Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Modifiche al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale - A.C. 4240-B - schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 4240-B/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 494    Progressivo: 3
Data: 31/05/2012
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Modifiche al decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale

A.C. 4240-B

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 494/3

 

 

 

30 maggio 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

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File: Am0226d

 


INDICE

Schede di lettura

§      Art. 1 (Modifica all’articolo 124 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di scarichi idrici)3

§      Art. 2 (Modifica all’articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di criteri di priorità nel trattamento dei rifiuti)5

§      Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione dei rifiuti)6

§      Art. 4  (Modifica all’articolo 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sfalci e potature)17

§      Art. 5  (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di miscelazione di rifiuti speciali e di oli usati)19

§      Art. 6 (Modifica all’articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di organizzazione territoriale del ciclo di gestione dei rifiuti)20

§      Procedure di contenzioso  22

§      Art. 7 (Modifiche all’articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti)24

§      Art. 8 (Modifica all’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di misure per incrementare la raccolta differenziata)27

§      Art. 9 (Introduzione dell’articolo 213-bis nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)28

§      Art. 10 (Modifica all’articolo 228 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di contributo per la gestione di pneumatici fuori uso)31

§      Art. 11 (Modifiche all’articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di manutenzione e interventi di adeguamento)33

§      Art. 12 (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di essiccatoi agricoli)35

§      Art. 13 (Utilizzo di terre e rocce da scavo)37

§      Art. 14 (Residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo)40

§      Art. 15 (Modifiche al decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49)42

§      Procedure di contenzioso  42

§      Art. 16 (Ulteriori disposizioni in materia di rifiuti)44

§      Art. 17  (Disposizioni in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)51

§      Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE   54

§      Procedure di contenzioso  54

§      Articolo 18 (Disposizioni in materia di misure di compensazione)56

§      Articolo 19 (Quantificazione di flussi riguardanti contributi su politiche ambientali)58

§      Art. 20 (Misure in tema di determinazione delle tariffe dei servizi idrici e di recupero dei costi ambientali)61

§      Art. 21 (Misure per il potenziamento dell'azione amministrativa in materia di difesa del suolo)63

§      Art. 22 (Recupero e riciclaggio dei materassi dismessi)65

§      Art. 23 (Integrazione della disposizione recante delega al Governo per l’utilizzo di pesticidi)67

§      Procedure di contenzioso  67

§      Art. 24 (Modifiche agli articoli 14 e 23 del decreto-legge n.  5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012)68

§      Art. 25 (Modifiche all’articolo 93 del decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259)71

§      Art. 26 (Modifiche all’art. 3 del decreto-legge n. 2 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  28 del 2012)73

 

 


Schede di lettura

 


Art. 1
(Modifica all’articolo 124 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di scarichi idrici)

L’articolo 1, inserito nel corso dell’esame al Senato, prolunga da quattro a sei anni la durata dell’autorizzazione agli scarichi prevista dall’art. 124, comma 8, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), ad esclusione degli scarichi contenenti sostanze pericolose.

 

Si osserva che sembra opportuno specificare la durata dell’autorizzazione per gli scarichi contenenti sostanze pericolose, che dovrebbe essere pari a quattro anni sulla scorta di quanto previsto dalla norma vigente. In assenza di tale specificazione, infatti, e in conseguenza delle modifiche apportate al comma 8 dell’art. 124 dalla novella in esame, tale durata non sarebbe rinvenibile in alcuna altra norma del Codice.

 

In materia di regolamentazione degli scarichi si ricorda che alcune modifiche sostanziali - alle norme contenute nella Parte Terza del Codice di cui al D.lgs. 152/2006 - sono state introdotte dal D.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (cd. secondo correttivo). Le principali modifiche hanno riguardato alcune definizioni,tra le quali quella di “scarico”, volte ad eliminare ogni incertezza interpretativa in merito al confine tra normativa sugli scarichi e quella sui rifiuti, ma anche alcune disposizioni tendenti a rendere più restrittiva la disciplina delle autorizzazioni agli scarichi, sia quella generale che quella relativa agli scarichi di sostanze pericolose, nonché ad introdurre elementi di certezza nel sistema autorizzatorio stesso.

Per quanto riguarda nello specifico la tematica delle autorizzazioni agli scarichi, l’art. 124 del Codice ambientale, che riprende, con alcune modifiche piuttosto significative l’art. 45 del d.lgs. n. 152/1999, ribadisce la norma cardine in materia di scarichi idrici che ha sancito il principio secondo il quale tutti gli scarichi – di qualsiasi natura, ed a prescindere dalla eventuale potenzialità inquinante – devono essere preventivamente autorizzati. Sempre ai sensi dello stesso art. 124, il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, è definito dalle regioni che disciplinano altresì le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio (comma 6). Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia, ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura (precedentemente era il Comune), che si pronuncia entro i successivi novanta giorni dalla ricezione della domanda (comma 7). Il comma 8 (novellato dall’articolo in esame) dispone che, salvo quanto previsto dal D.lgs. n. 59/2005[1], l'autorizzazione è valida per quattro anni dal momento del rilascio ed il rinnovo deve essere chiesto un anno prima della scadenza. Se la domanda di rinnovo è stata tempestivamente presentata lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all'adozione di un nuovo provvedimento. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all'art. 108, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente.

In merito agli scarichi di sostanze pericolose disciplinati nel citato art. 108, tale disciplina è stata anch’essa sostanzialmente modificata dal D.lgs. n. 4/2008 al fine di renderla più restrittiva. Le modifiche apportate hanno previsto, tra l’altro:

§         l’obbligo, piuttosto che la facoltà, dell’autorità competente, in sede di rilascio dell'autorizzazione, di fissare valori-limite di emissione più restrittivi rispetto a quelli indicati nell'art. 101, commi 1 e 2;

§         la precisazione, nel caso di impianti di depurazione che trattano acque reflue che provengono da soggetti diversi, che tali scarichi avvengano tramite condotta, affinché siano configurabili come scarichi idrici e non come rifiuti, ripristinando la disposizione recata dall’art. 34, comma 4, terzo periodo, del d.lgs. n. 152/1999.

Da ultimo si cita anche l’art. 3 del D.P.R. n. 227/2011 con cui è stato approvato il “Regolamento per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle imprese, a norma dell'art. 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”, che ha introdotto delle semplificazioni in materia di rinnovo dell'autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali che, però, non vengono applicate agli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all'art. 108 del Codice ambientale.


Art. 2
(Modifica all’articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di criteri di priorità nel trattamento dei rifiuti)

L’articolo 2, inserito nel corso dell’esame al Senato, novella il comma 6 dell’art. 179 del D.Lgs. 152/2006, integrandolo con una disposizione volta a garantire il rispetto della gerarchia dei criteri di priorità nel trattamento dei rifiuti in esso prevista.

Il testo vigente del comma 6 prevede, infatti, che, nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti, le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all'uso dei rifiuti come fonte di energia.

L’articolo in esame introduce:

§         l’obbligo, per i soggetti detentori che conferiscono rifiuti per il trattamento, di intervenire per assicurare, nel caso in cui la dinamica dei prezzi di mercato produca esiti diversi, che il prezzo riconosciuto per il conferimento al riciclo sia, per la medesima tipologia di rifiuti, superiore a quello riconosciuto per il conferimento al recupero energetico;

§         la sanzione pecuniaria di 200 euro per ogni tonnellata di rifiuti nei casi di violazione di tale obbligo.


Art. 3
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di gestione dei rifiuti)

L’articolo 3, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca una serie di novelle al D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) il cui contenuto è analogo ad alcune disposizioni introdotte nel corso dell’esame al Senato del decreto-legge n. 2 del 2012[2], recante misure urgenti in materia ambientale, e soppresse durante l’esame in sede referente alla Camera.  

Il comma 1, lettera a), novella il comma 2 dell’art. 182-ter del D.Lgs. 152/2006 al fine di adeguare la norma in vista della soppressione delle Autorità d'ambito territoriale ottimale (AATO) prevista dall’art. 2, comma 186-bis, della L. 191/2009. Il testo del comma 2 viene infatti integrato prevedendo che provvedano agli adempimenti ivi previsti le autorità competenti individuate dalle regioni ai sensi del citato comma 186-bis dell’articolo 2.

L’art. 182-ter prevede, infatti, nel testo vigente, che la raccolta separata dei rifiuti organici deve essere effettuata con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002 e, a tal fine, che le regioni e le province autonome, i comuni e gli ATO adottino, ciascuno per le proprie competenze, apposite misure volte a incoraggiare la raccolta separata dei rifiuti organici, il trattamento degli stessi, nonché l’utilizzo di materiali sicuri per l’ambiente ottenuti dai rifiuti organici.

Si ricorda inoltre che il citato comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191/2009 ha previsto la soppressione delle AATO e demandato alle regioni il compito di attribuire, con legge regionale, le funzioni già esercitate da tali autorità.

Tale soppressione, in virtù della proroga disposta dall’art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011, opererà a decorrere dal 1° gennaio 2013.

 

Il comma 1, lettera b), n. 1), integra la definizione di rifiuto organico recata dall’art. 183, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 152/2006, prevedendo che in essa siano compresi i manufatti compostabili certificati secondo la norma tecnica UNI EN 13432/2002 recante “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”[3].

Si ricorda che ai sensi della citata lett. d) sono rifiuti organici i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti simili prodotti dall’industria alimentare raccolti in modo differenziato. Tale definizione riprende quella riportata all’articolo 3, numero 4), della direttiva comunitaria 2008/98/CE relativa ai rifiuti. Si ricorda, inoltre, che l’articolo 182-ter, comma 1, del Codice prevede che la raccolta dei rifiuti organici debba essere effettuata anche con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002.

Si valuti l’opportunità di verificare la conformità della modifica, che estende la definizione di “rifiuto organico”, con la normativa comunitaria.

 

Il comma 1, lettera b), n. 2), integra la definizione di autocompostaggio recata dall’art. 183, comma 1, lettera e), del D.Lgs. 152/2006, al fine di estenderla anche alle utenze non domestiche.

Si ricorda che ai sensi della citata lettera e) per autocompostaggio si intende il “compostaggio degli scarti organici dei propri rifiuti urbani, effettuato da utenze domestiche, ai fini dell’utilizzo in sito del materiale prodotto”.

 

Il comma 1, lettera b), n. 3), novella la definizione di “compost di qualità” recata dall’art. 183, comma 1, lettera ee), del D.Lgs. 152/2006.

Il testo vigente della citata lettera ee) definisce «compost di qualità» il “prodotto, ottenuto dal compostaggio di rifiuti organici raccolti separatamente, che rispetti i requisiti e le caratteristiche stabilite dall'allegato 2 del decreto legislativo 29 aprile 2010, n. 75, e successive modificazioni”.

Si ricorda in proposito che l’allegato 2 al D.Lgs. 75/2010 (recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”) disciplina le specifiche di preparazione degli “ammendanti” nonché i tenori massimi consentiti in metalli pesanti negli ammendanti stessi.

 

La novella specifica, nella parte in cui viene richiesto il rispetto dei requisiti previsti dall’allegato 2 del D.Lgs. 75/2010, che il compost di qualità deve rispettare esclusivamente i requisiti previsti dall’allegato 2 del D.Lgs. 75/2010 per gli ammendanti.

 

Il comma 1, lettera b), n. 4), introduce la lettera ff-bis) al comma 1 dell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006, recante la definizione di “digestato da non rifiuto”, inteso come prodotto ottenuto dalla digestione anaerobica di prodotti o di sottoprodotti di cui all'art. 184-bis che sia utilizzabile come ammendante ai sensi della normativa vigente in materia.

Si fa notare che la norma in esame riproduce nella sostanza quella recata dall’art. 14 dell’A.S. 2735[4] (in corso d’esame presso la 9ª Commissione del Senato). La relazione illustrativa di tale ddl sottolinea che l’introduzione della definizione di digestato non proveniente da rifiuti ha lo scopo di “colmare una lacuna presente nelle definizioni di cui all’articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, nel definire la nozione di digestato di qualità, al comma 1, lettera ff) del citato articolo, considera tale soltanto quello prodotto da rifiuti. Si ritiene, quindi, necessario, inserire nel contesto normativo citato la nozione di digestato non proveniente da rifiuti, anche al fine di consentirne i successivi utilizzi evitando problemi interpretativi”.

Si ricorda che la digestione anaerobica (DA) è un processo di trasformazione biologica, svolto in reattori chiusi, attraverso il quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica (solitamente derivante dalla frazione organica selezionata di rifiuti urbani, degli scarti zootecnici e dell’agroindustria) è trasformata in biogas, con un contenuto in metano variabile dal 50 al 60%. Oltre a questi gas si ottiene anche, come sottoprodotto, il “digestato”[5], un materiale semistabilizzato, matrice ideale per la formazione della miscela da avviare a compostaggio”.

Relativamente alla citata disciplina per l’utilizzo degli ammendanti, si ricorda che il principale riferimento normativo è costituito dal D.Lgs. 29 aprile 2010, n. 75, recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”.

 

Il comma 1, lettera c), n. 1), novella la lettera b) del comma 2 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 relativo alle esclusioni dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti.

Il testo vigente della citata lettera b) esclude dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti recata dalla parte IV del D.Lgs. 152/2006, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie e dalle rispettive norme nazionali di recepimento, i “sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002”. Tale esclusione non opera tuttavia se i citati prodotti e sottoprodotti sono destinati “all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio”.

La novella in esame prevede un‘ulteriore condizione all’eccezione prevista dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 185, che incide sulla destinazione del digestato o del compost ottenuti. Si ricorda che tale lettera, riproducendo il contenuto della lettera b) del paragrafo 2 dell’articolo 2 della direttiva, esclude dall’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 152/2006 i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio.

In base alla novella in esame, quindi, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002 [6]e destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio:

§         rientrano nel novero dei rifiuti quando il digestato o il compost prodotti non sono destinati all’utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto;

§         sono esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti ad opera dalla lettera f) del comma 1 dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152/2006 qualora (“nel qual caso”) destinati all’utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto.

Si ricorda che sul testo vigente della citata lettera f) interviene, mediante un’operazione di sostanziale modifica, l’art. 4 della proposta di legge.

 

Si valuti l’opportunità di un chiarimento al fine  di verificare la compatibilità della modifica in esame, che incide su una delle esclusioni dall’ambito di applicazione della parte IV del decreto legislativo n. 152/2006 mutuata dalla direttiva 2008/98/CE, con la direttiva medesima.

 

Riepilogando, in base alla nuova formulazione recata dalla lettera in esame, l’esclusione o meno dal novero dei rifiuti per le materie considerate segue la schematizzazione seguente:

 

Si segnala che, nelle conclusioni cui la Corte di Cassazione è pervenuta nella sentenza 12844/2009, si legge che “gli scarti di origine animale sono sottratti alla applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale”[7].

La norma in esame di fatto sembra escludere dal novero dei rifiuti i sottoprodotti che vengono compostati o digestati per essere utilizzati dalla medesima azienda; per tali prodotti sembra pertanto non ricorrere la definizione di rifiuto che prevede la volontà del detentore di disfarsene.

L’art. 183, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 152/2006 definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.

Si segnala, inoltre, il contenuto della risoluzione Pignedoli 7-00210[8], approvata dalla 9a Commissione (Agricoltura) del Senato in data 18 gennaio 2012, cui la norma in commento sembra dare seguito.

Nella citata risoluzione viene infatti sottolineato che “è da ritenere corretta l'interpretazione dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006 - recante norme in materia ambientale - secondo la quale l'impiego in impianti di biogas di deiezioni zootecniche, addizionate o meno con paglia e altro materiale agricolo, è fuori dal campo di applicazione della parte quarta (normativa rifiuti), quando il materiale risultante (il digestato) è destinato alla utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto” e, per tale ragione, la medesima risoluzione impegna il Governo “ad adottare misure atte a dirimere i nodi problematici interpretativi insorti rispetto ai profili relativi all'utilizzo degli effluenti zootecnici negli impianti a biogas connessi ad attività agricole, anche alla luce della necessità di definire i provvedimenti attuativi di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”[9].

 

Il comma 1, lettera c), n. 2), modifica il riferimento normativo richiamato dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 185 per tener conto dell’avvenuta abrogazione del regolamento (CE) n. 1774/2002 ad opera del regolamento (CE) n. 1069/2009[10].

Si ricorda che ai sensi della citata lettera c) sono esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del D.Lgs. 152/2006, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento, “le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002”.

 

Viene altresì specificato che tale regolamento costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo di applicazione ivi indicato.

Si fa notare che tale specificazione compariva nel testo originario del comma 2 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 pubblicato nell’aprile 2006 ed era poi scomparsa con la riscrittura operata dal D.Lgs. 4/2008. Si tratta di una specificazione che pare finalizzata a esplicitare la separazione degli ambiti applicativi delle due normative[11].

Il comma 1, lettera d), n. 1), reca una disposizione volta ad incentivare lo sviluppo del mercato dei materiali riciclati. Viene infatti aggiunta la lettera s-bis) al comma 1 dell’art. 195 del Codice allo scopo di prevedere che lo Stato adotti direttive per la definizione e l'aggiornamento dei capitolati speciali d'appalto per le opere pubbliche, in modo da privilegiare l’impiego di:

a)        prodotti ottenuti dal riciclo di pneumatici fuori uso, rispondenti agli standard ed alle norme tecniche di settore, ove esistenti;

b)        aggregati ottenuti dal riciclo di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione.

Nel caso di cui alla lettera b), deve trattarsi di rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione che soddisfano i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto di cui all'articolo 184-ter del Codice e aventi marcatura CE ai sensi del regolamento (CE) n. 305/2011.

 

Si rammenta che l’art. 184-ter del Codice, introdotto dal D.lgs. n. 205/2010,disciplina i casi di cessazione della qualifica di rifiuto in linea con l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE. Ai sensi dell’art. 184-ter, comma 1, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Rispetto al testo della direttiva, viene inclusa, tra le operazioni che possono portare alla cessazione, anche la preparazione per il riutilizzo e, sempre in aggiunta rispetto al testo della direttiva, il primo periodo del comma 2 dispone che l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.

Il regolamento (CE) n. 305/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, ha fissato le condizioni per l'immissione o la messa a disposizione sul mercato di prodotti da costruzione stabilendo disposizioni armonizzate per la descrizione della prestazione di tali prodotti in relazione alle loro caratteristiche essenziali e per l'uso della marcatura CE sui prodotti in questione.

 

Si prevede che le direttive statali per la definizione e l'aggiornamento dei capitolati speciali d'appalto per le opere pubbliche siano adottate entro il 31 dicembre 2012 con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata.

