Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 14 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia si stimano in centinaia di migliaia i pazienti affetti da patologie rare che affrontano spesso difficoltà così pesanti da pregiudicare la qualità della vita di interi nuclei familiari, la realtà lavorativa dei loro componenti e spesso anche la loro sopravvivenza economica. Nel 2001, con il decreto ministeriale n. 279 del 2001 sono state individuate 583 malattie rare e/o gruppi di malattie aventi diritto all'esenzione per le prestazioni sanitarie correlate alla malattia e incluse nei livelli essenziali di assistenza. Molte malattie rare presenti non sono però incluse nell'elenco ministeriale, con drammatiche conseguenze per i pazienti che, pur avendo una malattia rara, non possono beneficiare di alcuna speciale tutela;
    la giornata delle malattie rare è uno degli appuntamenti più importanti per chi vive questo problema. Un momento per far arrivare informazioni a decisori politici e pubblici, operatori sanitari e sociali e opinione pubblica;
    in occasione della giornata delle malattie rare, durante il convegno organizzato dall'Istituto superiore di sanità «Dalla ricerca scientifica alla tutela delle persone con malattie rare» con cui si è fatto il punto sulla situazione delle malattie rare in Italia, Uniamo – Federazione italiana malattie rare onlus ha illustrato i risultati della conferenza nazionale Europlan II, iniziativa per l'adozione dei piani nazionali per le malattie rare nei paesi dell'Unione Europea. In questo progetto tutti gli attori del sistema nazionale delle malattie rare hanno sviluppato definizioni condivise e strumenti funzionali come contributo all'elaborazione finale del piano nazionale per le malattie rare ancora in attesa di adozione dal 2013. L'obiettivo è rendere il piano rispondente alle necessità e ai reali bisogni dei pazienti, tenendo conto anche delle buone pratiche esistenti;
    anche il Ministro della salute Lorenzin, inviando i saluti al presidente dell'Istituto superiore di sanità, Fabrizio Oleari, ha dichiarato che «il tema dell'assistenza rappresenta un bisogno universale sia per i pazienti che per le loro famiglie e il dicastero che rappresento ha sempre dimostrato un'attenzione altissima verso questa tematica, nella consapevolezza che le malattie rare necessitano di politiche specificatamente indirizzate. Frutto di questa speciale sensibilità è stato il Piano nazionale delle malattie rare che, a breve sarà sottoposto al vaglio della Conferenza Stato-Regioni»;
    c’è la consapevolezza che si sta attraversando una fase di trasformazione del welfare;
    è fortemente sentita, anche in campo sanitario, la necessità di innovare e di assumersi nuove responsabilità di rischio, che determini una nuova produzione di valore; in questo senso le malattie rare costituiscono in sé una sfida di sanità pubblica e una sfida sociale e possono essere un campo di sperimentazione dove creare/definire significati condivisi;
    i contenuti elaborati e condivisi tra tutti gli attori del «Sistema malattie rare» durante le conferenze Europlan devono costituire un impulso per le istituzioni preposte ed essere fonte di indirizzo nell'elaborazione finale del piano nazionale per le malattie rare e delle politiche socio-sanitarie promosse territorialmente;
    continuamente cambiano e nascono nuovi bisogni sociali e di salute che rimangono spesso insoddisfatti perché le risposte a questi bisogni sono superate;
    sono questi nuovi bisogni ad assumere oggi un maggior valore e costituire il senso della comunità dei malati rari a cui si devono dare nuove risposte ricche di valore aggiunto;
    il valore aggiunto è il grado di soddisfazione e miglioramento del livello di salute ottenuto e percepito dal paziente nel godimento dell'offerta di salute;
    l'Europa ha deciso di puntare sulla costruzione di reti quale principio di un'adeguata offerta di salute per i malati affetti da patologie rare, valorizzando la domanda e con essa assegnando al paziente una piena responsabilità,

impegna il Governo:

   ad istituire un comitato nazionale, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel settore delle malattie rare, comprese le associazioni dei pazienti, con il compito di:
    a) delineare le linee strategiche e le proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, della ricerca, della tutela e della promozione sociale, della formazione e dell'informazione;
    b) indicare le priorità di impiego delle risorse dedicate alle malattie rare, tenendo conto anche dei dati di monitoraggio e valutazione;
    c) prevedere il coinvolgimento dei rappresentanti associativi delle persone con malattia rara nei coordinamenti regionali sulle malattie rare;
   a individuare uno standard per l'aggiornamento sia dell'elenco delle malattie rare riconosciute che dei livelli essenziali di assistenza, capace di stare al passo con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche;
   ad individuare un meccanismo capace di modificare il sistema di remunerazione delle prestazioni adeguandolo alla quantificazione della complessità multidisciplinare del paziente;
   a definire i criteri minimi che le strutture abilitate ad effettuare le indagini finalizzate alla diagnosi prenatale devono rispettare;
   a prevedere che le patologie rare che rientrano nel pannello di screening neonatale debbano essere rivalutate periodicamente in base alle nuove conoscenze tecniche ed epidemiologiche posto che è necessario che la scelta delle patologie da includere nello screening si basi su criteri a forte evidenza scientifica;
   a migliorare e accelerare le procedure nazionali per la definizione del prezzo e del rimborso dei farmaci allo scopo di migliorare l'accesso ai farmaci orfani;
   a favorire l'utilizzo off-label di farmaci di cui è nota l'efficacia, supportata da evidenze scientifiche, al fine di un eventuale inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, sviluppando da parte dell'Agenzia italiana del farmaco un'attenzione particolare per le malattie rare.
(1-00373) «Rondini, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Cristian Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    il 21 dicembre 2013 vi è stata l'approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge «disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni»;
    il predetto atto ha conosciuto, nel corso del suo esame parlamentare, l'introduzione di disposizioni particolarmente attese dai comuni di minore dimensione demografica, ovvero la reintroduzione per i comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti dell'istituto della giunta comunale nonché la rideterminazione per i comuni al di sotto dei 3.000 abitanti del numero dei componenti il consiglio comunale nel numero di 10;
    in sede di esame da parte del Senato il relatore ha presentato un proprio emendamento tendente a recepire una ulteriore modifica al testo di legge, che recepisce un'istanza da anni avanzata da tutte le associazioni delle autonomie locali e finalizzata a consentire il terzo mandato per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti;
    l’iter parlamentare del provvedimento potrebbe richiedere tempi che non si conciliano con l'esigenza di fornire un quadro di garanzie legislative certe ai quasi 4.000 piccoli comuni che saranno interessati dal rinnovo amministrativo del 25 maggio 2014;
    nei confronti di tali comuni devono essere fornite nel più breve tempo possibile le certezze di legge in ordine alle modalità di composizione numerica delle liste elettorali, dando seguito a quanto stabilito dalla Camera dei deputati con un consenso politico molto ampio sul punto,

impegna il Governo:

ad adottare urgenti iniziative normative al fine di assicurare a tutti i comuni chiamati al voto nella tornata amministrativa del 25 maggio 2014 di poter godere di un sistema di regole certo e definito, oltre che conforme alle più elementari regole della democrazia e dell'equilibrio istituzionale tra organi esecutivi, e organi rappresentativi.
(1-00374) «Borghi, Mariani, Fiorio, Bargero, Carra, Gregori, Taricco, Guerra, Boccuzzi, Gribaudo, Braga, Bratti, D'Ottavio, Giuseppe Guerini, Ventricelli, Arlotti, Basso, Berlinghieri, Cuperlo, Bonavitacola, Dallai, Cominelli, De Menech, Giorgis, Pilozzi, Ginoble, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    la decisione n. 1295/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 1999, che adotta il programma d'azione comunitaria 1999-2003 della Commissione europea, definisce rare le malattie che hanno una prevalenza non superiore a 5 per 10.000 abitanti nell'insieme della popolazione comunitaria;
    si tratta di patologie potenzialmente letali o croniche, in gran parte di origine genetica, che comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite o derivate dall'esposizione ambientale durante la gravidanza, patologie di origine infettiva o tossica. Tali malattie, oltre ad essere numerose, sono anche molto eterogenee fra di loro e richiedono un approccio articolato e complesso, basato su interventi specifici e combinati, finalizzati a prevenire un'elevata morbilità e migliorare la qualità di vita delle persone colpite;
    è possibile contare circa 5-8 mila diverse malattie rare che, in ambito europeo, colpiscono oltre il 6 per cento della popolazione nelle varie fasi della vita. Sotto questo aspetto è possibile raggruppare le malattie rare in base alla loro prevalenza: bassa (se inferiore a 5 casi ogni 10 mila persone nell'Unione europea; in questa fascia si collocherebbero poco meno di un centinaio di patologie), bassissima (circa un caso ogni 100 mila persone); infine, vi sono migliaia di patologie molto rare che colpiscono solo poche persone in tutta Europa, e i pazienti affetti da queste ultime malattie risultano inevitabilmente particolarmente isolati e vulnerabili;
    in Italia si stimano in circa 2 milioni le persone colpite da queste patologie;
    il gruppo di patologie più segnalato sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso con una percentuale del 26 per cento, a cui seguono le malformazioni congenite (19,7 per cento), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e i difetti immunitari (17,4 per cento) e le malattie del sangue e degli organi ematopoietici (16,6 per cento). La più larga fetta di queste malattie colpisce i bambini;
    la ricerca scientifica europea ha svolto un importante ruolo per migliorare la comprensione dei meccanismi alla base di tali patologie, ma la mancanza di politiche sanitarie adeguate si traduce troppo spesso in diagnosi tardive e difficoltà di accesso alle cure, costringendo i pazienti e le loro famiglie alla difficile ricerca di strutture sanitarie adeguate, mentre talune malattie, se diagnosticate e gestite in tempo, potrebbero essere compatibili con una vita normale;
    la carenza di conoscenza sulle malattie rare contribuisce ad aggravare lo stato di salute dei portatori di molte delle malattie rare e conduce a sensibili perdite: ritardi e ricoveri inutili, infinite consulenze specialistiche e prescrizione di farmaci e trattamenti inadeguati;
    l'Istituto superiore di sanità ha individuato un elenco di malattie rare esenti dal pagamento del ticket. L'elenco comprende attualmente 583 patologie. Alcune regioni italiane hanno, quindi, deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal decreto ministeriale n. 279 del 2001;
    il decreto ministeriale n. 279 del 2001, «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie», individua le malattie rare, prevede il diritto all'esenzione per le prestazioni individuate tra quelle incluse nei livelli essenziali e uniformi di assistenza e ha previsto tra l'altro:
     a) l'istituzione della «Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare», quale principale strumento di tutela dei pazienti affetti da malattia rara di una rete assistenziale dedicata, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l'informazione e la formazione. La rete nazionale è costituita da presidi accreditati (preferibilmente ospedalieri), appositamente individuati dalle regioni, e da centri interregionali di riferimento, per la formulazione della diagnosi di malattia rara e per l'erogazione delle relative cure in regime di esenzione. Il coordinamento nazionale è affidato al Centro nazionale malattie rare istituito presso l'Istituto superiore di sanità;
     b) l'istituzione del registro nazionale delle malattie rare, istituito presso l'Istituto superiore di sanità, che ha obiettivi generali di effettuare la sorveglianza delle malattie rare e di supportare la programmazione nazionale e regionale degli interventi per i soggetti affetti da malattie rare. Il registro mira ad ottenere informazioni epidemiologiche (in primo luogo il numero di casi di una determinata malattia rara e relativa distribuzione sul territorio nazionale) utili a definire le dimensioni del problema, anche al fine di stimare il ritardo diagnostico e la migrazione sanitaria dei pazienti, supportare la ricerca clinica e promuovere il confronto tra operatori sanitari per la definizione di criteri diagnostici;
    l'accordo Stato-regioni del 10 maggio 2007 ha stabilito l'impegno, da parte delle regioni, di attivare registri regionali o interregionali sulle malattie rare e di garantire il collegamento con il registro nazionale delle malattie rare;
    molto resta da fare, anche se importanti passi avanti sono stati realizzati grazie ai registri nazionale e regionali. Come dichiarato dal direttore del Centro nazionale malattie rare dell'Istituto superiore di sanità, Domenica Taruscio, «si può fare di più. Attualmente il Registro sorveglia solo le malattie rare per le quali è prevista la gratuità dell'assistenza da parte del SSN. Proprio per comprendere meglio la natura di queste complesse e poco conosciute patologie sarebbe però auspicabile estendere la sorveglianza a tutto l'universo di tali malattie»;
    va, inoltre, evidenziata la differenza di trattamento fra le varie regioni, anche per la mancanza o la non omogenea disponibilità sul territorio nazionale di strutture specialistiche adeguate, nonostante che tutti i cittadini debbano godere dello stesso livello di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, diverse regioni fanno lo screening neonatale, hanno dei livelli essenziali di assistenza aggiuntivi per le malattie rare e hanno percorsi assistenziali istituiti ad hoc;
    l'attuale normativa non è in grado di fornire un'assistenza adeguata a molti di questi malati e alle loro famiglie, che troppo spesso si trovano senza un sostegno efficace;
    peraltro, non è stato ancora approvato il piano nazionale delle malattie rare, che il nostro Paese avrebbe già dovuto adottare entro il 2013, secondo la raccomandazione del Consiglio d'Europa dell'8 giugno 2009, centrata appunto su un'azione in questo settore;
    strettamente correlati alle malattie rare sono i cosiddetti farmaci orfani. Il farmaco orfano è quel farmaco che potenzialmente è utile per trattare una malattia rara, ma non ha un mercato sufficiente per ripagare le spese del suo sviluppo. Si definisce, quindi, farmaco orfano perché manca l'interesse da parte delle industrie farmaceutiche ad investire su un farmaco destinato a pochi pazienti nonostante il farmaco risponda ad un bisogno di salute pubblica;
    il regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1999 ha stabilito i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea, prevedendo opportuni incentivi. I medicinali qualificati come orfani possono, infatti, beneficiare di incentivi messi a disposizione dalla Comunità europea e dagli Stati membri allo scopo di promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'immissione in commercio dei medesimi medicinali orfani e, in particolare, delle misure di aiuto alla ricerca a favore delle piccole e medie imprese previste dai programmi quadro di ricerca e sviluppo tecnologico;
    l'EMA (European Medicines Agency), ossia l'Agenzia europea dei medicinali, ha previsto, per il 2014, ulteriori importanti sgravi fiscali e incentivi a favore delle imprese che producono e commercializzano farmaci orfani, i farmaci per il trattamento nelle malattie rare;
    in ambito europeo, l'assegnazione dell'autorizzazione all'immissione in commercio non implica l'immediata disponibilità del farmaco in tutti i paesi dell'Unione europea. I proprietari dell'autorizzazione all'immissione in commercio devono decidere in anticipo la modalità di commercializzazione del farmaco in ciascun Paese e il farmaco, quindi, dovrà seguire un iter specifico, al fine di stabilire le modalità di rimborso e di solito anche il suo costo. Nonostante gli sforzi congiunti, l'eterogeneità di approccio nei diversi Paesi rende ancora problematico l'accesso ai farmaci orfani da parte dei pazienti,

impegna il Governo:

   ad includere nei livelli essenziali di assistenza previsti per i soggetti affetti da malattie rare, solo qualora prescritti dai presidi della rete nazionale delle malattie rare, le prestazioni per le terapie riabilitative, le prescrizioni non farmacologiche quali integratori alimentari o specifici alimenti, nonché i farmaci il cui costo è interamente a carico del cittadino, se funzionali al trattamento delle malattie rare;
   ad estendere la sorveglianza effettuata dal registro nazionale delle malattie rare a tutte le malattie rare e non solo – come ora previsto – a quelle per le quali è prevista la gratuità dell'assistenza da parte del Servizio sanitario nazionale;
   ad aggiornare l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza almeno biennale;
   ad introdurre una valutazione qualitativa periodica dei centri/presidi accreditati, con il coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e degli altri soggetti istituzionali interessati;
   ad istituire un comitato nazionale delle malattie rare, con la partecipazione di tutti i soggetti – istituzionali e non – coinvolti nel settore delle malattie rare, con il compito di delineare le linee di indirizzo e le proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, della ricerca, della tutela e della promozione sociale, della formazione e dell'informazione e di indicare le priorità di impiego delle risorse dedicate alle malattie rare;
   ad approvare il piano nazionale delle malattie rare;
   ad individuare gli interventi idonei ad accelerare le procedure di autorizzazione per i nuovi farmaci qualificati come «farmaci orfani»;
   ad assumere iniziative dirette a stanziare adeguate risorse finanziarie volte ad incentivare e sostenere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, la ricerca scientifica sui farmaci orfani e per lo sviluppo di nuove terapie;
   a prevedere il coinvolgimento nei tavoli decisionali dei rappresentanti delle principali associazioni delle persone affette da malattia rara;
   a promuovere l'implementazione dei programmi di formazione e aggiornamento per i professionisti sanitari, con particolare riferimento alla diagnosi precoce e appropriata delle malattie rare;
   a verificare i presupposti per riconoscere la sensibilità chimica multipla (mcs) quale malattia rara.
(1-00375) «Nicchi, Piazzoni, Aiello, Di Salvo, Migliore».


   La Camera,
   premesso che:
    il problema delle malattie rare riguarda circa 24 milioni di persone in Europa e oltre 2 milioni di persone in Italia (senza contare il coinvolgimento dei familiari dei malati). Si tratta di patologie alquanto eterogenee fra loro sia nell'eziopatogenesi sia nelle manifestazioni sintomatologiche, che spesso costituiscono causa di mortalità precoce;
    ad oggi non esiste una definizione uniforme di malattia rara. L'Organizzazione mondiale della sanità individua come malattie rare un ampio gruppo di patologie (tra le 5.000 e le 6.000), di cui l'80 per cento circa di origine genetica, caratterizzate dalla bassa prevalenza nella popolazione, alcune delle quali aggregabili in aree clinico-terapeutiche (malattie dismetaboliche, anemie congenite, neuropatie ed altre), con particolare concentrazione in determinate aree territoriali e geografiche; sono malattie croniche e invalidanti, con conseguenti specifiche esigenze assistenziali e alti costi sanitari e sociali; sono tuttora spesso prive di trattamento (malattie orfane) perché, in assenza di incentivi, le imprese farmaceutiche non sono stimolate ad investire in funzione di un mercato che resterebbe comunque molto limitato;
    le malattie rare rappresentano un importante e complesso problema sociale ed assistenziale. Trattandosi, infatti, di malattie il più delle volte genetiche, esse pongono difficoltà diagnostiche e attendono i principali risultati terapeutici dallo sviluppo di nuovi farmaci ottenuti attraverso l'impiego di metodologie avanzate (biotecnologie, terapia genica e cellulare) non sempre immediatamente disponibili;
    la situazione europea presenta un quadro di quasi 7000 tipi di malattie rare che colpiscono circa 30 milioni di persone di cui 2 milioni in Italia e per far fronte a tali malattie sono nate, in alcuni Paesi, diverse iniziative tese ad incentivare le case farmaceutiche e gli istituti di ricerca nella messa a punto di prodotti o soluzioni specifiche; gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone e l'Unione Europea si sono dotati di apposite legislazioni che favoriscono, con agevolazioni fiscali e commerciali, la creazione di medicinali orfani, cioè probabilmente abili alla terapia di una malattia rara, ma non prodotti per cause commerciali;
    in Europa, in particolare, il regolamento (CE) n. 141/2000 ha dato avvio alla fase di definizione di interventi atti a ridurre il disagio dei malati rari e ad aumentare la disponibilità di ausili farmacologici, diagnostici e tecnici che ne migliorassero la qualità della vita;
    in Italia, la legge n. 279 del 2001 ha disposto una serie di interventi a livello nazionale che sono stati recepiti solo in parte dal sistema regionalizzato della sanità, ma l'attenzione per le malattie rare a livello legislativo e amministrativo è relativamente recente perché il trattamento di tali malattie, quando possibile, ha un costo per paziente molto più elevato di quello di una malattia comune e tende, quindi, a non essere mai inserito tra le priorità, a meno che la gravità della patologia o l'attivismo dei pazienti non la imponga all'attenzione;
    la cosiddetta «Schengen sanitaria», messa in atto con il Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2014, che permetterà ai cittadini comunitari di spostarsi oltreconfine per ricevere un'assistenza sanitaria di qualità o in alternativa di usufruire di servizi telemedicina da altri Stati, non è tuttavia priva di regole e paletti, autorizzazioni preventive, tariffe e rimborsi limitati che, tuttavia, escludono dall'applicazione di tale assistenza i servizi «long term care», i trapianti d'organo e le vaccinazioni,

impegna il Governo:

