Pubblicità dei lavori:
Pittalis Pietro , Presidente ... 3
Audizione dei rappresentanti delle associazioni «Associazione 10 Aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus» e «Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince»:
Pittalis Pietro , Presidente ... 3
Chessa Luchino , presidente dell'«Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus» ... 3
Pittalis Pietro , Presidente ... 6
Rosetti Nicola , presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince» ... 6
Pittalis Pietro , Presidente ... 6
Rosetti Nicola , presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince» ... 6
Pittalis Pietro , Presidente ... 8
Fede Giorgio (M5S) ... 8
Pittalis Pietro , Presidente ... 9
Amorese Alessandro (FDI) ... 9
Pittalis Pietro , Presidente ... 9
Ghirra Francesca (AVS) ... 10
Pittalis Pietro , Presidente ... 10
Tenerini Chiara (FI-PPE) ... 10
Pittalis Pietro , Presidente ... 11
Bonafè Simona (PD-IDP) ... 11
Pittalis Pietro , Presidente ... 12
Chessa Luchino , presidente dell'«Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus» ... 12
Pittalis Pietro , Presidente ... 12
Rosetti Nicola , presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince» ... 13
Pittalis Pietro , Presidente ... 13
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PIETRO PITTALIS
La seduta comincia alle 12.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione dei rappresentanti delle associazioni «Associazione 10 Aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus» e «Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince».
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus e dell'Associazione 140 – Familiari Vittime Moby Prince.
Sono presenti il dottor Luchino Chessa, presidente dell'Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus, accompagnato dall'avvocato Stefano Taddia, nonché il dottor Nicola Rosetti, presidente dell'Associazione 140 – Familiari Vittime Moby Prince, accompagnato dal signor Sergio Romboni, vicepresidente.
Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. Ricordo inoltre che, qualora gli auditi dovessero ritenere che taluni argomenti sui quali intendono riferire richiedano di essere assoggettati a un regime di segretezza, la Commissione valuterà le modalità più opportune per consentire loro di farlo, tenuto conto che le modalità di partecipazione da remoto non sono compatibili con la segretezza della seduta.
Mi sia consentito intanto di ringraziare gli auditi per la loro presenza qui oggi. Rappresentano due associazioni che hanno dato un contributo fondamentale all'attività condotta dalle due Commissioni d'inchiesta nel corso della loro attività e sono certo che sapranno fornirci ulteriori importanti spunti di riflessione e di approfondimento utili, per il proseguimento della nostra inchiesta.
Do quindi la parola ai rappresentanti delle due associazioni. Valuterete voi come contenere possibilmente il tempo, tenuto conto anche dei lavori d'Aula, ma senza per questo limitare gli interventi. Se necessario ci potremo anche riaggiornare, soprattutto per consentire ai colleghi deputati e deputate di poter formulare quesiti.
Do subito la parola agli auditi.
LUCHINO CHESSA, presidente dell'«Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus». Grazie, Presidente, grazie vicepresidenti e membri della Commissione per aver iniziato questo percorso dopo quasi 33 anni, dopo già due Commissioni d'inchiesta, dopo anni purtroppo di buio dal punto di vista giudiziario, come sapete.
Noi non siamo dei tecnici, ovviamente, noi siamo i rappresentanti delle associazioni dei familiari, per cui parliamo come rappresentanti dei familiari. Vorrei ricordarvi che tutto è nato il 10 aprile 1991, come sapete, e purtroppo questa vicenda è stata derubricata a un banale incidente. Il problema fondamentale è questo. Fino a pochi anni fa, fino alla prima Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato che Pag. 4era presieduta dall'onorevole Silvio Lai, che avete anche audito, veniva considerato un banale incidente: un comandante distratto o, al contrario, forse troppo sicuro di sé si è lanciato contro una petroliera che era all'ancora, ferma, tranquilla, a causa di un enorme banco di nebbia caduto all'improvviso. Una cosa incredibile.
Adesso non ci crederebbe nessuno, ma purtroppo per anni il motivo della nebbia è stato la base di questa vicenda giudiziaria, che si è conclusa, alla fine, nel 2010 con la chiusura delle indagini (che avevamo fatto riaprire noi come familiari delle vittime, io e Angelo). Per noi anche quella è stata una batosta enorme, anche perché chi ha archiviato l'inchiesta ci ha tacciato di aver sprecato soldi dello Stato per fare le indagini. È stata una cosa per noi terribile. Quella è stata una pietra tombale per la quale noi alla fine stavamo quasi decidendo di non continuare, perché eravamo veramente abbattuti da tutti i punti di vista.
Invece no, invece siamo riusciti ad andare avanti. È cambiato tantissimo, io continuo a dirlo, e questo è molto importante. Dal 2013 a oggi c'è stato un cambio di passo da tutti i punti di vista e anche un'attenzione particolare da parte del mondo politico, della politica, delle istituzioni. Questo, secondo me, è un esempio importante di attività virtuosa della politica. Si è sempre detto che quando iniziano le Commissioni d'inchiesta vuol dire che si deve mettere tutto a tacere, si deve nascondere tutto: in questo caso, invece, le Commissioni parlamentari hanno lavorato bene, hanno ribaltato completamente le verità processuali.
Nelle aule dei tribunali si parlava di nebbia, di distrazione del comandante, di gente morta nel giro di 20-30 minuti. Questo fa capire che c'era qualcosa che non tornava, realmente, e noi abbiamo continuato ad andare avanti grazie anche all'appoggio dei social, del movimento di opinione, della campagna «#iosono141» partita da Francesco Sanna, al fatto che poi le associazioni hanno cominciato a lavorare insieme.
