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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la materia della produzione di interessi nell'ambito delle operazioni bancarie (anatocismo bancario), oggetto di numerosi interventi da parte dei legislatore, è attualmente disciplinata dal comma 2 dell'articolo 120 del decreto legislativo 1o settembre 103, n. 385 (TUB);
    nella formulazione in vigore fino al 31 dicembre 2013, il comma 2 dell'articolo 120 del TUB demandava al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) di regolare «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria»; in attuazione di questa norma il CICR aveva provveduto a disciplinare la materia con una delibera del febbraio del 2000 stabilendo che: a) nelle operazioni in conto corrente dovesse essere assicurato nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) in talune ipotesi fosse ammessa la produzione di interessi da parte di interessi già maturati, in deroga a quanto previsto in linea generale dall'articolo 1283 del Codice Civile (la deroga riguardava conto corrente, finanziamenti con piano di rimborso rateale e operazioni di raccolta);
    la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha sostituito il citato comma 2, affidando a una nuova delibera del CICR il compito di adottare una disciplina attuativa in base alla quale «a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»;
    il comma 2 dell'articolo 120 del TUB, così come novellato, ha generato rilevanti incertezze tra gli operatori in merito alla data di entrata in vigore – rispetto alla quale non viene prevista una specifica disciplina transitoria – e, soprattutto, alla corretta interpretazione della norma, in quanto il divieto di «produrre interessi ulteriori» è riferito agli «interessi periodicamente capitalizzati», nonostante l'effetto della capitalizzazione sia proprio quello di passare gli interessi a sorte capitale e, dunque, far sì che tale somma produca interessi;
    per sanare le criticità del citato comma, allineare la normativa in materia di anatocismo alle regole vigenti nei principali Paesi europei e in assenza della relativa delibera del CICR, il Governo aveva introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, una modifica dell'articolo 120, comma 2, del TUB, riproponendo – con alcune modifiche – l'impianto della disposizione vigente fino al 2013; in particolare, a tutela della figura del debitore la norma vietava la capitalizzazione infrannuale degli interessi, ma consentiva quella annuale, confermando la stessa periodicità di calcolo degli interessi sia nel caso di addebito sia nel caso di accredito e indicando che il conteggio dovesse avvenire a fine anno; confermava inoltre che fino all'entrata in vigore di una nuova delibera del CICR su modalità e criteri d'attuazione, rimanesse valida quella emanata nel 2000;
    nel corso dell'esame al Senato, tuttavia, l'articolo 31 del richiamato decreto legge è stato soppresso;
    il 24 agosto 2015 la Banca d'Italia ha avviato una procedura pubblica sottoponendo a consultazione la proposta di delibera che, d'intesa con la CONSOB e ai sensi del TUB, intende formulare al CICR per dare attuazione all'articolo 120, comma 2: relativamente alla normativa vigente, la delibera proposta scioglie il nodo interpretativo soprarichiamato ritenendo che l'espressione «capitalizzazione» possa essere letta come sinonimo di «conteggio o contabilizzazione» e che il novellato comma 2 intenda vietare la produzione di interessi anatocistici;
    in particolare, lo schema di delibera, composto di cinque articoli, prevede sia disposizioni generali nell'ambito delle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti, sia misure specifiche rivolte a carte di credito, conti di pagamento e rapporti di conto corrente, forma di finanziamento quest'ultima particolarmente diffusa in Italia, soprattutto tra le piccole imprese che ne ricavano anche un servizio di gestione della liquidità;
    nel formulare la proposta di delibera la Banca d'Italia ha tenuto conto di aspetti tecnici relativi all'ordinaria prassi nazionale dei rapporti di apertura di credito «ante-riforma»: nel momento in cui gli interessi maturati sulle somme utilizzate diventavano esigibili, venivano solitamente corrisposti dal cliente alla banca non attraverso un pagamento, ma con un addebito in conto; se in quel momento il conto non presentava un saldo attivo sufficientemente capiente, l'addebito si sostanziava in un ulteriore utilizzo delle somme messe a disposizione con l'apertura di credito (questo utilizzo dell'apertura di credito, come tale, era produttivo di nuovi interessi); la necessità di tenere separata «sorte capitale» e interessi comporta oggi l'impossibilità di continuare a seguire tale comune prassi;
    nel dettaglio, all'articolo 3, comma 1, la proposta di Banca d'Italia vieta il calcolo degli interessi composti, in attuazione del divieto sancito nel TUB, e stabilisce ulteriori prìncipi, in vigore dal 2016: a) gli interessi sono contabilizzati su base almeno annuale e separatamente dal capitale (articolo 4, commi 2 e 3), determinando una maggiore trasparenza del tasso di interesse praticato consentendo di dare attuazione al divieto di capitalizzazione tramite l'esistenza di due distinte «poste»; b) gli stessi interessi, attivi e passivi, diventano esigibili trascorsi sessanta giorni (articolo 4, comma 4), consentendo al cliente di avere a disposizione un lasso temporale adeguato per pagare il debito da interessi, senza risultare inadempiente; c) decorso il termine di sessanta giorni, o quello superiore eventualmente stabilito, il cliente può scegliere di autorizzare l'addebito degli interessi sul conto o sulla carta e, in questo caso, la somma addebitata è considerata «sorte capitale» (articolo 4, comma 4, secondo periodo), consentendo al cliente di corrispondere quanto dovuto alla banca a titolo di interesse passivo, nel caso in cui non abbia la disponibilità «liquida» del denaro necessario per procedere a un pagamento diretto;
    inoltre, secondo gli intenti dichiarati da Banca d'Italia, il comma 4, secondo periodo, e il successivo comma 5 introducono accorgimenti per agevolare l'estinzione del debito da interessi: una volta che gli interessi siano divenuti esigibili il cliente e la banca possono pattuire, al fine di evitare il pagamento della mora o l'avvio di azioni giudiziarie, il pagamento degli interessi con addebito in conto a valere sul fido (con conseguente produzione di interessi su quanto utilizzato per estinguere il debito da interessi); questa previsione esplicita ciò che dovrebbe essere già possibile ai sensi dall'articolo 127, comma 1, del TUB, in base al quale le disposizioni previste dal titolo VI TUB sono derogabili in senso favorevole al cliente;
    l'obiettivo dichiarato della Banca d'Italia nella formulazione del testo proposto è, dunque, quello di delineare soluzioni tecniche, nel caso in cui le parti convengano mediante apposito patto, volte a evitare che la nuova disciplina introdotta dall'articolo 120 TUB, voluta dal legislatore a tutela del cliente, possa rivelarsi pregiudizievole per lo stesso, ferma restando la possibilità per il cliente di estinguere il debito a valere su altre somme e senza che esso sia imputato a capitale;
    la consultazione indetta da Banca d'Italia si è conclusa il 23 ottobre 2015; si apprende che le risposte pervenute sono numerose e provengono da una platea diversificata, ma ancora non si conoscono gli esiti. Il documento di consultazione prevede che la delibera trovi applicazione solo dopo la sua entrata in vigore, in coerenza con i principi generali dell'ordinamento;
    in una lettera inviata nel mese di giugno 2015 dal direttore generale la stabilità finanziaria della Commissione europea, Jonathan Faull, all'ambasciatore italiano presso l'Unione europea, Stefano Sannino, si segnala che le norme introdotte nel corso dell'esame della legge di stabilità 2014 sul divieto assoluto di anatocismo bancario risultano «poco chiare» e poiché rendono «più onerose e complicate alcune operazioni bancarie, potrebbero tradursi in ostacoli ingiustificati alla prestazione di servizi bancari da parte di operatori stranieri che operano in Italia»; la missiva pone l'accento sul fatto che «nonostante il provvedimento non sia stato ancora adottato, alcuni tribunali italiani hanno considerato direttamente applicabile tale divieto. Tuttavia la portata di tale divieto e la sua applicazione concreta a specifiche operazioni bancarie restano poco chiari»; nella lettera vengono inoltre richiesti «chiarimenti sulle ragioni dell'introduzione di tale divieto e sulla sua esatta portata» e viene affermato, in conclusione, che «secondo le informazioni trasmesse ai servizi della Commissione, la capitalizzazione degli interessi, in particolare in operazioni quali l'apertura di credito in conto corrente, è pratica comune in tutti gli Stati dell'UE, nessuno dei quali prevede un divieto simile a quello in questione»;
    le soluzioni tecniche proposte dalla Banca d'Italia risultano in linea con le pronunce della giurisprudenza in materia fino alla data di inizio della consultazione; tuttavia, con ordinanza del 20 ottobre 2015, il tribunale di Roma affermando la vigenza, a partire dal primo gennaio 2014, del divieto di anatocismo sancito dall'articolo 120 del TUB, ha sottolineato che l'intervento del CICR dovrà riguardare unicamente gli aspetti tecnico-contabili, consequenziali al divieto introdotto, escludendo che la delibera possa prevedere una qualche forma di capitalizzazione degli interessi passivi;
    il documento di consultazione della Banca d'Italia, invece, non prende posizione sull'applicazione della disposizione di legge prima dell'intervento del CICR;
    è, pertanto, evidente la necessità di assicurare orientamenti univoci su questa delicata questione al fine di garantire certezza agli operatori ed evitare possibili contenziosi riducendo il rischio di orientamenti giurisprudenziali difformi sul territorio,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, affinché la delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio citata in premessa sia quanto prima resa operativa;
   a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative in materia di calcolo degli interessi sugli interessi volte a definire una disciplina primaria chiara, inequivoca e coerente con gli orientamenti dei principali Paesi europei, che garantisca la certezza del diritto nei rapporti di credito e la libertà di scelta del cliente, assicurando in ogni caso a quest'ultimo le necessarie tutele nelle relazioni bancarie.
