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Seduta del 18/11/2003


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Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti, Luciano Tarditi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti, Luciano Tarditi.
La Commissione sta svolgendo una specifica indagine volta ad approfondire la vicenda dell'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, cui potrebbero essere connessi profili di competenza della Commissione medesima che riguarderebbero l'acquisizione di informazioni relative a presunti traffici illeciti di rifiuti radioattivi con la Somalia.
Ricordo che la Commissione ha già ascoltato su tale materia i giornalisti di Famiglia Cristiana Alberto Chiara, Barbara Carazzolo e Luciano Scalettari, i coniugi Alpi, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma dottor franco Ionta, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale dell'Aquila, dottor Giuseppe Pititto.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do subito la parola al dottor Luciano Tarditi, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento.

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Ricevendo la convocazione in cui veniva fatto riferimento all'oggetto dell'audizione odierna, ho visto che veniva focalizzata l'attenzione sulle vicende connesse all'omicidio Alpi, che in qualche modo possono avere avuto attinenza con le indagini che l'ufficio al quale appartengo conduceva fin dal 1997.
In ordine a ciò, devo rappresentare che la conoscenza di questi fatti fu certamente acquisita nel prosieguo dell'indagine ed ovviamente di striscio rispetto al corpo delle investigazioni che la polizia giudiziaria della procura di Asti ed il Corpo forestale dello Stato, nucleo operativo di Brescia, svolgeva in quel periodo. La nostra attenzione era mirata puramente e semplicemente ad individuare vicende di traffico di rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi diretti verso la Somalia. Il radicamento del procedimento penale ad Asti si giustificava perché un imprenditore lombardo, che era stato esplicitamente contattato ai fini dell'esportazione di rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi in Somalia da tale professor Ezio Scaglione di Alessandria, si mise in contatto con il Corpo forestale dello Stato e segnalò questa problematica. Il fatto di cui veniva a conoscenza derivava dall'informazione che aveva avuto da un imprenditore veneto che aveva ricevuto dallo Scaglione analoga offerta. L'operatore


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veneto aveva avviato trattative di cui poi nel corso dell'indagine trovammo riscontri, anche ascoltandolo, ed egli confermò pienamente questa presa di contatto. Confermò di aver contattato l'operatore economico lombardo il quale si mise in contatto con il Corpo forestale dello Stato perché evidentemente sentì puzza di imbroglio e di traffici non consentiti.
Per mettere bene a fuoco una problematica che avevamo già intravisto sotto il profilo nazionale nel corso di una precedente indagine che ci aveva fatto scoprire la vicenda della discarica di Pitelli a la Spezia (in quella zona avevamo individuato un'area sensibile per quanto riguarda la presenza di un porto utilizzato a molti fini, compresa l'esportazione di rifiuti e di materiali pericolosi all'estero) pensammo di verificare che cosa di serio potesse emergere nel corso dell'indagine relativa al fatto segnalato dall'imprenditore.
Con il mio consenso, la polizia giudiziaria suggerì a questo operatore di consigliare al suo interlocutore, che era ansioso di attivare una serie di contatti economici, un operatore astigiano di nostra fiducia, in modo da poter seguire fin dalle prime fasi questo approccio e valutare poi i profili di accertamento del fatto, ben consapevoli che un'indagine come questa - che prevede proiezioni all'estero e segnatamente in paesi difficili o addirittura quasi inesistenti giuridicamente - può avere una buona probabilità di successo solo se si stronca il traffico in partenza o nelle acque territoriali o comunque prima che abbia raggiunto il sito finale di smaltimento e destinazione, a maggior ragione se quest'ultimo è la Somalia. Ottenute le autorizzazioni di rito ai fini delle intercettazioni - rispetto alle quali comunque c'era il consenso di uno dei parlatori, cioè l'imprenditore astigiano che ci aiutava e che noi utilizzavamo esclusivamente nella funzione di apripista (dal momento che non intendeva assolutamente, né mai sarebbe stato autorizzato, avviare alcun traffico) verificammo l'assunto che ci proveniva da varie fonti circa la serietà della rete che si era radicata e che si esternava nelle sue offerte commerciali con le attività dello Scaglione.
Da queste intercettazioni ambientali e telefoniche emerse che Scaglione appariva in contratto strettissimo con tale Giancarlo Marocchino, operatore tuttofare in Somalia. Cominciarono le intercettazioni sulle utenze di Scaglione e ciò ha consentito di delineare la rete che questo signore aveva instaurato. Iniziarono i primi contatti con Marocchino, i quali dopo poco tempo di ascolto, verso l'agosto del 1997, si concretizzavano con telefonate estremamente esplicite in cui Marocchino invitava Scaglione, con il tono di chi ha compiuto innumerevoli operazioni simili, come risulta per tabulas, a spedire in tutta fretta, nelle more di operazioni più consistenti, due o tre mila fusti da sistemare in qualche sito, contemporaneamente confortandolo sul fatto che erano in fase di avanzata autorizzazione le concessioni che il capo clan che controllava la zona, Ali Mahdi, stava accordando proprio per una discarica di tipo C per i materiali più pericolosi in un'area che poi venne individuata nella zona di El Bahraf. Egli assicurava poi a Scaglione che la procedura era in fase molto avanzata, inviando addirittura l'originale per il tramite di un mercante di armi, un certo Giorgi, che finirà poi coinvolto anche nell'indagine check to check di Torre Annunziata.
Nelle altre telefonate Marocchino e Scaglione concordavano sul fatto che la costruzione di questo centro dovesse essere giustificata con la «bufala» della costruzione di un inceneritore per rifiuti urbani e quant'altro e che questa doveva essere una scusa ufficiale per tacitare i capi clan locali eventualmente contrari all'operazione. Marocchino ricordava a se stesso e al suo compare Scaglione che l'unico problema era quello di assicurare in fretta consistenti arrivi di materiale pericoloso e che una gran parte del costo era dovuto a quanto spettava ad Ali Mahdi, che doveva rifarsi delle rilevanti spese sostenute nella guerra civile.
Tutto ciò ci convinceva della gravità della cosa e della serietà della pista che si


