XIX Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 13 maggio 2025
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cappellacci Ugo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI CENTRI DI ONCOFERTILITÀ

Audizione, in videoconferenza, di Enrico Vizza, direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena, Rocco Rago, direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma, Roberto Angioli, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG) e Anna Maria Mancuso, presidente dell'Associazione Salute Donna.
Cappellacci Ugo , Presidente ... 2 
Vizza Enrico , direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena ... 3 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 4 
Rago Rocco , direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma ... 4 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 9 
Angioli Roberto , presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG) ... 9 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 14 
Mancuso Anna Maria , presidente dell'Associazione Salute Donna ... 14 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 17 
Loizzo Simona (LEGA)  ... 17 
Ciocchetti Luciano (FDI)  ... 17 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 18 
Rago Rocco , direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma ... 18 
Angioli Roberto , presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG) ... 19 
Vizza Enrico , direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena ... 21 
Mancuso Anna Maria , presidente dell'Associazione Salute Donna ... 22 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 23 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata da Rocco Rago ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UGO CAPPELLACCI

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Enrico Vizza, direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena, Rocco Rago, direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma, Roberto Angioli, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG) e Anna Maria Mancuso, presidente dell'Associazione Salute Donna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, di Enrico Vizza, direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena, Rocco Rago, direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma, Roberto Angioli, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG) e Anna Maria Mancuso, presidente dell'Associazione Salute Donna.
  La Commissione prosegue il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui centri di oncofertilità.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione in videoconferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi, secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento.Pag. 3
  Saluto i nostri ospiti e li ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire le domande dei deputati, ai quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do, quindi, la parola al dottor Vizza.

  ENRICO VIZZA, direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena. Buongiorno.
  Sono il responsabile della banca del tessuto ovarico della Regione Lazio, dove lavoriamo in una rete con due hub – ne parlerà il professor Rocco Rago, il quale effettua invece il prelievo ovocitario. Quindi, noi siamo organizzati in una rete e la principale criticità, come in altre regioni, è rappresentata dall'accesso dei pazienti a questa rete. Nonostante lavoriamo su questa criticità oramai da anni, non esiste un'accessibilità capillare e ottimale. Su questo, secondo il mio parere, si dovrebbe lavorare.
  Per quanto riguarda le banche del tessuto ovarico, che rappresentano un aspetto specifico della crioconservazione nel paziente oncologico – io lavoro presso l'Istituto nazionale tumori del Regina Elena – il tessuto ovarico rappresenta un approccio rivolto a pazienti precisi, in età prepubere e oncologici che, per rapidità di trattamento, non possono accedere ad altre tecniche. Quindi, è molto importante che ci sia un coordinamento operativo tra chi si occupa del tessuto ovarico e chi invece assicura la raccolta ovocitaria, ossia l'altra tecnica fondamentale. Nel Lazio, siamo riusciti a realizzare ciò insieme al professor Rago, riunendo anche altri centri di tessuto e gameti, e questo ha permesso una riduzione della migrazione dei Pag. 4pazienti verso altre regioni e ha migliorato l'accesso a queste tecniche perché i pazienti, tramite gli oncologi della regione, sono a conoscenza di questo percorso, dotato di un suo specifico PDTA.
  Senza dilungarmi ulteriormente, resto a disposizione per eventuali chiarimenti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Vizza.
  Do quindi la parola al professor Rago.

