XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 77 di Mercoledì 26 marzo 2025

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 

Comunicazioni del presidente:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 

Audizione di Giommaria Cuccuru, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari:
Colosimo Chiara , Presidente ... 2 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 8 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 8 
Colosimo Chiara , Presidente ... 9 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 9 
Colosimo Chiara , Presidente ... 9 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 9 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Congedo Saverio (FDI)  ... 11 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 11 
Rando Vincenza  ... 11 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 12 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 14 
Rando Vincenza  ... 14 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 14 
Rando Vincenza  ... 14 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 14 
Rando Vincenza  ... 14 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 14 
Russo Raoul  ... 14 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 15 
Russo Raoul  ... 15 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 15 
Gallo Francesco (Misto)  ... 15 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 16 
Gallo Francesco (Misto)  ... 16 
Cuccuru Giommaria , presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari ... 16 
Colosimo Chiara , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 19 marzo 2025 ha convenuto che la Commissione si avvalga delle seguenti collaborazioni a tempo parziale: Sergio Maria Battaglia, avvocato, Angelo Covino, giornalista, Euprepio Curto, avvocato, Agnese Del Giudice, assegnista di ricerca di diritto processuale penale, Jacopo Della Torre, professore associato di diritto processuale penale, Maurizio Grigo, magistrato in quiescenza, Luigi Merola, fondatore e rappresentante legale della fondazione onlus «A' Voce d‘’e Creature», Dario Montana, fratello del commissario Beppe Montana, Andrea Nicosia, avvocato, Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore, Ilaria Ramoni, avvocato, Valerio Scelfo, avvocato.
  Comunico, inoltre, che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto che l'incarico di collaborazione del maresciallo capo dei Carabinieri, Stefano Bernardini, già nominato a tempo parziale dall'ufficio di presidenza nella seduta del 30 gennaio 2024, sia trasformato a tempo pieno.
  Ricordo che tutti gli incarichi di collaborazione sono a titolo gratuito, salvo il rimborso delle spese documentate sostenute, e che i collaboratori a tempo parziale saranno presenti in Commissione e nei Comitati soltanto su espressa convocazione.
  La presidenza ha avviato, laddove necessario, le procedure previste per l'autorizzazione da parte dell'amministrazione di appartenenza, ai sensi dell'articolo 7 della legge istitutiva.
  Formulo l'augurio di buon lavoro a tutti, ringraziandoli sin d'ora per il contributo che sapranno dare all'attività della Commissione.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Giommaria Cuccuru, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Giommaria Cuccuru, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari, nell'ambito del filone sull'applicazione dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell'audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streamingPag. 3 sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Do la parola al presidente Cuccuru, che ringrazio per la cortesia e per la disponibilità immediatamente manifestata, per lo svolgimento di una breve relazione.
  Presidente, noi abbiamo l'interesse, al netto della sua attività specifica nel tribunale di sorveglianza da lei presieduto, anche a valutazioni sull'attività dello stesso tribunale dirette ad approfondire il filone d'indagine relativo all'articolo 41-bis. Dico questo perché le sensazioni di un importante operatore e conoscitore delle dinamiche di un settore così peculiare per noi sono fondamentali. Le chiedo, dunque, come lei vive questo ruolo, considerando che, da fonti aperte, ci risulta che circa il 15 per cento dei detenuti al 41-bis risulta assegnato alle carceri di Sassari e Nuoro.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Purtroppo è così. Questo è un dato di fatto.
  So che è interesse della Commissione avere qualche chiarimento e qualche riflessione sull'articolo 4-bis.