Un altro problema molto importante (ve lo dirà anche Nicola) è che infatti all'inizio le associazioni erano divise. C'è stato un lavoro che è stato fatto per dividere le associazioni; e quando cominci a dividere delle associazioni chiaramente stai creando un problema importante, perché ognuna andava per i fatti propri e, di conseguenza, le energie si sono sprecate purtroppo in questa maniera. Quindi, l'unione delle associazioni e la sensibilità del mondo politico hanno segnato un cambio epocale.
Molti amici che si sono occupati di Moby Prince hanno continuato a fare questo tipo di lavoro, possiamo dire: è diventata una «malattia» per tanti, tra cui l'avvocato Taddia e l'avvocato Paola Bernardo, che da sempre, da ragazzini quasi – anche noi lo eravamo, anche voi eravate ragazzini – si sono impegnati in questa vicenda. Anche per loro è una malattia, come per Gabriele Bardazza, come per tante altre persone, Francesco Sanna stesso, che si sono dedicate a questo a tempo pieno o quasi, come noi. Penso a mio fratello Angelo, che è morto a giugno 2022, penso a Loris Rispoli, che ormai, poverino, è malato e non riesce più a fare la sua vita normale. Hanno sacrificato la loro vita, come purtroppo anche noi stiamo sacrificando la nostra: 33 anni di vita, io ne ho 65, per cui metà vita l'ho passata a combattere, a cercare di far sapere la verità, a cercare la verità, ad avere giustizia. La giustizia di cui parla lo stesso Mattarella, che chiede di far luce su questa vicenda e considera le associazioni un importante valore civico. È importante veramente il tipo di esperienza che ci ha portato a questo punto.
Scusatemi, io sono abbastanza emozionato, perché ricordare Angelo ancora purtroppo mi fa male, ve lo assicuro, mi fa molto male. Ogni volta che devo parlare di Angelo sto male, però so che dobbiamo andare avanti e dobbiamo continuare in questa vicenda, a cui siamo tutti legati.
Purtroppo stanno morendo piano piano molti familiari e noi non vogliamo che si rimanga senza conoscere la verità. Non so se avremo la giustizia, purtroppo non so se riusciremo ad averla. C'è una Procura, la Procura di Livorno, che sta ancora lavorando;Pag. 5 c'è la Direzione distrettuale antimafia di Firenze che sta lavorando. Speriamo che riescano a cogliere dei frutti su questa vicenda. Sappiamo anche, purtroppo, che se non c'è il reato di strage tutto è prescritto.
Noi abbiamo portato avanti anche una causa civile presso il tribunale di Firenze, ma è stata negativa per noi. Abbiamo cercato di portare avanti questa causa civile non per il risarcimento, ovviamente, ma perché in questa maniera potevamo provare a riaprire, dal punto di vista almeno civile, l'inchiesta. Niente, siamo stati bocciati anche lì, perché le risultanze della prima Commissione parlamentare d'inchiesta sono state considerate solo a valenza politica, per cui non avevano alcun valore dal punto di vista giuridico. È assurdo anche questo.
Abbiamo provato ad andare in Cassazione, abbiamo preso un'altra batosta e dobbiamo anche pagare le spese. I familiari delle vittime che, dopo 33 anni, combattono per avere la verità devono pagare le spese allo Stato. È una cosa allucinante, è veramente diabolico: da una parte lo Stato ci sta aiutando, ci sta dando una mano, sta cercando la verità; dall'altra parte, è lo Stato che invece ci ha distrutto.
La seconda Commissione ha lavorato ugualmente bene, con Andrea Romano, però sia la prima che la seconda Commissione sono state bloccate dalla fine della legislatura, purtroppo. Ribaltando le verità processuali, emerge una verità completamente diversa, in base alla quale probabilmente c'è stata una turbativa della navigazione legata a una terza nave. Noi dobbiamo arrivare a capire qual è questa terza nave, perché diventa importante, da vari punti di vista. Capire qual è la terza nave significa capire chi ha cercato di nascondere che cosa e perché ha cercato di nasconderlo, perché ci sono stati degli accordi assicurativi, due mesi dopo la collisione, tra le due compagnie di navigazione, accordi di non belligeranza. Ci sono scheletri negli armadi? Non lo so, però questa è una cosa sulla quale si deve lavorare.
Perché tutti i soccorsi sono stati dirottati verso la petroliera e nessuno ha pensato al Moby Prince? Quando audirete alcuni testimoni (non so chi dovete audire), capirete che ci sono persone che dieci, quindici minuti dopo la collisione sapevano che la nave che aveva investito la petroliera era il Moby Prince. Perché non hanno parlato? O, se hanno parlato, perché nessuno ha fatto niente? L'armatore lo sapeva? Sicuramente anche l'armatore sapeva della sua nave in collisione, scomparsa. E lì li hanno lasciati morire, perché c'è gente che è rimasta viva fino alle prime luci dell'alba. È una cosa sconvolgente, è la cosa che fa più rabbia, pensare ai miei genitori, a mia mamma fondamentalmente (mio padre, poveraccio, è rimasto lì davanti ed è morto bruciato, carbonizzato, sicuramente nel giro di poco tempo, dopo che ha cercato di mettere in sicurezza la nave), che era lì con gli altri in attesa che qualcuno andasse a soccorrerli. Ore in attesa, capite cosa significa? Ore in attesa sapendo che stavano morendo bruciati. È una cosa che fa veramente tremare.
Perché il comando della Capitaneria non ha fatto nulla e perché hanno ipotizzato 20-30 minuti? È chiaro, perché in 20-30 minuti non si poteva prestare il soccorso. Ben 90 minuti per identificare il Moby Prince. La cosa assurda è che al mozzo che viene salvato dopo 15 minuti viene fatto dire... Tramite il canale 16 viene diffuso che il mozzo aveva detto che erano tutti morti bruciati, quando prima aveva detto che c'era gente da salvare. Secondo me, continuo a dire, quello è stato il momento in cui dal caos dei soccorsi si è passati al dolo di non prestare il soccorso. Perché è stato fatto dire che non c'era nessuno da salvare? In tutto questo c'è qualcosa che non torna.
