XIX Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Giovedì 14 marzo 2024
Bozza non corretta

INDICE

Pubblicità dei lavori:
Bagnai Alberto , Presidente ... 2 

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, del presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop), Mauro Marè:
Bagnai Alberto , Presidente ... 2 
Marè Mauro , Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop) ... 3 
Camusso Susanna Lina Giulia  ... 8 
Marè Mauro , Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop) ... 8 
Bagnai Alberto , Presidente ... 13 
Lovecchio Giorgio (M5S)  ... 13 
Magni Tino  ... 14 
Furlan Annamaria  ... 15 
Camusso Susanna Lina Giulia  ... 17 
Bagnai Alberto , Presidente ... 19 
Marè Mauro , Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop) ... 21 
Bagnai Alberto , Presidente ... 29 

ALLEGATO: Gli investimenti degli investitori previdenziali nell'economia reale ... 30

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO BAGNAI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, del presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop), Mauro Marè.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, del presidente della società per lo sviluppo del Mercato dei fondi pensione (Mefop), professor Mauro Marè, che ringrazio per la disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione.
  Ricordo che il Mefop è una società partecipata, istituita nel 1999 dal Ministero dell'economia e delle finanze al fine di favorire lo sviluppo dei fondi pensionistici e delle altre forme di previdenza, e ha per oggetto sociale l'attività di formazione, Pag. 3studio, assistenza e promozione in materie attinenti alla previdenza complementare di cui al decreto legislativo n. 252 del 2005 e a settori affini, incluse le altre forme di previdenza. Quindi, è un osservatorio privilegiato dei fenomeni che qui interessano.
  Con grande curiosità e gratitudine per la disponibilità, do la parola al professor Marè per lo svolgimento della sua relazione.

