Pubblicità dei lavori:
Bonetti Elena , Presidente ... 2
Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS):
Bonetti Elena , Presidente ... 2
Santoro Gianfranco , direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS ... 3
Bonetti Elena , Presidente ... 20
Ricciardi Toni (PD-IDP) ... 20
Bonetti Elena , Presidente ... 22
Alifano Enrica (M5S) ... 22
Bonetti Elena , Presidente ... 23
Magi Riccardo (Misto-+Europa) ... 23
Bonetti Elena , Presidente ... 23
Santoro Gianfranco , direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS ... 24
Bonetti Elena , Presidente ... 24
Santoro Gianfranco , direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS ... 24
Ricciardi Toni (PD-IDP) ... 25
Santoro Gianfranco , direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS ... 25
La Monica Vito , direttore centrale Pensioni dell'INPS ... 30
Bonetti Elena , Presidente ... 33
ALLEGATO: Memoria presentata dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) ... 35
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ELENA BONETTI
La seduta comincia alle 8.30.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto.
Audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), che ringrazio per la disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione.
Ricordo che la Commissione ha ritenuto di avviare i propri lavori con un ciclo iniziale di audizioni dei soggetti istituzionali più qualificati a fornire alla medesima i principali elementi informativi necessari per lo svolgimento delle sue funzioni ai sensi della delibera istitutiva. Nelle due precedenti settimane si sono svolte le audizioni dei presidenti del CNEL e dell'ISTAT, mentre martedì 8 aprile si è svolta l'audizione di rappresentanti del CENSIS.
Per l'INPS sono oggi presenti il direttore centrale Pensioni, Vito La Monica, e il direttore centrale Studi e Ricerche, Gianfranco Santoro, che ringrazio nuovamente di cuore per la presenza.Pag. 3
L'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha presentato alla Commissione una memoria relativa ai contenuti della presente audizione, che è già stata trasmessa ai commissari e che sarà pubblicata, se i dottori La Monica e Santoro concordano, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
Do, quindi, la parola al dottor La Monica e al dottor Santoro per lo svolgimento della loro relazione.
GIANFRANCO SANTORO, direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS. Grazie, presidente. Ringraziamo lei, presidente, e i deputati per l'invito a presentare alcune considerazioni sul tema della transizione demografica, che oggi incide sulle scelte di politica economica e sociale in ogni Paese. Vi porgiamo peraltro i saluti del presidente Fava.
L'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale è chiamato a implementare politiche pubbliche afferenti a ogni età della vita dei propri utenti. In quest'ottica l'Istituto monitora costantemente le dinamiche demografiche, con particolare attenzione alla natalità, al sostegno alla genitorialità e all'ampliamento della base contributiva, in risposta alle esigenze crescenti di sostenibilità della spesa previdenziale e alla tutela dei nuovi bisogni sociali generati dalla transizione demografica in atto.
Il presente contributo, partendo da alcuni dati sul quadro demografico – già ampiamente descritto nell'audizione dell'ISTAT e funzionale alla contestualizzazione e alle successive argomentazioni –, analizza i dati relativi al mercato del lavoro a disposizione dell'Istituto e discute le misure volte ad ampliare la base contributiva, analizzando anche le dinamiche retributive e salariali. Inoltre, particolare attenzione viene dedicata alla spesa pensionistica e alle politiche di sostegno alla natalità – anche in un'ottica comparata a livello europeo – nonché agli altri interventi a sostegno degli anziani, inclusi coloro i quali versano in condizioni di non autosufficienza.Pag. 4
Con riferimento al contesto demografico, le più recenti previsioni relative al futuro del Paese confermano la presenza di un quadro potenzialmente critico. Si prospetta, infatti, non solo una significativa riduzione della popolazione residente, ma anche un marcato processo di invecchiamento. Si prevede in particolare una decrescita continua nei prossimi decenni: da 59 milioni di abitanti nel 2023 a 58,6 milioni nel 2030, a 54,8 milioni nel 2050, fino a 46,1 milioni nel 2080. Alla base di questa riduzione vi è una dinamica demografica negativa in essere da più di vent'anni, con un saldo naturale rapporto nati/morti negativo e previsto, nonostante il saldo migratorio positivo registrato nel 2024 (dovuto in gran parte all'aumento dell'immigrazione straniera rispetto al decennio scorso), in peggioramento.
L'Italia è i primi Paesi che hanno dovuto confrontarsi con questi andamenti demografici. Già nella prima metà degli anni Novanta è stato il primo Paese al mondo dove il numero dei residenti sotto i quindici anni è sceso sotto quello degli over-65. Attualmente la fascia anziana sta recuperando persino la popolazione under 25 e nei prossimi quindici anni sorpasserà gli under 35. Neanche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero proiettato delle nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi, soprattutto considerando che i più recenti dati ISTAT registrano nel 2024 un tasso di fecondità di 1,18 figli per donna, nuovo minimo storico rispetto al dato del 1995, il cui valore era pari a 1,19, risultando ampiamente lontano dai livelli raggiunti negli anni Settanta (superiori a 2), quindi anche ben al di sotto dei tassi di sostituzione. Anche in base allo scenario mediano, dove se ne contempla un aumento fino a 1,46 nel 2080, le nascite raggiungerebbero un massimo di 404 mila unità nel 2038, a fronte di un picco di decessi pari a 851 mila nel 2059. Inoltre, dopo tale anno l'ulteriore crescita Pag. 5della fecondità media non condurrebbe a un parallelo aumento dei nati per effetto dell'invecchiamento della popolazione e della conseguente diminuzione del numero dei potenziali genitori. Nonostante la previsione di una fecondità in recupero, nel 2050 i giovani fino a quattordici anni di età rappresenterebbero l'11,2 per cento della popolazione, in lieve flessione rispetto ad oggi e con effetti importanti sulla struttura demografica.
Sempre come rappresentato dall'ISTAT, il rapporto tra gli individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (fino a 14 anni e oltre 65) è destinato a scendere da circa tre a due nel 2023 a circa uno a uno nel 2050. Secondo lo scenario mediano delle previsioni dell'ISTAT, entro il 2050 le persone con più di sessantacinque anni potrebbero rappresentare il 34,5 per cento del totale. Particolarmente interessante è il dato rappresentato dall'indice di dipendenza degli anziani, ossia il rapporto tra la popolazione di età superiore a sessantacinque anni e la popolazione in età attiva, soprattutto in confronto con gli altri Paesi dell'Unione europea. Se per l'Unione europea a ventisette Stati membri il valore di tale indicatore si prevede passerà dal 36,1 al 59,1 per cento nel 2070, in Italia le stime ipotizzano che l'aumento andrà dal 40,8 al 65,5 per cento nel 2070, con un rapporto di tre persone in età da lavoro ogni due persone anziane. Parimenti, è interessante osservare che l'indice di dipendenza degli anziani non aumenta solo in ragione dell'invecchiamento della popolazione ma sempre di più per la riduzione della popolazione in età lavorativa, causata dall'arresto del tasso di fecondità – che, come accennato, è inferiore al valore di 1,5 –, stabilizzando uno scenario che non muta da oltre quarant'anni.
Infine, non è trascurabile il dato sull'emigrazione dei giovani italiani verso l'estero. In dieci anni si sono trasferiti 352 mila giovani tra i 25 e i 34 anni e solo 104 mila si sono successivamentePag. 6 ristabiliti in Italia: un saldo negativo che contribuisce ad alzare l'indice di vecchiaia.
