Sulla pubblicità dei lavori:
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI RIORDINO DELLE PROFESSIONI SANITARIE
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali, dell'Associazione italiana odontoiatri, della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i, dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi e dell'Associazione italiana chiropratici.
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3
Rosina Barbara , presidente del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali ... 3
Cappellacci Ugo , Presidente ... 6
Savini Danilo , segretario sindacale dell'Associazione italiana odontoiatri ... 6
Cappellacci Ugo , Presidente ... 8
De Caro Walter , presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i ... 8
Cappellacci Ugo , Presidente ... 11
De Caro Walter , presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i ... 11
Cappellacci Ugo , Presidente ... 11
Afragoli Andrea , presidente dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi ... 11
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 12
Williams John Gordon , presidente dell'Associazione italiana chiropratici ... 12
Frattari Laura , legale dell'Associazione italiana chiropratici ... 13
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 14
Schifone Marta (FDI) ... 14
Ciancitto Francesco Maria Salvatore (FDI) ... 14
Maccari Carlo (FDI) ... 15
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 15
Savini Danilo , segretario sindacale dell'Associazione italiana odontoiatri ... 15
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 16
De Caro Walter , presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i ... 16
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 17
De Caro Walter , presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i ... 17
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 17
De Caro Walter , presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i ... 17
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 18
Afragoli Andrea , presidente dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi ... 18
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 20
Williams John Gordon , presidente dell'Associazione italiana chiropratici ... 20
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 20
Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie:
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 20
Minghetti Angelo , coordinatore nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie – stati generali OSS della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie ... 20
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 21
Squarcella Antonio , coordinatore regionale della Puglia della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie ... 21
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 23
Minghetti Angelo , coordinatore nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie – stati generali OSS della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie ... 23
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 23
Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UGO CAPPELLACCI
La seduta comincia alle 13.55.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali, dell'Associazione italiana odontoiatri, della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i, dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi e dell'Associazione italiana chiropratici.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali, dell'Associazione italiana odontoiatri, della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i, dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi e dell'Associazione italiana chiropratici.
Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione in videoconferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento.
Partecipano all'audizione odierna il Consiglio nazionale dell'Ordine assistenti sociali, con la presidente Barbara Rosina, l'Associazione italiana odontoiatri, con il segretario sindacale nazionale Danilo Savini e il segretario culturale nazionale Musella in collegamento (che non vedo ancora), la Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i, con il presidente Walter De Caro, l'Associazione federativa nazionale ottici optometristi, con il presidente Afragoli e il legale Noli, e, infine, l'Associazione italiana chiropratici, con il presidente John Gordon Williams e il legale dell'associazione, Laura Frattari.
Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione. Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, che pregherei di contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
Do la parola a Barbara Rosina.
BARBARA ROSINA, presidente del Consiglio nazionale Ordine assistenti sociali. Buongiorno.
Vi ringraziamo per questo momento di confronto. Grazie al presidente e a tutta la Commissione, soprattutto per aver voluto allargare il panorama delle audizioni e quindi del confronto anche a una professione come quella dell'assistente sociale, che è una professione sociosanitaria e non sanitaria, ma che, a pieno titolo, insieme a tutte le professioni sanitarie, fa parte del sistema salute e anche del sistema dei servizi comunali del terzo settore, delle cooperative, della giustizia, tutti ambiti nei quali gli assistenti sociali sono impegnati.
Concentrandoci sulle domande che voi ci avete posto, abbiamo nella nostra professione una rappresentatività omogenea nelle diverse coorti di età tra i 25 anni e i 65, poi età pensionabile, distribuita in modo sostanzialmente omogeneo, tranne purtroppo rispetto al sistema salute.Pag. 4
Nel sistema salute, noi viviamo una situazione nella quale, da moltissimi anni, sono state interrotte le procedure assuntive e di reclutamento del personale. Abbiamo delle percentuali estrapolate dal nostro database che ci dicono che il 34 per cento dei 6.000 professionisti oggi impegnati nel sistema salute andrà in pensione nei prossimi cinque anni. Dato ancora più allarmante è quello dei prossimi dieci anni, dove il dato sale al 48 per cento. Immaginate che queste percentuali sono più del doppio di quella nazionale. È un sistema salute che rischia, nei prossimi cinque o dieci anni, di perdere un numero significativo di professionisti.
Non possiamo segnalare cedimenti né flessioni riguardo l'interesse verso la professione di assistente sociale. I corsi di laurea segnalano che il numero delle iscrizioni è coerente con le possibilità formative e non ci sono particolari flessioni negli ultimi anni. Il dato che noi abbiamo è che negli ultimi quattro anni, al netto dei pensionamenti, abbiamo 8.700 unità aggiuntive. Questo è un numero assolutamente in crescita. Abbiamo fatto una rilevazione rispetto ai tassi di disoccupazione, in modo da capire quanto il sistema possa ancora avere personale da assumere all'interno dei diversi contesti. Abbiamo dei tassi di disoccupazione che arrivano fino al 20 per cento nelle aree dove non sono ancora stati messi a sistema i livelli essenziali delle prestazioni con l'assunzione di almeno un assistente sociale ogni 5.000 abitanti.
Questo tasso di disoccupazione sfiora, comunque, il 10 per cento anche nelle regioni più virtuose, come per esempio il Friuli Venezia Giulia, che ha ormai un tasso di assistenti sociali pari ad un assistente sociale ogni 2.500 abitanti.
Non abbiamo da segnalare difficoltà o problemi, né dal punto di vista dell'attrattività della professione né da quello dei numeri di professionisti che possono essere immessi nel mercato del lavoro. Rispetto al sistema salute, concentrandoci su questo aspetto, gli assistenti sociali sono inseriti nella totale e completa filiera dei sistemi di produzione della salute del nostro Paese, nell'accezione che è prevista dall'Organizzazione mondiale della sanità, quindi uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza di malattia.
Siamo inseriti in tutti gli ambiti di forte integrazione sociosanitaria, siamo inseriti nei servizi specialistici per la salute mentale o per le dipendenze patologiche, nella continuità assistenziale, nella continuità ospedale-territorio. In ciascuna di queste aree stiamo osservando un leggero incremento della presenza degli assistenti sociali, anche in riferimento al decreto ministeriale n. 77 del 2022, che ha definito dei numeri standard alla quale anche le aziende devono, in qualche modo, rispondere ed adeguarsi.
Segnaliamo, proprio a livello di possibilità informativa rispetto alla nostra professione, delle differenti interpretazioni delle normative che oggi prevedono l'assunzione degli assistenti sociali nell'ambito della dirigenza. Solo cinque regioni, in questo momento, hanno strutturato il servizio sociale aziendale all'interno delle aziende sanitarie così come la normativa prevede. Ci sono dei margini interpretativi nei quali non si riesce a comprendere come il dirigente assistente sociale debba essere assunto, nonostante ci siano tanto delle note ARAN, fin dal 2020, quanto la previsione, all'interno dei contratti della sanità, che vanno nella direzione di riconoscere che il servizio sociale del Servizio sanitario nazionale deve essere strutturato con delle figure apicali e con dei servizi che devono essere garantiti, come strutture semplici o strutture complesse in staff, alle direzioni sanitarie o generali.
Rispetto alla carenza di assistenti sociali nel Servizio sanitario nazionale, dobbiamo evidenziare come la rilevazione del personale con questo specifico profilo non è semplicissima da capire attraverso i numeri ufficiali che vengono prodotti, perché è una figura che non sempre viene codificata e quindi i numeri non sono sempre chiarissimi.
Abbiamo fatto, a titolo di esempio, perché ci serve capire quali possono essere i servizi da implementare, una rilevazione rispetto ai consultori familiari previsti nel Pag. 5nostro Paese, come sappiamo, dalla legge del 1975. Il calcolo dei consultori previsti sulla base del decreto ministeriale n. 77 del 2022 è in questo momento sottostimato, nel senso che mancano al 43 per cento dei consultori familiari nel nostro Paese – dati ricavati da una indagine che abbiamo fatto a maggio dello scorso anno.
Se pensiamo nello specifico alla presenza degli assistenti sociali, essi dovrebbero essere, secondo il decreto ministeriale n. 77 del 2022, più di 2.900. Sono, in questo momento, 868 quelli assunti dal sistema sanitario nazionale, con una carenza del 70 per cento dei professionisti che dovrebbero essere inseriti in questi contesti. A questo dato si deve aggiungere l'ambito ospedaliero, che è un ambito di interesse stringente, sempre di più. Pensando ai progetti di continuità assistenziale, pensando alle degenze «extra soglia», pensando anche a dei costi che vengono sostenuti dalle strutture sanitarie, con un incremento dell'età della nostra popolazione e un incremento delle situazioni di fragilità e vulnerabilità, manca il dato di quanti dovrebbero essere all'interno dell'ospedale. Questa dovrebbe essere sicuramente una situazione alla quale occorre porre rimedio.
I dati ci stanno, in qualche modo, invitando a capire cosa sta succedendo in questo momento rispetto all'implementazione delle équipe delle case di comunità nei punti unici di accesso, che sono aspetti cruciali nelle riforme che vogliono garantire la possibilità di avere servizi territoriali di tipo sanitario, che possano essere in grado di accogliere le difficoltà e le fragilità della popolazione, non solo della popolazione anziana, ma anche della popolazione non autosufficiente.
Rispetto alle proposte di riordino che noi possiamo fare per la professione di assistente sociale – e sono proposte che abbiamo già segnalato più volte –, noi abbiamo bisogno di avere una banca dati affidabile rispetto al numero di professionisti impegnati nei diversi ambiti, che ci consenta di fornire dei numeri al decisore politico e al decisore poi delle organizzazioni, in modo da immaginare come implementare i servizi.
Abbiamo, inoltre, un problema importante che stiamo segnalando, che è la necessità di specializzazioni. Richiediamo che possa essere costituito, all'interno dell'Ordine professionale, un elenco per sezioni di professionisti specializzati in ambiti differenti: sicuramente l'ambito della salute, dell'integrazione sociosanitaria e, adesso, con le riforme della disabilità e della non autosufficienza, anche questi ambiti. Si tratta di aspetti che devono essere in qualche modo garantiti e potenziati, in modo che quei professionisti possano avere dei percorsi di formazione che siano nella condizione di garantire al cittadino il miglior intervento possibile.
