XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave «Moby Prince»

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 12 di Martedì 30 luglio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Pittalis Pietro , Presidente ... 2 

Audizione di consulenti della Commissione:
Pittalis Pietro , Presidente ... 2 
Scavone Fabio Ignazio , magistrato, consulente della Commissione ... 3 
Pittalis Pietro , Presidente ... 6 
Bardazza Gabriele , perito forense, consulente della Commissione ... 6 
Scavone Fabio Ignazio , magistrato, consulente della Commissione ... 8 
Bardazza Gabriele , perito forense, consulente della Commissione ... 8 
Scavone Fabio Ignazio , magistrato, consulente della Commissione ... 9 
Pittalis Pietro , Presidente ... 9 
Zurru Margherita , avvocata, consulente della Commissione ... 9 
Pittalis Pietro , Presidente ... 12 
Senese Angelo , generale della Guardia di finanza, consulente della Commissione ... 12 
Pittalis Pietro , Presidente ... 13 
Scavone Fabio Ignazio , magistrato, consulente della Commissione ... 13 
Pittalis Pietro , Presidente ... 13 
Scavone Fabio Ignazio , magistrato, consulente della Commissione ... 13 
Pittalis Pietro , Presidente ... 14 
Frijia Maria Grazia (FDI)  ... 14 
Pittalis Pietro , Presidente ... 14 
Senese Angelo , generale della Guardia di finanza, consulente della Commissione ... 14 
Bardazza Gabriele , perito forense, consulente della Commissione ... 15 
Pittalis Pietro , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documento depositato dal consulente Gabriele Bardazza ... 16

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIETRO PITTALIS

  La seduta comincia alle 13.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di consulenti della Commissione.

  PRESIDENTE. Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. Ricordo inoltre che i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta dell'audito che dei colleghi, sospendendosi in tal caso la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.
  L'ordine del giorno reca l'audizione di alcuni consulenti della Commissione. Si tratta, in particolare, di consulenti che hanno prestato la loro attività in favore della Commissione nelle scorse legislature e che costituiscono quindi in un certo senso la «memoria storica» della Commissione. Su indicazione dell'Ufficio di Presidenza hanno redatto una relazione di sintesi dei lavori della prima e della seconda Commissione di inchiesta. Si tratta, in particolare, del dottor Gabriele Bardazza, perito forense, del dottor Filippo Paoli, giornalista, del dottor Fabio Ignazio Scavone, magistrato, del generale Angelo Senese e dell'avvocata Margherita Zurru.
  Ricordo in particolare che il dottor Gabriele Bardazza è un libero professionista presso lo Studio di ingegneria forense Bardazza Adinolfi di Milano, da trent'anni anni ricostruisce eventi catastrofici in consulenze tecniche in ambito penale e civile. Da quindici anni si occupa della vicenda «Moby Prince»: ha scritto nel 2019 con Francesco Sanna per Chiarelettere il libro Il caso Moby Prince. La strage impunita, nel 2021 è stato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta.
  Il dottor Filippo Paoli è giornalista professionista, laurea in Scienze politiche e master in giornalismo investigativo. Ho svolto prevalentemente attività di ufficio stampa in ambito dei gruppi parlamentari. È stato consulente della Commissione presieduta da Andrea Romano e collaboratore del Presidente.
  Il dottor Scavone è attualmente procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Catania, è stato sostituto procuratore di Modica e presso la procura distrettuale di Catania, procuratore presso il tribunale di Nicosia e procuratore aggiunto presso la procura di Siracusa.
  Il generale Senese attualmente presta servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri quale ufficiale di collegamento per le attività svolte dal Ministro per la protezione civile e le politiche del mare e, nel corso della carriera, ha ricoperto vari incarichi di comando nell'ambito aeronavale e presso il Comando generale del Corpo.
  L'avvocata Zurru è stata consulente della prima e della seconda Commissione Moby Prince e nel corso della prima Commissione ha redatto una relazione specifica sulla normativa in tema dei soccorsi che è stata allegata alla relazione finale.Pag. 3
  Ringrazio i nostri ospiti che invito quindi a svolgere la loro relazione. Inizia il dottor Scavone, prego.