  MAURO MARÈ, Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop). Grazie, presidente. Grazie, onorevoli senatori e deputati.
  Nel decidere di che cosa parlarvi – poco, state tranquilli, a volte si tende a parlare tanto, invece bisogna parlare poco, se uno ha da dire qualcosa la si dice rapidamente – ho pensato, avvalendomi dell'ausilio di alcune slide, che svolgerò rapidamente, di focalizzarmi su alcuni argomenti in particolare, cassa di previdenza, welfare e fondi pensione. Ci sarebbero stati anche i fondi sanitari, ma a questo tema dedicheremo un'altra puntata.
  L'argomento oggetto della discussione riguarda gli investimenti nell'economia italiana. Gli investitori istituzionali negli altri Paesi hanno dimensioni diverse dalla nostra, ossia pesano molto di più, non il 10-15 per cento, pesano il 100 per cento del PIL, ma hanno un home bias (come si dice in gergo tecnico) una preferenza per il mercato nazionale molto maggiore della nostra. Le ragioni sono tante. Allora, vi ho portato alcuni dati, che sono quelli comuni, nel tentativo di capire perché questo succede e se qualcosa si può fare.
  In questa prima slide vedete le risorse destinate alle prestazioni, dati Covip: il totale delle risorse destinate alle prestazioni (in realtà è il patrimonio dei fondi pensione) era un po' sceso nel 2021, perché il 2021 era andata male – non so se vi ricordate i tassi d'interesse – quindi i rendimenti erano stati Pag. 4negativi, per cui troviamo 205 miliardi di euro, mentre nel 2023 sono risaliti, attestandosi intorno a 210-212 miliardi di euro. Quindi, non sono pochi soldi. Questo per tutti i tipi di fondi pensione, negoziali, aperti, preesistenti e piano individuale pensionistico (PIP). Quindi, nel 2023 tutti i fondi fanno 210-215 miliardi di euro.
  Nella slide successiva vedete che con 200 non facciamo neanche il 10 per cento del PIL, un po' meno del 9 per cento del PIL. Questo è un confronto rapido tra dati Banca mondiale e dati OCSE che mostra il peso del patrimonio fondi pensione rispetto al PIL negli altri Paesi. Non possiamo competere con Olanda, Svizzera, Canada o Australia, che vedete hanno 150, 160 o 130. Gli investitori istituzionali nei fondi pensione hanno un patrimonio una volta e mezzo il PIL del Paese (l'ultima colonna a destra). Finlandia e Regno Unito hanno percentuali molto elevate. L'Italia sta andando meglio, arriva al 10,28 per cento, ma non supera la Francia. Ma la Francia ha tutto un sistema particolare, su cui adesso non intendo soffermarmi. Insomma, tra i diversi Paesi l'Italia ha un valore del patrimonio più basso. Anzi, abbiamo fatto grossi progressi negli ultimi dieci anni.
  Ciò che avete visto finora sono i fondi pensione, negoziali, aperti, PIP, preesistenti (quei fondi di tipo datoriale o occupazionale che esistevano già prima del 1996). Questi, invece, sono i pesi delle diverse casse. Come vedete, la Cassa dei medici, so che avete audito il presidente Oliveti dell'Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (ENPAM), ha circa 27 miliardi di euro, è quella più alta, e poi via via tutte le altre. Tutto questo – lo vediamo tra un attimo – fa una cosa intorno ai 105 miliardi di euro. Quindi, oltre ai 210 miliardi di euro dei fondi pensione, noi abbiamo altri 100 miliardi di euro delle casse di previdenza. Vi ricordo che le casse di previdenza sono le casse Pag. 5delle varie professioni autonome (medici, avvocati, commercialisti, agricoltori eccetera).
  Questi sono i dati Covip risistemati al 2022. Vedete che ho racchiuso in un rettangolo gli investimenti domestici. Se prendiamo il totale delle attività investite dai fondi pensione, quali sono, quanti sono e come sono ripartiti gli investimenti domestici? Vedete gli investimenti domestici in titoli di capitale (quarta riga) 0,9 per cento, o in OICVM, che sono sostanzialmente fondi di investimento (la faccio semplice), poi ci sono anche altri OICR, ma sono di natura immobiliare, quindi escludo l'investimento in immobili come un investimento domestico. Lo è, però in realtà nell'economia reale vuol dire che compra azioni, che interviene nel mercato finanziario o nell'economia. Ebbene, qui parliamo di qualcosa intorno al 2,5 per cento, ovvero stiamo parlando di 3-4 miliardi di euro, su un patrimonio di 200 miliardi di euro.
  Lo stesso potete vedere nella slide successiva. Mi dovete scusare, ma nelle mie slide si vedono bene soltanto il verde e il blu. Mi succede sempre all'università quando insegno: io vedo il rosso e il blu, invece sullo schermo non si distinguono bene i diversi colori. Comunque, sotto è verde e sopra è blu. Nella parte verde (dove ho messo le frecce) vedete che gli investimenti domestici dell'economia italiana sono molto, molto piccoli. Lo vedete. Sono pari sostanzialmente al 2-3 per cento. Questo è il messaggio importante.
  Stessa storia – lo vedete nella slide successiva – per le casse di previdenza. Anche qui, ho racchiuso in un rettangolo i dati per il 2022. La Covip ha pubblicato adesso i dati per il 2023, ma non ha ancora questo spaccato fra investimenti nazionali e investimenti esteri, domestici e non domestici. Le casse vanno meglio. Qui parliamo del 5,9 (quarta riga) e titoli di capitale più 1,6. Poi hanno gli altri OICR, ma sono quasi tutti fondi Pag. 6immobiliari. La tradizione è che l'investimento domestico in fondi immobiliari è una cosa diversa dell'investimento in imprese, in titoli di capitale, in azioni. Quindi, che cosa viene fuori? Che le casse non stanno a 2,3-2,5, ma sono a 6,6. Quindi, arrotondando molto, parliamo di circa 10 miliardi. Quindi, su un patrimonio di 100 e passa miliardi di euro, le casse investono nell'economia italiana meno di 10 miliardi di euro.
  Nella prossima slide vediamo lo stesso grafico per i fondi pensione. Vedete che nel terzo gruppo di istogrammi le barrette verdi sono decisamente più alte rispetto a quelle dei fondi pensione, perché infatti abbiamo detto che le casse investono 6, 7, 8 o 9 miliardi di euro, quindi molto di più dei fondi pensione.
  Dati dell'Associazione degli enti previdenziali privati (ADEPP). Credo sia proprio la tabella che vi ha portato il presidente Oliveti qui in Commissione. Il presidente Oliveti dice che, in realtà, loro investono di più. Però, dai dati emerge chiaramente un aspetto. Vediamo la seconda colonna «Investimenti in Italia». Escludo i titoli di Stato e i titoli obbligazionari, che sono importanti, ma non hanno un effetto immediato nell'economia reale. Ce l'hanno ovviamente, però per economia reale intendo azioni, fondi di investimento mobiliari e altri fondi di investimento. Le azioni sono 6 miliardi di euro e i fondi di investimento mobiliari sono 1 miliardo di euro. Dei 15 miliardi di euro in realtà quasi tutti sono immobiliari, perché sapete che le casse hanno un grandissimo patrimonio immobiliare. Quindi, in sostanza viene confermato anche dai dati dell'ADEPP che siamo intorno ai 10 miliardi di euro. 10 miliardi sono tanti, non sono pochi. Però, l'home bias, la preferenza del mercato nazionale per le casse e per i fondi è fra il 5 e il 10 per cento. Fondi e casse investono nel loro Paese fra il 5 e il 10 per cento. Questa è la sintesi della storia.Pag. 7
  Che cosa succede all'estero? Questo è il punto interessante. In questa slide vedete alcuni dati. È stato difficile trovare i dati. Questi sono dati Towers Watson, ma ce ne sono altri. Insomma, la faccio breve. Tutti questi colori corrispondono a tutta una serie di Paesi (Australia, Canada, Giappone, Olanda e così via). Si nota una diminuzione della domestic equity exposure, ossia nell'investimento nelle azioni nazionali dei vari Paesi, però resta il fatto che anche se negli ultimi vent'anni è diminuita – vedete l'home bias, ovvero la preferenza del mercato nazionale – stiamo parlando in media di qualcosa che oscilla intorno al 50 per cento, 40, 30, 50 o 60 per cento, che è una bella differenza rispetto al caso italiano, dove abbiamo visto che oscilla tra il 6 e il 9 per cento, ma diciamo 5 e 10 per cento. Quindi, siamo dieci volte più bassi rispetto ai casi internazionali.
  In questa slide vedete l'andamento in l'Italia e questi sono gli investimenti in titoli esteri e fondi pensione. L'Italia è fra i Paesi – è la più alta nella lista dei Paesi – quello che ha circa il 70 per cento del patrimonio investito in titoli esteri, government bond e T-bond, pubblici e privati. Quindi, anche questo conferma che negli investitori istituzionali italiani, fondi pensione e casse, c'è una preferenza per i mercati esteri, non nazionali.
  Andiamo alla slide successiva. Stessa storia, anche qui si distinguono a malapena i colori. Comunque, se vedete, l'Italia ha solo un pezzettino blu scuro (il primo pezzettino) che corrisponde al 5-6 per cento ed è home, ossia holding corporate bond, vale a dire la detenzione dei titoli corporate (obbligazioni e via dicendo) dell'Italia in Italia. È bassissima. Mentre, vedete che il grosso, circa il 95 per cento sono bond europei, americani, stranieri. Si vede chiaramente dal primo istogramma più scuro che l'Italia tra i Paesi è quello che ha un livello più basso di investimento o di detenzione di hold nazionali. Mentre, vedete Pag. 8che, via via scendendo, l'istogramma blu diventa molto grosso per Norvegia, Croazia, Germania, Svezia, Austria.
  Veniamo alla questione. Perché hanno investito di meno? E perché dovrebbero? Infatti, la domanda non è solamente perché hanno investito di meno, ma anche perché dovrebbero investire. La teoria che cosa dice, che devono investire di più o di meno? In fondo, sono soldi dei fondi e fanno quello che vogliono. I consigli di amministrazione decidono.
  L'home bias, ossia la preferenza del mercato nazionale, è contenuto. Le ragioni sono diverse. Sicuramente dipende dallo spessore dei mercati finanziari. L'Italia è un mercato finanziario molto più piccolo di quello americano, di quello tedesco, di quello inglese e di quello francese. La capitalizzazione dei mercati di questi Paesi è dieci volte, quindici volte, cento volte.
  Il peso del mercato italiano nei benchmark globali. Quando si investe, avere un peso così piccolo è importante nella gestione finanziaria. Il peso del mercato italiano nei benchmark, ovverosia negli indici che vengono utilizzati, è molto piccolo, quindi questo sfavorisce l'investimento in Italia. Io, invece, penso che la vera ragione sia un'altra: la domanda e l'offerta di risorse.
  Andrei avanti, così analizzo rapidamente domanda e offerta. Partiamo dalla domanda di risorse in questo Paese. Lo sappiamo tutti, l'abbiamo approfondito, io ho finito dopo dieci anni – è una mia ossessione – un libro sui family ties (legami familiari) su come i legami familiari nel welfare hanno aspetti positivi. Il welfare è offerto solo dalle famiglie e dalle donne. Ma hanno anche aspetti negativi, naturalmente.

