Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici D.L. 102/2013 ' A.C. 1544-A - Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 102 DEL 31-AGO-13   AC N. 1544-A/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 63    Progressivo: 1
Data: 09/10/2013
Descrittori:
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI   DECRETO LEGGE 2013 0102
FINANZA LOCALE   IMPOSTA MUNICIPALE UNICA (IMU)
IMPOSTE SUGLI IMMOBILI   QUESTIONE DELLA CASA
TRATTAMENTO PREVIDENZIALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di IMU,
di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni
e di trattamenti pensionistici

D.L. 102/2013 – A.C. 1544-A

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 63/1

 

 

 

9 ottobre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Bilancio

( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it

Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it

 

 

Nel presente dossier il testo degli articoli riporta in carattere grassetto le modifiche intervenute durante l’esame in sede referente.

 

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File: D13102a.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Abolizione della prima rata dell'IMU 2013) 3

§      Articolo 2, commi 1-5 (Altre disposizioni in materia di IMU) 9

§      Articolo 2, comma 5-bis  (Norma interpretativa in materia di fabbricati rurali) 14

§      Articolo 3 (Rimborso ai comuni del minor gettito IMU) 19

§      Articolo 4 (Riduzione dell'aliquota della cedolare secca per contratti a canone concordato) 22

§      Articolo 5 (Disposizioni in materia di TARES) 24

§      Articolo 6 (Misure di sostegno all’accesso all’abitazione e al settore immobiliare) 32

§      Articolo 7 (Ulteriore anticipo di liquidità ai comuni) 42

§      Articolo 8 (Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione ed altre disposizioni in materia di adempimenti degli enti locali) 45

§      Articolo 9, commi 1-9-bis (Modifiche del decreto legislativo n. 118/2011 sull’armonizzazione dei sistemi contabili) 49

§      Articolo 9, comma 9-ter (Controlli degli enti locali sulle società partecipate non quotate ) 58

§      Articolo 9, comma 9-quater (Squilibrio finanziario nel trasporto pubblico regionale e locale ) 61

§      Articolo 10 (Rifinanziamento ammortizzatori in deroga per l’anno 2013) 65

§      Articolo 11 (Ampliamento della salvaguardia dai requisiti di accesso al pensionamento) 70

§      Articolo 12 (Disposizioni in tema di detrazione di premi assicurativi) 78

§      Articolo 13 (Disposizioni in materia di pagamenti dei debiti degli enti locali) 80

§      Articolo 14 (Definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile) 94

§      Articolo 15 (Copertura finanziaria) 102

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(
Abolizione della prima rata dell'IMU 2013)

 

1. Per l'anno 2013 non è dovuta la prima rata dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, relativa agli immobili di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85.

 

 

L’articolo 1 prevede che - per l’anno 2013 - non è dovuta la prima rata dell’Imposta municipale sperimentale (IMU), di cui all’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, sugli immobili per i quali tale rata era già stata sospesa con il decreto-legge n. 54 del 2013.

 

In particolare, la prima rata non è dovuta per le seguenti tipologie di immobili:

§      abitazioni principali e assimilati (IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa);

In analogia a quanto già previsto dal decreto-legge n. 54 del 2013, da tale previsione sono esclusi i fabbricati di particolare pregio e valore, vale a dire le abitazioni di tipo signorile classificate nella categoria catastale A/1; le abitazioni in villa classificate nella categoria catastale A/8 e, infine, i castelli e i palazzi di eminente pregio artistico o storico classificati nella categoria catastale A/9.

Per quanto riguarda gli IACP, si ricorda che il DPR n. 616 del 1977 (articolo 93, comma 2) ha riconosciuto alle regioni competenza propria in materia di edilizia residenziale pubblica, per cui gli IACP sono divenuti enti regionali. Ciò ha indotto alcune regioni ad adottare per gli IACP il modulo organizzativo dell'ente pubblico economico in sostanziale conformità con quello dell'azienda speciale previsto, per la gestione dei servizi pubblici locali, dalla legge n. 142 del 1990: in tali regioni gli IACP sono stati trasformati in Aziende territoriali per l'edilizia residenziale (ATER). Altre regioni hanno, invece, preferito scegliere il modulo organizzativo dell'ente pubblico non economico o quello della società di capitali. Vi sono, infine, regioni che non si sono avvalse della facoltà conferita dall'articolo 93, per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria. Gli Iacp o Ater possono beneficiare della detrazione base di 200 euro (non della maggiorazione della detrazione prevista per i figli, in quanto persone giuridiche), ma non possono fruire dell'aliquota ridotta per le abitazioni principali.

Le cooperative a proprietà indivisa (art. 23, del D.P.R. n. 2 del 1959) realizzano immobili di civile abitazione concessi ai soci assegnatari solo in godimento. I soci contribuiscono al finanziamento della costruzione e versano un canone di godimento, la cui determinazione viene indicata nei regolamenti della cooperativa. Poiché i soci non sono proprietari ma assegnatari nel passaggio dall'ICI all'IMU sono stati assimilati dalla legge ai possessori di seconda casa. Peraltro, anche i soci assegnatari possono beneficiare della detrazione base di 200 euro;

§      terreni agricoli;

Per i terreni agricoli, a fini IMU, sono considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, al verificarsi delle condizioni di legge. Dunque, ai fini delle riduzioni riservate alla ruralità, rileva l'insieme dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali individuati dall'articolo 1 del D.Lgs. 99 del 2004; tale formulazione sembra anche includere le società di capitali che operano nel settore, oltre alle persone fisiche. Ai fini del calcolo del valore dei terreni agricoli, si applica un moltiplicatore pari a 135, ridotto a 110 qualora il terreno sia posseduto e condotto dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola (comma 5 dell'articolo 13, D.L. 201 del 2011).

Ai sensi del comma 8-bis all'articolo 13, i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali sono assoggettati ad IMU solo per la parte di valore eccedente 6.000 euro, con le seguenti riduzioni, di importo decrescente all'aumentare del valore dell'immobile:

a)    del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a euro 15.500;

b)    del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro ;

c)    del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro;

§      fabbricati rurali;

Ai sensi della disciplina IMU, i fabbricati rurali sono assoggettati ad imposta. Se si tratta di fabbricati ad uso abitativo, essi scontano l'IMU nelle modalità ordinarie (dunque anche, ove ricorrano le condizioni di legge, secondo le disposizioni previste per l'abitazione principale).

Per i fabbricati rurali strumentali, il comma 8 dell'articolo 13 prevede un'aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento.

Accanto alle suindicate misura, l'articolo 9, comma 8 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) esenta dall'imposta i fabbricati rurali a uso strumentale ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). La circolare n. 3/DF del Dipartimento delle finanze del 18 maggio 2012 chiarisce che ai fini dell'esenzione è sufficiente che il fabbricato rurale sia ubicato nel territorio del comune ricompreso in detto elenco, indipendentemente dalla circostanza che il comune sia parzialmente montano. Inoltre, è prevista una riserva di disciplina a favore delle province autonome di Trento e Bolzano. Esse, conformemente ai propri statuti e in deroga alle agevolazioni ed esenzioni previste dalla legge, potranno assoggettare a IMU i fabbricati rurali strumentali con l'aliquota allo 0,2 per cento (abbassabile dai comuni allo 0,1), ferma la possibilità di introdurre esenzioni, detrazioni o deduzioni ai sensi delle norme del TU delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ovvero in base all'articolo 80 del D.P.R. n. 670 del 1972.

L’articolo 10, comma 4-quater del decreto-legge n. 35 del 2013 ha esteso la non applicazione della riserva allo Stato relativamente ai fabbricati rurali ad uso strumentale ubicati nei comuni classificati dall’ISTAT montani o parzialmente montani assoggettati all’IMU dalle province autonome di Trento e di Bolzano.

Dall'ICI all'IMU: l'imposta municipale e la sua applicazione sperimentale

Con il decreto-legge n. 93 del 2008 è stata disposta l’esenzione ICI dell’immobile adibito ad abitazione principale del soggetto passivo d’imposta e delle relative pertinenze, nonché delle unità immobiliari che il comune avesse assimilato all’abitazione principale.

Successivamente, il decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo fiscale municipale ha istituito e disciplinato l'Imposta municipale propria - IMU, volta a sostituire la componente del reddito IRPEF (e relative addizionali) relativa agli immobili non locati e l'ICI, con un'applicazione in origine prevista per l’anno 2014.

Tuttavia, per rispondere ad esigenze di risanamento dei conti pubblici, l’applicazione dell’IMU, ai sensi dell'articolo 13 del D.L. 201/2011, è stata anticipata al 2012 e la sua disciplina è stata profondamente innovata.

In particolare, l'IMU si applica dal 2012 al possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa; essa è dovuta nella misura dello 0,76 per cento del valore dell'immobile, determinato ai sensi della disciplina ICI (articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992). A tal fine, l'articolo 13 del D.L. 201/2011 ha innalzato la misura dei moltiplicatori da applicarsi alla rendita catastale delle diverse tipologie di immobili.

L’imposta si applica anche all'abitazione principale del contribuente, con aliquota di base pari allo 0,4 per cento. Per l’abitazione principale è prevista una detrazione d'imposta pari a 200 euro, incrementata di 50 euro per ciascun figlio residente e dimorante nell'abitazione medesima purché di età non superiore a 26 anni (fino al limite massimo di 400 euro per tale aumento).Il decreto-legge n. 16 del 2012 (in materia di semplificazioni tributarie) ha reso più stringenti i requisiti per la qualifica di “abitazione principale”, al fine di prevedere che le agevolazioni disposte per tali immobili si applichino a un solo cespite per nucleo familiare, ovvero quello in cui il possessore ed il suo nucleo familiare abbiano stabilito dimora e residenza anagrafica.

I comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l’abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge. Sono previste misure di aliquota ridotta per legge (oltre che per l’abitazione principale, per i fabbricati rurali ad uso strumentale, con misura di base pari a 0,2 per cento, ulteriormente riducibile dai comuni fino allo 0,1 per cento) e misure di aliquote che i comuni hanno la facoltà di ridurre. In particolare, i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono:

§       modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base (0,76%) sino a 0,3 punti percentuali nonché l'aliquota per l'abitazione principale e per le relative pertinenze (0,4%), in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti percentuali;

§       ridurre ulteriormente l'aliquota (già ridotta allo 0,2 per cento) per i fabbricati rurali ad uso strumentale fino allo 0,1 per cento;

§       ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, ovvero nel caso di immobili locati;

§       ridurre l'aliquota di base fino allo 0,38 per cento per i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati, e comunque per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori;

§       disporre l'elevazione dell'importo della detrazione per l'abitazione principale, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune che ha adottato detta deliberazione non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione;

§       considerare adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata.

 

Per quanto riguarda le agevolazioni e le esenzioni, non vi è una perfetta sovrapposizione tra agevolazioni ICI e agevolazioni IMU; le norme del decreto legislativo n. 504 del 1992, che ha istituito e disciplinato l’imposta comunale sugli immobili, risultano infatti applicabili solo ove espressamente richiamate. In particolare, in virtù di tale esplicito rinvio, sono esenti da IMU (come lo erano da ICI) gli immobili posseduti da enti non commerciali, con un regime tuttavia profondamente diverso. L'articolo 91-bis del D.L. 1 del 2012 ha sancito che dal 2013 l’esenzione da IMU (ex ICI) per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività sia applicabile solo nel caso in cui le predette attività siano svolte con modalità non commerciali. In sostanza, dal 2013, nel caso in cui tali attività – pur dando luogo, astrattamente, a esenzione – siano svolte con modalità commerciali, gli immobili degli enti non commerciali ove sono effettuate saranno soggetti (in tutto o in parte) a imposta municipale. Con DM del 19 novembre 2012 sono state introdotte le necessarie disposizioni attuative, ai fini dell'individuazione dell'area di esenzione dall'IMU per gli immobili su cui svolgono la propria attività gli enti non commerciali. In particolare alla norma secondaria è demandata l'individuazione dei requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività come svolte con modalità non commerciali, ai fini dell'applicazione delle suddette agevolazioni.

 

L’articolo 9 del decreto-legge n. 174 del 2012 ha poi sottratto gli immobili delle fondazioni bancarie dall’esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, in relazione allo svolgimento di determinate attività. Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) è dovuta l’imposta municipale, in deroga alle disposizioni generali.

 

In questa sede si rammenta che la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 380 e da 382 a 384 della legge n. 228 del 2012) ha innovato l’attuale assetto della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU, conseguentemente ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e comuni attualmente delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale si dispone l’abrogazione di numerose disposizioni. In particolare, viene attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.

 

Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa, per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.

 

Il Dipartimento delle finanze del MEF ha pubblicato, sul proprio sito Internet, le Linee guida per la predisposizione delle delibere e dei regolamenti di applicazione dell'Imposta Municipale Propria, nelle quali viene fornito un prototipo di regolamento IMU, al fine di da supportare funzionari e amministratori degli Enti Locali.

 

Da ultimo, il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso - per l'anno 2013 - il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per le succitate categorie immobiliari. Secondo quanto previsto dal decreto-legge stesso, tale sospensione opera nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi:

§      la riforma della disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares);

§      la modifica dell’articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale;

§      l’introduzione della deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell’imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive.

 

In tale occasione, nel corso di un’audizione svolta presso la Camera il 30 maggio 2013, il Presidente della Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff) aveva fatto notare, in primo luogo, come sul piano tecnico sarebbe stato preferibile un approccio più selettivo nella scelta dei contribuenti, limitando la sospensione (e successiva cancellazione) dell’imposta alle fasce di reddito più esposte al rischio di problemi di liquidità nel pagamento dell’imposta. La Commissione suggeriva inoltre di favorire gli immobili di proprietà delle imprese, che hanno subito un incremento della pressione fiscale su un tributo come l’IMU che non dipende dal conseguimento di utili. Non veniva condivisa l’idea di introdurre una service tax con il trasferimento del prelievo dai proprietari agli inquilini, in quanto foriera di possibili effetti redistributivi indesiderati a svantaggio delle fasce più deboli della popolazione. Si rilevava la necessità di chiarire chi fosse il destinatario del tributo (Stato o comune), al fine di garantire il legame tra imposte che si pagano e benefici che si traggono dalla spesa. Per altro verso, si notava come una generalizzata esenzione della prima casa, escludendo dall’IMU la maggioranza dei residenti, svuoterebbe la più importante imposta comunale del suo significato di tributo locale.

 

Sul tema della fiscalità immobiliare, la Commissione Finanze del Senato ha svolto un’indagine conoscitiva, nel cui documento conclusivo – approvato l’8 agosto 2013 - si rileva l'esigenza di tutelare le imprese (specialmente quelle medie e piccole, gli artigiani e gli agricoltori) e di prevedere vantaggi fiscali per gli immobili dati in locazione. Per quanto riguarda il catasto, da tutti ritenuto ormai obsoleto, si sono sottolineate l'esigenza di attuarne la riforma in tempi non troppi ampi (auspicabilmente inferiori al termine di cinque anni emerso nelle audizioni) e di correggerne le più marcate sperequazioni nelle more del processo di riforma, con l'obiettivo comunque di prevedere un meccanismo che renda possibile un aggiornamento periodico delle rendite catastali. Si suggerisce di ridurre i costi dell'imposta di registro e delle spese notarili sui trasferimenti immobiliari, in modo da favorire il rilancio di tale segmento di mercato. Infine, si sottolinea la necessità di rinviare al 2014 l'entrata in vigore della TARES e di contemperare il criterio della metratura e del numero degli occupanti dell'immobile per definire l'imponibile nonché quella di riservare esclusivamente ai comuni le somme riscosse.

 

La Commissione Finanze della Camera, impegnata nell'esame di alcune proposte di legge di revisione del sistema fiscale mediante delega al Governo, l’8 agosto 2013 ha adottato il testo base (C. 282 Causi, C. 950 Zanetti, C. 1122 Capezzone e C. 1339 Migliore) che contiene, tra l’altro, la riforma del catasto, volta a correggere le sperequazioni insite nelle attuali rendite, accentuate dall’aumento generalizzato disposto con il decreto-legge n. 201 del 2011, che ha introdotto l’Imposta municipale sperimentale (IMU). La riforma dovrà essere realizzata mediante la definizione degli ambiti territoriali del mercato, nonché la determinazione del valore patrimoniale utilizzando la superficie in luogo del numero dei vani attualmente utilizzato.

 

A tal proposito si ricorda che, antecedentemente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.L. 102/2013, il Ministero dell’Economia e delle finanze ha diffuso, sul proprio sito internet, un documento recante alcune ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili (http://www.mef.gov.it/primo-piano/article_0120.htm)


 

Articolo 2, commi 1-5
(
Altre disposizioni in materia di IMU)

 


1. Per l'anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. Per il medesimo anno l'IMU resta dovuta fino al 30 giugno.

2. All'articolo 13 del predetto decreto-legge n. 201 del 2011 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 9-bis è sostituito dal seguente:

"9-bis. A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono esenti dall'imposta municipale propria i fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati.";

b) al comma 10, sesto periodo, le parole: "alle unità immobiliari di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504" sono sostituite dalle seguenti: "agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell'articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616".

3. Alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dopo le parole: "sanitarie,", sono inserite le seguenti: "di ricerca scientifica,". La disposizione di cui al primo periodo si applica a decorrere dal periodo di imposta 2014.

4. Ai fini dell'applicazione della disciplina in materia di IMU, le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, sono equiparate all'abitazione principale. Per l'anno 2013, la disposizione di cui al periodo precedente si applica a decorrere dal 1o luglio. A decorrere dal 1° gennaio 2014 sono equiparati all'abitazione principale i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture, di del 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008.

5. Non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica ai fini dell'applicazione della disciplina in materia di IMU concernente l'abitazione principale e le relative pertinenze, a un unico immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, purché il fabbricato non sia censito nelle categorie catastali A/1-A/8-A/9, che sia posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, dal personale appartenente alla carriera prefettizia. Per l'anno 2013, la disposizione di cui al periodo precedente si applica a decorrere dal 1o luglio.


 

 

L’articolo 2 reca una serie di esenzioni e agevolazioni in materia di IMU: sono quindi esentati dalla seconda rata dell’IMU per l’anno 2013, e dal pagamento dell’imposta a decorrere dal 1° gennaio 2014, i cosiddetti “beni merce”, ossia i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati; vengono equiparati all’abitazione principale gli immobili appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibiti ad abitazione principale nonché gli alloggi sociali, mentre per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica si prevede l’applicazione della detrazione d’imposta nella misura prevista per l’abitazione principale; si prevede inoltre l’esenzione, a decorrere dal 2014, dall’IMU degli immobili destinati alla ricerca scientifica. Non sono, infine, richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica per il riconoscimento dell’abitazione principale posseduta da personale delle Forze armate, delle Forze di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché da quello appartenente alla carriera prefettizia.

 

Occorre preliminarmente ricordare che per “abitazione principale” del contribuente si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.

Per effetto delle modifiche operate dall’articolo 4, comma 5 del D.L. 16/2012, ove i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.

Si rileva, in merito, che il Dipartimento delle finanze del MEF ha chiarito (nelle linee guida per la predisposizione dei regolamenti comunali IMU pubblicati a luglio 2012) che la disciplina individua quale abitazione principale solo l’immobile in cui le due condizioni della residenza anagrafica e della dimora abituale da parte del soggetto passivo sussistano contemporaneamente, in ciò innovando rispetto alla precedente definizione prevista per l’imposta comunale sugli immobili (ICI), in base alla quale l’abitazione principale coincideva con la residenza anagrafica “salvo prova contraria”.

Di conseguenza, le agevolazioni “prima casa” (aliquota ridotta e detrazione) sono collegate dal legislatore al possessore e al suo nucleo familiare, unificando il concetto di dimora abituale e residenza anagrafica.

 

In particolare, il comma 1 - con una modifica non testuale alla disciplina dell’IMU contenuta all’articolo 13 del predetto decreto-legge n. 201 del 2011 - stabilisce che per l’anno 2013 non è dovuta la seconda rata dell'IMU relativa ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, a condizione che permanga tale destinazione e che gli immobili non siano locati. Il comma 2 (lettera a)) interviene, al contrario, sul predetto articolo 13, modificando il comma 9-bis al fine di rendere i predetti immobili totalmente esenti a decorrere dal 1° gennaio 2014, fermi restando i requisiti della destinazione alla vendita e dell’assenza di locazione.

La precedente formulazione del comma 9-bis attribuiva ai comuni la facoltà di ridurre l'aliquota di base di tali tipologie di immobili fino allo 0,38 per cento per un periodo non superiore a tre anni dall'ultimazione dei lavori;

Nel corso dell’esame parlamentare è stato specificato che per l’anno 2013 resta dovuta la prima rata dell’IMU relativamente ai fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita.

 

La lettera b) del comma 2, intervenendo sul comma 10 dell’articolo 13, elimina l’espresso rinvio all’art. 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992 e rende esplicita l’applicazione della detrazione d’imposta nella misura prevista per l’abitazione principale per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell’art. 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977.

Il D.P.R. n. 616 del 1977 (articolo 93, comma 2) ha riconosciuto alle regioni competenza propria in materia di edilizia residenziale pubblica, per cui gli IACP sono divenuti enti regionali. Ciò ha indotto alcune regioni ad adottare per gli IACP il modulo organizzativo dell'ente pubblico economico in sostanziale conformità con quello dell'azienda speciale previsto, per la gestione dei servizi pubblici locali, dalla legge n. 142 del 1990: in tali regioni gli IACP sono stati trasformati in Aziende territoriali per l'edilizia residenziale (ATER). Altre regioni hanno, invece, preferito scegliere il modulo organizzativo dell'ente pubblico non economico o quello della società di capitali. Vi sono, infine, regioni che non si sono avvalse della facoltà conferita dall'articolo 93, per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria. Gli Iacp o Ater possono beneficiare della detrazione base di 200 euro (non della maggiorazione della detrazione prevista per i figli, in quanto persone giuridiche), ma non possono fruire dell'aliquota ridotta per le abitazioni principali.

 

Il comma 3 modifica la lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo dell’ICI, al fine di rendere esenti dall’IMU - a decorrere dal periodo di imposta 2014 - gli immobili destinati ad attività di ricerca scientifica.

 

Il comma 4 equipara, ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di IMU, le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, all’abitazione principale. Nel corso dell’esame parlamentare è stato chiarito che tale norma si applica a decorrere dal 1° luglio 2013. Pertanto relativamente alla prima rata del 2013 si applica unicamente la detrazione base di 200 euro. Sono altresì equiparati all’abitazione principale, ma solo a decorrere dal 1° gennaio 2014, i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali.

Le cooperative a proprietà indivisa (art. 23, del D.P.R. n. 2 del 1959) realizzano immobili di civile abitazione concessi ai soci assegnatari solo in godimento. I soci contribuiscono al finanziamento della costruzione e versano un canone di godimento, la cui determinazione viene indicata nei regolamenti della cooperativa. Poiché i soci non sono proprietari ma assegnatari nel passaggio dall'ICI all'IMU sono stati assimilati dalla legge ai possessori di seconda casa. Peraltro, anche i soci assegnatari possono beneficiare della detrazione base di 200 euro.

Si ricorda che tale definizione è contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro della solidarietà sociale, il Ministro delle politiche per la famiglia e il Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive del 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008, volto a recepire la decisione 2005/842/CE della Commissione europea riguardante l'applicazione dell'art. 86, paragrafo 2, del Trattato CE agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale. E’ quindi definito alloggio sociale l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie.

 

Il comma 5, infine, reca alcune agevolazioni per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per il personale appartenente alla carriera prefettizia. Per tale personale è possibile ottenere il riconoscimento di abitazione principale per l’immobile posseduto, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, e non concesso in locazione, anche in assenza delle condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica. Nel corso dell’esame parlamentare è stato precisato che tale agevolazione si applica a decorrere dal 1° luglio 2013 e a condizione che il fabbricato non sia accatastato come A/1, A/8 o A/9 (ovvero abitazioni di tipo signorile, ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

 

In relazione alle agevolazioni già esistenti, si ricorda che per quanto riguarda l’immobile posseduto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in strutture di ricovero o sanitarie a seguito di ricovero permanente, purché il bene non sia locato, nonché l’immobile posseduto nel territorio dello Stato da cittadini italiani non residenti in Italia, purché non locato, l’eventuale riconoscimento, a fini IMU, come abitazione principale, è rimesso ai singoli comuni. I comuni possono inoltre:

§       modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base (0,76%) sino a 0,3 punti percentuali nonché l'aliquota per l'abitazione principale e per le relative pertinenze (0,4%), in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti percentuali;

§       ridurre ulteriormente l'aliquota (già ridotta allo 0,2 per cento) per i fabbricati rurali ad uso strumentale fino allo 0,1 per cento;

§       ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario, ovvero nel caso di immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, ovvero nel caso di immobili locati;

§       disporre l'elevazione dell'importo della detrazione per l'abitazione principale, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune che ha adottato detta deliberazione non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.


 

Articolo 2, comma 5-bis
(Norma interpretativa in materia di fabbricati rurali)

 

5-bis. Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 13, comma 14-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell'articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, a decorrere dal terzo anno antecedente a quello di presentazione della domanda.

 

 

Il comma 5-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento in sede referente, reca l’interpretazione autentica dell'articolo 13, comma 14-bis del D.L. 201 del 2011 in materia di fabbricati rurali.

Più in dettaglio, si dispone che le domande di variazione catastale volte al riconoscimento della ruralità degli immobili (a fini ICI ed IMU), presentate ai sensi del D.L. 70 del 2011, nonché l’inserimento negli atti catastali della relativa annotazione, abbiano valenza retroattiva, dunque producano gli effetti previsti ai fini del requisito di ruralità a decorrere dal terzo anno antecedente alla presentazione della domanda stessa.

Tali effetti si sostanziano dunque nell’esenzione, per il periodo di riferimento dall’ICI.

 

Come accennato, il riconoscimento del requisito della ruralità degli immobili assume rilievo, in particolare, ai fini dell'individuazione degli immobili assoggettati all'imposta comunale sugli immobili – ICI e, dal 2012, anche dell’imposta municipale – IMU.

La disciplina ICI (articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 504 del 1992) qualifica come fabbricato soggetto all'imposta l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano. Sembrano pertanto esclusi dal pagamento dell'imposta i fabbricati per i quali ricorrono i requisiti di ruralità, di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 557 del 1993. A tal fine, è in particolare il comma 3 del citato articolo 9 a stabilire che i fabbricati o le porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare alcune condizioni tra le quali, tra l’altro, l’utilizzo dell’immobile per esigenze connesse all’attività agricola, le caratteristiche del terreno cui il fabbricato è asservito, il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo, fermo restando che i fabbricati ad uso abitativo “di lusso” (aventi cioè le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8 e gli altri requisiti di legge) non possono comunque essere riconosciuti rurali. Viene inoltre (successivo comma 3-bis dell’articolo 9) riconosciuto carattere di ruralità anche alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola destinate a particolari usi (protezione delle piante, conservazione dei prodotti agricoli, etc.). Ai sensi del comma 4, si considera altresì rurale il fabbricato che non insiste sui terreni cui l'immobile è asservito, purché entrambi risultino ubicati nello stesso comune o in comuni confinanti. Il legislatore, con norma di interpretazione autentica (articolo 23, comma 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2008) ha in seguito previsto esplicitamente che, ai sensi e per gli effetti dell'imposta comunale sugli immobili, non si considerano fabbricati le unità immobiliari per le quali ricorrono i predetti requisiti di ruralità. Tale disposizione è stata abrogata dall’articolo 13, comma 14 del D.L. 201 del 2011, dal momento che - come si vedrà in seguito - detti fabbricati rientrano nel campo applicativo dell’IMU. In materia è intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite n.18565 del 21 agosto 2009, nella quale si afferma che l'esclusione dall'ICI opera solo nel caso in cui il fabbricato rurale sia classificato catastalmente nella categoria A/6 (se fabbricato abitativo), o nella categoria D/10 (se si tratta di immobile strumentale). La Corte ha altresì stabilito che l'attribuzione di una diversa categoria catastale all'immobile deve essere impugnata specificamente dal contribuente che ritenga il fabbricato non soggetto all'imposta in quanto rurale, ovvero dal comune interessato, che dovrà impugnare l'attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l'assoggettamento del fabbricato all'imposta. Di conseguenza molti comuni, sulla scorta della pronuncia della Corte di Cassazione, hanno provveduto ad attivare le procedure volte a recuperare l'ICI relativa ai fabbricati che, seppure aventi caratteri di ruralità, non rispettano la classificazione catastale definita dalla Corte di cassazione.

Va altresì ricordato che attualmente la classificazione nella classe A/6 non è, di fatto, più utilizzabile, visto che vi rientrano i fabbricati privi, ad esempio, dei servizi igienici, mentre la classificazione nella classe D/10 - che pure sarebbe quella nella quale dovrebbero essere inseriti tutti i fabbricati strumentali all'attività agricola - non è utilizzata dall'Agenzia del territorio (ora Agenzia delle entrate), che opta generalmente per l'accatastamento in altre categorie.

Con la nota n. 10933 del 26 febbraio 2010 in materia di requisiti per il riconoscimento del carattere di ruralità dei fabbricati e disciplina ICI, l’Agenzia del territorio (confermando le precedenti direttive di prassi, emanate con la circolare n. 7 dei 15 giugno 2007 e concordanti con quelle dettate dagli altri competenti organi dell'Amministrazione finanziaria: Agenzia delle entrate, circolare n. 50 del 20 marzo 2000 e n. 38 del 12 agosto 2005; Agenzia delle entrate risoluzione n. 207/E del 6 agosto 2009; Dipartimento delle entrate, circolare n. 118/E del 7 giugno 2000) ha affermato che i requisiti necessari e sufficienti per il riconoscimento del carattere di ruralità di un immobile devono soddisfare quanto previsto al citato 9, commi 3 e 3-bis, del decreto legge n. 557 del 1993 e sono del tutto indipendenti dalla categoria catastale attribuita al medesimo immobile.

Al fine di dirimere la questione, il legislatore con l’articolo 7, commi da 2-bis a 2-quater del D.L. n. 70 del 2011 aveva introdotto una specifica procedura per la modifica della categoria catastale degli immobili, volta al riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati a fini fiscali, ai sensi dell’articolo 9 del D.L. 557/1993.

A tale scopo, le norme avevano richiesto la presentazione di un’apposita domanda di variazione della categoria catastale - entro il termine originariamente fissato al 30 settembre 2011 - all'Agenzia del territorio, con autocertificazione attestante che l’immobile abbia posseduto continuativamente per cinque anni i requisiti richiesti dalla legislazione vigente per il riconoscimento del carattere rurale. Era stato attribuito all’Agenzia del territorio, verificata l'esistenza dei requisiti, il compito di convalidare la certificazione e attribuire la categoria catastale richiesta. Nel caso di mancato pronunciamento dell’amministrazione in termini, le disposizioni consentivano al contribuente di assumere provvisoriamente (per 12 mesi) la categoria catastale richiesta. Con il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 14 settembre 2011 sono state emanate le modalità applicative ed è stata individuata la documentazione necessaria per la presentazione della certificazione per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati.

