Sulla pubblicità dei lavori:
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DELLA MEDICINA DELL'EMERGENZA-URGENZA E DEI PRONTO SOCCORSO IN ITALIA
Audizione, in videoconferenza, di Francesco Lisanti, direttore del Pronto soccorso dell'Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, di Livio De Angelis, direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio, di Francesca Cortellaro, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia, e di Francesco Venneri, referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico.
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 3
De Angelis Livio , direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio ... 3
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 5
Cortellaro Francesca , direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia ... 5
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 5
Cortellaro Francesca , direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia ... 5
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 5
Cortellaro Francesca , direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia ... 5
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9
Cortellaro Francesca , direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia ... 9
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9
Venneri Francesco , referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico ... 9
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 11
Girelli Gian Antonio (PD-IDP) ... 11
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 11
Cortellaro Francesca , direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia ... 11
De Angelis Livio , direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio ... 12
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 12
Venneri Francesco , referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico ... 13
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 13
Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC):
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 13
Caminiti Alessandro , presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC) ... 13
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 15
Caminiti Alessandro , presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC) ... 15
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 16
Caminiti Alessandro , presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC) ... 16
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 17
Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
LUCIANO CIOCCHETTI
La seduta comincia alle 14.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.
Audizione, in videoconferenza, di Francesco Lisanti, direttore del Pronto soccorso dell'Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, di Livio De Angelis, direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio, di Francesca Cortellaro, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia, e di Francesco Venneri, referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico.
PRESIDENTE. La Commissione prosegue oggi le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia. Partecipano all'audizione odierna il dottor Livio De Angelis, direttore della Direzione regionale di soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio, la dottoressa Francesca Cortellaro, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale- territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia, il dottor Francesco Venneri, referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico.
Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati, alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
Do quindi la parola al dottor Livio De Angelis.
LIVIO DE ANGELIS, direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio. Ringrazio in primo luogo l'onorevole Ciocchetti per l'interessantissima attività di indagine promossa dalla Commissione – non ricordo un'analoga esperienza precedente – e per avermi personalmente coinvolto.
Il mio ruolo attualmente è quello di responsabile del servizio del numero unico dell'emergenza, che risponde ad un obbligo normativo europeo e che è il punto di accesso della popolazione all'intervento in emergenza. È quello che si diceva una volta il «primo anello» della catena dell'emergenza, che prima apparteneva al servizio di emergenza sanitaria del 118.
Il numero unico dell'emergenza è un formidabile strumento, ma in Italia il grande limite attuale è la mancata omogeneità di attivazione sull'intero territorio nazionale. Ci sono ancora regioni che non hanno attivato il servizio, regioni che lo stanno attivando, regioni che l'hanno attivato già da qualche anno: la mancanza di omogeneità rende difficile prevedere regole e dare anche indicazioni, soprattutto alla cittadinanza.
Vi faccio presente che la difficoltà di dare, ad esempio, un messaggio alla popolazione è fondata sul fatto che, in alcune regioni, ciò potrebbe scontrarsi sull'assenza Pag. 4o sulla diversità della «costruzione» del servizio di emergenza: quindi non si può ancora dire: «chiamate il 112», paradossalmente nel 2024, perché alcune regioni non l'hanno ancora attivato. Allora, ritengo veramente urgente il completamento della copertura nazionale del servizio e il superamento di alcune storiche, e probabilmente assurde, battaglie in «difesa» di situazioni precedenti che devono essere superate. Ma devono essere superate in una logica di «crescita intelligente», anche seguendo l'evoluzione tecnologica che a volte non siamo capaci di «inseguire». Le possibilità che la tecnologia ci dà oggi deve comportare anche un cambiamento di atteggiamenti e di procedure. Sicuramente rispetto a questo profilo vi è ancora qualche resistenza nel nostro Paese.
La costruzione della porta di accesso ai servizi di emergenza è una cosa da migliorare, normalizzare e rendere omogenea a livello nazionale.
Il rapporto tra 112 e 118 – voi sapete che il 112 coordina anche le Forze dell'ordine, ma qui siamo in un ambiente che si occupa di sanità e quindi mi riferisco al semplice servizio di emergenza sanitaria – è un rapporto che deve crescere, deve essere normalizzato e non deve subire rallentamenti. Si può fare con soluzioni tecniche che, secondo me, addirittura ottimizzano le spese, le risorse logistiche e anche le risorse umane.
Quindi seguire il percorso ideale che fa la chiamata di un cittadino, che ha bisogno di un intervento «a target», ci può indicare come costruire un servizio. Sono sempre convinto che partire da quello che serve ci aiuti poi a costruire.
I servizi del 118 sono oggi probabilmente ancora troppo distanti rispetto ad una logica di condivisione e di continuità. Tuttavia il 112 non deve rappresentare un elemento di «disturbo» quanto piuttosto rappresentare un elemento funzionale, di facilitazione e anche, paradossalmente, di «recupero» in termini economici.
Vi faccio un esempio. Le spese, che non sono ingenti in realtà se paragonate con altre cose, per le sale operative, le piattaforme informatiche, i centralini telefonici sono spese che potrebbero essere ottimizzate, tenendo conto del percorso che il cittadino fa per accedere al servizio di emergenza.
Tutti noi abbiamo vissuto negli ultimi anni la periodica e continua questione dei contenziosi legati al cosiddetto «doppio passaggio» perché il 112 diventa un duplicato: il cittadino parla prima con il 112 e poi deve parlare col 118. Sicuramente il problema esiste se non sappiamo annullare il «doppio passaggio».
Ho diretto il 118 della regione Lazio per un periodo di tempo pari a circa dodici anni, quindi conosco abbastanza il servizio di emergenza 118. All'interno di una sala operativa 118, esistono alcune fasi: una fase di ricezione della chiamata e una fase di dispatch, ovvero di gestione dell'invio e della gestione del mezzo di soccorso. È quello che succede oggi: soltanto che le due fasi non sono più dentro la stessa stanza ma sono all'interno di due sale operative diverse. Il «doppio passaggio» pertanto non esiste (ed è dimostrato anche con i fatti) e, se esiste, è il medesimo che esisteva precedentemente gestito dall'unico ente.
Allora in questo caso occorre operare per rendere veramente compliant ed omogeneo il sistema.
La garanzia di un intervento rapido parte dalle sale operative e continua poi su tutte le fasi che portano al luogo di cura definitiva del paziente, che è inevitabilmente intraospedaliero.
La cosa che mi ha colpito negli anni è che, a fronte delle molteplici discussioni, critiche e anche comportamenti a difesa che ho letto e sentito, manca un'idea reale, diretta e personale, di quello che succede dentro una sala operativa del 112 o del 118. Questo un po' mi dispiace, perché l'osservazione diretta dovrebbe essere alla base delle decisioni e dovrebbe essere alla base anche della iniziativa normativa di una Nazione.
