XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 26 di Martedì 23 gennaio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 

Audizione del Direttore centrale dell'ISTAT per le statistiche demografiche e il censimento della popolazione, Saverio Gazzelloni:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 
Gazzelloni Saverio , Direttore centrale dell'ISTAT per le statistiche demografiche e il censimento della popolazione ... 2 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Leonardi Elena  ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Maiorino Alessandra  ... 12 
Semenzato Martina , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. Ricordo inoltre che i lavori potranno proseguire in forma segreta, sia a richiesta degli auditi che dei colleghi e delle colleghe, sospendendosi in tal caso la partecipazione da remoto e la trasmissione sulla web-tv.

Audizione del Direttore centrale dell'ISTAT per le statistiche demografiche e il censimento della popolazione, Saverio Gazzelloni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione del Direttore centrale dell'ISTAT per le statistiche demografiche e il censimento della popolazione, dottor Saverio Gazzelloni, che ringrazio. A nome di tutti i commissari e le commissarie do il benvenuto al dottor Saverio Gazzelloni, che è accompagnato dalla dottoressa Nicoletta Pannuzi, dirigente del servizio sistema integrato lavoro, istruzione e formazione, e dalla dottoressa Maria Giuseppina Muratore, dirigente di ricerca presso il servizio registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita, alle quali rinnovo il benvenuto.
  Nel ringraziare il dottor Gazzelloni per la disponibilità a intervenire ai nostri lavori, mi preme sottolineare l'importanza dell'audizione odierna, tenuto conto del ruolo centrale che l'ISTAT ha nell'inquadramento del fenomeno. L'ISTAT ha iniziato nel 2019 a stimare il numero dei femminicidi, seguendo gli standard internazionali, ossia analizzando insieme la relazione tra la vittima e l'autore, il movente e l'ambito dell'omicidio, così come rilevati nel database dedicato agli omicidi del Ministero dell'interno. La riflessione sui profili statistici è, d'altra parte, emersa in più occasioni nel corso del nostro lavoro d'inchiesta, da ultimo in occasione dell'audizione del capo della Polizia, il prefetto Pisani, svolta la scorsa settimana. In generale il tema delle statistiche è una delle questioni che più ricorrono nel discorso pubblico in tema di femminicidio e di violenza di genere, anche in chiave di comparazione con i maggiori Paesi europei.
  Do quindi la parola al dottor Gazzelloni, invitandolo a voler fornire alla Commissione ogni elemento utile ad integrazione della sua esposizione. Grazie dottore. Prego.

  SAVERIO GAZZELLONI, Direttore centrale dell'ISTAT per le statistiche demografiche e il censimento della popolazione. Grazie a lei. Buongiorno a tutti. Grazie per l'invito rivolto all'ISTAT per presentare le attività in corso e quelle in progettazione.
  L'ISTAT presta moltissima attenzione al fenomeno della violenza sulle donne. A testimonianza di ciò posso dire che le attività iniziarono nel 1997, con i primi moduli di approfondimento nelle indagini sulla sicurezza dei cittadini, furono introdotte le prime variabili che iniziavano a esplorare il fenomeno, per poi arrivare nel 2006 a fare Pag. 3la prima indagine sulla violenza sulle donne. Di tempo ne è passato tanto e, a partire dal 2017, l'ISTAT ha cominciato a convogliare tutte le informazioni raccolte nell'ambito di un sistema informativo pubblico, a disposizione di tutti i cittadini, policy maker e degli operatori. Il sistema informativo raccoglie la sfida posta anche dalla Convenzione di Istanbul, che sottolinea l'importanza dei dati statistici per tutto ciò che si può fare in termini di prevenzione e protezione contro la violenza di genere.
  Il lavoro è stato molto consolidato soprattutto sulla base dei numerosi accordi con il Dipartimento per le pari opportunità. Il primo accordo fu del 2001, poi seguirono quelli del 2011, del 2016 e del 2017, che è tutt'ora in corso. L'accordo del 2017 fu quello che, in qualche modo, diede la spinta definitiva alla costituzione del sistema informativo.
  Il sistema informativo è organizzato tematicamente intorno alle cosiddette tre P che sono definite nell'ambito della Convenzione di Istanbul, cioè la prevenzione, la protezione e la perseguibilità dei reati. Sono le tre P volte a dare supporto anche alla P delle policies, perché tutto ciò è fatto in funzione di individuare percorsi perseguibili a livello di politica di intervento e di contrasto alla violenza di genere.
  Il sistema raccoglie molte fonti, sia ISTAT che non ISTAT e si basa anche su accordi interistituzionali. Sono stati fatti, per esempio, due accordi con il Ministero della salute nel 2019 e nel 2023 e uno con il Ministero della giustizia nel 2021. In questo ambito la legge n. 53 del 2022 è stata un ulteriore stimolo a rafforzare le attività che vanno in questa direzione perché, come noto, la legge prevede la esecuzione dell'indagine sulla violenza sulle donne ogni tre anni, prevede un'attivazione di tutti i flussi informativi in termini di interoperabilità tra Ministero della giustizia, della salute e dell'interno, e prevede anche le rilevazioni a cadenza annuale che l'ISTAT già effettua da tempo sui centri antiviolenza e sulle case rifugio.