Di fronte alle dinamiche demografiche appena descritte, che stanno indebolendo il mercato del lavoro e ridisegnando i bisogni della società, diventa determinante impiegare la popolazione in età lavorativa in maniera strategica ed efficiente. Il nostro Paese, pur trovandosi in una fase critica, conserva ancora significative opportunità di miglioramento, potendo investire su quelle risorse umane che ancora oggi non sono pienamente attive come forza lavoro (penso ai giovani, in primis, alle donne, e ai lavoratori anziani, alla cosiddetta «silver economy»). La sfida è, dunque, culturale, prima ancora che economica. Occorre ripensare l'approccio al lavoro, all'inclusione generazionale e alla valorizzazione del capitale umano, poiché solo attraverso l'implementazione di politiche efficaci e integrate sarà possibile trasformare quella che oggi appare come una minaccia in una concreta opportunità di rinnovamento.
Una visione intergenerazionale integrata richiede necessariamente la considerazione delle politiche a supporto della natalità e della genitorialità. Molti passi in avanti sono stati fatti in Italia, anche in confronto ad analoghi interventi adottati in altri Stati membri dell'Unione europea. L'Assegno Unico e Universale registra un andamento crescente sia nel numero dei beneficiari (passati da 9,7 milioni di figli nel 2022 a oltre 10 milioni nel 2024) sia nel take-up (passato dal 90 per cento nel 2022 al 94 per cento nel 2024). Nonostante numerose misure a supporto delle famiglie con figli (penso al già citato Assegno Unico, al bonus asilo nido, al nuovo bonus nascita di cui alla legge di bilancio, al potenziamento dei congedi parentali), anche in Italia – come già ricordato – il tasso di natalità non migliora. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno che caratterizza solo il Pag. 7nostro Paese. Anche la Francia registra nell'ultimo decennio una decrescita importante del tasso di natalità (passato da 2 figli per donna nel 2014 a 1,62 nel 2024). Sebbene il tasso di fecondità che contraddistingue la Francia sia superiore alla media europea, il calo registrato mostra la complessità delle sfide poste dai cambiamenti demografici in atto anche per uno Stato che storicamente ha sostenuto la natalità e la famiglia con numerose politiche strutturali. Come osservato da recenti studi, infatti, i dati sulle principali economie mostrano come il fenomeno della denatalità sia alquanto complesso e articolato, essendo influenzato anche da aspetti culturali e sociali, che in alcuni casi sembrano avere una maggiore rilevanza rispetto alle politiche a supporto della natalità.
Vediamo ora quali sono gli effetti di questa transizione demografica nel mercato del lavoro e quali sono i dati dell'Istituto in materia.
Gli indicatori relativi al mercato del lavoro dell'ISTAT registrano – come abbiamo detto – valori molto positivi per il nostro Paese, con un tasso di occupazione che ha raggiunto, a febbraio 2025, il 63 per cento, mentre il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6 per cento. Ciononostante, il tasso di occupazione italiano nella fascia 15-64 anni nel 2024 è rimasto significativamente inferiore alla media europea, attestandosi poco sopra al 62 per cento, rispetto a una media europea del 71 per cento. Questa situazione colloca l'Italia tra i Paesi con più bassi livelli occupazionali d'Europa, con una criticità – come precedentemente espresso – marcata per quanto riguarda l'impiego di giovani e donne.
Analizzando i dati pubblicati nell'ultimo rapporto annuale dell'Istituto, anche i dati occupazionali relativi agli assicurati INPS nell'anno 2023 risultano a livelli mai registrati prima, pari a 26,6 milioni (1,1 milioni di assicurati in più rispetto all'anno Pag. 82019). Nel quinquennio di osservazione 2019-2023 si è registrato un incremento di oltre mezzo milione di assicurati in valore assoluto, sia per le donne sia per gli uomini (rispettivamente, in termini relativi, più 5 e più 4 per cento). Rispetto all'età si registra un incremento di circa mezzo milione nella fascia under 35 anni e quasi il doppio nella fascia over-54 anni, evidenziando una polarizzazione verso le fasce di età estreme. Contemporaneamente si è assistito a una contrazione della fascia intermedia, comprendente i lavoratori nella fascia 35-54 anni, di circa mezzo milione di lavoratori. Nel periodo considerato, l'incremento dei lavoratori extra-Unione europea si attesta a mezzo milione. L'incremento degli assicurati è sostenuto soprattutto dall'aumento dei lavoratori dipendenti, che hanno raggiunto quota 21,8 milioni (1,2 milioni in più rispetto al 2019, che assumiamo come anno di confronto in quanto pre-pandemico). Questa tendenza positiva rappresenta un chiaro segnale della crescita e della stabilizzazione dell'occupazione, che trova conferma anche nell'aumento dell'intensità occupazionale, misurata attraverso il numero medio di settimane lavorate. Nel 2023 ogni assicurato ha lavorato in media 43,1 settimane, in crescita rispetto al valore del 2019 (pari a 42,9 settimane).
Negli ultimi quarant'anni si è inoltre verificato un cambiamento della forza lavoro, influenzato dalle dinamiche demografiche in atto. La quota di lavoratori sopra i sessanta anni è aumentata del 5 per cento e l'età media dei lavoratori è cresciuta in tutti i settori, alcuni dei quali hanno subìto una crescita maggiore rispetto agli altri (come, ad esempio, quello del commercio o dei lavoratori pubblici). Secondo le proiezioni del modello previsionale INPS, nei prossimi quindici anni (quindi dal 2025 al 2040) si assisterà a una variazione di composizione per età dei lavoratori contribuenti con un incrementoPag. 9 della quota di lavoratori anziani (55 anni e oltre) fino a circa metà del periodo di previsione, per poi regredire di nuovo ai livelli di partenza, con un incremento della quota di lavoratori giovani (fino a 34 anni) durante tutto il periodo di previsione fino a un massimo di cinque punti percentuali, nonché con un decremento sostanziale della quota dei contribuenti nella fascia di età 35-54 anni di quasi sette punti percentuali a fine periodo.
Vengo ai riflessi sulla spesa pensionistica. I fenomeni demografici sopra descritti hanno alimentato di recente il dibattito pubblico sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Per consentire ogni valutazione dello stato attuale e del futuro sistema previdenziale occorre in primo luogo analizzare l'andamento della spesa pensionistica. Tale analisi può essere sviluppata secondo due direttrici: la prima, di carattere macroeconomico, che si basa sui rilievi della Ragioneria Generale dello Stato, contenuti nel Rapporto n. 25 del 2024, relativi alle tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario; la seconda, di carattere finanziario, che si basa sui dati di bilancio consuntivo e di previsione di breve e medio periodo che interessano le gestioni dell'Istituto e, quindi, il bilancio dell'Istituto.
In particolare, dal Rapporto citato emerge che nel biennio 2023-2024 l'andamento della spesa pensionistica rispetto al prodotto interno lordo è crescente e si attesta intorno al 15,4 per cento nel 2024. Le cause di tale andamento risiedono nell'elevato livello di indicizzazione delle pensioni, a fronte di un significativo incremento del tasso di inflazione registrato tra la fine del 2021 e il 2023, e nel perdurare degli effetti delle misure di pensionamento anticipato del decreto-legge n. 4 del 2019. In base alle previsioni, al 2040 la crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL accelera fino a raggiungere il valore Pag. 10del 17,1 per cento, mantenendosi su tale livello per il successivo biennio, quando entrerà in quiescenza la generazione del «baby boom». Successivamente, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL è previsto progressivamente decrescente, portandosi al 16 per cento nel 2050 e al 14,1 per cento al 2060, rimanendo piuttosto stabile per il decennio successivo. Il calo del rapporto tra spesa pensionistica e PIL dal 2040 in avanti è riconducibile all'applicazione generalizzata del calcolo contributivo e alla stabilizzazione del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati, nonché – come in parte anticipato – all'esaurimento dei pensionamenti da parte della generazione del baby boom e agli ulteriori adeguamenti dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita.
