Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3
Audizione di Roberta Beolchi, presidente dell'associazione «
Edela
», Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio e presidente dell'associazione «
Olga
», Marco Rossi Doria, presidente dell'impresa sociale «
Con i bambini
», Simona Rotondi, vice coordinatrice delle attività istituzionali dell'impresa sociale «
Con i Bambini
» e coordinatrice dell'iniziativa «
A Braccia aperte
» dedicata agli orfani di vittime di femminicidio, Fedele Salvatore, responsabile del «
Progetto RESPIRO
», Gabriella Scaduto, responsabile delle relazioni istituzionali dell'associazione «
Olga»
, Rosa Maria Di Maggio, responsabile Centro-Sud dell'associazione «
Olga»
e Glauco Gasperini, responsabile area legale dell'associazione «
Olga»
:
Semenzato Martina , Presidente ... 3
Beolchi Roberta , presidente dell'associazione ... 4
Semenzato Martina , Presidente ... 5
Delmonte Giuseppe , orfano di femminicidio e presidente dell'associazione «Olga» ... 5
Semenzato Martina , Presidente ... 7
Rossi Doria Marco , presidente dell'impresa sociale «Con i bambini» ... 7
Semenzato Martina , Presidente ... 8
Rotondi Simona , vice coordinatrice attività istituzionali «Con i Bambini» e coordinatrice iniziativa «A Braccia aperte» dedicata agli orfani di vittime di femminicidio ... 9
Semenzato Martina , Presidente ... 11
Salvatore Fedele , responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie ... 11
Semenzato Martina , Presidente ... 14
Scaduto Gabriella , responsabile relazioni istituzionali dell'associazione «Olga» ... 14
Semenzato Martina , Presidente ... 16
Di Maggio Rosa Maria , responsabile Centro-Sud dell'associazione «Olga» ... 16
Semenzato Martina , Presidente ... 17
Gasperini Glauco , responsabile area legale dell'associazione «Olga» ... 17
Semenzato Martina , Presidente ... 20
Valente Valeria ... 20
Semenzato Martina , Presidente ... 21
Gasperini Glauco , responsabile area legale dell'associazione «Olga» ... 21
D'Elia Cecilia ... 21
Semenzato Martina , Presidente ... 22
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI) ... 22
Semenzato Martina , Presidente ... 22
Leonardi Elena ... 22
Salvatore Fedele , responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie ... 23
Valente Valeria ... 23
Salvatore Fedele , responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie ... 23
Valente Valeria ... 23
Salvatore Fedele , responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie ... 23
Valente Valeria ... 23
Salvatore Fedele , responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie ... 23
Semenzato Martina , Presidente ... 24
Beolchi Roberta , presidente dell'associazione «Edela» ... 24
Delmonte Giuseppe , orfano di femminicidio e presidente dell'associazione «Olga» ... 24
Semenzato Martina , Presidente ... 25
Valente Valeria ... 25
Semenzato Martina , Presidente ... 25 ... 25
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO
La seduta comincia alle 14.35
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di Roberta Beolchi, presidente dell'associazione « Edela », Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio e presidente dell'associazione « Olga », Marco Rossi Doria, presidente dell'impresa sociale « Con i bambini », Simona Rotondi, vice coordinatrice delle attività istituzionali dell'impresa sociale « Con i Bambini » e coordinatrice dell'iniziativa « A Braccia aperte » dedicata agli orfani di vittime di femminicidio, Fedele Salvatore, responsabile del « Progetto RESPIRO », Gabriella Scaduto, responsabile delle relazioni istituzionali dell'associazione « Olga» , Rosa Maria Di Maggio, responsabile Centro-Sud dell'associazione « Olga» e Glauco Gasperini, responsabile area legale dell'associazione « Olga» :
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione della dottoressa Roberta Beolchi, presidente dell'associazione «Edela» operante a livello nazionale a tutela degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie.
Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione, che sono collegati.
Ricordo, inoltre, che i lavori potranno proseguire in forma segreta sia a richiesta degli auditi che dei colleghi, sospendendosi in tal caso la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.
A nome di tutte le commissarie e dei commissari, do il benvenuto alla dottoressa Beolchi, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori.
Prima di darle la parola, tengo a sottolineare che con questa audizione prende avvio il filone d'inchiesta concernente il tema degli orfani di femminicidio, da cui potrà derivare una relazione ad hoc da parte della Commissione.
Segnalo che, secondo il Ministero dell'interno, nel corso del 2023 in Italia si sono verificati 118 femminicidi, di cui 98 nell'ambito familiare o domestico. Da dati dell'ottobre del 2023, si stima che in Italia ci siano circa 417 orfani di femminicidio. Gli orfani di femminicidio vivono una tragedia dai risvolti devastanti. I figli, infatti, finiscono per perdere entrambe le figure di riferimento.
Questi bambini e bambine non solo devono affrontare la morte della madre, ma sono privi anche del padre che finisce in carcere o alle volte si suicida. Oltre al dolore per la perdita dei genitori, sono chiamati a confrontarsi con problematiche materiali, ad esempio successorie, emotive, sociali e giudiziarie. A causa di traumi del genere, i figli delle vittime di femminicidio subiscono problemi nel loro percorso di sviluppo a livello emotivo, relazionale, cognitivo, nonché scolastico e lavorativo.
In Italia non esiste un vero e proprio registro istituzionale degli orfani di femminicidio. Per far riferimento ai dati ufficiali sopperiscono soggetti della società civile, Pag. 4tra cui le associazioni come «Edela» oppure «Olga», ma non solo. Ci sono anche alcune lacune normative da colmare.
Vista la presenza di tanti auditi, avverto che darò la parola per dieci minuti ciascuno a tutti gli auditi. Al termine degli interventi raccoglieremo le domande dei parlamentari a cui gli auditi potranno replicare con un intervento di massimo due o tre minuti. È un pomeriggio molto fitto e molto ricco.
Do la parola alla dottoressa Beolchi.
ROBERTA BEOLCHI, presidente dell'associazione «Edela». Buonasera, onorevole Presidente Semenzato, spettabile Commissione, onorevoli tutti, innanzitutto grazie per questa importante e determinante audizione anche per un'associazione come «Edela» che si occupa di tutelare e sostenere gli orfani di femminicidio, che ha scelto di voler sostenere gli orfani. «Edela» nasce nel 2018, in Campania, nel Lazio e poi si estende nel territorio nazionale, perché gli orfani si trovano, purtroppo, in tutte le regioni italiane.
Ci occupiamo di sensibilizzazione, nel rispetto dell'essere umano e della donna, nelle scuole, con i convegni. Abbiamo fatto accordi con i presidenti di molte regioni. Introduciamo nelle scuole il concetto di rispetto contro ogni forma di violenza, ma soprattutto interveniamo su richiesta delle famiglie con interventi immediati, che sono innanzitutto supporto ulteriore rispetto a quello psicologico, dove lo psicologo e la psicoterapeuta diventa un elemento essenziale sia per i nonni che hanno subìto il trauma dell'uccisione della figlia e sia per i bambini.
«Edela» vuole soprattutto accendere un faro su questo tema, che è la conseguenza del femminicidio, perché il femminicidio purtroppo, e sottolineo purtroppo, non vuol dire soltanto una donna uccisa, ma esistono i figli, esistono i parenti delle vittime di donne uccise per mano di un uomo. Ci tengo a precisare che «Edela» è un'associazione no profit, che, grazie al supporto di progetti ed iniziative filantropiche appoggiate da aziende, da privati, ma anche da associazioni internazionali come Feminin Pluriel Italia, presieduta da Diana Palomba, come l'Inner Wheel Club di Roma Romae, presieduto dalla dottoressa Grossoni, riescono ad aiutare concretamente sia i figli che i nonni, in genere affidatari. Riusciamo, infatti, a far recuperare, con corsi di studi privati, chi ha lasciato, perché è vero che la legge prevede delle borse di studio, ma ci sono bambini orfani che dopo l'efferato crimine non vanno più a scuola, si vergognano non di essere il figlio della donna uccisa, ma di essere recriminato come il figlio di un criminale e quindi anch'esso criminale. Li abbiamo fatti recuperare e studiare grazie a una serie di iniziative.
Presidente, quando questi bambini o ragazzi – abbiamo un range di età che va dai 2 anni ai 59 anni, quindi li abbiamo valutati sotto ogni aspetto ed età – capiscono che c'è qualcuno che li prende per mano, si occupa e preoccupa, ti seguono. Noi abbiamo ragazzi che si sono anche laureati, si sono sposati e hanno dei figli.
Questo ci fa onore per tutto, perché meritano una vita degna di essere normale, quando di normale nella loro vita c'è ben poco. Ci tengo a sottolineare che gli orfani di femminicidio sono tutti quei bambini e adolescenti che io ritengo con un meno davanti, cioè meno gioia, meno sorrisi, meno mamma, meno casa, meno speranze. Noi dobbiamo tutti cercare di traslare questo in una positività, perché loro già vivono nella loro psicologia tre traumi in uno: quello dell'abbandono, perché c'è la mamma uccisa e il papà che è in carcere o si uccide dopo l'efferato crimine, il trauma della guerra, perché vivono reiterate violenze, paure, sangue e anche loro hanno paura di essere uccisi, come è accaduto negli ultimi casi dei bambini che hanno difeso e protetto i propri fratelli. C'è poi la paura del terremoto perché, dal momento in cui apprendono la notizia non hanno più la casa, le loro cose, quindi perdono tutto. Noi ci siamo, siamo al loro fianco.
Il nostro è stato il primo Paese a redigere una legge su questo, mi riferisco alla legge n. 4 del 2018. L'Italia è la prima in un quadro europeo ad occuparsi e preoccuparsi con una legge. Bisogna, però, migliorarla, perché c'è molta burocrazia e le Pag. 5famiglie si sentono ad oggi molto sole, perché la burocrazia le blocca e quindi abbandonano, non ottengono.
Noi vogliamo in questo momento suggerire di far accedere loro a dei fondi diretti. I denari e i rimborsi che loro ottengono sono comunque vincolati a una documentazione molto complessa di rendicontazione, addirittura scontrini con nomi e cognomi. Le famiglie affidatarie devono poi preoccuparsi fondamentalmente di crescere questi bambini, di ricreare un'affettività, di far metabolizzare un lutto e soprattutto di ridonare una fiducia. Non lasciamo sole le famiglie affidatarie perché in questa complessità loro si perdono e non hanno una figura.
Mi preme dire, in un momento particolarmente complesso in cui purtroppo vediamo che tutti i giorni muore una donna per mano di un uomo, che dopo la denuncia noi interveniamo sugli uomini. Questo è quello che mi sento di dire. Io rappresento la loro voce, il loro grido di aiuto. Interveniamo in centri specializzati in via preventiva, in via educativa per avviare con dei professionisti un percorso di rieducazione, per capire in che condizioni psicologiche e psichiatriche si trova l'uomo, per poter salvare con delle linee guida specifiche l'uomo stesso, la donna, i bambini, quindi la famiglia.
Nel momento in cui una donna denuncia, inizia per lei un ulteriore calvario perché deve nascondersi, c'è chi deve scappare, chi deve andare in centri. L'uomo rimane comunque sempre molto lasciato a sé. Questa è una delle richieste/esigenze di queste famiglie, perché si sentono lasciate isolate, anche nel momento in cui vengono le donne a denunciare.
Il fatto di poter intervenire, anche a livello di burocrazia, significa poter lasciare sia i bambini che le famiglie in un ambito più sereno. Se riuscissimo noi a fornire una figura istituzionale o come facciamo noi delle associazioni, che nel momento in cui muore una donna e ci chiedono aiuto, veicoliamo tutte le compilazioni di dati burocratici e i moduli per l'accesso al fondo, sicuramente riuscirebbero ad essere più sereni, perché loro non sono, ovviamente, come tutti noi, preparati né al lutto né alle conseguenze.