  Ognuno di questi settori si basa su delle fonti particolari. L'aspetto tematico degli stereotipi, per esempio, è affrontato con delle rilevazioni sugli stereotipi di genere, si prende soprattutto l'aspetto della prevenzione, della dimensione culturale, dell'orientamento e degli atteggiamenti che possano supportare o attutire le discriminazioni di genere, per cui le indagini sugli stereotipi fatte sia sugli adulti che sui minori sono particolarmente importanti da questo punto di vista, poi dirò qualcosa su questo. Così come, per esempio, le prime analisi che stiamo facendo su big data per sondare anche il clima che si può raccogliere dai messaggi veicolati dai social. Anche su questo tornerò.
  Ovviamente ci sono dati fondamentali che vengono dal Ministero dell'interno e poi ci sono accordi tra ISTAT, Regioni, CNR e associazione per sviluppare il set informativo che riguarda l'area della protezione, perché l'organizzazione delle rilevazioni sui centri antiviolenza e sulle case rifugio è un'articolazione vasta, un'organizzazione complessa, che richiede la condivisione dei dati e dei metadati che questi soggetti sono in grado di mettere in condivisione. L'ISTAT ha messo a regime un sistema per cui abbiamo quattro rilevazioni: due sulle caratteristiche dei servizi messi a disposizione dai centri e dalle case rifugio e due invece sul carattere dell'utenza. Quelle sui servizi sono partite e sono a regime dal 2018 e dal 2019, rispettivamente per centri antiviolenza e case rifugio, è partita anche quella sull'utenza dei centri antiviolenza ed è in fase finale di progettazione quella sull'utenza delle case rifugio. È un tavolo tecnico importante che permette di condividere le impostazioni, gli approcci, le variabili, i significati e via dicendo.
  Sempre in tema di protezione, il sistema operativo dal 2018, in accordo con il DPO, prevede anche l'elaborazione e la diffusione dei dati elaborabili a partire dal numero 1522, che è stato messo a disposizione dal DPO del 2006, e quindi nel sistema vengono elaborati anche questi dati.
  Per dare un'idea della ricchezza delle fonti, per esempio, sulla base dell'accordo con il Ministero della salute, dal 2017 sono presenti anche i dati che provengono dal pronto soccorso e dalle schede di dimissione ospedaliera, che sono elaborate laddovePag. 4 vengono individuati fenomeni, sia per il pronto soccorso che per i ricoveri, direttamente collegabili a episodi di violenza.
  In ordine al discorso della perseguibilità abbiamo fonti che vengono dal Ministero dell'interno su quelli che vengono chiamati generalmente reati spia, come le violenze sessuali, lo stalking, il maltrattamento in famiglia e altri dati che sono stati introdotti di recente, che danno la dimensione della perseguibilità di questi reati. Sulla perseguibilità poi abbiamo dei problemi che dovrebbero essere risolti, perché il sistema informativo si presenta come un potenziale enorme di dati e informazioni utili alle policies, ma ha ancora alcuni punti da risolvere. In particolare, si sta procedendo adesso con i ministeri all'emanazione dei decreti attuativi previsti dalla legge n. 53, che praticamente ha detto tutto ciò che va fatto e rimandava all'approvazione e all'emanazione di alcuni decreti attuativi per essere direttamente operativa. Da questo punto di vista è stato aperto un tavolo tecnico tra ISTAT, Ministero della giustizia e Ministero dell'interno, tavolo tecnico che è stato utilissimo e a breve dovrebbe portare prima all'emanazione e quindi all'attivazione dei flussi che possono arricchire molto e ulteriormente il sistema informativo.
  Sul versante della perseguibilità, la terza P della Convenzione di Istanbul, ci sono dei problemi specifici che non riguardano né l'attività dell'ISTAT, né degli altri attori che contribuiscono ad arricchire il sistema informativo, ma sono legati al passaggio che ci doveva essere e che attualmente ancora non c'è stato tra l'approvazione del GDPR a livello europeo e l'adeguamento del 196 a livello nazionale, che riportava praticamente le indicazioni sui reati sensibili e giudiziari.
  Con il GDPR si è passati alla definizione dei reati di categorie particolari, che noi chiamiamo gli ex sensibili, e c'è stato un adeguamento normativo, per cui l'ISTAT è titolato a raccogliere i dati ex sensibili, per intenderci. È invece mancato un passaggio normativo di adeguamento sui reati relativi a condanne penali e reati che sono quelli che chiamiamo gli ex giudiziari. Senza questa cornice normativa non c'è una base giuridica per il trattamento dei dati e per trattamento si intende tutto, dalla fase iniziale di raccolta, alla fase di elaborazione, alla fase di diffusione. Quindi siamo in attesa, speriamo in tempi rapidi, dell'emanazione di un decreto del Ministero della giustizia che in qualche modo sani questa situazione, equiparando di nuovo i dati ex giudiziari del 196 nazionale a quelli che sono i reati relativi a condanne penali del GDPR.
  Noi abbiamo due rilevazioni: quella sui delitti denunciati, per i quali l'autorità giudiziaria ha iniziato il procedimento, la cosiddetta ReGe, e la rilevazione sui condannati, che, trattando ambedue dati personali, non possono essere realizzate in mancanza di questo decreto ministeriale.