   ad intervenire con un'iniziativa immediata per assicurare:
    a) che l'Italia si doti entro il 2015 di un piano nazionale per le malattie rare da sviluppare in coerenza con le linee guida definite in Europa attraverso il progetto Europlan;
    b) l'istituzione e l'implementazione di registri delle malattie rare sviluppati sia su base territoriale (reti regionali di riferimento) che attraverso una catalogazione per patologia;
    c) la creazione, su base regionale e nazionale, di un'anagrafe dei portatori di malattia rara così come riconosciuta esclusivamente dai centri di riferimento della malattia o del gruppo di malattie abilitati alla diagnosi per i casi di malattie ultrarare, con incidenza inferiore ad uno su 100.000;
    d) l'istituzione e l'implementazione di network di ricerca relativi a singole malattie rare o a gruppi di esse che tengano conto dei criteri già definiti in sede europea per l'identificazione di centri e di network di eccellenza, facendo sì che tali network, oltre a dimostrare il possesso dei requisiti di eccellenza, siano collegati in rete ai rispettivi network europei ed internazionali ed abbiano dimensione di norma sovraregionale e nazionale;
    e) l'istituzione e l'implementazione di network di ricerca pediatrici che rispettino la specificità della popolazione infantile anche in considerazione del fatto che l'80 per cento delle malattie rare sono pediatriche e che solo specifiche competenze create in tale ambito ed in collaborazione con i medici del territorio sono potenzialmente in grado di favorire diagnosi precoci e percorsi terapeutici ottimali;
    f) l'identificazione e la validazione della rete dei servizi assistenziali e della rete dei laboratori abilitati alla diagnosi di malattia rara nell'ambito dei principali settori clinicoterapeutici identificabili almeno in macroaree: malattie dismetaboliche, malattie oncologiche rare, malattie neurologiche e malattie ematologiche;
    g) la ricognizione delle esistenti biobanche e della loro adeguatezza ad essere utilizzate per la diagnosi precoce ed immediata delle malattie rare, anche attraverso l'identificazione di nuovi biomarker, specie in caso di malattie dovute a difetti congeniti dimostrabili in età perinatale, per le quali l'intervento precoce è essenziale per ridurre e prevenire l'insorgenza di gravi deficit psicosomatici ed invalidità;
    h) la revisione e la messa a punto di tutta la materia relativa all'uso temporaneo di farmaci per portatori di malattie rare, dando attuazione all'articolo 158, comma 10, del decreto legislativo n. 219 del 2006, nonché all'accesso preferenziale all'uso temporaneo dei farmaci per i portatori di malattie rare (definite da una prevalenza di 5 su 10.000, come da regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1999);
    i) l'obbligatorietà di inserimento di questi farmaci con tempi certi nei prontuari regionali e ospedalieri e la garanzia di accesso alle procedure off-label, ai sensi del decreto-legge n. 23 del 1998, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 1998, per singoli pazienti in caso di emergenza terapeutica per patologia rara;
    l) la creazione di una commissione tecnica presso l'Agenzia italiana del farmaco per la valutazione delle autorizzazioni temporanee di utilizzo che comprenda anche competenze etiche e pediatriche;
    m) l'esclusione dei farmaci orfani dall'applicazione del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, relativamente alla spesa ospedaliera;
    n) la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai farmaci orfani e alle malattie rare, con particolare attenzione ai progetti rivolti al territorio delle regioni con disavanzo e sottoposte a piani di rientro.
(1-00376) «Palese, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    anche in Italia, ogni anno, si celebra la Giornata mondiale delle malattie rare, istituita per richiamare l'attenzione dei media sulle condizioni dei pazienti con malattie a bassa incidenza, spesso penalizzati per la difficoltà della diagnosi e la scarsa disponibilità di terapie efficaci;
    nonostante nel corso degli ultimi anni la ricerca scientifica abbia compiuto notevoli progressi, vi sono ancora moltissimi stati patologici non adeguatamente conosciuti e non ancora classificati, moltissime malattie per le quali non sono possibili né sussidi diagnostici, né adeguate forme di prevenzione, né terapie, ed altre ancora che colpiscono un numero relativamente basso di persone, le cosiddette malattie rare;
    una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, ovvero il numero di caso presenti in un dato momento in una data popolazione, non supera una determinata soglia. Nell'Unione europea (Programma d'azione comunitario sulle malattie rare 1999-2003) questa soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 1 caso su 2.000 abitanti: l'Italia si attiene a tale definizione;
    altri Paesi adottano parametri leggermente diversi; negli Usa, ad esempio, una malattia è considerata rara quando non supera la soglia dello 0,08 per cento. La legge giapponese, invece, definisce rara una patologia che comprende meno di 50.000 casi (4/10.000 abitanti) in Giappone;
    molte patologie sono però molto più rare, arrivando appena a una frequenza dello 0,001 per cento, cioè un caso ogni 100.000 persone;
    le malattie rare talvolta sono fortemente invalidanti e chi ne è colpito spesso non riesce a sopravvivere; la definizione di «rara» non ha agevolato il processo di ricerca e di attenzione sulle cause delle malattie rare, se non da parte di centri privati, con la conseguenza non solo di non offrire al paziente cure adeguate e una diagnosi tempestiva, ma soprattutto di lasciarlo isolato nell'affrontare la propria malattia insieme alla sua famiglia;
    la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che scaturisce proprio dalla rarità, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, cosa che incide negativamente sulla prognosi del paziente; inoltre, le industrie farmaceutiche, a causa della limitatezza del mercato di riferimento, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti «farmaci orfani», potenzialmente utili per tali patologie;
    l'Unione europea ha indicato le malattie rare tra i temi prioritari del Programma di azione comunitaria in materia di salute 2008-2013. In base a quanto stabilito dai piani di lavoro per l'implementazione del programma in materia di salute, le due principali linee di azione sono rappresentate dallo scambio di informazioni attraverso reti europee già esistenti sulle malattie rare e lo sviluppo di strategie e meccanismi per lo scambio di informazioni e il coordinamento a livello comunitario, al fine di incoraggiare la continuità del lavoro e la cooperazione transnazionale;
    in Francia, per esempio, da tempo è stato adottato un piano nazionale per le malattie rare e già dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci orfani che ha consentito a più di 400 prodotti farmaceutici di ottenere l'autorizzazione temporanea di utilizzo, permettendo ai pazienti di utilizzarli in media 12 mesi prima dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
    l'autorizzazione temporanea di utilizzo ha come finalità quella di consentire l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo e non vi sia una valida alternativa terapeutica garantita da un farmaco regolarmente autorizzato;
    nonostante l'Italia sia sempre stata sensibile su questo tema, non solo inserendolo tra i punti fondamentali del piano sanitario nazionale già nel triennio 1998-2000, ma anche predisponendo il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, con cui si stabiliva l'esenzione dai costi sanitari per circa 350 patologie, a tutt'oggi sono molteplici le malattie rare non ancora riconosciute ed inserite nei livelli essenziali di assistenza;
    tra le malattie rare non ancora inserite nei livelli essenziali di assistenza si segnalano a titolo d'esempio: 1) sindrome di acalasia-addisonismo-alacrimia; 2) agenesia del corpo calloso; 3) sindrome di Aicardi-Goutières; 4) alveolite fibrosante idiopatica; 5) amartomatosi multiple; 6) sindrome di Andermann; 7) anemia aplastica; 8) anemia refrattaria; 9) angioedema acquisito; 10) angiomatosi cistica diffusa dell'osso; 11) anoftalmia/microftalmia/microcornea complex; 12) anomalie dell'apparato ciliare; 13) sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi; 14) sindrome da anticorpi anti-sintetasi; 15) aracnodattilia contrattuale congenita; 16) atresie, fistole e duplicazioni del tubo digerente; 17) sindrome di Austin; 18) deficit della beta-ossidazione; 19) sindrome di Byler; 20) Cadasil (Cerebral arteriopathy autosomal dominant with subcortical infarcts and leukoencephalopathy); 21) calcinosi tumorale; 22) sindrome cardio-facciale di Cayler; 23) sindrome di Char; 24) cheratodermia ereditaria palmo-plantare; 25) chronic infantile neurologic cutaneous and articular syndrome (sindrome Cinca); 26) deficit di citocromo C ossidasi; 27) malattia di Coats; 28) sindrome di Cohen; 29) colestasi familiari progressive intraepatiche; 30) complesso Carney; 31) congenital deafness, onycho-osteodystrophy and mental retardation (sindrome Door); 32) coroidite multifocale; 33) coroidite serpiginosa; 34) malattia da corpi poliglucosani; 35) sindrome di Costello; 36) sindrome di Dandy-Walker; 37) sindrome di Danon; 38) sindrome di Dent; 39) sindrome di Desbuquois; 40) difetti congeniti della glicosilazione proteica; 41) displasia neuroectodermica tipo Chime; 42) disgenesia gonadica XX; 43) distonia idiopatica familiare; 44) distrofia neuroassonale infantile; 45) emicrania emiplegica familiare; 46) emi ipertrofia congenita; 47) emiplegia alternante; 48) emosiderosi polmonare idiopatica; 49) estrofia vescicale; 50) eteroplasia ossea progressiva; 51) malattia di Fahr; 52) febbre mediterranea familiare; 53) sindrome da febbre periodica con iper IgD; 54) febbre periodica ereditaria; 55) sindrome FG; 56) fibrodisplasia ossificante progressiva; 57) sindrome di Fine-Lubinsky; 58) galattosialidosi; 59) sindrome di Goldberg-Shprintzen; 60) sindrome di Hallervorden-Spatz; 61) malattia da inclusi neuronali intranucleari; 62) ipertensione arteriosa polmonare idiopatica; 63) sindrome KBG; 64) sindrome di Kenny-Caffey; 65) sindrome di Laron; 66) sindrome di Larsen; 67) sindrome di Lenz; 68) linfedema primario cronico; 69) sindrome di Lowe; 70) sindrome di Lujan-Fryns; 71) macrocefalia-lipomi multipli-emangiomi; 72) sindrome di Mainzer-Saldino; 73) sindrome di Marden-Walker; 74) sindrome megalocornea-ritardo mentale; 75) meloreostosi; 76) sindrome di Menkes; 77) metaemoglobinemia da deficit di metaemoglobina reduttasi; 78) metilmalonicoaciduria; 79) sindrome Michelin tire baby; 80) miosite a corpi inclusi; 81) malattia di Mohr; 82) nanismo primordiale microcefalico osteodisplastico (MOPD); 83) sindrome di Nasu-Hakola; 84) neuropatia ereditaria sensoriale ed autonomica; 85) neutropenia cronica idiopatica grave; 86) sindrome del nervo basocellulare; 87) sindrome di Nijmegen; 88) sindrome di Ondine; 89) sindromi oro-facio-digitali; 90) paralisi bulbare progressiva; 91) sindrome di Pendred; 92) Pfeiffer, sindrome di gruppo «sindromi con (prevalente) cranio sinostosi»; 93) deficit di piruvato decarbossilasi; 94) sindrome di Pitt-Rogers-Danks; 95) poichiloderma congenito; 96) progeria; 97) sindrome di Prune Belly; 98) rachitismo vitamina D dipendente tipo I; 99) sindrome di Refetoff; 100) rene policistico autosomico recessivo; 101) sindrome di Rhotmund-Thomson; 102) sindrome di Schnitzler; 103) sclerosi sistemica; 104) sindrome di Senior-Loken; 105) sindrome di Shpritzen-Goldberg; 106) sindrome di Shwachman-Diamond; 107) siringomielia-siringobulbia; 108) sindrome di Sotos; 109) tubulopatie primitive/congenite e altre;
    nonostante il decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie») prevedesse testualmente che «I contenuti del presente regolamento sono aggiornati, con cadenza almeno triennale, con riferimento all'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ai dati epidemiologici relativi alle malattie rare e allo sviluppo dei percorsi diagnostici e terapeutici di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni», ad oggi non si è proceduto ad alcun aggiornamento, sebbene già il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008, mai, peraltro, entrato in vigore, recasse, all'allegato 7, un aggiornamento delle malattie riconosciute come rare, individuando altre 109 patologie ad integrazione dell'allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001;
    per le patologie rare molto spesso non vi sono delle cure specifiche anche se la ricerca lavora continuamente per trovare delle cure efficaci;
    in questo contesto si inseriscono i cosiddetti farmaci orfani, farmaci che servono alla cura di patologie rare, ma che faticano ad incontrare l'interesse economico delle case farmaceutiche, a causa della frammentazione delle singole patologie rare;
    a livello europeo, nel 2000 è stato pubblicato il regolamento (CE) n. 141/2000 concernente i medicinali orfani con l'istituzione della procedura comunitaria per l'assegnazione della qualifica di medicinale orfano. Per svolgere questa attività è stato istituito, nell'ambito dell'European Medicines Agency (EMA), il Committee for orphan medicinal products (Comp),

impegna il Governo:

   a porre in essere tutte le iniziative necessarie per garantire la presa in carico dei malati affetti da malattie rare e delle loro famiglie, in particolare attraverso l'accesso alle cure e all'assistenza materiale, economica e psicologica, in modo da ottemperare alle indicazioni dell'Unione europea;
   ad assumere iniziative dirette ad aggiornare l'allegato n. 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001, contenente l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza annuale e non più triennale, prevedendo l'inserimento nello stesso di altre malattie rare finora escluse e, in particolare, delle 109 malattie rare inserite nel sopra citato elenco dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008;
   ad adottare iniziative che consentano l'accesso universale allo screening neonatale che sarebbe in grado di individuare precocemente nei neonati decine di malattie metaboliche ereditarie, evitando così gravissimi stati di invalidità;
   ad adottare le iniziative necessarie affinché le diagnosi di malattia rara siano effettuate dai presidi della rete di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, sulla base di appositi protocolli diagnostici e affinché gli stessi presidi della rete provvedano all'emissione della relativa certificazione di malattia rara con validità illimitata nel tempo e su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare l'erogazione a totale carico del Servizio sanitario nazionale di tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza;
   ad adottare le iniziative necessarie per assicurare l'immediata disponibilità e gratuità delle prestazioni e l'aggiornamento dei prontuari terapeutici, prevedendo che i farmaci commercializzati in Italia che abbiano ottenuto riconoscimento di farmaco orfano dall'Agenzia europea dei medicinali (EMA) siano forniti gratuitamente ai soggetti portatori delle patologie, a cui la registrazione fa riferimento e che, pertanto, possano essere inseriti nel prontuario nazionale dei farmaci nelle fasce esenti da compartecipazione alla spesa;
   a portare a conclusione, il prima possibile, l’iter d'adozione del piano nazionale sulle malattie rare, concertando con le regioni un monitoraggio periodico delle fasi di attuazione;
   a rafforzare le funzioni del Centro nazionale malattie rare presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di perfezionare il monitoraggio delle patologie e del funzionamento dei servizi, affinché siano resi omogenei su tutto il territorio nazionale l'accesso e l'assistenza ai pazienti affetti da tali patologie;
   ad adottare le iniziative necessarie per favorire la ricerca clinica e preclinica finalizzata alla produzione dei farmaci orfani, prevedendo che, ai soggetti pubblici e privati che svolgono tali attività di ricerca o che investono in progetti di ricerca sulle malattie rare o sui farmaci orfani svolti da enti di ricerca pubblici o privati, si applichi un sistema di incentivi e di agevolazioni fiscali per le spese sostenute per l'avvio e la realizzazione di progetti di ricerca.
(1-00377) «Lenzi, Miotto, Amato, Argentin, Burtone, Carnevali, Capone, Casati, D'Incecco, Grassi, Murer, Sbrollini».


   La Camera,
   premesso che:
    sono tra le 6000 e 8000 le malattie rare esistenti in Italia, di queste circa 500 sono state regolarmente catalogate e sono individuabili, attraverso caratteristiche e sintomi specifici e sono esenti da ticket;
    una malattia è definita rara, ai sensi del regolamento (CE) n. 141/2000, quando questa non supera la soglia fissata, dal sopra citato regolamento, dello 0,05 per cento della popolazione, ovvero 5 casi ogni 10.000 abitanti; nell'80 per cento dei casi la malattia rara ha un'origine genetica, quindi fin dalla nascita gran parte delle malattie rare sono invalidanti;
    studi recenti hanno evidenziato che le persone colpite da malattie rare in Italia sarebbero 2 milioni, nel 70 per cento dei casi si tratta di bambini;
    la lista delle malattie rare individuate si allunga di mese in mese perché nuove patologie vengono riconosciute; in tale ambito, infatti, risulta fondamentale anticipare la diagnosi in quanto significa migliorare la risposta del paziente;
    essere affetti da una malattia rara significa ancora troppo spesso avere una malattia dal nome impronunciabile, sconosciuta persino alla gran parte dei medici, non avere un farmaco per curarla e, in quattro casi su dieci, di non disporre neanche di un nome con cui definirla;
    il fatto che circa 500 malattie siano riconosciute ed inserite nell'elenco nazionale delle patologie rare, sulle 6000- 8000 malattie rare esistenti in Italia, ha come diretta conseguenza che migliaia di persone non riescono ad ottenere il riconoscimento della loro condizione e, quindi, sono esclusi dai programmi nazionali di assistenza ed esenzione dal ticket sanitario;
    in data 20 marzo 2008, con proprio atto, l'Aifa-Agenzia italiana del farmaco, ha stabilito le «Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci»;
    il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, in più occasioni ha dichiarato che, attraverso l'adozione del nuovo patto della salute, si sarebbe proceduto all'aggiornamento del decreto che individua i livelli essenziali di assistenza e l'elenco delle malattie rare, un decreto che non viene aggiornato da quasi 15 anni, una costante questa del Servizio sanitario pubblico, come già si è verificato con il nomenclatore tariffario di protesi e ausili;
    il mancato aggiornamento periodico dell'elenco delle malattie rare ha fatto sì che le regioni procedessero ad aggiornamenti, con il risultato di un'inaccettabile differenziazione dei malati basata sulla residenza regionale; questo ha prodotto una varietà di: tempistiche per la commercializzazione dei nuovi farmaci innovativi; difformità nell'identificazione dei centri di riferimento per la diagnosi e la cura; criteri di rimborsabilità di un farmaco anche molto diversi da quelli definiti dall'Agenzia italiana del farmaco;
    è inaccettabile e in aperta violazione dell'articolo 32 della Costituzione che, in materia di malattie rare e in nome di un malinteso federalismo, si assista a sistemi sanitari differenti nelle diverse regioni d'Italia con evidenti diseguaglianze nelle garanzie e nei servizi offerti ai cittadini;
    è, altresì, inaccettabile il ritardo dell'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare, spesso basato su logiche ragionieristiche di contabilità, che, applicate alla tutela della salute e diritto alla cura, rappresentano la negazione di un diritto sancito dalla Costituzione;
    appare, quindi, necessario procedere all'immediato aggiornamento dell'elenco delle malattie rare e che questo avvenga con cadenza almeno annuale, d'intesa con le associazioni dei famigliari affetti da malattie rare;
    non sono ammissibili ritardi nell'aggiornamento della rete nazionale delle malattie rare e delle esenzioni delle relative prestazioni sanitarie; quando una malattia rara è riconosciuta e certificata dai presidi della rete, questa deve essere inserita in tempo reale nel registro nazionale delle malattie rare, evitando lungaggini burocratiche che nulla hanno a che fare con l'identificazione della malattia rara;
    appare improrogabile l'istituzione di un fondo nazionale che potrebbe essere finanziato con una percentuale congrua non inferiore al 20 per cento delle quote versate dalle industrie farmaceutiche per le procedure di registrazione e di variazione dei prodotti medicinali;
    un ruolo chiave e strategico assume la ricerca clinica o preclinica finalizzata alla produzione di farmaci orfani svolta da soggetti pubblici e privati. Coloro che svolgono tali attività o che investono in ricerca sulle malattie rare o su farmaci orfani devono poter contare su un adeguato sistema di incentivi fiscali da rivolgere prioritariamente verso i soggetti pubblici;
    in particolare, nell'ambito della ricerca e della produzione di farmaci orfani, andrebbe sviluppato ulteriormente il sostegno allo Stabilimento chimico farmaceutico militare in rapporto al Servizio sanitario nazionale rafforzando, da parte dello Stabilimento, la produzione e la ricerca dei cosiddetti «farmaci orfani» che le industrie farmaceutiche non possono o vogliono continuare a produrre,

impegna il Governo:

   a provvedere immediatamente all'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare e che a questo si proceda con cadenza almeno annuale, d'intesa con le associazioni dei famigliari degli affetti da malattie rare;
   a garantire l'aggiornamento della rete nazionale delle malattie rare e delle esenzioni, nonché delle relative prestazioni sanitarie, predisponendo tutti gli atti necessari affinché quando una malattia rara è riconosciuta e certificata dai presidi della rete, questa sia inserita in tempo reale, nel registro nazionale delle malattie rare, snellendo iter burocratici che nulla hanno a che vedere con l'identificazione della malattia rara;
   a prevedere l'istituzione di un apposito fondo nazionale, cofinanziato nella misura del trenta per cento dalle regioni, che potrebbe essere finanziato, oltre che da una quota del Fondo sanitario nazionale, anche da una percentuale non inferiore al 20 per cento delle quote versate dalle industrie farmaceutiche per le procedure di registrazione e di variazione dei prodotti medicinali;
   a garantire un adeguato sistema di incentivi fiscali che sostengano lo sviluppo della ricerca sulle malattie rare e sui farmaci orfani svolta in particolare da soggetti pubblici;
   a prevedere ulteriori forme di sostegno, anche attraverso apposite intese, allo Stabilimento chimico farmaceutico militare in rapporto al Servizio sanitario nazionale per lo sviluppo ulteriore della produzione e ricerca dei cosiddetti «farmaci orfani» che le industrie farmaceutiche non possono o non vogliono continuare a produrre per pura logica mercantile;
   a procedere in tempi brevi a una definizione delle malattie rare da includere nell'elenco delle patologie da sottoporre a screening neonatale obbligatorio, allo scopo di avere una diagnosi precoce capace di attivare immediatamente le terapie per affrontare efficacemente la patologia;
   ad istituire il centro nazionale per le malattie rare presso il Ministero della salute, composto da rappresentanti delle regioni, dell'Istituto superiore di sanità e delle associazioni di tutela delle persone affette da malattie rare, nonché dai rappresentanti dei Ministeri competenti, chiamandolo a svolgere, tra le altre, le seguenti attività: coordinamento delle attività degli enti che svolgono attività di ricerca, promuovendo l'attività di aggiornamento dei dati presso medici e operatori sanitari; aggiornamento del registro delle malattie rare di cui all'articolo 3 del regolamento adottato con decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, aggiornando, al contempo, l'elenco delle malattie rare e il registro nazionale dei farmaci orfani; istituzione di un centro di documentazione sulle malattie rare e i farmaci orfani; raccolta di informazioni aggiornate sulle strutture nonché sui servizi diagnostici ed essenziali a livello nazionale e internazionale, anche in collaborazione con le associazioni dei pazienti affetti da malattie rare; promozione delle attività di formazione per medici o operatori sanitari in materia di prevenzione, diagnosi e assistenza socio sanitaria anche di tipo domiciliare; definizione di parametri e criteri per l'elaborazione di linee guida e protocolli più avanzati sulle malattie rare; elaborazione di linee di indirizzo e proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, ricerca, tutela e promozione sociale, formazione e informazione e sistema informativo; priorità di impiego delle risorse dedicate alle malattie rare, tenendo conto anche dei dati di monitoraggio e valutazione;
   ad attivare iniziative finalizzate a rendere le persone con malattie rare consapevoli dei propri diritti e delle proprie potenzialità;
   a coinvolgere i rappresentanti associativi delle persone con malattie rare nei tavoli decisionali;
   ad introdurre la valutazione qualitativa periodica dei centri e dei presidi anche attraverso il pieno coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e degli altri soggetti interessati della rete;
   a favorire, per quanto di sua competenza, l’iter delle proposte di legge di iniziativa parlamentare allo scopo di procedere all'approvazione della normativa in materia di malattie rare e farmaci orfani in tempi certi, evitando ritardi che si ripercuotono sul diritto alla salute di tanti cittadini;
   a prevedere la gratuità delle procedure di registrazione e di variazione dei prodotti medicinali destinati alla cura delle malattie rare.
(1-00378) «Silvia Giordano, Lorefice, Cecconi, Baroni, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Mantero, Colonnese, Castelli».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 1985 la Uisp (Unione italiana sport per tutti) in collaborazione con altri partner internazionali nell'ambito del progetto «Olympia: equal opportunities via and within sport», ha elaborato «La Carta europea dei diritti delle donne nello sport», trasformata in Risoluzione delle donne nello sport nel 1987 dal Parlamento Europeo evidenziando una grave disparità numerica tra uomini e donne impiegate in questo settore;
    la Carta aveva lo scopo di incentivare campagne a favore delle pari opportunità fra uomini e donne nello sport e di rimuovere le barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne;
    a distanza di quasi 30 anni, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile al mondo dello sport, permangono delle differenze in termini di pari opportunità: sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice e leadership all'interno di enti, federazioni e società sportive, sia per la persistenza di stereotipi di genere nella stessa pratica sportiva;
    sotto il profilo della pratica sportiva, la carta specifica che «donne e uomini devono avere lo stesso diritto di praticare diversi sport e di sviluppare competenze nell'ambito di studio dello sport,» sottolineando che «entrambi i sessi devono essere in grado di sviluppare il proprio impegno sportivo nell'arco della vita»;
    sotto il profilo della leadership, donne e uomini devono avere le stesse opportunità di partecipare ai diversi livelli decisionale nell'intero sistema sportivo; devono essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutti i posti di potere;
    nel gennaio 2011 la Commissione europea ha presentato la comunicazione «Sviluppare la dimensione europea dello sport» in cui individua azioni ed iniziative per la valorizzazione del ruolo dello sport nell'ambito delle singole politiche dell'Unione europea ed evidenzia i temi prioritari dell'agenda dell'Unione europea per lo sport: la promozione dell'attività fisica a vantaggio della salute; la lotta al doping; l'istruzione e la formazione; il volontariato e le organizzazioni sportive senza scopo di lucro; l'inclusione sociale nello sport e attraverso lo sport, compreso lo sport per i disabili e la parità dei sessi nello sport; il finanziamento sostenibile dello sport di base e la buona governance;
    il 2 febbraio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione sulla Comunicazione della Commissione europea «Sviluppare la dimensione europea dello sport» in cui richiama espressamente la Carta europea dei diritti delle donne nello sport facendo proprie alcune delle indicazioni in essa contenute e dando ampio spazio, nella parte relativa al Ruolo sociale dello sport, al tema delle donne e delle pari opportunità sotto il profilo di genere nello sport;
    nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 2 febbraio 2012 sulla dimensione europea dello sport si invita la Commissione e gli Stati membri a sostenere gli organismi europei per la promozione e l'attuazione delle raccomandazioni della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
    una nuova risoluzione, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo 2013, individua inoltre nell'attività motoria e sportiva un'importante risorsa per la promozione della salute, nonché il superamento degli stereotipi di genere,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di una campagna per la promozione e l'adozione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport;
   a mettere in atto ogni iniziativa idonea a valorizzare ed incoraggiare la pratica dello sport da parte delle donne, garantendo la parità di accesso alle attività sportive;
   a creare, con gli appositi strumenti, le condizioni affinché, all'interno degli organismi dirigenziali e decisionali delle federazioni sportive, sia favorita un'equa presenza delle donne e un trattamento economico, a parità di incarico, uguale a quello degli uomini;
   a porre in essere tutte le opportune iniziative, anche normative, per ridurre la disparità di trattamento economico tra atleti di sesso diverso e per implementare ogni forma di tutela possibile ai fini di una paritaria contrattualizzazione senza discriminazioni legate al genere.
(1-00379) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 5 del decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7 stabilisce che entro il 31 dicembre 2018 il COMFOTER di Verona chiuderà e sarà riassegnato a Roma;
    il Comando delle forze operative terrestri (COMFOTER), alle cui dipendenze agiscono tutte le unità ed i supporti con compiti operativi, gestisce, di fatto, sia l'addestramento che le attività operative delle forze terrestri italiane e raggruppa tutte le unità dedite al combattimento, al supporto specifico per il combattimento e alla comunicazione e sistemi informatici dell'esercito italiano;
    il COMFOTER è nato a Verona il 1o ottobre 1997 ed è una delle sei aree di vertice dell'esercito italiano che coinvolge l'80 per cento dell'intero esercito italiano, ovvero circa 80.000 militari sui circa 106.000 in servizio in Italia e all'estero;
    la decisione rientrerebbe nell'ambito della revisione in senso riduttivo dell'assetto delle Forze armate sul territorio nazionale pari ad almeno il 30 per cento rispetto all'assetto attuale;
    nel merito la Commissione difesa della Camera dei deputati, esprimendo il proprio parere favorevole il 20 dicembre 2013 sull'atto di Governo 33, ha posto come condizione quella di espungere dal testo il previsto trasferimento;
    nonostante questa forte indicazione del Parlamento, il Governo Letta ha comunque deciso nella direzione di trasferire il COMFOTER da Verona a Roma entro il 31 dicembre 2018;
    la volontà del Parlamento non è stata rispettata, secondo gli interroganti;
    è necessario rivedere la decisione presa;

impegna il Governo:

ad eliminare il trasferimento in questione attraverso la prima iniziativa normativa utile.
(7-00306) «D'Arienzo, Marcolin, Zardini, Rotta, Dal Moro, Alberto Giorgetti, Matteo Bragantini».