  PRESIDENTE. Si tratta di un filone unico che comprende entrambi i temi del 41-bis e del 4-bis. Li abbiamo volutamente messi insieme per i motivi culturali che immagina.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Ringrazio della convocazione. Spero di esservi utile.
  Io inizierei con il 4-bis, una normativa che immagino sia di vostra conoscenza, quindi procedo velocemente. Prima della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, come sapete, vigeva una presunzione assoluta circa la pericolosità dei ristretti per reati inclusi nella prima fascia del 4-bis, quindi ad essi era vietato accedere ai benefìci penitenziari, incluso il permesso premio. La sentenza della Corte costituzionale, sollecitata più volte, è andata, invece, nel senso di far venir meno la presunzione di pericolosità assoluta, rendendola relativa. In questo modo tale sentenza ha aperto una finestra per questi detenuti onerandoli, comunque, di provare sia l'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, sia l'assenza di un pericolo di ripristino dei collegamenti laddove avessero accesso ai benefìci penitenziari.
  La Corte costituzionale non poteva stabilire le condizioni di accesso, per cui ha rimandato al legislatore l'individuazione dei requisiti per poter vincere la presunzione assoluta e renderla relativa. Nel periodo di interregno, considerato che la Corte costituzionale ha dato prima un anno di tempo, poi prorogato di altri sei mesi, i detenuti hanno iniziato a inoltrare le istanze di permesso premio, perché allora era riferita solo a questo beneficio penitenziario, e noi ci siamo dovuti confrontare con le istanze e con le allegazioni difensive che andavano a dimostrare l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e l'assenza di un pericolo di ripristino di questi collegamenti. In questo periodo di un anno e mezzo circa abbiamo avuto degli esiti favorevoli ai detenuti, laddove siano riusciti a dimostrare questi requisiti. All'epoca ci siamo avvalsi sostanzialmente dei pareri della questura e in base a quelli abbiamo proceduto a definire questi procedimenti.
  La normativa, tuttavia, era assolutamente lacunosa, tant'è che poi è stata riempita con un decreto-legge, poi convertito nella legge n. 199 del 2022. Questa legge ha codificato ed esemplificato i requisiti che aveva posto la Corte costituzionale. Questa presunzione diventa relativa e già nell'istanza di accesso al beneficio i richiedenti devono indicare la sussistenza di certi requisiti, devono allegare certe circostanze e devono essere in grado di provare le loro deduzioni. In particolare, come termine di base si è precisato che non è sufficiente il corretto comportamento carcerario per poter ottenere il beneficio penitenziario.
  Questo è un requisito assolutamente accettabile, perché sappiamo tutti che coloro che si comportano bene in carcere sono i mafiosi e sono coloro che si sono resi responsabili di reato di 4-bis. Quindi, questo requisito, che per gli altri è fondamentale, per loro diventa quasi superfluo. Si dà Pag. 4per scontato che si siano comportati bene durante la custodia in carcere, quindi occorre dimostrare altro. In particolare, lì si è onerati di dimostrare l'avvenuto risarcimento del danno in favore delle parti civili, o di aver adempiuto le obbligazioni civili che nascono da reato, o di essere nell'impossibilità di procedere a questo risarcimento, che è una prova molto impegnativa.
  Si consideri che, ai fini dell'ottenimento del beneficio, devono essere svolte indagini non solo sulla persona richiedente e sulle sue condizioni patrimoniali, ma anche sulle condizioni patrimoniali del nucleo di appartenenza. Quindi, è un requisito che va esteso anche al nucleo di appartenenza. Laddove ci si renda conto che il nucleo di appartenenza sia titolare di cespiti immobiliari o di possidenze che possano consentire un risarcimento, laddove non vi sia la prova che queste possidenze derivino da attività lecite, la presunzione che possano derivare e che siano anche di pertinenza del condannato può essere anche ragionevole.
  La prima cosa che bisogna dimostrare è di aver adempiuto le obbligazioni civili e la seconda giustificare il fatto che non si è collaborato con la giustizia. Questo è un aspetto fondamentale, peraltro già evidenziato dalla Corte costituzionale. Infatti, prima di questa modifica legislativa l'accesso ai permessi e ai benefìci era consentito, per i condannati di prima fascia di 4-bis, unicamente a chi collaborava con la giustizia o a chi, volendo collaborare, non poteva più farlo in quanto la sua collaborazione era ormai inutile, era inesigibile, sia perché i fatti erano stati tutti accertati, quindi non c'era più nulla da accertare, sia perché era in una posizione talmente di sottordine che non era in grado di chiarire ulteriormente gli aspetti relativi ai reati commessi.
  Quindi, attualmente uno degli elementi richiesti affinché si possa accedere al beneficio è quello di chiarire perché non si è collaborato con la giustizia. Questo è un aspetto molto delicato, perché la Corte costituzionale ha già chiarito che la mancata collaborazione non è di per sé ostativa all'accesso ai benefìci. Questo perché uno può anche non aver parlato per paura di ritorsioni contro i familiari, quindi chiarire questo aspetto può essere utile e dà, comunque, l'idea del posizionamento del soggetto rispetto a una cosca magari ancora vitale. Quindi, si tratta di un altro aspetto che deve essere chiarito nell'istanza da parte del condannato.
  Ci sono anche altri requisiti. Sono richieste anche allegazioni per quanto riguarda le iniziative in favore delle vittime, la cosiddetta «giustizia riparativa», che si collega al requisito, al quale ho accennato, che riguarda il risarcimento del danno in favore delle parti civili. Nel percorso carcerario, quindi, non solo si deve aver tenuto un corretto comportamento ma è necessario anche provare di aver preso in considerazione la posizione delle vittime del reato.
  Una volta che l'istanza è stata corredata da questi elementi, diventa ammissibile. In giurisprudenza su questo non tutti sono d'accordo, nel senso che qualcuno li richiede come requisiti di ammissibilità, qualcun altro, invece, li richiede come requisiti di merito, ovvero che si devono approfondire durante l'iter che porta alla definizione del procedimento. Dopodiché, ripeto, una volta che l'istanza ha questi requisiti e diventa, perciò, ammissibile, si apre la fase istruttoria, che è estremamente delicata. Questo perché bisogna chiedere dei pareri e i pareri vengono richiesti alle procure che si sono occupate della sentenza di condanna che è stata emanata, ma molte volte queste procure sono più di una, perché magari sono condannati con più sentenze.
  Fortunatamente è intervenuto un protocollo tra le direzioni distrettuali antimafia e la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo per cui adesso si chiedono i pareri obbligatori, che devono intervenire entro sessanta giorni, prorogabili, direttamente alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Spetta alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo provvedere ad acquisire tutte le informazioni utili presso i comandi delle forze dell'ordine – Guardia di finanza, Arma dei carabinieri, Polizia di Stato – dopodiché si attende la loro valutazione in base a questo parere, Pag. 5che noi vagliamo, dopodiché possiamo dar corso alla definizione del procedimento.
  Vi è, però, una peculiarità: laddove dai pareri e dalle indagini esperite emergano elementi negativi per il condannato, si apre una fase di contraddittorio. Finora il procedimento è stato svolto d'ufficio e il condannato non ha più saputo nulla degli esiti. Nel momento in cui, invece, dagli accertamenti svolti dalle forze dell'ordine dovessero emergere elementi di criticità che porterebbero a un rigetto dell'istanza di beneficio, si apre una fase di contraddittorio. Deve essere concesso al condannato un termine per replicare, il che postula che il condannato deve essere posto nella condizione di accedere al fascicolo e, quindi, di accedere all'informazione di polizia che abbiamo avuto.
  La norma non stabilisce un termine perentorio per le repliche da parte dei difensori. Noi, abitualmente, stiamo dando trenta giorni. C'è da dire che è successo più di una volta che l'acquisizione dei pareri abbia portato al contraddittorio con la difesa del condannato, che molte volte non è riuscita a contrastare utilmente queste valutazioni da parte della Direzione nazionale e quindi si sono visti negare il permesso.
  Altro aspetto di rilievo, secondo me, è la sopravvivenza dell'istituto della inesigibilità della collaborazione per quanto riguarda l'accesso ai permessi premio. Su questo esprimo una valutazione un po' critica, perché si potrebbe ritenere che questo istituto possa essere abrogato. Invece, una disposizione transitoria della legge n. 199 lo ha prorogato per i reati commessi ante legem. Quindi interessa tutti i detenuti.
  La criticità del mantenimento dell'istituto dell'inesigibilità della collaborazione, a mio avviso, sta in questo. Abbiamo di fronte un condannato per reati gravissimi, che può accedere al permesso premio o agli altri benefici, se leggo bene i primi rapporti di dottrina, in assenza di un'istruttoria rafforzata della sua istanza, perché verrebbe agevolato dal fatto che la sua collaborazione è diventata impossibile o inesigibile.
  Questo, però, molte volte dipende dal fatto che è stato preceduto nel tempo, nella collaborazione da altri e quindi non c'è alcun tipo di merito in questo. Noi dobbiamo agevolare una persona che ha atteso che altri parlassero, che si sono esposti, hanno rischiato tanto e concedere loro questa via maestra per accedere ai permessi premio? Io lo trovo incongruo. Come chi non ha avuto l'inesigibilità deve dare atto della mancata collaborazione e del perché non ha collaborato, anche questi potrebbero dire che è inutile collaborare perché tanto si sa già tutto e non collaborano solo per questo.
  La sua istanza, però, secondo me, deve essere assoggettata allo stesso rigore, allo stesso onere probatorio degli altri che non hanno potuto collaborare per altre scelte. Questo è un punto di criticità. La dottrina su questo punto sorvola e dice che si può mantenere questa strada, questo percorso agevolato come prima.
  Secondo me, con la nuova norma questo è incongruo. Si potrebbe anche abrogare completamente l'istituto, parificare le posizioni di chi motiva perché non collabora e non piuttosto di chi dice: «Io non posso collaborare perché si sa già tutto, perché altri l'hanno già fatto». Questo, in estrema sintesi, è quanto volevo dire sul 4-bis.
  Se ci sono richieste di chiarimento sul 4-bis sono a disposizione.
  Per quanto riguarda il 41-bis, sapete tutti qual è la sua genesi e gli scopi che si prefigge questa norma. Sostanzialmente si è ritenuto che in confronto a persone che hanno avuto ruoli di vertice nell'organizzazione di mafia, il regime ordinario penitenziario fosse insufficiente. Si è ritenuto di derogare, di sospendere il regime ordinario per questi detenuti e istituirne uno connotato da una maggiore severità.
  L'obiettivo era quello di recidere i rapporti tra questi condannati e il mondo esterno, in modo tale che le cosche non potessero più confidare sulla loro direzione o sul loro supporto. Lo scopo della norma è questo.
  Si è inciso essenzialmente sugli istituti carcerari che prevedono i contatti con il mondo esterno, tenendo presente che nell'ordinamento penitenziario i contatti con il mondo esterno e con i familiari in particolarePag. 6 sono ben visti, sono agevolati, perché si dice che preparino alla risocializzazione del condannato. In questo caso, invece, c'è un effetto opposto. Il contatto con il mondo esterno, con i familiari in particolare, può consolidare la cosca mafiosa e può consolidare la sua posizione all'interno della stessa. Quindi, c'è un taglio netto rispetto a questa possibilità. Questo si è fatto stabilendo nel decreto ministeriale di assoggettamento al regime di 41-bis delle regole particolari consentite da questa disposizione. In particolare, si è inciso nella materia dei colloqui, che è un aspetto fondamentale. I colloqui vengono ridotti di numero e cambiano in qualità.