Recentemente una proposta di legge avanzata dall'onorevole Ciocchetti sembra riassumere quelle che sono le vere necessità del sistema: è una proposta della quale siamo compiaciuti. Occorre tuttavia riuscire a portarla avanti, perché continuare a Pag. 5parlare senza mettersi all'interno del percorso ideale che un cittadino ha diritto e ha necessità di fare, diventa improduttivo.
Un passaggio fondamentale dal punto di vista organizzativo, dell'efficacia e anche dell'ottimizzazione della spesa è «costruire» le diverse professioni che danno risposta al cittadino in emergenza.
Probabilmente, rimanere legati ad una vision antica delle diverse risorse professionali non è utile in questo periodo e non segue l'evoluzione della società e della tecnologia. Ci sono figure professionali nel mondo dell'emergenza che devono essere valorizzate e devono crescere: che esistono già in molti casi, senza avere il formale riconoscimento o almeno avendo un parziale riconoscimento. Quelle figure professionali, alle quali deve essere attribuita l'attività che possono svolgere e che non deve essere svolta da altre figure professionali, devono crescere.
Per spiegarmi meglio: anche le sale operative del 112 possono «godere» del contributo di personale che non sia infermieristico, questa è una realtà. Continuare ad utilizzare personale altamente specializzato per fare cose che non hanno bisogno di quella specializzazione, diventa poco efficace e molto costoso.
Utilizzare mezzi informatici e di intelligenza artificiale può darci risultati maggiori e può farci paradossalmente, con un risultato ed un'efficacia maggiore per la salute del cittadino, abbattere le spese. È un ragionamento complessivo e ampio, che, secondo me, deve passare attraverso i contributi resi dai tecnici e da chi ci lavora per diventare qualcosa di più strutturato, fino a ipotizzare una norma di legge.
Mi scuso per l'excursus e sono a disposizione per rispondere ad eventuali domande specifiche sull'argomento.
PRESIDENTE. Grazie, dottor De Angelis. Se può mandarci anche un contributo scritto, sarebbe ben gradito per i colleghi della Commissione.
Ricordo che tra gli ospiti che dovevano essere auditi era previsto il dottor Francesco Lisanti, che è stato regolarmente invitato, sia tramite telefonata che tramite e-mail. Non è in questo momento disponibile per svolgere l'audizione, vedremo di poterlo riconvocare in altro momento. Ricordo che il dottor Lisanti è il direttore del pronto soccorso dell'azienda ospedaliera San Carlo di Potenza.
Do quindi la parola alla dottoressa Francesca Cortellaro.
FRANCESCA CORTELLARO, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia. Anch'io sono molto grata di poter avanzare alcune proposte da parte di AREU Lombardia e magari, più in senso lato, anche qualche proposta innovativa da parte della regione Lombardia. Se mi consentite vorrei condividere delle diapositive.
PRESIDENTE. Può condividerle.
FRANCESCA CORTELLARO, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia. Adesso mi dicono di sì, molto bene.
PRESIDENTE. Non so chi le ha detto di no.
FRANCESCA CORTELLARO, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia. Sempre la tecnologia, che di solito ha ragione!
Avanzerei alcune proposte per sostenere quella che chiamiamo la «tenuta» dei pronto soccorso e della medicina d'urgenza. Mi occupo di integrazione, e credo che l'integrazione sia la parola chiave, quando si parla di percorsi di cura tra l'ospedale e il territorio. È una struttura che è nata dopo il Covid, di fatto la mia esperienza però è di vent'anni di pronto soccorso e di attività svolta anche nell'emergenza-urgenza del pre-ospedaliero.
Quello che è importante, a livello di paradigma, è avere ben chiaro che quando si parla di crisi del sistema emergenza-urgenza stiamo semplicemente guardando Pag. 6il famoso «canarino in miniera», ovvero abbiamo una sorta di scatola nera, l'apriamo e questa scatola nera ci fa la diagnosi del problema. Ma quando parliamo di questa crisi, dobbiamo essere consapevoli che nella filiera della gestione della domanda di salute, dal territorio all'ospedale, il pronto soccorso in qualche modo è una «spia» che si accende, ma in realtà è il sistema che non sta funzionando.
Non sta funzionando su due livelli: quello che genera l'affollamento in pronto soccorso, che raramente è causato dall'iperafflusso (lasciamo stare le ultime due settimane, dove tutte le regioni hanno avuto un aumento di accessi più o meno del 20 per cento), quanto piuttosto dal fenomeno del boarding che voi ormai ben conoscete. Questo genera la disaffezione dei professionisti che è il secondo problema di crisi: cioè trovare le risorse. Ma è evidente che le due cose devono essere affrontate in modo parallelo e questo è quello che cercheremo di proporvi in queste diapositive.
Quindi noi abbiamo davanti quello che si definisce patient journey: i nostri pazienti hanno una domanda di salute che attraversa il territorio, accede ai numeri che, come diceva bene il collega prima, sono due, – 116117 e il 112); accede quindi spontaneamente o viene indirizzato a un pronto soccorso, chiamato la «porta dell'ospedale», e da lì deve continuare il suo viaggio all'interno dell'ospedale per poi tornare sul territorio.
Se non affrontiamo il percorso nel suo complesso e quindi integriamo i vari segmenti, purtroppo è evidente che ci troveremo davanti all'attuale fallimento.
Quindi, le proposte fondamentalmente sono suddivisibili in tre categorie e si possono ricondurre tutte ad un tema unico, che è l'appropriato utilizzo del setting di cura.
Il Covid ci ha insegnato in modo drammatico questa vicenda. Avevamo in ambulanza pazienti che provenivano dalle RSA, di novant'anni, senza bisogno di ossigeno, e dietro di loro cittadini di cinquant'anni che avevano finito le bombole. Purtroppo la nostra regione ne ha viste tante di queste situazioni. Quindi dobbiamo usare il setting di cura in modo drammaticamente appropriato, e non solo in termini di risorse ma anche di professionisti. Per fare questo ci sono alcune soluzioni.
La prima domanda che tutti ci dobbiamo fare è: è appropriato che da una porta sola accedano 20 milioni di cittadini all'anno, ovvero siamo sicuri che quei 20 milioni hanno tutti la stessa domanda di salute e che tutti hanno bisogno di una risposta in un ospedale per acuti?
La seconda domanda è: quando arrivano a quella porta, perché continueranno ovviamente ad arrivarci, c'è un modo per segmentare la domanda, cioè i nuovi triage ce lo dicono? Il triage è un momento di streaming, non è più un momento per mettere in coda i cittadini, è un momento che genera percorsi di cura, che il sistema deve avere pronto. Poi, dobbiamo garantire questo flusso, perché se noi non garantiamo il flusso, è impossibile garantire il setting appropriato di cura.