    La XIII Commissione,
   premesso che:
     l'Italia è uno tra i principali Paesi produttori ed esportatori di castagne a livello mondiale ed il primo nel mercato europeo con una quota di produzione del 30 per cento, seguita da Turchia e Portogallo, rispettivamente con il 29 per cento e il 15 per cento, e da Grecia, Francia e Spagna che registrano percentuali tra il 5 e il 9 per cento;
    la superficie italiana investita nella coltivazione del castagno è pari al 7,5 per cento delle superfici boscate, circa 780 mila ettari, di cui 55.908 ettari da frutto condotti da 34.160 imprese con una produzione che va dai 50 ai 70 milioni di chilogrammi, distribuita principalmente nelle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana, Lazio, Campania e Calabria;
    i castagneti svolgono da sempre un ruolo preminente tra le formazioni forestali italiane, non soltanto per la produzione delle castagne ma anche per l'elevata produttività, la qualità e la varietà degli assortimenti legnosi;
    il castagno, come noto, assume inoltre una notevole rilevanza economica e sociale in molte aree interne collinari e montane, svolgendo una insostituibile funzione di presidio del territorio e di salvaguardia dell'assetto ambientale e idrogeologico;
    in alcuni areali nazionali la produzione rappresenta una risorsa economica essenziale con impatti rilevanti per la tutela del paesaggio e del territorio, in considerazione anche della componente boschiva, che ha acquisito un ruolo importante, a volte centrale, in molti ambiti del Paese;
    con risoluzione n. 7-00177, approvata il 22 gennaio 2014 dalla Commissione XIII il Governo si è impegnato a definire le linee d'azione per debellare il parassita del castagno che sta compromettendo seriamente la produzione nazionale;
    risulta altresì necessario garantire la tutela, la salvaguardia e la conservazione del patrimonio rurale storico destinato allo stoccaggio e alla lavorazione dei frutti del castagno, anche tramite l'assegnazione di contributi a copertura delle spese per il recupero e il mantenimento dei fabbricati, con particolare attenzione a quelli destinati all'essicazione naturale attraverso metodi di combustione tradizionali,

impegna il Governo

a definire, d'intesa con le regioni, in coerenza con il piano castanicolo nazionale, le linee d'azione volte alla tutela, salvaguardia e conservazione del patrimonio rurale storico destinato allo stoccaggio e alla lavorazione dei frutti del castagno, compatibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico, valutando la possibilità di incentivazioni economiche o detrazioni fiscali per il recupero e il mantenimento dei fabbricati, con particolare attenzione a quelli destinati all'essicazione naturale o attraverso metodi tradizionali.
(7-00305) «Massimiliano Bernini, Parentela, Lupo, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate, Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere — premesso che:
   l'Italia, per contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, ha aderito al progetto proposto dal Consiglio d'Europa per l'attuazione e l'implementazione della Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010) 5;
   tale impegno è stato formalizzato nelle Direttive del Ministro del lavoro con delega alle pari opportunità per l'attività amministrativa per gli anni 2012 e 2013 (Ministro Fornero) che hanno assegnano all'UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), già operante presso il Dipartimento per le pari opportunità, l'attuazione di obiettivi in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere e, in particolare, la definizione di una «Strategia nazionale» in collaborazione con il Consiglio d'Europa;
   questa «Strategia nazionale» consiste in un piano di azioni integrate e multidisciplinari che siano in grado di fornire una risposta concreta al contrasto delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, così come previsto dal decreto ministeriale di organizzazione interna del 4 dicembre 2012;
   alla definizione degli obiettivi, e alla realizzazione delle azioni connesse al loro raggiungimento, sono state chiamate a collaborare le 29 associazioni LGBT facenti parte del gruppo di lavoro dell'UNAR, la rete delle amministrazioni locali contro le discriminazioni per orientamento sessuale (READY), e altre realtà istituzionali come le forze dell'ordine;
   il 19 aprile 2013, con decreto ministeriale, il Governo ha formalmente adottato una «Strategia nazionale LGBT 2013-2015»: un piano pluriennale di azioni volte a fornire una risposta al fenomeno delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, e che, consapevole del fatto che è soprattutto attraverso le scuole e l'educazione che si possono combattere le discriminazioni e promuovere la pari dignità di tutti gli esseri umani, sottolinea l'importanza dell'Asse strategico «Educazione e Istruzione»;
   il 18 dicembre 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato un'apposita circolare a tutti gli uffici scolastici regionali in cui si prevede lo svolgimento di una «Settimana nazionale contro ogni forma di violenza e discriminazione» da realizzare in collaborazione con le istituzioni scolastiche e le associazioni LGBT e con il coinvolgimento attivo di studenti, docenti e famiglie delle scuole di ogni ordine e grado del territorio nazionale;
   il progetto «Educare alla diversità a scuola» commissionato dal dipartimento per le pari opportunità nel dicembre del 2012 all'istituto Beck (scuola di specializzazione di psicoterapia accreditata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 2004), con l'obiettivo di elaborare uno strumento di supporto sulle delicate tematiche della prevenzione e del contrasto dell'omofobia e del bullismo a sfondo omofobico, rientra completamente nel quadro degli impegni programmatici relativi alla «Strategia nazionale LGBT 2013-2015»;
   il prodotto della ricerca Beck, approvato e validato dal dipartimento per le pari opportunità nel luglio 2013, consiste in un kit di materiale informativo e formativo, suddiviso per i tre ordini di scuola (primaria, secondaria di I grado, secondaria di II grado) e rappresenta uno strumento di supporto all'attività dei docenti per favorire la creazione di un clima scolastico basato sul rispetto e sull'accoglienza delle differenze, nonché sulla prevenzione di ogni forma di discriminazione;
   tali materiali informativi e formativi, nell'attesa di validazione da parte del competente Comitato paritetico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come annunciato dal Sottosegretario Amici nella seduta del 7 marzo 2014, non sono ancora mai stati oggetto di diffusione da parte dell'UNAR nelle scuole –:
   quali decisioni concrete intenda assumere il Governo per confermare gli impegni assunti per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere in linea con le politiche adottate a livello europeo;
   quali azioni intenda portare avanti per dare concretamente attuazione alla «Strategia nazionale LGBT 2013-2015» per combattere le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere;
   quali iniziative intenda intraprendere per promuovere nelle scuole non solo la cultura del rispetto e del dialogo, in armonia con i principi costituzionali e dell'ordinamento dell'Unione europea, ma anche una reale educazione all'accettazione delle differenze e al rifiuto delle discriminazioni legate all'orientamento sessuale e all'identità di genere.
(2-00454) «Marzano, Verini, Cinzia Maria Fontana, Braga, Martelli, Sbrollini, Dal Moro, Morani, Bazoli, Dallai, Fassina, Gasparini, D'Attorre, Vaccaro, Capua, Cuperlo, Mattiello, Tentori, Mongiello, Picierno, Rotta, Ghizzoni, Ermini, Civati, Giovanna Sanna, Miccoli, Marchetti, Martella, Bargero, Chaouki, Richetti, Gentiloni Silveri, Orfini, Ascani, Rampi, Pastorino».

Interrogazione a risposta scritta:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è la regione italiana con i maggiori deficit infrastrutturali;
   l'indice di dotazione stradale della Sardegna è pari a un valore di 43,9;
   nel Mezzogiorno e nelle altre Isole è al 111,2;
   quello di dotazione ferroviaria è pari al 17,4 a fronte del 102,6 del Sud e delle altre Isole;
   l'Unione europea nella definizione dello Spazio unico europeo dei trasporti sostiene: «La prosperità futura del nostro continente dipenderà dalla capacità di tutte le sue regioni di rimanere pienamente – e in modo competitivo – integrate nell'economia mondiale. A questo fine è fondamentale poter contare su un sistema di trasporti efficiente», sostiene ancora: «L'infrastruttura determina la mobilità. Non è possibile realizzare cambiamenti di grande portata nel mondo dei trasporti senza il sostegno di un'adeguata rete e un uso più intelligente della stessa. Globalmente gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescita economica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'accessibilità geografica e la mobilità delle persone ma devono essere pianificati in modo massimizzarne l'impatto positivo sulla crescita economica e da ridurne al minimo le conseguenze negative per l'ambiente»;
   a livello di standard di servizi, la situazione regionale presenta indici e valori assolutamente lontani da quelli medi italiani, da quelli del Mezzogiorno d'Italia e irrispettosi dei parametri europei;
   per citare qualche numero la Sardegna detiene il record nazionale di disoccupazione giovanile, oltre il 40 per cento di giovani in età 15-24 anni;
   è ai primi posti fra le regioni italiane con il maggior numero di disoccupati (il 29 per cento degli italiani in fascia di età 20-64 anni);
   l'Europa impone a tutti gli stati membri che entro il 2020 il 75 per cento delle persone di età compresa fra i 20 e i 64 anni, deve avere un lavoro;
   la percentuale di abbandono scolastico dei giovani sardi (oltre il 25 per cento) è la più alta in Italia;
   sulla base della «Strategia europea per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva» ogni Stato membro deve abbattere il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10 per cento;
   in Sardegna si assiste oramai da anni a processi di spopolamento e invecchiamento costanti e sempre più gravi;
   questi, insieme al pesante deficit infrastrutturale e dei servizi, rappresentano il vero ostacolo allo sviluppo economico;
   come rappresentato, dal recente studio «Il malessere demografico in Sardegna: gli svantaggi correlati» curato dalla RAS in collaborazione con l'università di Cagliari, nell'isola si assiste a un «rovesciamento delle modalità insediative millenarie della Sardegna: non si fugge dalle coste, ma ci si addensa, e si abbandonano le zone in passato più appetibili e “sicure” dell'interno». Saldi naturali negativi (differenza nati-morti) così come i saldi migratori (differenza iscritti-cancellati) determinano una costante desertificazione demografica di tutto l'entroterra sardo. In un contesto regionale complessivamente al di sotto dei livelli minimi di infrastrutture e servizi e con complessi problemi demografici, si ripropongono ogni anno più drammatici, gli squilibri territoriali (mai risolti nonostante le numerose direttive e risorse europee destinate a risolvere, strutturalmente e definitivamente, gli squilibri territoriali);
   per cui in diverse subaree geografiche, in particolare ricadenti nell'entroterra sardo e nella Sardegna centro-meridionale, gli indici di cui si è trattato in premessa, presentano valori prossimi al dramma e prefigurano situazioni sociali, economiche, demografiche e di ordine pubblico, oramai, insostenibili;
   si tratta di realtà territoriali particolarmente aspre dal punto di vista morfologico;
   significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate;
   le Barbagie di Seulo; Belvi e Ollolai; il Sarcidano; la Trexenta; il Sarrabus Gerrei; la Marmilla; il Barigadu; il Mandolisai; il Marghine; le aree più interne dell'Ogliastra e del Nord Sardegna; aree interne della Sardegna che a partire dagli anni ’50 hanno subito, come tutte le aree interne italiane, processi di marginalizzazione segnati da: «calo della popolazione, talora sotto la soglia critica; riduzione dell'occupazione e dell'utilizzo del territorio; offerta locale calante di servizi pubblici e privati; costi sociali per l'intera nazione, quali il dissesto idro-geologico e il degrado del patrimonio culturale e paesaggistico. Effetti negativi hanno avuto anche interventi pubblici o privati (cave, discariche, inadeguata gestione delle foreste e talora impianti di produzione di energia) volti a estrarre risorse da queste aree senza generare innovazione o benefici locali: le amministrazioni locali vi hanno acconsentito anche per le condizioni negoziali di debolezza legate alla scarsità dei mezzi finanziari. In altri casi, l'innovazione è stata scoraggiata da fenomeni di comunitarismo locale chiuso a ogni apporto esterno» (Strategia nazionale per le aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance. Accordo di partenariato 2014-2020);
   a seguito dei fenomeni alluvionali i problemi strutturali e storici delle citate aree geografiche sarde si sono ulteriormente acuiti;
   le comunità sono alle prese con problemi di approvvigionamento idrico da cui derivano disagi alle famiglie e alle imprese, anche in considerazione dell'approssimarsi della stagione estiva e, con conseguenti e inevitabili problemi di carattere sanitario e di ordine pubblico;
   molte comunità sono totalmente isolate a causa dei danni prodotti dai recenti fenomeni alluvionali alla viabilità di collegamento con i centri vicini;
   ci sono problemi di accesso alle comunità stesse e dalle comunità ai centri in cui sono ubicati ospedali, scuole e luoghi di lavoro;
   oltre agli evidenti disagi quotidiani dei pendolari e di tutti coloro che avrebbero necessità di fruire dei servizi sanitari, si preannunciano, da qui a breve, gravi problemi di sicurezza per le comunità medesime con l'approssimarsi della stagione estiva: parliamo, infatti, di territori da sempre colpiti da frequenti e gravi fenomeni incendiari;
   il disagio delle comunità e l'impossibilità per i sindaci delle stesse di dare le giuste risposte danno luogo a tensioni continue che potrebbero sfociare in seri problemi di ordine pubblico –:
   se non intendano assumere iniziative anche normative per:
    a) definire, in coerenza con le strategie d'intervento della nuova agenda di Governo, programmi straordinari, di concerto con la regione Sardegna, al fine di ripristinare condizioni minime di vivibilità delle comunità di cui sopra, operando in particolare e con la dovuta urgenza sulle infrastrutture idriche e sulla viabilità;
    b) definire e attuare, di concerto con la regione Sardegna, anche attraverso l'utilizzo dei Fondi comunitari 2014-2020 e di quelle a valere sul Fondo di sviluppo e coesione programmi strutturali di interventi sui sistemi viario e ferroviario della Sardegna e sui servizi pubblici essenziali, nonché diritti costituzionali, come istruzione e sanità, nel rispetto delle direttive europee che invitano tutti gli Stati membri ad attivarsi per il raggiungimento, entro il 2020, degli obiettivi di cui sopra (Europa 2020);
    c) sospendere o rivedere i parametri del patto di stabilità e gli attuali limiti di indebitamento al fine di consentire ai comuni che sovrintendono a situazioni di emergenza e disagio, come quelle prescritte, di intervenire sulle situazioni che non possono essere più procrastinate;
    d) assegnare alla regione Sardegna risorse statali e comunitarie aggiuntive e con specifica destinazione per le aree interne della Sardegna, per interventi volti a superare i deficit infrastrutturali, l'inefficienza dei servizi scolastici e sanitari, le problematiche legate all'abbandono del territorio;
    e) definire e attuare di concerto con la regione Sardegna la sperimentazione di strumenti di sostegno alla cittadinanza per chi risiede in territori distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), caratterizzati da malessere demografico, inefficienza del sistema dei servizi, alti indici di disoccupazione giovanile e di dispersione scolastica. (4-04016)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia non scommette sulla diffusione della lingua e della cultura italiana all'estero e ne è prova evidente la proposta, avanzata dal Ministero degli affari esteri nell'ambito della «razionalizzazione» della rete consolare nel mondo, di chiudere 32 sedi all'estero tra ambasciate, consolati, sportelli consolari e istituti italiani di cultura;
   in particolare, un grave passo che il Governo sta per compiere è proprio l'annunciata chiusura di ben otto istituti italiani di cultura nel mondo: Ankara, Vancouver, Francoforte, Lione, Stoccarda, Lussemburgo, Salonicco, Wolfsburg;
   gli istituti italiani di cultura, un'importante vetrina dell'Italia nel mondo, promuovono la cultura italiana di cui la lingua, la ricerca scientifica e l'idea di «Made in Italy» sono parte integrante;
   secondo il Ministero degli affari esteri si tratterebbe di una riduzione obbligata, dettata dai criteri della cosiddetta spending review;
   nonostante la grande mobilitazione dei cittadini dei Paesi coinvolti e degli italiani residenti all'estero, così come delle autorità locali, di personalità della politica e della cultura, la soppressione di questi enti sta procedendo con grande rapidità e dovrebbe avvenire già questa estate;
   come si legge nella lettera aperta inviata al nuovo Presidente del Consiglio da alcuni intellettuali italiani, «in un tempo difficile come quello presente, caratterizzato da una pesante crisi, non si deve sottovalutare anche la positiva ricaduta economica che l'attività degli Istituti di cultura produce. E sufficiente pensare a quanti studenti o utenti degli Istituti prossimi a chiudere scelgono di visitare il nostro Paese, di acquistarne i prodotti, di farvi investimenti»;
   la classe politica non perde occasione per ripetere che il nostro patrimonio culturale, le nostre intelligenze e le nostre conoscenze devono costituire la base per una vera ripresa del nostro Paese e soltanto pochi giorni fa, nel suo discorso per la fiducia al Senato, lo stesso nuovo premier Matteo Renzi ha posto al centro del suo intervento la cultura, dichiarando che «la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l'anima»;
   il risparmio realizzato con la chiusura degli Istituti di cultura sarà di circa 800.000 euro annui, una cifra che, certamente, potrebbe essere tagliata su altri fronti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per la promozione e il rilancio della cultura italiana all'estero, quali provvedimenti intenda adottare per scongiurare la chiusura degli otto istituti italiani di cultura. (4-04027)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali – per sapere – premesso che:
   Tirreno Power è oggi uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia (la sesta azienda) presente su tutto il territorio nazionale;
   la centrale di Vado Ligure – Quiliano (provincia di Savona) è costituita da un'unità a ciclo combinato di taglia pari a 800 megawatt (VL5), che utilizza due turbogas alimentati esclusivamente a gas naturale, in esercizio dal 2007 e realizzata sostituendo una vecchia unità alimentata a carbone ed olio combustibile, e da due unità da 330 megawatt cadauna (VL3 e VL4), alimentate a carbone (e a gasolio nelle fasi di accensione) entrate in esercizio nel 1971;
   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 2012, n. 227 è stata rilasciata l'autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio della centrale;
   tale autorizzazione integrata ambientale ha fatto seguito all'intesa tra la regione Liguria e azienda; quest'ultima aveva presentato un progetto di potenziamento dell'impianto, giudicato non accettabile, per la sua dimensione, da una parte delle forze del territorio, ed in assoluto da alcuni. L'intesa aveva previsto il ridimensionamento del progetto aziendale, con l'autorizzazione ad un nuovo gruppo da 460 megawatt, previo rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i due gruppi esistenti da 330 megawatt, quindi con interventi immediati sui due gruppi; all'entrata in esercizio della nuova unità, uno dei due vecchi gruppi sarebbe stato spento e ricostruito totalmente. La possibilità di realizzare un ulteriore gruppo (VL6), richiesta dall'azienda, sarebbe stata sottoposta ad una nuova valutazione, in un nuovo procedimento;
   obiettivo dell'intesa, da parte pubblica, è stato quello di realizzare il massimo di riduzione dell'impatto ambientale dei gruppi, attraverso interventi che avrebbero anche prodotto un aumento l'efficienza degli impianti. La vetustà degli impianti stessi, insieme alle condizioni di esercizio, costituiscono ormai da tempo un fattore riconosciuto di grande criticità;
   il possibile conflitto tra tutela della salute e difesa del lavoro ha caratterizzato non solo il dibattito pubblico, ma la storia stessa della presenza della centrale nel territorio di Vado e Quiliano;
   proprio l'ambientalizzazione della centrale era intesa come occasione per creare occasioni di lavoro nella zona e opportunità di sviluppo del tessuto produttivo locale;
   i comuni di Vado e Quiliano avevano, in ogni caso, espresso parere contrario perché non risultava sufficientemente chiarito che allo scadere del periodo di otto anni per la cosiddetta fase 3, ovvero per la messa in esercizio del gruppo VL6, uno dei due gruppi esistenti a carbone sarebbe stato dismesso;
   i comuni di Vado e Quiliano hanno presento ricorso amministrativo nei confronti della autorizzazione integrata ambientale;
   la centrale dà lavoro a circa 700 persone, tra diretti ed indotto; i dipendenti dell'indotto lavorano in imprese di diverse classi dimensionali;
   nei mesi scorsi, secondo quanto è emerso anche da esposti presentati da associazioni ambientaliste e comitati di residenti, in particolare nelle province di Asti e Cuneo, sarebbero state smaltite illegalmente ingenti quantità di «rifiuti speciali» prodotti dalla centrale elettrica a carbone «Tirreno Power» di Vado Ligure. Negli esposti veniva denunciato un elevato indice di tumori e di mortalità nelle zone interessate dallo smaltimento dei rifiuti, che sarebbero stati sotterrati nelle campagne. Nello specifico enormi quantitativi di ceneri «bianche» e «nere» sarebbero state quindi «distrutte» illegalmente. Le ceneri «nere» provengono dalla combustione diretta del carbone, mentre quelle «bianche» sono il risultato dell'abbattimento dell'anidride solforosa e solforica mediante calce: si ottiene solfato di calcio (gesso comune). Entrambe le sostanze non sono pericolose per la salute umana e per l'ambiente solo se smaltite legalmente ed in impianti autorizzati;
   il GIP di Savona ha disposto il sequestro cautelativo dei gruppi VL3 e VL4 della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado – Quiliano, disponendone l'interruzione dell'esercizio; la centrale di Vado Ligure è oggetto da tempo di indagini da parte della Magistratura: sull'attività di Tirreno Power sono aperte da tempo due filoni d'inchiesta: una per disastro ambientale e una per omicidio colposo;
   il provvedimento del GIP, si fonda su una perizia sugli effetti dell'attività della centrale Tp sulla popolazione locale; gli organi di stampa riportano che secondo tale perizia le emissioni della centrale a carbone di Vado avrebbero causato oltre 400 morti tra il 2000 e il 2007. Ci sarebbero stati anche «tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012». I consulenti della procura hanno mappato una «zona di ricaduta delle emissioni» della centrale ed hanno escluso come causa delle patologie il traffico automobilistico, altre aziende della zona e i fumi delle navi in porto. Il perimetro della mappa riguarda 23 comuni per un totale di circa 150.000 abitanti;
   Tirreno Power ha contestato i dati resi noti dalla procura di Savona precisando, in una nota stampa, che le «consulenze a cui si fa riferimento sono consulenze di parte che non sono mai state sottoposte a un contraddittorio». L'azienda ha annunciato inoltre una controperizia sottolineando che «l'unico studio attendibile in materia» è quello relativo all'indagine dell'Ist di Genova e di Arpal del 2008 sullo «Stato dell'arte della salute nella provincia di Savona» dove si dichiara testualmente che «da un raffronto con dati nazionali le zone oggetto dell'indagine presentano una situazione analoga, ed in alcuni casi migliore, rispetto a zone dell'Italia simili per concentrazione di insediamenti urbani e industriali»;
   tale situazione ha creato grave allarme nell'opinione pubblica locale e forti preoccupazioni tra i lavoratori coinvolti;
   gli enti locali hanno chiesto immediata chiarezza sugli effetti della centrale termoelettrica; le associazioni sindacali, in attesa del nuovo piano industriale della Tirreno Power, hanno rimarcato la necessità di nuovi investimenti per poter coniugare l'occupazione e la produttività con la tutela della salute e dell'ambiente»;
   a seguito delle indagini, affidate alla direzione distrettuale antimafia di Genova, il responsabile della Centrale «Tirreno Power» di Vado Ligure, Pasquale D'Elia, è stato raggiunto da un avviso di garanzia e si è successivamente dimesso; sono stati inoltre indagati altri dirigenti dell'azienda, autotrasportatori ed imprese specializzate nello smaltimento dei rifiuti;
   nelle scorse settimane rappresentanti dell'Ispra e dell'Arpal hanno realizzato un sopralluogo presso gli impianti della Centrale di Vado Ligure – Quiliano;
   le vicende della centrale termoelettrica di Vado Ligure – Quiliano si inseriscono in un quadro nel quale la vita dell'azienda presenta criticità da diversi punti di vista, rapporto tra gli azionisti, problemi occupazionali in diversi siti e il mercato dell'energia elettrica è condizionato dal ciclo economico negativo;
   la definizione dei tempi e dei modi per il superamento dell'uso dei combustibili fossili, la garanzia dell'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili negli impianti ancora alimentati con tali combustibili a tutela delle popolazioni che accolgono nei propri territori tali insediamenti, devono essere oggetto di una precisa programmazione nazionale –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti intendano assumere:
    a) per attestare con assoluta certezza e validità scientifica i reali effetti sulla salute pubblica e sull'ambiente delle attività complessive della centrale termoelettrica di Vado Ligure;
    b) predisporre strumenti per la tutela dell'occupazione e del reddito di tutti i lavoratori coinvolti;
   se i Ministri interpellati non ritengano inoltre necessario intraprendere le iniziative urgenti di competenza (in particolare, nelle province di Savona, Asti e Cuneo interessate dall'attività e dallo smaltimento della centrale elettrica a carbone Tirreno Power) per garantire l'integrale rispetto dell'autorizzazione integrata ambientale per quanto riguarda sia le emissioni che i sistemi di monitoraggio, e per individuare e mettere in sicurezza le aree che risultassero contaminate;
   se i Ministri interpellati intendano indicare, anche alla luce delle emergenze che si sono manifestate, più precise linee di programmazione e di indirizzo circa le prospettive nazionali in materia di produzione di energia.
(2-00457) «Fiorio, Braga, Giacobbe, Borghi, Mariani, Bratti, Tullo, Vazio, Carocci, Damiano, Giorgio Piccolo, Zoggia, Mognato, Stumpo, Gadda, Bargero, Pastorino, Ginato, Basso, Incerti, Gandolfi, Sereni, Tino Iannuzzi, Zardini, Cominelli, Faraone, Paola Bragantini, Carrescia, Ginoble, Fragomeli, Carra, Cenni, Morassut, Fregolent, Marchi, Fontanelli, Covello, Sani, Antezza, Baruffi, Bossa, Carbone, Cova, Ferro, Marrocu».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'interrogazione n. 5-00812 — avente ad oggetto il rilascio della concessione demaniale marittima per l'installazione di una struttura adibita ad uso turistico-balneare e ricreativo all'interno del sito di interesse comunitario (ITA 020009) Cala Rossa e Capo Rama — il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 12 dicembre 2013, ha informato gli interroganti che il comune di Terrasini aveva trasmesso l'elenco dei provvedimenti abilitativi ed autorizzazioni rilasciati, talora con prescrizioni, per l'installazione della struttura in questione;
   con riferimento alla documentazione trasmessa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato conto del fatto che il comune di Terrasini aveva, altresì, precisato che «la realizzazione e gestione della stessa struttura — come dimostrato con gli studi ed i sopralluoghi effettuati in sede di valutazione di incidenza ambientale — è compatibile con le prescritte misure di conservazione dell'habitat protetto, anche in relazione alle specifiche prescrizioni formulate in sede di conclusione dei lavori»;
   con nota del 3 marzo 2014, il WWF Italia — in qualità di ente gestore della contigua riserva regionale naturale orientata «Capo Rama» — ha chiesto al comune di Terrasini lo smontaggio immediato della struttura e la messa in pristino dei luoghi al fine di evitare un ulteriore danneggiamento degli habitat costieri;
   a sostegno di questa richiesta, l'ente gestore della riserva naturale orientata ha allegato la documentazione fotografica dello stato dei luoghi, aggiornata al 25 febbraio 2014, dalla quale risulta che le strutture installate, in forza della concessione rilasciata alla società DUEGGI, non sono state rimosse, con l'eccezione di una porzione della stessa struttura di poco meno di 140 metri quadrati e dunque di meno del 10 per cento dell'intera struttura installata;
   nella stessa nota del 3 marzo 2014, viene rilevato che l'attuale permanenza delle strutture danneggi la vegetazione tipica degli habitat costieri, per la quale area in questione è stata inserita nell'elenco dei siti di interesse comunitario della regione biogeografica mediterranea approvato dalla Commissione europea, con decisione del 19 luglio 2006;
   l'Ente gestore della riserva — che nelle more del procedimento autorizzativo aveva già espresso il proprio parere contrario — ha rilevato altresì che tutte le prescrizioni individuate nel parere espresso dalla commissione tecnica comunale per la valutazione di incidenza ambientale non sono state rispettate, né nella fase di cantiere, né successivamente;
   in particolar modo viene evidenziato il fatto che il parere favorevole al rilascio della concessione demaniale marittima era stato espresso dalla citata commissione tecnica, a condizione, tra le altre, che gli interventi di cantiere per il montaggio e lo smontaggio dello stabilimento e di tutte le opere connesse avessero una breve durata (massimo 15 giorni);
   nello stesso studio di incidenza presentato dalla società richiedente la concessione demaniale, a pagina 7, si faceva riferimento al fatto che il progetto prevedesse la realizzazione di uno stabilimento balneare tramite manufatti precari di facile rimozione;
   a pagina 9 dello stesso studio di incidenza, si precisa — a sostegno della compatibilità della richiesta di concessione con le esigenze di tutela dei luoghi — che «la struttura è finalizzata, come da istanza di concessione Demaniale Marittima sessennale, ad utilizzo stagionale (periodo estivo), al termine del quale lo stabilimento e tutte le opere connesse saranno annualmente rimosse, ripristinando lo stato attuale dei luoghi»;
   le strutture sono tuttora installate a distanza di diversi mesi dalla conclusione del periodo estivo, contrariamente a quanto dichiarato nello studio di incidenza presentato dal tecnico incaricato dalla società concessionaria;
   gli interventi di cantiere finalizzati allo smontaggio delle strutture si stanno protraendo ben oltre il termine di 15 giorni, indicato dalla commissione tecnica comunale valutazione di incidenza ambientale tra le prescrizioni e le condizioni di esercizio, alle quali la stessa commissione ha subordinato il parere favorevole al rilascio della concessione demaniale;
   nella stessa risposta all'interrogazione n. 5-00812 — in merito alla designazione come Zone speciali di conservazione (ZSC) dei Siti di importanza comunitaria presenti in Sicilia inseriti nell'elenco approvato dalla Commissione nel 2006 — il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha riferito agli interroganti che «si può prevedere di predisporre a breve un primo decreto di designazione delle ZSC della Regione Sicilia con riferimento ai siti per i quali è intervenuta l'approvazione definitiva dei Piani di gestione, sempre che gli stessi contengano i requisiti minimi richiesti dalla Commissione Europea (misure, specie ed habitat specifiche)»;
   con interrogazione a risposta in commissione 5-01783 presentata il 21 dicembre 2013 — ancora priva di risposte e della quale si richiamano integralmente le premesse e i quesiti — sono state chieste notizie delle attività, di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzate alla verifica di rispondenza delle misure di protezione adottate nei piani di gestione che comprendono i siti di importanza comunitaria ai requisiti minimi richiesti dalla Commissione europea per poter procedere alla designazione delle zone speciali di conservazione;
   la permanenza della quasi totalità delle strutture che compongono lo stabilimento balneare, oggetto della concessione, sul costone roccioso di Cala Rossa, a più di 4 mesi dalla chiusura della stagione estiva, sta danneggiando la vegetazione tipica degli habitat costieri, descritti nel piano di gestione del SIC ITA020009 «Cala Rossa e Capo Rama» e tutelati dall'Unione europea, che non riceve una regolare insolazione già dalla primavera del 2013 –:
   quali azioni intenda intraprendere perché vengano tempestivamente adottate tutte le misure necessarie a scongiurare il rischio che la vegetazione presente all'interno del SIC ITA020009 «Cala Rossa e Capo Rama» venga ulteriormente danneggiata, in palese violazione delle disposizioni contenute nell'articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE, con un evidente pericolo che sia aperta un'ulteriore procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. (5-02378)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   in località Ca’ del Bue, nel comune di Verona, è stato costruito un inceneritore concluso alla fine degli anni Novanta con una capacità di 500 t/g, poi dismesso, nel 2006, per problemi tecnici e criticità nel funzionamento;
   la regione Veneto, nel 2007, con delibera dell'8 maggio 2007 (DGRV 1234/07) ha istituito una «Commissione per l'esecuzione degli interventi sull'impianto di termovalorizzazione di Ca’ del Bue», al fine di effettuare un revamping dell'impianto esistente;
   le conclusioni delle commissione prevedevano la costruzione di un ulteriore, nuovo impianto, con uguale potenzialità, a fianco dell'esistente raddoppiando così la potenzialità esistente;
   tale esecuzione, tuttavia, si fondava sulla considerazione che il piano economico-finanziario sarebbe stato sostenuto con i contributi CIP6 (circolare n. 6/1992) e prevedendo un determinato apporto mensile di rifiuti da incenerire;
   è notizia recente che la società spagnola Urbaser, vincitrice dell'appalto per la costruzione del nuovo inceneritore, avrebbe serie difficoltà a sostenere l'investimento in assenza degli incentivi pubblici, contestualmente all'insufficiente tonnellaggio di rifiuti conferibili all'impianto d'incenerimento a seguito dell'incremento costante della raccolta differenziata dei rifiuti come da direttive europee;
   dal 2007 ad oggi sono stati cancellati i contributi dei cosiddetti «certificati verdi» ed i Cip6, in seguito ad una procedura di infrazione contro l'Italia per gli incentivi dati dal Governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici considerandoli «fonte rinnovabile» in contrasto con la direttiva 2001/77 (vedi articolo 17, decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra rappresentate;
   se i contributi CIP6, destinati al vecchio inceneritore, possano essere esigibili per conto del nuovo impianto non ancora realizzato. (4-04028)


