Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA FRAGILITÀ EMOTIVA E PSICOLOGICA DEI PIÙ GIOVANI ANCHE DA UN PUNTO DI VISTA NEUROPSICHIATRICO, CON FOCUS SU DEPRESSIONE, AUTOLESIONISMO, DISORDINE ALIMENTARE FINO ANCHE ALLA FORMA PIÙ GRAVE, IL SUICIDIO
Audizione, in videoconferenza, di Elisa Fazzi, professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA), e di Marco Crepaldi, psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fragilità emotiva e psicologica dei più giovani anche da un punto di vista neuropsichiatrico, con
focus
su depressione, autolesionismo, disordine alimentare fino anche alla forma più grave, il suicidio.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3
Fazzi Elisa , professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA) ... 3
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8
Crepaldi Marco , psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia ... 9
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12
Madia Maria Anna (PD-IDP) ... 12
Crepaldi Marco , psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia ... 12
Fazzi Elisa , professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA) ... 12
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 13
Allegato 1: Relazione della professoressa Elisa Fazzi ... 14
Allegato 2: Relazione del dottor Marco Crepaldi ... 55
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA
La seduta comincia alle 15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).
Audizione, in videoconferenza, di Elisa Fazzi, professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA), e di Marco Crepaldi, psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fragilità emotiva e psicologica dei più giovani anche da un punto di vista neuropsichiatrico, con focus su depressione, autolesionismo, disordine alimentare fino anche alla forma più grave, il suicidio.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fragilità emotiva e psicologica dei più giovani, anche da un punto di vista neuropsichiatrico con focus su depressione, autolesionismo, disordine alimentare fino anche alla forma più grave, il suicidio, di Elisa Fazzi, professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA), e di Marco Crepaldi, psicologo e presidente, fondatore di Hikikomori Italia.
A nome di tutti i commissari, do il benvenuto ai nostri ospiti, che ringrazio per la disponibilità ad intervenire all'odierna seduta.
Do la parola alla professoressa Elisa Fazzi.
ELISA FAZZI, professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA). Buon pomeriggio, presidente. Saluto gli onorevoli deputati e senatori presenti. Sono grata, a nome della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, di questa opportunità.
Premetto che la neuropsichiatria infantile è una branca specialistica della medicina, che si occupa dello sviluppo neuropsichico e dei suoi disturbi di tipo neurologico e psichiatrico nell'età tra 0 e 18 anni, in una prospettiva molto legata ai contesti di vita e che tiene, nell'ambito del percorso di cura, un grande legame ovviamente con la famiglia e con tutti i contesti di vita del bambino. Di che cosa parliamo? Di quali disturbi? Alcuni li ha già citati, ma devo inserirli in un contesto più ampio.
I disturbi neuropsichiatrici dell'età evolutiva sono molto frequenti. Con una stima, che raggruppa la prevalenza, di cui parlerò, dei principali disturbi di cui ci occupiamo, possiamo dire che colpiscono un bambino o un adolescente su cinque e sono una delle prime cause di disabilità long life, nel percorso della vita, di disturbi psichiatrici in età adulta.
Una diagnosi precoce e un intervento tempestivo e appropriato possono cambiarePag. 4 la storia naturale della maggior parte dei disturbi della neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza. Questo è quanto è riportato nelle linee di indirizzo sui disturbi neuropsichiatrici e neuropsichici dell'infanzia e dell'adolescenza, che sono stati approvati nell'intesa Conferenza Unificata Stato-regioni già nel 2019.
Se dobbiamo entrare più nello specifico di quali patologie parliamo, il costrutto alla base della neuropsichiatria è soprattutto rappresentato dai disturbi del neuro sviluppo. I disturbi del neuro sviluppo sono disturbi molto precoci, che insorgono dal periodo del concepimento per fattori multifattoriali, soprattutto causati da fattori genetici e ambientali. Sono disturbi che interferiscono su questo processo del neuro sviluppo che è il processo con cui il cervello, il sistema nervoso centrale, costruisce le strutture e i circuiti che sovrintendono tutte le funzioni adattive, quindi motorie, cognitive, sociali, relazionali, comunicative, di regolazione emotiva, attentive.
Un disturbo o un agente patogeno legato ad aspetti genetici, epigenetici e ambientali può interferire su questo processo e causare uno o più di questi disturbi, che spesso sono concorrenti e che poi cambiano nel corso del tempo con il procedere dello sviluppo del bambino. Abbiamo dei disturbi molto precoci, dei primi anni di vita, di cui conoscerete sicuramente i nomi, quindi parlo di autismo, la cui prevalenza in Italia, secondo l'Istituto superiore di sanità, nel 2021, è 1 su 77, con vari aspetti di gravità, l'Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD), il disturbo da deficit dell'attenzione e dell'iperattività, che è presente, secondo statistiche internazionali, variabili da Paese a Paese, tra il 3,5 e il 5 per cento dei soggetti in età scolare.
Ci sono poi disturbi specifici dell'apprendimento, disabilità intellettive, presenti nel 2 per cento della popolazione, ma esistono poi anche altri disturbi, di cui ci occupiamo, molto frequenti, che spesso si abbinano anche a disturbi del neuro sviluppo e che oggi, secondo le ultime ricerche che abbiamo anche portato al nostro congresso nazionale, che è stato un mese fa a Verona, possono essere considerati disturbi del neuro sviluppo. Sono, ad esempio, l'epilessia che, come sapete, ha una prevalenza dell'1 per cento e il 70 per cento dei casi insorgono in età evolutiva, nell'età del bambino, e poi paralisi cerebrali infantili, tra l'1,6 e il 3,3 per mille, secondo le ultimissime stime, nei Paesi occidentali.