Concludo il mio intervento ricordando anche la cara Anna Costanza Baldry, che fu la prima donna psicoterapeuta ad occuparsi in Italia di orfani, definendoli orfani speciali per i loro bisogni speciali. Sono certa che con la sua concretezza, immediatezza e professionalità, presidente, unito ai suggerimenti dell'associazione «Edela» e delle altre associazioni si riuscirà sicuramente ad aiutare, a migliorare soprattutto il percorso della quotidianità sia delle famiglie affidatarie che dei bambini e quindi a rendere speciale il loro presente e il loro futuro.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa.
Facciamo prima tutte le audizioni e poi raccogliamo le domande.
A seguire abbiamo l'audizione di Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio, fondatore e presidente dell'associazione «Olga».
A nome di tutte le commissarie e di tutti i commissari, do il benvenuto al dottor Delmonte, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione. «Olga» è il nome della madre di Giuseppe, uccisa dall'ex marito nel 1997. L'associazione «Olga» è nata a Milano nell'aprile di quest'anno e si impegna nel contrasto contro ogni forma di violenza.
A nome della Commissione, ringrazio Giuseppe Delmonte per la disponibilità a portare la sua esperienza dolorosa e il suo contributo in questa sede e gli cedo la parola.
GIUSEPPE DELMONTE, orfano di femminicidio e presidente dell'associazione «Olga». Grazie, presidente. Grazie alla Commissione e agli onorevoli tutti.
Oggi mi trovo in una situazione un po' particolare, nel senso che dovrò indossare due cappelli, quello da presidente e quello da orfano di femminicidio. Per chi non lo sapesse, io sono orfano di femminicidio dal 1997. All'epoca io avevo 19 anni. Erano anni in cui non c'era neanche il termine femminicidio e l'orfano di femminicidio era il cosiddetto «orfano invisibile». Io lo Pag. 6sono stato e lo sono stato per le istituzioni, lo sono stato per la società intera. Io non esistevo per niente e per nessuno. Ho subito questo abbandono sia istituzionale che psicologico. Questo va avanti per circa vent'anni quando riesco fortunatamente, grazie ai miei strumenti, alla mia capacità e alla mia resilienza, a riprendere in mano questa cosa e affrontare questo dolore che per noi orfani di femminicidio equivale al cosiddetto «ergastolo del dolore», che ci porteremo a vita per sempre. Una volta elaborato il dolore, inizio ad interessarmi di questa tematica. Cerco di capire che cosa fosse cambiato per l'orfano di femminicidio dopo circa ventitré anni. Ahimè, mi imbatto in una situazione che poco era cambiata rispetto a quel 1997.
Ci sono state una serie di leggi sia a tutela di queste donne sia a tutela dell'orfano di femminicidio, come la legge n. 4 del 2018, ma inizio a capire che l'orfano di femminicidio è definito anche «orfano speciale», perché ha dei bisogni speciali immediati e bisogna dare risposta, bisogna dare risposta nell'immediatezza del reato. Come dico io, l'orfano di femminicidio è orfano da quel momento, non può aspettare tutta una serie di lungaggini burocratiche che lo portano a essere vittima per una seconda volta.
Oggi mi sto interessando del tema dopo tre anni di attivismo in giro per l'Italia. Credo molto nel cambiamento culturale, quindi vado nelle scuole, vado a parlare ovunque di violenza sulle donne, portando appunto alla luce sia delle istituzioni che del mondo civile questa problematica, che, ahimè, ci colpisce.
In questi tre anni capisco l'importanza di arrivare a trovare delle soluzioni dal punto di vista istituzionale, ma anche da un punto di vista di multidisciplinarietà delle professioni. Lì nasce l'idea di fondare l'associazione di cui sono orgoglioso di essere il presidente in quanto porta il nome di mia madre, quindi l'associazione «Olga», educare contro ogni forma di violenza.
Questo l'ho fatto grazie a una serie di professionisti che mi supportano. Sono professionisti di varie estrazioni e professioni. Sono psicoterapeuti, avvocati e forze dell'ordine. Credo molto nell'interagire di queste professioni, perché la violenza va affrontata da molti punti di vista, non solo dal punto di vista psicologico.
Io dico sempre che mio padre prima di essere un assassino è stato un ladro. Questi assassini sono dei ladri, rubano i sogni a questi bambini. Non posso pensare che ancora oggi, nel 2024, ci siano dei bambini che sono costretti a non avere dei sogni e a portare avanti le loro aspirazioni.
Chiedo oggi alla Commissione, a voi che avete una responsabilità, e io porto tutto il peso di noi orfani di femminicidio, di fare qualcosa. Mi sono reso conto in questi tre anni che effettivamente le cose si possono fare. Ho conosciuto delle persone che lo fanno quotidianamente. Sono dei progetti che adesso subito dopo di me verranno raccontati. Io li reputo un po' la cosiddetta «ricetta», quello che serve per l'orfano di femminicidio, cioè non essere lasciato solo neanche un giorno. Bisogna essere presenti nel momento del femminicidio, immediatamente. Non bisogna lasciare sole le famiglie affidatarie di questo orfano, perché vivono anche loro un lutto. Spesso sono nonni, sono zii, sono nonne che mi raccontano, perché ho contatti con queste caregiver, che non possono piangere le loro figlie accoltellate perché non possono farlo davanti ai loro nipoti. Sono famiglie che non possiamo far finta che non esistano. Bisogna sicuramente intervenire. Lo si può fare, lo si può fare solo integrando tutta una serie di forze e di professioni che se ne occupano, ma che molte volte non dialogano.
La mia associazione si prefigge di mettere in contatto queste forze e cercare di costruire dei progetti affinché questi bambini non vengano lasciati soli.
Oggi sono – lo dico con il cuore in mano – orgoglioso di essere qui, perché mi rendo conto che solo qui possono cambiare le cose. Voi avete veramente la capacità di far tornare questi orfani a sognare. È stato rubato loro la cosa più importante. È giusto che si faccia qualcosa. Voi sicuramente lo potete fare. Io metto a disposizione la mia storia, metto a disposizione la mia professionalità, la mia associazione.Pag. 7
Spero di trovare la forza e la possibilità di cambiare realmente queste cose. La ringrazio veramente di cuore per la sensibilità che ha messo nei confronti di noi orfani di femminicidio.
Come dico sempre, sono le storie che cambiano la storia. Io ho messo la mia storia. Adesso, se insieme possiamo cambiare qualcosa, ne sarei veramente fiero e ne saranno sicuramente fieri tutti gli orfani di femminicidio. Ahimè, in Italia, ancora, come si è detto, non c'è una stima effettiva. È ora di dare loro un'identità e il rispetto che meritano.
Grazie a tutti.
PRESIDENTE. Grazie. Abbiamo istituito questo gruppo di lavoro proprio per lavorare insieme su questo punto.
Raccogliamo dopo le domande. Le audizioni sono tante. Così diamo anche modo di stemperare un po' l'emozione.
A seguire, l'audizione del dottor Marco Rossi Doria, presidente dell'impresa sociale «Con i bambini», che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
L'impresa sociale «Con i bambini» è una società senza scopo di lucro, costituita il 15 giugno del 2016 per attuare i programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, previsti dal protocollo d'intesa stipulato il 29 aprile 2016 tra l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Presidente di ACRI, l'associazione delle fondazioni di origine bancaria. L'impresa sociale è interamente partecipata dalla Fondazione Con il Sud.
Tra le attività di impresa sociale rientra l'«Osservatorio con i bambini», che nasce dalla collaborazione con Openpolis, per promuovere un dibattito sulla condizione dei minori in Italia. L'Osservatorio produce dei report su scuola, cultura, servizi sociali, sport e disuguaglianze digitali, monitorando in particolare la presenza e la distribuzione sul territorio dei servizi dedicati ai minori in Italia dalla prima infanzia all'adolescenza.
Do la parola al dottor Marco Rossi Doria.
MARCO ROSSI DORIA, presidente dell'impresa sociale «Con i bambini». Grazie, presidente. La ringrazio per questa disponibilità. Grazie agli onorevoli parlamentari qui presenti.
L'impresa sociale «Con i bambini» nasce, come avete sentito dalle parole del presidente, da una determinazione pubblica, da una legge di stabilità, quella del 2016, che consente alle fondazioni di origine bancaria di avere un credito d'imposta per fare interventi sperimentali impattanti sulle diversissime forme della povertà educativa minorile in Italia. Quindi, la nostra attività prevalente non è quella di osservatorio, ma è quella di azione, azione che richiede una valutazione di impatto per ogni nostro progetto. Sono state così finanziate attività relative alla povertà educativa in Italia per oltre 450 milioni di euro, derivati, appunto, da questo credito d'imposta. Questo ha consentito di mettere in azione, ad oggi, diciannove bandi, abbiamo raggiunto complessivamente 500 mila minori in situazione di povertà a vario titolo, mobilitando alleanze, che chiamiamo «comunità educanti», che vedono le pubbliche amministrazioni locali lavorare insieme alle scuole, al terzo settore, al volontariato e al civismo educativo più generalmente inteso. Finora abbiamo, appunto, raggiunto 500 mila bambini e le loro mamme e i loro papà. Inoltre, ci sono 720 partenariati in azione in Italia, che registrano l'attività, tra enti pubblici e privati, di circa 7.700 organizzazioni. Quindi, è un cantiere immenso.
All'interno di questo cantiere, nel 2020 il Comitato di indirizzo strategico del Fondo ha preso la determinazione di allocare 10 milioni di euro per affrontare in via sperimentale un intervento diretto al sostegno dei bambini orfani di femminicidio, che è il più grande intervento organizzato oggi in Italia. Il bando, che si è svolto successivamente, ha visto una divisione territoriale, per cui vi sono partenariati del nord Italia, del centro Italia, del sud Italia e delle isole che intervengono in tale ambito. A seguire, interverrà la dottoressa Rotondi, che illustrerà i dati e le modalità di intervento in maniera tecnica, per cui lascio a lei le questioni tecniche.Pag. 8
Mi preme sottolineare che noi, in questi quattro anni, siamo stati a fianco a questi bambini e a chi se ne sta occupando. Abbiamo raggiunto 220 bambini e bambine, ragazzi e ragazze, di diversa età, e altri 157 li abbiamo presi direttamente in carico, compresi gli ultimi purtroppo agli onori o disonori della cronaca.
Interveniamo con uno spirito, da un lato, fortemente competente e, dall'altro, di grande prossimità. Questo significa sostanzialmente due cose: favorire l'integrazione vera, autentica e operativa tra tutti gli attori in campo, le forze dell'ordine che arrivano sulla scena del crimine, i servizi sociali del comune, i volontari, i genitori potenziali affidatari, i nonni, gli zii, una volta che è successo quello che è successo; avere lo sguardo, chiaramente definito, centrato sui bambini e sulle bambine, sui ragazzi e sulle ragazze, fin dal primo momento. Poi li accompagniamo. Li accompagniamo perché i loro caregiver possano aiutarli, li accompagniamo presso la scuola, mobilitiamo gli insegnanti e i dirigenti scolastici, mobilitiamo le parrocchie e i centri sportivi, mobilitiamo tutto quello che rientra nella vita di questo bambino e di questa bambina. Insomma, li accompagniamo a intraprendere il percorso che Giuseppe Delmonte vi ha prima descritto, ossia la possibilità di elaborare quello che gli è successo.
Questo è un lutto non elaborabile, secondo la letteratura internazionale. Si aggiusta in parte ricostruendo, con grande fatica e introspezione, un percorso resiliente e un progetto di vita, ma non si supera, perché la persona che è stata uccisa è stata uccisa dall'altra persona che ha generato quel figlio e che lo ha privato di tutta la cura in un solo momento. Questo tipo di lutto è inappellabile. Quindi, noi lavoriamo per riparare il danno insieme ai bambini e insieme a chi se ne cura tutti i giorni.