 

Per effetto dell’introduzione “sperimentale” dell’imposta municipale propria dal 2012 ad opera dell’articolo 13 del D.L. 201 del 2011, i fabbricati rurali risultano assoggettati all’IMU. Si rammenta tuttavia che l’articolo 1 del decreto in esame dispone che per essi non sia dovuta la prima rata dell’imposta per il 2013.

Se si tratta di fabbricati ad uso abitativo, essi scontano l’IMU nelle modalità ordinarie (dunque anche, ove ricorrano le condizioni di legge, secondo le disposizioni previste per l’abitazione principale). Per i fabbricati rurali strumentali, il già citato comma 8 dell’articolo 13 del D.L. n. 201/2011 prevede un’aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento. Accanto alle suindicate misura, l’articolo 9, comma 8 del d.lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) esenta dall’imposta i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, a condizione che siano ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

 

L’articolo 13, comma 14, lettera d-bis) del D. L. 201 del 2011 ha abrogato (dal 1° gennaio 2012) i richiamati commi da 2-bis a 2-quater dell’articolo 7 del D.L. 70 del 2011.

In relazione a tale disposizione, il successivo comma 14-bis dell’articolo 13, oggetto di interpretazione autentica con le norme in esame, ha stabilito che continuassero a produrre effetti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità le domande di variazione della categoria catastale presentate ai sensi del citato articolo 7, comma 2-bis del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, anche dopo il 30 settembre 2011 e fino alla data del 30 settembre 2012 (termine da ultimo così fissato dall’articolo 3, comma 19 del D.L. 95 del 2012, che ha modificato l’articolo 29, comma 8 del D.L. 216 del 2012), fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

Tale disposizione ha altresì demandato a una norma di rango secondario la determinazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità.

 

Ai sensi del successivo comma 14-ter, è fatto obbligo di dichiarare al catasto edilizio urbano i fabbricati rurali iscritti al catasto terreni entro il 30 novembre 2012, con le modalità stabilite dal regolamento in materia di l'automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari (decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701).

Sono esclusi da tale obbligo dichiarativo i fabbricati che non costituiscono oggetto di inventariazione (articolo 3, comma 3 del decreto del Ministro delle finanze del 2 gennaio 1998, n, 28); nelle more della presentazione della suddetta domanda di accatastamento nel catasto edilizio urbano (comma 14-quater), l’IMU viene corrisposta a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto. Le norme demandano ai Comuni la determinazione del conguaglio dell’imposta, a seguito di attribuzione di rendita catastale secondo quanto previsto dal citato D.M. n. 701 del 1994.

Infine, il comma 14-quater disciplina le conseguenze dell’eventuale inottemperanza all’obbligo di dichiarazione. In particolare in tal caso gli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell'interessato, alla iscrizione in catasto dell'immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando le risultanze del classamento e la relativa rendita (articolo 1, comma 336 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria 2005).

 

Il decreto ministeriale del 26 luglio 2012, recante l’individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità, ha previsto che la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producesse gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda per il riconoscimento di detto requisito.

 

Nell’interrogazione a risposta immediata in commissione 5-00188 Capelli, conclusa il 30 maggio 2013 presso la Commissione Finanze, è stato evidenziato come le commissioni tributarie provinciali abbiano fornito diversi orientamenti in relazione agli avvisi di accertamento inviati ai cittadini relativamente al pagamento dell'ICI dei fabbricati rurali; in particolare, alcune pronunce non hanno riconosciuto il carattere retroattivo alla norma contenuta nel decreto ministeriale del 26 luglio 2012, in quanto fonte di rango secondario rispetto alla norma primaria di cui all'articolo 13, comma 14-bis, che non fa invece menzione della valenza retroattiva.

Il Governo (nella persona del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri De Camillis) ha reputato opportuno ricostruire sistematicamente la portata della norma contenuta nell'articolo 7 del decreto ministeriale 26 luglio 2012 a cui si riferisce l'interrogante.

Ai sensi del citato articolo 7, comma 2, la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda.

Il Governo ha rilevato che, dal tenore letterale di tale disposizione, le domande prese in considerazione dalla norma sono quelle presentate ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge n.70 del 2011 (i cui effetti sono fatti salvi dalle citate disposizioni dei D.L. 201 e 216 del 2011); a tal proposito il Dipartimento delle Finanze ha evidenziato che la disposizione recata dal decreto ministeriale è fondata sulla norma di rango primario sopra riportata e, pertanto, non appare del tutto condivisibile la tesi sostenuta da una parte della giurisprudenza secondo la quale il carattere retroattivo della norma discenderebbe esclusivamente da un provvedimento di rango secondario.

Ciò posto, è stato rilevato come una disposizione normativa di natura interpretativa, finalizzata a chiarire la decorrenza degli effetti dell'inserimento dell'annotazione negli atti catastali, potesse avere indubbi vantaggi in termini di certezza delle posizioni giuridiche e di deflazione dell'eventuale contenzioso.

 

Per effetto delle norme in esame, dunque, le domande di variazione catastale volte al riconoscimento della ruralità degli immobili, presentate ai sensi del citato D.L. 70 del 2011, nonché l’inserimento negli atti catastali della relativa annotazione hanno valenza retroattiva: esse infatti producono gli effetti previsti ai fini del requisito di ruralità a decorrere dal terzo anno antecedente alla presentazione della domanda stessa. Tali effetti si sostanziano dunque nell’esenzione dall’ICI (alle suesposte condizioni di legge).

In relazione alle modifiche apportate con la disciplina in esame, sembrerebbe opportuno altresì un aggiornamento dei termini previsti dalla disciplina di rango secondario (articolo 7, comma 2, del citato DM 26 luglio 2012).


 

Articolo 3
(Rimborso ai comuni del minor gettito IMU)

 


1. Al fine di assicurare ai comuni delle Regioni a statuto ordinario e della Regione siciliana e della regione Sardegna il ristoro del minor gettito dell'imposta municipale propria di cui al comma 1 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, derivante dalle disposizioni recate dagli articoli precedenti, è attribuito ai medesimi comuni un contributo di 2.327.340.486,20 euro per l'anno 2013 e di 75.706.718,47 euro a decorrere dall'anno 2014.

2. Il contributo di cui al comma 1 è ripartito tra i comuni interessati, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in proporzione alle stime di gettito da imposta municipale allo scopo comunicate dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.

2-bis. Per i comuni delle regioni a Statuto speciale Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano a cui la legge attribuisce competenza in materia di finanza locale, la compensazione del minor gettito IMU derivante dalle disposizioni recate dagli articoli 1 e 2 avviene attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell'articolo 13, comma 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.


 

 

In considerazione delle disposizioni in materia di imposta municipale propria recate dai precedenti articoli 1 e 2, l’articolo 3 dispone il ristoro ai comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna del minor gettito che ad essi ne deriva, attraverso l’attribuzione ai medesimi comuni di un contributo di 2.327,3 milioni di euro per l'anno 2013 e di 75,7 milioni a decorrere dall'anno 2014.

Secondo quanto stimato nella Relazione tecnica, le disposizioni recate dagli articoli 1 e 2 del provvedimento determinerebbero una perdita complessiva di gettito per l’intero comparto dei comuni di importo pari a 2.422,1 milioni di euro per l’anno 2013 (di cui 2.396,2 milioni derivanti dall’abolizione della Ia rata IMU e 35,9 milioni derivanti dalle variazioni al regime dell’IMU determinate dall’articolo 2) e a 79,3 milioni dall’anno 2014.

Di tale importo complessivo, 2.327,3 milioni di euro nel 2013 e 75,7 milioni dall'anno 2014 riguarderebbero i comuni delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, che vengono a tal fine ristorati con l’assegnazione del contributo di cui al comma 1 dell’articolo in esame. Relativamente ai comuni delle regioni a statuto speciale diverse da Sicilia e Sardegna, il minor gettito IMU, stimato in complessivi 94,8 milioni nel 2013 e in 3,6 milioni a partire dall’anno 2014, verrebbe ristorato, secondo quanto riportato nella Relazione tecnica, attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell’articolo 13, comma 17, del D.L. n. 201/2011.

Il comma 2 rinvia ad un decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, il riparto del contributo tra i comuni interessati, da effettuarsi, secondo la norma, in proporzione alle stime di gettito dell’IMU comunicate a tal fine dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

Il comma 2-bis, inserito in sede referente, riguarda il recupero del minor gettito IMU nei comuni delle regioni a statuto speciale Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Com'è noto, l'ordinamento finanziario di questi enti – disciplinato dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione[1] - prevede che essi, oltre ad avere competenza legislativa esclusiva in materia di enti locali al pari delle regioni Sicilia e Sardegna, provvedano alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio, senza alcun apporto da parte dello Stato. In sostanza le fonti di finanziamento delle suddette regioni a statuto speciale, costituite dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali stabilite nelle norme statutarie, coprono anche il finanziamento degli enti locali. Si ricorda inoltre che l'IMU è stata istituita con legge dello Stato e si applica in tutti i comuni del territorio nazionale.

Il minor gettito IMU, 'rimborsato' ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna secondo quanto disposto dai commi 1 e 2 dell'articolo in esame, deve pertanto essere ristorato ai comuni delle altre regioni a statuto speciale in altra modalità, visto il diverso ordinamento finanziario. In quest'ultimo caso, infatti, sono le regioni che dovranno provvedere a rifondere il minor gettito ai comuni.

Per tale motivo la norma dispone che il ristoro del minor gettito IMU imputabile ai suddetti comuni dovrà avvenire attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell’articolo 13, comma 17, del D.L. n. 201/2011.

La norma citata dispone in relazione al maggior gettito ottenuto dai comuni in relazione alle modifiche alla disciplina IMU disposta dallo stesso articolo 13. In quel caso, la norma esplicita che le regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano allo Stato il recupero del maggior gettito imputabile ai comuni ricadenti nel proprio territorio, secondo quanto verrà disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali. Fino all'emanazione delle norme di attuazione il recupero è effettuato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, attraverso l'accantonamento di un importo pari al maggior gettito stimato.

Da tale accantonamento dovrà ora essere sottratta la quota complessiva per i quattro enti pari a 94,8 milioni per il 2013 e pari a 3,6 milioni a partire dall’anno 2014, come illustrato nella citata Relazione tecnica.


 

Articolo 4
(Riduzione dell'aliquota della cedolare secca
per contratti a canone concordato)

 

1. All'articolo 3, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, le parole: "è ridotta al 19 per cento" sono sostituite dalle seguenti: "è ridotta al 15 per cento".

2. Le disposizioni del comma 1 hanno effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013.

 

 

L’articolo 4 interviene sulla disciplina della cosiddetta “cedolare secca” introdotta dal decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, sul federalismo municipale, al fine di ridurre, per gli immobili locati a canone “concordato”, l’aliquota al 15% - in luogo dell’aliquota vigente pari al 19% - a decorrere dall’anno di imposta 2013.

 

Al fine di favorire il contrasto all’evasione fiscale nel settore delle locazioni, la disciplina della cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (in tema di federalismo fiscale municipale), prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 si consente ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. Si ricorda che l’art. 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998, oltre i contratti a canone libero prevede anche contratti a canone concordato o convenzionato o calmierato. In tal caso sono le associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini a stabilire le modalità di valutazione degli immobili residenziali e, per ogni tipologia individuata, a definire un canone minimo e massimo. Tali contratti, rispetto a quelli a canone libero (art. 2 comma 1), recano due differenze fondamentali: la prima riguarda la durata (tre anni più due di rinnovo automatico alla prima scadenza), la seconda il profilo economico, in quanto il canone concordato è inferiore alla misura dei canoni correnti di mercato dato che esso e le altre condizioni contrattuali devono conformarsi agli accordi sindacali stabiliti a livello territoriale. Inoltre, l’art. 8 prevede alcune agevolazioni fiscali per i proprietari di alloggi dati in locazione a canone concordato ubicati nei comuni ad alta densità abitativa (di cui all'art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551).

Sono escluse dall’ambito di applicazione le locazioni realizzate nell’esercizio di attività d’impresa, arti e professioni.

Oltre a severe sanzioni in caso di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) le misure suddette prevedono che, in caso di contratto a canone concordato, il locatore che opta per la cedolare secca non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.

 

Nel corso delle audizioni informali svoltesi presso la VI Commissione (Finanze) il 15 novembre 2012, Confedilizia e UPPI – Unione piccoli proprietari immobiliari hanno evidenziato i principali aspetti problematici relativi all’attuazione di tale nuova disciplina. In particolare, è stato rilevato come la ridotta differenza tra l’aliquota per i contratti concordati (19%) e per gli altri contratti abitativi (21%), alla luce delle agevolazioni IMU per i contratti concordati pressoché inesistenti rispetto all’ICI non facilitasse la diffusione dei contratti concordati che hanno sempre avuto la funzione di calmierare i canoni di locazione.

 

L’articolo 4, comma 74 della legge n. 92 del 2012 ha rideterminato le modalità di calcolo del reddito dei fabbricati imponibile ai fini IRPEF; in particolare, dal 2013 è diminuita dal 15 al 5 per cento la riduzione applicabile ai canoni dei fabbricati concessi in locazione, utile ai fini della determinazione del reddito imponibile IRPEF.

 

Si ricorda altresì che il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 4, commi 5-quinquies e 5-sexies) ha fissato al 35 per cento la riduzione applicabile per determinare il reddito da locazione imponibile a fini IRPEF e IRES degli immobili aventi interesse storico o artistico.


 

Articolo 5
(Disposizioni in materia di TARES)

 


1. Per l'anno 2013 il comune con regolamento di cui all'articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, da adottarsi entro il termine fissato dall'articolo 8 per l'approvazione del bilancio di previsione, può stabilire di applicare la componente del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi di cui all'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, diretta alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti tenendo conto dei seguenti criteri e nel rispetto del principio "chi inquina paga", sancito dall'articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti:

a) commisurazione della tariffa sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti comprensivo delle operazioni di riciclo, laddove possibile;

b) determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti;

c) commisurazione della tariffa tenendo conto, altresì, dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158;

d) introduzione di ulteriori riduzioni ed esenzioni, diverse da quelle previste dai commi da 15 a 18 dell'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’ISEE, e che prevedano esenzioni dei quantitativi di rifiuti avviati all'autocompostaggio, così come definito dal comma 1, lettera e), dell'articolo 183, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.

2. Il comma 19 dell'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è sostituito dal seguente: «19. Il consiglio comunale può deliberare ulteriori agevolazioni rispetto a quelle previste dai commi da 15 a 20 del presente articolo. La relativa copertura può essere disposta attraverso la ripartizione dell'onere sull'intera platea dei contribuenti, ovvero attraverso apposite autorizzazioni di spesa che non possono eccedere il limite del sette per cento del costo complessivo del servizio.

3. In ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ad esclusione dei costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori.

4. Il comune predispone e invia ai contribuenti il modello di pagamento dell'ultima rata del tributo sulla base delle disposizioni regolamentari e tariffarie di cui ai commi precedenti.

4-bis. Nel caso in cui il versamento relativo al 2013 risulti insufficiente, non si applicano le sanzioni previste in tale ipotesi, qualora il comune non abbia provveduto all'invio ai contribuenti dei modelli di pagamento precompilati in base all'applicazione delle disposizioni regolamentari e tariffarie di cui al presente articolo.

4-ter. Al comma 23 dell'articolo 14 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le parole: «dall'autorità competente» sono sostituite dalle seguenti: «dal consiglio comunale o da altra autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia».

4-quater. In deroga a quanto stabilito dall'articolo 14, comma 46, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.214 e al comma 3 del presente articolo, per l'anno 2013 il comune, con provvedimento da adottarsi entro il termine fissato dall'articolo 8 per l'approvazione del bilancio di previsione, può stabilire di continuare ad applicare il medesimo tributo o la medesima tariffa relativi alla gestione dei rifiuti urbani utilizzato nel 2012. In tale caso, è fatta comunque salva la maggiorazione prevista dall'articolo 14, comma 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché la predisposizione e l'invio ai contribuenti del relativo modello di pagamento. Nel caso in cui il comune continui ad applicare per l’anno 2013 la tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani (Tarsu), in vigore nell’anno 2012, la copertura della percentuale dei costi eventualmente non coperti dal gettito del tributo è assicurata attraverso il ricorso a risorse diverse dai proventi della tassa, derivanti dalla fiscalità generale del comune stesso.


 

 

L’articolo 5 reca norme in materia di tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), prevedendo che il comune può stabilire di applicare per l’anno 2013 la componente della Tares, diretta alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, secondo alcuni criteri legati alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie ed ai coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti per ogni categoria o sottocategoria omogenea, di fatto superando il rinvio ai criteri stabiliti dal D.P.R. 158/1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani.

 

L'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.

La tariffa, che è commisurata all’anno solare e deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:

§       una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti;

§       una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione;

§       i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche.

 

Con riguardo alla base imponibile sulla quale applicare il tributo, in seguito alle modifiche introdotte con la legge di stabilità 2013, è stata disposta l’applicazione a regime dei criteri del D.P.R. 158/1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Essa rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell’inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento. L’art. 3 del citato D.P.R. dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il D.P.R. 158/1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del D.Lgs. 22/1997 (ora abrogato), il D.P.R. ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile).

 

L’articolo 1-bis del decreto-legge n. 1 del 2013 aveva posticipato, per il solo anno 2013, al mese di luglio il termine di versamento della prima rata del tributo, precedentemente fissato al mese di aprile dalla legge di stabilità 2013, ferma restando la facoltà per il comune di posticipare ulteriormente tale termine.

Successivamente, l’articolo 10 del decreto legge 35 n. 2012 ha consentito ai comuni, per il solo anno 2013, di stabilire con propria deliberazione la scadenza e il numero delle rate di versamento del tributo; inviare ai contribuenti, per il pagamento delle prime due rate, i modelli di pagamento precompilati già predisposti per la Tarsu, la Tia 1 o la Tia 2; continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Per il solo 2013, la maggiorazione standard pari a 0,30 euro per metro quadrato – per la quale i comuni, nel 2013, non possono esercitare la facoltà di aumento fino a 0,40 euro – assegnata ai comuni ai sensi dell’articolo 14 del D.L. 201/2011, viene riservata allo Stato ed è versata in unica soluzione unitamente all’ultima rata del tributo, tramite il sistema dei versamenti unitari con compensazione con il modello F24, nonché tramite bollettino di conto corrente postale.

Infine, si estende, in analogia a quanto già previsto per la Tarsu (art.1, comma 3, del D.L. 26 gennaio 1999, n.8), l’esclusione dalla tassazione alle aree scoperte pertinenziali o accessorie di tutti i locali tassabili.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che, per l’anno 2013, il comune con regolamento di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, da adottarsi entro il 30 novembre 2013 (termine fissato dall’articolo 8 per l'approvazione del bilancio di previsione), può stabilire di applicare la componente del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e tenendo conto di alcuni criteri:

a)  commisurazione della tariffa sulla base delle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti; nel corso dell’esame in sede referente, è stato specificato che tale costo deve comprendere, laddove possibile, anche il costo delle operazioni di riciclo;

Si ricorda che ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. u), del D.Lgs. 152/2006 (Codice ambientale), con il termine “riciclaggio” si indica qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Il riciclaggio include il trattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento. Si ricorda altresì che l’Allegato C alla parte IV del medesimo decreto riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero.

b)  determinazione delle tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti;

c)  commisurazione della tariffa tenendo conto, altresì, dei criteri determinati con il citato regolamento di cui al DPR 27 aprile 1999, n. 158;

d)  introduzione di ulteriori riduzioni ed esenzioni, oltre a quelle previste dai commi da 15 a 18 dell’articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 che, secondo quanto chiarito in sede referente, tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’ISEE. Nel corso dell’esame in sede referente, è stato altresì specificata la necessità di prevedere esenzioni dei quantitativi di rifiuti avviati all'autocompostaggio, così come definito dal comma 1, lettera e), dell'art. 183, del D.Lgs. 152/2006.

Si ricorda che la citata lettera e) definisce “autocompostaggio” il compostaggio degli scarti organici dei propri rifiuti urbani, effettuato da utenze domestiche, ai fini dell’utilizzo in sito del materiale prodotto.

 

Con riguardo alle riduzioni tariffarie i commi da 15 a 18 attribuiscono al comune la facoltà di prevedere, con regolamento, riduzioni nella misura massima del trenta per cento, nel caso di:

a)    abitazioni con unico occupante;

b)    abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo;

c)    locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;

d)    abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero;

e)    fabbricati rurali ad uso abitativo.

Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, il tributo è dovuto in misura non superiore al quaranta per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. Inoltre, nella modulazione della tariffa sono assicurate riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche. Alla tariffa è poi applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.

 

La facoltà di disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, è attribuita a province e comuni dall’articolo 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997 salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.

 

Per quanto riguarda l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), l’articolo 5 del D.L. n. 201 del 2011 ha previsto l’introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, la ridefinizione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Sullo schema di D.P.C.M. (regolamento) la Conferenza Unificata nella seduta del 13 giugno 2013 ha sancito l’intesa. Le Commissioni parlamentari competenti della Camera (VI Finanze e XII Affari Sociali) hanno espresso parere favorevole il 6 agosto 2013.

 

Il comma 2 – interamente sostituito nel corso dell’esame referentesostituisce il comma 19 dell’articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 (che veniva invece abrogato nel testo originario del decreto-legge), che prevedeva l’iscrizione in bilancio delle riduzioni ed esenzioni come autorizzazioni di spesa e ne assicurava la copertura con risorse diverse dai proventi del tributo.

Il nuovo comma 19 dell'articolo 14 attribuisce quindi al consiglio comunale la facoltà di deliberare ulteriori agevolazioni rispetto a quelle sopra descritte e ne dispone la copertura attraverso la ripartizione dell'onere sull'intera platea dei contribuenti, ovvero attraverso apposite autorizzazioni di spesa che non possono eccedere il limite del sette per cento del costo complessivo del servizio.

 

Il comma 3 fa salva la previsione già contenuta nella norma istitutiva del tributo, secondo la quale in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, ricomprendendo anche i costi per lo smaltimento in discarica (costi di realizzazione e di esercizio dell'impianto, costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria e costi stimati di chiusura, nonché costi di gestione successiva alla chiusura) previsti dall'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, di attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti. Nel corso dell’esame in sede referente è stato specificato che da tali costi sono esclusi i costi relativi ai rifiuti speciali al cui smaltimento provvedono a proprie spese i relativi produttori.

Ai sensi dell’art. 184, comma 3, del D.Lgs. 152/2006 sono rifiuti speciali:

§      i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;

§      i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione e di scavo;

§      i rifiuti da lavorazioni industriali, artigianali, da attività commerciali, di servizio e sanitarie;

§      i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque, dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 14 del D.L. 201/2011, la TARES è istituita per la copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti (speciali) assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa pubblica. Il comma 10 del medesimo articolo ribadisce il citato principio affermando che “nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali”.

La norma in esame provvede quindi a specificare, in linea con quanto previsto dalla norma istitutiva del tributo, testé richiamata, l’esclusione dei rifiuti speciali (non assimilati).

La competenza ad individuare i rifiuti speciali assimilati agli urbani è attribuita, dall’art. 198 del D.Lgs. 152/2006, ai comuni, sulla base dei criteri definiti dallo Stato (ai sensi dell’art. 195 del medesimo decreto legislativo).

 

Ai sensi del successivo comma 4 il comune è autorizzato a predisporre e inviare ai contribuenti il modello di pagamento dell’ultima rata del tributo sulla base delle disposizioni regolamentari e tariffarie previste dall’articolo in commento.

 

Il nuovo comma 4-bis, inserito in sede referente, stabilisce che per l’anno 2013 non si applicano le sanzioni previste in caso di versamento insufficiente, qualora il comune non abbia provveduto all'invio ai contribuenti dei modelli di pagamento precompilati.

 

Il nuovo comma 4-ter, inserito in sede referente, con una modifica al comma 23 del citato articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, chiarisce che l’autorità competente ad approvare il piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso, è il consiglio comunale ovvero l’autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia (la norma vigente fa un generico riferimento alla “autorità competente”).

Il riferimento generico è dovuto al fatto che, in seguito alla soppressione (operata dal comma 186-bis dell'art. 2 della L. 191/2009) delle autorità d’ambito territoriale ottimale (a cui competeva, ai sensi dell’art. 203 del D.Lgs. 152/2006, l’approvazione del piano finanziario), ogni regione ha provveduto ad individuare, con propria legge regionale, l’organismo subentrante alle competenze delle soppresse autorità (d’ora in poi AATO).

Si ricorda che l’art. 203 dispone che i rapporti tra le AATO e i soggetti affidatari del servizio sono regolati da contratti di servizio, conformi ad uno schema tipo (adottato dalle regioni) che prevede, tra l’altro, i criteri per definire il piano economico-finanziario per la gestione integrata del servizio. Ai fini della definizione dei contenuti dello schema tipo citato, il comma 3 dell’art. 203 prevede che le AATO elaborino un programma degli interventi necessari, accompagnato da un piano finanziario indicante “in particolare, le risorse disponibili, quelle da reperire, nonché i proventi derivanti dall'applicazione della tariffa sui rifiuti per il periodo considerato”.

L’art. 238, comma 5, del medesimo decreto legislativo, che disciplina la tariffa rifiuti c.d. TIA2, prevede che le AATO approvano il piano finanziario e la relativa relazione redatta dal soggetto affidatario del servizio di gestione integrata.

 

Poiché il citato comma 23 dell’articolo 14 già attribuisce al consiglio comunale il compito di approvare le tariffe del tributo, l’approvazione del piano finanziario da parte del consiglio sembra risolversi in un doppio passaggio in consiglio comunale determinando, di fatto, una duplicazione di attività in capo ad un unico soggetto.

 

Il nuovo comma 4-quater, inserito in sede referente, consente ai comuni di continuare ad applicare il tributo (Tarsu) o la tariffa (Tia 1 o Tia 2) relativi alla gestione dei rifiuti urbani utilizzato nel 2012, derogando al comma 46 del citato articolo 14, del decreto-legge n. 201 del 2011, che aveva abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria.

 

L’art. 238 del D.Lgs. 152/2006 disciplina la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (“tariffa integrata ambientale” o Tia2) che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Contemporaneamente all’istituzione della Tia2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione della Tia1, vale a dire la precedente "tariffa Ronchi" (“tariffa d’igiene ambientale”, istituita dall’art. 49 del D.Lgs. 22/1997). L'attuazione della Tia2 è stata tuttavia differita fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, a tutt’oggi non ancora emanato. Nelle more è stata fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata.

 

Alcuni comuni, poi, applicano ancora la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (Tarsu, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), soppressa dall’art. 49, comma 1, del cd. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), a decorrere dai termini indicati dal D.P.R. 158/1999, entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini. Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi.

 

La norma contiene inoltre una deroga specifica all’obbligo di assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio (prevista dal comma 3 del presente articolo).

 

E’ fatta invece salva la maggiorazione di 0,30 euro per metro quadrato a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni (comma 13 dell'articolo 14) ed il comune è tenuto a predisporre e inviare ai contribuenti il relativo modello di pagamento.

 

Si ricorda al riguardo che per il solo 2013, tale maggiorazione – per la quale i comuni, nel 2013, non possono esercitare la facoltà di aumento fino a 0,40 euro – viene riservata allo Stato ed è versata in unica soluzione unitamente all’ultima rata del tributo, tramite il sistema dei versamenti unitari con compensazione con il modello F24, nonché tramite bollettino di conto corrente postale (articolo 10 del decreto legge n.35 del 2012).

 

Qualora il comune continui ad applicare per l’anno 2013 la Tarsu in vigore nell’anno 2012 la copertura dei costi eventualmente non coperti dal gettito è assicurata dalla fiscalità generale del comune stesso.

 

Occorrerebbe valutare la compatibilità di tale disposizione con il principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della Direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, citata anche nell’articolo in commento.


 

Articolo 6
(Misure di sostegno all’accesso all’abitazione
e al settore immobiliare)

 


1. All'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 7, è aggiunto il seguente:

"7-bis. Fermo restando quanto stabilito al comma 7, la Cassa depositi e prestiti S.p.A., ai sensi del comma 7, lettera a), secondo periodo, può altresì fornire alle banche italiane e alle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie, operanti in Italia e autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria, provvista attraverso finanziamenti, sotto la forma tecnica individuata nella convenzione di cui al periodo seguente, per l'erogazione di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali da destinare all'acquisto dell'abitazione principale, preferibilmente appartenente ad una delle classi energetiche A, B o C, e ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico, con priorità per le giovani coppie e le famiglie numerose. A tal fine le predette banche possono contrarre finanziamenti secondo contratti tipo definiti con apposita convenzione tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l’Associazione Bancaria Italiana. Nella suddetta convenzione sono altresì definite le modalità con cui i minori differenziali sui tassi di interesse in favore delle banche si trasferiscono sul costo del mutuo a vantaggio dei mutuatari. Ai finanziamenti di cui alla presente lettera concessi dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. alle banche, da destinare in via esclusiva alle predette finalità, si applica il regime fiscale di cui al comma 24;";

b) dopo il comma 8-bis, è aggiunto il seguente:

"8-ter. Fermo restando quanto previsto dai commi precedenti, la Cassa depositi e prestiti S.p.A. può acquistare obbligazioni bancarie garantite emesse a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali.".

2. La dotazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa, istituito dall'art. 2, comma 475 della legge n. 244 del 2007, è incrementata di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.

3. All'articolo 13, comma 3-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'articolo 2, comma 39, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, concernente l'istituzione del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "A decorrere dall'anno 2014, l'accesso al Fondo è altresì consentito anche ai giovani di età inferiore ai trentacinque anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all'articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92; a tal fine si applica la disciplina prevista dal decreto interministeriale di cui al precedente periodo. La dotazione del Fondo è incrementata di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.".

4. Al Fondo nazionale nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431, recante "Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo", è assegnata una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.

5. È istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei Comuni ad alta tensione abitativa che abbiano avviato, entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, bandi o altre procedure amministrative per l'erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le risorse assegnate al Fondo di cui al primo periodo sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con il medesimo decreto sono stabiliti i criteri e le priorità da rispettare nei provvedimenti comunali che dettano le condizioni di morosità incolpevole che consentono l'accesso ai contributi. Le risorse di cui al presente comma sono assegnate prioritariamente alle regioni che abbiano emanato norme per la riduzione del disagio abitativo che prevedono percorsi di accompagnamento sociale per i soggetti sottoposti a sfratto, anche attraverso organismi comunali. A tal fine le Prefetture adottano misure di graduazione programmata dell'intervento della forza pubblica nell'esecuzione dei provvedimenti di sfratto.