  ROCCO RAGO, direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma. Innanzitutto ringrazio la Commissione per avermi invitato a quest'audizione, ed Enrico Vizza per aver introdotto l'argomento; sottolineo che la rete della Regione Lazio nasce proprio da una nostra collaborazione informale nata alcuni anni fa.
  Nella Regione Lazio, la rete dell'oncofertilità è ben strutturata: nasce nel 2019 per una delibera che recepisce l'accordo nazionale della Conferenza Stato-regioni sui PDTA e la presa in carico della donna affetta da patologia neoplastica. Questa organizzazione è stata poi ulteriormente ribadita e strutturata nel PDTA del tumore al seno, che è previsto ed è presente nella nostra regione, che ha indicato proprio nel suo follow up, nella flowchart di indirizzo, l'individuazione delle pazienti che potevano essere oggetto di preservazione della fertilità attraverso il prelievo del tessuto ovarico o attraverso il prelievo ovocitario.
  La Regione Lazio ha poi ribadito questa organizzazione nell'ultima determina, n. 1182 del 2024, in cui ha istituito la Rete regionale per la procreazione medicalmente assistita. Quindi, questa attività è ben nota e ben organizzata nella nostra regione. Abbiamo la banca del tessuto ovarico presso l'IFO, la banca degli ovociti all'ospedale Pertini e la banca del seme al Policlinico Umberto I. Come vedete, la regione ha voluto diversificarePag. 5 in base all'expertise e alle disponibilità strutturali già presenti all'interno della regione, in modo tale da dare un'ampia possibilità di accesso agli utenti.
  Questo è in breve il percorso che è stato elaborato nei PDTA del tumore al seno, e devo dire che funziona piuttosto bene. Da un punto di vista organizzativo, vedremo più avanti quali sono le criticità.
  Successivamente, la Regione Lazio ha dato la possibilità alle donne affette da BRCA, cioè la mutazione genetica che predispone nella maggior parte dei casi al tumore dell'ovaio o al tumore al seno, di ricorrere alla crioconservazione ovocitaria in un periodo precedente alla patologia neoplastica perché, come emerge da due lavori che abbiamo pubblicato nel 2021 e nel 2022, gli ovociti delle donne che hanno una patologia neoplastica, sia periferica – in particolare ovviamente del tumore ovarico – sia del tumore al seno, hanno all'atto del prelievo degli ovociti una ridotta qualità ovocitaria e un ridotto recupero in termini numerici. È importante invece il numero degli ovociti che debbono essere recuperati per poi effettuare eventualmente una tecnica di fecondazione assistita. Nella mia azienda sanitaria, in particolare il servizio di oncofertilità è inserito nel PDTA del tumore al seno, quindi all'interno della struttura vi è un percorso circolare che va dalla breast unit all'attivazione di PAC specifici, alla preservazione della fertilità, all'attività genetica che viene svolta in convenzione con l'ospedale San Camillo. Il centro di oncofertilità è aperto tutti i giorni; c'è un accesso immediato entro 72 ore dalla richiesta da parte del centro oncologico; viene acquisito il nulla osta dell'oncologo, perché è fondamentale sapere se quella donna, purtroppo ha possibilità di sopravvivere alla crioconservazione degli ovociti, e questa è una condizione primaria; viene effettuata una valutazione della riserva ovarica in base alla patologia di base e poi Pag. 6vengono attivati i percorsi. Questi sono simili a quelli di una tecnica di procreazione assistita.
  Ad oggi, da quando la struttura è nata, prima informalmente, come detto, con la collaborazione con Enrico Vizza nel 2016, e poi formalmente nel 2019, con la delibera di istituzione della rete, abbiamo trattato circa 500 donne. La provenienza è prevalentemente il Lazio, ma le regioni limitrofe, soprattutto quelle del sud, sono quelle che più facilmente si rivolgono alla nostra struttura, perché man mano che scendiamo nella Penisola la rappresentazione di centri e di organizzazioni come quella che abbiamo istituito nella Regione Lazio tendono a ridursi, se non addirittura a essere assenti in alcune regioni.
  Ebbene, è importante preservare la fertilità in queste donne perché, in primo luogo, offriamo un supporto psicologico in un periodo difficile che stanno vivendo: una cosa è dire loro di effettuare una chemioterapia, con tutte le sofferenze che ciò comporterà, altra cosa è proporre loro di conservare il tessuto ovarico o gli ovociti perché guariranno e potranno avere un figlio. È una prospettiva completamente diversa, che apre a sua volta una compliance completamente diversa da parte della paziente alla terapia.
