XIX Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 26 novembre 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI RIORDINO DELLE PROFESSIONI SANITARIE

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Società italiana di sociologia della salute, della Federazione logopedisti italiani e dell'Associazione italiana podologi.
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 
Di Santo Rocco , presidente della Società italiana di sociologia della salute ... 3 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 5 
Mollo Francesca , rappresentante della Federazione logopedisti italiani ... 5 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 8 
Ponti Valerio , presidente dell'Associazione italiana podologi ... 8 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UGO CAPPELLACCI

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Società italiana di sociologia della salute, della Federazione logopedisti italiani e dell'Associazione italiana podologi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Società italiana di sociologia della salute, della Federazione logopedisti italiani e dell'Associazione italiana podologi.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione in videoconferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento.
  Partecipano all'audizione odierna per la Società italiana di sociologia della salute il presidente Rocco Di Santo, per la Federazione logopedisti italiani la logopedista Francesca Mollo e per l'Associazione italiana podologi il presidente Valerio Ponti.
  Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi. La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do, quindi, la parola a Rocco Di Santo.

  ROCCO DI SANTO, presidente della Società italiana di sociologia della salute. Buongiorno a tutti. Ringrazio coloro che hanno organizzato l'audizione per l'opportunità offertaci. I ringraziamenti sono chiaramente a titolo personale, ma anche e soprattutto della Società italiana di sociologia della salute e di tutte le colleghe e i colleghi che operano nel sistema sanitario nazionale.
  Quest'oggi parliamo del ruolo del sociologo, che è una figura in grado di dare risposte a domande che provengono dalla società, per interpretare le trasformazioni in atto e soprattutto per prevedere scenari futuri in base all'osservazione diretta di quanto espresso dalla società odierna. Una figura sempre più rilevante in uno scenario come quello attuale, caratterizzato da trasformazioni continue e da crescente frammentazione organizzativa e sociale.
  Tuttavia, allo stato attuale, l'ordinamento normativo non consente alla sociologia di poter essere una risorsa a pieno titolo spendibile per il benessere collettivo perché manca uno strumento fondamentale: l'albo professionale. Si tratta di un'assenza significativa, poiché già nella legge n. 833 del 1978 era ribadita la necessità di leggere le complessità dei territori di vita delle persone e delle competenze necessarie per analizzarle e predisporre servizi coerenti con tali caratteristiche. L'iter tormentato del processo di istituzionalizzazione della professione sociologica corre parallelamente alle fasi di sviluppo del sistema sanitario pubblico.Pag. 4
  Proprio l'introduzione di un nuovo servizio sanitario coincide, non a caso, con la domanda di sapere sociologico nei servizi psichiatrici, per le dipendenze patologiche, nei consultori familiari o nell'esperienza sperimentale di integrazione ospedale-territorio.
  Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 avviene l'incontro tra due bisogni: l'istituzione di un sistema sanitario e la professionalizzazione del sociologo attento ai temi della salute, che introduce gradualmente la Sociologia della salute in Italia.
  Con l'introduzione del Servizio sanitario nazionale si apre per i sociologi un nuovo orizzonte di opportunità. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979 relativo allo stato giuridico del personale del Servizio sanitario nazionale, che include anche il sociologo oltre alle figure medico-sanitarie e amministrative, sembra rappresentare la concretizzazione di nuove possibilità. L'inclusione del sociologo nel ruolo tecnico del Servizio sanitario nazionale costituisce certamente un riconoscimento, ma al contempo ha una valenza parziale, perché relega le competenze e le conoscenze del sapere sociologico a mera funzione ausiliaria.