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stava percorrendo. Nel corso delle conversazioni tenute da Scaglione ad Asti con l'imprenditore, di cui noi eravamo a conoscenza in tempo reale, era altresì emerso che lo stesso Scaglione, per spiegare al suo interlocutore le modalità con cui si sarebbe svolto il traffico, faceva il nome di uno spedizioniere di Livorno, tale Nesi, il quale - a dire dello Scaglione - gli era stato caldamente consigliato da Giancarlo Marocchino. In effetti, dallo sviluppo delle indagini emergerà che Nesi aveva una serie di strettissime relazioni con la Somalia, al punto da essere intimo di Faddum Aidid, figlia del generale Mohammed Aidid, che aiutava in vari modi, e della cui esistenza venimmo a conoscenza perché questa donna utilizzava un cellulare del Nesi. Quando risalimmo dalle intercettazioni su Scaglione a quelle di coloro che si rapportavano con lui ed arrivammo a Nesi, ci accorgemmo che uno dei cellulari di quest'ultimo era utilizzato dalla stessa Aidid, che solo in seguito sapemmo essere oggetto di attenzione della questura di Milano perché rappresentante commerciale della Somalia già ai tempi di Barre e che poi fu legittimata ad operare in Italia nell'ambito dell'attività del clan Aidid, il quale assumeva, al pari del clan di Ali Mahdi, di essere legittimo rappresentante del disfatto Stato somalo.
L'aspetto importante emerso in relazione alla vicenda di Ilaria Alpi matura nel corso delle intercettazioni telefoniche tra agosto 1997 e febbraio 1998. Questo ci ha consentito di vedere da un osservatorio privilegiato, quello di Giancarlo Marocchino, che cosa accadeva in Somalia in quel periodo. Tutto ciò grazie ad una serie di contatti più che quotidiani che per una miriade di affari, della più svariata natura, Marocchino svolgeva a Mogadiscio con numerosi altri soci italiani, che andavano al di là dei rapporti con lo Scaglione per i rifiuti o con Nesi per i trasporti connessi. Essi investivano una serie di faccendieri per profili, a mio avviso inquietanti, inerenti ad un gigantesco traffico di titoli atipici, già comparsi in numerose altre indagini iniziate in tutta Italia, sia di german gold bond, titoli del debito pubblico emessi dalla Repubblica di Weimar e pacificamente considerati default perché non pagabili, sia per un gigantesco traffico di dinari kuwaitiani razziati dalle truppe irachene durante l'invasione del Kuwait nell'agosto 1990. In quell'occasione vennero sottratte vagonate di dinari che rimasero in un regime di corso incerto fino alla vittoriosa riconquista dello stesso Kuwait. Con provvedimento presidenziale, nella primavera del 1991, furono messi totalmente fuori corso, per cui il loro valore poteva essere semplicemente numismatico. Invece, dalle intercettazioni ci accorgeremo che esisteva un giro gigantesco di questi soldi, il cui valore nominale era circa 3 mila delle vecchie lire per un dinaro.
La sorpresa fu che questa partita di soldi, pacificamente fuori corso e di nessun valore, nelle conversazioni veniva trattata - con piena consapevolezza da parte dei soggetti interlocutori del fatto che fossero fuori legge e che avrebbero potuto portare dei guai - come una merce di scambio con percentuali analoghe a quelle seguite in caso di transazioni tra moneta buona e moneta cattiva. Inoltre c'era un mercato a Londra di old kuwaitian dinars, con relative quotazioni, facilmente accessibile su Internet. Evidentemente non si trattava di una transazione fra dementi ma tra soggetti che pensavano di poter fare qualcosa di queste banconote.
La sorpresa aumentò vieppiù quando il soggetto con cui Giancarlo Marocchino trattava - tale Roghi di Pistoia - si rivelò essere in contatto molto stretto con il direttore dell'agenzia della BNL presso il Senato della Repubblica. Questo fatto ci apparve veramente significativo: non si tratta naturalmente di una banca cui possono accedere i comuni cittadini, ma che è riservata esclusivamente ai senatori ed al personale del Senato; non ci capacitavamo del fatto che un funzionario di quel livello potesse essere coinvolto in vicende del genere. Naturalmente iniziammo una serie di intercettazioni sulle utenze del Bianchini, il che aprì tutto un altro filone di indagini. Ottenemmo comunque dal Presidente del Senato l'autorizzazione alla