  FABIO IGNAZIO SCAVONE, magistrato, consulente della Commissione. Faremo un lavoro di sintesi con il dottor Bardazza, avendo lavorato insieme negli ultimi anni, anche durante i lavori della prima Commissione. Pur non avendo in quella sede la veste di consulente, il dottor Bardazza ha dato un contributo sostanziale a quella che era l'attività della Commissione. Cercheremo di fare un intervento a due voci, alternandoci nell'esposizione: introdurrò io e poi passerò la parola al dottor Bardazza.
  Come lei ha ricordato, Presidente, come consulente mi occupo di questa vicenda fin dai lavori della prima Commissione. Devo dire che ormai sono otto-nove anni che è un tema presente nella mia attività. Il punto di partenza è rappresentato dalle sentenze, per cui inizialmente avevamo una verità processuale: possiamo sintetizzare che il lavoro della prima Commissione, partendo dalla verità processuale, è stato quello di cercare di coglierne i punti non controversi, i punti che potevano essere accettati.
  Devo dire che, al termine dei lavori della prima Commissione, questi punti accettati erano ben pochi. Anzi, mi riesce difficile individuare qualcosa da condividere per quanto riguarda le verità processuali. Vi sono varie critiche da fare. Innanzitutto, va storicizzato il tutto: siamo nel 1991, anno in cui la procura di Livorno era sdoppiata in procura/pretura e procura/tribunale, con un organico sicuramente sottodimensionato. Questa situazione, dirompente per una piccola procura, viene affrontata con un organico insufficiente e inidoneo. Basti pensare che il magistrato che si occupò delle indagini poi passerà alla magistratura civile, senza poi seguire, quindi, la fase processuale: ci sarà uno sdoppiamento.
  La misura di questa inadeguatezza strutturale può essere riscontrata nel fatto che le due navi vengono restituite e poi rapidamente rottamate già a pochi mesi di distanza dai fatti: l'Agip Abruzzo viene restituita nel luglio 1991, a indagini in corso, mentre il Moby Prince rimarrà in sequestro un po' più a lungo. Stigmatizzo questo passaggio perché una delle carenze è stata sicuramente quella dell'analisi strutturale delle navi. Il tentativo della Commissione è stato quello di capire dopo, a posteriori, quello che era accaduto. Di più, come evidenziato già nelle sentenze, nel corso delle indagini ci sono stati degli episodi che possiamo definire singolari. Uno è stato proprio il tentativo manifesto di inquinare le prove durante un sopralluogo: nel locale addiaccio, che è il locale dove c'è la timoneria, ci fu un tentativo di forzare uno dei meccanismi. Quindi questo avrebbe dovuto indurre a un'attenzione esasperata, a una prudenza esasperata, a un'attenzione molto più puntigliosa. Invece si restituì la nave. Nave che fra l'altro era ormai priva di valore economico: il residuo valore economico era quello di rottame e, infatti, entrambe le navi furono rottamate una volta restituite. Quindi non vi era una ragione di pressione per un loro reimpiego operativo.
  L'altra criticità che traspare è l'inadeguatezza delle imputazioni: al termine delle indagini addebitano la colpa di tutto ciò che è accaduto a un marinaio di leva, tale Spartano Gianluigi, all'epoca ventunenne, che era presente nella sala operativa. Gli si addebita la colpa di non aver udito il mayday del Moby Prince. Il mayday era flebile: nessuno verifica se il segnale fosse così flebile per un problema di inadeguatezza dell'apparato della Capitaneria o dell'apparato radio o per altre ragioni. Al marinaio si addebita questo: di non essere stato presente nella sala operativa quando arriva, in quel minuto, il mayday del Moby Prince. La sala operativa consisteva in un tavolo con un telefono in bachelite e l'apparato radio (il canale 16 di informazione).
  Poi ci sono gli addebiti che vengono mossi a due ufficiali della Capitaneria di porto: un ufficiale che per dieci minuti ha il comando delle operazioni e, infatti, gli si addebita una serie di carenze nei dieci minuti in cui ha il comando; poi subentra il comandante in seconda della Capitaneria, Cedro Angelo, e anche a lui vengono addebitate una serie di carenze. L'unico condannato fu il terzo ufficiale dell'Agip Abruzzo, tale Rolla Valentino, all'epoca dei Pag. 4fatti ventiduenne, non aveva neppure compiuto 23 anni, nato nel maggio 1969. A lui si addebita – e qui si vede la carenza di impostazione – di non aver attivato l'apparato di illuminazione per la presenza di nebbia: il presupposto fondante di tutta la catena di responsabilità è che nella rada vi fosse la nebbia da avvezione, cioè la nebbia dovuta al disvalore termico tra l'acqua e la temperatura esterna.
  Ecco, il lavoro della prima Commissione è stato quello di destrutturare totalmente questa base di partenza. L'ipotesi investigativa – e poi, consequenzialmente, non poteva essere altrimenti, la sentenza di primo grado e quella d'appello – parte dai seguenti assunti: che vi fosse la nebbia nella rada; che la nebbia impedisse ogni tipo di visibilità oltre i 10/15 metri; che – per ragioni poi ignote, di cui non si danno spiegazioni – non ci fosse nessuno sul Moby Prince pronto a utilizzare l'apparato radar; che la nave sia entrata in collisione a cagione del fatto che l'Agip Abruzzo non avesse attivato il sistema di luci, i segnali sonori, né il dispositivo radar, come invece prescritto nel caso di nebbia per segnalare la propria presenza.
  Dopo un'analisi attenta di quelle che già erano le testimonianze presenti durante le indagini e per il lavoro ulteriore svolto dalla Commissione, è risultato dimostrato che la nebbia non vi era. Dunque, questa spiegazione iniziale, su cui tutto si è basato, è venuta meno. Si è quindi potuto capire che certamente la causa della collisione non è riconducibile alla nebbia o a carenze di attenzione del personale dell'Agip Abruzzo o del Moby Prince e che andava trovata in altri fattori.
  La nebbia è stata importante perché ha giustificato anche il ritardo nei soccorsi. Lì c'è una parziale verità, perché sicuramente l'incendio del combustibile, che era il famoso petrolio Iranian Light di alta combustibilità, ha provocato certamente una nebbia dovuta al fumo, fittissima. Quindi, una difficoltà operativa per chi è intervenuto nei soccorsi c'è stata, associata però a questo aspetto. Ciò risulta ben scolpito nella parte delle imputazioni relativa a tutta una serie di carenze. Sarebbe infatti bastato incrociare i dati, guardare il registro delle navi presenti in rada e il registro delle navi che si erano allontanate dal porto di Livorno: le coordinate avrebbero subito portato al Moby Prince; non risulta nessun'altra nave in quel momento in allontanamento dal porto di Livorno. Questa è stata la verità processuale che porta all'unica condanna, a carico del terzo ufficiale dell'Agip Abruzzo, Rolla Valentino.
  In sede di appello si ribadiscono questi concetti e si stigmatizzano ancora di più, anche in appello, alcuni passaggi delle indagini: uno su tutti l'attività svolta dal consulente Massari, che era stato nominato in quanto, all'epoca dei fatti, era responsabile nazionale dell'area tecnica della Polizia scientifica. Massari individua come possibile la presenza di esplosivi a bordo del Moby Prince: chiaramente la presenza di esplosivi e l'esplosione della sala del timone sul Moby Prince danno una spiegazione dei fatti che naturalmente apre scenari che sono ben diversi, che si sovrappongono a quello della nebbia. Quindi, vi sarebbe stata un'azione di sabotaggio, ma è la parte che invece, già allora, viene dimostrata come assolutamente inconcludente e inconsistente. Quindi, l'ipotesi di un'esplosione è contraddetta da alcuni dati, uno su tutti il vetrino di un determinato apparato, nel punto dove si sarebbe dovuta verificare l'esplosione: era del tutto integro e quindi già questo era un dato empirico del tutto incompatibile con la possibilità che vi fosse stata un'esplosione. Questa tesi dell'esplosione era già stata smentita da ulteriori accertamenti tecnici, già durante la fase del dibattimento, svolti da personale della Marina Militare. Ulteriormente, possiamo dire che la parola definitiva è stata data dai consulenti sia della prima che della seconda Commissione d'inchiesta, i quali hanno escluso che possa esservi stata, fra le cause del disastro, un'esplosione interna dovuta alla presenza di un esplosivo, azionato o esploso in maniera accidentale, doloso o colposo che fosse. Questo è un argomento, frutto delle consulenze delle Commissioni, che, una volta per tutte, ha consentito di escludere ciò dalle possibili cause del disastro.Pag. 5
  Un altro elemento fondante del lavoro delle Commissioni è stato il punto di fonda dell'Agip Abruzzo. Sul punto di fonda alcuni dubbi erano emersi già durante la fase processuale: deve infatti essere ricordato che l'Agip Abruzzo aveva una lunghezza di circa 200 metri e che la tecnologia dell'epoca consentiva un rilevamento satellitare, ma posizionato sul punto di plancia, quindi a poppa della nave. Bisogna poi dare conto della cosiddetta catenaria. L'ancora, composta da sette catenarie, ha una lunghezza di circa 192 metri (credo che, più o meno, il calcolo era di 27 metri virgola qualcosa per ogni segmento della catena dell'ancora). Quindi, sostanzialmente, l'effetto era quello del compasso: tenendo conto dei 192 metri all'angolo e dei 200 metri di lunghezza dello scafo (l'orientamento, una volta che i motori sono fermi, lo determinano il vento e le correnti), la nave era a un punto di fonda che era già ai margini del divieto di ancoraggio.
  La seconda Commissione ha concluso per uno stazionamento nell'ambito dell'area di divieto: questo è uno dei passaggi sicuramente di maggior pregio del lavoro, perché consente di addebitare una componente della responsabilità al fatto che la nave si trovasse in un punto dove non poteva e non doveva stazionare. Ciò, naturalmente, ha determinato una delle ragioni della collisione.
  Il punto – e qui poi ci alterneremo con il consulente Bardazza – è cosa abbia potuto determinare la collisione, una volta esclusa dalle cause la distrazione dell'equipaggio del Moby Prince e che l'evento si sia consumato nel giro di pochi secondi. Perché una delle ragioni che ha influenzato una fase delle indagini e la sentenza...
  La sentenza, lo dico come dato cronologico importante, è del 31 ottobre 1998 e viene depositata nel gennaio del 1999: già allora l'estensore rilevava che erano passati anni e che il ricordo dei testimoni era ormai distorto dal passare del tempo. Quindi è chiaro che queste considerazioni le possiamo mutuare e fare nostre a maggior ragione con uno spazio di tempo non più di 7-8 anni, bensì di 33 anni, e quindi danno l'idea della difficoltà di attribuire valore e rilevanza a dichiarazioni basate sul ricordo mnemonico di quelli che sono stati protagonisti o testimoni della vicenda, più testimoni che protagonisti devo dire.
  Dunque, una delle verità totalmente destrutturate è che tutto si sia consumato nel volgere di pochi secondi: è stato importante questo passaggio perché non si è stigmatizzato il ritardo dei soccorsi sulla base dell'assunto che tutti i marittimi e tutti i passeggeri fossero morti nel breve volgere di pochi secondi, pochi minuti. Certamente uno spazio temporale insufficiente per consentire l'arrivo utile dei soccorsi, anche là dove i soccorsi fossero stati tempestivi e anche là dove i soccorsi fossero stati da subito orientati in favore del Moby Prince piuttosto che dell'Agip Abruzzo.
  I medici legali – uno dei quali aveva già partecipato alle autopsie – hanno dimostrato che una parte, ma solo una parte, degli occupanti della nave fu travolto dalla fiammata di ritorno, mentre la gran parte dei passeggeri aveva il corpo perfettamente integro quando furono trovati. Tant'è che erano tutti nel salone convegno, il punto preposto per la raccolta in caso di evacuazione della nave, indossando regolarmente il giubbotto di salvataggio e portando con loro i bagagli personali. Poi vi sono stati anche altri casi che dimostrano una sopravvivenza ben più prolungata di pochi minuti: il caso di un passeggero tedesco, un camionista, il quale è stato trovato nella sala del deposito a bordo del camion – pensando probabilmente di trovare lì una possibilità di fuga – e un altro passeggero trovato all'interno della cabina, nel vano doccia, sperando ovviamente che l'acqua della doccia fosse sufficiente per garantirgli un'idonea sopravvivenza. Per non parlare dei due marittimi che si associano con l'unico sopravvissuto, il Bertrand, che sopravvivono per un arco temporale di circa mezz'ora. Questa è una testimonianza del Bertrand, che poi si associa anche col rinvenimento nella mattinata di uno dei due, l'unico cadavere trovato nelle acque, Esposito credo si chiamasse. Il Bertrand indica una sopravvivenza di questo terzetto che si sposta da una parte all'altra della nave, in cerca di scampo, per oltre mezz'ora. Lo Pag. 6stesso Bertrand viene trovato quando è trascorsa addirittura un'ora e un quarto dall'evento: dimostrazione concreta, e non deduttiva, del fatto che la tragedia non si era consumata nel breve volgere di pochi minuti.
  Quindi l'assunto iniziale, l'impostazione investigativa iniziale, anche per questo aspetto, può considerarsi erronea e ha influenzato – e non poteva essere altrimenti – la sentenza di primo grado, che ha dovuto tener conto delle valutazioni espresse dagli inquirenti nel capo di imputazione. Quindi, il lavoro della prima Commissione è stato sostanzialmente un lavoro che ha fatto rilevare le molteplici criticità, che hanno del tutto deviato quella che era l'impostazione e poi la ricostruzione fattuale.
  Il lavoro della seconda Commissione è stato quello di affinare alcuni passaggi: sul punto di fonda, sicuramente; sull'aspetto dell'esplosivo a bordo; sull'aspetto della rotta seguita dal Moby Prince, fornendo come possibile spiegazione l'attraversamento della rotta del Moby Prince da parte di un natante non individuato.
  E qui passiamo nel campo del lavoro che ancora può fare questa Commissione, cioè cercare di approfondire e di capire quali erano i natanti presenti in rada a Livorno quella notte, se qualche natante fosse in prossimità della rotta del Moby Prince e per quale motivo abbia taciuto questa circostanza.
  Credo di aver sintetizzato in poche battute il lavoro di anni. A questo punto il dottor Bardazza assocerà al mio dire anche alcune slide, che consentiranno di apprezzare in maniera ancora più efficace e sintetica quello che è stato il lavoro svolto finora.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Scavone per questa ricostruzione particolareggiata e, ritengo, anche esaustiva, utile per far comprendere bene qual è stato il lavoro della prima e della seconda Commissione e che sicuramente introduce e pone temi di indagine per la terza Commissione. Quindi, se i colleghi sono d'accordo, facciamo parlare i consulenti, poi alla conclusione delle relazioni potranno essere presentate domande o richieste di chiarimenti.
  Prego dottor Bardazza.

