XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie

Resoconto stenografico



Seduta n. 56 di Mercoledì 2 aprile 2025

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 3 

Audizione di Alessandro Giuli, Ministro della cultura:
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 3 
Giuli Alessandro , Ministro della cultura ... 3 
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 8 
Iaria Antonino (M5S)  ... 8 
Schiano Di Visconti Michele (FDI)  ... 9 
Ciani Paolo (PD-IDP)  ... 9 
Penza Pasqualino (M5S)  ... 10 
De Palma Vito (FI-PPE)  ... 11 
Perissa Marco (FDI)  ... 12 
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 13 
Giuli Alessandro , Ministro della cultura ... 13 
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 13 
Giuli Alessandro , Ministro della cultura ... 13 
Battilocchio Alessandro , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BATTILOCCHIO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alessandro Giuli, Ministro della cultura.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Alessandro Giuli, Ministro della cultura.
  Prima di procedere all'audizione, permettetemi di rivolgere un ringraziamento al Governo per l'attenzione dimostrata in questi mesi all'attività della nostra Commissione. Ricordo, infatti, che a partire dal nostro insediamento, sono stati auditi dalla Commissione ben dieci rappresentanti del Governo, di cui otto ministri, un viceministro e un sottosegretario. Per noi è importante l'interlocuzione in questo percorso che stiamo facendo, che è un percorso di approfondimento, di analisi, di raccolta dati – perché noi siamo una Commissione d'inchiesta – e, al tempo stesso, un lavoro di proposta e di presenza sui territori.
  Nel corso di questi mesi abbiamo avuto la possibilità di effettuare circa 25 missioni esterne nelle città metropolitane, ma non solo. Credo sia un segnale importante che dà il Parlamento – questa Commissione si è insediata, tra l'altro, con un voto unanime della Camera dei deputati – in questa fase di ripartenza delle periferie.
  Ministro Giuli, la ringrazio per la sua disponibilità. Le materie di sua competenza sono centrali in questo percorso di rinascita delle periferie. Questa sarà l'occasione per fare insieme il punto sulle tante cose in corso e anche, magari, per raccogliere alcune osservazioni e spunti che possono arrivare dai colleghi commissari.
  Ringraziandola di nuovo, le cedo la parola.