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perquisizione degli uffici di Bianchini al Senato; da tale perquisizione e da quella della sua abitazione privata emersero due profili molto notevoli, che portavano verso banche svizzere sempre con riferimento ai dinari ed al traffico di opere d'arte, nonché a vicende connesse ai famosi titoli del debito tedesco.
Con l'accordo di altri magistrati che seguivano il caso, ascoltammo coloro che da più tempo avevano lanciato l'allarme sulla pericolosità di questa operazione; erano gli americani, ed un agente venne ad Asti e spiegò che da molto tempo avevano sottolineato la pericolosità di operazioni come quelle sulle promissory notes indonesiane, sui peruvian gold bond, sui german gold bond, sulle valute fuori corso (dinari libici e kuwaitiani). Esse evidentemente fanno da supporto a quella che gli americani chiamano «frode del secolo» perché si basa su una serie di garanzie finanziarie assolutamente fittizie rispetto alle quali banche occidentali, evidentemente colluse, rilasciano a loro volta primarie garanzie che però hanno la peculiarità di non essere vincolanti sul piano civile dell'obbligazione, e che vengono spese per finanziare gigantesche operazioni, soprattutto nel terzo mondo.
Non si sa, ma l'esperienza ha insegnato che molto spesso sono sottese o ad operazioni di servizio o a traffici di armi o di rifiuti.
Nel corso delle intercettazioni, la parte che riguarda Ilaria Alpi investe questi aspetti e diventa interessantissima quando si verifica l'arresto del presunto assassino della Alpi (sto chiudendo anche quella parte). Ho sempre avuto qualche perplessità sulle modalità con le quali all'improvviso è saltato fuori il nome di questo soggetto, però voglio evidenziare che Marocchino, da tutto quello che si sa, che sapevamo e che abbiamo saputo successivamente, è l'uomo italiano più informato dei fatti che accadono nel Corno d'Africa, da Gibuti a Nairobi; è l'unico che ha un'organizzazione economica e - mi si passi il termine - militare, tant'è che chiunque voglia andare in Somalia e rimanere vivo, segnatamente a Mogadiscio, deve farsi proteggere da lui. Con questo intendo dire che era in grado di sapere come sono andate le cose. Ebbene, Marocchino, nelle intercettazioni che registrammo, diceva chiaramente che l'arresto del somalo era una «bufala» assurda, era una provocazione architettata e chiedeva che venissero in Somalia perché lui aveva le prove o comunque stava per averle. Nelle conversazioni, che noi abbiamo diviso per argomenti, vengono evidenziate queste palesi espressioni sulla totale inattendibilità della versione ufficiale.
Di fronte alle telefonate in cui si diceva espressamente che la persona arrestata non c'entrava assolutamente e alla notizia giornalistica dell'arresto di un uomo per un fatto di una gravità inaudita, rimanemmo a lungo in dubbio su che cosa fare, nel senso che non volevamo scoprire un'operazione ed una fonte che ci sembrava ottima sotto vari profili. Poi prevalse la seguente opinione: quest'uomo era stato arrestato; il suo arresto era stato convalidato; pendeva un ricorso al tribunale del riesame e noi avevamo la prova certa (nella sua materialità, non per come erano andate le cose) di una fonte autorevole sul posto che escludeva che quell'uomo fosse coinvolto e affermava che lo erano altri (faceva riferimenti all'autista della Alpi); allora io mandai al collega Ionta lo stralcio dell'intercettazione telefonica, omettendo il nome dell'interlocutore di Marocchino, ma evidenziando il nome di quest'ultimo, altrimenti non si sarebbe capito chi fossero gli interlocutori. Sapevo che erano atti ricevuti che andavano depositati. Si trattava di una fonte assai lucrosa di cui «omissavamo» il nome, ma lasciavamo la parte nella quale Marocchino esprimeva i suoi dubbi e indicava le sue ipotesi. Allora che quelle strade le percorressero da opposti punti di vista la difesa o il pubblico ministero! Così facemmo.
Purtroppo, dopo pochissimi giorni, ricevemmo il colpo che uccise la nostra indagine, perché sull'utenza che noi intercettavamo sentimmo quello che poi risultò essere il legale di Marocchino, Menicacci, che telefonava a Roghi dicendo che aveva letto degli atti che venivano dalla procura


