanto molti giudici (per ultima anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione con ordinanza 13894/2009), ritenendo costituzionalmente illegittima la norma del 2005, hanno investito della questione la Corte costituzionale, sul presupposto della natura corrispettiva della tariffa d'igiene ambientale;
   la Consulta, nella parte motiva della sentenza n. 238/09, relativa alla conformità costituzionale del citato comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, ha affermato, che la tariffa rifiuti (Tia), avendo comunque natura tributaria come la vecchia tassa sui rifiuti (Tarsu), non può essere assoggettata al pagamento dell'Iva;
   a fronte di tale sentenza, numerosi cittadini hanno iniziato a chiedere alle aziende, la restituzione dell'Iva che avevano versato all'atto del pagamento delle fatture/bollette relativa al servizio di igiene urbana; i giudici ordinari di merito aditi, nella preponderante maggioranza dei casi, hanno accolto le domande proposte dai cittadini, condannando le aziende gestrici della Tia alla restituzione di quanto percepito per l'Iva;
   la sentenza 15 marzo 2016, n. 5078, delle Sezioni Unite della cassazione è ulteriormente intervenuta su tale questione, confermando che la Tia «non è assoggettabile ad Iva in quanto essa ha natura tributaria mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo e non quando si paga un'imposta sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente». Interpretazione in linea con la previsione di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto;
   tra le argomentazioni a sostegno della decisione, vengono ricordati dalla Corte di cassazione alcuni elementi che caratterizzano la così detta Tia e cioè: l'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente; la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici; l'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad Iva. Nella medesima sentenza la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   le aziende erogatrici del servizio di igiene urbana, uniformandosi a quanto stabilito dalle ripetute pronunce relative alla restituzione dell'Iva versata dai cittadini, hanno iniziato a chiederne il rimborso all'Agenzia delle entrate, alla quale, ovviamente, essa era stata puntualmente riversata;
   l'Agenzia delle entrate, a fronte di tali richieste, ha sempre opposto il proprio rifiuto, prevalentemente in forma di silenzio, in qualche caso con esplicita nota di diniego, agendo secondo una prassi amministrativa consolidata. Tale prassi trova peraltro riscontro in alcune circolari del Ministero delle finanze (ad esempio la n. 111/1999) e almeno due risoluzioni dell'Agenzia delle entrate (n. 25/2003 e n. 250/2008), che hanno confermato l'applicabilità dell'Iva alla Tia, in ciò confliggendo con quanto determinato dalla giurisprudenza, da ultimo con la citata sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione n. 5078/2016;
   l'atteggiamento di assoluta chiusura tenuto sin qui dall'amministrazione finanziaria dello Stato, ha costretto le aziende del settore, da un lato, a resistere alle domande dei cittadini, pur nella consapevolezza della fragilità delle proprie difese, con un incalcolabile danno sia economico che di immagine, e, dall'altro, ad aprire un ulteriore fronte di contenzioso nei confronti dell'Agenzia delle entrate avanti al giudice tributario, per ottenere il rimborso delle somme erogate;
   si ricorda inoltre che la Tia era dovuta anche nel caso in cui il contribuente non avesse fatto utilizzo del servizio, e soprattutto era commisurata ai criteri tipici dei tributi, gravando quindi di più sui non residenti, che sono quelli che producono meno rifiuti da smaltire;
   in un quadro già così complesso, si innestano altri due problemi:
    a) l'intervenuta detrazione dell'Iva da parte di chi ha ricevuto queste fatture nell'esercizio di impresa, arte e professione;
    b) l'ipotesi di indetraibilità dell'Iva sui beni e servizi acquistati per lo svolgimento del servizio da parte dei  comuni o dei gestori del servizio, in quanto «trasformazione» del corrispettivo in tassa. Qualora, prevalesse l'interpretazione che la frazione del tributo imputabile all'Iva non è scaricabile, questa si tradurrebbe in un significativo aggravio dei costi per gli enti e le imprese, dato che l'aliquota è fissata al 10 per cento –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere le criticità evidenziate in premessa, con particolare riferimento ai numerosi contenziosi tra l'Agenzia delle entrate e le aziende erogatrici del servizio e al ristoro delle maggiori somme pagate dai cittadini. (3-02322)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   molti dei contribuenti lavoratori impegnati in questi giorni negli adempimenti legati alla dichiarazione dei redditi 2016 sono assillati da un dilemma: quello se presentare o meno il modello 730, rinunciando così anche al beneficio fiscale delle eventuali detrazioni da lavoro;
   invero, il suddetto dilemma intere sa tutti quei lavoratori percettori di reddito da lavoro che pur avendo ricevuto in busta paga cosiddetto «bonus 80 euro», temono che una volta presentato il modello 730, con il quale viene rideterminata l'imposta anche tenendo conto di altri redditi ed eventuali deduzioni e detrazioni, debbano integralmente o parzialmente restituirlo perché risultati incapienti o per aver superato il limite di reddito dei 26.000 euro che dà diritto allo stesso bonus;
   ad alimentare il dubbio è stata la notizia, balzata agli onori della cronaca delle ultime settimane, che circa un milione e mezzo di contribuenti italiani che hanno ricevuto nell'anno 2015 il bonus in busta paga, dovranno restituirlo al fisco (come del resto già avvenuto per molti di loro con riferimento ai redditi per l'anno 2014), essenzialmente per una delle seguenti ragioni:
    1) perché hanno percepito nell'intero anno un reddito inferiore alla no tax area ovvero a 8.174 euro e sono pertanto risultati incapienti;
    2) perché una volta rideterminata in sede di dichiarazione dei redditi l'imposta sono risultati aver percepito un reddito superiore al limite previsto dalla legge, ovvero a 26.000 euro;
    3) perché hanno commesso o addirittura subito dal sistema dell'Agenzia delle entrate, errori in sede di compilazione del modello 730 precompilato;
   escluso il caso di coloro che, percependo oltre al proprio reddito da lavoro anche redditi da altra fonte (ad esempio case, terreni o capitali), sono obbligati a presentare la dichiarazione dei redditi al fine di rideterminare la relativa imposta, vi è poi il caso di coloro che non percependo alcun reddito possono esimersi da quest'ultimo adempimento avendo già, tramite il proprio datore di lavoro-sostituto d'imposta, versato al Fisco quanto dovuto, soprattutto se dalla rideterminazione dell'imposta legata alle detrazioni per lavoro dipendente, dovessero avere un pregiudizio risultando incapienti. Infatti, in relazione a quanto disposto dall'articolo 1 del decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014, convertito dalla legge n. 89 del 2014, per aver diritto al bonus è necessario che il reddito complessivo annuo lordo non sia superiore a 26.000 euro e che l'imposta lorda calcolata sul reddito annuo complessivo di lavoro dipendente e assimilato sia maggiore dell'importo delle detrazioni da lavoro dipendente, spettanti ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del TUIR –:
   quali siano le conseguenze per quanti, essendo risultati incapienti o avendo superato il limite di reddito ai fini del riconoscimento del bonus di 80 euro, rinuncino alle relative detrazioni per lavoro dipendente e di conseguenza si esimano dal presentare il modello 730/2016. (5-08904)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 183 del 2015, il cui contenuto è confluito nella legge di stabilità 2016, sono state avviate a procedura di risoluzione 4 banche italiane, ovvero Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Banca Marche, CariChieti e Cassa di Risparmio di Ferrara;
   questo ha significato il conferimento delle attività in sofferenza ad una «bad bank», di tutte le altre ad una «banca ponte» fino alla cessione, e l'azzeramento del valore di 2 miliardi di azioni e 1 di obbligazioni subordinate;
   la scelta di percorrere la via della risoluzione fu motivata con l'adozione della direttiva BRRD che tuttavia avrebbe avuto effetto solo dal 1o gennaio 2016, e soprattutto con l'opposizione della Commissione europea, che avrebbe considerato aiuto di Stato l'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi per la ricostituzione del capitale sociale degli istituti in difficoltà;
   venne allora citata una corrispondenza fra Governo e Commissione e richiamata in particolare la comunicazione 2013/C 216/01, con la quale la Unione europea dichiarava inammissibile qualunque intervento pubblico che non prevedesse preliminarmente l'azzeramento del valore di azioni e obbligazioni subordinate;
   si sostenne che l'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi appartenesse appunto alla categoria degli interventi vietati, nonostante una comunicazione non abbia valore normativo e nonostante questo raccolga capitale da privati, anche se per obbligo di legge;
   in queste ore, dopo un lungo commissariamento, è stata individuata una soluzione per Cassa di Risparmio di Cesena, che prevede l'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi per una ricapitalizzazione tramite aumento di capitale di euro 280 milioni di euro;
   in questo contesto si produrrà un sostanziale azzeramento del valore delle azioni storiche, che passeranno da 19 euro del 2014 a 10-80 centesimi, e la proprietà passerà al fondo che ne gestirà la cessione ad altro operatore del settore;
   all'assemblea dei soci del 28 giugno 2016 sarà tuttavia proposta l'assegnazione di warrant gratuiti nel numero di 4 o 5 per ogni azione agli attuali azionisti al valore di 50 centesimi, da convertire poi eventualmente in azioni nei prossimi 5 anni;
   si produrrà così la soluzione proposta da molti anche per gli azionisti delle 4 banche sottoposte a risoluzione e che il Governo ha sempre rifiutato di adottare;
   è comunque evidente come si renda possibile nel giugno 2016, dopo la piena entrata in vigore della direttiva «BRRD», ciò che non si volle considerare nel novembre 2015, ovvero l'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, la tutela piena degli obbligazionisti, la corresponsione di warrant agli azionisti –:
   quale sia la posizione del Governo sulla questione e sulla base di quali presupposti sia stata assunta, atteso che potrebbe determinarsi una palese disparità di trattamento, in assenza di novità normative significative, fra le quattro banche avviate a risoluzione e Cassa di risparmio di Cesena. (4-13515)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto del Ministero dell'ambiente del 29 novembre 2000 recante «Criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore» pone l'obbligo, a carico dei gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, di presentare al comune e alla regione o all'autorità da essa indicata, ai sensi dell'articolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, il piano di contenimento ed abbattimento del rumore prodotto nell'esercizio delle infrastrutture;