  GABRIELE BARDAZZA, perito forense, consulente della Commissione. Buongiorno a tutti. In queste prime slide ci sarà un piccolo riassunto schematico di quello che vi ha appena esposto il dottor Scavone. La sintesi della verità giudiziaria è riassunta in questi due punti: la responsabilità di quello che è avvenuto ad oggi, per la magistratura, è che in via predominante ci sia stata una condotta gravemente colposa dell'equipaggio del traghetto e, in via subordinata, una negligenza relativa al terzo ufficiale Valentino Rolla, di cui ha parlato prima il dottor Scavone, per non aver attivato i segnali previsti in caso di nebbia.
  Sono state tantissime le non responsabilità che sono state affrontate dalla magistratura ma che poi sono rimaste sospese, senza trovare alcun chiarimento, se non poi con il lavoro delle Commissioni. Banalmente, per il traghetto si è parlato – e se ne parla in sentenza – della disattivazione dei sistemi antincendio di bordo, di cui nessuno è stato chiamato a rispondere. Nella sentenza – anche se non è detto che siano tutte cose che effettivamente sono successe – vengono riportati: malfunzionamento dell'apparato radio, di cui nessuno è stato chiamato a rispondere; malfunzionamenti del sistema radar del traghetto, di cui nessuno è stato chiamato a rispondere; malfunzionamenti del sistema di governo del timone, di cui nessuno è stato chiamato a rispondere. Nessuna figura viene portata a processo, viene indagato il comandante di allora della Capitaneria di porto, Sergio Albanese, la cui posizione viene archiviata in fase di indagini preliminari. Vanno a processo i suoi vice. Nessuno dei due armatori, né della petroliera né del traghetto, finiscono a processo. Come ho già detto la volta scorsa, qui ci sono poi tutta una serie di narrazioni tossiche: già solo individuare chi fosse l'armatore del traghetto Moby Prince al tempo dell'incidente ha portato via quasi un paio di udienze al processo, perché non si capiva chi fosse effettivamente l'armatore del traghetto, se Achille Onorato o Vincenzo Onorato, padre o figlio.Pag. 7 Tutte questioni che la Commissione, poi anche del Senato, ha cristallizzato in documenti, perché si tratta di fatti documentali.
  Sempre in tema di non responsabilità – forse il risultato più importante che ottiene la Commissione del Senato – vi è la questione dell'omissione di soccorso. C'è un incidente fra due unità navali: la petroliera ha a bordo 30 persone, che vengono tutte tratte in salvo, sostanzialmente senza problemi fisici, qualcuno ha qualche piccola ustione, ma niente di particolarmente grave; a bordo del traghetto c'erano 141 persone e abbiamo un solo superstite, Alessio Bertrand, che viene salvato dagli ormeggiatori, quasi casualmente, un'ora e un quarto-un'ora e mezza dopo la collisione. Il punto è che nessuno, di questa situazione, di questa «fotografia» (si tratta di un dato oggettivo: vengono salvati tutti e 30 su un'unità e 140 perdono la vita sull'altra), viene chiamato a rispondere dell'omissione del soccorso. La ragione, come ha appena illustrato il dottor Scavone, è una mancanza di nesso eziologico, termine giuridico utilizzato dai giudici: cioè, essendo stato stabilito (e poi magari vedremo come) che a bordo del traghetto erano morti tutti entro 30 minuti – in realtà all'inizio si parlava addirittura di 5 minuti, quindi una morte istantanea quasi per tutti –, la circostanza che il traghetto si trovasse in mare a una distanza di 30 minuti dal punto da cui partivano i soccorsi, rispetto a dove è avvenuto l'incidente, di fatto faceva sì che dopo 30 minuti sarebbero stati comunque tutti morti. Quindi, in ragione di ciò, della palese omissione di soccorso, chiamiamola così, oppure abdicazione – di questo parlerà l'avvocata Zurru, che se ne è occupata per la Commissione del Senato – nessuno è stato chiamato a rispondere.
  La Commissione del Senato lavora tra il 2016 e il 2018, la Commissione della Camera tra il 2021 e il 2022, poi c'è stato lo scioglimento anticipato. Nel frattempo, tra le due Commissioni, la procura di Livorno riapre un fascicolo, a seguito della trasmissione degli atti della Commissione del Senato. Ci sono attualmente due procure che stanno indagando: a Livorno per strage semplice; a Firenze, invece, per strage con finalità eversive. Sono due procure che hanno compiti istituzionali diversi: una è circondariale, l'altra è distrettuale.
  La Commissione del Senato – come ho riferito anche la volta scorsa – arriva a fare un'affermazione di rilievo sulle condizioni di visibilità. Abbiamo visto che, secondo la verità giudiziaria, la causa dell'incidente è la presenza di nebbia quella sera nella rada di Livorno. Quello che arriva a sostenere e a scrivere la Commissione del Senato è che la nebbia non ha avuto un'incidenza nel verificarsi della collisione e – come ha esposto il dottore Scavone – ha semmai e immotivatamente costituito una, se non la principale, causa della giustificazione della conclamata disorganizzazione che si è verificata nella gestione dei soccorsi. Attività, questa, che poi è stata ulteriormente portata avanti dalla Commissione della Camera. Vedremo anche perché è possibile affermare che quella sera non c'era nebbia nel porto di Livorno, come già accennato anche durante la mia scorsa audizione.
  Per quanto riguarda i tempi di sopravvivenza a bordo, la Commissione del Senato incarica la professoressa Mazzeo e il professor Morelli di una consulenza medico-legale elaborata sostanzialmente sugli atti, il cui risultato è che, affermano i due consulenti della Commissione, la morte non sia sopraggiunta per tutte le vittime con la stessa modalità, quindi non tutti sono stati attinti dalle fiamme: alcuni sono morti carbonizzati perché attinti dalle fiamme; alcuni sono stati investiti da dei gas nocivi, come monossido di carbonio, quindi con un'intossicazione da CO, e acido cianidrico, dovuto ai prodotti che bruciavano all'interno della nave in quegli anni (la protezione antincendio era un po' diversa rispetto a quella che è oggi). Soprattutto, fatti circostanziali consentono ai due consulenti di affermare che la morte non sia avvenuta in un arco temporale così ristretto per tutte le 140 vittime, ma che per alcune di esse, almeno per alcune di esse, la sopravvivenza si è protratta fino alle prime ore del mattino successivo. Quindi stiamo parlando di diverse ore dopo il fatto.Pag. 8
  Tutto questo, ovviamente, ha avuto un riverbero su quella che è stata la gestione dei soccorsi. Gestione dei soccorsi che già nelle fasi di indagine preliminare era stata stigmatizzata dall'allora comandante delle Capitanerie di porto, ammiraglio Francese, che in una lettera al Ministro della marina mercantile affermava serenamente che almeno fino alle 5 della mattina non c'era stato alcun tipo di coordinamento. Soprattutto, la cosa che sorprende nella sentenza e nelle indagini è che l'allora vigente decreto ministeriale del 1° giugno 1978 – che era la norma che disciplinava in maniera molto precisa i compiti del soccorso pubblico, distinguendo le fasi di prima situazione operativa, seconda situazione operativa, eccetera – non viene praticamente mai citato: come se la norma a cui bisognasse fare riferimento non fosse questa. Anche questo è importante – e ve lo dirà poi l'avvocata Zurru più avanti –, perché questo discrimina il fatto che dovesse essere solo la Capitaneria di porto di Livorno ad intervenire oppure ci dovesse essere anche un intervento della Marina Militare di stanza a La Spezia, quest'ultima dovesse essere attivata: come doveva essere attivata, chi la doveva attivare, chi si è messo nella catena di comando. Ciò perché – come ho già detto la volta scorsa – il soccorso, ancor prima di un fatto tecnico operativo puro, è un'affermazione di autorità: cioè, «prendo il comando, ho il comando e decido io cosa si fa». Questo non avviene mai. Lo possiamo affermare, anche in questo caso, perché esiste la registrazione delle 24 ore del canale 16: tutti i soggetti che stanno operando sullo scenario dopo la collisione – poi vedremo con il generale Senese chi c'era, dove erano e perché bisogna forse ancora fare un lavoro su questo tema – non vengono contattati sull'unica frequenza che avevano a disposizione. Perché poi i militari trasmettono su delle frequenze – canale charlie, eccetera – che non erano registrate, di cui quindi non abbiamo traccia. Ma dovremmo invece avere la traccia di tutti i soggetti che stavano operando il soccorso.