La mia principale raccomandazione è duplice. La prima raccomandazione è che il Parlamento della Repubblica deve avere chiaro che a occuparsi di queste tematiche non può essere uno Stato astratto o lontano, ma uno Stato che lavora nel pieno dello spirito dell'articolo 118 della Costituzione, che si fonda sui princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, ovverosia avere persone competenti e capaci di flessibilità, che operano per mettere insieme gli enti della Pubblica Amministrazione, a partire dal comune per arrivare a tutti gli altri, quindi Ministero della difesa, Ministero della giustizia e Ministero dell'interno, dunque chi può organizzare le azioni in maniera prossimale e con grande costanza e professionalità.
La seconda raccomandazione riguarda la professionalità. Di queste tematiche non ci si può occupare senza una grande sorveglianza da parte dell'équipe che prende in carico il minore, che deve sapere cosa sta facendo, essere in grado di correggere gli errori ed essere capace di avere le spalle larghe per affrontare una situazione così terribile.
Finisco questo mio intervento dicendo una cosa triste, che credo possiamo condividere. Oggi siamo in un'istituzione della Repubblica per parlare di come allestire qualcosa in continuità nel tempo, che vorremmo che, invece, si interrompesse adesso. Questa è una cosa di cui dobbiamo essere consapevoli. Purtroppo non si interromperà per profondi motivi culturali, su cui siamo tutti all'opera proprio per evitare questi tragici eventi. Parlo della prevenzione, della prevenzione primaria, della prevenzione con gli uomini, della prevenzione con le donne, della prevenzione con i bambini nella scuola. Però, al contempo siamo tutti consapevoli che qualcuno sarà lasciato indietro e che di questo qualcuno, di due, tre, sette, undici, dodici o tredici anni e una vita davanti a sé, bisogna occuparsi per davvero.
Occorre, quindi, grande professionalità e prossimità, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, per far sì che le leggi, che per fortuna già ci sono, possano operare meglio.
PRESIDENTE. Grazie, dottor Rossi Doria.
Proseguiamo con l'audizione della dottoressa Simona Rotondi, vicecoordinatrice per le attività istituzionali dell'impresa sociale «Con i bambini» e coordinatrice dell'iniziativaPag. 9«A braccia aperte», dedicata agli orfani di femminicidio, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
«Con i bambini» seleziona partenariati promossi da enti del terzo settore per progettare interventi a sostegno degli orfani di vittime di crimini domestici e di femminicidio. «A braccia aperte» è al settimo bando, promosso da «Con i bambini» nell'ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa e minorile, per sostenere gli interventi a favore degli orfani di vittime di crimini domestici e di femminicidio.
Il dottor Rossi Doria ci ha accennato che a lei è demandata la parte operativa. Prego.
SIMONA ROTONDI, vice coordinatrice attività istituzionali «Con i Bambini» e coordinatrice iniziativa «A Braccia aperte» dedicata agli orfani di vittime di femminicidio. Grazie, presidente. Grazie a tutti voi per l'ascolto e l'attenzione.
Vorrei condividere con voi quelle che sono state le modalità concrete e operative con cui abbiamo attuato e stiamo tuttora attuando la gestione, insieme a importanti reti, una delle quali è qui presente e che successivamente prenderà la parola per raccontare in maniera ancora più fattiva quello che stiamo facendo, dell'iniziativa «A braccia aperte», iniziativa sperimentale in Italia dedicata al sostegno e all'accompagnamento degli orfani di vittime di crimini domestici e delle loro famiglie affidatarie.
Il 20 aprile 2020 pubblicammo e lanciammo questo avviso pubblico a livello nazionale attraverso cui volevamo chiamare in causa e, quindi, sollecitavamo le organizzazioni del terzo settore che erano più competenti, che avevano già maturato alcune esperienze e che avevano al proprio interno profili professionali in grado di gestire e fronteggiare questo fenomeno, che – non lo nascondiamo – nel 2020 era un fenomeno ancora considerato invisibile o, comunque, particolarmente complesso da gestire, da analizzare e, quindi, da fronteggiare. Abbiamo lanciato questo avviso con scadenza a tre mesi successivi, nel luglio dello stesso anno. Diversamente da come solitamente si interviene con i bambini – con i bambini si interviene pubblicando dei bandi a cui i candidati potenziali, che sono enti di terzo settore in partnership con altri enti di natura pubblica e privata, rispondono presentando progetti strutturati, quindi delle vere e proprie ipotesi di lavoro – questa volta, per la complessità del fenomeno e soprattutto per la delicatezza delle risorse che sarebbero state coinvolte, risorse umane e non risorse economiche – ricordo, comunque, che sono stati impegnati 10 milioni di euro – abbiamo deciso di costruire i progetti in maniera collegiale insieme ai soggetti che abbiamo poi considerato autorevoli, competenti e capaci. Quindi, abbiamo seguito un percorso di coprogettazione.
Abbiamo selezionato quattro partenariati, nord-est, nord-ovest, centro, sud e isole, quindi abbiamo suddiviso il territorio in quattro quadranti, assegnando a ciascuna di queste aree un budget, all'interno di questo plafond, pari complessivamente a 10 milioni di euro, individuando anche dei capofila. La cooperativa sociale «Irene '95» gestisce la cordata del sud, l'associazione «Il Giardino Segreto» opera al centro, i Centri Antiviolenza EMMA nel nord-ovest e la cooperativa sociale «Iside» nel nord-est.
Come abbiamo lavorato e come stanno lavorando? Noi abbiamo selezionato queste grandi competenti reti. Complessivamente sono partner di questa grande iniziativa. Attualmente sono operativi novantasei enti di natura pubblica e privata. Ci sono molte università e molte scuole, tanti enti locali, tribunali e anche enti di natura profit. Per sei mesi, da luglio a dicembre 2020, insieme abbiamo costruito un modello di intervento. Lo definiamo così, seppure a fatica, perché il territorio è unico, però l'Italia, ahimè, è caratterizzata da grandi diseguaglianze e peculiarità tra il nord e il sud anche nel modo di gestire e relazionarsi con i servizi sociali, con le scuole e con le famiglie. Tuttavia, abbiamo cercato di rispondere in maniera efficace e competente ai bisogni che ciascuna di queste aree territoriali comunque manifestava. Quindi, nasce questo modello di intervento, Pag. 10che nel rispetto delle peculiarità prevede quattro direttrici comuni. I progetti sono partiti nel 2021, oggi siamo nel pieno del ciclo di vita di queste progettualità, che si concluderanno tra due anni. Dicevo, dunque, che abbiamo previsto, insieme a queste risorse umane altamente competenti, a queste reti che si sono venute a creare su tutto il territorio, quattro grosse direttrici, che sono quattro ambiti con cui stiamo lavorando e intervenendo a livello nazionale.
La prima direttrice, che è quella fondamentale e che pesa maggiormente in termini economici, è la presa in carico individualizzata e personalizzata di ciascun orfano vittima di crimine domestico. Qui siamo stati particolarmente attenti soprattutto a differenziare le risposte che venivano date in base all'età. Un conto è – questo lo diranno meglio coloro che mi succederanno negli interventi – prendere in carico un bambino di tre anni, altra cosa è prendere in carico e sostenere un adolescente di quindici anni o un ragazzo di vent'anni che deve entrare nel mondo del lavoro e che ha subìto un trauma, una ferita così terribile. Sono due situazioni completamente diverse, a cui vanno date risposte diverse. Per questa ragione, insieme alle quattro reti, abbiamo ideato una risposta che trova spazio nelle doti educative. Ogni minore riceve una risposta personalizzata a un piano educativo. Sottolineo la parola «educazione» perché per noi è stato importante rispondere non semplicemente con voucher economici, monetari. Alla base ci doveva essere - questa è la cosa più faticosa - un patto educativo con la famiglia affidataria, affinché il minore, il bambino, la bambina, l'adolescente, potesse trovare un'offerta di senso e di significato nel suo percorso di vita.
Faccio degli esempi molto concreti. A questi orfani è stato offerto un abbonamento di sport, che non potevano, ovviamente, permettersi, un percorso di psicoterapia, di sostegno individuale, l'acquisto di libri, l'acquisto di materiale didattico, la possibilità di fare delle gite, delle esperienze, che, ovviamente, erano inaccessibili per una famiglia affidataria, spesso anche in forti difficoltà economiche. Questo è stato sicuramente il primo importante pezzo che caratterizza tuttora questo intervento nazionale.
Il secondo riguarda il sostegno costante delle famiglie affidatarie, quasi sempre solo nonni, nonne e zii, spesso non in grado di educare o rieducare i propri nipoti o, nel caso delle famiglie affidatarie, i bambini che sono stati loro affidati.
Da parte delle nostre quattro progettualità, quindi, c'è una grande competenza ed esperienza nell'accompagnare e sostenere soprattutto nel percorso educativo, oltre che in un percorso psicologico dedicato a queste stesse persone.
Terzo importante anello di questa iniziativa è quello che noi chiamiamo «capacity building». Concretamente, sono percorsi formativi destinati a una pluralità di operatori: forze dell'ordine, avvocati, insegnanti, operatori, psicologi, assistenti sociali, rappresentanti degli enti locali, tutti coloro che - chi più, chi meno - entrano in contatto con questi bambini e bambine e che spesso non sanno che tipo di risposta, che tipo di intervento offrire loro in condizioni così complesse e difficili. Questi percorsi formativi, da due anni a questa parte, stanno cercando di rafforzare le competenze di questa molteplicità di operatori.
Ultima dimensione, molto importante, è quella della prevenzione. Tutti i nostri progetti prevedono una parte di risorse economiche, che noi abbiamo e stiamo assegnando loro, per interventi di prevenzione nelle scuole, di ogni ordine e grado, su tutto il territorio nazionale, dalle scuole dell'infanzia alle scuole secondarie di secondo grado, al fine di sensibilizzare ovviamente gli insegnanti, ma soprattutto i bambini e le bambine, fin dalla più tenera età, a una rappresentazione sociale e culturale corretta ed equilibrata tra uomo e donna nella relazione affettiva. Quindi, partiamo dall'educazione all'affettività. A seconda dell'età, il tema viene affrontato in maniera diversa. L'obiettivo è quello di sensibilizzare soprattutto gli adolescenti - questa è la sfida - anche rispetto a come si gestisce una relazione affettiva, come si reagisce alla Pag. 11frustrazione e come si deve innestare un buon rapporto di rispetto tra i due sessi.
Vi fornisco un ultimo dato. Stiamo prendendo in carico complessivamente 200 orfani. Questo numero non rappresenta il numero complessivo di orfani presenti in Italia. Purtroppo questo dato non è noto, non abbiamo questo dato statistico. Mi riferisco, ovviamente, agli orfani presi in carico all'interno di questa iniziativa, che sono 206: il 74 per cento ha tra i 7 e i 17 anni; il 17 per cento tra i 17 e i 21 anni; sotto la percentuale, stiamo parlando di circa l'8 per cento, ci sono bambini un pochino più piccoli. Un numero che fa riflettere è che il 36 per cento di questi orfani che sono presi in carico attualmente da questa grande iniziativa - ripeto, il 36 per cento - era presente al momento del femminicidio. Quindi, entra in gioco anche tutta la questione della violenza assistita, il trauma sul trauma dell'aver ripetutamente, in età infantile, assistito a dei fenomeni di violenza, reiterata e costante.
Chiudo ringraziandovi. Cedo la parola a Fedele Salvatore, il professionista che coordina il progetto del sud Italia, che sicuramente sarà molto più concreto di me.
Grazie.
PRESIDENTE. Proseguiamo con lo svolgimento dell'audizione del dottor Fedele Salvatore, responsabile del «Progetto RESPIRO», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
«RESPIRO» è un progetto nato per prendere in carico gli orfani di femminicidio, accompagnandoli in un percorso di sostegno che coinvolge non solo loro, ma anche i familiari. Opera in sei regioni del sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia), con una équipe multidisciplinare di pronto intervento.
Prego, dottor Salvatore.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. Signor presidente, la ringrazio. Grazie a tutti voi.
Per stare nei tempi leggerò, anche perché mi potrei facilmente commuovere.