   in particolare, per quanto riguarda gli aeroporti, il gestore individua le aree dove sia stimato o rilevato il superamento dei limiti previsti e trasmette i relativi dati agli enti citati. Entro i successivi diciotto mesi, nel caso di superamento dei valori limite, l'esercente presenta il piano di contenimento ed abbattimento del rumore di cui al richiamato comma 5 dell'articolo 10 della legge 26 ottobre 1995, n. 447;
   come richiamato nelle sentenze del TAR Lazio (sezione II BIS) del 10 gennaio 2002 e del Consiglio di Stato (N. 5822/2004), i gestori aeroportuali sono obbligati a impegnare in via ordinaria una quota del 7 per cento dei fondi di bilancio previsti per le attività di manutenzione e di potenziamento delle infrastrutture stesse, per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore;
   qualora la disponibilità annuale non sia esaurita, l'articolo 6 del decreto ministeriale di cui sopra, prevede che il residuo si riporti a bilancio dell'anno successivo all'interno di uno specifico fondo cumulativo;
   ai sensi del citato decreto, è altresì previsto che, sia l'entità dello stanziamento atteso per l'anno, sia quella dell'ammontare del fondo di accumulo, debbano essere oggetto di formale informazione da parte del gestore ai comuni dell'intorno aeroportuale entro il mese di marzo;
   nel corso dell'esercizio 2015, risulta all'interrogante che siano state effettuate significative opere di manutenzione e potenziamento delle infrastrutture aeroportuali di Venezia e Treviso, tali da dover risultare nel bilancio societario del gestore aeroportuale Save Spa a norma delle richiamate regole vigenti sugli accantonamenti;
   da un'analisi dei documenti contabili del gestore, non risulta però alcuna previsione in merito alla quota annuale di accantonamento per l'adozione di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore, né all'entità del suo eventuale utilizzo e alla consistenza del fondo accumulato negli anni precedenti;
   a quanto consta agli interroganti Save spa avrebbe impugnato il decreto ministeriale del 29 novembre del 2000;
   come sopra richiamato, due recenti sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato hanno rigettato il ricorso contro l'articolo 6 del decreto del Ministero dell'ambiente del 29 novembre del 2000 presentato da una decina di società gestrici di aeroporti (tra cui non compare Save Spa), riconfermando l'obbligo di accantonamento «in via ordinaria» dei fondi per l'adozione di interventi di contenimento e abbattimento del rumore;
   per quanto riguarda l'aeroporto di Venezia «Marco Polo», da anni l'Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione ambientale del Veneto – ArpaV, riscontra a Tessera il superamento costante del limite acustico comunale, specie notturno, dovuto al traffico aereo –:
   a fronte delle informazioni di cui in premessa, se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, promuovere – in considerazione del ruolo di controllo e vigilanza rivestito da Enac nei confronti dei gestori aeroportuali – tutte le necessarie iniziative affinché Save Spa rispetti la normativa vigente in materia di interventi di contenimento ed abbattimento del rumore aeroportuale;
   se il Ministro non ritenga ravvisabile nei confronti della direzione aeroportuale di Enac per il Nord-est una responsabilità per omesso controllo e vigilanza nei confronti del gestore aeroportuale Save Spa, in relazione al mancato accantonamento in via ordinaria dei fondi per l'adozione di interventi di contenimento e abbattimento del rumore. (5-08915)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi 4 chilometri dell'autostrada Siracusa-Gela, nel tratto Noto-Rosolini, sono ormai chiusi da oltre un anno per lavori di riqualificazione. Ciò determina un grave disagio per gli utenti che sono costretti a percorrerla per varie ragioni;
   in particolare, si registrano una serie di gravi inconvenienti (ad esempio, le pessime condizioni del manto stradale con buche e avvallamenti, le varie interruzioni sul tragitto, e altro) che non consentono una percorrenza agevole per i numerosi cittadini della regione siciliana che ogni giorno la percorrono;
   lo stato di dissesto e di degrado di questo tratto autostradale sta, inoltre, peggiorando, rendendo difficili le condizioni di percorrenza della stessa. Tra l'altro, le riparazioni effettuate nel tragitto sono avvenute con interventi che spesso destano perplessità sotto il profilo dei materiali utilizzati;
   quello che desta però particolare allarme e che è necessario rilevare è che da molti mesi a questa parte non ci sono cantieri di lavoro operativi. Ciò dimostra la totale trascuratezza per un'opera che rappresenta un importante punto di passaggio per gli automobilisti;
   in ogni caso, è necessario adottare misure adeguate che permettano la continuazione dei lavori e la definitiva riparazione di questo tratto di autostrada fondamentale per l'economia della regione –:
   quali siano le ragioni della mancata realizzazione dei lavori di manutenzione di questo tratto di autostrada che costituisce uno snodo fondamentale per l'economia dell'isola;
   quali siano i motivi che hanno determinato la chiusura dei cantieri che svolgevano la loro attività nel tratto autostradale Noto-Rosolini;
   quando verranno ripresi i lavori del tratto autostradale citato al fine di rendere più sicura la fruizione dello stesso da parte degli utenti. (4-13504)


   OCCHIUTO e SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il codice dei contratti pubblici, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, abrogato dal nuovo codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recava specifiche previsioni per le procedure di affidamento diretto, nonché specifiche misure per il calcolo del valore di appalti di servizi e forniture che presentano carattere di regolarità o sono destinati ad essere rinnovati entro un determinato periodo;
   lo stesso codice prevedeva, inoltre, che nessuna prestazione di beni, servizi potesse essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia (divieto di artificioso frazionamento);
   nel nuovo e recentissimo codice entrato in vigore lo scorso aprile 2016, rimane confermato l'affidamento diretto, adeguatamente motivato, per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro, rispetto al quale deve comunque rispettarsi il principio del divieto di frazionamento artificioso (reso ancora più pregnante dall'obbligo di programmazione per gli acquisti di beni e servizi per importi unitari pari o superiore a 40.000 euro). Si devono peraltro richiamare sul punto le raccomandazioni dell'Autorità nazionale anticorruzione, dettate nella propria determinazione n. 12/2015 («Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione»), ove, «con specifico riguardo alle procedure negoziate, affidamenti diretti, in economia o comunque sotto soglia comunitaria», si è suggerita l'adozione di «Direttive/linee guida interne che introducano come criterio tendenziale modalità di aggiudicazione competitive ad evidenza pubblica ovvero affidamenti mediante cottimo fiduciario, con consultazione di almeno 5 operatori economici, anche per procedure di importo inferiore a 40.000 euro»;
   in attesa delle linee guida dell'ANAC, che stabiliranno le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure sotto-soglia, è comunque necessario rilevare, alla luce dei presupposti normativi citati, un fenomeno comune che riguarda in generale tutte le autonomie locali nel ricorso a procedure di affidamento diretto, divenute di fatto procedure ordinarie; anziché di carattere eccezionale come prevista dal Codice;
   la stessa Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di un'analisi svolta sugli appalti di servizi e forniture in un periodo che va dal primo gennaio 2010 al 10 marzo di quest'anno in 116 comuni capoluogo, ha denunciato, in particolare, una sistematica disapplicazione delle norme in materia di calcolo del valore dell'appalto e di affidamenti diretti o in economia del codice dei contratti pubblici;
   oltre ai dati in merito agli affidamenti diretti nei principali comuni capoluogo del nostro Paese, sarebbe interessante analizzare se, ai fini dell'attenuazione di tale fenomeno, gli strumenti di indirizzo e controllo in capo agli amministratori abbiano ottenuto dei risultati significativi;
   ulteriore elemento informativo sarebbe l'analisi sulle dinamiche di aumento o diminuzione i tali fenomeni a seguito dell'elezione di una nuova amministrazione –:
   quali siano i dati relativi alle procedure di affidamento dei lavori per servizi e forniture nei comuni di Milano, Torino, Firenze e Reggio Calabria, confrontando i valori percentuali sul totale degli affidamenti negli anni 2010 e 2014. (4-13507)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Tommaso Laporta, sindaco di Botricello, comune del catanzarese, ha ricevuto nei giorni scorsi una lettera minatoria contenente minacce di morte, della quale ha subito informato i carabinieri presentando denuncia contro ignoti;
   l'inquietante episodio segue di poche ore una missiva inviata a un tecnico del comune, Domenico Potami, nella quale oltre alle minacce era raffigurata una pistola e lo squarcio delle ruote di un mezzo utilizzato per la raccolta dei rifiuti;
   le minacce al primo cittadino di Botricello si inseriscono in una escalation di gravi intimidazioni agli amministratori pubblici locali, già denunciata nei mesi scorsi dai deputati calabresi del Pd colpendo, in questo caso, un sindaco che ha operato e opera per fornire risposte adeguate alla propria comunità anche mantenendo un'elevata qualità dei servizi con un'azione improntata alla legalità e alla trasparenza;
   secondo il recente rapporto di avviso pubblico dal titolo «Amministratori sotto tiro», su 96 casi di intimidazioni e minacce agli amministratori pubblici in tutta Italia, nei primi due mesi e mezzo del 2016, ben 23 sono quelle censite in Calabria alla quale va il triste primato di questa particolare classifica;
   lo Stato, le istituzioni locali e la cittadinanza non devono in alcun modo sottovalutare la gravità di quanto accade nei Comune di Botricello –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per contribuire a fare piena luce sulle azioni intimidatorie di cui in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per consentire ai comuni interessati da episodi di intimidazione, una maggiore flessibilità riguardo al rafforzamento delle piante organiche, spesso ridotte ai minimi termini ed insufficienti ad affrontare la complessa situazione di territori nei quali sono presenti infiltrazioni della criminalità organizzata;
   se, più in generale, il Ministro intenda rafforzare la presenza dello Stato sul territorio calabrese per rispondere con maggiore determinazione all’escalation di atti intimidatori che stanno colpendo amministratori, giornalisti, associazioni e imprenditori, rendendo più efficace l'azione di contrasto della criminalità organizzata.