(7-00852) «Pelillo, Ginato, Bonifazi, Capozzolo, Carbone, Carella, Causi, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Fragomeli, Fregolent, Gitti, Lodolini, Moretto, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto ha stabilito una recente sentenza del a Corte di Cassazione (n. 4558 del 22 marzo 2012), quando le condizioni del malato richiedono una «stretta correlazione tra prestazioni sanitarie e assistenziali», come per esempio nei casi di Alzheimer, l'intera retta per il ricovero in una residenza sanitaria assistenziale (Rsa) va pagata dal comune di appartenenza;
   a giudizio della Corte di Cassazione nulla è dovuto dai familiari al comune o alla struttura convenzionata nei casi di ricoveri gravi dove non sia possibile distinguere tra prestazioni assistenziali e quelle sanitarie in senso stretto;
   il giudizio della Corte di Cassazione e di molti tribunali italiani supera anche molte leggi regionali che affermano il contrario e chiedono una compartecipazione della spesa ai familiari dell'ammalato;
   accade, tuttavia, che a figli o nipoti di ricoverati le case di cura chiedano di firmare un documento che li impegna a saldare ma anche questa «promessa di pagamento» scritta è da ritenersi nulla;
   è di tutta evidenza che una tale situazione può generare un grave contenzioso giudiziario e potrebbe mettere a repentaglio i bilanci di residenza sanitaria assistenziale (Rsa) e comuni costretti a sostenere i costi delle attuali degenze o a rifondere gli eredi dei malati nel frattempo deceduti;
   l'associazione Confconsumatori ha scritto alle varie regioni per chiedere se avevano provveduto ad adeguare la normativa regionale alla sentenza della Corte di Cassazione. Hanno risposto solo Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Friuli Venezia-Giulia e Sicilia;
   a giudizio dell'interrogante non si possono lasciare gli ammalati che necessitano di assistenza e cure particolari in un tale vuoto legislativo e regolamentare –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda, adottare il Governo, in collaborazione con le regioni e gli enti locali, per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11213)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale Panorama, con un articolo a firma del professore Gianni Zorzi, ha provato a fare un'analisi dei costi che stanno affrontando le finanze pubbliche per sostenere il fenomeno dell'immigrazione, che siano profughi o semplici immigrati clandestini, cosiddetti economici, elaborato dal centro studi ImpresaLavoro;
   un primo dato da prendere in considerazione è quello fornito dal Governo alle istituzioni europee per lo scostamento del rapporto deficit/pil, vale a dire lo 0,2 per cento pari a 3,3 miliardi di euro;
   quello che si evidenzia è che, a dispetto dei numeri enormi che interessa annualmente il fenomeno migratorio (centinaia di migliaia di persone l'anno), non sia stata ancora istituita una contabilità analitica dei costi sostenuti;
   la voce più importante di questi costi è rappresentata dall'accoglienza in senso stretto: vitto e alloggio dei soggetti per cui si è provveduto all'identificazione e all'inserimento nelle liste di coloro che hanno richiesto asilo, 643 milioni di euro nel 2014 e 1,3 miliardi per il 2015;
   questi dati sono riferiti sia al sistema delle strutture dell'accoglienza governativa (Sprar e Cara) che in convenzione (Cas);
   per il 2016 v’è una previsione di un ulteriore aggravio, rispetto al 2015, di 480 milioni di euro a causa sia della saturazione delle strutture pubbliche, sia dei costi superiori delle strutture convenzionate che vengono coinvolte una volta saturate quelle pubbliche;
   una voce da non sottovalutare è quella legata ai costi di gestione dei minori non accompagnati;
   anche gli sbarchi in sé hanno un costo immediato legato alla primissima assistenza (trasporto, noleggio strutture presso i porti, acquisto di coperte, indumenti, scarpe, e altro) che si possono stimare in altri 29 milioni di euro l'anno;
   a questi costi si aggiungono le spese sanitarie: per il 2014 è stato calcolato un importo pari a 270 milioni, 290 milioni di euro per l'anno in corso e 302 milioni di euro per il 2016;
   ai costi appena descritti devono aggiungersi quelli legati alle spese di giustizia. Tutte le domande dei richiedenti asilo necessitano di una valutazione amministrativa con un conseguente atto amministrativo che, in caso di diniego, è soggetto alla normale giurisdizione. Considerando che nell'anno in corso e non ancora terminato sono già state esaminate 65 mila domande con un incremento del 30 per cento rispetto al 2014 e che almeno 35 mila domande saranno respinte con la concreta possibilità di almeno 23 mila ricorsi, si stima un costo di altri 59 milioni di euro per le spese amministrative della singola pratica e per il gratuito patrocinio;
   anche gli enti locali stanno sostenendo dei costi legati alla sistemazione delle aree adibite all'accoglienza, alla gestione degli arrivi dei profughi nei comuni, ai costi di sicurezza, al costo della popolazione carceraria immigrata irregolare e quello dei relativi rimpatri (sono stati organizzati oltre mille voli charter). A questi vanno aggiunti i costi legati all'arresto di 486 scafisti;
   da ultimo, ma non meno importante, vi sono i costi che sta affrontando la Forza armata per il pattugliamento delle coste, il rafforzamento delle frontiere, le missioni navali ed aeree ed i contributi italiani a Frontex ed EuroForNavmed, determinabili in altri 400 milioni di euro;
   il costo complessivo per il 2015, quindi, dovrebbe arrivare alla cifra di 2,1 miliardi di euro, in aumento rispetto agli 1,4 miliardi del 2014 e per il 2016 si può prevedere, ipotizzando un numero di sbarchi paragonabile a quello degli ultimi due anni, un costo di circa 2,6 miliardi di euro;
   emerge con chiarezza a giudizio dell'interrogante e del centro studi ImpresaLavoro, che i costi stanno crescendo esponenzialmente di anno in anno a causa di due fattori: l'aumento degli sbarchi e la lentezza nelle richieste di asilo e dei rimpatri;
   il bilancio statale non può sopportare un tale aggravio di costi, soprattutto se paragonato alle continue richieste di tagli alla spesa pubblica di beni e servizi a causa delle note carenze di bilancio. Non è accettabile che, da un lato, si proceda a tagli draconiani della spesa pubblica e, dall'altro, vi sia quello che all'interrogante appare uno sperpero di denaro pubblico –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché siano risolte le problematiche esposte in premessa. (4-11216)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia delle avvenute dimissioni del consigliere economico per la revisione della spesa pubblica, l'economista e professor Roberto Perotti, entrato appena nemmeno sei mesi fa nello staff di Palazzo Chigi;
   sembra che Perotti stesse lavorando sulla razionalizzazione delle agevolazioni fiscali, le cosiddette «tax expenditures», su cui il Presidente del Consiglio Renzi ha deciso di non intervenire per scelta politica, lasciando i previsti tagli alla spesa pubblica previsti per il 2016 sotto i 6 miliardi di euro contro i 10 promessi dalla legge di stabilità e ben lontano dal solito obiettivo ambizioso dei 16 miliardi, rendendo a giudizio dell'interrogante la spending review la grande assente nella finanziaria di quest'anno;
   Perotti avrebbe lasciato, nonostante il Presidente del Consiglio gli avesse chiesto di non lasciare il suo incarico promettendogli interventi più rapidi, interlocutori chiari e un mandato politico più forte, dichiarando: «Non mi sentivo molto utile in questo momento» e «La spending review non è una priorità del Governo»;
   Perotti è il secondo commissario per la spending review che lascia l'incarico dalla nascita del Governo Renzi, poco più di un anno fa il suo predecessore, Carlo Cottarelli, nominato da Enrico Letta, aveva lasciato a pochi giorni dalla presentazione della legge di stabilità, dando termine ad un incarico che avrebbe dovuto avere durata triennale;
   il tecnico del fondo monetario si era insediato a ottobre e a inizio 2014 aveva presentato un piano importante: subito 7 miliardi di euro di risparmi, quindi 18,1 nel 2015 (poi ridotti a 16) e addirittura 33,9 (quindi scesi a 32) nel 2016, chiudere 2 mila partecipate, accorpare i centri di spesa, tagliare province, corpi di polizia, fondi per le imprese e auto blu, ma il piano, appena abbozzato nei mesi precedenti, con l'arrivo del Premier Renzi ha subìto una battuta d'arresto, visto che Palazzo Chigi, che nel frattempo aveva preso più potere rispetto al Ministero dell'economia e delle finanze, ha portato i risparmi da 16 a quota 8,5 miliardi di euro;