  Da ultimo, nel 2024 dovrebbe partire la rilevazione sul campo della nuova indagine sulla violenza sulle donne, che è un'indagine finanziata anche dal Dipartimento per le pari opportunità. È un'indagine che avrà un campione di 25 mila donne, dai sedici ai settantacinque anni, italiane e straniere. Le tempistiche sono in via di definizione perché di recente, il 17 gennaio, è arrivato un ricorso pendente su una gara fatta da Consip, per cui dobbiamo aspettare un attimo gli esiti di questa situazione relativa all'iter di aggiudicazione, ma contiamo di andare sul campo al più presto. Queste sono tutte le fonti che costituiscono l'architettura del sistema informativo.
  Questo sistema informativo, al di là di situazioni quali quelle dell'indagine sulla violenza o della progettazione dell'indagine sull'utenza delle case rifugio, è un sistema informativo che procede con dei ritmi di aggiornamento molto buoni, nel senso che continuamente il sistema mette a disposizione nuove informazioni e nuovi prodotti.
  Adesso vi racconterò alcune evidenze che emergono da tutti questi flussi e inizierei soprattutto dai dati sugli omicidi e l'identificazione dei femminicidi. Questo è un flusso che deriva dal Ministero dell'interno. In totale gli omicidi nel 2023 sono stati 330, rispetto ai 322 del 2022. Tra questi 330 omicidi, 126 nel 2022 erano stati di donne e sono diventati 120 nel 2023.Pag. 5
  La prima particolarità di questo flusso è che mette in evidenza che i 120 omicidi effettuati su donne avvengono, nella stragrande maggioranza dei casi, quattro volte su cinque potremmo dire, nell'ambito familiare ristretto o allargato, in quanto sono effettuati per il 50 per cento dei casi da partner o ex partner e per un altro 20 per cento di casi da parenti.
  L'età media delle donne uccise è più alta di quella degli uomini, gli uomini hanno in media quarantacinque anni e le donne cinquantacinque. Le donne straniere uccise sono più giovani. Abbiamo un'esposizione al rischio per i maschi più giovani, mentre sono più le donne adulte come esposizione al rischio.
  Per i casi di omicidio in cui è stato identificato l'autore, perché non sempre viene identificato, possiamo dire che quasi nel 93 per cento dei casi le donne sono state uccise da un uomo. In questo ambito il tentativo di definire un omicidio come femminicidio è un tentativo tanto importante, quanto immediato, quanto anche complesso da un punto di vista concettuale, quindi stiamo cercando di approcciare la cosa iniziando a lavorare su questi termini, perché non esiste una definizione universalmente riconosciuta del femminicidio. A marzo del 2022 l'unità statistica dell'ONU (UNSD) ha definito un framework statistico che, sulla base di numerosissime variabili – per dare un'idea della complessità della cosa, sono ventuno variabili sulle vittime, diciotto variabili sull'autore, nove tipologie di relazione tra vittima e autore e cinque variabili sul modus operandi – e mettendo insieme questo framework di metadati secondo UNSD è possibile definire un omicidio come femminicidio. Ovviamente tutte queste variabili non sono immediatamente disponibili a livello nazionale, ma molte sono già operative e disponibili, e pertanto dal 2020 l'istituto, in accordo con il Ministero dell'interno, ha cominciato a tentare di quantificare questa situazione.
  Per esempio, nel 2022, per darvi alcuni dati, dei 126 omicidi che citavo prima, 106 sono stati individuati come femminicidi, sulla base delle variabili disponibili. Nel 2022 erano 106 su 126, nel 2021 erano 104 su 119, nel 2020 erano 104 su 116. Il primo aspetto drammatico che mettono in evidenza questi dati è che c'è una costanza numerica impressionante, perché in tre anni abbiamo 104, 104 e 106 omicidi che possiamo classificare come femminicidi. Anche in questo caso la dimensione familiare, ristretta o allargata, è determinante, perché i femminicidi effettuati dal partner o dall'ex partner sono 61, gli altri sono stati effettuati, 43 sulla totalità, da altro parente, e quindi ne rimangono solamente 2, che sono stati classificati comunque come femminicidi, da persone esterne alla cerchia familiare.
  L'impegno dell'ISTAT è stabilizzare questo flusso di dati, è arricchirlo con tutte le variabili che possiamo ancora individuare, perché ci rendiamo conto che è uno dei punti centrali del sistema e che quindi va curato particolarmente per l'affidabilità e la tempestività dei dati. Su questo lavoriamo insieme al Ministero dell'interno.
  Sempre con il Ministero dell'interno lavoriamo in ordine a quelli che sono i cosiddetti reati spia e cioè, più nel dettaglio, gli atti persecutori, i maltrattamenti e le violenze sessuali.
  Gli atti persecutori e i maltrattamenti sono concentrati più su donne in fasce centrali di età, tra i trentacinque e i quarantaquattro anni. Nel 2022 ci sono stati 12.500 atti persecutori e circa 16.600 maltrattamenti, laddove invece la componente di violenza sessuale, che riguarda 4.300 casi, si concentra sulle ragazze più giovani, dai quattordici ai diciassette anni. Questi sono gli input che emergono dagli archivi delle forze di Polizia.
  C'è stato un calo tra i primi trimestri del 2023 e i primi trimestri del 2022, che però noi ci spieghiamo in parte per il fatto che nel 2022 c'era stato un andamento significativo, quindi è un andamento abbastanza altalenante, e prima di dire che esiste un calo strutturale ci vogliono più anni, però la dimensione è ancora purtroppo molto importante.
  Le vittime di questi reati spia sono donne nel 74 per cento dei casi che riguardano gli atti persecutori, l'81 per cento che riguardanoPag. 6 i maltrattamenti e il 91 per cento che riguardano le violenze sessuali.
