Sulla pubblicità dei lavori:
Cavo Ilaria , Presidente ... 2
Audizione del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, sulle prospettive del settore tessile, moda e accessori
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento)
:
Cavo Ilaria , Presidente ... 2
Urso Adolfo , Ministro delle imprese e del made in Italy ... 2
Cavo Ilaria , Presidente ... 7
Cappelletti Enrico (M5S) ... 7
Urso Adolfo , Ministro delle imprese e del made in Italy ... 8
Cappelletti Enrico (M5S) ... 8
Bonafè Simona (PD-IDP) ... 8
Cavo Ilaria , Presidente ... 10
Squeri Luca (FI-PPE) ... 10
Ghirra Francesca (AVS) ... 10
Pietrella Fabio (FDI) ... 10
Cavo Ilaria , Presidente ... 11
Ferrara Antonio (M5S) ... 11
Cavo Ilaria , Presidente ... 12
Urso Adolfo , Ministro delle imprese e del made in Italy ... 12
Cavo Ilaria , Presidente ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE - Centro Popolare: NM(N-C-U-I)M-CP;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ILARIA CAVO
La seduta comincia alle 13.45.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, sulle prospettive del settore tessile, moda e accessori.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, sulle prospettive del settore tessile, moda e accessori.
Ringrazio il Ministro per aver risposto all'invito della Commissione.
Prima di cedere la parola al Ministro, ricordo che l'audizione avrà la durata di circa un'ora. Al fine di organizzare al meglio i nostri lavori, chiedo ai colleghi che intendano intervenire di comunicare le loro richieste alla Presidenza.
Do la parola al Ministro per lo svolgimento della sua relazione.
ADOLFO URSO, Ministro delle imprese e del made in Italy. Ringrazio il presidente della Commissione attività produttive e voi tutti per questo invito per illustrare la situazione in un comparto direi fondamentale del nostro made in Italy, il comparto della moda.
Il settore tessile, moda e accessori costituisce, infatti, uno dei pilastri essenziali dell'economia italiana, una delle voci più significative del nostro export, un biglietto da visita dello stile, della cultura, della produzione, dell'impresa dell'Italia, una vera eccellenza per il nostro Paese.
È un settore caratterizzato peraltro da quello che è peculiare nel nostro sistema produttivo, cioè da una consolidata tradizione di artigianato e nel contempo di identità e innovazione.
Negli ultimi anni il comparto ha rafforzato la sua posizione di rilievo a livello globale grazie alla capacità di unire design, qualità e produzione di alta fascia.
Oggi il made in Italy della moda rappresenta un elemento distintivo del Paese, con un tessuto manufatturiero riconosciuto e apprezzato, al quale si rivolgono estimatori in tutto il mondo.
Per comprendere l'importanza di questo comparto del nostro sistema economico mi limito a citare pochi dati che i commissari, peraltro, già conoscono: 40.000 aziende, di cui l'83,3 per cento di piccole dimensioni, che offrono lavoro a ben oltre a 300 mila persone; il fatturato complessivo ammonta a 60,7 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa 17 miliardi, valore che colloca l'Italia in cima alla graduatoria europea; siamo il primo mercato dell'Unione europea sia per il numero di imprese attive, un quinto del totale, sia per il numero di occupati; un addetto su quattro nell'Unione europea lavora in Italia.
Inoltre, produciamo il 38 per cento del fatturato totale dell'Unione europea e il 36 per cento del valore aggiunto comunitario.
Nel 2023 il settore del tessile e dell'abbigliamento ha registrato avanzi commerciali con un surplus che ha raggiunto i 12,5 miliardi di euro. Nell'anno passato, nel Pag. 32024, le esportazioni hanno superato per la prima volta i 38,5 miliardi di euro.
Il 2024, però, è un anno complesso per la moda italiana e non solo. La nostra moda, la moda italiana è tornata sotto i 100 miliardi di euro di fatturato, in calo del 5,3 per cento.
Prima di affrontare queste tematiche, di come si è verificata questa situazione contingente di crisi, ricordo a me stesso quando nel 2001 si decise per l'accesso della Cina nel World Trade Organization (WTO) – io ero capo delegazione del Governo nel novembre 2001 – a Doha, nel Qatar. Quando decidemmo quell'atto così importante e significativo in molti tra i Paesi europei e tra i Ministri europei mi dissero: «con l'ingresso della Cina finisce o comunque sarà più complicata, più difficile la competizione nei settori del tessile, dell'abbigliamento e delle calzature».
Da lì a poco sarebbe scaduto l'accordo multifibre, cosa che avvenne nel 2004, se ricordo bene. L'accordo multifibre regolava le quote di mercato. I nostri imprenditori e noi stessi non ci rassegnammo all'idea che un settore così importante, che contraddistingueva già allora il nostro saper fare l'abbigliamento e inserirsi nella moda, e il nostro modello culturale e produttivo, fosse destinato alla scomparsa, e ci attivammo.
Mi ricordo di aver proposto a Pascal Lamy, all'epoca Commissario europeo per il commercio, prima della scadenza dell'accordo multifibre, un patto. Gli dissi: «D'accordo, scade l'accordo multifibre, non è possibile prorogarlo, però noi chiediamo un monitoraggio preventivo alle frontiere nel settore delle calzature», che era quello più minacciato allora, per capire, in tempo reale, se, come noi immaginavamo, potesse verificarsi un fenomeno che nell'ambito del WTO è definito come invasione anomala.
Avendo chiesto a Pascal Lamy in tempo il monitoraggio delle frontiere, già nei primi tre o quattro mesi dell'anno avevamo il monitoraggio delle frontiere con l'invasione anomala che era in atto dei prodotti vietnamiti e dei prodotti cinesi.
In quel caso, le regole del WTO – noi chiedemmo che l'Europa si attivasse subito – prevedevano delle misure daziarie suppletive per contrastare un fenomeno che è considerato in violazione delle regole del WTO, appunto l'invasione anomala di prodotti, una crescita improvvisa, perché avevamo percezione che nei grandi depositi delle calzature vietnamite e cinesi si stavano accumulando prodotti in vista dell'apertura dei mercati per poi invadere il nostro mercato.
Grazie a quella visione, previsione e azione riuscimmo a imporre le misure daziarie compensative, che riuscirono a proteggere per tre o per quattro anni le calzature italiane, le cui aziende del settore ebbero così il tempo di collocarsi, in una ristrutturazione che era in ritardo, su una più alta gamma di prodotti.
Poi tornammo al Governo nel 2008, proprio quando ormai si stava procedendo, su richiesta della Germania, al non rinnovo di quella misura compensativa daziaria. Giunsi al Governo e in pochi giorni riuscii a far cambiare opinione ad alcuni Paesi che si erano già espressi contro il rinnovo di quelle misure daziarie. Ottenemmo la maggioranza in Europa per un soffio, fu decisivo un piccolo Paese nostro amico, e per altri quattro anni ci furono le misure daziarie.
Questa fase di misura protettiva, legittimata dal WTO, ci consentì di realizzare una trasformazione industriale del settore, soprattutto nelle calzature, ma anche nel tessile, portandoli su un livello tale di produzione di alta gamma, e remunerativo, che oggi anche chi acquista imprese del settore in Italia, o anche chi ha marchi stranieri, produce, di fatto, in Italia.