Abbiamo bisogno della garanzia che, per l'accesso alla professione di assistente sociale, sia obbligatorio fare l'esame di Stato, come è previsto adesso, ma rivedendo i vincoli di accesso. Siamo in questo momento in una situazione in cui è possibile, per un laureato in una disciplina diversa dal servizio sociale nel corso di laurea triennale, fare il corso di laurea magistrale e poi iscriversi all'Albo degli assistenti sociali nella sezione A, e quindi svolgere anche le funzioni dell'assistente sociale di base, senza aver fatto le materie che sono specifiche di questa professione.
L'iscrizione all'albo deve essere un requisito obbligatorio e, a qualunque titolo la professione venga esercitata senza l'iscrizione, questa deve essere perseguita nel modo migliore e più completo possibile.
L'ultima questione che segnaliamo è che devono essere previsti dei meccanismi nei quali il Consiglio nazionale possa partecipare alle procedure relative alla programmazione del fabbisogno di professionisti sul territorio nazionale, in modo che ci sia un match certo rispetto a domanda e offerta.
L'altro aspetto assolutamente necessario è quello della possibilità di avere un parere vincolante sulla disciplina regolamentare dell'esame di Stato. Oggi ci troviamo in una situazione di complessità perché, fermo restando quali sono le norme vigenti rispetto al parere obbligatorio degli Ordini, abbiamo delle situazioni che non sono evidentemente state affrontate prima, e quindi Pag. 6l'esame di Stato diventa il luogo in cui si potrebbe intervenire.
Abbiamo inviato una relazione dettagliata, con i numeri degli assistenti sociali suddivisi in coorti di età, in modo che per la Commissione sia più immediato comprendere il ragionamento che ho fatto, e tutte le proposte che ho brevemente accennato oggi.
Vi anticipo, nell'ultimo secondo che ho, che non potrò restare fino alla fine, purtroppo, perché ho in coincidenza un convegno sempre qua alla Camera. Diamo la disponibilità, se ci inviate eventuali domande, ovviamente, a rispondere nel più breve tempo possibile.
Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei per il contributo. Abbiamo acquisito anche le memorie scritte.
Do la parola a un rappresentante dell'Associazione italiana odontoiatri.
DANILO SAVINI, segretario sindacale dell'Associazione italiana odontoiatri. Come Associazione italiana odontoiatri, ringraziamo l'onorevole Cappellacci, presidente, e tutti i membri della XII Commissione per questa opportunità.
È particolarmente gradita, perché gli odontoiatri e le professioni sanitarie spesso vengono disgiunti, non si sa perché, pur essendo noi odontoiatri una parte fondamentale dell'Ordine dei medici. Adesso vedremo il perché.
Per rispondere alle domande della Commissione, vi dico che gli odontoiatri iscritti in questo momento all'Albo sono 64.965, assolutamente più che abbondanti per tutta la popolazione italiana. I neoiscritti nel 2023 sono 1.284, 662 donne e 694 uomini, quindi sostanzialmente con una parità di genere. In globale le donne sono il 29 per cento, ma se andiamo nella coorte sotto i 44 anni il dato sale al 44,9 per cento. C'è un changeover e sicuramente diventerà una professione prevalentemente femminile, ed è un bene.
I neo-iscritti sono stabili o lievemente in crescita. Non c'è una carenza di vocazioni. Oltretutto, arrivano laureati dai Paesi comunitari in maniera non numericamente controllata.
Già da qualche anno, da pochi anni, gli iscritti laureati in odontoiatria sono diventati di più degli iscritti all'Albo laureati con il vecchio ordinamento in medicina o specializzati. Nei prossimi cinque anni andranno in pensione circa il 18 per cento degli odontoiatri, assolutamente ben sostituiti da tutti gli altri che ci sono, quindi non abbiamo una carenza da questo punto di vista. Avete già dei dati analoghi, anche se analizzati diversamente, dalla FNOMCeO, quindi non era questo lo scopo principale.
I dati più importanti che dobbiamo portare sull'odontoiatria, anche per far vedere la difformità, perché vi siete assunti un compito piuttosto gravoso, sono abbastanza semplici.
Il 95 per cento delle prestazioni odontoiatriche vengono svolte da privati in Italia. In nessun Paese europeo, ma in generale in nessun Paese al mondo, se non con economie particolari e, dovremmo dire, «drogate» da situazioni come aver trovato il petrolio o cose del genere, l'odontoiatria è appannaggio del pubblico in maniera estensiva. Questo perché non se lo può permettere nessun Paese. L'odontoiatra è un professionista particolare: è un medico ma, a differenza degli altri specialisti, la frequenza con cui il paziente deve andare dall'odontoiatra lo rende quasi un medico di base, come quantità di accessi, quindi diventa comunque intrinsecamente costoso.
Comunque sia, una fascia importante della popolazione non va dal dentista, non va mai dal dentista. Il 50 per cento di questi – c'è uno studio di Altroconsumo, che non sono dalla nostra parte, usiamo i loro dati così almeno siamo tranquilli – lo fa per questioni economiche, indubbiamente.
Ogni anno gli italiani spendono out of pocket per il dentista 9 miliardi di euro. Inoltre, c'è una fascia di pazienti italiani che, spinti da questioni economiche, va all'estero, pensando di fare a volte sia vacanza che cura, ma comunque c'è l'aspetto della cura. La vacanza all'estero comporta il fatto che quei soldi, che dovevano essere spesi in sanità italiana e fiscalità italiana, Pag. 7vanno a finire in un Paese straniero, non essendovi dunque controllo. Spesso tornano – questi sono i dati – mal curati, e comunque con quasi nessuna possibilità di rivalsa. È di ieri il caso del paziente che è da otto mesi in ospedale. È stato in un Paese qua vicino e non riesce ad avere rivalsa.
Soldi che vanno all'estero anche dalle catene odontoiatriche, per esempio, perché sono di proprietà di fondi di investimento che li prendono e, giustamente, essendo un fondo di investimento, se li portano dove gli pare.
Allora la sanità integrativa. La sanità integrativa, in odontoiatria, non è la soluzione, sempre secondo Altroconsumo. Non può rispondere perché, se non ce la fa uno Stato, non ce la fa un fondo di sanità integrativa a dare una corretta odontoiatria. «Corretta odontoiatria» significa libera scelta del medico, cioè il paziente deve scegliere dove andarsi a curare, e poi il fondo rimborsa quello che vuole rimborsare. Il paziente, però, deve poter scegliere il medico. Finché non c'è questo, e non c'è un calo drastico della burocrazia imposta ai cittadini e ai pazienti, i fondi sanitari, che in questo momento riguardano 17 milioni di lavoratori italiani, non servono per dare le prestazioni odontoiatriche.
Quindi, vogliamo riformare la professione sanitaria di odontoiatra? Benissimo. La professione sanitaria del futuro deve essere vista in veste del paziente, non può essere vista in veste dell'odontoiatra. Una professione odontoiatrica, quindi, che porti il 100 per cento della popolazione italiana a livello di dignità odontoiatrica. Poi, le scelte ulteriori, le fa il paziente. Ma almeno la dignità odontoiatrica deve essere garantita al cento per cento dei pazienti. Attualmente i LEA – alcune regioni applicano ancora i LEA del 2017 e altre neanche quelli lì – coprono semplicemente l'emergenza dolore e alcune fragilità sociali e patologiche. Nulla, e con servizi oberati, fondamentalmente.
Quindi, libera scelta del medico e riconoscere che l'odontoiatria (come viene sempre più visto) è legata alla salute generale – un problema alla bocca è un problema di salute generale, e grave –, è legata al diabete, è legata a tante patologie. Quindi, il servizio che svolgono questi dentisti privati è quello di dare una componente salute importante alla popolazione italiana. Poi, ci pagano le tasse e si comprano gli strumenti da soli.
A noi serve la collaborazione – cosa che stiamo facendo da soli – con tutte le professionalità sanitarie (medici, chirurghi, igienisti, in maniera specifica; gli specialisti sì, ma ci servono tutte le terapie di riabilitazione e tutte le terapie in generale). Poi, come in tutta l'Unione europea, il dentista libero professionista deve accedere alle agevolazioni fiscali, a quelle per l'acquisto dei macchinari e alle agevolazioni bancarie, come un'impresa (quale è).
Ricordo a me stesso che l'odontoiatria è la maggiore azienda italiana privata come occupazione, tasse pagate, introiti e indotto. Potremmo dire che siamo una grande azienda diffusa. Bene, questa grande azienda diffusa, se viene a parlare con il decisore, non ha mai la stessa potenza di una grande azienda singola. È strano questo, perché noi abbiamo e vogliamo avere il nostro rapporto medico-paziente come cura di tutta la salute dei cittadini. Per fare questo servono poche iniziative legislative e anche non costose, stranamente: inserire la libera scelta del medico come prerequisito per i fondi integrativi è una norma, non costa niente; creare programmi di prevenzione, che noi abbiamo già strutturato, per la fascia «Primi 1.000 giorni», significherebbe cambiare il destino odontoiatrico della popolazione italiana tra vent'anni da così a così; ridurre la necessità di terapie, che è l'unico sistema con cui il sistema sanitario, anche il Servizio sanitario nazionale, può diventare sostenibile; equiparare il libero professionista alle imprese come accesso al credito e investimenti. Questa cosa creerebbe dei risparmi di massa, che vengono riversati automaticamente sul paziente, perché noi siamo tutti in concorrenza. Questa è una cosa fantastica. Se ci fanno risparmiare in burocrazia, risparmia il paziente, finalmente, e magari non va in Paesi limitrofi a farsi, a volte, rovinare.Pag. 8
Bisogna portare il carico normativo e burocratico a livelli minimi e adeguarlo alla realtà. Significa che noi subiamo carichi burocratici come se fossimo strutture ospedaliere, e non lo siamo. Il livello di controllo, anche a livello regionale, non può essere diverso tra regione e regione. Io devo poter aprire uno studio in qualsiasi regione con le stesse normative, perché il cittadino è uguale dappertutto e perché io devo stare in concorrenza leale. Le regioni sono vicine. La Sardegna è un po' più lontana, ma le altre regioni sono vicine. Quindi, devo avere normative uguali in tutta Italia e a bassissima burocrazia, perché noi abbiamo delle strutture piccole ad alta tecnologia, tecnologia che ci compriamo da soli, non con la fiscalità generale, e pagandoci le tasse.
