XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 67 di Mercoledì 20 novembre 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 

Audizione di don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione Libera:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
Ciotti Luigi , presidente dell'associazione Libera ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 8 
Serracchiani Debora (PD-IDP)  ... 8 
Colosimo Chiara , Presidente ... 9 
Serracchiani Debora (PD-IDP)  ... 9 
Colosimo Chiara , Presidente ... 9 
Cafiero De Raho Federico (M5S)  ... 9 
Sallemi Salvatore  ... 10 
Rando Vincenza  ... 10 
Melchiorre Filippo  ... 11 
Verini Walter  ... 12 
Della Porta Costanzo  ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Ciotti Luigi , presidente dell'associazione Libera ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 13.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera.

Audizione di don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione Libera.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di don Luigi Ciotti.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. Ricordo, inoltre, che i lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell'audito o dei colleghi e che, in tal caso, ovviamente, non sarà più consentita la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Voglio sinceramente ringraziare don Ciotti per essere qui, non soltanto per il lavoro che in tutti questi anni ha fatto, ma anche per le parole che in questa sede ci dirà su uno dei temi che questa Commissione ha messo al centro del proprio lavoro, cioè quello sulla cultura della legalità e sul ruolo dei minori nella lotta alla criminalità organizzata.
  Noi abbiamo istituito un comitato che si occupa specificatamente di questo, per cui ringrazio la senatrice Rando del lavoro, ma abbiamo un obiettivo molto ambizioso, che voi conoscete, che è quello di trasformare in legge il progetto «Liberi di scegliere», un obiettivo che contiamo di raggiungere nei prossimi mesi, anche grazie al lavoro di don Ciotti e di Libera.
  Do la parola a don Ciotti.

  LUIGI CIOTTI, presidente dell'associazione Libera. Signor presidente, la ringrazio.
  Buongiorno a tutti. Siamo qui per condividere e riflettere insieme. Io porto il mio piccolo contributo, soprattutto per accompagnare chi vuole uscire dalle mafie, dalle forme di violenza e di criminalità, non dimenticandoci di queste donne e dei loro bambini, non dimenticandoci che le mafie hanno confiscato la vita di tante persone. Ci sono donne che si stanno ribellando a tutto questo, e questo numero si sta allargando, sta crescendo, chiedono di cambiare vita e di sottrarsi a un destino segnato.
  Mi sembra si possa dire che ci sia una sorta di ribellione dei cuori, ma anche delle coscienze di tante persone. Sono donne, molte con figli, nate e cresciute in contesti criminali, che sentono oggi il bisogno di allontanarsi da quei contesti per preservare la propria vita, ma anche quella dei loro figli. Un percorso di cambiamento che è insieme interiore ed esteriore.
  Sono soprattutto storie di liberazione, almeno quelle che fino a oggi noi siamo riusciti a realizzare.
  A questo punto, voglio tornare indietro. Tra il 1975 e il 1991, come molti di voi ricorderanno, la città di Reggio Calabria subiva una forte violenza mafiosa, sfociata in due guerre di mafia che hanno prodotto più di mille morti. Molti di voi ricorderanno questa pagina di storia non indifferente. In quel momento di lotta di mafia, in quegli anni, decine di persone hanno scelto la via della latitanza, non perché incriminate dai magistrati, ma perché condannate Pag. 4a morte dalla guerra tra le faide delle famiglie mafiose.
  Proprio in quegli anni la 'ndrangheta riesce a esercitare, dall'altra parte, un fascino attrattivo su tanti ragazzi che avevamo definito allora «malati di mafia». Il denaro, il potere, la forza ne avevano attratti un numero.
  Nel 1980 c'è un'ulteriore faida. Qui comincia un capitolo che ci porta a oggi. Le autorità giudiziarie, i magistrati chiesero a un sacerdote di Reggio Calabria, di nome don Italo Calabrò – nei cui confronti si è aperto proprio in questo periodo un processo di beatificazione – di prendersi cura di un gruppo di bambini e delle loro mamme. Proprio in questo periodo storico c'è un magistrato, il presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, il giudice Ilario Pachi. Il giudice Ilario Pachi comincia a fare i primi affidamenti – siamo nel 1980 –, con la collaborazione di questo sacerdote di Reggio Calabria che aveva, tra l'altro, realizzato il centro Agape, e di un cofondatore della Caritas italiana. Nasce questa collaborazione, questo percorso.
  Per un periodo c'è un momento di tranquillità, ma nel 1987 – come molti di voi ricorderanno – riprendono altre faide, quindi altri provvedimenti con forme di affido. Per quello che ci riguarda, tra questi affidamenti, il magistrato affida anche al Gruppo Abele, a Torino, gruppo che io rappresento e che il prossimo anno celebrerà i sessanta anni del suo percorso, ragazzi che noi abbiamo nascosto.
  Italo Calabrò, di fronte alle faide, a questa violenza, aveva anche stimolato la Caritas tedesca. Questo per dire che per alcuni nuclei familiari, per evitare il peggio, bisognava trovare soluzioni anche fuori Italia. Peccato che la mamma di una di queste famiglie, di cui dirò, si è confidata con una persona che poi l'ha tradita e non se ne è fatto più nulla.
  C'è una storia, quindi, che arriva da lontano, che ha visto un bravo magistrato. Qualcuno di voi certamente non ha dimenticato che questa storia è stata raccontata in una miniserie televisiva trasmessa da Rai1 in tre episodi nel 1990, dal titolo Un bambino in fuga.
  Non solo. Si catturò l'attenzione delle persone. Verso la fine del 1990 il giudice Ilario Pachi venne intervistato da Pippo Baudo a Domenica in. Quindi, gli italiani hanno avuto modo di sentire le motivazioni per cui si accoglievano questi ragazzi e delle donne, delle mamme che chiedevano una mano. Quindi, c'è una storia che arriva da lontano, c'è una storia di tre puntate in televisione che racconta la storia di uno di questi ragazzini che avevamo nascosto a Torino.
  Di questi ragazzi di allora alcuni ce l'hanno fatta, con le loro famiglie. Quando dico «famiglie» intendo «mamme», sostanzialmente, non altro. Alcuni sappiamo dove sono, hanno costruito una loro vita nascondendosi. Certe situazioni sono un po' cambiate. Altri non ce l'hanno fatta: il richiamo forte dell'organizzazione li ha risucchiati dentro. Non facciamo qui i nomi delle persone, nomi importanti della storia della criminalità del nostro Paese.
  Volevo partire proprio da questa storia perché diventa importante non dimenticarsi che già in quegli anni si sono fatti dei percorsi e che alcuni di questi percorsi sono stati importanti, fondamentali. Già in quegli anni ci fu l'attenzione dei mass media, della televisione, con una serie di tre puntate, e di un bravo magistrato dei minorenni che faceva provvedimenti.
  Poi don Italo Calabrò muore, si interrompe parte di questo percorso e arriva – come voi sapete – Roberto Di Bella, il quale riprende con forza, con passione, con attenzione la storia che voi ben conoscete, che è la storia che ci porta qui, ancora una volta, a chiederci che cosa fare di più, ma che cosa fare anche in fretta, perché è cresciuto il numero di donne che chiedono una mano, di donne con bambini che chiedono una mano.
  Questo bisogno di accompagnare chi vuole uscire da tutto questo contesto diventa molto importante e fondamentale.
  Credo si possa parlare di storie di liberazione, perché vuol dire liberarsi da quel giogo criminale mafioso. Quelle di queste donne – alcune le conoscete e altre no, noi le abbiamo conosciute, le conosciamo, le abbiamo nascoste e le nascondiamo – sono Pag. 5storie di liberazione: questo essere libere nello spirito, capaci di vedere e di desiderare un destino diverso da quello che hanno ereditato, magari, per nascita in quel contesto mafioso e in quella famiglia. Sentono questo bisogno di liberazione, ma sono prigioniere, se non si fa qualche cosa; sono prigioniere, di fatto, perché impossibilitate a fare delle scelte in vita, in assenza di strumenti che permettano loro più tranquillità nel fare delle scelte, per rompere la discontinuità rispetto a quelle della famiglia di origine. Noi abbiamo la responsabilità di liberare la loro libertà, perché non sono libere.