  Il mancato riconoscimento del carattere globale e intersettoriale dell'operatività del sociologo, che il suo inserimento nei ruoli tecnici comporta, riduce significativamente le possibilità di una autonomia professionale quale premessa per un processo di reale professionalizzazione, trasformandolo in una sorta di «tecnologo sociale», una posizione sostanzialmente subordinata al contesto organizzativo in cui opera, di «supporto tecnico» alle professioni mediche e amministrative. La potenziale funzione di mediazione sistemica che il sociologo potrebbe svolgere sia all'interno dell'organizzazione, tra le dinamiche conflittuali tra i diversi attori presenti, che all'esterno di essa nei confronti dell'ambiente e della complessità crescente dei bisogni di salute della popolazione, ne risulta così inevitabilmente compromessa.
  Una seconda stagione si apre con la crisi della prima riforma del sistema sanitario nazionale e l'introduzione di un processo riformatore in grado di razionalizzare la gestione del Servizio sanitario nazionale stesso. Una razionalizzazione gestionale che ha portato all'aziendalizzazione dei modelli organizzativi e dei processi di cura, assistenza e prevenzione.
  Ad inizio anni '90, nel momento in cui il sociologo ha la possibilità di affermare le sue peculiarità metodologiche, si ritrova a confrontarsi nel sistema di professioni che caratterizza il sistema sanitario nazionale con gruppi professionali quali medici, psicologi, dirigenti amministrativi, il cui ruolo e status sono stati assai meglio definiti e sistematizzati. È in questi anni che si avvia l'iter legislativo per l'istituzione dell'Ordine dei sociologi e di un Albo professionale. Un iter che non giunge mai a conclusione per via di legislature interrotte anticipatamente rispetto ai tempi previsti.
  Nella XI e nella XIII legislatura vi sono stati diversi disegni di legge, firmati in modo trasversale dalle forze politiche di allora, di maggioranza e di opposizione.
  Con gli anni Duemila si apre quindi una terza fase, caratterizzata da una ripresa della riflessione sull'affermazione generale del ruolo del sociologo nel campo della salute e specificatamente nel Servizio sanitario nazionale. Un contributo è stato dato dal processo di certificazione del sociologo in virtù dell'acquisizione da parte del legislatore della direttiva europea che riconosce le qualifiche professionali. Questa, a sua volta, ha portato a compimento il riconoscimento della professione (vedi la legge n. 4 del 2013) tra le figure non dotate di ordini professionali. In tal caso, si è potuto attivare un percorso di certificazione, sia pure su base volontaria, di riconoscimento del Sociologo della salute. L'impegno, però, non ha comportato l'effetto desiderato. È venuta a mancare la capacità di interloquire da un punto di vista istituzionale, perché privi di un'organizzazione unitaria con la facoltà di rappresentare la categoria dei sociologi.
  Giungendo fino ai nostri giorni, la mancanza di un organo referente in grado di interloquire con le istituzioni è dimostrata dall'assenza del ruolo del sociologo (poiché non citato) nel decreto ministeriale n. 77 Pag. 5del 2022 «Modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale», nella sua ultima stesura del 16 marzo 2022.
  Un'assenza che, così facendo, crea un vuoto nei processi di analisi, valutazione, pianificazione e rapporti con il territorio, ma soprattutto è in contraddizione rispetto a quanto è avvenuto con il decreto «Sostegni-bis» che ha invece istituito il sociologo nel ruolo sociosanitario nello stato giuridico del personale del sistema sanitario nazionale, al pari degli assistenti sociali e degli operatori sociosanitari.
  Il riconoscimento istituzionale nel ruolo sociosanitario ha di fatto affrancato il preesistente inquadramento nel ruolo tecnico. Un momento che è stato visto da molti come emancipazione e riconoscimento delle specifiche funzioni e competenze. Dunque, se il perno del sistema previsto dal decreto ministeriale n. 77 del 2022 è il Distretto, al cui interno un ruolo fondamentale è rivestito dalla Casa della comunità quale punto di accesso primario per i cittadini al servizio sanitario, strutturata secondo un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare attraverso un'équipe multiprofessionale territoriale, è paradossale non prevedere il ruolo del sociologo così come invece lo sono le altre figure, quali psicologi, ostetrici, professionisti dell'area della prevenzione, della riabilitazione e via dicendo, figure che sono sinergiche nel lavoro quotidiano dei sociologi all'interno dei servizi. Appare doveroso riprendere quel processo interrotto negli anni '90 finalizzato all'istituzione di un ordine professionale proprio dei sociologi e un apposito albo regolamentato.