 

Relativamente alla normativa in materia di promozione degli acquisti verdi, si ricorda che l’Unione europea ha promosso l’adozione di specifici piani d’azione nazionali. In Italia si è proceduto con il Piano d’azione nazionale sul green public procurement (PAN GPP) emanato tramite il D.M. 11 aprile 2008, attuativo delle previsioni dell’art. 1, comma 1126, della legge 296/2006 (legge finanziaria 2007).

 

Il comma 1, lettera d), n. 2), integra il disposto dell’art. 195 del D.Lgs. 152/2006 (che disciplina le competenze statali in materia di gestione dei rifiuti), inserendovi un comma 4-bis che accoglie una disposizione transitoria da applicare nelle more dell’adozione dei decreti statali previsti dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 195 e finalizzati alla determinazione dei limiti di accettabilità e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche di talune sostanze contenute nei rifiuti in relazione a specifiche utilizzazioni degli stessi.

In base al comma in esame, nelle more dell’adozione di tali decreti viene consentito alle regioni e alle province autonome di adottare disposizioni regolamentari e tecniche che restano vigenti fino all’entrata in vigore dei decreti medesimi.

Il comma prevede altresì che, fino alla medesima data, sono fatti salvi gli effetti delle disposizioni regolamentari e tecniche e dei relativi adeguamenti già adottati dalle regioni e dalle province autonome.

 

Si segnala che l’articolo 195 del decreto legislativo 152/2006, dispone che, salvo che non sia diversamente disposto dalla parte quarta del medesimo decreto, le norme regolamentari e tecniche di cui al comma 2 sono adottate, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell'interno, nonché, quando le predette norme riguardino i rifiuti agricoli ed il trasporto dei rifiuti, di concerto, rispettivamente, con i Ministri delle politiche agricole e forestali e delle infrastrutture e dei trasporti.

Si segnala, infine, che la disposizione in esame riprende il contenuto dell’ordine del giorno 9/04865-AR/118[12] respinto nella seduta del 26 gennaio 2012[13].

 

Si segnala che la disposizione in esame attribuisce una potestà regolamentare (nelle more dell’esercizio di quella statale) alle regioni ed alle province autonome in una materia che, ai sensi del citato articolo 195, rientra nella competenza dello Stato, cui spetta anche l’esercizio della potestà regolamentare, e che è riconducibile alla materia “tutela dell’ambiente” che rientra nella legislazione esclusiva dello Stato. Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 117, sesto comma, della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva. Alla luce di quanto rilevato, sarebbe pertanto opportuno un approfondimento riguardo a tale disposizione al fine di verificarne la coerenza con le disposizioni precedentemente citate [14].

 

Il comma 1, lettera e), prevede due modifiche all’art. 206 del Codice che riguardano la disciplina degli accordi e dei contratti di programma che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le altre autorità competenti possono stipulare con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria, al fine di razionalizzare e semplificare le procedure nella gestione dei rifiuti.

In tale ambito, il n. 1) della lettera e) provvede a novellare la lettera i) del comma 1 dell’art. 206 al fine di consentire la stipula di accordi di programma aventi ad oggetto l'impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata di tutti i rifiuti e non solo di quelli urbani come prevede il testo vigente.

Il n. 2) della lettera e), invece, aggiunge la lettera i-bis) al fine di consentire che gli accordi e i contratti di programma abbiano ad oggetto l'impiego, da parte degli enti pubblici, delle società a prevalente capitale pubblico e di soggetti privati, dei materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti, sia nella realizzazione di opere infrastrutturali che nell'ambito dell'acquisto di beni, dando priorità ai materiali e prodotti ottenuti dal riciclaggio:

§         di pneumatici fuori uso (PFU) di cui all'articolo 228;

Si ricorda che l’art. 228 del Codice è volto a conseguire il recupero degli pneumatici fuori uso e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione. A tal fine è fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione degli pneumatici. Con il D.M. 11 aprile 2011, n. 82 è stato quindi emanato il Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), ai sensi di quanto previsto dal citato art. 228.

§         dei rifiuti non pericolosi da attività di costruzione e demolizione di cui all'art. 181, comma 1, lettera b), che risultino conformi agli standard ed alle normative di settore, ove esistenti;

L’art. 181, comma 1, lettera b), come modificato dal D.lgs. 205/2010, prevede un incremento, entro il 2020, del 70%, in termini di peso, relativamente alla preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse le operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi (escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 del CER). Si ricorda che la citata voce 17 05 04 corrisponde, secondo l’elenco riportato nell’allegato D, a terra e rocce non contenenti sostanze pericolose.

§         nonché dal trattamento delle tipologie di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) di cui al D.lgs. n. 151/2005 e dei rifiuti di imballaggi che presentino particolari difficoltà di riciclo.

Si ricorda, in estrema sintesi, che il D.lgs. 2005, n. 151 ha recepito nell’ordinamento interno le direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE  relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti . Il d.lgs. n. 151, in linea con quanto già disciplinato per i veicoli a fine vita, ha dettato pertanto specifiche disposizioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale generato sia dalla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sia dalla gestione dei rifiuti da esse generate (RAEE). L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto è quello di migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita delle AEE, quali produttori, distributori, consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei rifiuti da esse derivanti. Il decreto provvede quindi a dettare una serie di misure finalizzate a prevenire la produzione di RAEE nonché a promuoverne il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero, in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento.

 

L’impiego dei materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti agevola il raggiungimento degli obiettivi di raccolta o recupero e riciclaggio previsti, rispettivamente, per gli PFU dal regolamento di cui al citato DM n. 82/2011, per i rifiuti non pericolosi da attività di costruzione e demolizione dal citato articolo 181, comma 1, lett. b), e per i rifiuti di imballaggio dall'Allegato E alla Parta IV del Codice.

 

L’art. 9 del citato DM n. 82/2011 individua i seguenti obiettivi di raccolta e gestione degli pneumatici a fine vita: a) al 31 dicembre 2011 gestione di almeno il 25% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1; b) al 31 dicembre 2012 gestione di almeno l'80% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1; c) al 31 dicembre 2013 e per gli anni successivi gestione del 100% del quantitativo definito all'art. 3, comma 1. L’art. 3, comma 1, citato dispone che, a decorrere dal novantesimo giorno dall'entrata in vigore del regolamento, i produttori e gli importatori degli pneumatici sono tenuti a raccogliere e gestire annualmente quantità di PFU (di qualsiasi marca) almeno equivalenti alle quantità di pneumatici che hanno immesso nel mercato nazionale del ricambio nell'anno solare precedente, dedotta la quota di pertinenza degli pneumatici usati ceduti all'estero per riutilizzo o carcasse cedute all'estero per ricostruzione, calcolata sulla base dei dati ISTAT e in proporzione alle rispettive quote di immissione nel mercato nazionale.

L’Allegato E del Codice sugli “Obiettivi di recupero e di riciclaggio” prevede che: entro il 31 dicembre 2008, almeno il 60% in peso dei rifiuti di imballaggio deve essere recuperato o incenerito in impianti di incenerimento rifiuti con recupero di energia; entro il 31 dicembre 2008 deve essere riciclato almeno il 55% e fino all'80% in peso dei rifiuti di imballaggio - materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio: 60% in peso per il vetro, 60% in peso per la carta e il cartone, 50% in peso per i metalli, 26% in peso per la plastica, tenuto conto esclusivamente dei materiali riciclati sotto forma di plastica, 35% in peso per il legno.

 

Il n. 2) della lettera e) dispone, inoltre, che gli accordi ed i contratti di programma aventi a oggetto l’impiego di materiali e prodotti provenienti dal recupero dei rifiuti, ove necessario e fattibile da un punto di vista tecnico ed economico, possono prevedere delle percentuali minime di impiego di materiali e prodotti recuperati rispetto al fabbisogno totale di spesa.

 

Il comma 1, lettera f), con una novella all’art. 208, comma 11, lett. g), del d.lgs. n. 152/2006, riduce le garanzie finanziarie che le imprese devono prestare ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti.

L’importo di tali garanzie è ridotto del 50% per le imprese certificate EMAS ai sensi del regolamento (CE) n. 1221/2009 e del 40% per quelle in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI EN ISO 14000.

 

L’art. 208 del Codice ambientale, in materia di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, prevede al comma 11 che l’autorizzazione contenga, tra l’altro, alla lett. g) anche le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto, mentre quelle per la gestione della discarica e per la fase successiva alla sua chiusura dovranno essere prestate secondo le disposizioni dell’art. 14 del D.lgs. n. 36/2003[15] relativo alle garanzie finanziarie da prestare per l'attivazione e la gestione operativa della discarica, comprese le procedure di chiusura.

Si ricorda, inoltre, che con l’acronimo EMAS[16] si intende il sistema comunitario di ecogestione e audit cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell’Unione Europea o al di fuori di esso, che si impegnano a migliorare la propria efficienza ambientale. Il primo Regolamento EMAS n. 1836 è stato emanato nel 1993 e nel 2001 è stato sostituito dal Regolamento n. 761 che, a sua volta sottoposto a revisione, è stato sostituito nel 2009 dal nuovo Regolamento n. 1221. Il sistema EMAS è principalmente destinato a migliorare l'ambiente e a fornire alle organizzazioni, alle autorità di controllo ed ai cittadini (al pubblico in senso lato) uno strumento attraverso il quale è possibile avere informazioni sulle prestazioni ambientali delle organizzazioni.

Le norme internazionali ISO 14000 rappresentano un altro strumento volontario per migliorare la gestione della variabile ambientale all'interno dell'impresa o di qualsiasi altra organizzazione. Le norme EN UNI ISO 14000 attualmente in vigore in Italia sono state create dal comitato tecnico dell'ISO (International Organisation for Standardisation) TC 207 "Environmental management", successivamente approvate dal CEN (Comitato Europeo di Normazione), divenendo così anche norme europee (EN), ed infine hanno ottenuto lo status di norma nazionale mediante la pubblicazione della traduzione in lingua italiana curata dall'UNI (Ente Italiano di Unificazione).

 

Il comma 2 dispone l’immediata applicabilità a decorrere dall'entrata in vigore della legge, delle riduzioni delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti previste dall’art. 194, comma 4, lett. a), del Codice. L’operatività di tale disposizione è invece attualmente demandata all’emanazione di un decreto interministeriale.

Si ricorda che l’art. 194, comma 4, lett. a), prevede infatti che con un decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute, dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti (non ancora emanato), nel rispetto delle norme del regolamento (CE) n. 1013/2006 vengano disciplinati i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all'art. 6 del predetto regolamento, a copertura delle spese di trasporto e smaltimento o recupero; tali garanzie sono ridotte del 50% per le imprese registrate EMAS ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001 e del 40% per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001.

Il comma 5 dell’articolo 194 prevede che, fino all’adozione del decreto ministeriale di cui al comma 4 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 3 settembre 1998, n. 370 con cui è stato approvato il regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziaria per il trasporto transfrontaliero di rifiuti.

 

Al riguardo, sarebbe opportuno coordinare la disposizione con la normativa vigente provvedendo a modificare il comma 4 dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 152/2006.


Art. 4
(Modifica all’articolo 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sfalci e potature)

L’articolo 4, modificato nel corso dell’esame al Senato, novella la lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) al fine di escludere, dall’applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del Codice, il materiale derivante dalla potatura degli alberi, anche proveniente dalle attività di manutenzione delle aree verdi urbane, se utilizzato per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Tale esclusione potrà avvenire a condizione che il materiale indicato sia configurabile come sottoprodotto ai sensi dell’art. 184-bis del medesimo decreto. Nel seguente testo a fronte si mettono a confronto le modifiche precedentemente esposte con la formulazione vigente della lettera f) del comma 1 dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152 e con le modifiche che erano state apportate alla medesima lettera nel corso dell’esame della proposta di legge alla Camera.

 

Testo vigente della lett. f) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006

Formulazione derivante dal testo approvato dalla Camera (A.S. 3162)

Formulazione derivante dalle modifiche apportate dal Senato (A.C. 4240-B)

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

 

 

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o, ivi inclusi in tal caso quelli derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato sempreché soddisfino i requisiti di cui all’articolo 184-bis, per la produzione di energia da tale biomassa, in ogni caso mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), la paglia, gli sfalci e le potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura e nella selvicoltura; il materiale derivante dalla potatura degli alberi, anche proveniente dalle attività di manutenzione delle aree verdi urbane, sempre che soddisfi i requisiti di cui all’articolo 184-bis, se utilizzato per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

 

Si ricorda preliminarmente che ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2008/98/CE sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva le materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell'attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

Si ricorda che prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 205/2010, che ha recepito la direttiva 2008/98/CE, in base all’art. 185, comma 2, potevano essere considerati sottoprodotti i “materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”.

L’espunzione del riferimento agli sfalci e potature derivanti dal verde pubblico e privato operata dal D.Lgs. 205/2010 ha creato incertezze negli operatori del settore, tanto che il Ministero dell'ambiente ha chiarito (con la nota 1° marzo 2011, prot. 11338) che i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali vanno classificati come rifiuti urbani ai sensi dell'art. 184, comma 2, lettera e), del D.Lgs. 152/2006, poiché l'esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti per la "paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa" (art. 185, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 152/2006) va riferita esclusivamente ai materiali provenienti da attività agricola o forestale destinati agli utilizzi ivi descritti.

La novella in esame richiama le condizioni recate dall’art. 184-bis, ai sensi del quale è un sottoprodotto e non un rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Si ricorda, infine, che l’art. 183, comma 1, lettera d), reca la definizione di rifiuto organico che include i "rifiuti biodegradabili di giardini e parchi” e che, ai sensi dell’art. 184, rientrano tra i rifiuti urbani “i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali” (lettera e) del comma 2).

Appare opportuno valutare la compatibilità della disposizione in esame con la normativa comunitaria, atteso che si prevede un’estensione delle esclusioni dall’ambito di applicazione della parte IV del decreto legislativo n. 152/2006. Appare, altresì, opportuno verificare la formulazione della disposizione, che sembra ora contemplare l’utilizzo per la produzione di energia solo con riferimento al materiale derivante dalla potatura degli alberi e che, anche sotto tale profilo, dovrebbe essere valutata alla luce della normativa comunitaria.

 


Art. 5
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di miscelazione di rifiuti speciali e di oli usati)

 

Tale articolo non è stato modificato nel corso dell’esame al Senato.


Art. 6
(Modifica all’articolo 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di organizzazione territoriale del ciclo di gestione dei rifiuti)

L'articolo 6, inserito nel corso dell’esame al Senato, introduce la lettera f-bis) nell'art. 200 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente), al fine di aggiungere un nuovo criterio per la gestione dei rifiuti urbani organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO).

Si ricorda che l’art. 200 del D.Lgs. 152/2006 prevede che la gestione dei rifiuti urbani sia organizzata per ATO (definiti dai piani regionali per lo smaltimento dei rifiuti previsti dal precedente articolo 199 del medesimo decreto) e definisce, al comma 1, lettere da a) a f), i criteri per la delimitazione degli ATO medesimi.

 

Secondo quanto stabilito dall’articolo, può diventare autorità d'ambito a tutti gli effetti l’azienda di gestione dei rifiuti, costituita da soli enti locali, anche in forma di società di capitali partecipata unicamente da enti locali, a condizione che la medesima azienda:

§         derivi dalla trasformazione di consorzi o aziende speciali ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. 267/2000;

§         risulti dall’integrazione operativa, perfezionata entro il 31 dicembre 2012, di preesistenti gestioni dirette o in house tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di bacino;

§         serva una popolazione di almeno 250.000 abitanti, salvo che la regione fissi un limite inferiore per particolari situazioni locali.

 

Si ricorda che l'espressione “società in house“ si riferisce al caso in cui l’affidatario costituisce la longa manus di un ente pubblico che lo controlla pienamente e totalmente sulla base di alcuni principi codificati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Quanto all’art. 115 del D.Lgs. 267/2000 (Testo unico sugli enti locali), si ricorda che esso disciplina la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni. Esso prevede che gli enti locali possano, con atto unilaterale, trasformare le aziende speciali in società di capitali, di cui possono restare azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni dalla trasformazione. Per aziende non devono intendersi solo società per azioni e, ai sensi del comma 7-bis, le norme riguardanti la trasformazione sono da estendersi anche ai consorzi.

In relazione ai criteri sulla costituzione degli ATO, si ricorda che il decreto-legge 1/2012 (convertito dalla L. 27/2012) ha introdotto nuove disposizioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali - modificando il decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138 - prevedendo, tra l'altro, una misura preliminare di organizzazione dei servizi, attraverso l’attribuzione alle regioni del compito di individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione (nuovo articolo 3-bis del D.L. 138/2011). L’organizzazione territoriale per ambiti riguarda i servizi pubblici a rete di rilevanza economica. In base a tale nuova disposizione, gli ambiti devono essere: ottimali; omogenei; di dimensione normalmente non inferiore a quella del territorio provinciale. Si prevede comunque la possibilità, da parte delle regioni, di delineare ambiti di dimensioni più piccole di quelle della provincia, in relazione a determinate esigenze. Ai sensi del nuovo articolo 3-bis citato, inoltre, è fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già prevista da normative di settore mediante costituzione di bacini "di dimensioni non inferiori" a quella prevista dallo stesso articolo 3-bis. Come sopra ricordato, analoga organizzazione territoriale è già prevista dall’articolo 200 del Codice ambientale per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.

 

La nuova lettera f-bis) stabilisce, inoltre, che il conferimento dei servizi legati al ciclo integrato dei rifiuti, nei casi qui disciplinati, avvenga direttamente all'azienda, anche in deroga all'art. 4 del D.L. 138/2011.

Il richiamato articolo 4 prevede in capo agli enti locali l’obbligo di procedere, in via preliminare e con cadenza periodica o comunque prima del conferimento, alla verifica della realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando i diritti di esclusiva alle sole ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità. Si richiede agli enti locali di individuare i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale in via preliminare, ossia prima di verificare la realizzabilità di una più ampia liberalizzazione. A tal fine è prevista l’adozione, entro il 13 agosto 2012, poi periodicamente e, comunque, prima di procedere all’affidamento del servizio, di una delibera quadro da pubblicizzare e trasmettere alla Autorità garante della concorrenza e del mercato - i cui poteri di controllo in merito sono stati ampliati dal D.L. 1/2012 -, che evidenzi l’istruttoria compiuta nonché, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio.

Si ricorda, inoltre, che le norme relative all'affidamento dei servizi sono recate dall'articolo 202 del Codice, oggetto di modifica da parte del successivo articolo 7 della proposta di legge (alla cui scheda si rinvia).