Mi spiego meglio: avremo ogni giorno, come succede in Lombardia, 600/700 pazienti ricoverati in degenza per acuti che aspettano di essere trasferiti in strutture di cura intermedia sul territorio e ogni giorno abbiamo 700/1000 pazienti che aspettano di entrare in degenza per acuti. Quindi, non possiamo tenere un paziente che ha finito il suo percorso di cura in un ospedale per acuti, magari otto ore in un'ambulanza in attesa di essere «sbarellato», oppure un cittadino che ha bisogno di una diagnostica in emergenza-urgenza. Dobbiamo spostare questo concetto di setting appropriato di cura su tutta questa filiera, garantendo chi muore di più, dal momento che il paziente che aspetta il ricovero ha una mortalità – lo dicono i francesi in una recentissima pubblicazione – che è del 40 per cento superiore (ogni anziano che dorme in pronto soccorso ha una mortalità che aumenta del 40 per cento).
Veniamo alle proposte.
Per orientare la domanda dal territorio il cittadino usa il telefono e le app: dobbiamo adottare lo stesso approccio sulla domanda di salute.
Il cittadino deve imparare a telefonare usando due numeri, come avviene in InghilterraPag. 7 ormai dal 2014 e in Germania anche qui negli ultimi anni; dal 2019, in Lombardia è attivo il numero 116117, ma non è attiva una adeguata campagna di informazione. Questo non perché non vogliamo che questo numero venga utilizzato, ma perché, a «valle» di questo numero, i servizi territoriali sono completamente scoperti quantomeno in orario diurno.
Quindi, affinché i 20 milioni di cittadini non entrino tutti dalla stessa porta, questo secondo numero che dobbiamo – come giustamente si diceva prima – implementare, deve prevedere a «valle» una risposta; una risposta che sia qualitativamente sovrapponibile a quella che oggi il cittadino, quando si autopresenta in pronto soccorso, trova in termini di risorse, di professionalità, ma soprattutto che è allineata con la domanda (quindi su 24 ore e 7 giorni).
In Lombardia, abbiamo svolto tale sperimentazione a valle dei due numeri: abbiamo implementato alcune centrali di telemedicina, tra le quali quella più rodata, che è partita per prima nel 2022, è la centrale medica integrata composta da professionisti esperti di pronto soccorso, che sostanzialmente costituiscono un pronto soccorso virtuale, così da intercettare il paziente che chiama il 112 o il 118 con un bisogno di cura che non viene ritenuto emergente.
Tale centrale gestisce, ad oggi, il 70 per cento di queste chiamate non di emergenza con una risposta in tele-visita. Il 15 per cento di questi pazienti viene gestito anche attraverso un team di risposta rapida a domicilio, che ha la previsione di entrare non soltanto al domicilio del paziente ma anche nelle strutture socio sanitarie, quindi per i residenti in RSA.
Questo è un modello che è nato ovviamente sulla «spinta» del Covid; è estremamente efficace, ha una qualità sovrapponibile, perché abbiamo valutato che il numero di accessi, ma soprattutto di accessi di terapie subintensive e intensive non è diverso.
Ovviamente la soddisfazione dei cittadini, come potete immaginare, è elevatissima, tanto che lo stesso modello lo stiamo mettendo a valle dei pronto soccorso. Così i cittadini, invece di rimanere nell'area di osservazione breve, possono essere mandati a domicilio e vengono sempre presi in carico con lo stesso meccanismo, quindi attraverso una centrale medica ed eventualmente un team a domicilio per il paziente fragile.
A questo punto abbiamo detto: ma perché non mettere in piedi una centrale sovrapponibile, «a valle» del numero 116117? Ormai la telemedicina è una risposta adeguata per i problemi acuti non urgenti e quindi stiamo implementando, a partire dalla città di Milano (più di 2 milioni di abitanti) e nelle aree remote della montagna questo sistema che si sta dimostrando sicuramente efficace.
Gli elementi-chiave di questo modello sono: l'utilizzo dei due numeri, con una risposta «a valle» anche del 116117 (24 ore su 24); l'uso della telemedicina e l'utilizzo del team in giornata, che dà una risposta per i pazienti fragili a domicilio. Si tratta di un team ovviamente dotato di diagnostica point of care (POCT), perché noi dobbiamo costruire sul territorio la stessa risposta e la stessa qualità di cura che altrimenti il cittadino richiederebbe nuovamente al pronto soccorso.
Se non riusciamo a filtrare, o comunque possiamo dire parallelamente a questo meccanismo, è ovvio che dobbiamo segmentare le domande che accedono al triage. Questi nuovi triage lo fanno, quindi i cinque codici non sono solo cinque numeri, ma sono cinque segmenti che devono nascere strutturalmente, organizzativamente, anche con professionalità dedicate a valle del triage.
L'area a bassa complessità, che noi chiamiamo ancora l'ambulatorio codici minori, nella recente delibera – la n. 787 di regione Lombardia – viene assegnata a personale esterno a pronto soccorso, favorendo anche un'assunzione di tutti i non specialisti e specializzandi di qualunque disciplina grazie anche alla normativa nazionale.
L'alternativa potrebbe essere anche quella di inviare direttamente, in caso di comunità hub, quindi aperte in regime 24 ore si 24, 7 giorni su 7, sempre la stessa tipologia Pag. 8di pazienti, a patto che in queste strutture vi siano professionalità e risorse, quindi diagnostica point of care sovrapponibile a quella del pronto soccorso.
Tenete conto che le basse complessità includono i codici 4 e 5, che prevedono l'utilizzo di zero o una risorsa al massimo. Quindi non si tratta di «clonare» dei piccoli pronto soccorso, ma si tratta di sedimentare bene la domanda.
Di questi 20 milioni sappiamo che l'80 per cento si auto-presenta e di questo almeno il 30/40 per cento potrebbe non entrare in pronto soccorso, quindi immaginate che impatto sul concetto di affollamento.
L'affollamento, però, sappiamo bene che deriva dal boarding. Il boarding è un problema drammatico e complesso, legato sicuramente a una carenza di risorse. In questi anni abbiamo perso letti di degenza per acuti e abbiamo perso anche i professionisti dentro gli ospedali; quindi è importante che chi lavora in pronto soccorso non immagini che ci sia una risposta quick and simple a questo problema. Però ci sono delle regioni, prima fra tutte il Veneto (e la Lombardia ci sta provando), che hanno risolto in modo importante il problema del boarding, definendo, con un modello praticamente di ingegneria gestionale, gli slot di posti letto che le degenze per acuti devono dare al pronto soccorso.
Secondo la letteratura scientifica, gli slot devono essere operativi 7 giorni su 7: non è quindi più tollerabile quello che succede (e lo stiamo misurando come Areu) ormai in modo puntuale, ovvero che ogni sabato, domenica e festivi dell'anno le dimissioni si riducono del 30 fino al 50 per cento. Questo genera un effetto drammatico. Nessuno «stafferebbe» le casse di un autogrill o di un Esselunga nello stesso modo a Ferragosto e la vigilia di Natale. Quindi, dobbiamo «allineare» questi flussi. Non possiamo pensare che quello che arriva alla «porta» dell'ospedale non combaci perfettamente con quello che esce.