Poi abbiamo la psicopatologia dell'adolescenza. I quadri clinici sono quelli a cui lei faceva riferimento, presidente, che raggruppano quindi tutti i casi di disturbi dell'umore, di disturbi della condotta di personalità, con condotte autolesive, e i disturbi del comportamento alimentare. Questi sono gli ambiti di cui noi ci occupiamo, in una specificità che tiene molto presente che il periodo dello sviluppo, quindi da 0 a 18 anni, è caratterizzato da fenomeni maturativi adattivi molto specifici dell'età evolutiva, che non hanno eguali nell'adulto, nel senso che nel bambino c'è un disturbo che insorge in base all'età, ma poi può anche cambiare forma, proprio seguendo le fasi di maturazione del suo sistema nervoso centrale e il ruolo che l'ambiente ha sulla strutturazione di questo disturbo.
Questo aspetto molto importante della plasticità del sistema nervoso centrale del bambino rende ragione dell'importanza, anche in positivo, perché è possibile che questi disturbi, con un ambiente favorevole e con dei fattori di resilienza, possano in qualche modo aggiustarsi e migliorare. Così come è possibile che eventi o ambienti sfavorevoli possano in qualche modo peggiorare le traiettorie.
Un altro tema importante della neuropsichiatria infantile è che abbiamo un modello assistenziale molto integrato e lavoriamo con un'équipe multidisciplinare e multiprofessionale in cui il neuropsichiatra infantile coordina le attività nell'équipe con lo psicologo, con i terapisti, gli educatori, i terapisti della riabilitazione, i terapisti della neuro psicomotricità, gli educatori, gli infermieri.
Il percorso, molto individualizzato e personalizzato, viene costruito nell'ambito della discussione delle specifiche competenze e dell'integrazione di queste competenze. In più, abbiamo un'interazione molto vasta Pag. 5sul territorio, dalle pediatrie alle psichiatrie, nell'ambito dei dipartimenti di salute mentale. Noi stessi siamo strutturati sul territorio nazionale con dei centri di primo livello, quindi molto territoriali, dei servizi. Poi abbiamo centri di secondo livello, con reparti ospedalieri, fino ad arrivare agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e ai centri di alta specializzazione.
Nell'ambito delle nostre competenze ci occupiamo anche molto di malattie rare, eredodegenerative e malattie del sistema nervoso centrale, che possono interessare tutte le competenze, anche psichiche, emotive e cognitive, del bambino.
Un altro aspetto molto interessante è che naturalmente i bisogni dei nostri utenti sono largamente inevasi, perché c'è una distribuzione e le risposte a questi disturbi sono estremamente disomogenee nelle diverse regioni.
Lo stigma e la colpevolizzazione sono spesso ancora presenti e c'è una storica assenza di investimenti in questo settore così importante per la popolazione. Tenete conto che i dati pre e post pandemici – poi entrerò più nel dettaglio e vi lascerò la documentazione – dicono che c'è stato un raddoppio degli utenti nei servizi di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza negli ultimi dieci anni, fenomeno non riscontrato in altre aree della medicina. Molte sono le carenze. Ad esempio, c'è bisogno di miglioramenti strutturali dei reparti, non sempre adeguati ad accogliere queste patologie sia neurologiche, ma anche con aree dedicate agli aspetti più psichiatrici e più acuti. Mancano, come sapete, i medici specialisti, anche se i dati della nostra scuola di specialità dicono che il 100 per cento delle nostre borse di studio viene comunque assegnato, nel senso che i giovani sono ancora interessati a fare questo lavoro.
Tenete conto che i letti di neuropsichiatria infantile sono 403 su tutto il territorio nazionale e ci sono ben cinque regioni che non hanno neanche un letto. La situazione è un po' difficile nel dare risposte ai bisogni emergenti che l'attualità e anche il post pandemia – sono iniziati già prima – ci ha messo di fronte. C'è difficoltà, quindi, a dare risposte.
Abbiamo 403 letti, ma ne servirebbero almeno 700. Il problema è che ci sono carenze di letti ospedalieri e anche di strutture terapeutiche residenziali e semiresidenziali che sono indispensabili per garantire interventi di maggiore complessità e intensità, anche per evitare l'ospedalizzazione.
C'è una scarsa risposta assistenziale sul territorio e, come vi dicevo, una disomogenea organizzazione dei servizi all'interno delle regioni italiane. Ci sono alcune regioni che hanno una buona rete di servizi, ma ci sono ad esempio, per citare quelle senza letti, Valle d'Aosta, Umbria, Abruzzo, Basilicata e Calabria che non hanno un posto letto di neuropsichiatria infantile.
Secondo stime nostre, basate anche sulle esperienze standard di letti sulla popolazione, non servirebbe un grande numero di letti. Servirebbero 300 letti in più per arrivare a 700, che ci permetterebbe di coprire almeno tutto il territorio nazionale ed evitare che, anche in urgenza, larga parte della popolazione debba convergere su servizi di terzo livello, come, ad esempio, quelli dei grandi ospedali romani o degli IRCCS che si trovano sommersi, a livello di pronto soccorso, di richieste.