  Esprimo gratitudine di essere qui a portare il mio piccolo contributo.
  Le abbiamo conosciute, le abbiamo incontrate. Questa mattina è arrivata da una località del sud una ragazzina di ventidue anni. L'abbiamo incontrata qui, questa mattina. Abbiamo sentito questo bisogno di cercare soluzioni. Le cercano.
  Voi sapete che storie di donne che si sono ribellate in passato ci sono state, con nomi e cognomi che non dimentichiamo e che ricordiamo il 21 marzo, primo giorno di primavera, vittime innocenti. Queste donne si erano ribellate a tutto questo, però non c'erano le possibilità, non c'erano gli appigli. Sono state rintracciate. Molte di loro le hanno ammazzate, le hanno uccise. Ci sono nomi, cognomi, storie nel nostro Paese di persone che avevano trovato la forza di dire «basta» a quei contesti.
  Noi avevamo continuato ad accogliere delle donne, prima ancora di quei provvedimenti. Si era aperta una strada, un percorso. Alla Conferenza episcopale italiana di allora – sono passati un po' di anni – chiesi il primo supporto.
  Vi prego di non dimenticare una cosa importante: queste donne non vogliono soldi, ma dignità e libertà. Vogliono andare a cercarsi loro il lavoro, vogliono mandare i loro bambini a scuola, senza che vengano rintracciati. In questi anni abbiamo dovuto fare degli accordi con i prèsidi di alcune scuole, ma tutto in modo precario, tutto con molte difficoltà: c'è chi ha accettato di fare questo e c'è chi non lo ha accettato. Quando arrivano all'età dell'università, come è successo, è diventato invalicabile: hanno dovuto iscriversi con il loro cognome, e questi li cercano. Ci sono donne che abbiamo già spostato quattro, cinque volte perché lavorano con i magistrati, con le forze di polizia. Hanno sempre collaborato.
  Quando troviamo queste donne che abbiamo accolto chiediamo sempre alla prefettura, al comandante dei carabinieri, al questore le informazioni per avere la sicurezza che quelle persone onestamente... Per le donne che abbiamo accolto abbiamo sempre avuto il consenso, il via libera di chi ha competenza e professionalità. Ci hanno detto – è successo in tante storie – che queste persone meritano di essere aiutate, non hanno commesso reati, non sono collaboratrici. Per i collaboratori ci sono dei percorsi da fare. Le loro testimonianze non sono così incisive, anche se abitano in quel contesto. Loro sono disposte a dare tutto quello che hanno, ma non è sufficiente, magari per alcune vicende, perché non c'entrano. È in questo ambito che bisogna cercare di trovare la forza di aprire un varco, un varco nuovo. Non chiedono soldi. C'è bisogno di qualcosa per aiutare nella prima fase, l'inserimento, affittare una casa, ma poi loro vogliono andare a «guadagnarsi la pagnotta». Questo è un valore importante, da non dimenticare. Vogliono mandare i loro figli in sicurezza a scuola, senza che nessuno li rintracci, perché questo è stato.
  Io ricordo la vicenda di una donna meravigliosa e dei suoi tre figli. Abbiamo trovato un bravo sindaco che ci ha dato una mano, non importa dove, e ci ha dato una copertura. Abbiamo trovato una casa in una località di mare, perché lei voleva stare in una località di mare. Abbiamo trovato una scuola, la cui dirigente scolastica ci ha detto: «Io terrò la bocca chiusa». Quindi, si era trovato un modo di dare una mano a una piccola famigliola, una donna di grande forza, di grande coraggio. C'era un'organizzazione criminale non indifferente alle spalle di questa persona. Che cosa è successo? Un giorno la sveglia non ha suonato, quindi, non suonando la sveglia, i figli, uno frequentava la prima elementare, una la terza e un'altra la quinta, non sono andati a Pag. 6scuola. Succede che improvvisamente arriva la telefonata della dirigente della scuola, che le dice: «Signora, non si muova, è stato previdenziale che la sveglia non abbia suonato, perché ci sono degli uomini, che non sappiamo da che parte sono entrati nella scuola, che stanno aprendo le porte di tutte le aule per guardare i bambini in faccia». Noi che cosa abbiamo fatto? Le abbiamo detto: «Carica la macchina e sparisci». Quindi, abbiamo cercato un'altra località, e lì si è ricominciato.
  Questo per dire che sono tanti gli esempi in cui c'è veramente bisogno, dove c'è onestà, voglia di cambiamento, positività, persone che arrivano da quei contesti ma non si sono macchiate di reati, che hanno bisogno di rompere, però, con quei cicli. Chiedono una cosa: la sicurezza e la possibilità di guadagnarsi da vivere in maniera onesta.
  Vi ringrazio del vostro lavoro e ringrazio il Comitato del lavoro che sta facendo. Basterebbe un articolo: cambiamento anagrafico. Questo per poter iscrivere a scuola i bambini, bambini che sono stati molto penalizzati, bambini che sono cresciuti e che non sono potuti andare in gita all'estero, a differenza di tutti i loro compagni, per evitare che si possa scoprire da un documento che il loro cognome non è quello. All'università non c'è accesso, quindi si sono penalizzate delle storie. Con tutti i rischi che noi abbiamo visto, rischi concreti, rischi che alcuni magistrati ci hanno messo in evidenza dalle intercettazioni. Parliamo di intercettazioni. I magistrati ci hanno avvertito, ci hanno detto: «Guardate che quel clan si sta muovendo e sta cercando». Allora, la prima cosa da fare è proprio questo cambiamento anagrafico che voi capite molto bene ha una doppia valenza, una simbolica e una concreta. La rinuncia al nome è la rinuncia a tutto ciò che quel nome rappresenta. Assumere un nuovo nome significa assumersi la responsabilità di un cambiamento radicale della propria esistenza, perché cambia la tua vita, cambia il contesto, il territorio, la realtà, te e i tuoi figli. Allora, in questo senso è un cambiamento radicale.
  Chiedono di potere cambiare, cambiare senza la paura di essere riconosciute e, dunque, rintracciate con quel sistema. È un grande cambiamento anche culturale ed etico delle persone. Ma anche qui sono fondamentali – voi lo capite molto bene – figure di riferimento al di fuori. Dove vanno, hanno bisogno di trovare un contorno riservatissimo, laddove possono ricostruire relazioni, rapporti, un contesto che le aiuti, perché arrivano con un carico di sofferenze e di fragilità non indifferente. Poi, chi di voi è mamma ma anche chi di voi è papà sa che cosa vuol dire avere figli, le preoccupazioni che ci sono, soprattutto quando sono piccoli, ma anche quando crescono. È necessario che trovino dei contesti che permettano loro di fare tutto questo, che sappiano rappresentare come credibile e realizzabile quest'altra scelta di vita.
  Voi capite che questa è una cosa urgente, perché c'è un gruppo di donne con bambini che è in attesa. Vi devo anche dire che nell'arco di questi anni si erano già fatti dei protocolli. Non posso dimenticare che alcuni protocolli li avevano firmati quasi tutti i Ministeri competenti. Poi, però, non si è mosso nulla. Gli unici spiccioli per dare la prima mano – ripeto, la prima mano – da chi sono arrivati? Oggi queste donne non possono andare a lavorare, perché si scoprono attraverso i vari canali, come è già successo. Dobbiamo coprirle in un modo diverso. Ci eravamo parlati con il Segretario della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Bassetti – io lavoro anche con la Conferenza episcopale – e lui ci aveva detto che avrebbero investito dei soldi per dare una mano, sperando che anche gli altri Ministeri avrebbero fatto la loro parte. A parole tutti, a parole sempre tutti. Poi nei fatti, per una ragione o per un'altra, non si è fatto. Ma non importa.
  Questa è un'occasione che fa onore a voi, fa onore a questa Commissione, fa veramente onore. A noi ha fatto molto piacere che un Sottosegretario alla giustizia, Andrea Ostellari, si sia subito preso a cuore questo problema, come a dire: «Io voglio fare la mia parte». Mi ha fatto piacere che se ne sia preso a cuore fin dalla prima volta che ci siamo incontrati. Questo Pag. 7è importante. È in gioco la vita delle persone, di fronte alla quale uno dice: è possibile che non riusciamo a trovare uno scatto in più per superare quei nodi, trovando il modo giusto, il modulo necessario? Ugualmente mi sembra molto importante non dimenticarci di tutto questo lavoro, quello che avete fatto voi e quello che ha fatto il Comitato. Vi sono profondamente grato. Io non ho alcun titolo, se non esprimere quello che sento dentro. Come la gratitudine che sento per il dottor Antonio Sangermano che porta avanti il settore della giustizia minorile, perché avverte l'importanza di tutto questo.