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di Asti, che lo riguardavano e che lui era a sua disposizione per difendere l'interlocutore.
A questo punto, al telefono continuarono a parlare sempre Roghi e Marocchino e purtroppo perdemmo il collegamento migliore che c'era, soprattutto perché operavamo in una situazione nella quale Marocchino parlava molto liberamente: si tratta di un uomo - per come ho imparato a conoscerlo - sanguigno, temperamentale, un uomo d'azione, l'uomo di cui si ha bisogno in certi posti (penso che si sia preso anche delle libertà che forse non gli erano consentite) e noi avevamo potuto intercettarlo, anche se non avevamo mai chiesto intercettazioni su di lui perché eravamo convinti che se le avessimo chieste avremmo avuto un interlocutore forse più guardingo. Il fatto, quindi, era gravissimo sotto questo profilo, tanto che non vi furono più grosse rivelazioni sulle vicende somale in generale (i traffici vari). Decidemmo quindi di fare una perquisizione conclusiva dell'operazione, che si svolse ai primi di luglio 1998, e trovammo molto materiale inerente a quella tranche che portava in svariate direzioni e che afferiva alla movimentazione dei titoli atipici, relativamente ai quali fu necessario operare uno stralcio, per dare un contenuto più gestibile all'indagine: la parte relativa all'utilizzo dei german gold bond per determinate operazioni nel nord Italia fu inviata alla DDA di Venezia, col sostituto della quale, dottor Pavone, avevamo contatti. Tutta la vicenda connessa con la movimentazione e con il riciclaggio (a nostro avviso) dei titoli kuwaitiani fu inviata per competenza alla procura di Pistoia in relazione alla zona di operatività del Roghi e del luogo in cui pensavamo potesse avere la sua base.
Come dicevo, dividemmo le intercettazioni per grandi argomenti: le vicende dei dinari, la cooperazione, i trasporti delle navi. Rispetto a questi ultimi non riuscimmo, nel periodo in cui monitorammo la situazione, ad intercettare navi in partenza con i carichi che ci aspettavamo: le intercettammo, nel senso che sapemmo cosa movimentavano, ma si trattava di volgari truffe fiscali (in una parte dei container c'era un certo tipo di carico e la parte che poteva venire aperta per i controlli doganali conteneva altri materiali, sempre nel settore alimentare). Certamente si tratta delle modalità classiche della movimentazione per container, che abbiamo accertato anche in altre indagini su movimentazioni di rifiuti di plastica della raccolta differenziata tedesca che giungeva in Italia e che poi, attraverso vari passaggi, giaceva in Italia e veniva, a volte, spedita in Egitto, sempre tramite container, dal porto di La Spezia.
Tornando alla suddivisione di cui parlavo, vi sono poi i rapporti con i servizi e le telefonate riguardanti Ilaria Alpi, alle quali ho fatto riferimento: le più corpose sono quelle in cui Marocchino evidenzia che le cose non stanno come sono state rappresentate, almeno dal suo punto di vista.
Avrei dovuto già aver depositato gli atti, ma sono a buon punto e credo che entro 15 giorni sarò in grado di farlo.