Se dovessi parlare dei servizi territoriali, che sono il primo momento di ascolto e di accoglienza delle famiglie e sono quelli che possono indirizzare ai percorsi diagnostici e anche prevenire il ricorso all'ospedalizzazione, potrei darvi l'immagine dell'imbuto, nel senso che abbiamo moltissimi pazienti che si affacciano per essere presi in carico.
La nostra presa in carico spesso è molto prolungata perché li prendiamo piccoli e li dimettiamo a 18 anni nel percorso di continuità di cura con le strutture degli adulti. Questo crea un effetto imbuto, cioè molti si affacciano alle cure, ma pochi escono.
L'altra difficoltà dei servizi territoriali è che per la carenza di risorse non riusciamo a dare quei trattamenti ad alta intensità, molto precoci, che spesso, come le neuroscienze ci dicono, sono indispensabili per Pag. 6modificare le traiettorie evolutive e migliorare la prognosi.
I servizi sono gravemente sottodimensionati per quantità e tipologia di personale, disomogenei, non in grado di garantire risposte terapeutiche e riabilitative appropriate ai bisogni. Come dicevo, sono carenti poi le risorse intensive semiresidenziali e residenziali.
Sulla formazione ho già detto. Gli specialisti in neuropsichiatria sono in numero insufficiente per coprire i bisogni. Molto è stato fatto perché negli ultimi anni sono aumentati i posti. Nel 2018 ne avevamo 99 in specialità per tutta Italia, 283 nel 2022, 212 nel 2023 e 217 nel 2024, ma non è ancora sufficiente. Inoltre, la neuropsichiatria non viene considerata tra le specialità indispensabili. Anche a livello ospedaliero, non viene considerata una specialità ad alta intensità di cure come le psichiatrie, che hanno diritto a una maggiore numerosità di personale e anche un numero maggiore di ore di presenza infermieristica, perché, con l'alta intensità, il paziente avrebbe diritto a 240 minuti al giorno di presenza di un infermiere in reparto e così di una numerosità di medici maggiore. Invece, siamo ancora considerati a media intensità, cosa che, con l'evoluzione della patologia su cui adesso concludiamo il focus, è resa assolutamente necessaria.
Come vi ho detto, le borse di specializzazione in realtà vanno assegnate, quindi non siamo una di quelle specialità vuote. Come dicevo, esistono giovani che ancora sono interessati ad avvicinarsi alla disciplina, quindi un aumento delle borse, anche per garantire il turnover e la copertura, soprattutto, delle zone periferiche del Paese che hanno difficoltà, sarebbe quantomai auspicato.
Un altro punto su cui mi focalizzo riguarda la letteratura ed è un concetto che vorrei proporvi. Molto spesso sui giornali si legge che la patologia psichiatrica dell'adulto incomincia a 14 anni o prima dei 14 anni. La letteratura dice che incomincia molto prima. Ci sono dei dati che dimostrano che, ad esempio, l'ADHD, i disturbi d'ansia, i disturbi dell'umore iniziano molto prima dell'adolescenza, proprio nei primi anni di vita, magari esprimendosi con disturbi diversi: un disturbo della regolazione, un disturbo da deficit di attenzione per attività, che poi evolve, magari, verso una patologia più di tipo depressivo bipolare in età adulta. Quello dei 14 anni è il periodo dell'adolescenza in cui sorgono i problemi più gravi, tipo le schizofrenie, le psicosi, ma per tutti i disturbi che a volte sono l'evoluzione di un disturbo del neurosviluppo l'insorgenza avviene molto prima, nei primi anni di vita.
È importante, per noi, tra l'altro, tornare nell'area omogenea pediatrica, tenendo anche conto delle specificità dell'infanzia e dell'adolescenza, poter garantire la formazione permanente. Un altro tema è che stiamo aspettando, perché non lo abbiamo, ma ci dicono che è quasi pronto, un sistema informativo nazionale. È molto difficile raccogliere dati, statistiche e numeri che consentano di monitorare il fenomeno. Spesso abbiamo esperienze di grandi centri, di studi di coorti di grandi ospedali, ma è difficile ancora per noi avere un dato epidemiologico che ci dia il polso della realtà di tutto il Paese.
Mi sono permessa di fornire alla Commissione due contributi, se possono interessarvi, che sono tra i più recenti, a cui abbiamo contribuito come neuropsichiatria infantile. Uno è un articolo uscito quest'anno su JAMA Network Open, una prestigiosa rivista internazionale, che un gruppo collaborativo di neuropsichiatri infantili, che raccoglie nove ospedali italiani che fanno pronto soccorso di neuropsichiatria infantile, hanno contribuito a realizzare raccogliendo tutte le visite neurologiche e psichiatriche che sono avvenute negli anni dal 2018 al 2021. È un gruppo collaborativo coordinato dal gruppo di Torino – il professor Vitiello con Chiara Davico – a cui hanno aderito gli ospedali La Sapienza di Roma, il Bambin Gesù, l'Istituto Gaslini di Genova, quelli di Firenze, Cagliari, Brescia, Sassari, Trieste, Torino – quindi tutti grandi ospedali – sia IRCCS che grandi ospedali territoriali, che hanno il pronto soccorso di neuropsichiatria infantile.