Stranamente, come professione, chiediamo variazioni normative che non sono costose per lo Stato, abbassano i costi per i pazienti, aumentano la fiscalità. Non capiamo ancora perché non siano già state fatte.
Questi sono solamente gli spunti principali. Anche noi abbiamo depositato un documento.
Vogliamo solamente far notare come ogni professione sanitaria abbia delle peculiarità. La professione odontoiatrica ha pochi contatti con il pubblico – ma ne vorrebbe avere molti di più –, perché le strutture pubbliche odontoiatriche fanno un lavoro encomiabile. Questo non significa che la professione sanitaria è al di fuori di una situazione pubblicistica. Non è pubblica, ma è pubblicistica, perché ha in carico la salute orale, cioè una parte importante della salute generale della popolazione italiana, alla quale tutti i Governi hanno abdicato. Quindi va controllata, ma va favorita.
Vi ringrazio per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie a lei. Speriamo che questo primo passo sia l'inizio di un nuovo momento di attenzione al confronto con tutti.
Do la parola al presidente De Caro.
WALTER DE CARO, presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i. Signor presidente, saluto lei e i signori componenti della Commissione e vi ringrazio per l'opportunità che ci avete dato di essere qui per questa indagine conoscitiva.
Io rappresento la CNAI, la più longeva e numerosa associazione professionale infermieristica italiana. È un'associazione tecnico-scientifica riconosciuta dal Ministero della salute, componente delle più grandi organizzazioni infermieristiche globali.
Come ben noto, gli infermieri sono la componente più numerosa dei servizi sanitari. Noi siamo impegnati in prima linea, 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno, e diamo un contributo enorme per salvare le vite, anche se questo non appare quotidianamente.
Gli infermieri iscritti agli albi degli Ordini professionali ammontano, come avrà sicuramente articolato meglio di me la Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche già audita, a circa 456 mila persone. Tuttavia, gli infermieri realmente operativi in Italia sono molti di meno: ammontano a circa 370 mila. La nostra densità è di circa 6,2 infermieri per mille abitanti ed è una delle più basse densità europee. Come ben noto, nei Paesi nordici e in Svizzera, ci sono il triplo degli infermieri rispetto alla popolazione.
Noi abbiamo oltre 70 mila infermieri iscritti agli albi professionali che non esercitano. Quindi, noi non sappiamo esattamente se siano infermieri che lavorano all'estero, perché hanno deciso di andare via, o se fanno un'altra professione. Continuano ad avere l'iscrizione, perché l'iscrizione è permanente, non c'è una possibilità di rivalidazione del titolo di studio.
A questi si aggiungono gli oltre 10 mila operatori con titolo estero, che sono stati abilitati con la legge n. 18 del 2000 a operare in Italia, senza il riconoscimento del titolo di studio, fino al 31 dicembre 2025. Su questi operatori noi esprimiamo una forte preoccupazione, in quanto questa loro professionalità deve essere riconosciuta dagli albi professionali e dalle autorità ministeriali.
Non da ultimo, preoccupa il prossimo reclutamento di infermieri indiani, soprattutto per quanto attiene il livello linguistico Pag. 9che sembra sia stato previsto, cioè il livello B1, che appare minimo rispetto alla capacità di adempiere efficacemente e in sicurezza al lavoro infermieristico. Ad esempio, in Gran Bretagna è richiesto un livello C1 di inglese per gli infermieri italiani.
Cosa porta questa grande carenza? Porta una serie di distonie. Oltre a questo, l'assenza di una concreta valorizzazione della categoria ha una serie di ripercussioni sul benessere lavorativo, e soprattutto sta portando una grande demotivazione complessiva degli infermieri, perché mancano anche concrete possibilità di sviluppo e i salari sono molto inferiori rispetto alla media europea.
Non sembra, però, per tale carenza, esserci una vera volontà di invertire la rotta. Ad esempio, quest'anno noi siamo l'unico Paese al mondo che all'università forma più medici che infermieri e infermiere. Noi abbiamo un numero di medici uguale alla media europea e un numero di infermieri inferiore di circa 200 mila unità alla media europea. Abbiamo lo stesso numero di medici e infermieri formati, circa 20 mila. Per fare un esempio, nel Regno Unito è stato sviluppato un piano di sviluppo per le professioni sanitarie, fino al 2031, che prevede per gli infermieri 70 mila posizioni l'anno e per i medici 15 mila posizioni l'anno. Quindi, c'è una volontà di investimento sulla professione infermieristica. Su questo, credo, bisogna lavorare, soprattutto perché – come già dicevano i colleghi precedentemente – i cittadini si aspettano da tutti i professionisti sanitari tre cose, fondamentalmente: l'accesso ai servizi sanitari, quindi il diritto alle cure, e gli infermieri sono parte essenziale di questo; la protezione nelle emergenze sanitarie, come è avvenuto durante il Covid, in cui c'è stata un'enorme carenza di infermieri specialisti, ad esempio in terapia intensiva; e soprattutto, i cittadini vogliono vivere in comunità sane, dove si possa promuovere la salute, fare prevenzione, fare tutte quelle attività di salute comunitaria, in cui gli infermieri potrebbero dare un netto contributo.
Per una maggiore comprensione preliminare di questo fenomeno, naturalmente sto nei miei minuti, voglio segnalare, però, due casi molto importanti. Il primo caso è quello della grave crisi ordinistica. In questi mesi stiamo andando al voto, come professionisti sanitari. Il problema principale che stiamo ravvedendo – abbiamo fatto un'analisi – è che ci sono percentuali di partecipazione al voto degli Ordini talvolta inferiori all'uno per cento. Ci sono province che hanno una partecipazione al voto dello 0,70 per cento. Votano, praticamente, solo i consiglieri.
Come organizzazione professionale infermieristica noi siamo un po' in ambasce, in quanto riteniamo che questa scarsissima adesione al voto sia un segnale preoccupante e soprattutto sia un vero motivo di disinteresse della categoria verso questo tipo di rappresentanza. Riteniamo che, con percentuali così basse di votanti, sia a rischio la legittimità propria degli Ordini professionali come enti di rappresentanza.
L'altra grande questione è l'insufficienza del ricambio generazionale. Ci sono Ordini dove ci sono presidenti da circa quarant'anni nella stessa carica. La stessa questione è la marcata sottorappresentazione femminile: le infermiere sono il 75 per cento e sono marcatamente sottorappresentate. Quindi, proponiamo una manutenzione del sistema ordinistico che porti a una visione regionale, cioè abbandonare gli Ordini a livello provinciale e avere Ordini a livello regionale, che in questo modo possono anche lavorare meglio con chi si occupa di organizzazione sanitaria. Soprattutto, proponiamo una serie di norme (come il voto elettronico) volte al ricentramento, ad esempio, sulle funzioni di tutela dei cittadini, perché gli Ordini devono tutelare i cittadini dal punto di vista di funzione deontologica, di sicurezza, e soprattutto devono abbandonare attività che possono essere fatte in una competizione pubblico-privata come, ad esempio, l'erogazione della formazione o attività di ricerca. Quindi, è necessario un ricentramento verso la tutela dei cittadini, la sicurezza delle cure e gli standard per l'assistenza.
L'altra grande questione che vorrei sottolineare è la figura dell'assistente infermiere. C'è stato un recente provvedimento Pag. 10approvato in Conferenza Stato-regioni lo scorso 3 ottobre, nonostante questo provvedimento abbia avuto la netta opposizione della maggioranza delle organizzazioni sindacali – 10 sindacati su 12 – e della maggioranza delle associazioni e società scientifiche come la nostra, compresa la Federazione europea degli infermieri e l'Associazione degli accademici.
È stata fatta una specifica petizione che nell'arco di una settimana ha raggiunto 16.000 firme, ma il provvedimento è stato approvato.
Riteniamo che introdurre questa nuova figura che, di fatto, è un OSS con formazione complementare, con una semplice ridenominazione, sia potenzialmente pericoloso, perché noi stiamo dando task infermieristiche a operatori che non sono infermieri fondamentalmente.
Non abbiamo pregiudizi rispetto a questo provvedimento e alla necessità di operatori di supporto più valorizzati, ma riteniamo che questo provvedimento debba essere sicuramente rivisto e modernizzato, e soprattutto vada ricondotto salvaguardando gli ambiti dell'agire professionale infermieristico, senza sviluppare queste figure ambigue.
Per concludere, noi abbiamo sottolineato quattro aree di intervento che sono le aree di intervento prioritario della Organizzazione mondiale della sanità, che sono la formazione, il lavoro, la leadership e l'erogazione dell'assistenza. Fondamentalmente, noi crediamo sia necessario investire sulla formazione degli infermieri a tutti i livelli, modificando anche i protocolli di intesa tra regioni e università, che sono l'elemento cruciale, valorizzando il personale del servizio sanitario, valorizzando il ruolo dei docenti e progettando un nuovo livello di abilitazione infermieristica, il livello di pratica avanzata, in cui gli infermieri possano, con modalità da valutare anche attraverso dei piani diagnostico-terapeutici, fare attività prescrittiva. Per esempio, per le malattie croniche potrebbe essere cruciale avere infermieri che prescrivono. Tutti gli infermieri spagnoli al primo livello di formazione hanno l'abilità prescrittiva. Ci sono nel mondo infermieri che svolgono la funzione di anestesisti per la maggioranza degli interventi chirurgici, e quella di prescrittori per qualsiasi farmaco e quindi sono il primo punto di contatto. Adesso, al di là della prescrizione, noi vorremmo che nelle case di comunità, negli ospedali di comunità gli infermieri fossero il primo punto di contatto, perché crediamo che possano amplificare la forza del personale medico, perché al personale medico arrivano le persone che hanno veramente bisogno e tutta una serie di bisogni potrebbero essere ricondotti a quelli trattati dal personale infermieristico.