L'Italia, con i numeri che vi ho dato, in contraddizione con le previsioni di quegli anni ovunque nel mondo, ha mantenuto una sua industria manufatturiera, fatta anche talvolta di saper fare artigianale, che lavora per l'Italia, ma anche per imprese e marchi celebri all'estero. Di qui questa importanza di un settore che noi vogliamo preservare nella consapevolezza delle difficoltà di oggi che derivano dalle note vicende internazionali delle tensioni geopolitiche, con i conseguenti e noti aumenti dei costi delle materie prime e dell'energia, ma Pag. 4anche del fatto che cambia un po' la percezione del consumatore globale.
Da una parte sono fenomeni che speriamo siano superati, la tensione internazionale, l'aumento del costo dell'energia, la guerra intorno all'Europa, le tensioni che riguardano anche altri contesti generali, ma nel contempo speriamo diano un cambio di costume e di consumo.
Si è dimostrato che nel 2024 il mercato globale del lusso, che è il nostro mercato, dove noi giustamente dirigemmo vent'anni fa l'impresa italiana a collocarsi, ha perso circa 50 milioni di consumatori. La Cina, che per anni ha trainato il lusso made in Italy, registra un rallentamento particolarmente significativo legato alla crisi dell'immobiliare, alla spinta verso il nazionalismo economico, al protezionismo, certamente anche al contrasto ai simboli del lusso, che voi sapete è una delle attività che da qualche anno contraddistinguono le istituzioni cinesi: il lusso non è più un emblema del successo, ma semmai un campanello d'allarme di fenomeni di altra natura, corruttivi per esempio. Questo ha portato a una crisi del lusso in Cina e a una riduzione del mercato del lusso a livello globale particolarmente significativa.
Nel contempo c'è un altro fenomeno comunque globale, di cui noi dobbiamo tener conto. Anzi, se vogliamo, è un fenomeno che proprio l'Unione europea in quanto tale ha voluto invogliare, quello del consumatore che è sempre più attento all'impatto ambientale e quindi richiede, giustamente, prodotti durevoli, riciclabili, per ridurre gli sprechi.
Noi siamo ovviamente convinti di questa posizione. Lo dico perché ci deve far capire quale può essere poi la conseguenza sul sistema produttivo, che noi dobbiamo gestire, governare e non contrastare.
Questa è una evidenza confermata dalla strategia italiana ed europea per prodotti tessili sostenibili e circolari, con requisiti di sostenibilità e responsabilità estesa del produttore per far fronte agli oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti generati ogni anno sul continente, ed è giusto che avvenga.
Quello della sostenibilità è solo uno dei dossier europei a elevato impatto per il settore e che noi stiamo presidiando per cercare di coniugare il percorso verso una maggiore sostenibilità, in questo caso ovviamente anche con la riduzione di sprechi e del consumo in quanto tale, con la sostenibilità sociale e produttiva del nostro Paese, del nostro continente.
Bisogna coniugare le due esigenze. Per questo la cornice europea è fondamentale per creare un contesto favorevole all'impresa dopo anni in cui gli interessi industriali sono stati sacrificati anteponendo spesso obiettivi ambientali giusti, ma talvolta scollegati dalle esigenze socio economiche.
Voi sapete delle direttive europee sulla deforestazione. È emblematico di una visione scollegata dalla realtà o addirittura controproducente per la realtà o controproducente per gli obiettivi che si vogliono raggiungere, ma questo vale anche per altre questioni.
Noi siamo impegnati a presidiare in sede europea i molti dossier per i quali occorre un approccio più pragmatico, comunque senza paraocchi, che spesso danneggia il lavoro di tante imprese, senza per questo avere un effetto poi concreto o significativo sulla sostenibilità.
Mi riferisco, nello specifico, al regolamento sull'etichettatura dei prodotti tessili o all'adozione del regolamento Ecodesign che abbiamo già modificato nel corso della realizzazione.
Mi riferisco anche ad altri dossier europei particolarmente significativi per i nostri processi industriali: con la proposta del Governo olandese e nostra siamo coprotagonisti sulla semplificazione e sburocratizzazione, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese, dei processi industriali europei.
L'aspetto europeo è sicuramente importante e significativo e su quello siamo impegnati in prima linea. In tutti i dossier siamo sostanzialmente in prima linea, con un Governo piuttosto che con l'altro. L'Italia oggi è la protagonista indiscussa del processo riformatore in Europa. Però, occorrono risposte anche a livello nazionale che devono tener conto anche del contesto europeo.Pag. 5
Per questo abbiamo istituito sin dall'inizio della legislatura il tavolo sulla moda, il 23 gennaio 2023, riunitosi in forma plenaria l'ultima volta, la quarta, lo scorso 24 gennaio.
Tra un tavolo e l'altro, ovviamente, si sono riuniti più volte i gruppi di lavoro tecnici. Solo nell'ultimo anno vi sono state dodici riunioni dei gruppi di lavoro tecnici per affrontare in modo operativo le istanze presentate dalle associazioni e inserirle in un quadro più vasto di azione di politica industriale.
L'ultimo incontro tecnico si è svolto proprio lunedì scorso, con Cassa depositi e prestiti, dopo il tavolo che abbiamo fatto, perché nel tavolo Cassa depositi e prestiti, su nostra indicazione, ha indicato una linea operativa, che ora stiamo cercando di rendere praticabile, per raggiungere l'obiettivo di definire degli strumenti concreti per il consolidamento delle piccole e medie imprese nella fornitura della filiera. Stiamo predisponendo un intervento, una misura specifica di Cassa depositi e prestiti che possa incentivare, supportare, consolidare l'azione tesa a consolidare le piccole e medie imprese della filiera, imprese che sono sicuramente caratterizzate da elevate competenze, anche di natura artigianale, ma non sempre adeguatamente strutturate sotto il profilo economico-patrimoniale.
Siamo tutti consapevoli, lo sono soprattutto i marchi che producono nel nostro Paese, che se dovesse mancare questa filiera o dovesse interrompersi questa filiera ci sarebbero conseguenze molto significative sul prodotto finale, cosa che ne pregiudicherebbe l'affermazione a livello globale. Su questo siamo al lavoro. Penso che nelle prossime settimane presenteremo – alla settimana della moda – questa nuova strumentazione per favorire il consolidamento della filiera, l'aggregazione tra le imprese.
Questo si coniuga anche con la prima legge annuale sulle piccole e medie imprese, che abbiamo approvato in Consiglio dei ministri e che ora inizierà l'iter parlamentare. Come sapete, nel dispositivo dello Statuto delle imprese del 2011 era previsto che i Governi avrebbero dovuto realizzare ogni anno una legge per facilitare l'attività delle piccole e medie imprese. Nessun Governo successivo al 2011 ha ritenuto di applicare questa legge. Noi lo abbiamo fatto e dal Consiglio dei ministri è stata approvato un disegno di legge. In questa legge che sarà sottoposta al percorso parlamentare e quindi integrata con possibili miglioramenti in sede parlamentare, tra le altre vi sono misure attinenti per il sistema della moda e per le piccole e medie imprese: una misura consente un incentivo all'aggregazione, quindi al consolidamento; un'altra misura consente il passaggio generazionale delle competenze tra il pensionato o, meglio, il lavoratore in procinto di essere pensionato e il neoassunto al di sotto dei 35 anni, con un contratto stabile, in modo che sia possibile il passaggio di competenze attraverso la formazione del lavoratore anziano in procinto di pensionamento con il giovane assunto. Questo per tutte le imprese sotto i cinquanta addetti.