  Dal luglio 2023 ad oggi si contano tre proposte di legge da parte di onorevoli di forze politiche differenti tra loro, sostenute dalle maggiori sigle associative italiane, che racchiudono sia gli accademici sia i professionali. Dunque, negli ultimi anni si assiste a un forte interessamento del legislatore nel riconoscere il ruolo del sociologo, in un momento storico caratterizzato da un repentino mutamento sociale e dalla necessità di riorganizzare sistemi, organizzazione e processi come nel campo della salute.
  Ci auguriamo che questo slancio possa condurre finalmente al riconoscimento del ruolo professionale del sociologo e all'applicazione piena di quella visione sistemica che animava la legge n. 833 del 1978, che ancora costituisce una pietra miliare del Servizio sanitario nazionale e che ritroviamo nelle successive riforme e varie leggi del nostro quadro normativo.
  Ripongo la parola e ringrazio nuovamente per l'ascolto.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do quindi la parola a Francesca Mollo.

  FRANCESCA MOLLO, rappresentante della Federazione logopedisti italiani. Buongiorno. Io rappresento la Federazione logopedisti italiani. Apprezziamo molto l'attenzione dimostrata al contributo della nostra associazione tecnico-scientifica da parte di questa Commissione, perché segnala anche un'attenzione specifica al riconoscimento del ruolo delle associazioni tecnico-scientifiche in materia di riordino delle professioni sanitarie.
  Ricordo brevemente che la Federazione logopedisti italiani è attiva già dal 1989 come associazione maggiormente rappresentativa della nostra professione e, in seguito al riordino delle professioni sanitarie e all'istituzione degli ordini professionali, è diventata un'associazione tecnico-scientifica, riconosciuta dal Ministero della salute nel 2021.
  Ovviamente noi lavoriamo in sinergia con gli organismi che rappresentano la nostra professione, con gli albi e gli ordini. Però ricordiamo che la nostra mission fondamentale è supportare i professionisti nella promozione di buone pratiche e linee-guida che garantiscano sia ai professionisti l'appropriatezza degli strumenti utilizzati che all'utenza le cure appropriate. Segnaliamo che la scarsità di finanziamenti in questo ambito costituisce un limite alla possibilità di costruire invece protocolli evidence-based, quindi è una necessità prioritaria comunque attuare studi epidemiologici che garantiscano per le diverse patologiePag. 6 la programmazione di azioni di prevenzione mirate.
  Il logopedista si occupa della comunicazione e del linguaggio e di quanto con essi connesso, quindi dal punto di vista delle funzioni cognitive superiori, ma anche di tutte le funzioni orali, in tutte le fasi della vita, dalla nascita fino alla morte. Dobbiamo tenere conto che questi ambiti d'intervento riguardano la promozione della salute in un'ottica di prevenzione per garantire il benessere delle persone e quindi anche un intervento precoce, ma l'intervento del logopedista è anche fondamentale in caso di emergenza o invece in caso di patologia cronica conclamata.
  Dalla nascita, quindi nell'area clinica neonatale, possiamo trovare già il logopedista che con la stimolazione della suzione garantisce tempi di accesso alla nutrizione con latte artificiale o latte materno precoce, quindi la possibilità di eliminare il sondino. Oppure il logopedista può offrire consulenze per l'allattamento e quindi lavorare anche sulla costruzione di una presa in carico futura per un buono sviluppo dei bambini.