(5-08905)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Mercato San Severino versa – ormai da tempo – in gravissima crisi economico-finanziaria e soffre una crisi di liquidità molto forte, tanto che da anni è divenuto cronico, strutturale ed assai oneroso il ricorso a continue richieste di anticipazione di cassa. Nell'anno 2016 le somme richieste a titolo di anticipazione hanno già raggiunto ben 6.400.737,0000 euro;
   sovente, le anticipazioni di cassa non sono state rimborsate alla fine dei relativi esercizi finanziari di competenza;
   l'ente locale, in particolare per fronteggiare i debiti pregressi, maturati alla data del 31 dicembre 2012, ha ottenuto dalla Cassa depositi e prestiti, ai sensi del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2103, n. 64, un'anticipazione di liquidità di oltre 8,5 milioni di euro da restituire con rate costanti, comprensive di capitale ed interessi, per un arco temporale di ben 29 anni, aggravando così ulteriormente la situazione delle casse comunali;
   l'ente ha provveduto al riaccertamento straordinario dei residui, attestando un disavanzo di euro 8.553.379 da ripianare in 30 anni, con quota annua di circa 285.000 euro;
   il comune di Mercato S. Severino, ai sensi del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha fatto – ulteriormente – ricorso alla concessione di anticipazione di liquidità per il pagamento di debiti maturati alla data del 31 dicembre 2014, per un importo di oltre 3 milioni di euro. Su tale anticipazione il tasso di interesse passivo è pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a 5 anni, con ulteriore e consistente aggravio per le finanze comunali;
   pertanto il comune di Mercato S. Severino presenta una rilevante esposizione debitoria, che non riesce a fronteggiare;
   di conseguenza è stato destinatario di diverse giudiziarie da parte di creditori, con l'emissione di numerosi decreti ingiuntivi;
   fra l'altro il comune di Mercato S. Severino ha posto in essere piani di rateizzazioni con propri creditori, senza che, tuttavia, sia riuscito a darvi concreta e puntuale attuazione;
   la mole del contenzioso, spesso definito con sentenze di condanna che hanno acquistato autorità di res judicata, ha ancor di più determinato pregiudizio e nocumento alle finanze ed alla stessa immagine del comune;
   diversi commissari ad acta, nominati per la esecuzione di sentenze divenute definitive, hanno provveduto al riconoscimento formale di debiti fuori bilancio, sostituendosi così al comune rivelatosi inadempiente, con ulteriore aggravio di spese per l'ente;
   tra la fine del 2014 e l'inizio del 2016, sarebbero stati notificati al comune, altri decreti ingiuntivi, sentenze di condanna per il pagamento di somme, solleciti di pagamento per svariati milioni di euro, tuttavia non ancora portati alla cognizione del consiglio comunale;
   in questo contesto finanziario ed istituzionale così delicato, non si è dato luogo alla indispensabile e sollecita convocazione del consiglio comunale per il riconoscimento di ulteriori debiti fuori bilancio e per ogni altra decisione di competenza consiliare;
   il bilancio del comune risente anche della gravissima crisi economico-finanziaria che da anni affligge la società GE.SE.MA., società con capitale sociale interamente di proprietà del comune medesimo; tale società svolge una pluralità di attività e di servizi pubblici;
   tale società ha maturato negli anni un pesante deficit per svariati milioni di euro;
   lo stesso comune già da alcuni anni non è nelle condizioni finanziarie per adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali nei confronti della GE.SE.MA., a titolo di corrispettivo per i diversi servizi e le diverse attività svolti dalla società in ambito comunale, in attuazione di specifiche convenzioni che regolano i rapporti fra GE.SE.MA e comune;
   è emersa divergenza, nei rapporti fra comune e GE.SE.MA. tra crediti e debiti reciproci per circa 3,3 milioni di euro, secondo la relazione dell'organo di revisione del comune, alla luce del rendiconto della gestione per l'anno 2013;
   tale divergenza tra crediti e debiti reciproci, nei rapporti fra comune e GE.SE.MA., sarebbe progressivamente aumentata negli anni; di recente si è provveduto a modificare più volte la forma giuridica della società GE.SE.MA., con la vendita di rami d'azienda;
   è necessario che il consiglio comunale possa verificare le modalità di cessione dei rami d'azienda della società GE.SE.MA., per ogni eventuale decisione a tutela del patrimonio pubblico e dell'interesse pubblico, degno di prioritaria protezione, alla oculata e rigorosa gestione della res publica;
   la stessa società GE.SE.MA., da anni, ha sofferto ripetute e pesanti perdite di esercizio, accumulando un gravissimo deficit e fino all'abbattimento dell'intero capitale sociale, nonché un consistente patrimonio netto negativo;
   il consiglio comunale, a quanto risulta all'interrogante, non è mai stato messo in condizione di poter deliberare in ordine alla eventuale ricapitalizzazione della società, che versa in una gravissima crisi economico-finanziaria, tale da essere risultate insolvente con i propri fornitori; ne discendono continuo indebitamento della società, mancato versamento di contributi previdenziali, reiterati ed inaccettabili ritardi nel pagamento degli stipendi ai dipendenti della GE.SE.MA.;
   inoltre, sembrerebbe che la stessa società non avrebbe onorato le rateizzazioni definite con Equitalia per il pagamento di debiti erariali;
   per la GE.SE.MA. è in corso procedura concorsuale di concordato preventivo con continuità aziendale;
   il consiglio comunale di Mercato S. Severino, a quanto risulta all'interrogante, non è stato informato, né tantomeno ha mai potuto discutere e valutare la predetta scelta di concordato;
   il comune di Mercato S. Severino è da ritenersi oramai strutturalmente insolvente, con un fortissimo squilibrio economico-finanziario, che causa inevitabilmente costante ed ulteriore indebitamento; quanto mai problematica e di ingenti dimensioni è la gestione dei residui attivi e passivi, con tanti riflessi negativi sull'intero contesto economico, finanziario e contabile del comune;
   già in passato l'organo di revisione contabile del comune, ha invitato il consiglio comunale ad intraprendere la procedura di riequilibrio economico-finanziario prevista dalla normativa del Testo unico enti locali (T.U.E.L.) di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, tenuto conto delle difficoltà sempre più pesanti incontrate dall'Ente e dell'accumulo di situazioni debitorie provenienti anche dalla gestione corrente;
   il bilancio di previsione per l'anno 2014 del comune è stato approvato con il parere condizionato, congruamente motivato, dei revisori dei conti;
   già la Corte dei conti, sezione di controllo per la Campania, con pronuncia n. 99 resa nell'adunanza del 14 maggio 2010, in sede di esame dei rendiconti di esercizio 2007-2008 del comune di Mercato San Severino, ha evidenziato numerose criticità sulla situazione di bilancio della società controllata GE.SE.MA.; in particolare, ha avuto modo di rilevare ed argomentare molteplici profili di forte criticità del bilancio sia del comune, sia della società GE.SE.MA.;
   il quadro finanziario e contabile del comune presenta forti «elementi critici» e «irregolarità contabili» ed una complessiva «gestione finanziaria difficoltosa», come è stato rilevato con diffusa ed articolata motivazione dalla Corte dei conti - sezione regionale di controllo per la Campania con la indicata deliberazione n. 99/2010;
   sussisterebbero, quindi, le condizioni, ex lege fissate, per la dichiarazione di dissesto finanziario del comune di Mercato S. Severino ai sensi dell'articolo 244 T.U.E.L. al fine di evitare ulteriori danni che ineluttabilmente ricadrebbero sulla comunità e sui cittadini sanseverinesi;
   più volte alcuni consiglieri comunali di opposizione hanno responsabilmente e motivatamente richiesto di assumere ed approvare in consiglio comunale la deliberazione, recante la formale ed esplicita dichiarazione di dissesto finanziario, a salvaguardia proprio del futuro e degli interessi prioritari della comunità sanseverinese;
   da ultimo tali consiglieri comunali, per segnalare questa gravissima situazione e sollecitare l'adozione tempestiva di tutti i provvedimenti conseguenti e necessari, si sono formalmente rivolti, con nota del 16 marzo 2016, al presidente del consiglio comunale ed ai competenti uffici ed al collegio dei revisori dei conti del comune di Mercato S. Severino, nonché alla Corte dei conti, sezione di controllo della Campania ed al Ministero dell'interno;
   ulteriore nota integrativa è stata inoltrata dai medesimi consiglieri comunali in data 14 giugno 2016, per rappresentare l'aggravamento ulteriore, per diverse e concorrenti ragioni, della situazione economica, finanziaria e contabile dell'Ente;
   il collegio dei revisori dei conti, con atto prot. n. 11398 del 12 maggio 2016, ha espresso parere non favorevole, approfonditamente motivato, sulla proposta di bilancio di previsione 2016-2018 approvata dalla giunta comunale;
   tale parere è stato formulato sulla base di una molteplicità di distinti e pesanti rilievi negativi e critici sugli equilibri di bilancio e sulla gestione economica e finanziaria del comune –:
   quali tempestive e congrue iniziative di competenza i Ministri interrogati, alla luce della descritta grave situazione economica, finanziaria e contabile complessiva sia del comune sia della GE.SE.MA. società interamente partecipata dall'ente locale, intendano assumere al fine di verificare ed accertare – con una ispezione al comune di Mercato San Severino e con tutti gli interventi previsti dalla normativa vigente – le circostanze sopraindicate, in ossequio ai principi costituzionalmente rilevanti di legalità e buon andamento dell'azione amministrativa e di corretto esercizio economico, finanziario e contabile del comune medesimo. (5-08909)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato il 12 giugno 2016, dall'organo di stampa « Il Fatto Quotidiano», a Milano è stata sgominata una rete criminale che raccoglieva denaro contante, in diverse città italiane, attraverso il meccanismo dei money transfer (ovvero un circuito, alternativo alle banche, che consente l'invio di denaro in qualsiasi parte del mondo) utilizzati, per finanziare traffici di armi in Libia;
   il medesimo articolo evidenzia come la vicenda, che coinvolge diverse procure, sia iniziata a metà del 2015 quando in un aeroporto lombardo, un cittadino libico fu fermato con una valigetta portavalori con circa 300 mila euro in contanti;
   gli investigatori, analizzando i contatti del telefono cellulare, sono arrivati direttamente all'attività legata al money transfer, iniziando un'intensa attività di monitoraggio, dalla quale è emerso che il denaro (materialmente uscito dal negozio dentro le valigette e movimentato in contanti per circa 200 mila euro a viaggio), sia stato smistato verso l'Austria e l'est Europa, oltrepassando la Slovenia e successivamente sparito;
   l'articolo del « Fatto Quotidiano» prosegue inoltre, rilevando che i servizi di intelligence italiani, nell'ambito della medesima inchiesta investigativa, hanno constatato, attraverso le intercettazioni telefoniche, che le finalità delle attività illegali erano connesse ad una corposa operazione di traffico d'armi, gestite in Italia i cui destinatari finali erano due cittadini libici;
   gli esperti dell'antiterrorismo a tal fine, hanno stabilito che a Milano ed in particolare nella zona di via Padova, area cittadina ad alta densità di criminalità straniera, esistevano vere centrali operative di documenti falsi e negozi per il money transfer erano il punto di partenza legato ad attività criminose, per il traffico d'armi verso la Libia;