I dati dell'ISTAT più recenti, pubblicati nei giorni scorsi, confermano le stime preliminari di un recupero della speranza di vita, in particolare quella misurata all'età di sessantacinque anni, che fa registrare un livello di 21,2 anni. Tale valore è coerente con la previsione di un incremento di tre mesi dei requisiti per la pensione di vecchiaia (sessantasette anni di età) e per la pensione anticipata (quarantadue anni e dieci mesi di contribuzione per gli uomini, un anno in meno per le donne) a partire dal 1° gennaio 2027. A tal riguardo, c'è da precisare che l'incremento dei requisiti presuppone l'emanazione di un decreto direttoriale del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 dicembre 2025. Esiste, quindi, un margine temporale di intervento, qualora il legislatore decidesse, come è avvenuto in passato, di sterilizzare gli aumenti dei requisiti pensionistici.
Per quanto riguarda il bilancio dell'Istituto, le previsioni a breve periodo indicano una situazione di sostenibilità, nonostante una crescita delle prestazioni; in particolare, a fronte di un lieve aumento delle entrate contributive, i trasferimenti della Pag. 11fiscalità generale a sostegno delle gestioni previdenziali e per gli interventi assistenziali rimangano costanti. È possibile osservare che il decremento dei trasferimenti che si registra dal 2024 al 2025 è dovuto al venir meno della decontribuzione della quota IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) a carico dei lavoratori, che dal 1° gennaio 2025 è stata resa strutturale e trasformata in una detrazione fiscale. L'avanzo di gestione rimane comunque positivo nel prossimo triennio 2025-2027. Quanto alle tendenze di medio periodo, le stesse evidenziano un risultato d'esercizio in peggioramento, dovuto al disavanzo crescente della gestione dei dipendenti pubblici, con una platea di contribuenti in flessione e una crescente quota di pensionati. Le previsioni relative all'incidenza della spesa pensionistica rispetto al PIL in base al comparto di appartenenza evidenziano un decremento della spesa relativa al settore pubblico a partire dal 2040, mentre registrano un aumento costante di quella del settore privato fino al 2045. Quella del settore autonomo, invece, mantiene un costante decremento in ragione anche del calo dei lavoratori autonomi.
Sulla base dei rilievi citati, che riguardano tanto il rapporto della Ragioneria Generale dello Stato quanto i dati di bilancio dell'Istituto, è possibile concludere che il sistema pensionistico va comunque monitorato nei prossimi trent'anni. Tuttavia, non vi sono ragioni per ritenere che lo stesso non sia in grado di garantire le prestazioni a cui è preposto. In ogni caso, occorre essere vigili e attuare politiche pubbliche adeguate ad alleviare l'impatto della transizione demografica in atto sul futuro delle pensioni.
L'equilibrio del sistema pensionistico, basato su un sistema di finanziamento a ripartizione pura, è assicurato, oltre che dal contenimento della spesa pensionistica, anche da un'adeguata consistenza delle entrate contributive dei lavoratori. Dopo Pag. 12trent'anni di riforme volte a contenere la spesa pensionistica, occorre lavorare per accrescere la base contributiva incrementando il numero dei contribuenti, da un lato, e assicurando retribuzioni e redditi adeguati ai contribuenti, dall'altro. Al fine di garantire il perdurare di tale equilibrio, occorre mirare ad alimentare il flusso contributivo rivolgendo, quindi, l'attenzione alle imprese e in particolare ai lavoratori, per incrementare il numero e migliorare la continuità delle posizioni lavorative. Parimenti, è possibile intervenire sul lato delle uscite, senza agire ulteriormente sull'innalzamento dei requisiti per il pensionamento.
Sul versante delle entrate è fondamentale incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani, due categorie che storicamente registrano tassi di partecipazione piuttosto bassi, intervenendo per colmare il divario di genere e fornire una loro maggiore inclusione.
Per quanto riguarda la bassa partecipazione femminile, si osserva come le carriere discontinue e la crescente flessibilità dei rapporti di lavoro determinino una minore continuità nei versamenti contributivi, compromettendo così la solidità del rapporto assicurativo-previdenziale. Ciò si riflette nel fatto che le donne si concentrano prevalentemente nelle fasce più basse di reddito pensionistico (fino a 1.500 euro mensili). Un ulteriore elemento critico per questa categoria è rappresentato dall'impatto della nascita di un figlio sulle retribuzioni annue (meno 16 per cento nell'anno immediatamente successivo all'evento) e sulla probabilità di uscita dal mercato del lavoro nell'anno di nascita (più 18 per cento). Parliamo della cosiddetta «child penalty».
In questo senso occorre rafforzare misure introdotte nel corso degli anni volte a migliorare la conciliazione tra vita familiare e lavoro. Si pensi, ad esempio, agli strumenti previsti Pag. 13dall'ultima legge di bilancio, come i congedi parentali, che hanno il duplice obiettivo di stimolare la natalità e promuovere una più equa ripartizione delle responsabilità familiari, agevolando così una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. In questo contesto sarebbe opportuno continuare a rafforzare i servizi di assistenza tanto all'infanzia (sempre sul modello della legge di bilancio 2025) quanto alle persone anziane, in attuazione e coordinamento con le nuove politiche di assistenza disegnate con il decreto legislativo n. 29 del 2024 e con i disegni di legge in materia di caregiver, attualmente in corso di esame. Rispetto agli interventi volti all'inserimento delle donne nel mercato del lavoro, meritano particolare riguardo le misure previste dal decreto-legge n. 60 del 2024 (cosiddetto «decreto-legge coesione») sugli esoneri contributivi per un massimo di ventiquattro mesi in favore dei datori di lavoro che assumono lavoratrici svantaggiate.
In merito ai giovani, è importante ridurre il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, attualmente amplificato dalla velocità della transizione tecnologica, che incide sul divario tra mansioni e competenze, con conseguenze negative sulla produttività. In particolare, secondo i dati di Unioncamere-Excelsior, a fronte di assunzioni programmate, in un caso su due le imprese continuano a dichiarare di non trovare i profili professionali richiesti. Per tale ragione, diventa importante l'adozione di politiche mirate ad accompagnare l'inserimento e il consolidamento lavorativo dei giovani: diminuendo il mismatch formativo attraverso un sistema scolastico che possa allinearsi alle esigenze del sistema produttivo; riducendo i tempi di transizione al sistema di istruzione, formazione e lavoro, ma anche da un'occupazione all'altra; potenziando il patrimonio conoscitivo acquisito nella formazione iniziale allo scopo di aumentare la produttività; rafforzando le potenzialità Pag. 14offerte dal Sistema Informativo per l'Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL) come veicolo per favorire l'incontro fra domanda e offerta di lavoro. Sempre per i giovani, meritano particolare attenzione le misure del «decreto-legge coesione» sugli esoneri contributivi per i datori di lavoro che assumono lavoratori al di sotto dei trentacinque anni di età.