6. All'articolo 2, comma 23, primo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, le parole: "tre anni" sono sostituite dalle seguenti: "sei anni".


 

 

L’articolo 6 reca misure di sostegno all’accesso all’abitazione e al settore immobiliare, attraverso l’intervento della Cassa depositi e prestiti (comma 1), nonché attraverso il rifinanziamento del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (comma 2), del Fondo per l’accesso al credito per l'acquisto della prima casa (comma 3) e del Fondo nazionale di sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione (comma 4). Viene, altresì, istituito il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli (comma 5) ed è infine prorogato il termine per il completamento degli interventi di trasformazione edilizia, nelle aree ricomprese in piani urbanistici diretti all’attuazione di programmi di edilizia residenziale, al cui trasferimento si applica l’agevolazione dell’imposta di registro dell’1% (comma 6).

 

Più in dettaglio, il comma 1 introduce due strumenti di supporto al settore, attraverso l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti, che opererà:

§      mettendo a disposizione degli istituti di credito italiani, nonché delle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia e autorizzate all’esercizio dell’attività, una base di liquidità - mediante l’utilizzo dei fondi della raccolta del risparmio postale - per erogare nuovi finanziamenti espressamente destinati a mutui, garantiti da ipoteca, su immobili residenziali, da destinare – secondo le modifiche intervenute in sede referente - all'acquisto dell'abitazione principale, preferibilmente appartenente ad una delle classi energetiche A, B o C, e ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico, con priorità per le giovani coppie e le famiglie numerose.

La classe energetica globale dell’edificio, che è contrassegnata da una lettera, è l’etichetta di efficienza energetica attribuita all’edificio sulla base di un intervallo convenzionale di riferimento all’interno del quale si colloca la sua prestazione energetica complessiva. Possono coesistere delle maggiori specificazioni all’interno della stessa classe (ad esempio classe B, B+). Le classi A o A+, così come le B e le C indicano una casa nella quale il risparmio energetico è elevato.

Si ricorda, inoltre, che i principi della certificazione energetica degli edifici sono contenuti nel D.Lgs. 192/2005 attuativo della normativa europea sul rendimento energetico dell'edilizia. Tale decreto è stato modificato di recente con il D.L. 63/2013, che ha introdotto fra l'altro l'attestato di prestazione energetica (APE).

Per le finalità precedentemente citate le banche possono contrarre finanziamenti secondo contratti tipo definiti con apposita convenzione tra la Cassa depositi e prestiti S.p.A. e l’Associazione Bancaria Italiana; in sede referente è stato specificato che nella convenzione sono altresì definite le modalità con cui i minori differenziali sui tassi di interesse in favore delle banche si trasferiscono sul costo del mutuo a vantaggio dei mutuatari; per i finanziamenti in questione si applica il regime fiscale agevolato di cui al comma 24 dell’art. 5 del decreto legge n. 269/2003, ossia l’esenzione da tutte le imposte, tributi e diritti sugli atti relativi alle operazioni previste dalla disposizione in esame.

L’intervento viene disciplinato attraverso l’introduzione di un nuovo comma 7-bis all’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, che integra le funzioni della Cassa (vedi oltre);

§      acquistando obbligazioni bancarie garantite (covered bond) a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, per favorire la diffusione di tali strumenti presso le banche autorizzate al fine di aumentarne le disponibilità finanziarie per l’erogazione di finanziamenti ipotecari; anche in tal caso, si introduce un nuovo comma 8-ter al citato articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269.

 

L’articolo 5, comma 7, lettera a) del D.L. n. 269/2003 prevede, al primo periodo, che Cassa depositi e prestiti S.p.A. finanzi sotto qualsiasi forma, Stato, Regioni, enti locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, mediante l’utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta del risparmio postale, assistiti dalla garanzia dello Stato e anche mediante fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato.

In virtù dell’estensione dell’ambito di operatività di Cassa depositi disposto dall’articolo 22, comma 1, del D.L. n. 185/2008 (legge n. 2/2009), attraverso l’aggiunta di un secondo periodo al comma 7 del citato articolo 5 del D.L. n. 269, lutilizzo dei predetti fondi è peraltro consentito a CDP per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della Società, nei confronti dei soggetti istituzionali pubblici o promossa dai medesimi soggetti.

Si ricorda che le operazioni compiute da CDP attraverso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale e dei fondi provenienti da altre operazioni finanziarie ugualmente assistiti da garanzia dello Stato, avviene attraverso un sistema di cd. gestione separata ai fini contabili ed organizzativi, uniformato a criteri di trasparenza e di salvaguardia dell'equilibrio economico (comma 8 dell’articolo 5 del D.L. n. 269/2003). Cassa depositi finanzia inoltre in qualsiasi forma, opere, impianti, reti e dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle bonifiche, attraverso l’utilizzo di fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con raccolta esclusivamente presso investitori istituzionali (comma 7, lettera b) del medesimo articolo 5).

Si osservi che l’attività di Cassa depositi consistente nel fornire provvista agli istituti bancari – che la disposizione qui in esame inserisce, con finalità di sostegno alle politiche abitative, nelle attività istituzionali delle Società- è già comunque contemplata in altre norme, le quali dispongono che CDP fornisca provvista al sistema bancario con finalità di sostegno al tessuto produttivo o di sostegno alla ricostruzione di territori colpiti da situazioni di particolare criticità.

In proposito, si ricorda che il decreto legge n. 5 del 2009, all’articolo 3, comma 4-bis, ha stabilito che le operazioni compiute attraverso le risorse in gestione separata (dunque attraverso l’utilizzo dei fondi della raccolta postale e degli altri fondi garantiti dallo Stato) possono assumere qualsiasi forma, quale quella della concessione di finanziamenti, del rilascio di garanzie, dell’assunzione di capitale di rischio o di debito, e possono essere realizzate anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell’economia. Le predette operazioni possono essere effettuate in via diretta ovvero attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito, ad eccezione delle operazioni a favore delle piccole e medie imprese che possono essere effettuate esclusivamente attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio.

Cassa depositi ha pertanto messo a disposizione dei plafond a valere sulle risorse provenienti dalla gestione separata destinate in ultima istanza a favore delle piccole e medie imprese. Sulla base di specifici accordi con il sistema bancario italiano i plafond sono stati infatti utilizzati dagli istituti di credito per finanziare spese di investimento delle PMI, ovvero per coprire esigenze di incremento del loro capitale circolante; ovvero sono stati utilizzati per operazioni di acquisto da parte delle Banche di crediti vantati dalle PMI nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Inoltre, si ricorda che varie norme hanno previsto l’intervento di Cassa depositi sotto forma di provvista concessa ai sensi dell’articolo 5, comma 7, lettera a) del D.L. n. 269 agli istituti creditizi per finalità di finanziamento bancario di sostegno al tessuto sociale e produttivo di territori colpiti da calamità naturali. Tra esse, si richiama l’articolo 3, comma 3 del D.L. n. 39/2009 (legge n. 77/2009), il quale prevede che le banche operanti nei territori colpiti dal sisma nella regione Abruzzo dell’aprile 2009, possano contrarre finanziamenti con Cassa depositi nell’ambito di un plafond predefinito e messo a disposizione dalla predetta Società, per la concessione di finanziamenti assistiti da garanzia dello Stato ai privati per la costruzione, ricostruzione e riparazione dell’abitazione principale distrutta dal sisma.

Successivi analoghi interventi legislativi hanno poi previsto che CDP metta a disposizione delle banche ulteriori plafond finalizzati a finanziamenti bancari agevolati per la ricostruzione e al sostegno alle attività produttive dei territori colpiti da calamità. Si tratta in particolare, dell’articolo 3-bis del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) e dell’articolo 11, comma 7 del D.L. n. 174/2012 (legge n. 134/2012).

 

Quanto all’ambito di operatività di Cassa depositi attraverso le risorse della gestione separata, si ricorda inoltre che, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge n. 78/2009, Cassa partecipa con la SACE al sistema integrato di sostegno finanziario all’internazionalizzazione, cd. “Export-banca”. Le operazioni di internazionalizzazione assistite da garanzia o assicurazione SACE possono essere finanziate da CDP con le risorse provenienti dalla raccolta del risparmio postale, dall’emissione di titoli, dall’assunzione di finanziamenti o da altre operazioni finanziarie.

Infine, l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ha aggiunto un nuovo comma 8-bis all’articolo 5 del decreto legge n. 269/2003, il quale consente a CDP - ferme restando le modalità di gestione delle partecipazioni societarie previste dal comma 8 del medesimo articolo 5 - di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, livelli occupazionali, entità di fatturato e di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. Le predette società devono risultare in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico ed essere caratterizzate da adeguate prospettive di redditività.

Il terzo periodo del comma 8-bis, specifica che le predette partecipazioni in società di interesse nazionale possono essere acquisite dalla CDP anche attraverso veicoli societari, fondi di investimento partecipati dalla Società ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici. Qualora l’acquisizione delle partecipazioni da parte della CDP avvenga utilizzando risorse provenienti dalla raccolta postale, esse devono essere contabilizzate nella “gestione separata” della Società.

 

Le obbligazioni bancarie garantite, comunemente chiamate covered bonds, sono state disciplinate in Italia dalla legge 30 aprile 1999, n. 130 in materia di cartolarizzazione di crediti e dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (c.d. "decreto competitività"). Si tratta di particolari titoli obbligazionari emessi dalle banche che presentano un basso profilo di rischiosità grazie alle garanzie dalle quali sono accompagnati. La caratteristica essenziale è l’alto ammontare di garanzie (overcollateralization) e la segregazione degli attivi di qualità primaria su cui gli investitori possono rivalersi in caso di default della banca emittente. Altre caratteristiche importanti dal punto di vista in particolare degli investitori, sono la presenza di un organo di vigilanza pubblico sugli emittenti e la fornitura di un rating per tali titoli da parte di società specializzate che di norma, per i portafogli di attivi (cover pool) a garanzia della loro emissione, è superiore a quella assegnata alle obbligazioni bancarie ordinarie dello stesso emittente. L’emissione di obbligazioni bancarie garantite tuttavia non è estesa a tutte le banche, ma vi sono specifici requisiti quantitativi da soddisfare, secondo quanto stabilito nella più recente disciplina normativa con riferimento in particolare alle Disposizioni di vigilanza emesse dalla Banca d'Italia e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 2010.

 

Il comma 2 incrementa di 20 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2014 e 2015, la dotazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa.

Si ricorda che il Fondo, istituito dall'art. 2, comma 475, della legge n. 244 del 2007, consente la sospensione del pagamento delle rate per un massimo di 18 mesi, essendo a carico del fondo il pagamento della quota interessi legata al tasso di riferimento dovuta per il periodo della sospensione. Per effetto della sospensione la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione stessa; al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti. La dotazione iniziale del Fondo, ai sensi della citata legge finanziaria 2008, era di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente l’articolo 13, comma 20 del D.L. 201 del 2011 ha rifinanziato il Fondo con 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.

La legge di riforma del mercato del lavoro (articolo 3, commi 48 e 49 della legge n. 92 del 2012[2]) ha esteso le misure di sospensione a carico del Fondo anche a ulteriori tipologie di mutui; ha precisato le condizioni alle quali non può essere richiesta la sospensione delle rate; ha codificato in norma primaria le condizioni alle quali si accede ai benefici della sospensione e dell’intervento del Fondo, precedentemente recate dalle sole disposizioni di attuazione. Con decreto del 22 febbraio 2013, n. 37 (G.U. n. 86 del 12 aprile 2013), il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato il nuovo Regolamento recante modifiche al decreto 21 giugno 2010, n. 132 concernente norme di attuazione del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa. L'ammissione al beneficio, nel dettaglio, è subordinata al verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi riferiti al beneficiario, intervenuti successivamente alla stipula del contratto di mutuo: a) cessazione del rapporto di lavoro subordinato (ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, per raggiunti limiti di età con diritto alla pensione, di licenziamento per giusta causa e di dimissioni del lavoratore non per giusta causa); b) cessazione dei rapporti di lavoro di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione; c) morte o riconoscimento di handicap grave, ovvero di invalidità civile non inferiore all'80%. Rispetto alla normativa previgente, non è più ammissibile l'accesso al Fondo giustificato dal sostenimento di spese di spese mediche o di spese di ristrutturazione. L'accesso alle agevolazioni, inoltre, è subordinato al possesso di un reddito annuo non superiore ai 30 mila euro e per finanziamenti non eccedenti i 250 mila euro.

 

Il comma 3 estende, a decorrere dall’anno 2014, la platea dei beneficiari del Fondo per l’accesso al credito per l'acquisto della prima casa istituito dall'art. 13, comma 3-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, già operativo per le giovani coppie coniugate o i nuclei familiari anche monogenitoriali con figli minori (con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato), ai giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all’articolo 1 della legge n. 92 del 2012. Si presume che debbano intendersi così richiamate tutte le forme contrattuali atipiche previste dall’articolo 1 della legge 92/2012, vale a dire rapporto di lavoro a tempo determinato, accessorio, intermittente, a progetto e di somministrazione. L’estensione della platea di beneficiari viene stabilita attraverso l’aggiunta di un periodo al citato comma 3-bis dell’articolo 13 del decreto legge n. 112/2008, che precisa, altresì, che per tale finalità si applica la disciplina prevista dal decreto interministeriale di cui al precedente periodo, ossia il decreto che stabilisce i criteri di accesso al Fondo e le sue modalità di funzionamento. Un ulteriore periodo aggiunto al comma 3-bis dell’articolo 13 del decreto legge n. 112/2008 incrementa la dotazione del Fondo di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. L’originaria dotazione annuale di 30 milioni di euro è stata ridotta al fine di innalzare la disponibilità del Fondo locazioni (vedi comma 4).

Con il comma 3-bis dell’articolo 13 del decreto legge n. 112/2008, al fine di agevolare l’accesso al credito, a partire dal 1° settembre 2008, è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della gioventù, un Fondo per l’accesso al credito per l’acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Si demandava, inoltre, a un decreto del Ministro della gioventù, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza unificata la disciplina, fermo restando il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, dei criteri per l’accesso al Fondo e delle modalità di funzionamento del medesimo, nel rispetto delle competenze delle regioni in materia di politiche abitative.

Il decreto interministeriale 17 dicembre 2010, n. 256 (pubblicato nella G.U. 3 febbraio 2011, n. 27) reca il Regolamento del Fondo, che disciplina, per espressa previsione del citato comma 3-bis, i criteri per l’accesso al Fondo e le modalità di funzionamento del medesimo.

Ai sensi dell’articolo 2 di tale decreto, i mutui ammissibili alla garanzia del Fondo non devono superare 200.000 euro. I mutuatari devono avere alla data di presentazione della domanda di mutuo i seguenti requisiti:

§       età inferiore a 35 anni (anche per le coppie coniugate tale requisito deve essere soddisfatto da entrambi i componenti il nucleo familiare);

§       reddito complessivo rilevato dall'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 35.000 euro e non più del 50% del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF deve derivare da contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato;

§       non essere proprietari di altri immobili ad uso abitativo, salvo quelli di cui il mutuatario abbia acquistato la proprietà per successione a causa di morte, anche in comunione con altro successore, e che siano in uso a titolo gratuito a genitori o fratelli.

L'immobile da acquistare per essere adibito ad abitazione principale non deve rientrare nelle categorie catastali A1, A8 e A9 (vale a dire, le abitazioni di pregio) e non deve avere una superficie superiore a 90 metri quadrati. Nella concessione della garanzia viene data priorità ai casi nei quali l'immobile sia situato in aree a forte tensione abitativa e non deve avere le caratteristiche di abitazione di lusso.

Relativamente alle risorse del Fondo, si ricorda che la norma istitutiva, recata dal citato comma 3-bis dell’art. 13 del D.L. 112/2008, aveva previsto una dotazione per il solo triennio 2008-2010 (4 milioni di euro per il 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010).

Da ultimo, nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 6 settembre 2013 è stato pubblicato il decreto 24 giugno 2013, n. 103, recante la disciplina del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali.

 

Il comma 4 prevede il rifinanziamento del Fondo nazionale di sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione, istituito dalla legge n. 431/1998 recante la disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo.

Nel corso dell’esame in sede referente, il citato finanziamento è stato elevato dagli iniziali 30 a 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 (in conseguenza della riduzione del Fondo di cui al comma 3).

 

La norma in commento provvede ad integrare le risorse del Fondo (destinate alla concessione di contributi integrativi a favore dei conduttori appartenenti alle fasce di reddito più basse per il pagamento dei canoni di locazione) per il quale, prima dell’emanazione del decreto-legge, non vi era alcuno stanziamento di bilancio per il triennio 2012-2014.

Tale fondo era infatti stato inserito tra le possibili destinazioni previste dall’art. 1, comma 270, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), istitutivo del Fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili con una dotazione di 16 milioni di euro. Tuttavia il successivo decreto di riparto (recato dal D.P.C.M. 15 febbraio 2013, recentemente pubblicato nella G.U. 2 agosto 2013, n. 180) ha assegnato l’intero stanziamento in favore delle misure per favorire l’attività lavorativa dei detenuti.

Si ricorda che, ai sensi del comma 5 dell’art. 11 della L. 431, le risorse del Fondo vengono ripartite, entro il 31 marzo di ogni anno, tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, mediante decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sulla base dei criteri fissati dal D.M. 14 settembre 2005 ed in rapporto alla quota di risorse messe a disposizione dalle singole regioni e province autonome. L’ultimo decreto di riparto, relativo all’annualità 2011, è stato emanato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 4 agosto 2011 (G.U. 17 ottobre 2011, n. 242).

 

Il comma 5 interviene sulla questione della cosiddetta “morosità incolpevole” degli inquilini in difficoltà nel pagamento dell’affitto a causa di difficoltà temporanee, con l’istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di un Fondo di garanzia a copertura del rischio di morosità, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, le cui risorse sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

Lo stesso comma dispone che le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei comuni ad alta tensione abitativa dove siano già state avviate procedure per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli.

All'aggiornamento dell'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa provvede, ai sensi dell’art. 8, comma 4, della legge n. 431 del 1998, il CIPE con propria delibera, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con i Ministri dell'interno e della giustizia. Il CIPE ha aggiornato gli elenchi con una serie di delibere e, da ultimo, con delibera 13 novembre 2003, n. 87 e relativo allegato.

 

Relativamente al requisito dell’attivazione di procedure per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli, si fa notare che il testo iniziale del decreto-legge fa riferimento all’attivazione di bandi, ma durante l’esame in sede referente il testo è stato modificato al fine di considerare, quale requisito, l’avvio, entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, di bandi o altre procedure amministrative (per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli).

 

Nel corso dell’esame in sede referente sono state introdotte ulteriori disposizioni integrative volte a disciplinare i criteri per il riparto delle risorse del Fondo.

E’ stato infatti inserito un periodo che prevede l’assegnazione prioritaria delle risorse del Fondo alle regioni che abbiano emanato norme per la riduzione del disagio abitativo che prevedono percorsi di accompagnamento sociale per i soggetti sottoposti a sfratto, anche attraverso organismi comunali. A tal fine viene previsto che le Prefetture adottino misure di graduazione programmata dell'intervento della forza pubblica nell'esecuzione dei provvedimenti di sfratto.

Un ulteriore periodo aggiuntivo dispone che con il decreto interministeriale succitato sono stabiliti i criteri e le priorità da rispettare nei provvedimenti comunali che dettano le condizioni di morosità incolpevole che consentono l'accesso ai contributi.

 

Il comma 6 introduce un’ulteriore proroga di tre anni del termine per il completamento dell’intervento di trasformazione edilizia, al fine di consentire alle imprese che hanno acquistato un bene immobile (terreno edificabile o edificato) situato in area compresa in piani urbanistici diretti all’attuazione di programmi di edilizia residenziale di usufruire dell’agevolazione dell’imposta di registro ridotta all’1%.

 

Una prima proroga era stata introdotta originariamente dall’articolo 1, commi da 25 a 28, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 – legge finanziaria 2008, che prevedeva un termine di 5 anni per il completamento dell’intervento di trasformazione edilizia. Tale termine è stato poi prorogato di tre anni dall’articolo 2 comma 23 del decreto-legge n. 225 del 2010 (c.d. decreto “milleproroghe” 2011).

In particolare il comma 25 (inserendo un periodo all’articolo 1 della Tariffa, parte prima, del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al DPR 26 aprile 1986, n. 131) ha previsto l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota all’1 per cento agli atti di trasferimento di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale, comunque denominati, a condizione che l’intervento cui è finalizzato il trasferimento sia completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto.

Il comma 26 (modificando l’articolo 1-bis della Tariffa annessa al Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecarie e catastali, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347) ha disposto l’applicazione dell’imposta ipotecaria con aliquota al 3 per cento alla trascrizione di atti o sentenze che importano il trasferimento di proprietà o la costituzione o il trasferimento di diritti immobiliari attinenti ad immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati.

Il comma 28 ha disposto l’applicazione delle predette misure agli atti pubblici formati, agli atti giudiziari pubblicati o emanati nonché alle scritture private autenticate a decorrere dal 1° gennaio 2008.

L’articolo 2, comma 23, del decreto-legge n. 225 del 2010 ha prorogato di tre anni il termine, inizialmente fissato in cinque anni, entro il quale deve essere completato l'intervento cui è finalizzato il trasferimento di proprietà, nell'ipotesi in cui detto trasferimento abbia per oggetto immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati, al fine dell'applicazione dell'imposta di registro nella misura dell’1 per cento.

Il secondo periodo del comma in esame sposta all'anno 2005 – in luogo dell’anno 2008, come originariamente previsto dall’articolo 1, comma 28 della l. 244/2007 – il termine di riferimento per gli atti pubblici formati, per gli atti giudiziari pubblicati o emanati e per le scritture private autenticate cui si applicano le predette misure agevolative in materia di imposte indirette.


 

Articolo 7
(
Ulteriore anticipo di liquidità ai comuni)

 

1. Nelle more dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il Ministero dell'interno eroga, entro il 5 settembre 2013, ai comuni delle Regioni a statuto ordinario ed ai comuni della Regione siciliana e della regione Sardegna un importo di 2.500 milioni di euro, quale ulteriore anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale. L'importo dell'attribuzione, per ciascun comune, è quello riportato nell'allegato 1 annesso al presente decreto.

 

 

L’articolo 7 dispone l’erogazione ai comuni di un importo di 2,5 miliardi di euro, a titolo di anticipo – rispetto a quanto stabilirà un apposito DPCM ancora non emanato - su quanto spettante ai comuni medesimi a valere sul Fondo di solidarietà comunale istituito dalla legge di stabilità 2013.

 

La disposizione fa riferimento all’articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) che, modificando la previgente disciplina dell’imposta municipale propria (IMU) dettata dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo municipale[3] ha:

§      attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato;

§      soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal suddetto decreto legislativo (nonché il meccanismo dei trasferimenti erariali “fiscalizzati” per i comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna) ed istituito il Fondo di solidarietà comunale, che sarà alimentato con una quota dell'imposta municipale propria (IMU), di spettanza dei comuni;

§      stabilito la dotazione finanziaria del suddetto Fondo, che, come integrata dall’articolo 1, comma 120, della legge di stabilità medesima e come successivamente incrementata dall’articolo 10, comma 2, del D.L. n.35/2013[4], ammonta complessivamente a 6.701,4 milioni per il 2013 ed a 4.464,4 milioni per il 2014[5];

§      disposto che la quota di spettanza dei comuni mediante cui alimentare il nuovo Fondo, nonché, più in generale, i criteri di formazione e riparto dello stesso siano definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile 2013 per il 2013 ed entro il 31 dicembre 2013 per il 2014. In caso di mancato accordo, il DPCM è comunque emanato entro i 15 giorni successivi alle suddette scadenze. Il provvedimento dovrà inoltre tener conto, oltre che degli effetti finanziari derivanti dalla nuova destinazione del gettito IMU disposta dalla norma, di numerosi altri criteri, elencati nel comma 380 in commento, che qui non si dettagliano.

Poiché, nonostante la previsione legislativa che dispone comunque l’emanazione del D.P.C.M. entro i 15 giorni successivi alla scadenza dei termini sopradetti, il provvedimento non è stato finora emanato, l’articolo 7 in commento stabilisce che, in aggiunta al primo acconto già erogato nel febbraio 2013, sia corrisposto un ulteriore acconto per complessivi 2.500 milioni di euro, ripartito tra i singoli comuni secondo quanto riportato nell’allegato 1 al decreto-legge.

I comuni interessati sono tutti quelli delle regioni ordinarie, nonché quelli delle regioni Sicilia e Sardegna, come già previsto dal comma 380 (lettera e) della legge di stabilità 2013[6].

Si ricorda che il primo anticipo è stato erogato alla fine del mese di febbraio 2013, secondo quanto espressamente prescritto dall’articolo 1, comma 382, della legge 228 del 2012.

Tale norma dispone infatti che entro il 28 febbraio 2013 il Ministero dell'interno eroghi ai comuni delle Regioni a statuto ordinario ed ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna un importo, a titolo di anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale. L'importo dell'attribuzione è pari, per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, al 20 per cento di quanto spettante per l'anno 2012 a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio e pari al 20 per cento, per ciascun comune della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, di quanto spettante per l'anno 2012 a titolo di trasferimenti erariali.

L’importo complessivo di tale anticipo è stato pari a 1.566 milioni[7].

 

L’’ammontare complessivo dell’anticipo in esame viene determinato espressamente in norma (per 2.500 milioni), a differenza di quanto operato per il precedente anticipo corrisposto nel mese di febbraio, la cui quantificazione è stata effettuata sulla base degli specifici parametri dettati dall’articolo 1, comma 382, della legge 228/2012 (vale a dire il 20 per cento di quanto spettante per l’anno 2012); non sono esplicitati i criteri seguiti per determinare l’ammontare medesimo, nonché, conseguentemente, per effettuarne la distribuzione tra i comuni interessati.

Tali criteri sono al momento succintamente indicati solo nella relazione illustrativa, che si limita a precisare che gli importi stabiliti nell’allegato sono stati calcolati sulla base di una possibile distribuzione tra i comuni del Fondo, tendo conto sia del primo acconto che dei recuperi da operare sugli incapienti, vale a dire per quelli nei cui confronti l’assegnazione dal Fondo è negativa, e dà quindi luogo a recuperi (e che pertanto non sono inseriti nell’allegato stesso).


 

Articolo 8
(Differimento del termine per la deliberazione del bilancio
di previsione ed altre disposizioni in materia
di adempimenti degli enti locali)

 


1. Il termine per la deliberazione del bilancio annuale di previsione 2013 degli enti locali, di cui all'articolo 151 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, già differito al 30 settembre 2013, dall'articolo 10, comma 4-quater, lettera b), numero 1), del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è ulteriormente differito al 30 novembre 2013. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche agli enti in dissesto.

2. Per l'anno 2013, in deroga a quanto previsto dall'articolo 13, comma 13-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria, acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune.

3. Il termine per la redazione e la sottoscrizione della relazione di inizio mandato degli enti locali, il cui mandato consiliare ha avuto inizio in data successiva al 31 maggio 2013, è differito al 30 novembre 2013, in deroga al termine di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149.


 

 

L’articolo 8 reca tre diversi interventi, con riferimento all’anno 2013, su alcune disposizioni che interessano gli enti locali, prorogando al 30 novembre 2013 il termine per la deliberazione del bilancio di previsione per tale anno, stabilendo che per il 2013 le deliberazione e gli altri atti in materia di IMU acquistino efficacia a decorrere dalla data pubblicazione sul sito di ciascun comune ed, infine, differendo al 30 novembre 2013 il termine per la redazione della relazione di inizio mandato comunale e provinciale.

 

In particolare, il comma 1 reca una ulteriore proroga, rispetto a quelle già precedentemente intervenute, del termine per la deliberazione del bilancio di previsione 2013 degli enti locali, stabilendolo alla data del 30 novembre 2013.

 

Il termine in questione, stabilito a regime dall’articolo 151 del D.Lgs. n. 267/2000[8], al 31 dicembre dell’anno precedente l’esercizio finanziario, è stato differito per il 2013 una prima volta al 30 giugno ad opera dell’articolo 1, comma 381, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) e, successivamente, al 30 settembre dall’articolo 10, comma 4-quater, del decreto legge n. 35/2013[9].

L’ulteriore proroga disposta dal comma 1 in commento deriva dalla necessità di consentire agli enti locali di acquisire maggior certezza sull’entità delle proprie entrate, in considerazione delle numerose modifiche legislative – ivi incluse quelle contenute nel decreto legge in esame - finora intervenute in corso d’anno nella materia.

 

Con una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente, la disposizione di differimento dei termini per la deliberazione del bilancio di previsione si applica anche agli enti in dissesto.

Si ricorda che secondo la disciplina del dissesto prevista dal Titolo VIII, Capo IV del citato D.Lgs. n. 267/2000, il Consiglio dell’ente locale è tenuto a presentare al Ministro dell'interno, entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto di nomina dell'organo straordinario di liquidazione, un'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato (articolo 259[10]). L'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato è istruita dalla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, la quale, entro il termine di quattro mesi, esprime un parere sulla validità delle misure disposte dall'ente per consolidare la propria situazione finanziaria e sulla capacità delle misure stesse di assicurare stabilità alla gestione finanziaria dell'ente medesimo. In caso di esito positivo dell'esame la Commissione sottopone l'ipotesi all'approvazione del Ministro dell'interno che vi provvede con proprio decreto, stabilendo prescrizioni per la corretta ed equilibrata gestione dell'ente (articolo 261). A seguito dell'approvazione ministeriale dell'ipotesi di bilancio, l'ente deve provvedere entro 30 giorni alla deliberazione del bilancio dell'esercizio cui l'ipotesi si riferisce.

 

In virtù della modifica sopra commentata, dunque, agli enti dissestati si applicherebbe il termine del 30 novembre 2013 per la deliberazione del bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, in deroga alla ordinaria tempistica dettata dal D.Lgs. n. 267/2000, sopra richiamata.

 

Il comma 2, in deroga a quanto previsto dall'articolo 13, comma 13-bis, del D.L. n. 201 del 2011, stabilisce che per l’anno 2013 le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria, acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune.

 

Il comma 13-bis, inserito dall'articolo 4, comma 5, lett. l), del D.L. n. 16 del 2012, è stato successivamente sostituito dall’articolo 10, comma 4, lett. b), del D.L. n. 35 del 2013.