Vorrei provare a farvi entrare nella vita degli orfani. Chi sono questi orfani. Mentre continuano a consumarsi femminicidi sul nostro territorio nazionale, continuiamo a chiederci, noi che tutti i giorni siamo con loro: dove sono i bambini orfani? Sapete dove sono? Chi ne sta tutelando i diritti? Chi si sta prendendo cura di loro in questo momento? Come hanno vissuto le ore e i giorni dopo la tragedia? Quali servizi sono intervenuti tempestivamente? Quale sarà il loro futuro?
Affidati perlopiù alle cure di familiari attoniti e stravolti dal dolore, ripiegati sulle proprie angosce, nel migliore dei casi sono oggetto della pietà di un familiare più sensibile, di un vicino di casa più attento, delle bugie pietose di chi pensa in buona fede di tutelarne la salute psichica e fisica, mentre intorno a loro si scatena una tempesta di riflettori puntati, inchieste della magistratura, curiosità morbosa di tanti. Questi bimbi e ragazzi hanno bisogno, invece, di un'attenzione, di una cura prossima e competente, capace di sussurrare alle loro orecchie parole veritiere e non pietose menzogne su quanto accaduto, capace di accompagnarli nelle giornate e settimane tremende successive alla tragedia, dal rito funebre al ritorno a casa, al ritorno a scuola. Chi si prende cura anche dei compagni di classe, dei genitori travolti dalla tragedia, capace di dire una parola competente in tema di trauma e di lutto rispetto ai percorsi di tutela e di cura da mettere in atto?
Noi li abbiamo incontrati, li stiamo incontrando. Nel deserto di notizie, di informazioni e di riferimenti, siamo andati a cercarli uno a uno. Negli ultimi tre anni abbiamo censito più di 300 cosiddetti «orfani speciali» minorenni dell'Italia meridionale. Il nostro progetto RESPIRO, che è l'acronimo di «Rete di sostegno per percorsi di inclusione e resilienza con gli orfani speciali», in questo momento ne ha in carico - come si dice in gergo - un centinaio, di tutte le regioni meridionali.
Per le altre regioni, come sapete, ci sono altri progetti.Pag. 12
Ogni storia è diversa dalle altre, perché sono diversi i contesti nei quali maturano, le persone coinvolte, le circostanze e le conseguenze del crimine, ma tutti ci hanno travolti con i loro abissi di dolore, di sofferenza e di paura, con la solitudine di chi è lasciato solo, dopo la bulimia di cronache morbose ed episodi di commemorazioni annuali. Tra poco ne avremo settimane intere.
Nella totalità dei casi abbiamo dovuto riconoscere che lo Stato al momento opportuno non c'era. Questa è una frase di Giuseppe, che ha detto: «Io non mi sono ritrovato lo Stato accanto». Non c'è mai stato un intervento tempestivo, in emergenza, volto a tutelare e prendersi cura dei piccoli orfani. In tanti casi abbiamo dovuto constatare che la dabbenaggine e il buonsenso di quanti sono intervenuti in prima battuta (familiari, forze dell'ordine, servizi sociali) sono stati fonte di vittimizzazione secondaria per bambini già così fortemente traumatizzati.
Nella stragrande maggioranza dei casi, l'attenzione è quasi esclusivamente puntata, anche dai familiari, che ovviamente sono preoccupati del «dopo di loro», sui bisogni economici, ritenendo che per tutti gli altri bisogni possa bastare il buonsenso o la carità di qualche persona che aiuta.
Ve li voglio presentare. Piuttosto che elencarvi dei problemi, io vi elenco delle storie, vi faccio conoscere degli orfani.
Alessia: «Quando diventi orfana così, il dolore ti spezza le gambe e l'aria infinita, che vola ovunque, sembra non esserci più in te».
Altin e Petrin, 4 e 6 anni. Ve li ricordate? La settimana scorsa. Molti già non se li ricordano più. Peraltro, sono albanesi arrivati qui da tre mesi, insieme a una mamma che si è venuta a prendere la morte in Italia. La scorsa settimana, appena appresa la notizia, abbiamo chiesto di intervenire per stare vicino agli orfani che erano presenti durante il soffocamento della mamma. Ci hanno risposto che era tutto sotto controllo, che ci stavano pensando i carabinieri. Le assistenti sociali non c'erano, non era il loro giorno lavorativo. Nessuno ha informato la Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, titolare della tutela dei bambini. I carabinieri li hanno collocati - spero solo collocati - presso gli zii paterni, ma il giorno dopo, quando faticosamente li abbiamo rintracciati, non stavano più nel rudere che era la loro casa, perché non ci entravano fisicamente in questo rudere, ma si trovavano presso un altro parente, tutti impauriti, frastornati e sofferenti. In questi giorni stiamo provando a stare al loro fianco, nonostante ci si rimproveri un eccesso di zelo.
Marta, 14 anni. A dieci mesi dall'omicidio-suicidio dei suoi genitori (i nomi sono tutti di fantasia, naturalmente) è ancora in attesa della conclusione delle indagini. La casa è ancora sequestrata, il conto cointestato della mamma con la nonna è sequestrato; non essendoci sentenza, non può accedere agli aiuti economici. Stiamo provvedendo noi, per quanto possiamo. Durante i giorni immediatamente successivi alla tragedia, e ancora oggi, siamo stati costantemente vicini a lei e ai suoi nonni: di giorno, di sera, di sabato, di domenica, a qualunque ora. Abbiamo provveduto noi ad avviare un percorso psicoterapeutico per lei e un sostegno psicologico per i nonni, a pretendere l'assegno previsto per le famiglie affidatarie. Il nonno settantacinquenne mi confessa di sentirsi inadeguato per fare da papà a una quattordicenne peperina. Chi la andrà a prendere a mezzanotte quando esce o va a una festa? Dove prendere i soldi per le sue continue richieste? Come avere la forza di dire i «no» che si devono dire? Noi, in realtà, pensiamo sia meglio affidarla all'unica persona che riusciva a governare questa ragazza: una zia che risiede in un'altra città. Vorremmo parlarne con chi decide queste cose. Ma che fatica! Ve lo assicuro. Che fatica!
Antonio e Matteo. Sono evidenti anche a un primo sguardo le loro sofferenze psichiche, ma la nonna continua a ripetermi che sono loro i migliori psicologi per i nipoti. Nessun servizio li ha mai seguiti. Qualche associazione li blandisce, esibendoli in eventi pubblici a titolo caritativo, ed essi, che vivono ripiegati sul dolore della Pag. 13perdita della figlia, preoccupati, giustamente, solo del «dopo di noi», quindi dei bisogni economici, stanno al gioco.
Erica, Antonio, Marco. Li abbiamo incontrati a più di dieci anni dal femminicidio. Nessuno si era mai occupato di loro dopo l'affidamento alla nonna materna, che già era stata colpita da altri traumi (le avevano ucciso il marito e un fratello). Solo Erica ha intrapreso con noi un percorso psicoterapeutico, e già riesce ad affrontare la vita con più consapevolezza e forza. Erica ci ha scritto: «Non ho vergogna a dirlo. Io vado a trovare mio padre e molta gente potrebbe pensare cose negative su di me. Mi è capitato di sentire delle frasi del tipo 'lei va dal padre, quindi non vuole bene alla madre'. Non ho dormito per giorni». Questo è un grande tema, quello dei papà in carcere.
Luigi. Quando il papà ha ucciso la mamma con sei colpi di pistola a bruciapelo, gli hanno detto che era stato un incidente, ma lui aveva visto e sentito il papà che raccontava tutto alla nonna. Loro non se ne erano accorti. Una pietosa assistente sociale lo aveva anche accompagnato in carcere, dicendo che lo accompagnava sul luogo di lavoro del padre. E lui, costretto a reggere la doppia verità degli adulti, continuava a dissociarsi, come si dice in gergo. Siamo arrivati dopo circa due anni e abbiamo costretto noi gli adulti, compresi i professionisti, assistenti sociali e psicoterapeuti, a dirgli ufficialmente la verità, per evitare che Luigi si avviasse verso la schizofrenia. Affidato agli zii paterni, questi vivono in funzione dell'uscita dal carcere del loro caro e piegano a questo bisogno adultocentrico anche la vita del bimbo. Noi rischiamo di essere i cattivi che pretendono che il padre sia pronto all'incontro con lui.
Pasquale e Giovanni. Da 12 anni affidati a una zia materna, ma in realtà vivono con la nonna. Nessuno si era occupato più di loro dopo il femminicidio. La zia utilizzava soprattutto per sé e per suo figlio i contributi economici destinati ai ragazzi. Abbiamo rimesso ordine in queste relazioni familiari e accompagnato nelle pratiche per l'indennizzo e per gli aiuti di legge. Dopo 12 anni li abbiamo accompagnati in un vero percorso psicoterapeutico. Nei giorni scorsi abbiamo saputo che il papà è uscito dal carcere. Ora vogliamo sostenere i ragazzi se volessero incontrarlo.
Marco e Angela. Il padre ha ucciso i nonni ad accettate e ferito mortalmente la madre, che dopo il coma è in fase di difficile riabilitazione. Tutto è avvenuto davanti a un condominio, che, traumatizzato, ha chiesto e ottenuto il nostro aiuto.
Questi sono orfani? Questa è una delle domande che ci poniamo. Antonio, Francesco e Michele sono tre fratelli, in primo tempo identificati come orfani di femminicidio e accolti in comunità educativa, alla quale abbiamo assicurato la nostra collaborazione. Poi, l'avvocato del padre è riuscito a far ribaltare la sentenza. Al momento, il caso della morte della moglie è un caso di malasanità e non un caso legato alle violenze subìte dalla donna. Il processo non è ancora chiuso.
Giovanni e Antonello sono due fratelli, il più grande uccide la madre per conto del padre, che è in carcere in quanto malavitoso. Contemporaneamente omicida e orfano. Angela e Casimiro sono due fratelli, il papà omicida era un camorrista, che poi in carcere si è pentito, per cui hanno dovuto affrontare un lungo periodo di protezione insieme ai nonni materni, girando l'Italia, in perenne precarietà abitativa, economica e affettiva. Da poco sono tornati al loro paese e si sono affidati con fiducia alla nostra cura. La più grande si è iscritta a medicina. Che soddisfazione!
Ci sono, poi, donne che hanno ucciso i loro compagni, anche con l'aiuto dei figli, in risposta alle violenze subìte. Ci sono donne rimaste invalide permanenti e bisognose di aiuto nell'accudimento degli orfani. Ci sono donne sparite per una lupara bianca che assomiglia tanto al delitto d'onore, con bimbi in balìa di adulti incapaci e spesso violenti. Ci sono orfani e caregiver che rifiutano anche il nostro aiuto dopo anni e anni di abbandono e solitudine.
Non vi volevo portare in una galleria degli orrori, ma vi vorrei aiutare a comprendere che gli orfani sono persone in carne ed ossa, hanno una storia, hanno una Pag. 14vita, oltre le celebrazioni. Hanno bisogno di chi si prenda cura di loro 365 giorni all'anno. Perciò, forte di questa condivisione delle loro vite e di questa esperienza professionale che, come diceva la dottoressa Rotondi, è di grande competenza, non può approcciarsi a queste storie solo chi vuole fare un po' di beneficenza o un po' di carità. Questo va bene, va benissimo, è lodevole. Ma ci vogliono le competenze.
Allora, forte di questo, proponiamo alla Commissione che prenda in seria considerazione alcune proposte operative, che siamo pronti a illustrarvi fin d'ora e a esplicitare in tutte le sedi opportune. Primo punto: occorre un tavolo di lavoro permanente sugli orfani che metta insieme enti pubblici, terzo settore, ministeri e quant'altro. Secondo punto: è necessario un osservatorio nazionale sugli orfani, che non è mai stato istituito, che monitori e osservi come evolve questa tematica, che verifichi l'attuazione della legge n. 4 e che si dedichi a tenere sotto controllo tutti gli aspetti della vita di questi orfani, in modo particolare quelli educativi. Terzo punto: bisogna individuare una procedura operativa condivisa per la fase di emergenza.
