XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 27 settembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 

Comunicazioni del Presidente:
Semenzato Martina , Presidente ... 2 
Valente Valeria  ... 2 
Semenzato Martina , Presidente ... 12 
Campione Susanna Donatella  ... 12 
Valente Valeria  ... 12 
Campione Susanna Donatella  ... 13 
Semenzato Martina , Presidente ... 13 
Ravetto Laura (LEGA)  ... 13 
Semenzato Martina , Presidente ... 13 
Zanella Luana (AVS)  ... 13 
Valente Valeria  ... 13 
Zanella Luana (AVS)  ... 13 
Valente Valeria  ... 13 
Zanella Luana (AVS)  ... 14 
Semenzato Martina , Presidente ... 14 
Cosenza Giulia  ... 14 
Valente Valeria  ... 14 
Cosenza Giulia  ... 14 
Semenzato Martina , Presidente ... 14 
Maiorino Alessandra  ... 14 
Semenzato Martina , Presidente ... 14 
D'Elia Cecilia  ... 14 
Valente Valeria  ... 15 
Semenzato Martina , Presidente ... 15 
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI)  ... 15 
Valente Valeria  ... 16 
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI)  ... 16 
Valente Valeria  ... 16 
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI)  ... 16 
Semenzato Martina , Presidente ... 16 
Ascari Stefania (M5S)  ... 16 
Semenzato Martina , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 18.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispongo l'attivazione.

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di Comunicazioni del Presidente.
  Come convenuto in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, la seduta odierna è in particolare finalizzata a un dibattito ricognitivo, interno alla Commissione, a partire da un intervento della Senatrice Valente, che ha dato la propria disponibilità ad esporre le risultanze del lavoro svolto dalla omologa Commissione monocamerale da lei presieduta presso il Senato nel corso della XVIII legislatura.
  Do quindi la parola alla Collega Valente, avvertendo che nel corso del suo intervento è prevista anche una presentazione power point, che è in distribuzione in cartaceo e che sarà allegata al resoconto odierno. Prego, Senatrice Valente.