  FABIO IGNAZIO SCAVONE, magistrato, consulente della Commissione. Una precisazione su questo punto: il capo di imputazione riporta, leggo testualmente, che i due ufficiali della Capitaneria di porto «omettevano di richiedere l'intervento degli elicotteri presso la base militare di Luni o di altri mezzi aerei, allo scopo di avere un quadro più chiaro della situazione e di poter individuare l'esatta posizione delle navi che erano entrate in collisione e che era doveroso, quantomeno, presumere che si fossero entrambe incendiate». Questa, quindi, è la parte di responsabilità che si attribuisce solo all'ufficiale che per dieci minuti subentra nel comando e all'ufficiale in seconda: al primo ufficiale, tra le ore 22.27 e le ore 22.37, si addebitano una serie di omissioni, fra cui quella di non aver richiesto l'intervento. Lo stesso tipo di omissioni si attribuisce anche all'ufficiale in seconda, ma non agli ufficiali e al comandante della Capitaneria di porto, che a un certo punto assume la direzione delle operazioni ed esce in mare a bordo di una motovedetta. È singolare il fatto che nelle immagini televisive, in diretta, mentre rilascia delle dichiarazioni ai giornalisti presenti, si vede alle sue spalle un marinaio con l'elmetto in testa, emblematico del fatto che erano entrati in una situazione di emergenza massima. Cosa c'entrasse l'elmetto su un marinaio in una situazione di soccorso in mare, non è dato sapere. Però, evidentemente, è una situazione che aveva messo nel panico tutta la struttura della Capitaneria di porto. Però, l'addebito viene mosso a un ufficiale, per non aver dispiegato alcune attività in quei dieci minuti, e all'altro ufficiale per le stesse mancanze, per un periodo di tempo più ampio. E poi ci si ferma: come se, da quel momento in poi, chiunque fosse subentrato – è uno solo che era subentrato, il comandante di Capitaneria – non avesse alcun debito di responsabilità.