 

Si osserva preliminarmente che la lettera f-bis) del comma 1 dell’articolo 200, introdotta dall’articolo in esame, non sembra configurarsi come un criterio aggiuntivo per l’organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani quanto piuttosto come una norma autonoma volta alla costituzione di un ambito territoriale ottimale e all’individuazione di un’autorità d’ambito. Con tale disposizione, peraltro, si provvede ad attribuire a un unico soggetto le funzioni di autorità di governo e di soggetto affidatario.

Si valuti, inoltre, l’opportunità di un chiarimento al fine di verificare la conformità della disposizione in esame, che disciplina il conferimento diretto dei servizi legati al ciclo integrato dei rifiuti all’azienda, con la normativa vigente in materia di servizi pubblici locali e con l’articolo 202 del Codice, che prevede l’aggiudicazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara.

 

L’articolo 6 prevede inoltre che i contratti stipulati a seguito di regolare gara mantengono efficacia fino alla naturale scadenza.

 

Viene infine concessa la facoltà, per singoli comuni non facenti originariamente parte dell’azienda, di entrare a farne parte, se ricorrano per gli stessi motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità. Nel caso in cui i predetti comuni rientrino in ATO differenti, è necessaria l’autorizzazione della regione.

Procedure di contenzioso

Si segnala che il 24 novembre 2011 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare (p.i. 2011/4003) con la quale si contestano le modalità di affidamento dei servizi di gestione, raccolta e smaltimento dei rifiuti nei Comuni delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza.

In particolare, la Commissione ritiene che gli affidamenti diretti alla società IREN S.p.A disposti senza messa in concorrenza preliminare dai Comuni di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e da alcuni Comuni delle loro province, non possano essere giustificati dalla normativa europea, ponendo in essere una violazione degli articoli 28, 35 e 36 della direttiva 2004/18/CE sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, qualora detti affidamenti corrispondano ad appalti pubblici, o degli articoli 49 (divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento) e 56 (divieto di restrizione alla libera prestazione dei servizi) del TFUE ove gli stessi siano da considerare invece come concessioni.

La Commissione ricorda inoltre che, in base alla normativa vigente, gli appalti e le concessioni di importo superiore a 4 845 000,00 euro debbono essere conclusi all’esito di una procedura concorrenziale che garantisca il rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e mutuo riconoscimento,

La lettera di messa in mora complementare fa altresì specifico riferimento all'affidamento diretto disposto dal Comune di Parma alla società IREN Emilia S.p.A. controllata dalla società IREN S.p.A in relazione alla realizzazione dell'inceneritore in località Uguzzolo (PR), affidato secondo la Commissione senza il dovuto rispetto delle disposizioni sopracitate. Inoltre, la Commissione ritiene che la presenza di soci privati nel capitale della IREN S.p.A. impedisca la configurazione di un rapporto di controllo analogo tra i Comuni interessati e la società IREN S.p.A, dal momento che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di "in house providing", la partecipazione anche minoritaria di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice “esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi”[17]. Inoltre, la circostanza che la società IREN sia quotata in borsa e dato il vastissimo campo di attività delle società del gruppo IREN, tra cui è ricompresa IREN Emilia S.p.A, appare impossibile ravvisare l’esistenza di un rapporto di controllo analogo tra esse e i Comuni azionisti della capogruppo IREN S.p.A[18]. Infine, la compartecipazione di altri soggetti privati nelle controllate della IREN S.p.A. affievolirebbe ulteriormente il controllo dei comuni azionisti evidenziando una vocazione prettamente commerciale della società IREN S.p.A e delle sue controllate.

In base alle informazioni al momento disponibili, il Governo ha avviato contatti con la Commissione finalizzati alla raccolta di un insieme di dati richiesti dai servizi della Commissione. Inoltre, il Governo avrebbe richiamato l'attenzione della Commissione sul regime transitorio introdotto nell'art.4, comma 32 del Decreto-Legge 138/11 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) convertito con modificazioni dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, sul quale tuttavia la Commissione avrebbe sollevato eccezioni, invitando il Governo a trovare una soluzione diversa.


Art. 7
(Modifiche all’articolo 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti)

L'articolo 7, inserito nel corso dell’esame al Senato, novella i commi 2, 3 e 4 dell’art. 202 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente), che disciplina l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, come evidenziato dal seguente testo a fronte (in carattere ridotto sono riportati i commi non modificati dall'articolo in esame):

 

Art. 202 (Affidamento del servizio) del D.Lgs. 152/2006

Testo dell’art. 202 come novellato dall’articolo in esame

1. L'Autorità d'ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, secondo la disciplina vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché con riferimento all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.

 

2. I soggetti partecipanti alla gara devono formulare, con apposita relazione tecnico-illustrativa allegata all'offerta, proposte di miglioramento della gestione, di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e di miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti.

2. I soggetti partecipanti alla gara devono formulare, con apposita relazione tecnico-illustrativa allegata all'offerta, proposte di miglioramento della gestione, di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e di miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti con particolare riferimento ai seguenti: a) separazione alla fonte e organizzazione della raccolta differenziata domiciliare; b) diffusione del compostaggio domestico; c) promozione di riciclaggio, recupero e selezione dei materiali; d) sperimentazione di modalità di riparazione, riuso e decostruzione dei materiali di scarto; e) sperimentazione di forme di tariffazione puntuale sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili.

3. Nella valutazione delle proposte si terrà conto, in particolare, del peso che graverà sull'utente sia in termini economici, sia di complessità delle operazioni a suo carico.

3. Nella valutazione delle proposte si terrà conto, in particolare, del peso che graverà sull'utente sia in termini economici, sia di complessità delle operazioni a suo carico. Al fine di perseguire in via prioritaria la riduzione della produzione dei rifiuti, nelle valutazioni si tiene conto delle capacità e competenze tecniche in materia di prevenzione della produzione di rifiuti e riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti.

4. Gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali

già esistenti al momento dell'assegnazione del servizio sono conferiti in comodato ai soggetti affidatari del medesimo servizio.

4. Gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali o delle loro forme associate già esistenti al momento dell’assegnazione del servizio possono essere conferiti anche a titolo oneroso ai soggetti affidatari del medesimo servizio.

5. I nuovi impianti vengono realizzati dal soggetto affidatario del servizio o direttamente, ai sensi dell'articolo 113, comma 5-ter, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove sia in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente, o mediante il ricorso alle procedure di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ovvero secondo lo schema della finanza di progetto di cui agli articoli 37 -bis e seguenti della predetta legge n. 109 del 1994.

 

6. Il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell'affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private, anche cooperative, che operano nel settore dei servizi comunali per la gestione dei rifiuti sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani, si applica, ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all'articolo 2112 del codice civile.

 

 

In estrema sintesi il testo vigente del comma 2 dell’art. 202 prevede che i soggetti partecipanti alla gara devono formulare proposte di miglioramento della gestione e di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti.

La novella apportata dalla lettera a) è finalizzata ad indicare i seguenti obiettivi che devono essere prioritariamente considerati, dai partecipanti alla gara, nel piano che ognuno di essi deve presentare:

a)   separazione alla fonte e organizzazione della raccolta differenziata domiciliare;

b)   diffusione del compostaggio domestico;

c)   promozione di riciclaggio, recupero e selezione dei materiali;

d)   sperimentazione di modalità di riparazione, riuso e decostruzione dei materiali di scarto;

e)   sperimentazione di forme di tariffazione puntuale sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili.

 

Al comma 3 dell’art. 202, che disciplina i criteri di valutazione delle proposte di miglioramento della gestione presentate dai partecipanti alla gara, viene aggiunto dalla lettera b) un periodo in base al quale, al fine di perseguire in via prioritaria la riduzione della produzione dei rifiuti, nelle valutazioni si tiene conto delle capacità e competenze tecniche in materia di prevenzione della produzione di rifiuti e riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti.

 

La lettera c) riscrive il comma 4 dell’art. 202 che disciplina il conferimento, ai soggetti affidatari, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali, già esistenti al momento dell’assegnazione del servizio.

Rispetto al testo vigente viene previsto che:

§         la proprietà di tali impianti e dotazioni possa essere non solo degli enti locali ma anche delle forme associate di enti locali;

§         il conferimento ai soggetti affidatari non avvenga necessariamente tramite comodato (quindi essenzialmente in modo gratuito), ma possa avvenire anche a titolo oneroso.

Si ricorda che l'istituto del comodato è disciplinato dal codice civile agli articoli da 1803 a 1812. Si segnala, inoltre, che l'articolo 1803 prevede che "Il comodato è essenzialmente gratuito".


Art. 8
(Modifica all’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di misure per incrementare la raccolta differenziata)

L'articolo 8 aggiunge un comma 3-bis all’articolo 205 del D.Lgs. 152/2006 allo scopo di consentire alle associazioni di volontariato senza fine di lucro di effettuare raccolte di prodotti o materiali, nonché di indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento, dei materiali residui. La norma precisa che tali materiali rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1 del citato articolo 205, in base al quale in ogni ambito territoriale ottimale (ATO) deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari a una percentuale minima del 65% dei rifiuti prodotti entro il 31 dicembre 2012.

L’articolo è stato modificato nel corso dell’esame al Senato ampliandone di fatto l’ambito di applicazione, in quanto prevede che la raccolta delle associazioni di volontariato non è più limitata ai prodotti e materiali che non sono rifiuti, come evidenziato nel seguente testo a fronte.

 

Testo approvato dalla Camera

Testo approvato dal Senato

Art. 3 (Modifica all’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di misure per incrementare la raccolta differenziata)

1. All’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 3 è inserito il seguente:

   «3-bis. Le associazioni di volontariato senza fine di lucro possono effettuare raccolte di prodotti o materiali che non sono rifiuti,

nonché di indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo, previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento dei materiali residui ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento dei medesimi. Tali materiali residui rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1».

Art. 8 (Modifica all’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di misure per incrementare la raccolta differenziata)

1. All’articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 3 è inserito il seguente:

    «3-bis. Le associazioni di volontariato senza fine di lucro possono effettuare raccolte di prodotti o materiali,

 

nonché di indumenti ceduti da privati, per destinarli al riutilizzo, previa convenzione a titolo non oneroso con i comuni, fatto salvo l’obbligo del conferimento dei materiali residui ad operatori autorizzati, ai fini del successivo recupero o smaltimento dei medesimi. Tali materiali residui rientrano nelle percentuali della raccolta differenziata di cui al comma 1».


Art. 9
(Introduzione dell’articolo 213-bis nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

L’articolo 9 reca un contenuto analogo ad alcune disposizioni introdotte nel corso dell’esame in prima lettura al Senato del decreto-legge n. 2 del 2012[19] e soppresse durante l’esame in sede referente alla Camera.

 

Il comma 1 introduce nel testo del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. Codice ambientale) un art. 213-bis che prevede l’esclusione delle attività di trattamento tramite compostaggio aerobico[20] o digestione anaerobica[21] dei rifiuti urbani organici biodegradabili dal regime delle autorizzazioni previste per gli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti dagli artt. 208 e seguenti del citato decreto legislativo n. 152/2006.

Si ricorda che l’art. 208 disciplina l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, mentre gli artt. 214-216 disciplinano le procedure semplificate.

In proposito, si valuti l’opportunità di precisare gli articoli del Codice che disciplinano il regime autorizzatorio da cui sono escluse le attività oggetto della norma.

Lo stesso art. 213-bis prevede che tale esclusione operi solo qualora siano rispettate le seguenti condizioni:

a) i rifiuti oggetto del trattamento sono costituiti da rifiuti biodegradabili di cucine e mense e da rifiuti dei mercati (codici CER 20 01 08 e 20 03 02) e da rifiuti biodegradabili prodotti da giardini e parchi (codice CER 20 02 01);

Si fa notare in proposito che il codice CER 20 02 (contenuto nell'Allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) riguarda i “rifiuti prodotti da giardini e parchi (inclusi i rifiuti provenienti da cimiteri)” e che la sottovoce 20 02 01 riguarda i soli “rifiuti biodegradabili”. Gli altri codici CER citati dalla norma in esame riguardano esattamente quanto riportato nella norma, ossia: 20 01 08 “rifiuti biodegradabili di cucine e mense” e 20 03 02 “rifiuti dei mercati”.

b1) la quantità totale non eccede 80 tonnellate annue;

b2) il trattamento è eseguito nel territorio comunale o di comuni confinanti, che abbiano stipulato una convenzione di associazione per la gestione congiunta del servizio;

b3) il prodotto ottenuto è conforme all'Allegato 2 del D.Lgs. 75/2010;

L’allegato 2 al D.Lgs. 75/2010 (recante “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell'articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”) disciplina le specifiche di preparazione degli “ammendanti” nonché i tenori massimi consentiti in metalli pesanti negli ammendanti stessi.

b4) il prodotto è utilizzato sul medesimo territorio;

c) i rifiuti non sono stoccati prima del trattamento:

-     per oltre 72 ore nel caso dei rifiuti biodegradabili di cucine, mense e mercati;

-     per oltre 7 giorni nel caso dei rifiuti biodegradabili di giardini e parchi;

d) gli impianti sono gestiti sotto la responsabilità di un professionista abilitato secondo modalità stabilite mediante decreto del Ministro dell’ambiente da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione.

 

Come segnalato nel corso del dibattito nell’Assemblea del Senato sull’A.S. 3111[22], la norma in esame introduce il “compostaggio di prossimità” o “compostaggio in loco”.

Sul punto si segnala che da più parti è stata sottolineata l’esigenza di introdurre nell’ordinamento nazionale una disciplina atta a consentire il “compostaggio di prossimità” (es. di quartiere). Nelle premesse della D.G.R. Abruzzo n. 469 del 6 luglio 2011[23], si legge, ad esempio, che «la pratica del “compostaggio in loco” di più utenze conferitrici si colloca tra il compostaggio domestico e quello industriale e deve ancora trovare una propria puntuale definizione nel quadro normativo comunitario, nazionale e regionale, ma che può essere qualificata in modo oggettivo e declinabile dalla definizione dell’autocompostaggio ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. e) del  D.Lgs. 152/06 e s.m.i., come: “compostaggio in loco: compostaggio degli scarti organici di rifiuti urbani, derivanti da singole o più utenze, domestiche e non domestiche, effettuato in un sito comune o in un impianto elettromeccanico, ai fini dell’utilizzo del materiale prodotto da parte delle utenze conferenti”»[24].

 

Il comma 2 prevede che la realizzazione e l’esercizio degli impianti di cui al comma 1 siano soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 nonché del D.P.R. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), e all’osservanza delle prescrizioni in materia urbanistica, delle norme antisismiche, ambientali, di sicurezza, antincendio e igienico-sanitarie, delle norme relative all’efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. 42/2004.

 

In relazione alla disciplina della Scia essa è stata introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49 del decreto legge n. 78/2010 sostituendo integralmente la disciplina della dichiarazione di inizio attività contenuta nel previgente art. 19 della legge n. 241/1990. Tale riforma ha risposto all’esigenza di liberalizzare l'attività d'impresa, consentendo di iniziare immediatamente l’attività stessa. La Scia, infatti, consente di iniziare l’attività immediatamente e senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine, ciò traducendosi in una sostanziale accelerazione e semplificazione rispetto alla precedente disciplina contenuta nel citato art. 19, che prevedeva il decorso del termine di 30 giorni prima di poter avviare l’attività oggetto della Dia e legittimava l’esercizio di poteri inibitori da parte dell’amministrazione entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio della medesima attività. Quanto all’ambito di applicazione, con la circolare del 16 settembre 2010 il Ministero per la semplificazione normativa ha chiarito che la Scia non si applica solo all'avvio dell'attività di impresa ma sostituisce anche la DIA in edilizia, eccetto la Dia alternativa al permesso di costruire (c.d. superDia) e nei casi in cui le leggi regionali abbiano previsto l’utilizzo della Dia per ulteriori tipologie di intervento rispetto a quelle previste dal T.U. dell’edilizia (art. 22, comma 4), consentendo di avviare i lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la Dia occorre attendere 30 giorni. Successivamente tale interpretazione è stata confermata con l’art. 5 del decreto legge n. 70/2011, ove è stato anche precisato che essa deve corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni, nonché dei relativi elaborati tecnici a cura del professionista abilitato il quale se dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti previsti è punito con la reclusione da uno a tre anni. Per il settore edilizio, si ricorda, infine, che sono stati esclusi dalla Scia i casi relativi alla normativa antisismica e quelli in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. L’art. 2, comma 1, del decreto legge n. 5/2012, ha ulteriormente semplificato la procedura amministrativa prevedendo che la Scia venga corredata dalle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati ove espressamente previsto dalla normativa vigente.

 


Art. 10
(Modifica all’articolo 228 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di contributo per la gestione di pneumatici fuori uso)

L’articolo 10, inserito nel corso dell’esame al Senato, con una modifica al comma 2 dell’art. 228, comma 2, del D.lgs. n. 152 del 2006 (Codice ambientale), prevede che il contributo ambientale per la gestione di pneumatici fuori uso:

§         costituisca parte integrante del corrispettivo di vendita;

§         sia assoggettato ad IVA;

§         debba essere riportato in modo chiaro e distinto in ciascuna fattura nell’importo vigente alla data della cessione del prodotto.

 

Si ricorda che l’art. 228 del Codice ambientale è volto a conseguire il recupero degli pneumatici fuori uso e a ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione. A tal fine è fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione di pneumatici. Con il D.M. 11 aprile 2011, n. 82, è stato quindi emanato il Regolamento per la gestione degli pneumatici fuori uso (PFU), ai sensi di quanto previsto dal citato art. 228.

In particolare il comma 2 dell'art. 228, novellato dall’articolo 10, ha istituito un contributo, che deve essere indicato in fattura, per far fronte agli oneri derivanti dall'obbligo di recupero.

Si ricorda che l'art. 24, comma 1, lett. f), del decreto-legge n. 5/2012, recante disposizioni in materia di semplificazione e sviluppo, ha aggiunto un nuovo comma 3-bis all’art. 228, che introduce una specifica disciplina del procedimento da seguire per la determinazione del contributo citato. Viene infatti previsto che:

a) i produttori e gli importatori di pneumatici o le loro eventuali forme associate determinino annualmente l’ammontare del rispettivo contributo necessario per l’adempimento, nell’anno solare successivo, degli obblighi di cui al comma 1;

b) gli stessi soggetti comunichino tale ammontare, entro il 31 ottobre di ogni anno, al Ministero dell'ambiente, anche specificando gli oneri e le componenti di costo che giustificano l’ammontare del contributo;

c) il Ministero dell'ambiente, se necessario, richiede integrazioni e chiarimenti                         al fine di disporre della completezza delle informazioni da divulgare anche a mezzo del proprio portale informatico entro il 31 dicembre del rispettivo anno;

d) è fatta salva la facoltà di procedere, nell’anno solare in corso, alla rideterminazione, da parte dei produttori e degli importatori di pneumatici o delle rispettive forme associate, del contributo richiesto per l’anno solare in corso.