  Dopo il tumore al seno, o comunque dopo una patologia neoplastica, seguiamo anche le gravidanze in follow up, quelle che non sono seguite dai ginecologi di fiducia, ovviamente. La gravidanza spontanea intanto è possibile, quindi non è detto che queste donne ricorreranno sempre alla fecondazione assistita, ma laddove questo non fosse possibile, abbiamo ottenuto venti gravidanze da ovociti congelati. Alcune sono giunte a termine in questo periodo e altre tre sono attualmente in corso. È soprattutto il tumore alla mammella che la fa da padrone nell'invio ai centri di oncofertilità. Questo perché – ed è una delle criticità a cui accennava anche Enrico Vizza –, nonostante l'esistenza Pag. 7della rete, l'accesso a questa prestazione è ancora poco conosciuto e poco noto, o forse poco fornito dagli specialisti, tant'è che se prevale il tumore della mammella e prevale il tumore dell'ovaio, è perché c'è una maggiore sensibilità e conoscenza di questo argomento da parte di questi specialisti, che si occupano in ogni caso della fertilità di quelle donne, e quindi probabilmente sono molto più motivati a presentare tali percorsi.
  È fondamentale congelare gli ovociti, perché queste donne poi avranno una gravidanza in tarda età, probabilmente. Gli studi mostrano che, man mano che andiamo avanti con l'età, serve un pool di ovociti sempre maggiore. Per ottenere una gravidanza certa, noi dovremmo congelare fino a una media di 90 ovociti, cosa ovviamente non possibile, ma questo ci fa capire quanto è importante che queste donne vengano inviate al trattamento, soprattutto per il prelievo ovocitario, il prima possibile, in modo tale da poter fare più raccolte possibili e avere un pool ovocitario adeguato per la prestazione.
  Rispetto al resto dell'Europa, sulla patologia oncologica l'Italia si presenta sicuramente in linea, ma voglio approfittare di questa audizione perché, se è vero che parliamo di oncofertilità, la preservazione della fertilità è prevista dalle linee guida anche per situazioni non oncologiche; queste linee guida non sono ancora state attuate in Italia a livello normativo, dove ci si limita a interessarsi all'oncologia.
  Noi sappiamo che le società scientifiche, per esempio, suggeriscono la preservazione della fertilità in quelle patologie che pongono a rischio la fertilità della donna e che sono le principali cause di infertilità nel mondo. Una di queste è l'endometriosi. Noi sappiamo che l'endometriosi dà un minore numero di ovociti maturi, un minore numero di embrioni e un più basso tasso di gravidanze, sia spontanee che derivanti da tecniche di fecondazione assistita. Infatti, in altri Paesi, addiritturaPag. 8 in altre regioni d'Italia, per esempio la Toscana, l'Emilia-Romagna e mi pare anche il Veneto, offrono la possibilità di congelare i propri gameti anche alle donne affette da endometriosi e, più in generale, da patologie che pongono a rischio la fertilità, con una menopausa precoce.
  Andiamo verso una popolazione sempre più anziana, e che fa sempre meno figli – siamo scesi sotto i 400 mila nel 2024 – ma aumentano i nati vivi da tecniche di fecondazione assistita. Siamo partiti da 9 mila nati dieci anni fa e siamo arrivati a 16 mila nati oggi, questo perché vi è una serie di attività svolte con la donazione di ovociti. In Italia, circa 10 mila pazienti si sono rivolte alla donazione di ovociti, perché erano più avanti con l'età o perché non hanno provveduto a effettuare la preservazione della fertilità per le patologie che vi ho detto, da cui sono nati 3 mila bambini.
  Il panorama allarmante e disarmante è che tutti questi gameti, per il 99 per cento dei casi, provengono dall'estero. Se noi, invece, promuovessimo anche la cultura della diffusione di tali informazioni, avremmo fatto grandi passi avanti. Se noi potessimo ricorrere al congelamento degli ovociti non solo per le patologie oncologiche ma anche per quelle di cui ho parlato poc'anzi, che sono causa di infertilità da adulte, noi potremmo congelare gli ovociti di queste donne in età giovanile, senza costringere queste donne a effettuare fecondazioni assistite con donatrici che non fanno parte del loro patrimonio genetico o familiare, quindi con un minor ricorso all'ovodonazione da banche estere, un minor rischio di anomalie cromosomiche – perché parliamo di ovociti giovani – e una maggiore autonomia rispetto alla scelta riproduttiva.
  Grazie.