  Sul versante degli accessi al pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri, che è un flusso molto importante che abbiamo attivato grazie alla collaborazione del Ministero della salute, nel 2022 gli accessi delle donne al pronto soccorso con l'indicazione di violenza sono stati quasi 14.500, con un incremento del 13 per cento sull'anno precedente; quindi si sta verificando una crescita di ricorso al pronto soccorso per casi di violenza.
  Se noi rapportiamo il numero delle donne che hanno fatto accesso al pronto soccorso al numero delle persone residenti con le stesse caratteristiche, abbiamo dei tassi di prevalenza molto più alti per le donne straniere, che oscillano, a seconda dell'area di provenienza, tra 21 casi ogni diecimila residenti e 16 casi ogni diecimila residenti, laddove per le donne italiane il quoziente è pari a 4 ogni diecimila residenti; a parità di situazione, è un tasso calcolato sulla popolazione residente che vede molto penalizzate le donne straniere.
  Un aspetto interessante sui dati in ordine agli accessi ai pronto soccorso riguarda l'identificazione del codice in fase di accesso. Come tutti sappiamo, il codice verde sono i casi più semplici e poi, salendo i codici, si mettono in evidenza situazioni più critiche. C'è stata una crescita importante del codice giallo. Il codice giallo noi lo stiamo seguendo perché la crescita del codice giallo può contenere al suo interno due componenti: una – speriamo minoritaria, però ancora dobbiamo studiarla bene – che potrebbe far riferimento alla crescita di episodi più violenti; l'altra invece fa riferimento al fatto che ci sono state delle linee guida nazionali per le aziende sanitarie ospedaliere, in termini di soccorso e assistenza alle donne che subiscono violenza, che hanno spinto molto nella direzione di riconoscere il codice giallo come primo codice di accesso, perché il codice giallo prescrive una visita medica tempestiva, quindi in tempi più brevi, che dovrebbe dare risalto sia al fatto che esiste questo fenomeno riconoscendolo come tale, sia tamponare i ripensamenti o gli allontanamenti volontari. Se una donna sta in codice bianco e sta sei ore in pronto soccorso, magari alla quarta ora o alla quinta ora si alza e se ne va, il codice giallo in qualche modo dovrebbe diminuire questo aspetto. Siamo ancora in fase iniziale, stiamo studiando con il Ministero della salute come identificare queste due componenti, quindi se essere, tra virgolette, soddisfatti del fatto che l'identificazione del codice giallo permette una gestione migliore e dà il giusto risalto a episodi connessi a violenza su donne, o se invece c'è stata effettivamente una quota di peggioramento delle violenze commesse sulle donne.
  Per quanto riguarda le schede di dimissioni ospedaliere, nel 2022 ci sono stati 1.196 ricoveri ordinari di donne con l'indicazione di violenza, il 19 per cento in meno rispetto al 2019, che erano riferiti a 1.093 donne.
  L'ospedalizzazione femminile è spesso riconducibile alle minorenni e alle giovani tra i diciotto e i trentaquattro anni, quindi abbiamo un tasso più alto. Anche in questo caso le italiane hanno un tasso del 3,3 su diecimila abitanti, mentre le straniere hanno un tasso pari a 20,5 su diecimila abitanti.
  Rispetto alle tipologie di diagnosi, tra le minorenni emergono con più forza le diagnosi che corrispondono ai maltrattamenti, quella che viene chiamata la sindrome del bambino maltrattato, le lesioni inflitte da altre persone e i problemi genitori/figli, laddove tra le adulte, al contrario, emergono le lesioni inflitte da altre persone, i maltrattamenti che fanno riferimento agli abusi fisici, psichici e sessuali e ad atteggiamenti di trascuratezza.
  Altro blocco importante del sistema informativo è rappresentato dall'analisi dei dati che provengono dal numero di pubblica utilità 1522. Le principali evidenze – nel testo avete molti più dati e avete anche l'allegato statistico, io sto cercando di sintetizzare – relative al 1522 sono le seguenti: nel 2023 abbiamo avuto 51.700 chiamate, che rappresentano un significativo aumento rispetto agli anni precedenti, c'è stata una variazione del +59 per cento rispetto al 2022 e +143 per cento, quindi più che raddoppiate, rispetto al 2019. Il Pag. 72020 è stato un anno particolare per cui non fa serie storica in un senso consolidato. L'aumento del ricorso al 1522 è stato molto importante nel 2023. Le chiamanti nell'80 per cento dei casi sono donne e chiamano soprattutto, nel 31 per cento dei casi, per episodi di stalking, nel 34 per cento dei casi per avere informazioni e nel 12 per cento dei casi per avere indicazioni e informazioni sui centri antiviolenza.
  Nel 2023 le donne chiamanti – noi abbiamo dato il numero delle chiamate, che è diverso dal numero delle donne, perché una donna può chiamare più volte – che sono state identificate come vittime di violenza sono state 16.283. Anche questo è un dato particolarmente grave perché certifica un aumento rispetto all'anno precedente del 37 per cento. Tra ricoveri ospedalieri e chiamate al 1522 la situazione non sembra affatto tranquilla, sembra orientata a un aumento di questi episodi di violenza.