  SUSANNA LINA GIULIA CAMUSSO. Questo non è positivo in sé.

  MAURO MARÈ, Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop). Lo so. Questo avviene nel Pag. 9centro-sud. Nel centro-nord non è così. Ma questo è un altro seminario. Mi scusi, presidente, mi fermo subito.
  Questo per dire che abbiamo tradizioni, nel bene o nel male, possono piacere o non piacere, particolari, che si riflettono, come sappiamo, anche nella struttura delle imprese. Quindi, abbiamo ragioni storico-culturali, dimensione molto piccola delle imprese italiane, natura familiare delle imprese (ecco i family ties). Le imprese non si quotano. Non vogliono capitali stranieri, ma a volte neanche italiani, perché non si fidano. Vogliono restare familiari, sotto il controllo. Infine, c'è un problema di realizzabilità dei progetti, ma c'è anche un problema di offerta di risorse. Questo perché c'è stato sempre un pregiudizio iniziale, vale a dire che i mercati finanziari sono cattivi, sono quelli che sono.
  Quindi, la nascita della previdenza complementare e degli investitori istituzionali in Italia è nata con una minore capacità di gestione finanziaria, perché avevamo minore tradizione rispetto all'estero, la governance degli investitori era complicata. Nella fase iniziale, quella che ho vissuto io, requisiti, professionalità, compensi, è stata molto complicata. Adesso i fondi delle casse italiane sono investitori maturi, capaci, competenti, sanno gestire, conoscono le tecniche. Tra le ragioni della nascita di Mefop, presidente, vi è stata anche quella (non l'ho fatta io, sono arrivato dopo) di aiutare – non siamo una società di mercato, mercato sì, ma non facciamo advisor finanziario, ovviamente – i fondi pensione nella gestione del loro patrimonio. Quindi, vi è stata la necessità dell'acquisizione di una cultura finanziaria. Ci sono stati per molto tempo un eccesso di vincoli amministrativi e troppa regolamentazione, e non da ultimo una tipica italiana preferenza per la liquidità. Non solo a livello familiare, ma anche a livello di investitori istituzionali c'è sempre stata una preferenza per la liquidità.Pag. 10
  Questa slide mostra la regolamentazione delle casse, argomento che comunque possiamo saltare, anche perché aprirebbe numerosi questioni.
  Mefop svolge un osservatorio sugli investitori istituzionali e sugli investimenti alternativi. Viene fuori che le casse di previdenza, come vedete, hanno tutti investimenti alternativi nel private equity, nei mercati liquidi, mentre i fondi sono ancora intorno alla metà.
  Nella slide successiva, evidenziate in rosso, vedete alcune domande che abbiamo posto. Domanda: per quali ragioni non detiene titoli alternativi, ossia dei mercati del private equity, dei cosiddetti «mercati liquidi»? Risposta: il patrimonio è troppo esiguo per un investimento efficiente, oppure non si dispone di una struttura adeguata alla valutazione e al controllo di questo tipo di investimenti. Queste sono le cause principali. In effetti, gestire mercati alternativi, private equity, private debt, sono cose difficili, complicate, dove bisogna essere trained, ossia capaci di gestire queste cose. Ci si rende conto che investire in alternativi, nel private equity, permette un'elevata diversificazione del patrimonio. Però, ormai è patrimonio dei fondi pensione e delle casse: è opportuno che l'investitore istituzionale supporti l'economia reale. È finalmente emerso, dopo anni di difficoltà a farlo emergere. Il fatto che deve derivare – volontariamente, sottolineo io – evitando qualsiasi tentazione di vincoli, di cose strane che sono successe in altri Paesi, è che i fondi e le casse – liberamente, lo ripeto ancora – devono investire nell'economia reale il proprio patrimonio. Infatti, se cresce l'economia e l'occupazione, cresce anche la contribuzione e i volumi per fondi e casse. Se non cresce l'economia, va male l'economia, va male la previdenza, va male la parte dei fondi pensione e delle casse.Pag. 11
  Questi che vedete sono altri dati del nostro osservatorio. Questa slide fa vedere che i fondi pensione hanno aumentato tantissimo l'acquisto di quote di fondi alternativi. I fondi pensione non comprano direttamente, ma comprano fondi di fondi. Ci sono le società di gestione del risparmio (SGR) che hanno fondi di private equity, loro comprano una quota di private equity. Non vanno a comprare le azioni di un'azienda direttamente, ma si rivolgono ai mercati finanziari che hanno dei fondi di private equity che investono nell'economia reale. Credo che sia la procedura giusta, anche all'estero fanno così.
  Andiamo avanti. Nell'ultima slide, presidente, ho fatto riferimento alla tassazione. Non so se la devo toccare. Possono esserci diversi modi per tassare i risparmi: nel momento in cui vengono versati i contributi, nel momento in cui il fondo pensione o la cassa guadagna con gli investimenti (seconda riga), in termini di prestazione. Nella mia materia, le scienze delle finanze, si dice che possono esserci due modi: un'imposta sulla spesa (expenditure tax) o un'imposta sul reddito complessivo, che tassa tutto. La modalità più efficiente è quella dell'imposta sulla spesa, perché esenta il risparmio e tassa solamente il consumo. Quindi, è un incentivo agli investimenti.
  Qual è la situazione in Italia per quanto riguarda i fondi pensione? Qui ci sarebbe da discutere tantissimo, ma prenderei troppo tempo. Mi limito a dire che attualmente i fondi pensione hanno la deducibilità dei contributi versati, i rendimenti dei fondi sono tassati al 20 per cento, al maturato – chi sa la differenza fra realizzato e maturato, penso che qui la questione l'abbiate discussa, capisce che è una questione piuttosto delicata per i fondi pensione – e hanno una tassazione agevolata delle prestazioni, vale a dire, anziché essere versati al marginale, ogni anno si riduce dello 0,30, quindi la tassazione delle prestazioni per un iscritto al fondo pensione parte dal 15 per cento e, Pag. 12riducendosi via via che sta nel fondo pensione dello 0,30, arriva al 9 per cento. Quindi, non ha un'applicazione di un'aliquota marginale, il 43 o il 35 per cento, quello che può essere, ma un'aliquota di favore che oscilla tra il 15 e il 9 per cento.
  Qual è, invece, la situazione delle casse? Le casse hanno la deducibilità dei contributi come i fondi, ma sono tassati i redditi finanziari al realizzato. Cambia molto, perché per il maturato bisogna stimare quanto si è maturato, ed è molto complicato. Quindi, è uno svantaggio. Se una cassa non fa movimenti, non realizza, quell'anno non paga. È un regime di favore notevole per le cassa di previdenza. So che il viceministro Leo – ci ho parlato personalmente – vuole introdurre anche per i fondi pensione il realizzato, come per le casse, il che a mio modo di vedere sarebbe giusto, perché sarebbe un vantaggio notevole anche per i fondi pensione. L'aliquota delle casse, però, è il 26 per cento, non il 20 per cento. Infatti, lo stesso presidente Oliveti ripete continuamente il refrain che l'aliquota al 26 per cento è troppo alta. Infine, c'è la tassazione delle prestazioni, però per le casse al marginale.
  Quindi, in conclusione, che cosa si potrebbe fare? Quale potrebbe essere una riforma? Tutti dicono a livello europeo di applicare l'esenzione della tassazione ai fondi pensione. Questo schema di una tassazione secondo il reddito della spesa vorrebbe dire che le prestazioni degli iscritti ai fondi pensione passerebbero dal 15-9 per cento al 43, al 35 o al 33 per cento. Personalmente credo che sia sbagliato. Dire a un iscritto a un fondo pensione che la sua tassazione passa dal 9 per cento al 30, al 35 o al 43 per cento significherebbe la fine dei fondi pensione, una fuga, i giovani non si iscriverebbero. A livello di gettito stiamo parlando di poche cose. Risponderebbe al disegno di riforma tributaria, ma sarebbe una follia, se la previdenza complementare non fosse incentivata, soprattutto dopo che è Pag. 13stata incentivata per trent'anni. Se gli diciamo che le prestazioni passano dal 15 al 35 o al 43 per cento, potete immaginare la reazione. Già non si iscrivono i giovani. Il problema sono le adesioni. Quindi, penso che questa non sia la strada.
  Ridurre la tassazione per le casse credo che sia giusto. I fondi stanno al 20 per cento, le casse potrebbero stare al 20 per cento. Su questo credo che il presidente Oliveti abbia ragione.
  Farei attenzione a questa storia di tassare al marginale le prestazioni dei fondi pensione. Sarebbe un messaggio di sfiducia nei confronti dei fondi, i giovani lascerebbero il TFR in azienda e non si iscriverebbero. Insomma, si sprecherebbe un'occasione. Ci abbiamo messo tanto per fare un pilastro di previdenza complementare nel complesso serio, efficiente e funzionante, certo dovrebbe avere più risorse, certo dovrebbe investire di più in Italia, ma sarebbe un colpo molto forte.
  Mi fermo qui, presidente. Forse ho parlato pure troppo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marè. Ha parlato, dicendo però delle cose, non delle parole, il che è particolarmente apprezzabile.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questi o formulare osservazioni.