Nel complesso, l'importanza delle politiche di incentivazione è confermata dalla quota di agevolazioni contributive (la quota fiscalizzata) sul monte contributivo, che è incrementata dal 9,3 per cento del 2021 al 12,9 per cento nel 2023. È possibile riscontrare la relazione esistente tra le politiche di incentivazione e un incremento delle assunzioni nella rappresentazione grafica sull'andamento di tali saldi, annualizzati, relativi ai lavoratori dipendenti privati non agricoli (grafico che potete osservare nel documento che vi sto illustrando). Soffermando l'attenzione sulle posizioni a tempo indeterminato, è possibile notare un primo netto incremento in corrispondenza del periodo di applicazione dell'esonero triennale, introdotto dalla legge n. 190 del 2014. Un graduale e costante aumento grazie alle politiche di incentivazione è ascrivibile anche ai contratti di apprendistato.
A prescindere dall'andamento appena descritto, è possibile ritenere che le scelte del legislatore vadano nella giusta direzione, se si considera che, sempre secondo alcuni studi ricondotti all'Istituto, l'impatto occupazionale e le agevolazioni contributive sono più rilevanti con politiche caratterizzate da uno sgravio superiore al 50 per cento e disegnate su target specifici dei lavoratori (come le donne svantaggiate o i giovani) piuttosto che con aliquote di agevolazioni inferiori applicabili a categorie generalizzate dei rapporti di lavoro.
Altre valutazioni per l'incremento della base contributiva potrebbero, inoltre, prendere in considerazione le retribuzioni. Pag. 15I dati dell'INPS mostrano un incremento dei redditi e delle retribuzioni che non compensano la perdita del potere d'acquisto che è scaturito dall'aumento dei prezzi negli ultimi anni. Se guardiamo al 2023, il reddito medio annuo da lavoro (pari a circa 25.300 euro) ha registrato un incremento del 2,9 per cento rispetto all'anno precedente, mentre il tasso di inflazione è stato pari al 5,7 per cento. Risulta cruciale, quindi, il ruolo che la contrattazione collettiva svolge nella dinamica salariale in ragione della copertura che garantisce – secondo gli ultimi dati del CNEL – quasi il 100 per cento dei lavoratori. In tale contesto il legislatore è intervenuto a più riprese per tutelare il potere d'acquisto delle retribuzioni medio-basse con la riduzione dell'aliquota contributiva di invalidità, vecchiaia e superstiti a carico del lavoratore, che ha sostenuto 11,6 milioni di individui secondo le rilevazioni fornite a ottobre 2023 dall'Istituto. Alle medesime finalità di tutela sono altresì ascrivibili gli interventi di riduzione del cuneo fiscale previsti in via strutturale dalla legge di bilancio 2025. A tal riguardo, mi preme sottolineare la necessità di sostenere politiche virtuose che determinino un incremento della produttività e, quindi, presumibilmente delle retribuzioni, per sostenere l'equilibrio del sistema pensionistico, da un lato, e garantire l'adeguatezza delle prestazioni, dall'altro.
Faccio un breve cenno, infine, rispetto alla questione che riguarda le uscite finanziarie del sistema pensionistico. Sul punto, si ritiene che un lieve incremento dell'età effettiva di pensionamento, sotto forma di mera facoltà, risponda al duplice obiettivo di venire incontro a esigenze personali dei lavoratori che hanno una rilevante anzianità contributiva e favorire il passaggio intergenerazionale delle competenze. In tal senso, si pensi alle misure previste dall'ultima legge di bilancio in materia di prosecuzione dell'attività lavorativa dopo il conseguimentoPag. 16 dei requisiti per il trattamento pensionistico anticipato (cosiddetto «bonus Giorgetti»), di innalzamento dei limiti ordinamentali di età per i dipendenti pubblici e di trattenimento in servizio – sempre per i dipendenti pubblici – fino ai settanta anni. Lo ripeto, sono tutte misure su base volontaria.
Gli anziani sono da considerare una risorsa per il Paese. Secondo le ultime indagini disponibili (faccio riferimento all'«Indagine sui bilanci delle famiglie», elaborata dalla Banca d'Italia nel 2022 sulla base dei dati del 2020), la fascia di popolazione che possiamo definire «silver» dispone di un reddito più elevato rispetto alle altre, che si è mantenuto stabile anche negli anni della crisi economica. Gli over-65 si contraddistinguono per una condizione economica migliore rispetto alle altre fasce di età sia per una minore propensione alla spesa, quantomeno in relazione alle attività quotidiane, sia soprattutto per i risultati di una vita di lavoro, di risparmi e di investimenti, che assumono, quindi, una rilevante consistenza.
Vengo al tema degli anziani non autosufficienti. La composizione delle famiglie italiane risente delle tendenze demografiche sopra descritte. Secondo le previsioni dell'ISTAT, entro il 2043 quasi il 40 per cento delle famiglie sarà composto da una sola persona. In particolare, si prevede che ci saranno 6,2 milioni di persone over-65 (più 38 per cento) e 4 milioni di over-75 (più 4 per cento) che vivranno da sole. A questi trend si assocerà un ulteriore indebolimento delle reti familiari, che in passato rappresentavano un importante punto di riferimento per l'assistenza e il supporto. Per rispondere a questa evoluzione è stato introdotto il decreto legislativo n. 29 del 2024, attuativo della legge delega n. 33 del 2023, che introduce nuove politiche volte a promuovere la dignità, l'autonomia, l'inclusione e l'invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità Pag. 17della popolazione anziana. Tra le misure previste segnalo il sostegno allo sport, la valorizzazione del dialogo intergenerazionale e la trasmissione di quel patrimonio immateriale di cui gli anziani sono portatori. Inoltre, la riforma promuove la de-istituzionalizzazione degli anziani e il potenziamento dei servizi sociali domiciliari, al fine di offrire l'assistenza socio-sanitaria di prossimità, contrastando disabilità e marginalità.
L'INPS svolge un ruolo centrale nell'attuazione di alcune di queste politiche. In primo luogo, è coinvolto nella valutazione multidimensionale unificata in quanto ente erogatore dei benefìci assistenziali in caso di stato di invalidità e non autosufficienza. Inoltre, in virtù della sua esperienza nella gestione dei progetti a favore delle persone non autosufficienti (quali il Long-Term Care e la Home Care Premium), all'Istituto è stato affidato l'importante compito di erogare la cosiddetta «prestazione unica e universale» a favore degli anziani non autosufficienti. La misura, vigente dal 1° gennaio 2025, seppur sperimentale per un biennio, è finalizzata al potenziamento progressivo delle prestazioni assistenziali di sostegno alla domiciliarità e all'autonomia personale per gli anziani non autosufficienti con un grado di bisogno assistenziale gravissimo. Ulteriore importante politica introdotta dalla riforma a favore degli anziani è quella della valorizzazione e promozione dei progetti di coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) o di coabitazione intergenerazionale (cohousing intergenerazionale) in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate. Senza essere coinvolto direttamente dalla riforma a favore degli anziani, in quest'ultimo ambito l'INPS ha iniziato a investire concretamente in iniziative di senior housing, come il progetto «Spazio Blu», realizzato insieme a Gruppo CDP, Gemelli e Investire SGR. Si tratta di un nuovo modo di concepire la residenzialità degli over-65 autosufficienti. Pag. 18Il primo progetto sarà implementato a Roma. Inoltre, sono in corso valutazioni sulla possibilità di incrementare i posti nelle nostre case albergo, finanziate dal Fondo credito dei dipendenti pubblici.