  Con particolare riferimento a un interesse mostrato nell'ambito della richiesta di audizione, possiamo dire che tra queste persone che chiamano il 1522 molto spesso emerge un fenomeno di instabilità economica. Delle donne tra i venticinque e i cinquantaquattro anni il 28 per cento non ha un'occupazione, quindi è disoccupata o è in cerca di occupazione, o è lavoratrice in nero, quindi sono donne che presentano punti di partenza di autonomia e stabilità economica piuttosto bassi.
  Sulla violenza subita, come immaginate, le donne che chiamano mettono in risalto una composizione vasta di tipi di violenza, non subiscono un solo tipo di violenza, ma subiscono più tipi di violenza. In 12.000 casi, nell'84 per cento dei casi, la donna che ha chiamato ha subìto violenza psicologica, nel 58 per cento dei casi ha subìto anche violenza fisica e nel 44 per cento dei casi ha avuto delle minacce. Situazioni in cui l'episodio è unico e isolato sono molto residue, sono donne che chiamano in presenza di episodi ripetuti.
  Anche in questo caso purtroppo, qualunque aspetto noi andiamo a indagare, emerge di nuovo la componente familiare. Il 54 per cento chiama per violenza subita dal partner, il 22 per cento dall'ex partner e il 14 per cento da familiari, quindi il 90 per cento di questo fenomeno si verifica nella cerchia familiare.
  È molto importante, questo è un aspetto decisivo del servizio, l'indirizzamento verso i centri antiviolenza: tre quarti delle vittime sono state indirizzate ai centri antiviolenza. Se a livello informativo era una quota ridotta che chiedeva informazioni, quando facciamo il passaggio dalle chiamate alle vittime, cioè persone che hanno subìto effettivamente un episodio di violenza, possiamo dire che circa il 75 per cento, tre quarti delle vittime, vengono indirizzate ai CAV, ai centri antiviolenza.
  Come vi avevo anticipato, proprio su questi centri antiviolenza ci sono dati importanti che emergono dalle rilevazioni che l'ISTAT fa sull'utenza e sui servizi. Vi parlo prima dell'utenza e poi, quando arriveremo alle caratteristiche dei servizi, vi darò delle informazioni anche su quelli.
  Nei centri dobbiamo immaginare una situazione fluida, in cui noi possiamo fotografare l'ammontare di donne che contattano un centro nell'arco di un anno, ma dobbiamo anche riuscire a rendere conto di esperienze di relazione con il centro che vanno avanti da più anni. Quindi io posso dare la fotografia di un anno, ma posso ricostruire anche la storia di donne che frequentano il centro antiviolenza da più tempo. Concentrandosi sull'utenza e nello specifico sulle donne che hanno iniziato, supportate dal centro, un percorso di uscita dalla dimensione della violenza, possiamo dire che nel 2022 abbiamo contato 26.000 donne che stanno facendo questo percorso di uscita dalla violenza con l'aiuto dei centri. Proprio questa differenza che ho fatto tra la fotografia annuale e la fotografia di più anni mette in evidenza, per esempio, che la decisione di intraprendere un percorso per uscire dalla violenza è stata presa nel 41 per cento dei casi da donne che erano in contatto con il centro e subivano violenza da più di cinque anni. Quindi sono esperienze che si storicizzano e sono relazioni che si consolidano nel tempo. Mentre il 34 per cento di queste donne ha preso la decisione in un intervallo che va da uno a cinque anni, il 14 per cento da un anno a Pag. 8sei mesi e solamente il 7 per cento ha deciso di intraprendere un percorso di uscita dalla violenza dopo sei mesi che era in contatto con il centro. Anche in questo caso abbiamo una prevalenza di donne italiane, circa il 65 per cento, a fronte di un 31 per cento di donne straniere.
  Tra le donne che affrontano il percorso di uscita dalla violenza, in una situazione in cui gli episodi si possono sommare sul singolo caso, il 67 per cento di queste donne ha subìto violenza fisica, il 51 per cento ha avuto delle minacce, il 12 per cento è stata stuprata e la violenza psicologica è stata certificata nel 90 per cento dei casi. Di nuovo a conferma della dimensione familiare, abbiamo grosso modo anche qui le stesse percentuali, sono percentuali che ormai sappiamo quasi a memoria e che comunque illustrano questa dimensione familiare: 53 per cento il partner, 25 per cento l'ex partner e 11 per cento i familiari. Sono numeri che ritroviamo su tutti i fenomeni che andiamo ad analizzare, da qualunque punto di vista li osserviamo, da qualunque fonte analizziamo.
  Questa rilevazione sui centri antiviolenza ci ha permesso anche di fare un piccolo focus sulla situazione economica delle donne che stanno seguendo questo percorso di uscita. Nel 60 per cento dei casi nel 2022 le donne che hanno iniziato un percorso di uscita non hanno autonomia dal punto di vista economico; è un valore che corrisponde a più del 90 per cento di quelle che sono in cerca di prima occupazione, a più dell'80 per cento delle disoccupate, studentesse e casalinghe, al 45 per cento che hanno un lavoro precario. Quindi c'è una base strutturale che riguarda il rapporto delle donne con il mercato del lavoro, che determina situazioni particolarmente critiche anche nell'ambito del percorso di uscita.