  È previsto un colloquio con i familiari, con i congiunti, mentre i colloqui con gli estranei sono vietati, salvo casi eccezionali. Intanto si è limitato il numero delle persone con cui avere colloquio. Si è limitato il numero dei colloqui e in più si è stabilito che i colloqui siano videoregistrati. Possono essere interrotti, se c'è qualcosa che non va, da parte dell'operatore. Inoltre, per evitare il passaggio di qualsiasi oggetto, messaggio, eccetera durante lo svolgimento del colloquio è previsto che questi avvengano mediante l'apposizione di un vetro divisorio. Il detenuto in regime di 41-bis non ha possibilità di entrare in contatto fisico con l'interlocutore.
  In alternativa al colloquio, possono essere fatte delle telefonate e anche queste sono registrate. Chiaramente le telefonate vengono svolte dalla sede del 41-bis in una sede carceraria in cui si deve recare il congiunto. Questa è la principale limitazione per quanto riguarda il regime del 41-bis.
  Vi sono poi altre prescrizioni in materia di censura. Ovviamente, i contatti con il mondo esterno si recidono anche con un'attenta censura della corrispondenza. Noi deleghiamo un ufficio censura esistente nel reparto 41-bis, che verifica tutta la corrispondenza in arrivo e in partenza. Laddove ci sia il sospetto da parte di questi operatori di qualcosa che non va, di un messaggio celato, ci rimettono la corrispondenza, che provvedono a bloccare momentaneamente. Avverso questo blocco, il detenuto ha facoltà di ricorrere davanti a noi e poi si deciderà in conformità di legge secondo la situazione caso per caso.
  Per quanto riguarda le altre restrizioni, di recente la Corte costituzionale ha fatto venir meno una restrizione in materia di numero di ore d'aria per i detenuti in regime di 41-bis. C'è da premettere che più volte la Corte costituzionale ha evidenziato che le restrizioni possibili in danno del 41-bis, quindi le deroghe al regime ordinario, devono essere giustificate da esigenze di sicurezza, non devono essere giustificate dalla volontà di penalizzare ulteriormente chi è già privato della libertà personale.
  Tutte le restrizioni che la norma prevede al 41-bis nei vari commi devono avere la funzionalizzazione ad esigenze di sicurezza. Nel momento in cui si verifica che questa corrispondenza non c'è, allora si apre un problema di costituzionalità della disposizione per violazione delle norme costituzionali e in particolare del principio di uguaglianza, articolo 27, o a volte articolo 32 della Carta costituzionale.
  In base a questo ragionamento, nel corso degli anni ci sono state varie sentenze di declaratoria di incostituzionalità del 41-bis nei vari commi. Ricordo, da ultimo, il divieto di approntare i pasti, di cucinare o di scambiare oggetti con il gruppo di socialità. Apro una parentesi su questo. Il regime del 41-bis è caratterizzato, come dicevo, dalla chiusura delle possibilità per il detenuto di contatti con l'esterno. Si è ritenuto che questo dovesse essere talmente grave da precludere al detenuto in 41-bis di avere contatti anche con i colleghi di detenzione, salvo altri tre soggetti con cui compone il nucleo di socialità.
  Attualmente, i gruppi di socialità dei detenuti sono quattro e sono formati dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria (DAP) in base al profilo di ogni detenuto, in modo che non ci siano possibilità di rafforzamento dei clan o alleanze. È una individuazione ad hoc che fa il DAP. Il detenuto in 41-bis può avere contatti solo con altri tre detenuti in regime di 41-bis e non con gli altri. Si è posto poi il problema della possibilità di scrivere ad altri 41-bis, previo parere della Direzione nazionale antimafiaPag. 7 e antiterrorismo (DNAA). Questi, però, sono altri aspetti di dettaglio. L'importante è che abbiate chiaro il fatto che nei reparti di 41-bis a Sassari, come anche negli altri, ci sono i nuclei di socialità di quattro persone. Tra essi viene fruita un'ora di socialità e, fino all'altro giorno, altre due ore d'aria. Ho detto fino all'altro giorno perché la Corte costituzionale, in applicazione del principio che dicevo prima, cioè che ogni limitazione deve essere funzionale a esigenze di sicurezza, ha ritenuto che la limitazione a due ore d'aria rispetto alle quattro del regime ordinario non fosse costituzionalmente conforme e quindi ha dichiarato la norma incostituzionale. Al momento il DAP si sta «attrezzando» ad emanare una circolare in cui ci si adegua a questo nuovo dato e quindi anche i detenuti del 41-bis avranno quattro ore d'aria.
  Vengo ad altri aspetti particolari per quanto riguarda restrizioni in materia di possibilità di acquisto, ottenere soldi, eccetera. Il peculio per il 41-bis è ridotto, non possono comprare e spendere quello che vogliono. È garantito loro l'accesso agli studi, l'accesso ai volumi, alla biblioteca. Non è garantito loro, anzi è vietato ad essi ricevere quotidiani dalla zona di provenienza, perché si vogliono recidere completamente anche le informazioni in ingresso. Inoltre c'è un problema molto delicato per quanto riguarda gli acquisti che possono fare. Qui si verifica, purtroppo, una cosa che ci sta creando molti problemi a livello giurisdizionale, nel senso che ai detenuti è consentito acquistare in cosiddetto «regime di sopravvitto» anche altri oggetti oltre ai generi alimentari in base al modello 72. Il modello 72, purtroppo, non è omogeneo a livello nazionale e quindi abbiamo dei detenuti in regime di 41-bis che vengono da Cuneo, Novara, eccetera, che potevano acquistare certi prodotti e a Sassari non lo possono fare oppure viceversa. Abbiamo sollecitato più volte il DAP affinché questa che ritengo sia una anomalia venga superata e che si predisponga un modello 72 uniforme in modo da evitare questo contenzioso.
  Un altro aspetto delicato in merito a questa materia è il fatto che, a livello di Corte di cassazione, non sempre c'è uniformità di giudizio riguardo alla emergenza di diritti soggettivi in capo al detenuto del 41-bis. Noi abbiamo due disposizioni, l'articolo 35 e il 35-bis.
  L'articolo 35-bis stabilisce una tutela a fronte dei diritti soggettivi del detenuto con provvedimento del magistrato di sorveglianza che può imporre un obbligo all'amministrazione; obbligo che, ove non attuato, è suscettibile anche di un giudizio di ottemperanza. C'è poi l'articolo 35, che consente al magistrato di sorveglianza di definire de plano i reclami laddove non ritenga di ravvisare una violazione di un diritto soggettivo del detenuto. Purtroppo è così. Forse una casistica sarebbe non dico inutile ma quasi, nel senso che in materia di diritto alla salute, all'alimentazione e all'istruzione si è sempre in materia – ritengo – di diritti soggettivi.
  La Corte di cassazione però afferma che occorre valutare caso per caso, perché se il potere amministrativo, e quindi la circolare del DAP o il provvedimento della Direzione, non incide essenzialmente sul diritto, ma ne regola l'esecuzione e lo svolgimento, allora siamo in materia di articolo 35 e quindi non c'è un diritto soggettivo vero e proprio tutelabile davanti al magistrato di sorveglianza. Però, ripeto, sul punto la Corte di cassazione oscilla tra due diverse posizioni. Ogni tanto ci dice che sulla possibilità di avere nel pacco che ricevono mensilmente i detenuti questo prodotto non siamo in materia di diritto soggettivo e quindi quel prodotto può anche non passare, molte volte si tratta di generi alimentari, altre volte ci dice, invece, che in materia di alimentazione c'è sempre un diritto soggettivo e quindi va fatta tutta la procedura dell'articolo 35-bis.
  C'è una fase delicata, però, che comporta di verificare se le limitazioni che pone l'amministrazione all'esercizio di questo diritto vanificano il diritto oppure ne regolamentano solo l'esecuzione. È un aspetto molto delicato che ci sta creando molti problemi, perché gli avvocati ritengono sempre che anche una minima alimentazione in realtà svuoti di contenuto il diritto soggettivo del detenuto.Pag. 8
  Gli aspetti che riguardano la sorveglianza di Roma non li curerò, perché si tratta dell'opposizione al decreto impositivo del regime. C'è un aspetto alquanto complicato, che ci sta creando un po' di problemi. Nel caso di proroga del regime, e quindi con opposizione proposta davanti al tribunale di sorveglianza di Roma, il detenuto si vede arrivare questa proroga ed ha, mi sembra, venti giorni per reclamarla davanti al tribunale di sorveglianza di Roma. Il detenuto legge il contenuto del decreto e si rende conto che magari nel decreto sono confluiti trattenimenti di corrispondenza o magari intercettazioni di colloqui fatti con i familiari da cui si ricaverebbe che è ancora contiguo, eccetera. Chiede la copia degli atti e la copia degli atti non gli viene mai data, assolutamente, perché si accampano aspetti di segretezza, anche se riguardano la persona detenuta. Lui si trova, quindi, a dover reclamare contro la proroga avanti al tribunale di sorveglianza di Roma al buio; dice che questo o quant'altro non è vero, ma non riesce ad articolare una difesa compiuta rispetto a questo provvedimento.
  Come si dice in giurisprudenza, poco male, tanto eventualmente quei documenti possono essere acquisiti d'iniziativa da parte del tribunale di sorveglianza di Roma se lo ritiene opportuno. A mio avviso, c'è un piccolo vulnus del diritto della difesa, ma questa è una questione complicata da risolvere in questa sede.
  Avrei finito per ora. Resto a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Le faccio qualche domanda più specifica su alcuni suoi passaggi.
  Sulla prima parte riguardante il 4-bis, rispetto al suo punto di vista privilegiato, può dirci se i detenuti che formulano domanda di concessione dei benefici hanno poi effettivamente assolto all'obbligo di adempimento delle obbligazioni civili e di depurazione pecuniaria conseguenti alla condanna? Quali accertamenti normalmente vengono svolti sui familiari? Nel caso in cui gli accertamenti dicano l'impossibilità di questo adempimento, come viene dimostrata questa impossibilità?
  Sempre relativamente al 4-bis, le leggo un virgolettato: «Sono specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza». Quali sono questi elementi che normalmente vengono considerati specifici, diversi e ulteriori per sostenere la concessione dei benefici, esattamente come previsto dalla modifica del 4-bis?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Per quanto riguarda le obbligazioni civili, come ho detto prima, è un onere loro dimostrare di avervi provveduto oppure di essere nell'impossibilità di farlo.
  Di solito, quando è fatta da un legale, viene prodotta una visura. Si tratta molte volte di persone che sono ristrette da venti, venticinque anni – è il caso di Tempio, soprattutto, dopo c'è l'alta sicurezza – che hanno avuto come proventi solo quelli del lavoro carcerario, quindi non hanno praticamente nulla.
  Come dicevo prima, siccome dimostrare un dato negativo viene difficile, io più che produrre che non ho immobili, non ho possidenze non posso fare, però questo a noi non basta, perché ci rendiamo conto che i beni possono essere intestati ad altre persone prestanome. Quindi, grazie alle indagini della DNAA e della direzione distrettuale antimafia (DDA), che si serve della Guardia di finanza soprattutto, andiamo a vedere se corrisponde al vero che non solo lui, ma anche i componenti del nucleo familiare non possiedono nulla. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare siano invece possidenti o comunque abbiano un tenore di vita ingiustificato rispetto a quanto dichiarato fiscalmente, riteniamo che non sia superata la presunzione di non poter adempiere alle obbligazioni civili.
  Per quanto riguarda, poi, gli elementi significativi a cui fare riferimento, oltre alla condotta carceraria irreprensibile, riteniamo che sia opportuno che non ci siano rimesse di danari di un certo importo da far presumere che ricevano il mese dalla Pag. 9cosca di appartenenza, né loro né i familiari, oppure – parlo del 4-bis non del 41-bis – che abbiano tenuto nel corso del periodo una corrispondenza solo con persone non coinvolte in questioni di mafia. Questi sono gli elementi peculiari.