Noi ne abbiamo una già pronta e ci stiamo già adeguando a questa procedura, però secondo me deve essere condivisa a livello nazionale. Tutti, carabinieri, forze dell'ordine, servizi sociali, devono sapere cosa si fa nei primi momenti e nelle prime ore. Quarto punto: occorre una formazione continua per gli operatori. Quinto punto: è necessario tracciare percorsi di prevenzione per i bambini e i giovani.
Vi ringrazio e mi scuso se sono stato un po' lungo.
PRESIDENTE. Grazie, dottor Salvatore, per questa audizione veramente ricca, che abbiamo dovuto comprimere nella parte finale. Tuttavia, la invito a mandare alla Commissione tutta la documentazione contenente i punti programmatici, che forse sono lo spunto più significativo di riflessione per la nostra inchiesta, meglio se in formato digitale, in modo tale da poterla condividere con tutti i colleghi. Chiaramente lo stesso discorso vale per eventuali opuscoli o studi che avete realizzato, in modo che poi possiamo approfondire i punti programmatici, che sono, dicevo, alla base del nostro lavoro di inchiesta.
La ringraziamo, dottor Salvatore, anche per la narrazione che ci ha fatto su questi giovani e meno giovani orfani di femminicidio, perché così gli ha dato un volto e anche una storia. Spesse volte, infatti, si rischia di avere solo numeri. Quindi, la ringraziamo per questa audizione molto toccante.
I lavori proseguono con l'audizione di Gabriella Scaduto, responsabile delle relazioni istituzionali dell'associazione «Olga», che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
Prego, dottoressa.
GABRIELLA SCADUTO, responsabile relazioni istituzionali dell'associazione «Olga». Buon pomeriggio, presidente, spettabile Commissione, onorevoli tutti.
Quando parliamo di diritti umani, non possiamo non parlare, in qualsiasi ambito in cui andiamo a lavorare, dell'applicazione delle convenzioni che come Stato italiano abbiamo ratificato, proprio perché le convenzioni internazionali ci offrono quel quadro giuridico e normativo per la protezione, in questo caso oggi, degli orfani di femminicidio. La loro concreta attuazione è fondamentale, dal momento che ci offrono quel quadro utile ed essenziale che il mondo politico e sociale deve o può utilizzare per rispondere attivamente alle esigenze di questi bambini e di queste bambine e di questi adolescenti.
Non posso non citare, chiaramente, la Convenzione per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza nel suo articolo 6, relativo al diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, e nel suo articolo 20, che sancisce che i bambini che non possono vivere con i genitori hanno diritto a una protezione speciale e nel caso degli orfani speciali deve essere garantito un ambiente sicuro, un supporto e un percorso di tipo psicologico e psicoterapeutico, come ripreso dalla Convenzione di Istanbul, anch'essa ratificata dal nostro Paese, che riconosce l'effetto dei femminicidi sui minorenni, sottolineando la necessità di proteggerli promuovendo programmi di sostegno che vadano a favorirePag. 15 il sostegno psicologico per gli orfani di femminicidio, con l'obiettivo di ridurre l'impatto a lungo termine.
Quando parliamo di vittime di orfani, facciamo riferimento a un tipo di trauma molto specifico. A parte essere il referente delle relazioni istituzionali dell'associazione «Olga», io sono una psicologa e una psicoterapeuta, formata in diritti umani, per cui oggi qui desidero ribadire il concetto di childhood traumatic grief, ovvero l'incapacità di elaborare il lutto a seguito della reazione al trauma. Immaginate degli orfani con ricordi invadenti sulla morte, che si manifestano attraverso incubi o sensi di colpa per il modo in cui la persona è morta.
Prima abbiamo sentito di bambini e di bambine che hanno assistito alla morte della madre o che a volte sono rimasti a vegliare il corpo della madre. L'evitamento, l'intorpidimento, questi sintomi possono essere espressi tramite il ritiro, il bambino che agisce come se non fosse turbato, il bambino che evita di ricordare la persona amata, anche nei ricordi belli, nei ricordi piacevoli, proprio perché immediatamente si vanno a insinuare quel dolore e quei ricordi traumatici. I sintomi fisici ed emotivi di maggiore eccitazione, che includono l'irritabilità, la rabbia, i disturbi del sonno, la diminuzione della concentrazione nei compiti del quotidiano o scolastici, il peggioramento del rendimento scolastico, nonché mal di testa, mal di stomaco.
Io vorrei veramente farveli visualizzare, proprio perché nel dolore traumatico infantile l'interazione che avviene tra trauma e sintomi del dolore è tale che qualsiasi ricordo o pensiero, anche felice, della persona amata che non c'è più può portare a pensieri, immagini o ricordi spaventosi di come la mamma è deceduta.
Ci sono quattro aree di impatto importanti dei femminicidi sugli orfani: l'impatto psicologico; l'impatto sociale, ovvero l'incapacità di avere legami, ad esempio, con i nuovi caregiver, i problemi con i pari dovuti alla stigmatizzazione; l'impatto fisico, legato alla somatizzazione, il mutismo, i problemi respiratori, i problemi di peso; l'impatto fisico e accademico, calo dei voti, ritiro scolastico, difficoltà di concentrazione.
A questo, inoltre, aggiungo la vittimizzazione secondaria, ovvero quella che viene prodotta dal sistema quando non ci sono le tempistiche giuste, non c'è una presa in carico adeguata, non c'è una formazione specializzata e non c'è una collaborazione e un'integrazione tra le varie parti che dovrebbero formare il sistema di protezione dei diritti.
A questo, infine, aggiungo i fattori di rischio e di protezione: il pre-trauma, quali erano le caratteristiche di questi bambini, cosa sappiamo del prima, della famiglia, degli stressor; il peri-trauma, le caratteristiche dell'omicidio o dell'intervento, la possibilità anche spesso di dire addio al genitore; il post-trauma, le caratteristiche della famiglia affidataria, la posizione della nuova abitazione, il supporto psicologico che dovrebbero avere.
Giungo, in conclusione, alle proposte che offriamo come spunto di riflessione a questa Commissione. Credo che voi abbiate un ruolo fondamentale, il ruolo di portare ad altre istanze le necessità di quelli che spesso sembrano numeri nei report. Prima abbiamo sentito dei numeri, poi Fedele Salvatore ci ha dato dei volti. Io vi do la condizione. Bisogna capire come è meglio agire per migliorare quello che in realtà già c'è, trovando strumenti tecnici giuridici che vadano a conformare quello che per le Nazioni Unite si configura come il sistema nazionale regionale e locale di protezione dei diritti.
Tutto questo che cosa vuol dire? Vuol dire la presa in carico degli orfani non solo in una situazione di emergenza ma anche a lungo termine. Il lavoro psicologico sul trauma non può essere immediato. Occorre una presa in carico nel tempo per lavorare su un tipo di ferita dell'anima di questa natura. D'altronde, gli studi scientifici ci dicono che il trauma spesso diventa intergenerazionale e si trasmette, provocando cambiamenti anche biologici fino alla terza generazione, se non si interviene tempestivamente e con professionalità.
Bisogna sottolineare l'importanza di un osservatorio che possa veramente monitorarePag. 16 la delicata questione dell'affidamento e dell'accompagnamento educativo ai caregiver, ma mi permetto di dire anche della presa in carico dei caregiver. Ci sono nonni che spesso non hanno la possibilità di elaborare il proprio lutto, come fanno ad aiutare i loro nipoti?
La relazione con il genitore omicida in carcere, i fattori di rischio e vulnerabilità, i casi limite di cui parlava Fedele Salvatore, nei quali la madre rimane invalida permanente o è impossibilitata a prendersi cura dei propri figli, le complesse procedure post-femminicidio. Ci vogliono procedure condivise in emergenza. Ogni componente del sistema di protezione deve capire cosa fa l'altro e deve lavorare in sinergia, avendo una formazione specifica e una condivisione dei dati. Adesso abbiamo dei numeri, ma sappiamo che il numero oscuro è ancora alto, proprio perché non c'è un censimento del numero degli orfani.
La formazione continua degli operatori e i percorsi di prevenzione per giovani e bambini nelle scuole e nei luoghi di aggregazione, ma anche – mi permetto di dire – per la società civile. Come dicevo prima, fino al 2020 io parlavo di orfani speciali e mi chiedevano perché li definivo «speciali», che cosa avevano di diverso. Quindi, se vogliamo veramente lavorare sull'impatto, se vogliamo intervenire sulle ferite, se vogliamo recuperare per diminuire – si spera – le ferite di questi orfani, dobbiamo lavorare sulla prevenzione. Non possiamo non pensare di lavorare sulla prevenzione.
In chiusura, io vi dico che voi avete la possibilità, attraverso le storie che avete ascoltato, perché queste persone non sono numeri, di cambiare la storia, ed è questo che noi vogliamo rimettere nelle vostre mani. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Scaduto.
A seguire l'audizione di Rosa Maria Di Maggio, responsabile nel Centro-Sud dell'associazione «Olga», che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione. Il vostro è un gruppo molto legato dai sentimenti, lo si vede. Quella odierna è una bella audizione anche perché dietro c'è un grande lavoro di squadra. Faccio i complimenti a tutti voi e a tutte voi.
Prego, dottoressa.
ROSA MARIA DI MAGGIO, responsabile Centro-Sud dell'associazione «Olga». Grazie, presidente. Grazie ai membri della Commissione e a tutti gli onorevoli.
Desidero fare un focus sulle forze dell'ordine e sull'immediatezza della presa in carico del minore, perché le forze dell'ordine, quando vengono chiamate a seguito di una segnalazione di un delitto, arrivano al tempo zero, nel momento in cui è avvenuto il delitto, ma molte volte ci sono tantissime problematiche legate al loro intervento. In primis, molte volte le forze dell'ordine non sanno cosa possono trovare sulla scena del crimine, se la vittima è deceduta, se è in fin di vita, se ci sono minori presenti e quanti sono, se c'è ancora il carnefice. Quindi, per i loro compiti istituzionali le forze dell'ordine inevitabilmente devono intervenire sulla vittima e sul carnefice, se presente, anche sulla scena del crimine, ma inevitabilmente devono avere anche un'adeguata formazione per mettere in sicurezza sia fisica che psicologica il minore, se presente. A tal fine, è inevitabile che si definisca un protocollo, con conseguente formazione per le quali le forze dell'ordine collaborino strettamente con professionisti specializzati, che esistono e lavorano sul territorio, per essere efficaci nel garantire diverse cose. In primis la messa in sicurezza del minore. La priorità, infatti, è garantire l'incolumità dei minori, allontanandoli immediatamente dal luogo di intervento e mettendoli in un ambiente sicuro e lontano dal trauma diretto.
L'assistenza psicologica. È fondamentale che venga coinvolto il più rapidamente possibile personale specializzato, come psicologi, assistenti sociali, associazioni dedicate, in grado di fornire un primo supporto emotivo ai minori; professionisti che non solo devono aiutare i minori a gestire l'impatto traumatico dell'evento, ma li devono anche preparare alle fasi successive, quindi interrogatori, colloqui con le forze dell'ordine, con gli inquirenti, ma anche relazioni con i parenti e funerali.Pag. 17
La protezione legale. Le forze dell'ordine devono avvisare immediatamente il tribunale dei minori, i servizi sociali e le associazioni competenti, che avranno il compito di valutare le necessità legali dei minori e la loro presa in carico, non di traumatizzare ulteriormente. Come diceva la dottoressa Scaduto, la vittimizzazione secondaria. Gli operatori delle forze dell'ordine devono evitare comportamenti sulla scena che potrebbero ulteriormente traumatizzare minori. Ad esempio, è importante che non vengano esposti a scene di violenza o, magari, a interazioni aggressive ancora presenti sulla scena del crimine. Devono garantire la raccolta delle testimonianze in modo protetto. Quindi, se necessario, le testimonianze dei minori devono essere raccolte con tecniche adeguate e rispettose non solo della loro età, ma anche della loro fragilità. Devono comunicare con attenzione verso questi minori. È cruciale che gli agenti di polizia, i carabinieri utilizzino un linguaggio chiaro, rassicurante e adeguato all'età del minore con cui si stanno relazionando. Bisogna, poi, anche informare i familiari. Le forze dell'ordine, quindi, devono anche contattare i familiari dei minori o i tutori legali, informandoli della situazione e organizzando anche il trasferimento dei bambini in un ambiente sicuro, se possibile.