La cosa importante da analizzare è la petroliera, tutto ciò che riguarda la petroliera. Il carico che aveva a bordo, che non si conosce, il tragitto che ha fatto, cosa stava succedendo nei momenti prima della collisione con la petroliera. Bisogna sapere questo, andare a investigare su questi aspetti, interrogare nuovamente personaggi che sono ancora vivi e che prima o poi entreranno in contraddizione, diranno qualcosa che non tornerà più rispetto a quello che avevano Pag. 6detto nel passato, quando tutti erano unanimi nel dire che nessuno aveva visto niente, che c'era la nebbia. È assurdo, bisogna lavorare su questo.
Sono contento che finalmente adesso sia ripartita la Commissione, la terza. Sperando che non succeda nulla, avete tutto il tempo per lavorare e per riuscire a chiudere, perché siete l'ultimo passo per noi. Manca l'ultimo miglio, siete voi l'ultimo passo per riuscire ad avere la verità. Non so la giustizia, ma la verità sì, e dovrà essere appagante. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a Luchino Chessa per questa testimonianza di natura anche strettamente personale, per la quale, anche a nome di tutti i colleghi, confermiamo la nostra davvero convinta solidarietà e vicinanza.
Do la parola a Nicola Rosetti.
NICOLA ROSETTI, presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince». Buongiorno a tutti. Se posso, Presidente, vorrei consegnarle la nostra maglia con su scritto «#iosono141».
PRESIDENTE. Grazie veramente. È una maglia che idealmente appartiene a tutti noi. La terremo nel nostro ufficio.
NICOLA ROSETTI, presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince». Proprio dalla scritta «#iosono141» voglio partire, perché, come tutti sapete, sono stati 140 i morti e su quella maglia c'è hashtag «io sono 141», perché tutti potevamo essere su quella nave, come i nostri amici, i nostri parenti, i nostri figli. Potevamo esserci tutti. Dietro c'è scritto: «Verità e giustizia per le vittime del Moby Prince».
Come ha detto Luchino, non so se avremo giustizia, però ci meritiamo una verità storica, una verità nella quale alla fine si dica veramente cosa è successo quella notte, perché dopo trentatré anni ci meritiamo un po' di riposo. Dopo trentatré anni ci meritiamo di riprendere in mano le nostre vite. Io avevo diciannove anni quando è successo tutto. A diciannove anni hai dei progetti, immagini il tuo futuro in un altro modo, non immagini di combattere per la verità e la giustizia.
Trentatré anni sono tanti: trentatré anni di sofferenza, di dolore, di rabbia che puoi solo sfogare con gli amici di questa avventura, con i tuoi collaboratori, con i tuoi rappresentanti nelle istituzionali locali. In questi trentatré anni purtroppo tante persone non ci sono più, tanti familiari sono andati via senza sapere perché la figlia, il figlio o il marito sono morti. Dopo anni di silenzio, finalmente è stata istituita la prima Commissione d'inchiesta al Senato, che ha iniziato a disegnare il quadro, la cornice di quella notte. In quel banco al Senato eravamo seduti io come vicepresidente dell'Associazione 140, Loris Rispoli, presidente dell'Associazione 140 e per l'altra associazione erano presenti Luchino e Angelo Chessa.
Da lì è iniziata una battaglia insieme alle istituzioni. Le prime istituzioni che vorrei ricordare sono quelle nostre, locali, insieme ai rappresentanti del nostro territorio. Finalmente la prima Commissione ha eliminato quasi totalmente la nebbia messa fin dal primo giorno. Devo essere sincero, Presidente, loro sono stati bravi a mettere quella nebbia, sono stati bravi a dire tante menzogne su quella notte, ci sono riusciti. E soprattutto, come ha detto Luchino, sono riusciti a dividerci, soprattutto sono riusciti a tenere divise le due associazioni. All'inizio, quando eravamo uniti, loro avevano paura, avevano paura che noi arrivassimo immediatamente alla verità.
Poi abbiamo proseguito questa battaglia, raccontandola nei territori, in tutti i luoghi dove ci chiamavano. Eravamo presenti sempre con la maglia «#iosono141». Abbiamo proseguito con iniziative, con i ragazzi, a raccontare nelle scuole; e finalmente è nata la seconda Commissione presieduta dal presidente Andrea Romano, di cui lei era vicepresidente. Il quadro era stato quasi completato. Poi sappiamo tutti come è finita, non per colpa nostra, dei familiari, ma purtroppo succede, sono incidenti politici, chiamiamoli così. È terminata, ma mancava quel miglio, quel 20 per Pag. 7cento per arrivare finalmente alla verità storica.
Lì si è disegnato quasi completamente il quadro. Io mi chiedo ogni giorno della mia vita, delle nostre vite, perché quelle 140 persone sono state lasciate morire da sole. Perché quelle 140 persone sono state abbandonate da tutti senza un soccorso? Quelle persone, lo dichiara la seconda Commissione, dovevano essere salvate tutte quante. Quelle persone non sono morte in mezz'ora, come ci hanno fatto credere per molti anni. Quelle persone non sono morte in pochi minuti. Anzi, qualcuno fino al giorno dopo è rimasto in vita sul Moby Prince. Uno dei tanti era mio padre.