Quindi gli slot devono essere anche richiesti alle strutture territoriali che devono essere «governate» dal sistema, nel rispetto di questa normativa che prevede l'ingresso dall'ospedale per l'80 per cento dei pazienti.
Tenete conto che abbiamo realizzato un sondaggio interessante – e lo stiamo continuando a fare in modo bimestrale – dove si dimostra che il numero di bed-blocker nelle aree di degenza per acuti, in aree mediche, equivale quasi sempre al numero di pazienti in boarding: si tratta di 700/800 persone al giorno che sono ricoverate in attesa di essere trasferite su strutture intermedie.
Questo non è un appropriato utilizzo del setting di cura. Non possiamo permettere che ci sia un paziente intubato in pronto soccorso e un paziente che deve andare in riabilitazione in un reparto: questo è un problema che richiede un management completamente (e drammaticamente!) diverso all'interno dei nostri ospedali. E tenete conto che il boarding è il primo motivo di disaffezione professionale dei medici d'urgenza.
Quindi, proponiamo di istituire una centrale regionale che «governi» le dimissioni verso le degenze di cure intermedie, che devono essere attive 7 giorni su 7, che non possono chiudere per le festività e per il sabato e la domenica, garantendo quella percentuale che prima vi ho rappresentato (e questo ovviamente deve essere governato e monitorato).
I letti di Osservazione breve intensiva (OBI) esistono o non esistono? In Lombardia, manca un accreditamento e sicuramente mancano anche letti OBI almeno nel 40 per cento dei pronto soccorso. Tuttavia questi letti OBI sono per pazienti in boarding, quindi bisogna sicuramente che questo venga modificato.
Secondo la letteratura, abbiamo indicazioni sul come «facilitare» questo processo di discharge. Il discharge, come abbiamo detto prima, non è solo dai reparti ma può essere anche da pronto soccorso. In questi ultimi, col supporto del know-how dei medici d'urgenza, si costruiscono dei virtual board o delle virtual observation unit a domicilio, con il supporto dei team di risposta rapida, siamo riusciti a gestire più di 4 mila anziani in questo modo a domicilio, riaffidandoli poi ai servizi territoriali.Pag. 9
In attesa di realizzare queste progettualità più innovative, la letteratura ci dice cosa dobbiamo fare. All'estero «ridono» quando sanno che il paziente in attesa di ricovero è ancora in carico al medico di pronto soccorso! Le boarding area dei pronto soccorso non possono essere in carico ai medici d'urgenza: nessun medico mai vorrebbe montare turno con 50 pazienti in attesa di ricovero, perché quello è un lavoro pericoloso, altroché parlare di disaffezione! Quindi, la prima cosa da fare è strutturare le boarding area in carico ai medici dei reparti di destinazione, eventualmente aprire le admission room e poi fare quello che si chiama il full capacity protocol, cioè ogni reparto si fa carico di posti letto aggiuntivi, perché è dimostrato che è meno pericoloso stare nei reparti che aspettare il ricovero in pronto soccorso.
Occorre poi dare attuazione a quanto fissato nella delibera regionale ricordata e valorizzare la professionalità del medico d'urgenza (chi è e cosa deve fare). Qual è il suo ruolo aggiuntivo al sistema?
Noi pensiamo che il MEU sia il miglior professionista nella stratificazione del rischio, nella stabilizzazione dei malati e nel supportare la gestione appropriata delle risorse, quindi nel fare da «filtro» ai ricoveri. È dimostrato che dove c'è un medico d'urgenza qualificato il ricovero viene adeguatamente filtrato. Però, il professionista non può lavorare solo in pronto soccorso: è un lavoro usurante, che spesso non è gratificante e che non ci permette di sviluppare appieno le nostre potenzialità. Quindi il lavoro deve essere integrato con l'emergenza-urgenza pre-ospedaliera, e ovviamente con le aree di OBI, ma ancor più con le aree di degenza di medicina di emergenza-urgenza che devono prevedere delle sezioni di semintensiva (nell'ordine di 4, 6, 8 letti), a seconda della dimensione dell'ospedale. E devono essere obbligatoriamente attivati in tutti i DEA quanto meno, cosa che come sappiamo non è avvenuta ad oggi: le sezioni di semintensiva a livello nazionale si contano nell'ordine della trentina.
PRESIDENTE. Mi scusi, le segnalo che ha superato abbondantemente i dieci minuti, se può quindi andare verso la conclusione.
FRANCESCA CORTELLARO, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia. L'ultima cosa che vorrei dirvi è che questo centro di coordinamento, che potrebbe includere anche la centrale per la gestione dei posti letto, deve essere istituito in tutte le regioni. Abbiamo bisogno di un ente che coordini a livello regionale, e possibilmente di un istituto anche nazionale, che si avvalga di rappresentanti regionali per mantenere un coordinamento sugli indicatori.
PRESIDENTE. La ringrazio per il contributo in termini di proposte concrete che ha dato alla Commissione. Do infine la parola al dottor Francesco Venneri.
FRANCESCO VENNERI, referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico. Ringrazio per l'invito alla partecipazione e la possibilità di contribuire rispetto alla tematica proposta dal mio punto di vista, che è quella della gestione del rischio clinico. Quindi credo che l'invito per poter intervenire e dare qualche contributo sia nato proprio da questo profilo.
Proprio come gestore del rischio ricordo che sono risk manager dell'azienda USL Toscana Centro, la più grande della regione, dove è presente uno dei pronto soccorso, il presidio ospedaliero di Prato, che è caratterizzato da una particolarità molto peculiare rispetto ad altri pronto soccorso, non solo aziendali ma anche regionali, vale a dire la multietnicità. Questa è una delle problematiche da prendere in considerazione. La mia analisi, corredata da qualche proposta, scaturisce dal ricevere le segnalazioni degli eventi avversi da parte degli utenti (cittadini, pazienti, familiari) che forse percepiscono di aver subito dei danni attraverso il percorso dell'emergenza-urgenza.
Vorrei tuttavia focalizzare l'attenzione, sulle segnalazioni che avvengono dall'interno del settore dell'emergenza-urgenza, Pag. 10ovvero dai professionisti, dagli operatori sanitari, dai colleghi medici infermieri tecnici, come ha detto il dottor De Angelis, che sono sicuramente la «cartina di tornasole» di quella che è l'attuale situazione dei nostri dipartimenti di emergenza-urgenza.
Per quanto riguarda il tema della formazione: da diverse segnalazioni da parte di pazienti e familiari, ma anche da colleghi, si evince che in alcuni casi sono stati impiegati, forse non appropriatamente, professionisti che non possedevano, non voglio dire le competenze e i titoli, ma forse nemmeno le esperienze e le capacità relazionali proprie dei percorsi delle patologie.
Altra tematica nell'ambito della formazione che stiamo vivendo in questi ultimi anni è la questione della demotivazione. Lo ha accennato la dottoressa Cortellaro prima, dicendo che c'è stata una specie di «disaffezione» da parte degli studenti di medicina nell'intraprendere carriere professionali verso la medicina d'urgenza.