Passaggio generazionale delle competenze e consolidamento sono due asset della prima legge annuale sulle piccole e medie imprese, insieme ad altri interventi. Quello che vi ho prima descritto, cioè la strumentazione di Cassa depositi e prestiti, si aggiunge a quanto già previsto nel disegno di legge sulle piccole e medie imprese.
Il tavolo. Al tavolo abbiamo fornito una prima soluzione al problema di liquidità finanziaria generalizzata grazie alla collaborazione con l'Associazione bancaria italiana, Mediocredito centrale e SACE, un risultato molto atteso dalle imprese che consente di rinegoziare i prestiti garantiti da SACE e Mediocredito centrale. Ovviamente le banche sono società private, però l'accordo fatto attraverso l'Associazione bancaria italiana con il protocollo che si è impegnata a osservare con le sue associate e con la partecipazione di Mediocredito centrale e SACE ha garantito un percorso di rinegoziazione dei prestiti garantiti da SACE e Mediocredito Centrale.
Con la medesima finalità si è giunti all'approvazione di un vademecum per consentire alle imprese in temporanea difficoltà la possibilità di accedere a una sospensione, fino a un periodo massimo di Pag. 6dodici mesi, dei pagamenti dei finanziamenti ricevuti dalla SIMEST.
Inoltre, per poter far fronte alla crisi occupazionale, il Governo lo scorso 21 ottobre ha approvato uno specifico provvedimento per il settore: otto settimane di cassa integrazione in deroga per i lavoratori di imprese con un numero di addetti pari o inferiore a quindici. Abbiamo potuto rilevare al tavolo che il ricorso delle aziende della moda allo strumento della cassa integrazione straordinaria nell'ultimo anno è stato, però, limitato, molto basso, perché per certe piccole imprese, che sono già in crisi, è difficile anticipare i pagamenti come previsto nello strumento della cassa integrazione, ed è comprensibile il perché.
Proprio per questo, insieme al Ministero del lavoro, che nel frattempo ha realizzato un confronto con le associazioni sindacali per questo aspetto importante e significativo di un tassello comprensivo, è stato avviato un confronto per rendere questo strumento davvero efficace e pienamente utilizzato.
Il nostro impegno sul settore si può anche evidenziare da un caso emblematico: quello di La Perla. La Perla, come sapete, è un'azienda tipica del made in Italy, che era finita in una situazione particolare, unica, con quattro diverse amministrazioni straordinarie: un'amministrazione straordinaria inglese, che aveva la detenzione del marchio, due amministrazioni straordinarie giudiziali e la nostra amministrazione straordinaria. Comporre questo mosaico è stata un'impresa davvero titanica. I nostri commissari, bravissimi, ci sono riusciti. Hanno composto il quadro e sono riusciti a mettere insieme in un unico bando – era questa la grande sfida; è un caso unico; penso che possa diventare un esempio, un modello di questo tipo mai accaduto prima – il marchio posseduto dall'amministrazione straordinaria, che risponde a una legislazione extraeuropea, quella inglese, con le amministrazioni giudiziali e con la stessa amministrazione straordinaria che risponde a una legislazione italiana, quindi europea. Ci sono riusciti. Pochi speravano che ci riuscissero. Hanno fatto una gara e ci sono state sedici manifestazioni di interesse. La nostra intuizione era giusta. Se si fossero messi a gara separatamente, stabilimento in Italia e marchio in Gran Bretagna, nessuno avrebbe partecipato. Siamo riusciti a mettere insieme le due cose.
Dal punto vista giuridico (a dire di chi se ne intende: io non me ne intendo) è stata davvero un'impresa titanica. Questo ha permesso di fare una gara con sedici manifestazioni di interesse tra grandi player nazionali e internazionali. Hanno chiesto una proroga per meglio esaminare e consentire un rilancio, essendo, ripeto, sedici le manifestazioni di interesse.
Apro una parentesi, e lo ritroverete quando parleremo di amministrazione straordinaria: a differenza di quelle di qualche predecessore, le nostre gare prevedono espressamente il rilancio competitivo, non lo vietano né lo impediscono. Prevedono espressamente il rilancio competitivo perché è il modo migliore per raggiungere il risultato più alto. Questo ci dimostra quanto il made in Italy possa essere appetibile e sostenibile. Questo lo si deve soprattutto alle lavoratrici di La Perla, che hanno lottato per tutelare il loro lavoro, la loro competenza e, in questo modo, anche un simbolo del made in Italy, quale è sicuramente La Perla.
Al tavolo abbiamo detto cosa abbiamo messo in campo. In un anno difficile per il nostro bilancio abbiamo messo in campo 250 milioni di euro per le imprese del settore: 100 milioni per i contratti di sviluppo, come sapete, superiori a 20 milioni di euro, quindi per le imprese di una certa dimensione; 100 milioni per il nuovo strumento dei mini-contratti di sviluppo, che abbiamo ideato appositamente per questa filiera, ma riguarda anche altre. Parliamo delle quote riservate al tessile. Gli strumenti, che vi illustrerò successivamente in modo veloce, sono ben superiori. Cento milioni, dicevo, per il nuovo strumento dei mini-contratti di sviluppo, dai 3 ai 20 milioni, una strumentazione che mancava nella nostra attività. Per quanto riguarda il settore della moda sono 100 milioni di euro, dai 3 ai 20 milioni. Abbiamo poi messo in campo 15 milioni per favorire la transizione ecologica e digitale, il cui bando si è Pag. 7chiuso a fine gennaio con 290 imprese che hanno richiesto agevolazioni; 30,5 milioni di euro per la sostenibilità del settore moda. Come vedete, stiamo accompagnando e sostenendo – già nella legge quadro sul made in Italy erano previste queste misure – la ricerca di nuovi materiali e in generale la transizione ecologica e digitale, la sostenibilità ambientale.
In totale, queste misure ammontano a 250 milioni di euro, o poco più.
Altri 250 milioni di euro li abbiamo messi in campo con la legge di bilancio per quanto riguarda un lascito pesante del passato, al quale dobbiamo in qualche misura sopperire, almeno per alleviare l'impatto sul sistema delle imprese, che riguarda il credito d'imposta per ricerca e sviluppo, un problema ingenerato da una normativa del passato, a cui non si è fatto fronte, quando è emersa la questione nella scorsa legislatura. Al di là di chi l'ha generato, al di là di come si è verificato, al di là delle inadempienze preesistenti, abbiamo lavorato per cercare di evitare un impatto innanzitutto penale sulle imprese e, per quanto possibile, anche finanziario, con il bilancio dello Stato, ovviamente.