  PRESIDENTE. Grazie. Le ho fatto queste domande perché non sfugge a questa Commissione, che sta già lavorando e ha fatto anche una visita al carcere dell'Aquila, che è molto complicato che un mafioso faccia la dichiarazione dei redditi. Fondamentalmente è difficile sostenere questa tesi e spesso nemmeno i familiari fanno la dichiarazione dei redditi perché i soldi in genere sono in nero o dalla cosiddetta «bacinella». È una delle cose che ci mette più dubbi.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Infatti è essenziale fare bene le indagini delegate alla Guardia di finanza, che deve andare a vedere il tenore di vita dei congiunti.

  PRESIDENTE. Le ho fatto la seconda domanda perché, dal punto di vista della Commissione parlamentare antimafia, e penso di poter parlare a nome di tutti, è difficile dimostrare che un mafioso che non si pente e che non ha un altro modo, al netto della cosiddetta «collaborazione impossibile», non sia più un mafioso. Almeno dal nostro punto di vista, la buona condotta o il fatto che non riceva soldi tutti i mesi stride rispetto ai nomi che abbiamo visto e che sono ristretti quando si tratta di mafia.
  Vengo alle domande relative al 41-bis. Una me l'ha anticipata lei facendo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale. Vorrei un parere spassionato. Lei non crede che aumentare le ore d'aria possa, da un lato, portare a più possibilità di socialità e quindi di detenuti che si parlino tra di loro nelle ore d'aria e, dall'altro, che è un particolare che non può essere sottovalutato, mette di nuovo in difficoltà la Polizia penitenziaria che deve evitare questo, con un dispiegamento di forze? Questa stessa obiezione sulla Polizia penitenziaria gliela faccio anche rispetto a quella che lei ha citato come telefonata, ma che noi abbiamo visto essere ormai, dopo il Covid, dei videocollegamenti, in quanto molti suoi colleghi sostengono che vadano incentivati perché più sicuri.
  A noi risulta non solo che non sia proprio così sicuro, ma che sia un dispendio di forze per la Polizia penitenziaria all'interno dell'istituto penitenziario molto importante e che, quindi, ancora una volta, si rischia di indebolire la sorveglianza, durante il videocollegamento, all'interno dei reparti per aiutare di fatto il familiare e non lo Stato, in quanto il familiare evita di fare il viaggio con conseguente risparmio economico, mentre lo Stato ha lo stesso dispendio, se non di più, di Polizia penitenziaria.
  Inoltre, anche sull'ex 35-bis ci sono delle disparità incredibili e quindi, come sempre, «fatta la legge, trovato l'inganno». Se c'è uno più bravo – e anche qui abbiamo visto che c'è uno più bravo a infilarsi in queste maglie – può avere diritto a tutto. Quindi, invece di avere una cella nel 41-bis, in alcune occasioni, dentro quelle celle ci sono dotazioni al limite del lusso.
  In tutta questa costruzione non ha la sensazione che ci sia su questa misura un allentamento pericoloso, che rischia anche di indebolire la collaborazione?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Per quanto riguarda le ore d'aria, sono colpevole di aver sollevato la questione. Questo al fine di chiarire meglio qual è la situazione. Non credo che ci sia questo rischio, perché, ripeto, il gruppo di socialità è formato da quattro persone. Si rifletta sul fatto che se noi possiamo parlare per due ore e vogliamo combinare qualcosa di brutto possiamo trovare accordi in cinque minuti, non in due ore. Ci mettiamo cinque minuti al giorno. Il fatto che invece di due ore possiamo parlare per quattro, secondo me, non cambia nulla, assolutamente nulla. È una penalizzazione che non aveva alla base, secondo me, ragioni di sicurezza. Dico questo anche per una questione pratica.
  Non tutti i reparti del 41-bis sono fatti allo stesso modo, però a Sassari più o meno la conformazione è questa. Ci sono dei Pag. 10varchi e ci sono quattro celle che danno tutte su un cortile passeggi. Le celle sono separate da un tramezzo. Si apre la finestra e ci si parla tutto il giorno, letteralmente tutto il giorno, senza difficoltà. Ripeto, si tratta di quattro persone scelte dal DAP. Il DAP le ha selezionate, quindi ritiene che non ci siano rischi per la sicurezza se queste si possono parlare. Non aveva senso dire quattro ore o due ore quando queste persone, ripeto, si potevano parlare sempre.
  Al di là del caso di Sassari, anche per quanto riguarda gli altri istituti in cui magari non c'è questa informazione fisica del reparto, in ogni caso, ripeto, non è l'entità delle ore che abbiamo a disposizione per parlare che genera rischi per la sicurezza. I rischi per la sicurezza sono determinati solo dal fatto che quelle quattro persone siano state scelte male dal DAP per stare insieme. Questo è il vero nucleo. Se l'amministrazione le ha scelte bene, si possono parlare anche per sei ore, non c'è nessun tipo di rischio, secondo me.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, in teoria, però, non si potrebbero parlare dalla finestra.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Di fatto si parlano.