Uno dei temi che è strettamente legato all'invecchiamento della popolazione è quello del potenziamento delle politiche di long term care, ovvero di assistenza continuativa. L'Italia presenta un sistema di long term care ad accesso universalistico, finanziato mediante tassazione pubblica. Nonostante la platea degli anziani, compresi quelli non autosufficienti, sia aumentata negli anni, le risorse dedicate alla long term care sono rimaste sostanzialmente stabili (sotto il 2 per cento del PIL). La componente sanitaria e l'indennità di accompagnamento (che nel 2023 sono state erogate a quasi 2,3 milioni di beneficiari) coprono complessivamente quattro quinti della spesa complessiva per la long term care; il restante quinto è rappresentato dalle prestazioni assistenziali erogate a livello locale. La Ragioneria Generale dello Stato prevede una crescita continua della spesa a partire dal 2030. Guardando alle esperienze di altri Paesi europei sul tema, la Germania, ad esempio, dal 1991 ha introdotto un'assicurazione obbligatoria, finanziata dai datori di lavoro e dai lavoratori. Potrebbe essere utile guardare a questo tipo di politiche, tenendo conto anche che in Germania vi è un acceso dibattito pubblico su questo intervento, in quanto il finanziamento assicurativo non sembra più essere sufficiente a coprire i costi delle prestazioni e dei servizi legati alla long term care.
Mi avvio alle conclusioni. In considerazione dell'importanza del fenomeno della transizione demografica, l'Istituto dedica parte dell'attività di ricerca – funzione istituzionale attribuitagli nel recente passato – allo studio degli effetti dell'invecchiamento della popolazione. In particolare, nell'ambito delle iniziativePag. 19 finanziate con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Missione 4: «Istruzione e ricerca»), l'INPS partecipa al partenariato esteso Age-It, a cui ha contribuito con studi sull'occupabilità dei lavoratori anziani, sui divari pensionistici di genere e per coorte di nascita, sulla speranza di vita dei superstiti, sulla redistribuzione della ricchezza e sul contrasto alla povertà operati dal sistema pensionistico.
Si evidenziano, a seguire, alcuni risultati di maggiore interesse, rinviando al portale web dedicato al partenariato sopra citato, per analisi più approfondite. Relativamente all'occupabilità dei lavoratori anziani, l'analisi condotta sulla base dei dati dell'Istituto sulle carriere dei lavoratori suggerisce che l'età riduce significativamente la probabilità di permanenza nel mercato del lavoro a parità di altre caratteristiche. Ciò suggerisce di potenziare misure che incentivino la permanenza nel mercato del lavoro, seppur volontaria, come quelle introdotte nella legge bilancio 2025 – cui si è accennato in precedenza –, per mitigare la carenza di manodopera in settori chiave. Appare sempre più evidente la necessità di un cambiamento culturale che superi la visione dei lavoratori senior come un elemento di criticità per il sistema. Al contrario, è fondamentale riconoscerne il valore e promuovere per loro percorsi di uscita dal mercato del lavoro che siano graduali, sostenibili e rispettosi delle competenze maturate nel tempo. Al riguardo, è importante sottolineare come vi sia una crescente valorizzazione del potenziale legato all'invecchiamento della forza lavoro, soprattutto per quanto riguarda la formazione continua e la trasmissione di competenze tra generazioni.
Sono, inoltre, in corso analisi sul tema delle disuguaglianze con l'obiettivo di valutare se le disuguaglianze osservate durante la vita attiva si attenuano, si mantengono o si acuiscono al momento del pensionamento, per valutare l'efficacia del sistemaPag. 20 previdenziale non solo in termini di sostenibilità ma anche rispetto all'equità intergenerazionale e intragenerazionale. Gli studi effettuati dimostrano come la disuguaglianza dei redditi da pensione (pensione di vecchiaia e anticipata) sia minore rispetto a quella dei redditi da lavoro e ciò suggerisce che il sistema previdenziale svolge una funzione redistributiva della ricchezza.
Per concludere, ringraziando nuovamente per l'opportunità concessa all'INPS di contribuire a un dibattito di rilevante interesse sociale come quello della transizione demografica e dei suoi effetti, si resta disponibili a qualsiasi ulteriore approfondimento che codesta Commissione ritenga utile sul tema oggetto dell'audizione odierna.
Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei, direttore, anche per la disponibilità dell'Istituto, che sicuramente accogliamo come un'opportunità importante per il lavoro di questa Commissione.
Do quindi la parola ai colleghi parlamentari che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Si sono iscritti a parlare l'onorevole Ricciardi e l'onorevole Alifano.
Prego, onorevole Ricciardi.
TONI RICCIARDI. Grazie, presidente. Ringrazio l'INPS per la relazione e il contributo.
Vorrei fare una sottolineatura e alcune domande. Innanzitutto 352 mila partenze negli ultimi dieci anni è sbagliato come dato, macroscopicamente sbagliato. Noi viaggiamo con una media di 120-150 mila persone che partono annualmente. Lo dico giusto per completezza d'analisi.
Lei, inoltre, ha citato il sistema tedesco, che vede un'assicurazione con un contributo sia da parte del datore di lavoro sia da parte del lavoratore; se vogliamo, un sistema a pilastri. Pag. 21Le faccio, dunque, una prima domanda: al vostro interno e nell'ambito di vostri studi e ricerche – conosco la qualità di questi studi nonché la competenza di molti dei vostri colleghi che fanno questo mestiere – prendete in considerazione concretamente il sistema a pilastri?
Seconda domanda: non le sembra un tantino – mi si passi il termine – anacronistico immaginare che occorra incentivare la prosecuzione del lavoro fino ai settant'anni? Se abbiamo problemi di tornisti o se abbiamo problemi di operai qualificati, le scelte – è una domanda, non una provocazione retorica – sono due. O noi diciamo chiaramente che vogliamo formare e che la narrazione del lifelong learning, del far studiare i ragazzi, e immaginare una mobilità sociale... Attenzione, io non sto dicendo che sia stato un bene. Per cui potremmo dire, con una battuta: «ragazzi, iniziate a fare gli idraulici, gli elettricisti, i tornisti e quant'altro, perché questi sono gli ambiti produttivi di cui necessitiamo». Se immaginiamo la terza rivoluzione di innovazione in questo Paese che innovazione non fa più, evidentemente rischiamo di avere una narrazione sbagliata. Oppure, diciamo che dobbiamo immaginare come costruiamo modelli di gestione dei fenomeni migratori. Il problema che oggi l'INPS ci fotografa in merito allo stato dell'arte del Paese è un problema che cinquant'anni fa avevano altri Paesi in Europa e l'hanno risolto utilizzando braccia e cervelli soprattutto italiani. Li hanno presi e li hanno fatti emigrare; non solo gli italiani, ma anche i turchi e così via. Dunque, se la proiezione è la seguente, quando lei sottolinea che ci sono misure positive per l'assunzione e l'esenzione contributiva, non si rischia che venga meno l'oggetto vitale del contributo? Lei ha fatto un passaggio che credo sia essenziale, che mette in evidenza la madre di tutti i problemi: fin quando noi manterremo salari bassi avremo pensioni basse. Se oggi non immaginiamo un innalzamento Pag. 22verticale dei salari, il crescente ingresso in quiescenza – in realtà si sta già verificando – dei baby boomer, che lei giustamente sottolinea, rischierà di creare un cortocircuito. Io non so come voi facciate a dire oggi che in prospettiva avremo un sistema pensionistico che regge, perché è un delta potenziale di sviluppo di cifre, per cui la vedo difficile.