Con questo non si può convivere, non si riesce a farlo. Lì c'erano bambini di un anno, di tre anni, c'era gente di diciannove anni, della mia stessa età, ai quali è stato impedito un futuro che non avranno mai più. È stato impedito a una giovane coppia della mia regione di andare avanti. Sono morti il giorno dopo che si sono sposati. Perché tutto questo? Perché la sofferenza di 140 famiglie?
Presso la seconda Commissione eravamo presenti io, rappresentante dell'Associazione 140, Angelo Chessa e Luchino Chessa. Mancava Loris. Tutti conoscete la forza e il coraggio di Loris. Tutti sapete di quando presso la Commissione del Senato ha avuto il coraggio di mandare «a quel paese» il comandante della Capitaneria di porto, ce lo ricordiamo bene. Loris adesso sta soffrendo, sta soffrendo con una vita che non vale più la pena di vivere, perché per trent'anni ha portato da solo il dolore e ora ne sta pagando le conseguenze. Perché tutto questo?
Oggi manca Angelo. Angelo oggi non c'è perché è andato via da questa terra senza sapere perché i genitori sono morti. Cosa dobbiamo aspettare ancora? Che la prossima volta non ci sia nessuno dei due, né io né Luchino? Perché non possiamo riprendere in mano le nostre vite? Perché non possiamo dire ai nostri figli cosa è successo veramente quella sera? Perché il Moby Prince ha dovuto cambiare rotta? Qual era questa terza nave? Perché a 140 persone non sono stati prestati i soccorsi? È strano, sulla petroliera tutti si sono salvati, sul Moby sono tutti morti. Perché i soccorsi non sono arrivati? Perché questo accordo assicurativo strano, come se si fosse trattato di un incidente con il 50 per cento di colpa? Perché tutto questo? Perché loro sono più potenti di noi? Perché noi siamo cittadini di serie B?
L'ultimo schiaffo è arrivato dal tribunale di Firenze, dove siamo stati pure condannati al pagamento delle spese processuali. Pensavano che ci saremmo fermati? Di sicuro si sbagliano. È stata dura, perché dopo trentatré anni non ci meritavamo questo. Dopo trentatré anni ci meritiamo una verità storica, una verità da consegnare, come ho detto al Presidente della Commissione, il prossimo anno al comune di Livorno; una verità storica che dobbiamo consegnare a quei 140 morti, sotto quella lapide dove ci sono tutti i nomi; una verità storica che dobbiamo consegnare ai miei figli, ai figli di Luchino, ai figli di Angelo, ai figli di tutti, perché questa battaglia dobbiamo chiuderla noi. Io non la lascio in mano ai nostri figli, perché so cosa significa non dormire la notte e pensare al Moby.
Noi, come disse una volta Angelo, abbiamo due vite: una normale, che va avanti, e l'altra è quella del Moby Prince. Noi siamo stanchi. Siamo stanchi di non avere risposte, siamo stanchi di prendere schiaffi da chi ci doveva dare delle risposte; ma grazie veramente alla politica, grazie alle tre Commissioni d'inchiesta, grazie ai nostri parlamentari territoriali, grazie alle nostre amministrazioni che ci sostengono. Sia l'onorevole Fede che il Presidente sono stati a Livorno. Avete visto quanti gonfaloni c'erano? Avete visto il calore di una città intera nei nostri confronti, di tanti amministratori che ci chiamano a raccontare del Moby Prince? Non siete soli. Io so che il percorso sarà difficile. La parte finale è quella più difficile. Io so che qualcuno vi dirà di lasciar perdere perché è una storia di trentatré anni fa. Troverete porte chiuse, troverete difficoltà, ostacoli. Dovete sapere che noi saremo sempre al vostro fianco.
Le due associazioni, anzi è meglio dire un'associazione ci sarà sempre, perché abbiamoPag. 8 avuto la forza di riunirci. Quando troverete delle difficoltà noi ci saremo. Abbiamo dietro tante persone, tanti gonfaloni, tanti giovani che vengono a sostenere questa battaglia.
Ve lo chiedo veramente, e questa sarà forse l'ultima volta (parlo a una terza Commissione che in Italia di sicuro non c'è stata mai, almeno non ricordo in questo momento): scriviamo insieme la parola «fine», Presidente, come ho detto al comune di Livorno. Scriviamola insieme. Non è una vittoria mia personale, non è una vittoria di Luchino, non è una vittoria dei nostri collaboratori: è la democrazia. Un Paese che si definisce «democratico» deve garantire verità e giustizia. Se mancano queste due cose o ne manca una, purtroppo, non è democrazia.
Oggi qui state prestando un servizio altissimo alla democrazia. State portando avanti una terza Commissione importantissima. Una terza Commissione, come dico sempre, che deve mettere la parola «fine». È ora di mettere la parola «fine», Presidente. Siamo stanchi, siamo sfiniti, ma il coraggio non ci manca.
Quando siete in difficoltà – ve lo ripeto – chiamateci. Non può essere una nazione di cittadini di serie A e di serie B. Che cosa abbiamo sbagliato nella vita? Perché tutto questo dolore che dobbiamo portare avanti? Vedere che tanti familiari non ci sono più, vedere le condizioni di Loris. Il prossimo anno, Presidente, mi farebbe piacere accompagnarla a casa di Loris, insieme agli altri suoi collaboratori, e potrà rendersi conto di come un uomo viene sfinito da una battaglia di verità e giustizia. Perché Angelo è andato via senza sapere la verità? Perché tutto questo? Cosa abbiamo fatto di male? Ditecelo. Forse l'armatore del Moby Prince è più potente di noi? Noi non abbiamo paura di affrontarlo. Non abbiamo paura di nessuno. Siamo arrivati al punto di non avere più paura di nessuno.