Pag. 9

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della presentazione informatica che ci ha illustrato (vedi allegato).
  Do la parola al presidente Angioli.

  ROBERTO ANGIOLI, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG). Signor presidente, innanzitutto vi ringrazio per la possibilità di questa audizione. Io sono Roberto Angioli, professore ordinario di Ostetricia e Ginecologia all'Università Campus Bio-Medico e presidente della Società italiana di ginecologia oncologica.
  Cercherò di rispondere ai quesiti di questa indagine conoscitiva, e trasmetterò senz'altro una relazione più completa.
  Secondo le stime più recenti - giusto per fornire qualche dato -, le nuove diagnosi di tumore maligno nelle donne sono circa 175 mila nel 2024; di queste, 13 mila coinvolgono donne in una fascia di età fertile, tra i 20 e i 50 anni. I numeri sono sicuramente destinati ad aumentare, a causa dei ritardi di screening e diagnosi nel periodo Covid. L'aumento della sopravvivenza di queste pazienti è associato allo spostamento in avanti dell'età media della prima gravidanza (oltre i 35 anni), che è passata dal 12 per cento del 1990 - giusto per darvi un'idea - al 16 per cento nel 1996, al 25 per cento nel 2025. Ciò rende fondamentale un programma, una rete di organizzazioni ben strutturata, che offra la preservazione della oncofertilità.
  Ad oggi, vi è una discrepanza di distribuzione regionale e territoriale dei centri pubblici e privati convenzionati che seguono tale procedura.
  Ad oggi, non è possibile determinare con certezza se vi sia una congruità tra numero di centri dedicati all'oncofertilità per regione e popolazione potenzialmente eleggibile, ossia numero delle pazienti con diagnosi di malattia oncologica in età inferiore ai 40 anni. Ciò è dovuto alla carenza di dati completi, Pag. 10poiché i dati risultano ancora un po' disaggregati. Quelli attualmente disponibili riguardano il numero complessivo delle pazienti oncologiche, senza una suddivisione specifica per accesso ai percorsi di preservazione della fertilità.
  È noto, tuttavia, che in Italia vengono diagnosticati quotidianamente, oggi, circa 30 nuovi casi di tumore in donne di età inferiore ai 40 anni. Inoltre, non risultano disponibili dati sistematici sul numero di pazienti effettivamente inviate ai centri di oncofertilità, rispetto al numero complessivo delle pazienti eleggibili.
  In riferimento al rispetto, da parte dell'attuale rete dei centri disponibili, dei criteri di prossimità nelle reti regionali dedicate all'oncofertilità, tali criteri di prossimità non risultano complessivamente rispettati, con una evidente disomogeneità territoriale-organizzativa a livello nazionale. I dati del censimento dell'Istituto superiore di sanità, che avete audito alcuni giorni fa, danno un'idea precisa della eterogeneità distributiva tra le varie regioni italiane. La distribuzione di PDTA è disomogenea, con situazioni virtuose concentrate nel nord e centro Italia, dove ci sono hub e dove ci sono addirittura i centri di oncofertilità. Quando parliamo di «centro» vuol dire che è tutto concentrato in un unico centro. Penso, in particolare, alla Provincia autonoma di Trento, all'Emilia-Romagna, alla Lombardia, alla Toscana, al Piemonte. L'Emilia-Romagna e la Lombardia potrei dire che hanno un sovrannumero, ne hanno cinque, mentre alcune regioni non ne hanno nessuno. Abbiamo sentito l'esempio del professor Rago e del professor Vizza, che hanno creato una rete efficace nel Lazio grazie all'attuazione di un PDTA.
  La presenza del PDTA è fondamentale, soprattutto dove non c'è un centro solo. Quindi, è sicuramente possibile, certo con un lavoro non indifferente, raggiungere ottimi obiettivi.Pag. 11
  Nelle regioni prive di sistemi hub and spoke e di un PDTA formalizzato, non è possibile garantire né valutare il rispetto del criterio della prossimità.
  Riguardo ai requisiti indicati dal Centro nazionale trapianti per questo tipo di attività, il rispetto di tali requisiti è una condicio sine qua non per l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di conservazione di gameti e tessuto ovarico ai fini della preservazione della fertilità. Tutti i centri accreditati nell'ambito della procreazione medicalmente assistita sono tenuti a rispettare quanto previsto dalla normativa vigente. Questi centri, quindi, se sono aperti, sicuramente rispettano i criteri. I centri che operano in questo ambito sono sottoposti, in più, a verifiche periodiche da parte delle autorità regionali competenti, e devono garantire la disponibilità diretta o convenzionata dei servizi richiesti, anche tramite accordi con istituti nelle stesse regioni. Quindi, dove ci sono, sono adeguati al rispetto delle normative.
  Ci sono, però, alcune considerazioni che vorrei fare in riferimento alla programmazione sanitaria e alla pianificazione territoriale. La previsione di una banca ogni 5 milioni di abitanti, come previsto, non sempre si traduce in una distribuzione omogenea nel territorio. Serve, pertanto, a mio avviso, un piano nazionale di riequilibrio territoriale che, oltre al parametro demografico, consideri l'accessibilità logistica, la densità ospedaliera e la mobilità interregionale.