In sintesi, questo protocollo di intervento delle forze dell'ordine deve essere mirato a garantire la protezione fisica e psicologica dei minori, minimizzando il più possibile il loro coinvolgimento emotivo e collaborando strettamente con professionisti specializzati, per garantire una gestione appropriata della situazione.
Per garantire l'attivazione di questo protocollo basterebbe, dal punto di vista dello strumento giuridico, un decreto ministeriale da parte del Ministero della difesa per quanto riguarda i Carabinieri e un decreto ministeriale da parte del Ministero degli interni per quanto riguarda la Polizia di Stato. Inevitabilmente, i Ministeri dovranno anche assicurare informazione e formazione degli operatori su tutto il territorio italiano.
Con questi ultimi cenni di strumento giuridico, vorrei passare la parola all'ultimo audito.
Vi ringrazio.
PRESIDENTE. Grazie, dottoressa, anche per questa analisi degli interventi delle forze dell'ordine molto specifica per questa audizione.
L'ordine del giorno, infine, prevede lo svolgimento dell'audizione del dottor Glauco Gasperini, responsabile dell'area legale dell'associazione «Olga», che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
Abbiamo scelto deliberatamente di sentire tutte le figure per avere la visione complessiva dell'argomento orfani di femminicidio e violenza domestica. Ci sono tutte le sfaccettature. Vi ringrazio.
Prego, dottore.
GLAUCO GASPERINI, responsabile area legale dell'associazione «Olga». Signor presidente, la ringrazio.
Buongiorno a tutti. Mi permetto di fare una specificazione: sono «avvocato» e non «dottore». Non per il titolo, ma perché significa che ogni giorno, quotidianamente, essendo avvocato penalista, mi occupo di queste cose, quindi ho una visione dall'interno. Dall'interno posso capire quali sono le esigenze che il corpo normativo attuale non soddisfa.
La legge, infatti, come abbiamo sentito prima da chi ci ha preceduto, prima del 2018 era terra di nessuno. Non esisteva nessuna legge. Ciò significa che la legge, che ha solo sei anni, necessariamente deve essere in qualche modo modificata, deve essere arricchita dall'esperienza che in questi anni ha dimostrato quali sono le mancanze di questo corpo normativo. Se vivessimo nel cosiddetto «migliore dei mondi possibili» la legge, per certi versi, dovrebbe essere riscritta, perché, pur essendo una legge a protezione degli orfani, leggendola è inevitabile cogliere che è molto focalizzata sulla figura del reo, dell'imputato, di chi ha ucciso. La figura dell'orfano non viene adeguatamente e sufficientemente tutelata. Questo è un punto molto importante, proprio Pag. 18per la ratio legis, che in qualche modo dovrebbe essere modificato.
Siamo, però, anche coscienti che modificare un intero corpo normativo richiede tempi lunghi. Sappiamo quali sono gli iter che portano alla formazione di una legge. Sappiamo che gli orfani di femminicidio ci sono, purtroppo, ogni giorno, quindi ogni giorno di ritardo significa togliere una tutela che, invece, potrebbe essere assicurata con altri strumenti.
Dal mio punto di vista e dall'analisi che abbiamo fatto, sia del corpo normativo sia dell'esperienza che con tutti gli amici e colleghi abbiamo messo assieme ragionando su questo intervento, per capire che cosa in concreto può essere fatto, ci siamo resi conto che quello che principalmente manca è il coordinamento. Non si tratta, quindi, di creare strutture totalmente nuove o di investire, in maniera grande, anche dal punto di vista economico, ma si tratta di creare un coordinamento tra i soggetti che intervengono: forze dell'ordine, psicologi, avvocati, magistrati e assistenti sociali. Questi sono i soggetti che in prima battuta intervengono, ma è necessario che il coordinamento prosegua. Molto spesso, se non proprio dal minuto zero, ma abbastanza velocemente, vi è un intervento di questi soggetti.
Dal nostro punto di vista, sarebbe più importante - poi lo vedremo più da vicino - che intervengano da subito, ad esempio assieme alle forze dell'ordine, gli assistenti sociali. Non dimentichiamo che le forze dell'ordine correttamente fanno il loro dovere, ad esempio delimitano la scena del crimine affinché non venga inquinata la stessa, si occupano di acquisire le prove, si occupano eventualmente di arrestare o fermare il possibile reo, ma nessuno ha detto loro di prendere per mano e dare una carezza al bambino che magari è sulla scena stessa del crimine. Soprattutto, nessuno li ha formati per questo e, se nessuno li ha formati, ci rimettiamo alla buona volontà, che molto spesso c'è ma che da sola, se non è accompagnata da una formazione adeguata, non è sufficiente.
La primissima necessità, quindi, è quella di un maggiore coordinamento tra i soggetti che vi ho elencato e tra questi soggetti istituzionali con le associazioni dei volontari. Per quanto l'attività pubblica sia meravigliosamente presente, le attività dei volontari lo sono ancora di più, e lo sono ancora di più con una specializzazione che - mi permetto di dire, forse con un po' di arroganza, facendo parte di una di queste ONLUS - nessuna formazione di assistenti sociali riuscirà mai ad avere, proprio perché gli assistenti sociali, le forze dell'ordine, i magistrati, gli avvocati, tutti intervengono su questioni quotidianamente molto diverse. Il carabiniere potrà intervenire su un'indagine, ad esempio, per una bancarotta prima e poi magari viene chiamato a occuparsi di un femminicidio. Così capita all'avvocato, così capita al magistrato, anche nei tribunali e nelle procure, dove abbiamo sezioni specializzate. Le ONLUS, invece, si occupano esattamente di quella cosa per la quale sono formate. Quindi, è importante il coordinamento.
Occorre, poi, una velocizzazione delle procedure, proprio perché - come è stato detto - al bambino serve una persona che immediatamente se ne prenda cura.
Vi faccio un esempio concreto, per capire di cosa stiamo parlando. Durante il funerale chi accompagna il bambino? La mamma, ahimè, è morta; il padre, verosimilmente, è assicurato alle forze dell'ordine; gli altri parenti normalmente sono devastati dal dolore tanto quanto i bambini. Chi si occupa professionalmente di questi bambini? Sono lasciati a loro stessi. Occorre, quindi, che l'intervento sia immediato. Di nuovo il coordinamento assistenti sociali e ONLUS.
Occorre, poi, pensare all'accesso ai fondi, che sono già disponibili. È sempre meglio che i fondi vengano implementati, ma sappiamo anche la limitatezza di queste cose. L'importante, oltre ad accrescerli, è velocizzare le pratiche per la messa a disposizione. Il bambino, dal giorno in cui la madre è morta e il padre è verosimilmente in carcere, può essere potenzialmente da solo, quindi occorre che i fondi per fare la spesa - dico una cosa banale - o per farlo proseguire negli studi, per mettere a sua disposizione uno psicologo, eccetera, partanoPag. 19 il prima possibile, nel mondo migliore possibile dal «giorno zero». Una soluzione che abbiamo pensato è che, ad esempio, il Fondo di rotazione, che già esiste per le vittime della mafia e dell'estorsione, venga esteso anche agli orfani di femminicidio.
Occorre, poi, che vi sia una disarticolazione tra il momento processuale e la presa in carico, la messa a disposizione del minore, molto spesso, o comunque dell'orfano di femminicidio, per almeno due motivi. I tempi processuali sappiamo che anche nel migliore dei mondi possibili sono lunghi. Le esigenze dell'orfano esistono dal momento del femminicidio. Esiste, poi, una particolarità, ed è il caso in cui non ci sia neanche il procedimento penale perché viene immediatamente archiviato, laddove il reo dell'omicidio sia a sua volta un suicida. In quel caso, il procedimento viene archiviato, quindi non abbiamo una sentenza che dichiara il minore o, comunque, l'orfano persona offesa nel procedimento, perché il procedimento nasce e muore con l'archiviazione.
Occorre, poi, che vengano stilate delle buone prassi, che vengano condivise. Questo è un risultato facilmente e immediatamente raggiungibile anche con strumenti normativi di facilissimo e velocissimo conio. Le buone prassi devono essere evidentemente stilate e poi messe a disposizione, con la formazione immediata, di nuovo destinate ai soggetti che vi ho elencato: forze dell'ordine, psicologi, avvocati, magistrati e assistenti sociali. Questi diversi soggetti saranno a loro volta formati dalle strutture di categoria. Ad esempio, l'Ordine degli avvocati organizzerà delle formazioni specifiche, il Consiglio superiore inserirà nella formazione permanente dei magistrati anche elementi di formazione per l'acquisizione e l'utilizzo di queste buone prassi.
Sappiamo che esiste un enorme problema, quello della prevenzione. Molto spesso, purtroppo, questi reati non sono un fulmine a ciel sereno, ma arrivano a valle di una serie di reati che sono stati sottovalutati o non adeguatamente presi in carico. Purtroppo sappiamo, dalla cronaca giudiziaria, quante volte si legge che la madre aveva già denunciato per maltrattamento, stalking, aggressione il padre; il procedimento pendeva. Sotto questo profilo, devo dare atto che la modifica normativa del Codice rosso ha fatto miglioramenti molti importanti. Ahimè, non sempre viene applicato.
Vi riporto una mia esperienza di questa settimana: un avviso di conclusione delle indagini emesso dal Procuratore della Repubblica, seguendo perfettamente il Codice rosso, ad agosto dell'anno scorso mi è stato notificato una settimana fa. Se per fare una notifica di un provvedimento che correttamente il magistrato aveva emesso, seguendo la tempistica del Codice rosso, ci vuole un anno abbondante, vanifichiamo completamente. Occorre, quindi, anche sotto questo profilo, un controllo della corretta applicazione del Codice rosso, che - devo dire - è uno strumento normativo di per sé molto prezioso, sempre nell'ottica della prevenzione, per far sì che il lavoro di tutti coloro che si occupano di femminicidio sia azzerato. Questo è il migliore dei mondi possibili. Purtroppo stiamo conoscendo una escalation di questi reati, ma auspichiamo che un giorno se ne possa parlare come di storia. Questo obiettivo si può raggiungere solo con un'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro e nelle scuole, partendo dall'asilo. Al bambino chiaramente non si può andare a parlare del femminicidio, però se al bambino che ha tre anni gli si dice: «Pierino, non puoi obbligare Carletto ad essere tuo amico e a giocare con te» si mette il seme affinché domani non possa pretendere che la propria moglie, che vuole divorziare, sia legittimata a farlo e non debba essere presa a colpi di fucile. Questo è il concetto che intendiamo trasferirvi.
Mi permetto di evidenziare l'urgenza, perché ogni giorno di ritardo fa sì che una presa in carico sia tardiva. La sofferenza di questi bambini non ci consente nessun ritardo.
Arrivo, quindi, alla nostra richiesta. Venga tenuto conto dell'urgenza, venga utilizzato lo strumento legislativo più veloce possibile. Sappiamo che correttamente il Parlamento ha i suoi tempi. Sotto questo profilo, forse, i decreti attuativi potrebbero Pag. 20migliorare la legge raccogliendo le esigenze che vi ho trasferito.
PRESIDENTE. Grazie, avvocato Gasperini.
Si sono concluse le audizioni.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
VALERIA VALENTE. Saluto tutti. Ringrazio tutti gli intervenuti.