   REALACCI, MAGORNO, BORGHI, BRAGA, BRATTI, MARIANI e OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da mesi articoli dei maggiori quotidiani locali e nazionali, appelli di Legambiente ed altre associazioni, amministrazioni comunali virtuose, agricoltori e liberi cittadini protestano per il perdurare di una situazione emergenziale e critica nella gestione o meglio nella non gestione del ciclo di raccolta e di trattamento dei rifiuti in Calabria;
   è necessario che l'intera comunità nazionale presti attenzione al disagio in cui sono costretti i cittadini calabresi a causa della assoluta inadeguatezza detrazione delle istituzioni in materia di rifiuti;
   ad oggi, le principali città scontano ancora l'assedio della spazzatura non raccolte nelle ultime settimane. Se a Catanzaro alcune zone della città sono state in qualche modo ripulite, grazie all'utilizzo della discarica di Alli, continuano ad accumularsi cumuli di spazzatura a Reggio Calabria, Vibo Valentia e Cosenza e, in misura minore, a Crotone, tra crescenti problemi igienico sanitari e inviti ai cittadini a contenerne la produzione. E l'immagine di strade e piazze trasformate in tante piccole discariche è ancora realtà in molti centri della regione;
   la regione Calabria sconta una lunga ed inefficace fase di commissariamento iniziata nel 1997, conclusosi all'inizio del presente anno e caratterizzato da costanti e mancati obiettivi di raccolta differenziata, sperpero di denaro pubblico e per la gestione poco efficace e trasparente, spesso a sua volta inquinata dalla ’Ndrangheta, con un contenzioso economico di milioni di euro e un'alta conflittualità con le comunità e le istituzioni locali, regionali, nazionali;
   la Calabria (secondo il report Rifiuti, riferito all'anno 2012, pubblicato dall'ArpaCal) nel suo complesso passa dall'11,61 per cento del 2011 al 16,34 per cento del 2012 di raccolta differenziata. I rifiuti sommergono la Calabria nonostante il calo di rifiuti urbani complessivamente prodotti (730mila tonnellate del 2012 rispetto alle 886 mila tonnellate del 2011). Si segnalano però esempi più virtuosi, quali: Pianopoli 62,77 per cento, (CZ), San Fili 72,66 per cento, Vaccarizzo Albanese 63,46 per cento – Bocchigliero 61,92 per cento (CS), Roccella Jonica 72,61 per cento (RC);
   sempre secondo gli ultimi dati disponibili da Arpa Calabria le percentuali di raccolta differenziata suddivise per aree provinciali sono: Catanzaro 15,93 per cento, Crotone 11,41 per cento, Cosenza 20,14 per cento, Reggio Calabria 13,53 per cento, Vibo Valentia 13,36 per cento. Tutte le province sono distanti dagli obiettivi previsti dalla normativa nazionale;
   la regione Calabria conta da ultimo una gravissima carenza di impianti di smaltimento finale, con un inceneritore a Gioia Tauro assolutamente sovradimensionato rispetto alle esigenze regionali, con impianti di trattamento meccanico biologico inadeguati al compito per cui sono stati costruiti, con una drammatica assenza di impianti per produrre compost di qualità;
   la ragione Calabria ha recentemente deliberato una deroga per continuare a smaltire il rifiuto «tal quale» in discarica, in evidente contrasto con la normativa comunitaria e nazionale con il rischio di pesanti multe per il mancato rispetto della direttiva sulle discariche approvata nel 1999;
   è da ultimo in corso di affidamento il bando regionale per esportare fuori regione o fuori dall'Italia i quantitativi di rifiuti ammassati sulle strade fino ad oggi e quelli che verranno prodotti nel prossimo futuro, con notevole incremento dei costi di trasporto e smaltimento per una cifra di oltre 77 milioni di euro fino al 31 dicembre 2014 ovvero fino tre volte quanto speso in precedenza –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro di concerto con la regione Calabria, e anche per tramite degli istituti territoriali dipendenti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di superare le sopraddette criticità che de facto sussistono attualmente nelle maggiori città della regione.
(4-04029)


   PISO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Tivoli, città patrimonio dell'UNESCO e conosciuta a livello mondiale per qualità artistiche, culturali e monumentali;
   la città di Tivoli versa da tempo in una grave situazione emergenziale igienico sanitaria dovuta alla mancata raccolta dei rifiuti;
   la gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti è affidata all'azienda comunale ASA TIVOLI Spa che con la delibera n. 370 del 14 dicembre 2007 della giunta comunale veniva autorizzata dal comune di Tivoli a costituire una società a responsabilità limitata, alla quale conferire tutti i rami d'azienda ed i relativi contratti in essere tra la stessa ed il comune di Tivoli, con la sola esclusione del servizio di igiene urbana. Pertanto con atto costitutivo del 31 gennaio 2008 rep. N. 47329, racc. n. 12809, veniva costituita l'ASA servizi Srl che diveniva operativa dal 1o marzo 2008. L'ASA TIVOLI Spa si trova in una profonda crisi economica;
   il comune è stato commissariato a seguito dell'approvazione da parte del consiglio comunale della mozione di sfiducia al sindaco;
   è stato nominato commissario straordinario il vice-prefetto Alessandra De Notaristefani Di Vastogirardi che ha approvato l'accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare, azione che non garantisce né il servizio di smaltimento rifiuti né i livelli occupazionali delle due società;
   ad oggi il credito che deriva dalla TIA tariffa igiene ambientale concernente tutte le utenze del comune di Tivoli (ripartite tra utenze domestiche di cui l'85 per cento regolarmente pagate entro la scadenza e utenze non domestiche che presentano morosità ormai cronicizzate) ammonta a circa 18 milioni di euro (anni 2006-2012);
   la società Ecoitalia 87 vanta crediti per circa 10 milioni di euro;
   Equitalia detiene la riscossione delle cartelle di morosità dal 2006 e non incassa generando una situazione di grande sofferenza e precarietà per servizi e lavoratori dato che sulla carta l'importo complessivo dell'emissione delle bollette copre il costo dell'intero servizio di ASA TIVOLI Spa;
   l'ASA Srl, che conta 58 dipendenti, rischia di dover seguire le disastrose sorti dell'azienda madre ASA TIVOLI Spa –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, alla luce delle ragioni descritte in premessa, affinché venga immediatamente superata l'emergenza igienico sanitaria per la tutela della salute pubblica;
   di quali elementi disponga in relazione alla grave situazione economica dell'ASA TIVOLI spa e al problema della gestione dei rifiuti anche per il tramite del Commissario straordinario del comune di Tivoli. (4-04043)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRANDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 luglio 2013 il comune di Santa Marinella ha approvato la seguente delibera: «futuro e valorizzazione del castello di Santa Severa. Esame proposta progettuale e dichiarazione d'intenti: Uso pubblico del Castello di Santa Severa per fini socio-culturali e turistici» redatta dal museo civico locale con la collaborazione del comitato cittadino per il castello di Santa Severa;
   il consiglio della regione Lazio, nella seduta n. 8 del 17 luglio 2013, ha approvato la mozione n. 12 concernente l'uso pubblico del castello di Santa Severa impegnandosi espressamente ad «attivarsi affinché il complesso monumentale sia un bene di notevole ed esclusivo interesse pubblico e bene inalienabile»;
   la stessa mozione impegna il consiglio ad «attivarsi con gli altri livelli territoriali affinché si istituisca un tavolo di lavoro tecnico-politico che, oltre agli enti territoriali (regione, province e comune), con la partecipazione dei comitati dei cittadini veda coinvolte le istituzioni universitarie, gli stakeholders presenti sul territorio e le rappresentanze territoriali per affrontare le problematiche relative alla definizione del futuro del castello in modo chiaro, condiviso e definitivo nella logica di una corretta valorizzazione degli spazi pubblici del complesso monumentale, a coinvolgere e salvaguardare tutte le associazioni esistenti sul territorio già operanti all'interno del castello di Santa Severa per il rilancio del complesso monumentale»;
   l'impegno «a operare affinché – accanto alla vocazione museale – nel castello di Santa Severa si sviluppi una struttura polifunzionale e polivalente che miri alla formazione di nuove figure professionali e di nuova e qualificata occupazione per lo sviluppo turistico, culturale e ricreativo del territorio» risulta assai rilevante per lo sviluppo del territorio;
   in data 23 gennaio il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha confermato la volontà della Pisana di procedere verso la realizzazione di un bando europeo per la trasformazione del castello in un polo congressuale, turistico, alberghiero con annesso ristorante, in palese contrasto con gli impegni assunti nella mozione di cui sopra –:
   se intenda intraprendere, dopo opportune indagini e rilievi sull'alto valore artistico-archeologico del sito nonché della sua storia recente che lo legittima quale luogo tra i più rappresentativi dell'intero patrimonio pubblico territoriale, con tempestività le necessarie iniziative affinché venga assicurato l'uso pubblico del castello e nello specifico della «Rocca» e della «Torre Saracena» collocati proprio all'interno del castello stesso;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro nell'eventualità di una presa in affido, in concessione o gestione, dei locali del Museo nazionale Pyrgense da parte di privati.
(5-02368)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha firmato un nuovo decreto che autorizza 46 nuovi interventi di restauro nelle regioni dell'Obiettivo convergenza: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia;
   il valore complessivo degli interventi, tutti immediatamente cantierabili, è di oltre 135 milioni di euro;
   secondo le dichiarazioni del Ministro interrogato «si tratta della più importante azione realizzata negli ultimi anni sul patrimonio culturale del Mezzogiorno d'Italia»; lo stesso sottolinea come «questa operazione si inserisce nell'ambito del programma comunitario “Grandi attrattori culturali” coordinato dal MiBACT in stretta collaborazione con la Presidenza del Consiglio – Uffici per la coesione territoriale – ed è il frutto di un'intensa azione congiunta e condivisa con le Regioni»;
   per la sola regione Campania sono in programma interventi per un valore complessivo di 43,1 milioni di euro e interesseranno la Reggia di Caserta, il sito reale di Carditello, Villa Campolieto, l'abbazia di Montevergine e il castello di Francolise;
   nel decreto spicca, però, l'assenza di qualsivoglia intervento nella provincia di Salerno, che ne è rimasta completamente esclusa, nonostante la ricchezza dei siti di enorme interesse culturale che hanno bisogno di immediati interventi di restauro, come la Certosa di San Lorenzo a Padula o il Parco archeologico dell'antica Elea;
   solo pochi giorni fa, a causa delle forti piogge, è crollata una vasta parte dell'importante area archeologica di Elea-Velia, sito patrimonio dell'Unesco, proprio perché mancano fondi per la manutenzione ordinaria;
   oltre a Velia, in provincia di Salerno ci sono anche gli importanti scavi di Paestum, riconosciuto dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità, e la Certosa di Padula;
   non si può agire solo quando c’è un'emergenza, in quanto si tratta di siti archeologici che necessitano di interventi costanti e continui;
   la classe politica non perde occasione per ripetere che il patrimonio culturale italiano, le intelligenze italiane e le conoscenze italiane devono costituire la base per una vera ripresa del nostro Paese e soltanto pochi giorni fa, nel suo discorso per la fiducia al Senato, lo stesso nuovo Premier Matteo Renzi ha posto al centro del suo intervento la cultura, dichiarando che «la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l'anima» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno assumere iniziative per inserire anche i maggiori siti archeologici della provincia di Salerno nel piano degli interventi da realizzare in Campania.
(4-04033)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227 e ulteriormente modificato dalla legge 6 agosto 2013, n. 97, prevede l'obbligo per gli intermediari finanziari italiani (e dunque per le banche) di applicare una ritenuta a titolo d'acconto nella misura del 20 per cento sui redditi derivanti dagli investimenti esteri e dalle attività di natura finanziaria all'estero;
   lo stesso decreto-legge, a seguito delle modificazioni introdotte dall'articolo 9 della legge europea 2013 (legge n. 97 del 2013) prevede che gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all'estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, siano soggetti a tassazione preventiva, a meno che il contribuente specifichi, in sede di dichiarazione dei redditi, che si tratta di redditi la cui percezione avviene in un successivo periodo d'imposta, o che determinate attività non possono essere produttive di redditi. La prova delle predette condizioni deve essere fornita dal contribuente entro sessanta giorni dal ricevimento della espressa richiesta notificatagli dall'ufficio delle imposte;
   il decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, a seguito delle modificazioni di cui alla legge n. 97 del 2013, prevede l'obbligo per gli intermediari finanziari di trasmettere all'Agenzia delle entrate, con modalità e termini stabiliti con provvedimento del direttore della stessa Agenzia, i dati relativi ai trasferimenti da o verso l'estero di mezzi di pagamento, limitatamente alle operazioni eseguite per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali e di società semplici e associazioni, equiparate ai sensi dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica dicembre 1986, n. 917;
   la circolare dell'Agenzia delle entrate del 18 dicembre 2013 (protocollo 2013/151663), emanata in sede attuativa del comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990 n. 167, come modificato dall'articolo 9 della legge n. 97 del 2013 (legge europea 2013), disponeva che, a partire dal 1o febbraio 2014, per gli intermediari residenti, indipendentemente da un incarico alla riscossione, qualsiasi trasferimento di denaro proveniente dall'estero ed effettuato con bonifico estero, fosse soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d'acconto d'imposta del 20 per cento in modo automatico, dagli intermediari finanziari e per conto dell'Agenzia delle entrate. L'Agenzia delle entrate presumeva, in tal modo, che tutti i flussi dall'estero concorressero a formare il reddito complessivo del residente in Italia, fatta salva la previsione secondo cui il contribuente potesse attestare, mediante un'autocertificazione, che i trasferimenti dall'estero non costituissero redditi di capitale o redditi diversi derivanti da investimenti dall'estero o da attività estere di natura finanziaria. Tale dichiarazione, sempre secondo le linee indicate da tale circolare, poteva essere resa in via preventiva e riguardare la generalità dei flussi, accreditati presso il medesimo intermediario, salva specifica indicazione da parte del contribuente. Anche in caso di autocertificazione la banca avrebbe avuto il dovere di segnalare l'operazione e il beneficiario all'Agenzia delle entrate. Tuttavia, non risultava chiaro dal provvedimento dell'Agenzia delle entrate né la valenza temporale dell'autocertificazione (se occorresse un rinnovo ogni anno in relazione al periodo di imposta), né veniva stabilito uno standard comune per l'autocertificazione;
   la scelta dell'Agenzia delle entrate di implementare le nuove disposizioni di legge sul monitoraggio fiscale e sulla tassazione del 20 per cento (relativa agli investimenti esteri e alle attività di natura finanziaria concorrenti a formare il reddito complessivo del residente in Italia) mediante un'interpretazione estensiva del prelievo alla fonte di tutti i bonifici esteri e in modo automatico, da parte degli intermediari finanziari, ha destato all'interno dell'opinione pubblica un comprensibile allarme. Tali modalità attuative comporterebbero uno sproporzionato carico di incombenze burocratiche a carico dei comuni cittadini, soggetti ad adempimenti dai profili vessatori, essendo affidato loro un ingiustificato onere della prova circa la natura delle somme percepite al fine di escluderne l'eventuale conteggio presunto e anticipato nel proprio reddito imponibile;
   il numero dei beneficiari è cospicuo e rilevante, in quanto moltissimi nostri cittadini ricevono annualmente trasferimenti di denaro dall'estero, anche di modesta entità o di natura occasionale, senza che questi costituiscano redditi derivanti da investimenti esteri e da attività di natura finanziaria all'estero;
   l'onere della prova circa l'inclusione o l'esclusione di tali somme ai fini della dichiarazione dei redditi dovrebbe incombere all'Agenzia delle entrate, posta nelle condizioni di svolgere un più esteso monitoraggio, controllo e tracciabilità dei flussi, anche grazie all'introduzione di una più stringente normativa introdotta in materia dalle recenti modifiche legislative;
   la ratio della nuova disciplina sul cosiddetto monitoraggio fiscale, introdotta dalla legge europea 2013, non sembra essere pienamente rispondente alle modalità su segnalate e contenute nella circolare dell'Agenzia delle entrate, in quanto le disposizioni contenute nella recente legge europea, assolvono, esclusivamente a una funzione informativa, al fine di combattere pratiche elusive ed evasive nei flussi transfrontalieri, non avendo finalità di calcolo del reddito imponibile né di liquidazione delle imposte;
   è utile segnalare gli scopi della nuova disciplina introdotta dall'articolo 9 della legge 6 agosto 2013, n. 97 – legge europea 2013 – sul cosiddetto monitoraggio fiscale, volta innanzi ad adeguare la disciplina italiana a quella europea anche sotto il profilo delle sanzioni, e a rendere la normativa nazionale più proporzionale agli obiettivi perseguiti dallo Stato (come richiesto dalla commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 1711/11/TAXU con cui si contestava all'Italia l'obbligo di indicazione nella dichiarazione dei redditi dei trasferimenti da o verso l'estero effettuati senza il ricorso a intermediari abilitati e soprattutto per la contestata non proporzionalità delle sanzioni); si rilevano, inoltre, la necessità di ampliare l'ambito applicativo della normativa sul monitoraggio a fini fiscali dei flussi transfrontalieri, atti a ricomprendere anche altri operatori come i cosiddetti money transfer (che con la precedente versione della legge n. 167 del 1990 sfuggivano a tali adempimenti); di semplificare e ridurre gli adempimenti, introducendo modifiche alla struttura del quadro RW e alle relative regole di compilazione del modello Unico per rendere rilevanti ai fini del monitoraggio le sole attività finanziarie e gli investimenti esteri; di introdurre obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari e di altri soggetti esercenti attività finanziaria per quanto attiene movimentazione di conti da e verso l'estero, investimenti all'estero, svolgimento di attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia; infine la necessità di estendere gli obblighi di dichiarazione anche ai «titolari effettivi» degli investimenti esteri, pur non risultandone possessori, consentendo, altresì, all'Agenzia delle entrate e alla Guardia di finanza di richiedere agli intermediari, dati e notizie relative ad operazioni finanziarie, allineando il monitoraggio fiscale all'antiriciclaggio, per meglio contrastare le frodi comunitarie;  
   ferma restando l'esigenza di pervenire a un migliore monitoraggio dei flussi di denaro i transfrontalieri e a un più efficace contrasto di fenomeni di evasione ed elusione, è necessario, tuttavia, mantenere distinte le modalità di controllo e tracciabilità dei flussi di denaro sopra una certa soglia e che rilevano ai fini dell'antiriciclaggio, dal trasferimento di somme di modesta entità o di natura occasionali pur se di natura finanziaria. La movimentazione estera di natura finanziaria da parte di singoli o di società, come prevede la disciplina vigente, è già soggetta all'applicazione di ritenute d'ingresso alla fonte, qualora nel trasferimento del reddito dall'estero in Italia sia comunque coinvolto un intermediario finanziario italiano (banca, società di intermediazione mobiliare, società fiduciaria, eccetera). Pertanto, pur volendo mantenere un obbligo di segnalazione da parte dell'intermediario finanziario all'Agenzia delle entrate circa altri movimenti su bonifici esteri, occorre evitare di introdurre misure vessatorie nei confronti di cittadini e contribuenti, quali quella di indiscriminato prelievo automatico su ogni tipo di movimentazione dall'estero, superando la previsione che affida ai beneficiari delle somme l'incombenza dell'onere della prova, onere che dovrebbe invece rimanere in capo all'Agenzia delle entrate;
   la Commissione europea e il responsabile europeo per la fiscalità, in seguito a due interrogazioni presentate da europarlamentari italiani al Parlamento europeo, sarà chiamata a valutare se le misure attuative contenute nella circolare dell'Agenzia delle entrate siano «proporzionate» e se poggino su giustificazioni non lesive di alcuni princìpi fondanti il diritto europeo, quali la non disparità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini di altri Paesi membri, la libera circolazione di merci e di capitali nello spazio dell'Unione europea, comprendente anche il divieto di restrizioni dei pagamenti tra gli Stati membri;
   l'Agenzia delle entrate su indicazione del Ministero dell'economia e delle finanze ha disposto la sospensione della misura del prelievo automatico sui bonifici esteri fino al 1o luglio 2014, anche in considerazione dell'evoluzione del contesto internazionale incidente in materia –:
   se non intenda il Governo intervenire con urgenza – in considerazione della decisione di sospendere fino al 1o luglio le previsioni contenute nella citata circolare dell'Agenzia delle entrate – affinché sia definitivamente scongiurata qualsiasi interpretazione estensiva dell'articolo 9 della legge europea 2013, circa il prelievo automatico della tassazione del 20 per cento a titolo di acconto di imposta su tutti i trasferimenti dall'estero, provvedendo all'esclusione della ritenuta alla fonte dei flussi esteri non suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, al fine di superare le incombenze sostanzialmente vessatorie a carico dei contribuenti, come la previsione dell'onere della prova a loro carico mediante autocertificazione, e di scongiurare eventuali contenziosi con l'erario e potenziali aperture di procedure d'infrazione in sede europea.
(2-00455) «Garavini, Gelli, Naccarato, Luciano Agostini, Ferrari, Crimì, Tullo, Berlinghieri, Arlotti, Carnevali, D'Arienzo, D'Ottavio, Rubinato, Giuditta Pini, Porta, Salvatore Piccolo, Patriarca, Giulietti, Rostan, Bolognesi, Valiante, Pastorino, Gianni Farina, Impegno, Magorno, Pierdomenico Martino, Fedi, Battaglia, Fossati, Bruno Bossio, La Marca, Losacco, Argentin, Mariastella Bianchi, Coccia, Colaninno, Damiano, Epifani, Ginefra, Giorgis, Gnecchi, Marantelli, Marco Meloni».