   prima di tornare al Fondo monetario internazionale, Carlo Cottarelli aveva denunciato alla stampa di aver incontrato le maggiori difficoltà nello svolgimento dell'incarico di responsabile della spending review nelle resistenze nel «sistema dei capi di gabinetto. Si conoscono tutti tra loro, parlano tutti lo stesso linguaggio. E i capi degli uffici legislativi hanno in mano tutto e scrivono leggi lunghissime, difficilmente leggibili»; inoltre aveva evidenziato che «spesso molti documenti non mi venivano dati. Non per cattiva intenzione, ma perché non facevo parte della struttura», e inoltre «quell'anno è stato difficile. Non facevo parte della macchina della pubblica amministrazione, per cui certe informazioni non mi arrivavano e certi disegni di legge non mi venivano fatti vedere prima. Mentre ero lì che cercavo di tagliare la spesa, passavano provvedimenti che la aumentavano. L'ho detto pubblicamente»;
   in otto anni sarebbero stati cambiati quattro esperti incaricati di ridurre la spesa pubblica, infatti secondo fonti di stampa: «è da una trentina d'anni che economisti ed esperti tentano senza successo di contenere le uscite dello Stato scontrandosi con resistenze politiche, interessi forti e privilegi intoccabili. Tra gli anni Ottanta e il 2008 ci furono le “Commissioni tecniche per la spesa pubblica”, poi l'ex premier Mario Monti nel 2012 ha provato a mettere in campo, a fianco di Piero Giarda, il tridente Giuliano Amato-Enrico Bondi-Francesco Giavazzi: l'ex premier e giudice costituzionale si è occupato di analizzare i finanziamenti ai partiti, l'ex commissario straordinario di Parmalat e dell'Ilva ha proposto un piano di razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi e l'economista della Bocconi ha messo a punto raccomandazioni sui contributi alle imprese. Ma solo sul primo aspetto è intervenuta una legge ad hoc che elimina in maniera graduale i contributi pubblici. Archiviato Bondi è stata la volta del ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, rimasto in carica solo cinque mesi a cavallo dell'avvicendamento tra Monti e Letta. Quest'ultimo per affrontare il problema ha chiamato in Italia Cottarelli, che era direttore del dipartimento Affari fiscali del Fondo monetario internazionale. Giusto il tempo di presentare il piano per disboscare la “giungla” delle società partecipate, ancora inattuato, e l'economista ha avuto il benservito da Renzi e se ne è tornato a Washington»;
   il termine inglese «spending review», ovvero «revisione della spesa» introdotto nel gergo politico italiano nel 2006 da Tommaso Padoan Schioppa, all'epoca Ministro dell'economia e delle finanze nel Governo Prodi, significa analisi delle spese e del funzionamento dei vari apparati allo scopo di migliorare la performance della macchina pubblica con l'obiettivo, anche, dei risparmio –:
   se il Governo non consideri necessario chiarire le ragioni delle dimissioni del commissario per la spending review di cui in premessa, facendo luce prima di tutto sull'affermazione di Perotti secondo la quale la spending review non sarebbe una priorità del Governo;
   se il Governo non intenda approfondire se sia reale il problema delle resistenze della burocrazia e, in particolar modo, del «sistema del capi di gabinetto» messo in evidenza da Cottarelli e su cui non sarebbe ancora stata fatta adeguatamente luce;
   in che modo il Governo abbia intenzione di portare avanti la necessaria opera di riorganizzazione e risparmio della spending review, e quali iniziative intenda assumere per superare le criticità che fino ad ora hanno reso difficile il lavoro dei diversi consiglieri economici per la revisione della spesa pubblica che si sono alternati, loro malgrado, in questi anni.
(4-11217)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile del 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri attuale annunciò: «ogni ministero potrà avere al massimo 5 auto blu. Cosa vuol dire ? La dico male: i sottosegretari vanno a piedi. Sarà la riduzione di auto blu più significativa della storia»;
   i dati ufficiali, come riporta il settimanale Panorama, però raccontano tutt'altro: la spesa che la Consip dovrà continuare ad affrontare per il prossimo triennio sarà pari a 180 milioni di euro e, posto il blocco dell'acquisto di nuove autovetture decretato dall'esecutivo di Mario Monti, si è stati costretti a noleggiare ben 2 mila autovetture in più rispetto al 2014;
   un bando pubblico appena aggiudicato ha previsto una spesa di 106 milioni di euro per 5.900 auto in leasing;
   secondo il settimanale Panorama, una delle ditte che potrebbe aggiudicarsi l'appalto è la Arval service lease Italia, multinazionale francese con base operativa a Scandicci;
   tale società sarebbe sotto i riflettori della guardia di finanza e dell'Autorità della concorrenza e del mercato per verificare se esista un cartello fra le società del settore per garantirsi l'importante giro d'affari del noleggio a lungo termine agli enti pubblici;
    nel 2014 la società Arval ha patteggiato una pena al tribunale di Milano su un'inchiesta legata a bandi di noleggio a lungo termine pubblicati da enti pubblici lombardi;
   in ogni caso, i dati relativi alla flotta complessiva delle auto blu, il numero di auto dismesse e quelle ancora da dismettere non vengono resi pubblici –:
   quali iniziative intenda adottare il Presidente del Consiglio per dare seguito alle promesse del 2014, ad avviso dell'interrogante non ancora mantenute, in merito al programma di dismissione delle cosiddette «auto blu». (4-11218)


   FRUSONE, CECCONI, BARONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, ha disposto la riorganizzazione della associazione italiana della Croce rossa (CRI) mediante una procedura complessa e graduale di privatizzazione e soppressione dell'ente pubblico non economico CRI;
   con il successivo decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, sono stati prorogati di un anno, dal 1o gennaio 2015 al 1o gennaio 2016, i termini previsti dal decreto legislativo n. 178 del 2012 per la trasformazione del comitato centrale e dei comitati regionali della Croce rossa italiana in soggetti di diritto privato, con la conseguente proroga di un anno di tutti i termini previsti relativi al processo di privatizzazione e riordino;
   la procedura di privatizzazione ha suscitato da subito molte perplessità e criticità soprattutto rispetto ai diritti e alle garanzie del personale in servizio nelle diverse componenti militari e civili, considerando l'altissimo numero di lavoratori a tempo determinato. Questi lavoratori, in servizio presso i comitati provinciali e locali, vedranno, con la nuova contrattazione di tipo privatistico, ridotti in maniera preoccupante i diritti e le garanzie previste nell'originario rapporto di lavoro;
   inoltre, nei programmi del Governo, la privatizzazione della Croce rossa italiana avrebbe dovuto portare efficienza e risanamento economico, ma, come rilevato dalla Corte dei conti, il primo anno di privatizzazione ha comportato un aumento del disavanzo superiore al 200 per cento; si rivela anche che la vendita degli immobili, che doveva essere finalizzata al risanamento, è stata invece rovinosa, con ribassi di quasi l'84 per cento, procurando un ricavo di soli 6 milioni di euro, a fronte di stime dei beni di oltre 36 milioni di euro;
   dei dubbi vengono sollevati anche dalla presunta richiesta fatta dalla CRI alla Banca nazionale del lavoro di un acconto di 90 milioni di euro che evidenzierebbero una situazione di bilancio non del tutto tranquilla (http://bari.ilquotidianoitaliano.it);
   Francesco Rocca è stato eletto presidente della CRI dal 27 gennaio 2013, dopo esserne stato commissario straordinario dal 12 novembre 2008, con scadenza del mandato al 1o gennaio 2015. Da quanto riportato in un articolo de L'Espresso di marzo 2010, già venivano evidenziate forti storture «Se decine di migliaia di volontari si adoperano senza prendere un euro, Rocca guadagna oltre 200 mila euro l'anno, e ha a disposizione circa 120 mila euro per le missioni. I tre capi dipartimento in busta paga superano i 150 mila, a cui vanno aggiunti i premi di produzione. Il direttore generale prende, invece, 200 mila l'anno»;