Che cosa abbiamo fatto? Già in legge di bilancio è previsto un fondo di 250 milioni di euro per far fronte al problema, per far parzialmente fronte al problema, per dare comunque un sostegno alle imprese. Nel decreto proroga termini puntiamo a rendere più efficace questo strumento, con un emendamento, attraverso la riapertura dei termini di adesione alla procedura di riversamento spontaneo, che si è chiusa e non riapriremo, proprio per le aziende del settore della moda che ci risulta non abbiano partecipato alla precedente misura.
Modificheremo, nel contempo, lo strumento agevolativo prevedendo uno sconto del credito da riversare, anziché un contributo, per renderlo più comprensibile e, di fatto, anche più utilizzabile. L'emendamento, quindi, prevederà la riapertura dei termini di adesione alla procedura di riversamento spontaneo e, nel contempo, lo sconto del credito da riversare, anziché un contributo.
Il credito di ricerca e sviluppo ha aperto una falla nel bilancio pubblico in larga parte riconducibile alla misura mal definita all'origine, che ha creato incertezza e minato il rapporto di fiducia tra impresa e Stato, che noi dobbiamo assolutamente ricostruire, rinsaldare. Lo affrontiamo, come sempre, con il buonsenso.
Queste sono le misure particolari che riguardano il settore moda.
Nel complesso, ricordo a questa Commissione che nel 2025 – nel complesso, quindi utilizzabili anche dal settore moda – sono destinate alle imprese risorse pari a oltre 22 miliardi di euro, circa 9 miliardi per le misure fiscali – il piano Transizione 5.0 e 4.0 e IRES premiale –; 2,2 miliardi per il credito d'imposta alla ZES unica, quindi per il Mezzogiorno, cumulabile con Transizione 5.0 (per le imprese del Mezzogiorno); oltre 7,5 miliardi tra contratti e mini-contratti di sviluppo, quelli che riguardano nello specifico il settore moda, ma chiunque può attivare gli altri, anche aziende del settore moda; 1,7 miliardi per la Nuova Sabatini.
In sostanza, nel 2025, anno molto sfidante per la politica industriale del nostro Paese, sia per il processo di riforma che abbiamo impresso alla nostra Europa, di cui avremo maggiormente contezza nel mese di marzo, sia per interventi in sede nazionale, 22 miliardi di euro sono risorse significative. Lavoreremo al meglio affinché le imprese le utilizzino pienamente nel corso dell'anno, ai fini dei loro investimenti, della loro riconversione industriale, della loro sostenibilità. Il nostro pensiero, il nostro lavoro è sempre diretto all'impresa, quindi alla tutela del lavoro italiano.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per questo ampio resoconto, questa spiegazione che ci ha fornito.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ENRICO CAPPELLETTI. Grazie, presidente.
Signor Ministro, lei ha esordito elencando i surplus commerciali, l'export in Pag. 8crescita di questo settore. È proprio di oggi il dato dell'Istat del crollo del 18,3 per cento del settore del tessile in Italia relativo allo scorso mese di dicembre, confrontato con lo stesso periodo dell'anno precedente, e di un crollo dell'11,3 per cento del 2024.
È il secondo crollo più importante e più rilevante dopo quello dell'automotive nel nostro Paese, che non dovrebbe neanche sorprendere considerato il fatto che abbiamo negli ultimi ventitré mesi avuto un calo continuo della produzione industriale nel nostro Paese.
Se non sbaglio, sui venticinque mesi del Governo in carica, si sono registrati ventiquattro mesi di calo delle attività produttive, della manifattura nel nostro Paese.
ADOLFO URSO, Ministro delle imprese e del made in Italy. Dell'industria...
ENRICO CAPPELLETTI. Dell'industria, di cui ventitré mesi consecutivi, ma sarebbero anche di più.
Si dà la colpa a tutto. La sento spesso dire che è colpa del regolamento europeo sulla deforestazione. Le do una informazione, signor Ministro: non è ancora entrato in vigore. È stato prorogato di un anno.
Non è entrato in vigore, quindi non può essere colpa del regolamento.
Sono d'accordo con lei quando dice che i consumatori sono sempre più sensibili agli impatti ambientali. Bene, andiamo a vedere questi, allora, e dove si può cercare di sostenere questo settore che, come abbiamo visto, è in crisi, è in difficoltà.
Chiaramente bisogna incentivare gli investimenti in ricerca e in innovazione, le nuove tecnologie, l'intelligenza artificiale, la digitalizzazione, l'ecosostenibilità. Servono, però, maggiori risorse e soprattutto una maggiore convinzione.
Ad esempio, sull'ecosostenibilità del tessile, dov'è questo sostegno da parte del Governo rispetto a questa possibilità? Perché non vengono premiate le imprese che investono su riciclo e innovazione? In Italia siamo leader nel riciclo del tessile: cosa sta facendo il Governo per avere delle etichette trasparenti, il cosiddetto «passaporto digitale del tessile», per permettere al consumatore di capire esattamente da dove proviene il prodotto, quel è il suo ciclo di vita e qual è l'incidenza ambientale?
Parliamo di ecosostenibilità. Ha parlato di filati ecosostenibili. A me viene in mente, ad esempio, la canapa. Che cosa ha fatto il Governo per sostenere una filiera che parta dalla coltivazione della materia prima, quindi anche dalla risorsa agricola, fino alle aziende che utilizzano questa fibra per realizzare dei prodotti? Il Governo ha fatto esattamente il contrario, con un divieto di coltivazione della canapa, creando le premesse per un danno al settore del tessile italiano e non un aiuto.
Arrivo alla domanda e concludo. Il tavolo che lei ha citato pensa possa diventare permanente per garantire maggiore possibilità di incidere anche con il mutamento delle situazioni economiche nazionali e internazionali?
Chiedo se è nella prospettiva del Governo la proposta, che facciamo nostra come Movimento 5 Stelle, di una tassa, invece, sulle aziende del cosiddetto «fast fashion», ovvero quel prodotto che, di fatto, ha un'incidenza in termini di costi ambientali e di smaltimento molto elevati, che non sono contenuti nel costo d'acquisto del prodotto e che in qualche maniera dovrebbe essere disincentivato, proprio per sostenere il made in Italy che dovrebbe andare in direzione opposta o contraria rispetto a questa politica del fast fashion.
SIMONA BONAFÈ. Buongiorno Ministro. Io l'ho ascoltata con molta attenzione. Condivido con lei l'analisi sull'importanza del settore moda per l'intero made in Italy, perché oggettivamente è un settore che è la punta di diamante del nostro made in Italy ed è un settore che vanta anche numeri molto positivi sull'export. Sono anche d'accordo con lei sulle cause che hanno generato questa crisi del settore.
È verissimo che i conflitti internazionali hanno inciso pesantemente così come è vero che ha inciso il costo dell'energia. Su questo mi permetta una piccola chiosa. Magari si potrebbe andare incontro alle aziende cercando di intervenire sui costi dell'energia che nel nostro Paese restano i Pag. 9più alti in assoluto e che incidono sulla competitività delle nostre imprese sane, figuriamoci sulle imprese che, come nel settore moda, in questo momento sono in affanno.