   lo stesso articolo di stampa in precedenza richiamato conferma al riguardo, come le segnalazioni di operazioni sospette relativamente alle attività dei money transfer legate al terrorismo in Lombardia hanno superato di gran lunga la media nazionale, accrescendo le attività investigative ed i pericoli per il nostro Paese;
   a giudizio dell'interrogante, la vicenda suesposta, ove confermata, desta sgomento e preoccupazione in ordine ai pericoli e agli effetti, altamente minacciosi, che tali attività illegali possono determinare nel nostro Paese, nonché alle conseguenze che nella confinante Libia tali condotte illecite possono causare;
   porre in essere ogni elemento di chiarezza e di sicurezza per le attività legate ai money transfer in Italia ed in particolare nell'area lombarda, risulta a giudizio dell'interrogante, indispensabile se si valuta come il rischio del terrorismo internazionale sia particolarmente elevato nei Paesi europei ed in particolare in Italia, che per motivi socio-geografici è situata in una posizione nel Mediterraneo ad alto rischio, dal punto di vista del transito e della presenza di terroristi legati alla jihad islamica –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se trovi conferma quanto riportato dall'articolo in precedenza richiamato;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie intenda assumere al fine di innalzare i livelli di sicurezza e di protezione sul territorio italiano ed in particolare su quello lombardo, dall'aumento delle attività legate alla criminalità organizzata di matrice islamica, posto che i rischi di attentati e di operazioni criminose nel nostro Paese sono in costante aumento, a causa della presenza sul territorio nazionale di immigrati spesso sprovvisti di permesso di soggiorno regolare, intenzionati a nuocere attraverso azioni terroristiche in punti nevralgici delle città italiane. (4-13496)


   POLIDORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'esercizio del voto è un diritto-dovere civico tutelato dalla Costituzione italiana;
   la legge 7 maggio 2009, n. 46, dispone un'estensione del diritto di voto a domicilio:
    a) agli elettori affetti da gravissime infermità, tali che l'allontanamento dall'abitazione in cui dimorano risulti impossibile, anche con l'ausilio dei servizi di cui all'articolo 29 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, cioè siano «intrasportabili»;
    b) agli elettori che si trovino in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali;
   malgrado gli interventi del legislatore, risulta all'interrogante che il voto domiciliare nel nostro Paese sia ancora scarsamente praticato, anche a causa dalle enormi difficoltà burocratiche e logistiche che incontrano molti elettori con disabilità gravi;
   il primo di una serie di passaggi che l'elettore a domicilio o chi per lui deve fare nell'imminenza di qualsiasi consultazione elettorale è la richiesta della certificazione sanitaria attestante la dipendenza da elettromedicali o la «intrasportabilità». Ciò anche se il cittadino in questione possiede il verbale attestante l'invalidità al 100 per cento, e anche nei casi in cui sia sottoposto a cure palliative e quindi sia malato terminale;
   sarebbe quantomeno opportuno eliminare la presentazione delle certificazioni per i casi gravi e ovviamente già accertati dal personale sanitario delle asl di competenza, incentivando e concedendo in questo modo la possibilità di esercitare il proprio diritto-dovere di votare a diverse centinaia di migliaia di persone interessate, che diversamente, sono ingiustamente penalizzate –:
   se il Ministro interrogato intenda porre attenzione alla questione sollevata in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per agevolare al massimo la pratica del voto a domicilio per coloro che versano in gravi condizioni di disabilità, al fine di superare innanzitutto le difficoltà burocratiche, anche attraverso ulteriori semplificazioni nel sistema di certificazione. (4-13498)


   PAGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con una nota a firma del segretario della Camera del lavoro Pino Pardo e del segretario provinciale del SILP — CGIL Lino Mastrantonio, sono state rese note le pessime condizioni strutturali, igieniche e funzionali del complesso che ospita il commissariato di polizia del comune di Niscemi, in provincia di Caltanissetta;
   la nota dei due rappresentanti sindacali ha inoltre sottolineato come il peggioramento progressivo delle condizioni dello stabile, sia anche dovuto all'impossibilità di effettuare i dovuti lavori di manutenzione, ordinaria e straordinaria;
   una tale situazione di degrado ed inefficienza continua a manifestarsi nonostante si siano finora verificati due scioglimenti degli organi elettivi per infiltrazioni mafiose, nonostante vi siano stati numerosi casi di omicidio frutto delle guerre di mafia che si sono combattute sul territorio, nonostante persone innocenti ed oneste abbiano pagato con la vita il loro desiderio di legalità e di denuncia del malaffare;
   in un tale contesto di criminalità diffusa, si assiste ad una situazione in cui il commissariato di Niscemi perde rilevanti unità di organico e figure professionali, la cui assenza impedisce un'adeguata erogazione dei servizi alla cittadinanza (dal basilare servizio di ricezione delle denunce all'indispensabile attività di controllo del territorio);
   secondo la segreteria provinciale del SILP — CGIL, negli ultimi anni ben sette ufficiali di polizia giudiziaria (quattro sovrintendenti e tre ispettori) sono stati sottratti all'organico del commissariato di Niscemi, a causa di trasferimenti e pensionamenti, ma senza che si sia provveduto alla loro sostituzione;
   si registrano addirittura dei casi di assistenti capo che avrebbero potuto raggiungere il riconoscimento professionale della promozione a sovrintendente e, nonostante ciò, sono stati costretti a rinunciare al corso ed alla qualifica in quanto altrimenti sarebbero stati trasferiti lontano da Niscemi;
   il 10 giugno 2016, è scaduto il bando prefettizio per la ricerca di un immobile adeguato per il commissariato, ma, proprio come altre volte, sembra che non si sia pervenuti a nuove proposte in grado di permettere al commissariato di funzionare in maniera adeguata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa;
   se non ritenga di intraprendere le dovute iniziative, di concerto con l'amministrazione comunale di Niscemi, affinché si possa garantire al commissariato della cittadina nissena una sistemazione idonea allo svolgimento dell'attività di polizia e controllo del territorio, magari utilizzando immobili comunali attualmente vuoti che, con dei lavori di adeguamento, potrebbero ospitare gli uffici ed il personale del commissariato di Niscemi;
   se non ritenga di provvedere affinché il commissariato di Niscemi sia potenziato a livello di personale, sostituendo quanti siano stati trasferiti o siano andati in pensione. (4-13501)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli anni 2014 e 2015 la prefettura di Lodi ha esperito diverse procedure di gara a seguito delle quali sono stati sottoscritti i relativi accordi quadro per progetti di accoglienza di immigranti con i soggetti gestori operanti presso la medesima provincia;
   attualmente pare siano presenti in provincia di Lodi 480 immigranti, ospitati in diverse strutture ubicate nei comuni di Lodi, Graffignana, Lodi Vecchio, Maccastorna Massalengo, Cervignano d'Adda, Zelo Buon Persico, Crespiatica, Como Vecchio, San Martino in Strada, Boffalora d'Adda, Valera Fratta, Casalpusterlengo e Sant'Angelo Lodigiano;
   gli affidamenti disposti a seguito dell'ultimo accordo quadro sono scaduti il 31 dicembre 2015 e gli arrivi dei migranti continuano incessanti nella provincia di Lodi, in conseguenza delle assegnazioni stabilite dal Ministero dell'interno;
   con determina a contrarre Prot. 2223 in data 3 febbraio 2016, la prefettura di Lodi ha, quindi, disposto l'avvio di una nuova procedura di gara al fine di stipulare un accordo quadro per l'anno 2016 mediante procedura aperta e successivamente ha provveduto ad affidare alla Multiethnic Destination International srl il servizio di accoglienza immigranti nel comune di Terranova dei Passerini presso l'immobile ubicato in via San Giacomo n. 4;
   in data 13 aprile 2016 era stata nominata con decreto prefettizio n. 8378/2016 la Commissione per l'esame delle offerte pervenute in relazione alla gara di cui sopra, la quale, tra i criteri per attribuire i punteggi, oltre al prezzo, servizi di integrazione, vitto, numero di immigranti che il soggetto poteva ospitare, dislocazione sul territorio provinciale delle strutture di accoglienza individuati nel bando di gara, aveva individuato anche la qualità dell'alloggio;
   in data 1 giugno 2016 veniva segnalato dal comune di Terranova dei Passeri al prefetto di Lodi che la struttura sita in via San Giacomo n. 4 di proprietà di ATME S.A.S. e data in gestione all'operatore Multiethnic destination International Srl, da quanto risultava dagli atti del comune e da verifica edilizia, non possiede l'agibilità e che lo stabile insiste su di un'area a destinazione produttiva, incompatibile con ogni utilizzo di tipo residenziale non correlata all'attività produttiva e pertanto espressamente vietata dal vigente piano di governo del territorio;
   sempre nella medesima segnalazione il comune evidenziava alla prefettura che per l'immobile in questione era stata recentemente avviata ai sensi dell'articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, una procedura di verifica edilizia dalla quale è emerso che, oltre alla richiamata assenza di formale atto di agibilità, l'immobile è stato oggetto di interventi edilizi non autorizzati, compresa la realizzazione parziale degli impianti tecnologici che risultano non ultimati e quindi non certificati, in particolare l'impianto termico che risulta non funzionante come dimostra lo stato di abbandono del locale centrale termica;
   la procedura di verifica edilizia sopra indicata ad oggi non risulta conclusa in quanto la proprietà, alla quale è stato notificato il provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative in data 24 maggio 2016, non risulta all'interrogante aver provveduto a pagare la sanzione comminata, pertanto risulterebbe che le difformità riscontrate non sarebbero ancora state sanate;
   le precarie condizioni degli impianti tecnologici sono state confermate dal sopralluogo effettuato in data 1 giugno 2016 da parte del responsabile dell'ufficio tecnico comunale e un agente di polizia locale, dove si è riscontrato che, per le necessità di corrente elettrica, l'immobile è servito da un gruppo elettrogeno a benzina/gasolio provvisorio, allacciato alla rete esistente dell'edificio;
   in occasione del sopralluogo di cui sopra il Signor Luca Canazza, qualificatosi come referente della cooperativa Multiethnic Destination International srl ha confermato all'interno dello stabile la presenza di diverse persone, presenza che verrà incrementata con nuovi arrivi probabilmente sin da ora fino a un numero di 70 immigrati;