  VALERIA VALENTE. Grazie, Presidente. Vorrei iniziare, prima di parlare del lavoro della Commissione, con un ringraziamento a tutte le componenti della vecchia Commissione, che hanno preso parte a lavori abbastanza lunghi e impegnativi. In modo particolare, ringrazio Alessandra Maiorino che fa parte anche di questa Commissione e poi tante altre che oggi non ci sono ma che continuano a lavorare e a seguire: credo sia doveroso da parte mia ringraziarle tutte. Abbiamo fatto un lavoro di squadra e la premessa è che tutte le relazioni che vi presenterò oggi sono state approvate all'unanimità, quindi è stato un lavoro davvero corale e condiviso. Io credo che questo sia un punto qualificante per il lavoro di una Commissione parlamentare d'inchiesta, in modo particolare su questi temi.
  L'altra premessa è che noi abbiamo provato a mantenere fede e a interpretare la legge istitutiva di quella Commissione, che prevedeva compiti definiti d'indagine e di inchiesta e dava a quella Commissione degli strumenti operativi particolari. I poteri dell'autorità giudiziaria sono quelli forse più noti, ma anche quelli da noi, dobbiamo riconoscerlo, meno utilizzati. Non abbiamo mai convocato con la forza nessuno a venire per darci conto. È possibile addirittura chiedere l'audizione di soggetti durante il corso di un processo, piuttosto che l'acquisizione di atti durante il corso di un processo, è possibile chiederlo ed è possibile, da parte delle procure e dei tribunali, non dare questi atti, ed è possibile chiedere l'audizione coatta di qualcuno che si rifiuti. Non siamo mai arrivati a tanto. E non credo che questi siano i poteri particolari.
  Voglio dire che tutto l'apparato della Commissione si è avvalso, sin dal primo momento, di figure professionali selezionate in base alle indagini che abbiamo scelto di fare. Lo abbiamo fatto scegliendo consulenti, tanti, che nel corso dei cinque anni sono cambiati, in relazione agli obiettivi che ci siamo dati.Pag. 3
  Per prima cosa, noi abbiamo discusso insieme, forse anche per qualche mese, su quelle che erano le indagini principali che volevamo fare, interpretando il nostro faro, che era la Convenzione di Istanbul. Quindi ci siamo mosse nelle famose 4 P e abbiamo provato a capire con gli operatori, in modo particolare con le operatrici dei centri antiviolenza e della rete antiviolenza, quali erano le criticità del sistema che andavano indagate. Così abbiamo definito le richieste priorità. Una volta definite le priorità delle diverse indagini da mettere in campo, abbiamo poi provato a definire oggetti e profili di consulenti, quindi di esperti in materia, a supporto delle singole indagini. Questo è stato il metodo di lavoro. I nomi non me li ricorderei tutti e faccio sicuramente qualche errore nel citarne solo alcuni, però io personalmente – ma anche questo è stato un lavoro corale – ho condiviso dei nomi. Faccio degli esempi: Paola De Nicola, piuttosto che Maria Monteleone, piuttosto che Fabio Roia, sono stati nomi condivisi da tutti, non sono stati nomi fatti in base all'appartenenza a singole forze politiche. Così come i principali centri antiviolenza, abbiamo chiesto alle reti, alla rete D.i.Re, piuttosto che a Differenza Donna, e di indicarci i nomi di avvocati che ci supportassero. Quando si trattava di fare un'indagine sull'aspetto civilistico dei processi per violenza chiedevamo delle avvocate civiliste, così come, se invece era un'indagine di carattere penale, per esempio l'indagine su come risponde il sistema sanitario, abbiamo preso Vittoria Doretti, piuttosto che Alessandra Kustermann di Milano. Molti di questi – parlo per me, ma credo di poter parlare a nome di quasi tutte le Commissarie – non li conoscevo, li abbiamo conosciuti in corso d'opera. Alcuni avevano relazioni per impegni pregressi, ma non siamo andati a pescare nella rete politica, abbiamo veramente provato a scegliere sempre le migliori professionalità e qualità, e credo che questo ci abbia favorito.
  Vedo qui alcuni dei nostri operatori «vessati», cioè la Guardia di finanza, che ci ha supportato in tutto e per tutto nel corso del lavoro che poi proverò a raccontarvi. Noi abbiamo assunto centinaia, forse migliaia di fascicoli e questi fascicoli, per essere visionati ai sensi dei regolamenti da noi approvati, quindi in regime di segretezza, dovevano essere segretati in un modo particolare e quindi gestiti con modalità particolari: la Guardia di finanza ci ha supportato in questo, abbiamo dovuto costruire anche un ufficio di supporto.
  Queste sono le slide che provo adesso ad illustrare ma veramente brevemente, altrimenti la farei troppo lunga, anche perché le relazioni sono agli atti, quindi le singole relazioni possono essere tranquillamente lette. Provo a dare il senso delle dodici relazioni, dei dodici documenti approvati e di una relazione finale, che è la tredicesima.
  La prima slide. Questi sono i numeri del lavoro che abbiamo fatto, numeri che provano a raccontare quante sedute abbiamo fatto. Sono stati auditi oltre 200 soggetti, 117 sedute plenarie, 58 riunioni dell'Ufficio di presidenza e tanti sopralluoghi nei territori, i principali ve li ho citati prima, li abbiamo fatti proprio nei centri antiviolenza e nelle università: poi realtà territoriali, abbiamo visitato tribunali, procure, reti antiviolenza, sedute in tante prefetture. Siamo arrivati così a queste dodici relazioni tematiche rispetto a grandi questioni, i cui titoli sono esplicativi di quello che abbiamo indagato. Infine, una relazione finale, che sostanzialmente fa da riepilogo. Anche questa, lo dico per illustrare il nostro lavoro, è stata una scelta. In questo caso mi ricordo che, a suo tempo, furono le allora forze di opposizione ad indicarci una strada, che io accolsi e l'Ufficio di presidenza accolse con serenità, quella di fare più indagini e non un'unica indagine, un'unica relazione finale. Questa è una scelta, è un'opzione che spetta alla Commissione, se fare un'unica relazione finale di tutto il lavoro fatto o fare diverse relazioni, e noi scegliemmo la strada di fare diverse relazioni. Per regolamento siamo tenuti comunque a fare una relazione finale, che abbiamo fatto, che riassume il lavoro fatto nelle precedenti relazioni.
  Questi sono i titoli delle relazioni e raccontano tanto di quello che era. La Pag. 4prima relazione è stata quella sulla vita delle reti antiviolenza, in modo particolare con un focus sui centri antiviolenza e le case rifugio, cioè quanta difficoltà vivono, ovviamente questo alla luce del piano antiviolenza approvato con l'allora legge n. 119 del 2013, e da lì le modalità di finanziamento.
  Un'altra questione di metodo. In tutte le indagini siamo stati supportati da Linda Laura Sabbadini, che era allora direttrice dell'ISTAT e svolgeva il supporto come consulente, perché avevamo bisogno di una statistica, lei lo faceva con l'autorizzazione dell'ISTAT, ma in quanto professionista. Ha supportato le nostre indagini, sempre con metodi quantitativi, cioè i numeri che aiutavano la nostra elaborazione, che erano la base di partenza, ma poi non esaurivano l'analisi delle criticità. Era comunque un valido e importante – per noi soprattutto, come lei ha sempre tenuto a sottolineare – metodo scientifico per l'analisi di questi numeri.
  In questo caso, però, l'indagine era del CNR che ci aveva supportato in una precedente indagine e ci ha messo a disposizione i dati. Questi sono i numeri, i numeri che danno sostanzialmente la dislocazione dei centri antiviolenza sul territorio. Vi posso semplicemente dire che il dato più importante è che di numeri ce n'erano di più nel Mezzogiorno, ma erano centri antiviolenza che nascevano sulla spinta di una legge, che poi è stata modificata nel piano, secondo la quale venivano premiati i centri di nuova istituzione: questa è una delle criticità emerse nelle indagini, tant'è che poi quella norma fu modificata. Comunque i centri erano più nel Mezzogiorno che nel Nord d'Italia, ma quelli nel Sud erano quasi tutti di nuova istituzione.
  In ogni relazione abbiamo sempre fatto prima un quadro, poi le criticità, e alla fine in tutte le relazioni abbiamo dato dei suggerimenti.
  Nel caso della relazione sui centri antiviolenza, i nostri suggerimenti erano fondamentalmente quelli di rivedere quella legge, soprattutto nella parte delle procedure per finanziare e sostenere questi centri. Le procedure, secondo noi, erano troppo lunghe, prendevamo atto che i soldi dei centri antiviolenza arrivavano dopo, in media, tre anni dallo stanziamento nella legge di bilancio, perché la procedura è molto farraginosa. Vanno prima definite le risorse, poi va fatto un piano, poi quel piano va approvato e, sulla base delle indicazioni dei livelli regionali, il piano viene fatto; poi va dato alle regioni che, a loro volta, possono farlo dandolo ai comuni e i comuni, a loro volta, possono utilizzare le norme che prevedevano il coinvolgimento anche delle ASL e del sistema sanitario, quindi quello dei piani sociali di zona, oppure fare direttamente i loro bandi per far arrivare le risorse al centro. Poi ovviamente c'è l'altro filone di finanziamento, che è quello dei bandi nazionali, che vanno direttamente ai centri. Qui parliamo dei due articoli della legge n. 119 e noi proponevamo di rivedere questa procedura complicata.
  L'altra criticità era l'intesa tra Stato e regioni. Quell'intesa, anche sulla base delle nostre indicazioni, credo che sia stata rivista. Lì fondamentalmente la criticità era la natura dei centri antiviolenza. La richiesta principale era che i centri antiviolenza nascessero specializzati su questo tema, non che si improvvisassero o, addirittura, che alla luce delle nuove norme cambiassero ragione sociale nel corso d'opera per utilità e, soprattutto, che avessero quella come attività prevalente. Questo è il tema della professionalità degli operatori. Un centro antiviolenza, per rispondere alle esigenze, deve essere un centro antiviolenza che fa quello, che ha una logica, che ha una pratica, che ha un'esperienza e, soprattutto, che ha personale qualificato. Ovviamente la criticità di fondo – ma questo ca va sans dire, penso che sia patrimonio comune di tutte quelle che stanno qua – è che i soldi sono pochi, i soldi destinati ai centri sono molto pochi, le professionalità si dovrebbero pagare ma non ci sono i soldi. Queste sono le tre maggiori criticità emerse da quella relazione.