Interrogazione a risposta orale:


   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   in Piemonte, pur non essendo ancora la regione ufficialmente commissariata, dopo anni di «piani di rientro» non particolarmente risolutivi, l'amministrazione regionale anche sulla base di precise indicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministro della salute si è avvalsa dei tecnici di Agenas – l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari – con il compito di elaborare strategie più efficaci per ottemperare alle direttive del piano di rientro;
   l'agenzia di rating Moody's ha comunicato, nell'ambito delle proprie valutazioni su 19 enti pubblici italiani, di aver portato da negativo a stabile l’outlook della regione Piemonte, ovvero la prospettiva di lungo termine sull'affidabilità dell'ente come debitore. «Il giudizio di Moody's tiene oggettivamente conto degli sforzi compiuti in questo ultimo anno dalla regione – commenta il vicepresidente e assessore regionale al bilancio, Gilberto Pichetto Fratin». Nello specifico, il giudizio Moody's fa riferimento alla copertura del disavanzo accumulato negli esercizi del passato e lo riconosce, alla regione Piemonte con riferimento soprattutto ai settori della sanità e dei trasporti;
   la sanità piemontese vive, tuttavia, da un paio d'anni in una condizione di commissariamento de facto, con politiche di austerità, nonostante i piani di rientro certifichino il rispetto di «quasi tutti» i parametri richiesti, ed è oggi impegnata nella revisione degli atti aziendale di ASL e AO (aziende ospedaliere), secondo le indicazioni dei tecnici romani;
   le proposte dei tecnici, anche se non tradotte in deliberazioni di giunta, rappresentano un'ipoteca per il futuro. È, dunque, opportuno esporre sin d'ora le perplessità che suscita la metodologia del «tavolo Massicci», così comunemente chiamato dal nome del dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze che si occupa di sanità;
   in questi anni, sono stati attuati esclusivamente tagli lineari che le regioni hanno più o meno pedissequamente subito a seconda della efficienza dell'apparato e della saldezza politica delle giunte. Tuttavia, la politica di «spending review», in sanità non ha dato gli esiti promessi perché la base di conoscenze tecniche su cui poggiava si è rilevata inadeguata;
   all'interno della pubblica amministrazione, la sanità rappresenta il settore più moderno e meglio gestito, l'unico nel quale il nostro Paese si collochi ai primi posti nelle valutazioni internazionali. Applicare alla sanità gli schemi culturali della burocrazia ministeriale si è rivelato devastante. Tagli di finanziamento accompagnati da blocchi reiterati dei contratti e delle assunzioni, il tutto applicato con la perversa logica «lineare» – l'unica che la burocrazia riesca a concepire – ha aggravato la crisi del Servizio sanitario nazionale che è giunto al limite del collasso;
   al fine di migliorare l'efficienza senza ridurre l'efficacia dei servizi resi ai cittadini sarebbe, a parere degli interroganti, necessario rinnovare il patto con gli operatori del settore, chiamando tutti (medici, infermieri, tecnici, amministrativi) a condividere responsabilità gestionali nel momento in cui si adottano strumenti per riconoscere il contributo di competenze e di fatica da essi profuso –:
   se intendano fornire i chiarimenti necessari, entro quali limiti si giustifichino gli interventi di funzionari dello Stato nella sanità Piemontese considerato che la regione Piemonte non è soggetta a Commissariamento in materia sanitaria e se tutto ciò possa costituire strumento positivo per il miglioramento delle condizioni in cui opera la sanità in Piemonte.
(3-00694)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 92 del 20 maggio 2013 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di alcuni commi dell'articolo 38 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, concernenti l'alienazione forzata dei veicoli;
   la Corte costituzionale non ha modificato l'articolo 38, di cui al precedente paragrafo, nella parte in cui introduce nel codice della strada la figura del custode acquirente;
   i custodi e soccorritori giudiziari sono individuati dal Ministero dell'interno come soggetti autorizzati all'affidamento in custodia dei veicoli posti in sequestro ma spesso la giacenza dei veicoli si protrae per un tempo eccessivamente lungo, determinando in tal modo un aumento dei costi per la pubblica amministrazione;
   il decreto-legge n. 35 del 2013, riguardante i pagamenti della pubblica amministrazione, non ha previsto risorse a favore dei custodi e soccorritori giudiziari nell'ambito del procedimento per l'applicazione dello stesso;
   al fine di determinare una limitazione di tali costi, la legge di stabilità 2014 ha previsto, al comma 444, l'introduzione di un sistema di alienazione al custode dei veicoli giacenti da oltre due anni, rimandando ad un successivo decreto ministeriale l'applicazione di tale norma;
   la norma approvata manca di un elemento fondamentale quale è quello della previsione di un termine entro il quale si dovrà provvedere al pagamento delle spese di custodia –:
   se il Governo abbia ottemperato all'emanazione del decreto ministeriale di attuazione del comma 444 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, prevedendo anche un termine entro il quale provvedere al pagamento delle spese di custodia, al fine di garantire il pagamento a favore di piccoli imprenditori che altrimenti rischierebbero la chiusura;
   se il Governo non ritenga doveroso che la categoria dei custodi e soccorritori giudiziari venga introdotta tra quelle che hanno diritto al pagamento arretrato dei debiti da parte della pubblica amministrazione. (5-02371)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI, BUSINAROLO, COLLETTI, BONAFEDE, SARTI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel ruolo dei sovrintendenti della polizia penitenziaria si registra una carenza di organico di circa 1500 unità su tutto il territorio nazionale;
   in diversi istituti penitenziari le mansioni dei sovrintendenti vengono svolte dagli assistenti capo di ruolo subordinato, costoro assumendo responsabilità maggiori e non retribuite come tali;
   l'ultimo concorso interno per l'assunzione nella qualifica iniziale dei sovrintendenti è stato bandito dall'amministrazione penitenziaria nel 2008, relativamente alle vacanze organiche del 2007;
   con nota prot. n. GDAP 0111571-2009 del 25 marzo 2009, l'amministrazione ha pubblicato le graduatorie degli idonei vincitori e degli idonei non vincitori dell'anzidetto concorso;
   il decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013 prevede all'articolo 4, comma 3, lettera b), allude allo scorrimento delle graduatorie vigenti e approvate a partire dal lo gennaio 2007;
   la circolare n. 5/2013 del dipartimento della funzione pubblica chiarisce che «sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   la stessa circolare della funzione pubblica precisa che «sulle graduatorie vigenti ma anteriori alla predetta data il vincolo non è previsto e quindi la scelta dello scorrimento o dell'avvio di una nuova procedura concorsuale è rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione;
   l'articolo 1 del decreto legislativo 443 del 1992 stabilisce, al comma 1, le condizioni per la nomina della qualifica nel ruolo iniziale dei sovrintendenti e le modalità di ripartizione dei posti disponibili;
   per sopperire in parte alla suddetta carenza organica nel ruolo dei sovrintendenti possono esservi immessi gli idonei vincitori in numero pari alle vacanze organiche che si sono create negli anni 2008 e 2009 –:
   se il Ministro interpellato non ritenga di dover dare subito luogo allo scorrimento delle succitate graduatorie. (4-04017)


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono oltre 9 milioni i processi pendenti in campo fra civile e penale «alla data del 30 giugno 2013», ha spiegato il Ministro uscente Anna Maria Cancellieri nel corso della sua relazione alla Camera, il 21 gennaio 2014: «si contano 5.257.693 di processi pendenti in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale. Si registra un calo delle pendenze rispetto al 2012, per tutti i gradi di giudizio, del 4 per cento, che arriva al 6 per cento in Corte di appello; nonché la riduzione del 20 per cento in tema di ricorsi in materia di equa riparazione per l'irragionevole durata dei processi»;
   nei Paesi Ocse, in media, servono 511 giorni per risolvere una controversia di natura commerciale. Quei giorni, in Italia, lievitano a 1.210;
   lo scorso mese di giugno, il rapporto Ocse «Giustizia civile: come promuovere l'efficienza», ha di fatto inserito l'Italia nella lista nera. Nel nostro Paese il tempo medio stimato per la conclusione di un procedimento nei tre gradi di giudizio, infatti, è di 788 giorni. Con un minimo di 368 giorni in Svizzera e un massimo di quasi otto anni in Italia. E questo nonostante si tratti di due Paesi, ha evidenziato l'Ocse, che destinano al sistema giudiziario la stessa quota del proprio Pil: lo 0,2 per cento;
   la cattiva giustizia costa all'Italia un punto di pil all'anno. Un peso enorme che non è sfuggito al presidente della Bce, Mario Draghi, che un anno fa quantificò in diciotto miliardi di euro il costo dovuto alle lentezze nelle aule di tribunale. Perché c’è un collegamento tra gli errori della giustizia e l'economia italiana: soprattutto se una multinazionale rinuncia a investire nel nostro Paese — ad aprire fabbriche o filiali — per paura di affrontare eventuali contenziosi dai tempi biblici;
   a sottolineare lo stato della nostra giustizia civile, ormai divenuta una vera e propria emergenza nazionale, arriva l'iniziativa dell'ordine degli avvocati di Vicenza che hanno presentato una richiesta di fallimento del tribunale della loro città per insolvenza, regolarmente depositata, inviata al ministero della giustizia e al Csm;
   un'iniziativa che accende i riflettori sulla giustizia civile, «un gesto politico il nostro — ha spiegato Fabio Mantovani, presidente degli avvocati vicentini — che serve a far comprendere quanto sia grave la situazione» e che denuncia una volta di più la cronica carenza di penalisti e amministrativi;
   secondo i dati forniti dal Csm, in Veneto, la pianta organica prevede 242 giudici di primo grado, ma di questi circa il 10 per cento manca all'appello. All'inizio dell'anno giudiziario, risultavano avviati 238.856 procedimenti, il 6,34 per cento in più rispetto all'anno precedente;
   la crisi economica e la conseguente chiusura di molte aziende venete rende il quadro ancora più drammatico. Le nostre imprese sono già in croce per una crisi che non vede spiragli, e non possono essere flagellate anche dal cattivo funzionamento della giustizia. Solo nell'ultimo anno, le istanze di fallimento sono aumentate di circa 11 per cento con l'8 per cento a Verona e i picchi di Rovigo e Treviso, rispettivamente del 19,7 e 19,9. Una mole di lavoro esagerata se si considera che le richieste presentate ai tribunali veneti sono state 3,353, contro le 3.007 dell'anno scorso;
   anche sul fronte della giustizia penale, il Veneto è schiacciato da un'enorme quantità di denunce: le procure della regione, ogni anno, sono sommerse e travolte da quasi centomila notizie di reato, 250 al giorno;
   nonostante questa sia una delle zone economiche più sviluppate d'Europa «l'organico è fermo agli anni ’50» denunciano i magistrati;
   «sono numeri — ha dichiarato il presidente della Corte d'Appello di Venezia, Antonino Mazzeo Rinaldi — che confermano ancora una volta il dato di fondo: il distretto riesce, con gli organici di cui è provvisto, a sostenere il flusso dei procedimenti in entrata ma sicuramente non è calibrato ai fini di una efficace azione di smaltimento delle pendenze arretrate» –:
   quali siano le iniziative che il ministro interrogato intenda adottare al fine di provvedere ad una riorganizzazione e ad un rafforzamento delle piante organiche nei tribunali del Veneto. (4-04019)


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 febbraio 2014 l'assemblea generale dell'ordine degli Avvocati di Cagliari ha deliberato, a partire dal giorno 11 febbraio 2014, l'astensione a oltranza dalle udienze civili, penali, tributarie e amministrative;
   tale deliberazione invita gli iscritti agli ordini a cancellarsi dalle liste di gratuito patrocinio e dalle liste d'ufficio delle difese penali, azione che, se attuata dalla totalità degli avvocati, lederebbe il diritto alla difesa per quei cittadini che a causa delle proprie condizioni economiche non possono permettersi altra scelta;
   tale drastica soluzione è stata dettata dalla preoccupazione, espressa dai Consigli dell'ordine degli avvocati della Sardegna nelle proprie delibere, che sia i provvedimenti in materia di geografia giudiziaria, sia le criticità delle riforme in programma – laddove prevedono scelte assolutamente inaccettabili quali il giudice unico in appello, la responsabilità solidale del difensore in caso di soccombenza per lite temeraria, la motivazione della sentenza a pagamento, l'esponenziale ed ingiustificato aumento delle spese di accesso alla giustizia soprattutto nella delicatissima materia della volontaria giurisdizione, il pericolo rappresentato dalla possibilità di vedere introdotta la reformatio in peius, la cronica, ed ormai intollerabile per chiunque, carenza degli organici di giudici e personale amministrativo cui consegue in incremento esponenziale dei tempi di risposta dei tribunali (la durata media di un processo ordinario di primo è secondo grado è ormai di 7,4 anni) ledano i diritti costituzionali dei cittadini, con particolare riferimento alla possibile violazione degli articoli 24 e 111 della Carta Costituzionale;
   la protesta degli avvocati ha registrato la solidarietà della locale Associazione nazionale magistrati, che allo stesso modo lamenta interventi e riforme che non hanno inciso o migliorato il sistema della giustizia;
   la protesta dell'avvocatura sarda, che ha varcato il mediterraneo, è attualmente seguita dai colleghi della Puglia, che vede il foro di Lecce aderire alla astensione a oltranza, ed è stata inserita all'ordine del giorno delle assemblee degli avvocati di numerosi altri fori che si terranno entro il corrente mese di marzo;
   in data 6 marzo 2014 i presidenti degli ordini degli avvocati della Sardegna hanno avuto un intenso confronto con il Sottosegretario dottor Cosimo Ferri e con il Vice Ministro On. Avv. Enrico Costa, sulla situazione dell'avvocatura sarda, della giustizia in Sardegna e delle ragioni, di ordine generale, della prolungata astensione dei Fori da loro rappresentati;
   da quanto si legge nei comunicati che sono seguiti, le superiori istanze sarebbero state rappresentate direttamente al Ministro per valutare la possibilità di intraprendere un dialogo sulle soluzioni attuabili;
   ad oggi tale protesta è ancora in corso, e malgrado gli incontri tenuti dagli esponenti del Ministero della giustizia con le rappresentanze istituzionali dell'avvocatura, CNF ed OUA la quale ultima ha revocato solo in parte l'astensione già deliberata, si registrano crescenti malcontenti anche da parte di altri Fori (Cosenza, Nocera Inferiore, Ascoli Piceno);
   vi è, dunque, il rischio concreto che a causa del divario tra le riforme in atto in materia di giustizia e le istanze degli operatori (magistrati ed avvocati) tali proteste, seppure con forme diverse, possano diffondersi a tutti i fori di Italia, paralizzando il sistema della giustizia a livello nazionale –:
   se non intenda intraprendere un percorso di organica riforma della giustizia, di concerto con gli organismi rappresentativi dell'avvocatura. (4-04025)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   PIRAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Seulo (Ca) è un centro montano di circa 900 abitanti, ubicato all'incrocio fra le province di Cagliari e Nuoro e si trova in una condizione di potenziale isolamento totale;
   il 17 marzo del 2013 una frana in agro di Gadoni (Nu) sulla S.P. 8 della provincia di Nuoro ne ha parzialmente interrotto la percorribilità che – in seguito all'ordinanza provinciale n. 3609/RO del 19 marzo 2013 – è stata limitata al transito di mezzi aventi massa a pieno carico non superiore a 50 quintali di peso;
   il 18 ottobre dello stesso anno la provincia di Nuoro comunica l'avvenuta predisposizione del progetto esecutivo dei lavori di sistemazione di detta arteria stradale, cui viene negato il nulla osta da parte dell'ispettorato di Nuoro competente in materia il 18 novembre 2013;
   l'11 marzo 2014 la provincia di Nuoro – con ordinanza n. 3679/RO – interdice definitivamente il transito a tutti i mezzi a decorrere dalle ore 14.00 del 14 marzo 2014;
   il 14 febbraio 2014 – causa smottamento della strada intercomunale Seulo-Villanovatulo (Ca) – questo secondo comune emette l'ordinanza di chiusura della strada;
   nel mese di marzo Abbanoa – società regionale di gestione del servizio idrico pubblico – intercetta l'acqua della tubazione danneggiata da cui ha avuto origine lo smottamento di cui si è detto;
   a decorrere dall'intervento di Abbanoa i comuni di Seulo, Sadali ed Esterzili sono privi di approvvigionamento idrico potabile differente dalle sorgenti locali, a rischio quindi di restare totalmente privi d'acqua se prosegue lo stato di assenza di precipitazioni;
   l'unica strada di collegamento rimasta è la strada statale 198 e quindi una ulteriore alluvione o un ulteriore smottamento della stessa rischierebbe di isolare definitivamente la comunità di Seulo;
   questa allarmante condizione si assomma alle già difficili condizioni di isolamento nelle quali vivono le comunità della Barbagia di Seulo e di Belvì;
   sono necessari immediati interventi risolutivi e di messa in sicurezza delle condizioni minime di percorribilità delle strade e di fruibilità del servizio idrico –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione nel territorio esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per quanto di competenza per risolvere le stringenti difficoltà della popolazione;
   se non si ritenga necessario ed urgente un piano di interventi infrastrutturali per le cosiddette «zone interne», in particolare per quelle della Sardegna, terra già così violentemente colpita dalla crisi e segnata dalla condizione di insularità. (3-00693)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI e NARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
    nel luglio 2011 SAT ha presentato il progetto definitivo dell'autostrada A12 Rosignano-Civitavecchia (circa 260 chilometri) e lo studio di impatto ambientale, totalmente difforme dal progetto preliminare;
   le istituzioni locali e, le rappresentanze sociali ed economiche del territorio grossetano, in particolare durante il consiglio provinciale del 17 febbraio 2011, hanno espresso parere contrario a tale soluzione in quanto non garantisce il diritto alla mobilità dei cittadini ed interferisce pesantemente con le realtà economico-sociali del territorio, oltre a mettere a rischio la sicurezza stradale dell'intera viabilità locale in corrispondenza dell'autostrada;
   nonostante il parere negativo degli enti, il 3 agosto 2012 il CIPE, con delibera pubblicata il 27 dicembre 2012, ha approvato il progetto definitivo escludendo i lotti più complessi (4 e 5b per il territorio grossetano, oltre al lotto 7), procedendo con una modalità di presentazione progettuale discontinua che non ha garantito su una idonea valutazione di tipo ambientale, operando una sostanziale incoerenza tra Progetto Preliminare definitivo, rinviando al progetto definitivo importanti integrazioni che non sono state sottoposte a VIA quindi non rispettando il codice degli appalti;
   nella delibera CIPE 2012 viene tra l'altro prescritto che il piano economico e finanziario relativo al progetto definitivo di tutti i lotti dell'autostrada A12 Rosignano-Civitavecchia, (piano mai sottoposto all'attenzione degli enti locali), dovrà confermare un valore netto complessivo pari a 2 miliardi di euro (1,3 miliardi già quantificati per i lotti approvati) e un valore di subentro pressoché nullo;
   a seguito di tale delibera CIPE, la provincia di Grosseto ed il comune di Orbetello nel febbraio 2013 ha presentato ricorso al TAR (udienza fissata per il mese di luglio 2014);
   successivamente, nel marzo 2013, SAT ha avanzato alla regione Toscana due ipotesi di tracciato per il lotto 5 B (Fonteblanda-Ansedonia);
   la regione Toscana (D.G.R. n. 241 del 9 aprile 2013) in difformità al parere della provincia di Grosseto ed a quello del comune di Orbetello, ha espresso parere favorevole sul tracciato che gli enti locali hanno ritenuto il peggiore;
   la difformità tra il progetto preliminare ed il progetto definitivo secondo gli interroganti non è rapportabile con i principi cardine della normativa sulle infrastrutture strategiche (articolo 165 decreto legislativo n. 163 del 2006), in quanto in sede di procedimento preliminare deve svolgersi la valutazione di impatto ambientale ove si raccoglie il consenso da parte delle regioni, sentiti gli Enti Locali interessati all'opera;
   la normativa impone per il progetto definitivo, l'attestazione di rispondenza al progetto preliminare e ogni scostamento non fisiologico dal preliminare, fa sì che il progetto risulta essere sostanzialmente nuovo, tanto da non potersi sottrarre alla ripetizione delle procedure;
   rispetto al progetto preliminare dell'intero tracciato (approvato dal CIPE nel 2008) costituito da un unico piano economico-finanziario, il progetto definitivo è riferito solo ad una parte dello stesso (circa la metà dell'intero tracciato) e quindi di fatto fraziona in più parti l'opera approvata con il preliminare, violando così il codice degli appalti;
   SAT ha inoltre operato una scelta progettuale che agli interroganti appare antitetica rispetto a quella di cui al preliminare e pertanto avrebbe dovuto procedere ad una nuova approvazione del progetto sulla base della normativa vigente e non eludere le finalità sulla procedura di VIA, che impongono una valutazione ed un'analisi sull'intervento nel suo complesso;
   il CIPE nel 2012 ha inoltre dichiarato che l'approvazione definitiva (riferita solo ai lotti 2, 3, 5 A, 6 B), sostituisce ogni altra approvazione, autorizzazione, parere comunque nominato, nonostante le numerose modifiche strutturali di cui alle prescrizioni imposte (adeguamento alle norme del rischio idraulico comportanti la possibilità di individuare nuovi viadotti, piano di gestione delle terre, approfondimento delle opere di raccolta e smaltimento e dei presidi idraulici, gli attraversamenti dei SIC, SIR, ZPS, criticità archeologiche, eccetera). Invece le numerose prescrizioni che rinviano la progettazione definitiva per i lotti stralciati 4 e 5B alla successiva fase del progetto esecutivo con nuove soluzioni localizzative e progettuali, nei fatti sta determinando secondo gli interroganti una sostanziale riformulazione del tracciato e delle opere;
   viene a mancare inoltre il rispetto del piano finanziario tra progetto preliminare e quello definitivo, frazionando l'intervento anche dal punto di vista della spesa;
   sia nel tronco a nord che a sud di Grosseto, SAT non prevede adeguata viabilità di servizio. Nel Tronco a nord del Capoluogo, l'assenza di varianti alla vecchia SS. 1 Aurelia, non evita l'attraversamento, con rischi per la sicurezza stradale, di numerose frazioni e della stessa città di Grosseto che vedrà convogliare al suo interno circa 5.000 mezzi/giorno in aumento, né risolve il collegamento viario con i grandi ambiti strategici produttivi di Scarlino per l'aera nord della provincia e di Braccagni-Madonnino per l'area centrale; non sono servite le attività agricole esistenti, né è presente un adeguato ed efficiente collegamento con i porti turistici di Puntone, Punta Ala, Castiglione della Pescaia e Marina di Grosseto, senza peraltro risolvere i problemi causati dagli allagamenti del sottoferrovia in località La Magia oltre e i limiti strutturali del cavalcavia in località San Giuseppe;
   anche nel Tronco a sud di Grosseto, SAT non ha previsto adeguata viabilità complanare (laddove è in sostituzione all'attuale SS 1 Aurelia) in quanto si riduce ad una piattaforma discontinua e di soli m. 7.00, insufficiente a poterla classificare in categoria C1 (m. 9,50), quale viabilità di tipo regionale o statale, in grado di sostenere la fluidità del traffico alternativo alla A12, sia esso privato che pubblico (TPL, mezzi socio-sanitari, agricoli eccetera). Peraltro le caratteristiche previste per tale complanare, non permettono adeguati collegamenti con la rete dei porti e con i centri abitati e turistici di Orbetello, Monte Argentario, Isola del Giglio ed Ansedonia per il traffico in uscita a sud e a nord di Orbetello Scalo;
   il progetto SAT prevede il pagamento del pedaggio anche per i residenti determinando oltre al costo economico sulla cittadinanza locale anche un rilevante appesantimento del traffico veicolare sulla viabilità secondaria;
   la delibera CIPE 85/2012 non garantisce nei fatti nessuna esenzione del pedaggio per i residenti e per i mezzi di servizio e di soccorso, determinando forti preoccupazioni negli enti locali e tra i cittadini che si troveranno costretti a pagare il pedaggio su una infrastruttura pubblica, che loro stessi hanno contribuito a realizzare con il versamento delle tasse;
   l'Autostrada andrebbe a toccare territori di elevatissimo pregio ambientale come ad esempio il tratto del lotto 4 (Grosseto sud-Fonteblanda), dove tra l'altro non esiste ancora alcuna progettualità, e dove insiste l'aera di Alberese, la Fattoria del Collecchio ed in generale l'intero parco naturale della Maremma e dove la realizzazione dell'autostrada penalizzerebbe l'ambiente e l'attività agricola e le attività connesse ed a queste integrative, oltre che le attività produttive e turistiche, e il tratto del lotto 5B (Fonteblanda-Ansedonia), e cioè un territorio di grande valore paesaggistico-ambientale e storico-culturale, che richiede una particolare tutela e salvaguardia, e che risulta inoltre fortemente interessato da insediamenti urbani, produttivi (località Campolungo) ed ambiti a forte valenza turistica, caratterizzati dalla presenza di località di pregio quali le Terme dell'Osa, l'area archeologica di Camporegio, la Laguna di Orbetello, i Promontori dell'Argentario, di Fonteblanda-Talamone e quello di Ansedonia, nonché le coste e i litorali di notevole attrazione come i Tomboli Osa-Albegna ed i tomboli di Giannella e Feniglia;
   l'autostrada produrrebbe gravi fenomeni di inquinamento (acustico, atmosferico, luminoso, eccetera) che inciderebbero negativamente sulle attività produttive, turistiche e sulla qualità della vita delle popolazioni residenti. Per non parlare dell'attraversamento dei siti inquinati delle ex aree produttive Sitoco e Sipe Nobel, che potrebbero determinare possibili interferenze per le falde acquifere e relative terre di scavo;
   l'intera area a sud di Grosseto, ed in particolare il territorio del comune di Orbetello con la frazione Albinia sono stati colpiti dal grave evento alluvionale (novembre 2012) che ha provocato morti e centinaia di milioni di euro di danni ai cittadini ed imprese agricole e non del territorio; nonostante tale evento il progetto SAT non ha elaborato alcuno studio sulla componente idraulico-idrogeologica e del reticolo ad essa afferente;
   l'intero Progetto SAT determina in tutto il territorio provinciale gravi problemi urbanistico-territoriali, economico-sociali e paesistico-ambientali e che con tale progetto, che prevede l'obbligo del pedaggio per l'intero tracciato in carenza di una vera ed adeguata viabilità alternativa, difatti si vuole trasformare un percorso oggi esistente, appartenente e fruito gratuitamente dall'intera collettività, con una infrastruttura oggetto invece di esclusiva concessione SAT, che con le soluzioni progettate per la viabilità di servizio e alternativa, non risolve ma anzi accentua le problematiche connesse alla sicurezza ed al traffico locale;
   l'intera opera autostradale tirrenica risulta ormai fuori dal tempo, assolutamente non più utile né ai territori che sarebbero attraversati né all'intero paese che dovrebbe muoversi su altre direttrici (ferrovia e cabotaggio costiero), un'opera probabilmente non sostenibile economicamente (visto l'abbassamento sensibile del traffico veicolare) e sicuramente pericolosa per l'intero contesto territoriale –:
   se il Governo sia ancora intenzionato a procedere, nonostante i pareri negativi degli enti locali e del mondo associativo, sociale ed economico espressione dei territori, in particolare delle organizzazioni di categoria degli agricoltori, delle associazioni ambientaliste e dei comitati dei cittadini, nella realizzazione di un'opera ad avviso degli interroganti ormai inutile, anzi dannosa, e non più accettata dai territori; e se sia al corrente del piano economico-finanziario dell'opera compresa la sua sostenibilità nel tempo;
   se il Governo sia al corrente della situazione economica di SAT in relazione all'impegno per la realizzazione dell'intera opera, e, qualora SAT non fosse in grado di garantire le capacità finanziarie per realizzare lo scopo sociale, se sia intenzionato a revocare la concessione;
   viste tutte le problematiche e la tempistica incerta nella realizzazione dell'opera, se sia intenzionato ad intervenire per il miglioramento della sicurezza della SS1 Aurelia nei tratti a maggior rischio di incidentalità, soprattutto tra Grosseto Sud e Civitavecchia. (4-04042)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato lo scorso 3 marzo dal quotidiano: «l'Unità», il piano di riorganizzazione del comparto sicurezza sul territorio, attraverso il processo di razionalizzazione delle risorse finanziarie, prevede la soppressione di 267 presidi di polizia in ogni area regionale, in particolare nei riparti della Polizia postale, ferroviaria stradale e ulteriori chiusure di centinaia di presidi, caserme e nuclei d'intervento per altre forze d'intervento in tutte le regioni della penisola;
   il piano di dismissione indica che, dalla cessazione dei servizi previsti, deriveranno risparmi per la spesa pubblica pari a 600 milioni di euro, precisando tuttavia che nessun congedo sarà previsto per il personale di pubblica sicurezza, che sarà riallocato in altre sedi;
   gli uffici dei commissariati che sarebbero soppressi, coinvolgono indistintamente importanti città capoluogo di ogni regione e con riferimento alle province, si stabilisce che su un totale di centodieci, centouno sarà in numero degli enti provinciali che avrà una caserma o un posto di polizia in meno;
   il progetto di riorganizzazione degli uffici territoriali, è identificato nel documento predisposto da commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, (cosiddetta spending review), Carlo Cottarelli, il cui report, prosegue il suindicato quotidiano, è stato già inviato da parte del Ministero interpellato;
   il disegno di rivisitazione in particolare, prevede la soppressione delle sedi della polizia stradale, nelle località di: Barletta, Arcore, Finale Ligure; di numerose sedi della polizia ferroviaria distese da Agrigento ad Avellino, da Bari Centrale a Caltanissetta, da Cosenza a Crotone, fino a Viterbo, incluse le sedi presso le stazioni di Siena e Orvieto, a cui si aggiungono le sedi della polizia informatica, di Ascoli Piceno, Asti, Avellino, Belluno, Benevento, Bergamo, Brindisi, Caserta, Como, Cosenza, Cuneo solo per citarne alcune sedi e nel settore marittimo, attraverso la soppressione dei Nuclei sommozzatori di Ferrara, Grosseto, La Spezia, Latina, Livorno, Messina, Oristano, Palermo, Gioia Tauro e Salerno, nonché ulteriori uffici di frontiera fra cui quello di Bardonecchia, trasformato in un super commissariato;
   anche l'Arma dei carabinieri, sarà interessata dal processo di rivisitazione della pianta organica, attraverso la soppressione di circa 200 caserme, con un risparmio analogo a quello in precedenza indicato, a cui si aggiungono le chiusure delle sedi di Roma, Milano e Napoli per il reparto d'intervento della polizia di Stato – Rips, il cui servizio è nato soltanto sei anni fa;
   le organizzazioni sindacali, a seguito della bozza del documento di riorganizzazione nazionale della settore sicurezza, hanno rilevato una serie di complesse e articolate criticità in ordine agli effetti derivanti da tali decisioni, il cui ridimensionamento delle sedi rischia di determinare gravissime ripercussioni sui livelli di vigilanza, per la sicurezza e l'assistenza della comunità nazionale;
   secondo quanto sostenuto dal sindacato autonomo di polizia – SAP, il piano di revisione presentato dal dipartimento di pubblica sicurezza, dovrebbe essere indirizzato in una rideterminazione del numero delle forze di pubblica sicurezza, in considerazione che l'Italia, rappresenta l'unico Paese europeo ad avere 7 comparti della polizia di Stato (polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria e forestale) e 2 polizie locali (municipale, vigili urbani e provinciale);
   gli effetti negativi e penalizzanti di un numero così elevato di comparti di pronto intervento, determinano infatti una sovrapposizione delle competenze nel territorio che produce un surplus di spesa, in considerazione che il 60 per cento del bilancio di ogni forza di polizia è destinato alle spese per la logistica;
   il medesimo sindacato evidenzia a tal proposito, come in altri Paesi quali la Francia, Gran Bretagna il numero del comparto addetto alla sicurezza nazionale, sia notevolmente inferiore e pertanto il progetto proposto all'interno delle circolari inviate al Ministero interpellato, costituisce una pianificazione di conservazione e non di rivoluzione;
   la medesima organizzazione sindacale rileva altresì come, l'avvio di un processo di razionalizzazione rivolto attraverso la riduzione del numero delle forze di polizia sul territorio nazionale, determinerebbe un maggior risparmio in termini di oneri finanziari per l'amministrazione statale, migliorando contestualmente l'efficienza e la funzionalità degli interventi di assistenza;
   l'interpellante evidenzia tra l'altro, come nel corso di un'intervista riportata dal suindicato quotidiano, in un articolo pubblicato il giorno 4 marzo, il Sottosegretario Domenico Manzione, avesse espresso valutazioni nel complesso in controtendenza rispetto al progetto di riorganizzazione ipotizzato dal piano di revisione del medesimo Ministero intenzionato all'effettiva realizzazione entro l'estate prossima;
   l'esponente del Viminale, ha infatti rilevato come la dismissione di importanti sedi, quali ad esempio alcune della polizia postale, possano determinare un aumento dei reati informatici, compreso quelli di pedopornografia, con prevedibili effetti negativi sul tessuto sociale del Paese;
   a giudizio dell'interpellante, le valutazioni complessivamente riportate, impongono una serie di approfondite analisi e necessari chiarimenti sul piano di riordino nazionale del comparto sicurezza, in considerazione sia delle condivisibili osservazioni, espresse dal SAP, nell'ambito della numerazione delle forze di polizia giudicate attualmente eccessive, che in ordine alle dichiarazioni del sottosegretario del Ministero interpellato, che come in precedenza evidenziato, risultano in evidente contrasto con il report predisposto dal Dipartimento pubblica sicurezza –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intendano confermare il piano di riorganizzazione del comparto della sicurezza nazionale, attraverso un ridimensionamento del numero dei presidi di sicurezza, che coinvolgono nel complesso la totalità dell'apparato di pubblica sicurezza del nostro Paese ovvero: la polizia di Stato, l'Arma dei carabinieri, la guardia di finanza e i vigili del fuoco, in premessa riportato;
   in caso affermativo, se gli effetti derivanti da una impostazione così rigida e di forte riduzione delle sedi, possano determinare gravi conseguenze per la tutela e la sicurezza nel territorio nazionale ed in particolare nell'ambito dei reati informatici inclusi quelli pedopornografici, a causa della soppressione dei presidi della polizia postale;
   quale orientamento intendano esprimere nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento alle osservazioni critiche espresse dal sindacato autonomo di polizia in ordine al piano di riorganizzazione del comparto sicurezza e alle affermazioni del Sottosegretario esposte in premessa, che risultano a parere dell'interpellante, come in precedenza riportato, in controtendenza ed opposte rispetto a quanto indicato nel documento del Viminale già inviato al commissario Cottarelli;
   se le sollecitazioni in diverse occasioni espresse dal medesimo sindacato con riferimento a quanto proposto in ordine alla riduzione del numero delle forze di pronto intervento a livello nazionale, possano determinare miglioramenti sia in termini finanziari e di risparmio della spesa pubblica, che in relazione ad una migliore efficienza e funzionalità per l'assistenza e la tutela della comunità nazionale e la sicurezza del territorio nazionale;
   quali iniziative infine intendano adottare, per compensare in termini di rendimento, in caso dell'introduzione del piano di riorganizzazione previsto la prossima estate, della soppressione di un numero così elevato dei presidi nazionali pari a 267 per la polizia di Stato e circa 200 per le caserme dei carabinieri oltre a quelli relativi alla guardia di finanza e per i Nuclei dei sommozzatori dei vigili del fuoco nelle località marittime.
(2-00456) «Palmizio».