  PRESIDENTE. Non ci sta dando una bella notizia.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. La notizia è neutra, nel senso che...

  PRESIDENTE. Non è neutra, perché l'applicazione non prevede che loro si parlino.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. È chiaro che non lo prevede, però, ripeto, questa è la conformazione del reparto. Loro si parlano almeno per due ore durante l'ora d'aria e nell'ora di socialità. Sono tre ore in cui potevano avere dei colloqui tra loro. Si parlavano per tre ore. Il fatto che invece che tre si parlano per cinque ore, secondo me, e anche secondo la Corte, non pregiudica la sicurezza pubblica. Ripeto, quello che possono combinare in dieci minuti lo possono combinare in due ore. Non è questo il punto, secondo me. Poi prendo atto di quello che si decide.
  Per quanto riguarda la questione dei video colloqui per il 41-bis, dopo il Covid la Corte di cassazione ha ritenuto di doverli confermare essenzialmente nel caso in cui il congiunto si trovi nell'oggettiva impossibilità di recarsi al carcere per fare il colloquio, e si parla essenzialmente di ragioni di salute del familiare. Se il detenuto, quindi, dimostra che il congiunto è impossibilitato a muoversi e a raggiungerlo a Bancali o nel carcere, si apre la via al video colloquio.
  Io non so se il video colloquio oneri l'amministrazione di adempimenti aggiuntivi rispetto al colloquio ordinario, perché anche il colloquio ordinario in carcere prevede cautele di sicurezza: è previsto che il familiare venga accolto in una sala d'aspetto, venga perquisito, venga scortato fino alla saletta colloquio, eccetera. Non so se gli adempimenti da parte della Polizia penitenziaria siano di più o di meno con il video colloquio. Il video colloquio è sempre registrato, è sempre in video, nel senso che lo abbiamo lì. Certo, sta molto all'abilità dell'operatore interromperlo nel caso in cui ci siano espressioni, facciali o verbali, di un certo tipo.
  Per quanto riguarda il 35-bis alzo le mani, perché è una giurisprudenza in evoluzione. Non possiamo dire che ai detenuti al 41-bis non siano riservati diritti. Li hanno. Non dobbiamo fare né opera di agevolazione né di contenimento rispetto a questi diritti. La bussola che abbiamo è quella che ci ha indicato la Corte costituzionale: tutto ciò che è sicurezza giustifica la restrizione, tutto ciò che non è sicurezza non giustifica la restrizione.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  SAVERIO CONGEDO. Grazie. Ringrazio il presidente Cuccuru per l'esposizione.
  Vorrei una sua valutazione in particolare sul 41-bis. Lei ha elencato una serie di restrizioni che riguardano i detenuti al 41-bis, con la compressione anche di alcuni diritti, che lei ha citato. È opinione diffusa, peraltro ci era stata anche confermata da alcuni procuratori delle direzioni distrettuali antimafia, che nonostante il regime del 41-bis i boss riescono a impartire ordini dal carcere, a riaffermare la loro leadership su gruppi criminali, addirittura a gestire affari illeciti.
  Al netto di alcune criticità, che anche lei ha evidenziato, che però non dipendono dalla normativa, che ultimamente è stata, anzi, resa più restrittiva dal decreto-legge del dicembre 2022 sul carcere ostativo, al netto di alcune criticità strutturali che dipendono dai reparti delle carceri – ha detto che riescono a parlarsi addirittura da una cella all'altra – la normativa, secondo lei, è efficace?
  Andrebbe migliorata e resa ancora più restrittiva? Ha delle falle che possono essere utilizzate dai detenuti in 41-bis? Oppure l'idea che nonostante il regime del 41-bis riescano ad esercitare la loro leadership criminale la ritiene una valutazione priva di fondamento?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Io la ritengo priva di fondamento. Rispetto all'opinione che si sono fatti alcuni procuratori, vorrei vedere i casi. Non mi risulta proprio che ci siano delle falle che consentono ai detenuti al 41-bis di governare ancora la cosca o di dare indicazioni.