  L'altra relazione, suggerita da Fabio Roia in una delle sue audizioni iniziali, riguarda l'indagine sulla risposta giudiziaria ai femminicidi. L'indicazione, ripeto, fu data dall'attuale Presidente facente funzione del Pag. 5Tribunale di Milano, che aveva maturato una competenza, come giudice, in materia di violenza di genere, anche rispetto alle misure di prevenzione, oltre ad avere scritto tanti libri. Lui ci ha riferito che mai in Italia era stata fatta un'indagine in cui si prendesse un periodo a riferimento e si esaminassero tutti i femminicidi di quel periodo, analizzando, dall'atto della prima denuncia della donna, che cosa fosse accaduto, per capire come mai non eravamo riusciti a prenderci in carico come sistema. Questa è stata la ricerca. Perché noi abbiamo fallito come Stato? È la domanda che ci facciamo tutte di fronte a un femminicidio: se quella donna ha denunciato dove è stata la falla? Che cos'è che non ha funzionato? Dove lo Stato non è riuscito? Questa è stata la nostra indagine. Qui, per esempio, è stata fatta un'indagine statistica. Sono stati ritrovati, ricercati e richiesti fascicoli di tutti quegli anni, molti fascicoli avevano delle implicazioni anche in sede civile, quindi si prendeva anche l'altro fascicolo, oppure c'erano fascicoli precedenti di altre indagini o denunce fatte in un momento precedente. Li abbiamo visti, erano oltre duecento fascicoli: le risposte più importanti, che forse sono anche meno note, ma che penso possano essere di interesse, è che solo il 15 per cento delle donne denuncia. Soprattutto le donne, prima di denunciare, parlano con un familiare più facilmente che con l'autorità giudiziaria o una forza di Polizia, oppure si confidano con l'amica, la sorella, la persona più vicina e più confidente. Tuttavia, nel 65 per cento dei casi le donne che sono state poi ammazzate non avevano parlato con nessuno, quindi solo il 35 per cento aveva parlato con qualcuno.
  Da questo cosa abbiamo desunto noi complessivamente? Il tema è che la donna sente il giudizio, sente il giudizio anche dell'amica, sente un giudizio complessivo, quindi non è solo una sfiducia nelle forze dell'ordine. Si diceva: «Le donne sono sfiduciate nel sistema giustizia», e sicuramente c'è anche quello, c'è la sfiducia nel sistema e quindi nelle modalità con cui vengono ascoltate e ripetutamente fatte le stesse domande nel corso del giudizio, perché altrimenti quel 15 per cento sarebbe molto più alto.
  Ad onor del vero, noi abbiamo fatto necessariamente riferimento ad indagini risalenti ad un po' di anni prima, perché altrimenti non sarebbero state concluse. Se avessimo considerato il caso di una donna ammazzata l'anno scorso l'indagine non sarebbe stata ultimata, pertanto abbiamo preso solo casi in cui le indagini erano complete. Secondo me oggi, rispetto al passato, quel 15 per cento di donne che denunciano sarà almeno al 23, 24, 25 per cento, il dato è salito. Ma il tema resta, siamo comunque su numeri bassi e la consapevolezza è che, da un lato, è un sistema che non è in grado di rispondere, ma soprattutto, dall'altro lato, c'è un livello di sfiducia generale e complessivo dovuto al fatto che quando una donna racconta di avere subìto violenza... Chiedo a qualcuna di voi di fare veramente un tentativo, provate a raccontare che avete subìto violenza, e anche la persona che vi sembra insospettabile la prima domanda che vi farà è: «Come è possibile proprio tu, che hai subìto tutto questo?». È proprio una domanda che viene, perché tendono a colpevolizzarti e a dire: «Ma come è possibile? Tu sei una donna affermata e forte». Questa è una domanda che, ovviamente, tende però a colpevolizzarti o a farti sentire in parte responsabile.
  L'altro dato – questo credo che serva soprattutto con riguardo alla repressione e alla punizione, noi proviamo a dire come un mantra che non basta soltanto quello – è che se il 64 per cento degli uomini autori ha confessato, in un terzo l'autore aveva precedenti penali, sono tantissimi, intorno al 60 per cento, gli uomini che dopo aver ammazzato le donne si suicidano. Pensate per un uomo che si toglie la vita che valore può avere una pena molto alta. Quindi il tema di aumentare le pene come deterrente funziona in una fetta minoritaria di questi uomini, perché sono uomini violenti che, di fronte al fatto che una donna mostri il suo grado di autonomia e di libertà, si sentono fondamentalmente uomini sconfitti e persi, senza più riferimenti, quindi sono uomini che a quel punto non hanno nulla da Pag. 6perdere, tant'è che – Alessandra ha lavorato proprio su quello – abbiamo poi parlato anche degli uomini maltrattanti e su come intervenire. Il tema è lì, quindi è culturale, ma attenzione a pensare che le pene possano essere un forte deterrente. Non lo sono, e l'abbiamo visto, anche perché in Italia, attraversando stagioni diverse, queste pene le abbiamo inasprite un po' tutte, abbiamo istituito nuove fattispecie di reato e la risposta è che le donne continuano a morire ammazzate. Ovviamente io per prima sono una di quelle che sostiene più misure cautelari, più braccialetto elettronico, fermezza della pena e certezza della pena, su questo non si discute. Premesso questo, che do per scontato, anzi, guai. Perciò dicevo che abbiamo attraversato tutte le stagioni, anche le nostre forze del Centrosinistra nel corso del tempo hanno lavorato ad inasprire le pene, così come il Centrodestra.
  L'indagine poi sulla realtà giudiziaria. Questa è un'indagine, secondo me, molto interessante. Voglio dire che questa indagine, in modo particolare, ha visto la collaborazione di tutti gli uffici giudiziari d'Italia. Questo mi sembra un dato rilevante, anche per l'attività della futura Commissione. Le procure hanno risposto nel 98 per cento, tutte le procure d'Italia. Certo, siamo una Commissione parlamentare d'inchiesta ma comunque questo è di buon auspicio al lavoro della futura Commissione, nel senso che se una Commissione parlamentare d'inchiesta chiede a una procura, la procura risponde, il 98 per cento delle procure ha risposto, siamo al 90 per cento dei tribunali e dei tribunali di sorveglianza, alla fine hanno risposto tutti.
  Qual è la fotografia, impietosa in questo caso? La fotografia impietosa è che tra le procure c'è un disavanzo significativo di specializzazione e di preparazione, cioè c'è una differenza importante tra grandi procure e piccole procure: le piccole procure molto meno, le grandi procure sono molto più preparate. Questo cosa presuppone? Nelle grandi procure ci sono le sezioni specializzate, c'è la disponibilità. E di qui tutta la discussione che abbiamo fatto – adesso non la voglio buttare in cose troppo politiche – con riguardo al tema del Codice Rosso. La specializzazione del PM è fondamentale, un PM non specializzato può fare domande sbagliate, ponendole in modo sbagliato. Dal momento che il PM deve assumere le informazioni entro tre giorni, si rischia di avere il PM di turno e non il PM specializzato. Ricordiamoci sempre che una donna nei primi tre giorni dà le prime risposte sotto stress, se lo fa davanti a un PM non specializzato il rischio è che abbandoni e non torni più, non ci metta più piede. Le ritrattazioni in questo caso, purtroppo, sono numeri ancora molto alti, troppo alti. Questo è il tema che noi abbiamo focalizzato. Questo per le procure.
  Mentre per i tribunali c'è il tema dei giudici, in modo particolare i GIP, che sono quelli che convalidano le misure cautelari: lì abbiamo un enorme problema di specializzazione. I GIP si sono dimostrati la categoria meno preparata e meno specializzata, insieme ai tribunali di sorveglianza, che peraltro sono importanti per tutte le misure di sicurezza, quindi anche quelle post pena, quelle che dovrebbero mettere al corrente la donna, quando l'uomo ha scontato la pena ed esce, che cosa succede di quest'uomo e dove sta. Si tratta di personale poco specializzato. In generale, il tema si è posto in modo particolare per i giudici del civile. Il civile era proprio un buco nero.
  E veniamo all'altra indagine, che è quella sulla famosa vittimizzazione secondaria e di quello che succede nei procedimenti civili. I tribunali civili fino a qualche anno fa non parlavano di violenza, non riconoscevano, non verbalizzavano, dicevano che non era loro appannaggio, che non era di loro competenza, che la violenza rilevava in sede penale, ma non in sede civile e che loro dovevano semplicemente disciplinare i rapporti tra coniugi, rispetto alla prole e rispetto al patrimonio, quindi non era di loro pertinenza e non era rilevante ai fini della decisione. Questo accadeva fino a tre/quattro anni fa ma adesso, grazie a tutto il lavoro, non certo solo quello della Commissione parlamentare d'inchiesta, grazie a tanto lavoro di sensibilizzazione, secondoPag. 7 me, non è più così, ma la criticità esiste ed è molto grande.