Riguardo al lavoro, è sicuramente necessario un investimento. Come noto, sono in corso i rinnovi dei contratti; è previsto un aumento di circa 7 euro al mese per gli infermieri, che riteniamo decisamente insufficiente.
C'è necessità, quindi, dell'indennità di funzione infermieristica, di forme di specificità. Se si vuole andare avanti, come noi riteniamo opportuno, sull'eliminazione del vincolo di esclusività, che sia una vera eliminazione e non una eliminazione a tempo, e che siano tolte tutte le relative incompatibilità. Questa cosa potrebbe garantire l'accesso alle cure e potrebbe essere svolta anche in modalità da valutare nell'ambito del Servizio sanitario nazionale.
Per concludere, riteniamo cruciale che, per questa attuazione, si lavori per un quadro normativo, una sorta di testo unico della professione infermieristica o del mondo sanitario, come c'era fondamentalmente anche già prima, con l'unione di una serie di leggi, attuando degli specifici framework regionali che possano in qualche modo fare da cornice e quindi evitare delle difformità regionali, che ad oggi esistono.
Chiediamo, soprattutto per la carenza infermieristica, di sviluppare un Piano nazionale per l'assistenza infermieristica e per le professioni sanitarie che abbia una programmazione con un orizzonte quinquennale o decennale, e che ci dia certezza sulla possibilità di avere più infermieri, perché con questa situazione noi mettiamo veramente a rischio gli ospedali, che dovranno chiudere reparti, e mettiamo a rischio la vita di tanti nostri concittadini, Pag. 11soprattutto nell'area dell'assistenza long term care, quindi nella fase finale della vita.
Vi sono molto grato. Abbiamo lasciato un documento e speriamo possa essere utile.
PRESIDENTE. Proprio questa mattina, nel corso di una trasmissione, ho avuto modo di confrontarmi con un suo collega che mi segnalava che, rispetto al vincolo di esclusività, ci sarebbero oggi degli aspetti legati a dei cavilli di tipo burocratico che lo rendono inapplicabile. Io ho dato la disponibilità, quindi se magari vogliamo, in una fase successiva, anche fare un approfondimento su questo, sono disponibile. Se c'è da fare una manutenzione normativa urgente perché sia applicabile, visto che comunque la volontà del Governo è questa, c'è la disponibilità.
WALTER DE CARO, presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i. Molto grato.
PRESIDENTE. Do la parola ad Andrea Afragoli.
ANDREA AFRAGOLI, presidente dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi. Grazie innanzitutto per la disponibilità. Ringrazio il presidente e l'intera Commissione.
Credo non sia necessario spiegare a voi chi sia l'ottico. L'ottico è una figura ampiamente conosciuta, considerata recentemente nel triste periodo della pandemia, del Covid, attività di prima necessità. Tutti noi, direttamente o indirettamente, abbiamo avuto necessità di acquistare occhiali da vista, di fare magari controlli visivi di natura refrattiva, applicare lenti a contatto, da quelle più semplici fino a quelle più particolari per il cheratocono o per il post cheratoplastica, quindi trapianto di cornea, per l'ipovisione, cioè per quei soggetti che hanno una capacità visiva talmente ridotta da avere necessità di utilizzare strumenti ingrandenti. Queste sono le attività principali svolte dall'ottico.
Forse non tutti sanno, invece, che, delle quattro arti ausiliarie al medico e al chirurgo che furono normate nel 1928, una di queste era l'ottico. C'era l'infermiere, che abbiamo già visto rappresentato, l'allora denominato «meccanico ortopedico ed ernista», oggi tecnico ortopedico, l'odontotecnico e, appunto, l'ottico. Cosa è successo, nel frattempo?
È successo che per noi, dal 1928, non è più accaduto nulla. La normativa che ancora oggi ci regolamenta è la stessa da 96 anni. Francamente, lo dico con una battuta, amerei non dover festeggiare un secolo di regio decreto che, per l'amor di Dio, all'epoca fu scritto anche bene, ma era un decreto di un secolo fa e di conseguenza è assolutamente non più specchio di quello che noi siamo e di quello che siamo diventati. Tant'è che nel corso del tempo, in particolar modo nella seconda metà del Novecento, si è visto un fiorire anche a livello nazionale, di una nuova professione strettamente collegata all'ottico, che è quella dell'optometrista, di derivazione americana, anglosassone. L'optometrista non è altro che un ottico con delle competenze e delle capacità professionali accessorie, aggiuntive, tutte relative alla valutazione ottica della capacità visiva degli occhi.
Sono nati corsi di formazione a livello regionale, quindi sotto l'egida delle regioni. Sono nati da più di vent'anni ormai nove corsi di laurea, tutti in università pubbliche. Ciononostante, ripeto, l'attività dell'ottico è normata attraverso una regolamentazione datata 1928, l'attività dell'optometrista è ancora considerata libera, nel senso che non c'è nessuna regolamentazione specifica. Si va avanti grazie a sentenze di vario livello fino alla Cassazione, che ci hanno dato sempre ragione in relazione ad un'attività che, ovviamente, deve astenersi dalla diagnosi e dalla terapia, che sono compiti del medico.
Più recentemente, esattamente il 24 maggio del 2018, un decreto a doppia firma dell'allora MIUR e del Ministero della salute ha stabilito le nuove competenze formative, post formazione, degli ottici.
Questo documento, che è assolutamente al passo con i tempi e fotografa realmente l'attività da noi svolta, mostra chiaramente il dislivello e il disallineamento che c'è fra Pag. 12la norma del 1928 e quelle che sono le competenze in uscita degli studenti dei corsi di ottica così come stabilito per legge.
Di conseguenza, cosa vi chiediamo? In prima istanza, l'ho detto prima, noi eravamo fra le quattro arti ausiliarie originarie, siamo stati superati dalle professioni sanitarie a destra e a sinistra, oggi le professioni sanitarie sono più di venti e noi siamo ancora rimasti in quello che teoricamente nemmeno dovrebbe esistere più, nel senso che le arti ausiliarie sono un limbo legislativo all'interno del quale stanno attività come la nostra e pochissime altre, che, di fatto, non hanno trovato sbocco all'interno delle professioni sanitarie.
Questo sarebbe il nostro approdo, la nostra speranza, il nostro desiderio ma, qualora non fosse possibile questo tipo di upgrade, perché le professioni sanitarie sono già troppe, o non so per quale motivo, non attiene a me questo tipo di decisione, quello che noi chiediamo con forza è quantomeno una modifica all'articolo 12 del regio decreto n. 1334 del 1928, cioè quell'articolo che definisce in poche righe l'attività dell'ottico e le sue specificità, ovviamente per uniformarla alle competenze che lo Stato ci riconosce.
Che cosa offriamo? Poiché il programma della vostra indagine conoscitiva, questo documento che ho avuto cura di leggere, fa ovviamente riferimento, ed è importantissimo, a ciò che le attività in ambito sanitario possono fare per la popolazione, noi offriamo al sistema sanitario in potenza – si sta procedendo in questo senso con un progetto sperimentale in regione Lombardia, siamo stati inseriti all'interno del Piano socio-sanitario – la possibilità di ridurre (anche drasticamente) le liste di attesa in oftalmologia, per il semplice fatto che molte delle attività che l'oftalmologo, cioè il medico oculista, fa in relazione alle attività di refrazione visiva, cioè l'esame della vista, ciò che attiene agli occhiali, potrebbe essere tranquillamente trasferito a noi, almeno parzialmente, laddove necessario, in modo tale da lasciare al medico, ovviamente, piena titolarità di quelle che sono le sue competenze in relazione alla patologia oculare, quindi alla diagnosi, e alla terapia di questo tipo di malattia.
Spero di essere stato nei tempi. Ho cercato di sintetizzare. Grazie ancora.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
LUCIANO CIOCCHETTI
PRESIDENTE. Do la parola a John Gordon Williams.
JOHN GORDON WILLIAMS, presidente dell'Associazione italiana chiropratici. Grazie a tutta la Commissione Affari sociali per questa opportunità di mettere a punto i problemi della chiropratica.
Premetto che la chiropratica non è una professione nuova in Italia. Infatti, il mese scorso abbiamo festeggiato il nostro cinquantesimo anniversario. Non posso parlare con i numeri come gli altri relatori perché noi siamo meno di mille unità in Italia. Questa è già una motivazione. Chi vuole fare chiropratica legittimamente in Italia dovrebbe laurearsi all'estero. Questo è un problema economico per gli studenti perché i prezzi per diventare chiropratico sono alti. Ci vogliono cinque anni in Europa, e ci vogliono 60.000 euro, oppure otto anni per una laurea americana, che arriva a costare fino a 130.000 dollari. La maggior parte dei chiropratici che sono qui hanno fatto questo investimento di tasca propria.
Dopo aver avuto il riconoscimento della professione nel 2007, sono passati diciassette anni senza avere ancora una regolamentazione, che doveva essere fatta entro sei mesi. Questo ha creato non pochi problemi. In particolare, il problema dell'abusivismo. I finti chiropratici sono sicuramente tre volte di più rispetto a quelli veri. Questo non è solamente un problema economico, non è un problema di incompetenze, ma è anche un problema per la sicurezza dei pazienti, perché non si può improvvisare una professione che, secondo l'OMS, dovrebbe avere il compito di formalizzare con competenze una diagnosi differenziale. Noi dobbiamo sapere chi possiamo trattare, e dobbiamo avere l'expertise di poter trattare in modo efficace e sicuro Pag. 13ai fini chiropratici i disturbi lamentati dal paziente, e non solo, nonché l'acquisizione di particolari competenze in immagini diagnostiche è un aspetto molto importante per noi. Si consideri che le altre professioni affidano al radiologo l'interpretazione delle immagini, mentre noi dobbiamo guardarle in un'ottica diversa, ossia dobbiamo capire se quello che è scritto è determinante per prendere una particolare strada.