Il testo vigente (D.L. n. 35/2013) stabilisce che a decorrere dall'anno di imposta 2013, le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria devono essere inviati esclusivamente per via telematica, mediante inserimento del testo degli stessi nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale, per la pubblicazione nel sito informatico previsto dall'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 360 del 1998. I comuni sono, altresì, tenuti ad inserire nella suddetta sezione gli elementi risultanti dalle delibere, secondo le indicazioni stabilite dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze, sentita l'Associazione nazionale dei comuni italiani. L'efficacia delle deliberazioni e dei regolamenti decorre dalla data di pubblicazione degli stessi nel predetto sito informatico. La disposizione interviene inoltre in merito al versamento dell’IMU, stabilendo che la prima rata dell’IMU è eseguito sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente. Il versamento della seconda rata è eseguito, a saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata, sulla base degli atti pubblicati nel predetto sito alla data del 28 ottobre di ciascun anno di imposta; a tal fine il comune è tenuto a effettuare l'invio di cui al primo periodo entro il 21 ottobre dello stesso anno. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l'anno precedente.

 

Pertanto la disposizione contenuta al comma 2 in esame fissa per l’anno 2013 l’efficacia delle deliberazione di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria, a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune, anziché dalla data di pubblicazione degli stessi nel Portale di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo n. 360 del 1998 (cd. Portale del federalismo fiscale, a cura dell'Ufficio federalismo fiscale del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze www.finanze.it), fermo restando gli obblighi già previsti per gli enti dal predetto comma 13-bis.

 

Il comma 3 interviene in ordine all’istituto della relazione di inizio mandato per gli enti locali, prevista dall’articolo 4-bis al decreto legislativo n. 149/2011[11].

Tale articolo ha istituito la relazione di inizio mandato comunale e provinciale, con la quale ciascun ente locale verifica la propria situazione patrimoniale e finanziaria e la misura dell’indebitamento. La relazione deve essere predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro novanta giorni dall’inizio del mandato; sulla base delle risultanze di tale relazione l’ente locale interessato può ricorrere, sussistendone i presupposti, alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.

In deroga a tale disposizione, il comma 3 in commento dispone che per gli enti locali il cui mandato consiliare sia iniziato successivamente al 31 maggio 2013, il termine per la redazione e la sottoscrizione della relazione sia differito al 30 novembre 2013.

Non vengono fornite indicazioni circa la platea degli enti interessati dalla proroga, che, peraltro, dovrebbe essere costituita dalla quasi totalità degli enti locali nei quali si sono finora svolte le elezioni amministrative 2013. Poiché peraltro la deroga ha l’evidente finalità di concedere più temporispetto al termine ordinario di novanta giorni – agli enti il cui mandato è iniziato dopo la suddetta data del 31 maggio, è da ritenere che in caso di ulteriori elezioni nella restante parte dell’anno, benché anche in tal caso il mandato inizierebbe successivamente a tale data, dovrebbe tornare ad applicarsi il termine ordinario.


 

Articolo 9, commi 1-9-bis
(Modifiche del decreto legislativo n. 118/2011
sull’armonizzazione dei sistemi contabili)

 


1. Al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante "Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42", sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 36, comma 1, la parola: «due» è sostituita dalla seguente: «tre»;

b) all'articolo 38, comma 1, la parola: «2014» è sostituita dalla seguente: «2015».

2. Nel corso del terzo esercizio di sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, come modificato dal presente articolo, sono applicate le disposizioni previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 dicembre 2011 per l'esercizio 2013, unitamente:

a) al principio applicato della programmazione, adottato e aggiornato secondo le modalità previste dall'articolo 8, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 dicembre 2011;

b) alla sperimentazione di un bilancio di previsione finanziario riferito ad un orizzonte temporale almeno triennale che, nel rispetto del principio contabile dell'annualità, riunisce il bilancio annuale ed il bilancio pluriennale. In caso di esercizio provvisorio gli enti in sperimentazione trasmettono al tesoriere le previsioni del bilancio pluriennale 2013-2015 relative all'esercizio 2014, riclassificate secondo lo schema previsto per l'esercizio 2014;

c) all'istituzione del fondo crediti di dubbia esigibilità in contabilità finanziaria, in sostituzione del fondo svalutazione crediti.

3. Al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 dicembre 2011, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011 l'articolo 12 è abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2014.

4. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze la sperimentazione può essere estesa agli enti che, entro il 30 settembre 2013, presentano la domanda di partecipazione al terzo anno di sperimentazione. Gli enti di cui al presente comma provvedono al riaccertamento straordinario dei residui con riferimento alla data del 1° gennaio 2014, contestualmente all'approvazione del rendiconto 2013.

5. Con riferimento all'esercizio 2013, per gli enti in sperimentazione, la verifica del limite riguardante la spesa del personale di cui all'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni può essere effettuata con riferimento all'esercizio 2011.

6. All'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 4, sono inseriti i seguenti:

"4-bis. Per l'anno 2014, le disposizioni dell'articolo 20, commi 2, 2-bis e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, sono sospese.

4-ter. Per l'anno 2014, il saldo obiettivo del patto di stabilità interno per gli enti in sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 è ridotto proporzionalmente di un valore compatibile con gli spazi finanziari derivanti dall'applicazione del comma 4-quater e, comunque, non oltre un saldo pari a zero. Tale riduzione non si applica agli enti locali esclusi dalla sperimentazione ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 dicembre 2011, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011.

4-quater. Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dal comma 4-ter si provvede con le risorse finanziarie derivanti dalle percentuali di cui al comma 6 applicate dagli enti locali che non partecipano alla sperimentazione e mediante utilizzo per 120 milioni di euro del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e successive modificazioni. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.";

b) al comma 6, primo periodo, le parole: "Le province ed i comuni" sono sostituite dalle seguenti: "Per l'anno 2014, le province ed i comuni che non partecipano alla sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 applicano le percentuali di cui al comma 2, come rideterminate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze. Per i restanti anni, le province ed i comuni";

c) al comma 6, le parole: "di cui al periodo precedente" sono sostituite dalle seguenti: "di cui ai periodi precedenti".

7. Per gli enti locali in sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, per l'anno 2014, il limite del 40 per cento di cui all'articolo 76, comma 7, primo periodo del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è incrementato al 50 per cento.

8. Al comma 28 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo il terzo capoverso è aggiunto il seguente:

"Per gli enti locali in sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, per l'anno 2014, il limite di cui ai precedenti periodi è fissato al 60 per cento della spesa sostenuta nel 2009.".

9. All'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dopo il comma 450, è inserito il seguente:

"450-bis. Le regioni a statuto ordinario che hanno aderito alla sperimentazione di cui all'articolo 36, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, concorrono agli obiettivi di finanza pubblica avendo esclusivo riferimento all'obiettivo in termini di competenza eurocompatibile, calcolato sulla base di quanto stabilito dal comma 449 e successivi.".

9-bis. La giunta o l'organo esecutivo degli enti in sperimentazione approvano il rendiconto o il bilancio di esercizio entro il 30 aprile dell'anno successivo. Le Regioni approvano il rendiconto entro il 31 luglio dell'anno successivo, gli altri enti approvano il rendiconto o il bilancio di esercizio entro il 31 maggio dell'anno successivo.


 

 

L’articolo 9 reca alcune modifiche alla disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali recata dal D.Lgs. 23 giugno 2011, n.118, con riguardo in particolare ai tempi ed ai criteri concernenti la fase della sperimentazione del nuovo regime contabile. In particolare l’articolo prolunga di un anno la durata della la fase della sperimentazione del nuovo regime contabile e ne integra alcuni dei criteri già previsti. Dispone poi alcuni incentivi per gli enti che partecipano alla sperimentazione, con la previsione delle necessarie coperture finanziarie e, per le regioni in sperimentazione, prevede che esse concorrano agli obiettivi di finanza pubblica utilizzando il criterio della competenza eurocompatibile, introdotto dalla legge di stabilità 2013. Stabilisce infine, come modificato in sede referente, termini per l’approvazione del rendiconto degli enti territoriali in sperimentazione.

 

Emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42/2009, il decreto legislativo n.118/2011 prevede all’articolo 36, ai fini di una corretta entrata a regime della nuova disciplina contabile per gli enti territoriali dallo stesso recata, una fase sperimentale biennale per gli anni 2012 e 2013, decorsa la quale il nuovo sistema avrebbe avuto applicazione. Il decreto dispone conseguentemente, all’articolo 38, che i nuovi principi in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi strumentali (recati dal Titolo I del decreto legislativo[12]), con particolare riguardo all’adozione del bilancio di previsione annuale di competenza e cassa e della classificazione per missioni e programmi, si dovessero applicare a decorrere dal 2014.

Il comma 1 dell’articolo 54-ter pospone di un anno entrambe tali scadenze, stabilendo alla lettera a), che la fase sperimentale avrà durata triennale e, conseguentemente, alla lettera b), che i nuovi principi contabili si applicheranno a decorrere dal 2015.

La relazione illustrativa segnala come tale rinvio sia dovuto dalla complessità delle procedure di emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale, atteso che un apposito schema di decreto legislativo correttivo della disciplina della riforma contabile – consentito dall’articolo 36, comma 5[13] del D.Lgs. 118/2009 sulla base degli elementi che potessero emergere nella fase della sperimentazione - è già in avanzata fase di predisposizione.

In relazione all’ulteriore anno consentito dal comma 1, il comma 2 integra i contenuti della sperimentazione, prevedendo che nel terzo anno, ferme restando le disposizioni generali sulla sperimentazione medesima, come disciplinate dal D.P.C.M. del 28 dicembre 2011[14], siano sperimentate le più significative novità che dovranno essere recate dalla riforma, quali l’adozione del principio contabile applicato alla programmazione, un bilancio di previsione riferito ad un orizzonte temporale almeno triennale e l’istituzione, in luogo del vigente fondo svalutazione crediti[15], di un nuovo fondo denominato “Fondo crediti di dubbia esigibilità”.

Il comma 3 abroga l’articolo 12 del citato D.P.C.M. 28 dicembre 2011, che definisce e stabilisce le modalità di possibile utilizzo del risultato di amministrazione dell’esercizio finanziario annuale; l’abrogazione è disposta in considerazione dei nuovi contenuti stabiliti dal comma 2 dell’articolo 9 in commento per l’attività di sperimentazione, rispetto ai quali l’articolo 12 non risulta più coerente.

I commi 4 e 5 attengono agli enti che partecipano alla sperimentazione.

Secondo quanto prevede il comma 4 dell’articolo 36 sopradetto, tali enti devono essere individuati con appositi DPCM, secondo criteri che tengano conto della dimensione demografica e della collocazione geografica. All’individuazione si è proceduto con Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2012 e 29 marzo 2013, rispettivamente per l’anno 2012 e l’anno 2013.

Il primo di tali due D.P.C.M., vale a dire quello del 25 maggio 2012, nel sostituire un precedente D.P.C.M. del 28 dicembre 2011, individua ai fini della sperimentazione le regioni Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia e Sicilia, 12 province e 68 comuni, cui poi il successivo D.P.C.M. 29 marzo 2013 ne ha aggiunto uno ulteriore (per un totale, quindi, di 69 comuni).

In particolare il comma 4 dispone che la sperimentazione possa essere estesa agli enti che ne facciano domanda entro il 30 settembre 2013, mentre il comma 5 stabilisce che la verifica del limite per il 2013 sulla spesa per il personale – limite posto dall’articolo 1, comma 557, della L. n. 296/2006[16] - possa essere riferito all’esercizio 2011; ciò, precisa la relazione illustrativa, al fine di evitare agli enti in sperimentazione effetti negativi (correlati al mancato rispetto dei parametri per tale categoria di spesa) derivante dal nuovo principio di competenza da adottarsi durante il periodo di sperimentazione.

Il comma 6 interviene – modificando l’articolo 31 (relativo al patto di stabilità interno) della legge di stabilità per il 2012 (L. n. 183/2011) in ordine ai criteri di virtuosità degli enti territoriali ed introduce alcuni incentivi per i comuni che partecipazione alla sperimentazione.

In particolare:

§      vengono sospese - introducendo all’articolo 31 sopradetto un comma 4-bis - per l’anno 2014 le disposizioni recate dall’articolo 20, comma 2, 2-bis e 3 del D.L. n. 98 2011[17];

Il comma 2 stabilisce che con decreto del Ministro dell'interno gli enti locali e le regioni sono ripartiti in due classi, sulla base di dieci parametri di virtuosità elencati nel comma (convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard, rispetto del patto di stabilità interno, incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente ecc.), tra i quali, a norma del comma 2-bis, a decorrere dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dalla definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere gli enti territoriali, saranno compresi indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi. Il comma 3 prevede che gli enti locali che, in esito a quanto previsto dal comma 2, risultano collocati nella classe virtuosa, fermo restando l'obiettivo del comparto, conseguono un saldo obiettivo pari a zero e che la regioni che, in esito a quanto previsto dal medesimo comma 2, risultano collocate nella classe virtuosa, fermo restando l'obiettivo del comparto, migliorano i propri obiettivi del patto di stabilità interno per un importo derivante da alcuni criteri derivanti da specifiche disposizioni legislative[18]. Il comma 3 dispone altresì una specifica riduzione di 20 milioni per l’obiettivo di saldo degli enti che partecipano alla sperimentazione di cui all'articolo 36 del D.Lgs. 118/2011 sopracitato;

§      si prevede poi (introducendo un comma 4-ter all’articolo 31 in questione) per gli enti ammessi alla sperimentazione un incentivo consistente in una riduzione dell’obiettivo del patto di stabilità interno che, si dispone, “è ridotto proporzionalmente con un valore compatibile con gli spazi finanziari derivanti dall’applicazione del comma 4-quater” e comunque non oltre un saldo pari allo zero;

§      si introduce poi (sempre all’articolo 31 medesimo) un comma 4-quater, nel quale si prevede che alla compensazione degli effetti finanziari derivanti dal comma 4-ter che precede si provvede: a) con le risorse derivanti dall’applicazione delle percentuali sulla spesa corrente disposte dal comma 6 dell’articolo 31 (stabilite al fine dell’obiettivo di saldo finanziario del patto di stabilità e relative agli enti locali che risultano collocati nella classe non virtuosa) agli enti locali che non partecipano alla sperimentazione; b) mediante utilizzo per 120 milioni del Fondo previsto dall’articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154/2008[19];

§      infine si modifica il comma 6 dell’articolo 31 inserendo un periodo nel quale, alla luce dell’obiettivo specifico del patto di stabilità interno disposto dal comma 4-ter per gli enti locali che partecipano alla sperimentazione, si prevede che per il 2014 le percentuali sulla spesa corrente stabilite dal comma 2 del medesimo articolo[20]come rideterminate con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze” si applichino agli enti locali che non partecipano alla sperimentazione.

Le relazione illustrativa e tecnica allegate al decreto legge precisano che il sistema di incentivazione degli enti che partecipano alla sperimentazione, come disciplinata dai commi 4-bis, 4-ter e 6 ora illustrati, ha carattere oneroso, per complessivi 670 milioni nel 2014, 120 dei quali coperti a valere sull’apposito Fondo di cui al comma 4-quater, e 550 affidati, secondo quanto desumibile dal testo dei commi in commento, ad una modifica (operata, come detto, sulle percentuali di spesa corrente stabilite per gli enti locali dall’articolo 31, comma 2, della legge n. 183/2011) dell’obiettivo del patto di stabilità interno degli enti locali non in sperimentazione. Obiettivo che, precisa la sola relazione illustrativa, andrebbe aumentato dell’1 per cento.

In ordine al sopradescritto meccanismo, il cui impatto finanziario non è esposto in norma (tranne per la quota di oneri coperti sul Fondo di cui al comma 4-quater), va verificata l’idoneità – sia sotto il profilo contabile che per i profili ordinamentali – dello strumento costituito dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, cui viene affidato il compito di provvedere alla compensazione, a carico degli enti locali non in sperimentazione (vale a dire alla quasi totalità degli enti locali), degli oneri derivanti dall’incentivazione in favore degli enti sperimentatori.

I commi 7 ed 8 prevedono agevolazioni per l’anno 2014 per gli enti che partecipano alla sperimentazione, disponendo:

§      che gli enti locali nei quali l’incidenza delle spese di personale è inferiore al 50 per cento possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 50 per cento – anziché del 40 per cento come ora stabilito - della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente[21];

§      che per i medesimi enti il limite della spesa per procedere ad assunzioni a tempo determinato o con altri contratti di natura flessibile, stabilito nel 50 per cento della spesa per le medesime finalità sostenuta nell’anno 2009 sia innalzata, per il 2014, nel limite del 60 per cento.

Il comma 9, da ultimo, prevede che le regioni in sperimentazione concorrano agli obiettivi di finanza pubblica (vale a dire per quanto concerne il patto di stabilità per le regioni) in termini di competenza eurocompatibile, a norma dell’articolo 1, commi 499 sgg., della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012).

Tali norme, nel definire gli obiettivi del patto di stabilità per gli anni 2013 e successivi, fissano un tetto alle spese complessive e introducono, al posto del precedente criteri della cassa, una diversa modalità di calcolo[22] dell'insieme da considerare, definita competenza eurocompatibile (o saldo eurocompatibile). Le voci che costituiscono tale competenza sono:

a)   gli impegni di parte corrente al netto dei trasferimenti, delle spese per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;

b)   i pagamenti per trasferimenti correnti, per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;

c)   i pagamenti in conto capitale escluse le spese per concessione di crediti, per l'acquisto di titoli, di partecipazioni azionarie e per conferimenti.

 

Il comma 9-bis dell’articolo 9, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, riguarda i termini per l’approvazione del rendiconto e del bilancio di esercizio per gli enti locali e le regioni che partecipano alla fase di sperimentazione finalizzata alla corretta entrata a regime della nuova disciplina contabile.

In particolare, la norma dispone che il rendiconto o il bilancio di esercizio degli enti in sperimentazione sia:

§      approvato dalla Giunta o dall'organo esecutivo entro il 30 aprile dell'anno successivo (primo periodo);

§      approvato dalla Regione e dall’ente locale, rispettivamente, entro il 31 luglio e il 31 maggio dell'anno successivo (secondo periodo).

 

In merito alla formulazione della norma, si segnala che non risulta del tutto chiaro se entrambi i periodi della disposizione si applichino esclusivamente agli enti in sperimentazione, ovvero se il secondo periodo della disposizione intenda modificare i termini attualmente previsti dalla legislazione vigente per l’approvazione del rendiconto da parte delle regioni e degli enti locali, posto che tale periodo si riferisce alle “regioni” e “agli altri enti locali”. E’ tuttavia presumibile che, data l’unitarietà del disposto del comma 9-bis in commento, anche il secondo periodo si riferisca agli enti in sperimentazione, ma su tale aspetto appare opportuna una conferma.

La norma si pone come una disposizione a regime che innova rispetto alla legislazione vigente in materia, recata dall’articolo 18 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante la disciplina per l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali, il quale fissa al 30 aprile dell'anno successivo i termini per l’approvazione del rendiconto o del bilancio di esercizio da parte degli organi consiliari delle regioni e degli enti locali.

L’articolo 18 del citato D.Lgs. n. 118/2011 ha provveduto ad uniformare i termini per l’approvazione degli schemi contabili per le regioni, gli enti locali come individuati dall'articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni, nonché consorzi di enti locali), e gli enti e organismi strumentali delle regioni e degli enti locali[23]. In particolare, la norma dispone che tali enti approvino i documenti contabili nei termini seguenti:

a)       bilancio di previsione o budget economico entro il 31 dicembre dell'anno precedente;

b)      rendiconto o bilancio di esercizio entro il 30 aprile dell'anno successivo;

c)       bilancio consolidato entro il 30 giugno dell'anno successivo.

 

La norma, nel tener fermo il termine del 30 aprile dell'anno successivo per l’approvazione del rendiconto da parte della Giunta o dell'organo esecutivo, procede poi a rinviare, di un ulteriore mese per gli enti locali e di tre mesi per le regioni, il termine per l’approvazione del documento contabile da parte dei rispettivi organi consiliari.

La modifica dei termini di approvazione del rendiconto da parte degli enti in sperimentazione sembra da porre in relazione alla prossima adozione dello schema di decreto legislativo correttivo della disciplina dell’armonizzazione contabile – consentito dall’articolo 36, comma 5[24], del D.Lgs. n. 118/2011 sulla base degli elementi che possono emergere nella fase della sperimentazione – che, secondo quanto sottolineato nella Relazione illustrativa, risulta in avanzata fase di predisposizione.

La diversa estensione del periodo di prolungamento dei tempi per l’approvazione del rendiconto da parte delle regioni (tre mesi) rispetto a quello degli enti locali (un mese) sembra da mettere in relazione alla recente introduzione, da parte dell’articolo 1, comma 5, del decreto-legge n.174/2012[25], del giudizio di parificazione della Corte dei conti sui rendiconti regionali, secondo una procedura che richiede un congruo intervallo di tempo tra l’ approvazione del documento da parte dell’organo esecutivo e la successiva approvazione in sede consiliare.

Si rileva come le disposizioni recate dal comma 9-bis comportino una integrazione della disciplina sui termini di approvazione dei bilanci prevista dal decreto legislativo 118/2011, ed in particolare dall’articolo 18 dello stesso, senza però operarne una modifica espressa. In proposito va tuttavia considerata la circostanza, sopra evidenziata, che è in corso di predisposizione da parte del Governo uno schema di decreto correttivo del D.Lgs. 118/2011 suddetto, nel cui ambito, pertanto, è da presumere verranno operate più esaustivamente le necessarie modifiche allo stesso.


 

Articolo 9, comma 9-ter
(Controlli degli enti locali sulle società partecipate non quotate )

 


9-ter. Al comma 5 dell'articolo 147-quater del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, il primo periodo è sostituito dal seguente: « Le disposizioni del presente articolo si applicano, in fase di prima applicazione, agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti, agli enti con popolazione superiore a 50.000 abitanti per il 2014, e agli enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015, ad eccezione del comma 4 che si applica, per tutti gli enti locali, a decorrere dal 2015, secondo le disposizioni recate dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118».


 

 

Il comma 9-ter dell’articolo 9 novella l’articolo 147-quinquies, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, relativo ai controlli interni degli enti locali sulle società partecipate non quotate, ed è finalizzato a posticipare all’anno 2015, per tutti gli enti locali, il termine a decorrere dal quale vige per essi l’obbligo di rilevare mediante bilancio consolidato i risultati complessivi della gestione con le società partecipate e aziende.

 

La novella riguarda specificamente il comma 5, che individua la tempistica di operatività delle norme dell’articolo 147-quater, prevedendone un’applicazione graduale: agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.

In particolare, il suddetto comma 5 viene modificato per quanto concerne l’ambito temporale di applicazione della disposizione recata dal comma 4 dell’articolo 147-quater, precisando che l’obbligo di rilevazione mediante bilancio consolidato secondo la competenza economica dei risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate da esso partecipate, previsto nel comma 4 medesimo, si applichi a tutti gli enti locali, a decorrere dal 2015 sulla base delle disposizioni recate dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, che disciplina l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali.

Lo slittamento dei tempi è pertanto da mettersi in relazione alla previsione, contenuta nel citato D.Lgs. n. 118/2011, secondo la quale gli enti territoriali sono tenuti all’adozione di comuni schemi di bilancio consolidato con le proprie aziende ed organismi, da definirsi sulla base degli esiti del periodo di sperimentazione dell’armonizzazione contabile, che ai sensi dell’articolo 36, comma 5 del medesimo D.Lgs., come modificato dall’articolo 9 del decreto-legge in esame, ha la durata di tre anni a decorrere dal 2012 (anziché due anni come in precedenza previsto).

 

Si ricorda che l’articolo 147-quater prevede un sistema di controlli sulle società partecipate che deve essere definito secondo l’autonomia organizzativa dell’ente.

Le disposizioni dell’articolo 147-quater non si applicano né alle società quotate, né a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile[26].

A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti locali, si intendono le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, dunque non solo le società che emettono azioni quotate sui mercati regolamentati, ma anche le società che emettono altre tipologie di strumenti finanziari diverse dalle azioni, come ad esempio i titoli obbligazionari, purché quotati nei mercati regolamentati.

Ai fini del controllo, l’articolo dispone che l’amministrazione locale dovrà definire preventivamente, secondo standards qualitativi e quantitativi, gli obiettivi gestionali cui la partecipata non quotata deve tendere e dovrà organizzare un sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, e la situazione contabile, organizzativa e gestionale della medesima società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica.

Il monitoraggio sulle partecipate non quotate dovrà essere periodico e prevedere l’analisi degli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e le opportune azioni correttive, anche con riferimento ai possibili squilibri economico finanziari rilevati per il bilancio dell’ente locale.

I risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende non quotate partecipate sono rilevati mediante il bilancio consolidato, secondo il criterio della competenza economica.

L’applicazione dell’articolo 147-quater riguarda, come detto, gli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.

 

Si osserva che il controllo sulle società partecipate, i cui risultati, ai sensi del nuovo articolo 147-quater, dovranno essere rilevati mediante il bilancio consolidato, va letto alla luce dell’esigenza – ora sancita a livello costituzionale con la riforma dell’articolo 81 Cost. – di garantire l’equilibrio delle finanze pubbliche avendo riguardo all’intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, dunque anche a quegli enti o organismi, aventi natura privatistica, cui l’ente pubblico, Stato o ente locale, partecipa finanziariamente.

Tale esigenza è perseguita anche attraverso il controllo specifico sugli equilibri finanziari dell’ente, di cui all’articolo 147-quinquies del TUEL, al quale il controllo sulle società partecipate si lega e con il quale si interseca. La finalità del controllo è, infatti, quella di adottare le opportune azioni correttive anche con riferimento ai possibili squilibri economico finanziari rilevati per il bilancio dell’ente locale.

Sull’esigenza di rendere trasparenti e monitorare i rapporti finanziari tra ente e partecipate, il legislatore è più volte intervenuto.

In primo luogo, si ricorda che rientra tra i principi generali della disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali, contenuta nel D.Lgs. n. 118/2011[27] l’adozione da parte di essi di un bilancio consolidato da con le proprie aziende, società o altri organismi controllali, da adottarsi secondo uno schema comune a tutti.

Più recentemente, il D.L. n. 95/2011[28], è specificamente intervenuto sui rapporti tra ente territoriale e società da esso partecipata, prevedendo all’articolo 6, comma 4, l’obbligo per Comuni e province, a decorrere dall'esercizio 2012, di allegare al rendiconto della gestione una nota informativa sulla verifica dei crediti e debiti reciproci tra l'Ente e le società partecipate.

La nota, asseverata dai rispettivi organi di revisione, deve evidenziare analiticamente eventuali discordanze e ne fornisce la motivazione. In tale caso, il Comune o la Provincia adottano, comunque non oltre il termine dell'esercizio finanziario, i provvedimenti necessari ai fini della riconciliazione delle partite debitorie e creditorie[29].


 

Articolo 9, comma 9-quater
(Squilibrio finanziario nel trasporto pubblico regionale e locale )

 


9-quater All'articolo 25 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, al comma 11-quinquies, è aggiunto il seguente periodo: «Le regioni interessate, per le medesime finalità, nonché per il mantenimento dell'equilibrio di bilancio, possono, in alternativa, utilizzare le complessive risorse del proprio bilancio per i medesimi anni, ivi comprese le residue disponibilità derivanti dall'applicazione dell'accordo Stato-Regioni del 7 febbraio 2013, in materia di proroga dell'utilizzo, ove sussistenti, di economie di bilancio vincolate, fermi restando i limiti del patto di Stabilità interno».


 

 

Il comma 9-quater, introdotto nel corso dell’esame da parte delle commissioni riunite, integra le disposizioni in materia di rimozione dello squilibrio finanziario delle regioni nel trasporto pubblico regionale e locale, di cui all’articolo 25, comma 11-quinquies, del decreto-legge n. 69/2013. In particolare, si consente alle regioni, in alternativa al meccanismo di finanziamento a valere sulle risorse del fondo sviluppo e coesione previsto dal citato articolo 25, comma 11-quinquies, di destinare alla richiamata finalità della rimozione dello squilibrio finanziario, anche le complessive risorse di bilancio delle regioni, ivi comprese le disponibilità finanziarie derivanti dall’Accordo Stato-regioni del 7 febbraio 2013, fermi restando i limiti del patto di stabilità interno.

 

Si ricorda che l’articolo 25, comma 11-quinquies, del decreto-legge n. 69/2013 Il comma 11-quinquies, inserito nel corso dell’esame in sede referente, consente alle regioni interessate di predisporre, entro il 31 ottobre 2013, un piano di ristrutturazione del debito del settore del trasporto pubblico regionale e locale maturato fino al 31 dicembre 2012. Per il finanziamento del piano ciascuna regione interessata è autorizzata, previa delibera CIPE, ad utilizzare le risorse alla stessa assegnate, in base alla delibera CIPE n. 1 dell’11 gennaio 2011, sul fondo sviluppo e coesione (ex- fondo per le aree sottoutilizzate) per il cofinanziamento nazionale delle politiche di coesione dell’Unione europea (la delibera n. 1/2011 concerne Obiettivi, criteri e modalità di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013). Tali risorse possono essere utilizzate nel limite massimo concordato tra ciascuna Regione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro per le infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell’economia e delle finanze sulla base del Piano medesimo. Conseguentemente il CIPE provvederà alla riprogrammazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (per ulteriori approfondimenti vedi qui).

 

Con il richiamato accordo siglato in sede di Conferenza Stato-Regioni del 7 febbraio 2013,

è stato disciplinato il patto regionale verticale incentivato.

 

La disciplina del patto di stabilità interno prevede infatti che le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo obiettivo, consentendo un aumento dei pagamenti in conto capitale, e procedere contestualmente alla rideterminazione del proprio obiettivo di risparmio, in termini di competenza finanziaria e di competenza euro compatibile, per un ammontare pari all'entità complessiva dei pagamenti in conto capitale autorizzati, al fine di garantire – considerando insieme regione ed enti locali - il rispetto degli obiettivi finanziari.

Per favorire questa forma di flessibilità è stata prevista l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario, alla Regione siciliana ed alla Regione Sardegna di un contributo finanziario per gli esercizi 2012, 2013 e 2014.

A fronte dell’attribuzione alle regioni del contributo, queste si impegnano a cedere, ai comuni e alle province ricadenti nel proprio territorio, spazi finanziari da attribuire mediante le procedure che disciplinano il patto regionale verticale. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato esclusivamente alla riduzione del debito.

Gli spazi finanziari ceduti agli enti locali devono essere utilizzati dagli stessi per consentire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori. Si segnala che, con il patto regionale verticale, la regione potrà cedere ulteriori spazi ai singoli enti ovvero cedere spazi a nuovi enti richiedenti ma non ridurre gli spazi già ceduti con il patto verticale incentivato.

 

In particolare, l’accordo del 7 febbraio 2013 ha variato la ripartizione dell’importo del contributo di 800 milioni di euro disposta, per il patto regionale verticale incentivato, per gli anni 2013 e 2014 dalla legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012), secondo quanto stabilito dalla medesima legge di stabilità (art. 1, co. 122).