Ricordo che il medico di emergenza purtroppo porta sulle proprie spalle un carico di infinite ore di attività, a fronte di un modesto riconoscimento economico (che so che non deve essere prioritario ma che sicuramente incide) nonché a di una non adeguata prospettiva di avanzamento di carriera professionale.
Il tema della formazione è delicatissimo – ci tengo molto a sottolinearlo – e comporta quindi la rivisitazione dei percorsi formativi, che, secondo me, dovrebbero essere orientati ad integrare la parte più teorica ma soprattutto con la parte tecnico-pratica, attraverso meccanismi come la metodologia didattica della simulazione, dell'implementazione di queste metodologie didattiche.
L'altro tema – ne hanno fatto cenno i due colleghi che mi hanno preceduto – è la gestione dell'appropriatezza delle risorse. In particolar modo, moltissimo è stato fatto in questi ultimi anni, (e quindi forse dobbiamo «ringraziare» il Covid per questo aspetto), per quanto riguarda l'implementazione dell'intelligenza artificiale e di tecnologie sanitarie alternative (telemedicina o teleconsulto – chiamiamolo come vogliamo) a supporto del professionista.
Ma soprattutto far capire, attraverso una buona pianificazione dell'educazione sanitaria della popolazione, che secondo me dovrebbe avvenire partendo dalle scuole inferiori e poi via via proseguire con programmi di formazione di educazione sanitaria, l'importanza del corretto utilizzo dei sistemi sanitari e dei sistemi di emergenza-urgenza.
Altro tema, che riprenderò alla fine ma proprio per concludere, è quello della responsabilità professionale, che ha inciso molto nella demotivazione dei colleghi che affrontano, magari per la prima volta, l'esperienza dell'emergenza-urgenza. La responsabilità professionale è trasversale, riguarda medici con diverse specializzazioni, come il dermatologo, l'oculista, ancor più quindi il medico dell'emergenza-urgenza.
Analizzando il fatto che a differenza delle altre professioni il medico dell'emergenza-urgenza, sia che lavori all'interno dei DEA sia che si trovi sul territorio, a maggior ragione esposto a vulnerabilità pazzesche, deve prendere decisioni in tempi rapidissimi e molte volte è esposto alla problematica della responsabilità professionale.
La mia proposta è anche quella di lavorare sull'educazione sanitaria della popolazione. Non disdegnerei di tenere in considerazione i medici di medicina generale e quindi tutto il «collaterale» territoriale che ha a che fare con l'emergenza-urgenza.
Vado a concludere dicendo, semplicemente, che il problema dell'emergenza-urgenza non si risolverà attraverso ricette miracolose; non ci sono sicuramente risposte in tempi brevissimi. Dovremo lavorare su una scadenza di medio-lungo termine; in questo, mi appello alla sensibilità propria degli esponenti politici e parlamentari (e quindi di coloro i quali sono anche utenti del sistema sanitario).
Come rischio clinico, e con questo volevo concludere, noi possiamo riuscire a ridurre i danni da malpractice sanitaria se riusciremo a potenziare gli ospedali. A questo punto, e almeno per oggi questa è l'ultima mia proposta, segnalerei che occorre riorganizzare tutta quella che è la Pag. 11medicina del territorio, nessuno escluso, compresi i modelli organizzativi delle RSA e delle case di comunità, che devono essere riviste nella loro formulazione. Forse questa potrebbe essere intanto una piccola proposta innovativa e implementativa, perché altrimenti se questo modello persiste ci sarà sempre più il rischio di non soddisfare i bisogni di salute della popolazione. Credo che anche questo per un Paese civile sia una cosa molto importante da tenere in considerazione.
Offro la mia disponibilità, a livello di formazione sul rischio clinico, per supportare tutte le strutture – le società scientifiche e gli organi di governo – in grado di mettere in atto soluzioni che devono essere monitorate, valutate e implementate, se necessario.
PRESIDENTE. Le chiederei cortesemente anche di farci pervenire una documentazione scritta, in modo da agevolare la conclusione di questa nostra indagine conoscitiva, attraverso la predisposizione di un documento che invieremo al Governo come proposta generale e che in qualche modo raccoglierà le istanze che sono state segnalate da chi opera tutti i giorni in questo settore.
Chiedo ai colleghi parlamentari se intendano rivolgere qualche domanda agli auditi. Do la parola all'onorevole Girelli.
GIAN ANTONIO GIRELLI. Vorrei anch'io ringraziare la dottoressa Cortellaro per l'illustrazione della situazione che ha fatto. Chiaramente – preciserei – non è la «fotografia» della realtà, perché la situazione della regione Lombardia non è propriamente quella descritta.
Si tratta di una «fotografia» utile sia per le indicazioni che ha saputo dare e introdurre, come momento di riflessione, alla Commissione sia per poter giungere ad un documento conclusivo della Commissione prendendo spunto anche dalle buone pratiche e cercando di proporre modelli il più possibile uniformi su tutto il territorio nazionale. L'ho trovato di particolare interesse, soprattutto nella parte nella quale formula richiami e proposte molto operative e concrete dettate dalle esperienze del vivere quotidianamente l'emergenza-urgenza.
PRESIDENTE. Non ci sono altri colleghi che vogliono fare domande. Vorrei chiedere io due cose, la prima alla dottoressa Cortellaro.
Le centrali mediche integrate – mi riferisco a quelle che sono state previste sia sotto il sistema 112-118 che sotto il sistema 116117 – nel caso dell'organizzazione della regione Lombardia sostituiscono le guardie mediche oppure si tratta di una attività ulteriore?
Una seconda domanda è rivolta al dottor De Angelis: molti denunciano il fatto che l'introduzione delle centrali del 112 allungherebbe i tempi della risposta agli utenti. Secondo la sua esperienza, può darci qualche dato più specifico?
FRANCESCA CORTELLARO, direttore della struttura complessa Integrazione percorsi di cura ospedale-territorio dell'Agenzia regionale emergenza-urgenza della regione Lombardia. Si tratta di sperimentazioni: in realtà, le centrali sono due e sono composte da professionisti diversi, quella «a valle» del 112-118 è composta da esperti di pronto soccorso e la dobbiamo immaginare come un pronto soccorso virtuale. Sapete che abbiamo un sistema «integrato» dove si lavora in pronto soccorso e nell'ambito pre-ospedaliero: e invece di fare il turno su mezzi avanzati, si fanno anche turni in questa centrale.