  Vi devo anche dire, tanto per essere chiaro, che rispetto ai minori Libera, che è un'associazione di associazioni, dall'Azione cattolica italiana alla Chiesa valdese, a movimenti più laici, una trasversalità di realtà che si sono messe insieme, lavora da quindici anni con il Dipartimento per la giustizia minorile. Ma lavoriamo con chi di quel Dipartimento? Con i ragazzi dell'area penale. Hanno sbagliato? Sì. Devono rispondere? Certo. D'altronde, la «pacca-terapia» non ha mai dato una mano a nessuno. Chi sbaglia deve essere inchiodato alle sue responsabilità, aiutato a prenderne coscienza. Ma poi sono ragazzi, quindi bisogna offrire loro altre opportunità, offrire loro altri servizi. Sono quindici anni che questa associazione di associazioni, insieme al Dipartimento per la giustizia minorile, porta avanti percorsi di messa in prova, in accordo con i magistrati, per offrire a questi ragazzi altri spazi e altre opportunità. Questo lo si sta già facendo. Si può fare molto di più. Lo si fa dalla Sicilia alla Valle d'Aosta, dalla Locride al Trentino-Alto Adige.
  Tutto questo per esprimere anche gratitudine, perché ci sono passaggi e momenti in cui dobbiamo spogliarci dei nostri colori. Per me ci sono solo due riferimenti: il Vangelo e la Costituzione italiana. Voi avete una grande responsabilità: rappresentate un'istituzione sacra. La sacralità delle istituzioni. La politica è un'istituzione sacra, che merita rispetto, la politica di tutti coloro che si impegnano con lealtà, con onestà e con trasparenza. Quindi grazie, grazie perché dentro le mille cose importanti che state facendo c'è anche questa che bussa alla porta.
  Vi porto un altro piccolo esempio, che mi sembra importante. Un giorno, parlando con Papa Francesco – ci lavoro un po' con questo Papa – mi dice: «Che bello, posso fare qualche cosa anch'io?» Io gli rispondo: «Non so che cosa puoi fare». Lui mi risponde: «Mi piacerebbe incontrarle tutte, queste donne, vorrei poter conoscere i loro bambini». Io gli spiego che bisogna farlo in modo riservato, perché se annunciamo al mondo che il Papa incontra le donne che si sono nascoste, al portone di bronzo troviamo tutti i clan mafiosi che le stanno cercando, che non perdonano, non perdonano il fatto che loro si sono ribellate a quei codici, a quei meccanismi. Papa Francesco, allora, mi dice: «Benissimo, facciamolo in grande riservatezza». Poi abbiamo combinato che il suo intervento, dopo aver messo di nuovo in sicurezza le donne, fosse reso pubblico. Ne ha parlato la stampa di tutto il mondo. Da noi, invece, molto poco, ma non importa. Il Papa ha voluto incontrarle.
  Vi leggo solo un passaggio dell'intervento che ha fatto il Papa quando ha incontrato queste donne. Se l'è sbaciucchiate tutte, come fa lui, anche i loro bambini. Lui, con il suo peso di anni non indifferente sulle spalle, ma con il desiderio di dire: posso fare qualche cosa? Vi cito queste parole, qualunque sia il vostro riferimento, ma è la sua autorità, è la sua autorevolezza che conta. Lui, rivolgendosi a loro, ha detto: «Voi, care signore, siete nate e cresciute in contesti inquinati dalla criminalità mafiosa e avete deciso di uscirne. Benedico questa vostra scelta e vi incoraggio ad andare avanti. Immagino che ci siano stati momenti di paura, di smarrimento. È normale. Non siete sole. Continuate a lottare». Se l'è abbracciate tutte.
  Papa Francesco mi chiede: «Fammi sapere quando si riuscirà a fare tutto questo». Me lo chiede perché è uno che ci crede, che ci pensa. C'è una breccia nuova che si apre. Allora, è con questa scelta, è con questa breccia che vorrei concludere. Queste scelte aprono una breccia, breccia Pag. 8in contesti che sembravano impenetrabili anni fa. La forza sta nell'esempio che hanno offerto ad altre donne e ad altre persone, perché tutto questo parlarne in certi contesti e in un certo modo ha ridato fiducia ad altre donne. Allora, voi capite che c'è anche una forza, perché ci sono altre donne che aspettano e che non ce la fanno più, perché la mafia ha confiscato anche la loro vita e quella dei loro figli. Questa breccia. Persone che ancora non riescono a guardare oltre gli alti muri dell'abitudine, del compromesso morale, ma che sono certamente messe in crisi dallo scandalo di chi ha saputo farlo, perché dentro quel mondo è uno scandalo ribellarsi all'organizzazione. Le donne sono di cosa nostra, sono della 'ndrangheta, sono della stidda, sono della camorra, sono della mafia foggiana. È un mondo di violenze e di soprusi.
  Forza! Voi non siete soli, perché noi come cittadini, come associazioni, saremo sempre trasversalmente al vostro fianco, in quegli obiettivi giusti, che sono importanti e fondamentali. La speranza nasce proprio dal «noi», dalla capacità di camminare insieme, con il coraggio di non avere paura di ciò che si ritiene giusto. Siccome è giusto liberare la libertà di tante persone, vi faccio gli auguri. Una mossa in più, coraggio. Soprattutto c'è un'urgenza. Ci saranno urgenze in questo Paese, so che ce ne sono tante, ma qui c'è la vita, c'è la carne delle persone.
  Grazie.

  PRESIDENTE. C'è poco da aggiungere alle parole di don Luigi, però ci sono sicuramente temi che possiamo affrontare ancora meglio, considerata la sua presenza qui.
  Chiedo ai commissari se c'è qualcuno che vuole iscriversi per intervenire.
  Approfitto soltanto per dire che, esattamente la prima volta che ci siamo incontrati, don Luigi mi ha raccontato quello che ha raccontato qui, di questa famiglia portata in una città e poi del caso – che forse caso non è stato – che non ha fatto suonare quella sveglia.
  Davanti a storie come queste, possiamo veramente mettere da parte tutto il resto e ricordarci che abbiamo una grande possibilità: quella di trasformare in legge un'intuizione nata certamente dall'amore disperato di una madre, ma che allo stesso tempo ha trovato casa e continua a trovare casa e strade sulle gambe di alcuni uomini che hanno bisogno di vedere che quello Stato e quelle istituzioni camminano insieme a loro. Questo è l'obiettivo che ci siamo dati e che credo nessuno più di questa Commissione possa portare a termine senza divisioni di parte, esattamente come diceva don Luigi.
  Ci sono alcuni dettagli tecnici che nel Comitato della senatrice Rando stiamo valutando. È evidente che si va a inserire – questo lo dico anche per le domande che andremo a fare – una nuova forma di «collaborazione». Noi abbiamo i testimoni, abbiamo i collaboratori. Adesso avremo un'altra strada, una strada che permette a donne e minori che vogliono togliersi dal giogo della criminalità organizzata di affrancarsi. È un esperimento che ha portato un risultato, ma che soltanto istituzionalizzato, a mio avviso, può portare a un risultato maggiore. È ovvio che non ci si può sempre basare sulla fortuna o sulla conoscenza di trovare un preside che nasconda dei bambini o un'associazione che trovi una casa per queste donne e per questi minori.
  Questo è l'obiettivo. Come sapete, lo porto avanti con convincimento dall'inizio, ma sono convinta che la possibilità che questo diventi legge, grazie al lavoro del Comitato, è a pochi passi. È per questo che questa audizione, così come il lavoro successivo che passerà per questa legge è fondamentale.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  DEBORA SERRACCHIANI. Signor presidente, rivolgo un ringraziamento a don Luigi per la sua presenza e anche per il richiamo davvero appassionato, come sempre, all'attenzione della politica e anche alla difesa della politica. Come ricordava, noi stessi dobbiamo essere i primi a ricordarci l'importanza del nostro lavoro.