  ALESSANDRO GIULI, Ministro della cultura. Egregio presidente, onorevoli componenti di questa Commissione, grazie per aver sollecitato il mio intervento in questi lavori. Rispondere al vostro invito è per me l'occasione per illustrare le attività avviate dal Ministero della cultura nelle materie di vostra competenza e oggetto di vostri approfondimenti.
  È quasi inutile dire che il lavoro della vostra Commissione rappresenta un modello di riferimento per alcuni dei temi di cui mi appresto a parlarvi, come a dire che il Governo, il Ministero che rappresento orienta le proprie attività sulla base delle sollecitazioni che vengono dalle Commissioni parlamentari, la cui centralità è un punto di riferimento, come dicevo.
  Quando sono stato audito dalle Commissioni cultura di Camera e Senato per illustrare le linee programmatiche del mio mandato ministeriale – al netto dell'infosfera e altre cose che oggi vi risparmio e mi risparmio – ho dedicato un passaggio centrale proprio alle periferie, citando una lettera ricevuta dall'architetto Paolo Portoghesi – uno dei più importanti architetti italiani, il compianto Paolo Portoghesi – al momento del mio insediamento alla presidenza del MAXXI, il museo delle arti contemporanee. Era la fine del 2022 e PortoghesiPag. 4 scrisse in via privata una specie di legato ideale rispetto all'alto compito a cui siamo chiamati noi tutti, facendo riferimento anche ad alcune delle sue aspettative deluse rispetto a chi mi aveva preceduto. Ha ricordato a me e a tutti gli operatori della cultura, della politica e dell'impresa l'importanza della connessione tra centro e periferia, intendendo la cultura nella sua superiore funzione sociale, come un bene comune, qualcosa su cui l'architetto Portoghesi è intervenuto fattivamente non soltanto a Roma, quindi non soltanto teoricamente.
  L'idea di Portoghesi è l'idea delle città multicentriche, si ispira alla filosofia del paesaggio, imperniata sul concetto del genio del luogo, in un nesso che lega gli uomini al paesaggio che lo abitano, alle stratificazioni culturali di chi ci ha preceduti, nell'insediamento in determinati luoghi che oggi sono oggetto della vostra e della nostra mappatura, su quelli che sono i rischi e le fragilità, che il rapporto tra l'uomo, il paesaggio e le comunità si impoverisca.
  Interessarsi alle periferie significa non considerarle più tali, ma tenerle al centro dell'attenzione, dell'impegno culturale e politico, non più un fastidioso problema per chi vive nelle cittadelle di quelli che noi abbiamo un po' provocatoriamente più volte chiamato «gli inquilini del privilegio», le ZTL, a prescindere da chi vi abiti.
  Su queste linee oggi presento alcune delle azioni già poste in essere dal Ministero della cultura e il progetto che vogliamo mettere in campo. Il decreto-legge del 27 dicembre 2024, n. 201, recante «Misure urgenti in materia di cultura», ha voluto dare concretezza al Piano Olivetti per la cultura, concepito per promuovere la rigenerazione culturale delle periferie, delle aree interne, delle aree svantaggiate. Ispirato – come il nome stesso fa ben comprendere – alla visione di Adriano Olivetti, il Piano si propone di: favorire lo sviluppo della cultura come un bene comune, accessibile, integrato nella vita delle comunità locali; promuovere la rigenerazione culturale delle periferie, delle aree interne svantaggiate, con particolare attenzione alle marginalità sociali ed economiche, al degrado urbano, alla denatalità e allo spopolamento; valorizzare – punto per noi fondamentale – le biblioteche quali strumenti di educazione intellettuale e civica, ma anche di aggregazione e connessione al tessuto sociale; promuovere, a partire dalle biblioteche, cioè da un fabbisogno che si produce dal basso, la filiera dell'editoria libraria.
  Il Piano Olivetti individua gli ambiti di intervento e le priorità strategiche nel rispetto e in stretta complementarietà con le programmazioni già in corso – non siamo arrivati per primi, ovviamente, nel cuore del problema – a valere sulle risorse europee e nazionali, quali la Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, il cui Piano identifica come prioritari i settori dell'istruzione, della mobilità e dei servizi sociosanitari, e il Piano d'azione del PN (Programma nazionale) Cultura previsto dal decreto-legge n. 60 del 2024, che prevede il progetto «Periferie e cultura». È, dunque, in campo una strategia nazionale integrata e corale rivolta allo specifico settore della cultura, nel nostro caso, e a tutte le aree del Paese, in particolare quelle del Mezzogiorno.
  Per attuare queste misure abbiamo previsto un investimento straordinario – in breve tempo, peraltro, rispetto al mio insediamento, che risale al 6 settembre scorso – di 34 milioni di euro a supporto dell'editoria e delle biblioteche, suddivisi così: 30 milioni di euro per l'acquisto di libri da parte di biblioteche storiche e di prossimità; 3 milioni per l'apertura di biblioteche da parte degli under 35; un milione di euro per sostenere la vendita di libri nei piccoli centri abitati con meno di 5 mila abitanti, destinato anche ad altri servizi commerciali, purché questa attività rappresenti almeno il 30 per cento del loro fatturato globale e purché facciano sempre capo a imprenditori con meno di 35 anni, quindi con una particolare attenzione alle fasce d'età che identifichiamo come «giovanili».
  Il nostro obiettivo è ora quello di garantire che le risorse siano allocate nel miglior modo possibile, al fine di ottenere il massimo impatto nelle aree più bisognose. Le biblioteche non sono – è ovvio – Pag. 5semplici luoghi di conservazione della memoria storica, ma sono dei presìdi di civiltà diffusi sul territorio, ancorché in modo discontinuo, sono spazi vitali di inclusione, di educazione civica, di formazione, specialmente per i giovani e le persone meno abbienti. Le biblioteche sono realmente l'infrastruttura culturale più diffusa in Italia e costituiscono un capitale sociale inestimabile, luoghi dove ogni persona ha accesso alla conoscenza e spazi di riflessione e di libertà civile.
  Crediamo che le biblioteche svolgano un ruolo essenziale nell'alfabetizzazione mediatica, quindi aiutino i cittadini a distinguere tra fonti affidabili e disinformazione, in un'epoca in cui la qualità dell'informazione è sempre più messa alla prova e sotto giudizio, tanto in Italia quanto a livello globale.
  Le biblioteche rimangono centri di conoscenza autentica nei quali attingere informazioni affidabili e adeguate alle sfide del cambiamento tecnologico, mantenendo intatta la loro missione di difesa di grandi valori politici, culturali e identitari delle realtà locali, nazionali ed europee.
  È necessaria, tuttavia, una grande mappatura – punto, secondo noi, fondamentale – della cosiddetta «siccità culturale», espressione appresa dal mondo delle riflessioni più alte dell'olivettismo, una mappatura della siccità culturale che investe tanto le periferie metropolitane quanto le aree interne svantaggiate dell'Italia, un'emergenza di cui questa Commissione è pienamente avvertita, e da tempo, come abbiamo sottolineato poc'anzi, su cui investe un lavoro prezioso per lo stesso Piano Olivetti, che – come ho detto – si ispira a modelli di riferimento come il lavoro di una Commissione quale quella in cui mi onoro di parlare.
  Abbiamo, quindi, dotato il Ministero della cultura di risorse ulteriori per costruire, in una visione di prospettiva, una grande e parallela ricognizione delle esigenze dei territori, con uno sguardo orientato al futuro, per cominciare a trasformare l'idea di cultura come un momento sociale comunitario, come una forma di riconnessione tra cosa pubblica e territorio, in un'azione auspicabilmente interministeriale, peraltro. Come ci siamo detti in più circostanze, non è appannaggio del Ministero della cultura il Piano Olivetti. Il Piano Olivetti è un'unità di missione che nasce dentro un decreto-legge convertito e che si apre necessariamente alle collaborazioni, oltre che con il Parlamento, ovvio, con gli altri ministeri afferenti al più grande disegno complessivo di intervenire nelle realtà sociali più disagiate d'Italia.
  È evidente che l'obiettivo è riattivare le energie esistenti e latenti, riportare la socialità all'interno di aree precise in cui il rapporto tra pubblico e privato è stato depauperato e in cui il ruolo dei centri di iniziativa culturale, delle biblioteche e degli archivi sia potenziato. Il prossimo passo sarà, naturalmente, quello di adottare tempestivamente i decreti attuativi, su cui stiamo già lavorando, che consentiranno di entrare al più presto nel vivo del Piano Olivetti, la cui realizzazione sarà possibile grazie al coinvolgimento di tutte le articolazioni del Ministero, ma anche, ovviamente, di tutti i corpi intermedi, i corpi sociali di cui si compone questo paesaggio di mappatura e ricerca che alimenta questa struttura.
  Consentitemi di sottolineare che il riferimento a Olivetti è anche il riferimento a una grande figura di imprenditore privato. Le giuste obiezioni, le giuste osservazioni sul fatto che la cultura non ha mai soldi a sufficienza per intervenire possono essere controbilanciate da una riflessione, che nasce, peraltro, anche qui, in questa Commissione, sul fatto che un buon lavoro di controllo della spesa pubblica e di impiego razionale dei soldi pubblici prevede che ci sia un'integrazione tra le nostre iniziative, che vengono svolte con i soldi dei contribuenti, e le energie latenti di piccoli e grandi imprenditori locali, che non aspettano altro che sollecitazioni e progetti su cui investire, in un mondo in cui il mecenatismo non ha più la stessa morfologia, la stessa configurazione rispetto al passato. Vengono premiate le buone idee, che attraggono capitali, intelligenze e saperi del mondo privato, piuttosto che gettare soldi a pioggia in una forma orizzontale.Pag. 6
  Adesso vorrei parlare del risanamento e della riqualificazione del territorio del comune di Caivano, che sta a cuore tanto al Governo quanto al Parlamento. Il tema Caivano è noto, molto noto a questa Commissione, perché oggetto di audizioni specifiche e perché frequentemente citato. Nel merito, posso offrire un aggiornamento e confermare che sono stato meno di venti giorni fa nella città campana per porre la prima pietra del nuovo polo culturale, nato per riqualificare il vecchio Auditorium Caivano Arte, precedentemente abbandonato e devastato.
  Attraverso lo stanziamento di 12 milioni di euro, uno stanziamento preesistente al mio insediamento, per onore di verità, il Ministero della cultura si è impegnato a realizzare un nuovo edificio destinato a ospitare eventi artistici e culturali. Il nuovo polo culturale sorgerà, come sapete, a ridosso del nuovo centro sportivo intitolato alla memoria di Pino Daniele, che ha sostituito l'ex centro Delphinia.
  Permettetemi di sottolineare l'alto valore simbolico dell'atto: la posa della prima pietra del nuovo Auditorium, che rinasce come una fenice sulle ceneri del vecchio, ma di un vecchio che era simbolo di incuria, di degrado, di abbandono, di resa dello Stato. Rinasce con un edificio dedicato alla partecipazione, al godimento della cultura, con spettacoli, eventi, incontri, letture pubbliche. Si tratta di un'impresa di riconquista sociale e civile, che restituisce spazio e dignità alla creatività, all'arte e alla conoscenza condivisa.
  Portare cultura è il primo passo necessario per favorire crescita e sviluppo, come aveva giustamente intuito il fondatore del Movimento Comunità, anche grazie al lavoro di un giovane sociologo che dedicò la sua lunga e intera esistenza allo studio delle periferie, Franco Ferrarotti.
  Vorrei, infine, ricordare con una sottolineatura particolare il Piccolo Coro di Caivano, un progetto fortemente voluto dal sottosegretario Gianmarco Mazzi, promosso, ovviamente, dal Ministero della cultura, con un finanziamento di 198 mila euro, in collaborazione con Antoniano-Opere Francescane e la partecipazione, molto olivettiana in questo senso, della struttura del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, che ripropone nel comune alle porte di Napoli l'esperienza felice del Piccolo Coro dell'Antoniano, un lavoro corale, per l'appunto. I bambini e le bambine del Piccolo Coro di Caivano stanno seguendo le lezioni, due volte a settimana, nella loro nuova casa in Viale Margherita, uno spazio di circa 300 metri quadri, con una sala d'accoglienza, un'area relax, una piccola cucina e una sala dedicata alle prove.
  Come sapete, il Governo e il Ministero che qui mi onoro di rappresentare intendono replicare il modello Caivano in altre città d'Italia. Anche in questo caso, il Ministero saprà fare la propria parte. In un recente Consiglio dei ministri, alla presenza di Fabio Ciciliano, il commissario speciale, si è parlato della possibilità/necessità di replicare il modello Caivano su tutti i quadranti in cui le stesse caratteristiche di depauperamento della presenza dello Stato e della tenuta del tessuto connettivo comunitario si ripresentano con la stessa incidenza e pericolosità.
  Quanto allo spettacolo dal vivo – siamo sempre in tema – nelle periferie delle città metropolitane, nell'ottica di garantire, anche per l'anno 2025, la continuità dell'azione di sostegno a favore delle attività di spettacolo nelle aree periferiche dei comuni capoluogo delle città metropolitane, il Ministero della cultura ha destinato la somma di 10.500.000 euro al finanziamento di attività di spettacoli dal vivo, volti a promuovere progetti di inclusione sociale, riequilibrio territoriale e, ovviamente, tutela occupazionale, nonché a valorizzare il patrimonio culturale attraverso le arti performative nelle aree periferiche delle città metropolitane. Le risorse devono essere utilizzate dai comuni capoluogo delle città metropolitane per sostenere attività di spettacolo nelle aree periferiche, sulla base di progetti selezionati tramite un bando pubblico, predisposto da ciascun comune.
  In particolare, ripeto, le risorse devono essere utilizzate per: a) valorizzare il patrimonio culturale nelle aree periferiche mediante attività di spettacolo, anche di carattere innovativo, finalizzate all'inclusionePag. 7 culturale e sociale, svolte nel rispetto delle tutele occupazionali e dei contratti di categoria; b) realizzare azioni di riequilibrio territoriale, attraverso il rafforzamento dell'offerta culturale, svolte nel rispetto delle tutele occupazionali e dei contratti di categoria; c) promuovere iniziative formative e l'attivazione di laboratori dedicati alle arti performative.
  Rigenerazione urbana 2025-2027. Allunghiamo un po' la prospettiva. Un mese fa ho visitato la Porta delle Farfalle, che immagino conosciate bene qui, non è certamente la prima volta che la sentite nominare. Che cos'è la Porta delle Farfalle? È un perfetto o, comunque, un illuminante esempio di come possa esserci speranza in un luogo difficile come il quartiere Librino di Catania; è uno dei modelli di land art più noti al mondo, un'opera di riqualificazione urbana di un muro lungo oltre un chilometro, realizzato da Antonio Presti, un grande mecenate e presidente della fondazione Fiumara d'Arte: coinvolgendo 15 mila tra bambini, ragazzi e genitori di Librino, ha trasformato il muro di un vecchio cavalcavia in un'opera d'arte di caratura internazionale, riqualificando e dando lustro a una periferia che, come una grande madre, non dissimile dal centro, questo è il punto, da quello che deve essere il centro di ogni città, si occupa dei propri figli e si prende cura delle persone che la abitano.
  Nell'ambito degli interventi legati al Piano di rigenerazione urbana su base culturale 2025-2027 – diamo un po' di cifre – il Ministero della cultura, attraverso la Direzione generale creatività contemporanea, ha pubblicato due bandi per un finanziamento totale di 3.380.000 euro.
  Il primo bando riguarda la settima edizione (2025-2027) dell'avviso pubblico «Laboratorio di creatività contemporanea», per un importo complessivo di 2.520.000 euro. È un avviso pubblico suddiviso in due azioni: la prima intende favorire la crescita e il consolidamento dei centri culturali nati da progetti di rigenerazione già attivi in Italia; la seconda riguarda la realtà di nuova costituzione, grazie all'accompagnamento in tutte le fasi di consulenti, mentor, realtà culturali attive da più anni, o da centri di ricerca e istituzioni operanti nell'ambito della rigenerazione urbana a base culturale. I destinatari sono gli organismi culturali e creativi non a scopo di lucro.
  Il secondo intervento, dal titolo «Il museo rigenera», per un importo di 860 mila euro, è un progetto sperimentale dedicato ai musei e ai luoghi della cultura del MiC, che mira a sostenere la creatività negli spazi pubblici nell'ambito dei territori fragili, facendo leva sui musei quali soggetti attivi della rigenerazione urbana a base culturale.
  Nell'ambito del Programma nazionale cultura, infine, 176,4 milioni di euro sono destinati all'ampliamento della partecipazione culturale e al rafforzamento di servizi e iniziative di carattere culturale. Tra queste iniziative è compreso anche il progetto «Periferie e cultura», finalizzato a sostenere interventi di rigenerazione socioculturale di aree urbane complesse e caratterizzate da marginalità sociale ed economica, attraverso la realizzazione di servizi sociali e culturali e di welfare culturale, anche mediante azioni di recupero del patrimonio architettonico e sociale. In un'ottica di rigenerazione urbana, a partire dalla cultura, sarà favorito l'utilizzo di spazi in edifici pubblici esistenti, anche in disuso, per ospitare attività culturali e creative o di formazione di imprese innovative di quartiere o di comunità, creando dinamiche collaborative tra residenti, istituzioni pubbliche, soggetti privati e società civile organizzata.
  Non voglio, in conclusione, tacere il tema dell'accessibilità ai luoghi della cultura per le persone con disabilità, tema di cui, da presidente del MAXXI, mi sono occupato in modo molto approfondito, avviando un tavolo interdipartimentale che fungesse da veicolo per immaginare l'offerta culturale del più importante museo italiano calibrata a monte rispetto alle esigenze delle persone con disabilità, quindi non adattando a valle della programmazione l'offerta culturale.
  Da Ministro della cultura, i lavori da noi finanziati, pari a circa 300 milioni di euro del PNRR, sono in fase già avanzata. Moltissimi luoghi sono passati dall'essere non Pag. 8del tutto inaccessibili all'essere, come dovrebbero, fruibili davvero per tutti.
  Ho citato questo perché la periferia – torno al discorso iniziale, al punto iniziale – può non essere soltanto un luogo fisico di difficoltà, ma anche una condizione esistenziale, ed è su questo che bisogna lavorare. Le periferie non sono un tema semplice, e lo dico di fronte a un corpo parlamentare che il tema lo conosce molto approfonditamente, ma senza studio e senza confronto tra Governo, Parlamento, corpi sociali intermedi, senza proposte, come quelle che noi abbiamo fatto realizzando un decreto-legge già convertito e, ovviamente, ascoltando noi stessi proposte e sollecitazioni in sede di stesura dei decreti attuativi, continueremmo a discuterne come se fosse un problema ancora per troppo tempo.
  Per questo – e concludo davvero, ringraziandovi per l'attenzione – vi invito, caro presidente e voi tutti, a partecipare fattivamente all'organizzazione degli Stati Generali della Rigenerazione urbana, che stiamo preparando per la fine del 2025.