Sono anche d'accordo con lei sul fatto che è cambiato il mercato. Mi piacerebbe, però, che si riconoscesse che c'è una necessità da parte del consumatore di avere i prodotti ad impatto ambientale più sostenibile e quindi più riciclabili. Mi piacerebbe che il Governo evidenziasse questo tema anche per altri prodotti, e non solo nel caso della moda, perché, se vale per la moda, è un mercato che richiede prodotti sostenibili anche su altri fronti. Invece, è riconosciuto per la moda e sono d'accordo con lei che c'è anche questo tema, ma su altri settori mi pare che invece il Governo non riconosca che ci sia questa esigenza da parte del consumatore.
Fino a qui la pars construens, nel senso che sono d'accordo con lei. Arrivo all'altra parte dell'analisi. Ministro, io penso, e lo dico davvero con molta sincerità, essendo un settore che seguo da tempo, che il Governo si sia mosso molto tardi su questa crisi e che il grido d'allarme che proveniva dalle imprese e dai sindacati sia arrivato al Governo ben prima che il Governo ci abbia messo le mani.
Ora giustamente lei dice che è stato istituito un tavolo: anche quello posso dire che è stato istituito tardi. Sul tavolo, Ministro, lei ha parlato di un protocollo che è stato siglato tra le imprese e l'ABI. Magari sarebbe interessante fornire al Parlamento anche qualche documento, qualche atto, se è possibile, di quello che viene deciso in questo tavolo. So che non va più di moda, ma noi saremmo referenti politici istituzionali importanti. Però, io penso che il problema non si risolva con le banche, Ministro. Penso che senza un appoggio legislativo le banche non possono che riclassificare le imprese in base al loro rating e quindi peggiorare la loro affidabilità nei confronti del sistema bancario.
Su questo le rivolgo una prima domanda: vi siete mossi anche in questa direzione? Va bene il problema della liquidità, che le impresse stanno avanzando da tempo, va bene la necessità di rinegoziare i debiti, però c'è questo punto che è più politico e legislativo sul quale mi piacerebbe sapere come il Governo si sta muovendo.
Aggiungo un'altra cosa. Ministro, glielo dico, non bastano gli annunci. Lei ha parlato del disegno di legge sulla piccola e media impresa. Non basta fare una conferenza stampa, bisogna poi anche approvarlo questo disegno di legge. Le ricordo che l'avete licenziato dal Consiglio dei ministri il 14 gennaio e ancora in Parlamento non si è visto.
Siccome questa è un'urgenza, magari si può intervenire. So cosa mi risponderà: che dal 2011 non è stato fatto niente. Vi riconosciamo il merito di averlo fatto, però, siccome è un'urgenza quella che stiamo affrontando, mi chiedo e le chiedo quando arriverà in Parlamento, perché mi pare che ancora non sia definito.
Arrivo alle ultime due domande. Parto da quella sulla cassa integrazione. Lei giustamente ha detto che è un sistema che si basa sulla piccola e media impresa, a supporto dei grandi marchi. Se viene meno la piccola e media impresa, casca tutto il sistema. La piccola e media impresa è in crisi. È vero che avete messo a disposizione delle risorse per la cassa integrazione. Lei non c'era, io sì, in Commissione Lavoro e non le dico la fatica che è stata fatta per allungare la cassa integrazione di una settimana, ma non è sufficiente. A fine gennaio è scaduta. Se non creiamo le condizioni per far avere alle piccole e medie imprese la cassa integrazione in deroga per tutto il 2025 – so che non riguarda il suo Ministero – capisce bene che poi l'impatto è anche sul suo Ministero, perché queste aziende oggi non ce la fanno.
Quindi, senza cassa integrazione per tutto il 2025, magari troviamo il modo di recuperare la crisi, ma rischiamo di non avere più le imprese che lavorano. Su questo le chiederei di metterci un'attenzione ancorché non sia nelle sue competenze.
Arrivo all'ultimo punto. Serve un progetto industriale. Lei ha parlato di aggregazione delle piccole e medie imprese, ha parlato di rilancio dei marchi, tante belle Pag. 10cose, però, anche su questo, Ministro, ci piacerebbe avere, visto che di decreti ne fate tanti, il prima possibile un decreto che metta in campo un'idea di progetto industriale non a spizzichi e bocconi ma ben definito, in maniera tale che anche questo settore che oggi è in crisi sappia dove il Governo vuol portare un settore strategico per il made in Italy.
PRESIDENTE. Non abbiamo dato dei tempi precisi per gli interventi, però ricordo che li abbiamo con riferimento ai lavori della Commissione. Avverto quindi che per le ore 14.50, massimo per le 15, dobbiamo aver terminato. Abbiamo ancora tre interventi. Chiedo ai colleghi di essere concisi, così diamo tempo al Ministro, alla fine degli interventi, di rispondere a tutti, altrimenti il lavoro della Commissione rimane monco.
LUCA SQUERI. Signor Ministro, apprezziamo la relazione che dà conferma dell'attenzione che il ministero ha rispetto a un settore che oggettivamente è in crisi e che ha bisogno di tutta l'attenzione.
L'auspicio è che quanto detto rispetto agli interventi da fare sia concretamente poi realizzato in maniera strutturale. La mia domanda è più specifica e riguarda la controversia sul credito d'imposta del Governo Renzi del 2015-2019, riferito a ricerca e sviluppo, dove c'è l'annosa controversia se le somme devono essere restituite o meno.
Ogni volta con il decreto Milleproroghe buttiamo la palla in avanti. Chiedo se si può dare un segnale di serenità agli operatori e dunque auspicare che ci sia una risoluzione di questa controversia, ovviamente in positivo, perché altrimenti sarebbe aggiungere qualcosa di negativo a una situazione già critica.
FRANCESCA GHIRRA. Ringrazio il Ministro per la sua relazione e anche per il fatto che, a differenza di altri componenti del Governo, è sempre presente.
Rispetto all'analisi che ha fatto sulla situazione attuale, dove un settore strategico come quello della moda è in crisi, come altri settori della nostra manifattura, ho delle perplessità. Mi dispiace che non si perde occasione per dare randellate alle politiche ambientali dell'Unione europea, politiche a cui abbiamo aderito e che abbiamo sottoscritto per raggiungere dei «Goal».
Penso sia abbastanza grave quanto ha detto rispetto al fatto che le politiche industriali sarebbero state sacrificate alle questioni ambientali. Credo sia una questione di strategia.
Come la collega Bonafè, vorrei capire quali sono le strategie del Governo e quale sia il progetto di politiche industriali che avete in mente, perché non l'ho capito né oggi né in altre circostanze.
Mi pare che, al netto della descrizione del lavoro del tavolo e della legge annuale sulle piccole e medie imprese, si sia concentrato su dei casi specifici, come quello de La Perla, che non ci dà la possibilità di comprendere il quadro più generale.
Lei ha fatto riferimento a incentivi che riguardano anche la transizione abbastanza risibili rispetto alle risorse che, invece, sono state sottratte nella legge finanziaria. E faccio riferimento a dei dati che abbiamo citato anche nella mozione che è stata bocciata proprio ieri, dove i fondi che sono stati sottratti alle piccole e medie imprese ammontano a circa 5 miliardi di euro.