  PRESIDENTE. Il maxi arresto a Palermo di qualche settimana fa racconta il contrario.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. No, mi scusi, il 41-bis no. Non è 41-bis a Palermo.

  PRESIDENTE. Parliamo di boss che mantengono...

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. No, parliamo di 41-bis ora.

  PRESIDENTE. Io mi riferisco a un'indagine che parla di boss che, ripetutamente detenuti, quando liberi riprendono a delinquere.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Il 4-bis sì, ma io parlo di 41-bis, e questo mi sento di escluderlo. La corrispondenza è sottoposta a censura, i colloqui sono videoregistrati, non si possono privare dei colloqui e non si può privare il detenuto della corrispondenza. Questo mi sembra scontato.
  Secondo la mia opinione, ma è una cosa delicata da dire, l'unica falla vera in questo sistema è la classe forense: i colloqui con gli avvocati non possono essere né registrati né videosorvegliati, nulla. Molto è nelle mani della professionalità dell'avvocato che assiste il detenuto. È un diritto insopprimibile, però, quello della difesa, del colloquio difensivo. È un momento delicatissimo, ma se proprio devo individuare una falla, un rischio sono lì.
  Ripeto, io vorrei vedere i casi, perché mi sembra stranissimo. Il 41-bis ha un regime severissimo, che evita davvero i contatti con il mondo esterno. Non so proprio in base a quale disposizione ulteriore si potrebbero vietare ancora di più, renderli ancora più gravosi. Vogliamo proibire i colloqui? Non si terrebbe mai un 41-bis senza i colloqui con i familiari, sarebbe dichiarato subito incostituzionale.

  VINCENZA RANDO. Presidente, ho ascoltato con interesse sia la sua relazione sia le sue considerazioni. Rispetto al 4-bis vorrei capire alcune cose. Intanto, secondo la sua esperienza, quante richieste sono pervenute e quante respinte e, al contrario, quante accettate dal suo tribunale?
  Vorrei capire meglio un altro aspetto circa gli oneri probatori nelle istanze che vengono depositate. Lei diceva che i mafiosi normalmente in carcere si comportano bene, e questa è già di per sé una prova. Rispetto al rapporto che aveva all'interno del gruppo Pag. 12malavitoso già esistente, le questure o chi fa le relazioni danno rilievo all'importanza che riveste l'istante nell'ambito del gruppo malavitoso di appartenenza e al rilievo che questo gruppo gioca nell'ambito criminale? Questo è importante. È vero che nell'istanza di spezzare qualsiasi riferimento anche ai familiari, però di fatto quanta portata ha quel gruppo malavitoso in quel territorio? Per quello che conosciamo delle mafie, quando si ha una forte portata nel territorio, se non si collabora, quando si esce si viene cercati. Vorrei capire se questo è un elemento importante che viene valutato e come viene valutato, quali sono le relazioni che possono farlo valutare.
  L'altro aspetto, che poneva la presidente, riguarda la parte risarcitoria. Noi sappiamo che la parte risarcitoria rispetto ai detenuti di mafia – il risarcimento danni – spesso è rappresentata dalle vittime, che nei processi di mafia spesso sono risarcite con il fondo nazionale. In questo caso il fondo nazionale ha già risarcito le vittime, quindi qual è l'altro tipo di risarcimento che si chiede, la prova del risarcimento avvenuto o non avvenuto?
  Un'altra domanda: come si sostanzia per loro e qual è la prova che devono dare rispetto al percorso di giustizia riparativa? Il colloquio fatto con l'educatore, il colloquio fatto con la vittima. Spesso molte di queste persone che devono fare istanze propongono – è capitato – a un'associazione o a più associazioni di voler risarcire il danno. Questo è determinante o, comunque, è una concausa importante nella valutazione dell'accoglimento del permesso premio?
  Inoltre, come viene giustificata nella sua esperienza la collaborazione impossibile? Sono d'accordo con quanto lei diceva, che forse bisogna avere più rigore anche nella prova della collaborazione impossibile o inesigibile. Perché non hai collaborato? Perché non ho più nulla da dire, perché quello che racconto non ha rilevanza? Come viene valutata? Non ho collaborato perché avevo paura, è scontato; ma se vuoi veramente rompere con il sistema mafioso devi collaborare.
  Quale valutazione si fa, nell'esperienza di un tribunale di sorveglianza che sta in campo?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Per quanto riguarda l'istruttoria rafforzata, a cui ho fatto riferimento prima, la stessa trova utilità nel momento in cui noi dobbiamo vedere se davvero l'istante, il condannato che ha proposto istanza di misura alternativa sia davvero distaccato dal contesto criminale di provenienza. Ripeto: molte volte sono detenuti che hanno dieci, quindici, venti anni di detenzione e nel frattempo la situazione locale, per quanto riguarda la malavita, il gruppo malavitoso, non c'è più perché magari qualcuno ha parlato, quindi o sono tutti dentro o sono stati soppiantati da altri.
  Noi chiediamo le informazioni e i pareri alla DNAA e alla DDA, che incaricano le forze dell'ordine locali. Abbiamo, quindi, una fotografia della situazione per quanto riguarda le cosche nel territorio nel momento in cui dobbiamo decidere. Di solito ci dicono che magari non c'è più quel gruppo, però ci sono altri gruppi collaterali. La cosca, quindi, è ancora lì che domina, è ancora operativa.
  Noi ci dobbiamo fermare qui, nel senso che, una volta che sappiamo che la cosca è ancora operativa, non diamo più i permessi a nessuno? Se così fosse non uscirebbe più nessuno, perché le cosche ci sono ancora: magari fanno riferimento ad altre persone, ma ci sono ancora, è indubbio questo. Noi dobbiamo fare un lavoro di cernita, di valutazione attentissima di questa situazione. Solo qualche volta siamo riusciti a collegare il detenuto alla cosca operativa.
  Di recente è successo che il figlio del detenuto andava ancora in giro nel paese in cui sono stati commessi reati a vantarsi di essere il figlio del boss, a commettere reati e, sostanzialmente, a ricevere favori in quanto figlio del boss. In quel contesto, un permesso premio al detenuto è assolutamente da escludere, quindi lo abbiamo respinto: vuoi rientrare in un territorio in cui ancora tuo figlio si vanta di essere «il figlio di» e il tuo nome conta ancora al Pag. 13punto tale che grazie al tuo nome lui riceve benefici?
  È un'attività molto difficile.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa se mi intrometto, ma il fatto che il figlio del boss vanti il nome del padre non è già di per sé un motivo per non concedere un beneficio?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Infatti, l'ho appena detto.