  Uomini maltrattanti. Alessandra Maiorino è stata sicuramente la senatrice che più si è dedicata a questo lavoro, con convinzione e passione, oltre che con competenza. Tutte queste relazioni le abbiamo divise in gruppi di lavoro e, per ogni relazione, c'era un membro della Commissione che lo coordinava, in questo caso l'ha fatto la senatrice Maiorino con l'allora senatrice Conzatti. Cosa è emerso in questo caso? La premessa è che gli uomini, se è una questione culturale, possono essere recuperati, se è una questione culturale ci dobbiamo almeno provare. Anche la Commissione rileva che non sempre è possibile ma il tentativo va fatto, perché sono tantissimi gli uomini che scontano le pene ma poi hanno un altissimo tasso di recidiva quando escono. Non pensiamo soltanto alla pena rispetto al femminicidio o all'uccisione di una donna, in quanto donna, ma a pene più leggere per una violenza, per una violenza sessuale o per una violenza privata, un maltrattamento in famiglia, eccetera. Il tema è che questi uomini, scontate le pene, due anni, tre anni, quattro anni, poi escono e tendono a essere vendicativi, tanto verso quella donna in modo particolare ma molto spesso anche per le altre, come se se la prendessero in generale con il genere. Su questi uomini quindi andava fatto un lavoro ma bisogna intervenire anche in una logica di prevenzione, perché il tema è provare a lavorare prima su questi uomini, non piangere sempre sul latte versato, capire se c'è un problema, per intervenire ai primi segnali. In questa logica tutta la legislazione e anche le discussioni in questi giorni sul decreto-legge Caivano, le misure di prevenzione, che sono caposaldo. Ci sono ormai nella nostra legislazione, dal 2001 – pensate agli ordini di protezione in sede civile, al 2011, con il Codice Antimafia e le misure di prevenzione ivi previste –, tantissime misure che consentono di intervenire prima. Per gli uomini maltrattanti proviamo a intervenire prima con corsi di recupero. Quando siamo andati a vedere come si interveniva su questi uomini, adesso si chiamano CUAV (Centri per Uomini Maltrattanti Autori di Violenze), abbiamo appurato che i centri erano dislocati in maniera disomogenea su tutto il territorio nazionale, non c'erano criteri uniformi da rispettare, non c'era personale adeguatamente specializzato, almeno non in tutti, perché se non c'erano criteri omogenei non c'erano nemmeno degli standard da rispettare uguali per tutti. Soprattutto – e questa è stata veramente un'intuizione della Commissione, di cui siamo state particolarmente fiere, poi è stata presa in considerazione anche nei provvedimenti che vedete oggi in discussione alla Camera – abbiamo riscontrato che, come ci hanno detto gli operatori e le operatrici dei centri che abbiamo visitato, non bastava frequentare un corso, ma occorreva che qualcuno si assumesse l'onere di dire che esiti aveva avuto su quell'uomo. Ovviamente non è un fatto semplice, quindi per questo serviva personale specializzato. Il tema però era avere un personale in grado di fare una valutazione in ordine alla pericolosità di quell'uomo. Ricorderete che anche in provvedimenti da noi votati abbiamo vincolato molto spesso alla partecipazione, i benefici penitenziari, la sospensione condizionale della pena, in alcuni casi, nel Codice Rosso, facciamo riferimento alla frequentazione. Il problema non è la frequentazione, perché i casi di cronaca ci dicevano che quell'uomo frequentava il corso, ma poi l'ha ammazzata; il tema è a che punto è del percorso, pertanto solo vincolare eventuali benefici possibili o sospensione condizionale della pena all'esito del percorso, non alla partecipazione al corso. Queste sono più o meno le cose che sono emerse e quindi indicazioni su come lavorare.
  La vittimizzazione secondaria. Questa è stata sicuramente l'indagine che ci ha portato via più tempo e più lavoro, si è trattato di circa 1.400 fascicoli, che sono veramente tanti. In questo siamo state coadiuvate dalla Guardia di finanza, che li ha catalogati e sistemati, nonché da un pool di avvocate, supportate e sostenute da giudici che si occupavano di questo. In modo particolare qui abbiamo chiesto il supporto di giudici in materia civile, famiglia e minori. Qui il tema qual è stato? Provare a capire perché. Pag. 8Che cosa succedeva in questi procedimenti civili? Perché una donna, che pure si rivolgeva a un tribunale civile per interrompere una relazione perché c'era violenza, poi invece finiva per essere vittimizzata e, addirittura, molto spesso finiva per perdere la responsabilità genitoriale rispetto ai bambini? Abbiamo indagato esattamente questo fenomeno qui, che poi è emerso anche nelle discussioni che abbiamo fatto. È emerso che nel 34 per cento dei casi c'è una allegazione di violenza. Poi però nel 90 per cento delle risposte, nelle ordinanze, quindi sia nelle ordinanze presidenziali, quindi nella prima fase, sia nelle ordinanze finali, in oltre il 90 per cento dei casi la violenza non è mai più citata. Non si sono chiesti gli atti, non si è chiesta giustificazione di quelle allegazioni, non si è indagata quella allegazione. Una donna si rivolge a un tribunale, dice: «Io voglio chiudere la relazione» e presenta un'allegazione di violenza qualsiasi, che può essere la dichiarazione di un vicino di casa, il certificato del pronto soccorso, eccetera, ma nel 90 dei casi i giudici non hanno indagato, non hanno chiesto ulteriori atti, non hanno preso in considerazione, hanno detto: «È penale, non è nostra competenza» e fine della trasmissione.
  Questo che cosa comporta? Perché noi abbiamo rilevato che è importante? Perché il non prendere in considerazione la violenza impattava sulle scelte e sulla decisione finale del giudice, tanto nelle vicende di separazione, quanto nelle vicende di affidamento dei figli. Il tema dell'affidamento dei minori viene associato al civile se è in corso una separazione, mentre viene trattato dal Tribunale minorile se c'è un tema solamente di affidamento dei minori. In entrambi i casi, noi abbiamo preso settecento fascicoli da un lato e settecento fascicoli dall'altro, lavorando con metodo statistico; ci sono voluti due anni per fare un campione, quindi un campione effettivo, due anni per avere i fascicoli e poi due anni per guardarne 1.400. Alla fine che cosa è emerso? Molto spesso il minore maturava nel corso del procedimento, quando c'era violenza, rifiuto verso il padre. Di questo rifiuto, se tu non prendi in considerazione la violenza, prendi solo atto che è deleterio per il minore interrompere il rapporto con un genitore. In generale, questo lo dice il buonsenso, non credo che ci sia bisogno di essere specializzati, un bambino cresce meglio con il padre e la madre. Se quindi c'è un minore che rifiuta di vedere il padre è sicuramente un tema che va indagato e va affrontato. Pertanto era importante capire se c'era violenza o no, perché la Convenzione di Istanbul su questo è chiara e precisa, all'articolo 33 dice che se un uomo è violento, se siamo in presenza di violenza, vanno messi immediatamente in sicurezza la madre e il bambino. Accertare se c'è o meno la violenza è proprio indispensabile, è una condicio sine qua non per capire il regime di affido dei bimbi. Invece questo accertamento non veniva fatto, c'era semplicemente l'attenzione a ricostruire l'assetto familiare. Questo anche in presenza di consulenti, sia psicologi e sia assistenti sociali, assolutamente non specializzati. E qui c'è tutto il tema dell'alienazione parentale, che emergeva dalle consulenze tecniche di parte, in modo particolare in un ramo della psichiatria. Noi abbiamo fatto le nostre ricerche, audito gli psicologi, preso atti e ricerche, e ci hanno dimostrato che quella non è una teoria scientifica, l'abbiamo detto e ripetuto più volte, e che pertanto non poteva essere messa a supporto. Molto spesso non solo non era a supporto – anche questo è emerso dalle nostre indagini – ma era l'unica tesi sulla quale si costruiva tutto il percorso. Se la violenza non è presa in considerazione e quindi bisogna ricostruire il rapporto con il padre e la madre, il rifiuto del minore viene giustificato con il fatto che la madre è una madre alienante. Allora che cosa si fa? Bisogna – detto molto brutalmente, in gergo – resettare quel bambino, i sentimenti di quel bambino, e ricominciare da capo per fare in modo che quel bambino ricostruisca i sentimenti. Per resettare bisogna allontanare il bambino da padre e madre, quindi si mettono i bambini nelle case famiglia. Tutto questo è la conseguenza del fatto che non si è riconosciuta la violenza, perché, se si riconosceva subito la violenza, si diceva: «Va messo in sicurezza. Lui il Pag. 9padre non lo può vedere più ed è giusto il rifiuto». Poi al massimo si fa il corso per uomini maltrattanti e quindi si recupera, e quando quel padre non sarà più pericoloso socialmente potrà rivedere il minore; io non dico mai più, per sempre, nessuno di noi ha mai detto mai più, per sempre. Questo era il senso della nostra relazione, supportata dai dati che vi ho detto.
  C'è poi il problema che i minori non vengono ascoltati direttamente dal giudice. Ci tengo in modo particolare a raccontarvi che i risultati di questa indagine sono stati preziosi per la riforma Cartabia in sede civile, non tutto, ma questa indagine in gran parte è stata presa in considerazione dalla riforma Cartabia e molte di quelle cose che noi avevamo detto nelle nostre relazioni sono state poi prese a riferimento. Per esempio, l'ascolto diretto del minore da parte del giudice, che non può essere delegato e il giudice può chiedere il supporto solo di personale specializzato, o che i consulenti tecnici devono essere specializzati, o che non si possono fare in nessun caso prelievi forzosi con la forza pubblica, a meno che non sia a rischio la vita stessa del minore, che le tesi ascientifiche non possono essere richiamate. Non basta dire che le tesi ascientifiche non devono essere richiamate perché non la chiami alienazione parentele, la chiami in un altro modo, ma la fai entrare lo stesso, e questa madre forte che condiziona il figlio non la chiami alienazione parentale, ma la chiami in un altro modo e ce la fai entrare. Il tema però resta. Tutte queste cose le abbiamo certificate con questa indagine tanto tanto lunga.
  Questa è la relazione che presentiamo domani mattina. Qui il tema è sugli stereotipi, pregiudizi, linguaggio. Abbiamo utilizzato un lavoro che già era in corso, che era la rete Unire, che faceva una mappatura di quello che succedeva nelle università. Abbiamo svolto un'indagine e devo dire che le scuole hanno risposto con maggiore resistenza, ma abbiamo fatto comunque una sperimentazione importante, siamo andati a visitare e abbiamo visto tante scuole che hanno utilizzato metodi diversi. Quello che mi viene da dire e che abbiamo detto alla fine di questa relazione è che adesso ci sono troppe sperimentazioni in giro. Io stessa, in qualità di presidente, ma anche le vicepresidenti della vecchia Commissione, siamo state relatrici in tantissimi corsi nelle università. Bisogna registrare che tanti corsi erano impostati male. Quindi ci vuole un'autorità che dica come si insegna. In questo senso mi sento di dire che è prezioso il patrimonio delle operatrici dei centri antiviolenza. Nessuno si inventa niente ma la loro sapienza è sicuramente preziosa per tutto il nostro lavoro e credo che dovremmo imparare ad attingere, perché si attinge da chi ha lavorato sul campo e da tanti anni, da decenni, ha costruito un'esperienza.