  PRESIDENTE. Grazie davvero, Ministro Giuli, per la relazione completa con cui ci ha fornito tanti dati e tante informazioni.
  Invito i colleghi presenti e anche quelli collegati da remoto, se hanno qualche domanda o qualche osservazione, a chiedere la parola.
  Io tengo a sottolineare un aspetto, prima di lasciare la parola ai colleghi. Mi sembra che, nel Piano Olivetti, ci sia un'attenzione specifica forte sul discorso della lettura e delle biblioteche. A tal proposito, ho due piccoli spunti. Da un lato – è uno dei temi che ci viene maggiormente richiesto quando giriamo per i territori – sul potenziamento delle biblioteche, che lei giustamente ha definito presidi di civiltà diffusi, definizione nella quale mi ritrovo in pieno, c'è una richiesta molto forte. Noi, come Commissione, abbiamo avuto modo di visitare, in molte periferie, alcune realtà culturali connesse strettamente alle biblioteche, che sono modelli di eccellenza che vanno sostenuti, valorizzati, aiutati e promossi.
  Un secondo spunto riguarda un piccolo progetto che, come Commissione, siamo riusciti a portare avanti, che per noi è un motivo collettivo di vanto: grazie alla sinergia con la Fondazione Bellonci, che organizza il Premio Strega, siamo riusciti a portare il Premio Strega Giovani, le finali, già nel giugno dello scorso anno, a Tor Bella Monaca e, quest'anno, nel territorio di Caivano. Al di là di questi eventi, che si sono svolti a giugno dello scorso anno (l'edizione di quest'anno sarà il 4 giugno), abbiamo lanciato, in collaborazione con scrittori finalisti del Premio Strega Giovani, dei laboratori di lettura e di scrittura che hanno coinvolto le scuole, le biblioteche, le librerie per ora di due realtà: Tor Bella Monaca e Caivano. Credo che questo sia un segnale molto bello.
  Ministro, io ho partecipato: domani ci sarà l'ultimo step a Tor Bella Monaca e lunedì prossimo l'ultimo step a Caivano di questo percorso, che è durato alcuni mesi, e stanno uscendo delle cose meravigliose, che tra l'altro saranno pubblicate all'interno di una piattaforma della Fondazione Bellonci e saranno valorizzate in questa edizione 2025 del Premio Strega. Erano due cose che ci tenevo a sottolineare e a evidenziare.
  Se lei è d'accordo, farei prima un giro di domande e poi le lascerei la parola per le risposte. Se su alcune domande ci sono dati che ci vorrete fornire, anche successivamente, è una possibilità che abbiamo utilizzato in tutte le nostre audizioni.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire.