Interrogazione a risposta orale:


   ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno, nell'ambito della spending review, ha deciso di sopprimere 73 sezioni della polizia postale in tutto il territorio nazionale, fra cui quella della città di Padova, che interessa l'intera provincia, dove sono impiegate 13 persone specializzate in informatica e in sociologia e che, avendo alle spalle anni di esperienza sul campo, hanno sviluppato un'eccezionale sensibilità nel trattare casi di reati informatici;
   solo la sezione padovana, nel corso del 2013, ha aperto 1.016 fascicoli, ricevuto 50 telefonate al giorno (di cui il 50 per cento passate dai carabinieri), analizzato 120 supporti informatici, ricevuto 1.200 mail (servizio riservato al pubblico), incontrato 4 mila tra studenti e genitori nelle scuole, indagato 80 persone e arrestate una;
   da tali dati, recentemente diffusi dalla polizia postale di Padova alla stampa locale, è emerso inoltre che otto adolescenti su dieci in città si scattano foto hard e poi le scambiano con i propri amici. Senza contare l'aumento del 50, negli ultimi quattro anni, di segnalazioni di cyberbullismo e pedofilia;
   le soppressioni di cui sopra sono state effettuate malgrado la polizia postale operi di fatto a costo zero, dato che è poste italiane spa a fornire le sedi di servizio e i materiali per lo svolgimento delle attività, (pc, linee telefoniche, auto, connessioni), grazie a una convenzione con il Ministero dell'interno;
   Gianfranco Volpin, segretario regionale veneto del Coisp, ha affermato in proposito che «gli uffici superstiti non avranno le risorse umane e tecniche per reprimere i reati a mezzo internet. Come faranno i bambini a parlare informalmente ? Le donne perseguitate da stalker a confidarsi ? Le vittime adolescenti a consegnare denunce parlando con i poliziotti postali nelle scuole ?», concludendo che «se verranno chiuse le sezioni di polizia postale provinciali, lasciando solo quelle regionali, a pagarne saranno i cittadini» –:
   se sia intendimento del Governo e del Ministro dell'interno ripensare la razionalizzazione della spesa nell'ottica di impedire a un servizio d'eccellenza come la polizia postale a livello provinciale di chiudere i battenti, specie a fronte dell'emergenza sociale che coinvolge proprio i reati che avvengono con l'utilizzo della rete informatica;
   come intenda il Ministro altrimenti riorganizzare gli uffici di polizia, e in particolare quelli della città di Padova, in modo da garantire la prosecuzione di un servizio indispensabile per i cittadini, atto al contrasto della criminalità informatica con mezzi e risorse validi, senza oberare il già consistente lavoro degli operatori di polizia. (3-00692)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2014 intorno alle ore 9 a Moffetta si è consumato un omicidio tra le bancarelle del tradizionale mercato settimanale della città pugliese;
   il mercato a quell'ora è particolarmente frequentato da avventori e clienti che fanno spesa;
   in base alle prime ricostruzioni il killer è giunto a bordo di una moto di grossa cilindrata e protetto da un casco integrale ed ha sparato alcuni colpi che hanno ferito a morte un fruttivendolo già noto alle forze dell'ordine;
   inquietano le circostanze dell'omicidio in quanto altre persone avrebbero potuto essere coinvolte considerata l'ora e il luogo;
   si tratta di episodi che non vanno sottovalutati circa il rischio di una recrudescenza di atti criminali sul territorio –:
   se il Ministro, anche alla luce di quanto riportato in premessa, intenda promuovere e partecipare alla convocazione di un Comitato territoriale per l'ordine e la sicurezza pubblica per affrontare i temi della sicurezza e del controllo del territorio nel barese. (5-02370)


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra lunedì e martedì 11 marzo 2014 presso Gravina di Puglia è stato ucciso con due colpi di pistola un uomo, Pietro Capone, di 49 anni;
   l'episodio ha scosso la comunità locale in quanto il signor Capone era noto nella cittadina pugliese per le sue battaglie civiche di legalità in particolare sotto il profilo degli abusi edilizi;
   infatti sulla base delle prime ricostruzioni sembrerebbe che l'omicidio possa essere maturato in relazione a qualcuna delle denunce;
   al momento, però, non ci sono testimoni che possono aiutare gli inquirenti a fare chiarezza sull'accaduto e non sarebbero state avvertita urla precedenti all'omicidio, avvenuto, tra l'altro, in una zona interna e centrale dell'importante comunità della murgia –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda attivare per rafforzare la sicurezza nel comune di Gravina di Puglia e per favorire lo svolgimento delle indagini in relazione al caso sopra citato. (5-02374)


   ROSTAN, TARTAGLIONE, PALMA e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il comune di Cimitile si trova in provincia di Napoli, e sul relativo territorio vi risiedono stabilmente circa 7.200 abitanti;
   di questi, circa 3.500 abitanti sono di genere maschile e circa 3.700 sono di genere femminile;
   il comune prima indicato è andato al voto nel 2010, ed all'esito della tornata elettorale è risultato eletto, quale sindaco, il signor Nunzio Provvisiero;
   in virtù di quanto stabilito dallo Statuto Comunale di Cimitile, il su indicato sindaco, signor Nunzio Provvisiero ha nominato la giunta, così composta, per nominativi e deleghe corrispondenti:
    1) Di Palma Pasquale: Vicesindaco – Lavori pubblici – Manutenzione aree verdi – Sicurezza del territorio e vigilanza – Quartiere IACP – Arredo urbano – Parcheggi;
    2) Balletta Domenico: Assessore – Pubblica istruzione in generale – Scuole di ogni ordine e grado – Rapporti con gli organi collegiali delle scuole – Diritto allo studio e assistenza scolastica in generale – Assistenza scolastica ai portatori di handicap – Trasporto scolastico – Edilizia scolastica – Formazione professionale – Politiche giovanili relativamente agli aspetti culturali e ricreativi – Iniziative culturali – Mercato e Fiere – Ecologia – Beni culturali;
   3) Miele Angelo: Assessore – Bilancio e Programmazione Finanziaria – Gestione risorse – Servizio economato e contabilità generale – Imposte – Tasse – Tributi – Rette – Rapporti Fondazione Premio Letterario;
    4) Romano Saverio: Assessore – Commercio – Artigianato e Agricoltura – Turismo e Spettacolo – Gestione cimitero – Viabilità – Protezione civile – Tutela ambientale – Attuazione del programma – Energie alternative;
   allo stato, è da ritenersi che tale composizione della Giunta Comunale di Cimitile, formata interamente da componenti di sesso maschile, violi una pluralità di principi normativi, alcuni dei quali addirittura di rango Costituzionale;
   l'articolo 51 della Costituzione Italiana, dispone testualmente «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», ed afferma un principio di efficacia ormai universale, ovvero che l'accesso ai ruoli di governo previsti nelle varie articolazioni dello Stato deve essere garantito in modo paritario a donne ed uomini;
   da questo principio, diffusosi ormai anche in altri settori della vita pubblica e sociale discendono numerose norme di primo livello alle quali, purtroppo, nella pratica non viene ancora oggi data attuazione;
   l'articolo 46 comma 2 del T.U.E.L., novellato dall'articolo 2, comma 1, lettera b) legge n. 215 del 2012, che dispone testualmente «...omissis... Il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della Giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione...omissis...», prevede, dunque, che la Giunta nominata dal sindaco sia composta da cittadini appartenenti ad entrambi i generi;
   nel caso del comune di Cimitile emerge, con tutta evidenza, la assoluta incongruità della Giunta che viola la disciplina sopra indicata;
   a ciò è da aggiungere che la giunta del comune di Cimitile, per come è attualmente composta, si pone in contrasto, a parere di chi scrive, oltre che rispetto alla normativa in materia, anche e soprattutto rispetto a quella che è la composizione anagrafica della popolazione cimitilese fatta per metà di donne e metà di uomini;
   è ormai valore consolidato che la presenza ed il contributo delle donne nei ruoli chiave della società, apporti un contributo straordinario alla qualità di gestione della «cosa pubblica», con innegabili ripercussioni positive per la collettività amministrata;
   in nome di tale affermato principio, più volte l'autorità giudiziaria si è pronunciata sanzionando quelle amministrazioni locali che non rispettassero i dettami sopra enucleati, disponendo, opportunamente, che le giunte venissero modificate ed integrate così da garantire la paritaria presenza di donne ed uomini all'interno delle stesse;
   sarebbe, pertanto, particolarmente opportuno che il sindaco di Cimitile modificasse e/o integrasse la giunta comunale nel rispetto della normativa costituzionale e primaria vigente in materia e posta a tutela del principio d'uguaglianza dei cittadini, di non discriminazione di genere e di pari opportunità di partecipazione alla gestione della «cosa pubblica» tra donne e uomini –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto descritto in premessa;
   se non intenda avviare un monitoraggio su tutte le giunte comunali del Paese, affinché si verifichi che i principi enunciati in premessa siano attualmente rispettati;
   se non intenda, infine, valutare l'utilità di una modifica della normativa contenuta nel T.U.E.L. a garanzia delle pari opportunità e della parità di genere, così da rendere la stessa ancor più efficace, specie per quanto concerne i meccanismi posti a garanzia del rispetto da parte dei sindaci, della normativa stessa. (5-02375)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia postale e delle comunicazioni nasce quale specialità della Polizia di Stato, all'avanguardia nell'azione di prevenzione e contrasto della criminalità informatica e a garanzia dei valori costituzionali della segretezza della corrispondenza e della libertà di ogni forma di comunicazione;
   fenomeni come la pedofilia on-line, gli attacchi a sistemi informatici, le truffe perpetrate grazie all'utilizzo fraudolento di codici di carte di credito o di debito, sono solo alcuni esempi delle attività delittuose che vengono contrastate dal personale della polizia postale;
   da fonti sindacali si è appreso dell'esistenza presso il dipartimento della polizia di Stato di un progetto di riorganizzazione della polizia postale e delle comunicazioni, dagli effetti dirompenti, che prevede la chiusura delle sezioni non sedi di distretto di corte d'appello e il prevedibile trasferimento di personale ad uffici non ancora individuati, ma destinati verosimilmente ai servizi di ordine pubblico;
   tale notizia ha destato grande preoccupazione tra il personale interessato, sia per il ridimensionamento degli uffici e degli organici, questi ultimi già esigui, sia per la conseguente perdita di un patrimonio professionale acquisito con grandi sacrifici;
   non si comprende, nell'era della digitalizzazione ed al cospetto del continuo aumento dei reati informatici, le ragioni che hanno indotto alla soppressione di sezioni considerate indispensabili dagli uffici compartimentali per la loro attività in ambito regionale;
   con la ristrutturazione voluta dal dipartimento di polizia di Stato, inoltre, non si otterrebbe alcun risparmio né delle risorse economiche né di quelle umane, ma si vanificherebbe l'utilizzo delle risorse investite fino ad oggi per specializzare il personale delle sezioni, oltre a non risolvere la problematica della carenza di personale e perdendo un servizio fondamentale per i cittadini;
   è certo, a parere dell'interrogante, che questa riorganizzazione creerà solo disservizi ai cittadini e nessun beneficio all'amministrazione della polizia di Stato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per scongiurare il rischio di attuazione del progetto di riorganizzazione della polizia postale e delle comunicazioni, permettendo alla stessa di continuare a operare per la sicurezza e salvaguardia dello Stato e dei cittadini stessi. (4-04018)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni, termini come «precariato» e «disoccupazione giovanile» riempiono gli spazi dei quotidiani nazionali;
   nonostante la risonanza mediatica del problema, in pochi conoscono la grave e peculiare situazione di precarietà in cui versano i tanti giovani che desiderano servire il nostro Paese arruolandosi nelle forze di polizia;
   tutti i concorsi pubblici degli ultimi anni per il reclutamento di allievi agenti dei corpi di Polizia sarebbero riservati ai soli «volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale» (VFP1);
   tali bandi non menzionano, nemmeno incidentalmente, i volontari in ferma breve (VFB) di cui alla disciplina previgente alla legge n. 226 del 2004, norma che – come è noto – ha sospeso il servizio di leva obbligatoria e reso volontario il servizio militare, oppure li menzionano per prevederne l'esplicita esclusione;
   in particolare, con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, IV Serie Speciale, n. 98 del 13 dicembre 2011, il Ministero della giustizia ha indetto un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 375 allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria, riservandolo ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1), ovvero in rafferma annuale (VFP1T), in servizio o in congedo;
   dal concorso sono stati, pertanto, esclusi i volontari in ferma breve, né risulta che la polizia penitenziaria abbia provveduto a scorrere le graduatorie dei concorsi precedenti, per immettere in servizio i volontari in ferma breve risultati idonei ma non vincitori;
   con la sospensione della leva obbligatoria i volontari in ferma breve sono stati sostituiti dai volontari in ferma prefissata ed il reclutamento nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo militare della Croce rossa è stato riservato ai volontari in ferma prefissata dalla legge 23 agosto 2004, n. 226, ora confluita nel codice dell'ordinamento militare, a seguito della soppressione della leva obbligatoria;
   con la legge n. 226 del 2004 non si è inteso però precludere il reclutamento nelle citate amministrazioni ai volontari in ferma breve, visto che successivamente è stata emanata la legge 23 dicembre 2009, n. 191, il cui articolo 2, comma 209, prescrive espressamente che le assunzioni nelle carriere iniziali dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco negli anni 2010, 2011 e 2012 devono essere destinate non soltanto ai volontari in ferma prefissata, ma anche ai volontari in ferma breve;
   l'estensione ai volontari in ferma breve della possibilità di partecipare a tali concorsi è ulteriormente confermata dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 che, pur intervenendo sulla legge n. 191 del 2009, non ha abrogato o modificato il testo del citato articolo 2, comma 209, della stessa;
   ciò è stato confermato dallo stesso TAR Lazio che, con sentenza n. 01343 del 10 gennaio 2013 (pubblicata il 7 febbraio 2013), ha accolto il ricorso presentato da un giovane volontario in ferma breve escluso dal concorso, statuendo che «da tale complesso normativo si evince che il volontario in ferma breve ammesso alla rafferma biennale è legittimato a partecipare ai concorsi indetti ai sensi dell'articolo 2199 del codice militare, in condizioni di parità rispetto al volontario in ferma prefissata quadriennale, che vi sono ammessi in servizio o in congedo»;
   la sentenza precisa, quindi, che, stante l'equiparazione dei volontari in ferma breve ai volontari in ferma prefissata4, anche a tale categoria di personale vanno conteggiati per intero i titoli accumulati nell'arco dell'intera carriera militare nelle fila dell'Esercito italiano;
   se così non fosse, infatti, si attuerebbe un nocumento per la stessa amministrazione penitenziaria, che, ovviamente, ha interesse al reclutamento dei giovani più meritevoli e, quindi, maggiormente «titolati»;
   la citata giurisprudenza amministrativa ha sancito, inoltre, che lo scorrimento delle graduatorie in corso di validità debba essere lo strumento «ordinario» di arruolamento e tali principi sono stati ritenuti applicabili anche alle forze armate ed ai Corpi di polizia con ordinanze nn. 1678/2013, 2374/2013, 2512/2013 e con sentenza n. 1476/2012 della Sez. IV del Consiglio di Stato;
   nonostante ciò, il Ministero della giustizia Dap – Direzione generale del personale e della formazione – non avrebbe provveduto a conteggiare alcun titolo, in quanto, a suo parere, l'equiparazione darebbe diritto solo alla partecipazione al concorso e non all'equiparazione dei titoli, con la conseguenza che molti giovani non sono rientrati in graduatoria nel novero dei vincitori, pur avendone tutti i requisiti di merito;
   non si comprende per quale motivo, nella valutazione del punteggio, non siano stati presi in considerazione titoli che, invece, dovrebbero essere indici importanti delle capacità professionali dimostrate nel corso del servizio attivo nell'Esercito italiano e dovrebbero coincidere con gli interessi dell'amministrazione a selezionare personale più esperto e qualificato per colmare la carenza di organico nelle carceri italiane;
   in un'Italia sfiduciata e stremata da una crisi economica senza eguali, il Governo limita l'accesso proprio al personale maggiormente meritevole di tutela, che ha dimostrato, in più occasioni, di essere sempre pronto a servire lo Stato con grande orgoglio, coraggio e responsabilità;
   il problema non sta solo nell'ennesima delusione che lo Stato ha dato alle nuove generazioni, ma nella non affidabilità dei bandi di concorso –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, qualora ritenga che tale «selezione preventiva» rappresenti una palese disparità di trattamento, se intenda esaminare la possibilità di soddisfare la richiesta dei cittadini che hanno prestato servizio nelle Forze armate quali volontari in ferma breve;
   quali iniziative si intendano adottare al fine di garantire, già nell'immediato futuro, le giuste condizioni di pari, opportunità nel poter aspirare e concorrere a ricoprire ruoli e funzioni all'interno delle diverse Forze di polizia del nostro Paese. (4-04020)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sembrerebbe che il Ministero dell'interno sia intenzionato a chiudere tre centri di polizia operativi nella città di Crotone, vale a dire i locali uffici di polizia ferroviaria, della polizia postale e della squadra nautica;
   con la soppressione della polizia ferroviaria di Crotone non ci sarebbe più alcun controllo da parte delle forze dell'ordine nella stazione e nell'intero scalo ferroviario, determinando il venire meno della sicurezza dei passeggeri;
   la polizia postale e delle telecomunicazioni è l'unico ufficio di sicurezza nell'intera provincia che opera nel contrasto dei reati commessi attraverso l'utilizzo della rete informatica e telefonica, dei quali si verifica un costante ed inquietante incremento, garantendo risultati straordinari;
   lo stesso dicasi per la squadra nautica, un ufficio di importanza nevralgica per il contrasto all'immigrazione clandestina in un territorio come quello crotonese, sulle cui coste in tutti i periodi dell'anno sbarcano centinaia di extracomunitari giunti in Italia in maniera irregolare;
   Crotone rappresenta una realtà cittadina alquanto complessa e non appare opportuno privarla dei citati presidi di polizia, attivamente impegnati nel contrasto alle diverse forme di criminalità –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e, se del caso, se non ritenga di rivedere le relative decisioni sulla base di una approfondita valutazione dei singoli casi tenendo conto delle realtà ed esigenze locali, mantenendo i presidi necessari a garantire la sicurezza dei cittadini. (4-04023)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito dalle agenzia di stampa, ieri pomeriggio verso le tre e mezza a Trieste Naseri Mohammad Gul, un afgano con disturbi mentali, ha sottratto la pistola d'ordinanza ad un poliziotto, spingendolo alle spalle e approfittando del fatto che l'agente stava prestando soccorso ad una persona che pare si fosse sentita male proprio sulla porta d'ingresso della questura;
   subito dopo aver aggredito il piantone, il ventiduenne afgano ha cominciato a sparare prima contro l'agente cui aveva sottratto l'arma e di seguito tra la folla terrorizzata che si trovava in quel momento a passare per le vie attigue alla questura, seminando il panico in mezzo a decine di persone, anche bambini, che d'istinto si sono messe a urlare, a scappare per nascondersi;
   immediatamente alcuni agenti di polizia hanno inseguito il ragazzo afgano e quando stavano ormai per raggiungerlo, quest'ultimo si è sparato un colpo alla testa davanti alla chiesa della Madonna del Rosario ed è deceduto poche ore dopo all'ospedale;
   Naseri Mohammad Gul si trovava in questura per il rinnovo del permesso di soggiorno scadutogli l'11 marzo 2014 poiché era in attesa dell'esito della domanda di protezione internazionale presentata il 12 ottobre 2013;
   ieri a Trieste si è sfiorata la strage, evitata solo per un fortuito caso, ossia perché l'arma sottratta all'agente aveva la sicura, così come è d'obbligo, e perché solo di fronte alla Chiesa del Rosario l'afgano, maneggiando disperatamente l'arma, è infine riuscito a innescarla a renderla offensiva, facendo partire prima un proiettile a mezz'aria, rimbalzato contro la facciata della chiesa, senza fortunatamente ferire nessuno, finché ha rivoltato l'arma e ha sparato a se stesso;
   Naseri Mohammad Gul era già noto per la sua pericolosità, essendo stato protagonista di precedenti aggressioni: una il 25 febbraio scorso, quando aveva aggredito, senza motivo, un operatore dell'Ics e un'altra il 27 febbraio quando con un oggetto contundente aveva ferito alla mano un operatore, che ha avuto 30 giorni di prognosi per le ferite riportate;
   con riguardo al sistema di accoglienza, a Trieste la situazione è ormai insostenibile, poiché a fronte dei 70 posti per rifugiati gestiti da prefettura, comune e Ics con fondi statali pare che il flusso di giovani afghani verso l'Italia sia aumentato a tal punto che ad oggi Trieste sta ospitando ben 254 persone;
   negli ultimi due anni, e soprattutto negli ultimi mesi, si è assistito a un aumento esponenziale degli ingressi clandestini nel nostro territorio, cui conseguono un aumento delle richieste, anche fittizie, di protezione internazionale, quale titolo per poter rimanere nel nostro paese, e dei costi socio-sanitari collegati al sistema di accoglienza;
   secondo recenti dati forniti dal Ministero dell'interno, dopo l'allarme della seconda metà del 2013, anche nel 2014 sta continuando l'ondata di arrivi sulle coste italiane e solo nei primi 30 giorni dell'anno sono 2.156 i clandestini sbarcati, con un aumento del 325 per cento in più rispetto al 2012;
   dati i numeri sopra esposti e considerati i sempre più frequenti casi di extracomunitari, clandestini o che hanno avviato la procedura per la richiesta di protezione internazionale, che liberamente circolano nelle nostre città e i rischi a cui sono esposti i nostri cittadini, si impone una rivisitazione delle attuali norme in materia di immigrazione, flussi e richiedenti asilo, con regole più dure e maggiori restrizioni;
   non è più accettabile mettere così a rischio la sicurezza dei nostri cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza del gravissimo fatto accaduto a Trieste, quali misure intenda porre nell'immediato per contrastare l'immigrazione clandestina e ad oggi sempre più incontrollata nel nostro Paese, se non ritenga opportuno bloccare i flussi e rivedere le regole in materia di richiedenti asilo in senso più rigoroso e restrittivo rispetto al sistema attuale, quali azioni ritenga opportuno avviare anche a livello europeo, e se non ritenga opportuno vigilare, affinché vengano effettivamente applicati anche gli altri criteri per stabilire la competenza degli Stati per le domande di asilo previsto dal regolamento di Dublino III, in particolare non solo il Paese di ingresso ma i legami e i vincoli di parentela con stranieri residenti in altri paesi dell'Unione europea. (4-04026)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia del barbaro omicidio di un giovane nella Capitale, avvenuto in circostanze davvero assurde;
   secondo quanto riportato dalle cronache locali e nazionali, nella serata del 16 febbraio 2014, Carlo Macro e suo fratello, che stavano rientrando a casa dopo una serata passata con amici, decidevano di fermarsi lungo una strada che porta al Gianicolo, proprio accanto a una roulotte apparentemente abbandonata;
   la musica dell'autoradio svegliava, però, l'indiano che viveva nella roulotte e che usciva in strada per lamentarsi della musica;
   l'indiano ha colpito Carlo con un cacciavite di 30 centimetri che gli perforava il polmone;
   mentre il fratello, sotto choc, caricava Carlo Macro in auto e sfrecciava verso l'ospedale, dove però il ragazzo arrivava senza vita, l'indiano Joseph White Klifford tornava a letto, incurante dell'accaduto;
   secondo le prime indiscrezioni, l'indiano, arrestato poco dopo l'aggressione dai militari con l'accusa di omicidio, sarebbe addirittura irregolare sul territorio italiano e avrebbe anche alcuni precedenti per lesioni e infrazioni alla legge sull'immigrazione;
   si tratta solo dell'ultima tragedia che dovrebbe far riflettere sulla fin troppo tollerata presenza sul suolo nazionale di clandestini che oltre a delinquere si rendono responsabili di omicidi assurdi e di violenza inaudita;
   secondo gli ultimi dati ufficiali dello stesso Viminale, aggiornati al 2008, più di un terzo dei reati è commesso da cittadini stranieri irregolari: 12 clandestini al giorno ammazzano, commettono violenze su donne o stuprano;
   proprio a fine gennaio 2014 è stato abolito il reato di clandestinità trasformandolo in illecito amministrativo e prevedendo l'espulsione del clandestino che, solo in caso di rientro in Italia, commetterebbe reato;
   tale situazione, che genera da anni degrado nelle nostre città e insicurezza per i cittadini, rimane un problema serio che potrebbe aggravarsi proprio a seguito delle ultime novità normative volte alla depenalizzazione del reato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e del perché l'aggressore Joseph White Klifford, nonostante i precedenti e lo status di immigrato clandestino, fosse ancora sul territorio italiano;
   se emergano responsabilità nei gravi fatti accaduti e quali siano i dati aggiornati sul fenomeno all'immigrazione clandestina. (4-04032)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da una circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, a firma del direttore degli affari generali della Polizia di Stato, si apprende che, vista l'attuale congiuntura economica, è allo studio «una riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine»;
   in particolare, il progetto di razionalizzazione e chiusura vede coinvolti ben 261 presidi su tutto il territorio nazionale: le previsioni di chiusura riguardano 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di pubblica sicurezza, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni/sotto sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni Sommozzatori, 50 squadre nautiche, oltre agli accorpamenti e rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito gradale, Ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   fortemente colpita da questo scellerato «progetto», se confermato, sarebbe la zona dei Castelli romani con la soppressione dei commissariati di Colleferro, Genzano di Roma e Frascati;
   si tratta di aree con un'ampia densità di popolazione e, purtroppo, con un'incidenza di criminalità anche di tipo mafiosa e camorrista molto alta;
   tali sconcertanti decisioni toccano la vita di numerosi cittadini specie in un momento in cui, proprio nei Castelli Romani, si assiste a un aumento dei furti nelle abitazioni e di rapine e, pertanto, più forte appare la necessità di un capillare controllo del territorio;
   da sempre il commissariato di polizia di Genzano di Roma è un punto di riferimento per i cittadini, presidio che quotidianamente garantisce sicurezza, tutela e presenza in un territorio che interessa, oltre il comune di Genzano di Roma, anche Nemi e Lanuvio per un bacino di oltre 40 mila abitanti;
   molteplici sono gli interventi e le indagini fondamentali che il commissariato ha portato avanti negli anni, a testimonianza dell'importanza di questo presidio e a dimostrazione del fatto che non si può e non si deve privare il territorio di una struttura così rilevante e basilare per la sicurezza dei cittadini;
   tali drastiche misure sguarnirebbero i territori di presidi importanti dello Stato e potrebbero portare a conseguenze devastanti, soprattutto in un periodo di crisi economica e sociale quale quella attuale che aumenta il tasso di criminalità aggiungendo il motivo della disperazione;
   anche in questa occasione il Governo ha dimostrato di non considerare le grandi professionalità del personale della polizia di Stato: ferma restando l'opportunità di una riorganizzazione volta ad efficientare le risorse economiche, infatti, quelle che vanno preservate sono la professionalità, le competenze e le capacità di moltissimi operatori delle forze dell'ordine che questa professionalità e queste competenze le hanno acquisite, sostenendo numerosi corsi di formazione e naturalmente in moltissimi anni di duro lavoro sul campo;
   ciò è ancora più evidente, poi, per le squadre nautiche e le sezioni di Sommozzatori, come anche per gli artificieri, che, per la loro preparazione specifica e loro competenze, risulterebbero particolarmente penalizzati e sottoutilizzati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda rivedere suddetto progetto di drastica riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini, nonché quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per scongiurare, in particolare, il rischio di soppressione del commissariato di polizia di Genzano, anche attraverso risparmi sulle sedi utilizzando, ad esempio, gli spazi pubblici spontaneamente offerti dai comuni. (4-04034)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali, nella giornata del 21 febbraio 2014 si sarebbe verificato un grave episodio di violenza che ha riguardato l'assessore alle politiche sociali e un consigliere del comune di Salerno;
   come descrivono le cronache, l'assessore comunale Nino Savastano, che stava passeggiando sul lungomare insieme al suo amico consigliere Luigi Bernabò, è stato avvicinato con fare aggressivo da un estraneo che gli si è riversato addosso, prima usando parole offensive e poi tentando di aggredirlo anche fisicamente;
   ad impedire l'aggressione fisica, dinanzi allo sguardo di automobilisti e passanti, sarebbe stato il passaggio di una volante in servizio di controllo sul territorio, che ha raccolto subito dopo la denuncia dell'assessore;
   su quanto accaduto nella tarda mattinata sul lungomare sono in corso indagini da parte della questura di Salerno per cercare di ricostruire innanzitutto l'accaduto, ma anche per individuare aggressore e movente;
   tra le ipotesi al vaglio della polizia ci sarebbe la possibilità che, ad aggredire l'assessore, possa essere stato uno degli inquilini delle case di via Capone al Rione Calcedonia, di recente trasferiti dal comune in altre abitazioni: si tratta di persone senzatetto del post terremoti ai quali, ma solo per quanti ne hanno titolo, sono stati assegnati nuovi alloggi popolari, ma tra questi ci sarebbero alcuni che non avrebbero maturato alcun diritto e per loro il trasferimento si sarebbe trasformato in uno sfratto;
   non si esclude, però, che la motivazione dell'aggressione possa trovarsi in un incontro avuto una decina di giorni prima da Savastano con un gruppo di giovani di Salerno Pulita che avanzavano pretese lavorative in maniera chiassosa e con le quali l'assessore avrebbe avuto uno scontro dialettico piuttosto acceso;
   secondo le cronache, si starebbe valutando anche l'ipotesi che l'episodio possa essere ricondotto a questioni di carattere personale;
   già due anni fa Savastano era stato protagonista di un altro episodio simile, legato all'affissione di manifesti politici;
   ad avviso dell'interrogante, sono sempre più numerosi i casi di violenza che si verificano a danno di esponenti politici ed al contempo dell'immagine della stessa città di Salerno, in un quadro di pericoloso inasprimento del confronto politico che non si addice affatto al principio del rispetto della democrazia;
   la crisi economica si fa sempre più pesante e gli scenari più temuti sono propri quelli degli atti di singoli esasperati che quasi sempre colpiscono obiettivi sensibili come sedi politiche, istituzionali o persone aventi cariche pubbliche –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, atteso il ruolo di assessore comunale della vittima, se risulti la matrice dell'aggressione. (4-04035)