   in un articolo del 3 dicembre 2014 (http://www.cinquequotidiano.it) riguardante lo scandalo di mafia capitale e gli intrecci di rapporti del «mondo di mezzo», compare anche il nome di Rocca, in particolare si fa riferimento alla cena in cui tra i commensali c'erano «a condividere con il primo cittadino (allora Alemanno) i piaceri della cucina i rappresentanti di cooperative storicamente legate alla sinistra capitolina (CNS, 29 giugno, Lega cooperative sociali Lazio) e della Croce Rossa Italiana, alla quale, di recente è stata affidata la (ricca) gestione dei campi nomadi di Roma; e poi l'assessore all'Ambiente Marco Visconti, il consigliere comunale del Pdl Ugo Cassone e il direttore del Dipartimento servizi sociali e salute del Comune Angelo Scozzafava. Una comitiva bene assortita che s’è riunita lontano da occhi e orecchie indiscreti per discutere di servizi sociali, insediamenti nomadi e manutenzione del verde pubblico» (http://cinquequotidiano.it);
   il Presidente Rocca aveva, all'interno della sua segreteria, come braccio destro Paolo Pizzonia, ex membro dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, si tratta del medesimo gruppo di estrema destra di Massimo Carminati, una delle menti di «mafia capitale»;
   in un articolo dell'11 novembre 2015 (http://bari.ilquotidianoitaliano.it) si parla di una condanna per spaccio di eroina e della «elevata pericolosità sociale» che i magistrati al tempo giudicavano esserci in capo a Rocca;
   nel 2011, a seguito dell'emergenza immigrazione, scaturita dalle rivoluzioni della Primavera araba, il Governo italiano pianifica interventi strutturali e, per far fronte alle centinaia di arrivi dal Nord Africa, la struttura, che successivamente diventerà un Cara (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) è affidata alla Croce rossa italiana, sotto il controllo della Protezione civile di Franco Gabrielli. Luca Odevaine, indagato in «mafia capitale», faceva parte del Tavolo di coordinamento nazionale presso il Ministero dell'Interno per l'emergenza immigrazione. Odevaine afferma che, quando il centro veniva gestito dalla Croce Rossa, «gli pagavano 6 milioni di euro l'anno d'affitto». Una cifra spropositata per la zona dove si trova il Cara (http://www.lindro.it). Inoltre, lo stesso Odevaine, da intercettazioni raccolte nel libri «I Re di Roma», dice che l'assegnazione dei servizi interni viene assegnata alla «Croce rossa direttamente... senza gara... senza niente». Nell'associazione temporanea di imprese che si aggiudica l'appalto troviamo Croce Rossa Italiana, Pizzarotti Spa, il Consorzio Sol Calatino presieduto da Paolo Ragusa, la Cascina Global Service Srl, coinvolta nell'inchiesta «mafia capitale» e commissariata per questo, la coopertiva sociale Senis Hopes di Senise, che ha come presidente Camillo Aceto, già vicepresidente della Cascina, il Consorzio Casa della Solidarietà, legato sempre al gruppo Cascina;
   inoltre, Francesco Rocca da maggio 2015 è diventato il nuovo direttore generale dell'Idi, il nosocomio dermatologico più grande d'Europa. Questo potrebbe sollevare, a giudizio degli interroganti, il problema d'incompatibilità di carica, in quanto già amministratore di un ente pubblico come la CRI, peraltro vigilato dal Ministero della salute –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, di effettuare i necessari approfondimenti in relazione ai profili riportati in premessa relativi all'incarico di Francesco Rocca nell'ambito della Croce Rossa italiana, ente per il quale, almeno fino al 1o gennaio 2016, permane la natura di soggetto pubblico; in particolare, se non si ravvisino eventuali aspetti di incompatibilità o quantomeno di inopportunità in relazione alla carica ricoperta dal medesimo in seno all'Irccs «Istituto dermopatico dell'Immacolata» di Roma, e quali iniziative di competenza, anche normative, si intendano assumere al riguardo, al fine di evitare il protrarsi o il ripetersi di casi come quello descritto;
   quali informazioni possa fornire il Governo in relazione alla vicenda concernente l'appalto affidato alla Croce Rossa italiana riguardante il Cara di Mineo. (4-11221)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 agosto 2014, n. 125, recita testualmente all'articolo 20, comma 1:
    «Con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, si provvede, in coerenza con l'istituzione dell'Agenzia, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze e responsabilità, a riordinare e coordinare le disposizioni riguardanti il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con conseguente soppressione di non meno di sei strutture di livello dirigenziale non generale»;
   ad oggi non risultano ancora essere state adottate le citate disposizioni –:
   quali siano le ragioni della mancata adozione delle disposizioni di cui alla premessa e quali conseguenti determinazioni intenda adottare in merito. (5-07059)


   SPADONI, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, DEL GROSSO, GRANDE e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, articolo 8, comma 1, è stata stanziata a decorrere dal 1o ottobre 2015 e fino al 31 dicembre 2015 la spesa di 38.500.000 di euro per iniziative di cooperazione allo sviluppo;
   tali iniziative hanno lo scopo di migliorare le condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati e di sostenere la ricostruzione civile in favore di un lungo elenco di paesi;
   il principio di trasparenza stabilisce l'obbligo per tutte le pubbliche amministrazioni di rendere visibile e controllabile il proprio operato;
   per quanto riguarda in particolare la Siria e i Paesi limitrofi, nella relazione illustrativa si legge che si continuerà a sostenere, e quindi a finanziare, l'azione svolta dall'Istituto Agronomico del Mediterraneo di Bari (IAMB) per interventi complementari e sinergici a quelli promossi nell'ambito della piattaforma tematica «Agricoltura e sicurezza alimentare» (Working Group on Economic Recovery and Development del Group of Friends of the Syrian People-GFSP), di cui l'Italia è capofila;
   gli interroganti hanno contattato il citato Istituto Agronomico del Mediterraneo di Bari il quale sostiene che da parte dello stesso al momento è in corso solamente un'attività di assistenza tecnica alla cooperazione italiana per la fornitura di input agricoli a favore delle comunità siriane presenti in Gaziantep (Turchia) da parte dello stesso e tutti i progetti ovviamente non sono attivi sul territorio siriano per il contesto di guerra nel quale si trovano a operare;
   la suddivisione dei fondi per i vari progetti riferiti a ciascun Paese di cui all'elenco del comma 1 dell'articolo 8 non è presente nel decreto, né all'interno della relazione illustrativa né in quella finanziaria per le attività di competenza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale –:
   quale sia l'ammontare destinato allo Istituto Agronomico del Mediterraneo di Bari per la Siria e i Paesi limitrofi e per quali progetti, alla luce del conflitto in corso. (5-07061)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 31 agosto 2015, nell'ambito dell'Agenzia delle entrate sono stati indetti dal direttore Rossella Orlandi degli interpelli per il conferimento di incarichi dirigenziali, da conferirsi con durata triennale con atto del direttore dell'Agenzia;
   l'interrogante rileva la dubbia legittimità del fatto che a tali procedure selettive partecipino anche dirigenti esterni divenuti tali attraverso una mera nomina fiduciaria e non per concorso pubblico e, tra l'altro, gli stessi vengano preferiti ai fini del conferimento degli incarichi disponibili previsti nel bando di interpello rispetto, a dirigenti di ruolo, i quali hanno invece assunto la qualifica dirigenziale con concorso pubblico;
   dunque, a quanto è dato sapere l'Agenzia delle entrate predilige nel conferimento degli incarichi dirigenziali in questione, dirigenti esterni che non hanno partecipato a procedure concorsuali ai dirigenti interni vincitori di pubblici concorsi;
   a conferma di tale situazione, a titolo di esempio, si fa presente che la direzione degli uffici provinciali – territorio di Terni e Viterbo è stata assegnata a due dirigenti esterni, Francesco Grattarola e Luca Montobbio. Mentre, la direzione dell'ufficio provinciale di Pavia – territorio è stata assegnata a Enrico Ravaschio, anch'esso dirigente esterno;