   presso l'immobile in oggetto sono ospitati diversi immigrati ma, tuttavia, ad oggi, a quanto consta all'interrogante, il comune non ne conosce ancora il numero, l'identificazione anagrafica, la provenienza e le condizioni igienico sanitarie –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato, in relazione a quanto esposto ed in particolare alla condizione di incompatibilità dell'uso dell'immobile alle condizioni urbanistiche ed edilizie, di cui in premessa e quali iniziative siano state assunte per il superamento della condizione di non conformità dell'immobile sopra evidenziate, quali controlli siano stati effettuati da parte della Prefettura di Lodi relativamente alla verifica in capo alla Multiethnic Destination International srl dei requisiti generali e di ordine tecnico previsti dal bando e all'idoneità della stessa, in relazione anche a quanto disposto dalle norme del codice degli appalti (decreto legislativo n. 63 del 2006); se siano inoltre stati verificati i requisiti tra cui la qualità dell'alloggio, come da criteri stabiliti dalla commissione prefettizia nominata con decreto n. 8378/2016, e la copia dell'atto di convenzione tra la Multiethnid Destination International srl e la prefettura di Lodi; quali siano le somme finora erogate alla medesima società, il numero, l'identificazione anagrafica, la nazionalità e le condizioni igienico sanitarie degli immigrati ospitati nella struttura sita in via San Giacomo n. 4 nel comune di Terranova dei Passerini; quanti di tali immigrati abbiano presentato domanda di protezione internazionale, a quale punto sia la procedura per l'esame della domanda ed eventualmente quanti siano stati i rigetti o i riconoscimenti di protezione internazionale. (4-13508)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è ormai chiaro a tutti che i conti sulle pensioni in Italia non tornano, e non solo per i bilanci dell'Inps, gravati da un deficit strutturale, ma per le numerose manovre che si stanno delineando intorno alla previdenza;
   negli ultimi 40 anni, in Italia sono state approvate almeno 10 riforme della previdenza che hanno cambiato completamente il sistema di calcolo, di finanziamento, i limiti di età e i criteri del pensionamento;
   lo stesso Tito Boeri, presidente dell'Inps, non passa giorno che non avanzi proposte e faccia annunci in materia di pensioni: dalla posticipazione dell'età per andare in pensione, alla previsione «nera» per i giovani, fino ai vitalizi per i parlamentari che, pure, non rientrerebbero nella sua competenza;
   in tale contesto, che preoccupa tutti gli italiani e, in particolare, i giovani, già gravati da anni di disoccupazione, nulla è stato detto sulle pensioni sociali concesse agli stranieri, comunitari ed extracomunitari, senza aver versato un contributo o lavorato in Italia, né sono chiari i dati riguardanti tale «fenomeno» che sembrerebbe aver assunto i connotati di un vera e propria truffa ai danni dello Stato;
   in particolare, come si apprende da fonti giornalistiche, il cittadino extracomunitario con un permesso di soggiorno valido almeno un anno può chiedere il ricongiungimento dei familiari, tra cui i genitori a carico o con più di 65 anni; presenta la domanda in prefettura e la certificazione di «idoneità abitativa» rilasciata dal comune; il genitore ottiene il «permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo» e poi basterebbe un'autodichiarazione di essere in stato di povertà, di non avere altri redditi, e a 65 anni e 7 mesi si ha diritto all'assegno sociale che ammonterebbe a 448 euro al mese, per tredici mensilità;
   se i genitori «ricongiunti» sono due gli assegni diventerebbero addirittura doppi, per un totale di 11.649 euro annui;
   condizione indispensabile è che i titolari dell'assegno sociale vivano effettivamente in Italia 11 mesi all'anno: se si assentano per più di un mese, la pensione dovrebbe essere sospesa e, dopo un anno di assenza, revocata;
   tale condizione, però, sembra essere aggirata facilmente e molti, ottenuto l'assegno, tornerebbero nel loro Paese dove vivono con le pensioni italiane e i loro cari, dopo avere magari trattenuto una percentuale per sé, provvedono a girare l'assegno Inps con il money transfer;
   tutto questo succede nell'assenza di qualunque controllo, mentre quando è un italiano a richiedere l'assegno sociale scattano tutti i controlli per verificare che chi ha richiesto l'assegno sia in regola;
   è ormai chiaro che la normativa in materia di assegni sociali ai richiedenti stranieri vada rivista nei presupposti, superando, ad esempio, il modello dell'autocertificazione, e nelle modalità di erogazione e, in particolare, che occorra prevedere meccanismi di controllo che impediscano di aggirare le leggi e truffare lo Stato; in ogni caso, gli assegni sono da riservare solo ai congiunti di coloro che hanno versato per un congruo periodo di tempo i contributi all'Inps –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per porre fine a quello che appare agli interroganti un fenomeno di sciacallaggio, nonché quali siano le cifre precise del fenomeno medesimo. (4-13499)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Servola (Trieste) è uno stabilimento industriale dedito principalmente alla produzione di ghisa, destinata ai settori metalmeccanico e siderurgico, passato, nel 2014, dalla Lucchini in A.S. alla Siderurgica Triestina S.r.l., società del gruppo Arvedi; le vicende relative alla Ferriera, alla luce delle numerose criticità di natura industriale, ambientale e sanitaria legate all'impianto, sono state esaminate e sollevate dall'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo;
   il 27 luglio 2015, durante una conferenza stampa organizzata a Trieste, sono stati presentati i dati relativi ad un'indagine di microscopia elettronica effettuata su alcuni campioni di polvere depositata in due diverse zone del rione di Servola, commissionata dal primo firmatario del presente atto e dal senatore Lorenzo Battista alla Nanodiagnostics Srl. La dottoressa Gatti, nel presentare i risultati delle analisi, ha confermato, in funzione della specifica composizione chimica degli elementi individuati, la chiara origine siderurgica delle polveri: «Per composizione, morfologia e dimensione, le polveri raccolte hanno caratteristiche tali da farle risalire quanto ad origine alla fabbrica di ghisa sita nel quartiere triestino di Servola. Nella totalità dei casi le particelle hanno mostrato di contenere ferro, elemento sempre unito ad altri, come avviene di regola per i materiali usati nelle fonderie. Polveri simili, se disperse nell'ambiente e, in particolare, in aria, sono potenzialmente patogene per chi ne è esposto. Quelle di diametro aerodinamico pari o inferiore ai 10 micron sono normate dalle leggi comunitarie, mentre quelle di diametro aerodinamico pari o inferiore ai 2,5 micron sono classificate come cancerogeni di classe 1, cioè cancerogeni certi, dallo IARC, l'ente dell'OMS che si occupa di cancro»;
   l'Arpa Friuli Venezia Giulia nel mese di luglio 2015 ha prodotto uno studio relativo alle analisi in microscopia elettronica a scansione (SEM) e di caratterizzazione chimica di un campione di polveri prelevato nel maggio precedente in una residenza privata sita a Servola. Il testo (protocollo 023307 del 14 luglio 2015) riporta che «sulla base delle evidenze analitiche riportate, si ritiene di attribuire l'origine siderurgica del materiale esaminato. In particolare si segnala la contestuale presenza di elevate concentrazioni di ferro e la presenza di importanti concentrazioni ponderali di idrocarburi policiclici aromatici»; si conclude indicando che «in merito alle valutazioni di rischio sanitario, si fa presente che lo scrivente non è titolato ad esprimersi in merito» e che «tali valutazioni sono di stretta competenza dell'Autorità Sanitaria»;
   il 20 luglio 2015, in concomitanza con la visita ed un ciclo di audizioni organizzate a Trieste dalla Commissione ambiente del Senato, il dottor Valentino Patussi, Direttore del dipartimento prevenzione dell'Azienda per l'Assistenza Sanitaria n. 1 Triestina, ha inoltrato al Sindaco e all'Assessore all'ambiente del comune di Trieste una comunicazione nella quale ha indicato che «stante la provenienza di una quota rilevante delle polveri dallo stabilimento siderurgico di via di Servola 1, in parte derivante dall'altoforno (particelle ferrose), in parte dalla cokeria e dai parchi (Ipa e carbon fossile), visti i rilievi delle deposizioni, sulla base delle segnalazioni dei cittadini, relative alla rilevante diffusione di polveri dallo stabilimento, provocante grave disturbo, si ritiene che, indipendentemente dalle rilevazioni delle centraline, la situazione in essere, associata al contesto stagionale, quali le ondate di calore subentranti, che fanno si che elementari misure di difesa, quali il tenere chiuse le finestre nei momenti più critici, siano impossibili da adottare, comporti un importante problema di salute della popolazione, sulla base della stessa definizione che ne da l'OMS (uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia od infermità)». La comunicazione si conclude con: «Tanto si segnala per l'adozione, da parte di codesto Ente di azioni mirate a ridurre la situazione di inquinamento segnalata»;
   il primo firmatario del presente atto, in data 30 ottobre 2015, ha depositato l'interrogazione n. 4-10928, ancora senza risposta, con la quale ha chiesto al Ministero della Salute una valutazione sulla situazione sanitaria e di conoscere quali iniziative urgenti intenda adottare, anche di concerto con la regione Friuli Venezia Giulia, per tutelare la salute dei lavoratori e dei cittadini di Trieste e limitare l'aumento delle malattie collegate all'inalazione delle polveri sottili derivanti dagli impianti della Ferriera di Servola;
   l'interrogazione a risposta orale 3-02375 presentata dal senatore Lorenzo Battista il 17 novembre 2015, ancora senza risposta, ha chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di attivarsi «affinché si istituiscano dei regolamenti in materia di controlli, norme comportamentali e smaltimento delle polveri inquinanti che ricadono sull'abitato e sui cittadini, anche in ragione della forte carenza di interventi risolutori conseguenti ai monitoraggi effettuati, a cui si devono i tanti episodi di contaminazione e violazioni di legge»;
   il 17 marzo 2016, il giornale on line Trieste Prima ha pubblicato un comunicato stampa del consiglio della VII circoscrizione del comune di Trieste nel quale l'organo «ritiene doveroso, come da mozione approvata, informare la cittadinanza delle precauzioni da adottare nella pulizia domestica, rilevata la pericolosità delle polveri che si depositano nella zona di Servola e limitrofe. Si raccomanda che vengano utilizzati idonei sistemi aspiranti dotati di filtro Hepa cui far seguire se necessario, una pulizia ad umido con l'adozione di comuni detergenti. Nelle operazioni di pulizia più impegnative nelle quali si devono rimuovere deposizioni di lunga data, si raccomanda l'utilizzo di guanti in gomma e maschere per polveri di tipo usa, e getta». Le informazioni sopra dichiarate sono tratte da una risposta fornita dall'ingegnere Umberto Laureni e dal dottore Valentino Patussi ad una cittadina residente a Trieste, la quale chiedeva informazioni su come comportarsi nella quotidiana pulizia della propria abitazione;
   in data 1° aprile 2016, il primo firmatario del presente atto ha depositato l'interrogazione n. 4-12716, al momento senza risposta, con la quale ha chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute di chiarire le corrette pratiche che i residenti devono adottare nelle pulizie domestiche, alla luce dell'acclarata pericolosità delle polveri in questione e, alla luce delle risultanze delle analisi effettuate, di conoscere come debbano essere considerate, classificate e, dunque, trattate, le polveri che i residenti raccolgono sulle proprie pertinenze;
   in data 5 aprile 2016, inoltre, alla luce della conclusione dei test (Topsoil) sui campioni di terreno prelevati in tre aree cittadine di Trieste (Piazzale Rosmini, pineta di Servola e via Cossetto) per verificare la presenza di inquinanti, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una missiva all'assessore all'ambiente del comune di Trieste, al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 Triestina ed al direttore generale di Arpa Friuli (Venezia Giulia chiedendo le tempistiche di pubblicazione dei risultati e le eventuali azioni nel caso i valori si fossero rivelati superiori ai limiti di legge; analoghe mail di sollecito sono state inviate anche in data 12 aprile, 20 aprile e 27 aprile 2016, senza ricevere alcun riscontro;