Ultimo punto, e mi scuso se l'ho fatta lunga. Voi avete fatto un'analisi molto positiva dal mio punto di vista: in questo Paese, di pensioni pagate dall'estero – non quelle che INPS paga all'estero, che sono poca cosa – transitano circa 10 miliardi di euro (a partire da Svizzera, Germania e così via). Si può immaginare, rispetto a quel bacino di persone, di incentivarne maggiormente il rientro? Noi abbiamo un grande patrimonio – è dimostrato – fatto di questi miliardi di euro che entrano dalla Svizzera, dalla Germania e così via. Potrei leggerle tutta la tabella, ma voi la conoscete meglio di me. Possiamo capire come fare a incentivarne ulteriormente il rientro? Questo esattamente per andare verso la silver age, che reputo probabilmente l'unica soluzione possibile nell'immediato in questo Paese.
Mi scusi se sono stato lungo e articolato nelle domande.
PRESIDENTE. Raccogliamo qualche altra osservazione e poi vi diamo lo spazio per le risposte.
Do la parola all'onorevole Alifano.
ENRICA ALIFANO. Grazie, presidente. Ringrazio gli auditi.
Il collega Ricciardi mi ha rubato la domanda che avrei voluto porre, come sempre. Evidentemente c'è una sintonia, un modo di pensare molto simile su alcune questioni. Infatti, le volevo chiedere come le dinamiche salariali possono incidere sulla decrescita demografica, anche perché è stato detto che molti giovani vanno all'estero: nel 2024 quasi 200 mila residenti si sono trasferiti all'estero, di cui oltre 157 mila, se ben ricordo Pag. 23il dato, sono cittadini italiani (una quota è costituita da migranti che sono passati in altri Paesi).
Passo ora a un'altra domanda. È stato analizzato l'impatto dell'intelligenza artificiale? Sono stati fatti degli studi al riguardo? Infatti, questo fenomeno determinerà una perdita di posti di lavoro e, a cascata, questo fatto genererà un'ulteriore crisi del sistema previdenziale. Dunque, vorrei sapere se è stata fatta qualche considerazione anche in merito a questo tema.
PRESIDENTE. Grazie.
Ci sono altre domande?
Do la parola all'onorevole Magi.
RICCARDO MAGI (intervento in videoconferenza). Grazie, presidente. Ringrazio gli auditi.
Intervengo telegraficamente, per chiedere se c'è qualche dato – io ricordo uno studio dell'INPS di qualche anno fa –, nonché magari un'analisi succinta da parte vostra sul contributo dei lavoratori stranieri da un punto di vista della base contributiva. Visto che in modo ricorrente abbiamo sentito la necessità di ampliare la base contributiva, lì credo che ci sia un tema estremamente interessante da approfondire, che va nella direzione che evocava il collega Ricciardi.
Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei, anche questo era un punto di approfondimento.
Intervengo anche io telegraficamente, scusandomi innanzitutto perché la mia domanda non è tecnicamente approfondita e, forse, è anche ingenua. Mi ha colpito il passaggio del suo intervento – già sottolineato dai colleghi – relativo all'aumento della capacità salariale. Chiaramente, nel meccanismo a ripartizione la proporzionalità del contributo oggi serve a compensarePag. 24 l'entità della base contributiva. Tuttavia, voi avete richiamato misure che possiamo definire di investimento e che sono in essere – lo dico da persona che le ha anche introdotte – sul meccanismo della decontribuzione come aumento del salario netto che arriva al lavoratore. Immagino che ci siano dei punti di equilibrio che vanno raggiunti, ma mi sorge un dubbio. Se per aumentare il salario netto si interviene sulla parte contributiva, in qualche modo si genera un'entrata inferiore nelle casse dello Stato, compensato dall'aumento della parte imponibile IRPEF. Ma abbiamo un effetto doppio, nel senso che con il meccanismo a ripartizione si determina un impoverimento del bacino da cui si attinge per le pensioni. Quindi, in linea teorico/pratica, può essere che si stia insistendo troppo su quella parte quando, invece, ci si dovrebbe spostare su una diminuzione di tasse e su un aumento dei salari in maniera diversa, senza andare a toccare le entrate dell'INPS sulla parte contributiva, sia adesso che come meccanismo di sostenibilità futura?
Non essendovi ulteriori richieste di intervento da parte dei colleghi parlamentari, do la parola ai nostri ospiti per la replica.
GIANFRANCO SANTORO, direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS. Grazie.
Provo a dare qualche risposta, per quanto di competenza.
Sulla prima suggestione dell'onorevole Ricciardi faremo una verifica. Mi dicono che il dato che ho illustrato non è sbagliato, comunque mi riservo di fare un approfondimento.
PRESIDENTE(fuori microfono). Si tratta dei giovani tra i quindici e i trentaquattro anni.
GIANFRANCO SANTORO, direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS. Esatto. Comunque, mi riservo di fare una verifica, senza nessun problema.Pag. 25
Non ho capito, invece, il riferimento ai pilastri. Lei intende i pilastri previdenziali, il primo e il secondo pilastro?
TONI RICCIARDI(fuori microfono). Sì, perché esistono Paesi che hanno il primo, il secondo, il terzo...
GIANFRANCO SANTORO, direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS. Certo.
È evidente che, storicamente, noi abbiamo una tradizione di welfare mitteleuropeo, quindi abbiamo una forte componente nel primo pilastro, mentre il secondo pilastro purtroppo è venuto sul tardi, quindi corriamo il rischio di avere forti ritardi, come anche su altre questioni. È evidente – questo non dovrei essere io a dirlo, lo ribadisco soltanto come studioso – che non esiste una grossa copertura del secondo pilastro, che andrebbe sicuramente migliorato, così come andrebbero fatte politiche per favorire l'ingresso soprattutto dei giovani, dunque soprattutto di quella quota di lavoratori che risentirà maggiormente del diverso metodo di calcolo, che è passato, come sapete, dal retributivo al misto e poi diventerà interamente contributivo. Questo non significa che sarà necessariamente per tutti una perdita, ma mediamente garantirà sicuramente prestazioni più basse, il che implica che sarebbe opportuno dare tutte le informazioni del caso ai lavoratori.
Come INPS lo stiamo facendo attraverso una campagna informativa – che il presidente e tutto il Consiglio di Amministrazione dell'Istituto hanno voluto sostenere – per la sensibilizzazione dei giovani rispetto alle prestazioni di cui possono godere attraverso le varie assicurazioni (non solo quella di invalidità, vecchiaia e superstiti, ma in particolare per quella) e rispetto ai livelli per quanto riguarda la prospettiva di lavoro sia in termini di durata e di possibilità di accesso al pensionamento, sia in termini di importo della prestazione che, inevitabilmente,Pag. 26 dal punto di vista dell'entità, dovrebbe essere meno generoso, mentre dal punto di vista del tasso di sostituzione, poiché stiamo ragionando su un numero di anni lavorativi più alto, si mantiene più o meno stabile rispetto al passato (a meno che non si decida di abbandonare presto il mercato del lavoro, quindi di andare in pensione: in questo caso sicuramente sarebbe ridotto). L'Istituto, quindi, è assolutamente consapevole dell'esistenza di questi due pilastri della previdenza; esiste anche il risparmio privato, che non è gestito attraverso accordi, quindi possiamo pensare anche al terzo.