  Sulla fine del testo che vi lasceremo abbiamo inserito un focus di approfondimento sulla situazione strutturale delle donne per quello che riguarda il rapporto con il mercato del lavoro e con il sistema di istruzione. Vi dico molto velocemente – così poi torno sui dati relativi alla violenza – che la situazione in Italia è particolarmente critica per occupazione, istruzione e tutto ciò che ne consegue rispetto all'inserimento delle donne. Stavamo parlando di violenza economica, che poi ha delle tipologie di espressione, che si innesta su una situazione di vulnerabilità economica. Il tasso di occupazione delle donne nel 2023 è il 52,2 per cento, che è il tasso di occupazione più basso di tutti i Paesi Ue, ha 13,7 punti in meno rispetto al tasso di occupazione medio europeo e ha un differenziale di 18,6 punti su quello che è il tasso di occupazione degli uomini. Partiamo da una situazione generale e generica, non analizzata nelle singole componenti, giù particolarmente grave.
  Un elemento fondamentale che aiuta moltissimo, ma che non risolve le problematiche, è il titolo di studio. Le laureate hanno un tasso di occupazione che è circa due volte e mezzo superiore a quelle che hanno un basso titolo di studio e questo ruolo del livello di istruzione è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove, per esempio, abbiamo un tasso di occupazione delle laureate che sta al 65 per cento, laddove la media generale del Mezzogiorno si attesta a valori bassissimi, cioè al 35,7 per cento di tasso di occupazione. Se poi andiamo a vedere questo tasso di occupazione nelle classi più giovanili, abbiamo la combinazione delle variabili più critiche che ci possiamo immaginare, cioè avere un basso titolo di studio, risiedere al sud e avere un'età giovane; questo è il massimo della combinazione che abbassa ai livelli assoluti il tasso di occupazione.
  Il tasso di occupazione è molto vincolato ai legami familiari. Per farvi un veloce flash, il tasso di occupazione nel terzo trimestre del 2023 per le donne arriva all'80 per cento per le single, scende al 75,5 per cento per le coppie senza figli, crolla al 59 per cento per le coppie con figli e scende al 54 per cento se questi figli hanno meno di cinque anni. C'è proprio una linea retta, che va dalla situazione più isolata di una single laureata a quella di una madre con basso titolo di studio e soprattutto figli piccoli. Questo è ancora più evidente nel Mezzogiorno, più combiniamo queste variabili e più emergono le situazioni più Pag. 9differenziate. Come estremi abbiamo un tasso di occupazione pari al 90 per cento tra donne laureate che vivono al centro e sono single, mentre tra le madri con figli, con basso titolo di studio e che lavorano nel Mezzogiorno abbiamo il 22 per cento; quindi abbiamo una variabilità che va dal 90 per cento al 22 per cento tra le donne. Questo è ovvio che contribuisce a determinare situazioni particolarmente vulnerabili, su cui poi si innesta un tipo di violenza economica, di cui poi vi darò alcuni dati. Hanno molti dati di vulnerabilità perché spesso sono dipendenti a tempo determinato o collaboratrici e hanno difficoltà a trovare un lavoro a tempo pieno quando scatta il meccanismo del part-time involontario.
  Sebbene le donne abbiano livelli di istruzione più alti degli uomini in Italia, questo fatto riesce ad attutire poco il differenziale nei tassi di occupazione. Abbiamo anche una presenza femminile decisamente più contenuta nell'area degli studi scientifici, con il 20 per cento delle immatricolate contro il 40 per cento degli uomini, anche se è un dato in leggera diminuzione. Quindi il fatto di avere più istruzione non si traduce immediatamente in un meccanismo che porta a livelli di tassi di occupazione analoghi a quelli maschili, ovviamente l'attutisce, ma al contrario, laddove il livello di istruzione risulta anche basso, amplifica e si crea un effetto combinato.
  Da ultimo, c'è anche un differenziale retributivo che penalizza le donne, il cosiddetto gender pay gap, che è calcolato come la differenza percentuale tra la retribuzione oraria di uomini e donne. In Italia questo valore indica che le donne vengono mediamente retribuite il 6,1 per cento meno degli uomini. Ciò ha in parte delle spiegazioni, ma ci sono anche delle cose che invece ancora non trovano risposta. Per esempio, in Italia abbiamo una presenza importante di donne nel comparto pubblico, che ha differenze contributive più basse; questo in parte spiega il fatto che il gender pay gap italiano non è drammatico rispetto a quello degli altri Paesi, in molti casi è anche inferiore. Per esempio, se noi dovessimo però concentrare l'attenzione nel comparto privato, questo indicatore, che è molto studiato a livello internazionale, dal 6 per cento sale al 15,5 per cento, che è un livello più alto di quello rilevato in molti Paesi europei, tra cui Spagna e Portogallo. Il divario retributivo diventa molto significativo, soprattutto con la crescita dell'età, si va dal 3 per cento dei giovani, al 9 per cento per chi ha tra cinquantacinque e sessantaquattro anni, e quasi al 16 per cento per chi ha almeno sessantacinque anni di età. Questa misura è molto studiata perché ha delle componenti in qualche modo spiegate, come diciamo noi statistici. Se guardo il dato complessivo, devo fare questi confronti a parità di età, a parità di istruzione, a parità di anzianità lavorativa, di contratti, di orario effettivamente svolto, di dove sta l'impresa, di quale ramo di attività economica stiamo parlando e anche della dimensione stessa dell'impresa; questi sono i fattori che spiegano una componente del gender pay gap, che vanno tenuti sotto controllo. Tenuti sotto controllo tutti questi effetti, rimane però un differenziale che noi chiamiamo 'non spiegato' e su questo differenziale è opportuno concentrare l'attenzione, perché bisognerebbe avere ulteriori elementi per scendere a livello delle mansioni e delle attività svolte per capire se effettivamente alla fine di tutti questi confronti rimane un'area non spiegata, che può far direttamente riferimento a fenomeni di discriminazione. Il gender pay gap quindi non può essere preso nella sua interezza come una misura immediata della discriminazione, ma al suo interno si possono fare sicuramente tutte le analisi possibili che ci consentano di identificare.