  GIORGIO LOVECCHIO. Signor presidente, avevo già avuto occasione di ascoltare il professor Marè, che ringrazio per aver accettato l'invito. Le chiedo la cortesia di farci pervenire queste slide, che per noi sono importantissime, anche perché affrontiamo spesso il tema dei fondi e delle casse che non investono nel mercato italiano. Questa è una cosa che abbiamo sempre detto. Investono poco nei titoli di Stato, abbiamo visto che siamo intorno al 10-15 per cento, ma anche nel mercato interno. Altri Paesi, anche molto più piccoli dell'Italia, investono molto, molto di più. Abbiamo visto Paesi, penso all'Olanda,Pag. 14 che hanno investimenti nel mercato interno pari al 160 per cento. Noi siamo intorno al 10 per cento, una cifra irrisoria. Questo va anche a discapito dell'economia nazionale, perché uno Stato, nel momento in cui deve mettere debito pubblico in titoli di Stato, se avesse un mercato che acquistasse in maniera cospicua questi titoli, applicherebbe una tassazione e un interesse molto più bassi.
  Noi abbiamo questi fondi che fanno incetta di denaro in Italia e poi vanno a investire all'estero. Questa è una cosa che va affrontata. Come Commissione la stiamo affrontando e la stiamo anche rappresentando alle varie figure che si alternano nelle audizioni. Infatti, abbiamo il 70 per cento che viene investito all'estero.
  Se c'è un motivo ostativo del perché non investono in Italia questo ancora non l'ho capito. È vero, abbiamo una realtà di imprese piccole e molto spesso a livello familiare, abbiamo una realtà molto frammentata, però potrebbe essere d'aiuto l'emissione di titoli di Stato per le grandi opere, per finanziare il mercato interno.
  Le chiedo, quindi, professore, se mi sa spiegare il motivo per cui, a differenza di altri Paesi, realtà molto più piccole della nostra, non investono in maniera cospicua nel nostro Paese. Potrebbe anche esserci una motivazione legislativa alla base che li blocca.

  TINO MAGNI. Anch'io ringrazio il professor Marè per l'esposizione, anche perché conoscere è sempre molto importante.
  Io penso che, se si investe poco in Italia, magari dobbiamo discutere anche dei fondi pensione, sia dovuto al fatto che abbiamo una struttura imprenditoriale sottocapitalizzata, molto familiare. Quindi, bisogna credere nelle possibilità del mercato, Pag. 15perché oggettivamente se si investe il 70 per cento all'estero si favorisce un'altra economia, non quella nazionale.
  C'è un punto, però. Molto spesso – almeno mi ricordo nei fondi negoziali, i primi che sono nati – come soggetto integrativo, che adesso diventa anche una seconda gamba importante, inizialmente era nato come risparmio. Non a caso, addirittura in passato gli enti previdenziali investivano sul mattone per poter garantire la propria condizione, perché quello garantiva di non essere svalutato. È difficile che sia il fondo pensione che cambia se non cambia, invece, la condizione, che vuol dire l'impresa che si pone in un certo modo, la politica e lo Stato che lo favoriscono, dando fiducia. Il punto è che non si ha fiducia nel garantire il rendimento. Questo è il punto fondamentale. Secondo me, la domanda che bisogna porsi è questa.
  Seconda questione. Lei faceva riferimento al fatto che il mercato è limitato. Però, leggendo i dati mi sono reso conto che Germania, Francia e Spagna, che insieme all'Italia sono i Paesi più grandi della Comunità europea, sono pari a noi o quasi sotto di noi. Quindi, c'è anche il problema che il welfare nel nostro Paese era inteso in un altro modo, non inteso dal punto di vista individuale di capitalizzazione. Questo è l'elemento. È abbastanza giovane questo modello di impostazione.
  Francamente ritengo sia necessario favorire, essendo quello capitale italiano, l'economia italiana. Questo è il dato fondamentale. In sostanza, non lo fa il fondo da solo, perché chi ha il fondo è tenuto a garantire il rendimento. Per fare questo bisogna invertire l'impostazione. Sono altri i soggetti che devono dare quella fiducia, a mio avviso.

