Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3
Audizione del Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Gen. di corpo d'armata Teo Luzi:
Semenzato Martina , Presidente ... 3
Luzi Teo , Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri ... 3
Semenzato Martina , Presidente ... 12
Ravetto Laura (LEGA) ... 12
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI) ... 13
Bonetti Elena (AZ-PER-RE) ... 13
Semenzato Martina , Presidente ... 14
Luzi Teo , Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri ... 14
Semenzato Martina , Presidente ... 15
Luzi Teo , Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri ... 15
Semenzato Martina , Presidente ... 15
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO
La seduta comincia alle 14.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri, Gen. di corpo d'armata Teo Luzi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale di corpo d'armata Teo Luzi.
Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione.
Ricordo, inoltre, che i lavori potranno proseguire in forma segreta sia a richiesta degli auditi che dei colleghi, sospendendo, in tal caso, la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.
A nome di tutti i commissari e le commissarie do il benvenuto al generale Luzi, che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere.
Saluto anche il generale Arturo Guarino, capo del II Reparto, impiego delle forze, che accompagna il nostro audito.
Prima di dare la parola al generale Luzi, tengo a sottolineare l'importanza di questa audizione alla luce del perdurante impegno che l'Arma dei carabinieri profonde contro la violenza di genere. L'Arma è certamente in prima linea nel contrasto al fenomeno sul territorio, ma è anche assai attiva sul terreno della comunicazione, formazione e informazione.
Ritengo importante evidenziare in questa sede che sul sito istituzionale www.carabinieri.it è disponibile un approfondimento sul Codice rosso, dove è possibile trovare informazioni utili sui reati spia, atti persecutori, bullismo, cyberbullismo, maltrattamenti, revenge porn e anche il Violenzametro, un test di autovalutazione elaborato dal Reparto analisi criminologiche del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche per rilevare i segnali del livello di violenza di genere subita in un rapporto di coppia.
Essenziale è il contributo dell'Arma anche per la raccolta e l'elaborazione dei dati statistici, utili a orientare al meglio l'azione di prevenzione e contrasto.
A questa Commissione sta, inoltre, particolarmente a cuore il tema della formazione delle forze dell'ordine. Siamo, pertanto, molto interessati ad acquisire elementi di approfondimento su quanto realizza l'Arma in questo campo, anche in collaborazione con il Ministero della difesa e con il Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Nel rinnovare il ringraziamento al generale Luzi, gli do la parola.
TEO LUZI, Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri. Signor presidente, la ringrazio, soprattutto per l'invito ad essere audito. Per noi è importante. È un tema che ci sta molto a cuore. Il nostro obiettivo di oggi è quello di dare un piccolo contributoPag. 4 a una grande causa, nella quale crediamo fortemente.
Negli ultimi decenni è progressivamente cresciuta, nella gran parte delle democrazie, la consapevolezza dell'urgente necessità di rimuovere qualsiasi tipo di ostacolo normativo, culturale, sociale ed economico, affinché si possa compiere una reale parità di genere. Allo stesso tempo, è decisamente aumentata la sensibilità delle istituzioni per la tutela delle forme di violenza di genere, retaggio culturale di prevaricazione nei confronti dei più indifesi, più spesso verso le donne, ma anche nei confronti di altre categorie di vittime cosiddette «vulnerabili».
Affrontare il tema della violenza di genere significa esplorare un fenomeno la cui reale dimensione rimane in parte oscura. Con particolare riguardo a quella contro le donne, spesso resta confinato tra le mura domestiche.
Questo è un assunto di carattere generico, ma purtroppo è un assunto dal quale dobbiamo cominciare a ragionare.
Un fenomeno che non si limita alla sola violenza fisica, ma che spesso si alimenta di condotte mortificanti per la vittima, come lo stalking, le violenze sessuali talvolta mascherate da gesti di untuosa galanteria, gli usi perversi della tecnologia, che prendono la forma dell'harassment online e del revenge porn, fino ad arrivare a mutilazioni genitali e infanticidi di donne, di ragazze.
Le cronache non mancano quasi quotidianamente di sottolineare i soprusi nei confronti dei più vulnerabili e di crimini consumati nell'ambito familiare o affettivo, che troppo spesso – sarebbe troppo anche un solo episodio – hanno il loro epilogo in un femminicidio, categoria di delitti per cui il genere femminile della vittima è movente dello stesso crimine.
L'istituto Treccani ha individuato nel termine «femminicidio» la parola dell'anno appena concluso, definita – secondo la Treccani – come «uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale». Anche in questo caso partiamo da un riferimento culturale di carattere lessicale.
Il termine esprime un crimine odioso, stimola una riflessione e una presa di coscienza su un fenomeno troppo frequente, come anche sottolineato nell'ultima relazione sull'amministrazione della giustizia dalla presidente della Corte di cassazione.
Adesso passo ad alcune considerazioni più tecniche, che ci servono per capire le dinamiche e la dimensione del fenomeno.
In un panorama che registra il calo degli omicidi complessivamente commessi in Italia (gli omicidi di qualsiasi genere sono in calo in Italia; sono passati da 479 nel 2014 a 332 nel 2023), si è assistito a un progressivo calo degli eventi riconducibili a fattori di criminalità comune e organizzata, a fronte, tuttavia, di un incremento percentuale dei moventi di natura relazionale (dal 48 al 66 per cento).
Gli omicidi sono diminuiti, ma sostanzialmente i cosiddetti «femminicidi» sono rimasti costanti. Per cui, percentualmente è aumentato il numero.
In termini assoluti, se prendiamo a riferimento il quinquennio 2019-2023, i casi di omicidio di donne non hanno subìto significativi scostamenti. Nel 2023 erano 96 episodi, oggi sono 89.
Non voglio fare il burocrate. Do dei numeri per capire l'entità del fenomeno, non per sottovalutarlo né per esaltarlo.
Il fenomeno merita, però, un'analisi approfondita dal punto di vista criminologico. Tra il 2019 e il 2023 più del 60 per cento dei casi di femminicidio si sono consumati nel cosiddetto «ambito relazionale», essendo stati commessi da un soggetto legato alla vittima da rapporto affettivo, in genere pregresso, oppure di parentela, di amicizia o, comunque, di conoscenza (vicini di casa, conoscenti, ambienti di lavoro, eccetera). Nella maggior parte degli eventi l'autore dell'omicidio si identifica nel partner o nell'ex partner. Questo è un dato.
Un altro dato. L'età media delle vittime risulta essere abbastanza alta: cinquant'anni. È di particolare rilievo il dato delle donne ultrasessantacinquenni, che rappresentano da sole circa un terzo del totale. L'arma maggiormente utilizzata è quella da punta e taglio, nel 45 per cento dei casi, circostanza che trova giustificazione nel fatto Pag. 5che la maggior parte dei femminicidi avviene all'interno delle mura domestiche dove le armi bianche sono di immediata disponibilità. Mi riferisco, ovviamente, ai coltelli per la cucina.
Dal punto di vista della ripartizione territoriale, ancorché in termini assoluti la maggior parte degli eventi si siano verificati nelle aree più densamente popolate, si registra una interessante incidenza anche in province meno popolose. Per quanto riguarda le motivazioni, i casi più ricorrenti afferiscono alle dinamiche relazionali, come dicevo. In particolare, gli eventi si riferiscono al culmine di una situazione caratterizzata da conflittualità, continui litigi, manifestazioni di gelosia, volontà di totale controllo della vittima e di una non accettazione, da parte dell'uomo, della fine del rapporto. Peraltro, spesso si tratta di angherie protratte nel tempo. Questo penso sia un elemento sul quale riflettere.
Sulla base dell'esperienza, un femminicidio in quanto tale può maturare con maggiore probabilità nei due anni successivi dalle prime manifestazioni di maltrattamento e violenze. Forse c'è da ragionare su questo lasso di tempo. Lo vediamo dopo, nella parte finale della relazione.
Sempre nell'ultimo quinquennio, avuto riguardo ai reati spia, ovvero delitti come maltrattamenti contro familiari, atti persecutori, violenze sessuali, spesso precursori di episodi tragici, si è registrato un trend in progressiva crescita, a eccezione del 2023. Tale incremento è connesso anche con l'emersione di molti di questi reati, che in passato rimanevano confinati nel cosiddetto «numero oscuro», vale a dire la differenza tra i crimini reali e quelli misurati. Questa emersione, che riteniamo ancora molto parziale, è comunque un elemento indicativo dell'efficacia delle campagne di sensibilizzazione e informazione sul fenomeno della violenza di genere.
Nella sua drammaticità, questo, però, è un dato positivo, perché significa che più si denuncia e più c'è attenzione sul fenomeno.
Per i maltrattamenti in famiglia si è passati da 23.946 casi denunciati nel 2019 a 25.349 casi nel 2022, per poi scendere a 23.718 casi nel 2023 (meno 6,4 per cento), anche se la percentuale di vittime donne si è mantenuto oltre il 75 per cento. Analogo andamento ha riguardato gli atti persecutori: si è passati da 13.291 casi del 2019 a 13.049 casi del 2022, scendendo nel 2023 a 12.061 casi, con un decremento dell'8,2 per cento. Parliamo sempre di reati spia.
Per le violenze sessuali con vittime donne, dai 5.429 del 2019 si è raggiunto il piccolo di 6.022 casi nel 2022. Nel 2023 i casi riscontrati sono stati, invece, 5.421, ovvero un 9,9 per cento in meno.
Dall'analisi di questi dati appare immediata l'esigenza di una costante collaborazione tra tutte le componenti in campo, pubbliche e private, in modo da offrire una protezione adeguata alla vittima e promuovere una nuova cultura del rispetto per superare pregiudizi e stereotipi di genere.
In definitiva, il fenomeno del femminicidio e, più in generale, della violenza di genere, avendo profonde radici culturali e sociali, impone l'attenzione di tutte le istituzioni e la costante collaborazione della società civile.
Il quadro normativo. Dico subito che per noi il quadro normativo di riferimento è più che soddisfacente. Certo, si possono porre dei correttivi, ma l'impianto è di alto profilo. Con la legge n. 77/2013 l'Italia è stata tra i primi Paesi europei a ratificare la cosiddetta «Convenzione di Istanbul» adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011, attinente alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e quella domestica. Ancora prima, però, l'Italia aveva varato il decreto-legge n. 11/2009, novellato, poi, con il decreto-legge n. 93/2013, che rappresenta, a oggi, la base normativa di riferimento per la tutela giuridica del genere femminile. Quest'ultimo provvedimento ha recepito linee di indirizzo della citata Convenzione di Istanbul rafforzando la capacità preventiva dell'ammonimento, applicata anche ai responsabili di condotte di violenza domestica, prevedendo una serie di modifiche al Codice di procedura penale per meglio tutelare le vittime, quali l'arresto obbligatorio in flagranza per i delitti di maltrattamento e atti persecutori, l'introduzione della misura dell'allontanamentoPag. 6 d'urgenza dalla casa familiare e l'obbligo per la Polizia giudiziaria di fornire alle vittime indicazioni sui Centri antiviolenza presenti sul territorio.
Tuttavia, per quanto molto sia stato fatto, riteniamo che si debba strutturare ancora meglio una filiera tra gli organi di Polizia che intervengono e i Centri di assistenza per le donne, nei quali dovrebbero essere sempre presenti psicologi per supportare le vittime e i figli nella gestione della fase post-traumatica.
Con la legge n. 69/2019 recante «Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», comunemente conosciuto come «Codice rosso», sono state introdotte importanti modifiche al diritto sostanziale e procedurale e altre disposizioni normative per aumentare le tutele nei confronti delle donne e dei soggetti deboli. Il Codice rosso, oltre ad avere previsto nuove fattispecie delittuose, ha velocizzato l'instaurazione dei procedimenti penali, accelerando, conseguentemente, l'eventuale adozione di provvedimenti a protezione delle vittime. La recente riforma, cosiddetta «Riforma Cartabia», contiene alcune previsioni di rilievo per quanto riguarda la difesa delle persone offese nei delitti di violenza di genere, tra cui l'estensione delle garanzie processuali del Codice rosso a tutti i reati spia commessi nella forma tentata.
Da ultimo, la legge n. 168/2023 recante «Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica» si è posta l'obiettivo di migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza, rendendo più efficaci le azioni di protezione preventiva, in particolare velocizzando le valutazioni preliminari sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza contro le donne in ambito domestico e rafforzando le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e di contrasto alla recidiva. Al riguardo, in relazione all'applicabilità dell'ammonimento, anche d'ufficio, per i fatti reato, consumati o tentati, di violenza privata, minacce aggravate, atti persecutori, diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, violazione di domicilio e danneggiamento, l'Arma dei carabinieri ha immediatamente impartito disposizioni fino ai minori livelli ordinativi, affinché il questore, organo competente per legge, sia posto immediatamente a conoscenza degli elementi utili per esercitare questa valutazione.
Sul terreno, all'atto pratico, non abbiamo avuto problemi particolari.
Riallacciandomi a quello che la signora presidente ha detto all'inizio, qual è il contributo dell'Arma nello specifico settore? L'Arma ha avviato da tempo progetti finalizzati alla prevenzione e al contrasto della violenza di genere. Già nel 2009 (quindi, quindici anni fa) il Dipartimento per le pari opportunità del Consiglio dei ministri ha affidato all'Arma il monitoraggio delle violenze perpetuate sotto forma di atti persecutori violenti, sessualmente finalizzati o vessatori verso vittime vulnerabili. Al riguardo, è stato stipulato un protocollo d'intesa, sottoscritto dai Ministri pro tempore della difesa e delle pari opportunità, finalizzato a rafforzare le strategie di prevenzione e contrasto al reato di atti persecutori, all'epoca appena introdotto. È seguita nello stesso anno una convenzione di attuazione tra il Dipartimento delle pari opportunità e il Comando generale dell'Arma, con la quale è stata istituita la Sezione atti persecutori nell'ambito del Reparto analisi criminologiche e del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (quindi, una Sezione atti persecutori ad hoc), che ha lo scopo di svolgere studi e analisi sul fenomeno e delineare strategie di prevenzione e di contrasto aderenti, aggiornate ed efficaci. La Sezione viene tempestivamente informata di ogni evento significativo per approfondire ogni aspetto statistico, sociale e comportamentale del fenomeno, anche nella prospettiva di elaborare strategie operative. È un'unità di eccellenza che si compone di personale con peculiari competenze scientifiche e psicologiche, cui si affiancano anche investigatori, per portare all'interno di tale struttura l'esperienza maturata direttamente sul campo.
Inoltre, a partire dal 2014 l'Arma si è dotata di una rete nazionale di monitoraggioPag. 7 sul fenomeno della violenza di genere, costituita da ufficiali di Polizia giudiziaria (per intenderci, ufficiali, marescialli e brigadieri) effettivi, Nuclei investigativi dei Comandi provinciali di gruppo e Nuclei operativi delle compagnie, con una formazione certificata nello specifico settore. Essi fungono da punto di riferimento per il personale dei reparti sul controllo del territorio nello sviluppo delle indagini e sono elementi di raccordo, a livello centrale, con la Sezione atti persecutori. La loro preparazione è assicurata da specifici corsi frequentati presso l'Istituto superiore di tecniche investigative, l'ISTI, a Velletri, centro di alta qualificazione dell'Arma, che dal 2008 provvede alla specializzazione degli ufficiali di Polizia giudiziaria e li abilita alla conduzione delle indagini più complesse e all'uso di sofisticati strumenti, coniugando innovativi metodi didattici e contenuti informativi aggiornati. Un vero e proprio laboratorio di cultura investigativa in cui converge l'apporto delle migliori risorse dell'Arma tratte dal ROS, dai Reparti investigazioni scientifiche, dai Reparti analisi criminologiche, dai Nuclei investigativi, i quali portano in aula le proprie migliori esperienze acquisite. Agli insegnanti militari si affiancano esperti di settore del mondo civile, aspetto per noi molto qualificante.
Ad oggi, sono stati svolti 32 corsi, che durano due settimane, che hanno consentito di formare 775 operatori. Oggi, quindi, abbiamo 775 Carabinieri appositamente qualificati distribuiti sul territorio nazionale. Ovviamente, il numero è destinato a salire.
Inoltre, nel quadro di un accordo con il Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi, i componenti della rete (queste 775 unità) partecipano a seminari informativi incentrati su elementi di psicologia comportamentale, volta a migliorare le capacità di interazione con le vittime vulnerabili sia nel primo contatto, in situazioni di emergenza, sia nel successivo percorso di denuncia.
Il 23 novembre 2017 il Governo ha adottato il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 allo scopo di condividere strategie operative valide in maniera uniforme tra i vari attori coinvolti, ispirate ai contenuti della Convenzione di Istanbul.
L'Arma, sulla base dell'esperienza maturata dalla Sezione atti persecutori, quella allocata al RaCIS, che dicevo poc'anzi, rappresenta, tramite il comandante di quell'unità, oggi un tenente colonnello psicologo di sesso femminile, il Ministero della difesa, Comitato tecnico di supporto, organo tecnico per l'esecuzione del piano d'azione straordinario della cabina di regia nazionale, che è un organo politico, per la redazione del suddetto Piano strategico nazionale.
Oggi, in particolare, l'Arma affronta il fenomeno attraverso un approccio globale – adesso parlerò delle linee operative – mettendo a sistema le quattro «P» della Convenzione di Istanbul: prevenire reati, perseguirne gli autori assicurandoli alla giustizia, proteggere le vittime adottando misure per la loro sicurezza, partecipare alle politiche integrate insieme agli altri attori sociali.
L'attenzione alle vittime particolarmente vulnerabili risalta già dal primo contatto, instaurando un rapporto che tiene conto delle caratteristiche dei singoli e del loro vissuto personale per orientare le successive attività. Qui il Carabiniere è chiamato a intercettare la violenza in tutte le sue forme, nonché a rilevare, riconoscere, raccogliere e riferire all'autorità giudiziaria i fattori di rischio, la cui analisi fornisce un quadro di previsione circa il verificarsi di eventi o circostanze che possano mettere a repentaglio l'incolumità o la sicurezza della persona (rischio primario e rischio secondario).
In sintesi, chi effettua la valutazione cerca quei fattori la cui presenza aumenta la probabilità che la violenza è salita nel tempo, quindi nella prospettiva del rischio secondario. Naturalmente, è una valutazione predittiva che non corrisponde a certezza, ma dà un utile risultato al territorio.
La formazione del nostro personale è un altro tema a cui teniamo molto.
Dal punto di vista della formazione del personale, ci sono lezioni dedicate alla violenzaPag. 8 di genere presenti nei programmi degli istituti che curano l'addestramento di base dei Carabinieri appartenenti a tutti i ruoli (ufficiali, marescialli, brigadieri, carabinieri). A tutti vengono impartite, in ragione, ovviamente, del ruolo ricoperto, delle nozioni o, comunque, delle sensibilizzazioni in materia di protezione del gender.
Presso le scuole dell'Arma, tutti i militari apprendono le fondamentali nozioni sul fenomeno, sulle attività di prevenzione e di contrasto, nonché le istruzioni professionali concernenti le modalità di riconoscimento dei reati e di ricezione delle denunce. A grandi linee, per gli ufficiali di ruolo normale, cioè i comandanti (dal tenente, ovviamente, fino ai più alti gradi) vengono impartite in modo trasversale nozioni nelle materie di diritto penale, procedura penale, scienze investigative, criminologia, in maniera organica, con un modulo specifico sulle vittime vulnerabili e la violenza di genere. Ovviamente, l'insegnamento è fatto da militari, ma anche da personale civile. Agli ufficiali di ruolo forestale tecnico, nozioni di criminologia, vittimologia e scienze investigative, psicologia sociale e violenza di genere. Ai marescialli, che per noi sono le pedine più pregiate, che troviamo in tutte le stazioni d'Italia, vengono fatte sessioni dedicate nell'ambito delle materie di diritto penale, procedura penale, scienze investigative, criminologia e criminalistica. Per i brigadieri, idem, stessa cosa. Per i carabinieri viene svolto un apposito modulo didattico su tutela e protezione dei soggetti vulnerabili e sulla capacità di ascolto.
Inoltre, in tutti i corsi iniziali, il piano di studio include un approfondimento sui diritti umani, in cui è affrontata anche la tematica del contrasto dei reati di genere. È una cosa che ci rende orgogliosi. Tale approccio didattico viene proposto all'Arma anche nel contesto internazionale. Noi abbiamo il Centro di eccellenza per le unità di Polizia di stabilità (CoESPU) di Vicenza, dove c'è un apposito corso di UN (sotto egida ONU) di gender protection, volto a sviluppare, tra gli operatori di Polizia delle Nazioni Unite, che mandano il loro personale, conoscenze e competenze che consentano di gestire nei teatri dove sono schierati politiche di genere. Tali insegnamenti sono anche erogati nelle missioni addestrative all'estero, per richiesta dei Paesi che ci ospitano, come a Gerico, per la Polizia dell'autorità nazionale palestinese, e a Gibuti, in favore delle forze somale gibutiane, e in Iraq, per il personale femminile della Polizia federale irachena.
Vediamo ora le collaborazioni interistituzionali. Qui, secondo me, c'è anche qualcosa di interessante per la Commissione, per trarre spunto.
Per quanto riguarda le collaborazioni interistituzionali, l'Arma partecipa – unitamente alla Polizia di Stato – a numerose intese territoriali siglate da procure della Repubblica, prefetture, aziende sanitarie, ospedali, centri antiviolenza e associazioni varie. Tra queste mi piace ricordare il progetto denominato «Una stanza tutta per sé», che a partire dal 2015, grazie alla collaborazione con Soroptimist International d'Italia, ha consentito di allestire nelle caserme dell'Arma, distribuite sul territorio nazionale, 184 stanze dotate di strumenti tecnologici utili per l'ascolto delle vittime di violenze domestiche e di genere e la verbalizzazione delle denunce in un contesto dedicato, assolutamente riservato, in grado di trasmettere una sensazione di accoglienza e attenzione per le sofferenze subite. A tal fine, sono state definite le linee guida per l'arredo dei locali, che tengono conto della psicologia dei colori e delle immagini sul comportamento umano.
Questo è un progetto con un'associazione privata. La stanza la mettiamo noi, ovviamente, il personale lo mettiamo noi, i computer li mettiamo noi, ma tutto l'arredo della stanza lo mette Soroptimist International d'Italia, secondo un progetto che è stato condiviso anche da alcuni psicologi. Sono 184 stanze. Contiamo di averne di più un po' alla volta. L'obiettivo è di portare almeno a tutte le compagnie una stanza dedicata.
Nel 2019 è stata avviata nella provincia di Napoli la sperimentazione del sistema Mobile Angel. Vi prego di porre particolare attenzione su questo progetto, perché è una cosa molto particolare che stiamo sperimentandoPag. 9 e sta dando ottimi risultati. Questo sistema è stato sviluppato con la società privata Intellitronika, grazie al sostegno dell'associazione Soroptimist International d'Italia e la Woman Care Trust, impegnate nella tutela delle vittime di stalking, e della fondazione Vodafone Italia, che persegue finalità di assistenza alle categorie sociali vulnerabili. Il progetto, oggi esteso alle province di Milano e Torino, d'intesa con le rispettive procure della Repubblica, prevede la consegna alla vittima di violenza di genere di un dispositivo di allarme integrato in uno smartwatch (in un telefono, sostanzialmente) connesso con la rete di telefonia tramite il cellulare dell'utente. Una App dedicata consente, in caso di necessità, di inviare richieste di intervento, anche in maniera rapida, immediata e anonima, alla centrale operativa dell'Arma. Complessivamente, oggi sono stati assegnati quindici smartwatch a Napoli, quindici a Milano e venti a Torino. Il loro utilizzo ha determinato positivi – anzi, io direi positivissimi – riscontri, in ragione sia dell'accresciuta percezione di sicurezza da parte delle vittime, consapevoli di poter contare su interventi tempestivi a fronte di situazioni di emergenza, sia dall'accertata funzione di deterrenza svolta dagli apparati.
A riguardo, in più circostanze a Milano e Napoli l'attivazione dei sistemi di allarme da parte della vittima ha consentito il tempestivo intervento di pattuglie dei Carabinieri in circuito, che già facevano altre attività di controllo del territorio, inducendo gli stalkers ad allontanarsi repentinamente alla vista dei militari. In particolare, nello scorso mese di gennaio a Milano l'utilizzo del Mobile Angel è stato determinante per l'arresto in flagranza di reato di un uomo che, già sottoposto alla misura dell'allontanamento dalla casa familiare con divieto di avvicinamento della persona offesa, si è presentato presso la vittima pretendendo del denaro. Al fine di impedire alla donna di allertare i Carabinieri, sapendo dello smartwatch, lo ha strappato e lo ha buttato a terra, ma è partito comunque, perché il sistema prevede il lancio d'allarme, per cui i Carabinieri sono immediatamente intervenuti.
La progettualità, molto apprezzata dalle tre autorità giudiziarie di riferimento, è stata condivisa in sede di ufficio di coordinamento per la pianificazione delle forze di Polizia, Dipartimento del Ministero dell'interno, dove si è inteso avviare un approfondimento anche sull'estensione all'articolazione territoriale della Polizia di Stato, d'accordo con il prefetto Pisani, valutando l'ipotesi di finanziare iniziative con risorse statali.
Al riguardo, questa Commissione potrebbe fare uno specifico approfondimento su questa interessante iniziativa, eventualmente finanziabile con fondi dello Stato. Tutto costa, ma considerate circa 1.000-1.500 euro l'anno/telefono. Alla fine, non lo dobbiamo dare a tutti. Almeno ai casi più importanti. Siccome funziona molto bene, non ci sono ritorni di segnale, non ci sono falsi allarmi, non ci sono allarmi non partiti, potrebbe essere un'idea nei casi limite di persone sottoposte a particolare rischio.
Sia il progetto «Una stanza tutta per sé» sia il Mobile Angel sono in fase di ulteriore sviluppo sul territorio, anche con la ricerca di nuovi partner esterni.
Il tema del monitoraggio mediante il cosiddetto «braccialetto elettronico» merita una riflessione a parte. Se ne è trattato più volte, inizialmente introdotto per il controllo degli arresti domiciliari, applicato ai carnefici in seguito, in quanto si tratta di uno strumento particolarmente utile e diffuso, ma non privo di criticità tecniche, soprattutto per i frequenti falsi allarmi. Sul tema si sta lavorando assieme alla Polizia di Stato e, ovviamente, alle compagnie di comunicazione.
Sempre in tema di collaborazioni interistituzionali, nel 2021 l'Arma ha siglato un protocollo d'intesa con l'associazione «Vite senza paura» per lo sviluppo di iniziative congiunte volte a rafforzare le azioni di contrasto della violenza di genere. Al 2022 risale l'adesione al progetto Airone «Voglio tornare ad essere felice», che tutela i minorenni figli di donne vittime di femminicidio, avviato dalla Fondazione nazionale assistenti sociali (CNOAS). La collaborazione ha finalità informative divulgative, che ad oggi hanno coinvolto circa 400 assistentiPag. 10 sociali delle regioni Lazio, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo e Molise e i referenti della rete monitoraggio dell'Arma dei Carabinieri (i famosi 775 uomini appositamente addestrati).
In linea con le attuali tendenze della comunicazione, il contributo dell'Arma arriva anche al web. Una sezione del sito www.carabinieri.it dedicata al Codice rosso offre informazioni sulla violenza di genere e sugli strumenti di tutela delle vittime, mettendo a disposizione un test di autovalutazione che rileva il livello di violenza subita in un rapporto di coppia. Per incrementare l'efficacia delle azioni di contrasto, l'Arma ha collaborato con la Polizia di Stato – anche con la Finanza, ma tendenzialmente questa tipologia comportamentale è più da controllo generico del territorio, per cui lavoriamo molto con la Polizia di Stato – con cui c'è un'intesa assolutamente condivisa. Tutto quello che si può fare lo facciamo, lo condividiamo e cerchiamo di fare sempre dei passi avanti.
Forse ha parlato anche il capo della Polizia del sistema «Scudo», che viene alimentato con oltre 80 mila segnalazioni all'anno. È una banca dati interforze che fornisce ai componenti delle pattuglie, nell'immediatezza dell'intervento, un quadro informativo completo su eventi pregressi e soggetti coinvolti, agevolando l'assunzione di misure tempestive.
Inoltre, i carabinieri operano nell'ambito dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, uno strumento operativo interforze istituito nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, volto a ottimizzare l'azione delle forze di Polizia nella prevenzione e nel contrasto dei reati di matrice discriminatoria. Tutti i dati confluiti sono elaborati dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale, altro organo interforze del quale ci avvaliamo per la natura coerente e condivisa del fenomeno.
Da ultimo, abbiamo aderito alla proposta avanzata dal capo della Polizia di costituire un gruppo di lavoro comune per definire, con riferimento a particolari fenomeni criminali, tra cui la violenza di genere, procedure standard ottimizzate da parte di tutti gli operatori delle forze di Polizia. L'idea è che dobbiamo sensibilizzare tutti e che dobbiamo fare le stesse cose, onde evitare che ci siano discrasie.
Infine, lo scorso 15 novembre il Comando generale dell'Arma ha diramato a tutti i comandi sul territorio l'edizione aggiornata, con il recente intervento normativo, del Prontuario operativo per i reati di violenza di genere e per l'approccio alle vittime particolarmente vulnerabili, di cui consegno copia, che riepiloga le migliori pratiche adottate nel settore dai reparti dei Carabinieri con l'obiettivo di perfezionare l'approccio alle persone offese, orientando adeguatamente le azioni a loro protezione.
Voglio sottolineare l'importanza di tali iniziative istituzionali, che travalicano il mero aspetto giuridico e mirano piuttosto a qualificare tutti i Carabinieri sulla delicatezza della problematica e delle complessive situazioni che ciascuna vicenda può sottendere. Il carabiniere, infatti, come un moderno operatore di Polizia, è chiamato a leggere la situazione emotiva della vittima, la quale entra in uno stato di inevitabile crisi, riconducibile sia allo sconforto dovuto alla fine di una relazione sia alla contingente e continua attività persecutoria subita dall'ex partner.
Non è facile, però dobbiamo fare uno sforzo per cercare di leggere queste situazioni.
La donna si ritrova improvvisamente a osservare la realtà con occhi diversi, a percepire la persona che ha amato come un'immanente minaccia, sperimentando, così, un profondo senso di impotenza e solitudine, cui associa la paura di non essere creduta (questo è un altro tema che spesso ritroviamo nei casi più gravi), il timore per sé e per i propri cari, soprattutto per i figli, oltre che il disagio economico che spesso accompagna la crisi della relazione. Una tutela importante è quella economica.
In tale contesto, appare fisiologica l'incapacità della vittima di riconoscere la connotazione delittuosa delle condotte poste in essere in suo danno, spesso animate anche dalla speranza illusoria che si tratti di Pag. 11comportamenti contingenti destinati a cessare.
È una fotografia che capita nel 99 per cento dei casi, ovviamente con sfumature diverse caso per caso.
Questa ingannevole illusione rappresenta il maggior rischio per la vittima, indotta a riporre affidamento nell'autore della violenza, così esponendosi incoscientemente a situazioni pregiudizievoli idonee a sfociare in delitti efferati. È tristemente nota la dinamica che induce le donne a concedere il cosiddetto «incontro chiarificatore», momento di massima esposizione al rischio di subire brutali aggressioni. Ecco perché riteniamo prioritario che il carabiniere focalizzi sin dal primissimo approccio con la vittima la condizione emotiva della stessa.
Per noi queste esperienze hanno determinato un'inversione quasi copernicana. Sottolineo quello che sto per dire. Perché un'inversione copernicana sulle modalità di intervento? Perché da un approccio orientato alla pacificazione (il maresciallo sta sul paesino; il primo compito è quello di cercare di evitare liti tra persone; quindi, anche nell'ambito di una famiglia, per quello che poteva fare, ovviamente, cercava di dare una mano nella pacificazione) siamo passati a un intervento protettivo immediato, perché adesso c'è maggiore consapevolezza di questi odiosi reati, al verificarsi, ovviamente, di un evento spia.
In definitiva, la violenza contro le donne è da considerare una questione pubblica e non può essere solo legata alle mura domestiche, secondo la mentalità di un tempo.
L'impegno dei carabinieri non si limita soltanto alla prevenzione e alla repressione dei reati riconducibili al Codice rosso, ma abbraccia anche la promozione dei valori della cultura della legalità, con particolare riguardo alle nuove generazioni, i giovani. Per questa ragione, l'Arma collabora con docenti all'interno delle scuole. L'impegno si sostanzia nella partecipazione alla vita didattica tramite incontri volti a veicolare ai giovani i valori e i princìpi dettati dalla nostra Carta costituzionale, che devono informare e presidiare la convivenza sociale.
Nel 2022 abbiamo rinnovato il protocollo d'intesa con il Ministero dell'istruzione e del merito. Durante lo scorso anno i carabinieri hanno incontrato quasi 600.000 studenti, ovviamente su richiesta degli insegnanti, in oltre 10.000 scuole di ogni ordine e grado, a livello nazionale, svolgendo attività di divulgazione e alimentando nei ragazzi il senso di vicinanza alle istituzioni. Quando andiamo nelle scuole non è che siamo insegnanti, ci mancherebbe altro. Gli insegnanti non possono essere sostituiti. Ma si tratta di portare l'idea delle istituzioni vicine ai ragazzi e magari anche parlare con l'uniforme di quelli che sono i giusti valori della convivenza civile.
Ma non solo, come polizia di prossimità promuoviamo iniziative di sensibilizzazione sul tema attraverso campagne svolte presso le comunità parrocchiali e i centri di aggregazione, allo scopo di accrescere nei cittadini di ogni età la consapevolezza e la gravità di determinati atteggiamenti e di rafforzare la fiducia verso lo Stato.
Mi preme evidenziare come assuma primaria rilevanza, nell'ambito degli incontri educativi alla legalità, la valorizzazione del rispetto verso il prossimo, che si declina in primis nel rispetto verso i soggetti più deboli.
È solo tramite l'acquisizione fin dalle scuole primarie di tale valore assoluto, pietra miliare delle democrazie, che si semina nel cuore dei ragazzi che può efficacemente condursi la campagna di prevenzione dei delitti di genere, la cui lotta, come ho detto, non può e non deve fondarsi solo sulla repressione.
Rivolgendo lo sguardo al futuro, quindi guardando avanti a noi, l'Arma intende confermare il proprio contributo nel contrasto del fenomeno, ben consapevole delle difficoltà a intercettare in anticipo, a differenza di molte altre fattispecie di reato, i singoli episodi delittuosi.
È opportuno rammentare come i carabinieri sostengano uno sforzo operativo che ci vede procedere oltre sette casi su dieci di delitti connotati da violenza di genere, consumati dalle realtà più piccole e periferiche del Paese sino alle grandi città, secondo un Pag. 12modello di prossimità attenta ai bisogni e alle esigenze del giardino. Ovviamente, se siamo più capillari, ci interessiamo anche di più casi. A tal fine, intendiamo affinare gli attuali strumenti in uso per renderli ancora più efficaci.
Tra gli obiettivi che ci siamo prefissati vi è anche quello di estendere ulteriormente la formazione qualificata e certificata del personale, in modo tale che ogni compagnia o, possibilmente, ogni stazione abbia in organico almeno un ufficiale di Polizia giudiziaria che abbia fatto un corso nella trattazione di singoli casi.
Confidiamo che un numero crescente di donne carabinieri contribuisca ad accrescere la nostra sensibilità e la nostra capacità di eradicare il fenomeno o, comunque, di contrastarlo.
Sul piano regolatorio, l'attuale assetto normativo pare adeguato alle esigenze preventive e repressive delle forze di polizia, come ha detto anche il prefetto Pisani. I recenti interventi del legislatore hanno ulteriormente perfezionato i meccanismi di tutela delle vittime e potenziato le tecniche investigative e l'incidenza dell'azione giudiziaria.
Se proprio volessimo migliorarci, il vero tema da affrontare attiene al ritardo della richiesta d'aiuto e denuncia e, quindi, il tardivo intervento delle forze di polizia rispetto ai primi segnali di violenza. Ho detto all'inizio che passano mediamente – sono dati statistici, ma danno comunque un'idea – due anni dal primo segnale al femminicidio. Ovviamente questo dipende dalla relazione tra vittima e autore del delitto, come già detto. A tal riguardo, nel campo sociale si potrebbero pensare, ad esempio, misure in grado di intercettare in largo anticipo quei comportamenti che, sebbene non giuridicamente rilevanti, potrebbero potenzialmente sfociare in reati spia sul medio-lungo termine. Lo Stato potrebbe ulteriormente incentivare Onlus con finalità di questo tipo. Ogni iniziativa sarebbe positiva per la sensibilizzazione e per l'assistenza.
Lo Stato, inoltre, potrebbe prevedere ex lege percorsi di assistenza psicologica preventiva, su base volontaria o disposti dal giudice civile, in quei casi di crisi, come ad esempio le separazioni traumatiche, che con maggior probabilità potrebbero sfociare in forme di violenza.
Quello della violenza di genere – lo ribadisco – è, quindi, un grave fenomeno di natura culturale e sociale, contro il quale le sole misure restrittive non bastano, dovendosi invece ritenere imprescindibile un processo evolutivo della componente antropologica che vada di pari passo con il mutevole e rapido cambiamento della società. Invero, siamo convinti che sia indispensabile promuovere, in primis nella scuola e nella società civile, una rinnovata concezione della donna, che ne rispetti la dignità e il valore, così superando quel retaggio culturale che l'ha vista storicamente in posizione di disuguaglianza.
Come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, lo scorso 25 novembre, dietro ogni violenza c'è il fallimento della società, che, se ispirata a criteri di civiltà, non può accettare, non può sopportare lo stillicidio di aggressione alle donne, quando non il loro assassinio; la pena e il dolore insanabile di famiglie e di comunità ferite sono lo strazio di tutti.
Io vi ringrazio per l'attenzione e sono a totale disposizione per eventuali domande o chiarimenti.
PRESIDENTE. Grazie, generale Luzi, per questa puntuale relazione e anche per averci dato il prontuario operativo. So che c'è il grande lavoro della collega, la maggiore Maria Antonia Secconi, in questo prontuario, che salutiamo. Ovviamente, come Presidenza della Commissione sarà nostra cura farlo avere a tutti i commissari e le commissarie, come naturalmente la relazione.
Vi sono diversi colleghi e colleghe che si sono già palesati per le domande, ai quali darei la parola in ordine di intervento. Raccogliamo tutte le domande e poi rispondiamo.
LAURA RAVETTO. Ringrazio il generale Luzi di questo intervento. Mi associo ai ringraziamenti della presidente sia per il Pag. 13lavoro in prima linea che fate sempre, sia per l'attenzione che avete messo proprio sulla formazione, perché questo è un punto su cui la Commissione è particolarmente sensibile, su tutti gli operatori, quindi parliamo delle forze dell'ordine, ma anche dei magistrati. Sapere che voi siete così avanti nei corsi di formazione e sensibilizzazione, anche il passaggio culturale che lei stesso ci ha illustrato, dall'intento di pacificazione a quello che, invece, è più un intento protettivo, è veramente un passaggio fondamentale, e di questo ringraziamo.
Io ho una domanda specifica sulla normativa che abbiamo approvato. Lei ha detto che sostanzialmente vi ritenete soddisfatti della normativa recentemente approvata all'unanimità dal Parlamento, e di questo siamo naturalmente liete. C'è una parte che si ispira particolarmente al vostro protocollo, che è quella del cosiddetto «ammonimento», come routine o, comunque, procedura introdotta dal legislatore come momento fondamentale. Per esempio, io che vengo dalla Lombardia so che a Milano, proprio grazie a questo istituto da voi adottato, è stata fatta molta prevenzione partendo dai reati spia. Lo dico perché c'è stato un po' di dibattito nella società civile su questo, dal momento che alcune associazioni criticavano l'introduzione dell'ammonimento, dicendo che sembra quasi un rimbrotto della persona in divisa, sembra quasi che si voglia sminuire l'accadimento riducendolo a un'attività amministrativa, mentre noi crediamo che, effettivamente, la parte dell'ammonimento sia fondamentale. Quindi, vorrei chiederle se può darci dei dati a conforto di questo, ovvero se secondo la vostra esperienza effettivamente l'ammonimento ha molto spesso impedito reati ulteriori o, comunque, sanato delle situazioni.
Grazie.
ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. Signor presidente, mi consenta di ringraziare il generale Luzi per la sua presenza, ma soprattutto per il lavoro che costantemente e quotidianamente svolgono su tutto il territorio nazionale. Siete la nostra forza e il nostro orgoglio. Abbiamo necessità della vostra presenza sempre più sostanziale e capillare su tutto il nostro territorio. Quindi, grazie a tutte le forze dell'ordine.
Sono tante le domande che vorrei fare. Partiamo prima di tutto dai numeri che ci sono stati dati oggi, che sono numeri importanti, perché è fondamentale sottolineare che dopo due anni dalla prima violenza – questo dato mi ha colpita, è stato veramente importante ascoltarlo – si può avere una violenza ancora più forte, per poi arrivare anche alla morte della donna, purtroppo. Ma sostanzialmente abbiamo parlato della Convenzione di Istanbul e di tutte le normative che si sono susseguite, fino al disegno di legge contro il femminicidio, approvato nel 2023 all'unanimità dalla Camera dei deputati. La domanda, ricollegandomi a quella posta dalla collega Ravetto, è quanto la prevenzione e, quindi, in questo caso l'ammonimento del questore, sia sostanziale come elemento di intervento che possa portare poi alla non uccisione di una donna, quindi quanto sia fondamentale la prevenzione, ma soprattutto quanto a livello nazionale ci siano dati uniformi. Purtroppo la situazione che può esserci in Lombardia non c'è in alcune regioni più piccole. Io vengo dal Molise, perciò ritengo importante porle questa domanda. Quanto effettivamente si interviene tempestivamente come forze dell'ordine?
Grazie.
ELENA BONETTI. Ringrazio innanzitutto il generale Luzi per la puntualità, la ricchezza di dati e l'approccio della relazione che ha voluto condividere con la nostra Commissione, ma è un grazie, attraverso di lei, a tutte le donne e gli uomini dell'Arma per il lavoro straordinario che stanno mettendo in campo e che abbiamo avuto modo di conoscere e incontrare. Non nascondiamo quanto sia stato importante il vostro presidio soprattutto durante la pandemia, durante il lockdown, in quel momento nel quale troppe donne rischiavano, altrimenti, di essere completamente sole, se non accompagnate dalla sicurezza che, laddove ci fosse una richiesta d'aiuto, c'era una risposta che poteva giungere.
Rispetto alla sua relazione in particolare vorrei chiederle, più che ulteriori dettagli,Pag. 14 perché devo dire che la relazione è già stata estremamente ampia, suggerimenti e proposte che possano aiutare la nostra Commissione nel prosieguo dei lavori.
La parte sulla formazione su cui lei si è soffermato mi pare di particolare interesse, soprattutto per quanto riguarda, come lei ha bene e anche onestamente descritto, l'evoluzione che l'Arma ha fatto rispetto alla presa in carico delle denunce da parte della donna con una formazione specifica degli operatori. Noi sappiamo che la cosiddetta «vittimizzazione secondaria» spesso nasce proprio nell'istante della denuncia. L'esperienza che lei ha citato sul tema «Una stanza tutta per te», ossia la presa in carico ad hoc, anche con adeguati supporti psicologici, mi sembra un modello che andrebbe reso strutturale. È molto interessante quello che lei diceva. Mi chiedevo se tra l'Arma e l'Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza maschile contro le donne, che è impegnato nella redazione di linee guida per la formazione, come previsto dalla strategia 2020-2023, siano stati fatti dei passi avanti o se possiamo suggerire di poter portare avanti.
Il secondo punto riguarda la questione, che lei ha citato, dell'utilizzo di strumenti digitali per la richiesta di aiuto, piuttosto che braccialetti elettronici. Nella scorsa legislatura si era avviato un tavolo informale di carattere tecnico per valutare l'eventuale implementazione di strumenti tecnici, penso al tema del braccialetto elettronico o a modalità di richiesta d'aiuto, anche sollecitati dall'esperienza della pandemia, l'estensione dell'utilizzo dell'app YouPol, che era stata estesa, ma erano chiaramente embrioni di un approccio più sistemico. Ebbene, mi chiedo quanto ritenete potrebbe essere utile fare un passo avanti di questo tipo, di valutazione complessiva.
Ultimo punto, la questione della nuova legge. È già stato citato l'ammonimento, io in realtà vorrei chiederle se ha una sua opinione o dei dati – immagino non tanti – sul tema dell'arresto in flagranza differito e dell'utilizzo dell'eventuale vigilanza dinamica per le donne vittime di violenza, e se lei ritiene che quello che era uno strumento inizialmente previsto dal testo originario, poi invece rimosso, cioè quello del fermo immediato in caso di gravi situazioni di pericolo della donna, possa essere, a suo vedere, uno strumento utile in questa direzione.
Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola al generale Luzi per la replica.
TEO LUZI, Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri. Penso innanzitutto che l'ammonimento sia un importante istituto soprattutto per la prevenzione di quello di cui tutti quanti noi parliamo, perché l'ammonimento – che non so quanti omicidi ci consente di risparmiare, questo non lo sapremo mai, non lo saprà nessuno – è sicuramente uno strumento in più di prevenzione. Intanto una parte di persone ha la consapevolezza che lo Stato sta loro addosso e non devono sbagliare, altrimenti pagano. Senza l'ammonimento questa percezione potrebbero non averla, per cui in quanto tale è importante.
È chiaro che se l'ammonimento lo associamo ad altre misure di protezione della vittima è ancora più efficace. Io punto molto su questo smartwatch, ci credo moltissimo, perché ho visto che nei 200 casi, nei più o meno 200 telefoni che stiamo usando sta dando ottimi risultati. È una cosa in più che la vittima ha. Basta pigiare il pulsante dell'orologio e parte l'allarme. Va tutto in automatico. Fornisce la posizione e la pattuglia più vicina si presenta. Anche se viene strappato e buttato a terra, il segnale parte lo stesso. Il tasso di errore è praticamente zero.
L'ammonimento, quindi, ben venga, è un grande strumento. Se a questo associamo, in alcuni casi, anche uno strumento di tutela immediata della donna, secondo me, è molto utile. Vi do un'idea del costo. Chiaramente, sui grandi numeri costa di meno. Parliamo di 1.000 euro a persona l'anno. 1.000 euro non è tanto. Alla fine, fatti due conti, si tratta di un milione di euro per 1.000 orologi. Ma 1.000 orologi non li useremo mai. Ho fatto un conto esagerato.
Se potessimo distribuire, a livello di questure o comandi provinciali, un certo Pag. 15numero di orologi, ovviamente in misura maggiore nelle grandi città e in misura minore in altre, sarebbe uno strumento in più a tutela della vittima. Se la vittima è in casa da sola, esce a fare la spesa, è in macchina e ha una percezione, pigia l'orologio, parte l'allarme e la pattuglia più vicina si presenta. È una forma di protezione.
Quindi, per rispondere alla prima domanda, ammonimento sì. I numeri, ovviamente, nessuno li potrà mai avere, perché non si sa quanti gesti inconsulti sono stati prevenuti, ma sono certo che la prevenzione la fa ed è importante, soprattutto se lo abbiniamo a un altro strumento tecnologico per la tutela delle vittime.
Passo alla domanda che ha fatto la senatrice. La prevenzione è tutto. Quando si arriva dopo, possiamo scoprire anche tutta la storia, possiamo scoprire anche la dinamica, possiamo capire che si poteva fare qualcosa, ma se non lo abbiamo fatto, ci si trova con il morto, quindi ci facciamo ben poco. La prevenzione è fondamentale. «Protezione» significa sia cercare di fare qualcosa in quei mediamente due anni o, comunque, dai primi segnali, prima che la cosa trascenda, e, soprattutto dopo, una volta che la vittima si decide a denunciare, un'assistenza continua. L'assistenza c'è, ma secondo me va accentuata. Questa persona abbandona la famiglia, ha problemi economici, il problema dei figli. Non è facile fare una denuncia, sapendo che puoi fare anche un'altra vita se ti ritrovi sola.
Terzo tema: la nostra formazione. È fondamentale anche per noi. Noi siamo operatori di Polizia. Ho detto che è una rivoluzione copernicana perché per noi è un cambio di mentalità. Non lo facciamo con una circolare o con una direttiva. Bisogna convincere il personale, bisogna insistere, bisogna fargli fare delle esperienze. Stiamo percorrendo la strada giusta. Puntiamo – come dicevo – ad avere sempre più operatori qualificati. Non è tanto, poi, l'operatore qualificato, quanto la cultura che si porta in quel reparto quando si interviene e anche quando non si interviene. È una forma di qualificazione delle forze di Polizia, per la quale sono fiducioso.
Negli strumenti digitali io ci credo, soprattutto in quello dello smartwatch.
Alla vigilanza dinamica, personalmente, non credo. «Vigilanza dinamica» significa avere una pattuglia che passa occasionalmente. Dovrebbe passare nel momento in cui arriva il carnefice. È un fatto di circostanze difficili da conciliare. Con un telefonino, invece, si pigia il pulsante e si interviene immediatamente. È molto più semplice, molto più facile.
Fermo immediato. Non voglio passare da repressore. In taluni casi, personalmente, lo vedrei bene, ovviamente a certe condizioni giuridiche. Non può essere un fatto generico e astratto. In taluni casi, forse un fermo immediato sarebbe un segnale molto forte e anche una forma di prevenzione – torniamo sempre lì – per evitare gesti inconsulti successivi.
C'erano altre domande? Mi sembra di no.
PRESIDENTE. Si è collegata l'onorevole Zurzolo. Raccogliamo anche la sua domanda, così abbiamo il quadro completo. Non la sentiamo. Magari raccogliamo la domanda e la facciamo avere al generale.
TEO LUZI, Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri. Certo. Con piacere.
PRESIDENTE. Ringrazio il generale Luzi per l'intervento e la disponibilità.
Naturalmente, questa Commissione rimane a disposizione.
Dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.30.