Scriviamola insieme la parola «fine». Scriviamola tutti quanti insieme. Non è una vittoria né di destra né di sinistra: è una vittoria di democrazia. A me non interessa con chi trovarla. Dobbiamo lavorare insieme. Noi ci siamo fino alla fine. Il prossimo anno dobbiamo arrivare a Livorno e consegnare una verità storica. Se poi arriverà la giustizia, meglio ancora. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a Nicola Rosetti.
Do la parola alle colleghe e ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
Il vicepresidente Giorgio Fede. Prego.
GIORGIO FEDE. Signor Presidente, ringrazio gli auditi, qui in rappresentanza dei familiari.
La vita ci lascia delle scomode eredità. A voi, chiaramente, l'aver vissuto una tragedia rispetto agli affetti più cari e stare qui, dopo trentatré anni, ancora a interrogarvi. I vostri interventi sono stati accorati, veri e molto toccanti per noi.
Torno a quella che è la nostra eredità: parlo della mia e di quella dei miei colleghi. Noi, a livello parlamentare, nelle istituzioni, rappresentiamo la Nazione. Sentiamo forte questo tipo di eredità e il peso di lavorare per cercare la verità, proseguendo nel solco delle due Commissioni che hanno riaperto un orizzonte, hanno diradato la nebbia. Ci hanno messo tanti anni. Dal 1991 abbiamo spazzato la nebbia, andando contro ogni regola naturale meteorologica.
Questo ispira in tutti noi un grosso senso di responsabilità. Come è accaduto in precedenza, perché anche nella scorsa legislatura ho partecipato ad alcune sedute, pur non essendo membro di queste Commissioni, quando ascolto queste storie, da genitore, da figlio, mi viene un nodo alla gola. Penso alle vostre sofferenze. Avete citato due persone, fra le molte altre. Trentatré anni è un'epoca «geologica», generazionale molto ampia. Qualcuno questa battaglia l'ha intrapresa e non ne ha potuto vedere la fine. Sta a noi, adesso, questo compito.
Mi fa piacere, da parte del Presidente e di tutti i colleghi, al di là del fatto che rappresentiamo forze politiche diverse, vedere su questi temi la massima coesione per cercare di stabilire la verità. Voi lo avete detto bene: la giustizia ha le sue Pag. 9norme, i suoi tempi; probabilmente, siamo già incappati in una bizzarra logica, difficile da spiegare a un familiare, a una persona che ha perso l'affetto più caro e che ha vissuto anche la diffamazione. Penso al comandante Chessa, che aveva il ruolo più alto: si è detto che si è distratto mentre manovrava in porto. Noi non siamo comandanti di navi, non abbiamo l'esperienza di suo padre, però, banalmente, conducendo la nostra auto, sappiamo che uno sguardo al telefonino magari lo possiamo dare in autostrada per un istante, anche se è vietato, ma nessuno di noi farebbe un parcheggio guardando il telefono.
Affermare che un comandante, anche l'ultimo di questo mondo, e non è il caso di suo padre, si possa essere distratto durante la manovra in porto con la responsabilità di 140 vite a bordo è veramente un insulto al buonsenso. Voi questo insulto l'avete vissuto e penso sia stato molto pesante.
A noi adesso spetta un compito difficile. In trentatré anni si sono diradate, sì, le nebbie, ma molte prove, molte documentazioni non sono state facili da raggiungere all'epoca. Peraltro, c'è stato proprio un cambio generazionale, tecnologico. Oggi siamo abituati a confrontarci, anche nei metodi di indagine scientifica, con determinate tecniche che prima non c'erano.
Noi ce la metteremo tutta. Lo dico per me, ma lo diranno anche i colleghi. Questa responsabilità la sentiamo molto grande. Purtroppo, ci sono state pagine poco limpide della nostra storia. Ognuno esaminerà le proprie azioni, però l'impegno lo dobbiamo mettere, senza «se» e senza «ma». Lo dobbiamo mettere cercando ogni singolo supporto. Sapere di avere al nostro fianco anche voi, come associazioni dei familiari, è importante, perché è un pungolo ulteriore, là dove ce ne fosse bisogno, e non ce n'è bisogno.
Come avete detto, sappiamo che ci siete. Noi siamo a disposizione, interrogateci. Esiste una struttura parlamentare, di cui si parla spesso male. Noi che stiamo da questa parte siamo quelli che rappresentano la parte peggiore, spesso, nelle cronache quotidiane. C'è però un Parlamento che non vuole invadere le competenze di altri, ma si è messo lì, ha raccolto l'istanza e per la terza volta istituisce una Commissione di inchiesta. Sono grato anche alla struttura parlamentare, ai tecnici che hanno supportato questo lavoro, a tutte le persone che, oltre a noi, hanno contribuito al lavoro di indagine, quindi le forze che fanno parte di questi staff, che vantano competenze così elevate e che sono riuscite dove chi era preposto a svolgere questo lavoro non è riuscito. Questo ci deve dare fiducia e speranza per il futuro.
Noi ci siamo. Mi fa piacere ribadirlo e garantirvi il massimo impegno. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie.
La parola al vicepresidente Alessandro Amorese. Prego.
ALESSANDRO AMORESE. Signor Presidente, devo dire che neanche noi abbiamo paura. Avendo «in parallelo» il vostro esempio di questi anni, non possiamo avere paura, altrimenti non dovremmo essere qui.
Vorrei porvi una domanda. Molte cose le ha dette il collega poco fa, quindi non le ripeto: non dico che siano implicite, perché non lo sono, però siamo convinti di questo. Arriviamo con un'eredità, quella delle due Commissioni precedenti, che hanno ribaltato alcune verità e hanno tracciato un solco. Io non so dove sarebbe arrivata la Commissione precedente, quella dell'onorevole Romano, che era molto avanti. Noi abbiamo tenuto la prima audizione con lui e c'è stato un bel confronto, gli ho posto una domanda sull'accordo assicurativo, che mi pare sia una delle cose che più stonano, anche nella tempistica.