È uno studio di coorte, come vi dicevo, non ci dà l'epidemiologia vera. Molti di Pag. 7questi ospedali ricevono pazienti da varie regioni d'Italia, quindi ricevono una concentrazione di pazienti che vengono da territori geograficamente lontani. È uno studio, però, che, pur essendo di coorte, ha molto rilievo perché riguarda 24.878 visite urgenti di neuropsichiatria infantile che sono state fatte negli ospedali nel periodo dal 2018 al 2021, quindi nel periodo pre-Covid, nel periodo Covid e in quello appena dopo, verso la fine del Covid. Mentre le visite neurologiche urgenti sono aumentate, sicuramente c'è un aumento molto significativo dal 2018 al 2021 delle visite di tipo psichiatrico.
Come lei accennava, nell'ambito dei motivi di accesso – questa è solo una valutazione delle urgenze – una delle cause più frequenti è l'agitazione psicomotoria, che è origine del 33 per cento dei motivi di consulenza, seguita dall'ansia (16,1 per cento), dai disturbi della condotta alimentare (10,4 per cento), dall'ideazione suicidaria e tentativi di suicidio (entrambi intorno all'8,8-8,6 per cento).
Come sapete, nell'ambito della suicidalità noi consideriamo sia l'ideazione, cioè il ragazzo che pensa al suicidio, sia il tentativo, cioè il mettere in atto un agito per togliersi la vita, e poi il suicidio. Sul suicidio vi sottolineo che non abbiamo dati, neanche dell'ISTAT. Il nostro polso è che pochi riescono, per fortuna, a mettere in atto il loro intento, però sul suicidio abbiamo molta difficoltà ad avere dati nazionali, anche perché spesso le cause di morte non vengono segnalate come suicidio, ma possono essere cause accidentali, legate al trauma.
Ci siamo ritrovati il 10 settembre, che era la Giornata della prevenzione del suicidio, con un gruppo di colleghi al Bambin Gesù, insieme al professor Vicari, al professor Vitiello, al professor Mazzone, vari colleghi che si occupano di questi temi, e concordavamo sulla difficoltà ad avere dei dati. Ciò che arriva nei nostri reparti sono le ideazioni suicidarie, le pianificazioni, cioè quando l'ideazione diventa anche un progetto, quindi è più strutturata, e i tentativi. Questi tre aspetti sono diversi dall'ambito degli agiti autolesivi, che vengono considerati a parte. Sicuramente una cronicità, un'intensità e una persistenza di tanti agiti autolesivi può aumentare la frequenza di passaggio o di ideazione suicidaria, però non sono la stessa cosa e non è immediata l'equivalenza.
Quelli citati sono alcuni dati di questo studio che segnalano sicuramente un aumento.
L'altro studio, che è in italiano, quindi può essere anche di più facile accesso, che ho depositato agli atti della Commissione, se fosse d'interesse, ve lo presento, è relativo alla Lombardia, ma è epidemiologico. È uno dei primi studi epidemiologici che siamo riusciti a fare partendo dai flussi sanitari e raccogliendo tutti gli utenti che hanno avuto un contatto con un servizio di neuropsichiatria su tutta la regione lombarda, raccogliendo l'ambulatoriale, le dimissioni ospedaliere, la farmaceutica, la residenzialità terapeutica, insomma i dati di tutti gli utenti da zero a 18 anni che hanno avuto accesso ai servizi di neuropsichiatria infantile dal 2016 al 2022. Questo è uno studio veramente epidemiologico, che abbiamo condotto attraverso un bando della Fondazione Cariplo, che è a disposizione di tutti.
I dati ricalcano un po' quelli dello studio di coorte multicentrico dell'urgenza, ma, ad esempio, ci dicono che in Lombardia, su 253 mila utenti attesi, in base a quelle prevalenze di patologie che ho espresso all'inizio del mio intervento, uno su due accede ai servizi. Quindi, c'è anche un problema di difficoltà a reperirli tutti.
L'altro tema molto interessante di questo lavoro è che fa vedere che il numero globale di utenti nel periodo 2016-2022 non è aumentato in numero assoluto. Anche perché l'aumento lo abbiamo già visto anche nel 2016. Sono dieci anni che vediamo un aumento degli utenti dei nostri servizi. Quelli che sono aumentati in modo particolare sono i codici rossi e i codici gialli, come a dire che in questi ultimi anni, soprattutto nel periodo Covid, quelli con meno problemi non impegnavano le strutture mediche. Sono aumentati moltissimo i codici rossi e i gialli, che sono i codici gravi. Questi codici, aumentati del 61 per cento Pag. 8dal 2016, sono soprattutto a carico dei casi psichiatrici; anche dei casi neurologici (+ 24 per cento), ma soprattutto dei casi psichiatrici, che sono più complessi e che hanno anche una durata di degenza molto elevata. Questo spiega la saturazione dei reparti, che spesso non hanno un turnover rapido proprio perché i casi complessi molte volte non possono essere dimessi, c'è carenza di strutture residenziali terapeutiche e semiresidenziali che li accolgano. A volte ci sono problemi per cui non si riesce a fare un progetto in tempi rapidi per poter riabilitare e rimandare a casa il ragazzo in sicurezza, soprattutto nei confronti di agiti autolesivi o di ideazioni suicidarie gravi.
Un altro aspetto molto significativo – e mi avvio alla conclusione – che vi volevo presentare riguarda la prevalenza del sesso femminile. Tutti i nostri dati, che potete vedere in questo dossier, dimostrano un aumento più marcato nel sesso femminile. Quindi, l'aumento degli accessi è più a carico del sesso femminile: le ragazze chiedono più aiuto, c'è sicuramente il tema dei disturbi del comportamento alimentare. È un dato che dobbiamo scorporare, analizzare e cercare di comprendere, però è un dato molto significativo.