  Ovviamente il nostro intervento si rivolge anche alla presa in carico di tutte quelle sindromi, come la sordità o sindromi genetiche, ove la comunicazione e il linguaggio sono toccati in modo consistente, prevedendo anche un supporto sin dalla prima presa in carico per una interazione proficua con l'ambiente circostante, con i genitori e con i caregiver.
  In tutti i disturbi del neurosviluppo, la nostra figura contribuisce all'evoluzione e al benessere delle persone, così come nei disturbi dello spettro autistico. La maggiore incidenza e richiesta di intervento nei servizi territoriali riguarda il disturbo primario di linguaggio per tutte le sue espressività. In questo ambito è molto importante anche l'intervento di prevenzione che il logopedista può fare per lo sviluppo della comunicazione e del linguaggio, sia per i caregiver che per gli adulti, ma anche per le agenzie educative, cioè nella scuola e negli asili nido, stimolando una sana e buona comunicazione che facilita e supporta i bambini con difficoltà.
  Il logopedista interviene anche in tutte le difficoltà dell'alimentazione e della deglutizione disfunzionale e nelle disfluenze, ma anche nei disturbi di apprendimento che sono un'area di intervento più conosciuta. Ricordiamo che, però, il disturbo di apprendimento, così come quello del linguaggio, ha un impatto anche sul benessere mentale, sulla salute mentale delle persone, laddove si è studiata a livello internazionale un'incidenza anche 12 volte maggiore di depressione, di patologia psicopatologica, con un altissimo rischio di disturbi internalizzanti per persone che abbiano alle spalle questo tipo di storie. Poi c'è ovviamente la patologia acquisita con il post-stroke, quindi il residuo dell'afasia che fino a dieci anni dopo può riguardare persone che abbiano avuto uno stroke, che riguarda il 20 per cento delle persone che hanno avuto questi episodi; questo tipo di patologia ha un impatto anche sulla disfagia, sull'alimentazione artificiale assistita, per cui il logopedista è necessario.
  Abbiamo visto durante il Covid che le persone intubate per riprendere le funzioni orali hanno avuto bisogno di interventi specifici che sono stati anche operati dai logopedisti. Ovviamente la popolazione invecchia, quindi l'intervento sulle persone anziane, per le funzioni cognitive che vanno sempre più degenerando nell'età che avanza, e il supporto in questo senso diventano fondamentali, così come per le patologie della voce e per tutte le patologie oncologiche per cui è necessaria la riabilitazione del vocal tract.
  La nostra è una professione riconosciuta internazionalmente, per cui noi siamo sempre in contatto con tutti i professionisti d'Europa. Abbiamo un'associazione in Europa, di cui la nostra federazione fa parte, che si occupa di ricerca e di buone pratiche, European Speech and Language Therapy Association. Il logopedista (non lo ripeto qui, ma lo troverete nei materiali) ha partecipato a tutte le linee guida dell'Istituto superiore di sanità in cui è presente la nostra figura, dalla riabilitazione dell'Eminegligenza Spaziale (neglect) alla valutazione e alla riabilitazione dell'afasia, a tutto quello che è correlato con la valutazione e Pag. 7riabilitazione e presa in carico del paziente adulto e in età evolutiva che presenta la patologia dell'autismo, così come la promozione di consensus conference sul disturbo di apprendimento e sul disturbo primario del linguaggio, insomma cercando di promuovere buone pratiche in ambito clinico e riabilitativo all'interno di équipe formate proprio per rispondere a tutti i bisogni multiformi dei nostri pazienti.