La domanda mi viene spontanea. Rispetto all'eredità che noi abbiamo ricevuto dalle due Commissioni, cosa vi sentite di consigliarci in termini operativi, in termini di priorità? Noi l'abbiamo già in testa, anche perché abbiamo tenuto un confronto con entrambi i presidenti delle precedenti Commissioni; però, francamente, a noi interessa anche la vostra opinione.
PRESIDENTE. Grazie, vicepresidente.
La parola all'onorevole Ghirra. Prego.
FRANCESCA GHIRRA. Signor Presidente, ringrazio i rappresentanti delle associazioni dei familiari, Luchino Chessa e Nicola Rosetti, per questa sentita testimonianza, che rivela ancora una volta quanto la loro vita sia stata segnata da questa vicenda e quanto controversa ne sia stata la gestione. Mi fa piacere sentire dalla loro viva voce un riconoscimento del ruolo che la politica può svolgere: in un Paese che ormai disconosce le istituzioni, credo che davvero le Commissioni d'inchiesta sulla Moby Prince siano un esempio virtuoso di quello che può fare la politica quando lavora bene e quando lavora per un obiettivo di democrazia, al di là di quelli che possono essere gli steccati delle divergenze tra le varie parti che compongono il nostro Parlamento.
Più leggo e approfondisco questa vicenda e più mi sconvolgo nell'apprendere le dinamiche che si sono sviluppate non solo a livello processuale, ma anche a livello mediatico. Di fatto, se non foste stati voi a portare avanti le battaglie e l'informazione rispetto a quanto è accaduto quella notte e a come è stato poi portato avanti tutto l'iter processuale, probabilmente non si sarebbe più parlato dalla tragedia del Moby Prince. Invece, ci sono state una mobilitazione e una sensibilizzazione che non solo hanno portato alla costituzione delle Commissioni d'inchiesta (questa è la terza), che reputo molto importanti per non lasciare aperto un lavoro che ha ribaltato le verità processuali, ma non è ancora giunto all'individuazione delle cause; ma anche a una sollecitazione della coscienza collettiva, perché ognuno di noi effettivamente avrebbe potuto essere sopra quel traghetto. Il fatto che le persone siano state abbandonate a loro stesse senza nessun intervento è una cosa che non ha avuto ancora una spiegazione, che noi, però, ci dobbiamo impegnare a dare.
Personalmente confido che i quesiti posti quest'oggi – vale a dire perché non sono stati prestati i dovuti soccorsi sul Moby Prince, mentre l'equipaggio dell'Agip Abruzzo è stato condotto in salvo, perché c'è stato un cambio di rotta, cosa ci faceva eventualmente questa terza nave e cos'era, ma soprattutto, come diceva il collega Amorese, la vicenda dell'accordo assicurativo siglato a due mesi dalla tragedia senza che fossero ancora concluse tutte le verifiche, quesiti che rappresentano ad oggi una «roba» incomprensibile – ci possano portare, anche attraverso la collaborazione, finalmente, di ENI, a individuare la verità.
Non so neanch'io se quanto è accaduto potrà essere rubricato come reato di strage e, quindi, se si riuscirà a restituire giustizia e verità alla vicenda, però spero che alla verità riusciremo ad arrivare presto, auspicabilmente in tempi che vi consentano di recuperare le vostre esistenze in serenità.
Con il Presidente e i colleghi abbiamo immaginato una modalità su come procedere rispetto ai lavori della Commissione. Desidero però rivolgervi, come abbiamo fatto con i precedenti presidenti, la stessa domanda per comprendere se avete dei suggerimenti rispetto alle persone da audire e anche all'ordine con cui procedere. Vi ringrazio ancora.
PRESIDENTE. Grazie.
La parola a Chiara Tenerini.
CHIARA TENERINI. Signor Presidente, anch'io mi associo al ringraziamento per questa vostra presenza qui oggi, ma soprattutto in questi trentatré anni. Io sono cittadina di quella provincia e sono cresciuta, da quasi ventenne, con questa tragedia che ha scosso le coscienze di chi abita quei territori. Di anno in anno sono cresciuta con questo pensiero, la comprensione della difficoltà di questa doppia vita che ci avete raccontato, perché effettivamente è questo il senso profondo. Voi non eravate su quella nave, ma di fatto è come se ci foste stati e non ne siate ancora scesi: questo genera un pensiero di commozione profonda, insieme alle vostre parole. Io la vivo, e la vivo perché comprendo quanto sia difficile e quanto sia stato difficile anche oggi rinnovare quel pensiero, quel ricordo, ritornare a quei momenti e rivivere questi trentatré anni.
Se oggi siamo qui, se le Commissioni parlamentari d'inchiesta che ci hanno preceduto sono state in grado di consegnarci Pag. 11questo quadro, aprendo varchi e togliendo ombre pesantissime sulla vicenda, è merito vostro. Questo vi va riconosciuto. Se non fosse stato per la vostra pervicacia, nessuno forse avrebbe più parlato della vicenda del Moby Prince.
Sono contenta che in vostro aiuto, anche se purtroppo tardivamente (questo va detto e riconosciuto), siano arrivate le risposte delle istituzioni. C'è sempre stata la risposta e la presenza delle istituzioni locali attraverso la commemorazione ogni anno, perché credo che il ricordo sia il principale tributo che si deve offrire alle vittime e ai loro familiari, ma anche a tutti i cittadini, che ancora oggi chiedono giustizia.