  ANNAMARIA FURLAN. Anch'io ringrazio il professor Marè per la interessante relazione che ci ha presentato. Vorrei fare due osservazioni rispetto al perché e di conseguenza che cosa fare per cambiare questa situazione. È ovvio che il tema della Pag. 16sicurezza e anche della cultura italiana incidono parecchio, ma per condizioni oggettive. Quando i fondi investono, come le casse d'altra parte, non fa differenza, il tema che sia un investimento il più sicuro possibile per quello che può essere ovviamente anche redditizio è un tema reale. D'altra parte, se io penso ai fondi contrattuali, alla fine i risparmi dei lavoratori, l'investimento deve avere queste due caratteristiche.
  Non c'è dubbio che la leva fiscale può essere uno strumento incredibilmente positivo. Io credo che dovremmo però ragionare distinguendo sugli investimenti. Non è la stessa cosa se si investe in economia reale del Paese, che non è solo il mattone, per capirci, oppure se si prediligono altri tipi di investimenti.
  La leva fiscale, che è quella che ormai in questo Paese stiamo immaginando di utilizzare per tante cose, non soltanto per questo, ha un senso se è molto selettiva: investi sull'economia reale e hai un tipo di tassazione; investe su altro, ne hai un'altra. La differenza deve essere sostanziale, perché se non si percepisce nemmeno non ha senso.
  La seconda questione, invece, più complessa ancora, da affrontare, è come rimuoviamo quegli ostacoli che lei ci illustrava a partire dalla dimensione d'impresa, a partire dalla caratteristica di impresa familiare e soprattutto dal fatto che abbiamo poche imprese quotate. Questo, però, credo sia il vero tema da affrontare. La leva fiscale serve parzialmente se affrontiamo anche quei nodi, altrimenti alla fine può dare un qualche risultato, ma molto limitato.
  La tipologia delle nostre imprese ha bisogno di cambiare da questo punto di vista. Quindi, mi soffermerei molto, e sicuramente anche di più, rispetto a questo tema, che peraltro noi oggi analizziamo dal punto di vista del perché non si investe nel mercato interno, anche perché la dimensione è quella che è, e per la tipologia di investimento. In realtà, se parliamo di Pag. 17economia reale, questo è un tema da affrontare per molti altri aspetti, forse anche più importanti per alcuni punti di vista. Io credo un po' questo. Volevo capire anche da lei se questo ragionamento è condivisibile, e come si può affrontare. Se non cambiamo il contenitore su cui andare a investire, hai voglia a cambiare le leggi e anche il peso del fisco! C'è da fare, però alla fine è sempre lo stesso brodo ed è un brodo che, evidentemente, continua a non essere appetibile.

  SUSANNA LINA GIULIA CAMUSSO. Ringrazio il professor Marè per l'introduzione che ci ha fatto. Noto una serie di somiglianze nella descrizione che anche lei riprendeva con COVIP e con le casse dei professionisti, che lascerei un momento da parte anche in ragione del fatto che quello si chiama «primo pilastro» e non «secondo pilastro». Ovviamente anche il livello di attesa dei soggetti che partecipano è differente nell'un caso e nell'altro. Condivido l'analisi che ha fatto lei e che adesso riprendeva anche il collega Magni sul fatto che c'è un tema di qualità del nostro apparato industriale e dei servizi, rispetto al quale resta anche difficile costruire un significativo mercato finanziario.
  Provo a leggerla, però, dall'altro versante. Io lavoratore o comunque cittadino, se parliamo dei Piani di previdenza invece che dei fondi complementari, investo quello che comunque considero il mio risparmio per quando smetterò di lavorare e non avrò delle entrate, in qualcosa che devo essere in qualche modo certo di non perdere.
  Noi abbiamo molto sempre concentrato l'analisi sulle questioni fiscali, cioè quanto lo tasso in quel momento, quanto lo tasso in quell'altro, se lo incentivo, se non lo incentivo e così via, tutte le cose che sono servite perché non c'è dubbio che la bassa tassazione per i fondi complementari li ha aiutati nella loro Pag. 18crescita, ma quella bassa tassazione non risponde a quella preoccupazione, risponde al valore che ha in questo momento.
  Io proverei a ragionare su che cosa permetterebbe alle persone di pensare che investire in fondi che investono significativamente l'economia reale li lasci tranquilli invece che preoccupati, perché noi abbiamo due versanti, uno è la scarsa affluenza ai fondi, che comunque continua a essere bassa, e poi i fondi che, anche per la struttura che hanno, non scelgono le modalità di investimento. Però, per far crescere quella modalità io devo dire alle persone che non perderanno tutto, perché è più facile che si ricordino di qualche fondo che è andato a carte quarantotto in Gran Bretagna qualche tempo fa e che ha lasciato i lavoratori senza pensione che non magari del fondo che ha salvato un'azienda e ha permesso di continuare a lavorare. Abbiamo tutte e due le tipologie di storia negli investimenti dei fondi pensione, però è più facile che si ricordino quella che dice «hanno azzerato la mia condizione».
  Da questo punto di vista, noi siamo un Paese che ha una grande esperienza sul risparmio postale, che pure è stato ampiamente investito. Che cosa tranquillizzava le persone sul fatto che potevano andare nel risparmio postale? Il fatto che comunque non avrebbero perso le loro dirette risorse. Come si costruisce un meccanismo analogo, che da un lato costruisce la incentivazione ai fini dell'economia reale, ma dall'altro canto mette i soggetti, che sono quelli che ci mettono i loro risparmi, nelle condizioni di non essere preoccupati. Non è ovviamente l'unica soluzione, perché poi c'è tutto il resto, la capitalizzazione, il familismo, tutte cose che sicuramente esistono e sono poi la struttura del nostro sistema, ma se vogliamo ampliare le platee e rendere più significativa e non piccola la massa di investimento possibile, dobbiamo anche pensare a questo versantePag. 19 per costruire una cultura che oggi non c'è e anzi c'è una paura ad affrontarlo.