  In questo senso il tema vero di tutto il sistema della scuola, università, agenzie educative, famiglie e modelli, ma anche tutto il linguaggio dei media, di giornali, tivù, trasmissioni. Abbiamo audito la RAI, giornaliste, ci sono cataloghi, c'è un Protocollo di Venezia importante fatto dalle giornaliste, che però rischiano di essere sicuramente pietre preziose, ma il tema vero che abbiamo verificato, così come le linee guida del 2017, è la ricaduta e quanto vengano poi concretamente rispettate e applicate, e capire il perché, nonostante le linee guida lo prevedano, l'educazione nelle scuole non viene fatta. In realtà non è che non viene fatta, ma viene fatta molto spesso secondo la sensibilità del dirigente scolastico, perché si ammanta il tema dell'autonomia delle scuole. La scuola definisce il programma di offerta formativa e in quel margine di autonomia ognuno fa a modo proprio. Quindi forse il tema è come stringere di più questo margine di autonomia. Ma bisogna capire come impattare, nel rispetto ovviamente delle norme, nelle prerogative delle scuole e, soprattutto – io questo mi sentirei di consigliarlo –, sempre in una logica di collaborazione, perché se vai in contrasto con i dirigenti scolastici non serve, si apre uno scontro. Il tema è di tentare di costruire insieme a loro dei percorsi più condivisi.
  C'è, poi, un tema sul quale la relazione è rimasta a metà. Questo credo che possa essere un lascito, ovviamente se la Commissione attuale deciderà. Noi ci eravamo Pag. 10date come obiettivo molto ambizioso quello di costruire una legge quadro in materia di violenza, sul modello della Spagna. Noi abbiamo visto che la Spagna, che ha anche una storia politico-culturale molto simile a quella dell'Italia, ha varato una legge quadro, che ha avuto degli effetti importanti, intanto di stanziamento di risorse e di sistematizzazione delle norme. Pensate a quante norme abbiamo prodotto in questi anni in materia di violenza nel penale, nel civile e in materia sanitaria, anche lì c'è ancora da indagare tutto il tema della salute e della sanità, di come quelle linee guida allora varate dal Codice Rosa – poi siamo passati alle linee guida generali – vengono applicate nei Pronto Soccorso; dopo il Covid c'è stato sicuramente un arretramento rispetto all'attuazione, ce lo sono venuti a raccontare, perché gli spazi sono stati ristretti. Anche i medici di base, un grande buco, li abbiamo auditi, e anche quello, per esempio, credo che sia un tema da indagare. I vecchi medici di base, quelli che noi prima chiamavamo medici di famiglia, ora medici di medicina generale, potrebbero essere sicuramente una sentinella preziosa nel capire subito le dinamiche, ma quelli veramente si lavano le mani; questo almeno a grandi linee, ovviamente dobbiamo sempre fare le dovute eccezioni. Anche su questo abbiamo fatto una relazione, che è quasi completata, e quindi si può sicuramente proseguire, se questa Commissione riterrà.
  Per ultimo, la legge quadro. Perché, secondo noi, la legge quadro è importante? Soprattutto perché serve a dare un orientamento agli operatori e alle operatrici. Se voi parlate con gli operatori e con le operatrici vi diranno che ci sono troppe norme fatte in questi anni, troppo raffazzonate e forse c'è bisogno di una razionalizzazione. Anche lì c'è una stratificazione di norme, se pensate solo in sede penale quante ne abbiamo fatte, una sopra l'altra. Già le misure cautelari, pre-cautelari e di prevenzione, io credo che anche un avvocato penalista faccia fatica a districarsi dentro queste norme, invece sono norme molto diverse, dall'avviso orale, all'ammonimento, piuttosto che agli ordini di protezione in sede civile, sono cose diverse, che però sono patrimonio importante quando bisogna andare a prendersi carico di una donna che ha subìto violenza.
  Cosa può fare il Parlamento? Noi abbiamo detto: «Alla luce di tutte le nostre relazioni, questi sono i buchi che dovrebbero essere colmati». C'è ancora qualche buco normativo. Abbiamo anche fatto uno studio comparato della legislazione italiana in materia di violenza con le principali legislazioni di altri Stati, credo che ne abbiamo presi una decina di tutto il mondo, quindi cultura europea, ma anche americana e India, e abbiamo visto che, tutto sommato, il sistema italiano regge. Il tema non è l'arretratezza del sistema normativo, il tema è che qualsiasi norma cammina sulle gambe degli uomini e delle donne, il tema sono i pregiudizi e la cultura di chi applica quella norma. Abbiamo fatto l'esempio del civile, la norma c'è perché gli ordini di protezione ci sono dal 2001 ma se tu la violenza non la vedi e non la leggi in base ai tuoi stereotipi e pregiudizi, non utilizzi nemmeno le norme che ci sono, quindi è inutile che si continui a rafforzare il sistema normativo se poi chi lo deve usare non ha le lenti giuste. Ecco perché viene in campo la relazione sul sistema formativo, perché pensiamo che tutti gli operatori si formano nelle nostre università, gli avvocati e i giudici si formano nelle nostre università, e quindi il tema è impattare lì. Per esempio, io mi sono laureata in giurisprudenza, qua ci sono tanti avvocati, io credo che all'università c'è pochissimo, se non nulla, sul tema della violenza. Abbiamo dialogato con la CRUI, abbiamo fatto due diverse audizioni con la CRUI, con molti rettori. Si può fare ancora qualcosa, sicuramente si può fare, si può strutturare. Bisogna passare dalla fase della sperimentazione, prendere queste buone sperimentazioni che noi abbiamo elencato nelle nostre relazioni e provare a capire come possono diventare sistema e abbandonare la logica della sperimentazione, affidata alla buona volontà del singolo rettore e del singolo dirigente scolastico.
  La nostra relazione finale. Questo è il lascito vero alla nuova Commissione, che Pag. 11dovrà valutare. Qui mi sento di dire una cosa. La Commissione è andata anche un po' oltre l'attività d'indagine in alcuni casi. Ce lo siamo dette tante volte: «Possiamo andare? Vogliamo andare?». Lo abbiamo fatto. Per esempio lo abbiamo fatto con la legge sulle statistiche in materia di violenza di genere, l'abbiamo approvata all'unanimità, ma non avevamo titolo per scrivere una norma. Avevamo Linda Laura Sabbadini come nostra consulente, capiamoci, che era la principale esperta. Avevamo maturato una lettura condivisa. Peraltro il Consiglio d'Europa proprio in questi giorni ha detto: «Attuatela quella legge». Devo dire che quando abbiamo presentato la nostra relazione anche all'attuale Presidente del Consiglio e alla ministra Roccella, si erano impegnati a fare i decreti attuativi. Io credo che questo possa essere un campo in cui la Commissione può spingere il Governo attuale a dire: «Vediamo se questa norma è utile. Se la riteniamo tutti quanti utile, diamo piene gambe e attuazione a questa norma», che significa sostanzialmente prendere i numeri corretti, fare in modo che tutti quelli che prendono i numeri, i pronto soccorso, gli ufficiali di PG, le procure, intreccino i loro dati nelle banche dati, dialoghino tra loro. Questo perché è importante? Perché quella legge non dice soltanto cosa devi registrare nel caso in cui una donna viene ammazzata – è tardi, no, quella legge lo fa per ventotto fattispecie di reato, anche il danneggiamento dell'auto –, significa leggere tutti quei reati spia in tempo utile come reati di genere, è l'alert, è il campanello d'allarme che, per esempio, ti dice che devi attuare una misura cautelare e mettere immediatamente in protezione, quindi significa riuscire a intervenire prima e mettere in sicurezza quella donna. Non dico che è sicuro che la salvi, ma è più probabile che tu te la possa prendere in carico in maniera adeguata, con gli strumenti che hai. Da questo punto di vista, secondo noi, è una legge importante, che sistematizza e costringe l'ISTAT a fornire i dati in maniera cadenzata. Avere dei dati, avere delle indagini, anche preziose, ma che non sono cadenzate nel tempo, non ti consente il paragone dei risultati dell'indagine, invece avercela ogni tre anni ti dà un andamento. La legge sostanzialmente dice che va sempre registrata la relazione con il partner, che è una cosa banale.
  Noi siamo intervenute nel civile, molto nella riforma Cartabia, nel nostro lavoro lo troverete e troverete molto anche nel ddl delle allora Ministre e del Governo di adesso, c'è molto del lavoro che ha fatto a suo tempo la Commissione femminicidio, anche con la disponibilità del Governo di allora e dell'attuale Governo, che ha ereditato il lavoro. È evidente che c'è la politica e quindi dentro quel provvedimento c'è chi si rivede di più e chi di meno, chi insisterà per aggiungere qualcosa e chi no, ma dico che il nucleo di quel lavoro c'è.
  Le indicazioni sono fondamentalmente più formazione degli operatori, cambiare il paradigma culturale, più sostegno ai centri antiviolenza, più misure cautelari e braccialetto elettronico, così come è contenuto in questo ddl, no alla prassi ai prelievi forzati dei minori, attuare le linee guida negli ospedali, più sostegno in merito al reddito di libertà, che abbiamo valutato come una misura sicuramente preziosa ma sono necessari più soldi e un accompagnamento più lungo nel tempo, è troppo bassa la cifra che diamo e per troppo poco tempo. Infine, alcune norme da approvare subito, norme che noi abbiamo condiviso ma che immagino possano essere più divisive; le consegno in assoluta e totale libertà, secondo noi sono preziose per la lotta alla violenza maschile contro le donne. Tali norme sono anzitutto quella sul consenso. Qualsiasi atto sessuale ha bisogno del consenso di una donna, quindi è violenza tutto quello che è senza consenso, qualsiasi atto sessuale senza consenso è violenza. Il tema non è provare la violenza o la minaccia, ma è che devi provare il consenso. È una norma complessa dal punto di vista politico ma devo dirvi che noi l'abbiamo condivisa, come indicazione della Commissione c'è scritto. Così come è anche utile e preziosa l'ultima norma, che fa riferimento alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Queste sono le indicazioni alla luce di tutte le relazioni che abbiamo fatto.Pag. 12
  Io credo di avervi detto sostanzialmente tutto, ho parlato pure troppo. Ripeto che avere approvato tutte queste relazioni all'unanimità è un punto di forza e mi sento di dire che anche le intuizioni giuste, anche le norme giuste, forse da parte nostra, sicuramente di una Commissione parlamentare d'inchiesta, vanno poi monitorate nel corso del tempo al fine di capire se funzionano, come funzionano e, se non funzionano, perché non funzionano e dare eventuali indicazioni al Parlamento per capire dove deve intervenire per provare a migliorare l'efficacia di quelle norme e il loro funzionamento.