L'altro, che ovviamente è la sostanza perché rappresenta l'80 per cento degli accessi, è «a valle» del numero 116117 ed è una risposta tutta da costruire. Abbiamo in atto due sperimentazioni che hanno riunito postazioni di continuità assistenziale nell'ambito di un'attività di una centrale, che abbiamo chiamato Uni-C.A. Si tratta di un progetto complesso e allo stato embrionale: il «big problem» di questo progetto è chi saranno i professionisti, perché le innovazioni si possono fare ma bisogna avere personale dedicato. Voi sapete che i medici di continuità assistenziale (C.A.) non sono dedicati, quindi è ancora una domanda da Pag. 12affrontare quella su chi sarà il professionista della cosiddetta acute care
LIVIO DE ANGELIS, direttore della Direzione regionale soccorso pubblico e 112 N.U.E. della regione Lazio. Guardate, in maniera molto onesta, vorrei dire che non sono un «tifoso» del 112; tra l'altro, ho diretto il 118 per dodici anni e quindi direi quasi che sono più «affezionato» al 118.
Però, onestamente e oggettivamente, credo e potrei dimostrarlo con i fatti, che l'introduzione del numero unico dell'emergenza ha fatto progredire il servizio di risposta al cittadino.
Il 112 è il primo sistema di emergenza che attua su sé stesso un monitoraggio continuo – posso vedere i dati continui di attività delle sale operative 112 nei tempi di risposta, divisi in minuti, in ore, in giorni, sul mio telefonino. Non ho mai potuto farlo prima, il 118 non lo fa, non lo ha mai fatto e non so se oggi lo faccia.
Il 112 si dà un target temporale – 10 secondi è il target che noi vogliamo dare al cittadino per rispondere, 40 secondi per gestire e poi il PSAP di II livello, cioè l'ente che interverrà, ha 40 secondi per rispondere, prendere in carico e partire. Sono tempi legati alla fase di sala operativa. Non c'è mai stato, in Italia almeno (non so nel mondo), un tempo target di sala operativa. Come linee guida, sono previsti 8 minuti per intervenire in area urbana, 20 minuti per intervenire in area extra urbana. Abbiamo parlato di tempi di percorrenza, ovviamente mi riferisco ai tempi di percorrenza del mezzo di soccorso, abbiamo parlato di tempo di intervento. Non abbiamo mai analizzato, mai dato indicazioni, mai dato target temporali nella fase di sala operativa. Non c'è mai stata una norma che abbia detto che bisogna rispondere al cittadino entro «x» secondi, entro «x» minuti. È la prima volta che qualcuno dice che entro 10 secondi dobbiamo cercare di rispondere al cittadino. Quindi è già una svolta, è già una rivoluzione, perché mai prima si è dato un tempo massimo di risposta.
In Italia il tempo massimo di risposta dei 10 secondi è rispettato, è chiaro che è un tempo medio. È chiaro che la notte di Capodanno, noi sulla città di Roma abbiamo avuto un tempo medio di risposta di 18 secondi invece che di 10, è ovvio. In una notte abbiamo ricevuto qualcosa come 5 mila richieste di intervento, di cui il 60 per cento, trattandosi di chiamate che noi definiamo improprie (non erano necessità emergenziali reali) non ha comportato l'invio di nessun operatore.
Quindi è chiaro che il tempo medio lo fa la situazione esterna e lo fa anche la capacità degli enti che devono intervenire di non saturarsi. Ma è anche vero che, comunque, c'è un tempo target, c'è un'asticella formalizzata e normata che prima non c'è mai stata.
E io vi garantisco che l'asticella viene rispettata. È chiaro che ci sono anche chiamate improprie, magari per la tendenza del cittadino a rivolgersi al 112 per cose non emergenziali. Comunque, per rispondere alla domanda: non c'è mai stato un target e oggi c'è, non c'è mai stato un monitoraggio continuo e oggi c'è. Io vi garantisco che il «doppio passaggio» non costituisce un ritardo, anzi il 112 che chiama la centrale operativa del 118 per sollecitare una risposta determina probabilmente una maggiore sensibilizzazione della centrale del 118 a rispondere.
Aggiungerei un ulteriore elemento: la piattaforma informatica del 112 «vede» le chiamate in attesa e «vede» anche le chiamate che non entrano nel centralino, mentre nelle sale operative di emergenza tradizionali, se un cittadino non aveva risposta, noi non sapevamo neanche che avesse provato a chiamarci. Quindi io sono in grado oggi (intendo il mio servizio che indegnamente dirigo) di verificare se ci siano stati cittadini che hanno provato a chiamare e che magari non hanno avuto risposta in un momento di iper-afflusso e di richiamarli, cosa che prima non era possibile tecnicamente fare.
Spero di essere stato chiaro.
PRESIDENTE. Chiarissimo, grazie. Non so se il dottor Venneri vuole aggiungere qualcosa velocemente, perché abbiamo un'altra audizione.
Pag. 13FRANCESCO VENNERI, referente regione Toscana per la gestione del rischio clinico. Come penso si possa percepire, la soluzione non è immediata. Non è facile e l'avete percepito questo sicuramente. Dobbiamo lavorare in tempi veramente rapidi, perché gli «assistenti» di oggi potrebbero essere gli assistiti di domani. Non voglio essere scaramantico ovviamente, però è importante che si dia una risposta al cittadino ma soprattutto non disdegnate la risposta più precisa anche ai professionisti che veramente in questo momento stanno attraversando una «crisi vocazionale» importante.
PRESIDENTE. Ce ne stiamo occupando, attraverso un'attività di Commissione anche in merito alle questioni che ricordava lei, sulla medicina difensiva, sulla responsabilità medica e su tante altre questioni. Speriamo di poter dare un contributo insieme al Governo.
Ringrazio i nostri auditi e dichiaro chiusa questa sessione di audizioni.
Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC).
PRESIDENTE. La Commissione prosegue le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia. Partecipa all'audizione odierna il dottor Alessandro Caminiti, presidente della Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi. Saluto e ringrazio il nostro ospite per aver accolto l'invito della Commissione e ricordo che allo svolgimento della relazione, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati, alle quali seguirà la replica del soggetto audito. La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati.
Do quindi la parola al dottor Alessandro Caminiti.
ALESSANDRO CAMINITI, presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC). Vi ringrazio per l'opportunità che avete offerto a FIMEUC di partecipare a questa indagine conoscitiva sulla situazione della medicina emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia.
Mi chiamo Alessandro Caminiti, sono un medico di emergenza-urgenza, lavoro nel Lazio, e sono presidente FIMEUC da più di due anni.
FIMEUC è una federazione italiana della medicina emergenza-urgenza e catastrofi fondata nel 2009 da società scientifiche e da associazioni rappresentative dei medici che operano in tutte le strutture del sistema d'emergenza sanitaria nazionale. Attualmente la FIMEUC è costituita dalla Assimefac-SMI, dalla CIMO-FESMED-Speme, dal COMES e da SPES: sono società scientifiche o associazioni rappresentative professionali.
FIMEUC si è costituita con gli obiettivi di organizzare il sistema dell'emergenza sanitaria preospedaliera (il 118), ospedaliera e i pronto soccorso DEA. L'obiettivo è quello di adottare su tutto il territorio nazionale un modello che integri l'emergenza pre-ospedaliera con il pronto soccorso e garantire anche la tutela e la specificità del lavoro dei medici, degli infermieri e dei soccorritori che lavorano in questo ambito. Altro obiettivo è quello di promuovere il medico specialista in medicina di emergenza.