  Voglio ringraziare la senatrice Rando, perché sta davvero lavorando in modo molto puntuale e molto efficace, e anche lei, presidentePag. 9 Colosimo, per l'attività che state facendo. Come lei ricordava, senza un quadro generale legislativo, rimettersi alla volontà dei singoli purtroppo serve a poco o, in alcuni casi, non riesce.
  Anche alla luce di questo intervento di oggi e di quel lavoro, suggerisco di sentire – lo ha citato don Luigi – il capo del Dipartimento della giustizia minorile Sangermano, che noi ieri abbiamo audito in Commissione giustizia. C'è un piccolo dettaglio, però, sull'audizione di ieri, che non vuole assolutamente avere alcuna connotazione polemica, ma che voglio portare all'attenzione...

  PRESIDENTE. È già stato sentito in Comitato.

  DEBORA SERRACCHIANI. Siccome ieri l'abbiamo sentito e abbiamo parlato di «Liberi di scegliere», voglio semplicemente segnalare, soprattutto ai deputati che seguiranno la manovra di bilancio, che sulla giustizia minorile si abbatte il taglio più importante della giustizia. Quindi, il taglio più importante che viene fatto al bilancio della giustizia, di circa 500 milioni, si abbatte, in proporzione, in modo importante sulla giustizia minorile. Ne abbiamo parlato ieri proprio con il dottor Antonio Sangermano. Rilevo che c'è un taglio al fondo giustizia minorile molto importante.
  Rilevo anche che, dal decreto Caivano, dei 40 milioni che servivano per la dispersione scolastica, ne vanno via 30. Anche questo, oggettivamente, credo sia un tema sul quale dovremmo porre la nostra attenzione e approfitto dell'audizione di oggi per rilevarlo.
  Segnalo, da ultimo, una cosa molto importante, sulla quale penso che noi possiamo fare molto, anche utilizzando gli strumenti che si stanno costruendo all'interno del Comitato. Negli istituti penitenziari minorili sono sempre di più i minori non accompagnati, i quali minori non accompagnati spesso hanno forme di disagio psichiatrico, di dipendenza da sostanze varie estremamente pesante. Quando questi minori raggiungono la maggiore età e sono più difficili di altri, finiscono in carcere. La disposizione Orlando, che prevedeva che restassero negli istituti minorili anche fino a 24-25 anni, è stata modificata con il decreto Caivano, per cui vanno direttamente in carcere in quanto giovani adulti. Siccome noi visitiamo molto le carceri, come tanti colleghi della maggioranza, notiamo che proprio i giovani adulti con questo problema psichiatrico, che spesso viene da precedenti violenze, sono poi i giovani utilizzati spesso proprio dalla criminalità organizzata. In alcune zone, dove la criminalità organizzata è particolarmente presente, vengono utilizzati proprio questi ragazzi, da minorenni prima e da maggiorenni dopo, per attività soprattutto legate agli stupefacenti, ma non solo, combattimenti tra cani e tante altre riguardanti la criminalità organizzata, compresa l'occupazione degli immobili, organizzata anche attraverso questi ragazzi.
  Vorremmo suggerire, se è possibile, a lei, presidente, e a tutti noi di prendere in considerazione anche questi aspetti. Abbiamo parlato di famiglie, abbiamo parlato di donne e bambini, ma c'è anche un tema legato ai minori non accompagnati, che non hanno appartenenze familiari in Italia, o che non le hanno più o che comunque vengono da situazioni ai margini, rispetto ai quali forse una maggiore attenzione, rispetto a quello che capita loro quando dall'istituto minorile passano al carcere quasi automaticamente, credo vada rivolta.
  Siccome molti di questi hanno anche storie di criminalità organizzata alle spalle, forse una valutazione rispetto a questi minori non accompagnati dobbiamo iniziare a farla, visto che ormai arriva a essere quasi il 50 per cento delle presenze negli istituti penali minorili. Questa è la notizia che ci ha dato ieri il direttore Sangermano.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Serracchiani. Peraltro, noi siamo stati già in due penitenziari minorili, quello di Nisida e quello il Beccaria.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO. Don Ciotti, la ringrazio per quello che ci ha detto. Va bene condividere la sofferenza, Pag. 10ma bisogna che si prenda anche atto di uno sforzo straordinario che la chiesa sta portando avanti da sola. Questo lei lo ha sottolineato bene. Solo la CEI ha sostenuto fino ad oggi il lavoro di Libera, un lavoro che richiede somme anche consistenti. Sono tante le donne che hanno fatto ricorso a Libera.
  Ricordiamo che gli esempi che sono stati fatti, di donne che hanno dovuto nascondersi, non sono esempi astratti. Penso a Lea Garofalo per tutte, ma altre donne sono state uccise per questo. Allontanarsi dalla 'ndrangheta sta a significare che si viene a violare una regola fondamentale: quella della dissoluzione di una famiglia che ha un potere estremo sulle donne, sui figli e su tutti coloro che fanno parte di quei contesti. Significa, quindi, proprio toccare la 'ndrangheta, come la mafia, come la camorra, alle radici.
  Occorre tanto per poter definire una normativa, una disciplina come quella che Enza Rando, che da sempre si è occupata di questo con il suo Comitato, sta tentando di definire, o forse concretamente è già vicina alla soluzione. Occorre uno Stato che sia vigile e che, quindi, protegga, uno Stato che sia in grado di dare generalità nuove, uno Stato che sia in grado di dare riferimenti diretti, uno Stato che investa anche stanziando somme di danaro che siano veramente consistenti, per consentire l'unico modo per distruggere le mafie, che è quello di far comprendere che le famiglie che se ne allontanano vivono meglio di quelle che sono dentro. Questo è l'esempio che sta dando Luigi Ciotti con Libera e con l'ospitalità e la protezione che stanno dando.
  Arrivo alla domanda a Luigi Ciotti. Quali particolari riferimenti sarebbero necessari sul territorio dello Stato per riuscire a colmare quella carenza di protezione? È sufficiente che se ne occupino le prefetture? Sarebbe necessaria una struttura – secondo la sua esperienza, naturalmente – diversa, addirittura una struttura autonoma rispetto a quella che è stata istituita per collaboratori e testimoni o non occorre qualcosa di così ingente?
  Finora si è in grado di poter dire quali sono gli stanziamenti che annualmente la CEI fa su questa destinazione specifica? Anche per dare un'idea. Quali sono le esigenze di ospitalità? Per condividere anche la sua esperienza con quella dei deputati e dei senatori presenti oggi in Commissione.
  Grazie.

  SALVATORE SALLEMI. Grazie, don Ciotti. È sempre un piacere sentirla. Io la ascoltai quando ero uno studente di liceo, quindi ho sempre un bel ricordo.
  Voglio fare una premessa in riferimento all'intervento che è stato fatto prima dalla collega Serracchiani. Il tema è complesso. Dobbiamo anche rilevare che l'omicida di Santo Romano era appena uscito da Nisida. Il tema va analizzato e visto, secondo me, con molta attenzione, perché è molto particolare. Questo è un appunto che volevo fare.
  Don Ciotti, è stato fatto un sondaggio nel 2024 dal Centro Studi Pio La Torre su alcuni studenti di una fascia di età che va dai 14 ai 21 anni. Questo studio ha rilevato che uno studente su due è ancora convinto che la mafia sia più forte dello Stato. Il 49,80 per cento la ritiene una guerra che non può essere assolutamente vinta. Parliamo di ragazzi tra i 14 e i 21 anni. Non pensa che questo fenomeno sia frutto anche dell'eccessiva spettacolarizzazione del crimine connesso a eventi come Gomorra, Mare fuori, o ad autori o cantanti che inneggiano allo spaccio di sostanze stupefacenti, alla detenzione di armi da fuoco, alla possibilità di autodifendersi in maniera assolutamente criminale? Che cosa si può fare da questo punto di vista? Lo Stato dove può intervenire?
  Un'ultima domanda connessa alla premessa che ho fatto: la sua valutazione sul modello Caivano, come ciò che si è fatto a Caivano può essere un esempio per altre realtà, se l'aumento delle pene unito a un intervento da parte dello Stato in termini di ausilio a insegnanti, forze dell'ordine, centri sociali, strutture possa essere riportato in altre realtà italiane.