Mi riferisco al programma 11.8, incentivi alle imprese per interventi di sostegno, al programma 11.7, incentivazione del sistema produttivo, a cui sono stati sottratti rispettivamente 2 miliardi e 2,1 miliardi. In quest'ultimo c'è il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese a cui è stato sottratto 1 miliardo di euro.
Vorrei meglio comprendere, se fosse possibile in questa sede o anche successivamente, come intendiate rilanciare un settore che attualmente è in crisi e che è strategico per l'economia del nostro Paese. Grazie.
FABIO PIETRELLA. Grazie, Ministro, per la sua relazione.
La mia sarà una «analisi» di quanto detto, facendo un grande plauso al suo lavoro e ai commissari per quanto riguarda Pag. 11il caso La Perla. Credo non possa passare inosservato quanto fatto finora. Anzi questa Commissione deve dare merito al Ministro di aver diretto in maniera egregia una politica di ricostruzione di un tessuto produttivo, così importante per il made in Italy, che non c'è mai stata.
Il plauso di questa Commissione, che le rivolgo a nome di tutti, verte proprio su quello che ha detto, su un rimodellamento del suo Ministero verso la filiera, verso la piccola e media impresa, che è stata dimenticata per tantissimo tempo e che ora è al centro dell'agenda. Noi, come Fratelli d'Italia, siamo veramente molto contenti. Questo si vede anche in quel nesso che voleva la sostenibilità al centro di un settore così importante, sicuramente molto inquinante, ma dove l'Italia impatta veramente molto poco.
Lei parlava di ciclo di vita dei prodotti. L'Italia è produttore n. 2 al mondo, dopo la Cina, sul settore, ma n. 1 al mondo per prodotti di altissima qualità, dal ciclo di vita altissimo.
Adesso devo chiedermi perché noi, come Italia, dobbiamo porci il problema della sostenibilità, che mette molto spesso i nostri produttori in una condizione non positiva nel mercato. Noi già siamo produttori di prodotti di altissimo livello qualitativo che inquinano molto meno rispetto ai nostri competitor. Semmai la battaglia che vorrei si facesse in questa Commissione da parte dell'opposizione è nelle vertenze che ostacolino la produzione del fast fashion, che non è certamente italiano, che non è certamente voluto dalla nostra Nazione, che mette sovente in difficoltà le nostre imprese sui nostri distretti più importanti.
Molto bene anche il lavoro che si è fatto sul tavolo della moda. Ricordo ai colleghi commissari che non l'ha istituito il Ministro Urso e che non deve rispondere di tutte le questioni il Ministro oggi. Il tavolo della moda è stato istituito più di un decennio fa, probabilmente sempre grazie al Ministro Urso, anzi senza «probabilmente», quando era al commercio estero. Quanti anni fa, Ministro? Vent'anni fa. Fondamentalmente, quindi, sulla domanda se il tavolo diventerà permanente sorrido. È un tavolo che lavora molto bene da un ventennio, dove vengono coinvolte tutte le maggiori associazioni di categoria rilevanti nel nostro settore.
Durante il tavolo del 24 gennaio, dove sono state espresse le cifre (250 milioni di euro per il nostro settore non si erano probabilmente mai visti), c'è stato un plauso trasversale riguardo queste opportunità.
Mi faccia dire, da uomo che difende l'artigianato, che vedo con grande positività il passaggio generazionale. Un tema che viene sia dalla Camera nazionale della moda sia dalle associazioni come Confartigianato, un po' da tutti, è quello di «difendere» il nostro oro, cioè il know-how dell'artigianalità, e di poterlo tramandare in maniera defiscalizzata verso il nostro mondo delle imprese.
Altra questione importante: non si era mai avuta un'attività trasversale di Cassa depositi e prestiti, quindi SIMEST, SACE e ABI. Questo è un buon inizio, che mi dà modo di farle una domanda: questo lo vede come un inizio di politica industriale? Io ne sono convinto. Lo spero veramente. Se questi sono i dati, non possono che portare a un risultato positivo.
Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pietrella.
Nel frattempo è arrivata un'altra richiesta di intervenire da parte dell'onorevole Ferrara. Abbiamo fatto intervenire tutti i gruppi che ne hanno fatto richiesta. Davvero un minuto, onorevole, altrimenti il Ministro non riesce a rispondere. Le chiedo questa cortesia. Grazie.
ANTONIO FERRARA. Signor presidente, sarò telegrafico.
Salto tutti i vari punti per passare direttamente alle domande. Quali sono i piani del Governo per salvaguardare i marchi storici italiani dalle acquisizioni straniere? Perché non c'è un fondo specifico per sostenere la transizione ecologica delle aziende del settore? Uno specifico, non generale. Quali investimenti intende fare il Governo per garantire la formazione delle nuove generazioni nel settore della moda?Pag. 12
Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per le risposte.
ADOLFO URSO, Ministro delle imprese e del made in Italy. Cerco di dare qualche risposta alle osservazioni, alle sollecitazioni e anche alle critiche.
Il tavolo della moda inizialmente fu istituito quando ero al commercio con l'estero, che era parte dell'allora Ministero delle attività produttive, sotto l'aspetto estero. Allora era importante, erano gli anni della globalizzazione. Per questo nacque nel dipartimento del commercio con l'estero. In quegli anni (parlo dei primi anni Duemila) era un aspetto prevalente promuovere all'estero il settore della moda, e non soltanto quello.
Per quanto ci riguarda, il primo tavolo lo abbiamo fatto il 23 gennaio 2023, poche settimane dopo l'insediamento del Governo, quindi con tempestività, conoscendo bene il valore di questo settore per il nostro made in Italy. Infatti, alcuni dei provvedimenti che vi ho illustrato sono contenuti, quindi approvati, nel disegno di legge quadro sul made in Italy, fanno parte integrante di quel provvedimento in cui abbiamo affrontato, nella complessità, la materia del made in Italy. Vi sono alcuni elementi importanti approvati già in quel disegno di legge sul made in Italy, per esempio la lotta alla contraffazione, alla concorrenza sleale, l'istituzione dell'agente sotto copertura per quanto riguarda la grande contraffazione. C'è parecchio materiale che realizzammo e che con i decreti attuativi abbiamo messo in campo lo scorso anno.
Per quanto riguarda la politica generale. Sta per finire la consultazione pubblica – ne ho già parlato nelle Commissioni, anche in questa Commissione – su «Il Made in Italy 2030»: quella è la politica industriale del Paese. La consultazione pubblica sta finendo: trarremo le conseguenze e le indicazioni dei tanti stakeholder, le regioni (con le quali mi sono confrontato), i sindacati, le associazioni di settore, i centri di ricerca del Paese, le istituzioni, le fondazioni e, ovviamente, anche il Parlamento. Presenteremo al Paese, nelle prossime settimane, quando tutto questo sarà compiutamente definito, il «Libro Bianco Made in Italy 2030», che è la politica industriale che intendiamo realizzare nei prossimi cinque anni, con una visione ultradecennale, sia in Italia sia in Europa.