  In riferimento all'equità di accesso alle cure, le pazienti oncologiche in età fertile che vivono in regioni sprovviste di un PDTA strutturato, centri o banche convenzionate, affrontano ostacoli significativi per l'accesso tempestivo al percorso di preservazione della fertilità: trasferimenti, tempi lunghi, costi, che sono spesso a carico della paziente. Queste sono criticità importanti in alcune regioni italiane.Pag. 12
  Per quanto riguarda la questione della qualità e sostenibilità dei servizi, i requisiti minimi previsti (volumi annui minimi, personale dedicato, esperienza pregressa) sono rigorosi e tutti condivisibili sotto il profilo della qualità, ma in alcuni casi rendono difficile il mantenimento dell'accreditamento, in alcune realtà che hanno un basso volume e risorse economiche limitate.
  Pertanto, sicuramente la necessità di finanziamenti dedicati e modelli hub and spoke sostenibili può consentire a questi centri di organizzarsi come i centri più esperti, ma necessitano di un maggiore supporto.
  In riferimento alla questione se i centri, qualora sia soddisfatto il criterio della prossimità delle cure, abbiano reale necessità dell'invio fuori regione delle pazienti, tema molto delicato, la mobilità interregionale, pur potendosi ridurre significativamente attraverso una rete ben strutturata e omogenea dei centri, rappresenta un fenomeno non completamente eliminabile. Permane, infatti, la variabile legata alla libera scelta delle pazienti di proseguire il proprio percorso clinico presso i centri oncologici di riferimento. Se gli hub sono fuori regione, il paziente generalmente cerca il centro di oncofertilità nel luogo in cui va a curarsi.
  Per quanto attiene alla questione se nei centri di oncofertilità sia necessaria la presenza di personale qualificato, ginecologi esperti, di fisiopatologia della riproduzione, biologi, eccetera, direi che allo stato attuale tali figure risultano distribuite in maniera disomogenea nei diversi centri, con il conseguente rischio di frammentazione del percorso assistenziale. È prioritario, a mio avviso, concentrare e non disperdere le competenze, attraverso la costituzione di équipe multidisciplinari stabili, in grado di operare in sinergia.Pag. 13
  Le figure inizialmente imprescindibili sono quella dell'oncologo medico, del ginecologo esperto di preservazione della fertilità – non basta un ginecologo o un ginecologo che si occupa di PMA; è diverso chi è esperto di preservazione della fertilità –, del genetista e del biologo esperto di PMA. Una volta garantita la presenza di queste figure, è importante l'introduzione anche degli altri colleghi, se si usa il criterio hub and spoke, anche negli altri istituti, ma sicuramente in rete: psicoterapeuta, pediatra, nutrizionista, fisioterapista, ostetriche con funzione di case manager, infermiere dedicate, eccetera.
  Riguardo alla presenza un insegnamento dedicato all'interno dei corsi della facoltà di medicina e chirurgia e delle Scuole di specializzazione, direi che all'interno dei corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia, così come nei percorsi delle Scuole di specializzazione, non è previsto un insegnamento strutturato e specificatamente dedicato all'oncofertilità. L'argomento viene trattato in modo frammentario nell'ambito di insegnamenti più ampi, quali l'oncologia, l'ematologia, la ginecologia, senza una trattazione sistematica e multidisciplinare, cosa che dovrebbe essere, invece, istituzionalizzata.
  È necessaria la formazione del personale sanitario che lavora nei centri oncologici. Non solo è necessaria, ma rappresenta un presupposto fondamentale per garantire l'accesso equo, tempestivo e informato alle azioni di prevenzione della fertilità nelle pazienti oncologiche in età fertile.
  Sebbene in alcuni contesti, come le breast unit e i centri di oncoematologia, si rilevi costantemente una crescita della sensibilità da parte dei professionisti, e quindi anche culturale, sulla tematica della oncofertilità, non esiste un percorso formativo strutturato obbligatorio e omogeneo a livello nazionale, che dovrebbe essere, a mio avviso, introdotto con le varie Pag. 14metodologie di cui disponiamo: i corsi ECM, introducendo i PDTA – abbiamo, insomma, diversi metodi.
  Considerando le tematiche e i soggetti che voi avete coinvolto, mi sembra che i quesiti posti dall'indagine siano particolarmente pertinenti. Però, tali quesiti necessitano di risposte precise, che non abbiamo interamente, e che sarebbero necessarie per una programmazione finalizzata alla formulazione di una offerta assistenziale adeguata. Ritengo che questo possa essere ottimizzato con la creazione di tavoli di lavoro, coinvolgendo le varie istituzioni da voi contattate, i vari esperti, che svolgono un lavoro armonico per portare dati e proposte utili per una futura programmazione. Quindi, penso che siamo tutti a disposizione per lavorare insieme per dare un supporto a questo servizio, che è fondamentale, crescente e sarà sempre più importante.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei.
  Do infine la parola alla presidente Mancuso.