  Grazie.

  VINCENZA RANDO. Signor presidente, la ringrazio per aver voluto anche l'audizione di don Ciotti.Pag. 11
  Ringrazio per l'appassionato racconto che ci ha fatto per riferirci storie dove si parla di umanità, che ho l'onore di conoscere bene proprio perché un po' le ho vissute.
  Ho il piacere di sottolineare un paio di cose. Intanto, se ci può dare il numero oggi di storie che sono inserite nel protocollo «Liberi di scegliere», sia di minori che di donne, e quali sono, rispetto al percorso fatto, i risultati. Sono positivi? È importante anche questo. Stiamo lavorando nel Comitato tutti insieme senza distinzione perché si lavora sulla prevenzione. Abbiamo detto che cosa sono le mafie. Possiamo fare tutte le legislazioni importanti che vogliamo, ma se non lavoriamo sulla prevenzione – lo diceva prima il collega –, sulla fascinazione, sui minori, non saranno sufficienti. Dall'indagine del Centro Studi Pio La Torre emerge quanto ancora la mafia sia forte. Dobbiamo spezzarla.
  Credo che sia importante partire dai minori. Quando un minore riesce ad allontanarsi anche da quel forte contesto di indottrinamento mafioso è la prima vittoria che si ha. Quanti sono, quindi, i ragazzi?
  C'è un'altra cosa importante che lei ha detto. Oggi è importante il cambio di generalità, sia sotto il profilo del nome di copertura immediato sia sotto il profilo del cambio degli effetti anagrafici perché non avendo questo di fatto non ci si può costruire una nuova vita. C'è un prima e un dopo. Su questo il Comitato sta lavorando. È molto complesso, però credo che sia possibile perché stiamo parlando di un terzo genere. Non ci sono né collaborazione né testimoni. Spesso ci viene detto, anche nelle audizioni che abbiamo fatto e quindi mi piaceva anche la sollecitazione perché ho avuto anche esperienze, che questo terzo genere significa che sono soggetti, donne in particolare, che non riferiscono e non hanno nulla da riferire perché c'è collaborazione impossibile. Potrebbero indebolire l'istituto della collaborazione. È tutt'altra cosa. Noi vogliamo, invece, rafforzare l'istituto della collaborazione.
  Esiste come esperienza, dentro il percorso di «Liberi di scegliere», quella di gente che è entrata con questo percorso e poi è diventata o testimone o collaboratore di giustizia? Molto probabilmente queste donne hanno comunicato anche ai mariti di ragionare, hanno messo l'inquietudine di poter fare la scelta di essere collaboratori. Questo è importante perché io credo che così come si sta lavorando nel Comitato, con la volontà forte che ha anche la presidente, questo protocollo che diventa legge, complesso com'è, lo vogliamo portare a termine, anche per la responsabilità, per la sollecitazione alla responsabilità politica a cui siamo chiamati. È importante, però, capirne i confini. Qui si sta parlando di soggetti che possono ancora di più aumentare, ma che in una prima fase non hanno nulla da rendere per paura o per tante cose, ma poi successivamente invece si potrebbero definire collaborazione culturale, di scelta civile.
  Credo che questo sia il senso rispetto all'esperienza che sta facendo Libera.
  Grazie.

  FILIPPO MELCHIORRE. Vorrei ringraziarla per quello che fa ogni giorno, non solo per quello che ha detto oggi. Questo è un tema. Voglio riportarle un esempio di tanti anni fa, di circa vent'anni fa che è successo nella mia città, nella città di Bari, dove io ho avuto la fortuna di potermi occupare di sociale. Ho fatto l'assessore ai servizi sociali e un giorno arrivarono dei ragazzi con il volto arrabbiato, con gli occhi incattiviti dalla vita, un po' come quegli occhi a cui lei faceva riferimento prima a proposito di quel mondo. Quei ragazzi erano appena usciti dal carcere, molti di loro, e cercavano nelle istituzioni delle risposte.
  Con l'allora prefetto Tommaso Blonda, con don Nicola Bonerba, monsignore di Bari, il procuratore della Repubblica e una serie di agenti sociali costruimmo una rete sociale e costruimmo quello che lei diceva prima a proposito di vita nuova, nuova vita di coraggio. Creammo una cooperativa insieme a questi ragazzi che si chiama Vita nuova, che ha un po' modificato il concetto di inclusione sociale che spesso in molti comuni avviene, cioè quello di far entrare nelle aziende del comune ragazzi che provengonoPag. 12 da certi mondi e insegnammo loro che cosa significava pescare, gli insegnammo come pescare.
  Questa cooperativa, a distanza di vent'anni, esiste ancora e ha prodotto un risultato importante. In quell'occasione, ricordo, furono in molti a partecipare, ci fu un'azione da parte di tutta la città. Insegnammo loro che è molto più difficile lavorare, è molto più difficile sudare, è molto più difficile cercare di raggiungere dei risultati, però significa passare dall'anti-Stato allo Stato. Per fare questo c'è bisogno della rete sociale, c'è bisogno di un'alchimia di persone, c'è bisogno di un'azione da parte di tutti per poter contribuire a far passare da una parte all'altra le persone.
  Le ho riportato questo esempio non per autocelebrare quello che è avvenuto a Bari, ma per trasferire a tutti i miei colleghi questa esperienza positiva che si è avuta grazie all'aiuto di tutti. Ci sono altre esperienze in questo senso? Penso che per ridare dignità, per ridare la voglia di cambiare la vita ci sia bisogno anche dell'azione delle comunità locali che hanno un ruolo fondamentale. Spesso è più facile girare la testa dall'altro lato, far finta che questi problemi non esistano, ma quei problemi si affrontano mettendoci le mani dentro, lavorando in rete e cercando di dare delle risposte concrete.
  In questo senso sono felice, anche sentendo gli interventi di tutti i colleghi di maggioranza e opposizione, e questo anche grazie al lavoro che sta facendo la nostra presidente, di lavorare tutti insieme, perché penso che sia la cosa più importante. In queste cose, come diceva giustamente lei, non c'è divisione alcuna. C'è bisogno di lavorare tutti prendendosi per mano e lavorando in un'unica direzione, perché l'anti-Stato è molto più forte in certi aspetti, è molto più stimolante per certi mondi, per certe persone che provengono da quella parte. Tutti insieme dobbiamo dare un messaggio forte e chiaro.
  Grazie.

  WALTER VERINI. Ringrazio anch'io per questo invito la presidente, per il lavoro del Comitato la senatrice Rando e tutti coloro che ne fanno parte e naturalmente anche don Luigi Ciotti. Ognuno ha portato, sia pure brevissime, testimonianze personali. Da quando è stata istituita la legge che prevede la possibilità di destinare il 5 per mille, quindi dal 2007 circa, ho scelto di destinarlo a Libera, sempre, soprattutto perché mi ha sempre convinto non solo il lavoro importante anche su questo campo e su questo piano che Libera fa e ha fatto, ma quanto perché io ascoltai a suo tempo più volte come tutti voi, ognuno ha il suo vissuto, don Luigi Ciotti insistere molto sul concetto di cultura della legalità, cultura delle regole.
  Oggi stiamo parlando di un passo importantissimo ed è fondamentale che venga fatto con il concorso unanime della Commissione, che poi darà al Parlamento la proposta di legge, ma io vorrei che don Ciotti, anche se ci vorrebbe tanto tempo, ci possa dire anche qualche parola su un tema che è di prevenzione, di contrasto preventivo che in qualche modo si lega alla domanda fatta, su cosa ne pensa delle iniziative su Caivano. Com'è davvero quotidianamente? Cosa si sente di dire, anche in questa sede, Libera al Governo, al Parlamento, alla politica? Come si può affermare la cultura della legalità? È solo un problema di insegnamento oppure c'è anche un problema di leggi che non premino i furbi, di leggi che non premino coloro che non rispettano le regole, di leggi e norme che prevengano comportamenti e modelli sbagliati?