Le domande che vi hanno posto i miei colleghi sono le stesse che vi avrei rivolto io, da chi partire secondo voi, vista la vostra esperienza purtroppo di questi trentatré anni. Però, voglio consegnarvi quantomeno la mia attitudine personale: la ricerca della verità è un fatto imprescindibile rispetto alle nostre intenzioni. Sono contenta che il Presidente Pittalis sia in continuità con l'egregio lavoro svolto dalla precedente Commissione, perché questa sete di verità l'avete voi, ma l'abbiamo anche noi come rappresentanti delle istituzioni e io personalmente come cittadina di quel territorio. Non ci arrenderemo, non ci fermeremo, ma cercheremo questa verità. Io ci aggiungo anche qualcosa in più: la verità è necessaria, ma la giustizia è indispensabile. Pertanto, non ci fermeremo alla verità, ma continueremo a chiedere che sia fatta anche giustizia, proprio per rendere merito al valore delle istituzioni che rappresentiamo.
Vi ringrazio ancora una volta. Sappiate che in tutti noi troverete vicinanza e gli alleati per percorrere l'ultimo miglio che ci separa dalla verità e dalla giustizia. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie.
La parola a Simona Bonafè.
SIMONA BONAFÈ. Signor Presidente, aggiungerò poco rispetto a quanto hanno già detto i colleghi, ma anch'io ci tengo a ringraziarvi intanto per la vostra presenza e poi per la vostra testimonianza, che è stata molto appassionata ma anche dolorosa. Si avverte che questo dolore vi accompagna da tanti anni, da trentatré anni, e di fronte a questo dolore anch'io, come i colleghi, penso che non possiamo che prendere purtroppo per ora soltanto un impegno.
I lavori di questa Commissione sono appena iniziati. Quindi, ci assumiamo l'impegno – lo dico con la stessa forza e la stessa determinazione con cui l'hanno detto i colleghi – quantomeno a ristabilire la verità. Sulla giustizia – qui guardo l'avvocato – mi sembra che il percorso sia molto difficile, molto complesso. Sulla verità, quantomeno quella storica, chiaramente il percorso dipende da noi che siamo da questa parte del tavolo, ma dipende in parte anche dal lavoro che sapremo fare insieme, come diceva molto bene prima Nicola Rosetti.
Voglio anche ricordare che la verità storica oggi non può che stabilirla una Commissione d'inchiesta, che voglio sottolineare non è una Commissione politica, è una Commissione che ha gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria. Questo bisognerebbe ricordarlo ogni tanto a qualcuno che siede nei tribunali. Dopodiché, come hanno detto i colleghi, ci sono state due Commissioni che hanno lavorato molto bene e noi ci poniamo in linea di continuità con questo straordinario lavoro che hanno svolto le due Commissioni. Nonostante lo straordinario lavoro, però, rimane l'ultimo miglio da percorrere, rimangono aperte ancora tante domande per completare quest'ultimo miglio. Le avete fatte voi, dunque non sto a ripeterle, però sicuramente penso a questioni importanti come quella sull'accordo assicurativo o quella sulla terza nave. Vi confesso che anch'io più ascolto questa storia e più la parte dei soccorsi mancati mi provoca sempre grande sconcerto, perché effettivamente molte persone si sarebbero potute salvare. Quindi, bisogna capire perché quei soccorsi non sono arrivati, se è stata negligenza.
Questo percorso sarà difficile, nessuno di noi lo nega. L'ultimo miglio è sempre la parte più complicata, però credo che noi abbiamo il dovere, anche nei confronti dell'istituzione della quale oggi facciamo parte, Pag. 12di ristabilire questa verità storica, così come ha chiesto il Presidente Mattarella.
Noi già abbiamo messo un po' a fuoco le modalità con le quali vogliamo operare, ma anch'io, come i colleghi che mi hanno preceduto, mi associo alla domanda che è stata posta su vostri suggerimenti in merito a come procedere e a come secondo voi sarebbe meglio operare. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie alla collega, anche per avere ricordato che questa è una Commissione d'inchiesta e quindi gli accertamenti e le risultanze non possono non avere una rilevanza, perché nessuno ha tempo da perdere: come non ne perdono i giudici non ne perdiamo neanche noi. Collaboriamo con l'autorità giudiziaria perché vogliamo contribuire proprio a ristabilire la verità storica, ma anche a focalizzare gli elementi che possono essere utili per ristabilire la giustizia sotto il profilo processuale.
Darei subito la parola, se non ci sono altri interventi di colleghi, a Luchino Chessa per le risposte alle domande dei colleghi.
LUCHINO CHESSA, presidente dell'«Associazione 10 aprile – Familiari Vittime Moby Prince Onlus». Come vi ho detto prima, secondo me ci sono dei punti focali che bisogna analizzare. Perché fin dalle prime ore dell'alba è subito partito il messaggio che si è trattato di un errore umano? Lo stesso Ministro della Marina mercantile Vizzini disse questo, parlò di «errore umano». Sembra quasi che tutto sia stato costruito fin dall'inizio, che ci sia stato un disegno per nascondere qualcosa.
Non è facile, ovviamente, anzi è molto difficile riuscire a capire cosa si doveva nascondere, ma se non lavoriamo sulla terza nave probabilmente non ne verremo a capo. C'è una terza nave? Qual è? Cosa ci faceva lì? La petroliera stava scaricando carburante? Non lo sappiamo, nessuno sa nulla perché nessuno è andato sulla petroliera dopo l'incidente. Non è stato analizzato il carburante che c'era realmente nelle cisterne. Obiettivamente quello è un punto che va analizzato con attenzione e lì bisogna recuperare le carte dell'ENI. Ci devono essere da qualche parte, non è possibile il contrario. Come tutto il percorso fatto dalla petroliera, che non torna rispetto a quello che è stato detto dai membri dell'equipaggio. Quello è fondamentale, perché da lì parte tutto il disegno che è stato fatto per nascondere. Perché si doveva nascondere? Perché si è dovuto lasciare andare il Moby Prince alla deriva, in fiamme, e far morire tutti bruciati? Questo è quello che è successo, ci piaccia o non ci piaccia.