Solo per chiarezza, mi soffermerò per coincidenza proprio sull'ultimo intervento, che secondo me ha focalizzato il punto. Ovviamente, noi lo facciamo da legislatori e da Commissione d'inchiesta. Noi possiamo intervenire solo sulle norme. Su tutto quello che è stato detto prima non mi permetto di dire niente perché condivido moltissime delle cose dette sulla centralità degli orfani, il supporto psicologico, come va, come deve andare e quante cose ancora possiamo fare.
Torno sulla legge. Mi permetto di interloquire in maniera assolutamente informale. È un po' ingeneroso dire che andrebbe proprio riscritta, perché, secondo me, quella invece è e resta, almeno dal mio punto di vista, una buona legge, un buon ancoraggio almeno, sapendo che non possiamo chiedere tutto a una legge.
Io non ero ancora presidente della Commissione parlamentare di inchiesta. Il merito è del precedente Parlamento. L'ho trovata e credo che sia veramente un punto qualificante per poter intervenire. Non so quanti Stati abbiano leggi di questo tipo.
Mi permetto di dire che ha ragione sicuramente l'ultimo audito intervenuto nel dire che è una legge concentrata soprattutto sul reo, ha ragione perché mette insieme la responsabilità dell'autore della violenza e la vittima, in quel caso vittima diretta e indiretta.
Detto questo, però, e quindi mi aggancio proprio alle ultime parole dell'ultimo intervento, non auspicherei una nuova legge, che disciplina di nuovo per intero. Sarebbe complicatissimo e ci vorrebbero tempi biblici, mentre, invece, lavorerei sui regolamenti attuativi.
Per fare un regolamento attuativo – su questo, invece, ci ho lavorato anch'io – come Commissione parlamentare d'inchiesta della vecchia legislatura ci abbiamo messo due anni. Quello è un regolamento che però tocca un po' tutti i passaggi che avete elencato voi. Sono d'accordo su una cosa e mi permetto di dire alla presidente in carica, alla nuova Commissione, che potremmo proprio farlo nostro come Commissione, ovvero il tema dell'archiviazione.
Di fronte alle archiviazioni, l'orfano rischia di restare senza tutela, perché c'è sempre bisogno di una sentenza di condanna che non segua l'archiviazione. Questo è stato segnalato a più riprese in diverse circostanze e forse questa la possiamo veramente assumere come una modifica da inserire in un provvedimento.
Chiedo, invece, all'audito, rispetto alla formazione degli operatori, se non ritiene inappropriato affidarla solo alle organizzazioni di categoria. Forse questa dovrebbe essere, da parte vostra, una richiesta proprio su quel regolamento. Sulla base di quel regolamento, forse lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, si può impegnare a formare di più innanzitutto gli organi che dipendono direttamente da lui, quindi non gli assistenti sociali o gli Ordini professionali, ma gli organi di polizia. Così come lo Stato potrebbe dare seguito alla legge sulle statistiche che ci farebbe avere una mappatura molto precisa degli orfani.
Io credo che il raccordo che manca, che giustamente veniva segnalato, tra tutti i soggetti parta addirittura e prima di ogni cosa dal fatto che la norma non è conosciuta dai diretti interessati. I diretti interessati, oltre ad avere bisogno di una sentenza per potervi accedere, devono sapere di quali benefici possono usufruire.
Lei ha fatto riferimento alla vicenda del Fondo. Il Fondo, però, è tutt'uno con il Fondo di rotazione terrorismo. Poi, è articolato al suo interno, ma questo mi sembra tipico dei fondi di rotazione. Non sono una esperta della materia, ma a suo tempo me ne sono occupata.
Non capivo l'osservazione puntuale sul fondo vittime reati violenti, dove dentro ci sono anche le vittime di terrorismo e altre fattispecie di reati criminali.Pag. 21
Queste sono le domande e le osservazioni che volevo condividere con voi.
PRESIDENTE. Grazie, senatrice Valente.
Ricordo agli auditi che la senatrice Valente è stata presidente della Commissione femminicidio.
Do la parola all'avvocato Gasperini.
GLAUCO GASPERINI, responsabile area legale dell'associazione «Olga». Rispondo in maniera molto sintetica. Io ho ipotizzato un intervento formativo da parte delle varie categorie. Chiaramente, la maggior parte di esse, forze dell'ordine in primis, nelle due principali articolazioni, Polizia e Carabinieri, assistenti sociali e magistratura sono demandate allo Stato.
Però, forse, da professionista quale avvocato che sono, ritengo che anche gli ordini professionali, e faccio riferimento in particolar modo all'Ordine degli avvocati e all'Ordine degli psicologi, debbano essere coinvolti per la formazione, proprio per snellire il carico di lavoro che non può essere sempre solamente demandato allo Stato. Anche gli organi professionali devono farsi carico di queste necessità della collettività. In questo senso ho identificato, non per sottrarre un compito, ma per coordinarci tutti per far fronte ad un'emergenza.
Per questo ho fatto quel riferimento.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. Conosco l'onorevole Valente, perché abbiamo discusso più volte di questo e le devo riconoscere il grande impegno perché ci fosse questa legge.
La legge è una legge buona. Il mio collega ha detto «nel migliore dei mondi possibili». La legge è una legge buona.
Lei più volte mi ha chiesto: «Cosa non funziona? Abbiamo fatto la legge. Abbiamo messo i soldi a disposizione. Cosa non funziona?». Non funziona chi attua questa legge. Non funziona per tutto quello che abbiamo detto: un po' per la burocrazia, un po' per ignoranza, un po' perché c'è bisogno delle informazioni. Sono tutte cose che sono state già dette. È questo quello che non funziona. Bisogna intervenire sui decreti attuativi e intervenire come noi abbiamo già fatto. All'interno del nostro progetto siamo riusciti, con tre emendamenti, a modificare alcuni pezzi della legge in favore degli orfani.
È una buona legge per la quale dobbiamo trovare delle gambe e dei volti molto più efficaci.
CECILIA D'ELIA. Vorrei ringraziare tutti gli auditi.
Sono molto contenta che la Commissione abbia fatto questa audizione, aprendo tale questione. Volevo trarne un indirizzo di lavoro per la Commissione.
Come ha detto Giuseppe Delmonte, prima non c'era neanche la parola «femminicidio». È evidente che noi abbiamo fatto dei passi avanti sulle norme, con la legge e con le cose che adesso avete detto, e sulla cultura.
Sarà che nella mia esperienza ho fatto soprattutto l'assessora di municipio, di provincia, di comune, ma penso che il tema grande riguardi sempre come atterrano poi queste norme e come si costruisce il coordinamento. Per fare il coordinamento non ci vuole una norma, ci vogliono i piani territoriali di contrasto alla violenza. Bisogna far conoscere le norme, e noi un po' l'abbiamo fatto, bisogna mettere insieme soggetti diversi che in quel territorio intervengano. Bisogna fare la formazione come pubblico, che non è solo lo Stato, perché io ho dovuto formare le assistenti sociali del municipio. Le assistenti sociali del municipio devono sapere che c'è questa norma.
Penso che noi – non per scaricare, ma per sollecitare – per essere efficaci rispetto a questo ambito dobbiamo chiedere anche alla Ministra, a chi gestisce il Piano nazionale, che su questo si apra un lavoro più ampio. Mi riferisco all'Osservatorio e ad alcune cose che qui sono state dette. Secondo me, prima di pensare alle norme, proviamo a fare un monitoraggio di questa legge, che è una buona legge, per capire come mettere di più all'opera comuni, soggetti, Forze dell'Ordine, assistenti sociali con il terzo settore.Pag. 22
Non solo ci vuole tempismo, ma poi bisogna avere anche i tempi lunghi a sostegno di queste persone. Noi dobbiamo costruire un sistema. Quello che non riusciamo a fare, come salto di qualità di Paese, e qui non c'entra neanche chi governa o chi ha governato, è mettere davvero a sistema gli interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza.
Penso che a questo punto della legge, con il monitoraggio, sbloccando tutti i fondi – mi risulta che non tutti sono stati sbloccati –, raccogliendo le testimonianze di orfani che si sono anche organizzati e impegnati – e questa io credo sia sempre una grande possibilità di conoscenza per le istituzioni e quindi davvero li ringrazio –, dovremmo provare a sollecitare per aprire in modo più efficace un lavoro su questo tema.
PRESIDENTE. Più che una domanda era un progetto, un indirizzo. Era una sintesi delle varie audizioni.
ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. Anch'io non farò una domanda, ma vorrei sottolineare quanto questa audizione abbia arricchito tutti noi, emotivamente tanto. Abbiamo avuto la contezza del problema. Innanzitutto faccio un plauso a voi, perché fate veramente un lavoro di squadra, come diceva il presidente, davvero importante, quindi è fondamentale, perché arriva dritto al cuore.
Lo dico da mamma di una ragazzina di 13 anni. Noi abbiamo una grandissima responsabilità, tutti insieme, perché il nostro è un lavoro, un lavoro corale, un lavoro che deve indirizzarsi assolutamente a una modifica e a una integrazione e velocizzazione della normativa vigente, perché il Parlamento e noi come Commissione bicamerale d'inchiesta abbiamo questa missione importante.
È fondamentale sottolineare l'aspetto della prevenzione, come diceva la dottoressa, con la quale mi complimento, perché io credo tantissimo nella psicoterapia. La psicoterapia è fondamentale. Ognuno di noi avrebbe bisogno di un approccio psicoterapico perché assolutamente migliora le persone. È fondamentale: la conditio sine qua non per i bambini e le bambine o i ragazzi e le ragazze orfani di femminicidio è garantire la psicoterapia.
Vorrei ringraziarvi per il lavoro che costantemente fate. Do un abbraccio a Giuseppe e tramite lui a tutti i ragazzi e le ragazze che purtroppo sono vittime di femminicidio. Ho letto un'intervista e mi ha colpito molto la frase «L'ergastolo del dolore».
Il nostro impegno sarà proprio quello di far sì che ci sia davvero una modifica della storia.
Grazie.
PRESIDENTE. Ho visto l'onorevole Lancellotta commossa. Quando si parla di giovani vittime è sempre così, come è accaduto per Giuseppe, perché a 19 anni si è ancora molto giovani.
ELENA LEONARDI. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti, non solo per aver voluto focalizzare, presidente, l'attenzione su questo tema, ma anche per tutti gli interventi e le testimonianze.
Credo che nessuno, né in presenza né collegato, possa non essersi sentito fortemente toccato sia dalla testimonianza diretta che dalle testimonianze che sono state lette rispetto al vostro percorso, quindi ai bisogni di questi bambini e anche ai problemi che voi, a 360 gradi, attraverso le vostre competenze, all'interno delle associazioni, toccate con mano quotidianamente.
Io vorrei invece focalizzare l'attenzione sull'approfondimento delle vostre proposte, credo che sia molto interessante, proprio perché c'è un percorso. Parlo di un percorso normativo, come è stato raccontato dalla testimonianza diretta, laddove non esisteva neanche il femminicidio, non c'era il Codice rosso, non c'era una tutela specifica e particolare per i minori vittime di femminicidio. Credo che l'evoluzione continui, a livello normativo ma soprattutto a livello di prassi e di pratiche. Questo è un percorso e noi tutti siamo sicuramente intenzionati a essere supporto attivo al miglioramento ulteriore di questo percorso. Pag. 23Credo che, come per tutte le leggi, per tutte le norme, per prendere effettivamente consapevolezza di ciò che avviene, siano importanti le esperienze pratiche, che sono anche esperienze sfaccettate e diverse di situazioni nelle quali, a volte, invece di supportare il minore quasi lo si mette, non dico nelle mani del carnefice, perché il carnefice fortunatamente magari è in carcere, ma comunque in difficoltà. Mi ha colpito quel caso in cui addirittura la situazione è stata in giudizio ribaltata, non più considerata di femminicidio ma... Insomma, sembra paradossale, ma immagino che ci siano situazioni che voi toccate con mano.