   il 28 aprile 2016, durante una conferenza stampa presenziata dall'assessore Laureni e dal dottore Patussi, sono stati resi noti i risultati delle analisi effettuate sui terreni comunali di Via Cossetto, della Pineta di Servola e di Piazzale Rosmini. Nella stessa giornata il sito Retecivica del comune di Trieste ha diffuso un comunicato stampa ed il testo dell'ordinanza del sindaco di Trieste di limitazione all'accesso di due delle aree esaminate (Piazzale Rosmini e area verde della pineta Stefano Miniussi di via di Servola);
   l'ordinanza recita che, a causa «del superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di alcuni Idrocarburi Aromatici (IPA), indicate nella Colonna A, Tabella I, Allegato 5, Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, «al fine di evitare un possibile contatto degli inquinanti da parte della popolazione», si dispone «il divieto di accesso a chiunque alle aree verdi pubbliche succitate ad eccezione dei soggetti titolati ad effettuare gli opportuni interventi ambientali e manutentivi»;
   il comunicato stampa del comune di Trieste, inoltre, riporta come «contestualmente sono in fase di espletamento i campionamenti negli altri siti dell'area di Servola individuati nel protocollo di indagine concordato tra Arpa ed AAS1, ed i risultati saranno disponibili entro il prossimo mese di maggio»;
   la notizia della contaminazione dei terreni dei giardini frequentati quotidianamente, in particolare quello di piazzale Rosmini relativamente distante dall'impianto di Servola, è stata ripresa con grande risalto dai media ed ha suscitato preoccupazione e scalpore nella cittadinanza;
   in data 23 maggio 2016 e in data 30 maggio, il primo firmatario del presente atto ha richiesto all'assessorato all'ambiente del comune di Trieste; al direttore del dipartimento di prevenzione azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 e al direttore generale di ARPA del Friuli Venezia Giulia informazioni sulle tempistiche di pubblicazione dei risultati relativi all'individuazione delle sorgenti inquinanti della prima campagna top soil e, in relazione alla seconda campagna di misurazione, sia la pubblicazione dei risultati dei campionamenti, sia gli interventi che si intendano adottare a tutela della salute pubblica, alla luce dei risultati emersi dai superamenti dei livelli registrati;
   in data 31 maggio 2016, durante una conferenza stampa organizzata dal comune di Trieste, sono stati resi pubblici i risultati della seconda campagna di monitoraggio dei terreni. Nella giornata di venerdì 3 giugno 2016, sul sito Trieste Prima è stata pubblicata l'ordinanza sindacale di limitazione dell'accesso in cinque aree verdi pubbliche cittadine ai fini di prevenzione e in via cautelativa;
   l'ordinanza riporta che, «a seguito dei primi campionamenti ed analisi eseguiti dall'ARPAFVG su 4 punti di indagine effettuati sul terreno superficiale (top soil) nelle aree a verde del giardino comunale di piazzale Antonio Rosmini e sul punto di indagine sul terreno dell'area a verde della pineta Stefano Miniussi di via Servola, si è riscontrato il superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di alcuni Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), indicate nella Colonna A, Tabella I, allegato 5, Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i., è stato disposto «il divieto di accesso a chiunque alle aree verdi pubbliche del giardino di piazzale Antonio Rosmini ed all'area a verde della pineta Stefano Miniussi (...) nonché di predisporre i necessari interventi volti a segnalare il divieto di accesso (...) atti ad evitare a chiunque un possibile contatto con gli inquinanti presenti nel terreno di dette aree (...)»» e che «(...) dai Rapporti di Prova dell'ARPA FVG del 4 maggio 2016 n. 5793/2016, 5794/2016 e del 9 maggio del 2016 n. 6127/2016, 6128/2016, 6135/2016 (...) si evince il superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di alcuni Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), indicate nella Colonna A, Tabella I, Allegato 5, Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i., in un punto di indagine dei terreni delle aree a verde rispettivamente del giardino comunale Muzio De Tommasini, della scuola dell'infanzia Don Dario Chalvien, della chiesa parrocchiale S. Lorenzo Martire, della scuola elementare Biagio Marin e dell'immobile utilizzato dall'Associazione Amici del Presepio e dal Club Triestino Fermodellisti Mitteleuropea» –:
   se i Ministri interrogati intendano anche per il tramite dell'istituto superiore della sanità, dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, degli enti di ricerca presenti sul territorio e di concerto con gli enti locali provvedere ad una estesa campagna di monitoraggio dei terreni, sia pubblici che privati, che consideri anche le origini degli inquinanti ed analizzi le potenziali ricadute sanitarie sulla cittadinanza;
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di competenza e in accordo con gli enti locali, per la messa in sicurezza delle aree e per tutelare precauzionalmente la salute pubblica. (5-08912)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINETTI e BOSCO. — Al Ministro della salute, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro della giustizia, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   esiste una legge dello Stato spesso criticata per un suo presunto «proibizionismo» e per questo attaccata con l'obiettivo di smontarne i divieti e lo stesso impianto;
   si tratta della legge n. 40, al centro di decine di ricorsi e di alcune sentenze della Corte Costituzionale che ne hanno alterato vari punti qualificanti; eppure non è mai stata tanto citata positivamente come negli ultimi mesi;
   per stornare, infatti, il sospetto che la disciplina delle unioni di fatto consentisse, tra le complicate pieghe dei suoi commi, di ottenere figli tramite utero in affitto è stato infatti ripetutamente evocato il divieto contenuto propri nella legge sulla procreazione medicalmente assistita del 2004;
   il comma 6 dell'articolo 12 della legge 40 afferma: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»);
   ebbene in questi giorni la violazione di questo comma è sotto gli occhi di tutti: alcune redazioni giornalistiche riferiscono infatti dell'arrivo in Italia di rappresentanti della clinica californiana dove Nicola VENDOLA e il suo compagno Ed TESTA hanno ottenuto una gravidanza con surroga da parte di una donna, pagata per questo;
   sembra che l'obiettivo del viaggio dagli Usa nel nostro Paese sia strettamente commerciale, per proporre quegli stessi servizi vietati dalla legge n. 40 nel comma in questione; a conferma di ciò tanto sul sito della clinica, la « Extraordinary Conceptions», si annuncia un calendario di incontri in Italia ed Europa per «consulti gratuiti e appuntamenti privati», probabilmente in alcuni alberghi delle diverse città toccate dal tour; la Extraordinary Conceptions si definisce azienda leader di maternità surrogata e si mette a disposizione delle coppie italiane andandole a trovare a Firenze, Milano, Roma, ecc. pronta a fornire non solo le madri in affitto ma anche tutti i servizi accessori (venditrici di ovuli incluse);
   il catalogo viene proposto dall'amministratore delegato in persona, Mario CABALLERO, che già l'anno scorso era stato in Italia per un tour analogo; dopo l'Italia, andrà a Ginevra, Zurigo e Barcellona;
   per contattarlo e prendere un appuntamento basta inviare un’email e attendere di essere contattato, riceverà anche il catalogo che mostra in modo spietato come la vita umana sia stata trasformata in merce, con l'angosciante tristezza dei prezzi accanto ai bambini –:
   in che modo si intenda far rispettare la legge n. 40 nel citato passaggio in cui vieta la pubblicità della maternità surrogata e se, come alcuni sostengono il divieto della stepchild adoption, ancorato alla legge n. 40, sia solo in attesa di un ulteriore cambiamento della legge, fino a farle includere anche questa violazione dei diritti della donna e del bambini. (4-13511)


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Trattato di Lisbona riconosce gli animali come esseri senzienti;
   il 10 novembre 2015 la polizia stradale di Civitavecchia (Roma) fermava un autoarticolato adibito al trasporto degli animali da macello;
   su il Tir proveniente dalla Spagna e diretto in Sicilia erano stipati circa centosettanta suini;
   durante il controllo della polizia stradale trentatré maiali venivano rinvenuti morti;
   gli animali vivi che a metà percorso avevano viaggiato circa ventisei ore sono apparsi in condizioni precarie, senza acqua, ammassati uno sopra l'altro per mancanza di spazio;
   a seguito delle molteplici violazioni alle norme sul trasporto di animali vivi, mancata autorizzazione al trasporto di animali vivi, assenza del certificato di omologazione del rimorchio e irregolarità di soste previste per legge, sovraffollamento del mezzo, mancanza di lettiere e impianti di abbeveraggio bloccati, gli agenti della polizia stradale congiuntamente al servizio veterinario dell'ASL RM F di Civitavecchia avrebbero proceduto alla denuncia nei confronti del trasportatore –:
   se sia a conoscenza di quanto accaduto durante il controllo della polizia stradale di Civitavecchia nei confronti del tir che trasportava centosettanta suini destinati al macello nella regione Sicilia;
   per quanto concerne al trasporto a lunga distanza, considerato lo stress cui vengono sottoposti gli animali e a seguito delle numerose violazioni riscontrate dalle autorità competenti per il controllo e la vigilanza sul trasporto degli animali vivi, se non sia opportuno assumere iniziative per intensificare le ispezioni in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996. (4-13512)


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, un carico di 900 agnelli vivi provenienti dalla Romania è stato fermato nella zona industriale di Pontinia (LT) dai forestali del comando provinciale di Latina e del nucleo investigativo per i reati in danno agli animali (NIRDA);
   a causa di numerose violazioni riscontrate, il veicolo che li trasportava è stato sottoposto a fermo amministrativo con l'applicazione di sanzioni pari a un importo di seimila euro;
   nell'ambito del controllo effettuato, inerente al benessere degli animali e alla sicurezza agroalimentare, il carico di agnelli vivi è stato controllato prima che il trasportatore provvedesse allo scarico degli ovini presso le industrie di macellazione;
   durante il controllo effettuato dalla forestale con l'ausilio di medici veterinari dell'azienda sanitaria locale di Latina, servizio igiene degli allevamenti e produzioni zootecniche, si sono verificate le condizioni di salute degli animali accertando anche la morte di alcuni esemplari avvenuta prima dell'arrivo a destinazione;
   le violazioni contestate al trasportatore sono numerose: spazi non sufficienti ad assicurare ventilazione adeguata agli animali; la mancata possibilità di movimenti naturali all'interno del semirimorchio; eccessivo carico causa di sofferenza agli animali; compromessa possibilità di riposo degli stessi; impossibilità di una corretta termoregolazione; ostacoli al dispositivo di abbeveraggio;
   tutto ciò in violazione di quanto prescritto dalla normativa in materia che disciplina le disposizioni del regolamento della Comunità europea n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni collegate;
   i controlli sugli animali destinati alla macellazione per uso umano siano molto sporadici in virtù del fatto che, in caso si fermo, il più delle volte, sono applicate sanzioni in violazione della normativa concernente la protezione degli animali durante il trasporto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non si ritenga che tali controlli debbano inserirsi in una più ampia campagna di verifiche attuata dalle autorità competenti attraverso intensificazione di controlli su tutto il territorio;