Per questo penso che lo completeremo dopo marzo, quando avremo contezza di dove l'Europa con noi voglia andare. Questo è il momento delle riforme europee, il momento in cui vengono presentate dalla Commissione europea, sia nel Clean Industrial Deal, che dovrebbe consegnarci a marzo, sia nei documenti di settore, sull'automotive, sulla siderurgia, sulla chimica, sulla semplificazione e quant'altro, che comunque dovrebbero essere compilati in quel mese. Parlo del prossimo mese. A quel punto, avremo capito se abbiamo indirizzato e in quale direzione – mi auguro quella giusta – la Commissione, quindi le istituzioni europee, in un processo riformatore che in Europa, poi, comporterà dei tempi di attuazione.
Con questa visione potremo dire quello che vogliamo fare nell'Europa e con l'Europa fino al 2030 e quello che vorremo fare in Italia, in sintonia con quello che riusciremo a strappare in Europa.
In questo documento, tra l'altro, ci poniamo degli obiettivi. Vogliamo rafforzare la nostra posizione di seconda industria manifatturiera europea. Possiamo farlo? Sì, possiamo farlo. Oggi noi siamo la seconda industria manifatturiera. Ovviamente scontiamo il problema dell'industria in Europa, che si evidenzia in maniera più evidente proprio nella prima industria manifatturiera europea, quella in Germania, che, infatti, ha una contrazione sensibilmente maggiore rispetto a quella italiana. Per questo dico che il problema è in Europa e, di conseguenza, nei Paesi industriali europei, a cominciare dalla Germania, e poi nel secondo Paese industriale europeo, che è l'Italia.
La crisi o la contrazione della produzione industriale non è italiana, ma europea, segnata soprattutto nei Paesi come la Germania che – come noi – ha una posizionePag. 13 importante. Noi siamo, oggi, la seconda industria manifatturiera dopo la Germania. La nostra intenzione è quella di rafforzare questa posizione, anche perché la Germania ha difficoltà strutturali molto più significative rispetto a quelle italiane.
Abbiamo intenzione di mantenere la posizione di decimo Paese attore globale nel mondo. Abbiamo intenzione di rafforzare la posizione, che avremmo conseguito lo scorso anno, di quarto Paese esportatore globale. Non è facile, perché dobbiamo rafforzare la posizione rispetto al Giappone, alla Corea del Sud e anche rispetto ad altri attori.
Abbiamo intenzione di aumentare la nostra bilancia commerciale, che è nettamente positiva e in crescita. Su questo sappiamo bene cosa può significare una guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti, che dobbiamo assolutamente evitare, per un dato molto semplice: noi siamo un Paese che ha la bilancia commerciale più positiva rispetto agli Stati Uniti e rispetto agli altri attori europei. La Germania ce l'ha migliore di noi, ovviamente, ma la Germania ha ben altre dimensioni economiche. In proporzione alla nostra economia, per quanto riguarda la nostra posizione, al di là del caso atipico irlandese dovuto ad altri fenomeni digitali e non al sistema produttivo, noi abbiamo molto da perdere da una guerra commerciale. Pensiamo se si verificasse quello che si è verificato con la guerra Boeing-Airbus o con il «carosello», un meccanismo infernale, che io purtroppo conosco bene perché in quegli anni ero al commercio con l'estero. Noi dobbiamo evitare che si vada su quella strada e, nel farlo, dobbiamo garantire la coesione europea.
Quando avremo contezza di quello che accadrà presenteremo un piano compiuto che preveda anche il rafforzamento delle filiere del made in Italy e specifico delle tre «A» (abbigliamento, alimentazione, arredo) e della quarta «A», che su tutte prevale, perché è quella che fornisce le macchine utensili nei tre settori di punta, l'automazione, che poi è la voce principale delle nostre esportazioni. In quel documento cerchiamo di indirizzare i nostri sforzi a sostegno di fenomeni che sono già in atto, ma vanno implementati e sostenuti, affinché a queste quattro «A» se ne aggiungano altre sei, in settori a più alto contenuto tecnologico, per esempio nella space economy, nella blue economy, nella cantieristica, nella nautica, anche nell'industria della difesa.
Questo per dire che c'è un piano industriale che, con il concorso di tutti, stiamo cercando di elaborare e che presenteremo in Parlamento e al Paese nei prossimi mesi, in Italia e in Europa. I regolamenti europei spesso sono stati realizzati secondo un'unica ottica. È come se io mi affacciassi da un'unica finestra: ho una visione della realtà, ma è parziale, come ha detto giustamente il premier Draghi nel suo report sulla competitività. Coniugare quello che ad oggi è stato dissociato: la politica ambientale da quella industriale e sociale. È questa la sfida del Clean Industrial Deal e, in generale, del processo di riforme in Europa: coniugare insieme. Ed è quello che noi abbiamo chiesto nei documenti che abbiamo presentato, insieme ad altri Paesi, ma noi siamo sempre protagonisti, sulla siderurgia, sulla chimica, sulle industrie energivore.
In questo contesto, sappiamo che il problema dell'Europa e del Paese è la produzione energetica. Il problema è dell'Europa perché dobbiamo garantire un'autonomia produttiva energetica alla nostra Europa. Nel 2001 gli americani capirono di essere vulnerabili con l'attacco alle Torri gemelle, perché l'attacco partiva dal mondo del fondamentalismo islamico, dove vi era la produzione di energia del mondo, anche di quella che serviva agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti decisero di diventare autonomi sul piano energetico per sfuggire a questo pericolo, a questa minaccia. Per questo la politica americana si pronunciò in maniera determinante. Mentre allora erano importatori di petrolio da Paesi da cui erano partite le minacce, anche l'attacco alle Torri gemelle, diventarono negli anni esportatori di petrolio e di gas, di energia.
L'Europa oggi deve puntare alla sua autonomia strategica nel campo energetico, che si fa certamente con le rinnovabili, con Pag. 14la produzione di rinnovabili, che noi stiamo implementando. Transizione 5.0 viene dal RepowerEU. Sono risorse destinate all'efficientamento energetico attraverso la tecnologia green delle nostre imprese. Il fatto che questo sia difficile da applicare è un altro discorso, ma la direzione è quella. Non basta. Le rinnovabili non sono una fonte continuativa, quindi dobbiamo a esse associare una fonte continuativa che oggi è il gas (la diversificazione dell'approvvigionamento di gas è altrettanto importante) ma che in prospettiva della piena decarbonizzazione sarà un'altra. Quale sarà? Solo il nucleare.
La scienza attuale consente di prospettare una soluzione di produzione energetica continuativa per l'uso industriale che possa oggi associarsi e poi sostituire pienamente il gas. Dobbiamo pensare a quando il gas non lo utilizzeremo più. Anche quell'aspetto dobbiamo attenzionare. È transizione: diversamente, non sarebbe transizione. Per questa ragione, il Governo ha deciso di creare il contesto anche legislativo per consentire di realizzare nel nostro Paese impianti nucleari di nuova generazione, realizzati su base industriale, di piccole dimensioni, componibili, adattabili e trasportabili persino in un container. Proprio per questo ha creato un attore nazionale che possa far questo. Ma non è soltanto un fatto di costi, è un fatto di autonomia.