Si ricorda che l’art. 5, comma 2, del citato D.M. n. 82 del 2011 aveva già disciplinato la determinazione del contributo ambientale per la gestione degli PFU. La principale differenza tra le due discipline risiede nel fatto che la determinazione del contributo non è più affidata al Ministero dell'ambiente (ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.M. n. 82 del 2011), ma a produttori e importatori di pneumatici o alle loro eventuali forme associate. Difatti, come indicato nella relazione tecnica al decreto-legge n. 5/2012, la disposizione è volta a snellire gli oneri ricadenti sulle imprese della filiera del recupero degli pneumatici, prevedendo, conformemente a quanto già accade per tutti gli altri consorzi di recupero delle diverse tipologie di rifiuti, che la determinazione del contributo ad essi spettante sia determinato dagli operatori.


Art. 11
(Modifiche all’articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di manutenzione e interventi di adeguamento)

L'articolo 11, inserito nel corso dell’esame al Senato, con alcune modifiche al comma 9 dell'art. 242 del D.lgs. n. 152 del 2006 (Codice ambientale), è volto ad ampliare l'ambito delle operazioni di messa in sicurezza operativa dei siti contaminati.

Viene infatti previsto che siano comprese, tra le opere che possono essere oggetto di interventi straordinari e ordinari di manutenzione o di messa in sicurezza, anche le strutture interrate oltre agli impianti e reti tecnologiche.

Alle stesse condizioni, ovvero purché non venga compromessa la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica, vengono altresì consentiti interventi di adeguamento degli impianti, anche laddove ricadano in aree da bonificare, e quelli autorizzati o prescritti nell’ambito dei procedimenti relativi all’AIA (autorizzazione integrata ambientale) di cui agli artt. 29-bis e seguenti ed all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui all’art. 269 e seguenti del Codice ambientale.

 

Si ricorda che il comma 9 dell’art. 242 del Codice ambientale è stato recentemente modificato dall’art. 40, comma 5, del decreto-legge n. 201/2011 e dall’art. 24, comma 1, lett. f-bis) del decreto legge n. 5/2012. Le modifiche prevedono l’estensione dell’applicabilità della disposizione riguardante la messa in sicurezza operativa del sito a tutti i siti inquinati e non solo a quelli con attività in esercizio e vengono consentiti anche interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica e siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi. Al fine di semplificare gli adempimenti delle imprese è stato, inoltre modificato anche il comma 7 prevedendo che, nel caso di interventi di bonifica o di messa in sicurezza caratterizzati da particolari complessità, il progetto possa essere articolato per fasi progettuali distinte, al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive. Riguardo a tali modifiche si riporta anche la definizione di messa in sicurezza operativa (MSO) recata dalla lett. n), del comma 1, dell’art. 240 dello stesso Codice, sottolineando che con tale definizione si intende “l'insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell'attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all'esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all'interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l'efficacia delle soluzioni adottate”.

In merito all’AIA, disciplinata dai citati artt. 29-bis e seguenti (fino all’art. 29-quattuordecies) del Codice, essa ha per oggetto – ai sensi dell’art. 4, comma 4, lett. c), del Codice - la “prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”. Ai sensi dell’art. 6, comma 13, l'AIA è necessaria per i progetti di cui all'allegato VIII alla parte seconda del Codice nonché per le successive modifiche sostanziali. Si fa notare che il campo di applicazione della disciplina relativa all’AIA è piuttosto limitato in termini numerici: sia perché l’allegato VIII riguarda solo alcune tipologie di attività industriali, sia perché vi sono ulteriori limitazioni relative alla capacità produttiva che deve essere superiore alle soglie indicate dall’allegato stesso. Dai dati trasmessi dal Ministero dell'ambiente[25] risulta che il numero degli impianti assoggettati ad AIA è di poco inferiore alle 6.000 unità, pari a circa l’1,3% del numero di imprese del settore industriale[26].

In relazione agli artt. 269 e seguenti, contenuti all’interno della parte quinta del Codice,essi disciplinano la prevenzione e la limitazione delle emissioni in atmosfera da parte di impianti e attività, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal Titolo II, che producono emissioni in atmosfera. Per la costruzione e l’esercizio di tali stabilimenti è necessaria una specifica autorizzazione, l’autorizzazione alle emissioni, la cui disciplina è recata dal citato art. 269 e dei successivi articoli. In merito a tale disciplina si ricorda che essa è stata oggetto di sostanziali modifiche da parte del D.lgs. 29 giugno 2010, n. 128 (terzo correttivo al Codice ambientale). Negli allegati alla parte quinta sono quindi indicati, tra l’altro, i valori di emissione minimi e massimi per le sostanze inquinanti ed i valori di emissione per specifiche tipologie di impianti.


Art. 12
(Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di essiccatoi agricoli)

L'articolo 12, inserito nel corso dell’esame al Senato, esclude gli essiccatoi agricoli dal novero degli impianti assoggettati all’autorizzazione alle emissioni in atmosfera prevista dal titolo I della parte V del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente).

Tali impianti vengono infatti inseriti all’interno dell’allegato IV alla parte V del Codice, che contiene l’elenco degli impianti e attività in deroga.

Si ricorda che l’art. 272 del D.Lgs. 152/206 prevede, ai primi due commi, due differenti ipotesi di esclusione dalla disciplina dell’autorizzazione alle emissioni atmosferiche dettata dal Titolo I della parte V del Codice:

comma 1 - stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. L'elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell'inquinamento atmosferico. In tal caso si applicano esclusivamente i valori limite di emissione e le prescrizioni specificamente previsti, per tali impianti e attività, dai piani e programmi di qualità dell’aria e dalle normative regionali;

comma 2 – specifiche categorie di stabilimenti, per le quali l'autorità competente può adottare apposite autorizzazioni in forma semplificata (autorizzazioni di carattere generale - nelle quali sono stabiliti tra l’altro i valori limite di emissione - riferite ad intere categorie di stabilimenti, inclusi, in particolare, quelli elencati nella parte II dell'allegato IV) e le modalità di adesione a tali atti autorizzativi.

 

La lettera a) include tra gli impianti ad inquinamento atmosferico scarsamente rilevante elencati dalla parte I dell’allegato IV gli impianti stagionali di essiccazione di prodotti agricoli in dotazione alle imprese agricole, di cui all’art. 2135 del codice civile, che non lavorano più di 90 giorni l’anno e di potenza installata non superiore a 450.000 chilocalorie/ora per corpo essiccante (nuova lettera v-bis della parte I).

 

La lettera b) invece, prevede l’applicazione delle autorizzazioni semplificate, includendoli nella parte II dell’allegato IV, per gli impianti di essiccazione di cereali, medica e semi non ricompresi nella parte I dell’allegato (nuova lettera v-bis della parte II).

 

Si segnala che l’art. 10 dell’A.S. 2735[27], in corso di esame al Senato, prevede l’inclusione tra gli impianti ad inquinamento atmosferico scarsamente rilevante degli impianti di essiccazione di cereali, medica e semi di potenza non superiore a 620.000 chilocalorie/ora (oltre al requisito dei 90 giorni massimi di lavoro). Sul punto, nel documento di Confagricoltura acquisito dalla 9ª Commissione del Senato nel corso delle audizioni svolte, viene sottolineato che “andrebbero evitati riferimenti alla potenza termica installata tenendo comunque conto che la maggioranza degli impianti presenti nelle aziende agricole dell’area risicola, quella maggiormente interessata al problema, hanno tipicamente una potenza installata variabile tra 800.000 kcal/h e 1.000.000 kcal/h” e ancora che andrebbe evitato “qualsiasi riferimento alla potenza, dato che tale parametro non caratterizza in alcun modo la fattispecie degli impianti presenti nelle aziende agricole”[28].

Sulla base dei dati succitati, quindi, la soglia di 450.000 kcal/h utilizzata dalla norma in esame fa sì che la quasi totalità degli impianti di essiccazione di cereali, medica e semi rientreranno nella fattispecie di cui alla lettera b), cioè saranno assoggettati ad autorizzazione semplificata.


Art. 13
(Utilizzo di terre e rocce da scavo)

L’articolo 13, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca, al comma 1, una disposizione che, fermo restando quanto previsto dall’art. 49 del D.L. 1/2012[29], prevede, per i materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all’interno dei siti di interesse nazionale (SIN), la possibilità del loro utilizzo nell’ambito delle medesime aree minerarie per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali.

Lo stesso comma prevede altresì che tale utilizzo sia possibile alle seguenti condizioni:

§         la caratterizzazione di tali materiali, tenuto conto del valore di fondo naturale, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti inferiori ai valori di cui all’allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, in funzione della destinazione d’uso;

L’allegato 5 citato contiene tabelle ove sono indicate, per le sostanze inquinanti frequentemente rilevate nei siti contaminati, le concentrazioni soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare, distinguendo tra siti ad uso di verde pubblico, privato e residenziale e siti ad uso commerciale e industriale.

§         conformità al test di cessione da compiere con il metodo e in base ai parametri di cui al D.M. ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nella G.U. n. 88 del 1998, S.O. n. 72.

Si ricorda che il citato D.M. 5 febbraio 1998 (recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”) fissa nell'allegato 3 la metodica e i valori limite per il test di cessione; inoltre, all'articolo 9, stabilisce i criteri per il campionamento dei rifiuti, che deve essere effettuato in modo da ottenere un campione rappresentativo secondo le norme UNI. Il medesimo articolo dispone che il test di cessione venga effettuato almeno ad ogni inizio di attività e, successivamente, ogni 12 mesi salvo diverse prescrizioni dell'autorità competente e, comunque, ogni volta che intervengano modifiche sostanziali nel processo di recupero.

 

Si ricorda che l’art. 49 del D.L. 1/2012 prevede l’emanazione, entro il 24 maggio 2012 (vale a dire sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 1/2012[30]), di un decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, volto ad introdurre una nuova regolamentazione dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo, in sostituzione di quella attualmente prevista dall’art. 186 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente). Il citato D.M. dovrà stabilire (secondo quanto previsto dall’art. 49) “le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006”. La finalità della norma recata dall’art. 49, enunciata dal Governo, è infatti quella di eliminare i costi dello smaltimento come rifiuti, laddove tali terre e rocce possano essere considerate come sottoprodotti e quindi reintegrate nella costruzione.

Relativamente alla vigente disciplina recata dall’art. 186 del Codice dell’ambiente si ricorda che le condizioni per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo al di fuori della normativa sui rifiuti, poste dal comma 1 dell’art. 186, ricalcano, nella sostanza, quelle dettate per i sottoprodotti dall’art. 184-bis (previsione e certezza dell’utilizzo, assenza di trasformazioni preliminari, ecc.), anche se vengono aggiunte ulteriori condizioni, quali ad es. quella recata dalla lett. e) del comma 1, secondo cui deve essere accertato che tali terre e rocce non provengano da siti precedentemente contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica, o come quella della lett. g) in base alla quale la certezza del loro integrale utilizzo deve essere dimostrata. Si ricorda che l’articolo 49, comma 1, del decreto legge n. 1 del 2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, dispone che l’utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Il comma 1-ter di tale articolo conseguentemente prevede, novellando l’articolo 39, comma 4, del d.lgs 205/2010, che dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale l’articolo 186 è abrogato.

Per quanto riguarda i siti di interesse nazionale (SIN), ai sensi dell'articolo 252, comma 1, del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) essi sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Inoltre, il comma 2 del medesimo articolo 252 dispone che l'individuazione dei SIN avvenga mediante decreto del Ministro dell'ambiente, d'intesa con le regioni interessate, ed elenca una serie di principi e criteri direttivi cui attenersi, mentre il comma 4 affida la procedura di bonifica dei SIN alla competenza del Ministero dell'ambiente, sentito il Ministero delle attività produttive. Attualmente sul territorio nazionale sono stati individuati 57 siti di interesse nazionale[31].

 

Si valuti l’opportunità di un approfondimento sulla portata della norma in esame, che si applica ai materiali di scavo provenienti dalle miniere dismesse, o comunque esaurite, collocate all’interno dei siti di interesse nazionale, atteso che, tra le condizioni per l’applicazione della disciplina attualmente vigente per le terre e rocce da scavo, di cui all’articolo 186 del decreto legislativo n. 152/2006, vi è quella che prevede che sia accertato che tali terre e rocce da scavo “non provengano da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del decreto”.

 

Il comma 2 dell'articolo in esame prevede che le aree sulle quali insistono i materiali di scavo di cui al comma 1, ricorrendo le medesime condizioni ivi previste per i suoli e per le acque sotterranee, siano restituite agli usi legittimi. Ai fini di tale restituzione, il soggetto interessato comunica al Ministero dell’ambiente i risultati della caratterizzazione, validati dall’ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) competente per territorio, che si avvale anche delle banche dati di enti o istituti pubblici.

 

Si fa notare, infine, che l’articolo in esame riproduce il testo dell’ordine del giorno 9/04940-A/107[32] accolto dal Governo nella seduta del 13 marzo 2012.


Art. 14
(Residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo)

L’art. 14, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni per l’utilizzo dei residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo analoghe a quelle dettate dall’art. 13 per i materiali di scavo provenienti dalle miniere.

Il comma 1 dell'articolo in esame prevede, infatti, che i residui di estrazione e di lavorazione di marmi e di lapidei siano utilizzabili, nell’ambito delle aree di estrazione e delle relative aree di lavorazione, in sostituzione dei materiali di cava, per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati e per interventi di recupero ambientale.

Lo stesso comma prevede che tale utilizzo sia possibile a condizione che la loro caratterizzazione, tenuto conto del valore di fondo naturale e della forma chimico-fisica delle sostanze, abbia accertato concentrazioni degli inquinanti inferiori ai valori di cui all’allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, in funzione delle destinazioni d’uso.

Si fa notare che tale condizione è pressoché identica alla prima delle due condizioni previste dall’art. 13 per l’utilizzo dei materiali di scavo provenienti dalle miniere.

Si ricorda che l’allegato 5 citato contiene due tabelle ove sono indicate, per le sostanze inquinanti frequentemente rilevate nei siti contaminati, le concentrazioni soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo (tabella 1) e nelle acque sotterranee (tabella 2). La tabella 1 elenca le concentrazioni in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare, distinguendo tra siti ad uso di verde pubblico, privato e residenziale (colonna A) e siti ad uso commerciale e industriale (colonna B).

 

Il successivo comma 2 prevede che, ai fini di cui al comma 1, nell’ambito delle medesime aree di cui al predetto comma, siano utilizzabili anche i fanghi di lavorazione di marmi e lapidei .

In tal caso la condizione per l’utilizzo è che, a seguito di analisi effettuata dall’ARPA competente, sia accertato che i valori risultanti consentano il rispetto dei limiti di cui alla colonna B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/2006.

 

La disciplina recata dall’articolo in commento sembra, pertanto, finalizzata a semplificare le condizioni per il riutilizzo, al di fuori della disciplina sui rifiuti, dei residui di estrazione e di lavorazione di marmi e di lapidei.

Le disposizioni dettate dall'articolo sembrano nascere dall'esigenza, evidenziata dagli operatori del settore[33], di consentire l’utilizzo dei suddetti residui per facilitarne l’impiego in sostituzione di altri materiali di cava. Si segnalano, in proposito, le indicazioni formulate dalla 13ª Commissione permanente del Senato con la risoluzione Doc. XXIV, n. 2, approvata il 3 dicembre 2008, ove per i residui lapidei viene auspicato “l’utilizzo ai fini produttivi semplificando notevolmente rispetto agli iter autorizzativi relativi al recupero di rifiuti”.

Si ricorda che la vigente normativa relativa ai residui di estrazione e di lavorazione di marmi e di lapidei è contenuta nel comma 7-ter dell’art. 186 del D.Lgs. 152/2006 relativo alla terre e rocce da scavo. Il citato comma dispone  che, ai fini dell'applicazione del presente articolo, i residui provenienti dall'estrazione di marmi e pietre sono equiparati alla disciplina dettata per le terre e rocce da scavo e che tale equiparazione si ha anche per i residui delle attività di lavorazione di pietre e marmi che presentano le caratteristiche di sottoprodotto. Lo stesso comma dispone poi che “tali residui, quando siano sottoposti a un'operazione di recupero ambientale, devono soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare i valori limite, per eventuali sostanze inquinanti presenti, previsti nell'Allegato 5 alla parte IV del presente decreto, tenendo conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente derivanti dall'utilizzo della sostanza o dell'oggetto”.

Si ricorda che il processo di lavorazione dei materiali lapidei genera due tipi di rifiuti contraddistinti rispettivamente dai codici 010408 (scarti di ghiaia e pietrisco, diversi da quelli di cui alla voce 01 04 07[34]) e 010413 (rifiuti prodotti dalla lavorazione della pietra, diversi da quelli di cui alla voce 01 04 07) del catalogo europeo dei rifiuti (CER).


Art. 15
(Modifiche al decreto legislativo 23 febbraio 2010, n. 49)

L’articolo 15, introdotto nel corso dell’esame al Senato, reca un contenuto identico a una disposizione inserita[35] nel corso dell’esame del decreto-legge n. 2 del 2012, recante misure urgenti in materia ambientale e soppresse nel corso dell’esame alla Camera.

 

L’articolo in esame prevede le seguenti novelle al D.Lgs. 49/2010 di attuazione della direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni:

a) viene modificata la definizione di “alluvione” recata dall’art. 2, comma 1, lettera a), del citato decreto, al fine di chiarire che non sono considerati alluvioni gli allagamenti causati da impianti fognari e, in tal modo, riallineare la norma nazionale alla corrispondente definizione recata dalla direttiva europea.

Si ricorda, infatti, che mentre la definizione recata dall’art. 2 della direttiva 2007/60/CE recita che dal novero delle alluvioni si possono “escludere gli allagamenti causati dagli impianti fognari”, nel testo attualmente vigente del D.Lgs. 49/2010, invece, l’esclusione fa riferimento agli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici. Tale previsione viene quindi sostituita in modo da rendere la definizione nazionale maggiormente aderente a quella contemplata dalla direttiva 2007/60/CE.

Si ricorda che la definizione recata dall’art. 2 del D.Lgs. 49/2010 considera come alluvione “l'allagamento temporaneo, anche con trasporto ovvero mobilitazione di sedimenti anche ad alta densità, di aree che abitualmente non sono coperte d'acqua. Ciò include le inondazioni causate da laghi, fiumi, torrenti, eventualmente reti di drenaggio artificiale, ogni altro corpo idrico superficiale anche a regime temporaneo, naturale o artificiale, le inondazioni marine delle zone costiere ed esclude gli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici”.

b)viene corretto un errore materiale insito nell'Allegato l, parte B, punto 1 del decreto, ove si fa erroneo riferimento ai “riesami svolti a norma dell'articolo 13”, mentre tali riesami sono disciplinati dall’art. 12 del medesimo decreto.