  La debolezza occupazionale e retributiva consente che la violenza di tipo economico si innesti più facilmente in tali situazioni, per cui abbiamo che nel 40 per cento dei casi l'utenza dei CAV ha indicato di aver subìto tra le violenze situazioni tipo impossibilità di usare il proprio reddito o non conoscere l'ammontare del denaro disponibile in famiglia oppure essere escluse dalle decisioni su come gestire il denaro familiare, cosa che emerge anche dai dati che raccogliamo dal 1522.Pag. 10
  Con riguardo alla prevenzione, si lavora soprattutto su una dimensione sociale e culturale. L'ISTAT ha effettuato delle indagini, sia su adulti, sia su giovani, sugli stereotipi di genere, una nel 2018 e una nel 2023. Tra il 2018 e il 2023, soprattutto tra i più giovani e soprattutto tra le donne, sembrano calare questi stereotipi di genere, quindi è un segnale positivo perché sembra che emerga un maggior livello di consapevolezza, meno tolleranza verso alcuni atteggiamenti che erano stati considerati invece più normali in passato. Però, a fronte di questi indicatori positivi, che mettono in evidenza un calo di questi atteggiamenti, abbiamo comunque un 54 per cento di popolazione tra i diciotto e i settantaquattro anni che presenta almeno uno stereotipo sui ruoli di genere e ne abbiamo alcuni importanti. Abbiamo il 39 per cento di uomini che si dichiarano molto/abbastanza d'accordo sul fatto che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole; questo era uno degli item che noi teniamo sotto osservazione. Il 39 per cento ci sembra un valore ancora estremamente alto. Il 20 per cento degli uomini pensa che la violenza sia provocata dal modo di vestire delle donne, l'11 per cento tra donne e uomini ritiene che una donna vittima di violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l'effetto di droghe ne sia in parte responsabile e un 10 per cento ritiene che se una donna dopo una festa accetta un invito da un uomo e viene stuprata è anche colpa sua. Ci rendiamo conto che, anche se raccogliamo qualche segnale positivo, il lavoro da fare è ancora tanto, perché sono stereotipi molto indicativi di un certo tipo di atteggiamento.
  Per questo motivo l'ISTAT ha iniziato a investire, sempre in accordo con il DPO, anche sull'analisi della dimensione di questa violenza nello spazio virtuale. Abbiamo iniziato a studiare tutta una serie di post, dapprima concentrando l'attenzione su Twitter, quello che oggi si chiama X, per analizzare l'andamento nel corso del tempo di come viene trattato in questi ambienti social il tema della violenza di genere. È estremamente interessante, è un tipo di analisi innovativo che sta mettendo in luce progressivamente le sue potenzialità. Non è di immediata diffusione e comprensibilità come può essere una tabella statistica normale, ma prevede ulteriori approfondimenti. È stato molto interessante riuscire a scandagliare a fondo questi messaggi, immaginate che ci vogliono tecniche di analisi testuale, vanno istruite le macchine per capire come certe frasi possono essere classificate in un modo, piuttosto che in un altro. Abbiamo cominciato a distinguere le due grandi famiglie di messaggi che sui social possono essere intesi come un rafforzamento, un'incitazione al linguaggio violento, quindi quanto di più negativo ci possiamo immaginare, da quella che è invece l'area descritta come atteggiamento di indignazione e quindi di contrasto. Il social è veramente un buco nero dove c'è di tutto e dobbiamo cominciare a scavare. Ci siamo riusciti e abbiamo visto che i post di indignazione sono sempre in numero leggermente superiore rispetto a quelli di incitamento, a quelli volgari o a quelli che propagano messaggi di violenza. Il divario aumenta nei punti di picco maggiore, nel senso che quando accade qualche cosa che richiama molto l'attenzione, la distanza tra indignazione e linguaggio violento aumenta, sempre a favore dell'indignazione. Quindi abbiamo pensato fosse importante studiare che cosa ci fosse dietro questa indignazione. Tenete conto che capire queste cose, secondo noi, è molto importante anche per capire come veicolare messaggi nell'ambito di comunicazione di massa, di campagne di promozione, eccetera. Abbiamo visto che dentro l'indignazione avevamo un 58 per cento di messaggi che esprimevano soprattutto rabbia, un 21 per cento che esprimevano tristezza, un 3 per cento che esprimevano sorpresa e soltanto un 1,5 per cento che esprimevano paura. Sappiamo che se dobbiamo parlare a persone che usano i social anche per contrastare gli episodi di violenza, ci stiamo rivolgendo a persone che sono soprattutto arrabbiate rispetto a quello che succede e poco impaurite, quindi questo può essere già uno stimolo e un punto di partenza per ragionare. Su questo ovviamente dobbiamo andare avanti e l'analisi non è semplice, è Pag. 11particolarmente complessa. Per esempio, vorremmo capire come si articolano queste emozioni anche nel campo dei messaggi violenti, però lì il discorso cambia e dobbiamo pensare a nuove classificazioni, che non sono queste immediate e semplici dell'indignazione, rabbia, paura e tristezza, ma dobbiamo studiare altre cose.