  ANTONINO IARIA. Grazie, Ministro. Lei ha citato il Piano Olivetti più volte, che a me risulta non abbia tutta questa dotazione finanziaria per poter pensare solo di fare le cose, che tra l'altro io posso anche condividere, che lei ha narrato, come possibile strategia del Ministero della cultura per le aree periferiche. Poi ha citato anche la Strategia nazionale aree interne e anche lì i soldi spesi sono pochissimi rispetto a quelli stanziati. Volevo capire se lei ha già un'interlocuzione con chi gestisce questi fondi per la Strategia nazionale aree interne per provare a creare nuovi progetti che vadano nell'ambito culturale.Pag. 9
  Lei ha citato le biblioteche e tutti siamo d'accordo. Chi può essere contro una biblioteca? Però, le biblioteche già esistenti vivono da anni problematiche enormi, problemi di gestione, problemi di deposito dei libri, manutenzione degli immobili, eccetera.
  Al Ministro della cultura vorrei chiedere, magari anche non oggi, se ha qualche ipotesi di finanziamento su questo settore, sennò giustamente facciamo un bel po' di bella retorica, citiamo sempre il solito esempio di Caivano, che diventa ormai l'unico esempio possibile e non deve essere l'unico esempio possibile, di un piccolo progetto che sta cominciando a dare alcuni frutti, ma a dare anche alcune problematiche, come tutti i progetti che poi si calano nella realtà.
  Visto che l'abbiamo affrontato, anche come amministratore torinese, il tema delle biblioteche, se riportato – anche come progettazione futura – in una biblioteca stile classico, rischiamo di avere delle bellissime opere che non funzionano. Abbiamo tantissimi esempi di biblioteche. La parte della biblioteca c'è, è una parte importante, ma ci sono tante altre cose. Mi riferisco al discorso multimediale o altro.
  Ripeto, il problema sta sempre all'inizio del mio intervento. Lei, come Ministro, quanti soldi può ottenere? Quanti soldi decide di mettere il Governo su questa cosa? Sennò, veramente facciamo gran bei discorsi, ma alla fine non riusciamo a fare nulla di concreto.
  Grazie.

  MICHELE SCHIANO DI VISCONTI. Innanzitutto, vorrei ringraziare il Ministro per quanto si sta facendo – mi calo un attimo nella realtà che conosco meglio, che è quella della provincia di Napoli – a Caivano.
  Caivano è un modello che, purtroppo, fino a quando non è partito, ci è stato criticato. Oggi, che comincia a funzionare, non va più bene, perché dobbiamo incominciare a parlare di altro. Sicuramente dobbiamo parlare di altro e il modello Caivano dimostra che, andando in quella scia, andando in quella direzione, si può fare bene, posto che si sta facendo bene. Non a caso c'è un'attenzione particolare, ma oltre all'attenzione c'è un forte investimento da parte del Governo, tanto che, partendo dal cosiddetto «modello Caivano», il Governo si sta interessando di altre periferie della nostra Nazione, al punto tale che, come diceva prima bene il presidente, noi abbiamo viaggiato in lungo e in largo – con tante azioni anche come Commissione – e oggi si stanno verificando iniziative, e vengo a quello che ha detto prima il Ministro, come ad esempio il Coro dell'Antoniano e tante altre cose.
  Si sta dimostrando, e per questo voglio ringraziare il Governo, che quando si agisce in sintonia e in sintesi tra pubblico e privato, anche attraverso l'associazionismo, le cose funzionano. Andiamo avanti su questa strada. Complimenti al Governo e complimenti al Ministro.

  PAOLO CIANI. Buongiorno Ministro. Grazie per la sua relazione.
  Presidente, farò alcune osservazioni e qualche stimolo di interlocuzione. Indubbiamente, la parte di discorso sulla cultura che oggi ci interessa di più è quella relativa alle periferie. Il tema della povertà educativa che noi abbiamo trattato in parte in alcune precedenti audizioni e quello della povertà culturale sono molto legati. Sono concetti abbastanza nuovi nella nostra cultura, rispetto ad altre analisi sulla povertà più in generale. Però, riflettono anche un'evoluzione del nostro pensiero che io credo debba ulteriormente progredire, cioè che il tema della povertà non è solo materiale, ma il tema della povertà – per esempio, culturale, che, a mio modo di vedere, si interseca molto con la povertà educativa – è un tema di diritti essenziali. Noi sappiamo che la nostra cultura, il nostro pensiero si è evoluto e ha capito che la privazione della cultura per una persona è una privazione che poi influisce sul suo benessere, sulla sua crescita, eccetera.
  Questa è una prima riflessione di fondo. In questo senso mi incuriosiva quello che lei diceva sulla mappatura della siccità culturale, perché io credo che uno degli aspetti più importanti che noi abbiamo verificato nel nostro impegno personale e politico, ma anche nel percorso di questa nostra Pag. 10Commissione, è quello di divari geografici gravi, in Italia, rispetto a tante cose. A me colpisce sempre – e qui risollecito il nostro presidente – quello che è emerso, Ministro, sulla vicenda delle palestre scolastiche. Noi viviamo in un Paese in cui la metà delle scuole non ha palestre scolastiche. Noi mettiamo lo sport in Costituzione, ma poi nei luoghi dove tutti i nostri ragazzi crescono, la metà di questi luoghi non ha le palestre. In questo senso, anche il tema dell'accesso alla cultura soffre, a mio modo di vedere, di gravi disagi e di gravi divari geografici.
  Frequentando le periferie, conoscendole un pochino, vedo un doppio problema. Da una parte, c'è un tema di fruizione della cultura. Noi abbiamo visto tanti luoghi periferici delle città e delle aree interne, perché anche qui va fatta una differenza. Io sono romano, quindi prendo sempre come esempio Tor Bella Monaca o Corviale. Sono periferie della Capitale d'Italia. Ci sono delle aree interne del Paese dove non passa nemmeno più il circo che passava una volta l'anno, dove la siccità culturale è pazzesca. In questo senso mi colpisce – mi perdoni, presidente, ma il tema mi appassiona, quindi prendo qualche minuto in più – la correlazione tra l'abbandono scolastico e l'offerta culturale non stagionale. Noi abbiamo una correlazione di luoghi in cui c'è un'offerta culturale bassissima e un altissimo livello di abbandono scolastico. Qui vengo alla fruizione. Noi vediamo i dati italiani in cui chi fruisce maggiormente la cultura sono quegli strati di popolazione maggiormente istruiti e con titoli di studio maggiori. Quindi, c'è un tema rispetto a questo. D'altra parte, c'è la produzione di cultura. Talvolta, e qui lo dico da frequentatore di periferie di grandi città, c'è una ricchezza di produzione culturale in periferia a cui dobbiamo dare, forse, maggior attenzione e protagonismo. In questo mi colpisce positivamente, qui non ne faccio un tema di livelli dello Stato, che quando riusciamo a fare dei bandi di cultura in periferia, immediatamente ricevono moltissime segnalazioni.
  In questo senso, da una parte bisogna portare i luoghi della cultura e dello spettacolo in periferia, e lei accennava alle biblioteche, alle librerie, ai cinema, ai teatri, alle mostre, ai concerti, eccetera, e dall'altra però bisogna capire come aiutare la produzione culturale che esiste in periferia e spesso è un po' quell'underground che poi quando un gruppo, un attore o un giovane emerge dalla periferia, finisce su tutti i giornali, ma è una realtà viva che dobbiamo sostenere.
  Grazie.

