Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 marzo 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito della promozione e dello sviluppo della mobilità sostenibile un ruolo di primo piano rivestono le iniziative finalizzate all'individuazione ed alla realizzazione di reti di percorsi ciclabili ad uso prevalentemente turistico e diportistico;
    negli ultimi anni in Europa si è affermato il concetto di «Greenways», tradotto letteralmente in «vie verdi», ossia dei percorsi caratterizzati da un gradevole inserimento in zone di interesse ambientale o paesaggistico;
    attorno alle vie verdi si è sviluppato un vero e proprio movimento culturale, noto come «greenways movement», che si è impegnato in gran parte delle nazioni europee per la promozione di percorsi dedicati ad una «circolazione dolce» e non motorizzata, in grado di connettere le popolazioni con le risorse del territorio (naturali, agricole, paesaggistiche, storico-culturali) e con i «centri di vita» degli insediamenti urbanistici, sia nelle città che nelle aree rurali;
    le principali associazioni europee che operano sulla tematica, tra cui l'italiana «Associazione italiana Greenways», hanno redatto un documento comune – Dichiarazione di Lille (2000) – nel quale affermano che le vie verdi «devono avere caratteristiche di larghezza, pendenza e pavimentazione tali da garantirne un utilizzo promiscuo in condizioni di sicurezza da parte di tutte le tipologie di utenti in qualunque condizione fisica» e che i percorsi che, per le loro caratteristiche, si prestano in modo eccellente alla trasformazione in vie verdi, sono, oltre alle ferrovie dismesse, gli argini e le alzaie dei fiumi, caratterizzati da pendenze modeste e costanti e da grande valore naturalistico e paesaggistico;
    in tale contesto, l'idea di via verde va ben oltre quella di una semplice pista ciclabile, con cui spesso viene confusa, investendo aspetti più strutturali, come la valorizzazione e la riqualificazione delle risorse naturali, la promozione di uno sviluppo sostenibile, il recupero dei paesaggi degradati e lo sviluppo armonico delle città, e rivolgendosi non solo ai ciclisti ma a tutti gli utenti non motorizzati;
    i requisiti indispensabili che caratterizzano le greenways sono: la sicurezza, in quanto sono percorsi prevalentemente separati dalla rete stradale ordinaria e dedicati esclusivamente a utenti non motorizzati; l'accessibilità, per un'ampia fascia di tipologie di utenti; la «circolazione dolce», legata ad esempio alle pendenze moderate, che ne consente una fruizione piacevole anche da parte di persone non allenate; la multiutenza, poiché le greenways sono, generalmente, percorsi aperti a tutte le tipologie di utenti (pedoni, ciclisti, escursionisti a cavallo, e altro); il recupero e la valorizzazione di infrastrutture e strutture esistenti e che talvolta versano in stato di degrado e abbandono: sentieri, strade storiche, alzaie, linee ferroviarie dismesse, strade rurali minori; edifici di servizio, e altro; l'integrazione con l'ambiente naturale, che permette alle greenways di offrire un accesso rispettoso alle aree di particolare pregio naturale e svolgere un'importante funzione educativa consentendo una conoscenza e una fruizione sostenibile del territorio;
    in data 26 settembre 2012 è stato presentato alle Commissioni riunite VIII e IX della Camera il progetto denominato VenTo «In bicicletta da Venezia a Torino lungo il fiume Po passando per EXPO 2015»; il progetto redatto dal dipartimento di architettura e pianificazione del politecnico di Milano consiste in una ciclovia di 679 chilometri che corre lungo il fiume Po, in parte sugli argini, in parte lungo ciclabili esistenti e in parte su tracciati ancora da attrezzare, che vuole collegare Venezia a Torino attraversando altri 121 comuni, ricchi di beni artistici e architettonici e salendo fino a Milano EXPO, accanto ai navigli;
    VenTo è il progetto della più lunga infrastruttura per il cicloturismo in Italia e nel sud Europa, costituendo la dorsale est-ovest della direttrice ciclabile europea Barcellona Kiev (Eurovelo 8) prevista dall'Europa. VenTo si svilupperebbe all'interno di un quadro dalle enormi potenzialità, in connessione con Eurovelo 5 che legherà Francia e Svizzera al Sud dell'Italia e con Eurovelo 7 che attraverso il Brennero collegherà Austria e Germania con il nostro Paese ed il Sud dell'Europa (questo tracciato è già in parte esistente e quindi i vantaggi sarebbero immediati);
    il progetto della ciclovia attraversa 4 regioni 12 province, oltre 120 comuni e 242 località e paesaggi culturali, incrociando lungo il proprio percorso una varietà di bellezze artistiche, monumentali, ambientali e naturali, luoghi di storia, cultura e di produzione unici in Italia; lungo il corso del Po si attestano già oggi 15 aree protette, tra parchi regionali e riserve, che rappresentano una ricchezza straordinaria ed una preziosa riserva di biodiversità; all'interno di questi ambiti si svilupperebbe il 40 per cento del tracciato della ciclovia, generando per queste aree nuove opportunità di fruizione turistica di carattere paesistico e naturalistico; sviluppandosi lungo il tracciato del più grande corso d'acqua del Paese il progetto di VenTo può rappresentare anche l'occasione per ridare centralità al fiume Po e migliorarne la tutela e la valorizzazione;
    tra i caratteri distintivi di VenTo c’è quello della fruizione più possibile ampia e sicura, superando il tratto di eccezionalità che ancora contraddistingue nel nostro Paese la mobilità ciclabile; per questo un punto di forza del progetto è dato dall'elevato grado di integrazione del tracciato della ciclovia con altre forme di mobilità sostenibile: i tratti navigabili del fiume Po e la capillare rete di stazioni ferroviarie distribuite lungo il percorso, che consentono un elevato grado di flessibilità e di adattamento a tutte le fasce di età e di preparazione ciclistica;
    VenTo però non è solo una ciclovia, ma una vera e propria opportunità di sviluppo economico e occupazionale a impatto zero; se il costo di realizzazione è di circa 80 milioni di euro, il valore economico che VenTo è in grado di produrre, sottoforma di introiti per tutte le attività che incontra lungo il suo percorso (dove già oggi sono insediate 14.000 aziende agricole, 300 attività ricettive e oltre 2.000 attività commerciali) è di 80-100 milioni di euro all'anno, come dimostrano le esperienze virtuose compiute da altri Paesi europei (la ciclopista del fiume Danubio da Passau a Vienna in Austria e del fiume Elba in Germania);
    il costo relativamente contenuto stimato per l'intera realizzazione di VenTo (circa 80 milioni di euro) è reso possibile dal fatto che per il 15 per cento sfrutta tratti già esistenti, per il 42 per cento si propone di utilizzare argini di fatto esistenti ma oggi inutilizzabili a causa di regolamenti desueti, per i quali sono sufficienti pochi interventi di sistemazione (circa 1 milione di euro), per il 22 per cento è da realizzare con interventi «leggeri» (18 milioni) e per il restante 21 per cento richiede interventi importanti (come l'attraversamento dei fiumi) per altri 61 milioni; il rapporto tra la distribuzione dei costi e l'effettiva fruibilità del tracciato è un dato molto significativo: dallo studio dettagliato del Politecnico di Milano risulta che con 1 milione di euro di interventi risulterebbe percorribile il 60 per cento del tracciato; con gli altri 18 milioni di euro si raggiungerebbe una percentuale di fruibilità dell'80 per cento e solo il 20 per cento del tracciato richiederebbe la parte più consistente degli investimenti, comunque sostenibili in un arco di tempo sufficientemente contenuto;
    la realizzazione di questo progetto richiede però l'assunzione una precisa volontà politica, non solo per l'individuazione delle risorse economiche necessarie, ma soprattutto per il superamento degli ostacoli burocratici e della frammentazione di competenze; andando così verso un nuovo e moderno modello di progettazione e gestione volto alla cooperazione tra gli enti secondo un'unica regia di progetto e gestione capace di mantenere bassi i costi. L'obiettivo da perseguire è quello di un forte coordinamento tra il livello centrale e territoriale: regioni, province, comuni, enti fluviali (autorità di bacino del fiume Po e AIPO), portatori di interessi specifici (associazioni di categoria, privati), replicando il modello di un'agenzia unica, già sperimentato in altri contesti simili, in grado di portare avanti in modo unitario la progettazione e la realizzazione dell'intervento, di contenere costi, tempi e appesantimenti burocratici e di assicurare la sostenibilità della gestione e manutenzione dell'opera una volta realizzata; l'autorità di bacino del fiume Po potrebbe essere, per competenza di legge e per proprio ruolo sovraordinato e direttamente collegato al Governo quanto alle regioni, un soggetto idoneo ad accogliere questo incarico;
    ad oggi il progetto VenTo ha già raccolto l'interesse diffuso di migliaia di cittadini (circa 2.535) e di numerose associazioni nazionali, tra cui la Federazione ciclistica italiana, FAI – Fondo per l'ambiente italiano, il Touring club italiano, Ciclobby Milano, Cai Sezione di Este, Associazione ALTrE PROSPETTIVE, Polisportiva San Giorgio – Villafranca, WWF, Canottieri Eridanea, Canottieri Baldesio, Canottieri Nino Bixio, Circolo Vela Cremona, Canottieri Vittorino da Feltre, Motonautica Associazione Cremona, Slow Food Italia, Lipu. A queste si aggiungono le istituzioni locali quali i comuni di Torino, Milano, Cremona, Crema, Cuneo, Piacenza, Chivasso, Crescentino, Camino, Barbania, Venaria e la provincia di Pavia. Sono inoltre pervenute le adesioni di altre importanti istituzioni tra cui l'Autorità di bacino del fiume Po, l'Unione del Fossanese, il Parco fluviale del Po e dell'Orba. Manifestazioni di interesse sono venute anche da parte dei comuni di Venezia e Pavia;
    nei prossimi mesi verrà presentato il «VENTObiciTour», ovvero una settimana in bicicletta lungo il tracciato di VENTO con otto tappe presso cui saranno organizzati una serie di eventi pubblici. L'intento del «VENTObiciTour» è quello di «far conoscere l'idea progettuale ai cittadini, alle realtà economiche, ai portatori di interesse diffusi al fine di mostrarne sempre meglio le opportunità connesse a questa opera grande e green; aggregare attorno al progetto il primo nucleo di aderenti e sostenitori; fare promozione culturale; incontrare, confrontarsi e migliorare». Il viaggio partirà da Torino domenica 26 maggio 2013 e in otto tappe raggiungerà Venezia la domenica successiva, il 2 giugno 2013;
    la realizzazione di una ciclovia lungo il principale fiume italiano può essere un'importante occasione di sviluppo a beneficio non solo della pianura padana; VenTo può diventare l'occasione per dare al Paese un segnale nuovo e capace di far leva sulla cultura italiana, valorizzandola in modo appropriato, per generare sane e diffuse economie, e sulla cultura ambientale e del paesaggio. VenTo è un progetto green, capace di generare economie e lavoro attraverso il suo bene comune più grande, il paesaggio, ed in questo senso un sostegno convinto da parte del Governo è essenziale, anche attraverso il recepimento dello stesso progetto nei propri strumenti di programmazione infrastrutturale,

impegna il Governo:

   ad assumere il progetto VenTo nei propri strumenti di programmazione infrastrutturale, assumendo iniziative volte a prevedere per i prossimi esercizi finanziari una quota di cofinanziamento per la sua realizzazione;
   a promuovere la costituzione di una cabina di regia presso l'autorità di bacino del fiume Po per il coordinamento delle competenze istituzionali ed il coinvolgimento di soggetti portatori di interessi territoriali, al fine di consentire la progettazione unitaria dell'intervento e la sua realizzazione.
(1-00005) «Braga, Mariani, Bonomo, Tentori, Cominelli, Quartapelle Procopio, D'Arienzo, Franceschini, Bratti, Civati, Rotta, Crivellari, Lorenzo Guerini, Guerra, Zardini, Decaro, Arlotti, Narduolo, Giuseppe Guerini, Zanin, Casellato, Crimì, Fregolent, Mariastella Bianchi, Senaldi, De Menech, Rossomando, Realacci, Cimbro, Gadda, Marco Di Maio, Martella, Marchi, Boccuzzi, Fiorio, Bargero, Ferrari, Scuvera, Carnevali, Bobba, Cinzia Maria Fontana, Gribaudo, Giorgis, Ventricelli, Murer, Gasparini, Carra, Mongiello, Peluffo, Lattuca, Gnecchi, Cenni, Ascani, Zoggia, Mognato, Mauri, Rampi».