Dal lato della sostenibilità faccio un passo indietro. Per trent'anni abbiamo fatto un ragionamento sulla sostenibilità del sistema pensionistico pensando sempre alla parte dell'equazione che descrive l'equilibrio tra contributi versati in un anno e prestazioni erogate in quell'anno – che è ciò che regola l'equilibrio del sistema di finanziamento a ripartizione pura –, quella relativa alle prestazioni, pensando quindi di abbassare il livello della pensione (cambiando le regole di calcolo, allungando i requisiti, creando stabilizzatori automatici come il ricalcolo dei coefficienti ogni due anni nonché la revisione dei requisiti a livello biennale, in funzione della speranza di vita). Quello che noi che cerchiamo di mettere in evidenza è che questo in linea di principio va bene; tuttavia secondo me non possiamo più lavorare su quella parte, date le condizioni attuali, quindi dobbiamo lavorare sulla prima parte, ovvero quella relativa alla contribuzione. Registriamo dati favorevoli, che comunque non sono - come ho spiegato - pienamente soddisfacenti se li confrontiamo con quelli di altri Paesi europei. Ci sono dei margini di miglioramento, per fortuna, nel senso che esistono categorie di lavoratori sottoutilizzati come donne, giovani e, in parte, anche anziani.Pag. 27
L'onorevole Ricciardi citava il ruolo che può giocare in quest'ottica anche la gestione della forza lavoro degli extracomunitari, che noi non escludiamo in questo ragionamento. Immaginiamo siano tutte concause in grado di favorire il sostegno dell'occupazione, quindi delle entrate contributive dell'Istituto, quindi del sistema pensionistico, che è solo un aspetto di questa parte del ragionamento. Non ho nascosto che esistono problemi di mismatch, che non sono legati solo a un problema anagrafico, per i lavoratori anziani, che possono dare il loro contributo – come dicevo – in alcuni termini, ma non in tutti. Se ci servono lavoratori che non riusciamo a reperire è evidente che abbiamo un problema di formazione e anche un problema di gestione della domanda e dell'offerta di lavoro. È sicuramente una considerazione corretta quella dell'onorevole Ricciardi, così come quella sul rientro dei pensionati dall'estero. Al riguardo, esiste già una normativa sul Testo unico sull'immigrazione che prevede agevolazioni fiscali per chi rientra. Si può fare di più. Per quanto ci riguarda, vedremmo con favore tutte queste politiche. Non so se vuole aggiungere qualcosa il dottor La Monica su questo, visto che, gestendo le pensioni ogni mese, sa precisamente quante se ne pagano all'estero. È un passaggio importante per il ritorno in Italia di persone che hanno contribuito in questo Paese, ma che stanno godendo della pensione in un altro Paese con una tassazione agevolata. Anche qui bisognerebbe fare un ragionamento più complessivo sul problema della competizione in questo senso, che spazia all'interno addirittura di Paesi dell'Unione europea.
Non so se ho dimenticato qualcosa. Casomai ci ritorno.
Per quanto riguarda le dinamiche salariali, la decrescita salariale, come diceva l'onorevole Alifano, è evidente che una dinamica salariale stagnante come quella che c'è stata in questi anni crea una competizione sfavorevole per quanto riguarda la Pag. 28forza lavoro. Parliamo anche dei giovani, ad esempio, rispetto al dato che citavamo: se non assicuriamo salari adeguati è evidente che la forza lavoro si sposta, soprattutto in queste condizioni economiche che abbiamo percorso dal punto di vista dell'Unione economica e monetaria, che forse caratterizzano veramente la fase più completa di tale percorso, ovvero la transizione delle persone da uno Stato all'altro per motivi di lavoro. Dobbiamo fare politiche che non siano solo di aumento. Nella relazione facevamo riferimento al ruolo della contrattazione collettiva, che forse rappresenta il punto di snodo in un Paese come il nostro; però queste sono considerazioni politiche, che lascio al legislatore. Tuttavia è evidente il legame tra livello salariale e partecipazione al mercato del lavoro.
Quanto al tema dell'intelligenza artificiale, non abbiamo studi al riguardo. Abbiamo alcuni nostri programmi di ricerca che stanno facendo questi approfondimenti, ma non abbiamo ancora evidenze da poter illustrare.
Tengo un attimo in stand-by la domanda dell'onorevole Magi e rispondo alla presidente sulla decontribuzione. Le misure di decontribuzione, seppur coperte interamente fiscalmente (avviene cioè un trasferimento dalla fiscalità generale all'INPS a totale copertura), non sono misure completamente sane dal punto di vista previdenziale; però sono incentivi. Ho fatto un passaggio su quel grafico, secondo me interessante, in cui si vede il saldo annualizzato, quindi l'incremento di occupazione mese per mese sul lavoro privato: ci sono evidenti riflessi dal punto di vista occupazionale che vale la pena attenzionare. Ho citato nel passaggio della relazione soltanto il dato del 2015, quando è stato introdotto lo sgravio triennale, che - come ricordate - era riferito a tutti i nuovi assunti sotto certe condizioni. Si diceva che quei soldi sarebbero stati spesi male, perché si incentivavano rapporti di lavoro che sarebbero poi Pag. 29finiti. Effettivamente, come vedete, il saldo annualizzato rimane costante e si riprende quando riprendono gli incentivi a favore dei giovani e delle donne, nel 2020, a seguito della crisi pandemica. Come vediamo, il sostegno al tempo indeterminato sicuramente è servito. Ora, quei soldi sono stati spesi e, in base ai nostri studi, gli impatti sono abbastanza stabili sull'occupazione, mentre non ci sono effetti sulle retribuzioni (ma questo non era nemmeno lo scopo di chi ha voluto introdurre questi incentivi). Quello che vediamo è che l'occupazione si è mantenuta proprio in corrispondenza di questi sgravi. Dalle analisi controfattuali svolte da alcuni nostri gruppi di ricerca effettivamente vediamo che la per i giovani hanno funzionato, così come per le donne che sono in queste condizioni. Lo valutiamo positivamente, ma non può essere l'unica soluzione, questo è evidente.
È stato fatto peraltro un riferimento allo sgravio contributivo sulla quota a carico dell'IVS dei lavoratori. Di certo questo non incide sul livello delle retribuzioni dal punto di vista dei salari, come stavamo dicendo, ma incide solo sul potere d'acquisto. È una misura difensiva messa in atto visto che le retribuzioni non crescevano. Non è, quindi, una misura che favorisce la produttività. Le retribuzioni crescono se cresce la produttività e se le aziende decidono, poi, di redistribuire i maggiori utili derivanti dalla produttività sulle retribuzioni dei lavoratori. Questo è il percorso da seguire come Paese e dovremmo quindi incentivare questi effetti.
Sono un po' più in imbarazzo in riferimento all'intervento dell'onorevole Magi per quanto riguarda l'immigrazione. Noi abbiamo fatto e continuiamo a fare studi sull'immigrazione. Uno dei più recenti che ricordo era un confronto tra la base dei contributi che versavano gli extracomunitari rispetto alle prestazioni di cui stavano godendo; un confronto, tuttavia, in Pag. 30qualche modo viziato dal fatto che noi stiamo ragionando in un sistema previdenziale in cui prima si raccolgono i contributi e poi si pagano le prestazioni. Quella che vediamo è sicuramente una crescita dell'incidenza dei lavoratori extracomunitari nel tempo; però questo, ovviamente, porta anche un riflesso sulle future prestazioni. Anche con il continuo sviluppo degli accordi tra Paesi – quindi le convenzioni internazionali – per riconoscere i periodi lavorativi all'estero, esistono ormai poche situazioni di coloro che noi chiamiamo «silenti», cioè lavoratori che versano contributi e poi non godranno delle prestazioni. È evidente che i contributi che stanno versando adesso gli extracomunitari daranno luogo a prestazioni. In questo momento, si verifica uno sbilanciamento: la percentuale di entrata è più alta della corrispondente percentuale di uscita, cosa evidente visto che sono molti di più i lavoratori rispetto ai pensionati.