  PRESIDENTE. Mi sembra che non ci sono altri interventi.
  Faccio qualche minima richiesta di approfondimento. Innanzitutto ringrazio anch'io per il quadro veramente esauriente e molto efficace, anche per come è stato proposto, sul tema del home bias, che era uno dei temi fondamentali della nostra indagine.
  È chiaro che una parte di questo dipende dallo spessore e dallo sviluppo dei mercati finanziari. È chiaro che negli Stati Uniti chiunque voglia investire può farlo. C'è anche un tema di rischio Paese, c'è anche un tema che si materializzerà nei rating dei prodotti. C'è anche un tema di maggiore o minore sviluppo delle fabbriche prodotto, perché, per esempio, in Italia la prima delle fabbriche prodotto italiane credo sia quarantaseiesima nella classifica mondiale. Le due cose si tengono insieme.
  Volevo provocare riflessioni su alcuni temi specifici, se posso.
  Innanzitutto, il settore e anche noi siamo in attesa del regolamento che finalmente il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe emanare sugli investimenti. Sarebbe interessante qualche riflessione su quali direzioni potrebbe o dovrebbe prendere questo regolamento per affrontare il tema del home bias.
  Un'altra cosa specifica. In una delle ultime slide si evocava il punto della deducibilità dei contributi, che però ha un cap a 5.164,57, che era, per ovvi motivi, di trapasso, senza arrotondamento, dalle lire all'euro. Per questa, come per tante altre soglie fisse di cui è infarcita la nostra legislazione, mi chiedo se c'è una riflessione sulla sua adeguatezza attuale, atteso che la ereditiamo da decenni precedenti. Questo lo dico anche alla luce di un'altra considerazione. Lei ci ha fatto vedere abbastanzaPag. 20 esplicitamente quali sono degli elementi che ostacolano o potrebbero ulteriormente ostacolare l'adesione dei giovani a fondi di previdenza complementare. Mi chiedo quali potrebbero essere, in positivo, dei provvedimenti che invece potrebbero favorirla. Prendiamo le cose che la sfavoriscono e moltiplichiamo per meno 1, cambiamo verso oppure ci sono altri interventi?
  Vengo a un'altra cosa che è stata portata all'attenzione di questa Commissione, oltre al tema del home bias. Questa è una Commissione di persone che vuole approfondire, ma è chiaro che se viene una associazione e per dimostrarci che non c'è l'home bias mette nel conto degli investimenti anche la liquidità, cioè il patrimonio, il patrimonio è una cosa e gli investimenti sono un'altra. È chiaro che lì ognuno cerca di raccontare una versione che è corretta, che corrisponde all'idea di dare un'immagine della categoria che rappresenta e di giustificare le strategie che adotta. Però, quello che emerge, tutto sommato in modo non così tanto disallineato dal quadro europeo, è un sostanziale foreign bias. I fondi aperti e i PIP hanno dei regimi commissariali, degli oneri, così ci è stato rappresentato, che sono mediamente più elevati rispetto agli OICVM. Questo da cosa dipende? Credo che possa essere un fattore di disincentivo.
  Su tutto questo ricordo una cosa, cioè che quando è venuta in audizione la presidente della Sezione della Corte dei conti che si occupa del controllo degli enti ha fatto una sottolineatura sul fatto che il patrimonio non è direttamente per le casse, che sono a ripartizione, non è direttamente legato alla erogazione delle prestazioni, cioè le prestazioni sono finanziate attraverso un sistema a ripartizione. Quando sento parlare di doppia tassazione delle prestazioni in quel mondo lì, anche se so che esiste una spinta verso il sistema EET, che ha delle sue motivazioni,Pag. 21 che è uno standard europeo, lì un tema di doppia tassazione non c'è. Semmai ci sarebbe nel mondo dei fondi, dove, però, l'adozione di una fiscalità di vantaggio è, per esempio, il 20 e non il 26, per esempio il 15 e non l'aliquota marginale. Era chiaramente finalizzata a un'incentivazione. Per questa come per tante altre misure incentivanti, forse dobbiamo fare una riflessione un po' più esplicita su quanto siano riusciti a incentivare e quanto ci costino, per esempio, in termini di mancato gettito – scusate, cinicamente mi metto nei panni di uno dei miei Ministri – e se si possano trovare altre forme di incentivazione.
  Queste sono le riflessioni che mi sono venute in mente.
  Do la parola al professor Marè per la replica.