   DE MITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 28 agosto del 2011 Carmine Maurizio Festa venne ferito alla gola con una bottiglia rotta in Viale Gorizia, nella zona dei Navigli di Milano;
   come risulta da numerosi quotidiani nazionali, l'agguato fu feroce e quasi certamente immotivato, e comportò ferite molto gravi, mettendo a serio repentaglio della vita la persona aggredita;
   Festa fu ricoverato d'urgenza in codice rosso presso il pronto soccorso dell'Humanitas di Rozzano, ove fu sottoposto ad una trasfusione di tre litri e mezzo di sangue;
   in data 8 marzo 2014 il quotidiano nazionale la Repubblica pubblicava in prima pagina una lettera scritta da Carmine Maurizio Festa al direttore Ezio Mauro, ove si riporta con dovizia di particolari il terribile evento;
   in questa stessa lettera Festa denuncia prima di tutto l'indifferenza di alcuni testimoni, riportando peraltro che un individuo continuava a filmare la scena, cedendo poi le immagini alle televisioni, invece di procedere al soccorso della persona aggredita;
   nonostante il risalto dato alla stampa, i rappresentanti delle istituzioni locali, in particolare il sindaco Pisapia, hanno mancato di esprimere la loro solidarietà o quantomeno di commentare la vicenda;
   nella suddetta lettera si può desumere che le indagini abbiano subito evidenti rallentamenti, soprattutto in merito alla definizione di un identikit degli indagati, nonché alla trasmissione delle immagini fotografiche dei sospetti alla compagnia dei carabinieri di Avellino, ove l'aggredito era tornato temporaneamente a risiedere, da parte della compagnia di Milano;
   solo dopo quattro mesi dopo l'accaduto, fu inviato al RIS di Parma il materiale video di telecamere di sorveglianza ove sono ripresi gli aggressori –:
   se sia a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative intenda assumere per potenziare le misure volte a garantire l'ordine pubblico nella città di Milano e per favorire, per quanto di competenza, lo svolgimento delle indagini sull'aggressione di cui in premessa. (4-04036)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante, la sezione di Rieti della Polizia postale è stata inserita in una bozza di provvedimento avente ad oggetto la revisione e riduzione dei presidi di polizia in tutta Italia;
   la sezione in questione, composta di sole 7 (sette) unità, svolge una preziosa e complessa attività di contratto al crimine telematico, il quale è in costante espansione nel Paese;
   al riguardo, un Paese che ambisca ad essere competitivo sul piano internazionale dovrebbe essere in grado di garantire — specie agli occhi delle realtà imprenditoriali che vi vorrebbero investire — un'adeguata tutela della privacy e un utilizzo sicuro della rete;
   il lavoro della sezione reatina della polizia postale ha sempre mirato a questi ultimi due obbiettivi, occupandosi in maniera esclusiva della repressione di reati commessi on-line, quali lo stalking, il phishing, furti d'identità digitale, truffe su acquisti on-line, attacchi informatici ad enti pubblici e privati, pedopornografia, e altro;
   i costi di tale sezione non sono tali da giustificare ulteriori tagli di spesa, posto che le risorse per i mezzi telematici, per la sede e per i veicoli di servizio sono completamente a carico della società poste italiane spa;
   la soppressione di tale sezione andrebbe, quindi, ad esclusivo danno della cittadinanza, essendo palesemente illogica e irragionevole –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se il Ministro, di concerto con le conferenti sigle sindacali, non ritenga opportuno adottare le opportune misure affinché da un lato la sezione di Rieti della polizia postale non venga chiusa, e dall'altro siano rimodulati i criteri che governano la revisione dei presidi di polizia. (4-04037)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate del 2011 l'ex magistrato Michele Del Gaudio ha inviato un dossier di 4 pagine inviato al prefetto di Napoli e al procuratore della Repubblica di Torre Annunziata avente ad oggetto un'istanza di scioglimento del consiglio comunale oplontino;
   l'istanza punta il dito contro la presenza nella giunta di Ciro Alfieri, in passato sotto processo per gravi reati proprio contro la pubblica amministrazione, e del vicesindaco Tommaso Solimeno, coinvolto in un abuso edilizio;
   inoltre, la maggioranza in consiglio comunale presenta, tra le altre, figure quali Domenico Iapicca, finito nei verbali del pentito Migliorino, e Francesco Donadio, comunque toccato dalla tangentopoli oplontina, tanto che fu allontanati dal suo partito;
   secondo Del Gaudio, l'amministrazione guidata dal sindaco Starita sarebbe nata dall'estromissione di Luigi Monaco, che ha sempre associato tale avvenimento con la sua strenua resistenza all'ingresso in giunta dell'Alfieri, diventato con Starita uomo forte dell'amministrazione, con sostanziosi bilanci per ii suo assessorato alle politiche sociali;
   Del Gaudio descriveva nel suo dossier una serie di episodi incresciosi avvenuti durante le prime fasi di quell'amministrazione comunale, a partire dalle improvvise dimissioni del consigliere comunale Polimeno con le voci di intimidazioni rivolte alla sua famiglia con lo scopo di consentire il subentro del primo dei non eletti, Domenico De Vito per arrivare alle minacce al consigliere Pierpaolo Telese, dallo scoppio di un grosso petardo davanti al negozio del fondatore del Comitato cittadini torresi alle dimissioni del segretario comunale Carmosino, ritirate non prima di aver lanciato pesanti accuse attraverso i giornali, sui quali si leggono intercettazioni che collegano consiglieri comunali con il consigliere regionale Conte, arrestato per camorra;
   il prefetto ha subito interessato le forze dell'ordine per ogni utile necessario approfondimento;
   si sono poi aggiunte altre vicende anche dopo le elezioni del 2012, tanto che il Ministro dell'interno ha delegato il prefetto ad esercitare i poteri di accesso ed accertamento;
   il 27 marzo del 2013 erano stati inviati tre commissari, che ad agosto hanno presentato una relazione in merito;
   dopo l’iter di legge il 7 novembre il Ministro ha decretato la conclusione del procedimento per insussistenza dei presupposti per lo scioglimento;
   Del Gaudio ha evidenziato come i commissari si fossero espressi per l'epilogo dell'assembleare;
   il prefetto ha presentato al sindaco delle raccomandazioni, relative principalmente ai mancati abbattimenti degli abusi edilizi ed ai lavori di piazza San Luigi nel rione carceri, trasformato di fatto in un cortile privato;
   a quanto pare, però, queste non sarebbero le uniche raccomandazioni consegnate dal prefetto a Starita: ci sarebbe una seconda lista, che il sindaco non ha potuto condividere e che tiene riservata;
   da alcune indiscrezioni in quella lista si parlerebbe anche di una serie di appalti ed incarichi che l'ente avrebbe dato dal 2007 al 2009;
   l’ex magistrato Del Gaudio ha scritto in merito un esposto alla procura della Repubblica di Torre Annunziata, chiedendo un'indagine sul mancato scioglimento del consiglio comunale per condizionamento camorristico;
   secondo Del Gaudio vi sono dubbi riguardo le divergenze fra relazione commissariale, prefettizia e decreto ministeriale, privo di motivazione, rimessa al richiamo all'atto del prefetto, i cui recenti precetti avvalorano proprio l'ipotesi della posizione sfavorevole da parte dei funzionari;
   se così non fosse il prefetto li avrebbe smentiti, avvalendosi di ulteriori ed antitetiche indagini, allegate al suo rapporto al dicastero;
   se invece non avesse compiuto altre verifiche, avrebbe dedotto l'inverso dagli atti della commissione;
   se infine vi si fosse uniformato, optando per lo scioglimento, il Ministro si sarebbe basato su dati in suo possesso differenti da quelli dei commissari, oppure avrebbe deciso in contrasto con gli elaborati prefettizi, pur richiamandoli, senza contraddirli, nel suo provvedimento;
   il cambiamento della giunta non può sanare una eventuale, costante e documentata, dipendenza mafiosa, né può la sostituzione di un assessore assolvere una pressoché intera classe politica;
   la prefettura non sembra convinta dell'assenza della piovra, tanto che ha sollecitato pubblicamente provvedimenti di chiaro significato anticamorristico e ne avrebbe richiesti altri attraverso un secondo documento riservato;
   già nel luglio del 2013 l'interrogante aveva presentato l'interrogazione a risposta scritta 4-01193 nella seduta n. 49 di martedì 9 luglio 2013 segnalando, tra l'altro, che nel luglio 2011 il dirigente dell'ufficio tecnico comunale, ingegner Corrado Orrico, era stato rimosso dal suo incarico, e successivamente, dopo aver presentato un esposto alla procura della Repubblica di Torre Annunziata, avevo rilasciato un'intervista a organi di stampa locale denunciando sprechi di risorse pubbliche e interferenze continue ed anomale nella gestione dei lavori pubblici da parte di componenti della giunta comunale, come riportato da MetropolisWeb il 31 luglio dello stesso anno nell'articolo «Torre Annunziata, bufera politica per il caso-Orrico»;
   l'interrogante avevo segnalato anche come nel settembre 2012, durante un'operazione di controllo nel quartiere Penniniello di Torre Annunziata fosse stato rinvenuto presso l'abitazione di un presunto boss di un clan camorristico uno dei centinaia di pacchi alimentari distribuiti dal comune di Torre Annunziata, in particolare dall'assessorato alle politiche sociali, delega affidata a Ciro Alfieri, alle famiglie disagiate, come racconta MetropolisWeb nell'articolo datato 30 settembre 2012 «Torre Annunziata, scoperta-choc nei santuari della camorra: i pacchi spesa del Comune a casa dei boss»;
   nell'interrogazione si raccontava anche come nell'aprile 2013 l'ex presidente del consiglio comunale e consigliere regionale in carica, Raffaele Sentiero, fosse stato oggetto di un provvedimento cautelare dell'autorità giudiziaria per l'accusa di truffa aggravata nell'utilizzo di denaro pubblico, erogato per attività di comunicazione o comunque a carattere istituzionale e utilizzato per soddisfare spese di natura personale, come riporta l'edizione napoletana del quotidiano La Repubblica del 4 luglio 2013 nell'articolo «Regali e giocattoli, scandalo in Regione»;
   nell'interrogazione si chiedeva al Ministero di esaminare, non appena acquisita, la relazione definitiva della commissione d'accesso di Torre Annunziata ed assumere quindi le iniziative indispensabili a pervenire eventuali forme di condizionamento degli amministratori che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi alla stessa affidati, anche promuovendo lo scioglimento ex articolo 143 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali;
   a tale interrogazione non è ancora stata data risposta;
   i fatti narrati in aggiunta a quanto riportato nella precedente interrogazione sono riportati anche nell'articolo «Torre Annunziata. Prescrizioni del Prefetto, c’è l'esposto» pubblicato dal quotidiano online Metropolis il 7 marzo 2014, nell'articolo «Torre Annunziata, Del Gaudio chiede una indagine sul mancato scioglimento del Consiglio comunale» pubblicato dal quotidiano online La Voce Sociale il 6 marzo 2014 e nell'articolo «Allarme di un ex magistrato: «A Torre Annunziata condizioni per lo scioglimento» pubblicato dal quotidiano online Metropolis il 7 agosto 2011 –:
   se risponda a verità l'esistenza di una seconda lista di raccomandazioni consegnata dal prefetto al sindaco di Torre Annunziata in via privata;
   quali motivazioni abbiano portato il prefetto a non rendere pubblico questo documento, laddove esista;
   se non ritenga doveroso rendere pubblico il documento consegnato in via privata dal prefetto al Sindaco Starita, a meno che tale scelta non sia stata motivata da questioni di sicurezza o ordine pubblico. (4-04040)


   FAENZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto esposto da alcuni consiglieri comunali di Siena, il Ministro interrogato, nell'ambito di un piano nazionale di revisione e razionalizzazione degli organici, sarebbe intenzionato alla soppressione di alcuni presidi di polizia ubicati nella medesima città, in particolare le sezioni della polizia ferroviaria e della polizia postale;
   l'ipotesi di chiusura dei distretti, è stata anche paventata dalle organizzazioni sindacali di categoria, che hanno manifestato la contrarietà della soppressione dei servizi, i cui effetti oltre a determinare il relativo trasferimento del personale, rischiano di provocare conseguenze negative sulla tutela dei cittadini e la sicurezza del territorio interessato;
   le linee guida del progetto di razionalizzazione e soppressione dei presidi senesi, rientrano all'interno di un più ampio piano di dismissione nazionale che, secondo quanto sostenuto dal vice capo vicario della polizia, nel corso di un incontro con la delegazione dell'amministrazione comunale e promosso dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, prevede la chiusura di 75 presidi della polfer e altrettanti della polizia postale, attraverso una riorganizzazione su base regionale;
   l'interrogante segnala che nonostante le rassicurazioni espresse dal sindaco di Siena, il quale ha evidenziato nel corso della medesima riunione, come nell'anno 2013, la provincia senese sia stata caratterizzata per un elevato indice di sicurezza, occorre ciononostante porre in essere ogni iniziativa, nell'eventualità fossero confermate le soppressioni dei presidi senesi suindicati, volta ad evitare tale progetto di smantellamento in chiave meramente ragionieristica, che non considera le esigenze di determinati ed importanti presidi territoriali strategici;
   la polfer che opera presso la stazione di Siena, riveste infatti un ruolo importante ed efficace, i cui molteplici compiti compreso il controllo effettuato nei treni e sulla rete dei binari, sui quali grava il rischio perdurante dei furti di rame, che di recente hanno subito un ulteriore aumento, delineano la delicata missione nello svolgimento delle competenze nell'ambito della sicurezza nelle stazioni ferroviarie e a bordo dei treni;
   la polizia ferroviaria, svolge inoltre compiti di assistenza nei riguardi dei numerosi passeggeri, che transitano quotidianamente presso la stazione senese e considerando la prossima realizzazione del terminal autobus nella medesima area circoscritta, avvalora ulteriormente la necessità a parere dell'interrogante, di preservare il servizio e la struttura operativa svolta dal medesimo reparto di pubblica sicurezza, in caso di dismissione del presidio;
   secondo quanto rilevato dalle organizzazioni sindacali, nel corso dell'incontro in precedenza riportato, è emerso fra l'altro uno scenario complessivamente insufficiente da parte dell'amministrazione del Ministero interrogato, nell'ambito del progetto di riorganizzazione degli uffici territoriali della polizia di Stato, con riferimento alle mancate garanzie nei riguardi delle tante specifiche professionalità acquisite nel corso degli anni da parte delle unità preposte alla tutela dei cittadini e alla sicurezza del territorio senese, intenzionate ad essere riallocate altrove;
   il confronto tra i soggetti interessati, si è concluso con la decisione di un incontro stabilito il prossimo 20 marzo, con il Ministro interrogato, sia per definire con maggiore chiarezza le intenzioni dell'amministrazione interessata in ordine alle soppressioni degli uffici di polizia a Siena, che nell'ambito dello sblocco delle retribuzioni e dei diritti di progressione economici sollecitati dalle organizzazioni sindacali della polizia di Stato peraltro da diversi anni;
   l'interrogante segnala come le tendenze di ridimensionare i servizi di tutela e di sicurezza nei confronti della comunità cittadina e del territorio senese, siano state già evidenziate nel corso di un precedente atto di sindacato ispettivo n. 4-01819 presentato la scorsa legislatura, all'interno del quale si segnalavano gli effetti negativi delle discutibili scelte del questore di Siena, nell'impiego della riduzione del cosiddetto poliziotto di quartiere, chiamato a sopperire le esigenze causate dalla diminuzione del personale presso i corpi di guardia;
   a giudizio dell'interrogante in considerazione di quanto esposto, appare evidente come necessitano una serie di precisazioni da parte del Ministero interrogato, finalizzate ad indicare le reali intenzioni sul piano di riorganizzazione delle forze di polizia operanti nella città di Siena ed in particolare, sul mantenimento degli uffici –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare, la soppressione degli uffici della polfer presso la stazione di Siena e della polizia postale;
   in caso affermativo, se non convenga che tale decisione possa determinare effetti negativi e penalizzanti, nell'ambito dei servizi di vigilanza e di tutela per la città di Siena, in particolare con riferimento alla complessa attività dei servizi svolti dalla polfer nella stazione ferroviaria;
   come intenda infine, riorganizzare i presidi di polizia nella città di Siena a seguito delle decisioni di revisione della spesa pubblica, sia con riferimento alla riallocazione del personale, che nell'ambito dei livelli di sicurezza per il territorio, che nel caso della riduzione degli uffici, a giudizio dell'interrogante, risulterebbero insufficienti. (4-04041)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIMÌ, COSCIA, COVA, MARIASTELLA BIANCHI, ROTTA, MALPEZZI, RUBINATO, ZARDINI e NACCARATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n.104 del 12 settembre 2013, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, con l'articolo 21 ha modificato il decreto legislativo n. 368 del 1999 introducendo la graduatoria nazionale e la commissione unica per l'esame di specializzazione medica;
   il medesimo provvedimento prevede, sempre all'articolo 21, un riordino e la riduzione della durata delle scuole di specialità con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, università e ricerca da emanarsi, sentito il Ministro della salute, entro il 31 marzo 2014;
   il decreto ministeriale per l'istituzione dell'esame nazionale di specialità è stato sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato, che ha espresso un parere favorevole con osservazioni, firmato dal Ministro uscente ed è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
   i medici neo abilitati che parteciperanno al concorso di accesso alle scuole di specializzazione necessitano in tempi celeri di conoscere il programma di studio per orientare la loro preparazione, a maggior ragione visto che si cimenteranno per la prima volta col nuovo sistema di selezione;
   i medici iscritti alle scuole di specializzazione di area sanitaria attendono il decreto di rimodulazione del percorso formativo e della riduzione della durata delle scuole di specialità –:
   quali misure intenda adottare il Ministro per selezionare a breve termine l'ente terzo generatore dei quesiti e per rendere nota al più presto la bibliografia ai giovani medici affinché possano prepararsi all'esame;
   quali misure intenda adottare il Ministro per non disattendere la data entro cui deve essere emanato il decreto di riordino e riduzione della durata delle scuole. (5-02369)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi anni, in cui termini come «precariato» e «disoccupazione» riempiono gli spazi dei quotidiani nazionali, particolarmente delicata e preoccupante è la situazione in cui versa il sistema scolastico italiano e il personale docente;
   da ultimo, basti considerare la vicenda di quanti hanno partecipato all'ormai tristemente noto concorso a cattedre, indetto con DDG n. 82 del settembre 2012, che dopo aver superato una selezione durissima e collocatisi in posizione utile rispetto al numero dei posti banditi, avrebbero dovuto risultarne vincitori;
   il condizionale è d'obbligo nel momento in cui, a fronte di un DDG che più di un anno fa bandiva, con grande risonanza, un concorso selettivo su base regionale per la copertura di 11.542 posti a cattedra e che per molti insegnanti, già abilitati ma precari, costituiva un'occasione in più per stabilizzare la propria posizione, tali vincitori si ritrovano ad oggi nell'incertezza paradossale di aver partecipato a una gara senza premi;
   in particolare, il MEF prima e solo successivamente, dopo che erano già avvenute le prime assunzioni da concorso, il decreto ministeriale del 30 agosto 2013 autorizzavano l'assunzione di sole 11.268 unità di personale docente ed educativo, suddivise a metà tra le graduatorie ad esaurimento e quelle del concorso;
   ridimensionati in questo modo i posti banditi dal decreto n. 82, per l'anno scolastico in corso è stato convocato dalle graduatorie di merito un numero di vincitori irrisorio, subordinato ai posti «effettivamente vacanti» e al «numero massimo dei posti messi a bando»: nessun comunicato sembra chiarire, però, se i posti banditi saranno assorbiti nella loro totalità e in che tempi;
   i numeri definitivi sono drastici: sui posti messi a bando, meno del 30 per cento è stato assunto e degli altri non si sa nulla di certo;
   degli 11542 candidati vincitori che hanno maturato il diritto all'assunzione, appena 3255 sono stati immessi in ruolo a settembre scorso e a livello regionale i numeri destano ancora più sconcerto: a solo titolo di esempio, per la scuola primaria in Puglia ci sarebbero state solo 25 immissioni in ruolo, a fronte dei 284 posti messi a concorso e in Campania 30 immissioni, a fronte di 360 posti a concorso;
   in altre regioni, come Lazio, Sicilia e Toscana, non tutte le procedure concorsuali sarebbero state addirittura completate in tempo utile per permettere le prime immissioni in ruolo nel corrente anno scolastico;
   è assurdo pensare che tale situazione, ad oggi così critica, possa derivare da grossolani errori compiuti nella previsione della disponibilità di posti da mettere a concorso;
   a parere dell'interrogante, una deroga ai posti di sostegno da assegnare al concorso avrebbe trovato una legittimazione logica nel fatto di poter contribuire allo sfoltimento delle graduatorie in affanno, ma soprattutto una legittimazione normativa nel fatto che il testo unico (decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) stabilisce che le assunzioni vadano ripartite al 50 per cento tra graduatorie ad esaurimento e graduatorie concorsuali;
   se è vero che ci sono stati errori nella programmazione dei posti disponibili, non si comprende perché questa situazione debba penalizzare le graduatorie del concorso a favore delle graduatorie ad esaurimento;
   ancora una volta quello che dovrebbe essere il motore della scuola, il corpo docente, viene trattato dallo Stato come materiale di scarto;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità e urgenza degli stessi, quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per garantire l'immissione in ruolo, in via prioritaria entro il biennio decorrente dall'anno scolastico in corso (articolo 1, comma 1 del bando) o entro al massimo un triennio, di tutto il contingente previsto dal DDG. n. 82 del 2012, utilizzando le graduatorie definitive con l'espressa indicazione dei vincitori (articolo 13, comma 2) nonché per garantire la proroga delle graduatorie di merito, come disposto dal testo unico (articolo 400, comma 17). (4-04021)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 della legge n. 124 del 1999 ha previsto il trasferimento allo Stato delle funzioni amministrative di pulizia e di igiene dei locali e di vigilanza nelle scuole statali sino ad allora svolte dagli enti locali, effettuando il transito nei ruoli statali del personale che svolgeva tali funzioni;
   nei comuni e nelle province in cui le suddette funzioni erano svolte a mezzo dei cosiddetti «appalti storici» da personale ex LSU con contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto direttamente con l'ente locale ovvero impiegato in consorzi, si è determinato il subentro passivo dello Stato sia nei contratti di servizio degli appalti storici, sia nei contratti individuali stipulati con i singoli LSU, avviando la proroga dei contratti in attesa del completamento della gara europea per l'assegnazione dei nuovi appalti, indetta secondo le regole di evidenza pubblica e curata dalla Consip –:
   se si intenda attivare, per quanto di competenza, affinché il personale coinvolto sia riassorbito dalla società vincitrice dell'appalto indetto dalla Consip. (4-04024)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   recenti richieste di pronunce pregiudiziali avanzate alla Corte di giustizia dell'Unione europea dalla Corte costituzionale (v. GUCE, C 313/7 del 26/10/2010) e dal tribunale di Napoli (v. GUCE, C 141/11 del 18/05/2013) hanno evidenziato i problemi di conformità alla direttiva 1999/70 del Consiglio del 28 giugno 1999 sul lavoro a tempo determinato di leggi e pratiche amministrative del settore pubblico italiano che si assume non rispettino il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato;
   il rischio sta diventando più forte in relazione ad una situazione, in cui la discriminazione a carico di lavoratori a tempo determinato appare inequivocabilmente evidente, determinatasi con riferimento all'applicazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240, che prevede il reclutamento dei professori universitari di ruolo di prima e seconda fascia secondo una procedura in due fasi: una prima imperniata su concorsi pubblici di abilitazione nazionale ed una seconda imperniata su concorsi pubblici di chiamata da esperirsi dai singoli atenei;
   si è ora per la prima volta completato l'espletamento dei concorsi nazionali previsti da detta legge 240 del 2010. Quei concorsi hanno portato a conseguire l'abilitazione per la prima e la seconda fascia sia candidati già strutturati con un rapporto a tempo indeterminato (come professori associati o come ricercatori) sia candidati non strutturati legati ad un'università da contratti d'insegnamento a tempo determinato conclusi, uno dopo l'altro, anno per anno. L'articolo 24 di quella legge prevede che un singolo ateneo, con risorse ad hoc, apra concorsi per la chiamata di abilitati riservati a professori di seconda fascia e ricercatori in servizio in tale ateneo e non prevede che questo, con risorse proprie ad hoc apra concorsi riservati a docenti non strutturati ad esso legati da un contratto annuale ancorché ripetuto di anno in anno;
   è evidente che alla chiamata di questa categoria di docenti legati all'università da contratti a tempo determinato, che hanno ottenuto un'abilitazione sulla base di concorsi pubblici nazionali, non si può opporre il principio secondo cui un'amministrazione pubblica non può assumere senza concorso –:
   se non ritengano necessario che sia svolta un'attività di prevenzione della violazione della direttiva 1999/70 in via generale con riferimento a tutti i settori rientranti nel suo ambito di applicazione da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   cosa intendano fare, per quanto di competenza, affinché la legge n. 240 del 2010 sia applicata dagli atenei integrando quanto da essa previsto con il principio di non discriminazione espresso dalla direttiva 1999/70;
   quale attenzione stiano prestando alle procedure in corso di svolgimento, dati anche i rischi di condanna dell'Italia che si stanno profilando in ragione di procedure d'infrazione con cui la Commissione contesta al nostro Paese di non avere adottato misure atte a prevenire la violazione di detta direttiva. (4-04031)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO, INCERTI, GREGORI, CINZIA MARIA FONTANA, MAESTRI, PARIS, TARICCO, SIMONI, GIACOBBE, ZAPPULLA, BARUFFI, ALBANELLA, GIORGIO PICCOLO, CASELLATO e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di febbraio 2013 il consiglio di amministrazione Telecom Italia ha deliberato una riorganizzazione aziendale al fine di contenere i costi industriali e del lavoro («Piano di Impresa»);
   tale riorganizzazione riguarda particolarmente la divisione charing service (Call center «187»; «119»; «191») e prevede una forte razionalizzazione delle sedi territoriali con l'accentramento delle attività nelle città principali (Torino, Roma, Milano e altre), e la conseguente chiusura del servizio, nel corso del 2014 nelle 47 sedi minori in tutta Italia che alla data dell'accordo abbiano un numero di dipendenti inferiore a 46;
   nel suddetto piano di impresa, insieme alla riorganizzazione aziendale, è stata inizialmente prevista anche la societarizzazione della divisione charing service. A questo proposito in data 27 marzo 2013, l'azienda ha firmato con le organizzazioni sindacali SLC/CGIL, FISTEL/CISL, UILCOM/UIL una serie di accordi che prevedono, tra il resto, insieme al rinvio della societarizzazione, la possibilità di aderire al telelavoro domiciliare (TLV) per i lavoratori delle sedi decentrate in chiusura che non potessero o non volessero trasferirsi in quelle principali. Vengono in quella sede – ed in quelle successive – tuttavia esplicitamente esclusi rimborsi spese per trasferte dovute a ragioni di servizio o la corresponsione di alcun importo per il tempo impiegato a raggiungere la sede di lavoro;
   nell'accordo, viene altresì previsto anche il rinnovo per due anni del contratto di solidarietà. In applicazione di quest'ultimo è intervenuto un ulteriore accordo che prevede, nel caso dei call center suindicati, l'ulteriore riduzione dell'orario di lavoro e, conseguentemente, della retribuzione nella misura del 6,15 per cento;
   se da un lato queste misure hanno consentito per ora di evitare esuberi espliciti, dall'altro introducono ostacoli che potrebbero determinare effetti impliciti sull'effettiva convenienza o perfino possibilità materiale per i lavoratori di mantenere il posto di lavoro nelle nuove condizioni;
   in particolare, si segnalano i problemi di trasporto (specialmente quello pubblico locale, sia ferroviario che metropolitano, anche alla luce del forte ridimensionamento che si osserva in molti territori e delle distanze spesso non brevi – anche nell'ordine dei 100 chilometri e con tempi di percorrenza superiori ad 1 ora e 30 minuti) e di infrastruttura digitale (con abitazioni ubicate in zone spesso non adeguatamente servite da rete adsl) –:
   quali iniziative intenda intraprendere per quanto di competenza al fine del mantenimento di un impiego non oggetto di esubero alla luce delle problematiche descritte in premessa; (5-02376)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economia che oramai da tempo investe pesantemente l'economia italiana si sta riflettendo con particolare intensità sul tessuto imprenditoriale del Paese;
   sono molte le aziende italiane che, per contrastare gli effetti della crisi, hanno cessato la propria attività produttiva in Italia, o parte di essa, delocalizzando la produzione in altri Paesi, allo scopo di poter produrre a costi più bassi;
   tale fenomeno è particolarmente intenso per quanto concerne i servizi di call-center. Molte aziende di telecomunicazioni stanno infatti delocalizzando i suddetti servizi in Paesi esteri, disattendendo, in molti casi, quanto prescritto dalla vigente normativa in materia di obbligo di comunicazione preventiva di delocalizzazione dei servizi di call-center;
   sembrerebbe, infatti, che Mediaset non abbia rinnovato la commessa con Almaviva a Catania, trasferendosi in Albania, Sky ed altri grandi colossi delle telecomunicazioni, come Telecom Italia, continuano a delocalizzare attraverso outsourcing italiani le attività dei call-center all'estero, mentre a Milano una grande multinazionale di call-center, la Sitel Italy, avrebbe deciso di mandare in Serbia la commessa di HP, con relativo licenziamento di 114 lavoratori italiani; risulterebbe all'interrogante che addirittura ENI abbia delocalizzato attraverso call-center in outsourcing, attività in Romania, Albania e Croazia;
   a tal proposito, nel mese di febbraio 2014, la UGL Telecomunicazioni ha inviato una missiva al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al presidente dell'Autorità garante della privacy, per chiedere loro di verificare, quali soggetti competenti, se nei casi di delocalizzazione all'estero di attività di call-center venga correttamente applicato quanto disposto dall'articolo 24-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83;
   l'articolo 24-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, obbliga infatti le società che intendano spostare le attività di call-center fuori dal territorio nazionale, a darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, indicando i lavoratori coinvolti, nonché all'Autorità garante per la protezione dei dati personali;
   l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture, in riferimento ad un ricorso sulla gara di appalto indetta da Acea spa nel giugno 2013 per l'affidamento dei servizi di call-center e back office «da aggiudicarsi al prezzo più basso», ha giudicato possibile, e quindi legittimo, il caso che «un'impresa concorrente o aggiudicataria decida di stabilire in altro Paese dell'Unione europea la sede operativa del servizio allo scopo di ridurre i costi per la retribuzione del personale». Tali dichiarazioni, oltre a mettere a rischio la possibilità di creare nuovi posti di lavoro nel nostro Paese, rischiano anche di inficiare la qualità del servizio pubblico offerto ai contribuenti;
   l'economia italiana subisce gravi lesioni dal processo di delocalizzazione, il quale sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse produttive ed occupazionali presenti sul territorio;
   sarebbe, in ogni caso, utile capire se, in generale, il Ministro interrogato abbia approfondito in maniera adeguata il grave problema rappresentato dalla delocalizzazione dei servizi di call-center fuori dal territorio nazionale e quale sia il suo impatto sull'occupazione –:
   se il Ministro interrogato possa fornire dati certi in merito alle attività di delocalizzazione che hanno interessato, fino ad oggi, i servizi di call-center e se tali attività siano avvenute nel rispetto dell'obbligo di cui all'articolo 24-bis, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, anche a tutela dell'occupazione;
   quali ulteriori iniziative intenda adottare per scoraggiare l'adozione di comportamenti, come quelli descritti in premessa, che mettono a rischio la tenuta del sistema economico ed occupazionale del Paese. (4-04038)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10, reca, tra l'altro, disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale;
    la suddetta legge demanda alle regioni la raccolta dei dati risultanti dai censimenti operati dai Comuni e la predisposizione degli elenchi regionali degli alberi monumentali presenti nei loro territori da trasmettere al Corpo forestale dello Stato incaricato di gestire l'elenco degli alberi monumentali d'Italia –:
   quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 7 della legge di cui in premessa, in particolare se le regioni abbiano trasmesso al Corpo forestale dello Stato, gli elementi di loro competenza. (4-04022)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CINZIA MARIA FONTANA, LENZI e FRANCO BORDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Crema (CR) sta richiamando in questi giorni circa 3400 cittadini che dal 7 febbraio 2013 al 14 febbraio 2014, si sono sottoposti al test per misurare la concentrazione di paratormone (che regola i livelli di calcio) nel sangue (PTH), al fine di far ripetere il test ai soggetti coinvolti e rendere minimi i disagi per l'utenza;
   i kit utilizzati per il dosaggio del — sono prodotti dalla multinazionale Abbott Laboratories e forniti all'azienda ospedaliera di Crema dall'azienda Fora spa di Parma;
   la causa del richiamo è da ricercare nella possibilità di una sovrastima nei risultati del test PTH. Dalla nota emessa dalla ditta Abbott in data 12 febbraio 2014 — pubblicata sul sito del Ministero della salute — si viene a conoscenza che «in uno studio portato a termine nel gennaio 2014, utilizzando i lotti di reagenti e di calibratori attuali, i risultati dei pazienti hanno presentato una deriva media compresa tra circa il 13 per cento ed il 45 per cento se confrontati ai risultati di uno studio portato a termine nell'agosto del 2012. Tale deriva è stata rilevata in tutto il range analitico del dosaggio». Si rileva pertanto che «tutti i reagenti, calibratori e controlli attualmente disponibili sono affetti da tale problematica»;
   desta sconcerto e profonda preoccupazione il fatto che sia trascorso un intero anno prima che la ditta produttrice si sia accorta di questa vicenda, che rischia oltretutto di coinvolgere tutti i laboratori italiani e stranieri che hanno utilizzato il kit nel periodo sopra indicato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto avvenuto presso l'azienda ospedaliera di Crema e quali misure intenda adottare o abbia già adottato, non solo in relazione al caso specifico ma su tutto il territorio nazionale, per verificare l'impatto legato ai problemi — sia di sicurezza sanitaria che di danno economico — dovuti all'utilizzo del kit in questione per il dosaggio del paratormone. (5-02373)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati», il Parlamento, ammettendo una responsabilità pubblica, ha riconosciuto un sostegno economico a quei cittadini resi fisicamente o psichicamente menomati;
   negli anni passati era invalsa presso il Ministero della salute una prassi pregiudizievole per il soggetto danneggiato, consistita nel pronunciarsi sui ricorsi ex articolo 5 di tale legge, procedendo nel merito alla riforma in peius del provvedimento emanato dalla CMO, anche su parti non oggetto di specifica impugnativa da parte del ricorrente;
   sul punto si è espresso nettamente il Consiglio di Stato il quale, con delibera n. 5/2012 del 9 gennaio 2012, ha riconosciuto che: «Il Ministero ha solo il potere di valutare la fondatezza o meno delle censure rivolte dal ricorrente, limitando la propria cognizione ai punti e ai capi che sono coinvolti» e che «tenuto conto che il Ministero è privo del potere di sindacare la discrezionalità tecnica della Commissione in sede di erogazione dell'indennizzo, non si capisce come tale potere possa essergli concesso in sede di decisione del ricorso dell'interessato al di fuori dell'ambito da esso devoluto»;
   secondo tale parere del Consiglio di Stato, infatti, il principio generale della corrispondenza tra chiesto e pronunciato non può in alcun modo essere posto in discussione;
   in tal senso, sono altresì significativi i numerosi interventi di denuncia degli anni scorsi, sia in Commissione affari sociali che in Aula, per tale specifica questione (fra gli altri quelli dell'onorevole Duilio);
   si ritiene, pertanto, che la citata prassi ministeriale abbia col tempo compromesso parzialmente la volontà del legislatore;
   in data 7 novembre 2013, il Sottosegretario di Stato alla salute, Paolo Fadda, in parte della sua risposta all'interrogazione n. 5-01391, affermava che: «[...] gli Uffici competenti del Ministero della salute, appena acquisito il citato parere del Consiglio di Stato [...], hanno da quel momento, modificato l'espletamento dei criteri di valutazione delle istanze, adeguando gli stessi alle nuove indicazioni del Consiglio di Stato. Decidendo nel contempo di non dover rivedere anche i provvedimenti di rigetto assunti precedentemente a tale parere.»;
   a fronte di tale risposta, l'interrogante ritiene utile e opportuno venire a conoscenza del dato relativo al numero di pratiche di indennizzo processate dal competente ufficio del Ministero della salute sino ad oggi, o quanto meno una loro stima reale, nonché nel dettaglio le modalità messe in atto dall'ufficio per la loro catalogazione ed archiviazione –:
   quale sia il numero totale di pratiche di indennizzo ex legge n. 10 del 1992 processate sino ad oggi dal Ministero della salute;
   quale sia il numero di pratiche di indennizzo attualmente in sospeso, e per quali specifiche ragioni;
   quale sia il numero dei decreti ministeriali, sia di rigetto che di accoglimento, precedenti e successivi al parere del Consiglio di Stato citato in premessa;
   a quanto ammontino le attuali postazioni di bilancio destinate ai risarcimenti dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, aventi diritto nonché quanti e di che entità siano stati i risarcimenti e i sostegni economici erogati negli anni dal 2008 al 2013. (4-04030)


   PIAZZONI e MICCOLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso l'ex autoparco della Croce rossa italiana situato a Roma, in via Pacinotti 18, si è verificata, negli ultimi giorni, una preoccupante situazione in merito alle condizioni lavorative di numerosi dipendenti pubblici che in tale sede operano;
   questi ultimi, dipendenti di ruolo, a tempo indeterminato e appartenenti al corpo militare della CRI, hanno subito l'esautorazione dalle loro funzioni, competenze e incarichi da disposizioni di soggetti riconducibili all'associazione CRI e alla sua amministrazione;
   tali disposizioni, come denunciato dalle organizzazioni sindacali dei dipendenti, non sarebbero contenute in nessun atto formale, così come non risulterebbe chiaro a che titolo determinati soggetti si siano arrogati la facoltà di attuare l'esautorazione sopra citata;
   nello specifico, i dipendenti della sala operativa della sede in questione, a partire dal giorno 11 marzo si sono visti privati, dall'oggi al domani e senza alcun preavviso formale, degli accessi ai terminali attraverso la modifica delle password. È stato inoltre disabilitato il corretto utilizzo della linea telefonica (lo 065510), che risulterebbe ora a disposizione di altra sala operativa;
   la paradossale situazione descritta risulta agli interroganti tutt'ora in corso, tant’è che sia gli operatori di sala sia parte degli operatori di ambulanza in servizio presso l'ex autoparco, si trovano attualmente in condizione di totale inattività a scapito dei servizi svolti fino ad oggi;
   occorre altresì sottolineare come, con missiva datata 11 marzo, l'Unione sindacale di base (USB) abbia informato la prefettura della vicenda di cui sopra, anche per evitare che possibili controversie o disservizi potessero essere imputati ai dipendenti di fatto privati delle loro usuali mansioni –:
   se non intendano, sulla base delle loro rispettive competenze, intervenire urgentemente per verificare quanto descritto in premessa, al fine di evitare possibili disservizi ed accertare le responsabilità sulla vicenda. (4-04039)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2013 veniva pubblicato il concorso pubblico per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale;
   nel dicembre del 2013 è stato pubblicato il nuovo elenco a seguito di rettifica della graduatoria finale e l'ampliamento, in prima aliquota di ulteriori posti ricomprendenti i candidati risultati idonei alle prove di efficienza fisica ed agli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale e dunque già pronti e disponibili per essere assunti dal Ministero senza dover sostenere alcuna visita medica di controllo;
   il Ministro dell'interno nel gennaio del 2014 ha sottolineato che la legge di stabilità per il 2014 ha previsto una norma ad hoc per Expo Milano 2015: «Nella legge di stabilità – ha spiegato – il blocco del turn over del pubblico impiego subisce una deroga del 55 per cento per le forze dell'ordine» (in www.unionemilano.it del 13 gennaio 2014) e tra le richieste consegnate dal presidente della regione Lombardia Roberto Maroni al Governo nazionale per Expo 2015 vi era anche: «Potenziamento agenti di Polizia: è opportuno un incremento delle Forze dell'ordine, per fronteggiare le necessità legate a Expo, verificando la possibilità di ampliare l'ultima graduatoria “Concorso per 964 Allievi Agenti”». (in www.ecodibergamo.it del 3 marzo 2014);
   gli idonei non vincitori hanno diritto allo scorrimento delle graduatorie e dunque alla successiva immissione in servizio così come prevede la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato con sentenza dell'adunanza plenaria del 24 luglio 2011 n. 14;
   anche il recente intervento normativo del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha configurato un vero e proprio diritto in capo non solo ai vincitori collocati nelle graduatorie ma anche agli idonei collocati nelle graduatorie vigenti ed approdate a partire dal 1o gennaio 2007 all'immissione in servizio e subordina espressamente l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali all’«avvenuta immissione in servizio» di tutti i vincitori collocati nelle graduatorie e degli idonei presenti nelle graduatorie vigenti al 1o gennaio 2007;
   lo scorrimento delle graduatorie degli idonei è dunque divenuta modalità ordinaria di provvista del personale, tanto più giustificata in relazione alla finalità primaria di ridurre i costi gravanti sulle amministrazioni per la gestione delle procedure selettive e comunque maggiormente rispettosa anche dei principi di trasparenza e di imparzialità –:
   se i Ministri, ciascuno per le sue competenze, intendano valutare la possibilità di procedere allo scorrimento della suddetta graduatoria e procedere all'assunzione degli idonei già pronti e disponibili senza dover sostenere alcuna visita medica di controllo, anche al fine far fronte alle esigenze di Expo Milano 2015.
(5-02377)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Amaro Lucano è uno dei brand più noti del made in Italy anche all'estero e rappresenta una delle eccellenze della Basilicata;
   sarebbe previsto a breve da parte dell'azienda il ricorso ad un periodo di cassa integrazione ordinaria di 13 settimane rinnovabili;
   non si tratta di una buona notizia per i lavoratori dello stabilimento che avevano già fatto ricorso in precedenza allo strumento del contratto di solidarietà per affrontare una fase di congiuntura non facile;
   tale ricorso però era durato dall'aprile 2012 al marzo 2013 e da ottobre fino a dicembre 2013, quando l'azienda vi aveva rinunciato, e pertanto vi era fiducia sul superamento delle difficoltà;
   l'annuncio di ricorso alla cigo ha quindi sorpreso i lavoratori ed anche le organizzazioni sindacali;
   occorre non lasciare sola una impresa storica patrimonio della imprenditoria nazionale –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per evitare che una fase congiunturale di crisi possa compromettere la realtà produttiva dello stabilimento di Pisticci e se, nell'ambito più generale delle politiche industriali che l'Esecutivo intende porre in essere, vi siano gli strumenti per evitare il ricorso agli ammortizzatori sociali e supportare un brand strategico nel panorama produttivo italiano. (5-02372)