  La ricognizione che abbiamo fatto nel 2023 ci dice che i logopedisti sono 13.982. In Italia, i logopedisti sono 24 ogni 100.000 abitanti, mentre la media europea è di 36 logopedisti ogni 100.000 abitanti. Tranne che in alcune regioni, la nostra capacità di rispondere ai bisogni dell'utenza è ancora sottodimensionata, cioè non ci sono sufficienti logopedisti nei nostri territori, tant'è vero che per i pazienti con afasia è difficile accedere alle cure, così come per dare una risposta da parte del territorio a un bambino possono passare anche due anni, poiché ci sono liste di attesa che arrivano fino a due anni. Questo lede gravemente il diritto costituzionale alla salute, perché l'assenza e la mancanza di logopedisti specialisti sia per l'età evolutiva che per l'età adulta e geriatrica, in una popolazione che invecchia e con un tasso di malattie neurologiche e neurodegenerative in drammatico aumento, significa appunto assenza di diritto alla salute.
  Ricordiamo che solo il Veneto garantisce un logopedista su 200 pazienti non autosufficienti nelle RSA. È quindi chiaro che bisogna ricalibrare il fabbisogno, avendo chiare le diverse aree in cui il logopedista può e deve dare il suo contributo con la sua expertise.
  In questa situazione di carenza diventa anche difficile lavorare sulla prevenzione e sulla presa in carico precoce, che è quello che garantisce alle persone in difficoltà outcome migliori, che sarebbe poi il nostro obiettivo. Nei prossimi anni, ci auguriamo che si possa arrivare ad una presenza omogenea del logopedista sul territorio nazionale per meglio rispondere ai bisogni di salute, soprattutto in vista del cambiamento demografico del nostro Paese, laddove c'è un aumento della popolazione anziana. Nel 2050 le persone sopra i 65 anni rappresenteranno più del 35 per cento del totale della popolazione, con un indice di dipendenza che ora è del 29,9 per cento ma che tenderà ad aumentare, con persone con gravi disabilità acute e croniche, molti pazienti ospedalizzati con multimorbilità e con un trend in crescita. Ricordiamo che gli aspetti legati alla necessità di alimentazione artificiale sono dirompenti, quindi è importante anche prevenire, attraverso una gestione non solo del deperimento cognitivo ma anche dell'oralità nella persona anziana. Il logopedista opererà in collaborazione con altre figure professionali in percorsi di prevenzione primaria di riabilitazione, anche di medicina, di telemedicina, per tutto quello che riguarda i nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale, che anche il sistema sanitario nazionale sta modificando in base a questo cambiamento demografico. Questo può riguardare anche l'età evolutiva per una prevenzione nei luoghi dove i bambini invece sono soliti crescere e agire quotidianamente, anche all'interno delle scuole e delle agenzie educative.
  Tutto questo per dire che c'è una grandissima varietà di ambiti clinici, con specifiche necessità di formazione adeguata, in cui l'expertise del logopedista può fare la differenza. C'è una carenza di personale, quindi un fabbisogno sottostimato, ma c'è anche – è l'ultima cosa che voglio dire – un bisogno formativo che non è ben evaso. Intendo dire che la formazione in questo momento non è adeguata, in quanto il logopedista ha una formazione con laurea triennale alla quale è stata affiancata una laurea magistrale che, però, è solo per il management clinico. Noi stiamo lavorando da anni (anche l'Ordine lavora in tal senso) perché questo percorso invece venga integrato con lauree magistrali cliniche, con percorsi correlati a quelli dei nostri colleghi in tutta Europa che hanno una formazione di 4-5 anni che permette loro anche di effettuare ricerche e quindi di garantire un servizio migliore a tutta la nostra utenza.
  Siamo sicuri che queste riflessioni aiuteranno il percorso futuro e siamo sempre Pag. 8a disposizione per continuare questa proficua collaborazione.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do quindi la parola al presidente Ponti.

  VALERIO PONTI, presidente dell'Associazione italiana podologi. Anch'io vorrei ringraziare, come hanno fatto i colleghi che mi hanno preceduto, per questa iniziativa. Sono qui in veste di presidente pro tempore dell'Associazione italiana podologi, associazione tecnico-scientifica. L'associazione che ho l'onore di rappresentare è nata nel 1974, quest'anno abbiamo compiuto cinquant'anni di attività.