   La Camera,
   premesso che:
    il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares) è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, in sostituzione della Tarsu e della Tia, con l'obiettivo di risolvere la questione della tassa comunale sui rifiuti, con particolare riferimento alla qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti, con particolare riferimento all'obbligo di assoggettare o meno le somme all'imposta sul valore aggiunto. Si tratta di una problematica che è stata oggetto di diverse interpretazioni e di ampio contenzioso, sul quale si è pronunciata anche la Corte costituzionale;
    l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha previsto l'entrata in vigore del nuovo tributo a decorrere dal 1o gennaio 2013, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
    la Tares, così come configurata dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, è composta da due tributi, una tassa e un'imposta. La tassa è prevista a fronte del servizio di gestione dei rifiuti urbani, mentre l'imposta è genericamente riferita ai servizi indivisibili dei comuni. Il gettito della tassa ha un vincolo legislativo di destinazione, dovendo finanziare per intero il costo del servizio di gestione dei rifiuti urbani;
    il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e la tariffa è commisurata all'anno solare nonché alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. La superficie assoggettabile alla Tares è pari all'80 per cento della superficie catastale;
    la tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, da una quota rapportata alla quantità di rifiuti conferiti al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione e dai costi di smaltimento dei rifiuti nelle discariche. Alla tariffa così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
    sul tributo come introdotto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201, sono state sollevate da più parti, ed in particolare dall'Anci, preoccupazioni ed osservazioni critiche, con particolare riguardo alla determinazione della base imponibile, alla gestione del regime transitorio, alle modalità di affidamento della gestione dei rifiuti urbani, alla tempistica e alle modalità di versamento del tributo, nonché con riguardo all'aggravio delle imposte a carico dei cittadini stimato in circa 2 miliardi di euro rispetto al previgente regime;
    la legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha introdotto diverse modifiche alla disciplina della Tares e differito ad aprile 2013 la concreta operatività del tributo. Il quadro normativo finale che si delinea con le predette modifiche ha visto stemperare alcune rigidità iniziali, ma non ha contribuito ad eliminare tutte le criticità della disciplina, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti gestionali;
    successivamente, con l'articolo 1-bis del decreto-legge 14 gennaio 2013, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2013, n. 11, è stato posticipato al 1o luglio 2013 il termine per il versamento della prima rata della Tares;
    la disciplina relativa alla Tares, a seguito delle modifiche introdotte con la legge di stabilità e dal decreto-legge n. 1 del 2013 evidenzia alcune contraddizioni che richiedono un'attenta ed approfondita valutazione e l'adozione di urgenti interventi correttivi;
    in relazione alle scadenze collegate ai versamenti della Tares per l'anno 2013, emerge in tutta evidenza la necessità di definire con maggiore certezza l'articolazione e la scadenza delle rate, che nell'attuale formulazione rischiano di essere accorpate in due sole scadenze, con conseguente ulteriore aggravio per i contribuenti;
    lo slittamento della prima rata del versamento della Tares al 1o luglio 2013 non è coerente con l'impianto normativo della Tares, che impone la copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento. In assenza di adeguati correttivi non è verosimile che i pagamenti dovuti ai gestori del Servizio di igiene urbana possano procedere con normale cadenza, in assenza dei flussi finanziari derivanti dalle prime due rate del tributo, tradizionalmente incassate nel corso del primo semestre dell'anno;
    il comma 23 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, ha una formulazione generica che rischia di generare un possibile contenzioso che potrebbe minare il fondamento stesso del prelievo. L'approvazione del piano finanziario annuale, presupposto essenziale per la determinazione delle tariffe per la componente rifiuti del tributo, è previsto che sia approvato «dall'autorità competente» senza individuarla con certezza;
    l'articolo 3-bis, comma 1-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, introdotto con il decreto-legge n. 179 del 2012, ipotizza un ampliamento delle competenze degli «enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei», anche nel caso del servizio rifiuti, fino a comprendere la determinazione delle tariffe sia pure per quanto di competenza. Tale formulazione è in evidente contrasto con le potestà regolamentari comunali in materia di Tares, che includono, ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, la determinazione delle tariffe, sulla base dei costi determinati con il piano finanziario e nell'abito dei criteri dettati dal decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158,

impegna il Governo:

   ad adottare, con la massima urgenza, apposite iniziative normative finalizzate a differire al 1o gennaio 2014 l'entrata in vigore delle disposizioni relative alla Tares, di cui all'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, consentendo al contempo a ciascun comune di applicare, in via transitoria e per il solo anno 2013, il previgente sistema di tassazione dei rifiuti urbani, riservando a successivi provvedimenti una possibile sostanziale revisione del tributo in questione finalizzata anche al contenimento della pressione fiscale a carico dei cittadini;
   a promuovere, in caso di mancato differimento dell'entrata in vigore della Tares, l'adozione di specifiche misure volte a definire la scadenza temporale delle tre rate di versamento del tributo, evitando che alla data del 1o luglio 2013, i contribuenti debbano provvedere al versamento contestuale di due rate della Tares;
   a prevedere espressamente, nell'ambito delle suddette iniziative normative urgenti, che l'autorità competente all'approvazione del piano finanziario annuale di cui al comma 23 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 sia il consiglio comunale, facendo salva l'eventualità che le norme vigenti, nazionali o regionali, indichino una diversa autorità in tale materia.
(1-00006) «Baretta, Tullo, Fassina, Basso, Carra, Mariani, Pastorino, Vazio, Carocci, Rosato, Rossomando, Benamati, Sani, Moretti, Stumpo, Zoggia, Bini, Cuperlo, Boccia, Burtone, Giacobbe, Manciulli, Naccarato, De Maria, Bargero, Gribaudo, Fiorio, Biondelli, Antezza».


   La Camera,
   premesso che:
    il drammatico contesto socio-economico che caratterizza da diversi anni il nostro Paese non mostra segnali di miglioramento; i dati Istat relativi al gennaio 2013, rilevano l'aggravarsi di una condizione già di estrema difficoltà: gli occupati sono 22 milioni 688 mila, in calo dello 0,4 per cento (-97 mila unità) rispetto a dicembre 2012; su base annua si registra una diminuzione dell'1,3 per cento, (-310 mila unità) che riguarda sia gli uomini sia le donne; il tasso di occupazione è pari al 56,3 per cento, in calo di 0,3 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 0,7 punti rispetto a dodici mesi prima; il numero di disoccupati, pari a 2 milioni 999 mila, aumenta del 3,8 per cento rispetto a dicembre (+110 mila unità). Su base annua si registra una crescita del 22,7 per cento (+554 mila unità) e anche in questo caso riguarda sia la componente maschile sia quella femminile; il tasso di disoccupazione si attesta all'11,7 per cento, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto a dicembre e di 2,1 punti nei dodici mesi; tra i 15 e i 24 anni le persone in cerca di lavoro sono 655 mila e rappresentano il 10,9 per cento della popolazione in questa fascia d'età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 38,7 per cento, in aumento di 1,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 6,4 punti nel confronto tendenziale;
    la crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, reso più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro, sempre più a rischio; per far fronte a quella che si va delineando come una vera e propria emergenza sociale occorre sfruttare tutti gli strumenti a disposizione dello Stato al fine di attenuare gli effetti della grave recessione sulle famiglie italiane;
    nel corso della scorsa legislatura, l'allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è mostrato consapevole della drammaticità del momento e dell'urgenza di operare al fine di scongiurare un ulteriore e pericoloso deterioramento della situazione, impegnandosi a tale scopo e dichiarando – nel corso della seduta d'Assemblea del Senato del 20 settembre 2012 – che sarebbero state reperite le risorse per soddisfare le richieste delle regioni in ordine agli ammortizzatori sociali sia per il 2012 che per il 2013;
    successivamente a tali dichiarazioni, alla Camera dei deputati, per iniziativa del Partito democratico, furono approvati in occasione dell'esame della legge di stabilità l'ordine del giorno 9/5534-bis-A/46 e successivamente la risoluzione in Commissione 7-01048 volti ad assicurare le risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori sociali in deroga;
    le stime dell'Unione europea sulla crescita in Italia indicano un ulteriore calo del Pil nel 2013 nell'ordine del 1 per cento, con un netto peggioramento rispetto al –0,5 per cento previsto a novembre. Tale tendenza negativa è dovuta al calo degli investimenti dovuto anche per le stretta creditizia nel settore privato e al calo dei consumi per gli stipendi sempre più bassi. Una timida ripresa dello 0,8 per cento, non arriverà prima del 2014, quando «l'incertezza sarà ridotta»;
    a quattro anni dall'accordo tra Stato, regioni e province autonome sugli ammortizzatori sociali in deroga e le politiche attive, sottoscritto nel febbraio del 2009 e rinnovato nell'aprile del 2011, con validità fino alla fine del 2012 si può disporre di dati attendibili e utili a verificare l'efficacia di tali strumenti e l'entità delle risorse realmente necessarie per non trovarsi impreparati di fronte al protrarsi della congiuntura negativa;
    nel febbraio scorso, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base delle risorse messe a disposizione dalla legge di stabilità per l'anno 2013, ha firmato i primi tredici accordi per ammortizzatori in deroga relativi al 2013 con le regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, nonché alla provincia autonoma di Trento, mentre ancora non risultano conclusi gli accordi con le rimanenti regioni;
    tuttavia, proprio dal fronte regionale, così come da quello sindacale si denuncia che le risorse finanziarie attualmente disponibili non potranno affrontare le richieste di proroga per i periodi da maggio in poi, prospettando il rischio di una vera e propria emergenza sociale,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile, anche con carattere d'urgenza, per assicurare la copertura finanziaria per il ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga necessari per tutto l'anno 2013, indispensabili per attenuare le drammatiche conseguenze sull'occupazione provocate dal protrarsi della crisi economica.
(1-00007) «Speranza, Bellanova».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   alla fine del 2012 la regione Toscana è stata colpita; dopo un'estate particolarmente siccitosa, da gravi eventi alluvionali che, oltre a causare la tragica perdita di 7 vite umane, hanno prodotto ingenti danni all'assetto idrogeologico delle zone colpite, alla rete viaria, alle attività produttive, alle case, agli edifici pubblici;
   nel novembre del 2012 la Toscana ha in effetti subito ben 3 ondate di piogge di fortissima intensità: l'11 novembre nella zona di Massa Carrara, il 12 novembre nella Maremma grossetana, la più grave rispetto alle altre due ondate, e il 28 novembre sempre nella zona di Carrara e Ortonovo;
   i fondi assegnati per l'alluvioni in Toscana sono stati stanziati dalla legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) che ha incrementato il Fondo nazionale della protezione civile per il finanziamento di interventi in conto capitale nei territori colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 2012. Per il riparto dei fondi alla Toscana competono 110,9 milioni di euro;
   sono peraltro 295 gli interventi dichiarati dalla regione Toscana come «indifferibili e urgenti» e finalizzati celermente a ripristinare viabilità interrotte, a ricostruire argini, ponti, a sistemare o ripristinare i reticoli idraulici e a mettere in sicurezza le parti del territorio più colpite. Gran parte di queste opere riguardano la provincia di Grosseto, ben 250 su 295, il resto Massa Carrara, ovvero 30 interventi e gli altri lavori sono previsti in provincia di Siena, Arezzo, Pistoia e Pisa;
   per quanto riguarda il Grossetano, ovvero l'area più colpita dalle alluvioni del 12 novembre scorso, sono 71 opere sono già state realizzate, 179 sono in fase di realizzazione delle 250 previste e sono già in fase di spesa oltre 41 dei 52 milioni di euro disponibili;
   per la provincia di Massa Carrara inoltre sono stati avviati 14 cantieri ed altri 9 interventi pronti ad essere assegnati con gara pubblica con una spesa di 13 milioni e 365 mila euro dei 24 milioni e 180mila euro messi a disposizione dalla regione Toscana;
   in più si segnala come anche in questi giorni alcune aree della Toscana, in particolare nelle province di Prato e Pistoia, sono state interessate da nuovi eventi alluvionali che hanno creato ulteriori danni stimabili in circa 30 milioni;
   agli interpellanti, ad oggi, non risulta sia stato dato il via libera da parte del Governo allo sblocco dei fondi per le opere dovute ai danni causati dai sopraccitati eventi meteorologici. Nonostante chiare siano state le manifestazioni di necessità ed urgenza di sblocco dei finanziamenti per le aree colpite fatte al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze da parte degli enti locali toscani, da liberi cittadini, da una petizione promossa ad hoc dal quotidiano Il Tirreno, da iniziative di protesta messe in campo del Presidente della regione Toscana. Senza questi fondi i lavori non possono essere ultimati e neppure messi in cantiere quelli più importanti;
   senza la nomina del commissario, provvedimento contenuto nel citato decreto, non sarà possibile destinare parte di questi fondi al rimborso diretto delle 844 imprese e oltre 2500 famiglie che hanno subito i danni e che fino adesso non hanno avuto alcun contributo dallo Stato;
   è importante ricordare che solo grazie all'impegno economico e alla garanzia data dalla regione Toscana è stato possibile eseguire la totalità dei lavori finora eseguiti –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, non intenda sottoscrivere ed emanare al più presto il decreto che rende disponibili i fondi destinati alla regione Toscana e per la nomina del commissario straordinario per gli eventi alluvionali.
(2-00011) «Realacci, Gelli, Biffoni, Dallai, Donati, Parrini, Ermini, Fanucci, Lotti, Bonafè, Boschi, Nardella, Bonifazi».