PRESIDENTE. Come avrà utilmente inteso, il profilo che ci riguarda più da vicino è quello relativo al traffico di rifiuti. Ci interessa particolarmente disvelarlo non tanto individuando il responsabile di turno, quanto comprendendo il tutto per avere l'opportunità di una prospettiva diversa dal punto di vista normativo.
In questo senso la sua esperienza in questa e in altre attività di indagine che l'hanno vista come protagonista può essere utile a fornirci suggerimenti, indicazioni e prospettive anche sul fronte emendativo normativo.

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. A suo tempo ho fatto parte di un gruppo di studio presso il Ministero dell'ambiente che aveva formulato una proposta per la modifica dei reati in materia ambientale. Questo progetto, proveniente dall'allora ministro dell'ambiente Ronchi, si affiancava e per certi aspetti si giustapponeva ad un progetto che veniva dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul


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traffico dei rifiuti, presieduta dall'onorevole Scalia, e prevedeva una serie di situazioni che io avevo cercato di focalizzare in due direzioni. La prima, che poi ha avuto un parziale ma significativo recepimento nell'articolo 53-bis, come riformato, è condizione essenziale per poter lavorare e, rispetto alla situazione precedente, segna un progresso gigantesco dal punto di vista normativo rispetto alla possibilità di intervenire anticipando le mosse di soggetti che normalmente contano sulla velocità e sul fatto compiuto per celare quello che hanno attuato e che viene coperto fisicamente dalla terra o incenerito.
La seconda direzione è quella di enfatizzare significativamente il profilo della sanzione in materia di falso documentale, ad imitazione di altri ordinamenti, e segnatamente di quello degli Stati Uniti che considera il falso in questo tipo di documenti come un reato federale e lo persegue in modo severissimo (attentato contro la fede pubblica). Questi profili del progetto inerenti all'enfatizzazione delle pene per quel che riguarda il falso documentale non sono stati recepiti. Però, stante la precedente situazione normativa disastrosa, che configurava questi traffici sostanzialmente come contravvenzioni e non consentiva nulla, si è cercato di «inventare» delle fattispecie che noi utilizzammo col vecchio sistema del passaggio attraverso i reati fiscali, perché ritenevamo che in tutte le situazioni nella quali si rappresenta falsamente che un rifiuto è stato trattato o inertizzato ma non lo è stato, si integra un reato di natura fiscale che, quando è singolo, configura una fattura falsa - che nella normativa di allora non consentiva l'intercettazione telefonica - ma quando è numeroso e di sistema permette di configurare l'associazione a delinquere, che consente l'intercettazione telefonica, la quale è essenziale a condizione che si sappia chi si ascolta e che chi ascolta sia esperto (gli esperti sono pochissimi). Se non altro sotto il profilo dell'intercettazione l'ostacolo è stato superato dall'articolo 53-bis, che consente di operare in presenza dei presupposti.
Si potrebbe fare di più dal punto di vista normativo per aumentare la repressione di carattere penale, magari concentrando l'attenzione sulla sanzione di determinati reati, quando ci si trova di fronte a documenti significativi. Non intendo riferirmi a tutte le incombenze burocratiche, ma documenti di particolare significato dovrebbero essere forse più tutelati penalisticamente.
Nell'ambito delle priorità che intravedo in questi fatti collocherei al primo posto, oggi che abbiamo almeno la testa di ponte rappresentata dall'articolo 53-bis, la scarsa professionalità di coloro che devono dirigere indagini di questo genere - metto me al primo posto -, avvalendosi della polizia giudiziaria, che, con riferimento alla materia ambientale, è più portata a colpire l'ultimo anello della catena, il rottamaio di turno. La scorsa settimana ad Asti, in base all'articolo 53-bis, abbiamo preso un rottamaio iperrecidivo: prima lo faceva «sportivamente»; oggi forse gli passerà la voglia, avendo conosciuto, seppure per pochi giorni, le patrie galere.
Però non mi pare questo il problema, almeno quando si tratta di movimentazioni di una certa importanza. Allora qual è il problema: quello della professionalità di coloro che operano e soprattutto quello di creare strutture operative (si badi bene, non parlo di coordinamenti di magistrati, che sono ancora più difficili). Quando presi parte con altri alla stesura della bozza di provvedimento in materia di reati ambientali, ci occupammo anche di una parte relativa all'operatività investigativa concreta e proponemmo la creazione di una struttura interforze. Però mi accorsi immediatamente che le strutture interforze, al di là delle chiacchiere di facciata, piacciono assai poco alle singole forze dell'ordine, perché c'è una gelosia di corpo molto forte e non c'è concretamente la volontà di operare in gruppo. Forse singolarmente vorrebbero farlo, perché sono tutti galantuomini, ma poi le amministrazioni sono ostiche rispetto a queste forme di collaborazione.
Comunque, ci deve essere una struttura investigativa interforze che accorpi le migliori