  Volevo innanzitutto riallacciarmi ai dati messi a disposizione dalla nostra Federazione degli Ordini TSRM-PSTRP per quanto riguarda l'indagine conoscitiva sulle professioni sanitarie. Sappiamo che al 31 dicembre 2023 sono circa 2.400 i podologi iscritti all'albo e agli elenchi speciali; di questi il 58 per cento è di genere femminile e il 42 per cento di genere maschile; la classe «modale» della distribuzione di età è rappresentata dai professionisti tra i 31 e i 40 anni (quindi è una professione molto giovane).
  La presenza di 2400 professionisti distribuiti sull'intero territorio nazionale si traduce in una media di circa 4 podologi ogni 100.000 abitanti. È un dato che però rischia di diventare fuorviante se non si prende in considerazione la diversa distribuzione nelle singole regioni. Infatti, si rileva una forte concentrazione di professionisti nel Lazio, con più di 557 professionisti iscritti; seguono Lombardia e Toscana, mentre al contrario in Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia abbiamo rispettivamente 1 e 4 iscritti presso l'Ordine, e non si arriva neanche a un professionista ogni 100.000 abitanti. Questa situazione è di poco migliore al sud del Paese e nelle isole.
  Un altro dato importante riguarda il numero degli occupati. Infatti, il 98 per cento risulta essere attivo ed occupato nel profilo professionale. Di questi però solamente il 3 per cento ha dichiarato di lavorare in una struttura pubblica in regime di dipendenza, mentre l'82,6 per cento come liberi professionisti e solamente il 2 per cento ad oggi risulta attivabile. Questo dato probabilmente si riferisce ai neolaureati e ai neoiscritti presso l'Ordine.
  I dati evidenziano anche una forte attenzione da parte dei professionisti alla formazione specialistica, segnatamente nei percorsi di master. Infatti, il 36 per cento dei podologi ha conseguito un titolo post-laurea, il 7 per cento risulta attualmente impegnato in percorsi post-laurea, ma solamente il 10 per cento ha conseguito comunque una laurea magistrale.
  L'indagine effettuata dalla nostra Federazione, inoltre, mette in evidenza come la tendenza del fabbisogno formativo abbia un andamento caratterizzato da un costante fabbisogno superiore ai posti messi a bando dagli Atenei.
  Da un'attenta lettura dei dati non possiamo non trarre alcune considerazioni. In primis, le regioni in cui si trova una maggior presenza di professionisti sono proprio quelle in cui è attivo il corso di laurea. Per questa ragione, per colmare il deficit di podologi presenti nelle altre regioni, appare necessario istituire nuovi corsi di laurea. Ad oggi, il corso di laurea in podologia risulta attivo solamente in sei Atenei, e sono Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma La Sapienza e Roma Tor Vergata, lasciando tutto il sud Italia completamente scoperto.
  Si deve rimarcare che l'accesso paritario all'istruzione è un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione e che una forte polarizzazione dell'offerta formativa costringe le famiglie a un notevole impegno economico o alla rinuncia, per impossibilità di sostenere le spese relative al mantenimento dello studente fuori sede.
  Un'altra riflessione riguarda la formazione post-laurea. Si evidenzia come il 36 per cento dei professionisti abbia intrapreso un ulteriore percorso formativo con una netta prevalenza, come abbiamo detto prima, riguardante i master, mentre la laurea magistrale è stata conseguita solo dal 10 per cento.
  Questi elementi da una parte mettono in luce l'alto livello formativo richiesto e ottenuto dai podologi, dall'altra delineano la Pag. 9carenza dell'offerta didattica per quanto riguarda le lauree magistrali, come poc'anzi ha detto la collega, rispetto ai master di I livello. È da oltre un decennio che si assiste a una vera e propria emigrazione dei nostri colleghi, che ricercano percorsi formativi all'estero, con particolare riferimento a Paesi come la Spagna, dove il percorso formativo universitario risulta maggiormente strutturato e in grado di fornire allo studente competenze, specificità e un inquadramento professionale maggiore rispetto al quadro nazionale. Ad oggi, purtroppo, il podologo in Europa non ha un profilo professionale comune e desta rammarico constatare come l'Italia sia rimasta indietro. Il nostro profilo professionale risale al 1994.