Tutta la transizione ambientale e digitale deve garantire, alla fine del percorso, l'autonomia strategica europea. Oggi ne siamo tutti consapevoli, a differenza di dieci anni fa, quando prese corpo la strategia di crescita dell'Unione europea con il Green Deal, perché allora era un altro mondo. Non c'era stata la pandemia, non c'erano le guerre intorno all'Europa. Era un altro mondo. Oggi tutti siamo consapevoli che nel fare politica industriale, sociale e sanitaria bisogna garantire l'autonomia strategica europea. Ma garantire l'autonomia strategica europea significa avere una fonte di energia realizzata in Europa, rinnovabile, dunque: idroelettrico, geotermico, solare, fotovoltaico, eolico e nucleare. Non esistono altre forme di energia che possiamo realizzare in maniera compiuta nella sostenibilità ambientale nel nostro continente.
L'Italia è il Paese del riciclo: e su questo restiamo fermi. Vale nel regolamento europeo per le materie prime critiche, di cui siamo stati convinti assertori, vale per l'industria del tessile, vale per la siderurgia. Lo dicevo ieri ai miei colleghi francesi: noi vogliamo mantenerlo come obiettivo. Questo perché siamo più avanti di tutti. L'industria siderurgica green in Italia è più sviluppata che in altri Paesi europei. Quindi, non abbiamo nessuna intenzione di rallentare il percorso. Vogliamo renderlo sostenibile. La visione del CBAM (carbon border adjustment mechanism) serve proprio a evitare che altri possano aggirare le norme del CBAM e far entrare in crisi la siderurgia europea, che nel contempo è sulle tracce della sostenibilità, nel mercato interno e nel mercato esterno.
Noi stiamo proponendo riforme di politiche industriali in Europa per rendere sostenibile il percorso, altrimenti salterebbe. Per quanto riguarda l'auto salta già quest'anno, se non si pone mano alla follia delle multe. Per dirvela tutta, in Parlamento ho già avuto modo di dichiarare che sono tre le soluzioni che hanno le imprese: ridurre la produzione dell'endotermico per stare con l'asticella sotto la proporzione tra auto elettriche e auto endotermiche vendute, cosa che hanno fatto chiudendo interi stabilimenti; vendere le auto del proprio socio cinese in Italia, quello che ha fatto Stellantis con Leapmotor; comprare i crediti delle altre case automobilistiche che hanno prodotto più elettrico. Rammento che alcune case automobilistiche hanno fatto consorzi per comprare i crediti di Tesla e Volvo. Ma mi chiedo: che senso ha imporre delle multe, mettere delle asticelle così alte e imponenti, per imporre il percorso green, poi questo non si realizza perché il mercato non tira, perché gli investimenti non sono sufficienti eccetera, e con il sistema delle multe le imprese europee, per evitare appunto queste multe, finanziano la produzione delle imprese extraeuropee? QuestaPag. 15 è semplicemente una follia. Noi stiamo affrontando le follie e stiamo cercando di portare il buonsenso in sede europea, com'è il buonsenso del Governo italiano.
Per quanto riguarda la cassa integrazione, il problema è emerso, ed è emerso perché l'attuale dispositivo di cassa integrazione, che prevede – credo giustamente, io non mi intendo della materia – l'anticipo ai lavoratori da parte delle aziende, non era commisurato con il fatto che oggi nel settore della moda sono imprese di piccola dimensione a poter usufruire della cassa integrazione, imprese che non hanno le necessarie risorse per anticipare ai lavoratori la cassa integrazione. Però, è un problema significativo, perché è un problema di sistema, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta cercando di affrontare insieme alle imprese. Non a caso la gran parte delle risorse che sono state stanziate è rimasta non utilizzata. Dunque, non è un problema di risorse, è un problema di poter utilizzare quelle risorse modificando la normativa attuale. Però, dobbiamo farlo a garanzia dei lavoratori, perché il rischio è che poi, invece, ricada alla fine sui lavoratori.
Per quanto riguarda le altre risorse – le risorse che abbiamo messo in campo quest'anno utilizzando tutti i dispositivi di bilancio, internazionali ed europei – sono quelle che vi ho detto: 22 miliardi di euro. Per il sistema delle imprese, tra risorse di natura fiscale e risorse contenute, per esempio, nei contratti di sviluppo o in altri dispositivi di questo tipo, per il settore moda vi è una quota di riserva pari a 250 milioni di euro, tra contratti di sviluppo (100 milioni), micro-contratti di sviluppo (100 milioni), più le altre due misure, che sono già previste e che sono in campo, tutte rivolte alla sostenibilità (altri 40 milioni). Non sono poche. Spero che siano utilizzate appieno nell'arco di questo anno, perché è un anno importante, significativo e decisivo.
Per quanto riguarda il credito d'imposta – lo diceva l'onorevole Squeri, che forse non c'era quando prima ho presentato la relazione – stiamo presentando un emendamento al decreto «proroga termini» per estendere i termini, che erano scaduti, per le imprese che vogliono partecipare – penso soprattutto alle imprese della moda – e per consentire che questo sia fatto attraverso lo sconto del credito da riversare, anziché un contributo.
La norma come è stata realizzata ci è apparsa poco efficace e soprattutto non compresa dalle imprese, e le imprese, invece, la devono ben comprendere. Questa modifica, dicevo, sarà apportata al decreto «proroga termini» attraverso la presentazione di un emendamento, cosicché queste risorse che abbiamo allocato in bilancio, comprensive dei 250 milioni di euro, sia possibile utilizzarle davvero quest'anno, al fine di alleviare il peso sulle imprese, soprattutto sulle imprese della moda, di quella norma malfatta negli anni passati. Non possiamo cancellarla e non possiamo farcene carico integralmente, perché la dimensione del problema, la falla aperta con quella norma malfatta sul credito di imposta e di sviluppo, che è stata mal percepita e che poi ha comportato l'intervento dell'Agenzia delle entrate, è di grande dimensione, tale che non è possibile intervenire con le risorse dello Stato in maniera drastica. Noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto fare per andare incontro al sistema delle imprese, in particolare quelle della moda.
Probabilmente ci sono altre domande a cui avrei dovuto rispondere, cercherò di farlo in maniera più compiuta in altre eventuali risposte successive, magari nelle interrogazioni e interpellanze, o nel question time.
I documenti del tavolo della moda sono pubblici. Noi abbiamo fatto un'opera di trasparenza assoluta. Nel sito del Ministero troverete tutto, i tavoli di settore, cosa si è discusso, cosa si è approvato, i tavoli di crisi, i tavoli di monitoraggio. Anche oggi ce ne sono stati. Prima non sapevo nemmeno quanti fossero i tavoli. Parlo di tavoli di crisi o aziende in amministrazione straordinaria. Ora è tutto pubblico, è tutto trasparente, anche i documenti che sono ivi approvati. In questo caso si tratta di un protocollo d'intesa Pag. 16pubblico, ovviamente, che le associazioni ben conoscono, ma possiamo benissimo comunicarlo al Parlamento nelle modalità che la legge prevede.
Grazie.
PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori richieste di intervento da parte dei colleghi, ringrazio il Ministro Urso per la sua presenza e per il suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.50.