   è di dubbia legittimità che, nell'ambito di tali procedure d'interpello, possano partecipare dirigenti esterni divenuti tali, si ribadisce, con nomine fiduciarie e vengano perfino prescelti, rispetto a quelli di ruolo;
   la vicenda predetta è solo una delle molteplici, sintomo della situazione che vige nelle agenzie fiscali nel conferimento degli incarichi. Al riguardo, l'interrogante con l'interrogazione 5-06846 ha denunciato anche la dubbia legittimità della nomina avvenuta il 22 ottobre 2015 del nuovo capo del personale, Margherita Maria Calabrò, investita dell'incarico in contrasto con l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 poiché non vi è stato un regolare interpello volto a far partecipare tutti gli aventi diritto;
   le gravi criticità che coinvolgono la gestione delle Agenzie e che l'interrogante continua a denunciare, richiedono, tra i provvedimenti da adottare, l'immediata rimozione del direttore della Agenzia della Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi;
   invece, ad oggi, si prende atto che questo Governo non ha mostrato alcuna volontà di intraprendere le dovute iniziative affinché si ripari alla situazione denunciata e vengano seguite procedure conformi alla legge –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di competenza;
   se e quali iniziative intendano adottare per assicurare il pieno rispetto della legge nelle Agenzie fiscali, per quanto riguarda il conferimento di incarichi, anche rimuovendo Rossella Orlandi dall'incarico di direttore dell'Agenzia delle entrate. (5-07063)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 ottobre 2015 (si vedano notizie dell’Ansa del medesimo giorno) è stata diffusa la notizia, ampiamente diffusa e discussa anche a livello nazionale dell'arresto di ben 35 persone in un'indagine relativa all'assenteismo presso il comune di Sanremo;
   gli indagati sarebbero ben 195 e gli addebiti provvisori sarebbero quelli di falso in atto pubblico e di truffa aggravata ai danni dello Stato, operata tramite la reciproca timbratura di cartellini dei dipendenti assenti da parte di colleghi compiacenti;
   il problema dell'assenteismo, lungi dal riguardare i soli enti pubblici nazionali e territoriali, investe in maniera preoccupante anche le società controllate e partecipate;
   risulta all'interrogante che alcuni dipendenti in servizio presso un ufficio postale della provincia di Palermo, siano indagati, dalla scorsa estate, per truffa aggravata e continuata proprio per fatti riconducibili a tale disdicevole comportamento;
   risulta all'interrogante che i fatti in questione fossero noti, da circa un triennio, alla struttura di tutela aziendale della società –:
   se quanto in premessa trovi conferma e di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   se il Governo disponga di dati nazionali relativi a fenomeni di cosiddetto assenteismo, penalmente rilevanti, all'interno delle società del gruppo Poste Italiane, del gruppo Ferrovie dello Stato, e/o di altre società partecipate in via assoluta o prevalente dallo Stato. (4-11220)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   PETRENGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco dall'8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016 è dedicato alla Misericordia;
   molti santuari italiani sono dedicati alla Misericordia e fra questi luoghi, dalla forte valenza simbolica, vi è il Santuario di santa Lucia a Centurano di Caserta, dove i pellegrini desiderosi di ottenere i doni spirituali dell'indulgenza giubilare, avranno l'occasione di trovare nuovo slancio;
   il Giubileo sarà dedicato alle periferie, anche simboliche, e sarà quindi meta di numerosi disabili e malati che vorranno partecipare agli eventi giubilari a Roma;
   la rete ferroviaria italiana è notoriamente carente nel meridione del Paese;
   se un pellegrino volesse raggiungere per via ferroviaria i Santuari dedicati alla Misericordia, in particolare quello di santa Lucia a Centurano di Caserta, avrebbe notevoli difficoltà nel farlo, poiché ad esempio, Caserta è collegata a Roma solamente da due corse giornaliere;
   Ferrovie dello Stato Italiane e le sue società operative hanno elaborato e presentato, il 13 novembre 2015, un piano per i pellegrini in arrivo nella Capitale, prevedendo molti treni in più rispetto a quelli attualmente circolanti e fermate straordinarie, come quella di Loreto nelle Marche, con 6 treni Intercity giornalieri provenienti dalle principali località della linea Adriatica, o i collegamenti supplementari con Pompei –:
   se, nel piano straordinario delle Ferrovie dello Stato Italiane, sia stata inclusa anche la stazione di Caserta, fondamentale per raggiungere il Santuario della Misericordia di santa Lucia a Centurano, nonché la Reggia, dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, e altre bellezze incluse nell'itinerario culturale religioso casertano, come Sant'Angelo in Formis, il duomo, la cattedrale di Caserta Vecchia. (3-01862)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, PLACIDO, QUARANTA, SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la giunta regionale delle Marche in data 19 ottobre 2015 ha approvato la delibera n. 907 avente ad oggetto: «Approvazione dello schema di accordo tra Regione Marche, Autorità Portuale, Comune di Ancona, RFI SpA per la regolamentazione dei servizi ferroviari sulla tratta Ancona-Ancona Marittima, dal 13 dicembre 2015»;
   il predetto schema è stato sottoposto dal comune di Ancona con mail dell'8 ottobre 2015, con il quale si prevede (non una regolamentazione dei servizi) di sopprimere i servizi ferroviari di trasporto passeggeri sulla tratta Ancona-Ancona Marittima, benché il comune non abbia alcuna competenza sul trasporto pubblico ferroviario, in capo alla regione;
   nel documento istruttorio della delibera regionale si sostiene tra l'altro che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) ha evidenziato la necessità di effettuare lavori per la messa in sicurezza del passaggio a livello chilometro 1+283 denominato «Varco Dogana»;
   il tracciato Ancona-Ancona Marittima impegna tre punti di intersezione strada rotaia: Varco Mandracchio, protetto da un passaggio a livello con barriere, i varchi Lazzaretto e Dogana protetti da impianti semaforici e i treni trasportano giornalmente 660 passeggeri in discesa e 350 in salita alla stazione Marittima;
   RFI spa in data 30 ottobre 2013 ha segnalato la necessità di effettuare lavori per la messa in sicurezza del PL 1+283 «Varco Dogana» finalizzati all'installazione di barriere e dei relativi collegamenti di sicurezza con i segnali ferroviari;
   in data 7 novembre 2013 (dopo sette giorni compresi venerdì festivo, il sabato e la domenica), l'autorità portuale «ha evidenziato che completati i lavori di messa in sicurezza, i tempi di chiusura delle barriere determinerebbero l'interdizione al traffico veicolare per un tempo complessivo di circa 4 ore giornaliere, provocando condizioni non sostenibili con le esigenze e le dinamiche connesse con le operazioni di imbarco e sbarco delle navi traghetto»;
   in data 26 gennaio 2015 si è tenuta una riunione tra i predetti soggetti in occasione della quale RFI ha proposto di prevedere uno studio per la viabilità alternativa in area portuale che consentisse ai mezzi pesanti di evitare il passaggio a livello. Avverso tale proposta ha tuttavia sollevato opposizione l'autorità portuale per la complessità dei soggetti coinvolti e per i problemi di sicurezza (agenti marittimi, guardia di finanza, capitaneria di porto e altro);
   il 24 luglio il comune di Ancona ha chiesto la sospensione dei transiti ferroviari in ragione dell'aumento dei tempi di chiusura dei passaggi a livello a seguito dei lavori e del conseguente intasamento del traffico in area portuale, competenza non in capo al comune ma all'autorità portuale; il 30 luglio 2015 l'autorità portuale ha ribadito l'esigenza di sicurezza e incolumità di tutti gli utenti nei tempi di chiusura dei passaggi a livello;
   la proposta di accordo trasmessa con mail dal comune di Ancona prevede altresì di sopprimere i servizi ferroviari di trasporto passeggeri nonché l'impegno del comune a fornire il servizio aggiuntivo e sostitutivo su gomma finanziandone i costi quantificati in 26.595,00 euro per il 2016 e che l'autorità portuale compenserà i mancati introiti da bigliettazione mediante un contributo una tantum dell'autorità portuale;