Vorrei capire verso chi vi approcciate come associazione rispetto a queste discrasie che voi andate ad evidenziare o a queste problematiche che trovate anche singolarmente. Verso i servizi sociali, verso il tribunale? Vorrei capire questi input da dove arrivano, chi ne può trarre beneficio. Propongo, poi, un focus maggiore rispetto alle proposte del tavolo e via dicendo, per capire anche come poter essere di supporto, partendo proprio dalle esperienze dirette. Grazie.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. Ci siamo consultati brevissimamente. Vorrei fare anche qualche esempio. Partiamo dal Fondo di rotazione. Se lei legge il regolamento del Fondo di rotazione, trova scritto che ci sono dei sussidi per attività educative eccetera, e sanitarie. Allora uno pensa di poter usufruire di opportunità sanitarie; apre il modulo da compilare e scopre che si può usufruire solo di specifici aiuti economici per percorsi legati alla psicoterapia o addirittura alla psichiatria. Ma se devo fare – come dicono sempre i nostri nonni – un apparecchio ai denti o degli occhiali non posso usufruire. Poi, siccome nessuno ne aveva fatto richiesta, è stato tolto quel pezzo di Fondo, perché al commissariato dicono che non sono arrivate le domande.
Ora, tenete anche presente – scusate il mio parlare troppo spiccio – che i decreti attuativi sono del 2020. C'è stato qualche anno di tempo per poter cominciare a usufruirne. Se andate – io parlo dell'Italia meridionale – a misurare adesso, molti hanno fatto le domande perché li abbiamo accompagnati noi, quindi i dati non sono più quelli del 2021. Non si possono diminuire i fondi perché non ci sono state domande; dobbiamo capire perché non ci sono state domande, considerato che gli orfani ci sono.
Io ho fatto un esempio, ma ne potrei fare altri, sia per la normativa nazionale che per le normative regionali. Anche la dottoressa Valente mi segue...
VALERIA VALENTE. È vero, è proprio come sta dicendo. Condivido totalmente.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. Ad esempio in Campania c'è quella regionale...
VALERIA VALENTE. Però non era solo per il sud, era per tutta Italia.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. No, io dicevo il sud perché conosco bene le situazioni del sud Italia.
VALERIA VALENTE. Però è uguale.
FEDELE SALVATORE, responsabile «Progetto respiro», sulla condizione degli orfani di femminicidio e delle famiglie affidatarie. Però la dottoressa Beolchi ha detto che questi poveri nonni, e io so anche a quali nonni lei fa riferimento, perché sono amici miei, sono costretti a dare lo scontrino fiscale con il nome, come quello della farmacia. E si chiedono se nessuno sappia che devono comprare le scarpe o altro. Oppure, sussidi solo per questioni educative: una volta che hai comprato il computer, una volta che hai comprato il quaderno, perché non si possono fare altre cose? Quindi, occorre dare un po' più di fiducia, anche se ovviamente, secondo me, il controllo ci vuole sempre, perché noi Pag. 24abbiamo trovato anche caregiver – ho fatto anche un esempio – che consumano per sé i soldi. Però, con i dovuti controlli, diamo un po' più di fiducia, soprattutto un po' di fiducia a chi li accompagna. Ecco perché questi progetti sono adeguati, perché noi li accompagniamo, e questo è importante.
In riferimento alle proposte, quasi tutti abbiamo parlato di una procedura operativa in emergenza. Il «Progetto RESPIRO», in Italia meridionale, dove tutti dicono che allora ci sono più orfani... No, sono di più quelli che abbiamo cercato e stiamo seguendo, attenzione. Noi ce l'abbiamo già scritta la procedura; è stata validata per dieci anni dal Policlinico pediatrico Giovanni XXIII di Bari. Saremmo pronti a parlare con chiunque per dire al Ministero dell'Interno, al Ministero della giustizia, al Ministero della difesa, al Ministero dell'istruzione che va fatta una procedura condivisa. Che cosa succede un minuto dopo? Che cosa succede due minuti dopo? Chi fa cosa? A San Felice a Cancello – scusate, è di dominio pubblico – la settimana scorsa io non sapevo con chi interloquire. Ho dovuto supplicare tutti per poter andare, finché ci siamo decisi e siamo andati noi, a cercare casa per casa questi poveretti che avevano pure cambiato casa. Io mi chiedo: i carabinieri sapevano che questi avevano pure cambiato casa e che forse li avrebbero persi di vista?
Allora, c'è bisogno di questa concretezza, di questa vicinanza. La procedura, innanzitutto. Noi abbiamo già tentato, due o tre anni fa, di costituire un gruppo di lavoro per fare una procedura unica nazionale. Ogni carabiniere, ogni assistente sociale deve sapere cosa deve fare un minuto dopo. Penso che sia una cosa anche relativamente semplice.
Il tavolo permanente – lo hanno detto anche i miei colleghi – perché aiuta? Perché tutte queste cose che adesso potremmo elencare una per una in quel tavolo possono essere affrontate e attraverso un osservatorio possono essere monitorate. Questo è il senso.
PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Beolchi.
ROBERTA BEOLCHI, presidente dell'associazione «Edela». Quando parliamo di criticità della legge non è una contestazione ai fini di una legge, perché l'Italia è il primo Paese a redigere una legge a sostegno, ma le criticità emergono quando andiamo a sviscerare tutti i vari articoli. Lei ha citato alcuni esempi, come le visite mediche che sono alla base per i bambini, ma solo un terzo delle visite mediche rientrano. Non è solo il pediatra, ma anche il dentista e l'oculista, cioè tutte quelle figure di specialisti che servono per la crescita di un bambino. Lì interveniamo, siamo costretti ad intervenire perché ci chiedono aiuto. Noi chiediamo solo di migliorare per quella che è la crescita di questi bambini, che hanno di per sé una vita già molto tortuosa.
GIUSEPPE DELMONTE, orfano di femminicidio e presidente dell'associazione «Olga». Quello che tenevo a sottolineare è la necessità di creare una cabina di regia. Quando succede un evento del genere, un femminicidio, avendo di fronte dei bambini, parlo di mettere in moto una serie di macchine che coordinano il tutto, dalle forze dell'ordine, come diceva la dottoressa Di Maggio, a tutte le altre figure che per forza di cose devono intervenire con il bambino.
C'è un'altra cosa che volevo dire, perché in questi anni, girando l'Italia da nord a sud, mi sento dire che le leggi ci sono, i fondi ci sono, ma non vengono utilizzati. Ricordo che quando avviene un femminicidio non è che la famiglia dell'orfano di femminicidio il giorno dopo pensa «aspetta, forse ho un sostegno da parte della regione o da parte dello Stato». Come dico sempre, proprio perché l'ho vissuto in prima persona, l'abbandono istituzionale è devastante, quando pensi di essere veramente l'unico al mondo e nessuno ti tende una mano. Forse sono un sognatore, ma io sogno che l'istituzione vada direttamente dall'orfano di femminicidio. Ricordiamoci che sono bambini a cui le mamme sono state uccise e, nel più del 90 per cento dei casi, queste donne hanno chiesto aiuto e lo stesso Stato non le ha sapute difendere. Quindi, io parto sempre dal presupposto che l'istituzione deve andare dall'orfano e Pag. 25chiedergli scusa perché non ha difeso la loro madre, e almeno abbia il buon gusto di prendersene carico il giorno stesso, per una serie continuativa.
Guardate, ve lo dico chiaramente. In questi tre anni mi sono scontrato con realtà anche di altre Onlus, altre associazioni. L'orfano di femminicidio non ha bisogno di elemosine, perché ormai va di moda che qualsiasi centro antiviolenza si occupi anche di orfani di femminicidio, senza dare una continuità dell'intervento, senza dare un sostegno a 360 gradi. Perché oggi ho portato tutte queste professionalità? Perché reputo che il lavoro che fanno loro giornalmente, quotidianamente, a favore di questi orfani di femminicidio sia la ricetta. Perché prendersi in carico l'orfano di femminicidio... Io non lo faccio, da presidente di associazione, perché mi rendo conto dell'onerosità della cosa, della difficoltà del prendersene cura. Quindi, io faccio prevenzione e sensibilizzazione, offro la mia storia nelle scuole e nelle aziende, ovunque.
Loro fanno un lavoro che reputo, come dicevo, la ricetta. Se lo fanno loro, e riescono a farlo, i numeri ci sono, chiedo semplicemente di dare loro la possibilità di continuare a farlo, snellendo una serie di pratiche. Ad esempio, il fatto che loro devono supplicare per arrivare all'orfano di femminicidio perché nessuno li coordina, non c'è una regia che li coordina quando succede un fatto del genere. Noi siamo stati in prefettura a Milano, dove c'è un tavolo sull'orfano di femminicidio e sono stato invitato. Abbiamo parlato proprio di questo, cioè formare, insieme all'ordine degli avvocati, anche dieci avvocati per la prefettura di Milano, che conoscano la legge che tutela questi orfani di femminicidio. Capita il femminicidio, il tribunale dei minori chiama l'avvocato, abbiamo il gratuito patrocinio nella legge. Meno male, perché effettivamente questa legge qualcosa di buono ce l'ha sicuramente. Siamo uno dei pochi Stati al mondo ad avere una legge del genere.
Quindi, formare questi avvocati, come formare gli psicologi e tutte le figure. Noi come associazione «Olga» diamo il nostro contributo perché abbiamo fortunatamente delle professionalità che ci supportano a farlo, però il supporto deve essere coordinato. Se esiste chi lo fa e lo fa bene – e ne sono testimone, perché conosco gli orfani e conosco i caregiver a cui sono affidati – almeno dateci la possibilità di portare avanti dei progetti a 360 gradi. Grazie.
PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli auditi, ringrazio i commissari e le commissarie.
VALERIA VALENTE. Presidente, posso dire solo una cosa?
PRESIDENTE. Certo. Non vedevo mani alzate. Prego.
VALERIA VALENTE. No, perché per correttezza volevo aspettare se qualcun altro avesse chiesto di intervenire.
Non voglio essere fraintesa, nel senso che non voglio difendere lo status quo, ma il mio desiderio – e credo di interpretare anche quello della presidente e dei commissari, conoscendoli – è soltanto dire «partiamo da quello che c'è per migliorarlo, per non partire sempre da capo». Quindi, sono preziosissime queste precisazioni che sono arrivate, non la prendiamo come una critica, però quello che da ultimo diceva Giuseppe è purtroppo la verità. C'è la legge, ci sono i soldi, ma non vengono spesi. E non vengono spesi non per responsabilità delle associazioni, degli orfani. È responsabilità delle istituzioni. Io non credo che sia un sogno quello che dice Giuseppe, che siano le istituzioni ad andare dall'orfano.
In questo senso la richiesta di farci delle critiche, come sono adesso puntualmente arrivate. Quindi, è assolutamente giusto quello che diceva anche la vicepresidente D'Elia, il tema è la messa a terra di una norma, di una legge. Il tavolo di monitoraggio, quello che avete detto adesso, secondo me è prezioso, e forse noi come Commissione per il tramite della presidente Semenzato possiamo farcene carico.
PRESIDENTE. Sì, sono assolutamente d'accordo. Penso che oggi siano arrivate talmente tante sollecitazioni da mettere già Pag. 26in atto una sorta di protocollo di intesa operativo, e del resto siamo una Commissione molto operativa. Tra l'altro, guardo Salvatore dicendo che se condividiamo già quell'intervento interdisciplinare, interministeriale, possiamo provare a parlare con gli interlocutori. C'è già condivisione in questa Commissione, da maggioranza e opposizione, su questo tema, per lavorare in maniera unita e trasversale (avete sentito la past president, come la chiamo io, e la vicepresidente) sulla linea programmatica.
Fateci avere in maniera celere questa parte pratica dell'audizione.
Ringrazio tutti voi. Rinnovo i saluti a tutti, a Giuseppe col cuore, naturalmente, se posso anche a Valentina, che oggi non è qui, ma ci incroceremo nelle prossime settimane.
Grazie a tutti voi, perché ci mettete tanto cuore, che è la cosa fondamentale.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.25