  GABRIELE BARDAZZA, perito forense, consulente della Commissione. Prima di lasciare la parola a Margherita Zurru, osserviamo che cosa troviamo in sentenza e che cosa confuta, sostanzialmente, la Commissione del Senato. Secondo la sentenza, la collisione è dovuta principalmente alla nebbia. Secondo la Commissione del Senato, Pag. 9invece, in realtà la nebbia non è stata concausa della collisione.
  Vi è poi la condotta gravemente colposa del comandante del traghetto indicata in sentenza. La Commissione del Senato, invece, rileva che non ci sia nessuna imprudenza-negligenza che sia da attribuire al comando del traghetto e, addirittura, aggiunge – questo è un fatto che è stato accertato per la prima volta dopo 27 anni – che l'equipaggio del Moby Prince ha tenuto un comportamento sostanzialmente definito eroico, nel senso che è rimasto con i passeggeri e nessuno di loro, tranne l'ultimo imbarcato – che è anche l'unico che si salva, Alessio Bertrand – è venuto meno al proprio ruolo di equipaggio. Che cos'è il ruolo di equipaggio? È il compito che hanno in caso di emergenza. Tutti sono stati trovati al loro posto: chi faceva parte della squadra antincendio è stato trovato con le manichette; chi faceva parte del contenimento dei passeggeri è stato trovato con i passeggeri. Ce ne è uno solo, che è quello che si salva, perché a un certo punto decide... Un po' per fortuna, poi viene trovato, ma non sta compiendo qualche cosa di organizzato.
  Per quanto riguarda i tempi di sopravvivenza, secondo la sentenza sono limitati a un massimo di 30 minuti, in una finestra temporale tra 5 e 30 minuti. In realtà, secondo la consulenza della Commissione del Senato, la sopravvivenza è durata per diverse ore, almeno per alcuni dei passeggeri.
  Per la sentenza, infine, i soccorsi non hanno avuto alcuna responsabilità, mentre in realtà è stata accertata – queste sono le parole che utilizza la Commissione del Senato – «una sostanziale abdicazione delle autorità responsabili del soccorso pubblico quella sera».
  A questo punto passerei la parola all'avvocata Margherita Zurru.

  FABIO IGNAZIO SCAVONE, magistrato, consulente della Commissione. Presidente, mi inserisco brevemente per ricordare, a proposito del ruolo dell'equipaggio, che sei persone vengono trovate carbonizzate in fila indiana, con la manichetta, perché si erano perfettamente attenute a quello che era il protocollo di intervento in situazioni del genere. Era una situazione disperata, c'era questo enorme incendio, ma loro, anche in quel frangente, compiono il loro dovere. Tant'è che la traccia dei corpi viene rilevata così sul ponte, con la manichetta in mano, quello che ne è rimasto: solo la lancia, la punta in metallo, rimane integra; del resto non c'è più niente. Ma loro sono lì, in fila indiana, morti. Quindi questo dà la misura del grado di addestramento e anche di responsabilità dell'equipaggio e del comandante.

  PRESIDENTE. Prego, avvocata Zurru.