  Questo ci invita a comprendere come ormai sia necessario ristrutturare l'organizzazione dei singoli corsi di laurea e come sia indispensabile una laurea magistrale specifica, al fine di migliorare l'offerta formativa adeguandola a quelle che sono oggi le necessità dei professionisti e dei cittadini, per cui è del pari essenziale che si addivenga ad una revisione evolutiva del nostro profilo professionale.
  Vorrei concludere ponendo l'attenzione sui dati occupazionali sul campione preso in esame, che rilevano un'occupazione di poco inferiore al 98 per cento della popolazione e mostrano che, ad oggi, quella del podologo risulta una professione di appannaggio quasi esclusivo del settore privato. Il podologo, nonostante le varie riforme intervenute in materia, non è stato inserito nell'ambito dei LEA e la presenza all'interno delle strutture del sistema sanitario nazionale in regime di dipendenza si attesta intorno al 3 per cento. Questi dati, esaminati insieme ai dati statistici prospettici nel breve e medio termine forniti dall'Istat in riferimento all'invecchiamento della popolazione, fanno sorgere interrogativi circa la modalità gestionale e qualitativa dell'assistenza sul territorio, aspetto cardine quest'ultimo dei più recenti interventi legislativi in materia sanitaria. Pertanto, risulta ormai manifesta la necessità di introdurre le prestazioni podologiche all'interno dei LEA e l'effettiva introduzione del podologo all'interno del sistema sanitario nazionale pubblico.
  In relazione agli ultimi dati demografici riportati dall'Istat, la popolazione residente con età superiore ai 65 anni ad oggi rappresenta oltre il 23 per cento del totale. Procedendo a ritroso al primo gennaio del 2019, gli individui residenti nel Paese con 65 anni di età ammontavano a 13,8 milioni, quindi pari al 22,8 per cento; nel 2009 a 12 milioni, pari al 20,3 per cento. Andando ad analizzare i dati ancora più a ritroso, si evince quanto è aumentata la popolazione anziana over 65: da 4,6 milioni del 1960 (9,3 per cento), a 7,4 milioni nel 1980 (13,1 per cento), fino ad arrivare a 13,3 milioni nel 2000 (18,1 per cento).
  Secondo le future dinamiche demografiche si stima che la percentuale di soggetti con età superiore a 65 anni aumenterà notevolmente, rappresentando nel 2050 quasi il 35 per cento del totale della popolazione per l'aumento della curva di sopravvivenza e per denatalità, valore che tradotto in termini sanitari può significare quanto segue.
  Incremento della categoria dei pazienti della terza età che richiedono assistenza sanitaria, per questo definiti «fragili».
  Aumento della prevalenza delle condizioni patologiche croniche e cronico-degenerative la cui incidenza è direttamente correlata con l'aumentare dell'età. Secondo l'annuario statistico del 2022, il 39,9 per cento dei residenti in Italia ha dichiarato di essere affetto da almeno una delle principali patologie croniche, come ipertensione, diabete, artrosi e artrite.
  Crescita dei relativi costi sanitari diretti e indiretti per la loro gestione. Secondo l'OMS, nei Paesi avanzati, dal 70 all'80 per cento della spesa sanitaria è destinata a coloro che presentano comorbidità croniche a carico, i quali sono i principali fruitori del Servizio sanitario nazionale.
  Sinergia tra i servizi sanitari e quelli sociali per un crescente bisogno di assistenza sociosanitaria.