Anche per quanto riguarda i soggetti con comportamento suicidario, sicuramente l'aumento vi è soprattutto tra i 14 e i 18 anni, però c'è un picco di aumento anche tra gli 11 e i 13 anni, quindi anche nella preadolescenza, caratterizzata da una impulsività che, a volte, non permette di prevedere e rende più rischioso il passaggio all'atto, anche se non c'è una vera volontà. È un tema legato alla caratteristica del cervello del preadolescente, che lo differenzia da quello dell'adulto, che può comportare un elemento di rischio aggiuntivo.
Riassumendo, in conclusione, c'è un incremento marcato e trasversale degli accessi per disturbi di neuropsichiatria infantile, più evidente per i disturbi psichiatrici; c'è una progressiva maggiore complessità delle situazioni cliniche, più complesse e più gravi; ci sono criticità nella continuità e nell'intensità di cure; c'è il tema della saturazione del sistema e della disomogeneità marcata su tutto il territorio nazionale delle offerte di aiuto. La diminuzione degli accessi, anche durante il Covid, è stata meno marcata di quello che si poteva pensare, intanto perché molti ospedali sono andati avanti a lavorare, soprattutto in urgenza. Sono state interessanti sicuramente le strategie di telemedicina e di assistenza alternativa che abbiamo potuto mettere in campo per continuare il dialogo con i nostri utenti, però sicuramente la disomogeneità nei diversi territori è aumentata.
Per quanto riguarda l'epoca post pandemica, sottolineo il marcato aumento degli accessi delle femmine e degli adolescenti per comportamenti suicidari e l'aumento della complessità. Siccome nei reparti di neuropsichiatria spesso non si trova posto, i nostri pazienti vanno in reparti non appropriati, per adulti o in reparti di psichiatria, meno in pediatria. Questo crea un problema, ma l'aumento e la saturazione del sistema non ci permettono, per i motivi che vi ho detto, di avere un turnover efficace. La carenza dei posti letto fa il resto.
Un altro aspetto da segnalare è che da questo lavoro – non ve l'ho presentato in particolare, ma lo troverete – si è visto che l'attività ambulatoriale e un potenziamento dei territori hanno un effetto protettivo sull'accesso al pronto soccorso. Alcuni degli utenti che erano venuti da noi erano già stati in contatto con i servizi territoriali: questo contatto riduce la frequenza e l'accesso al pronto soccorso per ricoveri urgenti, a cui magari si fa fatica a far fronte.
Ho cercato di presentarvi luci e ombre. La speranza è che vi sia un miglioramento dell'offerta. Credo che molto possa essere fatto per migliorare la traiettoria evolutiva e l'evoluzione di questi bambini. Certo, la precocità e l'azione sul periodo del neurosviluppo diventa fondamentale.
Mi scuso se ho portato via troppo tempo e ringrazio dell'ascolto.
PRESIDENTE. Grazie, professoressa. La prego di rimanere con noi perché, al termine dell'intervento del dottor Marco Crepaldi, a cui do la parola, vi saranno interventi dei nostri commissari anche indirizzati nei suoi confronti.
Do la parola al dottor Marco Crepaldi.
MARCO CREPALDI, psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia. Grazie innanzitutto per l'invito.
Oggi vi parlerò di un tema che riteniamo essere molto sottovalutato. Dico riteniamo perché oggi qui rappresento due associazioni, l'Hikikomori Italia, che è un'associazione di professionisti, psicologi in particolare, che collabora con tanti psicologi in tutta Italia, e l'associazione Hikikomori Italia Genitori, che raccoglie centinaia, se non migliaia di genitori – questo potenzialmente è il nostro bacino di utenza – che sono contraddistinti dall'avere un figlio o una figlia in isolamento sociale.
Il termine «hikikomori» viene dal Giappone e significa letteralmente «isolamento sociale». È una forma di isolamento sociale particolare, però, che lo rende molto difficile da affrontare sia per le famiglie sia per chi ne soffre, ovvero ha una componente volontaria. Questi ragazzi e queste ragazze che si isolano sono soprattutto persone – poi vedremo perché – che non vogliono aiuto, non cercano aiuto e non lo accettano nel momento in cui viene loro proposto dalle famiglie o dalla stessa sanità, perché il loro isolamento viene vissuto come una scelta, la scelta di non voler far parte di questa società, di rifiutare in primis le uscite con gli amici o la pratica di attività sportive. Successivamente a questa prima fase di rifiuto di tutte le attività extrascolastiche, purtroppo questi ragazzi arrivano ad abbandonare anche la scuola. Infatti, una dell'età più critiche per il ritiro sociale volontario è la transizione tra le varie scuole, in particolare tra la scuola secondaria di primo grado e quella secondaria di secondo grado.
Mediamente l'età intorno ai quindici anni, secondo i nostri studi interni, è l'età più critica, l'età in cui molti ragazzi scappano dalla scuola, scappano da tutti, spesso anche dai genitori e si chiudono all'interno della propria camera da letto. Qui, ovviamente, il rischio è che il problema si cronicizzi e si patologizzi. Dico questo perché in una fase iniziale l'hikikomori non sembra essere propriamente un disturbo che potremmo definire di tipo psichiatrico o anche un disturbo – passatemi il termine – grave, ma è un disagio che il ragazzo vive soprattutto da un punto di vista sociale e relazionale, quindi una difficoltà a integrarsi, a fare amicizia con i compagni, a riuscire ad avere una rete sociale attiva, e questo disagio lo spinge pian piano ai margini.