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forze di Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia di Stato e Corpo forestale, e sarebbe preferibile che a questo si aggiungesse un coordinamento dei magistrati, almeno di tanto in tanto. Sono, infatti, convinto che esistano patrimoni investigativi connessi con la lettura delle intercettazioni telefoniche.
Con riferimento a profili di criminalità albanese della quale abbiamo dovuto occuparci per tutt'altri motivi, abbiamo notato che, quando si tratta di gruppi estremamente mobili, spesso, nel caso delle piccole procure dei tribunali come quelli di Asti, Alba, Cuneo, sovrapponendo il patrimonio di informazioni relative ad investigazioni slegate tra loro - si tratta di documenti assolutamente transitabili per il tipo di reato - si ha la prova di un'infinità di reati gravissimi in più. Analogamente questo vale per i traffici di rifiuti, che rispondono a logiche molto più elitarie ma a linee operative che coinvolgono - non mi stanco di dirlo - poche decine di personaggi nel paese, che sono sempre quelli.
È questa la strada da percorrere. Constato invece che queste iniziative sono state possibili grazie al Corpo forestale dello Stato, una piccola, meritevole ed eroica struttura di Brescia che è stata premiata con lo scioglimento! Infatti, il comandante, dopo aver passato i suoi guai, è stato trasferito alla stazione di Lanza: io sono contento perché è più vicino ad Asti, ma non è questo il modo di avvicinarsi al problema!
Nonostante questi bravissimi uomini si muovessero con un enorme sacrificio personale degno della medaglia d'oro, sono stati ulteriormente penalizzati. Mi spiego: ad un certo punto qualcuno si è accorto che queste persone venivano troppo spesso ad Asti, per cui sono state poste delle limitazioni all'uscita dal territorio - aspetto che dal punto di vista normativo mi lascia perplesso trattandosi di deleghe personali - al punto da dover chiedere l'autorizzazione al coordinatore locale, al provinciale ed alla struttura regionale. Non solo, citati in dibattimento in qualità di testi e trasmessa dal PM la cedola di citazione, per seguire la solita trafila burocratica percorsa in tutti i casi precedenti, si è giunti al giorno dell'udienza senza che costoro potessero essere presenti.
Naturalmente è insorto qualche problema con i giudici, tanto che ho mandato missive in cui minacciavo incriminazioni a vario titolo nei confronti di questi soggetti che, capito il messaggio, hanno finalmente firmato l'autorizzazione.
Il problema sta nell'approccio. Se uno non vuole sentire oppure se vuole sentire burocraticamente non c'è riforma normativa che tenga, sono le teste a dover cambiare, oltre alle norme naturalmente.

PRESIDENTE. Quando è avvenuto il colloquio Menicacci-Marocchino che dà conto della conoscenza da parte dell'avvocato dell'indagine astigiana? E ancora: le risulta che prima di questo colloquio vi sia stato il deposito degli atti da parte della procura di Roma?

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Non lo so; Menicacci non era né il patrono di parte civile, né il difensore del somalo detenuto, né credo conoscesse gli atti.
La telefonata si svolse alle ore 22,37 del 30 gennaio 1998.

PRESIDENTE. Le risulta che l'autista della signora Alpi sia stato assassinato nello scorso mese di settembre?

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. L'ho sentito dire dai giornalisti che si occupano della vicenda, specificatamente da quelli di Famiglia cristiana.

PRESIDENTE. Se la notizia fosse vera, la riterrebbe significativa rispetto al ragionamento investigativo che seguiva?

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. È un paese ridotto in uno stato tale che un assassinio può accadere. Nelle


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intercettazioni telefoniche di Marocchino attraverso l'utenza del Roghi, si faceva riferimento ad un probabile assassinio dello stesso Marocchino. Il Roghi lo avvisava dicendogli «anche i tuoi amici del FAI ti vogliono far fuori, stai attento!» ed il Marocchino, in una comunicazione, dichiara di aver subìto un attentato in cui due uomini della sua scorta sono stati uccisi. La Somalia è una realtà di una tale disintegrazione che una morte non mi stupisce affatto; non posso però metterla in connessione con un disegno criminoso che preveda l'eliminazione dei testimoni di quella vicenda.
Sono stupito - e vi sono riferimenti negli atti che deposito - dall'origine della notizia secondo cui questo soggetto sarebbe coinvolto nella vicenda e da coloro che, tramite uno strano passa parola, mettono l'ambasciatore Cassini in condizioni di svolgere una sua personale indagine e di giungere all'arresto di questa persona.
Mi conforta in questa convinzione la «credibilità» che attribuisco a Marocchino quando mi dice di considerare quella vicenda un artificio, esprimendosi in termini molto coloriti. Sono altresì perplesso di questi profili investigativi che, ripeto, sono estremamente difficili, ma osservo che il tutto avviene in un contesto come quello di Mogadiscio, in cui a voler collocare e storicizzare le vicende alla data del 20 marzo 1994 la città era ridotta in un tale stato di degrado che il cuore pulsante si riduceva a poche strutture nelle quali gli italiani svolgevano un ruolo assolutamente preminente, rilevante (posto che da centoventi anni la Somalia è la proiezione dell'Italia avendo questa contribuito alla creazione della sua classe dirigente e delle sue strutture di polizia e militari). Mi pare assolutamente incredibile che strutture delegate a sapere tutto di tutti, in funzione di prevenzione e in altre vesti, non abbiano saputo alcunché, tanto che le prime indagini serie con l'identificazione dei responsabili o di un responsabile arrivano dopo tre anni, dopo una battaglia meritoria e coraggiosa dei familiari della signora Alpi.
I Servizi a Mogadiscio hanno avuto colloqui e contatti con Faduma Aidid e, doverosamente ed istituzionalmente, con tutte le parti in lotta nel tentativo di favorire la pacificazione, ma è impensabile credere alle persone con le quali Marocchino era in strettissimi rapporti quando sostengono che lo stesso Marocchino consegnava gasolio o prestava un camion! Se ci sono coperture, segreti di Stato o quant'altro... ricordo che nell'ultimo numero di Famiglia Cristiana si evidenzia come nel fascicolo presso la procura di Roma relativo al traffico d'armi iscritto a carico di Marocchino dopo l'espulsione da parte americana il 28 settembre 1993, vi siano parecchi documenti segretati su richiesta dei Ministeri degli affari esteri e della difesa. Questi sono gli snodi di quella vicenda, rispetto alla quale Marocchino non può raccontarci certe cose, perché - lo ribadisco nuovamente -, era l'uomo più informato presente sul posto.

PRESIDENTE. Ha notizia di sviluppi significativi delle indagini della procura di La Spezia, ai fini della nostra indagine?

LUCIANO TARDITI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti. Ho fatto cenno ad atti inviati alla procura di Pistoia e alla DDA di Venezia. Con La Spezia non ho parlato perché non c'erano riferimenti.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Tarditi, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
Sospendo brevemente la seduta al fine di svolgere l'ufficio di presidenza.

La seduta, sospesa alle 15.05, è ripresa alle 15.10.

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