  PRESIDENTE. Chiedo adesso se ci sono interventi da parte dei colleghi presenti in sede o collegati da remoto. Prego.

  SUSANNA DONATELLA CAMPIONE. Io volevo ringraziare la collega Valente per l'estrema chiarezza con la quale ci ha esposto tutto il lavoro della Commissione.
  Devo dire che mi trovo a condividere quasi tutto. Dico quasi perché è ovvio che le nostre sensibilità politiche, le nostre culture politiche sono diverse, ma questa io la considero una ricchezza, anziché un ostacolo al lavoro della Commissione perché in questo modo potremo, così come abbiamo fatto io e la collega già spontaneamente, anche mettere sul tavolo tante soluzioni diverse e scegliere quella che poi, in tutta onestà intellettuale – io non ho dubbi sull'onestà intellettuale di tutti i componenti della Commissione – sembrerà quella più giusta.
  Solo qualche breve osservazione su quanto detto. Sono assolutamente convinta che dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulla prevenzione, anziché sulla repressione, per due motivi molto semplici. Il primo è che l'uomo che vuole usare violenza nei confronti di una donna non si pone mai il problema della sanzione. Il secondo motivo è che quando noi arriviamo a sanzionare il reato è già compiuto e quindi è troppo tardi.
  Altra osservazione. È indispensabile la formazione e la specializzazione della procura, quindi del pubblico ministero certamente, ma anche del giudice. Insisto molto su questo perché in aula mi è capitato, purtroppo, che il pubblico ministero aveva chiarissimo quello che era successo, ma che – lo dico ad colorandum – in un collegio di tre donne, giudici condannatrici per eccellenza, piazzale Clodio, conosciute per essere condannatrici, hanno assolto l'uomo violento. Voi direte: «Perché l'hanno fatto?». Perché non avevano capito il comportamento della persona offesa, l'hanno equivocato, perché la persona offesa in questi casi si comporta in maniera piuttosto particolare. È veramente importante la preparazione di tutti coloro i quali conducono le indagini, quindi in questo includo anche la Polizia giudiziaria, che è il primo soggetto con il quale si trova a interloquire la vittima di questi reati, ma anche il pubblico ministero e il giudice, altrimenti andiamo spesso incontro a sentenze aberranti. Riporto soltanto dei dati che ho raccolto nella mia esperienza.
  Un'altra proposta è che io farei, lo sottopongo alla vostra attenzione, anche un lavoro sul pronto soccorso, perché – anche qui dati d'esperienza – manca spesso un raccordo tra il pronto soccorso e i servizi sociali sul territorio. Scendo proprio sul concreto, per non rimanere vaga. Cosa succede? Quando il medico di pronto soccorso accoglie la persona vittima di violenza e presta le prime cure, poi cosa fa? Magari è notte, magari è sera tardi, e il servizio sociale non è attivo. Quindi a quel punto il medico si trova nella necessità di dover ricoverare questa donna. Intanto, molto spesso, la ricovera in un reparto accanto ad altri pazienti con patologie, quindi non è proprio la situazione ideale per quella persona, che già è scossa per ragioni che si possono ben intuire e, in più, toglie un posto letto a qualcuno che invece magari ha urgenza di essere ricoverato. Su questo io vorrei puntare l'attenzione.