Si tratta spesso anche di storie che hanno dietro casi di bullismo. Purtroppo, in questi giorni, abbiamo sentito la notizia di un ragazzo di quindici anni di Senigallia che ha deciso di togliersi la vita in seguito a presunti casi di bullismo. Nei casi di hikikomori magari non si arriva immediatamente a togliersi la vita, come diceva la professoressa Fazzi, perché c'è un'ideazione suicidaria ma non c'è in una fase iniziale il comportamento suicidario. Tuttavia, il comportamento suicidario viene sostituito in qualche modo da un comportamento di ritiro, quindi il ragazzo o la ragazza non si fa del male fisicamente, ma si fa del male socialmente. Si chiude in casa. Ma non si chiude in casa perché sta bene in casa. Attenzione, non dobbiamo confondere l'elemento volontario dell'hikikomori come un elemento di gioia e di piacere nell'isolamento. Il ragazzo, ovviamente, sta meglio quando sta da solo, ma non sta bene. Continua ad avere forti ansie legate al rapporto con gli altri. Infatti, la causa madre dell'isolamento sociale volontario può essere identificata proprio nell'ansia sociale, nella vergogna di essere giudicati negativamente, nel fatto di non sentirsi come gli altri. C'è anche una correlazione tra hikikomori e sindromi da alto funzionamento, quindi forme di autismo, che possono essere considerate predisponenti rispetto all'isolamento sociale.
Non solo, l'hikikomori, ovvero il ritiro sociale volontario, riguarda tutti coloro che in qualche modo si sentono diversi, che si sentono respinti, che subiscono pressioni, talvolta atti di bullismo. Queste pressioni possono arrivare anche dagli stessi genitori. Infatti, spesso questi ragazzi sentono che i genitori hanno alte aspettative su di loro e per questo scappano talvolta dalle famiglie. Ovviamente, la famiglia può avere un ruolo in alcuni casi molto impattante, in altri meno, ma è un dato chiaro che questi Pag. 10ragazzi quasi sempre hanno un rapporto conflittuale con i genitori.
Sono ragazzi adolescenti nella maggior parte dei casi, per cui la conflittualità con i genitori è anche giusta, corretta, però la conflittualità degli hikikomori talvolta arriva veramente a livelli estremi. Può arrivare anche a una violenza fisica vera e propria. Il problema è che i genitori non si rendono conto di essere delle antenne che trasmettono in qualche modo l'ansia della società e che rimbalzano le aspettative che arrivano nel confronto con i coetanei o nel rapporto con gli insegnanti. Quindi, questi genitori inconsapevolmente fanno fuggire i figli anche da loro e non sanno perché, non sanno perché questi ragazzi non vogliono più parlare con loro, fino ad arrivare anche a casi gravissimi in cui i genitori – io ne ho conosciuti diversi purtroppo – non vedono i figli per anni, chiusi nel loro isolamento. Ci sono questi ragazzi minorenni o appena maggiorenni che rimangono chiusi nella propria camera da letto, senza incrociare i genitori potenzialmente per anni.
Inizialmente questi casi in Giappone erano considerati come psichiatrici, perché ovviamente questo isolamento estremo veniva scambiato, inevitabilmente, come un sintomo di un disturbo psichiatrico. Successivamente ci si è resi conto che, seppur possano esserci casi psichiatrici, nella stragrande maggioranza dei casi il ritiro sociale volontario non ha una base legata a una patologia psichiatrica, come può essere la schizofrenia, ma a un disturbo di tipo adattivo, quindi una difficoltà del ragazzo ad adattarsi. Ma questa difficoltà diventa talmente estrema, se non supportata dalla scuola, dalla famiglia e in generale dall'intero sistema sociale, che questi ragazzi cronicizzano il proprio isolamento, fino a renderlo potenzialmente irreversibile. Infatti, l'isolamento dell'hikikomori purtroppo – lo sappiamo perché in Giappone di casi over 40 ce ne sono tanti – non ha una fine stabilita, anzi più passa il tempo e più diventa difficile renderlo reversibile, supportarlo.
In Italia abbiamo già alcuni dati relativi a questo fenomeno. L'Istituto Superiore di Sanità ha certificato che, solo nella fascia degli studenti delle scuole secondarie, ci sono circa 60.000 casi, ma casi che continuano a frequentare la scuola, quindi casi che noi definiamo essere in fase uno, ovvero nella fase pre-abbandono scolastico, che è una fase delicata, certo, ma meno grave della maggior parte dei ragazzi che intercettiamo grazie alla nostra associazione, che sono ragazzi che hanno già abbandonato la scuola, spesso anche più grandi, tra i venti e i trent'anni, o addirittura di più, ragazzi, uomini e donne che sono isolati magari da cinque, dieci o più anni, e sono purtroppo persone che, se non aiutiamo nelle prime fasi del ritiro – il che vuol dire anche i primi anni – non riusciamo più a recuperare e rischiamo che si patologizzino, fino a sviluppare non solo ideazioni suicidarie, ma anche comportamenti e concretizzazioni suicidarie, oltre che un inasprimento dell'isolamento.