Interrogazione a risposta orale:


   BENAMATI, BARGERO, FIORIO, BOBBA, GRIBAUDO e BORGHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il mercato automobilistico continua a decrescere pesantemente anche in avvio del 2013 ed i dati che emergono dall'analisi più recente dell'Osservatorio Federauto sembrano indicare vendite in calo del 25 per cento rispetto agli stessi giorni lavorativi dell'inizio 2012;
   l'industria automobilistica nazionale rappresenta ancora una quota importante del valore produttivo dell'intero sistema industriale italiano e rappresenta, inoltre, un forte motore di sviluppo nell'innovazione, nella ricerca tecnologica, ingegneristica e del design con positive ricadute per tutto il Paese;
   le amministrazioni pubbliche, sia centrali quanto locali, appaiono essere clienti certamente importanti nel settore degli autoveicoli e dei mezzi di servizio;
   i dati del censimento delle auto di servizio, riferiti al primo semestre del 2012 prodotti da Formez pubblica amministrazione, indicano che l'intero parco auto delle amministrazioni pubbliche era al 30 giugno, di 60.551 veicoli;
   pur nelle doverose limitazioni di bilancio, indotte nel periodo fine 2011 inizio 2012, sono procedute le acquisizioni di nuovi autoveicoli;
   sempre nel periodo di riferimento i nuovi contratti per autovetture hanno riguardato, nell'80,3 per cento dei casi, auto di servizio ed i nuovi contratti, per il 37,7 per cento dei casi, sono stati a titolo di proprietà, mentre molto alta è la quota di noleggi e leasing 59,9 per cento;
   diverse sono state le procedure di acquisizione utilizzate, dalla convenzione Consip alla procedura negoziata (il costo medio di acquisizione in proprietà delle nuove auto risulta pari a euro 10.638 euro);
   a questi mezzi in servizio presso le pubbliche amministrazioni vanno poi ad aggiungersi i numerosissimi automezzi e vetture in servizio presso le forze di polizia (ad esempio: carabinieri, polizia di Stato e Guardia di finanza);
   non è raro osservare, direttamente o in immagini diffuse dai mezzi di comunicazione, come l'attuale parco circolante pubblico, per quanto riguarda i veicoli in dotazione alla pubblica amministrazione e per quanto riguarda quello in dotazione a molte delle forze di polizia (incluse le vetture dotate di livrea), sia costituito da un coacervo di marche e modelli per la quasi totalità esteri;
   non è raro vedere molte alte cariche dello stato siano dotate di vetture di importazione;
   pur partendo dalla constatazione della necessità di doverose, continue ed efficaci politiche di contenimento del numero e della potenza degli automezzi di servizio in dotazione alla pubblica amministrazione, soprattutto nel settore delle cosiddette «auto blu», il settore rimane significativo per il mercato dell'automobile;
   anche nel rispetto delle norme e delle procedure a garanzia della concorrenza e del risparmio appare strano che molto spesso settori delicati, come quelli delle forze di polizia, siano dotati di una pluralità di veicoli, differenti nei modelli e nei marchi di fabbrica molto sovente esteri –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero, quali metodologie siano adottate, e possano essere adottate, nell'acquisizione di mezzi pubblici, al fine di un doveroso contenimento dei costi ma anche con lo scopo di tutelare il prodotto ed il lavoro italiano. (3-00007)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un recente articolo comparso sul sito d'inchieste www.comedonchichotte.org ripropone alcuni nodi della vicenda di Alessio Casimirri, l'ex brigatista condannato in contumacia dalla magistratura italiana nel 1989, componente del gruppo di fuoco del commando che rapì il presidente della Dc;
   scappato in Francia nel 1982, fu arrestato ma poi, grazie ad un passaporto falso intestato a Guido Di Giambattista, riuscì di nuovo a fuggire. L'Italia ha inutilmente chiesto la sua estradizione alle autorità del Nicaragua, il piccolo Paese sudamericano dove vive e lavora dagli inizi degli anni ottanta e del quale è un regolare cittadino. Nel 2004 la corte suprema di giustizia del Nicaragua ha respinto la richiesta;
   secondo l'articolo, che si riferisce a fonti riservate dei servizi segreti, Casimirri, alla fine del 1993, stava per fare importanti rivelazioni sul rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, tanto che nel dicembre del 1993, alcuni agenti del Sisde con i quali aveva avviato un dialogo, sarebbero dovuti tornare in Nicaragua per raccogliere alcune importanti rivelazioni, «molto più importanti della questione di via Montalcini», mandò a dire;
   nell'agosto del 1993 una missione di tre uomini del Sisde riuscì a stabilire dei contatti con lui: i tre agenti partirono alla volta di Managua ed ebbero lunghe conversazioni con Casimirri ma l'operazione resta tutt'oggi avvolta dall'ombra;
   sebbene Casimirri non sapesse cosa fosse accaduto nelle prigioni in cui era stato tenuto il leader Dc subito dopo l'agguato di via Fani, era stato estromesso dall'operazione, di cui aveva seguito le fasi preparatorie, perché aveva subito una perquisizione – all'epoca del suo incontro con gli uomini del Sisde, uscirono molte indiscrezioni sulla stampa in base alle quali era stato proprio Casimirri ad indicare in quella circostanza il vero nome dell'ingegner Altobelli, noto nella letteratura del caso Moro come il quarto carceriere del leader Dc. Si disse che lo aveva identificato in Germano Maccari, ma su questo esistono consistenti dubbi emersi nella relazione ufficiale scritta dai tre agenti al ritorno dal loro viaggio sulla base delle confidenze di Casimirri. Secondo quel documento l'ingegner Altobelli «dagli accertamenti esperiti – si legge – dovrebbe identificarsi in Giovanni Morbioli, romano...», circostanza che gli fu confermata da Casimirri: era solo un'ipotesi investigativa che però, incomprensibilmente, non ebbe mai seguito;
   oltre al capitolo «Altobelli», l'operazione Nicaragua portò ad individuare in Algeria, e dunque già dall'agosto del 1993, i latitanti Rita Algranati e Maurizio Falessi ma non si hanno notizie di uno sviluppo delle indagini. I due furono arrestati in Egitto solo molto tempo dopo, nel gennaio del 2004, in seguito ad un'operazione condotta dal Sisde guidato da Mario Mori;
   il punto principale riguarda l'evoluzione che la collaborazione avviata sembrava destinata ad avere. Casimirri pare fosse disponibile a raccontare particolari molto importanti, tanto che era stato già fissato un nuovo incontro in Nicaragua per il dicembre successivo: solo che l'appuntamento saltò, perché l'operazione Nicaragua fu bruciata da alcuni scoop giornalistici che indussero Casimirri a rivedere le sue intenzioni; la notizia della missione svolta in Nicaragua era stata diffusa da ambienti dei servizi, gli unici che sapessero il numero degli agenti impiegati nell'operazione (tre), dato ignoto anche ai magistrati che sapevano di quel viaggio –:
   se il Governo confermi le circostanze riferite e quali ulteriori elementi e iniziative risultino riguardo alle vicende sopra descritte e ad eventuali ulteriori sviluppi.
(4-00084)


   TIDEI, GASBARRA, FERRO, GREGORI, MICCOLI, CAMPANA, COSCIA, ORFINI, RUGHETTI, GIACHETTI, GENTILONI SILVERI, MARRONI, BONACCORSI, MADIA, GIULIANI, LEONORI, MORASSUT, MAZZOLI, TERROSI, CARELLA e MELILLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Clini, il Consiglio dei ministri dell'8 marzo 2013 ha autorizzato il dipartimento della protezione civile – in stretto raccordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – ad adottare i provvedimenti necessari a consentire il trasporto della nave Costa Concordia presso il porto di Piombino per lo smantellamento, utilizzando le risorse già stanziate ed effettivamente disponibili, in raccordo con il Ministero dell'economia e delle finanze;
   nonostante i vari solleciti dell'amministrazione di Civitavecchia, l’iter che ha portato a tale decisione non ha visto coinvolta la città laziale ed il suo porto, che si sono per tempo candidati ad ospitare la nave per la realizzazione dei lavori;
   le distanze dei due porti dal luogo dell'incidente sono equivalenti (circa 39 miglia) ma, contrariamente a quello di Piombino, il porto di Civitavecchia è già pronto per ricevere la nave, disponendo di fondali adeguati (18 metri), banchine, un adeguato bacino interno ed ampie aree per le lavorazioni;
   la demolizione della Costa Concordia a Civitavecchia potrebbe essere quindi realizzata con un limitato impegno di spesa, nel pieno rispetto delle linee di spending review adottate dal Governo Monti;
   la scelta del porto di Piombino comporterebbe, al contrario, una spesa valutata tra i 150 e 200 milioni di euro, da reperire nelle pieghe del bilancio dello Stato, risorse che appaiono destinate più a soddisfare l'aspirazione di quel porto ad ampliare la propria infrastruttura che a risolvere il problema «Costa Concordia»;
   pur volendo ridurre al minimo i tempi di una istruttoria comunque obbligatoria per legge, eseguire escavazioni di fondali, costruire ex novo una banchina di approdo per la nave – attualmente inesistente, come ammesso dallo stesso Luciano Guerrieri, presidente dell'autorità portuale di Piombino – apprestare difese foranee nonché eseguire opere portuali per le operazioni di demolizione, comporta un impegno temporale di 1-2 anni; ciò, in presenza di una significativa opposizione delle organizzazioni ambientaliste toscane, da subito emersa sugli organi di stampa;
   non appare, quindi, garantita la continuità fra le operazioni di recupero del relitto e l'inizio delle operazioni di demolizione e che, tanto meno, alcun cenno si è fatto circa la destinazione della nave nel periodo di attesa che si prospetta per l'adeguamento strutturale del porto di Piombino;
   la città di Civitavecchia aspira a veder sviluppato il proprio porto anche come polo industriale, segnatamente cantieristico, mirato alla promozione occupazionale ed alla diversificazione delle attività portuali –:
   se il Governo alla luce delle ragioni descritte in premessa e di una decisione che – estremamente onerosa per le casse dello Stato – appare profondamente inadeguata e contraria all'impostazione di spending review introdotta dal Governo Monti, non ritenga opportuno convocare quanto prima un incontro tra tutti i soggetti istituzionali interessati, per valutare comparativamente la possibilità di una soluzione meno impegnativa dal punto di vista finanziario e temporale nonché tecnicamente più adeguata. (4-00094)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «Decreto Sviluppo») pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11 agosto 2012 ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha rideterminato l'oggetto della disciplina del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con riferimento alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;
   le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128. Questa disposizione, di fatto, non vieta le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare di tutte le concessioni antecedenti alla data del 26 agosto 2010 (data di entrata in vigore del provvedimento), ad avviso degli interroganti contravvenendo ai «fini di tutela ambientale dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù delle leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea»;
   le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati prima del 26 agosto 2010, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Anche questa disposizione, di fatto, non vieta le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare di tutte le autorizzazioni, concessioni conseguenti e connessi antecedenti alla data del 26 agosto 2010 (data di entrata in vigore del provvedimento) contravvenendo ai fini di tutela ambientale dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù delle leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea comprendendo anche i titoli prorogati e ancora in attesa di autorizzazione;
   in applicazione della nuova disciplina, in data 21 gennaio 2013, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale ha espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul «Progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi “Ombrina Mare” nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD», come documentato sul portale web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'area marina, in cui si sviluppa il progetto, è parte integrante del Parco nazionale «costa teatina» così come disposto dall'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93 con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata e trovandosi l'area stessa a circa 6 chilometri della costa teatina;
   il territorio della costa teatina, e quello dell'intera regione, è caratterizzato dalla presenza di tre parchi nazionali ed uno regionale, nonché di una zona costiera molto suggestiva e che tali caratteristiche territoriali hanno permesso un forte sviluppo del turismo, dell'artigianato, della pesca, dell'agroalimentare e di tutte le attività indotte e connesse e che quindi sussistono gravi motivi attinenti al pregiudizio di situazioni di particolare valore ambientale o archeologico-monumentale;
   la regione Abruzzo, gli enti locali, le comunità territoriali, le realtà produttive e le associazioni sono orientate ad un sistema regionale integrato mare-montagna di sviluppo economico e sociale ecosostenibile e che la presenza del Progetto Ombrina 2 potrebbe fortemente compromettere –:
   se la procedura di valutazione d'impatto ambientale sul progetto Ombrina 2, concessione d30 B.C.-M.D. sia stata correttamente svolta ed in particolare se le modifiche degli elaborati del progetto sottoposto a valutazione d'impatto ambientale apportate dal proponente e pubblicate sul sito del Ministero, siano ritenute dall'autorità competente sostanziali e rilevanti per il pubblico, ai sensi dell'articolo 24, comma 9-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e se l'autorità competente abbia eseguito quanto previsto dal comma 10 dell'articolo 24 dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero la pubblicazione su sito web dell'autorità competente della documentazione presentata dal proponente, ivi comprese le osservazioni, le eventuali controdeduzioni e le modifiche eventualmente apportate al progetto, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. (4-00090)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONOMO, FREGOLENT, BOCCUZZI, PAOLA BRAGANTINI, D'OTTAVIO, DAMIANO, GIORGIS, MATTIELLO, PATRIARCA e ROSSOMANDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la società Difesa Servizi è stata formalmente costituita con legge 23 dicembre 2009, n. 191, (articolo 2, commi 27 e 32-36) poi oggetto di riassetto nell'articolo 535 del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66;
   i settori prioritari di intervento della Difesa Servizi spa riguardano la valorizzazione e la gestione degli immobili militari ed in particolare la valorizzazione energetica di caserme e strutture militari tramite l'installazione di impianti fotovoltaici;
   in data 7 aprile 2011 è stata firmata la prima convenzione attuativa con il Ministero della difesa che affida alla società Difesa Servizi spa la gestione di 64 siti in uso alla Difesa dove potranno essere installati impianti fotovoltaici;
   la società Difesa Servizi spa ha pubblicato in data 22 settembre 2011 un bando pubblico per selezionare soggetti economici cui concedere a titolo oneroso l'uso di terreni per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte solare fotovoltaica;
   agli esiti di tale bando la società aggiudicataria Belectric attraverso la Ciriè Centrale PV Sas della Belectric Italia srl, con sede legale in Roma e sede Operativa in Sermoneta (LT) ha presentato il progetto per l'avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale e contestuale valutazione di incidenza: H procedimento è stato avviato nel mese di agosto 2012;
   per tale progetto è stata data valutazione di incidenza negativa ed è emersa la necessità di rilocalizzare l'impianto;
   nel febbraio 2013 è stato presentato un nuovo progetto che ha per oggetto la realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica di potenza pari a circa 45 megawatt e si estenderà su una superficie di circa 73 ettari;
   la Vauda Canavese è un ambiente seminaturale di brughiera e costituisce una di quelle porzioni di territorio che, seppur modificate nel corso dei secoli dall'intervento umano, ha mantenuto alcune sue caratteristiche ecologiche tipiche e legate alla naturalità del luogo;
   per preservare tale tipicità ecologica l'area è stata costituita a riserva naturale Orientata con legge regionale 7 giugno 1993, n. 23;
   tale legge prevede: articolo 3 (finalità);
   «nell'ambito ed a completamento dei principi generali indicati nella legislazione regionale in materia di aree protette, le finalità dell'istituzione della Riserva naturale orientata della Vauda sono così specificate:
    a) tutelare e conservare le caratteristiche naturali, e paesaggistiche dell'area, anche attraverso interventi di recupero ambientale;
    b) consentire, qualificare e valorizzare le attività agro-zootecniche, compatibilmente con la finalità indicata alla lettera a);
    c) promuovere il recupero del patrimonio forestale;
    d) assicurare la fruizione dell'area a fini culturali, scientifici e ricreativi»;
   la zona è oggetto di attività turistiche e non (escursionismo a piedi, in bicicletta, a cavallo, fruizione di servizi di ristorazione, a altro) in quanto rappresenta una delle aree a bassa antropizzazione più estese dell'intera provincia di Torino e mantiene a pieno titolo la caratteristica di suolo libero da interferenze umane;
   la provincia di Torino si è dotata di un piano territoriale di coordinamento (PTCP2) approvato dalla regione Piemonte con deliberazione del consiglio regionale n. 121-29759 del 21 luglio 2011 pubblicata sul B.U.R. n. 32 del 11 agosto 2011 che tra i suoi fondamenti pone la salvaguardia dei suoli liberi del territorio provinciale;
   la giunta della regione Piemonte ha approvato con due delibere, pubblicate nel BUR n. 5 del 2 febbraio 2012, le nuove regole per l'installazione di impianti alimentati a fonti rinnovabili da cui emerge la necessità di salvaguardare le aree di interesse naturalistico da installazioni industriali per la produzione di energia da fonti rinnovabili;
   recentemente il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 176 del 15 gennaio 2013, ha evidenziato che, nell'ambito di una riserva naturale, l'interesse alla salvaguardia dell'ambiente deve essere considerato preminente rispetto all'esigenza di realizzare impianti da fonti energetiche rinnovabili;
   le dimensioni prospettate dell'impianto e la sua realizzazione nel territorio trasformeranno di fatto la riserva orientata naturale della Vauda in un'area industriale;
   il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha proposto un disegno di legge in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri –:
   se si ritenga più opportuno installare tali impianti prioritariamente su aree compromesse dal punto di vista dell'utilizzo come tetti di caserme e capannoni, aree a piazzale già cementificate e altro. (4-00089)


   ROSATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della difesa, con decreto interdirigenziale n. 306 dell'11 ottobre 2011 ha indetto per l'anno 2012 «un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 3.756 volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP 4) nell'Esercito, nella Marina militare e nell'Aeronautica militare, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1)», il quale riservava 2.900 posti per l'Esercito, ripartiti in 1.450 posti per la prima immissione e 1.450 posti per la seconda immissione. Con successivo decreto interdirigenziale n. 380 del 6 dicembre 2011, si è elevato il numero di volontari da reclutare a 4.230 di cui 3.374 per l'Esercito;
   dopo la pubblicazione della graduatoria di merito relativa ai candidati idonei per la prima immissione, con decreto interdirigenziale n. 168 del 6 agosto 2012, il Ministero della difesa giunse ad una riduzione del contingente da reclutare, riducendo a 2.075 i posti nell'Esercito;
   risulta all'interrogante che i vincitori del concorso non sono, però, stati chiamati in servizio in ferma quadriennale, nemmeno gli idonei posizionati in graduatoria nei primi 2.075 posti;
   nonostante non sia stata ancora esaurita la graduatoria di cui al concorso indetto per il 2012 con decreto interdirigenziale del 3 gennaio 2013, il Ministero della difesa ha indetto, per l'anno 2013, «un concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di 2.409 VFP 4 nell'Esercito, nella Marina militare e nell'Aeronautica militare, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1)» di cui 1.972 posti sono stati riservati all'Esercito –:
   per quali ragioni il Ministero non abbia proceduto all'immissione in servizio dei vincitori del concorso indetto per il 2012, e se questa presa in servizio avverrà nel corso del 2013;
   per quali ragioni il Ministero, nonostante non avesse esaurito la graduatoria del concorso indetto per il 2012, abbia deciso di indire un nuovo concorso per l'anno 2013;
   come, il Ministero, intenda tutelare, alla luce dei fatti sopra esposti, i vincitori del concorso indetto per il 2012. (4-00095)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in l'attuazione del piano nazionale per il Sud sono state individuate ed assegnate risorse per gli interventi di rilevanza strategica regionale, deliberate dal CIPE il 3 agosto 2011. La delibera CIPE 11 gennaio del 2011, n. 1, ha previsto, a favore della regione Sardegna, lo stanziamento di oltre 100 milioni di euro per il completamento della strada statale n. 125 Cagliari-Tortolì, che, per tali motivi, ritroviamo nell'elenco infrastrutture strategiche interregionali e regionali pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011;
   l'approccio metodologico adottato per la realizzazione delle opere, sono i contratti istituzionali di sviluppo (CIS), la cui finalità è esattamente quella di legare i contraenti in maniera più chiara per evitare quello che è avvenuto in passato ovvero il non rispetto dei tempi di realizzazione;
   giova ricordare che l'insieme degli interventi stradali considerati infrastrutturali e strategici per la regione, consente di attivare un volume complessivo di investimenti di 192,8 milioni di euro con ingenti ripercussioni sul sistema economico della regione Sardegna sia in termini di adeguamento infrastrutturale sia soprattutto in chiave anticiclica;
   con l'interpellanza urgente n. 2-01578 illustrata il 12 luglio 2012 nell'Assemblea della Camera, è stato fatto presente:
    a) lo stato di grave ritardo, rispetto ai tempi previsti dall'ANAS, in cui versano i cantieri in essere;
    b) la mancata assegnazione dei lotti, la cui aggiudicazione sarebbe dovuta già essere avvenuta;
    c) la possibile indisponibilità di alcune tranches di finanziamenti già assegnati;
   in quella sede il Ministro per i beni e le attività culturali ha spiegato che il CIS implica l'introduzione di sanzioni per il soggetto attuatore – l'ANAS in questo caso;
   pertanto la redazione del prototipo di questo contratto ha richiesto tempo perché il soggetto concessionario ha ovviamente il problema che siano chiaramente accertate le responsabilità proprie e non invece le responsabilità che potrebbero derivare dal ritardo degli altri soggetti pubblici;
   il Ministro per i beni e le attività culturali non ha fatto cenno a problemi di copertura finanziaria dell'opera, né di ritardi nell'assegnazione di risorse;
   salutando con favore l'apertura, avvenuta in questi giorni, del tratto tra Capo Boi e Terra Mala, occorre porre l'attenzione sulla conferenza dei servizi, prevista per giugno, nella quale l'ANAS illustrerà la pianificazione definitiva dei lotti: Tertenia-Tortolì, da 33 milioni di euro e S. Priamo-Tertenia da circa 58 milioni;
   resta ancora da definire la valutazione di impatto ambientale del secondo stralcio del lotto tra San Priamo e Tertenia, per il quale sono disponibili 90 milioni di euro, provenienti dal Fondo per il sud;
   la modernizzazione della viabilità interna della Sardegna, oltre che ad avvicinare la dotazione infrastrutturale dell'isola agli standard europei, è fondamentale per le prospettive di sviluppo dell'est Sardegna –:
   quali iniziative urgenti si intendano intraprendere per la sollecita definizione degli iter burocratici e progettuali al fine di consentire la rapida apertura dei cantieri necessari al completamento della strada statale n. 125 Cagliari-Tortolì.
(2-00010) «Cicu».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 380 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 introduce elementi di novità nella disciplina dell'imposta municipale propria, ed in particolare:
    alla lettera a) è soppressa la riserva allo Stato di cui al comma 11 dell'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    alla lettera f) è riservato allo Stato il gettito dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo, del citato articolo 13;
    alla lettera g) i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma 6, primo periodo del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D;
   tale nuova disciplina impedisce ai comuni di ridurre l'aliquota IMU per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D al di sotto dello 0,76 per cento;
   i comuni che negli ultimi anni avevano in essere riduzioni di aliquota per tali immobili – di cui il mancato gettito veniva sopportato dal bilancio comunale e non scaricato sulla finanza statale – subiscono richiami da parte del Ministero dell'economia e delle finanze in cui si sottolinea la necessità di eliminare l'aliquota agevolata e ripristinare il livello minimo dello 0,76 per cento (come avvenuto al comune di Ferrara, che in data 4 febbraio 2013 ha ricevuto una nota del Ministro dell'economia e delle finanze);
   tale situazione limita considerevolmente e ingiustificatamente l'autonomia dei comuni nella manovra di un tributo comunale;
   è ribadita la necessità che i comuni che vogliano porre in essere agevolazioni di questo tipo ne sopportino le conseguenze con risorse proprie –:
   se intendano assumere iniziative affinché la nuova disciplina in materia di IMU preveda per i comuni la possibilità di riduzione dell'aliquota per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D e il risultante mancato gettito venga scaricato interamente sulle entrate proprie comunali senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. (4-00081)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2010, uno degli interroganti ha depositato un'interrogazione a risposta scritta riguardante la situazione della società Helios Technology, con sede legale in via Postumia 9/b a Carmignano di Brenta (Padova) – soggetta alla direzione e al coordinamento della società Kerself Spa con sede in Prato di Correggio (Reggio Emilia);
   la società si apprestava a predisporre la cassa integrazione per 190 dei 200 dipendenti in seguito a una grave crisi finanziaria che ha investito sia Helios che Kerself determinando un calo della produzione, incrementi nelle perdite e un forte indebitamento, impedendo di fatto l'approvvigionamento di materie prime indispensabili al proseguimento dell'attività;
   nel frattempo al Gruppo Kerself è succeduto nella proprietà il gruppo Aiòn Renewable che non è stato in grado di risolvere le difficoltà dell'impresa;
   Aiòn Renewable s.p.a. dispone di un capitale sociale di 24,7 milioni di euro ed è partecipata per il 28 per cento da Avelar Energy LTD, per il 19 per cento da Zongyi Luxembourg investement Sarl, per il 24 per cento da Free Float, per l'8 per cento da Finmav s.p.a., per il 7 per cento da Nobis s.r.l., per il 6 per cento da Vitrè s.a.s., e per il restante 8 per cento da Francesco e Sebastiano Maggi;
   il Ministero, nella persona del viceministro Michel Martone, ha risposto alla interrogazione citata, ripercorrendo la storia della vicenda e descrivendo la delicata situazione attuale confermando lo stato di precario equilibrio economico finanziario delle società citate;
   in particolare il Ministero fa presente che «nel primo semestre 2010, il gruppo Kerself è entrato in crisi, registrando un calo del valore della produzione e un incremento delle perdite e dell'indebitamento complessivo. Analogo trend negativo è stato registrato a partire dal 2010 anche dalla Helios Technology s.p.a., tale condizione è stata determinata dalle difficoltà dell'azienda di approvvigionarsi di materie prime a causa della carenza di liquidità. A partire dal 2009, infatti la Helios Technology s.p.a. Ha sostenuto forti investimenti finalizzati all'acquisto di nuovi impianti ad alta tecnologia; ad aggravare la situazione di crisi è intervenuta, nell'ottobre del 2010, la conclusione in senso sfavorevole per la Helios dell'arbitrato internazionale della International Chamber of Commerce di Parigi che ha imposto all'azienda il pagamento di 30 milioni di euro alla società cinese LDK Solar Co.Ldt, in relazione ad un contratto di fornitura di silicio stipulato tra le due aziende. In seguito alle forti preoccupazioni espresse dalle organizzazioni sindacali circa lo stato dell'azienda, si sono svolti presso le istituzioni comunali e provinciali vari incontri con le parti sociali, nel corso dei quali si è convenuto di ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria, di cui Helios Technology s.p.a. Ha usufruito nell'anno 2010 e 2011»;
   in seguito Helios Technology s.p.a. con il piano industriale 2010-2014 si è impegnata a far ripartire la produzione e a mantenere i livelli di occupazione;
   nella stessa risposta il Ministero fa presente che «la Regione Veneto ha rappresentato che in assenza di incentivi finalizzati all'acquisto di moduli fotovoltaici, in prospettiva si potrebbe arrivare alla chiusura degli impianti stante la mancanza di nuovi ordini della specifica linea produttiva»;
   occorre considerare che tra il 2010 e il 2011, in seguito a pronunce dell'Unione europea che hanno giudicato eccessivi gli incentivi italiani al settore fotovoltaico, tali addirittura da comportare meccanismi distorsivi della concorrenza, detti incentivi sono stati ridotti;
   infine il Ministero fa sapere che alla data del 13 febbraio scorso né Aiòn né Helios avevano richiesto incontri presso il Ministero del lavoro per l'esame della situazione occupazionale;
   l'8 marzo 2013 il titolo Aiòn Renewable è stato sospeso dalle borse fino a data da destinarsi e oggi si apprende dalla stampa che il tribunale di Reggio Emilia ha dichiarato il fallimento della stessa società rimandando al 24 settembre l'esame delle passività che pare ammontino a 245 milioni di euro;
   questa notizia coinvolge direttamente le due società, Ecoware di Padova e la Helios Technology di Carmignano sul Brenta, e pone in seria difficoltà la prospettiva di salvaguardare i 290 dipendenti già pesantemente danneggiati dall'andamento delle due imprese e dai cronici ritardi nei pagamenti degli stipendi;
   il prossimo 4 aprile si terrà un vertice presso la Provincia di Padova per valutare ipotesi di piani industriali tesi a tutelare i dipendenti sui quali, tuttavia, pesa la vicenda di Aiòn Renewable s.p.a. che appare difficilmente risolvibile –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti fin qui esposti;
   in che modo i Ministri intendano adoperarsi per evitare che la situazione sopra descritta possa degenerare sino a comportare il blocco totale degli stabilimenti Helios ed Ecoware e la conseguente perdita di 290 posti di lavoro;
   se i Ministri intendano coinvolgere la regione Veneto, tramite l'agenzia Veneto Sviluppo, per salvaguardare una realtà produttiva che occupa numerosi lavoratori ed è all'avanguardia nella produzione di moduli fotovoltaici. (4-00085)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la quasi totale «decapitazione» dei vertici Enav, Finmeccanica e Selex ha prodotto una situazione in virtù della quale oggi Enav è governata da un amministratore unico nella persona del dottor Massimo Garbini;
   ad onta di quanto potrebbe apparire, anche il dottor Garbini, voluto dal Governo Monti alla guida di Enav, risulterebbe coinvolto in indagini giudiziarie, così come riportato da Il Sole 24 Ore del 29 aprile 2012;
   oltre quanto esposto nell'articolo in questione de Il Sole 24 Ore, sembrerebbe che uno dei figli del dottor Garbini sia stato assunto in Enav come controllore di volo;
   sembrerebbe, inoltre, che Enav, oltre l'assunzione di un Garbini come controllore di volo, ne avrebbe recentemente assunto un secondo Garbini;
   oltre a queste assunzioni, l'Enav avrebbe assunto negli ultimi tempi i figli dei suoi più importanti e fedeli dirigenti della linea operativa (Bellizzi, Biagiola, Di Giulio, Malè, e altri);
   quanto sopra esposto è stato reso pubblico e addirittura maggiormente dettagliato in un servizio giornalistico della dottoressa Flavia Filippi, andato in onda sul Tg La7 delle ore 20 del 18 febbraio 2013;
   risulterebbe, inoltre, che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia autorizzato l'amministratore unico a nominare uno dei suoi più fidati collaboratori quale direttore generale, nonostante il suo stato di amministratore unico, paragonabile a quello di commissario straordinario, avrebbe consigliato di attendere l'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione;
   sembrerebbe, inoltre, che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia consentito l'adozione di un atto organizzativo in Enav, finalizzato a porre alla diretta dipendenza del direttore generale, la direzione acquisti, che comporterebbe come conseguenza che le funzioni dirette all'acquisto dei costosi sistemi tecnologici (area operativa, area tecnica, area E-procurement) siano poste alle dirette dipendenze della stessa persona –:
   se i Ministri interrogati intendano verificare se corrisponda al vero quanto sopra esposto e quali iniziative intendano promuovere per una verifica della situazione del settore assunzioni di Enav;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda verificare i termini delle autorizzazioni disposte nei confronti di Enav soprattutto alla luce delle problematiche relative agli appalti di Enav e Finmeccanica. (4-00086)


   MISIANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 43-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ha previsto «in considerazione dell'eccezionale crisi economica internazionale e delle condizioni del mercato immobiliare e dei mercati finanziari» la messa in liquidazione del patrimonio separato relativo alla prima e alla seconda operazione di cartolarizzazione effettuate dalla Società cartolarizzazione immobili pubblici srl (SCIP);
   la scelta di concludere la fallimentare esperienza delle cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici conferiti in Scip2, le cui modalità di attuazione sono definite dal medesimo articolo 43-bis, lascia insoluti una serie di rilevanti quesiti, con particolare riferimento ai contenuti e ai costi dell'operazione di liquidazione;
   secondo il comma 4 dell'articolo 43-bis il valore degli immobili è determinato dall'Agenzia del territorio entro e non oltre il 20 marzo 2009, sulla base delle liste contenenti gli elementi identificativi degli immobili in possesso della SCIP;
   il comma 6 dell'articolo 43-bis dispone che il trasferimento degli immobili di cui al comma 2 appartenenti al patrimonio separato relativo alla seconda operazione di cartolarizzazione è effettuato per un corrispettivo pari al valore degli immobili stessi determinato ai sensi del comma 4. Tale corrispettivo è versato alla SCIP, al netto dell'eventuale maggiore valore individuato ai sensi del comma 4 rispetto alle passività della società stessa relative alla seconda operazione di cartolarizzazione, per i titoli emessi, i costi ed i finanziamenti assunti, al netto degli incassi disponibili –:
   quale sia stata la valutazione finale predisposta dall'Agenzia del territorio ai sensi del comma 4 dell'articolo 43-bis per il conferimento di tutti gli immobili SCIP ancora invenduti;
   a quanto ammontino in complesso i corrispettivi versati, ai sensi del comma 6 dell'articolo 43-bis, dagli enti previdenziali alla SCIP;
   quali enti abbiano versato effettivamente le somme dovute secondo quanto previsto dalla normativa sopra richiamata;
   a quanto ammontino i corrispettivi versati da ciascun ente previdenziale per ricomprare i beni;
   in quale forma siano state o verranno poste a bilancio degli enti previdenziali le cifre necessarie al riacquisto degli immobili;
   se nel lasso di tempo intercorrente dalla conversione in legge del decreto-legge siano state alienate unità immobiliari riacquisite dagli enti;
   quali valutazioni economiche verranno applicate per la successiva dismissione del patrimonio invenduto, cioè quali prezzi unitari saranno previsti per le vendite e chi dovrà determinarli;
   se risponda al vero che gli enti previdenziali, in particolare l'INPS, abbiano chiesto agli affittuari degli immobili classificati di pregio di acquistare ad un prezzo rivalutato, ovvero che gli stessi appartamenti sarebbero messi all'asta nei prossimi mesi con nuove valutazioni totalmente differenti da quelle già da tempo individuate dall'Agenzia, del territorio;
   se risponda al vero che esistano contatti formali tra il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e i comitati degli inquilini degli stabili di pregio per mettere a punto soluzioni transattive come più volte richiesto dagli stessi inquilini;
   se risponda al vero che verrebbero equamente indennizzati quegli inquilini che hanno già acquistato un immobile di pregio e ne mantengano a tutt'oggi la proprietà stante il fatto che essi hanno adempiuto alle prescrizioni della legge e che diverse e più favorevoli condizioni ottenute anche in via transattiva dagli attuali affittuari di immobili di pregio finirebbero per aprire un ulteriore contenzioso negativo con il Ministero dell'economia e gli enti previdenziali;
   se gli enti previdenziali pubblici abbiano stilato un business plan di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e del lavoro, della salute e delle politiche sociali per la totale alienazione degli immobili acquistati o se invece si preveda per quelli non ancora optati un'acquisizione al patrimonio, togliendoli di fatto dalla vendita anche in futuro e mantenendoli nella stretta proprietà agli enti stessi. (4-00098)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARGERO e FIORIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la giurisdizione del giudice di pace di Moncalvo (Asti) investe comuni del versante astigiano: Moncalvo, Calliano, Penango, Grazzano Badoglio e Tonco, nonché del versante alessandrino: Ottiglio, Sala, Cereseto, Serralunga di Crea, Ponzano, Castelletto Merli, Odalengo Piccolo, Alfiano Natta, Villadeati, Murisengo, Odalengo Grande, Cerrina, Mombello e Solonghello;
   il 25 aprile 2013 scade il termine utile perché i comuni interessati alla sede locale del giudice di pace possano formulare proposte per sostenere i costi di gestione della sede evitando la chiusura di questo presidio per 1'amministrazione della giustizia del territorio;
    mancando questa sede i cittadini dei comuni sopra evidenziati dovrebbero rivolgersi alle sedi di Alessandria od Asti, affrontando costi e disagi per ottenere giustizia;
    il ricorso al giudice di pace si è reso obbligatorio secondo quanto previsto dalla riforma –:
   quali siano gli effetti stimati sul servizio giustizia di tale eventuale chiusura. (4-00088)


   DECARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da molti mesi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono in attesa di giudizio che sembra non potersi mai celebrare perché la Corte che li deve giudicare non è stata costituita;
   è importante precisare che a parere dell'interrogante la condotta indiana è contraria al diritto internazionale perché per i reati commessi a bordo delle navi in acque internazionali è competente solo il Paese di provenienza della nave, in questo caso l'Italia;
   lo Stato indiano continua comunque ad affermare la propria competenza con riferimento al processo ai due sottufficiali italiani in merito al presunto reato commesso nei confronti dei propri connazionali;
   poco prima delle elezioni politiche il Governo italiano ha ottenuto il rientro dei due marinai con un permesso temporaneo;
   dopo le elezioni politiche i due sottufficiali sono stati esentati dall'impegno di rientrare in India dal Presidente del Consiglio dei ministri;
   al momento la situazione è completamente cambiata, in quanto Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati «costretti» a ritornare in India;
   lo stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad una domanda fatta in una trasmissione televisiva, ha riconosciuto che il Governo italiano in carica ha perso di credibilità internazionale;
   si apprendono dichiarazioni preoccupanti da parte del Ministro degli esteri indiano Salman Khurschid, il quale afferma, sul ritorno dei due fucilieri italiani, che è «un bene per entrambi i Paesi» –:
   quali siano le motivazioni per le quali si è giunti all'attuale situazione con il rientro immediato dei due sottufficiali dopo che il Governo italiano aveva fornito ampie rassicurazioni sulla permanenza in Italia;
   quali iniziative si intendano intraprendere per denunciare quest'ennesima violazione degli accordi internazionali;
   se si ritenga opportuno interessare formalmente l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea;
   se i Ministri interrogati abbiano intenzione di rassegnare le proprie dimissioni a seguito delle modalità imbarazzanti con cui hanno gestito la vicenda mettendo a rischio la credibilità del Paese. (4-00099)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comma 232 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010) ha approvato la possibilità di «specifici progetti prioritari la cui realizzazione possa essere avviata per lotti costruttivi non funzionali» per i quali «con l'autorizzazione del primo lotto costruttivo CIPE assume l'impegno programmatico di finanziare l'intera opera»;
   la delibera CIPE n. 48 del 18 novembre 2010 ha autorizzato l'avvio dei lavori per la realizzazione del terzo valico dei giovi, tratta AV/AC Milano-Genova per un importo di 6.200 milioni di euro, al netto delle attività propedeutiche, così ripartito per lotti costruttivi:
    i lavori relativi al 1o lotto costruttivo ammontano a 500 milioni di euro, a 1.100 per il secondo, a 1.270 per il terzo, a 1.340 per il quarto, a 1.200 per il quinto, a 650 per il sesto;
   la stessa delibera ha autorizzato il primo lotto costruttivo dell'opera del valore di 500 milioni di euro, prescrivendo che prima dell'avvio dei lavori vengano trasmessi al CIPE l'atto integrativo della convenzione vigente tra RFI spa e il contraente generale «Consorzio Collegamenti Integrati Veloci (COCIV)» ed il dossier di valutazione previsto dall'articolo 4, comma, del contratto di programma 2007-2011 per la gestione degli investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI spa;
   in data 11 novembre 2011 è stato sottoscritto l'atto integrativo alla convenzione del 16 marzo 1992 tra RFI e COCIV;
   la delibera del CIPE del 6 dicembre 2011 ha disposto l'assegnazione a favore di RFI di complessivi 1.100 milioni di euro per la realizzazione del secondo lotto costruttivo non funzionale;
   nella seduta del 18 marzo 2013 il CIPE ha espresso parere favorevole «sullo schema di Contratto di programma 2012-2014 (parte servizi) tra Ministero delle infrastrutture dei trasporti e Rete Ferroviaria italiana (RFI) spa per la disciplina delle attività di safety, security e navigazione ferroviaria. Il Comitato ha altresì assegnato al medesimo contratto ulteriori risorse pari a 578 milioni di euro, di cui 240 milioni di euro con una riduzione di pari importo dal lotto «dell'AV/AC Milano-Genova (terzo valico dei Giovi) e 338 milioni di euro da residuo delle somme derivate dall'articolo 1 comma 176 della legge n. 228 del 2012;
   tale decisione ha provocato legittime preoccupazioni rispetto ai temi di realizzazione del terzo valico dei Giovi che rappresenta un'opera fondamentale nell'ambito della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) ed in particolare per il corridoio Genova-Rotterdam, e al complesso iter amministrativo –:
   come intenda recuperare e in che tempi le risorse sottratte al secondo lotto costruttivo non funzionale;
   se possano determinarsi problemi rispetto all’iter procedurale amministrativo. (5-00056)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione di Pescara è il più importante nodo ferroviario della regione Abruzzo con un traffico giornaliero di 133 treni, di cui 94 regionali e interregionali, 20 frecce bianche, 19 intercity, con una media di 5 mila viaggiatori;
   nonostante sia il riferimento dell'intera regione Abruzzo, con i suoi 1.300.000 abitanti, Trenitalia non ha previsto nessuna presenza di treni ad alta velocità «frecce rosse», nel collegamento con il nord della linea ferroviaria adriatica, che invece sono stati previsti da Ancona;
   questa scelta di Trenitalia è in linea con una politica che da anni ha provocato una crescente marginalizzazione del trasporto ferroviario a tutto vantaggio del trasporto privato e di quello su gomma: da anni è stata cancellata la relazione tra Pescara e Napoli, per raggiungere Roma da Pescara si impiegano quasi 4 ore (10 anni fa si impiegava mezz'ora in meno), è stata drasticamente ridotta l'offerta di treni regionali e interregionali, il materiale rotabile è di pessima qualità con disservizi di ogni tipo, i treni notturni verso il nord sono stati ridotti o non fermano più a Pescara, un numero considerevole di stazioni sono state disabilitate, sono stati abbandonati i progetti più interessanti di sviluppo del trasporto metropolitano e pubblico locale;
   gli enti locali, la regione Abruzzo, le organizzazioni economiche, sindacali e degli utenti hanno chiesto a Trenitalia di cambiare questa linea di disimpegno e di penalizzazione delle ferrovie abruzzesi e della stazione di Pescara –:
   quali siano le ragioni di quelle che all'interrogante appaiono le attuali irrazionali e antieconomiche scelte di abbandono della sua presenza di Trenitalia in Abruzzo e se si intenda rivedere in particolare la scelta di non prevedere la partenza di treni ad alta velocità «frecce rosse» dalla stazione di Pescara. (4-00080)