  PRESIDENTE. Non che lo faccia al suo paese...

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. L'ho appena detto.

  PRESIDENTE. Questo dimostra proprio l'assenza di quel taglio netto che ci si aspetta...

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Un attimo. Il detenuto irreprensibile, mai detto nulla. Sono le indagini...

  PRESIDENTE. Ho capito, ma il figlio non è cresciuto da qualcun altro, in linea di massima.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Infatti, ripeto, siccome il contesto familiare era quello e non era cambiato nulla per quanto riguarda noi, abbiamo ritenuto che fosse assolutamente inopportuno e non meritevole di permesso, neanche di un beneficio, un condannato con un contesto familiare ancora coinvolto pesantemente in attività di mafia. Questo grazie alle indagini fatte anche a livello locale. Queste indagini si fanno e devono essere valutate attentamente, fermo restando – ripeto – che se dobbiamo avere come punto centrale il fatto che la cosca non ci sia più allora non va più nessuno in permesso, perché le cosche ci sono ancora. Questo è sicuro. Dobbiamo prendere atto di questo.

  PRESIDENTE. Presidente, capisce che questo è il punto? Se la cosca c'è, io devo avere la prova che lui, tornando a casa, anche solo per un permesso, non vada dalla cosca. Questo è il tema che noi ci poniamo.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Dovremmo avere la sfera di cristallo.

  PRESIDENTE. No, esiste la giustizia per questo, esistono le forze di polizia che fanno degli accertamenti.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Noi ci basiamo sugli accertamenti e loro ci dicono, nel 99 per cento dei casi, che la cosca è ancora «operativa». Noi, però, dobbiamo valutare se il detenuto che dopo vent'anni di carcere – dopo aver fatto un percorso trattamentale, magari ha studiato, si è laureato, eccetera – manifesta chiaramente il distacco dalla cosca sia credibile o meno, se c'è il rischio che riprenda o meno i contatti. Siamo vicini alla sfera di cristallo. Altrimenti dobbiamo dire che questa presunzione assoluta permane. Dire che non si può dare il permesso nel momento in cui nel territorio c'è ancora la cosca è una preclusione assoluta che si ripristina, perché sarà così sempre. In nessun caso è stato detto che nella zona va tutto bene e non c'è più criminalità, io non ho visto nessun caso del genere.

  PRESIDENTE. Le faccio un esempio – tanto è noto – che mi suggeriscono: Attanasio ha tre lauree, ma questo non è un motivo per uscire.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Presidente, Attanasio può avere tre lauree, ma ha un 41-bis...

  PRESIDENTE. Ha la sedia ergonomica e mille possibilità di dare fastidio all'amministrazione penitenziaria e di indurre gli altri detenuti al 41-bis a fare le stesse assurde richieste che fa lui. Sarà un caso limite, tutto quello che vuole, ma quello che Pag. 14interessa dal punto di vista della Commissione è capire se gli strumenti che sono stati introdotti a seguito della Corte per quello che riguarda il 4-bis e per quello che riguarda l'applicazione del 41-bis sono e restano effettivamente impenetrabili oppure no. La sensazione che abbiamo noi, per il percorso che stiamo facendo, è che non sia così, perché sul 4-bis le maglie sono troppo allentate, dai numeri che abbiamo visto e dalle possibilità che vengono date, senza tenere conto di quei paletti che sono stati messi. Se sui soldi non possiamo controllare perché la dichiarazione non c'è, se sul tenore di vita non è detto perché può essere in nero, insomma i paletti vengono tutti meno, quindi il 4-bis diventa facilmente avvicinabile da chiunque.
  Se con il 41-bis si parlano dalla finestra e – come abbiamo visto in alcune occasioni – si parlano addirittura dalla cella, perché la porta deve essere aperta, e magari sono due sorelle, che non hanno nemmeno bisogno di parlare, basta che si guardino per farlo, la sensazione che arriva a questa Commissione è che forse c'è un allentamento su queste misure, che ci preoccupa.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Scusi, sul 41-bis non è cambiato nulla, non c'è un allentamento delle misure. Il 41-bis è stato aggravato, nel senso che si è messo nero su bianco che per il 41-bis è vietato l'accesso, finché dura il regime, ai benefici, si è posto un punto fermo, che prima era di derivazione giurisprudenziale e ora è codificato.
  Per il 41-bis c'è stata questa apertura della Corte costituzionale, che – ripeto – dal punto di vista della sicurezza, secondo me, non ha alcun tipo di incidenza.
  Se lei mi dice di aver saputo che un 41-bis governava dal carcere io rimango sorpreso, vuol dire che qualcuno è corrotto e fa uscire queste cose, ma è una disfunzione, non è nel sistema, perché il sistema è congegnato in modo tale che, se applicato bene il 41-bis, non esce nulla.

  VINCENZA RANDO. Invece sulla mancata collaborazione qual è la giustificazione? «Ho paura» o cos'altro? In base all'esperienza.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. In base all'esperienza, la giustificazione è «ho paura».

  VINCENZA RANDO. Però la stessa persona che ha paura magari chiede il permesso per andare nello stesso territorio in cui c'è ancora il gruppo malavitoso?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Assolutamente sì.

  VINCENZA RANDO. Quindi, nella logica della mafia...