  ANNA MARIA MANCUSO, presidente dell'Associazione Salute Donna. Grazie, presidente, per avermi invitata all'audizione. Ringrazio anche tutta la Commissione. Io porto la voce dei pazienti.
  Sono presidente di Salute Donna Onlus, ma anche coordinatrice del gruppo di associazioni «La Salute un bene da difendere, un diritto da promuovere», che coinvolge oltre cinquanta associazioni di pazienti. Porta anche la voce personale in quanto ex paziente oncologica. Credo che l'inclusione della procreazione medicalmente assistita nei LEA rappresenti una grossa e fondamentale opportunità, soprattutto per le giovani donne in trattamento oncologico. Una diagnosi di cancro, si sa, sconvolge tutti i progetti di vita di una donna, ma Pag. 15anche di un uomo, anche se c'è una prognosi favorevole, perché la persona si sente sospesa dal contesto in cui vive.
  La malattia, infatti, arrivando all'improvviso, porta alla luce la paura della morte, che tutti neghiamo fino al momento in cui ci ammaliamo, e l'interruzione dei progetti di vita sognati e su cui si era investito.
  Continuare anche durante le cure a collocare la propria vita in una progettazione futura è importantissimo, perché aiuta, soprattutto le giovani donne, a non arrendersi alla malattia. Come dicevo prima, anche con prognosi favorevoli la paura della morte blocca la vita di queste persone. Quindi, è fondamentale dare loro anche delle informazioni utili per riprogettare e continuare a vivere. Tra queste c'è anche la possibilità, soprattutto in queste giovani donne, di poter avere dei figli. Infatti, esistono cure innovative e sappiamo quanto la scienza oncologica e la ricerca abbiano fatto passi avanti; tuttavia, sulla possibilità della procreazione medicalmente assistita, non c'è grande attenzione sul territorio nazionale, nonostante ci siano dei centri. Il problema vero è l'assenza di informazione rispetto a queste opportunità.
  Spesso si parla nei congressi di cura olistica. La cura olistica comprende tutto quello che riguarda la persona: non è solo la malattia, l'organo che si deve curare, ma è tutto un sistema mentale e fisico, anche di prospettive, che il paziente deve avere. Ecco perché la medicina narrativa è importantissima, perché con la medicina narrativa si raccolgono i desiderata dei pazienti. Però, purtroppo, i tempi sono sempre molto stretti e alla fine mancano delle informazioni necessarie affinché si possa avere il quadro completo delle opportunità.
  Credo che l'elemento psicologico sia fondamentale per aiutare soprattutto le giovani donne a vedere un futuro e ad affrontare il percorso di cura. Quindi, la preservazione della Pag. 16fertilità deve essere concepita, all'interno di questo percorso, essa stessa come un percorso di cura.
  Ritornando ai centri di fertilità, ci sono alcune considerazioni da fare, soprattutto rispetto all'informazione al paziente. Non ci sono centri di counseling adeguati in ogni struttura oncologica. Ci sono tante strutture oncologiche, ma servirebbero anche dei centri all'interno di queste strutture che avessero il tempo di informare adeguatamente i pazienti sulla PMA, perché spesso gli oncologi non hanno il tempo necessario per poterlo fare. Se noi dovessimo fare un'indagine sulle donne di giovane età all'interno delle strutture oncologiche, chiedendo loro se sono state informate circa la possibilità di un percorso di PMA – lo dico alla luce della mia lunga esperienza di Salute Donna, perché io stessa mi sono ammalata all'età di trentadue anni e ho fondato Salute Donna dopo qualche mese, ma all'epoca non c'erano gli strumenti che oggi ci sono –, vi assicuro che pochissime sono informate circa questa opportunità e sanno dove recarsi.
  Si è parlato di reti. È fondamentale creare delle reti, ma anche promuovere all'interno delle strutture dove si cura il cancro dei punti di informazione. L'altro spunto che vorrei portare riguarda il modo in cui si comunica, perché anche gli oncologi, i professionisti e gli infermieri devono essere formati sul tema. Per poter informare si devono formare adeguatamente.
  Nella formazione dei professionisti – questo è il terzo spunto – è importante anche interagire con la multidisciplinarietà. Si parla tanto di questo tema ma, ad esempio, ancora oggi nelle breast unit non c'è la figura dello psiconcologo, che è fondamentale anche per la PMA.Pag. 17
  Pertanto, tutti i PDTA, ma anche tutte le strutture multidisciplinari come le breast unit, dovrebbero avere dei professionisti adeguati e necessari alla cura olistica.
  Noi emaniamo forse troppe leggi, ma il problema è poi riuscire a calarle nella realtà all'interno degli ospedali: ci sono le leggi sul PDTA, ma se poi andiamo a vedere realmente, all'interno delle strutture, quanti PDTA ci sono per i diversi tumori, ci accorgiamo delle reali carenze del sistema.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Mancuso.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SIMONA LOIZZO. Vorrei chiedere al professor Rago cosa cambierebbe del percorso di accesso all'oncofertilità, tenendo conto che abbiamo visto dei dati agghiaccianti sulla disomogeneità di accesso tra le aziende sanitarie del nord e del sud.
  Vorrei chiedere, inoltre, al dottor Angioli se ha in mente, per i ginecologi e in materia di oncofertilità, un'alta formazione autonoma oppure se ritiene che si possa prevedere, all'interno della scuola di specializzazione, un esame che abiliti all'oncofertilità.
  Vorrei chiedere, infine, al professor Rago se il social freezing di cui ha parlato è un'ipotesi che può essere a suo avviso organizzata attraverso accordi pubblico-privati, perché magari il pubblico non riesce, da solo, a sostenerne i costi; ad ogni modo, si tratterebbe di una politica di argine al fenomeno della denatalità, in quanto tale quindi appoggiata da tutti noi.
  Grazie.