   se non si ritenga utile, alla luce di quanto spesso avviene durante il trasporto ai danni di animali da macello, assumere iniziative per modificare la normativa vigente in materia al fine di garantire il maggiore benessere degli animali durante il trasporto, nonché l'inasprimento di pene per chi commette reati di maltrattamento durante il trasporto agli animali. (4-13513)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFFRANCO e GARNERO SANTANCHÈ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è circostanza ormai nota la criticità che verte da tempo sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia. Nello specifico, la revisione di spesa sui controlli, motivata dai tagli imposti dalla spending review, ha generato una serie di scompensi, facendo degenerare la situazione lavorativa dei medici fiscali dell'INPS da stabile a totale precarietà;
   l'articolo 17 della legge n. 124 del 7 agosto 2015, sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, al comma 1, lettera l), stabilisce la riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione esclusiva all'INPS della relativa competenza e con la previsione del prioritario ricorso alle liste speciali ad esaurimento;
   per porre rimedio alla mancata stabilizzazione dei medico-legali, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 recante «disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n.125, all'articolo 4, comma 10-bis, ha disposto la trasformazione delle liste speciali costituite dall'INPS, ai sensi dell'articolo 5, comma 12, della legge n. 638 del 1983, in liste speciali ad esaurimento;
   l'articolo 1, comma 340, legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) stabiliva altresì che l'INPS per l'effettuazione degli accertamenti medico-legali sui lavoratori assenti per malattia si avvalesse, in via prioritaria, dei medici di controllo inseriti nelle liste speciali ad esaurimento;
   alla luce di tale normativa sarebbe opportuno ribadire la priorità assoluta del personale medico attualmente adibito alle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici. È altresì opportuno stabilire che analogamente ai medici fiscali dell'INPS di cui al comma 10-bis, articolo 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dal comma 34 della legge di stabilità 2014, vengono inseriti nelle liste speciali ad esaurimento quei medici ASL che attualmente svolgono l'esclusiva funzione di medico legale fiscale ASL e che erano già in attività al 31 dicembre 2007;
   sarebbe opportuno prevedere che in caso di necessità di ulteriore personale medico, al fine di rispondere alle esigenze territoriale delle varie sedi dell'INPS, si ricorrerà all'integrazione delle sole liste speciali, di cui all'articolo 5, comma 12, del decreto-legge n. 463 del 1983, sentito il parere della commissione mista di cui al comma 1 dell'articolo 12 del decreto ministeriale 18 aprile 1996 come modificato dall'articolo 11 del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, attraverso le graduatorie provinciali di cui all'articolo 4 del decreto ministeriale 18 aprile l996;
   l'istituto nazionale della previdenza sociale, attraverso l'applicativo Savio, dovrebbe effettuare un'unica selezione dei certificati per le visite della giornata e senza alcuna previsione di obbligo di fascia per le richieste d'ufficio e dai datori di lavoro pubblici e privati (articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale del 1986). Le fasce di reperibilità dovranno essere unificate (dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00) e le visite della giornata dovranno essere comunicate al medico fiscale entro le ore 9:00. Il medico, in piena autonomia e secondo le problematiche logistiche territoriali, stabilisce la suddivisione delle visite nelle fasce orarie;
   sarebbe opportuno riconoscere ai medici fiscali iscritti alle liste ad esaurimento di cui all'articolo 4, comma 10-bis del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dal comma 340 della legge di stabilità 2014, il diritto al riconoscimento di una stabilità lavorativa, come già indicato nell'indagine della Commissione affari sociali della Camera dei deputati svoltasi nel 2014 e come previsto dal decreto ministeriale 8 maggio 2008;
   l'articolo 17 della legge n. 124 del 7 agosto 2015, al comma 1, lettera l), stabilisce altresì il trasferimento delle risorse attualmente impiegate dalle pubbliche amministrazioni che, ai sensi dell'articolo 17, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stabilito, a decorrere dal 2013, in un importo non superiore a 70 milioni di euro l'anno a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia;
   a fronte di tale previsione ad avviso dell'interrogate è opportuno stabilire che per gli esercizi successivi al 2017 il Ministro dell'economia e delle finanze autorizzi a trasferire all'INPS stanziamenti, pari o superiori a quelli erogati nel 2017, al fine di garantire l'effettività del controllo e l'efficacia del servizio;
   come stabilito dal comma 339 dell'articolo 1 della legge n. 147 del dicembre 2013, è opportuno ribadire che tali risorse non possono essere destinate a finalità diverse dagli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia, nonché stabilire controlli annuali per la verifica del rispetto della finalità obbligatoria e del reale utilizzo degli stanziamenti assegnati all'INPS –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione lavorativa di estrema criticità in cui versano i medici fiscali dell'INPS e se non intenda assumere iniziative normative per recepire all'interno del testo unico del pubblico impiego le indicazioni, così come esplicitate in premessa, in merito alla riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici. (4-13502)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FABBRI e LENZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il piano di Poste Italiane di consegnare la posta a domicilio per giorni alterni sarà operativo nei prossimi giorni, anche sull'Appenino bolognese. Secondo detto piano la corrispondenza verrà consegnata a giorni alterni, il lunedì, mercoledì e venerdì della prima settimana, il martedì e il giovedì della seconda. La posta prioritaria passerebbe da un giorno a due, mentre per ordinaria, raccomandata, assicurata e pacco ordinario nazionale serviranno quattro giorni lavorativi oltre quello di accettazione;
   già nei mesi scorsi si sono verificati numerosi disagi in varie città dell'Emilia Romagna (a Parma così come Rimini sono stati ammassati quintali di posta non consegnata) e gli interroganti hanno già posto all'attenzione del Governo il problema con numerosi atti di sindacato ispettivo, ancora senza risposta (n. 5-08415 e n. 5-08566);
   l'Unione dei comuni dell'Appennino bolognese, approvando un ordine del giorno in materia, ha espresso preoccupazione per «i disagi che si faranno sentire maggiormente proprio in quelle zone periferiche come le aree montane già caratterizzate da maggiori difficoltà di mobilità e presenza ridotta di servizi pubblici e privati»;
   Poste Italiane, dal canto suo, si giustifica con la necessità di assicurare la sostenibilità economica all'azienda, vista la riduzione dei trasferimenti statali e la diminuzione dei ricavi dovuti al boom delle comunicazioni digitali;
   i sindacati e i lavoratori postali, ormai al secondo mese di blocco degli straordinari, sono in procinto di proclamare uno sciopero regionale in data 27 giugno 2016;
   fonti sindacali calcolano 400 esuberi, solo in Emilia Romagna, dal piano messo in atto da Poste Italiane. Si tratta di portalettere che verranno destinati ad altri servizi o mandati in pensione anticipata;
   al contempo, Poste italiane ha avviato un processo di selezione per portalettere in diverse regioni italiane, tra cui l'Emilia-Romagna. Risulta alle interroganti che nell'ambito delle assunzioni da parte di Poste Italiane nella regione Emilia Romagna, vengano esplicitamente esclusi coloro che hanno svolto il servizio per società in appalto, cosa che non è stata fatta in altre regioni e vengano assunti invece lavoratori con contratti trimestrali privi di esperienza;
   secondo fonti sindacali ci sarebbero altri contratti di appalto stipulati da Poste, con differenti scadenze, che rischiano di non essere rinnovati e di produrre altre 400 persone senza lavoro con età anagrafica medio-alta;
   a Bologna l'azienda si è ripresa alcune attività che aveva affidato alla ditta Transystem, e questo ha prodotto il licenziamento di 9 persone che hanno lavorato ininterrottamente per Poste Italiane per 8 anni e per i quali sarebbe auspicabile l'apertura di un tavolo di trattativa nazionale per riuscire a salvaguardare i posti di lavoro persi a causa dell'internazionalizzazione del servizio di recapito;
   a tal proposito, risulta agli interroganti che in altre situazioni analoghe (ad esempio, l'accordo del 31 maggio 2016 per ex lavoratori Uptime, dove Poste si è impegnata con un'intesa ad assumere quei lavoratori che non troveranno occupazione), il personale è stato tutelato dal punto di vista lavorativo e contrattuale. Risulterebbe, pertanto alle interroganti, che possano esserci le condizioni per trovare risposte occupazionali all'interno di Poste per i nove lavoratori licenziati da Transystem, in seguito all'internalizzazione del servizio voluta dal gruppo;
   secondo fonti sindacali la diminuzione del prodotto postale e la scelta d'internalizzare le lavorazioni, dove possibile, facendole fare direttamente ai lavoratori del gruppo, è una scelta che però evidenzia una contraddizione, visto che per poter svolgere il servizio in regione, Poste Italiane, nel Centro-nord, ha in essere 140 contratti a tempo determinato in scadenza al 30 giugno, che diventeranno oltre 200 dal 1o luglio, spesso oggetto di ripetute reiterazioni. Inoltre, al Cmp di Bologna, nel reparto adibito allo smistamento, ci sono 64 contratti a tempo determinato fino al 30 giugno, che diventeranno 76 per i prossimi sei mesi;
   a parere degli interroganti, è inaccettabile che persista una logica per cui anche i servizi pubblici siano assoggettati esclusivamente a criteri di redditività, dal momento che esiste un servizio universale che Poste Italiane deve garantire e che dipende non solo dalla qualità del servizio ma soprattutto dalle buone condizioni di lavoro degli occupati –:
   se il Governo non ritenga opportuno fornire dettagliati elementi in merito all'applicazione di tale piano, che rischia di far venire meno la garanzia del servizio postale universale, soprattutto nelle zone montane del Paese;
   se il Governo non reputi doveroso convocare un tavolo di confronto nazionale, al fine di salvaguardare i posti di lavoro a rischio citati in premessa, auspicando la diffusione di modalità omogenee su tutto il territorio nazionale sia dal punto di vista contrattuale che salariale, così com’è stato fatto in passato e più di recente nel Lazio con il caso dell'azienda Uptime. (5-08906)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si è appreso da un comunicato congiunto del 30 maggio 2016, Assotelecomunicazioni-Asstel, che nel Sistema Confindustria rappresenta la filiera delle telecomunicazioni, e le segreterie generali e nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil hanno sottoscritto un accordo con il quale è stata definita, in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 11 del 2016, la disciplina della gestione dei rapporti di lavoro in caso di cambi di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center;