Arrivo, dunque, al tema tecnologico. D'altronde, immagino che qualcuno se lo stia chiedendo: c'è un ruolo tra l'isolamento sociale e internet? Sicuramente internet viene abusato da questi ragazzi, perché spesso si trovano chiusi in camera per fuggire da tutti a causa dell'ansia sociale, quindi la rete diventa per loro un modo per affacciarsi al mondo, per non perdere il contatto con la società. Però, sarebbe un grave errore considerare internet, gli smartphone e i videogiochi la causa diretta di questo problema. Sicuramente hanno un'influenza, soprattutto i social. Lo sappiamo bene: gli studi scientifici hanno messo in evidenza che i social generano un aumento dell'ansia sociale, dato da un aumento del confronto sociale, ovvero dal fatto che le persone, guardando i social, continuano a confrontarsi con altre persone e spesso chi è più fragile questo confronto lo vive come una condanna, un giudizio, una sensazione di inadeguatezza.
I social, quindi, possono contribuire e i videogiochi possono inasprire l'isolamento, ma la causa è più di natura sociale e va individuata in particolare in tre elementi. Il primo elemento è sicuramente l'aumento della competizione che stiamo vivendo in tutte le società del mondo, in particolare in Giappone, che è caratterizzato da una societàPag. 11 iper-competitiva, ma anche in Italia, che, facendo parte delle società più evolute, si contraddistingue per una competizione interna elevata per riuscire ad arrivare ai ruoli più importanti, per riuscire ad avere successo in generale.
La seconda dinamica che favorisce l'hikikomori è la dinamica familiare. Avere pochi figli – in questo caso la denatalità ha un ruolo importante – fa sì che questi figli vengano maggiormente protetti e questa iper-protezione da parte dei genitori spesso non favorisce il normale e fisiologico sviluppo dei ragazzi dall'età adolescenziale all'età adulta. Da un punto di vista clinico, l'hikikomori può essere considerato come una sorta di eterna adolescenza, quindi un'incapacità del giovane di transitare dall'età adolescenziale a quella adulta. Non solo, questi ragazzi, oltre a essere protetti, spesso sono anche pressati. Avere pochi figli comporta anche un maggiore investimento, una maggiore aspettativa da parte dei genitori nei loro confronti e, quindi, una maggiore paura di fallire da parte di questi ragazzi, soprattutto se hanno genitori che hanno avuto successo nella vita. Infatti, l'hikikomori spesso non fa parte di famiglie poco abbienti, ma fa parte di famiglie con genitori altamente scolarizzati, laureati, magari professionisti, che, inconsapevolmente, generano nei figli questo tipo di aspettative.
La terza grande causa è legata sicuramente al fattore scolastico. Questi ragazzi abbandonano la scuola e spesso hanno una repulsione nei confronti della scuola. La scuola oggi non funziona dal punto di vista della tutela dei ragazzi più fragili, perché i ragazzi più insicuri e più timidi sono vittime di bullismo, che si sta trasformando da bullismo fisico, come accadeva spesso in passato, a un bullismo sempre più psicologico, sottile, anche difficile da vedere per un insegnante, che magari è impegnato a insegnare la propria materia. Quindi, anche l'insegnante più virtuoso difficilmente si accorgerà delle dinamiche di bullismo. Servono figure preparate, ad hoc, psicologi verosimilmente, che possano entrare all'interno delle classi e monitorarne le dinamiche di potere, in modo tale da evidenziare eventuali ragazzi vittime di bullismo e supportarli in tal senso. Inoltre, le scuole devono essere pronte ad attivare anche piani didattici personalizzati, perché, in alcuni casi, questi ragazzi non riescono più a frequentare l'aula, ma vogliono continuare a studiare, e in quel caso noi dobbiamo essere pronti a offrirgli un'alternativa.
In diverse scuole, in modo del tutto autonomo e virtuoso, si stanno già sperimentando spazi protetti dove questi ragazzi possono continuare a frequentare, magari momentaneamente, senza entrare in aula. Ovviamente non è una situazione ideale, ma è molto meglio che lasciare questi ragazzi a casa, totalmente a carico delle famiglie. Purtroppo, a volte, le scuole indirizzano alle famiglie richieste di ritiro finalizzate proprio a togliersi la «patata bollente», cosa che non ci possiamo permettere come scuola pubblica.
Concludo dicendo che oggi questi «ritirati sociali» in Italia sono verosimilmente tra i 100 mila e i 200 mila, con un impatto sociale che coinvolge quasi mezzo milione di persone, se pensiamo che per ogni ritirato c'è una famiglia che soffre, ci sono genitori che non sanno cosa fare e che sono disperati. Come associazione abbiamo gruppi di auto-mutuo-aiuto in tutta Italia e questi gruppi si dedicano soprattutto ai genitori, perché sono i genitori che chiedono aiuto, prima ancora dei ragazzi.
Parlo tendenzialmente di ragazzi, in quanto nella maggior parte dei casi sono maschi. Il 70-80 per cento dei ragazzi isolati più gravi, quelli isolati da oltre sei mesi, un anno, sono uomini. Questo è un problema indubbiamente legato al ruolo di genere maschile, vale a dire al fatto che gli uomini fanno più fatica a manifestare un problema di tipo emotivo, sono più chiusi, sono restii ad ammettere di avere un problema e, di conseguenza, a chiedere aiuto. Quindi, dobbiamo lavorare anche sul ruolo di genere, aiutando i ragazzi a capire che, se hanno un problema o una sofferenza, possono tranquillamente parlarne. Il rischio contrario, invece, è che si sviluppi sempre più un narcisismo sociale che porti soprattutto gli uomini a tenersi tutti i problemi dentro e a finire per implodere, Pag. 12facendosi del male oppure rinchiudendosi nella propria camera e rifugiandosi in un mondo on-line, che sicuramente non li aiuta a stare meglio.