  LUCIANO CIOCCHETTI. Vorrei chiedere ai clinici, che hanno il rapporto con i pazienti e con le pazienti in questo caso, come Pag. 18funziona il tema della comunicazione, a cui si è fatto riferimento nell'ultimo intervento. Come si può, prima dell'inizio dei trattamenti oncologici oppure degli interventi operatori, presentare la varietà di opportunità disponibili. Mi pare che questo sia uno dei punti critici.
  Abbiamo ascoltato l'organizzazione della Regione Lazio. Bisognerebbe capire anche nelle altre regioni se il sistema del PDTA, assieme alla rete oncologica e della oncofertilità, possa costituire una strada percorribile.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, do la parola ai nostri ospiti per le repliche.

  ROCCO RAGO, direttore U.O.C. Fisiopatologia della riproduzione e andrologia – Ospedale Sandro Pertini di Roma. Grazie per le domande, che mi danno l'opportunità di approfondire alcuni passaggi. Riguardo alle regioni, se c'è una migrazione dalle regioni del sud, significa che, come ci dicevano la dottoressa Mancuso e il dottor Angioli, non vi sono strutture né un'organizzazione efficiente.
  A mio avviso, la previsione di un centro di oncofertilità ogni cinque milioni di abitanti dovrebbe tener conto, invece, anche delle realtà logistiche delle varie aree, se pensiamo a regioni come la Sicilia, la Calabria e la Puglia, dove per raggiungere cinque milioni di abitanti occorre accorpare più aree. Immaginate una ragazza di Catania che deve raggiungere Bari o viceversa per potere effettuare una preservazione della fertilità.
  Quindi, il concetto dei centri in funzione del numero di abitanti va superato. Può andar bene per regioni come Lazio, Toscana o Lombardia, che hanno una concentrazione sufficiente e modalità di spostamento molto più rapide, ma non per tutte le regioni.Pag. 19
  In secondo luogo, il social freezing, che non è la soluzione ottimale per la lotta alla denatalità, anche se è già qualcosa. Oggi viene effettuato nelle strutture private ed è totalmente a carico dell'assistito. A mio avviso, una partecipazione joint venture pubblico-privato, ma anche una compartecipazione alla spesa da parte dell'utente, come è stato fino a poco tempo fa per la procreazione medicalmente assistita, che non ha determinato un vulnus per l'accesso alle strutture pubbliche, sia necessaria, perché non si tratta di una patologia che mette in gioco la vita e la morte, come può essere quella oncologica, ma di una che incide sulla fertilità.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Ciocchetti, che ringrazio anche per aver permesso di realizzare l'evento, cui ha partecipato anche l'onorevole Loizzo la scorsa settimana alla Camera dei deputati, proprio su questi argomenti, la comunicazione ai pazienti è importantissima. Come abbiamo ascoltato dalla dottoressa Mancuso, molto avviene attraverso il passaparola delle pazienti. Quindi, occorre una comunicazione di massa, una campagna di sensibilizzazione o meglio di informazione sull'accesso su tutto il territorio nazionale, tramite media e social, a carattere istituzionale. Nel nostro piccolo tutti lo facciamo, lo fa l'associazione dei pazienti, lo facciamo noi, lo fanno le società scientifiche, ma le istituzioni, secondo me, hanno come scopo proprio quello di divulgare queste buone pratiche.

  ROBERTO ANGIOLI, presidente della Società italiana di oncologia ginecologica (SIOG). Grazie per le domande.
  Per quanto riguarda la formazione, la domanda era se le scuole di specializzazione in ginecologia hanno degli insegnamenti sulla oncofertilità. Nelle scuole di specializzazione ci sono degli insegnamenti che sono standardizzati. Alcuni sono un po' a discrezione dei direttori delle varie scuole, ma non Pag. 20esiste il corso specifico sull'oncofertilità, cosa che invece, a mio avviso, sarebbe opportuno che ci fosse a livello di tutte le scuole di specializzazione, non solamente di ostetricia e ginecologia, ma anche di ginecologia, di oncologia e di ematologia, che sono tra le principali materie che vedono pazienti che possono accedere ai servizi di oncofertilità.
  La tematica è abbastanza complessa: se il semplice insegnamento non fa l'esperto, come sappiamo bene, nondimeno dà quella cultura che è importante per capire e interpretare il problema.
  I corsi di alta formazione che vengono fatti di concerto con l'università, a mio avviso, sono molto importanti. Possono accedervi i vari specialisti e colleghi che si occupano della tematica, quindi non solo il medico, il ginecologo, l'oncologo, ma anche l'ostetrica, l'infermiere, lo psicologo o chi si occupa di questa materia perché deve essere preparato. È un argomento delicato e importante, come abbiamo sentito.
  Per rispondere alle domande dell'onorevole Ciocchetti, che ringrazio per queste osservazioni e domande sulla tema dell'informazione, effettivamente, nei centri di oncologia o ginecologia oncologica non ci sono delle figure che formalmente informano i pazienti circa le possibilità, ma ci dovrebbe essere una sorta di triage, per cui le donne che presentano caratteristiche anagrafiche e patologiche compatibili coi trattamenti vengano informate. Questo dovrebbe essere presente in tutti quegli istituti che si occupano di oncologia.
  Riagganciandomi brevemente a quanto diceva il professor Rago, che è fondamentale, non dimentichiamo quelle patologie benigne, ad esempio l'endometriosi, riconosciute a livello sociale, che vedono un numero altissimo di donne che dovrebbero accedere agli stessi centri. Tali centri, infatti, potrebbero accogliere pazienti di patologie sia benigne che maligne.Pag. 21
  Sempre per rispondere all'onorevole Ciocchetti, lui ha potuto toccare con mano nel Lazio la rete, che è ben sviluppata. Ovviamente, qui c'è il PDTA, in altre regioni al nord Italia, in Lombardia ed Emilia, esistono proprio i centri di oncofertilità. Dove è tutto insieme ovviamente è più semplice, altrimenti ben venga il PDTA. Esiste una eterogeneità di organizzazione di PDTA a livello regionale, in alcuni casi non vi sono addirittura. Questo lavoro di valutazione a livello nazionale, di quali siano i PDTA nelle varie regioni e di quanto siano applicati, io ritengo che sia fondamentale per offrire alle pazienti di qualunque regione un servizio quanto più possibile omogeneo.
  Grazie.