  L'istituto di ricerca socio-economica Censis ha evidenziato come l'Italia sia il Paese con la prevalenza della popolazione anziana più elevata al mondo, dopo il Giappone,Pag. 10 e in generale più alta d'Europa. Le condizioni morbose croniche e, in generale, il fisiologico invecchiamento del sistema biologico coinvolgono direttamente o indirettamente anche il distretto podalico, motivo per il quale la figura del podologo nella sua pratica clinica spesso prende in carico il paziente in età senile o il paziente con comorbidità croniche, nei confronti dei quali espleta un atto sanitario indispensabile di prevenzione, di trattamento conservativo, di riabilitazione e di educazione sanitaria, al fine di centrare l'obiettivo sanitario di tutela della salute della persona e di miglioramento della sua qualità di vita.
  All'interno delle numerose patologie croniche anche di pertinenza del podologo un'attenzione particolare la dobbiamo porre al diabete. Il diabete è la prima causa di amputazione non traumatica nel mondo. Il piede diabetico è una condizione in cui la presenza di neuropatia e/o vasculopatia determina alterazioni anatomo-funzionali, esponendo il piede ad alto rischio di ulcerazione e/o infezione.
  La letteratura internazionale conferma come il team multidisciplinare può diminuire il numero di amputazioni e di conseguenza ridurre la spesa sanitaria pubblica. Ci sono molti lavori di ricerca che ci dicono che ogni 90 minuti una persona subisce un'imputazione a causa del diabete. Il 3 per cento delle persone con diabete ha problemi agli arti inferiori e ai piedi. Statistiche piuttosto recenti ci forniscono dati preoccupanti per quanto riguarda l'incidenza del diabete nei prossimi anni e il rischio correlato del 15 per cento che un paziente diabetico sviluppi un'ulcera nel corso della sua storia di malattia.
  Uno studio italiano di Marcellusi del 2014, elaborando un'accurata analisi di costi diretti e indiretti della popolazione diabetica in Italia nel 2012, ha calcolato che circa 1,2 milioni di persone sono dovute ricorrere al pensionamento anticipato o hanno perso giornate di lavoro a causa della patologia. La spesa media annua per un paziente con diabete per costi indiretti era pari a circa 4.098 euro ed è emerso che circa il 53 per cento della spesa totale è dovuta ai costi indiretti, a fronte del 47 per cento dovuto ai costi diretti, dove il costo più alto è proprio quello dei ricoveri.
  I dati forniti dal Ministero della salute, per quanto concerne le amputazioni su pazienti diabetici nel triennio 2020-2023, sono allarmanti e riferiscono una tendenza in peggioramento che passa dalle 6.513 amputazioni del 2020 alle oltre 7.000 del 2023, con un aumento anche delle giornate di degenza media da 80.964 del 2020 a 88.689 del 2022, con una netta prevalenza delle amputazioni delle dita dei piedi.
  Alla luce di quanto esposto, si può affermare che il sistema sanitario nazionale può trarre benefici sia sociali che economici soltanto se alloca risorse in programma di screening, di prevenzione e di educazione strutturati, per evitare un numero elevato di ricoveri e conseguenze notevolmente gravose sulla spesa della sanità pubblica, questo, chiaramente, con l'intervento del podologo nell'équipe multidisciplinare.
  Per quanto sin sopra esposto risulta indispensabile una sempre maggiore presenza del podologo a tutti i livelli del nostro Servizio sanitario nazionale. Questo sicuramente porterà una maggior richiesta di podologi anche nelle regioni dove oggi purtroppo siamo scarsamente presenti.
  Grazie mille.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti voi per il contributo.
  Non vi sono domande da parte dei deputati presenti o in collegamento.
  Comunico che i soggetti auditi hanno depositato un documento scritto, che abbiamo acquisito.
  Vi ringrazio ancora una volta e dichiaro conclusa l'audizione odierna.

  La seduta termina alle 13.05.