   VELO, SANI, MANCIULLI e FONTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che Trenitalia ha in programma la soppressione di due linee «Frecciabianca» – a decorrere dal 14 aprile 2013 – sulla tratta tirrenica;
   da tempo, nelle biglietterie e on line, non è possibile acquistare biglietti per i treni in questione per partenze programmate dopo il 14 di aprile;
   il «Frecciabianca» circola su linee tradizionali e collega centri di medie e grandi dimensioni al di fuori della rete ad alta velocità: il taglio di queste linee, se confermato, potrebbe determinare l'eliminazione di due convogli veloci – il 9762 da Grosseto verso nord alle 8,22 e il 9765 in transito a Grosseto alle 21,54 verso sud;    
   la prevista eliminazione di questi collegamenti strategici potrebbe determinare l'inevitabile isolamento del territorio servito, con seri rischi per le attività produttive e gravi disagi per i lavoratori pendolari; ingente sarebbe anche il danno economico alla stagione turistica che si apre a Pasqua; gravi sarebbero i disagi al tessuto sociale delle aree escluse dal servizio ferroviario, alcune delle quali hanno subito seri danni con le recenti alluvioni; in generale si avranno conseguenze e costi economici incalcolabili sul piano della mobilità lavorativa e sociale;
   l'annunciata soppressione delle linee agita i pendolari in una protesta di massa, che denuncia l'ennesimo, grave deterioramento dei servizi e delle infrastrutture in Maremma;
   la mobilitazione dei comuni, della provincia e della regione si associa a quella dei mezzi di informazione e dei cittadini per impedire lo smantellamento della linea ferroviaria tirrenica;
   la prevista deviazione verso la dorsale appenninica (Roma-Firenze) di alcuni pendolini fin qui attivi sulla linea tirrenica – secondo l'ingegner Valerio Cutini dell'università di Pisa – si tradurrà in un pesante disagio, non solo per i molti che a Grosseto usano il treno per i propri spostamenti, ma anche per coloro che risiedono a Grosseto e lavorano fuori e per quelli che risiedono in altre città e lavorano a Grosseto; per tutti – e in particolare per i turisti – sarà difficile raggiungere questo territorio ricco di attrattive e di risorse culturali, con grave perdita di opportunità e di risorse, per Grosseto ed il territorio toscano;
   è essenziale garantire una piena e fluida accessibilità al capoluogo che, anche per la centralità della posizione, è uno snodo essenziale di traffico e non può essere considerato scalo ferroviario minore;
   appare necessario intervenire a modifica delle strategie di Trenitalia, che gestisce un servizio pubblico di interesse generale, per l'area di Grosseto;
   la soppressione dei collegamenti veloci tra Grosseto e le aree contermini potrebbe compromettere anche il traffico aereo sugli aeroporti di Fiumicino e di Pisa; la possibilità di raggiungere Grosseto da un vivace scalo lowcost o da un aeroporto intercontinentale in poco tempo è un asset economico formidabile per una provincia con una fortissima vocazione turistica –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-00091)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   MISIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1986 ogni anno simpatizzanti e nostalgici neofascisti provenienti da tutta Italia si riuniscono nel piccolo cimitero di Rovetta (Bergamo) per commemorare i 43 miliziani della Repubblica sociale italiana della legione Tagliamento fucilati dai partigiani il 28 aprile 1945;
   nel corso degli anni l'incontro di Rovetta, tacitamente di fatto tollerato dalle istituzioni come il «minore dei mali», è diventato uno dei maggiori raduni nazifascisti in Italia. All'incontro del 27 maggio 2012 hanno preso parte circa trecento persone;
   gli organizzatori del raduno hanno formalizzato la propria struttura fondando un comitato ufficiale, dal cui atto costitutivo emerge che lo scopo dichiarato del comitato è l'apologia del fascismo e del collaborazionismo con i nazisti e la perpetuazione di tali «valori» tramite l'indottrinamento delle giovani generazioni;
   il raduno di Rovetta è diventato un elemento di una più complessiva campagna di disinformazione e di revisionismo storico, tesa ad attaccare la Resistenza distorcendo la verità storica –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per porre fine ad una adunata che si configura ad avviso dell'interrogante come una palese e inaccettabile apologia di fascismo, in aperta violazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e della legge 20 giugno 1952, n. 645, anche in considerazione degli evidenti rischi per l'ordine pubblico e se risultino avviate indagini in relazione ai fatti descritti in premessa.
(4-00097)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e D'OTTAVIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 22 novembre 2012 il Ministro interrogato è intervenuto in audizione presso la VII Commissione Cultura in merito a fatti riportati da organi di stampa e televisivi inerenti a presunte irregolarità nella gestione di finanziamenti destinati al settore della ricerca e all'acquisto di prodotti didattici multimediali detti «Pillole del sapere»;
   in tale sede il Ministro aveva dato notizia di aver disposto, tramite una richiesta alla ragioneria generale dello Stato, un'indagine amministrativo-contabile da parte dei servizi ispettivi della finanza pubblica con l'intento di verificare le modalità di gestione delle risorse finanziarie nazionali e comunitarie dal 2008 a oggi con l'obbligo, a esito dell'azione ispettiva, di segnalare alla magistratura contabile e penale le eventuali irregolarità rinvenute;
   inoltre, al termine dell'audizione, nel ribadire la massima disponibilità, aveva espresso la volontà e l'impegno a comunicare alla Commissione quanto sarebbe emerso dalla fase di indagine avviata;
   sono già trascorsi circa cinque mesi dall'avvio della suddetta indagine ispettiva;
   nell'attuale continua richiesta di sacrifici e ristrettezze appare ancora più forte la responsabilità di verificare quale utilizzo sia stato fatto di alcune delle poche risorse ancora a disposizione dell'istruzione –:
   quale sia l'esito dell'azione ispettiva avviata dopo le presunte irregolarità nella gestione di finanziamenti statali destinati all'acquisto di prodotti didattici multimediali detti «Pillole del sapere». (5-00055)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'OTTAVIO e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'edilizia scolastica è una competenza dei comuni e delle province, i quali hanno realizzato per ogni edificio una scheda sottoscritta da tre tecnici come previsto dall'intesa Stato/regioni n. 7/09;
   dal gennaio 2010 ai controlli messi in atto dagli organi ispettivi e di polizia giudiziaria presso gli edifici scolastici conseguono provvedimenti di natura prescrittiva per gli enti proprietari e responsabilità penali e pecuniarie per i funzionari degli enti stessi e dei dirigenti scolastici in qualità di datori di lavoro;
   in particolare, nel territorio della provincia di Torino, dove il 22 novembre 2008 è avvenuto il crollo del controsoffitto del liceo Darwin che costò la vita al giovane Vito Scafidi, una capillare azione di controllo è stata avviata dalla procura della Repubblica attraverso gli uffici preposti delle aziende sanitarie locali;
   in particolare uno di questi controlli, quello presso il liceo Pascal di Giaveno, ha prodotto da parte degli ispettori una prescrizione di messa a norma antisismica entro sei mesi dell'intero edificio. Cosa evidentemente impossibile;
   i controlli svolgono una funzione importante ai fini della prevenzione in termini di sicurezza, ma non c’è alcun bisogno di procurare allarmismo e, soprattutto, tra enti e funzionari pubblici dovrebbe essere possibile conciliare i diversi aspetti dell'interesse collettivo. Per esempio, richiedere l'immediato sgombero di un edificio scolastico deve conciliarsi, quando è possibile, con l'esigenza di garantire lo svolgimento dell'attività didattica –:
   se sia al corrente della situazione illustrata, se ritenga esperibile, per quanto di competenza, una funzione di mediazione viste anche le difficoltà nelle quali versano gli enti locali e quali ulteriori iniziative intenda assumere in proposito. (4-00087)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'agriturismo è un'attività connessa ai sensi del decreto legislativo del 18 maggio 2001, n. 228 e dell'articolo 2135 del Codice civile;
   l'agriturismo mantovano, in particolare, è regolato dalla legge quadro 20 febbraio 2006 n. 96, dalla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale), dal regolamento regionale 6 maggio 2008, n. 4 integrato con le modifiche introdotte dai regolamenti regionali 28 dicembre 2009 e regolamento regionale 19 dicembre 2011, n. 7;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, già con propria circolare del 22 marzo 1991, n. 41, aveva riconosciuto la natura agricola dell'agriturismo. Si premette altresì che nell'attività agricola è diffusa la fattispecie di cui all'articolo 230-bis del Codice civile e che al primo comma di suddetto articolo dispone che: «salvo che sia configurabile un diverso rapporto il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi». Inoltre, al terzo comma di suddetto articolo si dispone che: «ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come il familiare coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado; per impresa familiare quella in cui collaborano il coniuge, i parenti di terzo grado, gli affini, entro il secondo»;
   in particolare, in agriturismo, per la stagionalità e per la saltuarietà delle sue espressioni è da sempre diffuso l'apporto di lavoro familiare occasionale e non retribuito. È questo un apporto non subordinato, non retribuito, occasionale e quand'anche ripetitivo, comunque sempre di breve periodo;
   si rileva, in particolare che, in seguito alla, sentenza della Corte Costituzionale del 10 dicembre 1987, n. 476, la giurisprudenza ritiene ora tendenzialmente applicabile l'obbligo assicurativo in tutti i casi di familiari collaboratori nell'impresa familiare che prestino attività lavorativa non riconducibile al rapporto societario o di lavoro subordinato, escludendo d'altra parte i soggetti che espletano attività lavorative nel proprio interesse, o comunque a titolo di mera cortesia, esulando tali prestazioni da qualsiasi vincolo associativo (Cassazione 6 novembre 2002, n. 15588);
   si segnala, altresì, ulteriore giurisprudenza secondo la quale la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese fra parenti che convivono non può essere esclusa solo per la considerazione della scarsità del vincolo di parentela (nella fattispecie di quarto grado, o del carattere non domestico dell'attività lavorativa. Cassazione 9 febbraio 1989, n. 818);
   l'Inps, dal suo canto, con circolari del 13 giugno 1996, n. 125, e del 3 febbraio 2010, n. 17, ha più volte ribadito la validità di questo inquadramento ed in questi anni ad esse ci si è riferiti. Per l'inquadramento di questo apporto da ultimo ha sorretto la circolare Ines 8 febbraio 2005, n. 22, nonché l'articolo 74 della cosiddetta legge Biagi. La circolare 22 del 2005 dell'Ines, in particolare, ha sottolineato che: «non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al terzo grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento o di esecuzione lavori»;
   la circolare Inail del 1o dicembre 1993, n. 53, ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge 22 maggio 1993, n. 155, esclude inoltre la possibilità dell'iscrizione ai soli fini Inail di familiari che non si dedicano con continuità e prevalenza all'attività agricola –:
   quale debba essere il comportamento da osservare per quanto riguarda le prefazioni di lavoro non retribuite, occasionali e, se ripetitive, comunque di breve periodo, di familiari entro il quarto grado in strutture agrituristiche. (5-00053)

Interrogazione a risposta scritta:


   BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   premesso che l'articolo 24 – commi 14 e 15 – del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011 consente ai lavoratori esodati di potere accedere alla pensione sulla base della normativa vigente prima della riforma del sistema pensionistico del 2011;
   alla data odierna, l'INPS non ha ancora provveduto a liquidare una sola pensione ai soggetti interessati, espressamente contemplati nella citata legge;
   nonostante le diverse e ripetute sollecitazioni poste in essere dai patronati confederali «INCA CGIL – INAS CISL – IT AL UIL» in ordine alla materia pensionistica specifica, la dirigenza nazionale INPS tende tuttora ad eludere l'importante e delicata questione, con atteggiamenti dilatatori e quindi, fortemente lesivi dei diritti dei lavoratori interessati –:
   quali interventi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda adottare, con la massima urgenza, nei confronti dell'INPS nazionale, per l'integrale attuazione dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, e dare concrete risposte alle giuste esigenze dei lavoratori esodati. (4-00082)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel quadro ordinamentale attuale della Repubblica Italiana spetta allo Stato l'impegno-dovere di garantire, su tutto il territorio nazionale, in ragione dell'universalità dei diritti sanciti dall'articolo 32 della Costituzione, livelli essenziali ed uniformi di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, mentre compete alle regioni la responsabilità piena in quanto ad organizzazione dei servizi ed allocazione delle risorse finanziarie con le quali assicurare la spesa sanitaria e socio sanitaria;
   il diritto alla salute delle persone che vivono nelle zone montane e delle persone che a vario titolo frequentano la montagna (sancito anche dal riconoscimento della peculiarità di tali territori assicurato dall'articolo 44 della Costituzione) va riempito di contenuti adeguati, partendo anzitutto dal riconoscimento oggettivo degli handicap strutturali permanenti delle zone montane riconosciuti dall'articolo 174 del Trattato Costituzionale dell'Unione europea in termini di svantaggi naturali, svantaggi orografici, svantaggi talora di condizioni economiche, squilibri nella struttura demografica e maggiori oneri per far fronte ai diritti di cittadinanza;
   l'erogazione dei servizi sanitari, secondo un'indagine realizzata dalla «Commissione sui problemi della sanità in montagna» del Ministero della sanità nel febbraio 2001, comporta costi strutturali superiori alla media nazionale, con scostamenti oscillanti dal 10 al 25 per cento in ragione delle peculiarità locali e comunque con un'incidenza di un surplus strutturale mediamente più elevato rispetto ai territori metropolitani e cittadini di circa in quinto a causa della morfologia del territorio, della bassa densità demografica, delle caratteristiche intrinseche della popolazione;
   si possono individuare alcuni criteri oggettivi che, descrivendo le zone montane, ne possano enucleare il disagio rispetto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, elementi valutabili in chiave scientifica che non possono prescindere dalla considerazione di almeno quattro indici, quali l'altitudine, l'indice di dispersione nel territorio dei nuclei abitati, il rapporto tra popolazione residente e superficie complessiva, l'indice di invecchiamento spesso abbinato a condizioni di vita in solitudine;
   la costruzione di un modello della sanità in montagna capace di assicurare l'assistenza primaria di base, sia ospedaliera che territoriale, in linea con i principi enunciati dal Piano sanitario nazionale, corrisponde ad un preminente interesse nazionale, in quanto favorire lo sviluppo dell'abitare in montagna, agevolandovi la permanenza delle persone, è anche mezzo per la salvaguardia attiva del territorio, a beneficio dell'intera comunità nazionale;
   nel territorio della regione Piemonte, con D.G.R. n. 1-415 del 2 agosto 2010 di approvazione dell'accordo di programma tra Ministero della salute, Ministero dell'economia e delle finanze e la regione Piemonte per la riorganizzazione e rientro della sanità piemontese, nonché con successivi atti amministrativi regionali, è stata posta in atto la ridefinizione dei posti letto a disposizione della popolazione nella rete ospedaliera regionale, che, secondo la regione Piemonte, va ottenuta tramite la razionalizzazione dell'offerta ospedaliera e una drastica diminuzione dei ricoveri detti a rischio di «inappropriatezza» e che nei medesimi atti conseguenziali si è provveduto alla eliminazione del riconoscimento dello standard di «montanità» che garantiva la compensazione finanziaria delle prestazioni sanitarie in aree montane, cagionando un'oggettiva disparità tra territori della medesima regione;
   in funzione di ciò in data 15 marzo 2013 in Torino è stato approvato dalla giunta regionale del Piemonte il Piano sanitario della regione Piemonte che prevede la programmazione sanitaria regionale con interventi di revisione della rete ospedaliera piemontese. In merito alla programmazione sanitaria regionale dei punti nascita si evince che:
    sono soppressi i punti nascita con un numero di parti inferiori a 500 parti/anno così come recita l'accordo, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra Governo, regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata concernente le «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo;
    nell'allegato A (censimento della strutture ospedaliere del 2008 fonte Ministero della salute – sistema informativo sanitario – scheda di dimissione ospedaliera SDO) del sopracitato documento risulta che in Piemonte non esistevano a quella data punti nascita con meno di 500 parti/anno;
    già nel 2008 l'allora assessorato della sanità della regione Piemonte aveva comunicato che le SOC di ginecologia ed ostetricia dei punti nascita con meno di 500 parti/anno erano soppresse ed aggregate ad altra SOC di ginecologia ed ostetricia tanto che il numero delle strutture dava una somma pari o leggermente inferiore all'indicatore 1000;
    nei punti nascita con un numero di parti inferiore a 1000 – specificatamente in Piemonte sono tre – questi rientrano nell'idoneità al mantenimento in quanto collocati in area disagiata, corrispondendo alle «motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM», previste dal citato accordo;
    sempre nella tabella 1 dell'allegato A della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano si evidenzia che i punti nascita sono 24 così come oggi nel Piano sanitario della regione Piemonte 2012-2015;
    valutando il Piano sanitario all'interno del disegno globale della rete ospedaliera in merito alle reti delle neonatologie viene evidenziato che esistono 32 punti nascita (in realtà sono 24) senza tenere conto che in alcune realtà come Verbania-Domodossola, Tortona-Novi Ligure, Ivrea-Cuorgnè ed altri è stato attuato il progetto di Punto Nascita unico plurisede;
    tra l'altro nel documento deliberativo della regione Piemonte viene indicato un numero di parti aggregato tra le due realtà sanitarie in una unica realtà facendo intendere che in una realtà vi sono 1000 parti/anno quando in realtà non superano 600/parti anno (vedi Verbania-Domodossola oppure Tortona-Novi Ligure);
   l'assessorato alla sanità della regione Piemonte non ha tenuto in considerazione ad avviso dell'interrogante la volontà espressa dalla precedente amministrazione regionale che aveva inteso dare alle giuste esigenze delle popolazioni montane una risposta seria, corretta rispettando in primis il dettato di una pubblica amministrazione: il servizio alle popolazioni;
   la predetta determinazione regionale, in difformità alle «linee di indirizzo» sopra citate, mantiene aperti i seguenti punti nascite nonostante siano inferiori ai 1000 nati all'anno (Chieri 739 parti/anno, Vercelli 765 parti/anno, Mondovì 584 parti/anno, Casale Monferrato 545 parti/anno), disponendo invece la chiusura immediata con decorrenza 30 giugno 2013 del punto nascite di Domodossola (237 parti/anno, e che secondo la tabella 1 di cui all'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, superava i 500 parti/anno nell'anno 2008) mantenendo inalterata la realtà del punto nascite di Susa (332 parti/anno), analoga in tutto e per tutto alla precedente realtà di Domodossola, determinando con ciò una assoluta sperequazione di valutazioni e di livelli delle prestazioni sul territorio della regione Piemonte in termini di livelli essenziali di prestazioni e assistenza;
   in un documento redatto dalla consulta sanità dei sindaci delle Valli Ossolane in data 18 marzo 2013 si registra con disappunto e contrarietà la decisione regionale di pervenire ad una chiusura del servizio a far data dal 30 giugno 2013 in palese difformità e disparità con gli atteggiamenti, le valutazioni e le decisioni adottate per gli altri reparti e punti nascite piemontesi al di sotto della soglia dei 500 parti/anno (Carmagnola, Susa, Cuorgnè, Bra, Tortona, Acqui Terme, Borgosesia), contravvenendo con ciò sia agli impegni assunti dall'assessore regionale alla sanità, dal direttore regionale Aress e dal direttore generale dell'Asl 14 di fronte ai sindaci ossolani;
   sorprende, in particolare, la difformità di giudizio e di trattamento tra il punto nascite di Susa (che viene positivamente escluso da misure di chiusura) e il punto nascite di Domodossola, che come facilmente evincibile dalla medesima direzione generale regionale si presenta nelle medesime condizioni territoriali, orografiche e strutturali di quello di Susa. Ricordiamo, peraltro, che tra il comune di Formazza o altre realtà montane della provincia del Verbano Cusio Ossola e la futura sede del punto nascite di Verbania si superano gli stessi 80 chilometri citati dalla DGR per giustificare l'apertura del punto nascite valsusino e garantire la continuità assistenziale, mentre il parametro di popolazione equivalente in Valsusa attribuito ad un possibile aumento legato ai lavori TAV in Val d'Ossola è già assicurato in virtù dei flussi turistici e della collocazione di Domodossola su due assi internazionali di scorrimento (Genova-Rotterdam e Milano-Parigi). Non si comprende, infatti, come sia possibile da parte della regione Piemonte garantire per le valli ossolane quel trasporto in sicurezza ed emergenza per le gestanti che dichiara ancora impregiudicato per la realtà valsusina. A giustificazione ulteriore della disparità di trattamento manifestata nella circostanza dalla regione Piemonte, si rileva come la distanza tra Alagna Valsesia e Borgosesia (ulteriore punto nascite non considerato nel progetto di chiusura) è di soli 48 chilometri di strada di montagna, contro quasi il doppio di Formazza e decisamente superiore a tutte le testate di valle ossolane;
   di conseguenza, mentre si mantengono giustamente aperti i punti nascite di Susa e Borgosesia in quanto posti a servizio di aree geograficamente complesse e disagiate come realtà montane, in area montana piemontese si chiude esclusivamente il punto nascite di Domodossola che presenta analoghe condizioni agli altri due presidi;
   si rileva, peraltro, il mancato rispetto del concetto di ospedale unico plurisede nella determinazione della chiusura del punto nascite di Domodossola, mentre per il mantenimento del reparto di Verbania si far riferimento a dati complessivi dell'intero bacino del Verbania-Cusio-Ossola che consentono – solo sulla carta – di superare (di sole dieci unità teoriche) il limite stabilito dall'accordo Stato-regioni. Con ciò determinando una clamorosa contraddizione nella programmazione, non suffragata dalla realtà che ha visto in questi anni un costante incremento della mobilità passiva del reparto di ostetricia e ginecologia;
   nella relazione a corredo della bozza di delibera della giunta regionale di cronoprogramma e avvio del piano di cui alla D.G.R. n. 17/1830/2011 e 4/2495/2011, sono contenute delle riflessioni relativamente ai punti nascita di Susa (Torino) e Borgosesia (Vercelli), collocati in territorio montano, dalle quali si evince che per il primo caso, la distanza dalla frazione più lontana della Valle di Susa nella eventualità di soppressione del presidio sarebbe uguale a 80 chilometri di strade di montagna, distanza giudicata pericolosa per i parti a rischio e gli interventi di neonatologia in quanto non rispettosa del modello dell'urgenza-emergenza entro standard temporali indicativi di 20-40 minuti e di un trasporto secondario entro standard temporali di 50-60 minuti, mentre per Borgosesia invece viene malgrado i parti siano inferiori a 500, non lo siano di così tante unità da provocarne la dismissione, ma i pochi chilometri di distanza (48) dall'ulteriore presidio non sono ostativi al procrastinare dell'attività ostetrica;
   va preso atto:
    a) della validità del mantenimento dei presidi di Susa e Borgosesia, soluzione condivisibile e di sicuro impatto positivo sulla permanenza in zone montane di popolazione giovane e interessata dai servizi di cui trattasi;
    b) della sussistenza, nel caso del presidio sanitario di Domodossola, di condizioni di distanza pari o addirittura superiori agli altri due presidi e che in caso di chiusura del punto nascite che determinerebbero lo sforamento temporale di tutti gli standard (90 chilometri da Riale di Valle Formazza, 80 chilometri da Ponte di Valle Formazza, 60 chilometri da Macugnaga di Valle Anzasca, 59 chilometri da Re di Valle Vigezzo, 64 chilometri da Devero di Valle Antigorio, 50 chilometri da Antrona Schieranco di Valle Antrona, 58 chilometri da Trasquera di Valle Divedro di strade di montagna con percorrenze medie decisamente allungate in caso di precipitazioni nevose consuete in tali territori;
    c) della mancata attivazione sul territorio della regione Piemonte del servizio trasporto assistito materno (STAM), tale da non configurare pertanto una condizione di possibile alternatività di una erogazione di servizio di assistenza con standard accettabili per gestanti provenienti dalle zone montane sopra citate.
    d) della mancata integrazione territorio-ospedale di cui all'allegato 3 dell'Accordo Stato-regioni sopracitato, con particolare riguardo ai temi della continuità assistenziale (con relativa promozione) e della promozione dell'adozione di strumenti di collegamento e comunicazione tra le diverse strutture ospedaliere e territoriali;

   occorre ricordare infine che tale procedimento si inserisce in un quadro ancor più preoccupante di riorganizzazione patrimoniale dell'edilizia sanitaria piemontese, con la messa in campo da parte della regione Piemonte secondo l'interrogante di una concreta linea di azione vendita degli ospedali per fare cassa e ripianare i debiti della sanità mediante la creazione di un fondo immobiliare detenuto al 60 per cento dalla regione Piemonte e al 40 dei privati in cui confluiscano tutte le strutture ospedaliere e i poliambulatori per un valore di 650 milioni di euro;
   sulla scorta di tali premesse, nel territorio della regione Piemonte per effetto della riorganizzazione della rete sanitaria disposta dalla giunta regionale del Piemonte stanno venendo meno le garanzie per il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nei confronti in particolar modo dei cittadini, residenti e soggiornanti nelle zone montane con particolare riguardo a quelle delle Valli dell'Ossola, e che, sempre a seguito di tali iniziative viene pesantemente compromessa la continuità assistenziale e di cura in tali territori, dove peraltro il tessuto sociale si presenta più vulnerabile e che spetti allo Stato, sulla scorta dell'articolo 32 della Costituzione, il compito di garantire i fondamentali diritti di cittadinanza e di pari accesso alle cure mediche e sanitarie dei cittadini su tutto il territorio della Repubblica –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di scongiurare l'attuale processo di riduzione delle garanzie per il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) nei confronti in particolar modo dei cittadini, residenti e soggiornanti nelle zone montane del Piemonte con particolare riguardo a quelle delle Valli dell'Ossola, a seguito dei processi di riorganizzazione della rete ospedaliera disposta dalla giunta regionale del Piemonte citati in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per evitare la pesante compromissione della continuità assistenziale e di cura in tali territori, dove peraltro il tessuto sociale si presenta più vulnerabile, con particolare riguardo alla situazione relativa al punto nascite di Domodossola e alla profonda differenza di trattamento ad esso attribuito rispetto a similari situazioni del resto del territorio piemontese;
   se ritenga, a fronte di quelle che l'interrogante ritiene un'inadeguatezza e un'inappropriatezza delle politiche sanitarie, di intervenire mediante una modifica dell'accordo tra Governo. regioni ed enti locali raggiunto nella seduta del 16 dicembre 2010 della Conferenza unificata, al fine di ottenere nel medesimo il riconoscimento della specificità montana e disponendo – come si propone – che nella quota del Fondo sanitario regionale le quote di finanziamento pro-capite vengano incrementate del 20 per cento (secondo le linee-guida della Commissione nazionale per i problemi della sanità in montagna presso il Ministero della salute) secondo criteri che tengano conto della dispersione territoriale della popolazione, della sua composizione per classi di età nonché della rete di presidi ospedalieri e di servizi distrettuali presenti sul territorio, stabilendo che la congruità del differenziale accordato in sede di bilancio preventivo vada verificata secondo indicatori di efficienza, efficacia e sicurezza sanitaria anche in sede di consuntivo;
   se ritenga, alla luce di quando sopra, di convocare il Comitato per il percorso nascita (CPN) interistituzionale, con il coinvolgimento delle direzioni generali del Ministero della salute (programmazione, prevenzione, comunicazione, ricerca, sistema informativo), delle regioni e province autonome e di altre istituzioni sanitarie nazionali (ISS, AGENAS) al fine di una attenta e oggettiva verifica circa la sussistenza delle motivate e oggettive valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM, quali le zone montane in particolare.
(2-00012) «Borghi».