 

Occorre ricordare, tuttavia, che - come già avvenuto per il 2012 - le risorse attribuite alle regioni a statuto ordinario per l'incentivazione del patto regionalizzato verticale sono state messe a disposizione – dalle regioni stesse – per fare fronte al taglio di risorse disposto dal decreto legge 95 del 2012.


La tabella sottostante, ripresa dall’Accordo indica la ripartizione tra le regioni delle risorse prevista dall’accordo del 7 febbraio 2013:

 

 

 

 

Il decreto legge n. 35/2013 ha successivamente elevato le risorse per il patto regionale incentivato verticale a 1.272.006.281 euro complessivi per ciascuno degli anni 2013 e 2014. Il successivo Accordo in sede di Conferenza Stato-regioni dell’11 luglio 2013 ha quindi provveduto ad una nuova ripartizione delle risorse, come riportato nella successiva tabella.

 

Con il medesimo accordo le regioni a statuto ordinario hanno inoltre definito la ripartizione tra le stesse del taglio di risorse disposto dall'art. 16 del D.L. 95/2012 per complessivi 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014. In sostanza, come già avvenuto per il 2012, le risorse attribuite alle regioni a statuto ordinario per l'incentivazione del patto regionalizzato verticale sono state messe a disposizione – dalle regioni stesse – per il taglio di risorse disposto dal decreto legge 95 del 2012.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al riguardo, andrebbe quindi valutata l’opportunità di fare riferimento al più recente accordo in sede di Conferenza Stato-regioni dell’11 luglio 2013, anziché al precedente accordo del 7 febbraio 2013.


 

Articolo 10
(Rifinanziamento ammortizzatori in deroga per l’anno 2013)

 


1. Ferme restando le risorse già destinate dall'articolo 1, comma 253, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, mediante riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali comunitari 2007/2013 oggetto del Piano di azione e coesione, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, confluita nel Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, è incrementata, per l'anno 2013, di 500 milioni di euro da destinare al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga di cui all'articolo 2, commi 64, 65 e 66, della legge 28 giugno 2012, n. 92, da ripartirsi tra le Regioni tenendo conto delle risorse da destinarsi per le medesime finalità alle Regioni interessate dalla procedura di cui al citato articolo 1, comma 253 della predetta legge n. 228 del 2012, le quali concorrono in via prioritaria al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga nelle predette Regioni.

2. Le risorse del Fondo di cui al secondo periodo del comma 68 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247 decorrenti dall'anno 2014, come rideterminate ai sensi dell'articolo 1, comma 249 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si riferiscono allo sgravio contributivo di cui al comma 67 del predetto articolo 1 da riconoscere con riferimento alle quote di retribuzione di cui al medesimo comma 67 corrisposte nell'anno precedente. A decorrere dall'anno 2014 il decreto di cui al primo periodo del predetto comma 68 dell'articolo 1 della citata legge n. 247 del 2007 è emanato entro il mese di febbraio, ai fini di disciplinare, nei termini stabiliti dallo stesso comma 68, il riconoscimento dei benefici contributivi relativi alle quote di retribuzione di cui al comma 67 corrisposte nell'anno precedente.


 

 

L’articolo 10 detta norme volte al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (comma 1) e all’interpretazione della disposizione relativa all’utilizzo delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello (comma 2).

 

Il comma 1 dispone il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga previsti dall’articolo 2, commi 64-66, della L. 92/2012 (legge di riforma del mercato del lavoro, c.d. Legge Fornero) attraverso un incremento, per l’anno 2013, di 500 milioni di euro del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, mantenendo ferme le risorse già destinate alla medesima finalità dall’articolo 1, comma 253, della L. 228/2012 (Legge di stabilità 2013).

 

Per quanto concerne gli ammortizzatori sociali in deroga, si ricorda che da ultimo l'articolo 2, commi 64-66, della L. 92/2012 ha operato un'ampia revisione degli strumenti di tutela del reddito, in primo luogo attraverso la creazione di un unico ammortizzatore sociale (Aspi – Assicurazione sociale per l'impiego) in cui confluiscono l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione (ad eccezione di quella relativa agli operai agricoli). Il nuovo ammortizzatore amplia sia il campo soggettivo dei beneficiari, sia i trattamenti: in particolare, oltre all'estensione a categorie prima escluse (principalmente apprendisti), fornisce una copertura assicurativa per i soggetti che entrano nella prima volta nel mercato del lavoro (principalmente giovani) e per i soggetti che registrano brevi esperienze di lavoro. Si prevede, quindi, l'introduzione di una cornice giuridica per l'istituzione di fondi di solidarietà settoriali. Inoltre, viene confermata l'attuale disciplina per la Cassa integrazione ordinaria, mentre vengono apportate modifiche alla disciplina della Cassa integrazione straordinaria. Infine, si prevede la creazione di un nuovo strumento di sostegno del reddito per i lavoratori ultracinquantenni.

Al fine di garantire la transizione verso il nuovo sistema di ammortizzatori sociali (che entrerà a regime nel 2017), l'articolo 2, commi 64-66, della legge 92/2012 consente, per il periodo transitorio 2013-2016, la concessione di ammortizzatori sociali in deroga. In particolare, si prevede che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, possa disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di integrazione salariale e di mobilità.

Tali trattamenti sono concessi, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali, nei limiti delle risorse finanziarie a tal fine destinate nell'ambito del Fondo sociale per l'occupazione e formazione (di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008[30]) incrementato di 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, 700 milioni di euro per il 2015 e 400 milioni di euro per il 2016 (comma 65).

In particolare, l'articolo 2, comma 65, della L. 92/2012 ha disposto uno stanziamento volto a incrementare il Fondo sociale per l'occupazione e formazione di 1 miliardo di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, 700 milioni di euro per il 2015 e 400 milioni di euro per il 2016, mentre l'articolo 1, comma 253, della L. 228/2012, nel prevedere la possibilità di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga nelle Regioni, attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione, ha incrementato il Fondo sociale per l'occupazione e formazione, per il 2013, della parte di risorse relative al finanziamento, nelle medesime Regioni da cui i fondi provengono, degli ammortizzatori sociali in deroga.

Successivamente, l'articolo 1, commi 253-255, della L. 228/2012 ha disposto il finanziamento di ammortizzatori sociali in deroga nelle Regioni, in relazione a misure di politica attiva e ad azioni innovative e sperimentali di tutela dell'occupazione, attraverso specifici incrementi del Fondo sociale per l'occupazione e formazione. Più specificamente, il comma 253 ha previsto la possibilità di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga nelle Regioni, attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione. A tal fine il Fondo sociale per occupazione e formazione (di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del D.L. 185/2008), viene incrementato, per il 2013, della parte di risorse relative al finanziamento, nelle medesime Regioni da cui i fondi provengono, degli ammortizzatori sociali in deroga. La parte di risorse relative alle misure di politica attiva è gestita dalle Regioni interessate.

Da ultimo, l’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 54/2013, ha dettato norme per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (mantenendo ferme le risorse già destinate dall’articolo 2, comma 65, della legge n.92/2012 e dall’articolo 1, comma 253, della legge n.228/2012) e per la ridefinizione (con decreto interministeriale da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge) dei criteri per la loro concessione. Più specificamente, la lettera a) del comma 1 dell’articolo 4 (in considerazione del perdurare della crisi occupazionale e della prioritaria esigenza di assicurare adeguate tutele del reddito dei lavoratori), ha incrementato di 250 milioni il Fondo sociale per l’occupazione e formazione, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per lo sgravio contributivo dei contratti di produttività. La lettera b) del comma 1 dell’articolo 4, è volta ad accelerare il procedimento amministrativo di rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga già previsto dall’articolo 1, comma 255, della legge n.228/2012, prevedendo che le risorse derivanti dall’aumento contributivo di cui all’articolo 25 della legge n.845/1978[31], per l’anno 2013, siano versate all’INPS per un importo di 246 milioni di euro, ai fini della successiva riassegnazione al Fondo sociale per l’occupazione e formazione.

Il comma 2, infine, demanda ad un decreto interministeriale (del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze), previo parere della Conferenza Stato-regioni e sentite le parti sociali, da adottare entro 60 giorni (termine così modificato dalla legge di conversione 18 luglio 2013, n. 85) dalla data di entrata in vigore del decreto-legge[32], la determinazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati, dei criteri per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, con particolare riferimento ai termini di presentazione delle relative domande, a pena di decadenza, alle causali di concessione, ai limiti di durata e reiterazione delle prestazioni anche in relazione alla continuazione rispetto ad altre prestazioni di sostegno del reddito, alle tipologie di datori di lavoro e lavoratori beneficiari. Si prevede, inoltre, che l'INPS, sulla base dei decreti di concessione inviati telematicamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalle regioni, effettui un monitoraggio, anche preventivo, della spesa, rendendolo disponibile al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di verificare gli andamenti di spesa e poter conseguentemente intervenire nel settore con misure adeguate.

 

Il medesimo comma 1 dispone, altresì, che l’incremento di 500 milioni di euro del Fondo sociale per l’occupazione e la formazione debba ripartirsi tra le regioni tenendo conto delle risorse che devono essere destinate, per le medesime finalità, alle regioni che possono procedere al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga attraverso la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007/2013 oggetto del Piano di Azione e Coesione, sulla base di quanto disposto dal citato articolo 1, comma 253, della L. 228/2012.

 

Il comma 2 introduce una disposizione interpretativa circa l’utilizzo delle risorse del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello.

Più precisamente, si stabilisce che a decorrere dal 2014 le risorse del suddetto Fondo, istituito dall'articolo 1, comma 67, della L. 247/2007, sono utilizzate per il riconoscimento del relativo beneficio contributivo con riferimento alle quote di retribuzione, così come individuate dal medesimo comma 67, corrisposte nell’anno precedente.

 

Si ricorda che l’articolo 1, commi 67 e 68, della Legge 247/2007 ha disciplinato lo sgravio contributivo dei contratti di produttività.

Più precisamente, il comma 67 ha istituito il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il Fondo è volto a finanziare uno sgravio contributivo relativo alla quota di retribuzione imponibile, costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, caratterizzate da incertezza della corresponsione o dell'ammontare e correlazione, stabilita dal contratto medesimo, tra la struttura della quota di retribuzione e la misurazione di incrementi di produttività, qualità, nonché altri elementi di competitività, assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati.

Tale sgravio, fruibile su domanda delle imprese, è concesso sulla base dei seguenti criteri:

§       importo annuo complessivo delle erogazioni in oggetto ammesse allo sgravio entro il limite massimo del 5% della retribuzione contrattuale percepita (comma 67, lettera a));

§       determinazione dello sgravio, con riferimento alla quota di erogazioni di cui alla precedente lettera a), nella misura di 25 punti percentuali (comma 67, lettera b));

§       determinazione dello sgravio, sempre con riferimento alla quota di erogazioni di cui alla predente lettera a), in misura pari ai contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro sulla stessa quota di erogazioni di cui alla lettera a) (comma 67, lettera c)).

Il comma 68 rinvia ad un decreto interministeriale la disciplina delle modalità di attuazione dello sgravio sopra descritto anche con riferimento all'individuazione dei criteri di priorità sulla base dei quali debba essere concessa, nel rigoroso rispetto dei limiti finanziari previsti, l'ammissione al beneficio contributivo, e con particolare riguardo al monitoraggio dell'attuazione, al controllo del flusso di erogazioni e al rispetto dei tetti di spesa.

La misura massima percentuale della retribuzione di secondo livello oggetto dello sgravio contributivo, in attuazione dei richiamati commi 67 e 68, è stata individuata dal D.M. 7 maggio 2008 (per il 2008), dal D.M. 17 dicembre 20199 (per il 2009), dal D.M. 3 agosto 2011 (per il 2010), dal D.M. 24 gennaio 2012 (per il 2011) e dal D.M. 27 dicembre 2012 (per il 2012).

Si fa presente che lo sgravio contributivo dei contratti di produttività era inizialmente previsto in via sperimentale. Successivamente, le misure sono state dapprima prorogate al 2010 dall'articolo 5, comma 1, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, quindi al 2011 dall'articolo 1, comma 47 della legge 220/2010 e, infine, al 2012 dall'articolo 33, comma 14 della legge 183/2011. Da ultimo, è intervenuto l'articolo 4, comma 28, della legge 92/2012 (di riforma del mercato del lavoro), con il quale lo sgravio contributivo è stato reso permanente.

Si ricorda, infine, che il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, iscritto, come detto, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (cap. 4330), era inizialmente dotato, a legge di bilancio 2013-2015 (Legge 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012), di 500 milioni di euro per il 2013, di 607 milioni per il 2014 e di 599 milioni per il 2015.

 

In sostanza, la norma sembra precisare che la retribuzione cui far riferimento ai fini dell’erogazione del beneficio sia la cd. retribuzione contrattuale annua[33].

In merito, si ricorda che l’ISTAT definisce tale retribuzione come la “retribuzione annua ricalcolata, con riferimento agli stessi elementi di cui si tiene conto mensilmente nell’indice delle retribuzioni contrattuali, con l’inclusione degli importi erogati a titolo di arretrati e/o una tantum”.


 

Articolo 11
(Ampliamento della salvaguardia dai requisiti di
accesso al pensionamento)

 


1. Al comma 2-ter dell'articolo 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, dopo le parole: «31 dicembre 2011,» sono inserite le seguenti: «in ragione della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro medesimo ovvero». Restano in ogni caso ferme le seguenti condizioni per l'accesso al beneficio dell'anticipo del pensionamento da parte dei soggetti interessati che:

a) abbiano conseguito successivamente alla data di cessazione, la quale comunque non può essere anteriore al 1° gennaio 2009 e successiva al 31 dicembre 2011, un reddito annuo lordo complessivo riferito a qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, non superiore a euro 7.500;

b) risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla disciplina pensionistica vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 avrebbero comportato la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011.

2. Il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto nel limite di 6.500 soggetti e nel limite massimo di 151 milioni di euro per l'anno 2014, di 164 milioni di euro per l'anno 2015, di 124 milioni di euro per l'anno 2016, di 85 milioni di euro per l'anno 2017, di 47 milioni di euro per l'anno 2018 e di 12 milioni di euro per l'anno 2019. Ai fini della presentazione delle istanze da parte dei lavoratori, si applicano le procedure relative alla tipologia dei lavoratori di cui al comma 2-ter dell'articolo 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come definite nel decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 1° giugno 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 2012, e successivamente integrate dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 22 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 28 maggio 2013, con particolare riguardo alla circostanza che la data di cessazione debba risultare da elementi certi e oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie alle Direzioni Territoriali del lavoro, ovvero agli altri soggetti equipollenti individuati sulla base di disposizioni normative o regolamentari e alle procedure di presentazione delle istanze alle competenti Direzioni Territoriali del lavoro, di esame delle medesime e di trasmissione delle stesse all'INPS. L'INPS provvede al monitoraggio delle domande di pensionamento inoltrate dai lavoratori di cui al comma 1 che intendono avvalersi dei requisiti di accesso e del regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro e altresì provvede a pubblicare sul proprio sito internet, in forma aggregata al fine di rispettare le vigenti disposizioni in materia di tutela dei dati personali, i dati raccolti a seguito dell'attività di monitoraggio, avendo cura di evidenziare le domande accolte, quelle respinte e le relative motivazioni. Qualora dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico delle domande di pensione determinato ai sensi del primo periodo del presente comma, l'INPS non prende in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici previsti dalla disposizione di cui al comma 1.

3. I risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di cui al comma 18 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 confluiscono al Fondo di cui all'articolo 1, comma 235, primo periodo, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia per i lavoratori finalizzate all'applicazione delle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, ancorché gli stessi abbiano maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011. All'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole "e del decreto ministeriale di cui al comma 232 del presente articolo" sono sostituite dalle seguenti: "del decreto ministeriale di cui al comma 232 del presente articolo e delle ulteriori modifiche apportate al comma 2-ter dell'articolo 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14";

b) le parole: "959 milioni di euro per l'anno 2014, a 1.765 milioni di euro per l'anno 2015, a 2.377 milioni di euro per l'anno 2016, a 2.256 milioni di euro per l'anno 2017, a 1.480 milioni di euro per l'anno 2018, a 583 milioni di euro per l'anno 2019" sono sostituite dalle seguenti: "1.110 milioni di euro per l'anno 2014, a 1.929 milioni di euro per l'anno 2015, a 2.501 milioni di euro per l'anno 2016, a 2.341 milioni di euro per l'anno 2017, a 1.527 milioni di euro per l'anno 2018, a 595 milioni di euro per l'anno 2019".


 

 

L’articolo 11 contiene disposizioni concernenti i cd. lavoratori esodati.

 

La questione degli esodati trae origine dalla riforma pensionistica realizzata del Governo Monti (articolo 24 del D.L. 201/2011, c.d. riforma Fornero), che a decorrere dal 2012 ha sensibilmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso al pensionamento. La riforma, in particolare, ha portato a 66 anni il limite anagrafico per il pensionamento di vecchiaia; velocizzato il processo di adeguamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato (66 anni dal 2018); per quanto concerne il pensionamento anticipato, abolito il previgente sistema delle quote, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l’introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni.

Al fine di salvaguardare le aspettative dei soggetti prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici, la riforma ha dettato una disciplina transitoria, individuando alcune categorie di lavoratori ai quali continua ad applicarsi la normativa previgente, preordinando allo scopo specifiche risorse finanziarie. Tale platea comprende, in particolare, i lavoratori che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011; i lavoratori collocati in mobilità sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 (data di entrata in vigore della riforma) e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità; i lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore alla data del 4 dicembre 2011, nonché lavoratori per i quali sia stato previsto da accordi collettivi stipulati entro la data del 4 dicembre 2011 il diritto di accesso ai predetti fondi di solidarietà; i lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; i lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 si trovino in esonero dal servizio; i lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 sono in congedo per assistere figli con disabilità grave, a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito di anzianità contributiva di 40 anni.

L’insufficienza delle norme transitorie contenute nella legge di riforma, resasi evidente nei mesi successivi alla sua entrata in vigore (mesi che hanno visto crescere la protesta dei lavoratori che si sarebbero venuti a trovare senza stipendio e senza pensione), ha indotto il Governo e il Parlamento a rivedere la platea dei soggetti ammessi al pensionamento secondo la normativa previgente, estendendola a più riprese.

Con il D.M. 1° giugno 2012 sono state definite le modalità di attuazione del richiamato comma 14, nonché la determinazione del limite massimo numerico dei soggetti interessati ai fini della concessione dei benefici pensionistici di cui al comma 14 del medesimo articolo.

Dapprima, l’articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011 (c.d. decreto proroga termini) vi ha ricompreso anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto, in base ad accordi individuali, sottoscritti in data antecedente a quella di entrata in vigore della legge di riforma o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale, purché in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento entro un periodo non superiore a 24 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma.

Successivamente è intervenuto l’articolo 22 del D.L. 95/2012 (c.d. “spending review”), che ha ulteriormente incrementato la platea dei soggetti salvaguardati, rientranti in alcune categorie, ricomprendendovi altri 55.000 lavoratori.

Da ultimo, sulla materia è intervenuto l’articolo 1, commi 231-237, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), prevedendo che le disposizioni previgenti alla legge di riforma continuino a trovare applicazione anche nei confronti: dei lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità (ordinaria o in deroga) a seguito di accordi (governativi o non governativi) stipulati entro il 31 dicembre 2011 e che abbiano perfezionato i requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità o durante il periodo di godimento dell’indennità di mobilità in deroga, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014; dei lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, a condizione che perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 36° mese dalla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011 (con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011, ancorché abbiano svolto, successivamente alla medesima data del 4 dicembre 2011, attività lavorativa retribuita, comunque non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, entro il limite di 7.500 euro annui; oppure collocati in mobilità ordinaria alla data del 4 dicembre 2011, i quali avvieranno la contribuzione volontaria al termine della fruizione della mobilità ordinaria); dei lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 31 dicembre 2011, ancorché abbiano svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (a condizione che abbiano conseguito un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500 e perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2014); dei lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, debbano attendere il termine della fruizione stessa per poter effettuare il versamento volontario (a condizione che perfezionino i requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del D.L. 201/2011, e cioè entro il 6 dicembre 2014). Le modalità di attuazione sono contenute nel DM 22 aprile 2013 pubblicato sulla G.U. del 28 maggio 2013 (sul cui schema la Commissione speciale ha espresso il proprio parere il 3 aprile 2013). Le relative istruzioni operative sono contenute nella C.M. 5 giugno 2013, n. 19.

Per effetto dei ripetuti interventi del legislatore (ad esclusione del provvedimento in esame) è stata garantita copertura previdenziale ad un totale di poco più di circa 130.000 lavoratori (fino al 2014).

 

Il comma 1 prevede che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima dell'entrata in vigore del D.L. 201/2011, applicabili anche ai soggetti che maturino i requisiti entro il 31 dicembre 2011, a condizione che rispettino le condizioni previste dall'articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011, trovino applicazione anche nei confronti dei lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro medesimo.

 

L’articolo 6, comma 2-ter del D.L. 216/2011 ha differito al 30 giugno del 2012 il termine per l’emanazione del decreto ministeriale indicato all’articolo 24, comma 15, del D.L. 201/2011, recante le modalità di attuazione del beneficio previdenziale di cui al comma 14[34], consistente nell’applicazione del sistema delle decorrenze (cd. “finestre”) previgente alle disposizioni di cui al D.L. 201/2011 per particolari categorie di lavoratori, nei limiti di specifiche risorse.

Inoltre, sempre nel limite delle risorse e con le procedure previste dal medesimo comma 15, sono inclusi nell’ambito di coloro a cui continuano ad applicarsi le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici, oltre ai lavoratori già indicati al comma 14 attualmente in vigore, anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011 in ragione della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro medesimo ovvero, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter c.p.c.[35], o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. A tal fine:

§       la data di cessazione del rapporto di lavoro deve risultare da elementi certi ed oggettivi, quali le comunicazioni obbligatorie agli ispettorati del lavoro o altri equipollenti, indicati nel medesimo decreto ministeriale;

§       il lavoratore deve risultare, alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato il conseguimento del trattamento medesimo entro un periodo non superiore a 24 mesi alla data di entrata in vigore del più volte richiamato D.L. 201.

 

La disposizione prevede, altresì, che restino in ogni caso ferme le seguenti condizioni per l'accesso al beneficio dell'anticipo del pensionamento da parte dei soggetti interessati che:

§      abbiano conseguito successivamente alla data di cessazione, la quale comunque non può essere anteriore al 1° gennaio 2009 e successiva al 31 dicembre 2011, un reddito annuo lordo complessivo riferito a qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, non superiore a euro 7.500 (lettera a));

§      risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla disciplina pensionistica vigente prima della data di entrata in vigore del D.L. 201/2011 (cioè il 6 dicembre 2011) avrebbero comportato la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del richiamato D.L. 201/2011 (lettera b)).

 

Il comma 2 dispone che il beneficio é riconosciuto nel limite di 6.500 soggetti e nel limite massimo delle risorse appositamente stanziate (cioè 151 milioni di euro per il 2014, 164 milioni di euro per il 2015, 124 milioni di euro per il 2016, 85 milioni di euro per il 2017, 47 milioni di euro per il 2018 e 12 milioni di euro per il 2019).

Ai fini della presentazione delle istanze da parte dei lavoratori, si applicano le procedure relative alla tipologia dei lavoratori di cui all’articolo 6, comma 2-ter, del richiamato D.L. 216/2011 (vedi supra), come definite dal D.M. 1° giugno 2012 e dal D.M. 22 aprile 2013[36], con particolare riguardo alla circostanza che la data di cessazione debba risultare da elementi certi e oggettivi (quali le comunicazioni obbligatorie alle Direzioni Territoriali del lavoro), ovvero agli altri soggetti equipollenti (individuati da disposizioni legislative o regolamentari), nonché alla procedure di presentazione delle istanze alle competenti Direzioni Territoriali del lavoro, di esame delle medesime e di trasmissione delle stesse all'INPS.

 

Si osserva che la formulazione della norma non appare chiara in merito all’individuazione dei soggetti equipollenti e della relativa normativa.

 

L'INPS ha inoltre l’obbligo di provvedere al monitoraggio delle domande di pensionamento, nonché, come precisato nel corso dell’esame in Commissione, alla pubblicazione sul proprio sito internet - in forma aggregata al fine di rispettare le vigenti disposizioni in materia di tutela dei dati personali - dei dati raccolti a seguito dell'attività di monitoraggio, con evidenza delle domande accolte, respinte e relative motivazioni

Qualora dal monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico delle domande di pensione determinato ai sensi del primo periodo del presente comma, l'INPS non prende in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici in precedenza previsti.

 

Secondo quanto contenuto nella relazione tecnica allegata, la consistenza del limite massimo numerico nonché il profilo dei limiti di spesa annui sono stati determinati sulla base dei dati amministrativi INPS e tenuto conto che, stante i tempi e le procedure amministrative, le nuove pensioni così determinate dalle disposizioni in esame inizieranno a manifestare gli effetti di onerosità dall’inizio del 2014 nonché con un’ulteriore “coda” nel corso del 2015.

 

Il comma 3, infine, dispone che i risparmi di spesa complessivamente conseguiti a seguito dell'adozione delle misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di cui all’articolo 24, comma 18, del D.L. 201/2011[37], debbano confluire nel Fondo istituito dall'articolo 1, comma 235, primo periodo, della L. 228/2012, per essere destinati al finanziamento di misure di salvaguardia per i lavoratori, finalizzate all'applicazione delle disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del più volte citato D.L. 201/2011, ancorché gli stessi abbiano maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011.

 

L’articolo 1, comma 235, della L. 228/2012 ha istituito, al fine di finanziare interventi in favore delle categorie di lavoratori c.d. esodati (individuati dall’articolo 24, commi 14 e 15, del D.L. 201/2011, dall’articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011 e dall’articolo 22 del D.L. 95/2012), presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un apposito fondo con una dotazione di 36 milioni di euro per l'anno 2013. Le modalità di utilizzo del fondo sono stabilite con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro del lavoro e con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel richiamato fondo confluiscono anche le eventuali risorse individuate con la procedura di seguito indicata.

Qualora in sede di monitoraggio dell’attuazione dei decreti ministeriali del 1°giugno 2012 e del 5 ottobre 2012 (attuativi delle disposizioni di cui all’articolo 24, commi 14 e 15, del D.L. 201/2011, articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011 e articolo 22 del D.L. 95/2012, e del decreto ministeriale di cui al precedente comma 232 del medesimo articolo 1) vengano accertate a consuntivo eventuali economie aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati a legislazione vigente (oneri programmati pari, ai sensi del comma 15 dell’articolo 24 del D.L. 201/2011 e dell’articolo 22 del D.L. 95/2012 e del precedente comma 232, complessivamente a 309 milioni di euro per il 2013, 959 milioni di euro per il 2014, 1.765 milioni di euro per il 2015, 2.377 milioni di euro per il 2016, 2.256 milioni di euro per il 2017, 1.480 milioni di euro per il 2018, 583 milioni di euro per il 2019 e 45 milioni di euro per il 2020), esse sono destinate ad alimentare il fondo in precedenza richiamato. L’accertamento delle eventuali economie è effettuato annualmente con il procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Conferenza dei servizi). Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è disposta la conseguente integrazione del fondo in oggetto operando le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Lo stesso comma, inoltre, apporta alcune modifiche al richiamato articolo 1, comma 235, della L. 228/2012. Più specificamente:

§      si precisa che in sede di monitoraggio dell’attuazione dei decreti attuativi dei provvedimenti richiamati (vedi supra), effettuato allo scopo di accertate eventuali economie destinate al finanziamento del Fondo per gli esodati di cui all’articolo 1, comma 235, della L. 228/2012, si tenga conto anche delle modifiche apportate all’articolo 6, comma 2-ter, del D.L. 216/2011, dal precedente comma 1 dell’articolo in esame (lettera a));

§      vengono innalzati i massimali delle risorse per gli anni 2014-2019, con i seguenti nuovi importi: 1.110 milioni di euro (invece di 959) per il 2014; 1.929 milioni di euro (invece di 1.765) per il 2015; 2.501 milioni di euro (invece di 2.377) per il 2016; 2.341 milioni di euro (invece di 2.256) per il 2017; 1.527 milioni di euro (invece di 1.480) per il 2018, 595 milioni di euro (invece di 583) per il 2019 (lettera b)).


 

Articolo 12
(
Disposizioni in tema di detrazione di premi assicurativi)

 


1. In deroga all'articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, all'articolo 15, comma 1, lettera f), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le parole: "lire due milioni e 500 mila" sono sostituite dalle seguenti: "euro 630 per il periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013, nonché a euro 230 a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014".

2. Nel limite di euro 630 per il periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013, nonché di euro 230 a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, sono compresi i premi versati per i contratti di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni stipulati o rinnovati entro il periodo d'imposta 2000.


 

 

L’articolo 12 riduce il limite massimo di fruizione per la detraibilità dei premi di assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni a 630 euro per l’anno 2013 ed a 230 euro a decorrere dal 2014 (la legislazione vigente prevede un limite pari a 1.291,14 euro).

 

In particolare, il comma 1 modifica l’articolo 15 del Tuir in materia di detrazioni per oneri. Il comma 1 del predetto articolo 15 prevede che dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento di alcuni oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, tra i quali, alla lettera f), sono inclusi i premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente non inferiore al 5 per cento, ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana se l'impresa di assicurazione non ha facoltà di recesso dal contratto, per un importo complessivamente non superiore a lire 2 milioni e 500 mila (pari a 1.291,14 euro). Per i percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilato, si tiene conto, ai fini del predetto limite, anche dei premi di assicurazione in relazione ai quali il datore di lavoro ha effettuato la detrazione in sede di ritenuta.

La riduzione opera nelle seguenti misure:

§      da 1.291,14 euro a 630 euro per il periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013;

§      da 630 a 230 euro a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014.

 

In deroga al principio di irretroattività delle norme che impongono un prelievo fiscale (articolo 3 della legge 23 luglio 2000, n. 212 - statuto del contribuente), la disposizione si applica quindi anche per il periodo d’imposta in corso.

Il comma 2 estende tali limiti anche ai contratti di assicurazione sulla vita e contro gli infortuni stipulati o rinnovati entro il periodo d’imposta 2000.

 

Si ricorda infatti che il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, recante la riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare e dei prodotti assicurativi vita, ha introdotto un nuovo sistema fiscale applicabile esclusivamente ai contratti stipulati o rinnovati a partire dal 1° gennaio 2001, mentre per i contratti sottoscritti entro il 31 dicembre 2000 continua ad essere applicata, per l’intera durata del contratto, la vecchia normativa. Questi ultimi fruiscono della detrazione d’imposta del 19% per un importo complessivamente non superiore a 1.291,14 euro ai sensi del citato articolo 15 del Tuir.