  Io non penso, per concludere la domanda, che la rappresentazione anche di fiction sulla criminalità, su questi contesti, sia la causa. Penso che siano dei modelli. Se un ragazzo che si vede sporcate delle scarpe da 500 euro, ovviamente griffate e firmate, ammazza un suo coetaneo per questo, perché gli ha in qualche modo colpito un simbolo, un brand, uno status non so come si dice, forse c'è qualcosa che viene prima di Gomorra, intesa come fiction, c'è qualcosa che viene prima di rappresentazioni della criminalità e dei luoghi di degrado. Da questo punto di vista qual è l'appello concreto che anche in questa sede a noi, a noi tutti, ognuno sa le sue responsabilità, evidentemente, don Luigi Ciotti si Pag. 13sente di fare proprio dal punto di vista preventivo, di contrasto, di prevenzione? Queste cose importantissime che stiamo facendo sono comunque un passo successivo quando molte cose sono già accadute.

  COSTANZO DELLA PORTA. Grazie, don Ciotti, per la presenza e per le sue parole che credo abbiano affascinato tutti noi in senso etico, quello di persone che vivono la strada, benché non nel modo in cui l'ha vissuta lei a contatto diretto con la mafia, intesa in senso generale. Lei parlava di stidda, di cosa nostra, di sacra corona unita.
  Ebbene, prima che io le faccia la domanda puntuale, vorrei dare alcuni dati. Per noi il decreto Caivano è stato un abbrivio. Il decreto Caivano è stato un grimaldello che ha scardinato una porta che era chiusa da troppo tempo. Oggi, grazie a Caivano, lo Stato ha messo in campo altre iniziative. Organizziamo la speranza destina 50 milioni di euro per iniziative che nel 2025 porteranno all'apertura di quindici centri in undici periferie nelle regioni più vulnerabili d'Italia. È un progetto destinato ai ragazzi che vanno dai 3 ai 14 anni. Questo viene incluso in un altro provvedimento, in un'altra iniziativa che si chiama, invece, «Destinazione», a cui lo Stato garantirà una risorsa finanziaria pari a 250 milioni di euro. Sono tanti soldi che vengono messi a disposizione delle associazioni che, come la sua, svolgono questo lavoro per aiutare i più deboli.
  Lei conosce la mafia perché l'ha vissuta dal vivo. La mafia in questi decenni si è evoluta. Usa magari di meno la lupara, ma usa altri strumenti per creare potere e soggiogazione verso le persone più deboli. Le volevo chiedere, rispetto ai primi anni in cui ha cominciato la sua crociata contro la criminalità organizzata, se ancora oggi e quanto è ancora oggi difficile liberarsi dalle catene di cui lei parlava prima, se c'è una differenza tra la mafia e il comportamento e la condotta criminosa della mafia di quarant'anni fa rispetto a quella di oggi, se è più difficile ancora oggi, benché abbiamo mezzi e una società che si è voluta, per queste persone affrancarsi dal giogo mafioso.

  PRESIDENTE. Do la parola a don Luigi Ciotti per la replica.

  LUIGI CIOTTI, presidente dell'associazione Libera. La prima cosa che volevo sottolineare è la collaborazione, i protocolli, quelli veri, perché di protocolli se ne fanno tanti, che Libera ha da diversi anni con l'Arma dei carabinieri, di grande collaborazione, con la Polizia di Stato e con la DIA.
  Per noi è molto importante. Ognuno ha i suoi ruoli e le sue competenze, evidentemente, ma è importante in quella sacralità delle istituzioni che ci sia un pezzo di società che collabora sulle cose giuste. Quindi, c'è una collaborazione seria, attenta e puntuale. Questo mi sembra importante sottolinearlo. Grazie perché voi rappresentate quei contesti e quei mondi con cui noi lavoriamo.
  Lo ripeto, Libera è un'associazione di associazioni. Al suo interno trovate dal mondo degli Scout, dell'AGESCI, al movimento laico del CNGEI, trovate movimenti sportivi dell'associazionismo, trovate delle ACLI, ma trovate Legambiente, trovate l'ARCI, movimenti più laici, eccetera. Trovate Libera in tutta Europa, in America Latina e in Africa. Dopo trent'anni il movimento si è contagiato. La storia l'hanno fatta le persone, i fatti, la concretezza perché c'è un bisogno, anche al di là dei nostri confini, di un ruolo che i cittadini, le associazioni e i movimenti devono mettersi in gioco per evitare quella malattia terribile di delegare sempre a qualcuno, che se ne occupino gli altri di alcuni problemi. Certo, ognuno è chiamato a fare la propria parte. Alla politica chiediamo che faccia la politica e noi come cittadini dobbiamo essere quelli che si assumono la loro parte di responsabilità. Non possiamo lamentarci. Ci sono troppi professionisti della lamentela ma poi non fanno quello che devono fare. Questo è il nostro spirito, uno spirito di associazione di associazioni. Se posso aprire una piccola parentesi, io appartengo a un gruppo che si chiama «Gruppo Abele», che compie sessant'anni, che per me è molto importante perché io continuo a vivere da sessant'anni con i poveri, con gli ultimi, con quelli che fanno più fatica.Pag. 14
  Per noi la partenza è stata tanti anni fa sul tema delle dipendenze e della droga. Quando io ho cominciato non ero prete. Io diventerò sacerdote dopo, c'era già il Gruppo Abele. Le prime esperienze si sono fatte. Oggi c'è più droga di anni fa. Quando io ho cominciato non si parlava di droghe sintetiche. Ce ne sono più di mille adesso, del crack non se ne parlava, di tante altre sostanze. Certo, sono nuovi volti, nuove modalità, nuove persone. Oggi il problema delle dipendenze, che tra l'altro è uno degli elementi che rende forti le organizzazioni criminali e mafiose, non è l'unico, ma è una delle maggiori fonti di guadagno internazionali, come voi ben sapete e ben mi insegnate. Tutto è diventato normale nel Paese. Noi facciamo sempre delle ricerche serie, le facciamo con dei centri di ricerca. È uscito l'altro giorno l'ultimo report di dati su la Repubblica, che le agenzie hanno rilanciato. Usciranno altre tre puntate dell'ultima ricerca in Italia sul problema corruzione, mafia e tutti questi aspetti di illegalità. Cosa viene fuori nella percezione degli italiani e di conseguenza nella ricaduta di attenzione o di non attenzione al problema? Viene fuori che si è veramente passati dal crimine organizzato mafioso, da quella percezione, dopo le stragi, dopo che per anni c'è stata questa ondata che abbiamo vissuto di progetti, di proposte, di grandi interventi, sono passati trentadue anni, al fatto che sta scemando tutto. È emerso anche dall'ultima ricerca seria, attenta. Si è passati veramente dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato.
  È diventata una delle tante cose, così come la droga, il gioco d'azzardo, le ecomafie, le agromafie. È una delle tante cose.
  Capite che non è possibile che sia una delle tante cose nel nostro Paese, perché, giustamente, l'avete detto voi, non è più quella mafia di ieri. L'avete detto bene. Siete qui perché avete la competenza, l'ascolto, le varie competenze che vengono portate, ma la storia ci ha insegnato che l'ultima mafia è sempre la penultima, perché nel codice genetico dei mafiosi c'è un imperativo: rigenerarsi. Siamo noi che dobbiamo rigenerarci rispetto a tutto questo. Oggi le mafie sono forti, veramente forti, fanno meno chiasso, meno rumore, sparano di meno e nella percezione della gente è una delle tante cose. Forse non ci aiuta anche un certo modo di comunicare. Sapete che è un problema serio, grave ed è ancora più grave se noi siamo da 170 anni qui a parlare di mafia. Sono 170 anni che parliamo di mafia nonostante il grande lavoro, mai da dimenticare, e anche il grande sacrificio di tanti, che viene fatto, che è stato fatto in questi anni, che viene fatto in questo momento.
  Non è in discussione il valore di tutto questo. Qualcosa non funziona, perché voi mi insegnate che non basta tagliare la cattiva erba in superficie, perché viene tagliata la cattiva erba in superficie dal lavoro di magistrati e forze di polizia. Il vostro lavoro, il vostro impegno è notevole, importante, ma non basta. Non basta tagliare la cattiva erba in superficie. Bisogna estirpare il male alla radice.
  Estirpare il male alla radice è una grande sfida culturale, educativa, di politiche sociali. Non si può ridurre tutto lì. Quello è un elemento molto importante, fondamentale. Lotta alla mafia vuol dire questo. Sono 170 anni che parliamo di mafia.
  Abbiamo delle leggi che sono veramente di grande valore, che non devono essere demolite in alcune parti, devono essere rinforzate. Deve essere rinforzato il lavoro dei magistrati, quello degli organi di polizia. I cittadini hanno una responsabilità, lo dico sempre. È troppo comodo delegare e dire: «Occupatevene voi». Anche noi, gruppi, movimenti, associazioni, chiese dobbiamo sentire che c'è una parte di responsabilità per il cambiamento.
  L'ultima mafia è sempre la penultima, perché nella loro testa loro si sono rigenerati, si rigenerano. Oggi sono forti. Avete avuto qui il Procuratore Melillo che è una persona molto puntuale, molto attenta. Ha definito proprio oggi i rapporti tra corruzione, mafia e politica. Li ha definiti con tre parole: rapporti diffusi, disincantati e pragmatici.
  Loro fanno nuove alleanze. Avete ragione, è un mondo che è cambiato. Io me lo ricordo. Io sono una piccola cosa. Io mi Pag. 15sono laureato in scienze confuse. Io ho cominciato da ragazzo questa avventura sul tema delle dipendenze, ero un ragazzo. Poi sono entrato nel Gruppo Abele dove continuo a vivere da sessant'anni. Ho visto le bande giovanili degli anni Ottanta. Cosa si è fatto negli anni Ottanta? Era una parola grossa dire «bande giovanili». C'erano manifestazioni in quegli anni di forme di violenza che i ragazzi rappresentavano. Sono momenti che ritroviamo oggi. Cosa si era fatto allora?
  Un cambiamento c'è stato, grazie ai bravi presidenti dei tribunali per i minorenni di quel momento storico, perché era quello il momento. A Torino c'era Paolo Vercellone, Alfredo Carlo Moro era presidente del tribunale a Roma, c'era Giampaolo Meucci a Firenze. Quei presìdi dei tribunali per i minorenni, quei presidenti, con i loro magistrati, si sono messi in gioco.
  Il ruolo dei sindaci di quelle città dove c'erano queste manifestazioni e il ruolo delle associazioni è stato importante: unire le forze per costruire concretamente nei territori altri spazi, altri riferimenti, altre opportunità, e le cose sono cambiate. Oggi si ripresenta un po' la stessa storia. Una società non si può preoccupare solo dei giovani, ma se ne deve occupare di più. Bisogna investire di più sui giovani, perché è la realtà che oggi è più in difficoltà. Se nel Paese abbiamo dei territori dove c'è una dispersione scolastica del 30 per cento, io sento questa sofferenza, ma anche voi la sentite. Siamo all'ultimo posto della povertà educativa. Uno si chiederà due cose in più. Se abbiamo un mondo di giovani che non studia più e non lavora ci dovremmo porre delle domande.
  Vengo al decreto Caivano. Ho goduto nel vedere che di fronte a quello che lì era successo c'è stata subito una risposta per investire in strutture, in servizi, in spazi, in opportunità. Certo, c'è una domanda che uno si fa subito: gli altri Caivano del nostro Paese. È stato detto che c'è adesso il movimento di dire: «Investiamo anche negli altri territori». Questo diventa importante, ma non può sfuggirmi la risposta di andare a scegliere di abbassare l'età per l'imputabilità dei ragazzi a una fascia di età inferiore. Non è quella la strada. La strada è investire di più sui nostri ragazzi. Aveva ragione don Bosco.
  A Don Bosco, a metà dell'Ottocento, era capitata la stessa cosa. Il Re aveva deciso di destinare una cascina di un generale, da qui il nome «la Generala», a carcere per i minorenni. Certo, chi sbaglia deve rispondere. Poi, c'è modo e modo, i percorsi che si devono fare, come si devono fare, eccetera.
  Il sistema di allora è stato un sistema molto duro. Erano le bande giovanili di allora. Don Bosco inventò il sistema preventivo, ma si permise di dissentire dal Re. Prese una posizione in quel momento in modo serio e attento per dire una cosa, che avrebbe creato magari un po' di più quello che oggi definiremmo un problema di ordine pubblico, ma non avrebbe cambiato la storia dei ragazzi, anzi l'avrebbe inasprita. Quel provvedimento è stato preso per abbassare penalmente l'età a quattordici anni, dimenticandoci che già oggi il magistrato per i minorenni può convocare un quattordicenne che commette reati, può convocarlo già oggi, senza quella misura. Dobbiamo investire di più per offrire spazi, opportunità e riferimenti a questi nostri ragazzi. Non abbiamo educatori. Ne forniscono numeri bassissimi dalle nostre università. Mancano educatori. È una professione che si sta perdendo. Dobbiamo investire sul problema dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze. Dobbiamo fare un grande investimento nel Paese di servizi, di spazi, di interventi, di persone. È un problema serio quello dei nostri ragazzi.
  Siamo all'ultimo posto in Europa per gli under 35. È una società sempre più anziana e sempre con meno giovani. Dobbiamo investire su questi ragazzi. Ben venga quello che ho sentito, i quindici centri nelle varie periferie. Ben venga, perché è importante.
  Bisogna che la questione dell'adolescenza e dei ragazzi diventi un grande investimento nel nostro Paese, non solo per questi ragazzi delle periferie, lo dico più in generale.
  Il mio problema non è tanto quelli che frequentano la scuola, ma quelli che non la frequentano più, quelli che vivono in certi Pag. 16contesti e in certi territori, quelli a cui mancano degli appigli. Tocca a noi investire veramente in questo senso.
  Vi devo dire con molta sincerità, meno si parla di legalità e più sono contento, perché quella della legalità è diventata la bandiera che tutti usano. C'è stata una Commissione antimafia che aveva messo in evidenza, in passato, che a fare associazioni antimafia in Italia erano i mafiosi, con associazioni fatte da qualcuno anche nel nome della legalità. Dobbiamo anche qui distinguere per non confondere, che non diventi questa una bandiera che tutti sventolino. È diffuso il legalismo: io rispetto la regola solo perché il vigile mi fa la multa, ma non ne sono convinto qui dentro e appena giro l'angolo faccio il furbo.
  È diventata la bandiera che tutti usano. Ben venga dentro un progetto più ampio. È un percorso da rivedere questo. Ne abbiamo fatto un'enfasi in molti contesti e in molte realtà, perché anche la legalità è solo uno strumento, è un mezzo per raggiungere un obiettivo che si chiama giustizia. Dobbiamo parlare della giustizia sociale, della giustizia ambientale, di quali progetti di giustizia facciamo nei nostri territori, nei nostri contesti.
  È uno strumento, la legalità, importante, fondamentale, necessario. Non è in discussione, ma è il mezzo per raggiungere quell'obiettivo. L'obiettivo è la giustizia. Ci dobbiamo occupare di giustizia sociale, di quali politiche, di quali interventi devono essere fatti. So che voi fate già tutto quello che potete, ma ci saranno pure delle priorità che devono avere maggiore spinta, maggiore forza nel nostro Paese, perché il problema dei giovani è un problema molto serio.
  Il problema dei giovani non sono i giovani, sono gli adulti. È il mondo adulto che deve interrogarsi perché a fare politica è un mondo adulto, nella scuola c'è un mondo adulto. Siamo noi che dobbiamo interrogarci se siamo veri, coerenti, credibili, se ci crediamo, se investiamo su questo.
  Noi frequentiamo le carceri minorili. Bisogna investire sulla giustizia minorile. Io ho trovato delle persone meravigliose che ci lavorano dentro, ma a volte in condizioni difficili.
  Se c'è una realtà – non voglio escludere nessuno – che tutte le volte un po' mi commuove è quella della polizia penitenziaria. Quelli sono più carcerati di tutti. È un lavoraccio. Non tolgo ad altri. Ognuno è chiamato a fare la propria parte, ma molte volte ci dimentichiamo. Lo dico all'opinione pubblica, non lo dico a voi che qui avete tutte le componenti ben presenti.
  Il problema delle carceri, quello che sta succedendo, queste esplosioni, è tutto dovuto al fatto che hanno un personale ridotto, a volte le strutture sono inadeguate.
  Ci sono dei temi, nel nostro Paese, che avranno una precedenza rispetto ad altri, a grandi altre cose che possono attendere. Se sui giovani non investiamo, li stiamo perdendo. Abbiamo sacche di situazioni che sono preoccupanti. Certo che allora determinate immagini possono anche inquietarmi. Ai più, secondo me, certe immagini non aiutano. Conosciamo ragazzini che imitano esattamente quello che hanno visto, che sono sempre appiccicati lì. Allora non è che tutto si possa ridurre lì, ma certamente io credo che una riflessione più ampia dobbiamo farla veramente in un certo modo.
  Il numero delle donne sta crescendo e sapete perché? Forse già altri ve l'hanno detto, io vi porto la mia piccola voce. Io ho conosciuto Lea Garofalo, me la ricordo quando l'ho vista la prima volta. Ero a Firenze, a un incontro pubblico. Ci si chiede se abbia senso o meno andare a parlare di questi temi, andiamo a spiegare alla gente i temi della legalità, vogliamo aiutarla a prendere coscienza che è meglio assumersi prima ancora la responsabilità. Dobbiamo lavorare per costruire giustizia, rimettere un po' a posto nel modo giusto.
  Mi ricordo questa donna, carica di tensione, che mi ferma sullo scalone di questo palazzo dove è stato fatto questo incontro. Che cosa mi ha chiesto? Per piacere, mi può consigliare, mi può dare un avvocato? Un avvocato, perché era delusa di quelle cose che erano successe, di alcune mortificazioni che aveva subito dentro certi meccanismi. Io indicai un avvocato con cui Pag. 17lavoravamo nell'associazione, Enza Rando. Ho consigliato lei perché si prendesse carico di questa situazione e l'abbiamo accompagnata, non l'abbiamo lasciata Lea, e l'abbiamo anche supplicata di non andare dal marito. Io mi ricordo quelle telefonate, in quelle ore, con un eccezionale maggiore dei Carabinieri, credo, che stava seguendo la vicenda. Bravissimi. Mi ricordo a supplicarla, mentre diceva: «Se vado con mia figlia, con Denise, lui non mi tocca; mi dia i soldi che mi spettano, perché io ho bisogno di costruirmi la mia vita».
  Noi a supplicarla: «Guarda che non è così». Ma lei era una testarda, una sana testardaggine che le ha permesso di lasciare quel circuito criminale ma che l'ha portata anche a una scelta sbagliata. E sapete com'è finita. Quel funerale, con una bara leggerissima, perché si erano rintracciate solo alcune ossa dopo che il corpo era stato bruciato, grazie a uno di quei ragazzi che faceva parte di quel clan, Venturino Carmine, che ha parlato, che ha avuto questa forza di parlare, di mettersi in gioco... Io non dimenticherò mai su quella piazza di Milano il funerale di Lea Garofalo. Abbiamo scoperto dopo che erano venute in silenzio altre donne, ce lo hanno detto loro: «Siamo venute lì». Era una speranza che si era frantumata improvvisamente, ma hanno visto che era possibile trovare qualcuno disposto a dare loro una mano. E loro c'erano quel giorno.
  Allora, il numero che cresce è la contaminazione propositiva di sapere che ci sono dei punti di riferimento disposti a mettersi in gioco. Ecco perché il grido, e vi sono una cinquantina di queste situazioni oggi. Sono una cinquantina, ma immaginate che cosa vuol dire rompere con quel circuito, con quei contesti, con quei nomi potenti delle famiglie che sono dietro, più tutti i loro bimbi, e il numero cresce, ma contamina positivamente.
  Così sono le storie positive che parlano. Poi ci sono anche gli insuccessi, anche gli orrori. Con qualcuno non ce l'abbiamo fatta e uno si chiede come mai; con altri ce l'abbiamo fatta. Io credo che meriti cercare di aprire strade, di chiederci qualche cosa di più.
  Quello che state facendo, che per me, ripeto, e ve lo dico con molta sincerità, perché io non le ho mai mandate a dire... Ci sono dei momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo morale e una responsabilità civile. Questo è uno dei momenti in cui dobbiamo, in modo sempre attento, corretto, rispettoso, unire di più le nostre forze per diventare una forza etica, sociale, culturale, politica nel senso del servizio per il bene comune. Di questo c'è veramente tanto, tanto, tanto bisogno.
  C'è una normalizzazione, nel nostro Paese, c'è una grossa normalizzazione. Questo è un dato molto inquietante. È diventata una delle tante cose, ma non solo la mafia, non solo la corruzione. C'è quasi un'assuefazione a certi temi. Abbiate pazienza, quando ho visto quotidiani – e lo dico con rispetto, anche qui non si può generalizzare e dimenticare le cose belle, importanti e positive – dedicare per giorni e giorni quindici pagine alla storia di Matteo Denaro Messina e all'arresto di un latitante per trent'anni, forse ci siamo dimenticati che quella latitanza denuncia altre latitanze che per trent'anni si sono compiute nel Paese. Come è possibile, nonostante il sacrificio immenso e le cose meravigliose che sono state fatte e che vengono fatte?
  Noi dobbiamo educare i nostri ragazzi, ma forse dobbiamo educare anche il mondo adulto, innanzitutto a cogliere le cose positive che vengono fatte, altrimenti passa l'immagine solo delle cose negative. Credo che sia educativo, importante, aiutare le persone, trovare il modo, moltiplicarlo, per prendere coscienza delle cose belle, importanti e positive che ci sono, perché ci sono e sono tante anche nei singoli territori. A volte sono cose che non fanno chiasso, non fanno rumore, ma ci sono e dimostrano che se uniamo ancora di più, investiamo ancora di più è possibile, perché le cose positive sono in maggioranza nel nostro Paese. Bisogna mettere in grado di poter operare, alzare la testa, essere sostenute e riconosciute in un certo modo. Occorrono anche i meccanismi legislativi che vengano incontro.Pag. 18
  Io ho un sogno, il mio sogno è che ci sia meno solidarietà e più giustizia. Abbiate pazienza, diventa pericoloso dire: «Occupatevi voi dei poveri e degli ultimi», perché alla fine finisce così, in gran parte. Certo che noi ce ne occuperemo e ce ne occuperemo fino all'ultimo respiro della nostra vita, però è necessario, dall'altra parte, che la politica faccia la propria parte. Molto viene fatto, ma è insufficiente.
  Ci saranno delle priorità rispetto alle povertà, alle marginalità, alle esclusioni. Penso al problema dell'abitare, alla sanità accessibile a tutti, alla cultura, alla scuola, ai servizi sociali. Questa è lotta alla mafia, e non solo alla mafia evidentemente. Sono 170 anni che parliamo di mafia e, ripeto, nonostante il grande lavoro... Non posso dimenticare il Presidente Sandro Pertini che un giorno disse una cosa semplicissima: per la lotta alla mafia è sufficiente applicare la nostra Costituzione. La nostra Costituzione è il primo testo antimafia, se venisse applicato fino in fondo. Per me è un punto di riferimento, come cittadino, importante; come cristiano, come sacerdote, il mio riferimento è un altro. Lo dico in questo spirito.
  In tutto questo si inserisce anche questo discorso di oggi, questo segnale da accogliere, da sostenere, da incoraggiare e, ripeto, la gratitudine per quello che state facendo. Tutti questi consulenti, tra i quali mi fa piacere incontrare il mio amico «venditore di scarpe» – lo chiamo sempre così – Tano Grasso, perché mi lega a lui un'amicizia profonda, ma vi devo dire di più, mi lega molto affetto. Quante belle cose abbiamo fatto.
  Unire le nostre forze per diventare una forza, questa è la strada, e soprattutto toglierci certe etichette. E poi, vi prego, queste divisioni, questi dibattiti, questi attacchi che vengono fatti anche qui, basta! Mettiamoci sul pezzo, c'è un grande bisogno – vi prego – del Paese.

  PRESIDENTE. Grazie mille.
  Non so se c'è qualcuno che vuole aggiungere qualcosa, ma io credo che non ci sia nulla da aggiungere, se non che il risultato che dobbiamo portare a casa è quello di mostrare a don Luigi Ciotti e a tutte queste donne che lo Stato c'è e c'è attraverso la legge su cui abbiamo iniziato a lavorare. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.