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. «Io non ho parlato perché ho paura per i miei congiunti, non ho collaborato per paura delle ritorsioni, perché la cosca c'è ancora o, comunque sia, c'è qualcuno che si vuole vendicare. Se tiro in ballo delle persone che l'hanno fatta franca – volgarmente parlando – mi espongo a ritorsioni, per me e per la mia famiglia». Questa è una giustificazione che viene accampata quasi sempre da chi non parla. Poi ci sono quelli che dicono che, anche se parlano, è inutile perché si sa già tutto, e mi sono già espresso sull'inopportunità di mantenere questo istituto.
  Per quanto riguarda la giustizia riparativa, ripeto, una volta che dalle indagini viene fuori che davvero non possono risarcire perché non c'è nulla di aggredibile, non c'è nulla che possono spendere o vendere per risarcire il danno... Fermo restando che per i reati di mafia il risarcimento molte volte viene rifiutato. Noi abbiamo avuto detenuti condannati per omicidio che hanno inteso risarcire con collaborazioni o donazioni a Libera e volontariato in favore di questa associazione.

  RAOUL RUSSO. Ho alcune domande sempre sul 4-bis. I tempi con i quali vengono disposti i vari accertamenti, chiesti – se ho ben compreso – attraverso questo protocollo con la DNAA, sono tempestivi, Pag. 15sono completi? Vorrei conoscere una casistica sulla tempistica.
  Inoltre, vorrei sapere se esistono casistiche sulle impugnative dei provvedimenti concessori. Per quanto riguarda le revoche, le chiedo in che percentuale esistono e quali sono le motivazioni di queste revoche, atteso che, evidentemente, se si è deciso di concedere questo beneficio, il monitoraggio dell'efficienza di questa norma deriva anche dalla quantità delle revoche che vengono esercitate e dalla qualità, cioè dalla motivazione delle revoche stesse.
  In altre parole, tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento ci serve anche a comprendere esattamente dove eventualmente esiste una falla in questo sistema, dal momento che da notizie giornalistiche si apprende che una percentuale importante di persone utilizzano lo strumento del beneficio per tornare a delinquere.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Per quanto riguarda i tempi degli accertamenti, una volta che il detenuto inoltra l'istanza con i documenti allegati mandiamo il tutto alla Direzione nazionale e alla direzione distrettuale per il prescritto parere. Le direzioni hanno sessanta giorni di tempo, prorogabili per ulteriori trenta. In tutto, quindi, sono tre mesi di tempo per l'istruttoria.
  Debbo dire che i tempi vengono solitamente osservati e le indagini, ripeto, sono delegate alle forze di polizia e alla Guardia di finanza su tutti gli aspetti che il detenuto ha indicato in istanza. La Direzione nazionale e quella distrettuale hanno copia dell'istanza, valutano gli elementi sui quali fonda l'istanza il detenuto e su quelli forniscono il parere. Tenete presente che loro hanno molte volte il polso della situazione, nel senso che hanno indagini in corso su quella cosca o su quella che è subentrata, quindi ci danno un parere congruo, rispettando i tempi.
  La normativa prevede che queste indagini vengano ripetute ogni tre mesi. La norma non era chiarissima sul punto: prima si riteneva che le indagini dovessero essere rinnovate dopo tre mesi dall'ultimo permesso eseguito, ora invece si è creata una giurisprudenza, un orientamento abbastanza unitario, nel senso che, invece, di fatto, viene richiesta la rinnovazione, daccapo, delle indagini. Nel momento in cui abbiamo la nuova istanza del detenuto e sono passati tre mesi da quella precedente, noi dobbiamo richiedere il parere, quindi si ripete l'accertamento.
  Le impugnazioni sono possibili, chiaramente, da parte della procura, del beneficio, sia di quello che può dare il tribunale sia quello del magistrato di sorveglianza, e i tempi di definizione, per quanto riguarda Sassari, sono abbastanza contenuti: un permesso entro tre mesi viene deciso anche nella fase di reclamo. Abbiamo avuto qualche revoca, mi sembra una revoca in particolare, se non ricordo male, per un contatto telefonico di un detenuto in regime di permesso premio. Il regime di permesso premio non comporta che puoi fare quello che vuoi, ci sono delle prescrizioni da osservare: c'è stato un contatto telefonico con una persona pregiudicata e mi sembra ne sia derivata proprio la revoca del beneficio.

  RAOUL RUSSO. Quindi, le revoche solo in questo caso e non ci sono state revoche frutto di inchieste perché la persona è tornata a delinquere?

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. No, questo non ci è successo. Non lo posso escludere, ma da noi non è mai successo.

  FRANCESCO GALLO. Ha stimolato una mia curiosità, che mi porto dietro da quando siamo stati in visita al carcere dell'Aquila, in merito a falle possibili nel divieto di avere rapporti con l'esterno. Lei ha indicato gli avvocati, ma non faccio la solita lamentela a difesa della categoria. Dico, invece, un'altra cosa. Mi spiegavano – forse, però, ho capito male – che quando ci sono le visite mediche la polizia penitenziaria non può stare a contatto fisico con il detenuto paziente, ma deve stare dietro una porta e limitarsi a guardare da dietro un vetro, o qualcosa del genere.Pag. 16
  Abbiamo svolto un sopralluogo e abbiamo visto come sono organizzati questi ambulatori. A me, che ho una «mente criminale», questa sembra una falla: se volessi sussurrare qualcosa all'orecchio del medico, l'agente della Polizia penitenziaria da dietro la porta o davanti alla porta non riuscirebbe ad ascoltarmi. Supponiamo che il medico – bravissima persona – soffra di ludopatia e abbia bisogno di contanti, io, preferirei un avvocato per ... È da qualche settimana che ci penso e approfitto di questa occasione e della presenza di una persona esperta.
  Noi siamo qui – penso – per proporre modifiche legislative, quindi tutto ciò che può tornare utile è meglio dircelo subito.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Le posso parlare della nostra esperienza nel reparto di 41-bis. I detenuti tengono alla loro privacy.

  FRANCESCO GALLO. È una contraddizione in termini, la privacy nel 41-bis.

  GIOMMARIA CUCCURU, presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari. Loro accampano il diritto alla privacy anche per le loro patologie, quindi l'amministrazione non deve sapere di che cosa soffrono. Hanno avuto il coraggio di fare dei reclami su questo e il poliziotto che era lì vicino si è dovuto allontanare, perché per la Corte di cassazione deve stare a distanza: non deve sentire, ma deve vedere. Da noi le visite mediche vengono fatte in una sala, in un ambulatorio, con il detenuto che sta in prossimità della porta, a distanza di sette-otto metri: c'è un controllo visivo, ma non c'è un controllo uditivo, non si deve sentire. Questo è il metodo, ma poi la cartella clinica è lì. Il medico, in ogni caso, è tenuto al segreto, quindi non potrebbe mai divulgare informazioni.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri iscritti a parlare, ringrazio il presidente Cuccuru e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 14.55.