  VALERIA VALENTE. Scusami se interrompo, soltanto per dire che c'è una relazione su questo ma è proprio una di quelle che necessita di implementazione perché alcune regioni non hanno risposto e su questo la Commissione potrebbe completare.

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  SUSANNA DONATELLA CAMPIONE. Lancio un altro input, sempre che sia condiviso da tutti. Io penserei anche a un'assistenza post processuale della persona offesa, perché molto spesso riusciamo ad assicurare giustizia a queste donne; però poi cosa succede? Si spengono i riflettori e le dimentichiamo. Questo non deve accadere, perché sono persone traumatizzate e quindi vanno riaccompagnate piano piano a reintegrarsi nella vita quotidiana. Ho finito.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Campione. Onorevole Ravetto, prego.

  LAURA RAVETTO. Grazie, Presidente. Grazie davvero per questa relazione. Io mi permetto di chiedere una cosa ovvia, che la Presidente forse ha già addirittura fatto, quindi io mi scuso se non l'ho notata, cioè se questa legge di cui ci parlava, che dovrebbe essere attuata, se possiamo farla circolare.
  Io credo che più o meno i punti che hai espresso siano condivisibili da tutti.
  Credo anch'io che sul consenso ci sarebbe un po' di discussione. Io sono convinta assolutamente che, laddove si ravvisi la violenza, la prova del consenso e del dissenso spetti chiaramente non alla vittima, ma al cosiddetto carnefice però, dove non c'è una violenza accertata, inizia a diventare un po' più complicato. Questo non lo dico da parlamentare, lo dico da avvocato, perché se un uomo deve sempre provare il consenso, a questo punto davvero, non potendo giustamente filmare l'atto sessuale, diventa complesso. Secondo me questo è un punto che si può affrontare e dobbiamo affrontare ma è delicato.
  Volevo, inoltre, fare un'osservazione, che non so se le commissarie condivideranno, e la faccio anche alla Presidenza. Auspicabilmente avremo quattro anni davanti. Benissimo ciò che è già stato fatto, il tuo lavoro ha messo in atto tutto quello che già dovremo fare e già sarebbe un'ambizione pazzesca riuscire a farlo attuare, magari con una legge quadro. Mentre facciamo questo, partendo dal lavoro già fatto, io credo che potremmo anche – ripeto, è un suggerimento e non so se sia praticabile, qui mi rivolgo agli uffici, io sono stata presidente di una Commissione, che era diversa, che era la Schengen, dove si poteva fare, qua non so se si possa fare – dedicarci a casi specifici. Secondo me va benissimo parlare di formazione, poi però c'è un momento in cui, forse – e qua mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo – sarebbe opportuno convocare il Procuratore di Brescia, che ha detto che secondo lui faceva parte del bagaglio culturale di quel tizio picchiare la moglie. Io l'ho fatto all'epoca. Non so se si possa in questi contesti. Io avrei esigenza di questo, quindi iniziare a dare un volto e un nome, ma non per criminalizzare, per andare sui giornali, eccetera, perché sennò sono tutti i giudici, tutti i politici, tutti i pronto soccorso, tutte le vittime e tutti i carnefici. Iniziamo a guardarli negli occhi. Questo era l'unico suggerimento che avevo.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ravetto. Ho assolutamente in animo di audire, da Firenze a Brescia, siamo nel Palazzo dell'Inquisizione, mi pare che siamo nel posto giusto. Onorevole Zanella, prego.

  LUANA ZANELLA. Grazie. Ringrazio anch'io per il lavoro di sintesi che è stato fatto, molto efficace, chiaro e utile, grazie davvero.
  Rispetto a questa proposta, secondo me, molto interessante di legge quadro, volevo chiedere se esiste una pubblicazione, uno studio, un lavoro fatto che raccolga tutto ciò che riguarda la violenza, il femminicidio.

  VALERIA VALENTE. La relazione è stata fatta anche su questo, l'80 per cento di quello che c'è è fatto già. Credo che sia la relazione numero 12.

  LUANA ZANELLA. Ma io invece chiedevo uno strumento sintetico, che potrebbe essere sicuramente utile per noi, di tutte le fonti normative.

  VALERIA VALENTE. C'è.

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  LUANA ZANELLA. Benissimo. Io non l'avevo visto. Questo è molto utile, benissimo. Grazie, perfetto.

  PRESIDENTE. Senatrice Cosenza, prego.

  GIULIA COSENZA. Volevo ringraziare anch'io la Senatrice Valente per il lavoro svolto, che effettivamente è imponente, quindi è un'ottima base di partenza ed è veramente sostanzioso. Emerge fortemente il tema culturale e il vuoto, quello è veramente il momento sul quale dobbiamo soffermarci, perché ognuna di noi, anche nella vita professionale, si rende conto che le donne hanno delle difficoltà enormi. Non c'è soltanto il tema della violenza specifica, ma proprio nello svolgimento delle funzioni che ognuno di noi porta avanti. È difficile, è più difficile. Ed è difficile essere credute.
  Sul tema culturale bisogna strutturare anche il materiale. Per esempio, io ho presentato una proposta di legge sull'educazione emotivo-sentimentale e, giustamente, la senatrice diceva: «Dobbiamo intervenire sulle linee guida delle scuole». Ma ci sarà anche il tema dei testi. Secondo me quello è il primo aspetto da verificare e sul quale lavorare.

  VALERIA VALENTE. I pregiudizi stanno nei libri di testo.

  GIULIA COSENZA. Esatto. Grazie.

  PRESIDENTE. Senatrice Maiorino, prego.

  ALESSANDRA MAIORINO. Grazie. Anch'io ringrazio Valeria Valente per l'ottima relazione di sintesi del lavoro svolto nella scorsa legislatura.
  Due punti sulla prevenzione, anche in risposta alla senatrice Campione, perché la prevenzione è l'ambito che sta più a cuore a me. Propongo una piccola integrazione rispetto al lavoro con gli uomini maltrattanti, che è un ambito pionieristico in Italia, perché questi centri sono nati spontaneamente soltanto nel 2009, quindi, come giustamente è stato detto, sono nati privi di linee guida, così come i centri antiviolenza per donne sono nati privi di linee guida, da associazioni spontanee, nati dalla necessità. Le linee guida sono state ultimamente diramate per i CUAV e, per la prima volta, nel Codice Rosso si è adottato lo strumento del lavoro con gli uomini maltrattanti, ma parzialmente, quindi rispondendo all'articolo 16 della Convenzione di Istanbul, perché si lavora in maniera sperimentale con gli uomini maltrattanti, ma solo con quelli condannati in carcere, quindi a fatto avvenuto. Per carità, come giustamente è stato detto, usciranno prima o poi pure loro e sarebbe preferibile che uscissero migliori, piuttosto che uguali o peggiori. Ma l'obiettivo che noi ci siamo date e che credo anche questa Commissione voglia darsi è quello di prevenire, cioè di fare in modo che non si arrivi a quel grado di violenza. Questi centri possono intervenire – questo è un altro degli accorgimenti che si può inserire normativamente – senza bisogno di una denuncia da parte della donna. All'ammonimento del questore, il questore può indirizzare il maltrattante, qualora ne ravveda l'abitudinarietà del comportamento, capisce dalle prove che vengono portate dagli agenti che quella è una situazione effettiva di violenza, indirizzare l'uomo a questi percorsi, quindi ai segnali spia, ai reati spia, in modo da cercare di prevenire. Ovviamente questi centri devono lavorare anche in sinergia con i centri antiviolenza, qualora la donna si rivolga ad essi.
  Questo è l'aspetto più avanguardistico di tale approccio, che in Italia è ancora un po' rudimentale e sul quale questa Commissione può lavorare.