Sono stati mandati più messaggi di soccorso, durante la notte, dal Moby Prince, ma nessuno ha sentito nulla. È allucinante, per cui c'è sicuramente qualcosa che parte da lì e da lì ha nascosto tutto il resto. Si è costruita subito questa verità, che doveva raccontare di un incidente banale. Da lì si deve partire. Bisogna lavorare sul carico della petroliera, interrogare di nuovo i membri dell'equipaggio della petroliera, gli ufficiali, chi è ancora vivo (il comandante, lo sapete, è morto un bel po' di anni fa). È fondamentale.
Anche sulla storia dei soccorsi, veramente bisogna porre delle domande ben precise a chi ha gestito i soccorsi. Anche a Onorato bisogna porre delle domande ben precise, perché se lo interroghi ma non vai a cercare qualcosa di ben preciso chiaramente uno dice quello che vuole, c'è poco da fare. Secondo me, occorre un filo da seguire e poi chiaramente, con i consulenti che si occuperanno della parte più tecnica, cominciare veramente a fare il lavoro che manca, da questo punto di vista.
L'accordo assicurativo è l'altro aspetto importante. Io vorrei che ne parlasse semmai l'avvocato Taddia. Anche lì, è assurdo che due mesi dopo la collisione le due compagnie si mettano d'accordo e le assicurazioni restino tranquille. Lì c'era una nave, la Moby Prince, investitrice, che teoricamente era colpevole: no, al 50 per cento. Cosa c'era da nascondere? Quelli sono gli aspetti che vanno ripresi, che sicuramente serviranno a capire alla fine che cosa c'è dietro tutto questo. Ci sono degli scheletri negli armadi, sicuramente, sia da una parte sia dall'altra, altrimenti non c'era bisogno di stipulare un accordo del genere.
PRESIDENTE. Grazie.
Nicola Rosetti, prego.
NICOLA ROSETTI, presidente dell'«Associazione 140 – Familiari vittime Moby Prince». Ovviamente, condivido tutto quello che ha detto Luchino. Sono tre i punti che mancano per arrivare alla verità storica: l'accordo assicurativo, la sopravvivenza sul Moby Prince e questa terza nave. Guardiamo avanti, non guardiamo indietro perché se no perdiamo altri anni inutilmente. Mancano questi tre punti che dobbiamo tutti approfondire.
Vorrei leggervi la sentenza del tribunale di Livorno, che ha dichiarato che è un atto politico: «La relazione invocata dagli attori ha natura e valenza di atto politico, in quanto è frutto di un incarico politico, da parte del Parlamento alla Commissione d'inchiesta, con il quale si conferiscono poteri istruttori, del tutto svincolati da una vicenda giudiziaria». Questo è quello che ha dichiarato il tribunale.
Mi chiedo se quello che stiamo facendo oggi per loro non vale niente. Quello che noi, insieme alla politica, abbiamo «disegnato» per loro vale zero. Dicono che quella sera c'era la nebbia e noi abbiamo dimostrato che quella sera la nebbia non c'era.
La battaglia che dura da trentatré anni, insieme alle istituzioni e alla prima e alla seconda Commissione d'inchiesta, afferma che quelle 140 persone non sono morte in mezz'ora, ma loro dicono che sono morte in mezz'ora. C'è qualcosa, quindi, che non torna in questo dialogo.
Se una Commissione d'inchiesta è politica, giustamente politica, la magistratura deve prenderne atto e confrontarsi casomai con la Commissione d'inchiesta. Ribadiscono quello che ci hanno detto trentatré anni fa: sono morti in mezz'ora, c'era la nebbia, stavano guardando la partita, il comandante era incapace, l'equipaggio era incapace, l'equipaggio stava guardando la partita. Invece, la prima e la seconda Commissione confermano che i membri dell'equipaggio stavano al loro posto, chi doveva stare di turno stava al proprio posto, chi doveva soccorrere le persone stava con le persone a soccorrerle. Mio padre è stato ritrovato con un ragazzo di diciannove anni, della mia stessa età, mentre cercavano una via di fuga. Il comandante era al posto suo. Tutti erano al proprio posto.
La seconda Commissione d'inchiesta, se non sbaglio, definisce l'equipaggio «eroi». In quel momento hanno fatto l'impossibile, non sono scappati. Il comandante Chessa non stava guardando la partita. Hanno fatto l'impossibile: il problema è che nessuno li ha ascoltati. E la magistratura afferma quella cosa.
Io alle istituzioni, nonostante i trentatré anni di battaglia, ho sempre creduto e continuo a credere. Alla politica ho sempre creduto, alla politica buona, quella che stiamo facendo oggi e tutte le altre volte, io credo; alla giustizia credo un po' meno.
Ribaltiamo insieme questa situazione. Ce la possiamo fare veramente.
PRESIDENTE. Grazie per l'audizione, di due protagonisti che vorremmo che fossero tali anche nel seguito dei nostri lavori.
L'invito che ritengo di formulare, anche a nome dei colleghi, è che quando voi riterrete, per qualunque tipo di sollecitazione, di consiglio, di supporto, noi siamo a vostra completa disposizione. Questo lo voglio chiarire, sapendo, lo ripeto, di interpretare anche il pensiero e il sentimento di tutti i componenti della Commissione. Teniamo attivo il collegamento utile anche nel prosieguo per l'apporto che, siamo certi, potrà venire anche da parte vostra. Grazie davvero.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.30.