In questo senso, alcune ricerche che abbiamo allegato alla documentazione depositata mostrano che grossi problemi muscolo-scheletrici, come cervicalgia e lombalgia, spesso classificati come motivo per procedere a un intervento chirurgico – e la cui cura, negli Stati Uniti, comporta un costo di 34 miliardi di dollari all'anno – potrebbero vedere un grossissimo risparmio se fossero trattati diversamente e non mandati in chirurgia. Solo l'8 per cento dei pazienti si opera con trattamenti chiropratici, rispetto al 38 per cento che segue un percorso medico. E questo è un costo notevole, in quanto ci sono le visite mediche per cercare di risolvere il problema, i giorni persi di lavoro che incidono sulla produttività, il costo del ricovero e l'intervento stesso. Peraltro, in questi casi si perde il beneficio dell'importanza della prevenzione.
Vorrei passare adesso la parola all'avvocato Frattari, perché abbiamo problemi con la regolamentazione della durata della formazione.
LAURA FRATTARI, legale dell'Associazione italiana chiropratici. Buongiorno. Grazie ancora alla Commissione per averci voluto audire.
Vorrei sintetizzare ciò che ha eccellentemente detto il dottor Williams. La chiropratica è stata prevista, come professione sanitaria primaria, da una legge del 2007, e successivamente è stata riclassificata come professione sanitaria dalla legge n. 3 del 2018, legge in cui si è semplicemente meglio esplicitato il percorso che avrebbe dovuto portare al profilo professionale e all'ordinamento didattico. In realtà, è intervenuta spesso e volentieri la giurisprudenza, di cui a brevissimo parlerò, sulla questione chiropratica, in particolare riferita all'IVA, ma questa giurisprudenza ha un collegamento con il profilo professionale e l'ordinamento didattico.
Noi dobbiamo aver presente che questa professione è già disciplinata e regolamentata nella maggior parte dei Paesi europei. Prendiamo la Francia e la Svizzera perché sono gli esempi più vicini a noi, sia geograficamente sia come tipo di formazione. In Francia abbiamo una laurea magistrale di 300 crediti, in Svizzera addirittura di 360, perché i primi tre anni vengono fatti insieme a medicina.
La Commissione, andando a vedere l'intero panorama delle professioni sanitarie, deve prestare attenzione anche alle rispettive competenze, che in Italia è bene non si sovrappongano. Se andiamo a guardare i documenti internazionali che provengono dall'Organizzazione mondiale della sanità, che ha stilato le linee guida nel 2005, che successivamente sono state riprese, ampliate e approfondite dal Comitato europeo per la standardizzazione normativa, organo che si interfaccia con enti normativi nazionali e sovranazionali, troviamo di fatto la descrizione del profilo chiropratico, che è una professione che va a inserirsi tra la medicina e la fisioterapia, con una sua estrema indipendenza. Però, in tutti i Paesi dove è disciplinata, la chiropratica viene considerata una professione di grado primario, tant'è vero che anche il legislatore italiano nel 2007 ha usato questo termine, o, come la definisce l'OMS, di primo contatto.
Se il chiropratico è abilitato, quindi parliamo dei Paesi in cui questa professione sanitaria è regolamentata – ci sono quaranta ordinamenti, dunque quaranta Paesi, che l'hanno disciplinata secondo l'OMS, poi se ne sono aggiunti anche altri – il paziente può rivolgersi direttamente al chiropratico, che farà una diagnosi funzionale chiropratica, come ha già spiegato il dottor Williams, che nulla ha a che vedere con la diagnosi medica. Il chiropratico dovrà comprendere se il paziente è trattabile dal chiropratico, se indirizzarlo verso altre professioni sanitarie o se può essere gestito in comunione. Ovviamente, laddove si va ad approfondire il profilo professionale, Pag. 14che è già dato sia dall'Organizzazione mondiale della sanità sia dal Comitato europeo per la standardizzazione normativa, abbiamo di fatto una derivazione di ordinamento didattico che non può scendere sotto i cinque anni, a tutela del paziente in primo luogo.
Se vogliamo che le università italiane siano competitive con quelle estere, se vogliamo che i nostri professionisti possano circolare all'interno dell'Unione europea senza particolari difficoltà, se vogliamo attrarre studenti dall'estero, e l'Italia è anche attrattiva da questo punto di vista perché – permettetemi una nota di campanilismo – le nostra università sono ottime, dobbiamo garantire che la formazione chiropratica corrisponda a quello che ci viene richiesto dagli enti sovranazionali, quali l'OMS e il Comitato europeo per la standardizzazione normativa.
Io mi fermerei qui, anche perché abbiamo depositato in via cartacea la documentazione, con il dettaglio sia dell'Organizzazione mondiale della sanità sia del Comitato europeo per la standardizzazione normativa. Vi ringrazio e restiamo a disposizione.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARTA SCHIFONE. Ringrazio i nostri ospiti per le ampie e dettagliate relazioni. Per noi questo è un momento molto importante, perché sviluppiamo focus e facciamo attenzione a tutta una serie di domande che molto spesso ci poniamo sulle professioni sanitarie. Come ho avuto modo di dire più di una volta in questa sede, ma anche in altre sedi, noi abbiamo sempre una grossa difficoltà a ottenere una serie di elementi, di scenario più che altro, sulle professioni sanitarie italiane. Per esempio, nell'ambito dell'indagine chiedo a tutti di darci alcuni elementi sulla distinzione di genere, sull'eventuale gap di genere, sull'eventuale gender pay gap, se c'è, se viene riscontrato, sulla rappresentatività di genere, anche in merito ai ruoli apicali all'interno degli ordini professionali. Questa è una domanda che pongo sempre a tutti, quindi la pongo anche a voi.
Ho segnato, inoltre, una serie di domande specifiche, la prima rivolta al presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali, che però è andato via, per cui magari gliela farò pervenire.
Una seconda domanda è rivolta all'associazione degli infermieri e riguarda il tema del genere e il tema della violenza. Tutti abbiamo notato che si sta verificando un'escalation di aggressioni verbali e, purtroppo, anche fisiche. Inoltre, ho sentito parlare di accesso alla professione e anche di ordinamento e di riordinamento degli ordini professionali, per cui sarei interessata a un particolare accenno sulla figura dell'assistente infermiere, che è una cosa che sta andando avanti anche tramite la Conferenza Stato-regioni, per capire meglio qual è il vostro pensiero.
Una terza domanda è rivolta all'associazione degli odontoiatri. Mi sto occupando e ci stiamo occupando da tempo del tema dei medici in formazione, per cui agli odontoiatri chiedo se mi confermate che gli specializzandi sono considerati nell'area non medica, che non vengono retribuiti, e se riuscite a darmi un'indicazione sul numero attuale e sull'eventuale fabbisogno da implementare.
Grazie.
FRANCESCO MARIA SALVATORE CIANCITTO. Ringrazio gli intervenuti, ai quali vorrei porre una serie di domande, rivolte ai singoli ordini. La prima all'associazione degli infermieri. La vera problematica che dobbiamo affrontare insieme, voi in questo dovete aiutarci, è quella di rendere più appetibile la professione, secondo me prospettando una carriera all'interno del Servizio sanitario nazionale per gli infermieri. Non si può cominciare a fare l'infermiere a ventuno o ventidue anni in corsia e finire l'attività a sessantacinque o sessantasette anni. Se offriamo una prospettiva di carriera, rendiamo certamente più appetibile la professione. Dico questo, perché una problematica che già ci è stata attenzionata dall'ordine è quella che, si iscrivono al corso di laurea circa 15 mila soggetti (non ricordo esattamente il numero),Pag. 15 poi si registra un altissimo abbandono durante il percorso degli studi. Quindi, lì nasce già un problema. Abbiamo la necessità di rendere appetibile questa professione.
Rispetto alla tematica che ha posto l'associazione degli ottici, personalmente ritengo che debba essere aggiornato l'ordinamento di riferimento, perché sono passati tantissimi anni e nel frattempo tutte le professioni sono cambiate, quindi dovete aiutarci in tal senso suggerendoci quali potrebbero essere le modifiche più urgenti da apportare.
In ultimo, mi rivolgo all'associazione degli odontoiatri. So che la X Commissione del Senato sta facendo un importante lavoro sui fondi sanitari integrativi, dove secondo me due sono le tematiche. Condivido il discorso della libera scelta del medico, ma secondo me il problema è quello delle tariffe che vengono applicate dai fondi sanitari integrativi, che non sono tariffe, per me, adeguate a una prestazione di qualità, poiché il più delle volte sono tariffe troppo basse, motivo per cui andrebbero adeguate. Avevamo iniziato un confronto con la Federazione degli ordini dei medici proprio sul discorso delle tariffe, che secondo me, ripeto, vanno adeguate. Anche su questo l'indagine conoscitiva ci può aiutare e può apportare migliorie al sistema, anche perché i fondi sanitari integrativi dovrebbero essere indirizzati in maniera prioritaria alla prevenzione delle patologie, come accade già in altri Stati europei.
CARLO MACCARI. Facendo mie le domande che hanno posto i colleghi, mi concentro su una domanda specifica all'associazione degli ottici optometristi rispetto all'esperienza che partirà in regione Lombardia, che ho già seguito da assessore. Già tanti anni fa si discuteva della possibilità di essere specifici, in modo da dare a specifica domanda una specifica risposta, come avviene negli Stati Uniti d'America.
Da assessore della regione Lombardia, ho visitato più volte il modello organizzativo degli Stati Uniti, in particolare di alcuni Stati, non perché avessimo molto da copiare – in verità, la capacità professionale dei nostri operatori è considerata forse il top della professione –, ma c'è una capacità nel dare a specifica domanda una specifica risposta, dove oggettivamente credo loro siano davvero molto più bravi di noi. Noi abbiamo questo approccio molto universalistico, per cui comunque a domanda specifica deve rispondere sempre un professore che sa di tutto, per poi arrivare a quella cosa.
Ho saputo che la regione Lombardia l'ha messa nel piano sanitario, ma mi pare ci fossero sperimentazioni già avviate o da avviare. Volevo sapere in che modo, come verranno monitorate, e che risultati ci attendiamo, atteso che, comunque, un po' di polemica c'è stata da parte dei medici.