  PRESIDENTE. Vicepresidente D'Elia, prego.

  CECILIA D'ELIA. Anche io volevo ringraziare la senatrice Valente e la Commissione femminicidio del Senato della scorsa legislatura per il lavoro fatto e anche per la capacità che ha avuto nell'interloquire con i decisori. Sono scaturite delle norme, c'è stata sia la legge sulle statistiche, di cui ho fatto in tempo a vedere l'approvazione alla Camera alla fine della legislatura, ma anche la Riforma Cartabia, quindi un lavoro autorevole e che è stato preso in considerazione.
  Quanto detto dalla senatrice Valente, che all'inizio si sono prese qualche mese per la Pag. 15consegna del lavoro, mi ha molto rasserenato, perché penso che noi siamo in una fase in cui non partiamo da zero e questo lo dobbiamo tenere presente, però dobbiamo anche capire. Sicuramente ci sono alcuni temi che vanno approfonditi, per esempio tutto il tema della sanità, dei pronto soccorso e dei medici di medicina generale e anche dell'integrazione tra questi e le altre persone che interagiscono. C'è il tema dei centri per uomini maltrattanti. Purtroppo, avendo noi un piano nazionale molto debole, spesso sono visti come in concorrenza con i CAV, soprattutto sul piano delle risorse e invece io credo che bisogna sgombrare il campo e pensare che sono centri dove non per forza si rivolgono uomini che hanno avuto un procedimento. È uscita da poco, la RAI l'ha fatta anche vedere, l'esperienza torinese del Cerchio degli uomini, frequentato anche da uomini che si rendono conto che non riescono a gestire la rabbia, che magari sanno che lì nessuno li giudica e vanno a fare un percorso. Questo non significa giustificare, però, se noi diciamo che è un dato strutturale, dobbiamo sapere che il penale va benissimo ma il penale colpisce quello, come è giusto che sia, perché la responsabilità penale è personale, ma il dato strutturale ha bisogno di un lavoro strutturale.
  Penso anche al mondo dello sport, alcune cose che ci siamo dette sul reddito di libertà e la violenza economica. Bisogna tenere presente, a partire dalle relazioni che abbiamo, sicuramente il lavoro è da fare sul Testo Unico, però quello è già più legislativo. Io sono anche d'accordo, con grande cautela, perché poi rischiamo di diventare il luogo in cui arriva tutto, sull'esame dei singoli casi, per intervenire in alcune storie emblematiche, anche senza pubblicità, al fine di comprendere che cosa è successo lì e per approfondire alcune situazioni particolari.

  VALERIA VALENTE. Ci tengo a dire che il CSM e la Scuola Superiore della Magistratura hanno preso le nostre inchieste e le hanno distribuite, fatte proprie, richiamate nelle loro circolari e mandate a tutti gli uffici giudiziari. Anche il Ministero degli Interni, perché abbiamo fatto le analisi durante il Covid, come la violenza impattasse. Questo per dire che, secondo me, questa Commissione ha un grande margine per impattare.
  Io sono assolutamente favorevole a quanto dicevano Cecilia e pure Laura prima. L'unico rischio che si corre, questo soprattutto per le aspettative di chi si rivolge, cioè la donna, è che la Commissione molto spesso rischia di diventare, nell'opinione, nell'immaginario, nel sentimento, giudice di terza istanza. Il giudice ti ha dato torto in primo grado e in secondo grado, allora vado dalla Commissione femminicidio. Questa è una sovrapposizione di ruoli che rischiamo, che non ci deve spaventare, però è un rischio che c'è.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Lancellotta, prego.

  ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. Grazie, Presidente. Innanzitutto complimenti alla past president per la relazione che abbiamo letto molto attentamente.
  Mi ha colpito tanto uno dei temi centrali, che reputo sia fondamentale, il tema della prevenzione, soprattutto in ambito sanitario. Ho interloquito recentemente con dirigenti primari del Gemelli, di vari ospedali che ci sono sul territorio, che mi hanno confermato effettivamente la carenza di questa formazione, non soltanto in ambito medico, anche in ambito di personale infermieristico, di operatori socio-sanitari, quindi bisogna intervenire proprio nella formazione, che è fondamentale e funzionale all'accoglienza della vittima di violenza.
  Proprio oggi c'è stato un ulteriore femminicidio ad Alessandria, dove è stata uccisa una donna dal marito, che poi si è recato dalla suocera, ha ucciso la suocera e anche il figliolo e poi si è ucciso. Questo anche a conferma della relazione, perché nella maggior parte dei casi si suicidano questi uomini che praticano la violenza nei confronti delle donne.
  La cosa grave, che noi dovremmo studiare e, come Fratelli d'Italia, andremo a proporre, è creare un registro di questi uomini che fanno violenza. In buona sostanza, molti potrebbero essere delle personalità che hanno dei problemi psichiatrici, quindi già dalla prima violenza bisognerebbe andare a studiare proprio la tipologia di persona che Pag. 16ha messo in atto la violenza per comprendere se ci sono dei problemi psichiatrici o psicologici, perché nella maggior parte dei casi ci sono.

  VALERIA VALENTE. Psicologici sì. Psichiatrici tenderei ad escluderlo, perché il tema è che molti avvocati nelle aule di giustizia invocano l'incapacità di intendere e di volere. Questo è uno dei modi per farla fare franca.

  ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. E allora psicologici.

  VALERIA VALENTE. Psicologici è un'altra cosa, bisogna intervenire con i recuperi per uomini maltrattanti. Psichiatrici significa darli per malati, che vanno curati, e questo utilizzano gli avvocati per fargli evitare la pena. Quindi no.

  ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. E allora, ovviamente, intervenire sul discorso psicologico, anche per fare una sorta di mappatura. In buona sostanza, come si fa per il registro tumori e malattie infettive, si calendarizza, si integra all'interno di una mappatura nazionale la tipologia di problematica che si ha. Però punterei molto sul discorso della prevenzione sanitaria. Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Ascari, prego.

  STEFANIA ASCARI. Grazie, Presidente. Anch'io volevo fare i complimenti, per l'ottimo lavoro svolto nella scorsa legislatura, alla collega Valente, alla collega Alessandra Maiorino e a tutte le colleghe. Io credo che sia fondamentale lavorare sui casi specifici perché ti permette di toccare in modo concreto quello che non funziona e non ha funzionato e di potere intervenire nel merito e quindi toccare veramente con mano le falle. Questo credo che sia davvero fondamentale per fare un lavoro puntuale e preciso.
  L'altro aspetto è il discorso dell'educazione affettiva e sessuale, soprattutto lavorare su quella che è la prevenzione e fare partire questa esigenza proprio dalle scuole. Per esempio, in tutte le scuole in cui io sono andata chiedevo agli studenti e alle studentesse se necessitavano di avere uno spazio di confronto in tema di affettività e sessualità: non c'è stata una scuola in cui tutti gli studenti e le studentesse alzassero la mano in modo corale. Questo è un altro tema molto importante, che si può approfondire.
  Un altro aspetto è quello di verificare il funzionamento di nuovi strumenti che sono stati introdotti, che però ad oggi stanno presentando delle criticità. Penso, per esempio, alla giustizia riparativa, in cui la vittima di violenza entra in contatto con il suo maltrattante, ai fini di una riparazione giudiziale. Questo è un punto estremamente delicato di approfondimento, alla luce di una normativa recente, che bisogna verificare che sia efficace e non a danno della vittima di maltrattamenti e di violenze. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Io farò avere via e-mail la legge 5 maggio 2022, n. 53, sulle disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere, come ha chiesto l'onorevole Ravetto. Su sollecitazione dell'onorevole Zanella allegherò anche un PDF con tutte le varie relazioni, così poi ognuno potrà leggere e approfondire in base alla propria sensibilità.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro concluse le comunicazioni in titolo.

  La seduta termina alle 19.25.