Ho voluto fare una panoramica del fenomeno hikikomori. Chiaramente avrei tante altre cose da dire, ma non voglio rubarvi troppo tempo. Quindi, se avete domande, sono a vostra disposizione. Vi ringrazio ancora per l'ascolto.
PRESIDENTE. Grazie, dottor Crepaldi.
Do la parola ai colleghi parlamentari che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARIA ANNA MADIA. Ringrazio la professoressa Fazzi e il dottor Crepaldi. Vorrei approfondire un aspetto, che peraltro il dottor Crepaldi ha affrontato, che è quello della relazione tra un uso incontrollato e forse prematuro di alcuni luoghi digitali, come i social o come alcuni luoghi della rete, e tutte le problematiche di cui ci avete parlato. A me pare di aver capito dal dottor Crepaldi che nel caso dell'hikikomori o comunque di fenomeni di autolesionismo, lui consideri che vi sia non un nesso di causalità, ma comunque una correlazione.
Mi piacerebbe conoscere il punto di vista della professoressa Fazzi e chiedervi se ritenete che una regolazione almeno sulla verifica dell'età di chi sta sui social e su internet possa essere – non dico ovviamente la risoluzione dei problemi che ci avete molto bene descritto – ma un tassello positivo di un mosaico più complesso. Grazie.
MARCO CREPALDI, psicologo e presidente fondatore di Hikikomori Italia. La domanda è molto pertinente. Effettivamente la correlazione tra un aumento del digitale e un aumento dell'isolamento sociale sembra esistere, nel senso che internet comunque attira questi ragazzi dentro la camera, quindi alimenta un po' il loro desiderio di solitudine, che magari inizialmente è un desiderio, quindi è vissuto come una volontà, ma poi nel tempo diventa una costrizione.
Capita spesso che un ragazzo si isoli, attirato magari anche in parte dalle nuove tecnologie, ma soprattutto spinto dall'ansia sociale e quindi dalla difficoltà di legare con gli altri, e poi magari ne diventi dipendente, diventi dipendente appunto dai videogiochi, ma anche e soprattutto dal materiale pornografico, che è uno dei temi attuali. In questi giorni ho letto anch'io la notizia per cui si vuole verificare l'età per coloro che accedono ai siti pornografici. Sicuramente, sia per l'accesso ai siti pornografici che per l'accesso ai social, che spesso sono veicolo anche di materiale pornografico, la verifica dell'età sarebbe d'obbligo.
Il mio timore è che sia impossibile. La mia paura è che impostando per esempio l'utilizzo dello SPID per accedere a dei siti porno o anche a dei social probabilmente quel social cesserà non dico di esistere, ma comunque avrà un calo di utenti drastico, a favore magari di altri siti e di altri social che invece questo tipo di sistema non lo hanno. Questa è una mia paura, però, in potenza, se si trovasse un metodo efficace, sicuramente sarebbe auspicabile limitare l'accesso a determinati siti, quanto meno in generale a internet, ai minori.
ELISA FAZZI, professoressa ordinaria di neuropsichiatria infantile presso l'Università degli Studi di Brescia e presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (SINPIA). Sicuramente sono tutte considerazioni su cui possiamo convergere, però il tema è anche quello che, come tutti i mezzi del futuro, forse l'aspetto più significativo sarebbe davvero imparare ad addomesticare questi strumenti e anche usarli più in un'ottica educativa. Non so quanto sarebbe utile un divieto totale o se ci sia la possibilità di arginare questo fenomeno.
Sul discorso dell'isolamento, è vero che da un lato il ragazzo isolato si chiude in camera per navigare su internet, ma è anche vero che per tanti di loro, anche durante la pandemia, è stato un mezzo per poter comunicare e per poter andare a scuola. Secondo me, il tema è questo: arroccarsi sulla demonizzazione di questi nuovi strumenti, che ormai fanno parte Pag. 13della nostra vita, diventa un po' difficile, mentre bisognerebbe promuovere un percorso di responsabilizzazione dell'adulto e di educazione all'uso fin dalla prima età, naturalmente riducendone appunto l'uso con determinate regole. Esistono determinate regole che, anche nell'ambito della pediatria, suggeriamo, ad esempio non usare questi strumenti prima del sonno, non usarli per più di tot ore e via dicendo. Insomma, si possono costruire delle indicazioni.
Il tema vero è recuperare il senso della relazione, che quindi permette anche al ragazzo di poter parlare in famiglia con i genitori e di non doversi chiudere su internet per ore a guardare o a cercare lì risposte o contatti che genitori premurosi, ma magari troppo affaccendati o con il timore di vedere il disagio del figlio, non riescono a dare.
L'altra cosa è promuovere un uso responsabile e quindi aiutare i genitori e gli insegnanti ad insegnare a questi ragazzi come usare questi strumenti, che hanno anche aspetti ovviamente positivi, e come difendersi da quelli che sono i pericoli. Credo che la strada dell'addomesticare, dell'educare e del trovare il modo adeguato sia alla fine la più vincente.
PRESIDENTE. Grazie davvero ad entrambi per i vostri interventi, che si pongono all'inizio di questa indagine conoscitiva a cui ci siamo rivolti, come commissari, perché troviamo che si tratti di un tema quanto mai, purtroppo, attuale ed importante.
Ringrazio i nostri ospiti per la loro partecipazione alla seduta odierna e i colleghi presenti e quelli collegati in videoconferenza.
Dispongo che la documentazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.50.
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