   l'allegato alla deliberazione regionale, nelle premesse, aggiunge al PL 1+283 denominato «Varco dogana», quello denominato «Varco Lazzaretto» da dotare con barriere con collegamento di sicurezza con i segnali ferroviari; «l'autorità portuale in relazione a tali lavori ha rappresentato le seguenti criticità: marcato incremento dei tempi di deflusso dei mezzi provenienti dagli imbarchi e di quelli destinati all'imbarco con conseguente aumento dei ritardi negli orari dei traghetti ed evidenti disagi all'utenza portuale; aumento dei tempi d'attesa dei veicoli pesanti; sensibile aumento del livello delle emissioni inquinanti in misura direttamente proporzionale al progressivo aumento di attese forzate dei veicoli leggeri e pesanti; incremento degli ostacoli e conseguenti rallentamenti riferibili alle attività di pronto intervento, prime fra tutte quelle di primo soccorso ed antincendio, con palesi ripercussioni per la sicurezza dello scalo, come evidenziato dagli organi competenti nel corso della seduta dei Comitato Portuale del 28 luglio scorso»;
   inoltre l'articolo 1 prevede che i servizi ferroviari di trasporto passeggeri sulla tratta Ancona-Ancona Marittima (28 treni nel periodo estivo e 38 treni nel periodo invernale) sono sospesi a partire dal 13 dicembre 2015; l'articolo 5 prevede l'impegno dell'autorità portuale a corrispondere al comune di Ancona un contributo una tantum per l'anno 2016 di euro 12.000,00;
   la soppressione dei treni ha suscitato la protesta delle organizzazioni sindacali, delle associazioni ambientaliste e di una parte dei gruppi consiliari SEL, Movimento 5 Stelle, la tua Ancona e di consiglieri regionali di diversi gruppi politici che hanno messo in luce le gravi conseguenze sui mille pendolari che ogni giorno si recano in centro con il mezzo pubblico ferroviario che saranno costretti a pagare il doppio abbonamento (circa 400,00 euro all'anno), con disagi e perdite di tempo dovute al trasferimento dal treno all'autobus, nonché ricadute negative sull'ambiente e sulla mobilità sostenibile, anche perché la soppressione della linea può pregiudicare il progetto di uso metropolitano delle ferrovie dell'area vasta di Ancona, per il quale nel corso degli anni sono state spese somme cospicue;
   la contrarietà a tale scelta è stata anche argomentata sul piano tecnico da esperti del settore che hanno confutato i dati forniti dall'autorità portuale e dal comune di Ancona che, a giudizio degli interroganti, da un lato sviliscono il ruolo e l'utilità sociale dei servizi ferroviari e dall'altro ingigantiscono le criticità derivanti dall'implementazione delle misure di sicurezza disposte dall'ANSF per il «Varco Dogana», estese poi (non da ANSF) al «Varco Lazzaretto», sui tempi di chiusura dei passaggi a livello, dilatati rispetto a quelli reali, nonché sulle conseguenze per il traffico portuale e per l'inquinamento ambientale e persino per «la sicurezza dello scalo»;
   stando ai dati calcolati dall'ex responsabile del settore movimento del compartimento ferroviario di Ancona-Bari, il tempo di chiusura delle barriere dei passaggi a livello aumenterebbe di meno di due minuti rispetto ai tre minuti attuali e pertanto, considerando il numero dei treni che transitano: 38 nell'orario invernale; 28 nel periodo estivo; i tempi di chiusura delle barriere aumenterebbero rispettivamente di un'ora e sedici minuti e di cinquantasei minuti;
   la circolazione dei treni si svolge per 13 ore e 10 minuti al giorno, escluse le domeniche e i festivi; si avrebbe un aumento dei tempi di chiusura delle barriere di 4 minuti e 15 secondi all'ora nel periodo invernale e di tre minuti e venti secondi nel periodo estivo. Tempi di sosta che, ad avviso degli interroganti, sono del tutto compatibili con lo svolgimento delle operazioni portuali di servizio alle navi traghetto e lungi dal determinare gli effetti negativi argomentati a sostegno della soppressione dei treni e di un servizio a mille persone al giorno (280.000 all'anno) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intendano intraprendere allo scopo di mantenere il servizio ferroviario e scongiurare la soppressione dei treni annunciata dal 13 dicembre 2015;
   se e quali iniziative intendano attuare per ottenere una verifica obiettiva e precisa dei dati sull'inquinamento ambientale nel porto di Ancona e sulla sicurezza del medesimo e per accertare la correttezza della spesa di 12.000 euro come una tantum dell'autorità portuale di Ancona al comune di Ancona;
   se non intendano intervenire, per quanto di competenza, affinché sia rispettato scrupolosamente l'esercizio delle competenze e attribuzioni stabilito dalla legge senza quelle che agli interroganti appaiono intrusioni nelle competenze di altri soggetti. (5-07058)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano anche a Cadorago, comune di oltre 7 mila abitanti in provincia di Como, i reati contro il patrimonio ed in particolare i furti in appartamento;
   in questo contesto si situano anche gli episodi riferiti dalla stampa locale, secondo la quale nel weekend compreso tra il 13 ed il 15 novembre Cadorago sarebbe stata interessata da un'ondata di reati, che ha coinvolto almeno 4 appartamenti;
   i fatti più importanti hanno avuto luogo nella sera del 13 novembre, a pochi passi dalla sede del comune di Cadorago, dove una o due bande di malviventi sono entrate in azione con modalità che hanno diffuso angoscia e paura nella popolazione;
   in una delle abitazioni «visitate», quella situata in via Leopardi, deserta perché l'anziana proprietaria era ricoverata in ospedale, i ladri sono infatti entrati arrampicandosi fino ad un balcone situato al secondo piano, utilizzandolo per accedere all'appartamento, sotto lo sguardo dei vicini;
   l'appartamento di via Leopardi aveva subito un furto anche nel mese di gennaio 2015;
   nella vicina via Petrarca, dopo esser entrati in un altro appartamento situato nel condominio denominato «I Rododentri», nella stessa serata del 13 novembre i ladri si sono impossessati persino dei risparmi di una bambina di 8 anni;
   nella stessa palazzina di via Petrarca, gli appartamenti colpiti sono stati ben tre;
   gli abitanti reclamano da tempo maggiore sicurezza, in particolare sotto forma di più capillare presenza delle forze dell'ordine –:
   quali iniziative il Governo ritenga di dover assumere per garantire la sicurezza nel territorio comunale di Cadorago e se, in particolare sia considerata l'ipotesi di distaccarvi degli effettivi della polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri dotati di autovetture e mezzi adeguati. (4-11214)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 aprile 2014 veniva indetto un bando dal Ministero dell'interno per la fornitura di «n. 206 autovetture allestite per il servizio di controllo del territorio, con alimentazione a gasolio, cilindrata compresa tra 1950 cc. e 2000 cc., potenza non inferiore a 110 kw., in colori d'istituto, corredate di pacchetto di assistenza garantita per un periodo di 6 anni o 150 000 km. di cui n. 100 unità per le esigenze della Polizia di Stato e n. 106 unità per le esigenze dell'Arma dei carabinieri» così come citato dal predetto bando, del valore complessivo di 9.720.316 euro;
   il 17 luglio 2014 l'appalto veniva aggiudicato al gruppo Volkswagen che sceglie di assegnare la divisa a Seat Leon. Tali auto sono equipaggiate con il motore 2.0 TDI da 150 CV, uno di quelli che pare essere al centro della bufera che sta travolgendo il gruppo tedesco;
   nello stesso bando veniva specificato che l'amministrazione dell'interno si riserva la facoltà di esercitare il diritto di opzione per acquistare da Volkswagen, entro 3 anni dalla data di esecutività del contratto, altre 1.800 macchine per la polizia e 2.100 per i carabinieri, una fornitura che vale globalmente circa 180 milioni di euro;
   stando a quanto è riportato dai notiziari nazionali, la casa automobilistica avrebbe di fatto ingannato le autorità statunitensi, violando le norme anti-smog con le auto prodotte tra il 2009 e il 2015 e, per tali motivi, sarebbe tuttora sottoposta ad opportune indagini giudiziarie –:
   se siano previsti degli accertamenti specifici sugli acquisti già avvenuti e su quelli futuri previsti anche dal bando succitato, al fine di evitare ogni eventuale ricaduta sulla legittimità delle iniziative adottate dal Ministero e di tutelare gli interessi pubblici ed economici del nostro Paese. (4-11219)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANTIMO CESARO e PALLADINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto italiano per gli studi filosofici è stato fondato nel 1975, nel corso di una solenne cerimonia all'Accademia dei Lincei, da Elena Croce, Enrico Cerulli, Pietro Piovani, Giovanni Pugliese Carratelli e Gerardo Marotta, che ne è Presidente dalla fondazione;
   dal 1983 l'Istituto ha sede a Napoli, nel settecentesco Palazzo Serra di Cassano, luogo di memorie della famiglia Serra di Cassano e soprattutto di Gennaro Serra di Cassano, morto a 27 anni il 20 agosto 1799, martire della Repubblica napoletana;
   l'Istituto, in quaranta anni di vita, ha organizzato innumerevoli corsi, seminari, congressi con la partecipazione di insigni studiosi, a Napoli, ma anche a Roma, Torino, Parigi, Londra, Poitiers, Tubinga, Monaco, Amburgo, Oxford, Francoforte, Wolfenbuttel, Austin, Rotterdam, Erlangen e soprattutto ha reso possibile l'incontro fra numerosi giovani ricercatori e grandi maestri;
   straordinaria è inoltre l'ampiezza enciclopedica dei programmi dell'Istituto;
   il fattore che rende l'Istituto italiano per gli studi filosofici oggi più che mai di vitale importanza è proprio la sua fedeltà alla filosofia come vertice del sapere, da coltivare con spirito non specialistico e «disciplinare», bensì come lievito per la vita collettiva e per la vita dello Stato;
   l'Istituto italiano per gli studi filosofici è stata una delle creazioni più coraggiose e generose nella storia della cultura europea del secondo dopoguerra e ciò è dimostrato dal fatto che ha saputo intessere rapporti di stabile e intensa collaborazione con migliaia di docenti, ricercatori e giovani studiosi;
   l'Istituto italiano per gli studi filosofici versa da tempo in una situazione di grave crisi economica a seguito dei mancati contributi da parte dello Stato dal dicembre 2009, con gravi conseguenze sulle attività che, nonostante tutto, proseguono;
   la sua chiusura o la perdita della sua autonomia costituirebbero una sconfitta irreparabile per la cultura umanistica e avrebbe una negativa incidenza sul prestigio dello Stato italiano in campo culturale;
   nonostante il suddetto Istituto abbia ricevuto la prima tranche del contributo annuo per il triennio 2014-2016 di 1 milione di euro come previsto dalla legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), la situazione finanziaria rimane ancora grave e soprattutto incerta, mettendo a serio rischio l'attività dell'Istituto –:
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alle ulteriori erogazioni a favore dell'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli, al fine di garantire il prosieguo della sua meritoria attività scientifica e di divulgazione del sapere umanistico, in particolare tra i giovani studiosi, soprattutto considerando il presidio di cultura e di legalità che l'Istituto rappresenta per la città di Napoli. (5-07060)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   circa 200 lavoratori hanno occupato pacificamente la sede dell'Inps di Genova, per chiedere chiarimenti sul destino di un centinaio di persone alle quali non sono stati riconosciuti i benefici per aver lavorato a contatto con l'amianto;
   un provvedimento del Governo permette, a chi era stato a contatto con l'amianto per ragioni professionali, di andare in pensione in anticipatamente, ma da quanto si apprende l'Inps ha bloccato questo beneficio a 100 lavoratori, ovvero a quelli che avevano provato a fare causa civile e che, perdendola, sono rimasti sospesi;
   infatti, il beneficio pensionistico previsto per i lavoratori esposti all'amianto dal comma 8 dell'articolo 13 della legge 257 del 1992 prevede una forma di accesso anticipato alla pensione per i lavoratori esposti all'amianto per almeno 10 anni;
   i destinatari delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 115, della legge n. 190 del 2014 sono gli assicurati iscritti all'assicurazione generale obbligatoria, gestita dall'INPS, e all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, gestita dall'INAIL, dipendenti di aziende che hanno collocato tutti i propri lavoratori in mobilità per cessazione dell'attività lavorativa, i quali hanno ottenuto in via giudiziale l'accertamento dell'avvenuta esposizione all'amianto per un periodo superiore a dieci anni e in quantità superiore ai limiti di legge e che, avendo presentato domanda successivamente al 2 ottobre 2003, hanno ottenuto il riconoscimento del beneficio consistente nella moltiplicazione del periodo di esposizione all'amianto per il coefficiente di 1,25 ai soli fini della determinazione dell'importo del trattamento pensionistico;
   il legislatore era intervenuto per introdurre una deroga, dopo che l'INAIL ha revocato una serie di certificazioni, necessarie per conseguire il beneficio. L'Articolo 1, comma 112, della legge di stabilità 2015 (legge 190 del 2014), ha stabilito di non tener conto dei provvedimenti di annullamento INAIL per «i lavoratori attualmente in servizio». Successivamente, l'articolo 5-bis legge del decreto-legge 65 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 109 del 2015 ha introdotto un'interpretazione autentica, stabilendo che per «lavoratori attualmente in servizio» si intendono tutti coloro che al primo gennaio del 2015 non erano già beneficiari di trattamenti pensionistici –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda adottare a volte a favorire il pensionamento anticipato dei lavoratori con le caratteristiche sopra esposte. (4-11215)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, PARENTELA, GAGNARLI, L'ABBATE, ZOLEZZI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, COZZOLINO e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegnere Cesare Patrone risulta essere protagonista di numerosi atti di sindacato ispettivo che sotto diversi profili mettono in luce le criticità connesse alla modalità della sua nomina a Capo del Corpo forestale dello Stato, alla permanenza al vertice della struttura per oltre 11 anni a partire dal 2004, alla circostanza che durante tale arco temporale risulti coinvolto in inchieste e procedimenti giudiziari dai quali emergono molteplici profili che avrebbero raccomandato un suo avvicendamento, considerata anche la delicata attività investigativa e di intelligence che il Corpo svolge nel contrasto ai crimini ambientali e ai traffici illeciti internazionali;
   nessuna delle predette interrogazioni parlamentari ha ricevuto risposta da parte del Ministro interrogato;
   i primi rilievi venivano sollevati proprio in merito alla legittimità del procedimento di nomina di Cesare Patrone a dirigente superiore del Corpo forestale dello Stato da parte dell'allora Ministro delle politiche agricole e forestali, Gianni Alemanno, avvenuta, secondo quanto riportato dalle fonti di stampa, applicando parametri tali da favorire l'ingegnere Cesare Patrone a danno degli altri concorrenti aventi maggiore anzianità e più rilevanti titoli (http://www.europaquotidiano.it);
   nel maggio 2009 il Ministro delle politiche agricole e forestali veniva ulteriormente interrogato in merito alle risultanze di un'inchiesta pubblicata in data 13 maggio 2009 dal quotidiano La Stampa (http://www.lastampa.it) dalla quale emergevano anomalie nelle selezioni ai concorsi di allievi e agenti e di vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, all'esito dei quali risultavano vincitori numerosi figli di comandanti, dirigenti o persone legate al Capo del Corpo forestale. Inoltre, secondo quanto riportato nella suddetta inchiesta giornalistica, tra i vincitori del concorso a 182 posti per il grado di «vice-ispettore» del maggio 2008 risultavano esserci persone strettamente riconducibili a Cesare Patrone, come il fratello, la cognata, l'autista nonché diverse persone provenienti dalla sua segreteria;
   ulteriore vicenda, ancora portata all'attenzione del Ministro con atto di sindacato ispettivo, riguardava il giudizio di responsabilità contabile promosso dal procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Lazio nei confronti del Capo del Corpo forestale dello Stato, ingegnere Cesare Patrone, concernente l'affidamento di un incarico di consulenza legale, con impegno di spesa spropositato, relativo al contenzioso radicato per i contrasti insorti con le società fornitrici di elicotteri. La Corte dei conti condannava il Capo del Corpo forestale dello Stato al pagamento della somma di 50.000 euro (sentenza n. 454 del 27 aprile 2012);