Come vi dicevo, questa è una società che è stata fondata nel 2009, ancora prima di istituire la specializzazione in medicina emergenza-urgenza, che è praticamente la più «giovane» tra le specialità riconosciute a livello europeo. Si occupa anche dei medici che lavoravano nell'ambito del 118 in regime di convenzione per poterli portare ad un inquadramento della dirigenza medica e anche per far sì che magari coloro che non avevano sufficiente anzianità potessero entrare nella scuola di specializzazione in medicina emergenza-urgenza.
Da quanto ho letto nelle premesse dell'indagine conoscitiva, la situazione problematica dei pronto soccorso nazionali è stata Pag. 14più che ben valutata e approfondita sia dalla Commissione stessa sia da tutti gli esperti che mi hanno preceduto in questi ultimi tre mesi.
Di fatto quello che si capisce, e parlo da cittadino più che da specialista in questo caso, è che il problema più importante, ribadito dalla Commissione e dagli esperti, è il sovraffollamento, detto all'inglese anche overcrowding. Questo è un problema non solo nazionale, dal momento che viene studiato anche in letteratura (sentivo i colleghi che facevano riferimento a questo). Si tratta sostanzialmente di situazioni in cui i pazienti in attesa di essere visitati o che sono già entrati nel processo diagnostico e terapeutico del pronto soccorso sono così numerosi che soverchiano la disponibilità di risorse, e voglio dire semplicemente di letti e di barelle, ma anche di monitor o di attacco per l'ossigeno, e anche del personale, con medici che si trovano contemporaneamente a fronteggiare esigenze di 20, 30 o anche più persone dentro o fuori del pronto soccorso. Praticamente tutta questa situazione ovviamente pregiudica un'assistenza adeguata.
La Commissione ha già studiato il problema del sovraffollamento, che si studia attraverso un modello che prevede tre fasi: l'input, il throughput e l'output. Praticamente, per parlare italiano, sono problematiche di accesso, di aumento di accesso, di processi interni e di gestione interna (throughput), e di esito (l'output), cioè come fare per uscire dal pronto soccorso.
Per quanto riguarda l'input all'atto pratico, come vedete, ci sono molti aspetti, in particolare in rosso si evidenzia che c'è un deficit di efficacia ed efficienza della continuità assistenziale. Praticamente il problema, a livello di medicina di famiglia, a livello di Unità di cure primarie (UCP), di Centro di assistenza domiciliare (CAD), di servizi territoriali e anche direi in termini più lati di gestione della cronicità. Il problema è una carenza di personale.
Alla fine si riesce a dimettere il paziente (e non è semplice per tanti motivi) ma il problema grande è quando lo devi ricoverare. Il problema grande è avere la garanzia di un posto letto per acuti o, comunque, di un letto monitorizzato, che garantisca appunto in alcune situazioni (anzi in molte di queste situazioni tipiche del pronto soccorso), la possibilità di gestire e di seguire il paziente, di dargli l'ossigeno, se è necessario, ma anche di controllare i parametri vitali del paziente stesso. Il problema è che i posti letto effettivamente disponibili non si riescono ad individuare: questo è un problema che può essere magari superato grazie a interventi di tipo tecnologico (insomma superare il fax di una volta che veniva utilizzato per cercare il posto letto negli ospedali della città).
Le conseguenze sono numerosissime. In generale, c'è un peggioramento delle performance, cioè della qualità della prestazione che viene offerta dai medici e dal sistema. Ovviamente c'è un aumento dei costi, diretto e indiretto, ma chiaramente si registra anche una perdita di centralità del paziente (con una minore soddisfazione del paziente).
Qui voglio anche mettere in evidenza il problema del blocco delle barelle, che è particolarmente grave in alcune grandi città. A Roma sicuramente c'è un problema di difficoltà addirittura nel reperire un lettino dove mettere il paziente portato con una barella del 118 e la barella viene bloccata, quindi indirettamente viene anche pregiudicata l'efficacia del 118 stesso perché vengono ridotte quelle che sono le ambulanze che servivano, come diceva prima il dottor De Angelis, per poter poi effettivamente soccorrere il paziente successivo.
Parliamo rapidamente di quelle che possono essere le soluzioni. È evidente che, come avete visto, sono tantissimi i problemi pertanto molte possono essere le soluzioni.
Per quanto riguarda il problema dell'input, è chiaro che risolvendo i problemi della sanità territoriale, dell'assistenza sociale medico sanitario territoriale e ottimizzando anche l'area dei pronto soccorso, indirettamente risolviamo il problema dell'eccesso di input. Il più delle volte, di fatto, le persone sono costrette ad andare al pronto soccorso perché non hanno una soluzione di fatto migliore.
Per quanto riguarda personale, è già stato evidenziato nelle precedenti relazioni Pag. 15come vi sia un problema di carenza. È noto che nei pronto soccorso italiani mancano 4 mila medici e ogni mese i medici, in particolare del pronto soccorso, continuano a dimettersi, o vanno a fare un altro lavoro o vanno a riposo definitamente. Inoltre, c'è anche il fenomeno dei colleghi che vanno all'estero. Ricordo che il 50 per cento dei contratti di specializzazione in medicina emergenza-urgenza – quella tanto agognata specializzazione che chiedevamo come FIMEUC, ma anche tutta la comunità scientifica specialista che si occupa di questo settore – non viene assegnato e un numero importante di colleghi abbandonano la specializzazione dopo un anno o due: perché i compensi sono inadeguati – questo lo devo dire – e sono certamente tra i più bassi in Europa, ma anche – questo lo diceva anche il dottor Venneri – perché c'è un rischio elevato di contenziosi medico-legali, più nella medicina d'urgenza che in altri settori, anche se altri settori non sono scevri da questa problematica. Ma vi è anche la possibilità di essere perseguiti penalmente: questo è un problema che si sta affrontando sia a livello governativo che a livello parlamentare. L'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo nei quali l'attività professionale del medico può essere perseguita, in caso di evento infausto, anche penalmente. Poi vi è la questione delle aggressioni fisiche e verbali che sono frequenti, dal momento che è chiaro che se c'è un deficit di offerta e di risposta, è chiaro che poi c'è la «sindrome dello sportellista»: la persona non va a lamentarsi con altri se non con il medico, o l'infermiere soprattutto, che stanno davanti a chi, appunto, lamenta di non essere assistito rapidamente ed efficacemente.
Vediamo quali possono essere le soluzioni. È chiaro che possiamo auspicare un innalzamento dei compensi per i medici e gli infermieri che lavorano in emergenza-urgenza, come anche la possibilità di avere una prospettiva di carriera migliore di quanto non lo sia adesso che i medici convenzionati dovrebbero passare al rapporto di lavoro dipendente per avere una situazione contrattuale migliore.
PRESIDENTE. Non la sentiamo più...