  PASQUALINO PENZA (intervento in videoconferenza). Innanzitutto, vorrei ringraziare il ministro per la sua presenza. Ho ascoltato quanto ha detto e vorrei focalizzare l'attenzione sul concetto Caivano. Purtroppo, non mi trovo d'accordo con la definizione di modello, non è un mistero, per il semplice motivo che di tutto si può parlare tranne che di un modello esportabile. Se sono state fatte delle cose, come ad esempio il coro oppure altre iniziative, quelle magari possono essere iniziative esportabili, ma vedo difficile che un centro sportivo ristrutturato o il rifacimento del teatro possa essere un modello replicabile anche in altri comuni, perché non penso che in tutti i comuni ci siano strutture del genere.
  Magari il Ministro mi potrà delucidare, perché una domanda mi sorge spontanea. Il centro sportivo è stato denominato «Pino Daniele». Come sarà denominato, invece, il nuovo teatro che si verrà a formare? Io proporrei, ad esempio, «Fausto Coppi», giusto per dare un incrocio di nomi. Questa è una piccola parentesi, perché poi giustamente sorge spontaneo anche capire la correlazione. Va bene, perché comunque Pino Daniele è stato un grande artista, anche se io gli avrei dedicato il teatro anziché il centro sportivo e, viceversa, a qualche sportivo avrei dedicato il centro.
  Visto che il Ministro è venuto a Caivano a posare la prima pietra, volevo sapere se lui aveva in qualche modo visto la scuola elementare che, purtroppo, è presente all'interno del Parco Verde. Dico «purtroppo» perché quando ci sta un presidio culturale, come quello di una scuola elementare, è sempre un qualche cosa di buono. Penso, però, che nel contesto del Parco Verde e quindi in quel contesto particolare, questa non sia una cosa giusta. Mi sono trovato a Pag. 11scontrarmi con quella che poi è la realtà. Quando ci immergiamo nella realtà vediamo esattamente se una cosa funziona o se, per contro, ha dato frutti negativi.
  Noi abbiamo una scuola all'interno del Parco Verde. In quella scuola ci vanno soltanto i bambini del Parco Verde. Dall'esterno le mamme del paese, per intenderci, non iscriverebbero mai i loro figli nella scuola del Parco Verde, perché c'è un pregiudizio. Purtroppo, mio malgrado, devo dirlo.
  Risulta poi esserci anche un secondo danno. I bambini del Parco Verde non riescono ad uscire dalla realtà del Parco Verde. Questo significa che la mattina vanno a scuola nel Parco Verde, il pomeriggio giocano nel Parco Verde e la sera tornano a casa, ma sempre nel Parco Verde sono rimasti.
  Cosa è emerso da questo punto di vista? Io lo dico sempre, ogni volta che c'è l'occasione. Chi abita nel Parco Verde ha un accento diverso da chi, invece, fa parte del contesto del paese. È una frazione, un quartiere che ha un accento a sé, come l'accento romano e quello napoletano. Sono due accenti diversi. Lì si verifica in un singolo quartiere, in un paese che risulta di 40.000 abitanti. I bambini purtroppo non escono dalla realtà del Parco Verde, non riescono ad avere contatti con altri bambini della loro età e magari a vedere anche nuove realtà. Purtroppo, devo pensare che nel Parco Verde la scuola elementare non è una struttura adatta, perché confina i bambini in quel contesto. A me piacerebbe che a quella scuola – dove ci vanno pochissimi bambini e sono soltanto del Parco Verde – si mettesse, per esempio, uno scuolabus a disposizione delle famiglie che possa poi accompagnare i bambini in scuole che stanno poco lontane dal Parco Verde (ci si potrebbe anche arrivare a piedi). Però, purtroppo, a volte per comodità uno preferisce iscrivere i bambini vicino alla propria abitazione, in mezzo alle piazze di spaccio che una volta erano lì.
  Ho fatto una valutazione, quindi secondo me non va più bene una scuola all'interno del Parco Verde, perché si deve dare la possibilità ai bambini di poter uscire da quel contesto. Ovviamente, non è competenza del Ministro. Per non parlare di agglomerati urbani di edilizia popolare degli anni Ottanta, che costituiscono parte della ghettizzazione di quel quartiere. Nel momento in cui volessimo parlare veramente di modello, dobbiamo parlare di ghettizzazione edilizia. Parliamo di quartieri costruiti come un catenaccio, che sono chiusi già al loro interno. In più ci si mette la criminalità, che arruola e recluta i ragazzi, i giovani per poter costituire la nuova classe dirigente della criminalità.
  Nel momento in cui vogliamo parlare di modello da esportare lo possiamo fare, ma dobbiamo parlare di abbattimento e ricostruzione delocalizzata dei quartieri ghetto. Lì parliamo di modello, ma non mi si può venire a dire, nemmeno in questo contesto, che il modello Caivano è rappresentato dalla ristrutturazione di un centro sportivo intitolato ad un grande artista e di un teatro che, probabilmente, sarà intitolato ad un grande sportivo. Non mi si può dire che questo è un modello.
  Volevo conoscere l'opinione del Ministro.

  VITO DE PALMA. Grazie Ministro della sua relazione, che ho apprezzato. Complimenti anche per il lavoro che sta portando avanti.
  Nella mappatura sulla siccità culturale – il termine mi è piaciuto, l'ho apprezzato – nell'esperienza che noi stiamo conducendo, anche attraverso le varie missioni come Commissione, le posso dire che lei ci può già inserire le periferie, nel senso che proprio il Piano Olivetti può essere molto interessante in questa direzione. Le porto un esempio. Non ricordo se è stato a Catania o a Palermo, ma quel giorno eravamo in una zona di edilizia popolare, dove vi era la caserma dei carabinieri al primo piano e al secondo piano vi erano volontari che, attraverso una biblioteca, facevano doposcuola ai ragazzi. La cosa più bella è stata vedere che erano gli stessi carabinieri. Il maresciallo, in primis, finiva di lavorare al piano inferiore e saliva a quello superiore per aiutare i ragazzi. Questo tipo di discorso è importante per riuscire a fronteggiare quel degrado sociale che esiste nelle Pag. 12periferie e che, invece, con una valorizzazione di tipo culturale noi riusciremmo a trasformare.
  Talvolta, pensiamo che il degrado urbano sia solo e soltanto la delinquenza e la insufficienza di Forze dell'ordine. Noi riteniamo che la riqualificazione culturale delle periferie possa avere lo stesso obiettivo che può avere il potenziamento del numero necessario ed indispensabile di Forze dell'ordine sul territorio.
  Questo tipo di discorso ritengo che vada a fotografare in maniera importante quei fenomeni di emarginazione sociale che, con il potenziamento di biblioteche, con il potenziamento di questi presìdi culturali, avranno un beneficio. Volevo dirle questo. Più che farle una domanda, vorrei farle una sollecitazione rispetto a quello che ha detto. Grazie.