Interrogazione a risposta orale:


   MORANI, MORETTI, RAMPI, MANZI, MALPEZZI, CIMBRO, CULOTTA, MAURI, BINI e COPPOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i recenti fatti di cronaca relativi alla produzione e all'impiego di cellule staminali a fini curativi hanno suscitato preoccupazione ed incertezza tra i pazienti ed i loro familiari, che in alcuni casi si sono visti negare la possibilità di accedere alle cure, pregiudicando la speranza di un possibile trattamento di tali patologie;
   la rilevanza e la delicatezza dell'argomento richiedano il massimo grado di approfondimento e di confronto fra tutti i livelli decisionali e non sembrano rientrare nell'esercizio dell'ordinaria amministrazione, tipica della fase istituzionale attuale –:
   se trovino conferma le notizie secondo le quali il Ministro interrogato intenderebbe intervenire sulla disciplina della produzione e dell'uso terapeutico delle cellule staminali e, nel qual caso, se non ritenga più opportuno che la materia sia rimessa nella disponibilità del nuovo esecutivo. (3-00008)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DURANTI, MIGLIORE, FRATOIANNI, MATARRELLI e PANNARALE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 – «Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale» – convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, è stato introdotto per la prima volta nella legislazione nazionale, il concetto di valutazione di danno sanitario;
   l'articolo 1-bis del decreto citato afferma, infatti, che:
    «1-bis. In tutte le aree interessate dagli stabilimenti di cui al comma 1 dell'articolo 1 e al comma 1 dell'articolo 3, l'azienda sanitaria locale e l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente competenti per territorio redigono congiuntamente, con aggiornamento almeno annuale, un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie di carattere ambientale.
    2. Con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di VDS.
    3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente»;
   l'impianto siderurgico della società ILVA spa di Taranto costituisce (articolo 3, comma 1, del decreto-legge citato) stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell'articolo 1;
   sul danno sanitario, la regione Puglia aveva già emanato una legislazione innovativa con la legge regionale 24 luglio 2012, n. 21;
   fra pochi giorni scade il termine di cui all'articolo 1-bis citato (dalla data del 3 gennaio decorrono infatti i termini);
   il Ministero della salute ha attivato un tavolo per definire il regolamento. Nella sostanza, ad avviso degli interroganti, il regolamento in bozza pone mille ostacoli alla definizione del rischio sanitario in determinate aree e per determinati impianti (nella fattispecie Ilva). Il 22 marzo 2013 è previsto un incontro conclusivo;
   il decreto-legge di cui sopra prevedeva inoltre (articolo 3, comma 1-bis) l'adozione da parte del Governo di una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 207 del 2012 –:
   se il Governo abbia definito i criteri per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario e se intenda rispettare il termine fissato per l'adozione del decreto ministeriale di cui all'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 207 del 2012;
   se il Governo intenda altresì convocare al più presto un tavolo nazionale per avviare la definizione, insieme alle parti sociali, di una nuova politica industriale sulla siderurgia in previsione della definizione di una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio. (4-00083)


   MIGLIORE e PIAZZONI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, recante interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito con modificazioni nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, all'articolo 3-ter, ha fissato al 1o febbraio 2013 il termine per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG);
   il medesimo articolo 3-ter aveva stabilito, in ogni caso, al 31 marzo 2013, la data entro la quale le regioni avrebbero dovuto organizzare e disciplinare il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, attraverso le aziende sanitarie, con la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale dei soggetti attualmente presenti in tali istituti;
   nonostante tale previsione, gli ospedali psichiatrici giudiziari presenti sul nostro territorio hanno continuato e continuano ad operare, in aperta violazione dei diritti degli internati anche per le pessime condizioni strutturali e di carenza di personale che caratterizzano la gestione di alcuni ospedali psichiatrici giudiziari;
   le regioni, nel tempo, non sembrano esser state messe in condizione alcuna per il rispetto della scadenza stabilita nel provvedimento che, peraltro, segna un passaggio particolarmente delicato a causa del rischio che le nuove strutture prefigurino, in miniatura, dei manicomi giudiziari, in tal modo avallando l'equazione sofferenza mentale = pericolosità, che da più di 30 anni la legge n. 180 tenta di sradicare;
   va segnalato, tra l'altro, che il decreto del Ministero della salute contenente il riparto di finanziamento tra le regioni dei fondi per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, decisivo nel percorso che porterà alla nascita delle nuove strutture residenziali che sostituiranno gli ospedali psichiatrici giudiziari – e che prevede una somma totale di 173.807.991 di euro suddivisa in 117.055.955 per il 2012 e 56.752.036 per il 2013 per la realizzazione e riconversione delle strutture – è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo in data 7 febbraio 2013;
   il ritardo sui tempi di attuazione di quanto previsto in relazione alla chiusura degli OPG, che non può non essere considerato grave in considerazione della situazione che vivono quotidianamente le persone che si trovano in dette strutture, appare certo, considerato che il Consiglio dei ministri, in data 21 marzo 2013, ha disposto con un decreto-legge la proroga di un anno per la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   indispensabile e doveroso sembrerebbe, a questo punto, ancorare quantomeno il rinvio a precisi impegni rispettosi delle sentenze 253/2003 e 367/2004 della Corte Costituzionale – alla base dell'intervento del legislatore sul superamento degli OPG – in relazione al vincolo di destinazione dei finanziamenti per i programmi regionali e delle Asl rispetto alle dimissioni per gli internati «in proroga», con l'obbligo di presa in carico da parte della Asl, nonché all'esecuzione di misure di sicurezza alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari;
   ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto-legge n. 211 del 2011 spetta al Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza provvedere al monitoraggio e alla verifica degli interventi necessari al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano assunto nel tempo per verificare che le regioni realizzassero senza indugio quanto di competenza per l'attuazione della riforma relativa alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e, in particolare, per garantire la presa in carico dei malati da parte dei dipartimenti di salute mentale, assicurando il diritto alle cure e al reinserimento sociale, stabiliti dalla nostra Costituzione e dalla normativa vigente;
   quali iniziative siano state adottate finora per consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali;
   se i Ministri interrogati, in considerazione della proroga di una anno per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari disposta con decreto-legge, approvato in sede di Consiglio dei Ministri del 21 marzo 2013, non ritengano – in linea con quanto stabilito dalle sentenze della Corte Costituzionale 253/2003 e 367/2004 – di vincolare il rinvio a tempi certi, mettendo in opera tutte le iniziative all'uopo necessarie, nonché a precisi impegni, quali la priorità assoluta dei programmi regionali e delle Asl rispetto ai finanziamenti per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari con destinazione vincolata, da un lato, alla dimissione per tutte le persone internate «in proroga» con l'obbligo di presa in carico da parte dell'Asl e, dall'altro, all'esecuzione di misure di sicurezza alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari. (4-00096)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENAMATI e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha approvato la legge 23 luglio 2009, n. 99, «Legge Sviluppo», con obiettivi dichiarati di definire misure strutturali per dare risposte alle esigenze del sistema produttivo ed avviare riforme fondamentali per uno sviluppo economico sostenibile, per la modernizzazione del Paese e per il consolidamento degli interventi orientati al rilancio della crescita complessiva;
   l'articolo 37 della «legge sviluppo» istituisce l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA, assegnandole i compiti istituzionali di promuovere la ricerca e l'innovazione tecnologica, di assicurare la prestazione di servizi avanzati al Paese nei settori dell'energia con particolare riguardo all'efficienza energetica, alle fonti rinnovabili, alla sicurezza, al nucleare di nuova generazione ed allo sviluppo economico sostenibile, rafforzando il mandato di ENEA a supporto del decisore pubblico per l'individuazione di politiche energetiche, ambientali, del sistema imprenditoriale e per l'identificazione e il sostegno dei processi di innovazione;
   dopo le vicissitudini connesse al tentativo di riavvio della produzione di energia elettrica da fonte nucleare, tentativo effettuato dall'allora Governo Berlusconi con la «Legge Sviluppo» e successivamente bloccato del referendum popolare, l'ENEA mantiene importantissimi ruoli e competenze di ricerca scientifica e tecnologica in diversi settori fra i quali quelli del risparmio energetico, delle fonti di energia rinnovabili e di lungo termine (esempio fusione), dell'ambiente e delle nuove tecnologie;
   nel 2012 si è pervenuti da parte del Governo Monti alla definizione di una Strategia energetica nazionale, su alcuni punti della quale è previsto un diretto coinvolgimento ed impegno di ENEA;
   la prima fase di affidamento dell'Agenzia ENEA ad una struttura commissariale, composta da un commissario e due sub-commissari, con compiti di riorganizzazione e ridefinizione funzionale, da compiersi e perfezionarsi attraverso la presentazione di un decreto di riordino, ha dovuto essere prorogata ripetutamente in mancanza dell'atto stabilito per la sua conclusione ed attende ancora oggi un atto formale che vada ad indirizzarne termini ed obiettivi per il futuro –:
   se quanto esposto in premessa risponda al vero e quali siano le intenzioni del Ministero in relazione alla ristrutturazione dell'agenzia ENEA, alla sua focalizzazione tematica in relazione a quanto sopra menzionato anche nel quadro di una più vasta riorganizzazione del comparto della ricerca. (5-00054)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 1o gennaio 2010 anche per evitare l'imminente fallimento delle Industrie Pininfarina, con l'impegno della regione Piemonte, si concretizzava il passaggio alla De Tomaso della famiglia Rosignolo di 950 dipendenti (operai ed impiegati) dello stabilimento di Grugliasco in provincia di Torino e di 150 lavoratori dello stabilimento di Livorno;
   dal novembre 2010 dopo aver concluso attraverso il comando distacco alle industrie Pininfarina le commesse residue per Fiat Auto tutti i lavoratori venivano posti in cassa straordinaria per ristrutturazione per 24 mesi in attesa che partissero i corsi di formazione professionale atti a riconvertire la manodopera per i prodotti della De Tomaso;
   la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione veniva trasformata nel marzo del 2012 in cassa per crisi dopo l'intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che accertava non essersi realizzati gli impegni e i propositi della De Tomaso per ristrutturare e rilanciare quello stabilimento;
   il 4 luglio 2012 veniva cessata la cassa per crisi, visto il fallimento della De Tomaso e da allora veniva attivato l'anno di cassa integrazione ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 223 per il fallimento;
   la cassa integrazione cesserà il 3 luglio 2013 e ad oggi ci risulta siano ancora più di mille lavoratori a libro matricola;
   la regione Piemonte attraverso SIT (Sviluppo investimento territorio) controllata al 99 per cento da Finpiemonte partecipazioni sta avviando un progetto per attrarre investimenti e imprese legato all'Automotive che dovrebbe fare perno sullo stabilimento di Grugliasco area di 62 mila metri quadri di cui è proprietaria la SIT stessa –:
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga necessario assumere iniziative per prorogare la cassa integrazione ai più di mille lavoratori del fallimento De Tomaso in modo da verificare la possibilità di una ricollocazione degli stessi nelle attività che si potrebbero insediare prioritariamente nel sito di Grugliasco e/o in altri piani di ricollocazione in attività lavorative nella provincia di Torino in modo da non aggravare ulteriormente dal punto di vista sociale una situazione di grave crisi produttiva come quella che sta vivendo l'are del torinese. (4-00092)


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2008 la Romi Brasile ha rilevato dall'amministrazione straordinaria l'allora Sandretto costituendo la Romi Italia, impegnandosi a garantire l'occupazione e gli investimenti che avrebbero dovuto innovare le presse per stampaggio materiale plastico di cui la Sandretto è uno storico marchio italiano;
   da allora a marzo 2012 gli addetti sono passati nei due siti di Grugliasco e di Pont Canavese da 260 agli attuali 149 addetti attraverso lo strumento della mobilità volontaria. La proprietà brasiliana della Romi non ha mantenuto, complice la crisi, gli impegni atti a garantire l'occupazione e gli investimenti;
   nel marzo 2012 la Romi ha annunciato la chiusura delle attività produttive in Italia con il conseguente licenziamento di tutti gli attuali 149 lavoratori e la chiusura dei due impianti piemontesi;
   per evitare questo a luglio 2012 i sindacati hanno firmato un accordo per una cassa integrazione per crisi respingendo la cessazione delle attività, con l'obiettivo di verificare visto il valore del prodotto e il valore del marchio l'esistenza di potenziali acquirenti. All'atto di quella intesa la Romi si era dichiarata disponibile a cedere l'attività;
   all'inizio di gennaio 2013 una cordata di imprenditori provenienti da più regioni italiane (Lombardia, Campania ed Abruzzo) ha presentato un impegno di acquisto con un dettagliato piano industriale che garantirebbe la permanenza dell'occupazione e del prodotto nel nostro Paese;
   di questo piano e di questo impegno sono a conoscenza anche gli uffici competenti degli assessorati al lavoro e alle attività produttive della regione Piemonte;
   da allora la proprietà brasiliana della Romi non si presenta più agli incontri convocati presso la regione Piemonte alimentando il sospetto di scaricare sul nostro Paese un'ulteriore perdita di posti di lavoro e di prodotto –:
   se il Ministro dello sviluppo economico ritenga che la Romi Brasile abbia ottemperato agli impegni assunti con l'amministrazione straordinaria al momento dell'acquisizione della società Sandretto;
   se il Ministro dello sviluppo economico non intenda intervenire presso il Governo brasiliano affinché si solleciti quella proprietà ad un corretto rapporto con i cittadini lavoratori del nostro Paese e con gli imprenditori italiani;
   quali iniziative si intendano assumere per evitare l'eventuale chiusura degli stabilimenti piemontesi in modo da non aggravare ulteriormente la crisi sociale ed occupazionale già molto forte in questa regione. (4-00093)