ALESSANDRO CAMINITI, presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC). Il problema però è rappresentato dall'output. Nell'82 per cento dei casi, il problema è che una volta che viene stabilizzato il paziente, questo rimane addirittura intubato nel pronto soccorso, perché sostanzialmente non c'è un posto letto.
Gli accessi impropri sono sicuramente un problema sul quale bisogna intervenire sul piano culturale, della risposta del territorio, ma il problema è che poi alla fine le persone che devono essere ricoverate, perché hanno una necessità, non possono essere ricoverate.
Ovviamente la prima causa del sovraffollamento è proprio il boarding di cui parlava la collega dell'AREU, con pazienti che stazionano in attesa di essere ricoverati. Di fatto, l'Italia ha previsto una riorganizzazione anche seguendo le indicazioni del decreto ministeriale n. 70 del 2015: 111 ospedali e 113 pronto soccorso. Sono stati tagliati 37 mila posti letto e abbiamo già detto prima che mancano almeno 4 mila medici nei pronto soccorso.
Gli accessi ai pronto soccorso sono addirittura calati a questo punto, soprattutto nell'anno del Covid, ma è aumentato il tasso della mortalità. Purtroppo, il paziente grave che rimane in ospedale rischia anche di decedere nel pronto soccorso, perché non ha avuto la possibilità di essere ricoverato nel posto letto di terapia intensiva o di medicina o di chirurgia che era necessario.
Il problema è che anche il numero di prestazioni ambulatoriali si sono ridotte in questi ultimi dieci anni, perché è vero che sono stati chiusi gli ospedali, ma, a fronte della chiusura degli ospedali, non c'è stato un aumento dell'offerta sanitaria nel territorio ma addirittura una riduzione. Si tratta di un 30 per cento di attività biologica diagnostica, ma anche di attività clinica ambulatoriale. Quindi succede che qualche volta i pazienti vadano al pronto soccorso perché devono fare una lastra o una visita specialistica, e questo è sbagliatissimo.
Il problema è che attualmente noi abbiamo 3,18 letti ogni mille residenti in Pag. 16Italia – teniamo presente che negli altri Paesi dell'Unione europea i numeri sono molto diversi ed abbiamo situazioni, come la Germania e la Francia, in cui sono molto numerosi (per la Germania 7,8 letti per mille abitanti; in Francia, 5,7 per mille abitanti) mentre Paesi come la Svezia e la Finlandia stanno sui nostri numeri.
Non voglio dire che Svezia, Finlandia, Danimarca e Paesi Bassi se lo possono permettere perché hanno un sistema sanitario migliore, però poi vedo che in Austria, in Ungheria e in Romania i numeri di nuovo diventano molto elevati. La media comunque è di 5,2 letti ogni mille abitanti, secondo i dati Eurostat.
Quindi il boarding e il sovraffollamento, e questo lo diceva anche la collega dell'AREU, sono dovuti ad un problema generale di organizzazione sanitaria in Italia. Bisogna aumentare l'offerta sanitaria, in modo tale che un cittadino non finisca in pronto soccorso, oppure che ci finisca solo quando problematiche croniche o magari ancora non conosciute non siano state sufficientemente studiate dalla medicina del territorio.
Soluzioni come la rotazione di tutti i medici in pronto soccorso (come si faceva una volta) non possono che rallentare l'attività nei reparti secondo noi e quindi sono inopportune, determinando un ulteriore allungamento delle liste d'attesa, perché il medico specialista che sta in pronto soccorso non può poi occuparsi di chi sta nella lista d'attesa. Alla fine, c'è un abbassamento del livello e della sicurezza dell'assistenza, perché non è che un medico qualunque possa lavorare in pronto soccorso – di questo siamo certi.
Quindi bisogna aumentare i posti letto: la figura del bed manager è importante, ma se non c'è il letto, il manager potrà solo constatare l'assenza del letto.
PRESIDENTE. Scusi dottor Caminiti, se può andare verso la conclusione. La ringrazio.
ALESSANDRO CAMINITI, presidente Federazione italiana medicina emergenza-urgenza e catastrofi (FIMEUC). In conclusione, occorre migliorare le condizioni di lavoro del personale sanitario che lavora in emergenza-urgenza, altrimenti le dimissioni di massa minacciate diventeranno sempre più drammatiche e reali e comunque meno giovani decideranno di intraprendere questo percorso professionale. Così i pronto soccorso diventeranno sempre più un girone dantesco.
Vorrei solo dire che la FIMEUC ritiene che chiaramente va sistemato, riorganizzato, riformato forse per l'ennesima volta il sistema sanitario nazionale, però teniamo presente che per quanto riguarda il sistema di emergenza-urgenza in particolare la normativa risale al 27 marzo 1992. Ebbene, dal 27 marzo 1992 sono passati più di trent'anni e abbiamo praticamente avuto due riforme – la legge n. 502 del 1992 e la legge n. 229 del 1999, ma l'organizzazione, anche le terminologie, e gli aspetti professionali specialistici sono rimasti quelli dell'epoca.
Riteniamo necessaria e indifferibile una riforma complessiva del sistema sanitario in particolare, ma anche del sistema di emergenza-urgenza, in modo da affiancarlo ai tre macrolivelli di assistenza: la prevenzione, l'assistenza distrettuale e l'assistenza ospedaliera.
A noi piace parlare di una «quarta gamba» che in qualche modo stabilizzi il sistema sanitario nazionale, dando un riconoscimento e anche il giusto finanziamento a questo aspetto che è diventato fondamentale del servizio sanitario.
FIMEUC a questo proposito aveva già presentato nella scorsa legislatura una proposta di legge, che è di fatto una sintesi tra le tante proposte che ci sono, nel senso di riformare il sistema dell'emergenza-urgenza. Era una proposta di una «rete unica» che integrava ospedale e territorio realmente, come hanno già detto i colleghi, con un ruolo unico e un modello uniforme, soprattutto, a livello nazionale. Lo diceva anche il dottor De Angelis, anche solo a livello di utilizzo del 112 piuttosto che il 118. La cosa importante è che il sistema emergenza-urgenza pre-ospedaliera e ospedaliera siano integrati, perché solo con una corretta integrazione si può superare questa situazione difficile. In questo momento Pag. 17purtroppo si tende a guardare soltanto il proprio problema, mentre il sistema di emergenza-urgenza deve essere un sistema integrato.
Vi ringrazio e rinnovo anche io la disponibilità, come FIMEUC.
PRESIDENTE. Grazie, dottor Caminiti, purtroppo abbiamo dei tempi stringenti dal momento che riprenderanno i lavori in Aula e abbiamo altri provvedimenti da esaminare in Commissione. Chiedo ai colleghi se qualcuno vuole fare qualche domanda. Prendo atto che nessuno vuole fare domande. La sua relazione è stata molto chiara, oltretutto abbiamo acquisito la documentazione che è agli atti dell'indagine conoscitiva e quindi ne terremo assolutamente conto quando predisporremo la relazione finale.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.30.