   secondo quanto si apprende dal medesimo comunicato, «l'accordo individua le modalità e le condizioni con le quali ciò dovrà avvenire, oltre a stabilire con una procedura i tempi di confronto tra le parti. L'intesa raggiunta, operativa fin da subito, formerà comunque parte integrante del rinnovo del CCNL TLC, che si conferma, quindi, ancor di più nel suo ruolo di riferimento per il settore dei call center all'interno della più ampia cornice di filiera. In questo modo si rafforza il ruolo del CCNL quale sede in cui vengono definite regole chiare e comuni, assegnando alla contrattazione aziendale il compito di metterle in pratica e farle vivere adattandole alle singole e specifiche realtà». Sempre nel comunicato si legge che «oggi è stato raggiunto un nuovo e più avanzato punto di equilibrio nell'ambito di relazioni industriali fondate su rapporti tra soggetti consapevoli, che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale contribuendo anche alla crescita e al benessere delle persone, dimostrando di avere la capacità di rispondere con tempestività agli impegni assunti anche in sede istituzionale, senza perdersi in una ritualità non più in linea con le sfide che ci attendono. Con questo spirito e ritenendo utile un quadro di riferimento omogeneo, l'intesa sarà trasmessa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dello sviluppo economico»;
   con l'accordo tra le parti stipulato al Ministero dello sviluppo economico il 30 maggio 2016, inoltre, si prevede che la revoca della procedura di licenziamento avviata il 21 marzo 2016 e già oggetto dell'interrogazione n. 4-12629 presentata il 23 marzo dall'interrogante e alla quale non è ancora stata data risposta nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del regolamento della Camera;
   tuttavia, il 6 giugno 2016, un comunicato di Almaviva annunciava al personale dipendente che «in riferimento al recente accordo di solidarietà difensiva sottoscritto in data 31 maggio 2016 e alla relativa dichiarazione di esubero in esso contenuta, l'Azienda, al fine di continuare a gestire tale esubero attraverso strumenti non traumatici, sta valutando la possibilità di agevolare eventuali uscite volontarie». Sempre nel medesimo comunicato si legge che l'azienda procederà alla raccolta di adesioni – aperte a tutti, i dipendenti dei siti di Roma, Napoli e Palermo e comunque non vincolanti per ambo le parti – entro il 30 giugno 2016. Si specifica inoltre che al personale interessato verrà riconosciuto un incentivo di 1.000 euro lordi e che, se in possesso dei requisiti, i soggetti interessati potranno accedere al trattamento «Naspi»;
   in primo luogo, occorre constatare come tale riferimento al «Naspi» parrebbe rappresentare un aggiramento delle tutele per i lavoratori, dal momento che uno dei primi requisiti per accedere a tale trattamento – secondo quanto previsto dalla normativa vigente – è lo stato di disoccupazione involontario, fattispecie evidentemente non coincidente con la citata «uscita volontaria»;
   in secondo luogo i lavoratori che dovessero accettare questa proposta avrebbero comunque un danno dal momento che chi rimane in azienda, al termine dei sei mesi di contratto di solidarietà, avrebbe comunque diritto ad un massimo di 12 mesi di integrazione salariale. È vergognoso, secondo l'interrogante, che l'azienda tenti di nascondere simili informazioni;
   inoltre, è evidente come ci si trovi dinnanzi una evoluzione, a giudizio dell'interrogante, letteralmente vergognosa della vicenda, soprattutto alla luce della strumentalizzazione politica fatta dal Governo, laddove in un comunicato del Ministero dello sviluppo economico è possibile leggere questa dichiarazione del Viceministro Teresa Bellanova datata 31 maggio 2016: «Avevamo detto che non avremmo lasciato soli quei 3000 lavoratori, per i quali l'azienda aveva avviato la procedura di licenziamento. Con l'accordo firmato oggi, quella procedura è revocata»;
   il citato comunicato aziendale, inoltre, secondo l'interrogante il punto 7 del citato accordo stipulato presso il Ministero dello sviluppo economico il 30 maggio 2014, laddove l'azienda si impegnava a «ridurre gradualmente – su base trimestrale e in misura non inferiore al 5 per cento – il ricorso alle misure di sostegno attraverso un incremento dei volumi di lavoro. Tale riduzione sarà oggetto di verifica nell'ambito del Tavolo mensile (...) sino al raggiungimento del 20 per cento». Non è ben chiaro che, cosa l'azienda Almaviva riferirà alle parti sociali nel prossimo tavolo mensile;
   il Governo ha il dovere di richiamare l'azienda al rispetto dei patti che sono stati in questo modo ente traditi, offendendo la dignità del lavoro e dei lavoratori sulla cui pelle si stanno effettuando quelle che l'interrogante giudica speculazioni vergognose –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto segnalato in premessa, quale sia il loro orientamento in merito ovvero se non ritengano che la comunicazione del 6 giugno 2016 di Almaviva ai dipendenti rappresenti una vera e propria sconfessione dell'accordo sottoscritto al Ministero dello sviluppo economico nemmeno una settimana prima;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover accertare se effettivamente i lavoratori che dovessero accettare l'accordo proposto dall'azienda non possano successivamente accedere al trattamento «Naspi», così come regolato dalla normativa vigente, ovvero se siano state accordate delle deroghe ad hoc;
   se il Governo non ritenga di dover porre in essere ogni iniziativa possibile, per quanto di competenza, affinché Almaviva assicuri l'integrale rispetto degli accordi di cui al 30 e 31 maggio 2016, ove ne sussistano i presupposti chiedendo all'azienda l'integrale restituzione degli ammortizzatori sociali fino ad ora erogati. (4-13514)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Roccella e altri n. 1-01303, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Adornato, Bosco, Calabrò, Marotta.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Pannarale n. 4-13486, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sannicandro, Duranti, Fratoianni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Colonnese n. 5-08837, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 634 dell'8 giugno 2016.

   COLONNESE, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, GRILLO e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Procida ha una superficie di 3,7 chilometri quadrati. Il perimetro, estremamente frastagliato, misura circa 16 chilometri. La superficie comunale ricopre interamente l'isola di Procida e il vicino isolotto di Vivara (0,4 chilometri quadrati), due isole del golfo di Napoli appartenenti al gruppo delle isole Flegree;
   Procida ha 10.500 residenti, 25 mila abitanti d'estate e 250 mila sbarchi di ospiti nel corso dell'anno;
   l'ospedale Gaetanina Scotto, situato in via Alcide De Gasperi sull'isola di Procida in provincia di Napoli, è presidio ospedaliero della azienda sanitaria locale Napoli 2 nord, che comprende un territorio articolato in 32 comuni della, provincia di Napoli, collocati nel territorio a nord del capoluogo. La struttura, dedicata all'infermiera Gaetanina Scotto di Perrotolo, è dotata di nove posti letto di ricovero: 3 in chirurgia, 3 in medicina e 3 in ostetricia. Di recente l'installazione nella unità operativa di diagnostica per immagini di una macchina per la tomografia assiale computerizzata (TAC), che permette di gestire con maggiore tranquillità le prime fasi dell'emergenza e di assicurare ai cittadini isolani una maggiore accuratezza nella diagnostica sul territorio;
   il nuovo piano regionale per l'organizzazione sanitaria, in particolare delle strutture ospedaliere, prevede il ridimensionamento se non la soppressione dei piccoli centri di cura. Il Gaetanina Scotto a Procida ha finora assicurato servizi 24 ore con nove posti letto e medici preparati. La modifica prevista dal piano regionale declassa il presidio procidano a Punto di Primo Intervento procidano a «osservatorio» e attua la soppressione del pronto soccorso: tre posti letto e una operatività talmente minima che i pazienti dovranno essere necessariamente trasferiti sulla terraferma con conseguente perdita di tempo prezioso e forse di vite. Durante l'anno, infatti, soprattutto a motivo delle condizioni meteo avverse, Procida si trova più volte in una condizione di vero isolamento;
   il nuovo piano ospedaliero (che segue le direttive del decreto ministeriale n. 70 del 2015), prevede la soppressione del pronto soccorso h24 e la sua sostituzione con un punto di primo intervento e un ospedale di comunità, gestito dai medici di famiglia;
   in questi giorni i procidani hanno organizzato manifestazioni di protesta decisi a difendere l'ospedale dell'isola, piccolo ma prezioso, dalla minaccia di un ridimensionamento che pare una cancellazione, più che della struttura, del diritto alla salute. La malaugurata chiusura avrebbe effetti negativi gravissimi sui livelli di assistenza sanitaria d'urgenza, privando gli abitanti ed i tanti turisti, che in estate affollano l'isola, di un servizio di tutela della salute e aumenterebbe i costi per i trasferimenti altrove esponendo gli stessi pazienti a maggiori rischi –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano che il ridimensionamento della struttura leda fortemente il diritto alla salute degli abitanti dell'isola, tenendo conto che il raggiungimento del più vicino pronto soccorso prevede l'attraversamento di un braccio di mare e che il decreto ministeriale n. 70 del 2011 prevede il soccorso in un tempo massimo di 60 minuti oltre al fatto che l'isola possiede un solo mezzo di soccorso via mare e che non sempre le condizioni atmosferiche consentono il raggiungimento della terraferma;
   quali siano i criteri e se e quali osservazioni siano state fatte sulle decisioni di riorganizzazione della rete sanitaria in Campania da parte dei rappresentanti del Ministero della salute in sede di monitoraggio del piano di rientro della regione Campania, con particolare riferimento a quanto descritto in premessa;
   come intendano attivarsi, per quanto di competenza, onde monitorare i servizi sanitari regionali, ivi incluso quello della regione Campania e se abbiano verificato l'adeguatezza complessiva dello stato di approntamento ordinario e straordinario rispetto alla ridefinizione degli standard di servizio;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per risolvere le problematiche che impediscono i servizi di emergenza;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, per garantire il rispetto delle norme e ripristinare il pubblico servizio di emergenza;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere per il mantenimento del servizio di Pronto Soccorso presso l'isola di Procida che risulterebbe l'unica penalizzata dagli standard della riforma con gravi ripercussioni sociali sia nei confronti degli abitanti sia nei confronti dell'apparato turistico. (5-08837)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Occhiuto n. 2-01382 del 24 maggio 2016;
   interpellanza urgente Binetti n. 2-01389 del 7 giugno 2016;
   interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-13438 del 10 giugno 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-08868 del 10 giugno 2016;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Paglia n. 5-08891 del 13 giugno 2016;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interpellanza Fraccaro n. 2-01037 del 15 luglio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13510;
   interpellanza Fraccaro n. 2-01076 del 15 settembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13509;
   interrogazione a risposta in Commissione Brignone n. 5-06963 del 12 novembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13512;
   interrogazione a risposta in Commissione Brignone n. 5-08274 del 31 marzo 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13513.