Il regime fiscale introdotto con il D.Lgs. n. 47/2000, applicabile ai soli contratti stipulati dopo il 1° gennaio 2001, prevede invece che i per i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione aventi prevalente contenuto finanziario non è previsto alcun beneficio fiscale, in termini di detraibilità, in relazione ai premi versati. L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare del 20/03/2001, n. 29/E, ha dettato i chiarimenti sul nuovo regime.

I premi per i contratti stipulati o rinnovati sino al 31 dicembre 2000 danno diritto alla detrazione Irpef se riconducibili ad assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni. La detrazione è ammessa a condizione che il contratto abbia una durata non inferiore a 5 anni e non consenta la concessione di prestiti nel periodo di durata minima (5 anni). In presenza di tali due requisiti il diritto alla detrazione permane fino alla scadenza del contratto. Con la norma in esame anche a tali contratti è estesa la riduzione della detrazione spettante per il 2013 e dal 2014.

 

Si segnala, infine, che il Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale coordinato dal dott. Vieri Ceriani nella relazione finale presentata il 22 novembre 2011 ha classificato la detrazione per spese relative a premi assicurativi per morte, invalidità permanente, non autosufficienza come una misura a carattere sociale (misura n. 27).


 

Articolo 13
(Disposizioni in materia di pagamenti dei debiti degli enti locali)

 


1. Il comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è sostituito dal seguente:

«10. È istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, denominato "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili", con una dotazione di 16.546.595.894,20 euro per il 2013 e di 7.309.391.543,80 euro per il 2014. Il Fondo di cui al periodo precedente è distinto in tre sezioni a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio, denominati rispettivamente "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" con una dotazione di 3.411.000.000,00 euro per l'anno 2013 e di 189.000.000,00 euro per l'anno 2014, "Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari" con una dotazione di 5.630.388.694,20 euro per l'anno 2013 e di 625.598.743,80 euro per l'anno 2014 e "Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale", con una dotazione di 7.505.207.200,00 euro per l'anno 2013 e di 6.494.792.800,00 euro per l'anno 2014. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da comunicare al Parlamento, possono essere disposte variazioni compensative, in termini di competenza e di cassa, tra i predetti articoli in relazione alle richieste di utilizzo delle risorse. A tal fine, le somme affluite sul conto corrente di tesoreria di cui al successivo comma 11 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la riassegnazione ai pertinenti articoli del Fondo. È accantonata una quota, pari al 10 per cento, della dotazione complessiva della Sezione di cui all'articolo 2, comma 1, per essere destinata, entro il 31 marzo 2014, unitamente alle disponibilità non erogate in prima istanza alla data del 31 dicembre 2013 e con le medesime procedure ivi previste, ad anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti di cui all'articolo 2 richieste in data successiva a quella prevista dal predetto articolo 2, comma 1, e, comunque, non oltre il 28 febbraio 2014.».

2. L'anticipazione concessa dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. agli enti locali, ai sensi del comma 13 dell'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, può essere erogata a saldo, nell'anno 2013, su richiesta dell'ente locale beneficiario. I criteri e le modalità di accesso all'erogazione sono definiti sulla base dell'Addendum di cui al comma 11 dell'articolo 1, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 e secondo un atto, il cui schema è approvato con decreto del Direttore generale del Tesoro e pubblicato sui siti internet del Ministero dell'economia e delle finanze e della Cassa depositi e prestiti S.p.A., modificativo del contratto di anticipazione originariamente stipulato.

3. L'erogazione di cui al comma 2 è restituita con le modalità di cui al comma 13, dell'articolo 1, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 mediante rate annuali, corrisposte a partire dall'anno 2015. Il tasso di interesse da applicare all'erogazione è pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a 5 anni in corso di emissione rilevato dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro alla data della pubblicazione del presente decreto e pubblicato sul sito internet del medesimo Ministero. In deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, ai fini dell'ammortamento dell'erogazione di cui al periodo precedente, il pagamento della prima rata, comprensivo degli interessi per un'annualità, è effettuato il 1° febbraio 2015.

4. L'anticipazione per l'anno 2014 di cui al decreto del Ministero delle economia e delle finanze 14 maggio 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2013, sulla base dell'Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni il 9 maggio 2013, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35", può essere erogata, su richiesta delle Regioni interessate, nell'anno 2013. In deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, ai fini dell'ammortamento delle anticipazioni di liquidità di cui al periodo precedente, il pagamento della prima rata, comprensivo degli interessi per un'annualità, è effettuato il 1° febbraio 2015.

5. Resta fermo quanto disposto dal comma 14 dell'articolo 1 e dal comma 5 dell'articolo 2 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

6. Le regioni possono presentare domanda di accesso anticipato a quota parte delle risorse da assegnarsi con il procedimento di cui al comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64 entro e non oltre il termine del 15 settembre 2013 e fino ad un importo pari all'80% delle somme singolarmente assegnate con i decreti direttoriali del Ministero dell'economia e delle finanze del 16 aprile 2013 e del 2 luglio 2013 in attuazione dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 35 del 2013 e dell'articolo 3-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.

A tal fine le regioni interessate devono assicurare:

a) idonee e congrue misure di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità così come individuate dall'articolo 3, comma 5, lettera a), del decreto-legge n. 35 del 2013;

b) la presentazione di un piano dei pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili cumulati alla data del 31 dicembre 2012 non ricompresi nel piano dei pagamenti predisposto ai sensi dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 35 del 2013. Resta fermo quanto disposto dal secondo periodo dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 35 del 2013;

c) il pagamento entro il 31 dicembre 2013 dei debiti inseriti nel piano dei pagamenti di cui alla lettera b) del presente comma.

7. La documentazione necessaria ai fini di cui al comma 6 deve essere presentata dalle regioni entro il termine del 10 ottobre 2013 e è verificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali in tempo utile a consentire la stipulazione dei contratti di prestito entro il 20 ottobre 2013. Per le finalità di cui al presente comma, in deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 35 del 2013, ai fini dell'ammortamento delle anticipazioni di liquidità, il pagamento della prima rata, comprensivo degli interessi per una annualità, è effettuato il 1° febbraio 2015.

8. La dotazione del "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili" di cui al comma 10 dell'articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, è incrementata, per l'anno 2014, di 7.218.602.175,20 euro, al fine di far fronte ad ulteriori pagamenti da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine.

9. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Unificata, da adottare entro il 28 febbraio 2014, sono stabiliti la distribuzione dell'incremento di cui al comma 1 tra le tre Sezioni del "Fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili" e, in conformità alle procedure di cui agli articoli 1, 2 e 3 del decreto-legge n. 35 del 2013, i criteri, i tempi e le modalità per la concessione alle Regioni e agli enti locali delle risorse di cui al medesimo comma 1.


L’articolo 13 interviene in materia di pagamenti dei debiti nei confronti delle imprese da parte degli enti territoriali, rideterminando le risorse del relativo Fondo per assicurare liquidità per i pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili, stanziate dal D.L. n. 35/2013 per far fronte agli interventi in esso previsti: il Fondo viene, in particolare, incrementato di 7,2 miliardi per il 2013 e contestualmente ridotto del medesimo importo per il 2014.

Nel contempo, per far fronte a pagamenti ulteriori rispetto a quelli soddisfatti con il D.L. n. 35/2013 – la norma incrementa il predetto Fondo di 7,2 miliardi di euro per il 2014. Vengono altresì dettate disposizioni volte a consentire la concessione di ulteriori anticipazioni per il pagamento dei debiti sanitari da parte delle regioni, rispetto a quanto già previsto nel D.L. 35/2013, a valere sulle somme spettanti alle stesse a titolo definitivo.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo 13 ridetermina la dotazione del Fondo per assicurare liquidità per pagamenti certi liquidi ed esigibili degli enti territoriali, istituito dall’articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013) nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze, incrementandolo di 7.218,6 milioni di euro per l’anno 2013 e contestualmente riducendolo del medesimo importo per l’anno 2014.

Inoltre, il comma interviene sulla tempistica delle anticipazioni effettuate a valere sull’accantonamento del 10 per cento della dotazione della Sezione del Fondo per debiti non sanitari di regioni e province autonome, disponendone lo slittamento al 2014.

A tale fine, la norma dispone l’integrale sostituzione del citato comma 10 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013.

Si ricorda che l’articolo 1 comma 10 del D.L. decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (legge n. 64/2013) ha previsto l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze di un Fondo con obbligo di restituzione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti territoriali.

La dotazione del Fondo - disposta dal medesimo comma 10 nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del provvedimento qui in esame - era pari a 9,328 miliardi di euro per il 2013 e di 14,528 miliardi per il 2014.

Il Fondo è distinto in tre sezioni (a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio), “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali”, gestita da Cassa depositi e prestiti (cfr. infra), “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari”, “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale”. Tali ultime due sezioni sono gestite direttamente dal MEF.

In particolare, il comma 1 in esame, per le tre Sezioni in cui il Fondo è articolato:

§      incrementa di 1.611 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014 lo stanziamento della Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali,

§      incrementa di 3.102,5 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014, le risorse della Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari;

§      incrementa di 2.505,2 milioni per il 2013 e riduce del medesimo importo per il 2014, le risorse della Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale.

Pertanto la dotazione complessiva del Fondo è così rideterminata:

(in milioni di euro)

 

Art.1, co. 10
D.L. n. 35/2013
(legge n. 64/2013)

Art.1, co. 10, come sostituito dal D.L. n.102/2013

2013

2014

2013

2014

Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali

1.800

1.800

3.411,0

189*

Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari

2.527,9

3.727,9

5.630,4

625,6

Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale

5.000

9.000

7.505,2

6.494,8

TOTALE

9.327,9

14.527,9

16.546,6

7.309,4

*L’ articolo 11, comma 8 del D.L. n. 91 dell’8 agosto 2013 - successivo al D.L. n. 35/2013 e ancora in corso di conversione - dispone una riduzione delle risorse per il 2014 del Fondo, Sezione enti locali, per 75 milioni di euro, a copertura degli oneri derivanti dall'istituzione del Fondo rotativo per la concessione di finanziamenti alle fondazioni lirico sinfoniche.

Si osservi che il successivo comma 8 incrementa di 7.218,6 milioni di euro per il 2014 la dotazione complessiva del Fondo, ma finalizza tali risorse “ad ulteriori pagamenti” da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine.

Come afferma la relazione tecnica, tale incremento è finalizzato a far fronte a pagamenti ulteriori rispetto a quelli soddisfatti con il D.L. n. 35/2013, le cui risorse sono invece oggetto di rimodulazione da parte del comma 1 (cfr. infra).

Il comma 1 conferma quanto già previsto circa la possibilità di effettuare variazioni compensative, in termini di competenza e di cassa, tra le dotazioni delle relative sezioni del Fondo, ma elimina l’obbligo di comunicazione alla Corte dei Conti del relativo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, il quale ora è comunicato solo al Parlamento.

Infine, il comma interviene sulla tempistica delle anticipazioni di liquidità effettuate a valere sull’accantonamento del 10 per cento della dotazione della Sezione del Fondo per debiti non sanitari di regioni e province autonome, disponendone l’integrale slittamento al 2014.

In proposito, si ricorda che il testo originario dell’ultimo periodo del comma 10 dell’articolo 1 del D.L. 35 disponeva che l’accantonamento del 10 per cento della dotazione complessiva della Sezione del Fondo per i debiti non sanitari di regioni e province autonome, unitamente alle eventuali disponibilità non assegnate in prima istanza fosse destinato ad anticipazioni di liquidità (sempre per il pagamento dei debiti non sanitari) richieste in data successiva al 30 aprile 2013 e comunque non oltre il 30 settembre 2013. Le relative anticipazioni dovevano essere erogate entro il 31 ottobre 2013.

Il comma 1 in esame interviene su tale disciplina, stabilendo che l’accantonamento del 10 per cento della dotazione complessiva della predetta Sezione è destinato, unitamente alle disponibilità non erogate in prima istanza alla data del 31 dicembre 2013, ad anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti non sanitari richieste in data successiva al 30 aprile 2013 e, comunque, non oltre il 28 febbraio 2014.

Le anticipazioni così richieste dovranno essere erogate non più entro il 31 ottobre, ma entro il 31 marzo 2014.

La relazione tecnica afferma al riguardo che il sopra indicato accantonamento del 10 per cento è complessivamente pari a 625,6 milioni e sarà dunque integralmente erogato alle regioni nell’anno 2014, e non già – come originariamente previsto sulla base dell’Accordo sancito il 9 maggio 2013, ai sensi dell’articolo 2, comma 2 del D.L. n. 35/2013 – in misura pari a 252,8 milioni nel 2013 e 372,8 milioni nel 2014.

 

Il comma 2 dispone che l'anticipazione concessa dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. ai sensi del comma 13 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013, può essere erogata a saldo, nell'anno 2013, su richiesta dell'ente locale beneficiario.

La relazione tecnica specifica che con tale comma si prevede l’anticipazione dell’erogazione delle somme concesse da CDP agli enti locali che hanno provveduto a sottoscrivere i contratti di mutuo di cui al comma 13 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013, per un importo pari a 1,611 miliardi (importo pari all’incremento delle risorse della Sezione enti locali del Fondo, disposta dal comma 1).

Si ricorda che l’articolo 1, comma 11 del D.L. n. 35/2013, al fine di garantire l’immediata operatività della “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali”, dispone il trasferimento delle relative disponibilità su un apposito conto corrente acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato, intestato al Ministero dell’economia, la cui gestione viene affidata a Cassa depositi e prestiti S.p.A., la quale viene autorizzata ad effettuare operazioni di prelevamento e versamento sul medesimo conto.

Per regolamentare i rapporti tra Ministero dell’economia e C.D.P. relativamente alla gestione del conto, si è prevista la stipula da parte dei due soggetti di un apposito addendum alla Convenzione già esistente tra MEF e Cassa del 23 dicembre 2009, volto anche a definire i criteri e le modalità per la gestione della Sezione da parte di Cassa.

L’addendum è stato stipulato in data 12 aprile 2013 ed il contratto tipo di anticipazione tra CDP ed ente locale è stato approvato con Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze – DT del 12 aprile 2013[38].

Il comma 13 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013 definisce le modalità con le quali Cassa depositi procede all’anticipazione di liquidità agli enti locali, nonché le modalità attraverso le quali gli stessi enti provvederanno alla restituzione delle anticipazioni:

Ai sensi di tale comma, la richiesta di anticipazione di liquidità è stata avanzata dagli enti locali interessati a Cassa depositi entro il 30 aprile 2013. Cassa depositi, in data 13 maggio 2013 ha provveduto a pubblicare l’elenco degli enti beneficiari delle anticipazioni (richieste con istruttorie positive). Sulla base dei dati pubblicati sul sito di CDP, risulta che sono state ammesse anticipazioni per un importo complessivo di 3,6 miliardi (cifra che copre dunque l’intero importo originariamente stanziato dal D.L. n. 35, pari appunto a 3,6 miliardi: 1,8 per il 2013 e 1,8 per il 2014).

Successivamente a tale fase, si è proceduto alla determinazione delle condizioni economiche e al perfezionamento dei contratti di anticipazione tra CDP ed ente locale.

Secondo quanto risulta dall’Aggiornamento sullo stato di attuazione del D.L. n. 35/2013, recentemente pubblicato dal Ministero dell’economia e finanze[39], alla data del 4 settembre 2013 agli enti locali (comuni e province) sono state materialmente trasferite nel 2013 anticipazioni di liquidità per 1.606 milioni di euro, a valere sulle quali gli enti locali hanno effettuato pagamenti ai creditori per 1.394 milioni di euro.

 

La restituzione delle anticipazioni – ai sensi del comma 13 dell’articolo 1, del D.L. n. 35/2013, avviene attraverso un piano di ammortamento a rate costanti, comprensive di quota capitale e di quota interessi, con durata fino ad un massimo trent’anni. Le restituzioni avvengono con rate annuali. La rata deve essere corrisposta a partire dalla scadenza annuale successiva alla data di erogazione dell’anticipazione e non potrà cadere oltre il 30 settembre di ciascun anno[40].

Per le erogazioni relative all’anno 2013, il tasso di interesse da applicare alle suddette anticipazioni è pari al rendimento di mercato dei Buoni Poliennali del Tesoro (BTP) a 5 anni in corso di emissione, rilevato dal MEF - Dipartimento del Tesoro all’8 aprile 2013 (data di pubblicazione del provvedimento in G.U.) e pubblicato sul sito internet istituzionale del Ministero. L’articolo 3, paragrafo 9 dell’Addendum, relativo alle condizioni economiche del contratto di anticipazione, dispone che il tasso di interesse, indipendente dalla durata dell'anticipazione, per l'erogazione 2013, è pari al 3,302.

Per le erogazioni relative all’anno 2014, il tasso di interesse da applicare alle anticipazioni sarà determinato sulla base del rendimento di mercato dei BTP a 5 anni in corso di emissione con comunicato del Direttore generale del tesoro da emanare e pubblicare sul sito internet del MEF entro il 15 gennaio 2014.

L’articolo 3, commi 8 e 9 dell’Addendum attualmente dispone che la scadenza della prima rata, relativamente alle erogazioni effettuate nel 2013 è il 31 maggio 2014, mentre per le erogazioni da effettuarsi nel 2014 è il 31 maggio 2015.

 

Il comma 2 prevede inoltre che i criteri e le modalità di accesso all'erogazione sono definiti sulla base dell'Addendum firmato tra Ministero dell’Economia e finanze e Cassa depositi e prestiti in data 12 aprile 2013, nonché sulla base di un atto, il cui schema deve essere approvato con decreto del Direttore generale del Tesoro e pubblicato sui siti internet del MEF e di Cassa, modificativo del contratto di anticipazione originariamente stipulato tra le parti.

Il comma 3 prevede che l'erogazione di cui al comma 2 é restituita con le modalità di restituzione già disciplinate nel sopra citato comma 13, dell'articolo 1, del D.L. n. 35/2013, mediante rate annuali, da corrispondersi a partire dall'anno 2015.

Il tasso di interesse da applicare é pari al rendimento di mercato dei buoni poliennali del tesoro a 5 anni in corso di emissione rilevato dal MEF - Dipartimento del tesoro, alla data del 31 agosto 2013 (data di pubblicazione in G.U. del decreto legge) e pubblicato sul sito internet dello stesso Ministero.

Il pagamento della prima rata, comprensivo degli interessi per un'annualità, sarà effettuato il 1° febbraio 2015.

Ciò in deroga a quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto legge n. 35 del 2013, il quale dispone che – ai fini dell’ammortamento delle anticipazioni di liquidità - la prima rata decorre dall’anno successivo a quello di sottoscrizione del contratto.

 

Il comma 4 dispone che, su richiesta delle Regioni interessate, può essere erogata nell’anno 2013 l'anticipazione di liquidità per l'anno 2014 ad esse concessa dal D.M. del 14 maggio 2013.

Si ricorda che - sulla base dell'Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni il 9 maggio 2013 il D.M. del 14 maggio 2013, adottato in attuazione dell’articolo 2, comma 2 del D.L. n. 35/2013, si è proceduto al riparto tra le regioni di anticipazioni di liquidità per un importo corrispondente al 90 per cento dell’intero importo della Sezione del Fondo anticipazioni liquidità relativa ai debiti non sanitari delle Regioni. L’importo complessivamente ammesso al riparto – decurtato del 10 percento di accantonamento - è stato pari a 5,630 miliardi, dei quali 2,275 miliardi assegnati alle regioni nel 2013 e 3,355 miliardi nel 2014.

 

La relazione tecnica evidenzia che tale anticipazione è pari a 3,355 miliardi di euro, ma l’erogazione netta a favore delle regioni nell’anno 2013 sarà di 3,102 miliardi di euro, importo che corrisponde all’incremento per il 2013 delle risorse della Sezione Regioni del Fondo del Fondo anticipazioni liquidità, disposta dal comma 1.

Infatti – sulla base della modifica operata dal comma 1 dell’articolo in esame al comma 10, ultimo periodo, dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013 - l’erogazione dell’accantonamento, pari a 252,8 milioni di euro - corrispondenti al 10 per cento delle risorse della Sezione regioni del Fondo anticipazioni liquidità per l’anno 2013 - slitta all’anno 2014.

Anche per le Regioni si dispone, in deroga al già citato comma 2 dell'articolo 6 del D.L. n. 35/2013, che il pagamento della prima rata di restituzione delle anticipazioni ricevute, comprensivo degli interessi per un'annualità, sarà effettuato il 1° febbraio 2015.

Con riferimento alle anticipazioni di liquidità concesse alle Regioni nell’anno 2013, secondo i dati che risultano dal già citato Aggiornamento dello stato di attuazione del D.L. n. 35/2013, pubblicato dal MEF, al 4 settembre 2013, risultano materialmente trasferite alle regioni anticipazioni di liquidità per 1,447 miliardi, rispetto ai 2,275 miliardi ammessi a riparto nel 2013 dal testo originario del D.L. n. 35/2013. I debiti pagati dalle regioni a valere sulle risorse anticipate è pari a 1,389 miliardi.


La Tabella che segue, tratta dal citato Aggiornamento del MEF, indica l’importo delle anticipazioni di liquidità assegnate ed erogate a ciascuna regione e i pagamenti da queste effettuate:

 

(in milioni di euro)

Debiti non sanitari delle Regioni:
erogazioni e pagamenti nel 2013

 

Importo assegnato
per 2013
da riparto

Debiti pagati al 3/9/2013

Calabria*

101,2

-

Campania*

587,0

-

Lazio

924,5

927,6

Liguria

17,1

17,1

Marche

8,2

8,2

Molise

10,6

10,6

Piemonte

387,3

387,3

Toscana

38,5

38,5

Sicilia*

140,3

-

totale

2.275,2

1.446,7

*Alle regioni Calabria, Campania e Sicilia, l’importo assegnato non è stato erogato, in quanto risulta ancora in corso da parte dei medesimi enti la predisposizione del piano dei pagamenti.

 

 

Il comma 5 mantiene fermo quanto disposto dal comma 14 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2013, il quale dispone che dispone che l’ente locale provveda all’estinzione dei debiti indicati dal comma 13, immediatamente all’atto di ciascuna erogazione dell’anticipazione ed in ogni caso entro i successivi trenta giorni. L’ente interessato è altresì tenuto a fornire a Cassa depositi formale certificazione, rilasciata dal responsabile finanziario dell’ente, ovvero da altra persona formalmente indicata dall'Ente, dell’avvenuto pagamento e dell’effettuazione delle relative registrazioni contabili.

Nell’articolo 4, comma 6, dell’Addendum si prevede che la certificazione dell'avvenuto pagamento e dell'effettuazione delle relative registrazioni contabili deve essere fornita a Cassa entro 45 giorni dalla data di erogazione delle anticipazioni.

 

I commi 6 e 7 recano disposizioni in materia di accesso anticipato alle regioni a quota parte delle risorse da assegnare con il procedimento disciplinato dall’articolo 3, comma 3 del D.L. n. 35/2013.

 

Si rammenta che l’articolo 3 del D.L. n. 35/2013 concede anticipazioni di liquidità in favore delle regioni e delle province autonome, per il pagamento dei debiti sanitari cumulati al 31 dicembre 2012. Le anticipazioni sono ammesse per un importo massimo di 14 miliardi di euro, di cui 5 miliardi per il 2013 e 9 miliardi per il 2014. I criteri per il riparto delle risorse tra le regioni e le province autonome sono costituiti dall'ammontare degli ammortamenti non sterilizzati e dall'importo delle mancate erogazioni - per competenza e/o per cassa - delle somme dovute dalle regioni ai rispettivi Servizi sanitari. Le anticipazioni in oggetto sono restituite, insieme con gli interessi, in un periodo non superiore a 30 anni.

Quanto alle procedure, il comma 2 dell’articolo 3, del decreto-legge 35/2013, stabilisce che, in via d'urgenza per l'anno 2013, il MEF provvede con decreto direttoriale, entro il 15 maggio 2013, al riparto fra le Regioni dell'anticipazione di liquidità fino a concorrenza massima dell'importo di 5 miliardi di euro. Come stabilito, entro il 31 maggio successivo, le regioni dovevano inoltrare l’istanza di accesso per accedere all’erogazione delle risorse. Tale quota di anticipazioni è stata ripartita - nella misura massima prevista di 5 miliardi - con il decreto direttoriale del 16 aprile 2013, la cui Tabella 1 reca il riparto fra le regioni. Poiché, al 31 maggio 2013, non hanno presentato istanza di accesso la Valle d’Aosta, le due Province autonome di Trento e Bolzano e le regioni Lombardia, Marche, Basilicata e Friuli Venezia Giulia, sul riparto recato dal decreto direttoriale del 16 aprile 2013 sono residuate risorse per un importo complessivo pari a 278.828.000 euro. L’articolo 3, comma 4, del decreto legge 35/2013, dava la possibilità di rassegnare le risorse residue in occasione del secondo riparto definitivo di 9 miliardi, alle regioni che ne facciano richiesta.

Il decreto-legge 72/2013, nel testo originario[41], novellando il contenuto del decreto legge 35/2013, ha anticipato tale riassegnazione, disponendo al riguardo che le quote residuate dal riparto effettuato con il decreto direttoriale del 16 aprile 2013 potessero essere riassegnate alle regioni che ne avessero fatto richiesta entro il 30 giugno 2013, attraverso un aggiornamento dello stesso decreto direttoriale del 16 aprile 2013, prioritariamente in funzione dell'adempimento alla diffida prevista dall'articolo 1, comma 174, della legge 311/2004. Al 30 giugno 2013, sono pervenute le richieste di accesso delle regioni Piemonte, Puglia, Emilia Romagna e Lazio. Il decreto direttoriale 2 luglio 2013 ha infine ripartito le risorse residuate dal primo riparto del 16 aprile e pari a 278.828.000 euro, assegnando per il criterio di priorità sopra ricordato il 75% per cento alle regioni Piemonte e Puglia, e il restante 25% alle regioni Emilia Romagna e Lazio, e ha pertanto definito gli importi complessivamente assegnati a ciascuna regione (cfr. Tabella 1 del D.Direttoriale).


Tali importi si riportano nella Tabella che segue:

(importi in milioni di euro)

Decreto Direttoriale 2 luglio 2013
Importi complessivamente assegnati per l’anno 2013 a valere sui 5.000 milioni di euro

Piemonte

803,7

Valle d’Aosta

-

Lombardia

-

Bolzano

-

Trento

-

Veneto

777,2

Friuli

-

Liguria

81,8

Emilia Romagna

448,0

Toscana

230,7

Umbria

17,2

Marche

-

Lazio

832,1

Abruzzo

174,0

Molise

44,3

Campania

532,0

Puglia

186,0

Basilicata

-

Calabria

107,1

Sicilia

606,1

Sardegna

159,7

totale

5.000

 

 

Con riferimento alle anticipazioni di liquidità concesse alle Regioni nell’anno 2013, secondo i dati che risultano dal già citato Aggiornamento dello stato di attuazione del D.L. n. 35/2013, pubblicato dal MEF, al 4 settembre 2013, risultano materialmente trasferite alle regioni anticipazioni per 4,217 miliardi, rispetto ai 5 miliardi ammessi a riparto nel 2013. A loro volta, tali importi sono in parte destinati e già erogati ad aziende ospedaliere e aziende/unità sanitarie locali per il pagamento ai rispettivi creditori. Non sono però forniti dati precisi al riguardo.

Quanto alla procedura di cui al comma 3 dell’articolo 3 del D.L. n. 35/2013, si ricorda che tale norma prevede l’emanazione di un decreto direttoriale del MEF, da emanarsi entro il 30 novembre 2013, di riparto definitivo, fra le regioni, dell'anticipazione di liquidità fino a una concorrenza massima dell'importo di 14 miliardi di euro, comprensivo anche degli importi previsti per l'anno 2014. Le somme devono essere erogate al netto di quanto già corrisposto a valere sui 5 miliardi di euro per il 2013. Il riparto è effettuato sulla base della verifica compiuta dal Tavolo di verifica degli adempimenti di cui all'articolo 12 dell'Intesa fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome del 23 marzo 2005.

Venendo al contenuto del comma 6 in esame, esso dispone che le regioni possono presentare domanda di accesso anticipato a quota parte delle risorse da assegnarsi con il procedimento, ora illustrato, di cui al citato comma 3 dell'articolo 3 del D.L. n. 35, entro e non oltre il 15 settembre 2013;

L’accesso all’anticipazione è consentito fino ad un importo pari all'80% delle somme singolarmente già assegnate con i decreti direttoriali del Ministero dell'economia e delle finanze del 16 aprile 2013 e del 2 luglio 2013, attuativi dell'articolo 3, comma 2, del D.L. n. 35/2013 e dell'articolo 3-bis del D.L. n. 69/2013 - legge n. 98/2013 – (cfr. supra).

La relazione tecnica precisa la limitazione alla suddetta percentuale dell’80 per cento è dovuta al fatto che al momento, in mancanza del puntuale riparto dell’importo dei 14 miliardi – che potrà effettuarsi solo a seguito delle risultanze pregresse 2001-2011 ancora in corso - per talune regioni l’assegnazione di importi superiore a tale limite potrebbe comportare erogazioni eccedenti le effettive necessità, ovvero maggiori delle somme cui la regione avrebbe diritto in sede di riparto definitivo.

 

A tal fine le regioni interessate devono assicurare:

a)  idonee e congrue misure, anche legislative, di copertura annuale del rimborso dell'anticipazione di liquidità, prioritariamente volte alla riduzione della spesa corrente, così come individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 3, comma 5, lettera a), del D.L. n. 35/2013;

b)  la presentazione di un ulteriore piano dei pagamenti relativo ai debiti certi, liquidi ed esigibili cumulati alla data del 31 dicembre 2012 non ricompresi nel piano dei pagamenti predisposto ai sensi dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del medesimo decreto-legge. Resta fermo che il piano dei pagamenti può comprendere debiti certi, sorti entro il 31 dicembre 2012, intendendosi sorti i debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine, ai sensi di quanto disposto dal secondo periodo dell'articolo 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 35 del 2013;

c)  il pagamento entro il 31 dicembre 2013 dei debiti inseriti nel piano dei pagamenti di cui alla lettera b) del presente comma.

Si osserva come gli adempimenti di cui alle lettere a) e b) sono analoghi a quelli ora previsti dall’articolo 3, comma 5, del D.L. n. 35/2013, che disciplina le condizioni per l’erogazione alle regioni dell’anticipazione di liquidità come segue:

§       la predisposizione da parte della regioni di misure, anche legislative, volte prioritariamente alla riduzione della spesa corrente, per assicurare una idonea e congrua copertura annuale del rimborso dell’anticipazione di liquidità;

§       la presentazione da parte delle regioni di un piano relativo al pagamento dei debiti – comprensivi di interessi - certi, liquidi ed esigibili, cumulati alla data del 31 dicembre 2012 , elencati in modo dettagliato, dei quali il Tavolo di verifica degli adempimenti verifica la coerenza con le somme assegnate in sede di riparto delle risorse;

§       la sottoscrizione di un contratto tra il Ministero dell’economia e la regione che definisca le modalità di erogazione e di restituzione delle somme comprensive di interessi e in un periodo non superiore a 30 anni, con un tasso di interesse pari al tasso di rendimento di mercato dei Buoni Poliennali del tesoro a cinque anni in corso di emissione.