  MAURO MARÈ, Presidente della Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione (Mefop). Grazie. Mi avete fatto tantissime domande. Cercherò di rispondere a tutto. Sono tantissime, quindi vado un po' saltellando qua e là.
  Sicuramente primo e secondo pilastro sono cose diverse. Il primo ha un elemento di obbligatorietà, le casse hanno un obbligo oggettivo di rendimento, di normativa, a differenza dei fondi pensione che sono volontari. I fondi sono a capitalizzazione, le casse pure in realtà hanno i rendimenti e gli investimenti. Tra le diverse cose che mi è toccato fare nella vita, sono stato per tre anni rappresentante del Ministero del lavoro nella Cassa dei giornalisti, quindi ho visto da vicino, al di là della gestione delle pensioni dei giornalisti, generose o meno, non voglio fare gaffe, il problema è che non c'erano più i giornalisti. Quando vengono meno gli attivi, quelli che pagano i contributi, uno può avere qualsiasi idea politica o filosofica o religiosa, ma mancano i numeri, manca chi paga. Lì c'è stato un problema e il rischio è per altre casse ancora. Lo stesso potrebbe avvenire per i fondi pensione, quindi inizio dalla fine, dalle adesioni.Pag. 22
  Le adesioni sono un problema vero. Nella mia generazione – forse qualcuno è più giovane – c'erano i giornali, le iniziative e uno veniva contattato. Personalmente, dico che sui fondi avete un'idea ancora del 1995 sulle adesioni nei luoghi di lavoro, importanti, tramite i giornali, tramite una trasmissione televisiva. I miei figli, che fanno master e stanno in giro, usano questo. La maggior parte delle persone usa questo. Quindi, o noi pensiamo a campagne di promozione e adesione sui social, spinte in canali completamente diversi oppure non va bene. Pensare a una campagna di adesione sui social è una cosa complicata, perché mentre quando la facevi con i giornali o con una trasmissione era facilmente standardizzabile o controllabile, sui social il rischio che ci sia un decentramento è alto. Devi controllare la qualità.
  Comunque, prima cosa, le adesioni. Le adesioni non sono aumentate. Negli ultimi venticinque anni siamo andati dal 25 al 30 per cento e lì siamo rimasti, al 31, perché doveva aderire un gruppo di persone che ha aderito. IL MEFOP ogni anno fa un'indagine campionaria e viene fuori che hanno aderito prevalentemente gli iscritti al sindacato del centro nord di un certo livello di reddito di alcune dimensioni. Non lo sto dicendo come una colpa. È giusto che sia così. Un autonomo del centro sud, con minore livello di istruzione, lascio perdere reddito o preferenze politiche, non ha aderito. Questo è il punto. Vuol dire che noi dobbiamo fare silenzio-assenso rafforzato, obbligo di iscrizione da contratto. Io sono d'accordo. Sarei ancora per non scegliere l'opzione obbligatoria, perché l'opzione obbligatoria cambia completamente la cultura italiana e porta con sé un pezzetto – così rispondo già a un'altra domanda – della garanzia.
  Nel momento in cui tu sei obbligato ad aderire è ovvio che una persona vuole un rendimento. Fatemi dire una cosa, però. Pag. 23Che cosa ha fatto questo Paese negli ultimi quarant'anni, da quando io insegno, studio, leggo? Ha fatto riforme sulle pensioni e ogni santa riforma delle pensioni cosa è stata? Una modifica delle regole di calcolo di prestazioni. Le riforme delle pensioni, qualunque esse siano, con qualche eccezione, sono state una rivisitazione dei criteri di calcolo, lo dico semplice per farla breve: si sono abbassate le pensioni. C'è un rischio privato nei mercati finanziari, quando tu investi le risorse in mercati finanziari, e c'è un rischio pubblico derivante dal fatto che il Ministro del lavoro vuole o non vuole, di fronte ad un andamento della spesa pensionistica non sostenibile, deve intervenire nuovamente.
  Cosa sono state la riforma Amato, la riforma Dini, la riforma Fornero e così via? Sono state riforme dure, ambiziose, faticose, che hanno dovuto cercare di ripristinare un equilibrio nella spesa pensionistica rispetto al PIL. Questo per dire che non c'è solo il rischio dei mercati finanziari, c'è anche un rischio politico. Noi siamo sicuri che il primo pilastro è certo, e sta lì. Quanto prende Marè come professore universitario? Alla fine, negli ultimi anni, è stato cambiato, come per parte di voi. Io sarei attento a utilizzare l'idea della garanzia. Certo, una garanzia può esserci.
  Ad esempio, nel caso dei fondi pensione, una parte degli investimenti, se il Governo indicasse una linea di intervento, tipo servono soldi nelle infrastrutture, oppure quello che volete voi, scegliete voi, nella sanità, perché abbiamo problemi di offerta. I fondi o le casse possono seguire questa indicazione. Che possa esserci anche una parziale garanzia sui rendimenti è ragionevole, una integrale no, perché è chiaro che così gli incentivi sono tutti saltati. Io investo tranquillo perché tanto ho una garanzia. No. Questo è proprio quello che noi economisti, caro presidente, definiamo «moral hazard», azzardo morale. È Pag. 24facile investire i soldi quando c'è una garanzia, è ovvio. Quindi, che ci sia una garanzia, se ci sia o c'è una finalità pubblica ovviamente io sono d'accordo. Penso che sia giusta una garanzia minima di rendimento. La possiamo declinare in diversi modi. Però, che ogni tipo di investimento di fondi sia garantito, no. Restiamo all'INPS, restiamo nel sistema pubblico e fine della storia.
  Vi faccio osservare che anche nell'INPS, però, non c'è una certezza delle prestazioni, perché negli ultimi trent'anni, non lo devo dire a voi, quali sono state le riforme pensionistiche? Sono stati costretti.
  Torno alle altre cose. Cosa devono fare i fondi? Manca ancora una cultura, una governance finanziaria vera, un diritto di voto. I fondi pensione negli altri Paesi che fanno? Hanno un'altra dimensione, ma vanno nelle assemblee delle aziende. Discutono, contestano gli stipendi dei manager, si occupano se investono nelle SG.
  Se gli investitori istituzionali non partecipano alla vita economica dei Paesi, aziendale, quindi sono azionisti non silenti, è ovvio che questo non funziona nel controllo. Investire nell'economia reale è importante, ma serve che questa funzione venga esercitata attivamente. So che i fondi pensione italiani, tutti, pagano alcune aziende che vanno a rappresentarli. Capisco che devi andare a rappresentare, hai l'1 per cento di un'azienda chimica che investe. Non conosci l'argomento, non puoi andare tu in assemblea a dire qualcosa. Non sei preparato. Puoi ricorrere a soggetti che fanno questo di mestiere. Però, l'idea è che se è tutelato l'ambiente, la governance, i diritti dei lavoratori alcuni criteri di fase tu li devi seguire, soprattutto se hai risorse come può essere nei principali fondi pensione italiani.Pag. 25
  Vengo ad altre domande che mi avete fatto. Una era sul fisco, non ricordo chi me l'ha fatta. La tassazione deve essere di favore, deve stimolare, ma non è lì il problema. L'effetto positivo dell'afflusso è volontario perché in alcuni Paesi esteri, come il Cile, la Polonia, i Ministeri dell'economia hanno avuto tentazioni di avvicinare il patrimonio dei fondi al bilancio pubblico.
  In Polonia è successo che il Ministro dell'economia ha detto ai fondi pensione: «quanti titoli avete del Tesoro polacco? 35 miliardi? Benissimo. Li prendo io e li giro all'INPS polacca». A quel punto il Ministro dell'economia ha strappato i titoli, perché si era preso le promesse.
  Sono forme, secondo me, pericolose. Bisogna stare molto attenti a queste cose.
  L'investimento dell'economia italiana è importante, è volontario, perché se cresce l'economia, se crescono i settori importanti, cresce il Paese, cresce l'occupazione e non solo l'economia migliora, il tasso di crescita, ma migliora il sistema di welfare.