  MARGHERITA ZURRU, avvocata, consulente della Commissione. Buongiorno a tutte e a tutti. Il mio intervento oggi, come ha anticipato il collega consulente Bardazza, sarà proprio un approfondimento sul tema dei soccorsi. Il tema è stato affrontato compiutamente dalla Commissione senatoriale, che è giunta ad alcuni punti fermi che è bene però ribadire, perché in fondo segnano anche il motivo della prima, della seconda e della terza Commissione: cioè il fatto che i procedimenti giudiziari non siano proprio stati in grado di dare una ricostruzione realistica e veritiera di quello che è successo.
  Il motivo principale per il quale l'argomento dei soccorsi non è stato affrontato nell'ambito dei procedimenti giudiziari è la ricostruzione che è stata adottata. Come prima anticipato anche dal dottor Scavone, si è scelto di sposare la tesi secondo la quale, a fronte di un incidente violentissimo, il Moby Prince sarebbe diventato in un tempo velocissimo una palla di fuoco e nel giro di mezz'ora fossero morti tutti i passeggeri e l'equipaggio, senza quindi lasciare scampo a nessuno, ad eccezione del mozzo Bertrand.
  Quindi, l'intero impianto del provvedimento emesso in primo grado dal tribunale di Livorno ha condizionato tutto il percorso giudiziario ed è retto da questa convinzione, cioè che fosse inutile qualsiasi tipo di indagine sui soccorsi, perché qualsiasi tipo di soccorso prestato o non prestato sarebbe stato comunque inutile. QuestaPag. 10 convinzione è stata sorretta anche dalla perizia medico-legale disposta dal pubblico ministero nell'ambito del procedimento di primo grado, secondo la quale, appunto, dopo l'impatto e la propagazione dell'incendio, le condizioni a bordo del traghetto fossero divenute del tutto incompatibili con una sopravvivenza dei passeggeri superiore alla mezz'ora.
  Questa perizia, però, parte da un presupposto particolare: c'era un'urgenza, un'emergenza, che era quella di restituire le salme alle famiglie. Quindi, gli stessi professori che hanno svolto la perizia, in audizione al Senato, ci raccontarono di aver ricevuto delle pressioni per giungere il più rapidamente possibile alla identificazione dei corpi. Quindi, non è stata una perizia disposta per accertare le cause delle morti, ma è stata semmai una perizia diretta soprattutto a identificare i corpi. La gran parte delle salme – di cui ci sono delle foto che sono allegate, che potete visionare – era in condizioni davvero terribili. C'era quindi l'urgenza, l'emergenza di identificare tutti e di restituire i corpi. Questo ha condizionato tutto, tanto che non furono fatte neanche molte autopsie e nemmeno molti esami del sangue.
  La Commissione del Senato si è mossa in due direzioni: da una parte ha acquisito tutti i dati possibili e immaginabili (audizioni, ma anche documentazione, eccetera); dall'altra ha disposto una nuova perizia.
  Quindi, da una parte abbiamo il dato scientifico nuovo, che è quello della nuova perizia, disposta nell'ambito della Commissione del Senato, che ci ha detto che è impossibile stabilire che tutti fossero morti in mezz'ora. Dall'altra, ci sono dei dati di fatto, che in parte sono stati già anticipati, che contrastano inequivocabilmente con l'assunto secondo cui sarebbero morti tutti in mezz'ora. Non soltanto la sopravvivenza del mozzo Bertrand per un'ora-un'ora e un quarto dopo la collisione. Dalle sue stesse dichiarazioni – che poi sono state confermate in un'audizione presso la Commissione del Senato – è emersa altresì la permanenza in vita, per molto tempo prima di morire, del marinaio D'Antonio, che lo ha accompagnato nella fuga. Poi c'è il caso clamoroso di Antonio Rodi, cameriere di 41 anni, il cui corpo integro – con i vestiti perfettamente riconoscibili, privi di evidenti segni di bruciature – venne videoripreso da un elicottero la mattina all'alba, sulla poppa del traghetto accanto a corpi già carbonizzati. Quindi: la mattina all'alba passa questo elicottero, vengono effettuate queste riprese e si vede questo corpo colorato, con abiti non carbonizzati. Dopo un po' di ore l'elicottero ripassa e il corpo è cambiato, è diventato completamente carbonizzato, come gli altri intorno. Questo significa, di sicuro, che quel corpo non era arrivato troppo tempo prima rispetto all'alba, considerato che nel primo video non era carbonizzato. Poi c'è il caso del marinaio Esposito, che è stato ritrovato annegato in mare. E poi altre due persone sono state ritrovate nella sala macchine, un passeggero e il marinaio Abbatista, che hanno riportato livelli altissimi di carbossiemoglobina, incompatibili con una morte in 30 minuti.
  Poi c'è, come già è stato detto, il dato della dislocazione particolare delle vittime: cioè, i passeggeri e gran parte dell'equipaggio sono stati rinvenuti in un certo modo specifico nel salone, l'unico dotato e predisposto per avere una resistenza strutturale ad alte temperature e fumi. Inoltre, su queste vittime, i tassi di carbossiemoglobina erano molto diversi fra loro (compresi fra il 6 e il 90 per cento) e le stesse condizioni dei corpi erano molto diverse tra loro. È stato quindi possibile ricostruire che c'è stato un approntamento dei soccorsi, che sicuramente ha necessitato di tempo. Ecco, tutti questi dati – compreso il fatto che molte delle vittime indossassero i giubbotti di salvataggio e avessero con sé i bagagli e poi il fatto che la squadra antincendio fosse al proprio posto – fanno pensare a un'attività svolta dopo l'impatto, diretta proprio all'approntamento e alla realizzazione del piano di sicurezza, che esisteva, anche se embrionale rispetto a quello che potrebbe essere in vigore oggi.
  Quindi, se al tempo si fosse fatta una diversa valutazione sui tempi di sopravvivenza a bordo, probabilmente i procedimentiPag. 11 sarebbero andati anche in un'altra direzione. Dai dati emerge in modo chiarissimo e inconfutabile che, perlomeno per le prime due ore, i soccorsi non furono indirizzati verso il Moby Prince. Cioè, non fu proprio cercato il secondo natante. Quindi fu l'Agip Abruzzo a chiamare i soccorsi e nei suoi confronti è stata immediatamente attivata la macchina dei soccorsi, tant'è che furono tutti portati in salvo molto velocemente. Il Moby Prince fu trovato per caso, e non dalle autorità, bensì da due persone che autonomamente sono andate a recuperarla, perché hanno ascoltato sul canale radio qualcuno che parlava di una nave incendiata alla deriva. Si sono avvicinati e hanno trovato così il mozzo. Nel frattempo cosa faceva la Capitaneria di porto?
  L'altro fronte su cui si è indagato è la ricostruzione di una normativa che è molto diversa rispetto a quella attuale e che prevedeva una prima situazione, un primo livello, in cui la responsabilità sul coordinamento e l'organizzazione dei soccorsi spettava alla Capitaneria di porto. Nel caso in cui la Capitaneria di porto avesse ritenuto i propri mezzi inadeguati o di non avere capacità operative, qualsiasi fossero le sue valutazioni avrebbe potuto delegare alla Marina Militare, con passaggio, quindi, in seconda situazione operativa. Questo non c'è stato. La decisione sul livello da adottare, sulla base del contesto e dei mezzi, competeva esclusivamente alla Capitaneria di porto di Livorno. Ai Vigili del fuoco è affidato certamente un altro compito, che è quello di adottare le scelte relative agli interventi di spegnimento degli incendi, ma sempre sotto il coordinamento della Capitaneria di porto.
  Le norme, che ha già citato Gabriele Bardazza, sono due-tre. Secondo me, molto significativo è l'articolo 10 di una legge vecchissima, del 1940, che ripropone un principio che gli uomini di mare conoscono perfettamente: la necessità di un soccorso immediato, per cui l'autorità più vicina deve agire immediatamente. Dunque, si stabilisce: «in caso di incendio o di altro sinistro che richieda l'applicazione delle previste misure di soccorso, il comandante del porto assume la direzione dei soccorsi. Egli può procedere, senza alcuna formalità, alla requisizione di ogni mezzo nautico o terrestre, esistente nell'ambito portuale». È chiaro che il soccorso delle persone è una priorità assoluta, chiunque viaggi per mare lo sa. «Nella sua opera di direzione, il comandante del porto coordina l'azione dei reparti dei vigili del fuoco e quella di tutti gli altri mezzi nautici e terrestri e le prestazioni delle persone che sono tenute a rispondere alle richieste dell'autorità marittima». L'altra norma rilevante è quella dell'articolo 69 del codice della navigazione, che attribuisce sempre alla Capitaneria di porto l'autorità marittima, quindi ha il dovere di intervenire in caso di sinistro in mare, coordinando la macchina dei soccorsi.
  Quello che sappiamo nel caso specifico è che, come ho detto prima, per le prime due ore a partire dalla collisione ogni tipo di soccorso fu orientato soltanto nei confronti dell'Agip. Alle 23.30 la motovedetta della Capitaneria, la CP232, comunicò di aver raggiunto la petroliera circa un'ora dopo l'impatto. In quella fascia oraria, intorno alla petroliera, si radunarono altri mezzi di soccorso. Invece, la motovedetta CP250, che aveva a bordo il comandante della Capitaneria di porto, Sergio Albanese, rimase in rada. Sappiamo che l'ammiraglio Albanese, sentito in audizione nell'ambito della Commissione senatoriale, nella notte della collisione, all'ora dell'impatto, non era a Livorno, sopraggiunse in un secondo momento. Però, anche una volta sopraggiunto, intorno alle 23, non diede indicazioni specifiche e non corresse l'operato dei suoi sottoposti.
  Ciò che colpisce è che non venne fatto assolutamente nulla per cercare il secondo natante coinvolto. Stiamo parlando di un traghetto che portava a bordo 141 persone e che era appena partito da quel porto, non da un altro porto: sembra palese che gli ordini impartiti furono del tutto inadeguati. La prova, come dicevo prima, è che furono due ormeggiatori, Walter Mattei e Mauro Valli, che – fra i primi a partire dalla banchina del porto, autonomamente e senza alcuna direttiva – riuscirono a individuare il traghetto in fiamme, che nessunPag. 12 altro cercava, e recuperarono Alessio Bertrand, cioè lo convinsero a gettarsi in mare e gli prestarono soccorso.
  In relazione a questa fase riportiamo un episodio che ci ha fatto molto riflettere, sul quale non si è fatta pienamente luce: una volta salito a bordo, il Bertrand avrebbe detto che a bordo del Moby Prince c'erano dei passeggeri. Tanto che nelle comunicazioni fra gli ormeggiatori e la motovedetta si dice «bisogna attivare i soccorsi perché dice il mozzo che ci sono dei passeggeri a bordo». Senonché, poi, viene fatto traslocare nella motovedetta e invece, a quanto pare, avrebbe cambiato versione e avrebbe detto che erano tutti morti. Chiamati in audizione, i due ormeggiatori non hanno sciolto questa contraddizione. Invece Bertrand, ascoltato, disse che lui è certo di aver detto che a bordo c'erano dei passeggeri e che era necessario intervenire.
  Ad ogni modo, nonostante il fatto che il traghetto fosse stato individuato, che fosse stato tratto in salvo il naufrago e nonostante il fatto che questi avesse affermato che c'erano persone ancora vive a bordo, non si registra un coinvolgimento di mezzi di soccorso adeguati sul Moby Prince, quasi che la petroliera rimanesse in una prima fase l'unica priorità e che poi gli altri siano rimasti in qualche modo tutti a guardare. Quindi, non solo il traghetto non è stato cercato, ma poi, anche una volta trovato, non risulta che sia stata indirizzata una adeguata operazione di spegnimento.
  Sulle condizioni del Moby c'è da dire che, solo dopo le due del mattino, un rimorchiatore, di propria iniziativa, provò una manovra di accosto e di ancoraggio. In quel momento fece salire un marinaio, Gianni Veneruso, che agganciò un cavo da traino. Veneruso salì a bordo e agganciò il cavo: in audizione ha confermato di essere salito a bordo senza alcuna protezione (quindi senza maniglia, maschera protettiva o altro).
  Quindi, è possibile immaginare che la nave, a una certa ora, sia risultata agibile. Però a bordo non è salito nessuno. Verso le tre del mattino, il comandante del porto rientra in porto e immediatamente rilascia delle dichiarazioni che parlano di nebbia e di una palla di fuoco che ha reso inutile qualsiasi tipo di soccorso. Poiché noi sappiamo per certo che a bordo c'erano persone vive e che niente è stato fatto, è evidente una responsabilità della Capitaneria di porto. Non è da escludersi, infatti, che se avessero operato secondo il massimo delle proprie possibilità, si sarebbe potuto salvare qualcun altro: questo è un primo punto fermo molto importante.