  PRESIDENTE. Dottore, io la ringrazio. Do delle indicazioni sui lavori, perché al momento mi risulta che alle ore 14 ci sia rientro in Aula con votazioni e la Commissione non può sovrapporsi.
  Se i colleghi e le colleghe sono d'accordo, raccoglierei velocemente le domande, che eventualmente le faremo avere, perché alle 14 noi dobbiamo sospendere la seduta.
  Vice presidente Leonardi, poi l'onorevole Ferrari, infine la senatrice Maiorino. Prego.

  ELENA LEONARDI. Grazie. Velocemente, vorrei focalizzarmi sulla parte del lavoro e quindi sulle differenze salariali. Vorrei capire meglio le motivazioni di questa differenza fra uomo e donna. Sono legate a contratti che prevedono differenti tipologie di remunerazione? Come è possibile che fino a oggi non si sia intervenuti in nessun modo, anche nel pubblico? Chi li ha avallati questi contratti? Oppure ci sono altre cause, come, ad esempio, le assenze legate alla maternità e quindi, tirando le somme, è ovvio che quello poi porta a una diminutio rispetto al complessivo monte ore? Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Ferrari.

  SARA FERRARI. Sì. Grazie presidente. Io auspico che potremo avere questa ricalendarizzazione perché io credo che non solo la vostra raccolta, ma la vostra analisi dei dati sia per noi fondamentale, perché le politiche pubbliche, come diceva lei in apertura, si fanno a partire da dati di realtà, e quindi noi dobbiamo sapere dove possiamo ancora intervenire per contrastare e ci dobbiamo basare su dati di realtà.
  Io le metto lì alcune domande che mi sono sorte, ma sarebbero molte di più.

  PRESIDENTE. Onorevole Ferrari, semmai le raccogliamo e poi quelle in più le facciamo avere.

  SARA FERRARI. Sì, grazie. Avete dati di quante di queste donne che frequentano i centri antiviolenza poi tornano a casa? Quanti di questi CAV hanno un sostegno pubblico o si basano sul volontariato?
  Sono molto contenta che oggi dalla sua panoramica sia emerso il legame tra la condizione femminile, la discriminazione di genere e la violenza, perché c'è ancora chi nega che questi due elementi siano così strettamente correlati.
  Il gender pay gap nel differenziale non spiegato potrebbe essere legato ad assenze per malattia, che sono tipiche delle mamme e non dei papà, così come i premi produttività, che spesso sono esclusivamente maschili perché correlati al numero di ore che stanno sui posti di lavoro, straordinari, eccetera?
  Lei ha detto che sugli stereotipi culturali c'è ancora da investire, mi è piaciuta questa parola investire; vorrei esplorare la prossima volta la vostra capacità di indagare la platea virtuale e soprattutto questa interpretazione delle emozioni, perché in quell'ambito, quello virtuale, ci sono molti meno freni inibitori e quindi noi possiamo davvero oggi, con le attuali capacità, analizzare i big data, capire come analizzare la società e quindi come poi adeguare le nostre politiche di contrasto, esattamente lì dove di solito questa cosa non emerge.
  Un'ultimissima cosa. I dati, per certi versi preoccupanti, che lei ci ha dato dell'aumento degli accessi al pronto soccorso, che possono essere letti come preoccupanti nel loro aumento, in realtà spesso sono segnali positivi dell'emersione di un problema, quindi vorrei capire se anche in questo caso voi riuscite a indagare in quale maniera vanno letti, sempre dove è possibile. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Ferrari. Vediamo se la senatrice Maiorino vuole formulare questa domanda e poi chiudiamo il collegamento perché alle 2 iniziano i lavori.

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  ALESSANDRA MAIORINO. Sì, grazie. Vorrei fare un appello alla Commissione in relazione alle parole del sindaco di Terni, Bandecchi, che penso abbiamo trovato tutte sconcertanti, quindi eventualmente una nota, un qualcosa che riesca a stigmatizzare un simile linguaggio davvero inconcepibile, perché rappresenta le istituzioni.
  La domanda al dottor Gazzelloni è la seguente. I dati che lei ci ha presentato sono quelli che vengono dai CAV e dal 1522. Io chiedo se l'ISTAT ha avuto difficoltà in questi ultimi anni a fare ricerche, così come faceva dieci anni fa.
  Chiedo anche – qui mi rendo conto che entro in questioni più sensibili – se l'attuale vacanza del presidente renda comunque il lavoro dell'ISTAT più complicato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Maiorino. Questa Commissione, fatta da commissari e commissarie, condanna qualsiasi tipo di violenza verbale. Io avevo già fatto peraltro un intervento in tal senso in Aula, a sostegno proprio della sua collega. Grazie.
  Se siamo d'accordo, raccoglierei le risposte, che facciamo avere, e prendo l'impegno direttamente con il dottore di risentirci, anche in tempi brevi. Come dico sempre in tutte le nostre audizioni, per noi è l'inizio di un percorso, ancor più ovviamente con l'ISTAT, che sarà attore e protagonista dei tredici punti di lavoro che riguarderanno questa Commissione.
  Io la ringrazio e ci aggiorniamo perché stanno iniziando i lavori alla Camera.

  La seduta termina alle 14.