Procedure di contenzioso

In riferimento all’art. 15 si segnala che il 22 marzo 2012 la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora contestando il non corretto recepimento della direttiva 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni.

In particolare, la Commissione contesta la trasposizione non corretta:

-     dell’articolo 2, paragrafo 1, in quanto l’art. 2(1°) del D.lgs 49/2010 di recepimento della direttiva esclude dalla nozione di “alluvione” gli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici, esclusione non prevista dalla direttiva che prevede solo la possibilità di escludere gli allagamenti causati dagli impianti fognari;

-     dell’allegato 1, parte B.1 della direttiva, in quanto all’allegato 1, parte B, punto 1 del D.lgs 49/2010, il riferimento all’art. 13 del medesimo D.lgs invece che all’articolo 12 relativo ai riesami della valutazione del rischio alluvioni, non è corretto.

Le disposizioni di cui all’articolo in esame rispondono pertanto all’obiettivo di soddisfare le indicazioni delle istituzioni europee.

 


Art. 16
(Ulteriori disposizioni in materia di rifiuti)

L’articolo 16 reca un contenuto analogo alle disposizioni recate dall’art. 1-bis, commi 2, 3 e 4, e dall’art. 3, commi 12, 17 (lettera b) e 18, del decreto-legge n. 2 del 2012, recante misure urgenti in materia ambientale, soppresse durante l’esame in sede referente alla Camera.

 

Il comma 1 novella il comma 29 dell’art. 14 del D.L. 201/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, relativo alla facoltà, per i comuni, di prevedere l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva in luogo del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dal medesimo art. 14.

Relativamente alla nuova disciplina introdotta dall’art. 14[36] si ricorda, in estrema sintesi, che il tributo comunale è destinato a coprire:

§         i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto mediante l'attribuzione di diritti di esclusiva nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 4 del D.L. 138/2011;

§         i costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.

Il testo vigente del comma 29 dell’art. 14 prevede che la citata applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo, sia consentita (mediante emanazione di apposito regolamento) solamente in quei comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico.

I successivi commi dispongono che il costo del servizio da coprire con la tariffa di cui al comma 29 è determinato sulla base dei criteri stabiliti nel regolamento previsto dal comma 12 e che la tariffa di cui al comma 29 è applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani. Il comma 32 dispone poi che i comuni di cui al comma 29 applicano il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi limitatamente alla componente diretta alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni determinata ai sensi del comma 13.

 

Il nuovo testo previsto dal comma in esame estende la portata della disposizione recata dal comma 29, inserendo un’altra fattispecie, oltre a quella prevista, in cui è consentita l’applicazione della tariffa. Viene infatti previsto che tale applicazione sia possibile non solo nel caso (attualmente previsto) in cui i comuni abbiano realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, ma anche per i comuni che hanno realizzato sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso.

Relativamente all’applicazione dei sistemi di tariffazione sui rifiuti, si ricorda che al 31 dicembre 2010 il numero di comuni “passati” alla tariffa era pari a 1.203, per un ammontare complessivo di popolazione “assoggettata” a tariffa rifiuti di 17,3 milioni di abitanti[37].

 

Il comma 2 novella il comma 29 dell’art. 3 della legge 549/1995 relativo al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi istituito dal comma 24 del medesimo articolo.

In particolare il comma in esame elimina i limiti massimi delle aliquote per chilogrammo di rifiuto conferito in discarica previsti dal comma 29.

Il testo vigente del comma 29 prevede che l'ammontare dell'imposta sia fissato con legge regionale, entro il 31 luglio di ogni anno per l'anno successivo, per chilogrammo di rifiuti conferiti:

§         in misura non inferiore ad euro 0,001 e non superiore ad euro 0,01 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per i rifiuti inerti ai sensi dell'art. 2 del D.M. Ambiente 13 marzo 2003;

§         in misura non inferiore ad euro 0,00517 e non superiore ad euro 0,02582 per i rifiuti ammissibili al conferimento in discarica per rifiuti non pericolosi e pericolosi ai sensi degli articoli 3 e 4 del medesimo decreto.

 

Il comma 3 sostituisce la lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008, recante misure urgenti volte a superare le  difficoltà riscontrate dagli operatori del settore del recupero dei rifiuti, al fine di adeguare la disposizione al mutato quadro normativo delineatosi in seguito all’emanazione dei decreti legislativi nn. 128 e 205 del 2010.

La lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008 prevede, infatti, nel testo vigente, che “fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 [38] si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59”.

I riferimenti menzionati dalla citata lettera sono però stati successivamente abrogati: l’art. 181-bis ad opera del D.Lgs. 205/2010, che ha altresì abrogato l’art. 210 del Codice ambientale, mentre il D.Lgs. 59/2005 ad opera del D.Lgs. 128/2010, che ha inglobato la disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) all’interno del Titolo III-bis del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006). Si rammenta, inoltre, che gli articoli 208 e 209 recano rispettivamente disposizioni riguardanti rispettivamente l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e il rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale.

 

Il seguente testo a fronte mostra chiaramente l’operazione di adeguamento normativo che, nel novellare la lettera a), fa rinvio ai criteri previsti dall’art. 184-ter per la cessazione della qualifica di rifiuto[39]. Si segnala, in proposito, che ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 184-ter, tali criteri sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto, con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della L. 400/1988.

 

Testo vigente della lettera a) del comma 1 dell’art. 9-bis del D.L. 172/2008

Testo novellato dal comma 1 dell’art. 16 dell’A.C. 4240-B

 

per ciascuna tipologia di rifiuto,

fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181-bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,

fino alla data di entrata in vigore del rispettivo decreto di cui all’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni,

le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2

i criteri di cui all’articolo 184-ter, comma 1,

si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59;

possono essere stabiliti, nel rispetto delle condizioni di cui al citato comma 1, tramite autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208 e 209 oppure ai sensi del Titolo III-bis della Parte Seconda del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni.

 

Il comma 4 interviene sulla disciplina dei trasporti di rifiuti pericolosi e non pericolosi effettuati dagli imprenditori agricoli.

 

In particolare, la lettera a) del comma 4 novella il comma 9 dell’art. 39 del D.Lgs. 205/2010 al fine di prevedere a regime (e non, come previsto dal testo vigente, in via transitoria fino al 2 luglio 2012) l’esclusione dal SISTRI per gli imprenditori agricoli che producono e trasportano ad una piattaforma di conferimento, oppure conferiscono ad un circuito organizzato di raccolta, i propri rifiuti pericolosi in modo occasionale e saltuario.

Si fa notare che il citato termine del 2 luglio è stato fissato dall’art. 13, comma 4, del D.L. 216/2011, che ha prorogato il precedente termine del 31 dicembre 2011.

Si fa altresì notare che la norma in esame riproduce nella sostanza quella recata dall’art. 15 dell’A.S. 2735[40] (in corso d’esame presso la 9ª Commissione del Senato). Nella relazione illustrativa di tale ddl viene sottolineato che la norma in esame è concepita nell’ottica di assicurare la semplificazione degli adempimenti e che gli “obblighi derivanti dall’iscrizione al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti … risultano decisamente sproporzionati per le piccole imprese agricole che producono modeste quantità di rifiuti e conferiscono gli stessi a circuiti organizzati di raccolta. Infatti, la consegna di rifiuti a soggetti autorizzati e nell’ambito di un circuito organizzato sotto il controllo, nella maggior parte dei casi, della pubblica amministrazione, risulta sicuramente uno strumento adeguato ad assicurare la tracciabilità dei conferimenti e delle attività di gestione dei rifiuti agricoli”.

 

Le successive lettere b) e c) provvedono a triplicare (elevandola a 300 kg. o litri) la soglia annua contemplata dalle lettere a) e b) del medesimo comma 9 dell’art. 39 per poter considerare i citati trasporti e conferimenti come occasionali e saltuari.

 

La lettera d) del comma 4 introduce un comma 9-bis all’art. 39 del D.Lgs. 205/2010 finalizzato a:

§         stabilire che i trasporti di rifiuti pericolosi e non pericolosi di propria produzione effettuati direttamente dagli imprenditori agricoli professionali (definiti dall’art. 1 del D.Lgs. 99/2004) verso i circuiti organizzati di raccolta e le piattaforme di conferimento non sono considerati svolti a titolo professionale;

§         e, di conseguenza, ad esonerare gli stessi imprenditori dall’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali (istituito dall’art. 212 del D.Lgs. 152/2006).

 

Relativamente alla definizione di “imprenditore agricolo professionale” recata dall’art. 1 del D.Lgs. 99/2004 si ricorda che, in base ad essa, “è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17 maggio 1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di cui all' articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro ...”.

Relativamente alla disciplina dell’Albo nazionale gestori ambientali si ricorda che l’art. 212 del D.Lgs. 152/2006, che lo ha istituito, prevede al comma 5 che l'iscrizione all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti.

 

Il comma 5 introduce una disciplina speciale, applicabile nelle isole con popolazione residente inferiore a 15.000 abitanti, per l’utilizzo di paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso.

Tale disciplina prevede che le materie indicate possano, nei limiti delle loro proprietà fertilizzanti scientificamente riconosciute, essere utilizzate:

§         presso il luogo di produzione o in altro luogo idoneo limitrofo, sempre che diversi dalle aree in cui risultino superate le soglie superiori di valutazione della qualità dell’aria previste dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 155/2010.

Si ricorda in proposito che l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 155/2010 (Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa) prevede la zonizzazione del territorio nazionale sulla base delle soglie di valutazione superiori e inferiori previste dall'allegato II, sezione I, al medesimo decreto. Le soglie citate riguardano i seguenti inquinanti: biossido di zolfo, biossido di azoto, ossidi di azoto, particolato (PM10 e PM2,5), piombo, benzene, monossido di carbonio, arsenico, cadmio, nichel e benzo(a) pirene.

§         mediante processi o metodi, ivi inclusa la combustione, che in ogni caso non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.

 

Il comma 6 consente la rimozione e l’utilizzo per la produzione di energia o per il riutilizzo a fini agricoli delle biomasse vegetali di origine marina e lacustre spiaggiate lungo i litorali, alle seguenti condizioni:

§         rilascio della prevista autorizzazione regionale (senza la necessità di espletare ulteriori valutazioni di incidenza ambientale);

§         sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006;

L’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 detta le condizioni che una certa sostanza deve soddisfare per poter essere considerata un sottoprodotto e non un rifiuto.

§         rispetto delle norme tecniche di settore;

§         utilizzo di processi o metodi che non danneggino l’ambiente né mettano in pericolo la salute umana.

 

La norma in esame sembra finalizzata principalmente a risolvere il problema, sentito in numerosi comuni costieri, della sistemazione della Posidonia oceanica spiaggiata.

Si ricorda in proposito che la prateria di Posidonia oceanica costituisce un habitat “prioritario”, essendo inserita nell’allegato IV della Direttiva Europea 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 357/1997, per cui lo stato di conservazione deve essere mantenuto soddisfacente. Inoltre, la Posidonia oceanica spiaggiata costituisce un habitat protetto, quindi è oggetto di salvaguardia, ai sensi del Protocollo per le Aree Specialmente Protette e la Biodiversità in Mediterraneo (ASPIM) (Allegato 2), firmato nell’ambito della “Convenzione per la Protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento” di Barcellona del 1995, ratificato dall’Italia con la L. 175/99. Lo spiaggiamento delle foglie di posidonia sui litorali dà origine ad accumuli, denominati banquettes, che “svolgono un’importante azione protettiva nei meccanismi di erosione dei litorali sabbiosi e assumono una funzione fondamentale nell’ecologia dell’ambiente costiero … per cui sono da considerare ecosistemi di particolare importanza e complessità, quindi strategici in termini di biodiversità. Pertanto la rimozione definitiva delle biomasse vegetali spiaggiate causerebbe un danneggiamento fisico della spiaggia e della vegetazione dunale, esponendo la linea di costa a rischio di erosione e desertificazione”[41].

Tuttavia, in alcuni casi tali accumuli sulla spiaggia possono influenzare negativamente le attività turistico-balneari, in quanto sottraggono spazi sull’arenile e favoriscono la produzione di odori sgradevoli dovuti a fenomeni putrefattivi. Per questo motivo il Ministero dell'ambiente, con la circolare prot. DPN/VD/2006/08123 del 17 marzo 2006, riconoscendo il ruolo ecologico e di difesa del litorale svolto dalle biomasse spiaggiate e gli inconvenienti connessi alla presenza di tali accumuli lungo le spiagge, ha fornito delle indicazioni generali sulle soluzioni flessibili e modalità da adottare per gestire tali banquettes, in funzione delle specificità dei luoghi e delle situazioni sociali ed economiche. Nell’ambito di tale circolare il Ministero ha fornito tre possibili modalità di azione per la gestione delle biomasse piaggiate:

a)    mantenimento in loco delle banquettes (sul modello delle “spiagge ecologiche” adottato in Francia in alcune aree protette marine);

b)    spostamento degli accumuli;

c)    rimozione permanente e trasferimento in discarica.

Inoltre, una ulteriore modalità, oltre a quelle sopra citate, non contemplata nella circolare del Ministero, è il:

d)    riutilizzo di tali biomasse nel rispetto della normativa vigente, quali ad esempio l’impiego in interventi di recupero ambientale in ambito costiero o come compost in agricoltura.

 

Nel caso in cui si devono applicare le modalità b), c) o d) l’esecuzione resta subordinata all’acquisizione del provvedimento autorizzativo regionale e, nel caso in cui l’area ricada all’interno dei parchi naturali e/o riserve, le istanze dovranno essere trasmesse anche all’Ente gestore, per il parere di competenza. Qualora l’intervento ricada all’interno o in prossimità di aree sensibili (quali ad es. SIC e ZPS), sarà altresì necessario verificare la necessità di espletare la valutazione di incidenza ambientale ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 357/97[42].

 

Si segnala, in materia di classificazione dei materiali spiaggiati, che numerosi esperti propendono per loro appartenenza alla categoria dei rifiuti poiché, “pur trattandosi di un prodotto naturale, questo avrebbe terminato il suo ciclo naturale e la sua funzione, diventando rifiuto nel momento in cui insorge la necessità di disfarsene per motivi turistico-balneari, ripulendo la costa con tecniche di raccolta che creano un mescolamento ai rifiuti veri e propri”[43]. A conferma di tale impostazione restrittiva, è significativa la risoluzione del Ministero delle Finanze del 5/11/1999 n.158/E (TARSU – alghe giacenti sulle spiagge), la quale precisa che le “alghe” sono classificabili come rifiuti urbani esterni.

Per quanto riguarda la compostabilità delle biomasse vegetali spiaggiate si ricorda che solo in virtù del D.M. Politiche agricole 22 gennaio 2009 (recante “Aggiornamento degli allegati al decreto legislativo 29 aprile 2006, n. 217, concernente la revisione della disciplina in materia di fertilizzanti”[44]) è stato reso possibile utilizzare la posidonia spiaggiata per la produzione di compost.

Lo smaltimento dei residui spiaggiati di Posidonia oceanica “incide in maniera ragguardevole sui bilanci di molti comuni costieri che ogni anno effettuano la raccolta, il trasporto e il conferimento in discarica di migliaia di tonnellate di biomasse, che causerebbero altrimenti disagi alla fruizione turistica dei litorali”. Per cercare di risolvere tale problema sono state avanzate diverse proposte di soluzioni innovative. Si segnalano, in particolare, il progetto denominato PRIME (Posidonia residues integrate management for eco-sustainability)[45], finanziato dall’UE nel’ambito del Programma LIFE+, nonché le iniziative annunciate da alcune regioni ed enti locali[46] per dotare i comuni costieri di impianti per la produzione di compost a partire dalle alghe.


Art. 17
(Disposizioni in materia di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)

L’articolo 17 reca disposizioni riguardanti i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (d’ora in avanti RAEE) per la cui raccolta la normativa vigente reca una specifica regolamentazione.

In particolare, si provvede a modificare la disciplina riguardante:

§         il raggruppamento dei RAEE prodotti dai nuclei domestici finalizzato al loro trasporto ai centri di raccolta;

§         la realizzazione e la gestione dei centri di raccolta medesimi.

 

Il D.lgs. n. 151/2005, in attuazione alle direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, ha dettato specifiche disposizioni finalizzate a ridurre l’impatto ambientale generato sia dalla presenza di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sia dalla gestione dei RAEE. L’obiettivo prioritario perseguito dal decreto è quello di migliorare, sotto il profilo ambientale, l'intervento dei soggetti che partecipano al ciclo di vita delle AEE, quali produttori, distributori, consumatori e, in particolare, gli operatori direttamente coinvolti nel trattamento dei rifiuti da esse derivanti. L’art. 6 introduce l’obiettivo di raccolta separata dei RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg in media per abitante all'anno, per il raggiungimento del quale i comuni assicurano la funzionalità, l'accessibilità e l'adeguatezza dei sistemi di raccolta differenziata, in modo da permettere ai detentori finali ed ai distributori di conferire gratuitamente al centro di raccolta i rifiuti prodotti nel loro territorio (lett. a) e ai produttori od ai terzi che agiscono in loro nome di organizzare e gestire, su base individuale o collettiva, sistemi di raccolta di RAEE provenienti dai nuclei domestici conformi agli obiettivi del decreto (lett. c).

 

I commi da 1 a 4 dell'articolo in esame ripropongono fedelmente le disposizioni recate dall’art. 3, commi 13-16, dell’A.C. 4999 (risultante dall’approvazione da parte del Senato dell’A.S. 3111), soppresse durante l’esame in sede referente alla Camera.

 

Si segnala, preliminarmente, che i commi da 1 a 3 sostanzialmente riproducono, seppure con le modificazioni che verranno evidenziate di seguito, il contenuto degli artt. 1, comma 2, ed 8 del D.M. 8 marzo 2010, n. 65[47], provvedendo, pertanto, a una legificazione di tali disposizioni che, vengono contestualmente abrogate dal comma 4 dell’articolo in commento.