 

Il comma 7 dispone che la documentazione necessaria deve essere presentata dalle regioni entro il 10 ottobre 2013 e sarà verificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali in tempo utile a consentire la stipula dei contratti di prestito entro il 20 ottobre 2013.

Anche per tali tipologie di anticipazioni, si dispone in deroga a quanto previsto dal già citato comma 2 dell'articolo 6 del D.L. n. 35/2013, che il pagamento della prima rata di restituzione del prestito, comprensivo degli interessi per una annualità, sarà effettuato il 1° febbraio 2015.

 

Il comma 8 incrementa di 7.218,6 milioni di euro la dotazione per il 2014 del Fondo per assicurare liquidità per pagamenti certi liquidi ed esigibili degli enti territoriali, istituito dall’articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35/2013.

L’incremento è finalizzato – per espressa previsione della norma – a far fronte ad ulteriori pagamenti da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012, ovvero dei debiti per i quali sia stata emessa fattura o richiesta equivalente di pagamento entro il predetto termine.

Dunque, come specifica la relazione tecnica, l’incremento è finalizzato a far fronte a pagamenti ulteriori rispetto a quelli soddisfatti dall’originario decreto legge n. 35/2013.

 

Il comma 9 rinvia ad un apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da adottarsi, d'intesa con la Conferenza Unificata, entro il 28 febbraio 2014, la definizione della distribuzione dell'incremento[42] tra le tre Sezioni del Fondo e dei criteri, dei tempi e delle modalità per la concessione alle Regioni e agli enti locali delle relative risorse, che dovrà avvenire conformemente alle procedure di cui agli articoli 1, 2 e 3 del D.L. n. 35/2013.

Nel rinviare, per un esame approfondito dei complessivi effetti dell’articolo in esame alla parte del presente dossier relativa ai profili finanziari (nonché all’analisi dell’articolo 15, relativo alla copertura finanziaria delle misure in oggetto), si segnala in questa sede che alle misure previste dall’articolo in esame - quali le maggiori anticipazioni di liquidità nell’anno 2013 (commi 1-7) e l’incremento nell’anno 2014 del Fondo anticipazioni liquidità (commi 8 e 9) - sono ascritti effetti benefici in termini di maggior gettito IVA (quantificati dall’allegato 3 in 925 milioni per l’anno 2013).

Si rileva infine – come ribadito nella Relazione al Parlamento presentata dal Governo in data 3 settembre 2013 – che le maggiori anticipazioni di liquidità disposte dai commi 1 – 7 sono suscettibili di determinare impatti positivi sulle previsioni di crescita del PIL, stimati dalla predetta Relazione in + 0,1 per cento nel 2013, + 0,28 per cento nel 2014 e + 0,03 nel 2015 (per un più approfondito esame si rinvia al Dossier predisposto dal Servizio Bilancio e dal Servizio Studi in data 6 settembre 2013, n. DV 3).


 

Articolo 14
(Definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile)

 


1. In considerazione della particolare opportunità di addivenire in tempi rapidi all'effettiva riparazione dei danni erariali accertati con sentenza di primo grado, le disposizioni di cui ai commi da 231 a 233 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, si applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo in parte anteriormente alla data di entrata in vigore della predetta legge, indipendentemente dalla data dell'evento dannoso nonché a quelli inerenti danni erariali verificatisi entro la data di entrata in vigore del presente decreto, a condizione che la richiesta di definizione sia presentata conformemente a quanto disposto nel comma 2.

2. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, deve essere presentata, nei venti giorni precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013, specifica richiesta di definizione e la somma ivi indicata non può essere inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado; in tali casi, la sezione d'appello delibera in camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta e, in caso di accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai sensi del comma 233 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decreto da comunicare immediatamente alle parti determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013.


 

 

L’articolo 14 estende l’ambito temporale di applicazione delle disposizioni contenute nella legge finanziaria per il 2006 che avevano introdotto, per i soggetti condannati con sentenza di primo grado in giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, la facoltà di chiedere la definizione del procedimento con pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza.

 

Le citate disposizioni, contenute nell’art. 1, commi 231 ss., della L. 266/2005 (finanziaria per il 2006), consentivano al condannato di ottenere, unitamente alla chiusura del procedimento, una notevole riduzione della somma prevista dalla sentenza di primo grado (tra il 10 e 20 per cento e in misura non superiore al 30 per cento del danno), purché ne avanzassero richiesta in sede di impugnazione della stessa sentenza in appello.

 

L'art. 1, commi da 231 a 233, della L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ha introdotto la definizione agevolata in sede di appello dei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per un ambito limitato di fattispecie.

 

Sulla base delle citate disposizioni l’istituto della “definizione agevolata” è subordinato a specifiche condizioni, in base alle quali:

a)    il giudizio riguarda fatti commessi antecedentemente al 1° gennaio 2006;

b)    su tali fatti è intervenuta una pronuncia di condanna in primo grado entro il 31 dicembre 2005.

 

Quindi le disposizioni richiamate spiegavano retroattivamente i loro effetti, applicandosi solo ai giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti riguardanti fatti commessi antecedentemente al 1° gennaio 2006, data della loro entrata in vigore.

Il comma 1 dell’articolo in esame, invece, ne estende temporalmente l’applicazione, comprendendo i giudizi il cui oggetto è individuato facendo riferimento ad un duplice criterio:

1.    la condotta, purché iniziata prima della data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2006;

2.    il danno erariale provocato dalla condotta medesima, purché verificatosi entro la data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

Poiché il secondo criterio prescinde dal dato temporale della condotta, è evidente che, per effetto della combinata efficacia di entrambi, la disposizione risulta avere un ambito di applicazione amplissimo, comprendendo sia condotte iniziate prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2006, sia condotte iniziate successivamente purché abbiano prodotto un danno all’erario entro la data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Condizione di applicazione della definizione agevolata è la presentazione, ai sensi del comma 2, di apposita richiesta nel termine, da ritenersi perentorio, di venti giorni precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15 ottobre 2013.

Va notato che, mentre l’istituto previsto dalla legge finanziaria per il 2006 prescriveva che la richiesta fosse fatta in sede di impugnazione, la disposizione in esame pone il termine ultimo nell’individuazione di una data fissa.

 

In particolare, ai sensi del citato comma 231 i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna in primo grado per fatti commessi prima della data di entrata in vigore della legge 206/2005, possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza.

 

Per effetto della previsione del comma 2 l’istituto risulta applicabile anche a giudizi per i quali sia già stato presentato appello, indipendentemente dallo stato del procedimento, poiché il termine dei venti giorni precedenti l’udienza di discussione può essere superato dalla data del 15 ottobre 2013.

 

La formulazione del comma 232 dell’art. 1 della L. 266/2005 non adombra alcun potere valutativo del giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di definizione, che “delibera” sull’istanza. Invece il comma 2 in esame, con la locuzione “in caso di accoglimento” evidenzia la discrezionalità del giudice circa l’an dell’accoglimento dell’istanza.

La formulazione adottata sia dal comma in esame, sia da quello dell’art. 1 della legge 266/2005 delinea una discrezionalità del giudice sul quantum della definizione, i cui confini però sono stabiliti diversamente dalle due fonti.

 

Il comma 231 dell’art. 1 di tale legge ha previsto che la richiesta di definizione del procedimento preveda un pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado e il successivo comma 232 ha disposto che la somma dovuta sia determinata dal giudice in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella stessa sentenza.

 

Il comma 2 prevede che la richiesta di definizione indichi una somma non inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado e il giudice determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta.

Per effetto di tale formulazione viene meno il vincolo posto dalla legge 266/2005 per effetto del quale la determinazione del giudice non poteva superare il limite del 30 per cento di quanto stabilito in primo grado, essendo vincolata invece tale determinazione solo a non essere inferiore al 25 per cento della stessa somma.

 

La discrezionalità del giudice in merito all’accoglimento dell’istanza, che emerge dall’inciso “in caso di accoglimento”, appare conforme agli orientamenti espressi dalle giurisprudenze, costituzionale e contabile, che si sono consolidate dal 2006 ad oggi.

 

La Corte costituzionale, nel rigettare le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento alle disposizioni introduttive del c.d. condono erariale (sentenze n. 183 e 184 del 2007), ha affermato che il potere di cognizione della Corte dei conti non va inteso come limitato alla verifica delle condizioni formali di ammissibilità della domanda, con la conseguenza che le disposizioni sulla definizione agevolata in appello non producono alcun ingiustificato ed automatico effetto premiale, essendo dirette a determinare, con un rito abbreviato, quanto dovuto dai responsabili in base alle norme proprie del sistema della responsabilità amministrativa, ed hanno una finalità di accelerazione dei relativi giudizi e di garanzia dell'incameramento certo ed immediato della quota di risarcimento dovuto.

In particolare la Corte, con la menzionata sentenza n. 183 del 2007, ha riconosciuto “ (…) la sussistenza di un ampio potere del giudice contabile di rigettare l’istanza in caso di non meritevolezza della definizione in via abbreviata (…)” quale presidio adeguato alla tutela dei princìpi costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione, ragionevolezza delle scelte del legislatore (alla luce del principio di responsabilità dei pubblici dipendenti), effettività della giurisdizione contabile. Occorre, in particolare, che il giudice contabile “valuti tutti gli elementi desumibili dall’accertamento dei fatti, già compiuto nella sentenza di primo grado (sussistenza del dolo, illecito arricchimento, gravità dei fatti, entità del danno, grado di intensità della colpa, condizione patrimoniale del condannato)”.

Pertanto, poiché l’operatività di tali disposizioni è subordinata ad una valutazione di merito da parte del giudice contabile sul fatto che l'esigenza di giustizia possa ritenersi soddisfatta a mezzo della procedura accelerata, alla definizione in appello non può accedersi in presenza di dolo del condannato o di particolare gravità della condotta.

 

Per parte sua, la Corte dei conti, sviluppando tale giurisprudenza, ha ulteriormente chiarito la portata normativa delle disposizioni della legge finanziaria, affermando che l'istanza di definizione agevolata, non può trovare accoglimento laddove si impongano approfondimenti che possano essere condotti solo nell'ambito della normale fase cognitoria (Dec. n. 2 del 23 febbraio 2007), né si può prescindere da un esame della complessiva vicenda lesiva nei suoi profili oggettivo e soggettivo; ne consegue che correttamente viene respinta l'istanza in questione quando i comportamenti illeciti dedotti in giudizio siano caratterizzati da dolo (Dec. n. 96 del 18 aprile 2007).

La stessa giurisprudenza ha delineato i confini di applicazione del citato art. 1, co. 231 ss. precisando come l'istanza di definizione agevolata è proponibile in sede di impugnazione (momento in cui la parte estrinseca la volontà di proporre il gravame avverso la sentenza): a) “solo a fronte di sentenze di condanna in primo grado (….) e comunque giammai a fronte di sentenze rese in grado di appello” (Sez. 1^ Giur. c.le d’appello, decreto n. 47 del 29/10/2007); b) “contestualmente alla proposizione del gravame” di appello e non anche successivamente e/o disgiuntamente o tardivamente (Sez. 1^ Giurisdizionale c.le d’appello, decreto n. 1 del 7/2/2006; idem, decreto n. 50 dell’8/8/2006; idem, decreto n. 17 del 6/6/2006).

Inoltre, la Corte ha ripetutamente sottolineato che “non è ipotizzabile la sua applicabilità con carattere di generalità e neppure la sua estensione non solo perché, nell’interpretazione letterale, va tenuto conto dello stretto significato delle parole e/o espressioni adoperate ma perché occorre, altresì, considerare lo scopo perseguito dalla legge di “rimedio "eccezionale" (…) non suscettibile di estensione analogica a fattispecie diverse da quelle per le quali è stato specificamente introdotto” (Sez. 1^ giur. centrale di appello, sent. n. 452 del 19 novembre 2007).

 

La sezione d'appello delibera in camera di consiglio, con decreto da comunicare immediatamente alle parti, nel termine perentorio di 15 giorni successivi al deposito della richiesta.

Il termine di versamento della somma non è oggetto di valutazione da parte del giudice, in quanto predeterminato dal comma 2 in esame e, in caso di accoglimento, con decreto determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre 2013.

Poiché per la definizione del giudizio il comma 2 in esame richiama il comma 233 dell’art. 1 della L. 266/2005, deve ritenersi che, come ivi previsto, il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello.

 

La relazione tecnica (A.C. 1544) afferma che il giudizio più rilevante cui sarebbe applicabile la disposizione in commento, sulla base delle informazioni fornite dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è quello relativo all’impugnazione, da parte dei concessionari per la gestione della rete telematica del gioco lecito, della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, n. 214/2012[43], depositata in data 17 febbraio 2012.

Si tratta della condanna al risarcimento per danno erariale per aver violato gli obblighi di servizio relativamente al mancato collegamento degli apparecchi da gioco alla apposita rete telematica. Dal dispositivo della sentenza risulta che i dieci concessionari[44] sono stati condannati al risarcimento per un importo complessivo pari a 2.475.000.000 euro[45].

La relazione tecnica evidenzia che “la definizione agevolata comporta un effetto finanziario positivo di circa 600 milioni di euro per il 2013”.

Tali effetti sono considerati dall’articolo 15, comma 3, a copertura degli oneri; infatti la lettera e) indica maggiori entrate pari 600 milioni per il 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall’applicazione dell’articolo 14, che sono conseguentemente riportati nel prospetto relativo agli effetti finanziari del provvedimento.

 

Considerato che il potere discrezionale del giudice sul quantum della somma da versare per la definizione del giudizio è limitato solo dalla previsione normativa della soglia minima sotto la quale la stessa somma non può essere fissata, l’effetto finanziario potrebbe essere superiore.

Quanto alla qualificazione in termini positivi di tale effetto va tenuto presente che la sua valutazione va effettuata in relazione alla quantificazione del danno erariale accertato.

 

 

Il danno erariale

Nel corso di un’audizione presso la Commissione Finanze della Camera sulle tematiche relative ai giochi ed alle scommesse (seduta del 27 luglio 2011), il Direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), Raffaele Ferrara, ha illustrato la questione effettuando una ricostruzione storica della vicenda.

 

Il Procuratore regionale per il Lazio della Corte dei conti nel dicembre 2007 ha citato in giudizio dieci concessionari del servizio pubblico di attivazione e conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito con vincite in denaro, mediante apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, per aver violato gli obblighi di servizio previsti dall'articolo 22, comma 1, della legge n. 289 del 2002 e dalla convenzione di concessione, cagionando l'inefficace funzionamento del servizio pubblico, nonché lo sperpero delle molteplici risorse finanziarie pubbliche impiegate, a vario titolo e in vario modo, nella prevenzione e nel contrasto del gioco illegale. Più specificamente, le inadempienze contestate riguardano: il mancato avviamento della rete telematica alla data del 13 settembre 2004, nonché il mancato completamento della rete entro la data del 31 ottobre 2004; il mancato completamento dell'attivazione della rete entro il 31 dicembre 2004; a far data dal 1° gennaio 2005, il mancato inserimento in rete di molti apparecchi installati e muniti di nulla osta per la messa in esercizio; dal 1° luglio 2005, il mancato rispetto dei livelli di servizio relativi allo scambio di informazioni con l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

Poiché il livello di servizio prevedeva la fornitura del messaggio di risposta ai fini della raccolta dei dati di gioco, tramite il gateway di accesso, entro trenta minuti dalla richiesta, era prevista l'applicazione, in caso di inosservanza, di una penale di 50 euro per ogni ora di ritardo dopo i primi trenta minuti di tolleranza. Per ogni giorno di ritardo nell'avviamento della rete era stabilita una sanzione di 10.000 euro, mentre per ogni giorno di ritardo nel completamento dell'attivazione della rete era prevista una sanzione di 20.000 euro; inoltre, per ogni apparecchio non in rete dopo il 1° gennaio 2005, la sanzione applicabile era di 5 euro; ciò ha determinato un calcolo delle penali, secondo la richiesta del Procuratore regionale, pari a circa 98 miliardi di euro.

Tutti gli inadempimenti contestati ai concessionari dalla Corte dei conti si sono verificati nella fase di start-up del sistema, dal 2004 al 2005, quando si sono susseguite normative che prevedevano termini di attuazione particolarmente stringenti.

 

Dopo la prima udienza di discussione del 4 dicembre 2008 è stata emessa ordinanza con la quale la Sezione regionale della Corte dei conti ha sospeso i giudizi in attesa delle decisioni della Cassazione sui regolamenti preventivi di giurisdizione proposti dalle società concessionarie. Con ordinanze dal n. 25496/09 al n. 25505/09 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno respinto i ricorsi e dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti, rilevando l'infondatezza dei ricorsi perché la causa petendi dell'azione della procura regionale è il danno erariale conseguente alla ritardata attivazione, all'omessa realizzazione dei previsti collegamenti della rete, nonché all'inefficace funzionamento del sistema di gestione e controllo del gioco in denaro e quindi alla impossibilità di verificare la conformità del gioco con vincite in denaro alla normativa in vigore con conseguente sperpero delle molteplici risorse finanziarie impiegate in tali finalità e il petitum è rappresentato proprio dallo spreco delle risorse finanziarie impiegate inutilmente.

 

Con sentenza n. 214/2012 emessa della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, e depositata il 17 febbraio 2012, i dieci concessionari di rete sono stati condannati al risarcimento di circa 2,5 miliardi di euro.

 

Le sanzioni amministrative

Per quanto riguarda l’attività amministrativa dell’AAMS, le sanzioni calcolate dal Procuratore regionale per il Lazio della Corte dei conti sono state irrogate con appositi provvedimenti ai dieci concessionari, i quali hanno proposto ricorso giurisdizionale al TAR per il Lazio.

Il TAR Lazio ha annullato i provvedimenti, ritenendo che essi fossero stati emanati dall'Amministrazione violando i diritti di partecipazione dei concessionari al procedimento sanzionatorio e, soprattutto, cumulando tutte le penali possibili dalla scadenza dei vari termini, senza rispettare il principio di proporzionalità e omettendo di verificare la coerenza delle stesse con l'equilibrio del sinallagma nella prestazione del servizio.

Va ricordato, peraltro, che la Commissione Finanze della Camera aveva approvato, già a luglio 2007, la risoluzione n. 7-00254, che impegnava il Governo ad adottare tutte le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, affinché il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato procedesse, d'intesa con i soggetti interessati, alla revisione delle convenzioni di concessione, prevedendo, in particolare, che l'eventuale applicazione di penali fosse disposta nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

I contenuti della risoluzione erano fatti propri dall’allora Vice-Ministro dell'economia Visco, il quale emanava apposita direttiva rivolta al direttore generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. In attuazione del richiamato atto d'indirizzo, veniva predisposto un atto aggiuntivo alla convenzione di concessione, finalizzato, tra l'altro, alla rimodulazione del sistema delle penali, attuata introducendo, accanto al principio del danno effettivamente arrecato, anche i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

L'atto aggiuntivo veniva sottoposto al preventivo esame, in sede consultiva, del Consiglio di Stato, il quale esprimeva il proprio assenso, osservando, peraltro, che la Commissione prevista dall'articolo 27, comma 4, della convenzione di concessione, cui era demandata la definizione delle procedure e dei criteri per la rilevazione, il calcolo e l'arrotondamento delle penali, dovesse essere costituita da tre esperti estranei all'Amministrazione.

Successivamente, sulla base della nuova formulazione recepita nell'atto aggiuntivo, l'Amministrazione riavviava, nei confronti dei concessionari, il procedimento sanzionatorio relativo a tutte e quattro le penali, con specifica riserva, in relazione alla quarta, di dare corso ad ulteriori attività all'esito dei lavori della suddetta Commissione.

Sono state comminate, quindi, le prime tre sanzioni, per gli inadempimenti relativi ai seguenti obblighi convenzionalmente assunti dai concessionari:

§       avviamento della rete telematica entro il settantacinquesimo giorno dalla data di pubblicazione dell'elenco dei concessionari, collegando un numero di apparecchi pari ad almeno il 5 per cento del numero di apparecchi di gioco indicati nella dichiarazione iniziale;

§       completamento dell'attivazione della rete entro il 31 ottobre 2004, collegando il 95 per cento degli apparecchi di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), punti 3 e 4, della convenzione;

§       collegamento del residuo 5 per cento degli apparecchi entro il 31 dicembre 2004.

I concessionari hanno proposto impugnativa davanti al TAR per il Lazio, il quale, con sentenze depositate nei mesi di novembre e dicembre 2009, ha respinto i ricorsi, ritenendo che i provvedimenti sanzionatori fossero immuni dai vizi prospettati in sede giurisdizionale.

Tuttavia, i concessionari hanno appellato le sentenze del TAR, che sono state annullate dal Consiglio di Stato. Pertanto, per quanto riguarda le prime tre penali, dunque, i concessionari nulla devono, allo Stato.

 

Con riferimento, invece, al mancato rispetto dei livelli di servizio e allo scambio telematico di informazioni con l'Amministrazione (quarta penale), la Commissione tecnica predisponeva, a luglio 2009, una relazione nella quale, oltre a definire i criteri da utilizzare per la concreta determinazione delle penali previste in relazione al funzionamento del gateway di accesso - che definiamo, con locuzione riassuntiva, quarta penale - manifestava il timore che l'entità di tali penali, ove travalicasse determinati limiti di equilibrio contrattuale, potesse violare i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Conseguentemente, la commissione invitava l'Amministrazione a valutare la possibilità di adottare misure correttive idonee a ricondurre a razionalità amministrativa l'applicazione del sistema sanzionatorio.

Il Consiglio di Stato, con il parere n. 4408 del 2010, ha avallato - in quanto idoneo a consentire una quantificazione correlata a tutti gli elementi rilevanti e l'adozione di una penale coerente con il pregiudizio arrecato all'interesse pubblico - il criterio della modulazione degli importi delle penali, in funzione della durata di ciascun inadempimento e del numero degli apparecchi coinvolti, fino a un limite massimo.

A febbraio 2011 l’AAMS ha notificato ai dieci concessionari di rete gli atti di contestazione relativi all’inadempimento del livello di servizio sulla base dei criteri applicativi individuati dalla Commissione tecnica e tenuto conto della rimodulazione del sistema di determinazione delle penali convenzionali, nel frattempo intervenuta nell’ottica dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

I provvedimenti di irrogazione delle penali sono stati adottati nei mesi di gennaio e febbraio 2012, all’esito di un procedimento svolto in contraddittorio con i concessionari interessati, e sono stati successivamente impugnati dalle medesime società dinnanzi al giudice amministrativo.

Il Tar Lazio, con sentenze depositate il 17 giugno 2013, ha accolto i ricorsi dei concessionari, rilevando la mancanza dei necessari presupposti per l’applicazione della penale, individuati nell’imputabilità ai concessionari dell’inadempimento alla relativa clausola convenzionale e nell’esistenza di un comprovato danno effettivo per l’amministrazione conseguente al predetto inadempimento imputabile.

 


 

Articolo 15
(Copertura finanziaria)

 


1. Al fine di reperire le risorse per assicurare la liquidità necessaria all'attuazione degli interventi di cui all'articolo 13 del presente decreto è autorizzata l'emissione di titoli di Stato per un importo fino a 8.000 milioni di euro per l'anno 2013. Tale importo concorre alla rideterminazione in aumento del limite massimo di emissione di titoli di Stato stabilito dalla legge di approvazione del bilancio e del livello massimo del ricorso al mercato stabilito dalla legge di stabilità.

2. Ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni recate dal predetto articolo 13 del presente decreto e nelle more dell'emissione dei titoli di cui al comma 1, il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio e, ove necessario, può disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione, con l'emissione di ordini di pagamento sui pertinenti capitoli di spesa, è effettuata entro la conclusione dell'esercizio in cui è erogata l'anticipazione.

3. Agli oneri derivanti dal presente decreto ad esclusione dell'articolo 9, comma 6, pari a 2.934,4 milioni di euro per l'anno 2013, a 555,3 milioni di euro per l'anno 2014, a 617,1 milioni di euro per l'anno 2015 e a 486,1 milioni di euro a decorrere dal 2016, ivi compreso l'onere derivante dall'attuazione del comma 1, in termini di maggiori interessi del debito pubblico, si provvede, rispettivamente:

a) quanto a 300 milioni di euro per l'anno 2013, mediante riduzione delle disponibilità di competenza e di cassa, delle spese per consumi intermedi e investimenti fissi lordi, secondo quanto indicato nell'allegato 2 al presente decreto. Per effettive, motivate e documentate esigenze, su proposta delle Amministrazioni interessate possono essere disposte variazioni compensative, nell'ambito di ciascuna categoria di spesa, tra i capitoli interessati con invarianza degli effetti sull'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni;

b) quanto a 675,8 milioni di euro per l'anno 2013, mediante riduzione delle autorizzazioni di spesa elencate nell'allegato 3 al presente decreto, per gli importi in esso indicati;

c) quanto a 250 milioni euro per l'anno 2013, mediante riduzione del fondo di cui all'ultimo periodo dell'art. 1, comma 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 247;

d) quanto a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista per l'anno 2014 dall'articolo 1, comma 184, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e quanto a 100 milioni di euro mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista per l'anno 2015 dall'articolo 7-ter, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71;

e) quanto a 600 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'applicazione dell'articolo 14;

f) quanto a 925 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate per imposta sul valore aggiunto derivanti dalle disposizioni recate dall'articolo 13;

g) quanto a 300 milioni di euro, per l'anno 2013, mediante il versamento all'entrata del bilancio dello Stato pari a 300 milioni di euro, a valere sulle disponibilità dei conti bancari di gestione riferiti alle diverse componenti tariffarie intestati alla Cassa conguaglio per il settore elettrico. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con apposita delibera, provvede ad imputare la suddetta somma a riduzione delle disponibilità dei predetti conti, assicurando l'assenza di incrementi tariffari;

h) per la restante parte mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 12, pari a 458,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016.

4. Il Ministero dell'economia e delle finanze effettua il monitoraggio sulle entrate di cui alle lettere e) ed f) del comma 3. Qualora da tale monitoraggio emerga un andamento che non consenta il raggiungimento degli obiettivi di maggior gettito indicati alle medesime lettere, il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro il mese di novembre 2013, stabilisce l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, in misura tale da assicurare il conseguimento dei predetti obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare nel 2014 per effetto dell'aumento degli acconti per l'anno 2013.

5. L'allegato 1 annesso alla legge 24 dicembre 2012, n. 228, è sostituito dall'Allegato 4 al presente decreto.

6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 15 autorizzano maggiori emissioni di titoli di Stato per l’anno 2013, rispetto ai limiti massimi fissati dalla legge di bilancio per il 2013, al fine di reperire le risorse necessarie ad assicurare la liquidità alle regioni e agli enti locali per l'attuazione degli interventi disposti dall'articolo 13 del provvedimento.

I successivi commi da 3 a 6 recano le norma di copertura finanziaria degli oneri recati dalle altre norme del provvedimento, ad esclusione dell'articolo 9, comma 6, per il quale è prevista una apposita norma di copertura.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame autorizza l’emissione di titoli di Stato per un importo massimo di 8.000 milioni di euro per l'anno 2013, al fine di reperire le risorse necessarie ad assicurare alle regioni e agli enti locali maggiore liquidità per pagamenti aggiuntivi di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31 dicembre 2012 da effettuarsi nell’anno 2013 - per ulteriori 7,2 miliardi di euro rispetto a quanto previsto originariamente dal D.L. n. 35/2013 - secondo quanto disposto dall'articolo 13 del provvedimento.

Si ricorda, al riguardo, che le disposizioni del citato articolo 13 prevedono un incremento del Fondo per assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili delle imprese per 7,218 milioni di euro nel 2013. Le anticipazioni concesse sono da restituire a partire dal 2015 e con interessi. Si determina, pertanto, la necessità di maggiori emissioni nella parte finale del 2013, per l’importo massimo indicato al comma 1. In relazione a ciò, la Relazione tecnica stima un incremento della spesa per interessi nel bilancio dello Stato, pari a 190 milioni di euro per l'anno 2014, a 248 milioni per l’anno 2015 e a 257 milioni per il 2016, la cui copertura finanziaria è fornita dai commi 3 e seguenti dell’articolo in esame.

 

L’autorizzazione a maggiori emissioni, per un importo fino a 8 miliardi di euro, comporta, di conseguenza, una rideterminazione in aumento del limite massimo di emissione di titoli di Stato, stabilito dalla legge di approvazione del bilancio (legge n. 229/2012), nonché del livello massimo del ricorso al mercato, stabilito dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012).

Al riguardo, si ricorda che la legge 24 dicembre 2012, n. 229, recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2013 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2013-2015 dispone, all’articolo 2, comma 3, che l’importo massimo di emissione dei titoli pubblici, al netto di quelli da rimborsare e di quelli per regolazioni debitorie, è stabilito per l’anno 2013 in 24.000 milioni di euro. La legge 29 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) fissa, all’articolo 1, comma 1, il livello massimo del ricorso al mercato finanziario per l’anno 2013 in 240.000 milioni di euro.

Tali limiti sono già stati già rideterminati in aumento dall’articolo 12, comma 1, del D.L. n. 35/2013 che ha autorizzato l'emissione di titoli di Stato per un importo fino a 20.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 al fine di reperire le risorse per assicurare la liquidità necessaria al pagamento dei debiti di cui al decreto medesimo.

 

Per poter procedere all’attuazione delle disposizioni dell’articolo 13 del decreto legge in esame, nelle more dell'emissione dei suddetti titoli di stato, il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio e, ove necessario, a disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione andrà effettuata entro la conclusione dell'esercizio in cui sono erogate le anticipazioni.

L’aumento dell’anticipazione di liquidità per il pagamento dei debiti delle Amministrazioni locali (7,2 miliardi di euro) determina, inoltre, un aumento di pari importo anche del saldo netto da finanziare, rispetto al limite massimo definito nella legge di stabilità 2013. Di conseguenza, il successivo comma 5 sostituisce l'allegato 1 all'articolo 1, comma 1, della legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) - come già precedentemente sostituito dall’articolo 12, comma 8, del D.L. n. 35/2013 – che fissa i livelli massimi del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato, in termini di competenza, per il triennio 2013-2015, con l'Allegato 4 del presente decreto legge. La seguente tabella pone a raffronto gli importi dei due saldi, come originariamente indicati nella legge di stabilità e come successivamente aumentati dal D.L. n. 35/2013 e dal D.L. n. 102 in esame:

(milioni di euro)

 

2013

2014

2015

Legge stabilità

D.L.35

D.L. 102

Legge stabilità

D.L.35

D.L. 102

Legge stabilità

D.L.35

D.L. 102

Saldo netto da finanziare

-6.600

-31.600

-39.600

-4.100

-29.100

-29.100

-900

-900

-900

Ricorso al mercato

240.000

265.000

273.000

230.000

255.000

255.000

260.000

260.000

260.000

 

 

Il comma 3 reca le norma di copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento nel suo complesso - ivi compresi gli oneri derivanti dalle emissioni dei titoli pubblici di cui ai commi precedenti, ad esclusione dell'articolo 9, comma 6, per il quale è prevista una apposita norma di copertura.