Non so se vuole aggiungere qualcosa il dottor La Monica.
VITO LA MONICA, direttore centrale Pensioni dell'INPS. Sì, su alcuni punti in particolare.
Sull'ultimo punto ci possiamo riservare un ragionamento ulteriore, anche in funzione di una serie di dati che abbiamo. In relazione al convegno organizzato con la fondazione Migrantes abbiamo creato una serie di costruzioni, ma lì forse va fatto un ragionamento un po' più complesso e un po' più coordinato.
Attenendomi soprattutto al tema pensionistico, vorrei precisare che la transizione demografica – in realtà più crisi demografica – sta attraversando l'intero mondo, non soltanto l'Europa ricca, ma anche i Paesi più poveri, che continuano sì a crescere, ma con un tasso ridotto rispetto al passato. Nel nostro Paese stiamo notando che comincia ad affermarsi un nuovo ragionamento, ancora allo stadio embrionale, che si basa Pag. 31non sul concetto di pensione, ma su quello di reddito pensionistico.
Sul tema primo e secondo pilastro, le ultime norme della legge di bilancio hanno fatto un passo avanti, secondo me, perché hanno introdotto per la prima volta - non sto dicendo se le norme erano corrette, non è importante: ragioniamo sul concetto - un elemento fondamentale di unione tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare. È vero, come diceva il dottor Santoro, che la previdenza complementare nel nostro Paese non ha avuto grandissimo successo, se non in determinati luoghi, territori, per determinati gruppi di lavoratori e per determinati gruppi di datori di lavoro, peraltro: infatti, dove è stata più forte la sindacalizzazione, più forte è stata anche l'adesione alla previdenza complementare. Il legislatore ha agito in modo differente, unendo la previdenza obbligatoria e quella complementare, dicendo che, ad esempio, ai fini del conseguimento dell'importo soglia (che nel contributivo diventa un requisito), può essere utilizzato anche l'importo derivante dalla previdenza complementare. Questo, come è evidente, determina un effetto di beneficio rispetto a chi è iscritto a forme di previdenza complementare, ed è un primo passo. Un secondo passo è stato la possibilità di aumentare l'aliquota di quanto versato, anche al di là del massimale. Anche questo sta introducendo, nell'ambito del sistema obbligatorio, un elemento volontario che vede la prestazione pensionistica non più come pensione, ma come reddito pensionistico. Indubbiamente questo movimento si sta creando e sta andando nel senso in cui tutti i pilastri previdenziali cominciano a concorrere insieme per un reddito pensionistico finale.
Mi interessava anche il ragionamento sull'incentivo al posticipo del pensionamento, quindi la possibilità di restare a lavoro un po' di più, incentivati fiscalmente; tuttavia, il «bonus Pag. 32Giorgetti» – come lo ha definito il collega – in realtà trova il proprio fondamento, a parte nell'idea di essere un bonus, nel fatto di essere inserito in un sistema contributivo. Il sistema contributivo nasce così, come un sistema all'interno del quale vi è un complesso di incentivi e disincentivi a lasciare il posto di lavoro. Il coefficiente di trasformazione cresce con il crescere dell'età anagrafica di accesso alla pensione ed è chiaramente più ridotto con i dati inferiori di accesso alla pensione. Questo ci sta portando in quel ragionamento e, se ci porta in quel ragionamento – così come sta facendo –, è evidente che ci sarà una spinta, probabilmente, a rimanere più al lavoro, quindi dovranno essere usati pesi e contrappesi perché questa spinta di rimanere al lavoro sia, però, coerente con lo sviluppo di competenze rispetto a coloro che accedono al mercato del lavoro.
Peraltro, questo sistema di incentivi e disincentivi lo abbiamo visto in qualche modo anche nel sistema pubblico, quando il limite ordinamentale è stato spostato dai 65 ai 67 anni. Voi direte che, però, il limite ordinamentale riguarda l'aspetto giuslavoristico, non riguarda l'aspetto previdenziale. In realtà riguarda anche l'aspetto previdenziale. Fermo restando che quella norma non sta togliendo diritti – perché il diritto alla pensione resta –, come funziona il limite ordinamentale? Se tu hai un diritto alla pensione, io ti mando via dal lavoro a 65 anni. Quindi, c'è un diritto alla pensione. Oggi il discorso diventa questo: se hai un diritto alla pensione io ti mando via non a 65, ma a 67, cioè ti do la possibilità di rimanere due anni in più. Non sta cambiando dal punto di vista personale la possibilità di rimanere o di non rimanere, la tua opzione resta ferma. Quello che cambia è la possibilità di rimanere al lavoro utilizzando personalmente un coefficiente più alto per la quota contributiva che tutti hanno. Si sta dando anche la possibilità Pag. 33alle amministrazioni di utilizzare soprattutto qualifiche più elevate e più professionali per un passaggio di competenze, che d'altra parte – anche in questo caso osservo il fenomeno, ma non do alcun giudizio – si vede altresì rispetto alla possibilità di rimanere fino a 70 anni per attività di tutoraggio o di affiancamento. Parlo soltanto – ripeto – di un principio, giusto o sbagliato che sia, che sta agendo in un certo contesto.
Detto questo, la decontribuzione ha un significato nel sistema retributivo? Ha sempre un significato nel sistema della ripartizione, e ci mancherebbe, ma ha un significato più forte nel sistema contributivo e meno in quello retributivo. Nel sistema retributivo la pensione è calcolata sulla base della retribuzione, non della contribuzione. La contribuzione potrebbe essere uno o mille, non cambierebbe la pensione. Nel sistema contributivo il concetto cambia completamente: è vero che la copriamo, ma cambia l'approccio al sistema previdenziale. In questo momento, di fronte ai grandi cambiamenti demografici che abbiamo e che avremo ancora di più nei prossimi anni, non penso esista una ricetta. Esiste, invece, la possibilità di un ragionamento sistemico complessivo, di pesi e contrappesi, in cui si possa intervenire cercando di favorire il più possibile un andamento comune verso un obiettivo.
Come diceva anche il dottor Santoro, posto che avremo probabilmente un problema, aumentare la base occupazionale è una delle soluzioni – non l'unica soluzione, ma certamente una soluzione importante – per mantenere il più possibile il sistema in equilibrio.
Grazie.
PRESIDENTE. Vi ringrazio davvero di cuore per l'ampia audizione.
Mi sembra siano arrivati spunti sui quali sarebbe importante continuare a lavorare, anche sui punti di approfondimento Pag. 34sollevati dai colleghi. Ho inteso e accolgo la disponibilità dell'INPS a continuare a collaborare con questa Commissione.
Poiché sono appena iniziati i lavori in Aula, acceleriamo con i saluti.
Ringraziando nuovamente i rappresentanti dell'Istituto, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9.35.
Pag. 35ALLEGATO
Memoria presentata dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS)