XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 58 di Martedì 24 settembre 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Attis Mauro , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione di Francesca Fagnani, giornalista, nell'ambito del filone di inchiesta sulla criminalità organizzata a Roma:
D'Attis Mauro , Presidente ... 3 
Rastrelli Sergio  ... 3 
Fagnani Francesca , giornalista ... 3 
D'Attis Mauro , Presidente ... 3 
Fagnani Francesca , giornalista ... 3 
Rastrelli Sergio  ... 3 
D'Attis Mauro , Presidente ... 4 
Verini Walter  ... 4 
D'Attis Mauro , Presidente ... 4 
Fagnani Francesca , giornalista ... 4 
D'Attis Mauro , Presidente ... 6 
Congedo Saverio (FDI)  ... 6 
Antoniozzi Alfredo (FDI)  ... 6 
Fagnani Francesca , giornalista ... 7 
D'Attis Mauro , Presidente ... 8 
Congedo Saverio (FDI)  ... 8 
Fagnani Francesca , giornalista ... 8 
D'Attis Mauro , Presidente ... 9 
Fagnani Francesca , giornalista ... 9 
Verini Walter  ... 10 
Fagnani Francesca , giornalista ... 10 
D'Attis Mauro , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
MAURO D'ATTIS

  La seduta comincia alle 11.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione di Francesca Fagnani, giornalista, nell'ambito del filone di inchiesta sulla criminalità organizzata a Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione della dottoressa Francesca Fagnani, giornalista, che ringrazio, anche a nome della presidente Chiara Colosimo, per la sua cortese disponibilità a tornare in Commissione per rispondere – come sapete – ai quesiti dei colleghi che intendono intervenire a seguito della prima audizione già avuta.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell'audita o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Se siete d'accordo, do la parola ai colleghi che intendono intervenire per le eventuali domande alla dottoressa Fagnani.

  SERGIO RASTRELLI. Signor presidente, la ringrazio.
  Rinnovo anche io il ringraziamento alla dottoressa Fagnani. Mi occorreva, dal suo angolo di visuale, un doppio contributo. Il primo, se riesce a fornirlo, sul grado di permeabilità o di resistenza, al contrario, delle pubbliche amministrazioni, in modo particolare dell'autorità amministrativa, rispetto alle pressioni della criminalità organizzata sul territorio.
  La seconda questione, di maggiore dettaglio, e lei ne fa menzione esplicita nel suo testo, è se riesce a dettagliarci il livello di infiltrazione all'interno del tifo organizzato. Lei fa un riferimento estremamente inquietante, anche se datato, del tentativo da parte dei Senese, per il tramite di Piscitelli, di scalare, in qualche modo, la proprietà della Società Sportiva Lazio con una serie di tentativi di condizionamento, all'epoca, nei confronti del presidente Lotito, quindi vorrei comprendere se si tratti di un fenomeno tuttora in corso e soprattutto il livello quali-quantitativo di infiltrazione in quell'ambito.
  Grazie.

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Buongiorno a tutti. Grazie a voi per questo spazio.

  PRESIDENTE. Scusi, dottoressa, preferisce rispondere volta per volta ad ogni domanda?

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Non conosco la prassi, come preferite voi.

  SERGIO RASTRELLI. Presidente, se mi consente, soltanto un dettaglio. Come lei sa, noi senatori abbiamo il voto prima in Camere riunite. Quindi, se fosse possibile, con il permesso dei colleghi, chiederei di far intervenire prima i senatori.

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  PRESIDENTE. Dopo la domanda che ha fatto il collega Rastrelli, darei subito la parola al collega Verini. Dopodiché, farei un altro giro di domande, se non ci sono altri senatori che l'hanno chiesta.

  WALTER VERINI. Signor presidente, la ringrazio. Buongiorno, signora Fagnani. Nella sua audizione precedente, ma anche dalla lettura del suo libro, emerge un quadro davvero sconvolgente e inquietante. Dalle informazioni che si hanno e sulle quali ha scavato emerge una fotografia della guerra delle mafie a Roma davvero molto invasiva, molto presente.
  Le vorrei rivolgere una domanda sostanziale, nel senso che la sostanza è questa. Ho letto il suo libro e ho letto recentemente anche un'intervista del procuratore Lo Voi, il quale dice che per una parte delle nuove forme di manifestazione di narcotraffico, nuove mafie, collegamenti con le mafie tradizionali nel territorio romano, ma lui cita anche il litorale, quindi Aprilia, Anzio, Nettuno, eccetera, il rischio è quello che si crei – dice Lo Voi – un'unificazione di intenti tra estremismo politico e organizzazioni criminali pure che si occupano di traffico di stupefacenti. Questo può essere particolarmente pericoloso. Il cuore di questa intervista, che poi è supportata da indagini ancora in corso, lo tralascio, perché già dice tutto.
  Nel suo libro, peraltro, lei cita e racconta – accennandoli, naturalmente – i legami di Matteo Costacurta, il «principe», anche lui legato a spedizioni punitive dell'estrema destra. Cita, mi pare, quella a Villa Ada nei confronti degli ascoltatori, degli utenti, dei partecipanti al concerto, legati anche alle tifoserie criminali, sia della Roma che della Lazio, gli ultras. Per non parlare di Piscitelli «Diabolik», il cui omicidio – dice lei – segna lo spartiacque tra tutte le consorterie del clan Senese e che, comunque, segna uno spartiacque in una evoluzione della guerra tra la criminalità a Roma. Anche collegando Lo Voi, collegando le cose che accenna lei su Costacurta e Piscitelli, le loro frequentazioni con estremismi della destra eversiva, che non ha niente a che vedere con la destra parlamentare, parlo di quella destra lì, vede un rischio di connessioni?
  Chiudo davvero. Io sono reduce, adesso, vengo dalla Camera di commercio di Roma, dove era in corso – ed è in corso – un convegno sulle mafie a Roma. C'era il prefetto Giannini, il GICO e tante altre autorevolissime personalità che stavano scavando. Dagli interventi che ho potuto ascoltare si paventava il rischio che attorno all'enorme quantità di proventi del narcotraffico, di liquidità e di tentativi di riciclaggio, attorno alle partite Giubileo, PNRR, si possa provare a saldare forme di connessione tra i titolari di questa criminalità del narcotraffico e ambienti istituzionali e politici. Lei vede questo rischio?

  PRESIDENTE. Grazie, collega Verini.
  Se non ci sono altri senatori che chiedono la parola per le domande, passerei subito la parola alla dottoressa Fagnani.

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Signor presidente, la ringrazio.
  Per quanto riguarda il rischio di permeabilità, c'è stata un'inchiesta di qualche anno fa, del 2014, che si chiamava «Mafia Capitale», poi derubricata «Mondo di mezzo», che ha raccontato un po' questo. Ripeto: nel terzo grado di giudizio non è passato il 416-bis, ovvero l'ipotesi di organizzazione criminale di stampo mafioso, eppure quell'inchiesta ha svelato una grande vicenda di corruzione all'interno del comune di Roma. È risalente. Quello, però, sicuramente è stato l'episodio più eclatante, dopo il quale a Roma non mi sentirei adesso, per quello che è a mia conoscenza, di parlare dello stesso livello di permeabilità che invece è assolutamente sussistente sul litorale romano, a partire da Anzio. C'è stata un'inchiesta molto importante, condotta dalla procura di Roma, del Nucleo investigativo di via in Selci, proprio sulla presenza della 'ndrangheta ad Anzio. Lo stesso per Aprilia, lo stesso per Velletri, dove è molto forte, invece, il gruppo degli Albanesi. Parlo sempre di vicinanza alle amministrazioni. Ricordiamoci che Ostia è stato il primo municipio in Italia sciolto per mafia, se non sbaglio, nel 2017.Pag. 5
  La permeabilità, purtroppo, esiste in comuni più piccoli, dove è anche più avvicinabile l'amministrazione locale. Su Roma mi sento solo di dire che mi auguro di no, dopo quella vicenda. Se ci siano stati tentativi successivi non lo so, ma forse l'avremmo saputo.
  Per quanto riguarda il legame, la saldatura tra il tifo organizzato – parliamo della frangia degli ultras, chiaramente – e la criminalità, ormai questo possiamo considerarlo un dato di fatto. Nel Lazio è fortissimo, in Campania è fortissimo, ma abbiamo visto dagli eventi di cronaca più recenti quanto è vero anche per la curva dell'Inter, dove per esempio c'è stato anche un omicidio.
  Le curve, purtroppo, prima di tutto rappresentano una piazza di spaccio e poi soprattutto forniscono una grande disponibilità di violenza a chi, invece, gestisce altri tipi di traffici. Vero è stato, per esempio, per Piscitelli, come per tanti altri. Piscitelli ha radunato le sue batterie criminali proprio in curva, perché gli garantivano la violenza. Ma soprattutto si occupano di recupero crediti nell'ambito del narcotraffico. Fondamentalmente sono picchiatori e spacciatori di vario livello. Che poi ci siano infiltrazioni di natura mafiosa è verissimo, tanto nel Lazio quanto, ancora di più, a Napoli. Sono tutti legati a famiglie camorristiche, per esempio, i capi ultrà dei vari gruppi a Napoli. Questo mi sentirei dire che è un dato di fatto.
  Mi permetto solo di correggere ciò che diceva riguardo al tentativo di scalata della Lazio da parte di Piscitelli e del suo gruppo. In questo caso, mi sentirei di escludere la famiglia Senese. Michele Senese è da considerarsi figura apicale del crimine organizzato a Roma e padrino criminale di Fabrizio Piscitelli, ma per quanto riguarda la Lazio lo terrei fuori. L'ha fatto con Chinaglia, con tutto quel gruppo.
  Venendo all'altra domanda, direi che la vicinanza fra gli ambienti della destra eversiva e la criminalità, soprattutto quella romana, è storia. Questo risale alle vicende della banda della Magliana, dove c'era addirittura un ideologo, il professor Semerari, che aveva avuto l'intuizione di mettere insieme personaggi appartenenti alla destra eversiva, Massimo Carminati per esempio, ed esponenti della banda della Magliana. Da lì in poi possiamo dire che la destra eversiva ha sempre sfruttato la criminalità, quella romana in particolar modo, perché le garantiva, anche in quel caso, una riserva di violenza, ma anche di armi e di liquidità.
  Per farle altri esempi – me lo sono appena appuntata, ma ce ne sono tantissimi – a Ostia ci ricordiamo la vicinanza fra Roberto Spada, figura apicale della famiglia Spada, e CasaPound. Non parliamo di destra eversiva ma di ambienti di destra extraparlamentare.
  Io mi sentirei di dire che il core business della criminalità organizzata resta il narcotraffico, perché i soldi li fanno così, più che con i legami con l'amministrazione, per esempio. Però, il pericolo resta quello degli anni Ottanta, vale a dire che alcuni gruppi legati alla destra eversiva possano sfruttare la criminalità romana, servirsene, come fosse un'agenzia del crimine, per quello che gli serve, armi, liquidità e copertura criminale. Questo è un dato storico.
  Lei citava Matteo Costacurta, personaggio di spicco della criminalità romana assolutamente diverso da tutti gli altri che hanno una collocazione in un contesto periferico della città. Lui viveva – dico viveva perché adesso è in carcere – in viale Liegi, aveva la passione per il polo, era amministratore delegato di una serie di circoli di polo, quindi apparteneva alla «Roma bene». Quando ho fatto la presentazione del libro a Cortina, mi fermavano continuamente per dirmi che vedevano spesso Costacurta da quelle parti. Insomma, apparteneva al «mondo di sopra», non al «mondo di sotto». Ma lui i primi precedenti penali li ha avuti proprio perché legato a gruppi di estrema destra, con cui faceva anche azioni militari. Peraltro, gli hanno trovato un arsenale a casa. Poi, che facesse il killer anche per gli Albanesi, perché aveva la passione di uccidere, questo è un altro discorso.
  Anche le curve sono profondamente politicizzate e sempre nella direzione dell'estrema destra, anche se poi magari non c'è Pag. 6un risvolto politico, non c'è un'azione in tal senso perché – lo ripeto – il core business resta la droga. Quindi, non vedo un pericolo per quello su cui ho lavorato.

  PRESIDENTE. Grazie. Passiamo al secondo giro di domande, affidate ai colleghi Congedo e Antoniozzi. Prego.

  SAVERIO CONGEDO. Innanzitutto anch'io ringrazio la dottoressa Fagnani, che in parte ha già risposto a una delle domande che avrei voluto farle, quella appunto relativa ai legami e ai tentativi di infiltrazione, spesso riusciti, della criminalità organizzata nelle curve.
  Lei, inoltre, ha detto che nelle curve romane, ma in genere in tutte le curve, sono quasi tutti orientati a destra. Ebbene, questo è un dato che mi sento di smentire: la geografia delle curve in Serie A e in Serie B è alquanto variegata, alcune sono politicamente schierate da una parte, altre da un'altra. Basta vedere le immagini di alcune curve in cui campeggia Che Guevara. Ovviamente, quelle non possono essere considerate curve politicamente orientate a destra.
  Vengo alla domanda. Noi abbiamo ascoltato un paio di volte il procuratore capo di Roma, dottor Francesco Lo Voi, che ha fatto una fotografia della criminalità organizzata romana e ha precisato che questa ha alcune peculiarità rispetto ad altri territori, in cui si registra una presenza radicata di un gruppo criminale riferibile a un'organizzazione. Qui sembra coesistere una varietà di criminalità organizzata, in parte italiana, in parte autoctona, in parte addirittura straniera, come scrive nel suo libro con riferimento alla mafia albanese. Lei ha detto che il core business della criminalità organizzata romana ruota fondamentalmente intorno allo spaccio di stupefacenti. Questo sembrerebbe circoscrivere il potenziale della criminalità organizzata romana esclusivamente a questo tipo di attività. A differenza di altre organizzazioni criminali del territorio, penso a mafia, camorra e 'ndrangheta, che mettono in atto tentativi di modernizzarsi e anche di aggredire l'economia legale con forme sofisticate di iniziative e investimenti, a suo modo di vedere quella romana è paragonabile da questo punto di vista a queste altre organizzazioni o è un fenomeno che alla fine si circoscrive allo spaccio e agli investimenti sui territori in cui opera?

  ALFREDO ANTONIOZZI. Dalla lettura della relazione presentata nella seduta precedente mi sono fatto l'idea che a Roma agiscono tante organizzazioni mafiose – la volta scorsa le elencò, facendo anche nomi e cognomi – però difficilmente si può immaginare una mafia autoctona romana. D'altronde, anche l'esperienza drammatica di «Mafia capitale» alla fine portò alla luce una piccola corruttela amministrativa – piccola, se ricordo le cifre – che sostanzialmente, però, non si poteva inquadrare in un concetto di mafia. Peraltro, anche la sentenza dette seguito a questo ragionamento.
  Tuttavia, a questo tema si collega, dottoressa, un'altra questione, che riguarda una sorta di mafia sottostante, che è la mafia legata alle occupazioni e agli immobili pubblici e in parte privati, ma in particolare quelli pubblici.
  Per mie esperienze precedenti ho vissuto queste cose in varie responsabilità del passato. Si era consolidata l'idea di alcuni comparti mafiosi di case popolari, dove nulla poteva avvenire se non a seguito di una decisione di una sorta di cupola che agiva nei comparti in particolare di Tor Bella Monaca, di Corviale, una parte del Tufello e via discorrendo. Le conosco, purtroppo, tutte.
  Questa organizzazione – non so se chiamarla racket – ha terminali estremamente chiari di riferimento politico e organizzativo. Tutti i movimenti di lotta per la casa, che è un eufemismo determinatosi per nobilitare queste forme di associazionismo... La verità è che agiscono con fare mafioso, perché raccolgono il pizzo da coloro che sono stati inseriti nelle occupazioni, decidono chi e come deve andare, decidono se occupare alcune case che sono in via di assegnazione. Quindi, nella procedura amministrativa interviene qualcuno che dà l'indicazione, dà l'ordine e arriva il gruppo ad occupare. Queste organizzazioni, chiamiamolePag. 7 così, che hanno nome e cognome – movimento di lotta, movimento Tiburtino 38, ci sono varie organizzazioni –, hanno avuto in tutti questi anni una chiara copertura politica. Sono decenni che agiscono questi gruppi «mafiosi» dentro un comparto estremamente delicato come quello delle abitazioni popolari.
  Voglio ricordare che solo a Roma sono 45 mila gli alloggi comunali e c'è una percentuale di occupazione, tutelata da questo racket, che è altissima, esponenziale e, ahimè, continua.
  Passo alla mia domanda. Non ritiene, in base alla sua esperienza, a quello che ha vissuto, a quello che ha scritto, che ci sia questa cosiddetta mafia, che potremmo chiamare racket, che ha una chiara matrice politica di sinistra? Nel tempo è stata sempre rappresentata, anche nelle istituzioni. Io ricordo che fu eletto un consigliere comunale che veniva chiamato «Tarzan», il nome non lo ricordo bene, che apparteneva a una chiara lista, a una chiara maggioranza. Non ritiene che in questo momento alcuni segnali – penso al segnale, ad esempio, che viene dalla eurodeputata Salis, che su questo argomento fa chiare dichiarazioni di acquiescenza a una metodologia che a Roma è molto pesante, ma che agisce in tutta Italia – possano determinare una escalation? Sentirsi tutelati anche negli alti livelli delle istituzioni determina un atteggiamento di maggiore sicurezza e di maggiore forza, con dei rischi enormi per l'ordine pubblico romano e nazionale.

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Lei parlava di varietà delle organizzazioni criminali presenti a Roma. È esattamente questa la chiave, nel senso che la specificità della criminalità romana rispetto a quella che possiamo trovare in altre città molto esposte ai fenomeni mafiosi è questa. A Roma dagli anni Cinquanta in poi sono arrivate tutte le mafie tradizionali: quella campana, quella siciliana, quella calabrese. A Roma la torta è grande, ci mangiano tutti e continuano a mangiarci tutti. Questa è sicuramente la caratteristica.
  Intanto distinguerei tra spaccio e narcotraffico, perché sono due cose molto diverse. Quello che racconto nel libro e che dicevo prima, del core business, non è lo spaccio, ma il narcotraffico, cioè si muovono milioni a Roma. Quello che si fa fatica a capire è che esiste un grande, importante cartello, pari a quelli sudamericani, che muove milioni. Si parla di grossisti della droga, non del pusher del quartiere che poi – è ovvio – è l'ultimo anello della catena. Quando parlo di core business parlo di questo livello qui. Ovviamente i soldi, i proventi anche del narcotraffico in qualche modo vanno reinvestiti. L'attività principale delle mafie a Roma è anche quella del riciclaggio. Lì dove hanno una vocazione imprenditoriale in Calabria, a Milano, in Piemonte ce l'hanno anche a Roma.
  Mi spiace dirlo. Proprio dietro questo palazzo c'è questa via di ristoranti: non ce n'è uno che non abbia subìto una serie di processi e di sequestri, ristoranti che poi sono stati restituiti. È difficilissimo dimostrare il riciclaggio, ma è una via caratterizzata da questo. Non posso dire che l'unica attività romana ruota intorno al narcotraffico. I proventi illeciti da qualche parte vanno, poi, reimpiegati. Se penso a Michele Senese, che è quello che ha creato il cartello del narcotraffico più importante del Lazio, lui è attivissimo negli idrocarburi. Quindi, non posso dire che ruota solo tutto intorno... O, come fanno a Napoli, attività legate all'abbigliamento, ai finti outlet, all'abbigliamento in pelle, ai capi falsi, eccetera, così come nell'immobiliare.
  Poi c'è un altro livello ancora, quello dell'usura. Un tempo a Roma si parlava di «cravattaro», ed era un rapporto personale tra chi subiva l'usura e la persona che prestava a strozzo i soldi. Adesso si è elevato a sistema e quando riescono a entrare nei ristoranti, come per esempio in questa strada, è perché magari non viene concessa dalla banca una liquidità che cercano altrove. Nel momento in cui chiede i soldi un'attività commerciale è finita. Ovviamente non si può parlare solo di narcotraffico. Ci sono una serie di attività, in qualche modo, però, legate. Sicuramente la resistenza che c'è stata finora è accettare che a Roma esista questo livello di traffico di droga.Pag. 8
  Legandomi alla domanda successiva, io sono sempre molto attenta a utilizzare la parola «mafia». Questo vale per «Mafia capitale» che, come lei giustamente ha detto, poi si è rivelato altro. Tanto più non la uso per il movimento case, nel senso che la mafia va accertata processualmente. Anche rispetto agli Albanesi che chiamiamo «mafia albanese», ancora non ci sono state sentenze in questa direzione. Magari ci saranno, però nel frattempo lo chiamo «gruppo criminale», «consorteria criminale» legata agli Albanesi.
  Vero è che, però, io non mi sentirei di escludere che a Roma esista un'organizzazione criminale autoctona mafiosa. Ovviamente lo dico rispetto alle risultanze processuali in tale direzione. L'altra volta vi ho fatto dei nomi. Prima di tutto Michele Senese, che è a capo di un cartello, che non ha né il 41-bis come regime carcerario né il 416-bis come ipotesi di reato. Eppure lui è a capo di un'organizzazione sotto la quale ci sono una serie di figure apicali, di altissimo calibro della criminalità organizzata, come per esempio Leandro Bennato e Peppe Molisso, due figure importantissime che si sono messe insieme nel 2017, unendo tutto il narcotraffico enorme di Tor Bella Monaca con quello di Casalotti. Sarà difficile, forse, visto che hanno a disposizione tutto un gruppo, che guidano con l'esercizio della violenza, della prepotenza, dell'intimidazione, con fatti di sangue, eccetera, non andare verso la direzione di un'organizzazione criminale di stampo mafioso. Questo perché non mi sento assolutamente di escludere che a Roma esista una mafia autoctona mafiosa, con la premessa che uso questo termine sempre con prudenza e quando i processi lo accertano.
  Rispetto a quello che diceva lei, è un fenomeno drammatico quello del racket delle case popolari. Io lo sottrarrei da una visione politicizzata, sinceramente, perché anche quello è un esercizio illegale e criminale che agisce su territori fragili, e penso al Movimento Casa.
  Il racket delle case popolari può esistere perché c'è una burocrazia lentissima. Gli enti, come per esempio l'ATER – quando ho fatto inchieste in tal senso li chiamavo – non sanno nemmeno che patrimonio immobiliare hanno a disposizione, quante case hanno, quali sono occupate. È in questo che poi si inseriscono quelli che gestiscono, perché gestire le case popolari è anche una forma di consenso fortissimo sul territorio. È una prepotenza, ma è un welfare criminale, ovviamente. È una lotta tra poveri, lei lo sa benissimo, nelle periferie.
  Nel momento in cui nella graduatoria ci sono famiglie di immigrati con più figli, con minori che passano avanti a famiglie magari romane è lì che la famiglia romana va da chi gestisce quel racket popolare e quindi è lì che scoppiano poi le guerre.
  Lo abbiamo visto a Ostia con gli Spada. I Costagliola, che è un'altra famiglia di origine campana, a Dragoncello Acilia gestiscono le case popolari. Quello è un fenomeno gravissimo. Non lo politicizzerei come visione, ma la politica ci deve mettere le mani, perché se gli enti non sanno neanche che case hanno, poi è un po' difficile gestirlo. A Ostia ce lo ricordiamo, le case degli Armellini, eccetera.

  PRESIDENTE. C'è una richiesta di supplemento di domanda da parte del collega Congedo. Vorrei chiedere anche ai colleghi collegati se hanno domande da fare anche da remoto.

  SAVERIO CONGEDO. Chiedo scusa alla dottoressa e ai colleghi, ma mi era sfuggito un dato. Lei ha ripetuto nella replica che la specificità della criminalità romana è di essere una sorta di mescolanza di varie realtà criminali, in alcuni casi romane ed altre provenienti da territori ad alta densità criminale, addirittura dall'estero.
  La cosa che le volevo chiedere, sulla base degli studi e degli approfondimenti che lei ha effettuato, riguarda che tipo di convivenza trovano tra loro queste varie realtà così diverse. È una convivenza che alla fine trova una sintesi su quella che in altri territori si chiamerebbe «cupola», cioè un ordine gerarchico riconosciuto superiore agli altri, o è semplicemente una ripartizione geografica o di sfere di interesse criminale?

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Da sempre, ed è il motivo per cui rispetto alla Pag. 9criminalità organizzata a Roma non c'è mai stato un particolare allarme sociale, come c'è a Napoli o a Palermo, a Roma in linea di massima non si spara. I morti per strada non li vediamo, non siamo abituati. Li abbiamo visti negli anni Ottanta, ma si sparavano fra di loro, nel periodo della banda della Magliana, ma poi no.
  Questo, ovviamente, non vuol dire che non ci sia quel livello di ferocia, ma le varie organizzazioni criminali convivono in una sorta di pax mafiosa che garantisce da sempre gli affari, perché, ovviamente, nel momento in cui esiste un fatto di sangue questo attira le forze dell'ordine come le telecamere e si lavora male. Da sempre c'è una convivenza pacifica. Quando succede qualcosa come l'omicidio Piscitelli, nel 2019, vuol dire altro, visto che era un boss, non era un personaggio minore. Non era un semplice regolamento di conti di strada, come ebbe a dire immediatamente l'allora procuratore capo Michele Prestipino: «Questo è un omicidio con modalità mafiose». Quando muore un personaggio di quello spessore criminale significa che gli equilibri a Roma si stanno riassestando, sono saltati ed è questo che invece dovrebbe creare un allarme sociale, perché dal 2019 in poi si sono susseguiti tutta una serie di fatti di sangue che a Roma solitamente non si vedono.
  Questo perché è saltata una pace all'interno del medesimo cartello. Vi dovete immaginare un grande cartello criminale, soprattutto legato al narcotraffico, dove ci sono dei viceré, dei capi e non c'è una vera e propria spartizione territoriale. Certo, ci sono delle aree di appartenenza: Ugo Di Giovanni, Trullo e Magliana, Peppe Molisso, Cinecittà e Tor Bella Monaca, Leandro Bennato, tutto Casalotti, tutto Primavalle, Residence Bastogi e via dicendo.
  Lavoravano tutti insieme pacificamente. Se uccidono Piscitelli, significa che qualcosa stava cambiando. Il gruppo degli Albanesi era inserito perfettamente all'interno di questo cartello. Scoppia una guerra a Roma dopo il 2019 tra il gruppo degli Albanesi e il gruppo legato a Leandro Bennato e a Molisso, i quali si erano messi insieme prendendosi una fetta importantissima di Roma che va da Tor Bella Monaca a Primavalle. Immaginate che cos'è il narcotraffico in quell'area così estesa, visto che Tor Bella Monaca è la piazza di spaccio con sedici piazze di spaccio, la più importante d'Europa, più importante di Scampia, dell'allora Scampia, ovviamente. Quindi, nel momento in cui scoppia la guerra fra di loro e il gruppo degli Albanesi, l'allarme sociale invece dovrebbe esserci.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, dichiaro conclusa l'audizione della dottoressa Fagnani che ringrazio anche a nome della presidente Chiara Colosimo per la cortese disponibilità a essere audita sia nella prima che nella seconda audizione e per aver risposto alle domande dei colleghi commissari.

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Posso aggiungere una cosa? Era una domanda che speravo ci fosse, ma me la faccio da sola. È una cosa che volevo far emergere nella precedente audizione, che non è emersa per il tempo, ma che invece riguarda il vostro lavoro e per questo mi sento di doverla dire. Vista la nuova legge rispetto alle carceri, all'ipotesi del trasferimento dei detenuti tossicodipendenti in comunità di recupero, che in via teorica è giustissimo perché la tossicodipendenza va curata nelle sedi opportune che non sono certo le celle, però bisogna stare molto attenti, perché c'è una falla pericolosissima nel sistema, soprattutto a Roma e in Campania: la maggior parte dei criminali con maggior liquidità, referenti delle varie consorterie più importanti, predispongono, attraverso una rete di medici e di avvocati collusi, delle cartelle cliniche nelle quali si certifica la dipendenza da droga, da alcol e varie patologie psichiatriche. Questo consente loro, prima che vengano arrestati, di poter poi accedere al beneficio delle comunità di recupero che spesso neanche esistono.
  Vi invito ad andare a visitarle. Sono delle stanze dove non c'è niente, non ci sono neanche le terapie. Questi criminali hanno la possibilità di pagarsi da soli la retta, quindi si scelgono non solo la comunità,Pag. 10 ma anche tutto il gruppo di pregiudicati. Ricreano il gruppo criminale all'interno delle comunità.
  In previsione dell'attuazione della nuova legge, lancio un alert in questa direzione, anche perché ad oggi le comunità di recupero non sono in grado di trasformare in prassi la legge, perché quelle adatte, che hanno i parametri per ospitare i detenuti tossicodipendenti, sono pochissime. A parte Villa Maraini, che ha trenta posti rispetto a 773 richieste, le altre comunità in giro per l'Italia ne ospitano due o tre e non sono mai felici. Quando, invece, ci sono delle comunità, e come al solito anche qui farò dei nomi, come Il Merro a Roma o Magliana '80, dove Molisso, Leandro Bennato, Piscitelli, Ugo Di Giovanni si sono ritrovati tutti e trasformano le comunità in ufficio con i soldi pubblici, questo è molto grave anche perché tolgono il posto ai veri tossicodipendenti.
  Chiedo scusa se ho ripreso la parola, però ci tenevo a dire questo.

  WALTER VERINI. Do atto, dall'opposizione, alla presidente Colosimo, oggi assente, che in ufficio di presidenza è stato posto questo problema, citando dei casi e invitando poi la Commissione a tenere presente nella calendarizzazione dei lavori questo tema così delicato.
  La presidente ha investito la nostra Commissione del tema. Concordiamo e la ringrazio anche per questa sua sollecitazione.

  FRANCESCA FAGNANI, giornalista. Bisognerebbe stare attenti a far accedere a questo beneficio i detenuti per associazione criminale, articoli 74 e 416. Attenzione, anche perché i reati associativi non sono i reati legati ai reati che compiono i tossicodipendenti che di solito sono rapine, furti e piccolo spaccio. Quando c'è un'organizzazione criminale di tipo associativo, occhio a concedere queste cose.
  Ovviamente questo è un problema legato anche ai magistrati di sorveglianza che, davanti a certificati medici, non si prendono la responsabilità di smentirli, perché poi, se succede qualcosa, ne rispondono loro. Però, è un tema.

  PRESIDENTE. Grazie per questo ulteriore contributo all'attività della Commissione. Ringrazio anche il collega Verini per aver trattato la questione. Ha fatto benissimo.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.10.