  MARCO PERISSA. Grazie, Ministro. È stato detto molto e quindi vorrei non aggiungere più del necessario.
  Rivolgo un ringraziamento al Ministro, perché illustra un piano d'azione intanto relativamente breve, perché il Ministro Giuli arriva in corsa, sicuramente dando continuità a un'impostazione di lavoro virtuosa e positiva, ma chiaramente i risultati di cui ci parla sono da considerarsi nel brevissimo periodo, o quanto meno in un periodo più breve di quello che tutti gli altri ministri hanno avuto a disposizione, perché nel farlo introduce anche argomenti e finanziamenti di ampio respiro, nella prospettiva temporale.
  Accogliamo con favore cose che già sapevamo. Assistiamo, nella guida che il Ministro impartisce a questo dicastero, anche ad un cambio di paradigma, oltre ai citati stanziamenti sul potenziamento delle biblioteche, sul potenziamento delle attività teatrali nelle zone periferiche e anche a un tentativo virtuoso di innescare un reciproco rapporto tra la valorizzazione del tema culturale – a trecentosessanta gradi – e il mecenatismo privato, trasformando il patrimonio culturale, inteso in senso ampio, come attrattivo rispetto a delle forme di investimento privato che, nel corso degli anni, sono radicalmente cambiate.
  Accolgo con favore anche l'idea di tentare di valorizzare i temi della periferia non soltanto intesi come un Governo centrale che va verso, ma anche come un Governo centrale che, in collaborazione con le istituzioni locali, prende quello che le periferie mettono a disposizione per cercare di valorizzarlo e portarlo, ove possibile, nell'ambito delle buone pratiche, anche a modello di riferimento. L'esempio di Catania va bene, ma ce ne sono tantissimi altri.
  Su Caivano non spendo parole, anzi ne spendo davvero poche, perché in realtà non vorrei trattare un argomento che riguarda, con tutto il rispetto, in maniera assolutamente collaterale l'attività del Ministero della cultura, rispetto a un modello che ha coinvolto tantissimi ministeri nella sua realizzazione. Ci tengo però a dire una cosa e me lo consentiranno, anche perché, presidente, io oggi il jolly diplomazia me lo sono giocato in Aula un'ora fa, quindi temo di non riuscire a fare due volte il diplomatico nella stessa giornata. La butto sul ridere, nel senso che noi abbiamo visto le opposizioni cambiare diverse posizioni su Caivano. Quindi, parafrasando un antico detto, mi viene da dire «prima ti deridono, poi ti combattono, poi vinci». Si è detto che Caivano è un modello securitario, ma ad un certo punto sono stati costretti ad ammettere che non era securitario per niente, nel senso che definire securitario un modello che porta cultura, dipendenti pubblici, incremento dei servizi delle pubbliche amministrazioni ai cittadini, centro sportivo, riqualificazione, attività collaterali, era complesso. Quindi, da un modello securitario è diventato un modello non securitario. Ora, accogliamo anche questo ulteriore elemento di novità – mi dispiace che il collega Iaria se ne sia andato – ossia che è un modello non sufficiente. Questa mi sembra un'altra evoluzione, seppure non riesco a comprendere come possa essere ghettizzante, nel senso che è insito. Credo, infatti, che nel modello di Caivano ci sia tra le righe – non come obiettivo primario, ma come obiettivo indotto o derivato dal grande lavoro del Governo e delle istituzioni locali su quel quartiere e su quel territorio, magariPag. 13 nel medio periodo – la valorizzazione di un orgoglio di appartenenza a quel territorio, da parte di chi ci abita e di chi ci risiede, di poter tornare a dire «sono orgoglioso di essere di Caivano».
  Francamente, non riesco a comprendere come un modello che cerca in qualche modo di rimettere in piedi, attraverso una presenza continua e pedissequa dello Stato e delle sue istituzioni sui territori, un quadrante così delicato e così simbolico anche a livello nazionale, possa essere tacciato di volontà di ghettizzazione, e lo dice – chi mi conosce lo sa – un figlio delle periferie romane.
  Io sono particolarmente orgoglioso della mia appartenenza e della mia identità e sono anche particolarmente orgoglioso di come alcuni quartieri nella stessa città di Roma, nel corso di venti-venticinque anni, abbiano saputo riscoprire la loro identità, grazie anche all'orgoglio di appartenenza dei propri residenti, che si sono poi messi in campo per primi nei processi di riqualificazione e di difesa della legalità di quei territori. È vero, in parte geograficamente si sono trasformati da periferia a semicentro, perché nel frattempo la periferia si è spostata più in là, la città è cresciuta ed i quartieri popolari sono diventati particolarmente apprezzati e vissuti.
  Non voglio farla troppo lunga. Questa era una riflessione che vorrei concludere con una domanda retorica al Ministro, alla quale poi, se ha la pazienza e la volontà, se non in questo momento, in un secondo momento, potrà rispondermi.
  La domanda era relativa, al netto di questa riflessione che ho fatto, a capire come, anche attraverso i beni archeologici, la rivalutazione del patrimonio archeologico e quant'altro, ci possa essere un legame con le zone che io chiamo lontane dal centro – non mi piace la parola «periferie», io li chiamo quartieri – per un processo di rilancio.
  Le feci in passato, in una nostra conversazione, una domanda. Gliela rifaccio con grande serenità. C'è un modo, secondo lei, per cercare di costruire un tessuto connettivo virtuoso tra la capacità attrattiva, in termini turistici, dei grandi centri storici delle aree metropolitane e il legittimo bisogno di decoro e benessere delle zone più lontane da quei centri?
  Questa è una domanda che porta all'apertura di una riflessione su questo tema. Grazie.

  PRESIDENTE. Ministro, prima di passarle la parola, io ho solamente uno spunto relativo al Programma nazionale cultura.
  Lei ha parlato di questo progetto «Periferie e cultura». C'è già uno stanziamento ad hoc anche per questo? Mi è sfuggito. Nel corso della relazione, lei ha parlato del Programma nazionale per circa 176 milioni di euro. Volevo sapere se c'è già un qualcosa di specifico rispetto a questo progetto. Anche successivamente, potete trasmettere eventualmente questo dato.
  Do la parola al Ministro per la replica.

  ALESSANDRO GIULI, Ministro della cultura. Grazie a tutti.
  Posso sottolineare che nel Piano nazionale cultura 70 milioni di euro sono stati impegnati per le regioni del sud Italia. Questo già è un dato, che costituisce una risposta magari parziale.

  PRESIDENTE. Le regioni del sud Italia?