   faceva seguito, nello stesso anno, un'ulteriore sentenza di condanna per danno erariale (sentenza n. 148 del 2012) pronunciata dalla Corte dei conti della Basilicata, nei confronti del Capo del Corpo forestale dello Stato, ingegnere Cesare Patrone, per aver disposto e mantenuto, per circa tre anni, l'oneroso distacco a Roma, presso la cassa mutua del Corpo, di un assistente in servizio presso il coordinamento locale di Lagonegro (Potenza), con condanna al pagamento di una somma di euro 16.307,08 in favore del Corpo forestale dello Stato;
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-02296, presentato dall'On. Di Battista, alla Camera il 24 ottobre 2013, venivano ripercorse le predette vicende e si chiedeva per quali ragioni l'ingegner Patrone continuasse a ricoprire l'incarico di Capo del Corpo forestale dello Stato, tenuto conto che il Corpo è posto alle dirette dipendenze del titolare del Ministero, ai sensi dell'articolo 3 della legge 6 febbraio 2004, n. 36, e se il Ministro interrogato non intendesse procedere immediatamente alla proposta di un nuovo Capo del Corpo forestale dello Stato. Alla predetta interrogazione, così come alle precedenti, non è stato mai risposto e, oggi, è ancora l'ingegnere Cesare Patrone a ricoprire il ruolo del Capo del Corpo forestale dello Stato, portando così ad 11 anni e mezzo il suo incarico;
   è ancora privo di risposta anche l'ulteriore atto di sindacato ispettivo depositato alla Camera n. 4-08162 il 26 febbraio 2015, con il quale l'interrogante, onorevole Lombardi, portava all'attenzione del Governo i fatti emergenti dell'inchiesta pubblicata su Il Fatto Quotidiano del venerdì 20 febbraio 2015, a firma di Luca Ferrari e Nello Trocchia, in merito a preesistenti contatti tra il capo del Corpo forestale dello Stato, ingegnere Cesare Patrone, scelto dai Ministri competenti anche come coordinatore del gruppo di lavoro sulla Terra dei Fuochi, e Cipriano Chianese, ritenuto dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, l'inventore dell'ecomafia in Campania, l'artefice della Terra dei Fuochi (condannato in primo grado a 3 anni e 4 mesi per estorsione e sotto processo per associazione mafiosa, disastro ambientale e avvelenamento delle acque);
   nell'informativa preliminare depositata nel 2013 dal poliziotto Roberto Mancini, morto a causa di un tumore contratto per aver fronteggiato la criminalità ambientale, emerge la «familiarità» tra Patrone e Chianese, che Mancini data al 1994, quando Cesare Patrone era un funzionario del Corpo forestale, sezione aree protette, e Cipriano Chianese era un avvocato imprenditore di Parete, provincia di Caserta. Nella predetta informativa, firmata dallo scomparso Roberto Mancini, si legge a proposito dell'ingegnere Cesare Patrone: «Questo è un personaggio che partecipa in prima persona agli incontri tra Chianese e i suoi interlocutori politici (...)»;
   tuttavia, nel corso dell'audizione del capo del Corpo forestale dello Stato in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, nella seduta n. 105 del 14 luglio 2015, alla richiesta di chiarimenti da parte del deputato M5S, Francesco D'Uva, in merito ai suoi rapporti con Chianese, Cesare Patrone rispondeva: «non ricordo assolutamente chi sia Chianese. (...) Non ricordo mai di avere incontrato venti o trent'anni fa il dottor Chianese»;
   il 27 settembre 2015 Il Fatto Quotidiano pubblicava un'intercettazione telefonica risalente al 24 agosto 1994, tra l'avvocato Cipriano Chianese e l'attuale capo del Corpo forestale dello Stato, Cesare Patrone, che confermerebbe i rapporti tra i due;
   il 21 ottobre 2015 il giornale online La Stampa Novara pubblica il seguente articolo: «Indagato a Novara il comandante nazionale della Forestale. L'ingegner Cesare Anselmo Patrone, 61 anni, di Roma, tra i 27 indagati in un'inchiesta della procura di Novara che riguarda il Consorzio d'irrigazione e bonifica Est Sesia, il più grosso in Italia con oltre 200 dipendenti; l'inchiesta, partita tre anni fa, riguarda rimborsi non dovuti chiesti dal Consorzio al Ministero. Nel mirino della procura altre 23 persone, oltre ai tre funzionari già arrestati in passato. Tra i nuovi indagati (contabili, collaudatori, tecnici, progettisti e imprenditori), a vario titolo per falso, turbativa d'asta e truffa, anche Patrone: secondo l'accusa nell'aprile 2012 avrebbe fatto parte della commissione collaudatrice nelle opere riguardanti ponti sul canale Quintino Sella, tentando di redigere un verbale non corrispondente al vero in relazione al giorno dell'attività»;
   il 4 agosto 2015 è stato approvato il così detto «disegno di legge Madia» recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», in cui si prevede all'articolo 8, comma 1, lettera a), il «riordino delle funzioni di polizia di tutela dell'ambiente, del territorio e del mare, nonché nel campo della sicurezza e dei controlli nel settore agroalimentare, conseguente alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato ed eventuale assorbimento del medesimo in altra Forza di polizia»;
   il 25 settembre 2015 l'agenzia stampa Adnkronos pubblica: «con la riforma della pubblica amministrazione circa 7 mila forestali passeranno nell'arma dei Carabinieri»;
   il 14 ottobre 2015 le sigle sindacali Sapaf, Ugl-CFS, Fns-Cisl, Cgil-Fp, Uil-Pa e Dirfor si sono riunite in conferenza stampa per annunciare i risultati del sondaggio interno al Corpo, dove risulta che il 98 per cento del personale, sia contrario ai provvedimenti di riordino di polizia ambientale e agroalimentare previsti nella legge di riforma della pubblica amministrazione (legge n. 124 del 2015) e alla militarizzazione del Corpo forestale;
   il 5 novembre 2015 il Presidente del Consiglio Renzi dichiara a Il Sole 24 Ore radiocor: «Il Corpo Forestale Nazionale finirà dentro l'arma dei Carabinieri con delle collaborazioni con gli altri corpi»;
   durante la seduta n. 464 del 17 luglio 2015 è stato presentato l'ordine del giorno Terzoni n. 9/3098-A/120, che impegnava il Governo a prevedere adeguate misure affinché nella stesura dei decreti legislativi, di cui al predetto articolo 7 della «legge Madia», siano coinvolte tutte le rappresentanze sindacali nell'ambito idei Corpo forestale dello Stato, al fine di tenere nella debita considerazione ogni istanza da esse proveniente. Tale ordine del giorno è stato respinto con parere contrario del Governo, il quale, a giudizio degli interroganti, ha implicitamente ammesso di non aver alcuna intenzione di audire le sigle sindacali in fase di stesura dei decreti attuativi;
   le sigle sindacali dei forestali hanno manifestato attraverso numerosi comunicati le problematiche relative all'assorbimento del Corpo forestale dello Stato previsto dalla legge n. 124 del 2015, e la loro distanza rispetto alle posizioni espresse dal Capo del Corpo (http://sapa.it/notiziario), denunciando il loro mancato coinvolgimento nel dialogo con il Governo e l'Arma dei carabinieri per la riforma dello stesso Corpo forestale nazionale che vede come principale interlocutore l'ingegnere Cesare Patrone (http://www.uglcorpoforestale.it) –:
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza al fine di procedere celermente alla sostituzione dell'ingegnere Cesare Patrone nell'incarico di capo del Corpo forestale dello Stato, poiché una permanenza di undici anni appare agli interroganti quanto meno ingiustificata, se non ingiusta, in considerazione peraltro del suo coinvolgimento in numerose vicende giudiziarie, e di certo incoerente con il rinnovo generazionale propugnato dal Presidente del Consiglio, nonché con la necessità che la riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato venga affidata ad una figura in grado di offrire idonee garanzie di correttezza e imparzialità nello, svolgimento delle proprie funzioni. (5-07062)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Arlotti e altri n. 5-07007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cuomo, Giorgio Piccolo.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Cariello e altri n. 5-07037 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 524 del 18 novembre 2015. Alla pagina 31183, prima colonna, alla riga ventiseiesima, deve leggersi: «base all'articolo 515 del codice penale, la» e non come stampato.