Grazie.
PRESIDENTE. Ho io una domanda. Ha posto prima la questione delle difficoltà di superare il tema dell'esclusività per gli infermieri professionali, che abbiamo inserito nel decreto-legge c.d. Bollette, in vigore fino al 31 dicembre 2025. Mi pare che il problema sia che molte direzioni generali non danno l'autorizzazione.
Per quanto riguarda i chiropratici, è stata inserita una disposizione nella legge di bilancio, nel 2007. Dopodiché, è stato inserito nella legge n. 3 del 2018 (la c.d. legge Lorenzin), che ha riunificato un po' tutte le professioni sanitarie, ma mancano i decreti attuativi per il riconoscimento della formazione universitaria e delle equipollenze. Altre professioni, invece, sono andate avanti da questo punto di vista. Il problema centrale è, però, che voi contestate il fatto della triennalità, del «tre più due», perché vorreste che fossero cinque anni, se non ricordo male. Queste sono le mie due domande, lo preciso anche ai colleghi in Commissione.
Visto che le domande hanno toccato un po' tutti, inizierei dall'Associazione italiana odontoiatri, per poi andare in ordine.
DANILO SAVINI, segretario sindacale dell'Associazione italiana odontoiatri. A me ne toccano due. Gli specialisti in odontoiatria sono stati esclusi dall'area medica per una questione prettamente economica, e continuano a esserlo.Pag. 16
È ovvio che la laurea magistrale esennale in odontoiatria, che è una delle due lauree che dà la facoltà di medicina e chirurgia, ha le sue specializzazioni, che sono poche, anche numericamente, tant'è che adesso c'è una riforma in corso che le vuole ampliare.
Il secondo tema è, non tanto quante saranno le specializzazioni, che poi saranno man mano attuate in base alla necessità della scienza, fondamentalmente, ma la loro remunerazione. Questi sono specializzandi che stanno lì dentro, svolgono un lavoro per il Servizio sanitario nazionale, fondamentalmente, e sono gli unici non remunerati. Non vengono remunerati perché originariamente, quando furono chieste le specializzazioni, la risposta fu: se volete le specializzazioni, non ve le paghiamo; per non pagarvele, escono dall'area medica. Questo, fondamentalmente, è un cortocircuito cui si dovrebbe ovviare.
Per quanto riguarda i numeri che servono, bisogna vedere la realtà, non le ipotesi. Ci sono due numeri che servono. Il numero di specialisti che servono potrebbe essere quello semplicemente dato dall'offerta formativa delle università. Esiste poi un altro numero, ossia quello degli specialisti che servono nel Servizio sanitario nazionale, ossia numeri risibili, perché allo stato attuale il Servizio sanitario nazionale garantisce pochissime prestazioni. Inoltre, aveva come normativa il fatto di essere specialisti. Recentemente è caduta la necessità di questa specializzazione, quindi gli odontoiatri possono accedere anche senza specializzazione al Servizio sanitario nazionale, ma non alle cariche dirigenziali. Tu, però, potevi trovarti con un odontoiatra specialista in pedodonzia che dirigeva un reparto di chirurgia orale, e non è la stessa cosa. Però serviva la specializzazione.
Quante specializzazioni servono al Servizio sanitario nazionale? Poche. Quante specializzazioni servono alla professione, ai cittadini italiani? Tutte quelle che possono fornire le università, esattamente come un mercato libero.
Passiamo ai fondi sanitari. Sono stato, effettivamente, in X Commissione al Senato a parlare di fondi sanitari integrativi e abbiamo riportato esattamente queste criticità. Le tariffe, poi, sono un problema, come ho provato a spiegare prima. Nessun fondo sanitario integrativo riesce a sostenere le reali tariffe che siano paragonabili alla spesa che deve avere l'iscritto dall'odontoiatra, perché l'odontoiatria è una materia costosa: costosa da gestire e costosa da applicare. Non cara, costosa. L'odontoiatria svolta nei servizi pubblici è più costosa di quella privata. Se noi gestissimo i servizi privati come vengono gestiti quelli pubblici, chiuderemmo in tre mesi, come privati.
Parliamoci chiaramente, le tariffe sono una cosa secondaria rispetto alla libera scelta del medico. Nel momento in cui c'è la libera scelta del medico, è vero che le tariffe non sono adeguate alla prestazione, quindi l'iscritto non è che abbia tutto questo rimborso, né gliene importa qualcosa. Ma, nel momento in cui tu metti in reale concorrenza i fondi sanitari integrativi, prevedendo la possibilità che io possa andare da qualsiasi medico, anche le tariffe dei fondi sanitari, se gli iscritti non vogliono che le associazioni di categoria come noi, che abbiamo fatto il contratto nuovo, vadano in un altro fondo, magari alzeranno le tariffe.
Sembra strano, ma la base è sempre la libera scelta del medico. Le tariffe arrivano dopo. Dopodiché, è vero, sono assolutamente inadeguate.
PRESIDENTE. Grazie.
Do la parola al presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i.
WALTER DE CARO, presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i. Provo a rispondere molto brevemente sulle diverse questioni.
Parto dalla questione del genere. In Italia le infermiere di sesso femminile sono il 75 per cento e gli infermieri maschi sono, ovviamente, il 25 per cento. È un fatto molto importante, perché noi abbiamo una grande percentuale di infermieri maschi rispetto ad altre nazioni. C'è un problema verso le posizioni apicali e verso le posizioniPag. 17 ordinistiche, in quanto si ribalta la situazione: in queste organizzazioni c'è il 75 per cento di uomini e il 25 per cento di donne. Io incidentalmente sono presidente della Consociazione nazionale, sono il primo uomo presidente in ottant'anni di storia, fondamentalmente, e ho un Consiglio di tutte donne, a eccezione di un'altra persona.
Nella FNOPI, per esempio, invece le donne sono solo 3 e gli uomini sono 12, quindi c'è una percentuale inversa. In questo c'è un problema nei decreti attuativi della legge n. 3 del 2018, su cui ritorno. Credo che, per gli Ordini professionali, ci sia tutta una serie di imperfezioni nella legge n. 3 del 2018, che potrebbero essere risolte con la regionalizzazione.
Il problema della violenza è affrontato ottimamente in Italia dal quadro legislativo, anche recente. Su questo non ci sono dubbi. Ho una visione europea e globale: abbiamo un quadro legislativo ottimale.
Abbiamo il problema della carenza infermieristica, della carenza medica, abbiamo il problema della differenza nord-sud, della sensibilità di contesto verso il mondo sanitario e abbiamo la necessità, forse, di avere in una fase intermedia dei presìdi di polizia più ampi, in più posti. Soprattutto, abbiamo un problema culturale: c'è bisogno di fare health literacy, cioè alfabetizzazione alla salute all'interno dei percorsi formativi, per far avere un rapporto con la salute ai cittadini in una forma diversa.
Spero di aver risposto a questa domanda. In ogni caso, nel testo c'è qualcosa in più.
Per l'assistente infermiere la questione è abbastanza complicata. Con tutte le organizzazioni sindacali, le dieci organizzazioni sindacali, le associazioni scientifiche e la federazione europea siamo contrari, non per principio, ma perché ci sembra un provvedimento molto ambiguo. Le responsabilità professionali non sono chiarificate, c'è un continuo rimandare a collaborazioni, a termini complicati dal punto di vista della responsabilità professionale, che potrebbero creare numerosi contenziosi. Soprattutto, c'è l'idea di sostituire infermieri con assistenti infermieri, lasciare in una casa di cura un infermiere per piano e 40 assistenti infermieri. Noi affidiamo una task infermieristica ad assistenti infermieri, e dobbiamo cambiare loro nome. Il nome è un fatto dirimente. Non vorremmo che si chiamasse «assistente infermiere».
PRESIDENTE. In alcune regioni già c'è l'OSSS, con la terza «S».
WALTER DE CARO, presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i. Con funzioni complementari. La regione Veneto è capofila di questa questione.
PRESIDENTE. Però è più o meno quella figura lì.
WALTER DE CARO, presidente della Consociazione nazionale Associazioni infermiere/i. Se è più o meno quella figura lì, non c'era necessità di manutenere la legge. Questo tipo di denominazione porta una serie di problematiche importanti. Da parte nostra, come Federazione europea delle associazioni infermieristiche, è in corso la preparazione di un ricorso per infrazione della direttiva europea sulla libera circolazione degli infermieri, proprio sull'assistente infermiere. È un fatto che non riguarda solo l'Italia, ma anche altri Paesi, perché vogliono abbassare il livello dell'assistenza infermieristica con personale meno formato e meno retribuito. Bisogna ragionare su questo.
I percorsi di carriera sono l'elemento centrale. L'attrattività è l'elemento centrale. Qual è il problema? Noi non vogliamo che si formino infermieri con un percorso di cinque anni senza avere funzioni in più. Non è necessario farli formare all'università se non diamo loro un livello di abilitazione supplementare. Ci vuole il percorso di carriera, ma questo percorso di carriera va accompagnato. Da cosa? Dall'autonomia professionale: prescrizione farmacologica, sotto supervisione o anche in forma autonoma; valutazione, assessment, essere il primo punto di contatto sul territorio; essere in grado di gestire dal punto di vista clinico, non fare due anni di formazione Pag. 18all'università. Noi puntiamo alle esigenze dei cittadini, non alle esigenze delle università o di altri soggetti.
Altra questione: credo vada incentivata la formazione dell'infermiere generalista, con la riduzione delle tasse, con l'azzeramento delle tasse accademiche, con percorsi di transizione al lavoro, con specializzazioni retribuite. Ci sono tutta una serie di meccanismi. Noi facciamo parte di un'indagine dell'Organizzazione mondiale della sanità, che include anche l'Italia, che nei prossimi anni si occuperà di mantenimento in servizio e reclutamento degli infermieri, perché l'Italia ha pochissimi infermieri.
Per quanto riguarda la progressione di carriera, crediamo in tre punti: l'infermiere generalista, che è il centro; l'infermiere specialista, che è l'anello intermedio, che si occupa di diabete, di dialisi e quant'altro; l'infermiere di pratica avanzata, che fa attività in forma autonoma e che è un piccolo punto.