  PRESIDENTE. Grazie all'avvocata Margherita Zurru.
  Generale Angelo Senese, prego.

  ANGELO SENESE, generale della Guardia di finanza, consulente della Commissione. Grazie Presidente, buongiorno a tutti. È stato già detto ampiamente tutto circa la vicenda dell'incidente tra il Moby Prince e l'Agip Abruzzo. Io posso sinteticamente indicare un po' quella che è stata la collaborazione della Guardia di finanza con entrambe le Commissioni, del Senato e della Camera.
  Abbiamo fornito la massima collaborazione, per esempio, nell'individuazione delle persone da audire, perché a distanza di così tanto tempo non era semplice trovare fisicamente le persone che venivano poi di volta in volta chiamate qui a testimoniare. Attraverso le nostre banche dati li abbiamo rintracciati tutti.
  Poi abbiamo dato un importante contributo alla collaborazione del professor Scamardella (con cui ha operato anche il dottor Ackermann, un suo collaboratore) dell'Università Parthenope di Napoli, il quale ha ricostruito l'esatta posizione e l'orientamento dell'Agip Abruzzo. Su questo tema si è molto dibattuto se la prua fosse verso il largo, cioè a 270° verso ponente, piuttosto che verso sud/sud-ovest. In base alla soluzione di tale questione potevano cambiare un po' gli scenari e le dinamiche.
  Poi abbiamo incaricato per alcune ricerche specifiche lo SCICO (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata), che ha trovato il cosiddetto accordo assicurativo, di cui si è già ampiamente parlato, tra la SNAM, l'ENI, l'Agip e la Navarma (che era la società del Moby Pag. 13Prince) e le relative compagnie di assicurazione.
  Come Comando operativo aeronavale – peraltro in quel momento ero io il comandante di quel reparto a Pratica di Mare – abbiamo svolto un esame documentale degli atti in possesso e abbiamo visto come, sostanzialmente, la rotta asseritamente seguita dall'Agip Abruzzo – con provenienza dal terminale petrolifero di Sidi Kerir, al largo delle coste egiziane – non fosse compatibile con i tempi di percorrenza: in tre giorni, arrivando davanti a Livorno, se non ricordo male dal 6 al 9 aprile, la petroliera avrebbe dovuto sviluppare una velocità superiore ai 15 nodi, che era la velocità massima continuativa che poteva svolgere. Quindi, quel dato era probabilmente un dato falsato. Di ciò abbiamo avuto conferma con l'interrogazione dei registri dei Lloyd's di Londra: la nave, effettivamente, non proveniva da Sidi Kerir, bensì da Genova. Questo è un altro punto delicato.
  Abbiamo effettuato anche una ricostruzione su cartografia elettronica dei tracciati del radar di Poggio Lecceta, che in effetti sta sulle colline retrostanti Livorno. C'è un radar aereo. Qui c'è una perizia importante dell'ingegner Salvatore Fabbricotti, incaricato dal pubblico ministero dell'epoca, dottor De Franco, che esamina questi tracciati. Su alcuni punti resta il dubbio sull'esatta identificazione di alcuni natanti. Addirittura c'è un natante, la motonave Aldo, che esce dal porto di Livorno, interseca un po' la zona delle operazioni – cioè la zona dove è avvenuto l'incidente – e poi accosta per assumere una rotta verso nord, verso Genova sostanzialmente. Ci sono poi due tracce radar che invece non sono identificate. Una traccia sale e va verso il porto di Livorno in direzione nord-est, nelle ore in cui Moby sta uscendo dal porto di Livorno, scendendo in direzione sud-ovest. E poi una traccia radar eco – «eco» sarebbe un bersaglio, un target – molto veloce, che sviluppa circa 38 nodi, quindi 38 miglia, che però non viene identificata. Quindi questa è un po' la prima attività svolta con la Commissione del Senato.
  Per quanto riguarda invece la Commissione della Camera, ho fatto degli approfondimenti su quello che era lo scenario delle presenze nella rada di Livorno, soprattutto in relazione a quelle notizie circa la presenza di bettoline. L'ho fatto attraverso un intreccio tra quello che è stato detto in audizione, le risultanze degli atti processuali, eccetera. Effettivamente c'era qualche passaggio dubbio: quella sera qualche bettolina era in movimento, doveva essere nella rada di Livorno. Peraltro una bettolina, la Giglio, aveva rifornito l'Agip Napoli, che era un'altra nave dell'Agip che era un po' più sotto costa, verso l'Accademia navale per intenderci, il cui comandante Cannavina però, sentito, aveva smentito il rifornimento. Quindi una cosa abbastanza anomala.
  Inoltre, ho fatto un ulteriore approfondimento sui pescherecci presenti nella zona delle operazioni. Vi erano tre pescherecci, più o meno prossimi all'Agip Abruzzo, che comunque si sono mossi durante le varie fasi, rientrando anche in porto. Quindi, anche lì ci sono un po' di contraddizioni circa le esatte posizioni.
  Questa è la sintesi di tutta l'attività svolta. Tutte le attività le hanno già ampiamente illustrate il dottor Scavone, l'ingegner Bardazza e l'avvocata Zurru. Quindi, andando a rivedere un po' la documentazione e intrecciando un po' le testimonianze, credo che abbiamo ancora un lavoro importante da svolgere, che sicuramente porteremo a compimento. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, generale Senese. Chiedo se il dottor Paoli ha da aggiungere qualcosa. No.
  I consulenti presenti hanno da aggiungere qualcosa?

  FABIO IGNAZIO SCAVONE, magistrato, consulente della Commissione. Presidente, una nota di colore, se così vogliamo definirla.

  PRESIDENTE. Prego.

  FABIO IGNAZIO SCAVONE, magistrato, consulente della Commissione. Quando vennero auditi i due consulenti medici legali – uno dei quali aveva partecipato, da allievo, Pag. 14alle operazioni medico-legali nell'immediatezza –, questi hanno eseguito le autopsie in un capannone del porto, con la presenza di centinaia di parenti, che si erano raccolti immediatamente lì, contigui e arginati da un cordone. Quindi in situazione di assoluta emergenza. Perché quello che poi è trapelato da questa attività è stata l'inadeguatezza della gestione non soltanto dell'immediato, ma anche del post-tragedia. Effettivamente era una situazione da Protezione civile: con 140 cadaveri da gestire, da controllare, non sono stati neppure in grado di svolgere il lavoro autoptico, proprio perché incombeva questa folla. Nessuno aveva pensato, come dicevo, a come contenerla, come assisterla, come soccorrerla, che tipo di indicazioni dare. Ciò ha influito negativamente anche nella gestione e quindi, poi, nelle risultanze. Nell'immediatezza del fatto, sarebbe stato certamente utile svolgere una serie di esami autoptici, proprio per capire la presenza di aria o meno nei polmoni, il grado di sopravvivenza, il grado di ustioni. Si sarebbe dovuto fare un lavoro preziosissimo per capire la dinamica del fatto attraverso l'esame dei cadaveri. Ma non sono stati posti neppure nelle condizioni di agire in questo senso.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi, anche quelli che sono collegati, se hanno domande da porre e chiarimenti da chiedere.
  Prego, onorevole Frijia.