In particolare, il comma 1 dispone che rientra nella fase della raccolta, così come definita dall’art. 183, comma 1, lettera o)[48], del D.lgs. n. 152/2006 (Codice ambientale), il raggruppamento dei RAEE finalizzato al loro trasporto presso i centri di raccolta, effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita o presso altro luogo risultante dalla comunicazione di cui all’articolo 3 del citato D.M. n. 65/2010 [49] nel rispetto delle seguenti condizioni:

a)      il raggruppamento deve riguardare esclusivamente i RAEE domestici;

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 3 del citato D.lgs. n. 151, sono definiti «RAEE domestici» i RAEE originati dai nuclei domestici e i RAEE di origine commerciale, industriale, istituzionale e di altro tipo analoghi, per natura e per quantità, a quelli originati dai nuclei domestici, mentre sono «RAEE professionali» quelli prodotti dalle attività amministrative ed economiche, diversi da quelli domestici. I RAEE derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato prima del 13 agosto 2005 vengono indicati, invece, come «RAEE storici».

b)      i RAEE domestici sono trasportati presso i centri di raccolta con cadenza trimestrale, anziché mensile, come previsto nella disciplina vigente,e, comunque quando il quantitativo raggruppato raggiunga complessivamente i 3.500 Kg. Rispetto a quanto previsto dall’art. 1 comma 2, lett. b) del D.M. n. 65/2010 si precisa che tale quantitativo è elevato a 3.500 kg per ciascuno dei raggruppamenti 1 (freddo e clima[50]), 2 (c.d. altri grandi bianchi[51]) e 3 (TV e monitor) dell’allegato 1 al regolamento di cui al D.M. n. 185/2007, e a 3.500 kg complessivi per i raggruppamenti 4 (Apparecchiature informatiche per le comunicazioni, apparecchi di illuminazione privi delle sorgenti luminose) e 5 (sorgenti luminose) di cui al medesimo allegato 1;

In proposito, appare opportuno un approfondimento circa le modalità applicative della disposizione alla luce di quanto previsto con riferimento ai quantitativi previsti per i differenti raggruppamenti.

c)      idoneità del luogo di raggruppamento ad accogliere i RAEE: viene confermato che deve trattarsi cioè di un luogo non accessibile a terzi e pavimentato. I RAEE sono protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili, e raggruppati avendo cura di tenere separati i rifiuti pericolosi, nel rispetto del divieto di miscelazione previsto all’art. 187, comma 1, del Codice ambientale[52]. Viene confermata, inoltre, la necessità di garantire l’integrità delle apparecchiature, adottando tutte le precauzioni atte ad evitare il deterioramento delle stesse e la fuoriuscita di sostanze pericolose.

 

Il comma 2 reca, pertanto, una disposizione di coordinamento attraverso la modifica dell’art. 2, comma 1, lett. d), del D.M. n. 65/2010 precisando che il trasporto dei RAEE proveniente dai nuclei domestici è effettuato dai distributori o dai terzi solo se riguarda un quantitativo complessivo di RAEE non superiore a 3.500 kg.

 

Il comma 3 prevede che la realizzazione e la gestione di centri di raccolta si svolge con le modalità previste dal D.M. 8 aprile 2008, che ha disciplinato i centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, ovvero, in alternativa, con le modalità previste dagli artt. 208 (autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti), 213 (autorizzazioni integrate ambientali) e 216 (operazioni di recupero) del Codice ambientale. La norma riproduce il contenuto dell’art. 8 del D.M. n. 65/2010 consentendo, rispetto a tale disposizione, la possibilità di ricorrere a modalità alternative per la realizzazione e la gestione dei centri di raccolta.

 

Il comma 4, come anzidetto, provvede ad abrogare le disposizioni recate dal comma 2 dell'art. 1 e dall'art. 8 del D.M. 8 marzo 2010, n. 65, legificate dai commi precedenti.

 

Il comma 5 novella l'articolo 10, comma 2, primo periodo del D.Lgs. 151/2005. L'articolo prevede la possibilità - fino al 13 febbraio 2011 e, per le apparecchiature rientranti nella categoria 1 dell'allegato 1°, cioè i grandi elettrodomestici, fino al 13 febbraio 2013 - per il produttore di RAEE di indicare esplicitamente all'acquirente, al momento della vendita di nuovi prodotti, i costi sostenuti per la raccolta, il trattamento, il recupero e lo smaltimento dei RAEE storici. In tale caso il distributore indica separatamente all'acquirente finale il prezzo del prodotto ed il costo, identico a quello individuato dal produttore, per la gestione dei rifiuti storici. Il comma in esame, sopprimendo i termini previsti, rende la disposizione permanente.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una posizionedi compromesso nel quadro di un accordo con il Consiglio in vista dell’approvazione della proposta di direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (COM(2008)0810) in seconda lettura secondo la procedura legislativa ordinaria.

Il pacchetto di compromesso approvato dal Parlamento europeo estende il campo di applicazione della direttiva a tutte le apparecchiature elettriche ed elettroniche, e introduce per gli Stati membri nuovi obiettivi minimi annuali di raccolta da raggiungere progressivamente entro quattro anni (45% calcolato sulla base del peso totale di RAEE) ed entro sette anni (65% delle AEE immesse sul mercato nei tre anni precedenti o, in alternativa, all'85% dei RAEE prodotti nel proprio territorio). In un parere dell’11 aprile 2012 (COM(2012)139) la Commissione ha accolto favorevolmente  la posizione del PE.

Procedure di contenzioso

Si segnala che il 24 novembre 2011 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora complementare (p.i. 2009/2264) confermando alcune delle contestazioni già rivolte in relazione alla non conformità di talune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 151/2005 di trasposizione della direttiva 2002/96/CE relativa ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (direttiva RAEE), non completamente sanata da interventi successivi (ad esempio l’articolo 21 della legge 96/2010).

La Commissione in particolare ha reiterato i rilievi inerenti:

·       definizione di produttore: l’art. 3, comma 1, lettera i) del decreto legislativo definisce “produttore” chiunque importa o immette per primo apparecchiature elettriche ed elettroniche nell’esercizio di un’attività professionale o commercializzazione nel territorio nazionale. Tuttavia, la Commissione ritiene che nella direttiva RAEE (art. 3, lettera i, punto iii) l’espressione “importa o esporta”  si riferisca al mercato europeo e non solamente al mercato nazionale. Per le stesse ragioni tali disposizioni non sono ritenute dalla Commissione conformi alla direttiva 2002/95/CE, relativa alla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;

·       finanziamento relativo ai RAEE provenienti dai nuclei domestici: la Commissione ritiene che la trasposizione italiana della direttiva non consente di attuare il principio di responsabilità del produttore che rappresenta uno degli obiettivi principali della direttiva stessa. In particolare, la Commissione contesta all’Italia, attraverso interventi legislativi successivi, di aver prorogato al 31 dicembre 2009 il termine del 13 agosto 2005 (art. 8, co. 2) previsto per l’entrata in vigore degli obblighi relativi al finanziamento della gestione dei RAEE originati da prodotti immessi sul mercato dopo quella data, con particolare riferimento all’art. 20, comma 4) del decreto legislativo come modificato successivamente. Nell’avviso della Commissione l’art 9, comma 2, della l. 25/2010 avrebbe introdotto un’ulteriore illegittima proroga dell’entrata in vigore dell’obbligo per i produttori di finanziare la gestione ecologicamente corretta dei RAEE;

·       Allegati I B: la Commissione rileva alcune differenze tra l’allegato I B della direttiva RAEE e l’allegato I B che appaiono dare luogo ad una trasposizione scorretta o incompleta.

 

Inoltre, sebbene consideri superate altre obiezioni sollevate nella precedente fase di contenzioso, sulla base di recenti indagini svolte da Greenpeace la Commissione solleva alcuni rilievi in merito all’applicazione di talune disposizioni della direttiva 2002/96/CE con particolare riferimento a:

·       insufficiente rispetto dell’obbligo di ritiro gratuito dell’usato da parte dei rivenditori (art. 5, co. 2, lett. b della direttiva);

·       non corretta informazione dei consumatori da parte dei rivenditori circa la gratuità del ritiro (art. 10, co 1 lett. b, e art. 10 co. 4) ;

·       insufficiente distribuzione dei 3000 centri di raccolta sul territorio italiano (il 70% concentrato in quattro regioni, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto), peraltro non sempre accessibili alla grande distribuzione (art. 5, co.2, lett a).


Articolo 18
(Disposizioni in materia di misure di compensazione)

L’articolo 18, introdotto durante l’iter al Senato, dispone che in tutti i casi in cui possono essere imposte, dalle autorità competenti e nei modi consentiti dalla normativa vigente, misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale in relazione alla realizzazione di attività, opere, impianti o interventi, esse non possono avere carattere esclusivamente monetario.

In caso di inosservanza di tale disposizione, oltre agli oneri necessari alla realizzazione delle misure di compensazione e riequilibrio ambientale e territoriale, il soggetto inadempiente è tenuto a versare una somma di importo equivalente che affluisce ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per le esigenze di tale Ministero.

 

Al riguardo, sarebbe opportuno un approfondimento in ordine alla portata della norma e alla sua effettiva applicazione, in considerazione della sua genericità. Sarebbe, altresì, opportuno valutare l’impatto della disposizione in relazione ad alcune misure già previste dalla normativa vigente.

 

Si ricorda preliminarmente che tale norma reca un contenuto analogo a quello dell’art 3-quinquies inserito nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 2 del 2012, successivamente soppresso nel corso dell’esame alla Camera.

Con l’espressione “compensazione ambientale” si intendono quegli interventi genericamente mirati a riequilibrare l’impatto ambientale dovuto alla presenza di un impianto industriale o di una infrastruttura. Il termine, di carattere generico, viene infatti usato con diversi significati a seconda dell’oggetto cui si riferisce: ad esempio ai fini della compensazione ambientale e quindi del miglioramento della qualità ambientale della rete stradale possono intendersi interventi quali: realizzazione di fasce o corridoi verdi, sistemi di recinzione-filtro, essenze e tipi di alberatura, muri di sostegno ecologici, barriere antirumore, ecc.

La prescrizione dell’individuazione di misure di compensazione ambientale nel quadro normativo dei lavori pubblici è stata introdotta nel D.lgs. n. 163/2006 (cd. Codice dei contratti pubblici) in riferimento al progetto preliminare e definitivo, al quadro economico e al piano di manutenzione dell’opera che devono includere anche le misure e gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale e degli eventuali interventi di ripristino, riqualificazione e miglioramento ambientale e paesaggistico, con la stima dei relativi costi (All. XXI).

Il D.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) reca, inoltre, misure di compensazione ambientale all’interno della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA), prevedendo, all’art. 22, che lo studio di impatto ambientale (SIA) debba contenere anche una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli impatti negativi rilevanti. Tali misure vengono poi specificate nell’Allegato VII prevedendo che il progetto debba indicare anche le misure di mitigazione e compensazione necessarie. Inoltre anche nell’allegato 3 alla parte VI relativa alle norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente viene prevista, nell’ambito delle misure più appropriate cui attenersi per garantire la riparazione del danno ambientale (in particolare agli habitat naturali protetti), una riparazione proprio al fine di compensare la perdita temporanea di risorse naturali e servizi in attesa del ripristino. La compensazione consiste in ulteriori miglioramenti alle specie e agli habitat naturali protetti o alle acque nel sito danneggiato o in un sito alternativo e non costituisce una compensazione finanziaria al pubblico.

In relazione a specifici casi di contributi di compensazione territoriale di natura esclusivamente economica si ricorda, per citare alcuni esempi: l’art. 7-ter del decreto legge n. 208/2008, che ha modificato le modalità del calcolo del contributo di compensazione territoriale previsto a favore dei siti che ospitano centrali nucleari prevista dall’art. 4 del decreto-legge n. 314/2003, nonché l’art. 30 del D.lgs. n. 31/2010 sulla disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi che prevede un contributo di natura economica al fine di massimizzare le ricadute socio-economiche, occupazionali e culturali conseguenti alla realizzazione del Parco Tecnologico, determinato secondo le modalità indicate nello stesso articolo. Anche la legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) ha previsto, all’art. 2, commi 558-560, che i soggetti titolari di concessioni per l’attività di stoccaggio del gas naturale in giacimenti debbano corrispondere alle regioni un contributo compensativo di natura monetaria per il mancato uso alternativo del territorio.


Articolo 19
(Quantificazione di flussi riguardanti contributi su politiche ambientali)

L’articolo 19, inserito durante l’esame del provvedimento al Senato, prevede che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) pubblichi sul proprio sito istituzionale l’andamento effettivo dei flussi di riassegnazione di somme riguardanti politiche ambientali, con un aggiornamento almeno trimestrale, in tutti i casi in cui la normativa vigente prevede la riassegnazione di fondia capitoli dello stato di previsione del MATTM o a fondi istituiti con legge funzionali all’attuazione di politiche ambientali da parte dello stesso MATTM, fermi restando gli obblighi di pubblicazione vigenti. Tale disposizione reca un contenuto identico a quello dell’art 3-sexies  inserito nel corso dell’esame al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 2 del 2012, successivamente soppresso nel corso dell’esame alla Camera.

Inoltre, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Ministro dell’ambiente è tenuto a presentare al Parlamento una relazione illustrativa su tale andamento che quantifica i fondi effettivamente riassegnati.

 

Si osserva che l’articolo in esame, sebbene genericamente rubricato “quantificazione di flussi riguardanti contributi su politiche ambientali”, sembra introdurre l’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale del MATTM delle informazioni relative alle sole somme oggetto di riassegnazione al medesimo Ministero.

 

Si osserva che la prassi e la legislazione contabile vigente già prevedono specifici strumenti volti a monitorare la spesa statale in materia ambientale.

In sede di bilancio previsionale, in allegato alla Relazione illustrativa al Disegno di Legge di Bilancio, è infatti esposto il quadro delle previsioni di spesa per la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali, costruito secondo gli schemi e le classificazioni adottate a consuntivo per il cosiddetto Ecorendiconto dello Stato. Quest’ultimo, ai sensi dell’art. 36, comma 6, della legge di contabilità nazionale n. 196/2009, costituisce allegato al Rendiconto generale dello Stato e illustra le risultanze delle spese ambientali delle amministrazioni centrali dello Stato, ovvero delle spese aventi per finalità la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali[53]. L’ecorendiconto è stato realizzato per la prima volta con riferimento al consuntivo dell’esercizio finanziario 2010.

Nell’ecobilancio, o bilancio ambientale dello Stato, sono esposte le spese previste dalle amministrazioni centrali dello Stato, per attività o azioni finalizzate alla protezione dell'ambiente o all’uso e gestione delle risorse naturali[54].

Inoltre, informazioni sulle spese di investimenti iscritte nello stato di previsione del MATTM relative ad interventi in materia di tutela ambientale sono contenute nelle Relazioni sulle spese di investimento e sulle relative legge pluriennali, annualmente presentate dai Ministeri e costituenti apposito allegato alla Nota di aggiornamento del DEF, ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 3  della legge n. 196/2009.

Per ciò che concerne la riassegnazione di somme versate all’entrata ai diversi stati di previsione della spesa, si ricorda che la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007), ha introdotto taluni limiti. In particolare, l’art. 2, commi 615-617, della legge n. 244/2007 dispone il divieto di riassegnazione agli stati di previsione della spesa di parte delle somme versate all’entrata del bilancio statale, autorizzate dalle norme indicate nell’elenco 1 della medesima legge[55].

Tali disposizioni legislative, autorizzative di riassegnazioni di entrate, sono ripartite per Ministeri, e riguardano, tra l’altro, anche il MATTM. Si tratta, in particolare, dei seguenti provvedimenti legislativi:

§       art. 9 del decreto legge n. 2/1993[56], che introduce l’art. 8- quinquies alla legge n. 150/1992[57]. Tale articolo prevede la riassegnazione al MATTM di quota parte delle entrate - derivanti dai diritti speciali di prelievo da porre a carico dei soggetti tenuti a richiedere o presentare autorizzazione o denunce o certificati relativi alla detenzione di specie selvatiche in via di estinzione – nella misura eccedente la copertura delle spese derivanti agli organi competenti per gli adempimenti richiesti dalla medesima legge n. 150/1992;

§       art. 26, comma 5 del D.lgs. n. 22/1997, confluito nel comma 6 dell’art. 206-bis del D.Lgs. n. 152/2006, cd. Codice ambientale, il quale prevede un contributo che deve essere versato dal Consorzio Nazionale Imballaggi e dagli altri soggetti e Consorzi indicati dalla normativa citata finalizzato alla copertura degli oneri di funzionamento dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti;

§       art. 27, comma 1, della Legge n. 136/199[58], il quale prevede la riassegnazione al MATTM delle somme derivanti dai versamenti – pari allo 0,5 per mille del valore delle opere di carattere ambientale da realizzare – che sono imposti in capo al soggetto committente il progetto per le maggiori esigenze connesse allo svolgimento della procedura di valutazione dell'impatto ambientale. Tali somme sono destinate  esclusivamente per le spese attinenti alla valutazione ambientale;

§       art. 114, comma 1, della Legge n. 388/2000. Si osserva che tale articolo – che prevedeva la riassegnazione al MATTM delle somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale è stato abrogato dal Codice ambientale, ove, all’art. 317, si prevede che tali somme affluiscano al Fondo esigenze urgenti ed indifferibili[59] iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, per interventi di messa in sicurezza dei siti inquinati, di bonifica ambientale e per l’attività dei centri di ricerca per la riduzione dei gas serra.


Art. 20
(Misure in tema di determinazione delle tariffe dei servizi idrici e di recupero dei costi ambientali)

L’articolo 20, inserito nel corso dell’esame al Senato, reca una norma riguardante l’applicazione della lettera e) del comma 12 dell’art. 2 della L. 481/1995 ai fini dell’esercizio delle funzioni in materia di regolazione e controllo dei servizi idrici attribuite dal comma 19 dell’art. 21 del D.L. 201/2011 all’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

Si ricorda che l’art. 21, comma 19, del D.L. 201/2011 ha disposto, con riguardo alla soppressa Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua[60], il trasferimento all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) delle funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, prevedendo altresì che tali funzioni vengano esercitate “con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481”.

Relativamente ai poteri attribuiti all’AEEG dall’art. 2 della L. 481/1995, con cui è stata istituita la citata autorità, si ricorda che ai sensi della lettera e) del comma 12 l’AEEG “stabilisce e aggiorna, in relazione all'andamento del mercato, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe di cui ai commi 17,18 e 19, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell'interesse generale in modo da assicurare la qualità, l'efficienza del servizio e l'adeguata diffusione del medesimo sul territorio nazionale, nonché la realizzazione degli obiettivi generali … di tutela ambientale …”.

 

Ai sensi della norma in esame, la lettera e) - nella parte in cui prevede che nel definire e aggiornare tariffe e parametri di riferimento nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale si debba assicurare la realizzazione, fra gli altri, degli obiettivi generali di tutela ambientale - si interpreta, in ogni caso, nel senso che resta comunque ferma la necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio "chi inquina paga", sulla base di indirizzi stabiliti dal Ministero dell'ambiente, di cui non vengono specificati le modalità e i termini per l’emanazione.

 

Si ricorda che l’art. 154 del d.lgs. 152/2006 reca disposizioni concernenti la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato anche secondo il principio “chi inquina paga” disciplinando il ruolo svolto dal Ministero dell'ambiente nella determinazione della stessa; la ratio della norma potrebbe essere pertanto quella di prevedere l’applicazione di tale principio nell’esercizio delle funzioni all’AEEG, che sono disciplinate dalla L. 481/1995.

Si noti che il principio “chi inquina paga” (che rappresenta uno dei principi cardine della legislazione comunitaria in materia ambientale[61]) era stato preso in considerazione anche dal comma 14 dell’art. 10 del D.L. 70/2011 con riferimento alle funzioni di determinazione della tariffa affidate all’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua istituita dal comma 11 del medesimo art. 10.

Si ricorda, infine, che il comma 1 dell’art. 154 del D.Lgs. 152/2006 configura la tariffa come corrispettivo del servizio idrico integrato e prevede che sia determinata “in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio chi “inquina paga”.


Art. 21
(Misure per il potenziamento dell'azione amministrativa in materia di difesa del suolo)

Con il comma 1 dell’articolo 21, inserito durante l’esame al Senato, viene disposto che, al fine di massimizzare l'efficacia e l'efficienza delle azioni di prevenzione e di mitigazione del rischio idrogeologico, vengano attribuite all'Ispettorato generale - istituito dall’art. 17, comma 2, del decreto legge n. 195/2009 - le funzioni in materia di difesa del suolo di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM).

 

Si ricorda preliminarmente che le disposizioni recate dall’articolo in esame erano state già previste in un emendamento respinto durante l’esame al Senato del decreto legge n. 2 del 2012 recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale.

In merito ai riferimenti normativi richiamati nel comma 1 si fa presente che l’art. 17 del citato decreto legge n. 195/2010 reca una serie di interventi urgenti per far fronte alle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, anche attraverso la nomina di Commissari straordinari delegati (comma 1). Per quanto riguarda l'attività di coordinamento nella fase di progettazione e realizzazione degli interventi e la successiva attività di verifica, il comma 2 attribuisce la competenza al Ministero dell'ambiente (salvaguardando la competenza del Dipartimento della protezione civile per i profili di sua competenza, in quanto si prevede che tale struttura conservi le competenze attribuitale dalla legislazione vigente e comunque debba essere sentita, al pari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) che vi provvede con le proprie strutture, nonché con l’istituzione di un Ispettorato generale cui sarà preposto un dirigente di livello dirigenziale generale e due dirigenti di livello dirigenziale generale (dello stesso ministero) con incarico conferito, anche in soprannumero, ai sensi dell'art. 19, comma 10, del d.lgs. 165/2001[62]. L'articolazione dell'Ispettorato generale e la distribuzione al suo interno degli uffici di livello dirigenziale non generale dovranno essere definite con decreto ministeriale non regolamentare, ai sensi dell'art. 4, commi 4 e 4-bis del d.lgs. 300/1999. Dovrà comunque essere rispettato il limite del numero massimo di uffici dirigenziali non generali del Ministero dell'ambiente, fissato con D.P.R. n. 140/2009 in 50 unità, di cui 6 assegnate agli uffici di diretta collaborazione del Ministro. Viene, infine, indicata la copertura finanziaria per il funzionamento dell’Ispettorato.

In relazioni alle funzioni in materia di difesa del suolo in capo al Ministero dell’ambiente si ricorda che l’art. 35, comma 2, lett. e), del d.lgs. 300/1999 reca la difesa e assetto del territorio con riferimento ai valori naturali e ambientali tra le materie di stretta competenza del Ministero e che nell’ultimo regolamento di riorganizzazione del Ministero, approvato con D.P.R. n. 140/2009, le funzioni relative alla difesa del suolo sono in capo alla Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche (art. 4) e sono svolte dalla Divisione X[63] che provvede, tra l’altro: alla programmazione, finanziamento e controllo degli interventi di difesa del suolo, di risanamento idrogeologico del territorio e per la prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico; al monitoraggio dello stato di avanzamento dei programmi in materia di difesa del suolo; all’individuazione dei criteri e degli indirizzi volti all’integrazione e all’aggiornamento degli strumenti pianificatori in materia di difesa del suolo; al monitoraggio delle misure di salvaguardia e dei piani adottati dalle Autorità di bacino e al monitoraggio dei programmi triennali di intervento anche al fine della quantificazione dei relativi fabbisogni finanziari.

 

Il comma 1 precisa, inoltre, che fino all'emanazione del provvedimento di riordino degli assetti organizzativi del MATTM previsti con l'art. 1, comma 3, decreto legge n. 138/2011 ai fini della riduzione della spesa pubblica [64], l'Ispettorato generale si avvale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, degli esistenti uffici dirigenziali di livello non generale, con competenze in materia di difesa del suolo, della Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, individuati con D.M. entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione della legge.

 

Appare opportuno coordinare la disposizione in esame con l’art. 17, comma 2, del decreto legge n. 195/2009, che ha istituito l’Ispettorato.

 

Il comma 2 coordina, pertanto, l’istituzione dell’Ispettorato con le norme sull’organizzazione dei Ministeri recate dal D.lgs. n. 300/1999 e, in particolare con l’art. 37, comma 1, sull’ordinamento del Ministero dell’ambiente prevedendo che anche l’Ispettorato, analogamente alle direzioni, venga coordinato da un Segretario generale.


Art. 22
(Recupero e riciclaggio dei materassi dismessi)

L’articolo 22, inserito nel corso dell’esame al Senato, al fine di promuovere il recupero e il riciclaggio dei materassi dismessi, dispone che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare emani, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, un regolamento per la gestione dei materassi dimessi specificando:

§         le modalità di recupero;

§         l’introduzione di meccanismi che, in osservanza della normativa nazionale e comunitaria, favoriscano il recupero e l’avvio al riciclaggio dei materiali impiegati.

 

Si ricorda che il Governo, durante l’esame presso la 13ª Commissione[65] del Senato, ha accolto un ordine del giorno (G/3162/2/13, testo 2) in cui si impegna a valutare la possibilità di promuovere adeguate iniziative, anche attraverso l'emanazione di un apposito regolamento, volte a promuovere il recupero e il riciclaggio dei materassi dismessi. Nell’ordine del giorno citato vengono, inoltre, forniti dati significativi quali: in Italia, tra alloggi privati, ospedali, case di cura, alberghi, caserme e istituti religiosi, vi sono circa 100 milioni di materassi in uso e, su tali basi, si può stimare che il fabbisogno annuo di smaltimento si aggiri intorno ai 10 milioni di pezzi. Si sottolinea come ad oggi non esistono destinazioni idonee e dedicate per questo tipo di rifiuto, stimabile complessivamente, in peso, in circa 250.000 tonnellate. Si fa quindi presente come le conseguenze immediate di tale  carenza siano o l'abbandono disperso e abusivo o il conferimento in discarica. Da ultimo viene rilevato come da un lato, essendo i materassi composti da materiali che mantengono inalterate per lungo periodo le loro caratteristiche, essi permangono a lungo come rifiuti senza che nulla possa ridurne o modificarne il volume e la composizione e, dall’altro, come le stesse qualità tecniche di molti dei materiali che compongono i materassi si presterebbero, invece, assai bene a pratiche di recupero e riciclaggio (trattandosi per esempio di acciaio di alta qualità e di altri materiali pregiati che, con opportuni processi di trattamento, potrebbero essere recuperati come materia prima seconda ed utilizzati in forma rinnovata in nuovi processi produttivi).

In merito alla normativa nazionale si ricorda che i materassi rientrano, ai sensi dell’art. 184, del D.lgs. n. 152/2006 (Codice ambientale) tra i rifiuti urbani dei quali fanno parte, al comma 2, lett. a), i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione. I rifiuti ingombranti sono, a loro volta, inclusi nell’allegato D della Parte IV del Codice, con il Codice CER 20 03 07.

Alcuni autori[66] hanno rilevato come la gestione degli ingombranti, tra i quali  rientrano i materassi, mobili etc., sia un aspetto importante della gestione dei rifiuti urbani (RU), considerando il peso percentuale di queste frazioni nella produzione complessiva (circa il 10%). Per tali materiali si dovrebbe prevedere anche l’organizzazione di circuiti dedicati, dedicando particolare attenzione alla separazione di tutti i flussi con caratteristiche chimico fisiche pericolose contenuti nei RU spesso conferiti in maniera non corretta da parte degli utenti supportandoli con una rete dedicata.

In merito, infine, alla normativa comunitaria si ricorda che con la direttiva 2008/98/CE, recepita nel Codice ambientale con il D.Lgs. n. 205/2010, è stata introdotta una gerarchia dei rifiuti che privilegia, dopo la prevenzione nella produzione dei rifiuti, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento. La direttiva sottolinea che, nell’applicare tale gerarchia, gli Stati membri devono adottare misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. Tali criteri di priorità nella gestione dei rifiuti sono confluiti nell’art. 179 del Codice ambientale (qui novellato dall’art. 2 del disegno di legge in esame).


Art. 23
(Integrazione della disposizione recante delega al Governo per l’utilizzo di pesticidi)

L’articolo 23, introdotto nel corso dell’esame al Senato, interviene sull'art. 20, comma 1, della legge n. 217 del 2011[67]che attribuisce una delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2009/128/CE, relativa all’utilizzo sostenibile dei pesticidi. La novella è diretta a prevedere che il provvedimento d’attuazione possa essere proposto, non solo dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche europee e da quello dell’ambiente, ma anche dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

Più precisamente, l'articolo 20 citato ha delegato il Governo ad adottare, entro il termine di quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche europee e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia e dell’economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi per l’attuazione della direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo ed del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi.

Si segnala che lo schema di decreto sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi (n. 479), all’esame della Commissione Agricoltura, è stato adottato su proposta del Ministro degli affari europei, del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e del Ministro dell’ambiente, di concerto con quelli della salute, dello sviluppo economico, per gli affari regionali, degli esteri, della giustizia, dell’economia.

Procedure di contenzioso

Il 21 marzo 2012 la Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora contestandole il mancato recepimento, entro il termine previsto del 14 dicembre 2011, della direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi.


Art. 24
(Modifiche agli articoli 14 e 23 del decreto-legge n.  5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 35 del 2012)

L'articolo 24, inserito nel corso dell’esame al Senato, novella parzialmente gli articoli 14 e 23 del decreto-legge n. 5 del 2012  (disposizioni in materia di semplificazione e sviluppo), recanti rispettivamente alcune misure di semplificazione dei controlli sulle imprese e l’introduzione di un’autorizzazione unica in materia ambientale per le piccole e medie e imprese (PMI).

 

Si ricorda che l’art. 14 del citato decreto legge n. 5/2012 detta i principi cui deve ispirarsi l'attività delle pubbliche amministrazioni in materia di controlli sulle imprese, prevedendo l’adozione da parte del Governo di uno o più regolamenti di delegificazione dei quali vengono indicati, al comma 4, i principi ed i criteri direttivi, tra i quali, alla lettera f) – che ora viene sostituita – la soppressione o riduzione dei controlli su quelle imprese in possesso della certificazione del sistema di gestione per la qualità (UNI EN ISO-9001), o altra appropriata certificazione emessa, a fronte di norme armonizzate, da un organismo di certificazione accreditato da un ente di accreditamento designato da uno Stato membro dell’Unione europea ai sensi del Regolamento 2008/765/CE, o firmatario degli Accordi internazionali di mutuo riconoscimento (IAF MLA).

 

La prima modifica, con la sostituzione integrale della lettera f) del comma 4 dell’articolo 14, prevede, non più la soppressione, ma la razionalizzazione e riduzione di controlli a favore delle imprese in possesso della medesima certificazione del sistema di gestione per la qualità ISO prevista dalla vigente lettera f), ma aggiungendo che il possesso di tale certificazione deve essere comunicato dalle imprese stesse alle amministrazioni competenti, anche attraverso lo sportello unico per le attività produttive (SUAP).

Da ultimo, ai fini della razionalizzazione e riduzione dei controlli in materia ambientale si considerano unicamente la certificazione ISO 14001, e successivi aggiornamenti, o la registrazione EMAS di cui al regolamento (CE) n. 1221/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009.

 

Si ricorda che in Italia l’istituzione degli Sportelli unici per le attività produttive era già prevista presso i Comuni fin dal 1998. In seguito, con l’art. 38 del decreto-legge 112/2008, il Governo è stato delegato a procedere - tramite apposito regolamento e sulla base di specifici principi e criteri - alla semplificazione e al riordino della disciplina del SUAP. La legge 69/2009 ha precisato che tali disposizioni costituiscono adempimento della direttiva “servizi”. Tale riordino complessivo della disciplina del SUAP è stato effettuato con il regolamento di cui al D.P.R. 160/2010 caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici: si è addirittura scelto di considerare “non idoneo” il SUAP del Comune che non sia in grado di operare esclusivamente per via telematica. Questa decisione consente un’efficacia immediata al regolamento, prevedendo da subito l’attivazione di SUAP telematici presso i Comuni o, in mancanza, presso la Camera di commercio. Allo scopo di garantire al sistema dei SUAP l’effettiva operatività e salvaguardare gli investimenti tecnologici già effettuati dalle Regioni, è stato affidato al portale "impresainungiorno" il compito di facilitare il collegamento con quelli già realizzati dalle Regioni stesse. Tale portale, già collegato al sistema pubblico di connettività (SPC), dovrebbe sopperire anche alle carenze informatiche dei Comuni.

In merito alle norme internazionali ISO 14000 esse rappresentano uno strumento volontario per migliorare la gestione della variabile ambientale all'interno dell'impresa o di qualsiasi altra organizzazione. Le norme EN UNI ISO 14000 attualmente in vigore in Italia sono state create dal comitato tecnico dell'ISO (International Organisation for Standardisation) TC 207 "Environmental management", successivamente approvate dal CEN (Comitato Europeo di Normazione), divenendo così anche norme europee (EN), ed infine hanno ottenuto lo status di norma tecnica nazionale mediante la pubblicazione della traduzione in lingua italiana curata dall'UNI (Ente Italiano di Unificazione). La sigla ISO 14001, richiamata dall'articolo in esame, identifica uno standard di gestione ambientale (SGA) che fissa i requisiti di un «sistema di gestione ambientale» di una qualsiasi organizzazione, che fa parte della serie ISO 14000.

Con l’acronimo EMAS[68] si intende, invece, il sistema comunitario di ecogestione e audit cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell’UE o al di fuori di esso, che si impegnano a migliorare la propria efficienza ambientale. Il primo Regolamento EMAS n. 1836 è stato emanato nel 1993 e nel 2001 è stato sostituito dal Regolamento n. 761 che, a sua volta sottoposto a revisione, è stato sostituito nel 2009 dal nuovo Regolamento n. 1221. Il sistema di gestione ambientale richiesto dallo standard EMAS è basato sulla norma ISO 14001:2004.

 

La seconda modifica, con una novella al comma 6 dell’articolo 14, esclude dalle misure di semplificazione previste dallo stesso articolo in materia di controlli sulle imprese, oltre alle attività di controllo in materia fiscale, finanziaria e di salute e di sicurezza sul lavoro, anche i controlli in materia di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e culturale.

 

Si ricorda, in estrema sintesi, che le attività di vigilanza e controllo sul patrimonio artistico e culturale e in materia di tutela del paesaggio sono disciplinate nel D.Lgs. n. 42/2004 (cd. Codice dei beni culturali), rispettivamente nella Parte seconda, Capo II, agli artt. 18 e 19 e nella Parte terza, Capo IV, agli art. 146 e segg.

 

L’ultima modifica riguarda l’articolo 23,relativo all’istituzione di un’autorizzazione unica ambientale (AUA) per le piccole e medie imprese (PMI), escludendo da tale disciplina non solo l’AIA come dispone la norma vigente, ma anche la valutazione di impatto ambientale (VIA).

 

Si ricorda che il citato art. 23 del decreto legge n. 5/2012 demanda ad un regolamento di delegificazione (emanato su proposta dei Ministri dell’ambiente, dello sviluppo economico e per la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza Unificata) la disciplina dell’AUA al fine di semplificare gli adempimenti amministrativi delle PMI, concentrando in un solo titolo abilitativo tutti gli adempimenti cui sono sottoposte. L’articolo esclude da tale disciplina le disposizioni in materia di AIA (autorizzazione integrata ambientale) recate dal titolo III-bis del D.Lgs. 152/2006 (Codice ambientale) e che ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato VIII e prevede misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente.

Per quanto riguarda, invece, la VIA, la cui procedura è disciplinata dal titolo III (artt. da 19 a 29) del citato D.lgs. 152/2006, essa ha per oggetto – ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. b), del Codice ambientale - il procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto. A seguito delle modifiche introdotte dal D.lgs. n. 4/2008 (secondo correttivo al Codice), si è tornati, in relazione alla ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, al criterio cd. tabellare, che attribuisce allo Stato la competenza sulle opere di maggiore impatto (indicate nell’allegato II) e alle regioni la competenza su un elenco di opere di minore impatto (allegato III e allegato IV).


Art. 25
(Modifiche all’articolo 93 del decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259)

L’articolo 25, inserito nel corso dell’esame al Senato, con l’introduzione di un comma 1-bis all’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.lgs. 1º agosto 2003, n. 259, dispone che le spese relative alle attività di accertamento da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli per l’attuazione della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, di cui all’art. 14 della legge n. 36 del 2001, siano a carico del soggetto che presenta le istanze di autorizzazione, le denunce di attività o quelle relative alla modifica delle caratteristiche di emissione degli impianti già esistenti.

 

Si ricorda che l’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche reca il divieto, per le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni, di imporre per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, ulteriori oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. La norma dispone inoltre l'obbligo, per gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica, di tenere indenne l'Ente locale, ovvero l'Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d'arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall'Ente locale.

Si ricorda altresì che in base all'articolo 4 della legge istitutiva dell’Autorità delle comunicazioni (AGCOM), nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice delle comunicazioni, fatta salva l'applicazione della tassa o del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, oppure del canone, ovvero dell'eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie.

Per “comunicazioni elettroniche” si intendono tutte le reti e i servizi di comunicazione elettronica, comprendendo la telefonia vocale fissa, le comunicazioni mobili a larga banda, nonché la televisione via cavo e satellitare.

Si ricorda che la legge comunitaria 2010 (legge n. 217/2011), ha disposto il recepimento, con decreto legislativo, della direttiva 2009/140/CE in materia di reti di comunicazione elettronica[69]. In tale ambito, tra i principi e criteri di delega, si segnala la previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti relative alla concessione del diritto di installazione di infrastrutture al fine di promuovere un efficiente livello di concorrenza, nonché la promozione di investimenti efficienti e di innovazione nelle infrastrutture di comunicazione elettronica. In attuazione di quest’ultima indicazione, l’art. 66 dello schema di decreto legislativo di recepimento[70], novellando l’art. 86 del Codice, fissa un termine massimo di sei mesi dalla richiesta, per l’adozione, da parte delle autorità competenti, delle occorrenti decisioni per la concessione del diritto di installare infrastrutture.

 

Si ricorda, inoltre, in relazione all’organismo competente ad effettuare i controlli, che l’art. 14 della legge n. 36 del 2001 – legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico – prevede che i controlli debbano essere disposti dalle amministrazioni provinciali e comunali attraverso le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, di cui al decreto-legge n. 496/1993. Il personale incaricato dei controlli, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza e di controllo, può accedere agli impianti che costituiscono fonte di emissioni elettromagnetiche e richiedere i dati, le informazioni e i documenti necessari per l'espletamento delle proprie funzioni. Tale personale è munito di documento di riconoscimento dell'ente di appartenenza.

 

Tali spese dovranno essere calcolate in base ad un tariffario nazionale predisposto con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge.

Infine viene stabilito che, nelle more dell’approvazione del tariffario nazionale,  vengano applicati i tariffari approvati dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano per le prestazioni delle rispettive agenzie ambientali.

 


Art. 26
(Modifiche all’art. 3 del decreto-legge n. 2 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  28 del 2012)

L’articolo 26, inserito nel corso dell’esame al Senato, novella i commi 2 e 3 dell’art. 3 del D.L. 2/2002 (convertito dalla L. 28/2012), recanti disposizioni in materia di matrici materiali di riporto, ripristinando nella sostanza il tenore che le disposizioni suddette avevano nel testo del decreto risultante dalle modificazioni apportate dal Senato nel corso dell’esame in prima lettura (cfr. testo dell’A.C. 4999[71]), come evidenziato nel testo a fronte seguente (il comma 1 viene riportato in carattere ridotto in quanto non modificato dall'articolo in commento):

 

A.C. 4999

Testo vigente

Testo modificato dall'art. 26 A.C. 4240-B

1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.

1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.

1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.

2. Ai fini dell'applicazione dei commi da 1 a 4, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei

 

 

utilizzati in passato per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei, quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione e materiali terrosi.

2. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei.

2. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei,

 

 

utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione.

3. Nel caso in cui il decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, non sia emanato entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,

le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all'articolo 185, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.

3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 del presente articolo,

 

 

 

 

 

le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono considerate sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all'articolo 184-bis del citato decreto legislativo n. 152 del 2006.

3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27,

 

le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all'articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono considerate sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all'articolo 184-bis del citato decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

La finalità delle modifiche apportate al comma 2 sembra quella di rendere immediatamente applicabili le disposizioni sulle matrici materiali di riporto dettate dall’art. 3 del D.L. 2/2012, da un lato svincolandone la definizione normativa dall’emanazione del D.M. sulle terre e rocce da scavo previsto dall’art. 49 del D.L. 1/2012, dall’altro introducendo un’indicazione sul contenuto dei materiali estranei. In proposito, con specifico riferimento ai materiali di demolizione, si segnala il disposto dell’art. 184, comma 3, lettera b), ai sensi del quale sono considerati rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 184-bis” relativo alle condizioni per rientrare nell’ambito dei sottoprodotti.

 

Quanto alle novelle al comma 3, mentre la prima ha carattere meramente di coordinamento, la seconda è volta ad eliminare il riferimento alle lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 185. Si segnala che i materiali contemplati da tali lettere sono già esclusi dalla disciplina sui rifiuti[72].

 

 



[1]    Il D.lgs. 59/2005 recante “Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento” è stato abrogato dalla lett. a) del comma 1 dell'art. 4 del D.Lgs. n. 128/2010 e le relative disposizioni sono confluite all’interno del Codice ambientale.

[2]    Si trattava, in particolare, dell’art. 1-bis, comma 1, lett. a), c) e d), dell’art. 3, commi 5 e 6, nonché degli artt. 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’A.C. 4999 (risultante dall’approvazione da parte del Senato dell’A.S. 3111).

[3]    La norma specifica i requisiti e i procedimenti per determinare le possibilità di compostaggio e di trattamento anaerobico degli imballaggi e dei materiali di imballaggio.

[4]    www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/36894.htm

[5]    Tale definizione è tratta da M. Centemero, W. Zanardi (Consorzio Italiano Compostatori), Il trattamento biologico dei rifiuti urbani in Italia: compostaggio, trattamento meccanico-biologico, digestione anaerobica – 2008 (www.compost.it/images/varie/2008_06_12_stato_dell_arte_compost_italia_giugno_08.pdf).

[6]    Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, pubblicato nella G.U.C.E. 10 ottobre 2002, n. L 273.

[7]    Principio ribadito dalla stessa Corte nella sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710 (http://www.tuttorifiuti.it/DownloadFile.aspx?IDFile=2687).

[8]http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=48068&stile=6&highLight=1

[9]    Si ricorda che il D.Lgs. 28/2011 reca “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”.

[10]   Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano e che abroga il regolamento (CE) n. 1774/2002 (regolamento sui sottoprodotti di origine animale).

[11]   Sul punto si veda la sentenza della Cassazione n. 12844/2009, ribadita dalla sentenza 23 gennaio 2012, n. 2710.

[12]http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=48485&stile=6&highLight=1

[13]   www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stenografici/sed577/SINTERO.pdf

[14]   Si ricorda che tale osservazione era stata formulata nel parere del Comitato per la legislazione approvato nella seduta del 29 febbraio 2012 sul decreto-legge n. 2/2012.

[15]   Recante la disciplina sulle discariche di rifiuti in attuazione della direttiva 1999/31/CE.

[16]   Eco-Management and Audit Scheme.

[17] Cfr. sentenze nelle cause: C-26/03, Stadt Halle, punto 49; C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 37; C-573/07, Sea Srl, punto 46).

[18] Cfr. sentenza in Causa C-458/03.

[19]   Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 28. Si trattava, in particolare, dell’art. 1-ter dell’A.C. 4999 (risultante dall’approvazione da parte del Senato dell’A.S. 3111). 

[20] Il compostaggio è una tecnica attraverso la quale viene controllato, accelerato e migliorato il processo naturale a cui va incontro qualsiasi sostanza organica per effetto della flora microbica naturalmente presente nell'ambiente. Si tratta di un "processo aerobico di decomposizione biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate (Keener et al., 1993) che permette di ottenere un prodotto biologicamente stabile in cui la componente organica presenta un elevato grado  di evoluzione" (http://www.compost.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=56&Itemid=180).

[21]   La digestione anaerobica è un processo di trasformazione biologica, svolto in reattori chiusi, attraverso il quale, in assenza di ossigeno, la sostanza organica (solitamente derivante dalla frazione organica selezionata di rifiuti urbani, degli scarti zootecnici e dell’agroindustria) è trasformata in biogas, con un contenuto in metano variabile dal 50 al 60%. Oltre a questi gas si ottiene anche, come sottoprodotto, il “digestato”, un materiale semistabilizzato, matrice ideale per la formazione della miscela da avviare a compostaggio”.

[22]   Si il resoconto stenografico della seduta dell’Assemblea del Senato n. 678 del 22 febbraio 2012 (www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00636308.pdf).

[23]   http://www.regione.abruzzo.it/xambiente/docs/rifiutiDGR11/DGR469_2011.pdf

[24]   Per ulteriori approfondimenti si segnala G. Iasparra, “Il compostaggio collettivo tra discussione normativa ed esperienze già avviate” (www.ecodallecitta.it/notizie.php?id=106246).

[25]   Relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 18 e 19, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, in materia di prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento (Doc. XXVII, n. 29), trasmessa alla Presidenza della Camera l'11 marzo 2011 (www.camera.it/_dati/leg16/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/027/029_RS/intero_com.pdf).

[26]   Il numero delle imprese attive nel 2009 nel settore “Industria in senso stretto” è di circa 453.000 unità (www.istat.it/it/files/2011/06/Report.pdf?title=Struttura+e+dimensione+delle+imprese+-+01%2Fgiu%2F2011+-+Testo+integrale.pdf).

[27]   www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/testi/36894_testi.htm

[28]   www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm09/documenti_acquisiti/Oss Confagricoltura AS2735.pdf

[29]   Convertito dalla L. 27/2012.

[30]   La legge di conversione (L. 27/2012) è stata pubblicata nella G.U. 24 marzo 2012, n. 71, S.O. ed è entrata in vigore il giorno successivo.

[31]   L’elenco dettagliato dei siti e delle disposizioni di legge che li hanno individuati è stato riportato nella Relazione sull’attività svolta nell’anno 2009 dalla Direzione generale per la qualità della vita del Ministero dell'ambiente, disponibile all’indirizzo internet http://minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/bonifiche/Relazione_2009.doc.

[32]http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=50863&stile=6.

[33]   Cfr. ad es. www.artigiani.it/cdrom_interreg_web/html/introduzione.htm e www.assograniti.it/html/archiviostampa_view.php?id=176.

[34] Rifiuti contenenti sostanze pericolose, prodotti da trattamenti chimici e fisici di minerali non metalliferi.

[35] Si trattava, in particolare, dell’articolo 3, comma 11, dell’A.C. 4999.

[36]   Per approfondimenti sulla nuova disciplina introdotta dall’art. 14 del D.L. 201/2011 si rinvia al relativo commento contenuto nel dossier sull’A.C. 4829-A (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/D11201bs1.htm#_Toc311654047).

[37]   Fonte: ISPRA, Rapporto rifiuti urbani 2011, Capitolo 4 (www.isprambiente.gov.it/site/_files/pubblicazioni/Rapporti/Rapporto_rifiuti2011/08 - Capitolo 4.pdf).

[38] Il comma 2 prevedeva che i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari dovessero garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008.

[39] Si rammenta che l’art. 184-ter del Codice, introdotto dal D.lgs. n. 205/2010, disciplina i casi di cessazione della qualifica di rifiuto in linea con l’art. 6 della direttiva 2008/98/CE. Ai sensi dell’art. 184-ter, comma 1, un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

[40]   http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/36894.htm

[41]   Regione Sicilia, Dipartimento Territorio ed Ambiente, Circolare prot. n. 35792 dell’8 maggio 2009 inerente la gestione dei rifiuti sulle aree demaniali marittime e gli accumuli di posidonia spiaggiata.

[42]   Tale procedura viene delineata nella citata circolare della Regione Sicilia.

[43]   http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2011/129-11/il-contributo-di-arpat-al-convegno-lambiente-marino-qualita-e-strategie

[44]   Pubblicato nella G.U. 16 aprile 2009, n. 88, S.O.

[45]   http://www.lifeprime.eu

[46]   E’ il caso della Puglia (http://www.statoquotidiano.it/28/07/2011/compostaggio-in-puglia-uguale-business-delle-alghe/53747/) e del Comune di Grado (http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/06/13/news/un-impianto-di-compostaggio-per-lo-smaltimento-delle-alghe-1.510835).

[47] Regolamento recante modalità semplificate di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) da parte dei distributori e degli installatori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), nonché dei gestori dei centri di assistenza tecnica di tali apparecchiature, pubblicato nella G.U. 4 maggio 2010, n. 102.

[48] Si ricorda che ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. o), del D.lgs. 152/2006, si intende per “raccolta” il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento.

[49] Ai fini dell’iscrizione all'Albo Nazionale Gestori Ambientali per le attività di raccolta e trasporto dei RAEE domestici, ai sensi dell’articolo 3 del D.M. n. 65/2010, i distributori sono tenuti a presentare alla sezione regionale o provinciale dell'Albo territorialmente competente una comunicazione con la quale attestano sotto la propria responsabilità, tra le altre cose, anche l'indirizzo del luogo presso il quale sono raggruppati i RAEE in attesa del trasporto, nei casi in cui il raggruppamento sia effettuato in luogo diverso dai locali del punto di vendita.

[50]   Nel raggruppamento 1 rientrano: grandi apparecchi di refrigerazione, frigoriferi, congelatori, altri grandi elettrodomestici utilizzati per la refrigerazione, la conservazione e il deposito di alimenti, apparecchi per il condizionamento.   

[51] Nel raggruppamento 2 rientrano: lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per la cottura, stufe elettriche, piastre riscaldanti elettriche, forni a microonde, altri grandi elettrodomestici utilizzati per la cottura e l'ulteriore trasformazione di alimenti, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, altri grandi elettrodomestici utilizzati per riscaldare ambienti ed eventualmente letti e divani, ventilatori elettrici.

[52]   Relativamente alla miscelazione dei rifiuti pericolosi, il nuovo testo dell’art. 187, come riscritto dall’art. 14 del D.lgs. 205/2010 che recepisce l’art. 18 della direttiva 2008/98/CE, conferma il divieto di miscelazione dei rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. Si prevede inoltre che la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

[53]   L’art. 36, comma 6 della legge n. 196/2009 afferma che il rendiconto generale dello Stato contiene inoltre, in apposito allegato, l'illustrazione delle risultanze delle spese relative ai programmi aventi natura o contenuti ambientali, allo scopo di evidenziare le risorse impiegate per finalità di protezione dell'ambiente, riguardanti attività di tutela, conservazione, ripristino e utilizzo sostenibile delle risorse e del patrimonio naturale. A tal fine, le amministrazioni interessate forniscono al Ministero dell'economia e delle finanze le informazioni necessarie secondo gli schemi contabili e le modalità di rappresentazione stabilite con determina del Ragioniere generale dello Stato in coerenza con gli indirizzi e i regolamenti commutali in materia.

[54]   Le origini dell'Ecobilancio dello Stato risiedono nella Risoluzione parlamentare di approvazione del DPEF per l'anno 1999 e per il triennio 1999-2001, nella quale il Parlamento impegna il Governo "ad avviare la redazione sperimentale del bilancio in termini di eco-contabilità da allegare al bilancio dello Stato, assicurando che il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica si strutturi adeguatamente per questo compito".

Dal 2000, anno di prima elaborazione, l'Ecobilancio dello Stato, allegato alla Relazione illustrativa al Didl di Bilancio, si è arricchito di nuovi contenuti e di informazioni di maggior dettaglio ed è stato affiancato, dal 2007, da un Ecorendiconto, a completamento del ciclo di esposizione delle risorse finanziarie del Bilancio dello Stato destinate alla salvaguardia dell'ambiente e delle risorse naturali. A partire dall’esercizio 2012 l’Ecobilancio dello Stato viene esposto secondo schemi e classificazioni coerenti con quelli definiti in ambito comunitario per la contabilità delle spese ambientali e adottati ai fini dell’Ecorendiconto dello Stato secondo quanto disposto dall’art. 36, comma 6, della legge n. 196/2009 (“Legge di contabilità e finanza pubblica”).

[55]   In particolare, l’art. 2, comma 615 della legge n. 244/2007 vieta, a decorrere dall’anno 2008, l’iscrizione negli stati di previsione dei Ministeri delle somme versate all’entrata del bilancio dello Stato autorizzate dai provvedimenti legislativi indicati nell’elenco 1 della legge, fatta eccezione per gli stanziamenti destinati a finanziarie le spese della categoria economica 1 “redditi da lavoro dipendente”.

      Il comma 616, in relazione a quanto sopra, dispone l’istituzione, negli stati di previsione dei Ministeri interessati al divieto di riassegnazione di cui sopra, di appositi Fondi da ripartire con decreto ministeriale. Il comma 617 dispone che a decorrere dall’anno 2008, in tali fondi confluiscano il 50% dei versamenti riassegnabili nel 2006 ai pertinenti capitoli dell’entrata del bilancio dello Stato e che l’utilizzazione dei fondi è effettuata dal Ministro competente di concerto con il Ministro dell’economia e finanze, in considerazione dell’andamento delle entrate versate. La dotazione dei fondi è rideterminata annualmente, in base all’andamento dei versamenti riassegnabili effettuati entro il 31 dicembre dei due esercizi precedenti, così da assicurare in ciascun anno un risparmio in termini di indebitamento netto pari a 300 milioni di euro.

[56]   D.L. n. 2/1993, recante “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 febbraio 1992, n. 150, in materia di commercio e detenzione di esemplari di fauna e flora minacciati di estinzione”.

[57]   Disciplina dei reati relativi all'applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla L. 19 dicembre 1975, n. 874, e del regolamento (CEE) n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica.

[58]   L. n. 136/1999, “Norme per il sostegno ed il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere ambientale”.

[59]   Il Fondo in questione è stato istituito dall’articolo 7-quinquies del D.L. n. 5/2009.

[60]   La soppressione è stata disposta dal comma 13 del medesimo articolo 21.

[61]   Si ricorda che con le modifiche al Codice dell'ambiente disposte dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, il principio "chi inquina paga" è stato definitivamente introdotto nell'ordinamento nazionale; l'articolo 3-ter del D.Lgs. 152/2006, disciplina infatti il principio dell'azione ambientale, stabilendo che la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale debba essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato dell’Unione europea, regolano la politica comunitaria in materia ambientale.

[62] Si ricorda che l’art. 19, comma 10, del d.lgs. 165/2001 dispone che i dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall'ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali.

[63] Per un elenco completo delle funzioni in materia di difesa del suolo svolte dalla Divisione X si può consultare il sito del Ministero http://www.minambiente.it/home_it/menu.html?mp=/menu/menu_ministero/&m=Direzioni_Generali.html%7CDirezione_generale_per_la_tutela_del_ter.html

[64]   Con tale norma si prevede che le amministrazioni dello Stato, all'esito dei processi di riduzione degli assetti organizzativi previsti dall'art. 74 del decreto-legge 112/2008 e dall'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009, devono provvedere: a) ad apportare, entro il 31 marzo 2012, un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10% di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009; b) alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, ad esclusione di quelle degli enti di ricerca, apportando una ulteriore riduzione in misura non inferiore al 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale risultante a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del decreto-legge 194/2009.

[65]   Nella seduta della 13ª Commissione permanente del 24 aprile 2012.

[66]   Vito Iaboni, Pier Giorgio Landolfo, “La raccolta differenziata in Italia”, ENEA, Dipartimento Ambiente, Cambiamenti globali e Sviluppo sostenibile http://webcache.googleusercontent.com/search?hl=it&q=cache:caR7t6zJJRUJ:http://www.acs.enea.it/documentazione/editoria/9.pdf%2Bmaterassi%2Benea%2Bla%2Braccolta%2Bdifferenziata&ct=clnk

[67] L. 15 dicembre 2011, n. 217, Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2010.

 

[68]   Eco-Management and Audit Scheme.

[69]   La legge comunitaria prevede l’attuazione con delega legislativa della direttiva 2009/140/CE recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime, e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

[70]   Schema di decreto legislativo n. 643, presentato il 13 aprile 2012 ed in corso di esame.

[71]    www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0057310#DL

[72]   http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/D12002c.htm#_Toc319507893