XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 48 di Giovedì 27 giugno 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 

Audizione della professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 3 
Semenzato Martina , Presidente ... 7 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 8 
Semenzato Martina , Presidente ... 8 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 8 
Semenzato Martina , Presidente ... 8 
Sensi Filippo  ... 8 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 9 
Ascari Stefania (M5S)  ... 10 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 10 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Cattaneo Cristina , ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione in diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Ricordo che la seduta si svolge nelle forme libere dell'audizione ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione.
  Ricordo, inoltre, che i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta dell'audita che dei colleghi, sospendendosi in tal caso la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.

Audizione della professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione della professoressa Cristina Cattaneo, ordinaria di medicina legale dell'Università degli Studi di Milano.
  A nome di tutte le commissarie e di tutti i commissari do il benvenuto alla professoressa Cattaneo, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della nostra Commissione.
  Prima di darle la parola, mi fa piacere sottolineare che la professoressa Cattaneo è universalmente considerata tra i migliori anatomopatologi italiani e si è occupata professionalmente di molti casi di cronaca assai noti. Ha contribuito a fondare e a rendere noto il LABANOF, il laboratorio di antropologia e odontologia forense della Statale, impegnato, tra le varie cose, nella meritoria attività di ricostruzione dell'identità di migliaia di migranti clandestini periti nell'anonimato tra le onde del mediterraneo.
  Ciò premesso, rinnovo il ringraziamento alla professoressa Cattaneo per la sua disponibilità ad essere audita da questa Commissione e le do la parola. Grazie, professoressa. Prego.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. Signor presidente, la ringrazio della possibilità di portare la parola della medicina legale. Siamo medici legali, cosa un po' diversa dagli anatomopatologi, ma correlati. Comunque, oggi parlo a nome della medicina legale.
  Non so se si vedono le slide e se possiamo far partire la prima. Grazie.
  Vengo da Milano e lavoro e insegno medicina legale alla Statale. Mi piace raccontare questa peculiarità: la Statale 600 anni fa era uno dei primi ospedali in Europa, fondati da Francesco Sforza, che fonda il predecessore dei medici legali, cioè la figura del «catelano». Voglio ricordare in questa occasione proprio questa figura perché, dai registri scritti dal catelano nel 1400, noi abbiamo già testimonianze, abbiamo le stesse testimonianze, purtroppo, che vediamo oggi. Il catelano parla di Ambrogina, di 60 anni, fusticata fuit, frustata a morte dal marito; abbiamo Clara, che il marito offende e picchia con pugni (cum pugnis percussit Claram super vultu) appellandola «ruffiana, deblis et iniuriaga», quindi ruffiana, debole e fedifraga. Trovo sconcertante che a 600 anni di distanza stiamo Pag. 4ancora combattendo contro le stesse violenze.
  Io oggi sono qui per parlare dell'importanza della medicina legale, che – credo a tutti – si presenta con due volti. Un primo volto è quello più conosciuto e presente negli ospedali, molto presente nel sistema sanitario, che è la medicina legale giuridico-amministrativa, cioè quella medicina che si occupa delle questioni come il consenso, la bioetica, il risk management. Poi, però, c'è quell'altra medicina legale che viene chiamata in Paesi Oltralpe, come la Francia, «medicina della violenza», una medicina legale molto diversa, che si occupa di leggere il corpo per estrapolare segni di sopraffazione, delitti, maltrattamenti, abusi. Si chiama, a volte, patologia forense se parliamo dei morti e medicina forense clinica se parliamo dei vivi, ma è una medicina legale, invece, molto poco presente negli ospedali ed è la medicina legale che può fare grande prevenzione sul tema della violenza.
  Oggi vorrei approfittare della questione della violenza di genere, che già è un po' più avanti rispetto alle altre violenze, per parlare dell'importanza di questa disciplina sul territorio.
  Vi parlo della mia prospettiva, ovviamente, che è quella di Milano. Da circa trent'anni mi occupo di questa materia, in particolare di questo tipo di medicina legale. A Milano vediamo circa 800-1.000 morti all'anno, su cui facciamo autopsie giudiziarie, ma anche sanitarie, grazie alla convenzione che abbiamo con «Soccorso Violenza Sessuale», fondato da Alessandra Kustermann nel 1995, che è, invece, un centro antiviolenza all'interno del pronto soccorso ostetrico-ginecologico del Policlinico di Milano. Grazie a questa attività vediamo un simile numero di vittime viventi. Parliamo un po' da questa prospettiva, avendo tastato il territorio.
  Rappresento anche molti colleghi di altre grandi città, come Roma, Napoli e Torino, che vedono le stesse mancanze sul territorio nei confronti della prevenzione della violenza, e parlo anche a nome della Società italiana di medicina legale, che rappresento come parte del suo direttivo.
  Sicuramente la violenza è una questione che riguarda la medicina. Questo penso sia abbastanza evidente. Da questa immagine si può vedere che l'OMS già all'inizio degli anni Duemila incominciava a declinare i vari tipi di violenza. Ricordiamo che l'OMS ha tracciato molti protocolli sulla violenza di genere. Il riconoscimento c'è nel mondo della salute.
  Tuttavia, quando si parla di medicina legale si pensa a una medicina legata al crimine, legata più al mondo della giustizia, per esempio chi deve occuparsi di metterla sul territorio, chi deve attivarla. Si pensa sempre a una medicina legale attivata dalla giustizia, ma non è così. Se la medicina legale deve fare prevenzione della violenza deve essere sicuramente ancorata al territorio e alla salute, alla sanità.
  Per farvi partecipi del mio mondo e per farvi capire il linguaggio clinico del corpo, perché è importante coltivare questa medicina negli ospedali, vi devo spiegare come parla il corpo nel ricostruire la violenza.
  Intanto, quando siamo di fronte a eventi lesivi, a un disegno lesivo abbiamo bisogno di capire tante cose per poter fare quella che è proprio una diagnosi di violenza. Innanzitutto, la natura della lesione. È importante dire che se uno ha una macchia rossa sul braccio, si pensa magari a una percossa, a una botta, ma può essere anche un'ustione, può essere anche un'ustione chimica, quindi non bisogna banalizzare questa diagnosi, ma capire che anche questa parte di conoscenza ha bisogno dei suoi approfondimenti. Per sapere se è un'ustione chimica, per vedere se c'è stato un maltrattamento con delle sostanze chimiche devo fare dei tamponi, per poi sottoporli a un esame tossicologico, per vedere effettivamente qual è la sostanza che ha prodotto quella lesione.
  Altro passaggio importante è la modalità. Ovviamente, è fondamentale capire se queste lesioni sono prodotte da terzi o se sono accidentali o se sono auto-inferte. Ricordiamoci che l'OMS definisce anche le lesioni auto-inferte, il suicidio, come un tipo di violenza, tra l'altro, molto poco attenzionato dalla società.Pag. 5
  Tornando, però, alla violenza etero-inferta, quando siamo di fronte a questi quadri è anche importante capire l'epoca di quella lesione. Quando è stata prodotta? Ieri? Tre ore fa? Tre giorni fa? Anche l'autore e l'ambiente sono importanti per capire i segni lasciati dall'autore. C'è una bellissima legge, che si chiama «legge di Locard», che dice, in medicina legale, che ogni contatto lascia una traccia. Esattamente questo: anche la traccia dell'autore può rimanere sulla vittima. Tutti conoscono il DNA, ma si possono lasciare anche le fibre, possono essere lasciati anche segni dell'ambiente in cui è stata aggredita la vittima. La raccolta di tutte queste informazioni è fondamentale per arrivare a quello che è un processo clinico di diagnosi.
  Vi faccio un esempio. Una donna arriva in pronto soccorso piena di lividi, con fratture e racconta di essere caduta dalle scale. Questo è un quadro, purtroppo, abbastanza frequente. Per poter tutelare quella donna e capire se effettivamente non vuole ammettere la violenza, non vuole raccontare di essere maltrattata in casa, sta alla medicina riuscire a fare questa diagnosi di violenza. Come può farlo? Per capire se veramente è caduta dalle scale la mattina correndo a lavoro o se è stata picchiata la sera prima o due sere prima non è sufficiente guardarla. È fondamentale riuscire a fare non soltanto delle lastre per quelle fratture, ma degli approfondimenti, magari anche con una risonanza o un'ecografia, per capire quando è stata prodotta quella frattura, se è effettivamente della mattina stessa o del giorno prima o di tre giorni prima. Il disegno della frattura, che non vedi bene con una lastra, ma vedi con una TAC (quindi, tempo e spesa per la sanità), è l'unica cosa che ti può dire se quella frattura ci sta con una caduta dalle scale o se ci sta con un colpo inferto da terzi. Tutto questo per dire che ci vuole tempo.
  La sfida diagnostica più grossa è proprio essere lì in tempo. Se l'esperto che deve fare la diagnosi di quella violenza su quella donna, su quella ragazza non è lì in tempo, questi elementi sfuggono. Se qualcuno decide di fare una denuncia successivamente, dopo giorni o settimane, tutti questi segni non ci sono più, quindi non si riuscirà né a provare – per la giustizia, certamente – che c'è stato un delitto, ma soprattutto non si riuscirà a tutelare in tempo la vittima, non riuscendo a fare la diagnosi di violenza.
  Questo discorso si può sicuramente ampliare su tante categorie di vulnerabili, veramente tante: le donne, i bambini, gli anziani, i disabili sono le fasce che hanno meno voce e che, quindi, vanno sottoposte, forse, a maggiore attenzione.
  Qui vedete le statistiche mondiali dei maltrattamenti, che conoscete sicuramente meglio di me. Nella prossima slide vediamo dati interessanti dell'Agenzia di tutela della salute di Milano (ATS), che ha fornito questi dati recentemente.
  La slide successiva fa riferimento alle vecchie statistiche mondiali.
  Se guardiamo gli accessi in pronto soccorso delle donne e guardiamo soltanto la linea di crescita, vediamo che soltanto a Milano nell'ultimo quinquennio sono aumentati di quasi il 40 per cento gli accessi delle donne per episodi legati a violenza. Sappiamo benissimo che non solo questo riguarda le donne, ma è la punta dell'iceberg delle donne che arrivano in pronto soccorso e raccontano qualche forma di violenza. Sicuramente è un problema sanitario che va attenzionato dalla salute, molto di più di quanto non lo sia adesso, con lo strumento della medicina legale.
  Avendo visto lo strumento della medicina della violenza e avendo visto l'inquietante incremento di vittime viventi di violenza, soprattutto donne, la domanda che ci dobbiamo porre è se esista questa medicina legale sul territorio. Ovviamente, la risposta è «no». Noi non abbiamo ancora negli ospedali un modo per intercettare la violenza e quindi fare prevenzione. È vero che esistono i protocolli, le linee guida per la violenza di genere, per le violenze sessuali, ma questo non è sufficiente. È come dire che basterebbe – perdonatemi la comparazione, ma credo sia abbastanza calzante – mettere un medico generico in un pronto soccorso per trattare una persona infartuata, con delle linee guida: metti un medico, che non è specialista di quella Pag. 6cosa, a trattare un'altra cosa, a trattare una cosa di cui non è specialista. Questo è il messaggio. Quindi, non è sufficiente implementare con delle linee guida, perché bisogna che ci sia l'esperto che faccia i passaggi diagnostici per poter arrivare a questa diagnosi.
  Per dimostrarvi quanto sia vera questa mancanza di potenziale diagnostico nei pronto soccorso, che sono un po' la prima linea degli ospedali e del sistema sanitario, soprattutto nei confronti della violenza, abbiamo voluto, in uno degli ospedali più grandi di Milano, che è il Policlinico, vedere che cosa succede a chi entra – quindi, siamo sempre alla punta dell'iceberg – in pronto soccorso già con una storia di violenza, chi vuole ammetterla. Pensiamo a tutti gli altri che non lo ammettono. Abbiamo preso un anno a caso, il 2017. Vi ricordo che questo è lo stesso ospedale dove a 200 metri di distanza c'è il famoso SVSeD (Soccorso Violenza Sessuale e Domestica), che è un centro specifico per la violenza di genere.
  In un ospedale che già coltiva questa cultura, in un pronto soccorso, abbiamo visto che cosa è successo a quelle mille vittime che sono entrate per motivi classificati come «violenza altrui». Siamo andati a vedere se si facevano gli approfondimenti diagnostici per vedere i tipi di lesione (risonanza, TAC, eccetera) per datare, per capire meglio la lesione. Siamo andati a vedere se si descriveva la distribuzione di queste lesioni sul corpo, se si facevano i prelievi, se si prendevano i vestiti per raccogliere la presenza di materiale altrui o dell'ambiente in cui è avvenuta l'aggressione, tutti elementi fondamentali per ricostruire dettagliatamente questa patologia della violenza. I risultati sono quelli che ci aspettavamo. D'accordo con il primario del pronto soccorso, abbiamo detto: ovviamente i risultati non ci sono, non si raccolgono i reperti, non si raccolgono i vestiti, non si definiscono le lesioni. Se c'è un racconto o qualcosa di molto evidente si fa la segnalazione, e si chiude lì. Questo vuol dire che noi non siamo ancora in grado, negli ospedali, di detectare, di intercettare la violenza, per poi tutelare le vittime.
  Tornando a questa dicotomia, è salute o è giustizia? Alla fine della fiera, è la stessa cosa. È vero che il prelievo, il rilievo, la fotografia serviranno a un procuratore per portare avanti un caso di maltrattamento in famiglia o di lesioni personali o di violenza sessuale, ma è ancora più importante il fatto che in primis questa diagnosi servirà per tutelare e proteggere la salute e la vita di quella vittima, perché senza questa diagnosi non si sa che è vittima e continuerà a essere vittima fino a quando, magari, non succede il peggio.
  Un altro elemento molto importante riguarda gli aspetti tossicologici. Queste vittime dovrebbero essere oggetto di approfondimento anche tossicologico. Vediamo che molti vulnerabili e molti fragili, per motivi terapeutici o per motivi non terapeutici, hanno in circolo delle sostanze tossicologicamente attive. Quindi, è anche importante capire quanto questo renda le persone e queste vittime in particolare più vulnerabili alle azioni violente.
  Qui vedete soltanto un esempio di quanto, facendo uno screening a caso, siano molto elevati gli antipsicotici, le benzodiazepine, tutti farmaci che fanno anche vedere la vulnerabilità della persona, che diventa ulteriormente vulnerabile.
  Passiamo al mondo dei morti. Non sto a raccontarvi i numeri del femminicidio, perché li conoscete molto bene. Devo dire che Milano segue un po' la scia mondiale. I femminicidi ci sono. Abbiamo visto che negli ultimi vent'anni sono stati circa 200 e sono in lieve aumento, anche perché forse c'è maggiore consapevolezza. Qui si può vedere che gli autori sono sempre quelli classici, di solito i compagni, i mariti e così via.
  Nella prossima diapositiva ho voluto porre l'accento sul fatto che l'autopsia è un'attività medico-legale che fa le stesse cose non più sul vivo, ma sul morto, sul cadavere. L'autopsia è fondamentale per tutelare – lo ripeto – contro la violenza, è uno strumento fenomenale per tutelare la salute in genere.
  L'autopsia su una vittima può far vedere chiaramente ciò che non si vede dall'esterno: segni di maltrattamenti, segni di Pag. 7pregressi abusi, di pregresse violenze sessuali, di intossicazioni. In questi giorni i media sono pieni di donne vittime di violenza a cui è stata fatta l'autopsia, ma è facile fare l'autopsia a una vittima che ha trenta coltellate, che ha la testa rotta, fratturata dai pugni. Bisogna attenzionare soprattutto quelle morti che non sono così palesemente degli omicidi o dei femminicidi. Per esempio, molti suicidi non sono suicidi, molte morti accidentali non lo sono, molte morti che sembrano chimico-tossicologiche, per ingestione di farmaci, non lo sono, e solo l'autopsia può chiarire questo.
  Vorrei ricordare un paio di casi che mi sono successi negli ultimi anni. Uno riguardava una donna che si è buttata dal quarto piano, quindi si è «suicidata». Parte come suicidio (era un po' depressa, forse era un momento difficile della vita), ma andando, poi, a fare l'autopsia, facendo prima la TAC e poi aprendo e studiando gli organi, si vedono dei calli ossei, si vedono delle lesioni vecchie, che fanno intraprendere questo percorso del possibile maltrattamento pregresso. Andando a vedere anche gli accessi in pronto soccorso, si è visto che era una donna maltrattata, elemento che può portare al suicidio, quindi che può essere una componente di quello che non è più un suicidio, ma un omicidio. Senza l'autopsia a questo non si arriva.
  Vi faccio un altro esempio. Un'adolescente viene trovata dalla madre impiccata all'armadio: 16 anni, una bambina difficile, peer pressure, le solite cose di pressioni da parte degli amici, con i social, eccetera. Andando a fare l'autopsia si è visto che questa ragazzina aveva segni chiari ed evidenti di abuso sessuale. Anche il cadavere va attenzionato per capire bene, per tutelare e per ricostruire bene la storia della violenza.
  È un qualcosa sicuramente a cavallo tra giustizia e salute, ma, alla fine della fiera, la violenza è una malattia. La tutela della vita e della salute va fatta anche combattendo con gli strumenti medici la violenza, quindi bisogna che si accetti come dovere sanitario.
  Andando all'ultima diapositiva, la domanda che vi vorrei fare è: questa medicina c'è nel territorio, c'è negli ospedali? Non c'è, siamo sicuri che non c'è, quindi andrebbe rivista sul territorio, andrebbe implementata, bisognerebbe creare più postazioni di questo tipo di medicina legale negli ospedali in prima battuta e in prima linea.
  Abbiamo dei modelli a livello internazionale? Sì, abbiamo anche dei modelli da seguire. La Francia circa 15 anni fa ha fatto una riforma – vedete qui la prima pagina del loro decreto – della medicina legale: il Ministero di grazia e giustizia e il Ministero della salute si sono parlati, si sono messi insieme, anche con il Ministero dell'educazione, e hanno creato posti di medicina legale per questa funzione all'interno di tutti gli ospedali.
  Spero di aver portato il messaggio di quanto sia importante poter avere la medicina legale negli ospedali. Il secondo tipo di medicina legale, la medicina della violenza, va portato all'interno degli ospedali, non soltanto per combattere la violenza di genere, che ovviamente è già un po' più avanti delle altre violenze, ma tutte le violenze in generale.

  PRESIDENTE. Grazie, professoressa Cattaneo, per questa illuminante audizione.
  In realtà, avevo una serie di domande, ma nel corso della sua narrazione mi ha risposto.
  Provo a farne una su cui lei ha già fatto una riflessione. Sappiamo che molti casi di violenza di genere, quando arrivano al pronto soccorso, vengono archiviati come incidente domestico: da una parte perché, come ha detto molto bene lei, spesse volte la donna è accompagnata dall'uomo maltrattante, quindi non evidenzia subito il fatto che sia un maltrattamento, ma adduce tutte una serie di scuse (sono caduta dalla scala, ho preso un'anta in testa, eccetera); dall'altra parte, forse, perché non c'è quella formazione per poter riconoscere la differenza tra un incidente domestico e una lesione da violenza di genere.
  La domanda che vorrei porle riguarda, naturalmente, uno dei temi di approfondimento di questa Commissione, che è la formazione a più livelli. Lei ha parlato di presìdi, di unità replicate maggiormente sui Pag. 8territori, specializzati. Immagino che chi riceve una donna nel pronto soccorso non sia sempre la stessa persona, ci sono oggi i cosiddetti «percorsi rosa». Secondo lei, a quale livello di formazione si può agire affinché più operatori e più operatrici sociosanitari possano essere consapevoli nell'affrontare il problema, che non riguarda solo donne adulte, ma può riguardare anche giovani ragazze? Si parla spesso di formazione degli operatori sociosanitari, si parla delle forze di polizia, si parla addirittura della formazione specifica di avvocati e di magistrati. Secondo lei, a quale livello della formazione si deve inserire, anche a partire dai processi di studio?
  Qui siamo in un tema molto specifico. Per riconoscere una lesione da maltrattamento o una lesione domestica serve, immagino, una specificità, al di là del processo di esami ricognitivi (TAC, ecografia o tossicologico).
  Le chiedo una riflessione sul prima, sul molto prima.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. La formazione del personale che accudisce queste vittime?

  PRESIDENTE. Esatto.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. La domanda è molto interessante e cade proprio in un momento in cui stiamo facendo uno studio per vedere se la formazione è sufficiente. Quello che viene chiesto da lei, e che ogni tanto chiedono all'interno degli ospedali, è di fare una formazione sulla violenza, così i nostri operatori riusciranno a distinguere una cosa dall'altra. Non parlo di formazione alle forze dell'ordine e agli avvocati, ma di formazione squisitamente clinica.
  La formazione dei sanitari che non sono medici legali nei pronto soccorso è un tappare un buco, è un qualcosa di non corretto in partenza. Come dicevo, è come formare qualcuno in pronto soccorso per accudire un infarto senza chiamare il cardiologo. Questo è il messaggio che deve passare: la diagnosi di violenza è una specializzazione, che insegna a tutti a mettere insieme dei dati. Così come per l'infarto metto insieme gli enzimi e altri sintomi e segni, allo stesso modo per la violenza metto insieme tutta una serie di altri elementi, che solo un medico legale sa cercare. Possiamo sicuramente educare a far meglio là dove non si può.
  Recentemente, su richiesta dei medici di pronto soccorso sempre del Policlinico, abbiamo detto: vediamo se una formazione buona, fattibile sul territorio, di qualche giornata, può far sì che migliori la prestazione di medici che non sono medici legali in prima linea, in pronto soccorso, per identificare. I risultati sono che migliora molto poco. Chi è già nei pronto soccorso deve fare altro, deve salvare le vite in altro modo.
  La risposta del sistema, secondo me, deve essere come quella che hanno trovato in Francia, cioè cominciare a rivedere sul territorio il ruolo della medicina legale negli ospedali.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FILIPPO SENSI. Signor presidente, ringrazio lei e la professoressa Cattaneo, alla quale devo molto per la sua esperienza sui 366 corpi di Lampedusa, che ha raccontato in un suo libro incredibile, Naufraghi senza volto.
  Ha operato uno squarcio forse senza precedenti e sicuramente senza seguito, cioè quello di accertare l'identità dei migranti che erano finiti sott'acqua nel Mare Mediterraneo, ricostruendo le loro storie, i loro profili, la loro dignità di persone. È una delle cose più incredibili che abbia mai letto in vita mia e di questo la ringrazio ancora.
  Le vorrei fare alcune domande molto rapide.
  Lei ha parlato della questione del tempo, che è fondamentale ovviamente nell'accertamento e nella diagnostica. Il fatto che professionisti come voi, cioè medicina legale eccetera eccetera, abbiano bisogno di Pag. 9tempo, quindi non parlo della tempestività, ma del tempo di lavoro, gioca contro la sua richiesta? Ci mettono tanto per fare il loro lavoro, i loro esiti hanno bisogno di un lungo periodo, e quindi questo, rispetto ai first responder, al pronto soccorso può essere controintuitivo. Trattiamo prima con quel che c'è e poi i super esperti che hanno bisogno di più tempo possono venire dopo. Le volevo chiedere un controfattuale su questa questione.
  Vengo alla seconda questione. Lei ha detto che è importante che ci sia un presidio sul territorio e negli ospedali di specialisti della diagnostica, di questo tipo di diagnostica. Quindi, non bastano i protocolli, non basta neanche la formazione, ma ci vogliono delle unità. Siccome questo poi si traduce, lo dico per la politica, in quanto costa questo al sistema sanitario nazionale, ci sarebbe un numero di professionisti già attivi che possono essere attivati in questa direzione oppure si tratterebbe di fare dei concorsi, fare una formazione? La tempistica, secondo lei, dal suo punto di vista di un possibile ingresso, di una presa in carico dei pronti soccorsi territoriali, qual è? Ovviamente con le disparità e le diversità sul territorio che conosciamo.
  Le volevo chiedere di speculare un po' di più su due frasi che lei ha detto. La prima, che la violenza è una malattia. Mi ha molto colpito e interessato e le volevo chiedere di dirci qualcosa in più dal suo punto di vista. Mi ha molto colpito quando lei ha parlato – questa è la seconda – dei segni di violenza autoinflitta e di come siano silenziosi e spesso non solo non capiti, non letti. Penso questo e faccio un'inferenza sbagliata, penso al fenomeno per esempio del cutting molto cresciuto esponenzialmente e di che cosa ci possano dire quei segni di violenza autoinflitta per prevenire un suicidio o per raccontarci qualche cosa che può essere, ma che non accadrà.
  La ringrazio molto di questa audizione che, per quanto mi riguarda, da un anno a questa parte, è stata sicuramente la più interessante che ho sentito, senza nulla togliere alle altre.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. La ringrazio anche per quello che ha detto sui migranti morti e non identificati.
  Intanto la ringrazio per aver corretto il mio italiano. Io ho parlato di una questione di tempo e lei giustamente ha detto tempestività. Noi dobbiamo essere lì perché quella roba lì si perde. Se io faccio un'ecografia dopo un giorno o 48 ore non vedo più nulla, ho informazioni meno precise. Su quanto ci mettiamo, è vero che noi ci mettiamo tanto quando lavoriamo sui morti, ma è anche vero che le funzioni sono diverse. Un medico legale notoriamente ci mette magari cinque o sei mesi per dare una risposta su una causa di morte come incaricato del pubblico ministero, per dire di che cosa è morta quella persona, chi l'ha ammazzata eccetera; è diverso, al contrario, quando lo si fa in forma di prevenzione.
  Le diagnosi cliniche sono diagnosi probabilistiche, non ho bisogno di avere la certezza ogni oltre ragionevole dubbio che è stata quella persona lì. Io ho bisogno di avere un enorme sospetto che quella persona lì ha quella malattia della violenza, e poi ci torniamo. Questo si fa nei tempi in cui si fanno le altre diagnosi. È chiaro che come per il diabete anche per la violenza ci vorranno gli approfondimenti, quindi questo si può fare.
  In merito al presidio di specialisti, sono d'accordo. A Milano, per esempio, il numero di giovani che entrano in specializzazione sono molti, quindi i giovani che vengono formati adesso e che sono già formati per questo tipo di mestiere ci sono sul territorio, ma non sono nelle strutture. Si tratterebbe di prevedere, come ha fatto la Francia – il terzo ministero era quello dell'Università – dei posti ospedalieri universitari per implementare questa nuova figura. Ha fatto una riforma, una rivoluzione, che sta funzionando.
  La violenza è una malattia a volte per chi la compie, non sempre, ma è una malattia sempre per chi la subisce. È molto poco scientifica questa frase, però effettivamente è una malattia perché è qualche Pag. 10cosa che ha una diagnosi, che ha una terapia e su cui si può fare prevenzione, e che riguarda il corpo nel nostro caso. È sicuramente una malattia, io la vedo come malattia in questo senso. È chiaro che uno potrebbe vederla specularmente e vedere che la malattia della società è una malattia di chi opera la violenza. È una malattia della vittima e così va intesa da parte della medicina, anche nell'insegnamento.
  L'insegnamento di medicina legale al sesto anno di Medicina è molto povero, quello tecnico, in questa materia, che stiamo cercando di implementare. Ovviamente, però, non è sufficiente.
  Sui suicidi e sulle lesioni autoinflitte apre un capitolo enorme. Le parlo sempre dalla prospettiva di quella che è la mia esperienza sul morto e sui vivi. Sul morto è una catastrofe. Stiamo assistendo a un aumento di suicidi di adolescenti. Io non ho una risposta alla sua domanda, ma ci si rende conto che il sistema in questo senso perde acqua un po' da tutte le parti, perché non si capisce. È chiaro che bisogna fare molta ricerca e bisogna fare molta ricerca sulle vittime morte e vive per capire dove andare a riparare questo sistema, che non riesce a tutelare questo tipo di vulnerabilità, che forse è quella meno evidente, è quella che sappiamo meno trattare, parlando anche con molti psichiatri clinici che hanno visto le persone che poi noi abbiamo sottoposto ad autopsia. In pochi casi è successo che è passato per il pronto soccorso un caso di violenza sessuale di una persona che poi si è tolta la vita. L'idea è di studiare questi pochi casi, ma bisognerebbe veramente attenzionare questo problema, perché, ripeto, non so darle una risposta.
  Sappiamo troppo poco e stiamo facendo troppo poco.

  STEFANIA ASCARI. Buongiorno. Ringrazio la professoressa Cattaneo.
  Vorrei tornare un attimo sulla formazione, perché la medicina di genere è il grande tema sul quale il nostro Paese è molto indietro. Siamo veramente lontani da un livello sufficiente.
  Realtà come la vostra, a Milano, potrebbero diventare degli esempi pilota per tutto il territorio nazionale. Le chiedevo magari in senso pratico se è possibile – sto ragionando a voce alta – dare delle linee guida tenendo conto che l'approccio in un pronto soccorso come primo referto all'interno delle aule di tribunale è fondamentale e porta ad aperture di procedimenti d'ufficio.
  Sarebbe importante adottare delle linee guida perché il primo approccio che i sanitari hanno, se un referto viene scritto in modo completo e dà vita a un procedimento d'ufficio aiuta moltissimo la vittima ad avere una linea di difesa.
  Lei ha usato il termine «malattia». Noi abbiamo inserito dei percorsi per gli uomini maltrattanti. È molto difficile lavorare su un uomo di cinquanta o sessant'anni, ma anche di quaranta. Si può solo contenere. Non ritiene che bisognerebbe fare un lavoro a livello culturale diffuso non solo dalla scuola, ma in termini sociali di educazione affettiva e sessuale o comunque fare un lavoro parallelamente culturale?
  Grazie.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. Tutto quello che lei dice è assolutamente calzante alla realtà.
  Per quel che riguarda Milano, non posso entrare nel dettaglio perché non sappiamo ancora come andrà a finire, ma in Policlinico stiamo cercando di fare questo esperimento, che sarebbe il primo, di avere questo tipo di interfaccia medico-legale in SVS, ma averlo anche su tutto l'ospedale.
  La medicina di genere sicuramente gioverebbe di questo perché vediamo un pochettino questa diagnosi di violenza, questi esperti che possono diagnosticare la violenza in maniera trasversale per tutto l'ospedale, in gran parte per la violenza di genere, ma anche per tutte le altre forme di violenza. Quello che si sta tentando di fare è questo.
  Sicuramente Alessandra Kustermann negli ultimi trent'anni in Italia ha cercato di diffondere i protocolli di SVSeD. È chiaro che però si fermano ai centri antiviolenza e un pochino arrivano nei pronto soccorso, ma ripeto quello che ho detto prima, arrivano un po' così da utilizzare, faccio un Pag. 11tampone, faccio una foto, ma non è questa la diagnosi di violenza.
  Quanti centri antiviolenza veri ci sono di tipo clinico in Italia? Non sono moltissimi. È importante riuscire a fare in modo che questa cultura sia diffusa, non soltanto i protocolli antiviolenza, ma proprio la cultura della medicina legale che tratta questo tipo di malattia.
  La malattia l'ho declinata. Ho declinato il termine all'opposto di quello che ha fatto lei. Sono un po' uscita dalle righe, perché chiaramente quando si parla di violenza e cura, di cura del maltrattante, questo non è il mio ramo e non saprei andare oltre, ma certamente la cultura è fondamentale. Io lo declinerei dalla prospettiva della vittima. È una malattia che la vittima «subisce» e che va curata.
  Non mi occupo del resto, ma sicuramente la cultura e fare cultura vuol dire fare cultura con i giovani, fare cultura con gli adolescenti, fare cultura anche con i policy makers, perché non sempre c'è questa cultura tra i procuratori, ma c'è sicuramente chi è più formato e più sensibile e chi no, proprio perché non ha questo insegnamento.
  Sicuramente c'è molto che si può fare da tutte e due le prospettive.

  PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa Cattaneo condividendo le parole del senatore Sensi per questo prezioso contributo alla Commissione, che servirà anche per i punti programmatici.
  Professoressa, si ritenga sempre invitata per approfondire altre tematiche.

  CRISTINA CATTANEO, ordinaria di medicina legale all'Università degli Studi di Milano. Verrò molto volentieri. Grazie.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.