  MARIA GRAZIA FRIJIA. Grazie, Presidente. Come al solito la ringrazio per gli approfondimenti, perché credo che la Commissione stia portando avanti comunque un lavoro di approfondimento molto importante. Grazie appunto al nostro Presidente, che oggi sta organizzando i lavori. Ringrazio i relatori.
  Una considerazione, Presidente. Sicuramente io non lo so perché sono arrivata da poco; ho un po' guardato.
  Innanzitutto, vorrei sottolineare il dato del comportamento eroico dell'equipaggio. Non mi sembra di aver visto alcun tipo di riconoscimento, se non qualche proposta. Allora, Presidente, lascio a lei, visto che sta portando avanti così bene i lavori, l'opportunità di capire se, partendo da ciò, si può magari trovare la via per riconoscere all'equipaggio – visto che ne è stato certificato il comportamento eroico – un riconoscimento: che sia una medaglia al merito, una medaglia al valor civile o qualcosa di questo genere. Credo che sia doveroso a questo punto, nella ricostruzione dei fatti, riconoscere comunque il merito a queste persone che si sono sacrificate, purtroppo senza il risultato che loro probabilmente si aspettavano.
  Ho una domanda per il generale Senese. Noi abbiamo sentito diverse ricostruzioni sulla 21 Oktoobar II e su tutte queste realtà, queste presenze. Le chiederei, quindi, una valutazione in relazione a questa ipotesi e in relazione anche all'ipotesi di questa bettolina, questa nave, questa imbarcazione che qualcuno dice potesse essere presente quella sera, se è vero, se si può, secondo voi, ricostruire lo scenario della messa ai lavori di questa imbarcazione presso delle officine lì a Livorno. Ci hanno raccontato che questa imbarcazione probabilmente è stata messa ai lavori in qualche officina lì a Livorno, questa che si dice che fosse lì presente, di cui non si ha certezza. Vorrei capire se, rispetto a questa ipotesi, ci sono stati una valutazione, un approfondimento, uno studio, una riflessione. Queste le domande che mi vengono in mente.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Se non ci sono altre domande da parte di altri colleghi, darei la parola al generale Senese. Prego.

  ANGELO SENESE, generale della Guardia di finanza, consulente della Commissione. Il tema della 21 Oktoobar II, che è un peschereccio d'altura, in effetti è stato una questione da verificare: se quella notte il peschereccio fosse presente in rada piuttosto che agli ormeggi prospicienti la Capitaneria di porto. C'è la testimonianza di una persona, se non ricordo male, che aveva proprio una finestra quasi su questa zona della darsena del porto, che ha riferito di aver visto l'imbarcazione di giorno, mentre poi il giorno dopo non l'avrebbe più individuata. Quindi, verosimilmente, c'è stata Pag. 15una navigazione notturna di questa nave, almeno dai resoconti delle testimonianze.
  Per quanto riguarda i lavori, avrebbe subito un incidente. Là dove un'imbarcazione subisce un sinistro, è coinvolta in un incidente marittimo, dovrebbe essere inizialmente svolta l'inchiesta sommaria da parte della locale competente Capitaneria di porto (ovviamente, là dove ne viene a conoscenza). Quindi credo che un primo passaggio potrebbe essere questo: capire se agli atti della Capitaneria di porto, piuttosto che del Registro Italiano Navale (RINA), vi sia qualche dato più approfondito su questo incidente, su questo sinistro. Poi passerei la parola all'ingegner Bardazza, che ha esaminato la questione un po' più da vicino nel corso dei lavori della scorsa Commissione.

  GABRIELE BARDAZZA, perito forense, consulente della Commissione. Onorevole Frijia, questa documentazione, che riguarda la 21 Oktoobar II, è emersa sul finire dell'ultima Commissione parlamentare d'inchiesta. Si tratta della documentazione che in parte era già presente agli atti fin dal 1993-1994. È stata oggetto di una breve integrazione nell'inchiesta bis, che la procura di Livorno ha condotto tra il 2006 e il 2010: le famose 12 pagine di quella richiesta di archiviazione che riguarda questo peschereccio 21 Oktoobar II, che poi viene descritto, e che non conclude niente. Con la Commissione stiamo pianificando tutta una serie di acquisizioni di atti presso il RINA, che ci consentano di chiarire alcuni aspetti. Il primo – come avrà visto anche in sentenza e anche nelle ricostruzioni giornalistiche –, le ragioni per cui la 21 Oktoobar II era presente nel porto di Livorno la sera dell'incidente sono varie ed eventuali (si passa dalla derattizzazione all'ammutinamento dell'equipaggio). Qui c'è un documento, invece, che è stato acquisito dalla procura di Livorno nel 2009, in cui il RINA certifica che la 21 Oktoobar II era lì per riparazioni, in seguito a una collisione con un'altra unità navale, che non viene identificata. Questa unità navale non identificata – c'è un estratto del giornale di bordo – non era stata individuata nel 1991, non era stata individuata nel 2009, è stata individuata sulla fine del 2022, poco prima che fossero sciolte le Camere. L'individuazione è stata possibile perché oggi i sistemi di ricerca delle navi, dopo aver scritto le prime quattro lettere, ti fanno una serie di proposte, sopperendo così ai problemi di traduzione tra la lingua araba e i caratteri occidentali, soprattutto dal somalo, la ripetizione delle vocali: una «o» al posto di una «a», una «k» al posto di un «ck»; «Oktoobar» lo troverà scritto in venti modi diversi. Questo ci ha consentito di arrivare a identificare la nave principale, sempre dalla flotta Shifco, che è la Cusmaan Geedi Raage, con due «a», una «c» e una «g»; poi vedrete che c'è una difficoltà oggettiva. Quello che risolve tutto è il codice IMO (International Maritime Organisation), che è una sorta di codice fiscale, codice seriale che viene dato all'unità quando viene messa in mare e non cambia durante tutto il corso della sua vita, anche se cambia nome. Credo di averle risposto.

  PRESIDENTE. Bene, io ringrazio i nostri consulenti per questo prezioso contributo ai nostri lavori. Se vi sono anche altri consulenti che ritengono di dare un supporto ad integrazione, eventualmente segnalatelo, così possiamo completare anche questo punto molto importante dei nostri lavori, un approdo importante per avviare una fase di approfondimento ai temi di indagine sui quali è utile concentrarsi, senza disperdere il lavoro della Commissione. Quindi mi pare utile – mi riservo all'esito anche dell'audizione dei nostri consulenti – fare una sintesi con dei punti specifici da sottoporre all'attenzione dei componenti della Commissione, per capire esattamente su quali temi e circostanze indirizzare il nostro lavoro alla ripresa dopo la pausa estiva.
  Quindi intanto grazie, davvero, perché è stato molto utile. Dai vostri interventi sono già emerse alcune indicazioni utili per il prosieguo dei nostri lavori.
  Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.15

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