Gli oneri sono complessivamente quantificati pari a 2.934,4 milioni di euro per l'anno 2013, a 555,3 milioni di euro per l'anno 2014, a 617,1 milioni di euro per l'anno 2015 e a 486,1 milioni di euro a decorrere dal 2016.

 

Si osserva che il comma 3 espone gli oneri complessivi derivanti dal provvedimento senza tuttavia indicare le singole disposizioni normative onerose cui si intende dare copertura finanziaria, come invece richiesto dall’articolo 17, comma 1, della legge n. 196 del 2009 di contabilità e finanza pubblica.

A tali oneri si provvede:

a)  quanto a 300 milioni di euro per l'anno 2013, mediante riduzione delle disponibilità, di competenza e di cassa, degli stanziamenti relativi alle spese per consumi intermedi e investimenti fissi lordi, così ripartiti tra i Ministeri, secondo quanto indicato nell'allegato 2 al decreto in esame. Nella tabella che segue sono indicati gli importi di riduzione disposti per singolo Ministero – con eccezione dei Ministeri dell’istruzione e dei beni e attività culturali - e le conseguenti residue disponibilità di bilancio per l’anno 2013, al netto di impegni ed accantonamenti (dati sistema informativo RGS).

 

(milioni di euro)

 

Consumi intermedi

Investimenti fissi lordi

 

Ministeri

Riduzioni

Disponibilità residue di bilancio

Riduzioni

Disponibilità residue di bilancio

Totale riduzioni

Economia e Finanze

32,41

4.264,26

10,14

125,33

42,54

Sviluppo economico

1,09

23,05

6,51

60,00

7,60

Lavoro, politiche sociali

0,63

16,46

0,39

3,68

1,01

Giustizia

10,27

442,20

6,45

114,91

16,72

Affari esteri

3,76

37,14

0,69

7,22

4,45

Interno

10,40

327,00

16,18

150,22

30,58

Ambiente

0,67

12,27

1,98

24,39

2,65

Infrastrutture e trasporti

2,65

66,60

34,34

509,96

36,98

Difesa

74,34

767,61

73,58

732,85

147,92

Politiche agricole

2,19

26,38

0,36

62,24

2,54

Salute

6,96

66,88

0,04

0,39

7,00

TOTALE

149,40

 

150,60

 

300,00

 

La norma prevede, inoltre, che per effettive, motivate e documentate esigenze, su proposta delle Amministrazioni interessate, possono essere disposte variazioni compensative, nell'ambito di ciascuna categoria di spesa, tra i capitoli interessati dalle riduzioni, purché sia garantita l’invarianza degli effetti sull'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni.

In merito all’utilizzo a finalità di copertura delle risorse derivanti dalla riduzione delle spese per investimenti fissi lordi, si segnala che si tratta di spese in conto capitale che vengono destinate integralmente a copertura di oneri di parte corrente, con conseguente dequalificazione della spesa;

b)  quanto a 675,8 milioni di euro per l’anno 2013 mediante riduzione delle autorizzazioni di spesa elencate nell’allegato 3, secondo gli importi ivi indicati. Nella tabella 1, riportata in fondo alla scheda, sono indicati gli importi di riduzione per ciascuna autorizzazione di spesa e la residua disponibilità di bilancio per l’anno 2013, al netto di impegni ed accantonamenti (cfr. ultra);

c)  quanto a 250 milioni euro per l'anno 2013, mediante riduzione del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, di cui all'ultimo periodo dell'articolo 1, comma 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 247.

La legge di bilancio per il 2013 prevede uno stanziamento del Fondo in questione, sul cap. 4330 del Ministero del lavoro, pari a 500 milioni per il 2013. L’articolo 4, comma 1, lett. a), del D.L. n. 54 del 2013 ha ridotto la dotazione del Fondo di 250 milioni nel 2013 al fine di rifinanziare gli ammortizzatori sociali in deroga, di cui all’articolo 2, commi 64, 65 e 66 della legge n. 92/2012. Considerando la copertura disposta dalla lettera c) in esame, la disponibilità del Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello risulta pertanto azzerata.

d)  quanto a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista per l'anno 2014 dall'articolo 1, comma 184, della legge n. 228/2012 relativa alla realizzazione del sistema MO.S.E., e per 100 milioni di euro per l'anno 2015 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa prevista dall'articolo 7-ter, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, relativa al finanziamento della rete infrastrutturale ferroviaria nazionale per la prosecuzione dei lavori relativi al Terzo Valico dei Giovi e per il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona.

In merito all’utilizzo a finalità di copertura delle risorse derivanti dalle riduzioni di spesa di cui alla lettera d), relative al MOSE e agli investimenti concernenti la rete infrastrutturale ferroviaria nazionale, si segnala che, analogamente a quanto già sopra rilevato per la riduzione degli investimenti fissi lordi, si tratta di risorse in conto capitale destinate alla copertura di spese di parte corrente, configurando, dunque, una ipotesi di dequalificazione della spesa.

 

Il comma 184 dell’articolo unico della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013), per la prosecuzione dei lavori per la realizzazione del sistema MO.S.E., ha autorizzato la spesa complessiva di 1.150 milioni di euro nel periodo 2013-2016, così ripartiti: 45 milioni per l’anno 2013, 400 milioni per il 2014, 305 milioni per il 2015 e 400 milioni per il 2016. L’opera, compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche, in base all'ultimo aggiornamento del Programma allegato al Documento di economia e finanza (DEF) trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013, reca un costo complessivo di 5.493,16 milioni di euro di cui 3.658,89 disponibili.

L’articolo 7-ter, comma 2, del D.L. 43/2013 reca uno stanziamento decennale, di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale, che deve essere sarà attribuito con delibere del CIPE, con priorità agli interventi per la realizzazione del terzo valico dei Giovi e per il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona di accesso sud alla galleria di base del Brennero. Entrambe le opere sono inserite nei corridoi transeuropei di trasporto e sono comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche. Il quadruplicamento della linea Fortezza-Verona, secondo quanto si evince dai dati del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” (al 30 settembre 2012) reca un costo di 2.412,41 milioni di euro di cui disponibili 102,06.

Per quanto concerne il terzo valico dei Giovi, in base all'ultimo aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche, si riportano i seguenti costi relativi ai diversi lotti: il primo lotto dell’opera (in fase di realizzazione) con un costo di 718 milioni di euro (totalmente coperto); il secondo lotto (per il quale si è in attesa del progetto esecutivo) con un costo di 860 milioni di euro (anch'esso totalmente coperto); i lotti terzo, quarto, quinto e sesto (per tutti i quali si è in fase di progetto definitivo) i cui costi ammontano, rispettivamente, a 1.510 milioni, 1.340 milioni, 1.200 milioni e 650 milioni di euro, per i quali deve essere ancora individuata la copertura finanziaria.

e)  quanto a 600 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla definizione agevolata dei contenziosi, in applicazione dell'articolo 14.

L’articolo 14 prevede la possibilità per i soggetti condannati con sentenza di primo grado in giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, la facoltà di chiedere la definizione del procedimento con pagamento di una somma non inferiore al 25 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado e il giudice determina la somma dovuta in misura non inferiore a quella richiesta.

Come riportato nella Relazione tecnica del provvedimento, il giudizio più rilevante cui sarebbe applicabile la definizione agevolata sarebbe quello relativo all’impugnazione, da parte dei concessionari per la gestione della rete telematica del gioco lecito, della sentenza della Corte dei conti, depositata in data 17 febbraio 2012, di condanna al risarcimento per danno erariale per violazione degli obblighi di servizio relativamente al mancato collegamento degli apparecchi da gioco alla apposita rete telematica. Dal dispositivo della sentenza risulta che i dieci concessionari sono stati condannati al risarcimento per un importo complessivo pari a 2.475.000.000 euro. La relazione tecnica evidenzia che “la definizione agevolata comporta un effetto finanziario positivo di circa 600 milioni di euro per il 2013”.

f)   quanto a 925 milioni di euro per l'anno 2013, mediante utilizzo delle maggiori entrate per IVA derivanti dalle disposizioni recate dall'articolo 13.

La Relazione tecnica sottolinea che l’articolo 13, accelerando i pagamenti dei debiti scaduti della P.A. con l’immissione di ulteriori 7,2 miliardi di liquidità per il soddisfacimento delle imprese creditrici nei confronti delle pubbliche amministrazioni, comporterebbe maggiori entrate IVA aggiuntive rispetto a quanto già scontato nei saldi di finanza pubblica, stimate in 925 milioni di euro per l’anno 2013.

g)  quanto a 300 milioni di euro, per l'anno 2013, mediante il versamento di analogo importo all'entrata del bilancio dello Stato, a valere sulle disponibilità dei conti bancari di gestione riferiti alle diverse componenti tariffarie intestati alla Cassa conguaglio settore elettrico. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con apposita delibera, provvede ad imputare la suddetta somma a riduzione delle disponibilità dei predetti conti, assicurando l'assenza di incrementi tariffari.

La Cassa conguaglio per il settore elettrico (CCSE) è un ente pubblico non economico che opera nei settori dell’elettricità, del gas e dell'acqua. La sua missione principale è la riscossione di alcune componenti tariffarie dagli operatori; tali componenti vengono raccolte nei conti di gestione dedicati e successivamente erogati a favore delle imprese secondo regole emanate dall’Autorità per l'energia elettrica e il gas. La CCSE è sottoposta alla vigilanza dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

I conti gestiti dalla Cassa al 31 dicembre 2012 sono 46, di cui 23 per il settore elettrico e 23 per il settore gas. Con la Delibera 6/2013, l’AEEG ha richiesto alla Cassa di aprire e gestire anche un nuovo conto per la perequazione relativa alle agevolazioni concesse nell’ambito del Servizio Idrico Integrato alle popolazioni colpite dal sisma del 24 maggio 2012.

h)  per la restante quota parte per gli anni 2014-2016, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 12, relativo alla minore detrazione dei premi assicurativi sulla vita e contro gli infortuni, pari a 458,5 milioni di euro per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016

 

Il comma 4 reca una clausola di salvaguardia finanziaria relativamente al gettito atteso dall’IVA e dalla definizione agevolata dei contenziosi, che forniscono copertura finanziaria agli oneri derivanti dal provvedimento.

In particolare, la norma prevede un monitoraggio da parte del Ministero dell'economia e delle finanze sull’andamento delle suddette entrate di cui alle lettere e) ed f) del comma 3. Qualora dal monitoraggio emerga un gettito inferiore a quello necessario a garantire la copertura finanziaria del provvedimento in esame, il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il mese di novembre 2013, stabilisce con proprio decreto l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, in misura tale da assicurare il conseguimento degli obiettivi di maggior gettito anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare nel 2014 per effetto dell'aumento degli acconti per l'anno 2013.

Si ricorda al riguardo che l’articolo 11 del decreto-legge n. 76 del 2013 ha incrementato dal 99 al 100 per cento la misura dell'acconto IRPEF dovuto a decorrere dall’anno 2013 e dal 100 al 101 per cento, per il solo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, la misura dell’acconto IRES.

 

Per l’articolo in esame si rinvia comunque a quanto più avanti esposto nella sezione del presente dossier relativa ai profili finanziari.

 

Tabella 1riduzione delle autorizzazioni di spesa indicate nell’Allegato 3
(art. 15, co. 3, lett. b)

(in euro)

Ministeri/Autorizzazioni

Descrizione

Cap,

Riduzioni

Disponibilità residue di bilancio

Economia e Finanze 

602.259.980

 

DL 112/2008, art. 61, co. 22

Assunzioni in deroga tutela ordine pubblico

3079

55.000.000

45.000.000

DL 138/2002, art. 7

Apporto capitale sociale ANAS

7372

35.000.000

603.017.630

DL 203/2005, art. 2, co. 2

Assunzioni personale MEF

3032

20.062.845

43.830.707

LF 266/2005, art. 1, co. 251

Fondo assunzioni a tempo indeterminato

3032

17.115.877

LF 296/2006, art. 1, co. 527

Fondo nuove assunzioni

3032

22.821.278

DL 262/2006, art. 1, co. 14

Fondo personale amministrazione finanziaria

3041

10.000.000

1.038.430

DL 78/2010, art. 39, co. 4-ter

Zone franche urbane

7816

3.000.000

10.618.977

DLG 300/1999, art. 65

Risorse da attribuire all'Agenzia del Demanio

7754

3.000.000

15.094.487

LF 244/2007, art. 1, co. 136*

Esenzione Canone RAI per le persone anziane

3855

3.000.000

7.178.755

LF 266/2005, art. 1, co. 86

Contributo in conto impianti alle Ferrovie dello Stato s.p.a.

7122

300.000.000

1.635.194.174

LF 296/2006, art. 1, co. 272

Credito d'imposta per nuovi investimenti nelle aree svantaggiate

7809

20.000.000

586.332.747

LS 183/2011, art. 33, co. 1-bis, p.1

Fondo piccole opere

7536

25.000.000

29.126.428

DL 95/2012, art. 23, co. 12 quater

Fondo piccole opere

7536

25.000.000

LS 228/2012, art. 1, co. 90

Fondo da ripartire assunzioni di personale del Comparto sicurezza-difesa e del Corpo dei vigili del fuoco

3022

50.000.000

19.861.533

LF 244/2007, art. 3 bis, co. 97

Fondo stabilizzazione precari -contribuzione aggiuntiva

3033

10.000.000

11.646.954

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

3095

3.259.980

29.137.817

Sviluppo Economico 

13.399.268

 

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

1740

1.399.268

12.593.411

L 549/1995, art. 1, co. 43

Contributo ad enti

2501

2.000.000

10.101.015

DL 83/2012, art. 17 decies, co. 1**

Fondo incentivi rottamazione

7322

3.000.000

35.991.476

DLG 112/1998, art. 19, co. 1

Fondo competitività e sviluppo - federalismo amministrativo

7342

5.000.000

38.556.928

LF 350/2003, art. 4, co. 61

Fondo tutela made in Italy

7481

2.000.000

8.255.701

Affari Esteri

5.000.000

 

DPR 18/1967, art. 171

Indennità servizio all'estero

1276

5.000.000

86.149.611

Interno

2.260.802

 

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

3005

1.260.802

11.347.213

DLG 267/2000, art. 104, co. 1

Scuola Superiore P.A.

1517

1.000.000

3.813.098

Ambiente

4.150.093

 

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

3822

1.150.093

10.350.836

DLG 112/1998, art. 10, co. 1

Trasferimento a Regione a statuto speciale

7085 8532

3.000.000

3.965.289
2.176.851

Infrastrutture e Trasporti

45.000.000

 

DL 451/1998, art. 2, co. 3

Assegnazione Comitato autotrasportatori

1330

10.000.000

8.618.833

DL 203/2005, art. 11 decies, co. 3

Competitività sistema aeroportuale

1921

5.000.000

22.493.136

L 7/2009, art. 5, co. 1, p. C)

Realizzazione in Libia di progetti infrastrutturali

7800

30.000.000

20.000.000

Difesa

1.818.109

 

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

1187

1.818.109

16.362.977

Politiche Agricole

1.557.605

 

LF 244/2007, art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

2314

57.605

 

LF 244/2007, art. 3, co. 34

Trasferimenti alle imprese (Contributi a favore di consorzi di tutela ecc)

2087

500.000

1.018.032

L. 157/1992, art. 24, co. 2

Somma da attribuire alle associazioni venatorie nazionali riconosciute

2191

500.000

1.026.178

L 267/1991, art. 1, co. 1, p. 5

Terzo piano nazionale pesca (spese per svolgimento campagne di educazione alimentare pesca marittima)

7080

500.000

1.588.109

Salute

364.971

 

LF 244/2007 art. 2, co. 615

Divieto di riassegnazione di entrate

3601

364.971

3.284.740

TOTALE COMPLESSIVO

675.810.826

 

*    Il riferimento al comma 136 dovrebbe intendersi al comma 132.

**  Il riferimento al comma 17-decies dovrebbe intendersi al comma 17-undecies.

 

 

 

 



[1]     I riferimenti normativi sono i seguenti: per la regione Valle d’Aosta L. Cost. 4/1948 art. 2; D.Lgs. 431/1989; per la regione Trentino-Alto Adige, D.P.R. 670/1972 artt. 4, 80; D.P.R. 473/1975; D.Lgs. 268/1992; per la regione Friuli-Venezia Giulia, L. Cost. 1/1963 art. 4; D.P.R. 114/1965 art. 8; D.Lgs. 9/1997. Sicilia, R.D.Lgs. 455/1946 art. 14.

[2]     In proposito, si veda la relativa scheda nel dossier consultabile al seguente link:

      http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/LA0619B.htm#_Toc349314008

[3]     D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, emanato in attuazione della legge delega n. 42 del 2009.

[4]     Decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.

[5]     Capitolo 1365/Interno.

[6]     Occorre in proposito ricordare che tutte le autonomie speciali hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle conseguenti norme di attuazione, che hanno disciplinato la materia disponendo che sia la regione (o la provincia autonoma) a provvedere alla finanza degli enti locali del territorio, con risorse a carico del proprio bilancio. Le norme di attuazione non sono tuttavia intervenute per la regione Sardegna e la regione Siciliana, ove pertanto la finanza degli enti locali è tuttora a carico dello Stato.

[7]     L’importo dell’acconto corrisposto per comune è riportato nel sito http://finanzalocale.interno.it/

[8]     D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[9]     Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, convertito dalla legge n. 64/2013.

[10]    In particolare i comma 1-bis di tale articolo, nel quale si dispone che nei casi in cui la dichiarazione di dissesto sia adottata nel corso del secondo semestre dell'esercizio finanziario per il quale risulta non essere stato ancora validamente deliberato il bilancio di previsione o sia adottata nell'esercizio successivo, il consiglio dell'ente presenta per l'approvazione del Ministro dell'interno un'ipotesi di bilancio che garantisca l'effettivo riequilibrio entro il secondo esercizio.

[11]    D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, recante meccanismi sanzionatori e premiali per le province ed i comuni, emanato in attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.

[12]    Il Titolo II del decreto è concerne invece i principi contabili relativo al sistema sanitario, è non è oggetto delle modifiche apportate dall’articolo 9 in commento. Per tale Titolo resta quindi fermo il termine per l’applicazione stabilito dell’articolo 38 del D.Lgs. n. 118/2011, che decorre dall’anno successivo all’entrata in vigore dello stesso, e, pertanto, dal 2012.

[13]    Tale comma prevede infatti che in considerazione degli esiti della sperimentazione, con i decreti legislativi integrativi e correttivi siano definiti i contenuti specifici del principio della competenza finanziaria e possano essere ridefiniti i principi contabili generali, oltre al livello minimo di articolazione del piano dei conti integrato comune, alla codifica della transazione elementare e ad altri elementi.

[14]    Recante “Sperimentazione della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118”.

[15]    L’articolo 6, comma 17 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) prevede che, a decorrere dall’anno 2012 - nelle more dell’entrata in vigore della disciplina sull’armonizzazione dei bilanci e dei sistemi contabili degli enti territoriali di cui al D.Lgs. n. 118 del 2011-, gli enti locali devono iscrivere nei propri bilanci un Fondo svalutazione crediti costituito in misura non inferiore al 25 percento dei residui attivi (Titolo I e III – entrata) con anzianità superiore a 5 anni.

[16]    Tale disposizione prevede che gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva, mediante la riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile, nonché mediante la riduzione delle strutture ed il contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa.

[17]    Recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito dalla legge n. 135/2011.

[18]    Costituite dall’articolo 32, comma 3 della legge n. 183/2011, che qui non si dettagliano.

[19]    Convertito dalla legge n.189/2008. Si tratta del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.

[20]    Tale comma stabilisce le percentuali che gli enti locali devono applicare per gli anni 2012-2016, ai fini della determinazione del proprio obiettivo di saldo finanziario richiesto per il rispetto del patto di stabilità interno, alla media delle spese correnti dagli stessi enti registrata negli anni precedenti.

[21]    Gli enti locali la cui spesa sia pari o superiore al 50 per cento non possono invece procedere ad alcuna assunzione di personale.

[22]    Stabilite in collaborazione con l’ISTAT, in coerenza con le elaborazione sull’indebitamento netto delle regioni secondo il sistema dei conti europei SEC 95.

[23]    Per gli enti del settore sanitario, coinvolti nella gestione della spesa sanitaria finanziata con le risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, si applicano disposizioni specifiche, recate dal Titolo II del D.Lgs. n. 118/2011.

[24]    Tale comma prevede infatti che in considerazione degli esiti della sperimentazione, con i decreti legislativi integrativi e correttivi siano definiti i contenuti specifici del principio della competenza finanziaria e possano essere ridefiniti i principi contabili generali, oltre al livello minimo di articolazione del piano dei conti integrato comune, alla codifica della transazione elementare e ad altri elementi.

[25]    Decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 213/2012. In particolare il comma 5 dispone che il rendiconto sia parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte, che alla decisione di parifica allega una relazione, con le proprie osservazioni sulla regolarità della gestione e con la proposta delle eventuali misure correttive.

[26]    Ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, sono considerate società controllate:

1)   le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2)   le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3)   le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

[27]    D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 , recante Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

[28]    D.L. 6 luglio 2012 n. 95, in tema di controllo della spesa pubblica, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

[29]    L’articolo 6, estende, al comma 3, il potere ispettivo esercitato dal Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio e dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato presso il Ministero dell’economia e finanze nei confronti delle amministrazioni pubbliche, anche alle società a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta.

[30]    L'articolo 18, comma 1, del D.L. 185/2008 ha previsto che il CIPE, presieduto dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per quanto attiene le risorse destinate alle infrastrutture) provveda ad assegnare, in coerenza con gli indirizzi assunti in sede europea, una quota delle risorse nazionali disponibili del Fondo aree sottoutilizzate, ad una serie di fondi, tra cui il Fondo sociale per occupazione e formazione (gli altri fondi sono il Fondo infrastrutture e il Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri). Nel Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali affluiscono anche le risorse del Fondo per l'occupazione, nonché ogni altra risorsa comunque destinata al finanziamento degli ammortizzatori sociali, concessi in deroga alla normativa vigente, e quelle destinate in via ordinaria dal CIPE alla formazione. Si ricorda, che con l'articolo 18 del D.L. 185/2008 si è inteso, più in generale, perseguire l'obiettivo di concentrare le risorse che risultino disponibili sul Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) su obiettivi che, in considerazione della eccezionale crisi economica internazionale attuale, siano da considerarsi prioritari per il rilancio dell'economia italiana, quali le opere pubbliche e l'emergenza occupazionale.

[31]    Le risorse in questione finanziano i Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua, organismi di natura associativa promossi dalle Parti Sociali attraverso specifici Accordi Interconfederali stipulati con le organizzazioni sindacali.

[32]    Il D.M. non risulta emanato entro il previsto termine del 21 luglio 2013 (60° giorno dalla data di entrata in vigore del D.L., ossia il 22 maggio 2013).

[33]    Come già tra l’altro enunciato in alcune circolari INPS (v. ad es. la n. 51/2012).

[34]    Il 14 dell’articolo 24 del D.L. 201/2011 ha previsto, appunto, che con apposito decreto interministeriale, da adottare entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 201/2011 (e cioè il 28 marzo 2012), siano definite le modalità di attuazione del comma 14 . La disciplina attuativa, in particolare, dovrà provvedere alla determinazione del numero massimo di beneficiari nel limite di tetti annui di spesa (240 milioni per i 2013; 630 milioni per il 2014; 1.040 milioni per il 2015; 1.220 milioni per il 2016; 1.030 milioni per il 2017; 610 milioni per il 2018; 300 milioni per il 2019).

E’ stato inoltre disposto l’obbligo, per gli Enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, di monitorare l’accesso ai benefici, con l’ulteriore obbligo di non prendere in considerazione ulteriori domande una volta raggiunto il limite numerico corrispondente ai tetti annui di spesa.

La disposizione, infine, precisa che nell’ambito del predetto limite numerico vadano computati anche i lavoratori che intendono avvalersi, se in possesso dei richiesti requisiti, anche del beneficio – in aggiunta a quello indicato relativo al regime delle decorrenze annuali disciplinato dall’articolo 12, comma 5, del D.L. 78/2010 , per il quale risultano comunque computati nel relativo limite numerico di cui al predetto articolo 12, comma 5 afferente al beneficio concernente il regime delle decorrenze.

In ogni caso resta fermo che per i richiamati soggetti che maturino i requisiti dal 1° gennaio 2012 trovino comunque applicazione le disposizioni inerenti l’adeguamento dei requisiti per l’accesso ai trattamenti pensionistici agli incrementi della speranza di vita di cui al comma 12.

[35]    Gli articoli 410, 411 e 412-ter c.p.c. (concernenti, rispettivamente, il tentativo di conciliazione, il processo verbale di conciliazione ed altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva) sono stati interamente modificati dall’articolo 31 della L. 183/2010 (cd. “collegato lavoro”), che ha ridisegnato la sezione del codice recante le disposizioni generali in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (articoli da 409 a 412-quater). In estrema sintesi, la disposizione trasforma il tentativo di conciliazione, attualmente obbligatorio, in una fase meramente eventuale, introduce una pluralità di mezzi di composizione delle controversie di lavoro alternativi al ricorso al giudice e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro di cui all'articolo 76 del D.Lgs. 276/2003. Il comma 1 sostituisce integralmente l’art. 410 c.p.c. relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro. In particolare, si ricorda che due sono state le novità di maggior rilievo: rispetto alla previgente obbligatorietà, è prevista la “facoltatività” del tentativo di conciliazione (si torna cosi alla previsione anteriore alla riforma del D.Lgs. 80 del 1998); è stato uniformato il sistema di conciliazione nelle controversie di lavoro, indipendentemente dal fatto che attengano al settore pubblico o a quello privato.

[36]    In particolare, l’articolo 4 del D.M. 1° giugno 2012 ha disposto che i soggetti interessati debbano presentare le istanze per l’accesso ai benefici con lievi differenze a seconda delle categorie cui si appartiene, corredate da una certificazione sostitutiva di dichiarazione ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 445/2000, entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del medesimo D.M. sulla G.U. (24 luglio 2012) e cioè entro il 21 novembre 2012. Il successivo D.M. 22 aprile 2013 ha definito le modalità per la presentazione delle istanze per specifiche categorie di lavoratori interessati agli articoli 4 e 5. In particolare, per lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga in seguito a specifici accordi, l’istanza, corredata dall’accordo, deve essere presentata entro 120 giorni dalla data di pubblicazione del medesimo D.M. sulla G.U. (e cioè entro il 21 agosto 2013), lo stesso termine è richiesto per la presentazione dell’istanza – secondo ulteriori specifiche modalità –da parte dei lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412 c.p.c. ovvero in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo.

[37]    Il comma 18 ha previsto l’adozione di un regolamento di delegificazione, da emanare entro il 31 ottobre 2012 (termine non perentorio) su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, per l’armonizzazione dei requisiti di accesso ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.), tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, ivi compresi quelli relativi a :

§       i lavoratori indicati all’articolo 78, comma 23, della L 388/2000 che hanno effettuato lavori di sottosuolo in miniere, cave o torbiere ed hanno cessato la loro prestazione lavorativa a seguito della chiusura definitiva di tali attività, senza poter raggiungere il diritto a conseguire i benefici di cui all'articolo 18 della L. 153/1969 ;

§       il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, di cui al D.Lgs. 195/1995;

§       il personale dei vigili del fuoco nonché dei rispettivi dirigenti, di cui alla L. 1570/1941.

Si ricorda che in seguito ai pareri emanati il 19 giugno 2013 dalle competenti Commissioni parlamentari la parte del regolamento riferita ai comparti sicurezza e difesa è stata stralciata. Il decreto è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri il 9 settembre 2013 (e in corso di pubblicazione sulla G.U.).

[38]    Il testo dell’Addendum è disponibile sul sito istituzionale di Cassa depositi al seguente indirizzo:

http://www.mef.gov.it/opencms754/opencms/primo-piano/documenti/2013/ADDENDUM.pdf

      Il contratto tipo di anticipazione è disponibile al seguente indirizzo:

http://www.mef.gov.it/opencms754/opencms/primo-piano/documenti/2013/DECRETO.pdf

[39]    Il testo del documento è disponibile sul sito istituzionale del MEF al seguente indirizzo http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/2013/Attuazione_sblocca_debiti_4_9.1.pdf

[40]    Le restituzioni sono versate annualmente da Cassa depositi e prestiti all’entrata del bilancio statale, ai sensi e con le modalità definite dal successivo articolo 12, comma 6 del provvedimento, il quale prevede che gli importi delle restituzioni siano versati ad appositi capitoli dell’entrata, distinti per la quota capitale e per quota interessi. Gli importi dei versamenti relativi alla quota capitale sono destinati al Fondo ammortamento titoli di Stato.

In caso di mancata corresponsione della rata di ammortamento entro il 30 settembre di ciascun anno, sulla base dei dati comunicati dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A., l'Agenzia delle Entrate provvede a trattenere le somme non corrisposte:

§       per i comuni, all'atto del pagamento agli stessi dell'imposta municipale propria, riscossa tramite modello F24 o bollettino di conto corrente postale;

§       per le province, all'atto del riversamento alle medesime dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, riscossa tramite modello F24.

L’articolo 4 dell’Addendum dispone che il recupero delle somme avrà inizio decorsi cinque giorni lavorativi dalla ricezione da parte dell’Agenzia delle entrate dei dati da parte di Cassa depositi e prestiti.

[41]    Il decreto-legge non ha poi proseguito nell’iter di conversione, in quanto il relativo testo è stato trasfuso nel decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, convertito dalla legge n. 98/2013.

[42]    Il testo fa riferimento, per un presumibile errore materiale, all’ ”incremento di cui al comma 1”, anziché a quello di cui al comma 8.

[43]    http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/sentenze/2012/sentenza_214_2012.pdf

[44]    Si tratta di: Atlantis World Gioco legale limited, Snai spa, Sisal spa, Gmatica srl, Cogetech spa, Gamenet spa, Lottomatica Videolot Rete spa, Cirsa Italia srl, H.B.G. Srl e Codere spa.

[45]    Con la medesima sentenza sono stati altresì condannati, per omissione di controllo e di contestazione, il direttore generale dell’AAMS, Giorgio Tino, e il direttore generale dell’area giochi, Antonio Tagliaferri.