  Il sistema di welfare non può che essere basato su ripartizione e capitazione che, in realtà, sono molto simili. Chi paga i contributi finanzia il welfare di chi non paga i contributi. Se il numero già per l'invecchiamento e la longevità cambia completamente, questo è un problema molto serio. L'investimento è di per sé un elemento importante. Perché non hanno investito? Sicuramente per motivi di capacità iniziale, di pregiudizio, di difficoltà della domanda, lo dicevate anche voi. Le imprese italiane non vogliono, sono piccole, sono sottocapitalizzate, non c'è cultura finanziaria. Questo è vero, è sempre stato così, a differenza dell'Olanda o del Regno Unito che, per motivi storici, hanno un atteggiamento diverso. Però bisogna fare di tutto, con una legge sul mercato dei capitali, con una legge sulla governance societaria, quello ovviamente aiuta molto. Certo, anche con misure che possano stimolare i fondi pensione.Pag. 26 Molto importante è l'esercitazione del diritto di voto da parte dei fondi pensione nelle assemblee delle aziende di cui sono diventati proprietari. Questo è un elemento importante. Non è facile, il Mefop ha dato anche una mano ai fondi pensione su questo. Non è facilissimo, però va fatto.
  L'adeguatezza fiscale del 5184, probabilmente andrebbe rivista, però visti i vincoli di bilancio non credo che ci sia nell'immediato molto margine su questo.
  Sono contrario all'obbligatorietà; non penso che sia una soluzione. Come fare? Con il silenzio-assenso, con campagne completamente diverse, cercando di capire che indubbiamente il mercato del lavoro è quello che è, molto frammentato, e tra le principali preoccupazioni di un individuo che ha un contratto a tempo determinato o irregolare non c'è quella di aderire a un fondo pensione, anche perché l'esiguità della somma è tale che non avrebbe senso. Pertanto, è complicato, il rischio è di fare la fine dei giornalisti. Scusatemi, se mancano gli attivi che si iscrivono al fondo pensione, il fondo pensione a un certo punto deve liquidare le somme. Se non c'è chi paga i contributi, che ha aderito, il problema si pone, e si pone seriamente. Quindi, le adesioni sono fondamentali, a meno che si opti per l'obbligatorietà. Però l'obbligatorietà porta con sé una serie di problemi evidenti. Se uno lo costringi ad aderire è ovvio che gli devi dire che gli tocca il 2 per cento, o l'1 per cento. È ovvio che non gli puoi dire questo. Secondo me, quello sarebbe, in Italia soprattutto, pericoloso. Non mi fraintendete, le garanzie sono giuste, ma conoscendo questo Paese, conoscendo l'azzardo morale, cioè gli incentivi sbagliati, le garanzie portano atteggiamenti che è meglio che non emergano in questo Paese. Questo a mio modesto avviso, non perché non sia favorevole a lasciare un rendimento garantito a qualcuno.Pag. 27
  Venendo al regolamento MEF, questa è una vecchia storia. Il MEF nel 2014 – partecipammo anche noi – lanciò una bozza di consultazione sulla regolamentazione degli investimenti delle Casse di previdenza. La storia è andata avanti, le Casse si sono messe di traverso, non erano d'accordo, non andava bene, c'erano vincoli quantitativi, cose molto complicate. Effettivamente posso riconoscere che la bozza di decreto era molto bizantina – presidente, uso questa espressione – o complicata insomma. Però da lì le Casse hanno sempre fatto la battaglia per non avere nessun tipo di regolamentazione. I fondi pensione hanno un decreto del MEF sugli investimenti, che regolamenta in modo preciso gli investimenti, non con vincoli quantitativi, ma che spiega un po' come funzionano, le Casse non ce l'hanno.
  Il presidente dell'AdEPP vuole una autoregolamentazione, un codice di AdEPP che venga sottoscritto, va anche bene, però che ci sia una qualche linea guida, secondo me, presidente, sulle Casse e sugli investimenti delle Casse credo sia giusto, non solo perché ce l'hanno i fondi pensione. I fondi pensione sono volontari, le Casse sono primo pilastro, sono obbligatorie. La questione è una: i vincoli quantitativi. E l'AdEPP oppure le Casse non li vogliono. Benissimo, non li mettiamo, allora dimostrate che siete in grado di gestire un patrimonio con il 40 per cento di immobili o con il 20 per cento di derivati e così via. Questo è il punto. Io sono contrario ai vincoli quantitativi, perché secondo me, dai parametri nostri, famosi, funzionano sempre male, però non avendo un vincolo quantitativo poi devi sottoporti a uno scrutinio dei Ministeri vigilanti per far vedere che hai le capacità di gestire quel tipo di asset allocation.
  Questa è la mia idea. Dalla parte delle Casse il messaggio che emerge è che non vogliamo essere – forzo un po', non è proprio così – controllati, abbiamo il nostro profilo di asset allocation deciso dalle Casse e lo facciamo. Bene, è vero, però le Casse è Pag. 28primo pilastro, non è secondo, è primo, è obbligatorio. I fondi hanno un decreto che regolamenta gli investimenti. Perché i fondi ce l'hanno e le Casse no, che sono primo pilastro?
  La mia personale opinione, caro presidente, è che, senza magari vincoli quantitativi, in modo molto soft, il fatto che ci siano delle linee guida sulle Casse secondo me è opportuno. La cosa è costata discussioni senza fine fra MEF e le Casse, che si sono sempre rifiutate, però credo che si possa fare un passo avanti.
  Non so se ho dimenticato qualcosa. Vi ho risposto? Avete sollevato tanti punti.
  Sull'economia italiana, è verissimo, è un mercato finanziario molto complicato, piccolo, non aperto all'esterno, di natura familiare, con il terrore di andare public, come si dice in inglese, di andare quotato o di avere risorse esterne. Si preferisce un finanziamento bancario a qualsiasi altro tipo di finanziamento. È tipico della cultura italiana. Si dovrebbe fare di tutto per migliorare, sono d'accordo, però non è evidente farlo.
  Finisco con la storia della garanzia del rendimento. Capisco che può essere utile, in alcuni casi, soprattutto se si investe nei mercati finanziari, ma guardate che negli altri Paesi che investono quelle somme che avete visto la garanzia del rendimento non c'è. C'è la professionalità. La garanzia del rendimento è un'arma a doppio taglio, che mette tranquilli, ma poi costa e negli altri Paesi che investono larga parte del mercato finanziario interno non c'è. Uno potrebbe chiedermi perché allora non comprano in titoli di Stato. Se i fondi pensione devono comprare un titolo di Stato è dove il rendimento c'è, una garanzia, perché il MEF si impegna a restituire. Non è la stessa cosa. D'altro canto, credo che una parte di rischio i fondi pensione se la debbono anche assumere. Mi dispiace che questo poi venga traslato ai lavoratori, anche perché le garanzie Pag. 29costano in termini di risorse di finanza pubblica. Questo è il punto. Le garanzie non è che nascono nella quantità metafisica, costano diversi miliardi dal punto di vista della finanza pubblica. Non vorrei essere frainteso, è chiaro che se c'è un progetto infrastrutturale e il Paese dice ai fondi di investire lì, che ci debba essere un rendimento minimo, medio, annuo non ci piove. Che però qualsiasi investimento dei fondi pensione debba essere garantito, no. Direi ai fondi pensione di comprare un titolo di Stato e finisce lì. Un lavoratore potrebbe dire che non servono neanche i fondi pensioni, a quel punto compra un titolo di Stato e finisce direttamente.
  Non so se ho risposto a tutti, ma le domande erano talmente numerose che era complicato rispondere.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marè per l'esposizione e per le risposte. Magari avremo ulteriori occasioni di confronto e ci prenderemo degli spazi più congrui.
  Naturalmente vi invieremo le slide. Possiamo tranquillamente inviarvi il PDF, perché è pieno di numeri che ci serviranno sicuramente per i nostri futuri lavori.
  La seduta è tolta.

  La seduta termina alle ore 9.35.

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