  ALESSANDRO GIULI, Ministro della cultura. Del Mezzogiorno d'Italia, sì. Ovviamente, è una risposta parziale, ma è una risposta consistente e apprezzabile.
  Rivolgo un ringraziamento generale anche per essere stati richiamati qui, come Ministero della cultura, al principio di realtà. Quando un parlamentare del Movimento 5 Stelle, l'onorevole Iaria, mi dice «quanti soldi poi ci mettete?», io la risposta l'ho data in esordio, però mi consente di ribadire il fatto che sulle periferie si può filosofeggiare quanto vogliamo, ma se poi sulle biblioteche non si mettono 30-35 milioni di euro, abbiamo solo fatto della filosofia. I numeri, però, ci sono, per fortuna. Devono essere ben inquadrati e ovviamente all'impegno economico deve poi tener dietro una sostanza nel giusto e corretto utilizzo dei fondi. Io, più volte, ho dato questa Pag. 14risposta alle sollecitazioni sul perché il Piano Olivetti non ha una dotazione economica stellare, perché uno dice: «serve una dotazione economica stellare se vuoi fare il Piano Olivetti».
  Il cosiddetto Decreto Cultura porta in tutti i suoi articoli la dizione «in coerenza con», ovvero in coerenza con l'articolo che istituisce un'unità di missione. Quindi, tutti i soldi impegnati dentro il Decreto Cultura sono stati impegnati in un progetto organico.
  Il Piano Olivetti quindi già di fatto è finanziato. Però, il tema centrale è esattamente quello della qualità e della capacità di intervento, non soltanto dei soldi appostati. Tutti vorremmo molti più soldi a disposizione delle periferie o delle aree svantaggiate. Il punto vero è cercare di costruire una cornice all'interno della quale il Ministero della cultura faccia la propria parte in sinergia con il Governo e costruire una visione o comunque modellare e sagomare una visione intorno alle necessità del territorio. Si inizia dal basso e questa è una cosa che rivendichiamo, così come è bello rivendicare il fatto di un'identità che sussiste nelle zone periferiche, che non devono diventare delle ZTL dal punto di vista concettuale, ma anche dal punto di vista pratico. Devono diventare città multicentriche e dei luoghi che abbiano tutti i loro fabbisogni sfamati nel modo più opportuno.
  È evidente che bisogna conoscere le zone di intervento. Abbiamo deciso di muovere dalle biblioteche, perché le biblioteche diventino, ed è vero, qualcosa di diverso rispetto a ciò che è nella percezione comune, oggi. Faccio un esempio qualsiasi di biblioteca di un paese o di un'area interna di 800-900 anime che, poi, nella stagione estiva, magari con il turismo di ritorno, arriva fino a 4.000 persone, ma ha sostanzialmente un indotto stagionale, e quella biblioteca o non esiste o è un deposito di archivi o è una sala lettura senza giovani che leggono. Quindi, l'idea qual è? Aiutare sicuramente le case editrici, perché i libri vanno stampati e diffusi, ma attraverso un lavoro di sollecitazione sulla capacità d'accesso alla lettura e alla cultura in senso lato, dentro queste zone. Il Paese modello di cui vi sto parlando è un Paese che dovrebbe rifunzionalizzare la propria biblioteca e trasformarla in un centro culturale, con un'offerta culturale integrata, che significa riattivare i gruppi storici, riattivare i gruppi archeologici.
  In questo, mi avvicino alla possibilità di dare una risposta anche ad altre sollecitazioni, perché, per fortuna, abbiamo una grande offerta di patrimonio culturale ancora da esplorare e mettere a valore, che rappresenta uno dei punti di forza delle aree interne e non soltanto dei grandi centri più spettacolosi dal punto di vista del fascino archeologico e dell'antico. C'è molto da studiare, molto da scavare, molto da far conoscere, e c'è un radicamento delle energie latenti, che vanno risvegliate attraverso un innesco, che non deve essere un'economia assistita, perché ancora non funziona, ma deve essere per chi dentro una biblioteca deve ritrovare un gruppo archeologico, un laboratorio di sperimentazione teatrale, dell'arte contemporanea – oltre alla quadreria che si è sedimentata nell'arco del tempo, perché per fortuna i nostri borghi sono pieni di storia – e deve trovare la capacità di digitalizzare il proprio patrimonio materiale, creando nuovi saperi e ricerca. Insomma, la biblioteca deve avere la possibilità di essere attrattiva soprattutto per i giovani.
  Da questo punto di vista, abbiamo scelto di impegnare la gran parte della dotazione a nostra disposizione per un lavoro che partisse proprio dalle biblioteche, in un concetto di biblioteca che è diverso rispetto alle premesse o, comunque, a ciò che oggi le biblioteche sono non diventate o sono diventate nel corso degli ultimi anni.
  Faccio un passaggio su Caivano, avvantaggiandomi delle considerazioni già svolte dall'onorevole Perissa. È evidente che qui torniamo sempre al concetto per cui le radici e l'identità sono la base su cui lavorare, per risvegliare quelle che chiamiamo energie latenti. In sede di scrittura dei decreti attuativi cercherò di fare in modo che sia avvantaggiata l'editoria di prossimità, ovvero quella editoria che si occupa di studi del territorio intorno al comune interessato dal finanziamento per la biblioteca,Pag. 15 perché esiste una fiorente, una ricca, una variegata, pur se spesso in difficoltà, vita editoriale semisconosciuta, semiclandestina, che si occupa di tradizioni popolari, di strumenti musicali, di feste e liturgie, di ricognizioni storiche, che arrivano fino agli archivi della Resistenza locale, fino agli archivi della vita e del tessuto culturale e sociale, che deve essere incoraggiata a interagire con il territorio, prima che arrivino le grandi catene, le grandi distribuzioni. Lo stesso schema vale per Caivano.
  Se posso dare un giudizio che va al di là del mio ruolo di Ministro della cultura, che ha il dovere di monitorare l'offerta e la presenza culturale, mi permetto di dire: prima che cosa c'era a Caivano? Tutto sommato, sapere che i cittadini di Caivano, prima di diventare cittadini del mondo, innanzitutto sono tornati cittadini di Caivano, mi sembra una buona notizia. Intendo dire che si sono riappropriati di uno spazio che, securitaria o no che sia la scelta, era stato totalmente espropriato dalla malavita organizzata. Quindi, è evidente che noi facciamo la nostra parte e vogliamo e dobbiamo farla, in sintonia e in sinergia con Palazzo Chigi e con il Ministero dell'interno, che deve giustamente soffocare ogni tipo di esproprio, da parte della malavita, dello spazio pubblico e privato dei liberi cittadini italiani. Quindi, viva il cittadino di Caivano che torna cittadino della propria comunità, per poi sentirsi contemporaneamente cittadino di Napoli, della Campania, dell'Italia, dell'Europa e del mondo. Ma si deve partire dai fondamentali: prima si vive e poi si fa filosofia.
  Il Governo secondo me – lo dico avendo assistito dall'esterno del mondo politico all'intervento su Caivano, prima di approdare al Ministero della cultura – a Caivano ha fatto qualcosa di importante. Il modello Caivano non è, a mio giudizio, soltanto quello che oggi è Caivano, ma è il concorso di forze, che ancora è destinato a dare ulteriori risultati. Infatti, ho parlato di posa della prima pietra, non ho detto che abbiamo realizzato il più grande festival di Caivano. Lo faremo, naturalmente. Ma il modello è un modello di azione. Su questo invito a riflettere tutti noi, perché funziona, ha dato prova di funzionare.
  Vorrei, adesso, ripartire da altri spunti, di cui ho preso nota. Sulle biblioteche, al di là della questione dei soldi, lo stile deve essere nuovo. Abbiamo detto che la biblioteca classica va riconfigurata e verrà riconfigurata. Mi permetto di citare, riguardo al rapporto con la Fondazione Bellonci e il Premio Strega, quanto sia importante nelle periferie fare in modo che, all'identità delle periferie, quindi ai giovani scrittori che ancora non sono grandi scrittori, ai giovani artisti che ancora non sono considerati grandi artisti, si accompagni un percorso di ricerca e di interazione. La Fondazione Bellonci, che lavora a Tor Bella Monaca e a Caivano, è la stessa fondazione che ha presentato e presenterà la premiazione del Premio Strega Poesia a L'Aquila, per esempio, che è un comune fondamentale, in zona sismica, dove io ho avuto modo di confrontarmi direttamente, vista la presenza del MAXXI L'Aquila, oltre a tutto lo sforzo fatto con il commissario straordinario Castelli. Anche quello è stato un modello di intervento, in un'area non certo periferica, ma comunque interna ed estremamente sofferente per via del sisma, in cui la presenza di un blasone come il Premio Strega e di un grande blasone museale come il MAXXI, ha costituito un motivo di attrazione affinché giovani scrittori e artisti si mettessero in gioco e trovassero un centro di gravità dove lavorare.
  Vengo da un incontro con un giovane grande artista di reputazione internazionale, con cui si discuteva di come lavorare attraverso le istituzioni, la Camera dei deputati in questo caso, tra l'altro, e il Ministero della cultura, e la risposta comune qual è stata? Ben venga tutto ciò che arricchisce un lavoro che si fa tra Napoli e Roma, in questo caso. Però, tra Napoli e Roma c'è Caivano, per l'appunto. Quindi, l'idea è quella che grandi artisti giovani, con una storia di successo non alle spalle, ma intorno a sé, che attraggono investimenti internazionali e hanno una grande reputazione, siano presenti in quelle zone, dove noi dobbiamo suturare le ferite sociali e fare in modo che anche le grandi eccellenzePag. 16 contemporanee si mettano in gioco, perché le loro arti e i loro saperi abbiano una precisa funzione sociale. Anche questo è compito, ovviamente, del nostro Ministero.