Quella della libera professione, come ben diceva il presidente Ciocchetti, è una questione di livello locale, di direzione generale. La questione del nulla osta sta creando gravi difficoltà, così come la questione temporale. L'orizzonte temporale di un anno fa sì che molti non vadano avanti. Soprattutto, tante direzioni generali rifiutano di concedere l'autorizzazione. Su questo, crediamo si debba manutenere la legge e, soprattutto, includere anche personale di altri comparti, come gli infermieri che lavorano all'INAIL, gli infermieri che lavorano nel comparto difesa e sicurezza, che in questo momento sono esclusi da questa possibilità a differenza di altri professionisti, come psicologi, medici e quant'altro.
Credo di aver risposto più o meno a tutti i punti. Vi sono grato di questa opportunità. Comunque, forniremo un ulteriore addendum.
PRESIDENTE. Molte delle cose che lei ha detto rappresentano il motivo per cui la Commissione sta svolgendo l'indagine conoscitiva. Anche il discorso di rivedere alcune competenze, alcune professioni, e dare una possibilità di carriera, di sviluppo, di opportunità vale per gli OSS e vale per gli infermieri.
Passiamo all'Associazione federativa nazionale ottici optometristi. Prego.
ANDREA AFRAGOLI, presidente dell'Associazione federativa nazionale ottici optometristi. Problemi di genere non ne abbiamo, non ce ne sono. Non ho delle statistiche, questo lo confesso, ma non ne abbiamo nel senso che la nostra categoria non ha una caratterizzazione particolare. Una volta gli ingegneri erano tutti uomini e le infermiere erano tutte donne. Noi non abbiamo mai avuto problemi né in un senso né nell'altro.
A livello associativo, c'è una rappresentanza anche femminile evidentemente. Dovrebbe crescere, questo è vero, nel senso che, purtroppo, si fa un po' più fatica a trovare colleghe disponibili, però è un qualche cosa che sta lentamente crescendo. Ci sono situazioni regionali, ad esempio in regione Lombardia la presidente è una donna e ne siamo tutti molto felici.
Relativamente a quelle che sarebbero le nostre necessità in termini di rimodulazione del ruolo, prima ho fatto riferimento all'inserimento dell'ottico optometrista all'interno delle professioni sanitarie. Ci fu un tentativo, circa quindici anni fa, con il mio predecessore, ci fu un lavoro preparatorio, si istituì anche una commissione in seno al Consiglio superiore di sanità, fu fatto un percorso anche piuttosto lungo e complesso, che si interruppe, però, in Conferenza Stato-regioni, in realtà non con noi, ma con chi ci precedeva, vale a dire gli odontotecnici. Non ricordo quale regione stabilì che di professioni sanitarie ce n'erano già abbastanza, di conseguenza ci fu comunicato che non era il caso di andare oltre perché, se ce n'erano già abbastanza per gli odontotecnici, evidentemente ce n'erano abbastanza anche per gli ottici. Quindi, al di là della professione sanitaria, noi avremmo l'oggettiva necessità e urgenza di riscrivere questo famoso articolo 12 del regio decreto 31 maggio 1928, n. 1334, perché è un articolo che ci identifica per quello che eravamo un secolo fa. Oggi siamo tanto di più e tanto di diverso, di conseguenza questa è un'esigenza impellente. Nelle documentazioni che vi abbiamo trasmesso, ci siamo permessi di suggerire un'ipoteticaPag. 19 nuova formulazione, per noi assolutamente valida.
L'esperienza di regione Lombardia è ancora in divenire, nel senso che si approderà – speriamo presto – a una fase sperimentale, che sinteticamente potrei definire in questi termini: quando un paziente si reca dal medico oculista e chiede di fare una generica visita oftalmologica, l'oculista deve controllare il segmento anteriore, gli annessi oculari, il cristallino, il segmento posteriore e la retina; una volta che ha fatto tutto questo, eventualmente con tutti gli esami strumentali del caso, si deve occupare anche della parte refrattiva.
È palese il fatto che, a parità di tempo, dovendo fare un'attività superiore, si vedono meno pazienti. Quindi, la proposta che è stata portata avanti in regione Lombardia, e che ci auguriamo possa arrivare a questa sperimentazione, è una proposta banale: per coloro i quali richiedono un semplice controllo visivo perché, ad esempio, devono rinnovare la patente, di conseguenza hanno bisogno di aggiornare l'indicazione diottrica prima di andare a fare la visita dal medico monocratico che deve rinnovargli la patente, ecco questo tipo di attività, che non ha nulla a che fare con la parte di diagnosi medica, potrebbe tranquillamente essere trasferita ad altri soggetti, soggetti che – qui mi lego casualmente al ragionamento degli odontoiatri – hanno una loro struttura privata, ma a servizio della cittadinanza. La dico in termini molto semplici: paghiamo l'affitto, paghiamo luce, gas e acqua, abbiamo una strumentazione di nostra proprietà che mettiamo a disposizione del pubblico a costi che sono stati ipotizzati per regione Lombardia veramente irrisori. Tant'è che il problema sta nel fatto che possiamo farlo, ma non possiamo fare solo quello, altrimenti non stiamo dentro con le spese, ossia ci tocca chiudere perché non riusciamo a coprire i nostri costi. Dunque, è una sperimentazione che ci auguriamo possa partire.
Si è innescata una polemica, è assolutamente vero, e vi spiego subito il motivo. In regione Lombardia si sono accorti che la principale criticità sta nella prima visita oculistica, di conseguenza qualcuno, nel darci un ruolo, ha scritto «prima visita medico oculistica», che palesemente non è un nostro compito. Per cui si è verificato questo inciampo, che non attribuisco sicuramente ai miei colleghi che se ne occupano in Lombardia, non so da parte di chi, ma credo non abbia importanza, sono inciampi che possono capitare. Basta, però, chiarire il concetto, e il concetto è quello che ci sarà da sistemare tutta una serie di articolazioni. Lo dico a scanso di equivoci: è evidente il fatto che, nel momento in cui chiunque dovesse entrare da me per fare un controllo refrattivo per conto del Servizio sanitario nazionale, non esce dalla parte professionale per andare verso la parte commerciale e acquistare da me gli occhiali. Lui esce, punto. Magari l'indicazione diottrica viene caricata sul suo fascicolo sanitario, dopodiché questa persona sarà libera di andarsi a fare gli occhiali dove preferisce. Questo è importante per evidenti problemi di conflitti di interesse, che vanno, ovviamente, regolamentati. È stato pensato tutto in maniera molto corretta, si è verificato questo inciampo, ma questo inciampo, che ha innescato mille polemiche, credo sia di facilissima risoluzione.
Se mi permettete, vorrei fare un rapidissimo accenno alla legge Lorenzin. Non l'ho detto prima perché mi rendo conto che la questione è molto farraginosa. I laureati in ottica e optometria sono della medesima classe di laurea dei fisici triennali, classe L-30, e la legge Lorenzin riconosce come professione sanitaria i chimici e i fisici. Io credo – prendetelo con beneficio d'inventario – si debba risolvere il problema dei fisici medici, ovvero di quei fisici iper-specializzati che lavorano negli ospedali per occuparsi delle macchine per la radioterapia e quant'altro, ovviamente a stretto contatto con i medici di riferimento. Non credo che un fisico che si occupa di controllo dell'aria o un fisico nucleare possa essere interessato a essere definito come professionista sanitario.
Questi nostri colleghi, vale a dire i nuovi ottici e optometristi laureati di classe L-30 sono stati inseriti in quel contesto e, ovviamente,Pag. 20 da quel contesto fanno fatica a uscire, perché il ruolo di questa figura in ambito sanitario si fa fatica a scriverlo. Ebbene, questi laureati in ottica e optometria – lo dico con spirito di collaborazione anche nei confronti dei colleghi che rappresentano l'associazione dei laureati, che credo saranno auditi, sono una piccola associazione che si chiama ALOEO, che ha fatto, come noi, richiesta di audizione – hanno necessità di essere definiti, dal momento che sono nostri colleghi inseriti in un contesto un po' particolare.
PRESIDENTE. Grazie.
Do la parola all'Associazione italiana chiropratici.
JOHN GORDON WILLIAMS, presidente dell'Associazione italiana chiropratici. Io capisco che vi sia una resistenza rispetto alla possibilità di fare un'altra laurea magistrale a ciclo unico, che ritengo sia la garanzia migliore per formare un chiropratico che riesca a fare il chiropratico. Attenzione, non ho particolari problemi con il cosiddetto «tre più due», il problema è che la legge stabilisce che, dopo qualsiasi laurea, il laureato diventa abilitativo, per cui il laureato con laurea triennale va a esercitare. Questo è l'unico problema, a mio giudizio.
Qualcuno mi ha consigliato di pensare a un piano B, che abbiamo riportato nella documentazione che vi abbiamo consegnato. Anche lì scorgo solo un problema, sempre per rispettare la definizione fatta dall'OMS e da tutti gli organi che hanno sempre controllato la chiropratica: con questo piano alternativo che ho pensato, anche confrontandomi con il Ministero dell'università e della ricerca, si potrebbero ipotizzare alcune professioni di laurea triennale che hanno le scienze di base che ci servono. Abbiamo anche fatto un esempio di come potrebbe funzionare. L'unico problema è che la profondità del percorso non è la stessa del nostro. Ad esempio, sarebbe possibile definire «biologo» anche colui che ha conseguito la laurea triennale, ma potrebbe fare un corso modificato per acquisire le scienze di base.
Possiamo trovare una soluzione, ma io ho puntato su quello che penso sia più realistico nel mondo della chiropratica. Però, capisco che siamo in Italia. Comunque, possiamo sempre lavorare insieme per trovare una strada.
PRESIDENTE. Grazie a tutti voi. Speriamo di poter dare risposta a molte delle vostre legittime richieste.
Non essendovi ulteriori richieste di intervento da parte dei colleghi, ringrazio ancora una volta i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie.
PRESIDENTE. La Commissione prosegue il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di riordino delle professioni sanitarie.
Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione in videoconferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
Partecipano all'audizione odierna, per la Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie, il dottor Angelo Minghetti, coordinatore nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie – stati generali OSS, e il dottor Antonio Squarcella, coordinatore regionale della Puglia.
Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione.
Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati, alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
La documentazione acquisita sarà disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà, altresì, pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
Do la parola al dottor Minghetti.
ANGELO MINGHETTI, coordinatore nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie – stati generali OSS della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e Pag. 21sociosanitarie. La ringrazio, presidente. Io passerei la parola al collega Squarcella, che credo sia in attesa. Dovrebbe essere lui l'interlocutore.
PRESIDENTE. Va bene.
Do la parola al dottor Squarcella.
ANTONIO SQUARCELLA, coordinatore regionale della Puglia della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie. Buon pomeriggio. Desideriamo ringraziare per il gradito invito all'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul riordino delle professioni sanitarie. Tale occasione rappresenta un'opportunità preziosa di confronto per definire il futuro delle professioni che rappresentiamo, affrontando con passione le sfide normative e contrattuali che le attendono.
Rappresentiamo la Federazione delle professioni sanitarie MIGEP – stati generali OSS, che rappresenta diverse figure professionali operanti nell'ambito della riabilitazione, della prevenzione e dell'assistenza sociosanitaria. La Federazione degli stati generali OSS porta i saluti del rappresentante Gennaro Sorrentino.
Riteniamo che sia essenziale avere un sistema sanitario fondato su professionalità solide e competenze chiaramente definite, per garantire ai cittadini la qualità dei servizi che meritano. Abbiamo sostenuto questa necessità attraverso diverse iniziative legislative, tra cui due proposte di legge sull'assistente sociosanitario e sull'assistente alla salute. Questi interventi mirano, da un lato, a contrastare il fenomeno del sovramansionamento degli OSS e, dall'altro lato, ad affrontare il problema del sottomansionamento e demansionamento degli infermieri. Un titolo di studio più avanzato per gli OSS migliorerebbe non solo le competenze, ma anche il loro riconoscimento sociale e professionale. La recente pandemia ha evidenziato il ruolo fondamentale degli OSS, professionisti che meritano un adeguato riconoscimento economico e professionale, insieme a un rafforzamento degli organici. Tuttavia, il sistema sanitario attuale soffre di una grave crisi di attrattività, aggravata da una carenza allarmante di personale. Stimiamo che manchino circa 80 mila OSS. Inoltre, l'introduzione delle lauree magistrali infermieristiche ad indirizzo clinico apre la possibilità di nuovi profili professionali, che però non devono basarsi esclusivamente su una formazione universitaria. Occorre, quindi, prevedere anche percorsi formativi con diploma di qualifica, sotto il controllo del Ministero della salute. Difatti, l'articolo 5 della legge n. 3 del 2018 prevede la creazione di una specifica area per le professioni sociosanitarie, includendo il ruolo di OSS.
Nonostante ciò, gli OSS sono ancora relegati a un ruolo tecnico, ed è urgente attuare il passaggio previsto dalle normative per inserirli pienamente nel sistema sociosanitario. La legge n. 3 del 2018 e il decreto ministeriale n. 73 del 2021 collocano infatti gli OSS nell'area sociosanitaria e nel ruolo sociosanitario. Lo stesso articolo 5 prevede che questi profili professionali afferiscano agli ordini di rispettiva appartenenza. Inoltre, l'articolo 4 indica che ogni professionista può organizzarsi in associazioni riconosciute costituendo collegi ordinistici.
Come Federazione Migep – Stati generali OSS, siamo l'organizzazione con maggiore rappresentatività, nonché la più attiva storicamente a livello nazionale e regionale. Siamo la principale realtà associativa del settore. Abbiamo posto le basi per un Registro nazionale degli OSS, al fine di combattere i falsi attestati, riconoscere la professionalità di chi si è formato nei canali corretti e la loro consistenza numerica, anche al fine di programmare il reale fabbisogno.
A tal fine, chiediamo l'inserimento della nostra Federazione nell'elenco delle associazioni professionali riconosciute, in vista della costituzione di un collegio ordinistico e un registro nazionale obbligatorio per la categoria. Finora oltre 10.000 OSS hanno aderito al Registro unico nazionale. Riteniamo fondamentale che il Registro unico nazionale sia indipendente dagli ordini degli infermieri. Stiamo sostenendo questa iniziativa con un disegno di legge che rappresenta una svolta cruciale per la professione, garantendo ai 350.000 OSS un'identitàPag. 22 chiara e riconosciuta a livello nazionale.
L'istituzione della figura dell'assistente infermiere solleva, invece, importanti questioni. Sebbene essa possa apparire come una soluzione ad alcune criticità del sistema sanitario, rischia di generare sovrapposizioni di competenze e di non soddisfare gli standard europei previsti dalla direttiva dell'Unione europea 2013/55. Inoltre, si continua a non valorizzare le professioni già esistenti, come gli infermieri generici e le puericultrici, senza che possano essere riqualificate e le cui competenze vengono a essere inglobate in nuove figure senza un'adeguata preparazione in puericultura.
L'introduzione della figura dell'assistente materna, con un livello formativo inferiore e costi ridotti, non rappresenta una soluzione efficace, continuando a impoverire le professioni esistenti mettendole in estinzione con il contratto senza la decisione del Ministero della salute. Invece di creare nuove figure, si potrebbe puntare a integrare gli organici e a riqualificare le professioni già presenti.
Un altro punto fondamentale è l'introduzione obbligatoria della formazione continua per gli OSS, accompagnata da una certificazione delle competenze, in linea con le esigenze del settore sanitario e sociosanitario. La formazione deve diventare un obbligo giuridico e deontologico. Crediamo che sia arrivato il momento di rivedere seriamente il profilo dell'operatore sociosanitario, che porti davvero alla nascita di una figura professionale a tutti gli effetti, con un percorso che preveda almeno 1.600 ore di formazione attraverso gli istituti sociosanitari, eliminando le differenze regionali che oggi caratterizzano questa figura con un diploma di qualifica riconosciuto a livello europeo, e l'istituzione di un registro nazionale. Tale approccio garantirebbe una figura professionale completa, con competenze e responsabilità ben definite, un nuovo inquadramento contrattuale e retributivo e opportunità di crescita professionale attraverso la formazione continua.
La mancata indicazione di un riconoscimento professionale, e soprattutto economico, da parte dei decreti, non renderà semplice la collocazione della figura professionale giusta nel contesto giusto, e non renderà appetibile il conseguimento di una qualifica aggiuntiva da parte degli OSS, a seguito di un investimento economico personale. Se si desidera davvero una figura intermedia, è necessario aprire un osservatorio nazionale, per analizzare concretamente il profilo professionale, aumentando il percorso formativo a 2.000 ore, affidandolo ad istituti sociosanitari qualificati, con un diploma di qualifica.
La carenza di personale nelle aree interne del Paese e l'invecchiamento della popolazione rendono sempre più urgente una riforma coraggiosa, che punti sulla valorizzazione di tutte le professioni sanitarie e sociosanitarie, incluse quelle spesso dimenticate. Abbiamo un patrimonio di professionisti. È necessario rafforzare queste figure, per ridurre le carenze e garantire un'assistenza adeguata.
Servono innanzitutto chiarezza e visione su questi professionisti. Bisogna attuare coraggiose riforme per condurre queste professioni nella direzione di pari diritti con le altre del sistema salute.
Infine, è essenziale garantire pari diritti per tutte le professioni del sistema sanitario, includendo gli OSS nel regime delle professioni usuranti e riconoscendone la responsabilità professionale nell'ambito della legge Gelli-Bianco. Solo così potremmo dare dignità e valore a una categoria indispensabile per il nostro sistema assistenziale. All'insegna di questa doppia lettura degli strumenti che abbiamo presentato oggi, emerge che rispetto all'abbandono di queste professioni, l'istituzione dell'assistente infermiere non assume la laicità di utilizzabilità richiesta.
La domanda che rivolgiamo alla politica, onorevoli, è quale futuro vogliamo per la nostra sanità assistenziale e quale riconoscimento professionale per queste professioni. Crediamo che in ballo ci siano valori e diritti che non si possono svendere e, in primis, indipendentemente dall'età, vi è quello del cittadino, poiché lo stanziamentoPag. 23 del 2025 di 880 milioni di euro per il piano straordinario di assunzioni è considerevolmente insufficiente per affrontare la carenza di personale.
In conclusione, chiediamo a questa Commissione e al Parlamento di calendarizzare le proposte di legge sull'assistente sociosanitario C. 1181, sull'assistente alla salute C. 1163 e sul registro nazionale degli OSS C. 1510. Facciamo un'istanza affinché lo Stato italiano riconosca un collegio per gli operatori sociosanitari, in questo caso il Migep, per la professione OSS, perché l'OSS è il motore del sistema sanitario assistenziale.
Si tratta di misure attese da tempo, e oggi riteniamo che sia importante realizzare il riordino del profilo professionale e della formazione dell'operatore sociosanitario. Solo con un'azione decisa e condivisa sarà possibile garantire il futuro della sanità assistenziale e il giusto riconoscimento delle professioni che ne fanno parte.
Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie a lei. Non so se l'altro ospite intende fare qualche considerazione.
ANGELO MINGHETTI, coordinatore nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie – stati generali OSS della Federazione nazionale delle professioni sanitarie e sociosanitarie. Quello che il nostro collega ha evidenziato è già sufficiente. Ringraziamo per l'invito e ci auguriamo di riuscire a continuare insieme a costruire un qualcosa di reale per una professione che ne ha proprio bisogno. Grazie.
PRESIDENTE. Non ci sono richieste di intervento da parte dei deputati, neppure tra i collegati in videoconferenza. Credo che l'audizione sia stata molto chiara. Conosciamo bene il tema che voi ponete e chiaramente, nell'ambito dell'indagine conoscitiva, cercheremo di trovare le giuste soluzioni per proporre dei cambiamenti che serviranno a dare l'opportuno riconoscimento al lavoro che, in particolare, gli operatori sociosanitari portano avanti.
Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro concluse le audizioni.
La seduta termina alle 15.35.