  ENRICO VIZZA, direttore U.O.C. Ginecologia oncologica – IRCCS Istituto nazionale tumori Regina Elena. Grazie. Sono state molto interessanti le risposte dei colleghi, però volevo sottolineare e chiarire alla Commissione due aspetti.
  Innanzitutto, se l'oncofertilità è un tutt'uno, alla Commissione deve essere chiaro che gli strumenti che attualmente abbiamo, da un punto di vista tecnico, sono gli ovociti e il tessuto ovarico. Questo lo dico perché la Banca del tessuto costituisce un trapianto vero e proprio, non un trapianto di singola cellula, quindi è regolata da una legislazione molto complessa e stringente. Dovete sapere, quindi, che organizzare l'oncofertilità significa avere i centri PMA dedicati – come quello ad altissimo livello del professor Rago – sugli ovociti, ma bisognerà prevedere anche delle banche, che comportano un ulteriore investimento economico e scientifico del personale coinvolto. Ora, riguardo alla distribuzione di queste risorse nel territorio, se i centri PMA che effettuano conservazione degli ovociti a fine di preservazione della fertilità potranno essere più capillari, la stessa gestione per quanto riguarda le banche non potrà essere altrettanto capillare, in ogni città o in ogni regione. Pag. 22Quel rapporto, uno ogni 5 milioni, ha una ragione maggiore per le banche in termini di complessità di esercizio, espianto e trapianto dell'ovaio, congelamento, ossia un iter molto complesso. Mi dilungherò su questo aspetto nel documento che depositerò. Parlando di oncofertilità, l'intervento del legislatore e di chi deve organizzare le reti deve tener conto di questi aspetti tecnici.
  In secondo luogo, il coinvolgimento della popolazione è fondamentale. Noi possiamo agire con la divulgazione e la formazione del personale, e gli strumenti sono diversi: a livello di formazione universitaria, ne ha parlato molto chiaramente il dottor Angioli; a livello di formazione di personale nelle regioni, bisogna collaborare con le istituzioni per formare noi stessi questo personale all'accoglienza, alla comunicazione e a gestire sia il percorso oncologico rapidamente che, parallelamente e in contemporanea, l'oncofertilità.
  Io lavoro all'Istituto nazionale tumori di Roma. Noi abbiamo investito molto sul sito internet, su tanti aspetti, ma soprattutto sull'oncofertilità, creando proprio uno sportello per il paziente in cui non solo viene spiegato tutto, non solo quello che facciamo dentro l'Istituto, vengono creati i link e viene informato il paziente, e non perché glielo dice il medico che effettua la prima diagnosi tumorale. È lo stesso paziente, attraverso i social – ecco perché noi come Istituto abbiamo voluto marcare questa presenza nei social – a cercare la prima informazione.

  ANNA MARIA MANCUSO, presidente dell'Associazione Salute Donna. Il paziente, nel momento della diagnosi, non pensa a procreare perché, come dicevo, la paura della morte blocca completamente ogni progettazione per il futuro. Per questo è importante che, quando viene fatta una diagnosi, il paziente sia informato e venga accompagnato nelle scelte.Pag. 23
  Quando mi sono ammalata a trentadue anni, non pensavo a fare un secondo figlio, perché avevo paura di morire. Se, però, avessi avuto l'opportunità, ci avrei pensato.
  Nel momento della diagnosi, perciò, il paziente deve essere informato da chi lo prende in cura che c'è questa opportunità, perché il paziente non ci pensa, pensa solo alla sua sopravvivenza. Dopo, quando sta iniziando a camminare, quando magari è troppo tardi, quando c'è la guarigione, ci pensa. È importante l'informazione al momento della diagnosi.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti. Auguro a tutti buon lavoro e buona giornata, e dichiaro conclusa l'audizione odierna.

  La seduta termina alle 14.05.

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