  Venendo ai divari geografici, su tale questione in parte ho dato una risposta sottolineando i 70 milioni di euro stanziati a favore dell'area del Mezzogiorno. Aggiungo che esiste un'altra unità di missione, ricompresa nel Decreto Cultura, che è relativa alla diplomazia culturale, che prevede un rafforzamento di tutto il sistema di offerta culturale euromediterranea, che parte da dove? Dalle rive del sud Italia, del Mezzogiorno. Penso all'esempio del MAXXI Med a Messina, una città potenzialmente molto dinamica, ma che ha un'offerta culturale più bassa rispetto ad altre città siciliane. L'intervento è mirato alla riqualificazione delle Torri Morandi, per esempio, di concerto con il comune, e di Villa Pace, proprio per fare rigenerazione urbana e paesaggistica in zone del Mezzogiorno dove l'offerta artistica e culturale, in senso lato, si accompagni alla presenza di libri e di persone: queste devono essere sollecitate a rafforzare la proiezione culturale italiana, con l'idea di creare corridoi culturali con il Nordafrica e, quindi, avere un'idea integrata di sviluppo culturale, in cui il Mediterraneo diventi il mare che unisce. Questo ci dà l'occasione di rafforzare la presenza nel Mezzogiorno, proprio in virtù del fatto che il Mezzogiorno è il nostro naturale punto di partenza e di dialogo con il Nordafrica. È per questo che possiamo svolgere un duplice compito. Anche sui divari geografici mi sembrano evidenti, perlomeno, le buone intenzioni e le dotazioni che stiamo mettendo a disposizione.
  All'onorevole De Palma devo una risposta sulla questione del parallelismo con le forze dell'ordine e della presenza di volontari nelle realtà che questa Commissione ha potuto monitorare. Qui, secondo me, va aperta una riflessione comune sulla possibilità che esista un servizio civile culturale, un discorso su cui deve riflettere anzitutto il Parlamento. Io mi posso limitare a dire ciò che penso. Ritengo che un servizio civile culturale abbia la grande possibilità di arricchire e potenziare l'intervento culturale del Ministero. Al tempo stesso, bisogna stare molto attenti che non diventi un elemento di concorrenza e di dumping sociale rispetto a chi già lavora nel mondo della cultura. In altri termini, non ci interessa avere marxianamente l'esercito industriale di riserva, a basso costo, ci interessa formare operatori culturali. Quindi, laddove ci fosse la possibilità che un servizio civile culturale riesca ad allungare, ad ampliare l'offerta culturale, non a essere sostitutivo o a creare concorrenza, secondo me questo può diventare una leva importante, a patto che – anche questa è responsabilità nostra, ma per fortuna è possibile realizzare cose importanti a tal riguardo – ci sia della formazione.
  La Scuola nazionale del patrimonio e delle attività culturali del Ministero della cultura, che non a caso lavorerà anche a Messina nel MAXXI Med, è un punto di riferimento importante per intrecciare tutto ciò che può essere un'offerta di servizio civile volontario e le necessarie competenze per operare in settori così delicati come quelli della cultura, in cui non vogliamo soltanto delle persone che tengano aperte delle biblioteche, anche se serviranno anche queste ovviamente: servono delle persone che aiutino a digitalizzare il patrimonio culturale, a portare i libri nelle RSA, per esempio. Servono delle energie che ci consentano di ottenere delle applicazioni tali da intrecciare le offerte culturali alle offerte sociali e sapere che, in un determinato luogo, non c'è soltanto una biblioteca, ma c'è una biblioteca intorno alla quale c'è un ospedale, un pronto soccorso. Ovviamente, servono i trasporti, è evidente. Serve che ci sia un lavoro interministeriale e un lavoro con la Conferenza unificata.
  Questa è la ragione per cui, dal nostro punto di vista, il Piano Olivetti è quello che noi siamo tenuti a fare, in un concerto di iniziative corali, che riguardano innanzitutto il Governo, ma anche il Parlamento e la Commissione di fronte alla quale sto parlando, che devono essere oggetto di un confronto, perché i decreti attuativi si scrivono meglio dopo essere stati esaminati in Commissione, ricevendo sollecitazioni, facendoPag. 17 un tavolo a geometria variabile, dove c'è la Conferenza Stato-regioni, così come può esserci il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che ha fatto dei rapporti interessanti, così come tutte le istituzioni e le associazioni, che una parte della mappatura della cosiddetta «siccità culturale» l'hanno già fatta, scrivendo cose interessanti, che poi vanno verificate sul campo.
  Penso, per esempio, all'asimmetria nella distribuzione delle biblioteche in Italia, che sono largamente concentrate in alcune regioni e quasi totalmente assenti in altre, dove si deve evidentemente propiziare la nascita di centri culturali che abbiano nel libro un punto di riferimento. Ma come? Per esempio, cercando di lavorare sullo schema delle Film Commission e, quindi, incentivare il lavoro delle regioni per degli appuntamenti pubblici, che poi sono quelli a cui si rivolgono principalmente gli scrittori per vendere i propri libri. Si sa che, al di là della grande distribuzione di Amazon, è complicato avere delle vendite anche per chi scrive che non siano accompagnate da presentazioni, da appuntamenti. Quindi, bisogna potenziare queste occasioni. Certo, il Salone del Libro di Torino è già un'esperienza di fama internazionale, ma occorre anche ragionare su schemi macroregionali in cui mettere a valore tutti gli appuntamenti e cercare di federare le forze. Questo vale anche per il mondo dell'arte. Ci avete sentito dire, infatti, che stiamo lavorando, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, per abbassare l'IVA sulle transazioni delle opere d'arte, che è una vecchia battaglia, peraltro. Non ce la siamo certo inventata noi, anzi nasce dalla Commissione cultura e dai partiti di maggioranza in particolare, ovviamente.
  Tutto questo per dire che il lavoro deve essere condiviso e che il Ministero della cultura ha il dovere di fare rapporto, di recepire le sollecitazioni, di dare delle linee di indirizzo, di cercare di spendere bene i non molti soldi a disposizione, perché i soldi a disposizione non sono molti. Ma le possibilità che si avvicinino realtà imprenditoriali sane per contribuire allo sforzo sono concrete. Sono strade da esplorare. Nelle democrazie liberali si fa così e così bisogna cercare di operare.
  Il rapporto tra turismo, centri storici, decoro e benessere delle zone non centrali è un tema fondamentale. Io resto convinto che lo schema sia quello delle città multicentriche. Si deve smettere di pensare, così come più volte abbiamo detto, che l'Africa è la banlieue dell'Europa. L'Africa è parte del nostro ecosistema euro-africano. Allo stesso modo, bisogna ragionare in termini multicentrici nelle città. È evidente che noi fatichiamo a far arrivare il turismo in zone – cito di nuovo Portoghesi – dove prevale l'abnorme quantità delle periferie. Librino, a Catania, è stato rifunzionalizzato e reso attrattivo, ma altrove questo non è stato fatto. Quindi, è necessario ragionare ribaltando lo schema e cominciando a immaginare che ogni periferia, intanto, dovrebbe essere il centro di sé stessa. Non è autarchia periferica, è proprio l'idea che la periferia cambia schema di autopercezione. Poi, occorre dialogare con il potere centrale, che sia quello del comune, che sia quello del Ministero della cultura. Per fare questo serve il paesaggista, l'architetto, l'urbanista, la politica, il sociologo, e non a caso abbiamo citato Ferrarotti. Insomma, serve cambiare e trovare modelli di riferimento e di integrazione.
  È evidente che ciò che è stato non può non essere stato, quindi non si tirano giù, a occhi chiusi, gli ecomostri abitati. Bisogna immaginare un'integrazione all'interno del paesaggio, bisogna immaginare dei percorsi di bonifica, che sono anche bonifiche paesaggistiche, naturalmente. Ma, secondo me, tutto ciò lo si può fare se si ha un'idea complessiva di come lavorare nelle periferie, che non vogliamo più chiamare periferie. Siamo d'accordo anche sulla definizione.
  Concludo, salvo altre sollecitazioni, rilevando che anche le articolazioni del Ministero della cultura sono fondamentali, e qui torno al tema delle soprintendenze, che devono avere una presenza rafforzata, devono avere dotazioni che non sempre hanno potuto avere a disposizione in termini di organico, dal momento che svolgono un lavoro fondamentale di presidio. SemplicementePag. 18 si tratta di mettere ordine, prosciugare spazi di ambiguità, dare risposte più puntuali, cercare di ridurre, come è necessario in qualsiasi spazio dell'azione pubblica, i margini di arbitrio e rendere più svelti e oggettivi il modo e il tempo delle risposte alle sollecitazioni.
  Credo che in uno stato di emergenza, che ci ha portato e ci porta ancora oggi a lavorare con molta intensità sui fondi del PNRR, le risposte che le istituzioni, compreso il Ministero della cultura, sono tenute a dare debbano essere risposte celeri e non ordinarie. Quindi, anche in questo siamo impegnati – c'è una legge delega che ci impegna a farlo – in un confronto con il Parlamento, in un confronto con i nostri e le nostre soprintendenti, per migliorare un sistema che è necessario, ma mai sufficiente, sia nelle sue articolazioni – la riforma del mio predecessore sta per arrivare a compimento – sia nelle sue funzioni più specifiche.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per questo importante confronto. Credo che siamo entrati nel merito delle varie questioni. Accettiamo l'invito e la sfida a partecipare, anche con un nostro contributo, a questi Stati Generali della Rigenerazione Urbana di fine 2025.
  Abbiamo appreso tante informazioni importanti. Mi sembra molto interessante, anche per farla conoscere ai nostri interlocutori sul territorio, questa notizia che lei ci ha dato relativa al progetto «Periferie e cultura», con già 70 milioni di euro stanziati in seno al Programma nazionale cultura. Su questo avremo modo di avere interlocuzioni per far circolare le informazioni.
  Il nostro, ovviamente, è un arrivederci, perché è tutto in divenire. Avremo modo di verificare insieme, anche nei prossimi mesi, lo stato di evoluzione dei percorsi che oggi abbiamo tracciato.
  Nel rinnovare il nostro ringraziamento al Ministro Giuli, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.